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I fenomeni dai quali Dio è assente

Parto da un'affermazione. Un'affermazione fondata sull'autorità della Bibbia, non una semplice opinione. Un'affermazione che ancora una volta mi pone di fronte alla necessità di leggere con continuità e attenzione la Scrittura per evitare di ricadere nei facili fondamentalismi che ancora troppo sono presenti nell'abitus credendi di molti cristiani cattolici. Spero di essere stato chiaro. Non ho scritto nella fede, perché chi ha fede autentica nel Vangelo, abbeverandosi costantemente alla fonte della Misericordia, non può cedere alla subdola tentazione di confondere se stesso così come di sedurre il prossimo con la facile via del sensazionalismo fideistico quando non della semplice chiacchiera. Ritorno alla questione accennata in apertura chiarendo, in primis, il perché di questa riflessione. Lo tsunami dei facili ideologismi e dei comodi fondamentalismi ha, come al solito, evocato le trombe del giudizio spacciando per autentiche geremiadi catastrofiste d'ogni genere fino a pretendere di identificare la sciagura della pandemia come una punizione di Dio. I soliti oltranzisti ben pensanti non si accontentano di tuonare profezie raffazzonate, ma pretendono con zelo di poter andare oltre nel tentativo di identificare i colpevoli che con il loro comportamento blasfemo avrebbero scatenato l'ira del Signore. 1 Grazie al Cielo, e al dono della Parola incarnata e scritta, le cose non stanno come si pensa e come spesso si crede di credere. Non si può rimanere abbarbicati ad una fede immatura che pretende di vedere all'opera Dio come farebbe comodo a me. Ci sono fenomeni dai quali Dio è assente, questo occorre spiegare. L'emergenza Coronavirus ha sollevato uno tsunami di dichiarazioni mettendo ancora di più in evidenza la fame di conversione che tormenta il nostro mondo. I frutti tanto sperati e promessi dal Concilio tardano a maturare e questo non a causa del terreno buono che è stato dissodato con fatica2, ma dalla mancanza di buona volontà diffusa anche dentro la Chiesa. Il problema della Fede è tornato a ripresentarsi ponendo in evidenza questioni sulle quali non si ha mai lavorato con attenzione e profondità. Se si pensa alle polemiche suscitate dalla temporanea sospensione delle messe, il quadro che si ottiene è avvilente. La mancanza di una catechesi corretta e, di conseguenza, di una pratica pastorale adeguata ha accentuato quanto sia poco chiaro il senso da riconoscere alla centralità eucaristica: è dalla Fede, e dall'onestà della sua 1 1 Purtroppo l'ignoranza biblica produce danni serissimi. La logica del capro espiatorio, naturalmente ridotta fino al punto della falsificazione ideologica, in tempi di crisi viene applicata con rigore distributivo perché qualcuno deve pagare per le sciagure che si stanno abbattendo su questo mondo. Lo stesso Papa Francesco viene additato come agente di scelte che avrebbero determinato la rabbia del Creatore. Tralascio, per rispetto, di tornare sulle sconcezze proferite confidando sempre nella verità del Vangelo laddove ripetutamente si accenna ai seminatori di zizzania perché è sempre estremamente facile parlare senza conoscere. L'ampiezza del progetto pastorale del Papa deve essere abbracciata per evitare i soliti pre-giudizi. 2 E da molti, poi, abbandonato allo stato gerbido.

I fenomeni dai quali Dio è assente Parto da un’affermazione. Un’affermazione fondata sull’autorità della Bibbia, non una semplice opinione. Un’affermazione che ancora una volta mi pone di fronte alla necessità di leggere con continuità e attenzione la Scrittura per evitare di ricadere nei facili fondamentalismi che ancora troppo sono presenti nell’abitus credendi di molti cristiani cattolici. Spero di essere stato chiaro. Non ho scritto nella fede, perché chi ha fede autentica nel Vangelo, abbeverandosi costantemente alla fonte della Misericordia, non può cedere alla subdola tentazione di confondere se stesso così come di sedurre il prossimo con la facile via del sensazionalismo fideistico quando non della semplice chiacchiera. Ritorno alla questione accennata in apertura chiarendo, in primis, il perché di questa riflessione. Lo tsunami dei facili ideologismi e dei comodi fondamentalismi ha, come al solito, evocato le trombe del giudizio spacciando per autentiche geremiadi catastrofiste d’ogni genere fino a pretendere di identificare la sciagura della pandemia come una