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Le Sirene di Cicerone: uso e abuso di un mito

2020, Mosaico, Rivista online del Liceo 'F. Quercia' - Marcianise (CE) ISSN 2384-9738

Confronto tra il brano di Cicerone dedicato alle Sirene e il testo omerico

MOSAICO VII 2020 ISSN 2384-9738 Le Sirene di Cicerone: uso e abuso di un mito GIULIO COPPOLA noto che la figura di Ulisse abbia affascinato Cicerone durante tutto l’arco della sua attività culturale, dalla prima opera a carattere scolastico del De Inventione fino ad arrivare agli scritti 1 più maturi ; né la cosa può destare sorpresa visto il ruolo che il re di Itaca ricopre nell’immaginario mitico greco e l’importanza che ad esso Cicerone vi attribuisce. Oggetto di queste pagine sarà nello specifico la versione ciceroniana dell’episodio omerico delle Sirene, brano che indubbiamente attirò così tanto la sua attenzione da volerlo tradurre in esametri latini. Per prima cosa dunque appare necessario riprodurre il brano omerico (Od. XII 184-194) con la versione ciceroniana (De Fin. V 18, 49). 'δεῦρ' ἄγ' ἰών, πολύαιν' Ὀδυσεῦ, μέγα κῦδος Ἀχαιῶν, νῆα κατάστησον, ἵνα νωϊτέρην ὄπ' ἀκούσῃς. οὐ γάρ πώ τις τῇδε παρήλασε νηῒ μελαίνῃ, πρίν γ' ἡμέων μελίγηρυν ἀπὸ στομάτων ὄπ' ἀκοῦσαι, ἀλλ' ὅ γε τερψάμενος νεῖται καὶ πλείονα εἰδώς. ἴδμεν γάρ τοι πάνθ', ὅσ' ἐνὶ Τροίῃ εὐρείῃ Ἀργεῖοι Τρῶές τε θεῶν ἰότητι μόγησαν, ἴδμεν δ' ὅσσα γένηται ἐπὶ χθονὶ πουλυβοτείρῃ.' O decus Argolicum, quin puppim flectis, Vlixes, auribus ut nostros possis agnoscere cantus! Nam nemo haec umquam est transuectus caerula cursu, quin prius adstiterit uocum dulcedine captus, post uariis auido satiatus pectore musis doctior ad patrias lapsus peruenerit oras. Nos graue certamen belli clademque tenemus, Graecia quam Troiae diuino numine uexit, omniaque e latis rerum uestigia terris. Evidenziando con gli stessi colori i sintagmi simili tra il testo greco e quello latino, verrebbe immediatamente da concludere che Cicerone si è attenuto molto fedelmente al modello epico. In realtà, come cercheremo di dimostrare, l’operazione messa in campo dall’Arpinate si presenta come una vera e propria ‘risemantizzazione’ del mito delle Sirene funzionale al discorso che l’oratore romano sta costruendo. Cerchiamo di capire il senso di questa ‘manipolazione’. Partiamo prima di tutto dal brano di Omero. Siamo nel XII libro dell’Odissea; prima di abbandonare definitivamente Circe, la maga mette in guardia l’eroe dai numerosi pericolosi che lo attendono lungo il  Il presente lavoro prende le mosse dall’attività didattica messa in atto da chi scrive in seno alla S.P.B. presso la Società di Scienze, Lettere e Arti di Napoli in funzione della preparazione degli alunni della Campania alle prove valevoli per le Olimpiadi di Lingue e Civiltà classiche. Quanto svolto presso l’Accademia napoletana il 15.10.2019 è stato poi dal sottoscritto ripreso per delle lezioni in orario curricolare e extracurricolare agli allievi del Liceo ‘F. Quercia’ di Marcianise e che hanno costituito la base di cui gli allievi stessi si sono serviti per elaborare loro autonomi prodotti messi in scena in occasione della VI ° Edizione della Notte nazionale del Liceo Classico, 17.01.2020. 