ST R I A
VENETA
56
TRA SMERGONI E
SMERGONCINI - LE BONIFICHE
DOPO IL 1797
L’ACQUA MIRACOLOSA DI SAN
SEBASTIANO
INTERNI DI VILLA VENETA
I RE CARLISTI A VENEZIA
LA PESTE DEL 1630 A VENEZIA
E TERRAFERMA ATTRAVERSO
LE SUPPLICHE AL SENATO
LA MADONNA IN AGORDINO
VERITÀ O ALLUCINAZIONE
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STORIA VENETA
Rivista di divulgazione storica
per conoscere il passato dei Veneti
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numero 56 - anno XII - aprile 2020
Tra smergoni e smergoncini - Le bonifiche
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L’acqua miracolosa di San Sebastiano
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di François Vidoc
Interni di villa veneta
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di Alberto Prelli
I Re carlisti a Venezia
25
di Riccardo Pasqualin
La peste del 1630 a Venezia e Terraferma
attraverso le suppliche al Senato
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Massimo Benetton, Antonio Biasioli,
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Damiano Durello, L’abate Faria,
Riccardo Pasqualin, Alberto Prelli,
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Riccardo Pasqualin
I Re carlisti a Venezia
Una breve storia del Carlismo dal 1830 al 1909
Nel 1812, dopo aver scacciato i francesi dalla Spagna, Re Ferdinando VII di Borbone riuscì a tornare sul trono. Il suo regno, però,
fu segnato da gravi instabilità politiche, generate da una serie di
concessioni costituzionali e di abrogazioni che, nel 1823, lo costrinsero a chiedere l’aiuto della Santa Alleanza. Vedovo e privo di
eredi, il monarca sposò Maria Cristina di Borbone-Due Sicilie
(1806-1878) e decise di designare come suo legittimo successore
suo fratello, Don Carlos María Isidro (1788-1855). Nel 1830, la
coppia reale ebbe una figlia: Isabella (1830-1904), ma secondo la
lex semi-salica la corona avrebbe dovuto spettare al parente maschile più prossimo al Re. Ciononostante, Ferdinando compì un’azione inaudita e, il 29 marzo 1830, con la Pragmática Sanción,
abrogò la legge salica (che escludeva le donne dalla successione al
trono) proclamando regina sua figlia.
A sinistra: Vicent López Portaña, “Carlos María
Isidro de Borbón”, prima metà del XIX secolo,
Real Academia de Bellas Artes de San Fernando,
Madrid.
Sotto: Augusto Ferrer-Dalmau, “Primera Guerra
Carlista”, 2010 (fonte: Wikipedia).
Vicente López y Portaña,
“Fernando VII de España”
(particolare), XIX secolo, Museo
Navale, Madrid.
Chi era Don Carlos e perché si cercò di privarlo dei
suoi diritti ?*)
Già al tempo fu subito chiaro che non si trattava
di una mera disputa dinastica: Carlo era l’incarnazione degli ideali della Spagna tradizionale;
era un uomo di provata cattolicità e un difensore
della monarchia forale, rispettosa delle autonomie storiche e sorretta dai corpi intermedi. Si
conquistò subito le simpatie dei legittimisti monarchici e degli oppositori del liberalismo, i suoi
sostenitori – i tradizionalisti spagnoli – assunsero il nome di carlisti.
Alla morte di Ferdinando VII le scintille accesero
le polveri e l’esplosione deflagrò in tutto il paese:
Don Carlos rifiutò di rinunciare ai suoi diritti e
assunse il titolo di Carlo V. Gli abitanti delle province basche e della Navarra – altrettanto attaccati a quelle libertà che storicamente gli erano
sempre state garantite – temettero una svolta
centralista, si unirono alla causa tradizionalista
e consentirono al Re legittimo di prendere possesso di molti territori nel nord della Spagna. Era
l’inizio della prima guerra carlista (1833-1840),
o Carlistada.
Franz Xaver Winterhalter,
“Ritratto della regina Isabella II di
Spagna e di sua figlia Isabella”,
1852, Palazzo Reale, Madrid.