punizione di Dio. I soliti oltranzisti ben pensanti non si accontentano di tuonare profezie raffazzonate, ma pretendono con zelo di poter andare oltre nel tentativo di identificare i colpevoli che con il loro comportamento blasfemo avrebbero scatenato l’ira del Signore. Purtroppo l’ignoranza biblica produce danni serissimi. La logica del capro espiatorio, naturalmente ridotta fino al punto della falsificazione ideologica, in tempi di crisi viene applicata con rigore distributivo perché qualcuno deve pagare per le sciagure che si stanno abbattendo su questo mondo. Lo stesso Papa Francesco viene additato come agente di scelte che avrebbero determinato la rabbia del Creatore. Tralascio, per rispetto, di tornare sulle sconcezze proferite confidando sempre nella verità del Vangelo laddove ripetutamente si accenna ai seminatori di zizzania perché è sempre estremamente facile parlare senza conoscere. L’ampiezza del progetto pastorale del Papa deve essere abbracciata per evitare i soliti pre-giudizi. Grazie al Cielo, e al dono della Parola incarnata e scritta, le cose non stanno come si pensa e come spesso si crede di credere. Non si può rimanere abbarbicati ad una fede immatura che pretende di vedere all’opera Dio come farebbe comodo a me. Ci sono fenomeni dai quali Dio è assente, questo occorre spiegare. L’emergenza Coronavirus ha sollevato uno tsunami di dichiarazioni mettendo ancora di più in evidenza la fame di conversione che tormenta il nostro mondo. I frutti tanto sperati e promessi dal Concilio tardano a maturare e questo non a causa del terreno buono che è stato dissodato con fatica E da molti, poi, abbandonato allo stato gerbido., ma dalla mancanza di buona volontà diffusa anche dentro la Chiesa. Il problema della Fede è tornato a ripresentarsi ponendo in evidenza questioni sulle quali non si ha mai lavorato con attenzione e profondità. Se si pensa alle polemiche suscitate dalla temporanea sospensione delle messe, il quadro che si ottiene è avvilente. La mancanza di una catechesi corretta e, di conseguenza, di una pratica pastorale adeguata ha accentuato quanto sia poco chiaro il senso da riconoscere alla centralità eucaristica: è dalla Fede, e dall’onestà della sua costante ricerca, che scaturiscono i gesti E’ interessante notare come la crisi abbia evidenziato il rischio di un rafforzarsi del clericalismo. Come diacono della Chiesa cattolica, l’avere compiuto questa osservazione mi pone in imbarazzo. Nonostante la mia condizione personale, non posso fare altro che sottolineare il problema. Il sacramento dell’ordine viene ancora concepito come privilegio, soprattutto per quanto riguarda i gradi del presbiterato e dell’episcopato. Questa ricaduta si è vista in atteggiamenti specifici. E’ endemica per il clero. Fino a quando non avremo compreso che l’ordine, il ministero, è un servizio e non un privilegio, non saremo in grado di divenire una Chiesa matura e pronta a rispondere alle necessità dei tempi. Servire non significa per nessuna ragione abdicare nei confronti della propria dignità in quanto ordinati, ma permette di promuovere umanamente la propria vocazione all’interno della Comunità dei credenti. L’emergenza provocata dal Corona virus ha offerto l’opportunità, cominciando dal clero stesso, di capire che l’Eucaristia non ci appartiene e che, di conseguenza, non ne possiamo disporre a nostro piacimento, ma un dono per il quale devo fare eucaristia, cioè ringraziare. Ricevere un dono, inoltre, non è un privilegio riservato a pochi, ma un bene da condividere per ampliarne sempre di più il godimento. . E’ il credere che giustifica l’agire e lo sostiene perché è con l’affidarsi che si cominciano a muovere i passi lungo il cammino della ricerca. E’ in itinere che si scoprono i riti, donati attraverso la rivelazione ed insegnati nella praxis e che, codificati attraverso l’esperienza, confluiscono in quello che è il tesoro dei Sacramenti e della Liturgia. Prendo due brani: 1Re 19, 9-13 messo in relazione con Matteo 14, 22-33 (in raccordo con Matteo 8 e la conclusione del libro di Giona) E’ il capitolo contenente la pericope della tempesta sedata.. I due testi in questione appartengono alle letture previste dal Lezionario per la 19a domenica del Tempo Ordinario dell’anno A. Non è per nulla casuale questo parallelismo anzi, trasuda di sapienza oltre che fornire l’opportunità pastorale di chiarire la verità dei fatti in merito ai troppo facili riduzionismi sotto i