1 Cfr. A. Perutelli, Ulisse nella cultura romana, Firenze 2006, 17 e ss. con bibliografia precedente. RIVISTA ONLINE LICEO ‘F. QUERCIA’ – MARCIANISE (CE) Giulio Coppola Le Sirene di Cicerone: uso e abuso di un mito travagliato tragitto che lo condurrà finalmente nella sua patria, Itaca. Tra gli ammonimenti di Circe, uno riguarda come comportarsi con le Sirene: se vuole, Ulisse potrà ascoltare il loro celebre canto, ma legato all’albero della nave, mentre i suoi compagni dovranno remare con le orecchie piene di cera. Ed è esattamente eseguendo queste istruzioni che l’eroe, unico tra i membri dell’equipaggio, riuscirà a godere del canto delle Sirene senza perdere la vita. Per il nostro discorso, appare di notevole importanza sottolineare alcuni aspetti. Nel brano in questione (Od. XII 39-54 e 154-200), numerosi sono i lemmi che possono rientrare nel campo semantico dell’udito: quella della Sirene è φθόγγος2 che può essere indicata anche come ὄψ3 o in alternativa λιγυρὴ ἀοιδή4. In effetti, i termini non esattamente sinonimi: se infatti ὄψ può indicare indifferentemente la ‘voce’ di divinità, uomini, animali a anche di strumenti musicali 5 e ha una forte connotazione di armonia specie in riferimento al mondo femminile6, φθόγγος (il suono delle Sirene quando l’imbarcazione è ad una certa distanza dallo scoglio delle Sirene) è usato per indicare il ronzio delle api o il frinire delle cicale7, una particolare percezione acustica ripetitiva a carattere ipnotico8. Per quanto riguarda invece λιγυρὴ ἀοιδή, ‘limpido canto’, si tratta di un termine che si oppone ad ὄψ9 in quanto rappresenta la voce poetica, l’inno, la celebrazione delle imprese eroiche di Ulisse: non a caso esso compare proprio quando la nave si avvicina al luogo dove dimorano le Sirene ed è possibile ascoltare le loro parole. Non basta. Rimanendo sempre nel mondo omerico, il termine ἀοιδή ritorna anche nel famoso brano in cui si narra della ferita che un tempo il giovanissimo Ulisse si procurò durante una battuta di caccia e che il nonno materno Autolico curò non solo con erbe e fasce, ma anche con un ‘incantesimo’ (ἐπ-αοιδή) atto a fermare il fluire del sangue10. Teniamo presente questo particolare: il flusso ematico si arresta tramite un canto ‘magico’. Per ritornare al brano delle Sirene, va detto che una tale abbondanza di termini rientranti in uno stesso campo semantico11 si spiega facilmente: l’azione di ‘seduzione’ operata dalle figure per metà donna e per metà uccelli infatti è tutta giocata sul canale uditivo. Ma quali termini Omero utilizza per indicare una tale ‘fascinazione’? Si tratta dei verbi τέρπω12, ‘diletto, reco gioia’ e θέλγω, ‘affascino, seduco’13 che nell’episodio in questione non possono che essere strettamente legati tra loro dal momento che l’attrazione operata dalle Sirene ‘viaggia’ sulla possibilità di procurare diletto14. Ma è noto che il termine θέλγω «in Omero è espressione del potere divino, in quanto connesso all’azione di divinità come Zeus, Atena, Ermes, Posidone, Apollo, ma anche al canto delle Sirene o ai poteri magici di Circe, manifesta i suoi effetti con una sorta di paralisi, di annebbiamento della Hom. Od. XII 41; 159; 198. Hom. Od. XII 52; 185, 192. 4 Hom. Od. XII 44; 184, 198. 5 LSJ online s.v. 6 L. Kahn, ‘La mort à visage de femme’, in La mort, les morts dans les sociétés anciennes, éd. par G. Gnoli – J.P. Vernant, Cambridge 1990, 108 (2° ed.). 