26
Nacque allora il motto del Carlismo: «Dios, Patria, Fueros y Rey», dove il vocabolo castigliano
fuero (dal latino forum: «luogo dove viene amministrata la giustizia») indica i privilegi riconosciuti dallo Stato a una città1) o a una categoria2),
secondo una concezione dell’uomo inteso come
essere concreto e non come una vaga entità teorizzata dai filosofi: le libertà concrete contro la libertà astratta dei rivoluzionari3). La monarchia
tradizionale, per il Carlismo (anti-assolutista,
*) Il presente testo riprende, in alcuni punti, delle recensioni
già pubblicate da chi scrive in varie riviste (a cui ci si
permette di rimandare): La concezione dei “fueros”
nell’opera “Il Carlismo” di Francisco E. de Tejada, in
«Domus Europa», 17-01-2019 (http://www.domus-europa.eu/?p=7915), ora ripubblicata in «I Quaderni di
Domus Europa: 2019», il Cerchio, Rimini 2019, pp. 171174; Gli uomini di oggi non potranno mai comprendere...Recensione di “L’altra frontiera” di Alfredo Roncuzzi,
in «Domus Europa», 04-03-2019 (http://www.domus-europa.eu/?p=8023); L’antitesi perfetta della rivoluzione:
Gli scritti sul Carlismo de “La Civiltà Cattolica” (18731875), in «Domus Europa», 07-05-2019 (http://www.
domus-europa.eu/?p=8111); recensione a: Francisco
Elías de Tejada, Rafael Gambra Ciudad, Francisco Puy
Muñoz, “Il Carlismo”, Solfanelli, Chieti 2018, in «Veritatis
Diaconia», numero 10, anno V, autunno 2019, pp. 59-61;
recensione a “L’antitesi perfetta della rivoluzione. Gli
scritti sul Carlismo della «Civiltà Cattolica»”, Solfanelli,
Chieti 2019, in ivi, pp. 78-80.
1)
Nel pensiero carlista le regioni, con i loro fueros e le loro
libertà particolari, compongono la “federazione storica”
che forma l’unità della Patria spagnola. Caratteristica
originale dell’hispanidad, il fuero congiunge autonomia e
integrazione. La varietà culturale dei popoli ispanici, per i
carlisti, non entra in contrasto con l’obiettivo comune di
servire il Re (che a sua volta è un servitore di Dio) e la
Patria spagnola, che fonda la sua unità storica sulla
Reconquista: la guerra condotta, in nome della Religione
Cattolica, dagli spagnoli contro i califfati e gli emirati
musulmani stabilitisi sul territorio iberico a partire dal
711 e conclusasi nel 1492, con la presa di Granada da
parte di Isabella di Castiglia (1451-1504) e Ferdinando II
d’Aragona (1452-1516).
2)
Accanto alla difesa del decentramento regionalista e del
regionalismo forale, pure la questione delle corporazioni e
delle categorie e degli ordini sociali non deve essere trascurata. Anche in questo senso, a quel tempo, la Spagna si
avviava verso una transizione epocale dalla dimensione
della società tradizionale (gerarchica e divisa in ordini con
una loro specifica identità) a quella borghese, liberale e
capitalistica. Seppur in maniera lenta e vischiosa, nell’intera Europa il ruolo dell’aristocrazia si stava progressivamente eclissando ovunque, per lasciare posto a una nuova classe dirigente i cui esponenti non emergevano più
per criteri di nascita, ma di ceto. Anche a questi mutamenti il Carlismo tentò di opporre un argine.
anti-centralista e anti-nazionalista), deve essere
non assoluta ma limitata, anzitutto dalla coscienza cattolica, morale e religiosa del re4),
quindi dalle barriere giuridiche dei fueros e dalle
decisioni delle Cortes (o giunte) che rappresentano gli interessi regionali e nazionali; monarchia
forale significa che il re esercita le sue facoltà di
governo a norma dei diritti che storicamente e costituzionalmente gli competono in ognuno dei
suoi domini, per cui quanto in una regione corrisponde a un fuero in un’altra può essere addirittura contrario5).
Con Isabella – che comunque ebbe l’appoggio di
buona parte dell’esercito, e mantenne il controllo
di ampie regioni della Spagna – restarono i liberali, i propugnatori di un potere centralizzato, i
progressisti e i costituzionalisti, ossia coloro che
avevano una visione radicalmente opposta di come si sarebbe dovuto governare il paese. Non si
può negare che tra i di lei simpatizzanti ci fossero
anche le logge massoniche…
Solo nel 1839 i carlisti furono sconfitti e nel 1840
cessarono gli ultimi episodi di guerriglia; sembra
che il bilancio delle vittime del conflitto sia quantificabile attorno ai 200.000 morti.