quali viene tarpata la purezza della Scrittura. Chissà per quale contorta ragione si accusano le scienze di scadere in facili riduzionismi quando questo pericolo lo si corre anche in ambito biblico. L’ideologismo è uno spettro dal quale occorre distanziarsi se veramente si desidera condividere con i prossimo il cammino comunitario alla ricerca della Verità. La teofania sull’Oreb/Sinai è un mirabile racconto. Premetto che non è sul valore narrativo che mi voglio soffermare, ma sul fatto che Jhwh non si manifesta in nessuno dei portenti atmosferici (vento impetuoso, fuoco) o sismici (terremoto) che i popoli dell’antichità collegavano e spiegavano come dirette manifestazioni delle divinità o loro specifici attributi (Zeus e il fulmine), ma nel lieve soffio di una brezza, immagine delle Spirito e segno evidente della sempre benefica azione di Dio che si intrattiene in intima conversazione con quanti lo cercano. Non è una novità, certo. Dio, lo troviamo passeggiare godendosi la brezza nell’Eden Genesi 3, 8. L’antropomorfismo impiegato dagli agiografi non deve trarre in inganno e venire letto come un espediente narrativo elementare. In realtà rivela il legame indissolubile tra il Creatore e il Creato tutto al punto che Egli stesso gode della bontà di quanto plasmato. Il compiacimento di Dio ha un valore fortemente pedagogico in quanto insegna all’uomo quale atteggiamento assumere per vivere in pienezza il dono della vita. Chi passeggia cerca un legame diretto con quanto lo circonda fino a gustare come e quanto la natura è in grado di rimettere in circolo energie sottili in grado di costantemente ri-generare. Creazione continua, o ri-creazione, ricordano, ricordano all’uomo, attraverso l’esempio che Dio stesso offre, la bontà originaria del Tutto insegnando come conferire dignità e diritti ad ogni aspetto del Creato stesso. La preoccupazione dei filosofi della natura greci, era, ma lo è ancora, quella di cogliere il Tutto e in armonia con questo, il kòsmos, il perché dell’Uomo sulla Terra. Del resto, l’etimo stesso del vocabolo non tradisce per nulla l’idea che soggiace nella concezione cosmologica biblica ovvero, quella di tradurre la creazione non solo come ordine e ordinamento da parte di Dio, ma anche come ornamento, e arredamento, come suggerito da alcune interpretazioni proposte per l’agire del Creatore dopo la separazione della luce dalle tenebre, delle acque di sotto dalla acque di sopra e della terra dall’acqua. rivelando quanto fosse stretto fin dalle origini il Suo legame con il Creato Fino all’estremo della compromissione. Una simile lettura potrebbe apparire forzosa senza un diretto riferimento alla sapienza ebraica e alla dottrina dello Tzimtzum, parola ebraica che può essere tradotta come contrazione o ritrazione. In origine, Dio avrebbe fatto spazio prima di dare inizio alla creazione. Non si tratta di una kènosis, un abbassamento, come avverrà per il Figlio nell’atto di assumere la condizione umana, ma sempre un invito forte a cogliere in questo agire, sulla quale la mistica tornerà impiegando espressioni evocative quali trattenere il fiato, il seme della Misericordia quale attributo o meglio, caratteristica costitutiva. oltre che vivificarlo con il costante dono dello Spirito come del resto avviene ancora oggi, nonostante di questo perenne dono provvidente si rischia di non parlare mai. Nella bontà del progetto originario, è costantemente presente il dono della benedizione e della conseguente condivisione della vita elargita sempre con abbondanza anche quanto all’essere umano non sembra. Per comprenderlo è sufficiente pensare al rifiuto del dono stesso che l’Uomo e la Donna compiono cedendo alla tentazione. Considerare Dio un cinico distruttore tradisce il volto del Padre Misericordioso che Gesù rivela all’umanità attraverso se stesso. Vero che alcuni passi, soprattutto presenti nell’Antico Testamento, indurrebbero ad evidenziare tratti oscuri e violenti di Dio in apparente contraddizione con la novità evangelica, ma anche in questo caso, per evitare di cadere nella trappola di scorgere in Dio il freddo ragioniere che deve fare quadrare i conti, occorre compiere uno sforzo. Elia viene spinto ad affrontare un lungo cammino prima di respirare Dio nella brezza, deve lavare le sue mani lorde del sangue dei quattrocento profeti di Baal sgozzati seguendo un sentiero lungo quaranta giorni. Da leggersi come un cammino di purificazione. Aggiungerei anche di