2020 • Anno XXVI • Numero 1
a cura della
FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE
SEZIONE DI TORINO
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA
ARCHIVIO TEOLOGICO TORINESE
A cura della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Sezione di Torino
Anno XXVI – 2020, n. 1
ISSN 1591-2957
ISBN 978-88-10-21311-7
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Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Sezione di Torino
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Registrazione n. 1 presso il Tribunale di Torino del 27 gennaio 2015
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AndreA PAcini (Direttore), GiAn LucA cArreGA e Antonio SAcco (Segretari), oreSte Aime,
dino BArBeriS, roBerto cAreLLi, umBerto cASALe, Ferruccio cerAGioLi, cArLA corBeLLA,
Pier dAvide Guenzi, LucA mArGAriA, PAoLo mirABeLLA, ALBerto PioLA, roBerto rePoLe
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intestato a Centro editoriale dehoniano
Stampa: Italiatipolitografia, Ferrara 2020
Sommario
Sul rapporto tra teologia e conoscenza.
Esiste una possibilità di comunicazione
tra saperi radicalmente differenti e autofondantisi?
Giuseppe Ruggieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p.
5
La formazione di una coscienza differenziata
per una integrazione dei saperi.
La proposta di Bernard Lonergan
Valter Danna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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21
Perspicacia della fede, intelligenza dell'amore.
Rileggere oggi Rousselot
Emanuele Bordello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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37
Sul simbolo. Ripresa di una discussione
e tentativo di una definizione
Oreste Aime. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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57
Il «silenzio» di Heidegger.
Una «spiritualità» per l’essere
Piermario Ferrari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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79
Paul Ricoeur. Dal Cogito integrale al riconoscimento.
Parabola di un pensiero che dà da pensare
Luca Margaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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105
Il progetto etico di Pietro Abelardo.
Un contributo alla riflessione teologico-morale contemporanea
Gaia De Vecchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
135
«Imparare in profondità dall’esperienza buddhista o induista».
L’itinerario di Thomas Merton in dialogo con le spiritualità orientali
Matteo Nicolini-Zani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 155
3
Sommario
Radici cattoliche, tronco laico e molti rami.
L’albero della religiosità dei giovani francesi
Dino Barberis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Professare la fede in famiglia.
In principio la coppia, al suo principio la Trinità
Paolo Mirabella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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197
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209
r. WiLLiAmS, Essere umani. Corpo, mente, persona (O. Aime) . . . . . . . . . .
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219
A.N. terrin, Il pasto sacrificale. La violenza nelle religioni (O. Aime). . .
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222
F. JuLLien, Risorse del cristianesimo, ma senza passare per la via della fede
(O. Aime) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
225
P. triAnni, Teologia spirituale (L. Casto) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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230
M. vAnnini, Mistica, psicologia, teologia (L. Casto) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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234
W. cAther, La morte viene per l’arcivescovo (M. Nisii) . . . . . . . . . . . . . . .
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240
»
247
»
248
»
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NOTA BIOGRAFICO-PROFESSIONALE
Mons. Franco Peradotto: prete e giornalista nel post-concilio a Torino
(Marco Bonatti). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
RECENSIONI
SCHEDE
B. SeSBoüé, Introduzione alla teologia. Storia e intelligenza del dogma
(A. Piola). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
M. BorGheSi, Ateismo e modernità. Il dibattito nel pensiero cattolico
italo-francese (U. Casale) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
CENTRI DI RICERCA
L’Istituto Papa Benedetto XVI a Regensburg (G. Ghiberti). . . . . . . . . .
4
Recensioni
W C, La morte viene per l’arcivescovo, Neri Pozza, Vicenza 2008 (prima
ed. 1927), pp. 272.