Nel 1845, Carlos V abdicò in favore di suo figlio
Carlos VI (1818-1861); nuove rivolte scoppiarono tra il 1846 e il 1849: la Seconda Guerra Carlista, che si concluse anch’essa senza il compimento della sperata restaurazione. Nel 1868, la
successione passò al quarto re carlista: Carlos VII
(1848-1909). Nel 1868, Isabella (dal 1841 Isabella II) fu dichiarata decaduta dopo un moto ri-
3)
Cfr. Francesco Maurizio di Giovine, “Il pensiero tradizionalista nell’opera di Francisco Elias de Tejada”, Quaderni
degli incontri tradizionalisti di Civitella del Tronto, 2002.
4)
Per il Carlismo, il Re non è che un servitore della dottrina e
il liberalismo non è l’opposto dell’assolutismo bensì la trasformazione della rivoluzione assolutista in rivoluzione liberale.
5)
Cfr. Francisco Elías de Tejada, Sintesi politica del Carlismo, in Lo Trovatore, Il passato e il presente ovvero Ernesto il disingannato, D’Amico, Nocera Superiore 2017, pp.
XXII-XXV.
6)
Amedeo Ferdinando di Savoia, Duca d’Aosta, terzogenito
di Vittorio Emanuele II, combatté a Custoza nel 1866.
Accettato il trono di Spagna nel 1870, osteggiato da tutti i
partiti, abdicò solo 3 anni più tardi.
7)
Estella fu a lungo la capitale del Carlismo e il suo cuore militare. La corte carlista vi s’installò anche durante la prima Carlistada.
voluzionario repubblicano; quindi le Cortes, il
parlamento spagnolo, chiamarono al trono Amedeo I di Savoia (1845-1890)6). Nel 1872 Carlos
VII, temendo compromessa la possibilità di una
restaurazione, diede il via a una nuova sollevazione: la Terza Guerra Carlista (1872-1876). Prima contro Amedeo I di Savoia, poi contro la repubblica proclamata alla sua abdicazione, nel
1873, e infine contro Alfonso XII (1857-1885), figlio di Isabella II.
Nonostante le preoccupazioni del pretendente al
trono, il momento era quello propizio. Baschi, catalani e navarrini si riconfermarono i combattenti più fedeli al Re legittimo – solo più tardi si sarebbero affermate le tendenze etnonazionaliste e
secessioniste, che (in sintesi) sono il prodotto
delle degenerazioni delle pur giuste e legittime richieste di autonomia regionale.
Il conflitto seguitò sino al 19 febbraio del 1876,
quando i carlisti furono sconfitti a Estella (la loro
roccaforte)7), in Navarra, e rinunciarono alla lotta. Carlos VII decise di attraversare il confine
francese, ritirandosi con i suoi fedelissimi, e, il
28 febbraio, promise solennemente di fare ritorno in Patria per proseguire la crociata contro i li-
27
Don Carlos Luis De Borbón y
Braganza, Conte di Montemolín,
figlio di Carlos María Isidro De
Borbón, è stato il carlista
pretendente per il trono di
Spagna con il nome di Carlos VI.
Incisione del 1844.
Don Carlos VII, seduto al centro
della foto, con il suo comando
militare durante la Terza Guerra
Carlista.
Stemma carlista: il simbolo
imperiale dell’aquila bicefala e
la Croce di Borgogna, ossia la
Croce di Sant’Andrea rossa
«ramosa» in campo bianco,
l’emblema del movimento.
Palazzo Rezzonico in una foto di
fine ‘800, fu la residenza
provvisoria veneziana di Carlos V
nel 1847.
berali. Da quell’anno vi furono altri tentativi volti a cambiare le sorti delle Spagne, tuttavia nessuno raggiunse le dimensioni dell’ultima Carlistada.
Il 18 luglio 1909, la scomparsa di Carlos VII precipitò nuovamente il tradizionalismo spagnolo in
un momento di grave difficoltà, ma, dopo una fase di sbandamento, Don Jaime di Borbone
(1870-1931), figlio di Carlos VII, assunse la guida del movimento. Il nuovo Re prese il nome di
Jaime III – la storia del Carlismo era destinata a
giungere sino ai giorni nostri8)…
* * *
In questa sede sarebbe stato impossibile riassumere l’intera vicenda del Carlismo, fermare la
narrazione storica al 1909 è stata una scelta obbligata9), ma quella della morte di Carlo VII non è
una data casuale, poiché rappresenta la fine della parentesi veneziana del Carlismo (da cui il motivo del presente saggio).