disintossicazione fisica e spirituale. La smania igienista che serpeggia nella cultura di massa si limita a pratiche confinate nella sola dimensione corporale. Si corre per mantenersi in forma, si cerca di mangiare bene, per quanto concesso dalle grandi distribuzioni, si ricorre ad ogni espediente pur di evitare l’inevitabile invecchiamento. Di un’igiene spirituale e, di conseguenza, morale, si tende a non parlarne anzi, ad uno sforzo tale e quale a quello sostenuto per l’allenamento quotidiano, si preferisce l’intossicazione dell’opinione. Il tracollo avviene quando si affrontano problematiche di carattere religioso o che sfiorano il complesso e sfaccettato universo della fede. Per trovare le forze necessarie ad un’impresa fisica e spirituale di questa portata, Dio lo ama fornendogli il cibo necessario. Questo passo fornisce il senso e la comprensione dell’Eucaristia offerta come viatico, dunque cibo necessario e sufficiente. Non solo coloro che si preparano al transitus nella morte possono beneficiare di un tale sostentamento miracoloso, ma tutti quanti si ritrovano a dover affrontare passaggi, transiti, fondamentali nell’economia della propria esistenza. E’ chiaro che il senso sacramentale e pastorale di una simile comprensione appare avulso nella maggior parte dei fedeli. Una corretta catechesi in merito, con l’ausilio dei dovuti riferimenti biblici, potrebbe restituire un comportamento consapevole nei confronti dell’Eucaristia evitando di confinare l’atto del comunicarsi come placebo consolatorio o soddisfacimento di un bisogno chiuso nell’egoismo di una visione ristretta. Non faccio comunione da solo, ma sempre assieme ad altri, è sempre la condivisione delle stesso unico corpo, non di tanti frammenti o particelle. La questione della sufficienza non deve essere sottovalutata. Indica quanto è bastevole, il necessario (come nelle narrazioni riguardanti il dono della manna), da non sprecare e nemmeno da concupire smodatamente. Da godere. Questi atteggiamenti dovrebbero fornire la base sulla quale riflettere quando si affrontano le complesse tematiche del cibo e della condivisione sostenibile delle risorse della Terra oltre che del mio rapporto quotidiano con quelli che sono i piaceri della tavola, esperienza che il Signore Gesù visse, e vive, insegnandoci come fare tesoro di ogni occasione offerta dalla quotidianità per scoprire la vita buona del Vangelo. Quando discenderà dal monte, non sarà più lo stesso di prima perché plasmato dal soffio della Misericordia. La descrizione della missione che segue nello stesso capitolo, mette in evidenza come la Provvidenza sia sempre all’opera nonostante le asperità dimostrate dagli uomini. Interessante, a proposito, risulta porre in relazione questo brano con la conclusione del libro di Giona. Il testo è illuminante. Il protagonista, un profeta recidivo e recalcitrante è un uomo in cammino, una persona in ricerca, ma per nulla avvezzo alla docilità. Nemmeno la straniante esperienza dei tre giorni trascorsi nel putrido ventre del pescecane (balena), sembrano scalfire la sua riottosità. E’ la fede che lo salva, certo, anche se le sue comprensioni sembrano rimanere appena sbozzate in un nobile torso. Giona non sembra essere soddisfatto del trattamento riservato da Dio agli abitanti di Ninive salvati dalla distruzione per merito di una conversione in articuolo mortis. Il profeta dubitando della bontà di quanto accaduto, vorrebbe il castigo, la punizione esemplare così come gli era stato confidato da Dio nel momento del suo invio, per questo attende con smania che il popolo redento ricada nel gorgo dell’idolatria. Invece, con una mossa che spiazza, il Signore cambia le regole del gioco e rinuncia definitivamente al flagello della devastazione. Il profeta rimane turbato al punto di desiderare la propria morte. Il testo è da leggere, perché tocca nel profondo la complessità di una condizione umana alla quale nessuno sfugge, nemmeno i giusti e i santi, anche se loro sanno molto bene che le cose sono come sono. La sottigliezza psicologica rivelata dalla Scrittura la posso comprendere solo attraverso un cammino di conversione. La sospensione di ogni forma di giudizio nei confronti del prossimo e la scoperta di una fenomenologia psichica di questo genere hanno lo scopo di descrivere comportamenti, alcuni parlano di meccanismi interiori, senza cadere in facili generalizzazioni. Certo, il rischio è quello di ridurre l’uomo dentro un casellario tipologico, anche se questo non rientra nelle prospettive della Bibbia. La descrizione avviene sull’esperienza del vissuto, sul fondamento della percezione che si matura nei confronti del mondo che abitiamo e dei comportamenti che vengono stimolati dall’esperienza stessa. Nessuno ha mai detto che osservare se stessi sia un processo ameno, tutt’altro. Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu sdegnato. 2Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. 3Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». 4Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?». 5Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all’ombra, in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. 6Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona, per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino. 7Ma il giorno dopo, allo spuntare dell’alba, Dio mandò un verme a rodere la pianta e questa si seccò. 8Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venire meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere». 9Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!». 10Ma il Signore gli rispose: «Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita! 11E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?». Giona, 4, 1-10 Lo zelo, quando radicalizzato La radicalizzazione non è un fenomeno esclusivamente riconducibile all’universo islamico, ma possibile in tutte le religioni. Spesso di traduce in una particolare declinazione culturale generalmente segnata da un esasperante particolarismo., acceca. Lo si può constatare senza scadere nel giudizio scagliato sempre e solo contro agli altri. Si trasforma in un’arma nel momento in cui, sempre il giudizio, non permette di riconoscere in un altro da me il prossimo. La conversione di un peccatore genera scandalo tra i benpensanti perché le loro menti non sono libere e per il rammarico che giustizia non sia stata fatta, secondo le mie umane aspettative. Oltre al fiele dello zelo accecante, l’ipocrisia brucia ogni residuo d’umana misericordia. Sì, mi dispero per una pianta rosa da un verme, ma non mi soffermo davanti alle ingiustizie che macchiano questo mondo sublimate nella fame e nella povertà. Problemi sempre declinati in una miriade di sfaccettature e mai omologabili in facili stereotipi. Posso arrivare ad avere pietà per un vegetale che non dipende da me, che cresce per impulso naturale e non per una torma di disperati che non sanno distinguere la mano destra dalla mano sinistra, ovvero inconsapevoli, perché non sanno quello che fanno, non solo nei confronti degli animali, ma in opposizione alla vita nella sua totalità. La catastrofe è stata annunciata, certo, ma non inflitta, e questo per misericordia, una delle caratteristiche costitutive di Dio, raccontata dalla Scrittura, sperimentata da tutti coloro che si considerano peccatori Altra fondamentale questio attorno la quale la confusione è terribile e che per evitare la fatica della ricerca e rinunciando ad un sano desiderio di comprensione, si rinuncia definendola un concetto ormai sorpassato. come l’ultimo versetto sottolinea con estrema chiarezza: E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere tra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali? Perché un numero preciso di abitanti non una popolazione indefinita? Nel racconto della distruzione di Sodoma Genesi 18, 22-33., l’unico accenno numerico circoscrive i salvati per intercessione di Abramo. La questione se il peccato commesso dai sodomiti sia più grave di quelli commessi dai niniviti non è di secondo ordine dal punto di vista morale anche se in questo specifico caso è l’uso strumentale che Dio fa dei portenti atmosferici e geologici ad essere importante. Il Signore non è nei fenomeni che distruggono Sodoma e Gomorra, li usa senza confondersi con essi. La questione del mutamento di atteggiamento da parte del Creatore denota un divenire che apre su una concezione universale della salvezza e non più su una visione particolare oltre che peccaminosa. Il numero centoventi, multiplo di tre, prodotto dei multipli 30 e 40, indica l’universalità del progetto di salvezza: una conversione di massa senza esclusione degli animali. La salvezza dell’animale è una conseguenza diretta della conversione operata dall’umanità. E’ chiaro che l’atto del convertirsi si fonda sulla base di un volere personale, pur rimanendo un fenomeno complesso e variegato oltre che mai