La sera in cui da Roma si decidono le sorti del New Mexico, da poco annesso al territorio statunitense, «la luce era fervida di azione, e trasmetteva un senso di compimento»
(p. 7). Dopo l’evangelizzazione avvenuta quattro secoli prima, la vita della diocesi non è
più stata tutelata dalla gerarchia ecclesiale romana e al presente ciò che resta di quella
fondazione cattolica è nelle mani di pochi preti di scarsa ortodossia. La ricerca di un
nuovo vicario è volta a rinsaldare quel legame allentato, sebbene per un tale compito
occorra un uomo dotato di molte qualità. La scelta ricade sul gesuita francese Jean Marie
Latour, proposto da un vescovo missionario e quindi avallato dal cardinale francese a
cui questi si rivolge, il quale però conosce quelle terre solo dalle letture di Fenimore
Cooper. L’anno in cui il nuovo vescovo si avvia a cavallo per raggiungere le terre a cui
è stato destinato è il 1851, lo stesso anno in cui muore il popolare romanziere che ha
assolto alla funzione di cronista di un popolo in estinzione. Il romanzo si apre con
questo prologo extra-territoriale rispetto alla vicenda principale: un accesso laterale ma
utile a delinearne i primi tratti essenziali. L’uso del narratore onnisciente, la separazione
in capitoli, il finale che dà compimento alla storia e la scrittura accurata ne fanno un
classico anzitutto nello stile, sebbene tutti gli scritti dell’autrice siano stimati tali e facciano ormai parte della grande letteratura americana, purtroppo non sufficientemente
conosciuta nel nostro Paese.
La terra a cui è destinato il vescovo gesuita è selvaggia e desertica: «Non ci sono
strade da percorrere con i carri, né canali o fiumi navigabili. Il commercio è portato
avanti per mezzo di muli da soma, su sentieri insidiosi. Il deserto laggiù è di un orrore
particolare» (p. 10). Quando appare per la prima volta sulla scena, il protagonista si trova
quindi immerso in un territorio ostile e carente di riferimenti riconoscibili che possano
facilitare l’orientamento. Ma nonostante la calura e il senso di smarrimento, l’uomo
è attratto da quello spettacolo naturale e si inginocchia ai piedi di un tronco nudo e
contorto, diviso nella parte superiore in due rami orizzontali, che ai suoi occhi appare
fedele immagine della croce. Seppure perso in un paesaggio monotono di dune, questo
giovane missionario sembra davvero possedere un’intelligenza e sensibilità fuori dal
comune – «I suoi modi, persino quando era solo nel deserto, erano raffinati» (p. 20) –,
non meno di un grande fervore religioso che gli fa sopportare il malessere per la sete,
la febbre e le vertigini, meditando sull’agonia di Cristo (p. 21). Allo stremo delle forze e
dopo aver percorso miglia su miglia di deserto, la sua giumenta avverte la vicinanza di
un corso d’acqua, che una volta raggiunto, altrettanto inaspettatamente, rivela l’apparizione di una giovane messicana che lo saluta come «la risposta alle preghiere del padre».
L’accoglienza del vicino villaggio è semplice e calorosa e offre ogni conforto al giovane
vicario che si stava già riconoscendo nell’Elia abbandonato nel deserto ai tormenti della
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sete (p. 30). È il primo approccio alla vita delle comunità messicane sparse sul territorio,
tra le quali padre Latour trascorrerà il resto della propria esistenza.
Quello che trova è sovente una sorta di avamposto cattolico a difesa della fede, che
gli abitanti sentono messa in pericolo dall’annessione all’America protestante: «Nelle
loro menti non c’era posto per due idee: esisteva una sola Chiesa e il resto del mondo
era infedele. Ma una cosa la capirono, e cioè che nelle bisacce portava i paramenti sacri,
la pietra d’altare e tutto il necessario per celebrare messa, e che il mattino seguente, dopo
la messa, avrebbe confessato, battezzato e consacrato matrimoni» (pp. 28-29). La fede
popolare dei messicani è molto devota e in tutte le case, per quanto povere, è presente
la statua di qualche santo. Altrove, specie nelle popolazioni più isolate, la fede rasenta il
fanatismo, particolarmente evidente nelle celebrazioni della Settimana santa. Il vescovo
si chiede se e come porre fine a tali eccessi, ma alcune tradizioni sono troppo amate
dagli anziani per poter essere estirpate. E si convince che il tempo e il contatto con la
modernità porteranno a morte naturale quanto al momento sembra irrinunciabile.
Altrettanto suscettibile di derive devozionali appare la fede di padre Joseph Vaillant – l’amico d’infanzia che ha accompagnato Latour nel nuovo incarico –, per cui «i
miracoli dovevano essere sempre molto diretti e spettacolari, non secondo natura, bensì
contrari ad essa. Magari avrebbe anche saputo dire di che colore era il manto che Nostra
Signora indossava quando aveva preso la giumenta per le briglie laggiù tra i ginepri» (p.