Oggi, quanti veneziani, e quanti veneti, hanno
ancora memoria del soggiorno dei reali di Spagna proscritti nella città di San Marco? Pochi, pochissimi. Vi si trova notizia in qualche libro, tuttavia, spesso, si tratta di poche righe; ma forse
anche un piccolo saggio può aiutare a ravvivare
un ricordo rimosso.
Venezia e il Carlismo
In Italia, quando scoppiò la prima Carlistada, i
reazionari presero le parti dei carlisti, mentre i li-
28
berali (e i sostenitori dell’unificazione della Penisola) si unirono ai soldati di Isabella.
È abbastanza noto che alla prima guerra contro i
carlisti presero parte diversi giovani combattenti
italiani sostenitori degli ideali di unificazione
nazionale: tra questi si possono ricordare Angelo
Masini (1815-1849), Sebastiano Montallegri
(1784-1839), che morì appunto in terra iberica,
Nicola Fabrizi (1804-1885), Enrico Cialdini
(1811-1892), Manfredo Fanti (1806-1865), Giacomo (1807-1894) e Giovanni Durando (18041869). I volontari italiani formarono la legione
straniera detta dei “Cacciatori di Oporto”.
Di queste partenze per la Spagna ci fornisce forse
un’ironica testimonianza il componimento del
veneziano Girolamo Contin “Per promesse nozze”, contenuto nella raccolta «Poesie italiane e veneziane» (1842), il quale tra i suoi versi recita:
Io non d’Iberia alle implacabili
Fraterne collere consacro i carmi,
Bacco sol venero, abborro il torbido
Fragor dell’armi10).
Mentre un’annotazione ci avvisa «Infuriava allora in Ispagna la guerra civile tra i Carlisti, ed i Liberali»11).
Nell’autunno del 1847 Carlos V si trasferì a Venezia, protetto dal governo austriaco, presso Palazzo Rezzonico12) (attualmente sede del Museo del
Settecento Veneziano)13). Nel 1848, a causa
dell’instabilità legata alla rivoluzione, il Sovrano
si dovette trasferire a Trieste, quando anche quel-
8)
Il Carlismo è il movimento legittimista che può vantare la
maggior continuità e vitalità in tutto il contesto europeo.
Attualmente, oltre che in Spagna e in Europa, raccoglie
seguaci in America Latina. Oggi la maggior parte dei
carlisti riconosce come Reggente di Spagna il Principe
Don Sisto Enrico di Borbone - Parma, Duca di Aranjuez,
Abanderado de la Tradición.
9)
In un prossimo futuro, chi scrive spera di riuscire a presentare un testo più ampio che raccolga degli “Appunti
per una storia del Carlismo a Venezia”.
10)
Girolamo Contin, “Per promesse nozze”, in «Poesie italiane e veneziane», Vol. I, Andruzzi, Venezia 1842, p. 63.
11)
Ivi, p. 66.
12)
Marcello Brusegan, “Ca’ Rezzonico”, in «I palazzi di Venezia», Newton Compton, Roma 2007, p. 322.
13)
Presso Ca’ Rezzonico non si conserva alcun documento
relativo ai pretendenti carlisti al trono di Spagna. Chi
scrive coglie quest’occasione per ringraziare il Museo del
Settecento Veneziano.
la città era scossa dagli eventi politici in corso14).
I primi due reali proscritti di Spagna, insieme al
loro seguito, soggiornarono al secondo piano di
una casa di Via Lazzaretto Vecchio, che apparteneva alla Duchessa di Berry, Maria Carolina di
Borbone (1798-1870) – l’Amazzone dei gigli15) –
sorella della nuora di Carlos V, mentre la proprietaria si riservò il piano nobile del palazzetto liberty triestino.
«Il palazzo fu alienato dalla duchessa di Berry nel
1852, quando acquistò a Venezia il palazzo Vendramin Calergi. Qui, nel 1883 morì Richard Wagner ospite del Conte di Chambord, Enrico di Borbone»16).