7 Plat. Phaedr. 259a-b. 8 L. Mancini, Il rovinoso incanto. Storie di Sirene antiche, Bologna 2005, 36. 9 L. Kahn, ‘La mort’, art. cit., 108. 10 Hom. Od. XIX 457. Cfr. G. Guidorizzi, La trama segreta del mondo, Bologna 2015, 140 e ss. Epoidai erano previste nella prassi medica anche del IV sec. a.C., vd. sempre G. Guidorizzi, La trama, op. cit., 24 e 28 n. 24 con bibliografia. 11 Ai termini sopra indicati, vanno aggiunti il verbo ἀκούω (Hom. Od. XII 37, 49, 52, 160, 185, 187, 198, 202), λέγω (Hom. Od. XII 38, 156), μυθέομαι (Hom. Od. XII 155), βοάω (Hom. Od. XII 181). L. Spina, ‘Il mito delle Sirene’, in M. Bettini – L. Spina, Il mito delle Sirene. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino 2007, 79 parla di una contrapposizione «vista/udito» per l’episodio in questione laddove ai suoni melodiosi e conturbanti si oppongono le visioni di morte. 12 Hom. Od. XII 52, 188. 13 Hom. Od. XII 40, 44. 14 D. Musti, I Telchini, le Sirene. Immaginario mediterraneo e letteratura da Omero e Callimaco al romanticismo europeo, Pisa-Roma 1999, 52. 2 3 - 62 - Giulio Coppola Le Sirene di Cicerone: uso e abuso di un mito mente e degli occhi»15. In effetti, arrestare il percorso di Ulisse è proprio l’intento delle Sirene16, che tra l’altro sono capaci di bloccare i venti 17: difatti, quando la nave arriva in prossimità del loro scoglio, il vento si placa e subentra la bonaccia (γαλήνη, Hom. Od. XII 168). Ma su cosa si basa questa forza attrattiva esercitata dalle Sirene? Va detto, prima di tutto, che Omero non ci fornisce nessun particolare preciso in merito all’aspetto fisico delle Sirene, ma un dato è sicuramenti degno di nota. Quando si sofferma nel descrivere lo scoglio su cui dimorano le due figure, il poeta precisa esse sono adagiate su di un prato (ἥμεναι ἐν λειμῶνι, Od. XII 45). Non si tratta di un elemento di poco18: 1) leimon è adoperato per indicare il sesso femminile; 2) lo scenario di un prato è il luogo per eccellenza di seduzione, dove vergini quali Persefone, Europa, Borea vengono rapite per poi divenire donne. È chiaro allora che basta questo particolare a ‘colorare’ in senso erotico l’episodio. Non è tutto. Il discorso delle Sirene insiste anche su una conoscenza di cui esse sono depositarie e che promettono di trasferire ad Ulisse 19: la loro seduzione dunque si gioca sia sul piano fisico che su quello intellettuale. È venuto a questo punto il momento di tornare al testo ciceroniano: forti delle considerazioni fatte sul testo omerico, è opportuno chiedersi se anche le scelte lessicali dell’autore latino siano sovrapponibili a quelle del poeta greco. Prima di un mero conteggio statistico però è opportuno precisare in quale contesto si inserisce la traduzione effettuata da Cicerone. L’Arpinate sta parlando dell’innato desiderio nell’uomo (Tantus est igitur innatus in nobis cognitionis amor et scientiae, De Fin. V 18, 48); per dimostrarlo chiama in causa la curiosità dei bambini (nei quali la ‘natura’ prevale sulla ‘cultura’) che neanche con le maniere forti si possono allontanare dall’oggetto del loro desiderio (Videmusne ut pueri ne uerberibus quidem a contemplandis rebus perquirendisque deterreantur?, ibid.). Dai ragazzi poi Cicerone passa ad esaminare gli adulti che quando realmente interessati