30). Il mondo ritratto non conosce secolarizzazione, ma al contrario è ancora impregnato dell’incanto del soprannaturale, tanto concreto quanto quella vita povera e semplice,
in cui l’emergere dell’acqua è sempre un miracolo e il fumo dei focolari «sale al Cielo
come incenso» (p. 32). La sensibilità intellettuale di padre Latour tenta una delicata
mediazione, senza opporvi una vera resistenza e talvolta persino vinto da quella fede
popolare che conserva memoria di racconti edificanti dietro ogni vicenda della storia. È
così, ad esempio, per il santuario di Nostra Signora di Guadalupe, che in qualche modo
rappresenta l’apparizione mariana dedicata ed esclusiva del Nuovo Mondo e dunque
quasi il riconoscimento celeste della Chiesa cristiana lì impiantata. «A me sembra che i
miracoli della Chiesa non stiano tanto nei visi e nelle voci o nel potere curativo che ci
arriva all’improvviso dall’alto, quanto piuttosto nelle nostre percezioni affinate, cosicché
per un istante i nostri occhi possono vedere e le nostre orecchie sentire ciò che è sempre
intorno a noi» (p. 47), commenta infine il vescovo, persuaso dell’amorevole attenzione
che quelle storie rivelano.
Il deserto del New Mexico fa da sfondo ai viaggi missionari del vescovo Latour e
del vicario Vaillant, complicando ma mai impedendo la loro temerarietà evangelica.
Apprendere ad attraversare il paesaggio diventa parte del percorso di ambientazione al
colore locale. Quando incontra l’esploratore Kit Carson, il vescovo si lascia conquistare
da quest’uomo che non sa leggere, ma che nel deserto sa muoversi con grande abilità,
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seguendo una mappa scritta nella propria mente. Con Carson il vescovo stringe un’amicizia destinata a durare tutta la vita. È occasione del loro incontro la presenza della straziata Magdalena, la giovane messicana sposata a un americano brutale e violento che,
dopo aver ucciso alcuni viaggiatori fermatisi presso la loro casa per chiedere ospitalità
e i tre figli che la moglie aveva concepito, attenta alla vita dei due missionari, salvi solo
per l’improvvisa audacia della donna. Sottratta a quell’ambiente degradato, la giovane
rifiorisce prestando da quel momento servizio amorevole alla Chiesa e al vescovo. Come
già Magdalena non è un nome casualmente scelto, dato che la donna sembra come «indemoniata» al suo primo apparire, terrorizzata e istupidita dalla vita accanto a un bruto,
anche Kit, che sta per Christòbal, versione spagnola di Cristoforo, dice della sincera
conversione dell’uomo avvenuta in California durante un periodo di malattia, dove è
stato curato dai padri di una missione.
Parte integrante del colore locale è anche il clero lassista che si è installato indisturbato nelle parrocchie, approfittando della lontananza e del disinteresse di Roma. Il concubinaggio, l’amore per il gioco d’azzardo, i divertimenti dissoluti e l’avidità sono solo
alcuni dei vizi sviluppati, senza considerare l’eterodossia di cui poco si curano. Non per
questo sono meno amati dalla gente, fedele alla Chiesa di Cristo quasi naturalmente e a
dispetto dei cattivi pastori. Il giovane vescovo sa che è suo compito e dovere intervenire,
ma sente anche di non poter semplicemente demolire l’esistente e avvia un lento ma
inesorabile percorso di rinnovamento. Nonostante la giovane età, riscuote l’ammirazione
di tutti per l’atteggiamento riguardoso che dimostra con chiunque trovi, dai preti della
sua diocesi ai capi indiani, alla povera gente.