Carlos V morì a Trieste nel 1855 e fu sepolto nella
Cappella di San Carlo, nella Cattedrale di San
Giusto, oggi nota popolarmente anche come Cappella dei Borboni (o Escorial Carlista), perché
successivamente vi sono stati inumati altri membri della famiglia, l’ultimo nel 197517). La vedova
di Carlos, Maria Teresa, nata Principessa di Beira, visse a Trieste per 13 anni dalla morte del marito e scomparve nel 1874. Dopo qualche decennio si estinse l’intera corte carlista di Trieste e nel
Cimitero di Sant’Anna sono presenti le tombe di
24 membri del seguito reale.
Per avere un’idea di quale era il volto di Venezia
verso gli anni ’50 dell’Ottocento si può consigliare la lettura di “Venezia austriaca”, un classico
del grande scrittore Alvise Zorzi (1922-2016).
Nella città lagunare, dopo la rivoluzione del ’48,
nomi illustri e grandi personalità popolarono
nuovamente i palazzi che avevano già acquistato prima della rivoluzione, o ne comprarono di
nuovi. La Duchessa di Berry e il Conte di Chambord, pretendente al trono di Francia, assistettero alle esequie dell’ex viceré Ranieri in San Marco, morto a Bolzano senza aver rivisto l’amata
Venezia. In Palazzo Loredan, a San Vio, s’installò invece il Conte di Montemolín, Carlo VI Luigi
Borbone Spagna18), con la madre e il fratello; tra
14)
Sul Carlismo a Trieste notizie in Guido Martina, “Pio IX”,
Gregoriana, Roma 1974; fondamentale Anna Monteduro,
“L’Escorial dell’esilio Presenza carlista a Trieste
(1848-1874)”, Italo Svevo, Trieste 2006.
15)
Donna di grande coraggio, conosciuta e ammirata, la Duchessa capitanò personalmente una rivolta legittimista di
contadini vandeani contro Luigi Filippo d’Orléans. Alvise
Zorzi non esita a definirla «la leggendaria duchessa».
16)
Cit. da Miguel Ayuso, Francesco Maurizio di Giovine, “La
presenza Carlista a Trieste”, in «Tigor», I (2009), n. 2
(luglio-dicembre), nota 3, p. 193.
17)
Nella Cattedrale di San Giusto a Trieste sono sepolti Carlos
V, Carlos VI, Juan III e Carlos VII, l’Infante Fernando
(1824-1861), figlio di Carlo V, le due spose di Carlo V,
Donna Maria Francesca di Braganza (1800-1834) e Maria
Teresa di Braganza (1793-1874), e la sposa di Carlo VI,
Donna Maria Carolina di Borbone delle Due Sicilie
(1820-1861). Dal 1975 vi riposano anche i resti di Don
Francesco José di Asburgo (1905-1975), nipote di Carlo VII.
18)
A. ZORZI, “Venezia austriaca”, LEG, Gorizia 2017, p. 113.
29
Il palazzo della Duchessa di
Berry a Trieste, in Via Lazzaretto
Vecchio n. 24.
Robert Lefèvre, “Ritratto della
Duchessa di Berry”, Maria
Carolina di Borbone, 1826,
Musée des Beaux-Arts, Rouen.
Trieste, Cattedrale di San Giusto:
il corteo funebre per la morte di
Don Carlos, 1855.
Da: “The Illustrated London News”.
Palazzo Loredan (Venezia),
residenza dell’Infante Carlos VII.
Otto e Novecento – come vedremo – lo stabile resterà di proprietà della famiglia19).
Attraversando calli e canali si potevano incontrare
anche l’infante di Spagna Don Juan III e l’infanta
sua moglie, Beatrice. Juan era il fratello di Don Carlos VI, figlio dell’omonimo principe ereditario20).
Nel 1861 le idee progressiste e liberali di Giovanni lo avevano reso inviso ai carlisti come pretendente al trono; il 3 ottobre 1868, decise di abdicare in favore del giovane figlio Carlos VII. Fu allora
che la Principessa Beatrice si trasferì a Venezia e
qui crebbe e si fece adulto Carlo, frequentatore
dei circoli legittimisti che facevano riferimento
30
soprattutto al Conte di Chambord, conosciuto dai
suoi seguaci come Re Enrico V di Francia.
Nel 1864 la Principessa di Beira rese pubblica la
Carta a los Españoles: un manifesto politico con
cui riaffermò i diritti del Carlismo alla Corona di
Spagna.