e coinvolti in nobili e disinteressate occupazioni trovano il massimo diletto nell’apprendere e per esso arrivano a trascurare il loro patrimonio e perfino la loro salute (Qui ingenuis studiis atque artibus delectantur, nonne uidemus eos nec ualetudinis nec rei familiaris habere rationem omniaque perpeti ipsa cognitione et scientia captos et cum maximis curis et laboribus compensare eam, quam ex discendo capiant, uoluptatem , ibid.). È in questo frangente che il retore chiama a testimone di quanto dice il noto brano omerico (V 18, 49); ma acquista ancora più importanza per il nostro discoro il suo commento successivo. Vidit Homerus probari fabulam non posse, si cantiunculis tantus irretitus uir teneretur; scientiam pollicentur, quam non erat mirum sapientiae cupido patria esse cariorem. Atque omnia quidem scire, cuiuscumque modi sint, cupere curiosorum, duci uero maiorum rerum contemplatione ad cupiditatem scientiae summorum uirorum est putandum. Omero s’avvide che il mito non poteva ottenere approvazione, se un sì grand’uomo fosse stato trattenuto irretito da canzoncine; promettono il sapere, e non era strano che per uno desideroso di sapienza esso fosse più caro della patria. Ed invero, il desiderio del sapere ogni cosa, di qualunque genere sia, è proprio delle persone curiose; ma il sentirsi attratto dal desiderio del sapere dalla contemplazione dei fenomeni più importanti è da ritenersi proprio degli uomini sommi. Trad. N. Marinone 15 V. Andò, L’ape che tesse. Saperi femminili nella Grecia antica, Roma 2005. Cfr. anche G. Tentorio, ‘I lacci delle Sirene. Tasselli di una fascinazione infinita’, in E Castle. Laboratorio dell’immaginario, Rivista del Centro Arti Univ. Bergamo, 8, 2013, 9-13 (art. presente in rete – marzo 2020 – al seguente indirizzo: http://cav.unibg.it/elephant_castle/web/saggi/i-lacci-delle-sirenetasselli-sensoriali-di-una-fascinazione-infinita/129) 16 D. Musti, I Telchini, op. cit., 53. 17 Hes. fr. 28 Merkelbach-West (= Schol. QV Hom. μ 168 Dindorf): ἐντεῦθεν Ἡσίοδος καὶ τοὺς ἀνέμους θέλγειν αὐτὰς (= sc. ‘le Sirene’) ἔφη. 18 Mi permetto di rimandare ad un mio lavoro precedente: G. Coppola, ‘Le passioni di Ippolito nell’età dell’ora tra Euripide e Seneca’, Mosaico. Rivista online del Liceo F. Quercia -Marcianise (CE), 6, 2019, 81-82 con bibliografia precedente. 19 Il verbo οἶδα compare in Od. XII 188, 189, 191. - 63 - Giulio Coppola Le Sirene di Cicerone: uso e abuso di un mito Ed allora cosa è rimasto nel brano ciceroniano del così preponderante campo semantico della ‘voce’ riscontrato in Omero? A ben vedere, assai poco: il solo termine cantiunculae, ‘canzoncine’ per di più con evidente intento denigratorio insieme con cantus e cantare. Se questo è vero, va notato come si sia notevolmente ampliato il lessico del ‘sapere’: scire, studia, artes, ratio, contemplare, perquirere, cognitio, scientia, discere, sapientia, agnoscere, contemplatio, video affollano i capitoli in questione (18, 48-49); non mancano termini che possono rientrare nel campo della ‘seduzione’: rapiari, gaudeo, delectari, capi, cupiditas, dulcedo, satiari, cupidus, cupere. È facile allora giungere ad una conclusione: Cicerone ha ‘normalizzato’ – potremmo dire – il mito omerico, sublimando in maniera evidente quanto di licenzioso poteva