La fede cristiana anche molto devota convive con riti e usi di una cultura precedente,
antichissima ma sempre vitale. Nel New Mexico settentrionale ai pappagalli sono tributati onori divini e la loro morte suscita disperazione, a Pecos si sospetta la persistenza del
culto del serpente a cui si sacrificherebbero persino neonati, mentre gli indiani di Àcoma
sono devoti a un ritratto di san Giuseppe, al quale attribuiscono molti miracoli pur avendo nella chiesa vari dipinti di divinità naturali attorno all’altare. Latour fa esperienza
involontaria e indiretta di un qualche rito ancestrale indiano, quando trova ospitalità in
una caverna durante una bufera di neve: lì nota lo sconcertante comportamento della
sua guida, ma non osa chiederne la ragione per il riserbo osservato nell’indiano. L’odore
nauseabondo e la sensazione di malessere provata resteranno un mistero, al pari delle
arcaiche cerimonie religiose di quel popolo, che l’uomo rispetta senza comprenderle:
«Padre Latour osservò che la venerazione per le antiche tradizioni era una qualità che
apprezzava negli indiani, e che aveva un ruolo fondamentale anche nella sua religione»
(p. 123).
Tra i molti ritratti riservati ai personaggi che affollano il romanzo, uno dei più
accurati è indubbiamente quello dedicato a padre Vaillant, amico prezioso del vescovo
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Latour, ma molto diverso da lui per sensibilità religiosa e pastorale. Appassionatamente
devoto alla Madonna e ostinatamente convinto della bontà del proprio lavoro, è spesso insistente nelle sue richieste ai fedeli messicani, poveri ma sempre generosissimi. Il
vescovo non ne approva i modi, ma pure è disposto ad accettarli, persuaso dall’ardore
dell’altro. «Più lavoro con i messicani e più sono convinto che era gente come loro che
aveva in mente il Nostro Salvatore quando disse “Se non diventerete come bambini […]”.
Mi fermo per qualche ora in un villaggio, impartisco i sacramenti e ascolto confessioni,
lascio in ogni casa qualche piccolo segno, un rosario o un’immagine religiosa, e me ne
vado con la sensazione di aver accordato una felicità incommensurabile e di aver restituito anime fedeli che per noncuranza erano state allontanate da Dio» (pp. 182-183)
risponde Vaillant con il suo solito fervore, declinando l’offerta di Latour di restare con
lui nel vescovado quando l’altro è invitato a recarsi in Colorado. Uomo contraddittorio,
secondo l’amico, padre Joseph ama il mangiare e il bere, ma è insieme ferventissimo nei
digiuni ecclesiali e facile ad adattarsi alle condizioni anche meno propizie della vita da
missionario.
Profondamente diverso dall’amico, la fine sensibilità e il gusto per il bello di padre
Latour fanno pendant con i suoi modi raffinati e rispettosi, apprezzati e stimati anche dagli uomini delle terre di missione. Quando però si tratta di progettare un’opera grandiosa
come la cattedrale in stile romanico, per cui assolda un architetto francese dopo aver
trovato la roccia del colore appropriato, l’amico non gli risparmia il proprio disappunto:
una cosa tanto prestigiosa in un luogo così povero gli pare una scelta fuori misura. «Ma
la cattedrale non è per noi» (p. 214), è tutta la difesa del vescovo, non disposto a edificare
qualcosa di meno che bello, pur ammettendo la propria vanità: «Preferisco aver trovato
quest’altura di roccia gialla che aver ricevuto una fortuna da devolvere in carità» (p. 215).
Vaillant non può capire tanta attenzione per un edificio, eppure è lui stesso un uomo
che, se normalmente indossa abiti logori, si fa confezionare preziosi paramenti liturgici
dall’abbazia francese in cui vive la sorella monaca.
La figura soprattutto luminosa del protagonista è presentata in un momento di
oscurità spirituale, che tuttavia non sottrae convinzione alla sua vita di pastore. In questo
frangente ombroso è soccorso dalla profonda devozione di una vecchia serva, obbligata a
celare la propria fede ai padroni protestanti e ostili al mondo cattolico, di cui una notte
riesce a eludere la sorveglianza per cercare conforto in chiesa. Recatosi anche lui nello
stesso luogo e subito riconosciutola, prega ardentemente con lei tutta la notte, uscendone
rinfrancato e pacificato. Quella donna anziana e maltrattata è stata capace di insegnargli
il significato della misericordia femminile di Maria: «Gli sembrò di sentire quanto fosse
importante per lei sapere che nei Cieli esisteva una Donna Amorevole, sebbene ce ne
fossero di così crudeli sulla terra. I vecchi, che hanno subito colpi e fatiche e hanno conosciuto la dura mano del mondo, necessitano, ancor più dei bambini, della tenerezza
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di una donna. Solo una Donna di natura divina può sapere quanto un’altra donna riesca
a sopportare» (p. 192).