Oggi lo dimentichiamo spesso, ma Venezia in quel
tempo divenne una vera centrale del legittimismo
europeo: qui si recavano i volontari carlisti per incontrare Don Carlos VII e da qui venivano impartite le direttive; sembra che anche fra gli italiani fece
una certa presa la prospettiva di battersi «Defendiendo la bandera de la Santa Tradición»21).
Gli archivi veneziani possono nasconderci ancora qualche testimonianza utile? Non è da escludere che la biblioteca di qualche vecchia famiglia
cittadina, qualche soffitta o magazzino celino
delle sorprese.
Le numerose visite ai sovrani concorrono a consolidare l’importanza della loro azione politicomilitare; vi furono veri e propri pellegrinaggi dei
carlisti alla residenza veneta dei pretendenti in
esilio. Un importante propagandista riporta che
19)
M. Brusegan, “Palazzo Loredan Cini”, in op. cit., p. 222.
20)
A. ZorzI, op. cit., p. 345.
21)
Citazione dalla “Marcha de Oriamendi” (1837), considerata l’inno del Carlismo.
Venezia era per il Carlismo «quello che la Mecca è
per i musulmani»22), l’ex Dominante era un vero
luogo della memoria e un laboratorio dell’azione, forse in misura anche superiore a Trieste. Nel
1866 l’annessione delle Provincie Venete al Regno d’Italia23) non generò eccessive preoccupazioni ai sovrani esuli. A Venezia la Strada nuova
dei giardini pubblici, così chiamata perché prossima all’ingresso dei giardini, venne dedicata a
Garibaldi, al quale fu poi innalzato un monumento all’ingresso dei giardini.
In Europa esisteva tuttavia un’internazionale legittimista volta ad una restaurazione totale:
22)
Cit. riportata da Jordi Canal, in “Il Carlismo”, Guerini e
Associati, Milano 2011, p. 144.
23)
Per un quadro generale sull’annessione della Venezia
all’Italia cfr. “1866. Il Veneto all’Italia”, a cura di Federico
Melotto, Cierre Edizioni, Sommacampagna (VR) 2018.
24)
Gli zuavi erano un corpo militare degli Stati della Chiesa
fondato il primo gennaio 1861 dal Generale de Lamorcière; nelle uniformi si ispiravano all’omonimo reparto
dell’esercito francese. Quest’armata era formata da cattolici di ogni regione d’Italia e d’Europa, alcuni volontari
venivano addirittura da oltreoceano. Su tale corpo, cfr.
l’imprescindibile Francesco Maurizio di Giovine, “Gli
Zuavi Pontifici”, Solfanelli (in corso di pubblicazione).
molti controrivoluzionari spagnoli dal 1861 si
erano mobilitati a favore del Re delle Due Sicilie,
ad essi si erano aggiunti Francesi, Belgi, Tedeschi, Portoghesi e altri; viceversa allo scoppio
della terza guerra carlista dei combattenti italiani si arruolarono in Spagna: erano meridionali,
ma anche ex zuavi pontifici24) da varie regioni
d’Italia25). Numerosi volontari italiani e stranieri, per un certo periodo storico, passarono per Ve-
Fotografia di Palazzo Loredan
nei primi del Novecento. Sopra
il portone s’intravedono i tre
gigli dei Borbone.
Palazzo Loredan: il Salone delle
Battaglie, immagine tratta da
“Los señores Duques de Madrid en
el Palacio Loredan” (Lit. Thomas,
1907). Il grande ritratto di Don
Carlos (che riprende una celebre
fotografia) è opera di Luigi
Gasparini.
31
Il ritratto a colori di Don Carlos
VII riprodotto in una cartolina
acquerellata di inizio ‘900.
Il pittore Luigi Gasparini, nativo
di Zenson di Piave (si ringrazia la
Galleria d’Arte Recta).
Sala delle bandiere di Palazzo
Loredan, disegno di Luigi
Gasparini.
nezia; molte giovani vite furono messe a servizio
della causa di un Re forestiero, ma in cui tanti
uomini, da tante parti d’Europa, vedevano una
speranza. Dio, Patria, libertà municipale e governo legittimo: si pensava che il trionfo di questi
princìpi nelle Spagne avrebbe cambiato la storia
del continente intero; per i cattolici la causa della
legittimità era la stessa ovunque, che si fosse a
Roma, a Napoli, in Francia o in Portogallo.