concluso. Un’umanità rinnovata attraverso questa trasformazione cancella la sottomissione sotto la quale languono i regni animale, vegetale e minerale. Il fenomeno, per queste ragioni è universale, se non cosmico, dato che ristabilisce un ordine originario. Ninive è una città sconfinata. Una città mondo. Occorrono tre giorni di cammino per poterla percorrere L’archeologia ha dimostrato il contrario, certo, ma la Bibbia non ha pretese documentali, ma teologiche. Ninive, anche se sterminata, rimane pur sempre una città dell’uomo, un monumento eretto dall’orgoglio e dalla vanagloria. Una città che rischia di sprofondare come città del diavolo ovvero: della divisione irreparabile (da Dio). La conversione la trasforma in civitas Dei? Non viene detto. Il progetto rimane, anche se la storia seguirà altri cammini. Nonostante tutto, è sempre la dinamica sottintesa a contare.. Queste misure volutamente spropositate hanno un chiaro valore simbolico, non devo essere fraintese. Poi, il riferimento temporale ai tre giorni, indica il tempo necessario per la trasformazione definitiva sublimata nei tre giorni che Cristo passerà nella sospensione dell’oltretomba dove compirà un viaggio discendendo e risalendo dagli inferi. Dovrebbe essere chiaro che Dio non è nei fenomeni che sono in grado di distruggere l’uomo e il suo mondo, semmai entra in scena dopo, quando occorre dare seguito ad un nuovo inizio sostenendo nel silenzio l’umanità nella sua lunga lotta contro le avversità della natura che, costretta dalla violenta invasività della creatura più aggressiva del pianeta, e soggiacendo a leggi divine che ne garantiscono la libertà e la dignità in ogni suo regno, risponde con le catastrofi agli scempi dello sfruttamento oltre che dell’inquinamento: ma di tutto questo, la responsabilità ultima rimane sempre da imputare all’uomo. Cosa raccontano, a tale proposito, i vangeli? Quale prospettiva costruiscono? Due passaggi. Due, un numero aperto, l’imperfezione di questo mondo, il migliore possibile. Comincio con la pericope offerta da Matteo 14: 22 Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. 23 Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. 24 La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. 25 Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. 26 I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «E' un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. 27 Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». 28 Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». 29 Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30 Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31 E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32 Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio.» Matteo 14, 22-32. Occorre chiarire un fatto, prima di procedere. L’episodio preso in esame non narra di una tempesta sedata, ma del miracolo di Cristo che cammina sulle acque. L’evento prodigioso avviene al termine di una giornata evangelica ricca di eventi che culminano nella moltiplicazione dei pani e dei pesci. Il problema che rimane sullo sfondo si sofferma sulla difficoltà di riconoscere chi è Gesù. Le reazioni, non solo dei discepoli, sono spesso incostanti, fuori luogo, cariche di emotività grossolana. Questo è l’essere umano. Questi siamo noi, sono io. Non mi devo ritrarre se tra le righe della narrazione scopro l mia natura: la dinamica che ne emerge è il carattere performante della Scrittura oltre che la sua pregnanza psicologica. Alcune traduzioni italiane al posto del verbo ordinare, impiegano costringere. L’intento imperativo, sostenuto dall’autorità del Maestro, non viene meno tra le due opzioni, anche se il fatto di costringere invita ad una riflessione approfondita. Perché questa forzatura? Gesù non viene sempre descritto come docile e mansueto? Se si pensa alla complessità della giornata vissuta dai discepoli e dagli sviluppi che non si sono concretizzati, il motivo di una tale fermezza affiora dal groviglio di passioni che li ha scombussolati. In uno stato di euforia emotiva è facile scadere in giudizi affrettati e perdere di vista ogni possibilità di discernimento. Era necessario uno shock, un’esperienza forte al punto di mutare condizione, cosa che, alla fine sembra non essere avvenuta Come la traversata del Mare di Galilea, del resto. Il luogo dell’imbarco potrebbe essere Tabgha e il porto dell’approdo Cafarnao, sulla stessa sponda, stando alla