esserci nelle figure delle Sirene e trasformando la seduzione fisica da loro messa in opera in seduzione intellettuale. Si tratta di un’operazione di ‘manipolazione’ che interpreta il contenuto mitico in funzione di uno scopo ben preciso (illustrare la potenza della spinta alla conoscenza insita nella natura umana) deformandolo – come vedremo – in maniera significativa. Per comprendere appieno la qualità di tale deformazione dobbiamo tornare all’episodio omerico e puntare l’attenzione su un particolare. Le Sirene, rivolgendosi direttamente all’eroe, gli promettono la gioia della conoscenza e si vantano di sapere tutto quanto accade sulla terra (ἴδμεν δ' ὅσσα γένηται ἐπὶ χθονὶ πουλυβοτείρῃ, Od. XII 194). È stato giustamente notato20 che tale pretesa è priva di fondamento: 1) le Sirene che dicono di sapere tutto sembrano ignorare che Ulisse è legato all’albero della nave e quindi impossibilitato a muoversi per assecondare le loro richieste; 2) le loro parole appaiono rivolte al passato , in particolare ai trascorsi iliadici di Ulisse, mentre nulla si dice del presente e del futuro. Ma quel che più conta è che esse, in questo atteggiarsi a figure dotate di una conoscenza universale, pare volgiano fare il verso alle Muse: sono infatti queste ultime che il cantore omerico invoca perché lo sostengano nel canto da momento che esse tutto conoscono21, sono queste che si fanno incontro ad Esiodo conferendogli come scettro un ramo d’alloro fiorito22 a garanzia della veridicità e sacralità del suo canto. Si può allora ipotizzare che nel brano omerico le Sirene si arroghino una prerogativa (la conoscenza dell’intero scibile) che appartiene più legittimamente alle Muse23. Che nel mito ci sia una conflittualità tra Muse e Sirene è confermato da un brano di Pausania24. Paus. IX 34, 3-4: κατωτέρω δὲ ὀλίγον Ἥρας ἐστὶν ἱερὸν καὶ ἄγαλμα ἀρχαῖον, Πυθοδώρου τέχνη Θηβαίου, φέρει δὲ ἐπὶ τῇ χειρὶ Σειρῆνας· τὰς γὰρ δὴ Ἀχελῴου θυγατέρας ἀναπεισθείσας φασὶν ὑπὸ Ἥρας καταστῆναι πρὸς τὰς Μούσας ἐς ᾠδῆς ἔργον· αἱ δὲ ὡς ἐνίκησαν, ἀποτίλασαι τῶν Σειρήνων τὰ πτερὰ ποιήσασθαι στεφάνους ἀπ'αὐτῶν λέγονται. Un po’ più in basso c’è un santuario di Era e una statua antica, opera del tebano Pitodoro, che tiene sulla mano delle Sirene: dicono che le figlie di Acheloo furono persuase da Era ad entrare in gara con le Muse nel canto e aggiungono che queste, quando ebbero ottenuto la vittoria, strapparono le penne alle Sirene e ne fecero delle corone. [tr. M. Moggi] 20 Vd. per tutti, F. Senatore, ‘Le Sirene, il mito e la Penisola Sorrentina’, in L’incanto delle Sirene, a cura di G. Adinolfi – F. Senatore, Napoli 2014, 8 con bibliografia precedente. 21 Hom. Il. II 485: ἴστέ τε πάντα . 22 Hes. Theog. 30. 23 J.P. Vernant, L’individuo, la morte, l’amore, Milano 2000, 126 [tr. it. di L’individu, la mort, l’amour, Paris 1989]. 