Partì per la Spagna anche qualche veneto che era
stato precedentemente zuavo pontificio? Sono
solo ipotesi, per scoprirlo servirebbero dei documenti. Sicuramente, però, alla corte di Don Carlos si poteva vedere spesso l’artista trevigiano
Luigi Gasparini (1856-1926), pittore e decoratore di grande talento, autore – tra l’altro – di un ritratto del Re in esilio26).
Anche durante il loro soggiorno veneto i reali vivevano sotto il cerimoniale spagnolo, ma non disdegnavano le passeggiate in città, soprattutto
sul percorso verso San Marco e non era raro incontrarli nella piazza antistante alla Basilica; come a Trieste, la famiglia si distinse per le opere di
bene. Dopo il 1876 Don Carlos tornò definitivamente a risiedere a Palazzo Loredan, sulle quattro aste sul tetto sventolavano i vessilli color oro
e rosso vivo e nel salone in cui il Sovrano riceveva i suoi ospiti erano esposti diversi cimeli delle
due prime guerre carliste27). Il reale di Spagna attraversava la città su di una gondola con rematori in livrea e appariva spesso in Piazza San Marco
con il suo cane danese, destando sempre l’ammirazione generale. Era un bell’uomo, dal porta-
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mento fiero, e viaggiava in tutto il mondo per visitare le ex colonie iberiche, come rappresentante
della Spagna tradizionale. Nel 1887, a Trieste,
Don Juan fu sepolto in San Giusto: era stato l’uomo che i carlisti avevano mal sopportato, ma sulla sua tomba scrissero fedelmente «Joannes III
Hispaniarum Rex»28).
Nel 1893 scomparve la prima moglie di Carlos,
Margherita29), ed egli sposò Berta de Rohan
25)
J. Canal, op. cit., p. 59.
26)
Gasparini – nella sua epoca artista di grande successo –
era nativo di Zenson di Piave, nel Trevigiano, ma visse e
spirò a Venezia. La sua biografia meriterebbe ricerche più
approfondite. Eseguì ritratti di Pio X, Umberto I e Don
Carlos. Partecipò, come membro del comitato, anche alla
goliardica “Indisposizione Artistica di Venezia” del 1887,
organizzata in occasione dell’Esposizione Artistica
Nazionale (cfr. Michela MorellI, “Intorno all’Indisposizione artistica di Venezia del 1887”, in «Predella», n. 37,
2015, pp. 63-82).
27)
Theo Aronson, “I Borboni e la Corona di Spagna”, Mursia,
Milano 1969, pp. 235-236.
28)
Ivi, pp. 236-237.
(1860-1945), ma la nuova padrona di Palazzo
Loredan distrasse non poco il marito dagli affari
del partito legittimista. Nel 1900 il Conte di Melgar, segretario particolare, lasciò Palazzo Loredan trovando insopportabile la consorte del Re,
che in quindici giorni distrusse quasi tutto l’archivio carlista30), cioè le tante carte, forse anche
preziose, che oggi avremmo potuto consultare
per conoscere meglio il “Carlismo veneziano”.
Nel 1896 a Venezia iniziarono una serie d’impor-
tanti incontri e, nel gennaio del 1897, Don Carlos
convocò una riunione a Palazzo Loredan, presieduta dal Marqués de Cerralbo, Enrique de Aguilera y Gamboa (1845-1922). Si discusse sulla necessità di scrivere un nuovo programma aggiornato del Carlismo, fedele alla tradizione, ma attento alle esigenze dei tempi; gli esiti del confronto portarono alla pubblicazione dell’Acta de Loredán (1897).
Nel 1902 Carlos lasciò Palazzo Loredan per tentare la sua ultima avventura, protestò contro
l’assunzione del trono di Spagna da parte del diciottenne Alfonso XIII e si diresse verso la sua Patria, ma fu fermato dalla polizia francese e dovette fare ritorno in Italia. La vita veneziana proseguì tranquilla, con la gondola dai remi giallo-rossi31) che solcava i canali col piccolo paggio nero
dei reali seduto a prua. Ogni mattina Carlos e
Alcune foto delle sale interne di
Palazzo Loredan durante il
soggiorno dei reali carlisti.
Berta de Rohan, seconda moglie
di Don Carlos VII.