coerenza della narrazione e alle corrispondenze geografiche descritte nei vangeli.. Comunque. I discepoli salgono sulla barca La barca è figura della Chiesa, secondo la lettura che viene fornita fin dai primi secoli. Interessante notare come lo scafo suggerisca sempre un’idea di precarietà. e si allontanano dalla riva. Gesù rimane a terra per congedare la folla. Un vento contrario si alza impedendo la traversata del lago. Il vento che si oppone al viaggio è il mondo che tenta di dirottare il cammino della storia oltre che le società umane che remano contro, come si dice nel parlato comune. Insomma: sono le avversità che frenano il processo della conversione. E’ chiaro che Gesù, Dio, non può essere nel vento, semmai ci cammina dentro insegnando come si permane in questo mondo senza cedere alla tentazione di farne parte. E’ nella commistione degli opposti, nella mescolanza dei contrari che si abita questa condizione travagliata e solo una visione matura permette di superare le facili dicotomie Interessante ricordare a proposito la Lettera a Diogneto laddove recita che “L'anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo. Anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile, anche i cristiani si vedono abitare nel mondo, ma il loro vero culto a Dio rimane invisibile.” L’essere nel mondo, il fatto di abitarlo, non ne indica l’appartenenza, ma la distanza seppur nel viverlo. Solo comprendendo la natura del mondo, e il mio farne parte, riesco a sperimentare la libertà del prendere la giusta distanza.. Il miracolo incomincia quando la tempesta imperversa ancora. Non ha mandato Lui il fenomeno atmosferico, ma lascia che accada perché, nonostante la confusione spirituale dei discepoli e i dubbi, come si comprenderà procedendo nella lettura della pericope, anche nelle avversità si possano riconoscere le occasioni utili per progredire lungo il cammino della fede. Comunque. Quando si comprende la confusione vissuta dai discepoli? Nel momento in cui vedono il Maestro andare loro incontro e credono sia un fantasma. Non lo riconoscono perché cedono alla paura di chissà quali fenomeni soprannaturali si stiano scatenando. Nonostante il tentativo di rassicurarli con l’autoritario Coraggio sono io, non spaventatevi, Pietro lo tenta con la richiesta di poterlo imitare. Il momento è topico. Sembra una pretesa mossa verso il conferimento di poteri. E’ chiaro il fatto che si tratta di un’epifania misteriosa se ci si ostina a rimanere in limine e non si comprende il senso profondo dello stare accanto. Il vento, dopo la domanda di Simone, da forte viene descritto come violento. Per lo spavento, il discepolo comincia ad affondare nei flutti. L’intervento di Gesù è, come al solito, emblematico. Pietro viene definito oligòpistos, uomo di poca o debole fede. Lo stesso aggettivo lo ritroviamo in Matteo 8, questa volta al plurale e riferito a tutti i discepoli. Fede debole, scarsa, ma anche approssimativa, superficiale, incline a cadere nel fatalismo. Una fede immatura raramente mette in movimento il processo del discernimento anche in materia di saper distinguere tra fenomeni naturali e interventi miracolosi di Dio. Gesù cammina sulle acque con il corpo, non in apparenza. Afferra Pietro e si presume con le mani traendolo fuori dalle acque che lo vorrebbero inghiottire. E’ da ricordare, in tale contesto che il mare, yam, nell’immaginario biblico, è sempre una forza avversa a Dio e alla salvezza, oltre che un elemento primigenio Sarebbe interessante approfondire la questione se il mare, così come concepito, non esprima la natura come malefica perché male-detta ovvero male-descritta e dunque compromessa a causa della malvagità umana ed avversa ormai all’uomo come questo mondo e non l’altro, quello del Regno, dove si incontra la possibilità della trasformazione/fermentazione.. La tempesta, se fosse stata voluta da Cristo per mettere alla prova i discepoli, entrerebbe in contraddizione con il gesto salvifico operato nei confronti di Pietro. E’ il grido di aiuto Salvami! che permette di non cadere in errore e di comprendere cosa significa avere fede in Gesù anche nei momenti di avversità geologiche e metereologi che. Dio salva in ogni circostanza Come il nome stesso di Gesù, Yeshua, JHWH salva., anche dalla confusione che la debolezza umana evoca nei momenti di crisi. Matteo 8, 23-27 “23 Essendo poi salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. 