Nell’ultimo capitolo si ripercorrono in pochi passaggi eventi di molti anni, offrendo
anche una sintesi dei fatti storici intercorsi in quell’incredibile salto temporale. L’incarico
di padre Vaillant in Colorado gli aveva fatto guadagnare a sua volta la sede vescovile,
mentre Latour, arrivato a Santa Fé a cavallo, ci ha vissuto tanto da vedere l’arrivo della
locomotiva; questo simbolo di modernità segna inoltre il lento arretrare di leggende e
tradizioni passate, che erano sopravvissute fino a lui. Con le ultime forze, Latour trasmette quindi ai giovani preti la memoria di un passato che, dopo di lui, rischierebbe
di smarrirsi per sempre – quasi apologia e giustificazione della scrittura del romanzo. E
non casualmente si cita san Paolo, che a sua volta dettava le proprie lettere – un implicito riferimento alle Scritture lega in qualche modo la necessità di queste memorie e il
presente testo di finzione.
Soprattutto nelle ultime settimane, quello che più tiene occupata la mente dell’arcivescovo è il ricordo dei momenti forti vissuti con l’amico Joseph – dalla fuga verso le
terre di missione, che le famiglie non avrebbero approvato, fino all’incredulità provata
alla morte dell’altro. È dal suo passato che padre Latour sta prendendo congedo. La raffinatezza intellettiva, con cui è sempre stato tratteggiato, emerge ancora nei suoi ultimi
giorni, quando si sofferma sull’esperienza dell’essere, preso dalla curiosità della morte.
Raggiunta la necessaria essenzialità, che gli fa relativizzare errori e cadute, nutre una
lucida coscienza di sé e di quanto lo circonda. Tra i suoi ultimi pensieri, la soddisfazione
di aver visto la fine di due grandi ingiustizie, perpetrate sui neri e sui navajo: ai primi
viene offerta la dignità dell’uomo libero, ai secondi il ritorno alle terre di origine. Questo
popolo di nativi gli è stato particolarmente caro e per questo ha potuto comprendere
come le loro terre fossero un tutt’uno con la loro religiosità, il loro Eden, a cui infine
riescono a ritornare con un atto del governo centrale, che nel testo sembra riecheggiare
l’editto di Ciro: «Non credo, come credevo un tempo, che gli indiani moriranno. Credo
che Dio li preserverà» (p. 267). La morte del protagonista, preparata fin dal titolo, lo
coglie infine sereno; il suo volto ha assunto «carattere e consapevolezza» e, proprio come
nella formula biblica, seppur non citata espressamente, è davvero il ritratto di chi lascia
la sua gente «vecchio e sazio di giorni».
Profilo. Willa Cather (Winchester 1873 - New York 1947) è stata insegnante, giornalista e infine scrittrice. A otto anni si trasferisce nel Nebraska, a contatto con gli immigrati, e successivamente in Colorado e New Messico. Di fede protestante poi convertitasi al
cattolicesimo, ritrae – secondo L’Osservatore romano (2 maggio 2012) – «una delle figure
di sacerdote cattolico più belle della letteratura». I due protagonisti sono modellati sulle
figure di due preti francesi missionari nel Nuovo Mondo, Jean-Baptiste Lamy e Joseph
Projectus Machebeuf. La morte viene per l’arcivescovo è quindi un bel romanzo, dai toni
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delicati che, mentre ritrae un mondo scomparso, come ogni vero classico, continua a
parlare ai nostri tempi. I temi della fede, del ministero e dell’evangelizzazione, espressi
nella forma del racconto, intercettano la via esperienziale e rilanciano la riflessione che
su tali questioni mai può esaurirsi – oggi forse più che mai. Il cristianesimo narrato, pur
nella contaminazione con le forme popolari e gli antichi riti dei pellerossa, offre il suo
volto critico nella vivace dialettica tra i due gesuiti, ma mostra anche una propria bellezza e fascinazione che la buona letteratura sa preservare vivida e intatta, rendendola ogni
volta disponibile al piacere del lettore che vi si accosti – qualunque sia il suo interesse,
bisogno, credo.
Maria Nisii
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