29)
Cfr. Carlo Bindolini, “Roberto di Borbone Parma L’ultimo
Duca sul trono di Parma”, in «Tricolore», n.180, 16
novembre 2007, pp. 1-12.
30)
Theo Aronson, op. cit., p. 287.
31)
A Venezia è ancora oggi in uso la consuetudine di decorare le pale dei remi delle imbarcazioni di lusso. Di norma la
faccia superiore del remo è dipinta con una decorazione a
fasce angolate, di due colori alternati, con i vertici in corrispondenza dello spigolo e rivolti verso l’impugnatura.
Tale usanza è oggi percepita come una tradizione, ma
nell’Ottocento era pressoché sconosciuta e si affermò solo
agli inizi del XX secolo, salvo il caso di alcune pale dipinte
uniformemente. Questa osservazione di Aronson ci dimostra come Don Carlos, anche in età avanzata, fosse un
uomo di classe, che non rinunciava a seguire la moda.
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L’Infante Don Carlos di Borbone
(Carlos VII), Conte di Madrid,
con la sua seconda moglie Maria
(Marta) de Rohan, nei giardini
dell’Hotel Excelsior a Varese.
Si noti il citato piccolo paggio
africano.
stabilì subito al Grand Hotel di Venezia e poi
all’Excelsior del Lido (dove visse sino alla Grande
Guerra), vendendo la magnifica residenza sul Canal Grande. All’Excelsior rimasero le reliquie del
Carlismo; ma quando Donna Berta morì a Vienna, nel 1945, i vecchi cimeli di Palazzo Loredan
furono messi all’asta34): quadri, busti, fotografie,
bandiere, spade, lettere e uniformi. Con quelle
vendite si disperse l’eredità materiale del Carlismo, ma non quella spirituale.
Purtroppo nel tempo, in cui tutto scorre e si perde, il ricordo del soggiorno veneziano dei sovrani
di Spagna scivolò via silenziosamente dalla quotidianità cittadina e mentre oggi, a Trieste, la memoria del Carlismo è tenuta viva, tra i veneziani,
popolarmente, queste vicende storiche sono
ignote ai più.
Bandiera Carlista del 1875 circa,
con il motto nato durante la
prima Carlistada.
(Collezione Iñigo Pérez de Rada,
Madrid).
Giacomo Pio di Borbone, Duca
di Madrid, pretendente carlista
al trono di Spagna, con il nome
di Jaime III e pretendente
legittimista al trono di Francia e
Navarra, portando il titolo di
Duca d'Angiò, con il nome di
Jacques I.
consorte, accompagnati dai loro cani, facevano
colazione al Caffè Florian e qui venivano raggiunti dai loro fedeli seguaci, mentre sorseggiavano una bevanda calda.
Durante l’estate il clima torrido spingeva la coppia a trasferirsi in Svizzera e d’inverno visitavano l’Egitto, portandosi sempre dietro un considerevole seguito32). Carlos morì a Varese il 18
luglio del 1909 e le sue spoglie mortali compirono un ultimo viaggio per raggiungere i suoi avi
a Trieste, fu tumulato con indosso l’uniforme, le
insegne di San Ferdinando e la medaglia di
Montejurra.
La successione, nel 1909, passò al trentanovenne Jaime (1870-1931) che nel 1896 aveva lasciato Venezia per servire l’esercito russo, arruolandosi nel corpo degli ussari, durante la rivolta dei Boxer (1899-1901) e la disastrosa
guerra contro il Giappone (1904-1905). Fu acclamato dai carlisti convenuti in Venezia, ma rifiutò decisamente ogni possibilità di fomentare
un altro conflitto civile33).
La Principessa Berta, dopo la morte del marito si
I Pretendenti carlisti alla Corona spagnola dal 1833 al 1931
1833-1845 Carlo V (1788-1855), Conte di Molina, abdicò nel 1845.
1845-1861 Carlo VI (1818-1861), figlio di Carlo V, Conte di Montemolín.
1860-1868 Giovanni III (1822-1887), fratello di Carlo VI, Conte di Montizon.
1868-1909 Carlo VII (1848-1909), figlio di Giovanni III, Duca di Madrid.
1909-1931 Giacomo III (1870-1931), figlio di Carlo VII, Duca di Madrid
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Riccardo Pasqualin
32)
T. Aronson, op. cit., pp. 286-287.
33)
Ivi, pp. 288-290.
34)
Ivi, p. 341