24 Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva. 25 Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». 26 Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?» Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia. 27 I presenti furono presi da stupore e dicevano: «Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?». racconta di una tempesta sedata. Il fortunale che si scatena è addirittura così violenta al punto che la barca viene ricoperta dalle onde. Mescolare le acque di sopra con le acque di sotto Mabbût, mescolare oceano che sta di sopra e che ricade sulla terra quando vengono aperte le cateratte del Diluvio. E’ un fenomeno distruttivo originario. Si tratta di un cataclisma totale, anche se non definitivo, come la salvezza guadagnata da Noè lo dimostra. sembra voler descrivere un ritorno all’inizio quando pioggia e onde erano ancora confuse. E’ il capovolgimento descritto nel racconto del Diluvio, in Genesi 6, ma è anche la condizione necessaria per poter ricominciare. Gesù dorme, è una presenza nascosta e silenziosa. Quante volte ci si lamenta del silenzio di Dio fino ad arrivare a interpretarlo come un allontanamento macchiato dal disinteresse per quanto sta accadendo attorno. E’ nella barca e non altrove, è con noi anche nel silenzio Interessante, a tale proposito, l’interpretazione del silenzio di Dio offerta da Shusaku Endo nel romanzo Silenzio, edito in Italia da Queriniana. La narrazione apre su un’esperienza estrema, dura, dove la Parola si incarna nel profondo di un’interiorizzazione continua della fede.. Certo è difficile e scomodo riconoscerlo sotto questa dimensione, ma indispensabile per superare concezioni della fede immature. Le teofanie, soprattutto nell’A.T. sono sempre precedute da fenomeni atmosferici e geologici portentosi, ma Dio si rivela sempre dopo, nella brezza o nella scomodità sofferente del roveto che brucia senza consumare. In questa caso specifico dorme. Il parallelo con il libro di Giona Giona 1. è evidente. Anche il profeta disobbediente è preda del sonno e non riposa semplicemente sul fondo della barca, ma nascosto nella parte più bassa, nella stiva. Gesù raggiunge l’abisso con la discesa agli inferi dove, in piedi sulla porta abbattuta di quel regno, libera le anime incatenate. Anche nella pericope di Matteo troviamo Cristo in piedi dopo che è stato destato dalla paura dei discepoli per rivelare che la vittoria del Risorto sul mondo è totale, malgrado le avversità più terribili, quelle quando il Creato viene nuovamente mescolato per un nuovo inizio. Et facta est tranquillitas magna. Dopo il rimprovero comminato agli elementi si schiude la possibilità di riconoscere la Sua presenza nella sospensione del silenzio che è sceso. Lo riconoscono, ora? Sembra di no. Ma: chi c’è sulla barca assieme ai discepoli? Perché l’evangelista parla dei presenti senza riferirsi direttamente al gruppo di Gesù? Chi sono questi altri? Sono loro a non riconoscerlo? E’ sempre la dimensione della solidarietà, quella che sfugge. La condivisione senza riserve stupisce, soprattutto in materia di salvezza Giona e la salvezza non solo dei Niniviti, ma del Creato intero.. Il fare comunione di Dio sconcerta perché rimescola le condizioni. Questa verità, se non viene vissuta e compresa limita se non rende impossibile, riconoscere chi è Dio. E’ un grave errore ermeneutico soffermarsi in superficie. Giona scende nella sentina della nave. Si abbassa per paura di venire ucciso. Si dimostra di debole fede, si riconosce tale fino quasi alla fine, e cambia Interessante, per meglio comprendere, l’esperienza estrema vissuta da Giobbe fino a quando incontra Dio concedendosi senza riserve. solo nel momento in cui la Misericordia di Dio si propaga senza riserve e distinzioni. La banalizzazione non può rimanere mascherata sotto la pretesa di una lettura del Vangelo sine glossa esponendosi a fondamentalismi assurdi. Occorre l’umiltà di san Francesco per non essere passati dei sempliciotti pretenziosi. Dio è con noi, non nelle catastrofi che investono l’umanità. E’ nel silenzio dello sconcerto generale per farmi andare oltre, per indurmi a ricominciare diverso da prima e non peggio. Mi accompagna lungo il cammino attraverso la vita, nella malattia, nelle difficoltà, prendendomi per mano quando dovrò seguire il sentiero della morte perché Lui non ha disdegnato di essere innalzato sulla Croce. Avrò la libertà di abbandonarmi a Lui? Galliate, maggio 2020 diacono Massimo Caccia 8