24 Per un esame delle fonti in merito a questo mito, vd. C. Meliadò, ‘L’agone fatale fra Muse e Sirene’, in Le immagini nel Testo, il Testo delle Immagini. Rapporti fra parola e visualità nella tradizione greco-latina, a cura di L. Belloni – A. Bonandini – G. Ieranò – G. Moretti, Trento 2010, 397 e ss. - 64 - Giulio Coppola Le Sirene di Cicerone: uso e abuso di un mito Va detto che tale vicenda si trova illustrata anche in un sarcofago romano del III sec. d.C. conservato al Metropolitan Museum of Art di New York25. Se Era e Zeus all’estrema sinistra assistono alla competizione, alla parte opposta è facile riconoscere la sconfitta delle Sirene che vengono appunto ‘spennate’. Ma torniamo al nostro Omero e confrontiamolo con il testo ciceroniano. Non sfuggirà la portata dell’operazione dell’Arpinate: lungi dal contrapporre Sirene e Muse come fa il brano omerico anche se in maniera implicita, il retore latino finisce per sovrapporre i due gruppi. La seduzione esercitata su Ulisse è esclusivamente di natura intellettuale; spariscono i tratti ambigui ed inquietanti (il ‘prato fiorito’, il riferimento ai cadaveri in decomposizione presso gli scogli) delle Sirene che, nell’essere qui garanti e depositarie di un sapere ‘elevato’, risultano indistinguibili dalle Muse. In definitiva, solo apparentemente ci troviamo difronte ad una ripresa fedele del mito odissiaco, ma in realtà si tratta di una riscrittura notevolmente originale di Cicerone. L’idea di fondo che la anima è l’identificazione tra il sapere e la felicità: è su questa leva (nell’interpretazione dello scrittore latino) che si gioca la seduzione delle Sirene. Quanto forte sia tale legame in Cicerone lo dimostra quanto lui stesso afferma poco più sotto il brano che abbiamo citato. Cic. De fin. V 19, 53: Ac ueteres quidem philosophi in beatorum insulis fingunt qualis futura sit uita sapientium, quos cura omni liberatos, nullum necessarium uitae cultum aut paratum requirentis, nihil aliud esse acturos putant, nisi ut omne tempus inquirendo ac discendo in naturae cognitione consumant. Gli antichi filosofi rappresentano la vita futura dei sapienti nelle isole dei beati: li immaginano liberi da ogni preoccupazione, senza nessuna delle esigenze necessarie al tenor di vita o al suo apparato, destinati a far nient’altro che passare tutto il tempo ad indagare ed imparare in merito alla conoscenza della natura. [tr. di N. Marinone] Appare di estremo interesse per il nostro discorso il fatto che qui Cicerone immagini l’esistenza felice dei sapienti nell’aldilà come interamente rivolta a soddisfare la sete di ricerca a conferma del nesso strettissimo che lui stabilisce tra felicità e conoscenza (e di cui il mito di Ulisse e le Sirene è espressione). Non è questa la sede adatta a ripercorrere in maniera dettagliata tale connessione; ci limiteremo a fornire alcuni sommari indicazioni cercando di individuare le linee di fondo. Lo faremo partendo da una storia molto famosa: la vicenda del Sileno Marsia e del re Mida. Quest’ultimo – narra Aristotele riportato da Plutarco26 – dopo lunghi appostamenti riesce alla fine a catturare il Sileno per sapere da lui cosa fosse per l’uomo la cosa migliore (τί ποτ' ἐστὶ τὸ βέλτιστον τοῖς ἀνθρώποις καὶ τί τὸ πάντων αἱρετώτατον); dopo diversi rifiuti dell’essere per metà uomo e metà animale, alla fine arriva la risposta (Plut. Mor. 115d): 25 26 Ibid., 402. Plut. Mor. 115b e ss. = Aristot. fr. 6 Walzer. - 65 - Giulio Coppola Le Sirene di Cicerone: uso e abuso di un mito 'δαίμονος ἐπιπόνου καὶ τύχης χαλεπῆς ἐφήμερον σπέρμα, τί με βιάζεσθε λέγειν ἃ ὑμῖν ἄρειον μὴ γνῶναι; μετ' ἀγνοίας γὰρ τῶν οἰκείων κακῶν ἀλυπότατος ὁ βίος. ἀνθρώποις δὲ πάμπαν οὐκ ἔστι γενέσθαι τὸ πάντων ἄριστον οὐδὲ μετασχεῖν τῆς τοῦ βελτίστου φύσεως (ἄριστον γὰρ πᾶσι καὶ πάσαις τὸ μὴ γενέσθαι)· τὸ μέντοι μετὰ τοῦτο καὶ πρῶτον τῶν ἀνθρώπῳ ἀνυστῶν, δεύτερον δέ, τὸ γενομένους ἀποθανεῖν ὡς τάχιστα.' Voi, effimero seme di un demone carico di fatiche e di una sorte gravosa, perché mi usate violenza a dire cose che per voi è meglio non conoscere? Infatti, se accompagnata da ignoranza dei propri mali, la vita è assai priva di dolori . Per gli uomini non è assolutamente possibile che si verifichi la cosa migliore di tutte né partecipare dell’ottimo. Infatti, per tutti gli uomini e per le donne è ottimo non essere nati; tuttavia ciò che viene dopo di questo, ossia la prima delle cose possibili per gli uomini è che, essendo nati, muoiano il presto possibile. [tr. di M. Zanatta] Ritroviamo qui la tradizionale visione pessimistica greca che individua nella vita un disvalore rispetto alla morte: l’idea che sia ‘meglio non essere nati’ (ἄριστον … τὸ μὴ γενέσθαι) è luogo comune, prima ancora che in Aristotele, nel teatro e della cultura attica del V sec. a.C.27, ma risulta già attestata in Teognide (425 e ss.) e in Bacchilide (V 160). D’altra parte, risalendo ancora più indietro, non è difficile giungere fino ad Omero: assai famose sono le parole di Achille dinanzi a Priamo venuto a reclamare il corpo del morto Ettore secondo le quali Zeus assegna agli uomini mali e beni attingendo a due diversi orci; può capitare che mali e beni si mescolino nella vita di un mortale o che Zeus assegni solo mali, ma non può succedere che ne vengano solo beni28. Se dunque la negatività in sé della vita appare un dato certo, un altro elemento è degno di menzione: il Sileno infatti insiste sull’ignoranza (ἀγνοία) come condizione preferibile per gli uomini. Solo la non conoscenza di quale siano i mali che affliggono la vita umana può rendere questa accettabile. In effetti, dinanzi a questa tradizionale concezione segnatamente pessimistica, si muove la riflessione filosofica che punta a ribaltare la situazione considerando proprio la conoscenza come strumento per eccellenza nel precorso verso la felicità. È stato notato 29 che sono Democrito e Socrate i primi a costituire «la reazione al pessimismo»30 rimarcando la possibilità per l’uomo di raggiungere la felicità andando ‘controcorrente’ rispetto a quanto la massa preferisce. In questo percorso, l’arma di cui l’uomo dispone è appunto la sapienza, il sapere. Non va dimenticato poi che la contrapposizione ‘antropologica’ tra il saggio dotato del vero sapere (e perciò in grado di raggiungere la vera felicità) e l’uomo comune, il ‘dormiente’ (e quindi incapace di fare altrettanto) risale ancora più indietro e trova interpreti illustri in Eraclito31 e Parmenide32. Ma ciò non basta. Esaminiamo infatti alcuni testi che rimandano al culto misterico eleusino33. Hom. Hymn. Cer. 480-482: ὄλβιος ὃς τάδ' ὄπωπεν ἐπιχθονίων ἀνθρώπων· ὃς δ' ἀτελὴς ἱερῶν, ὅς τ' ἄμμορος, οὔ ποθ' ὁμοίων 27 Soph. Oed. R. 1186 e ss. e Oed. C. 1224 e ss.; Eur. Med. 1224 e ss. e fr. 285, 1-2 Nauck (= Stob. Flor. VIIIC, 38), fr. 449 Nauck (= Sext. Emp. 175, 17), fr. 908, 1 Nauck (= Clem. Alex. Strom. III 520); Hdt. I 31, 4; VII 46, 3-4. Vd. anche il poeta comico del IV sec. a.C. Alessi fr. 142, 15 Kock (= Athen. III 123 e ss.). Nel mondo romano Cicerone ricorda i versi del Cresfonte euripideo (fr. 449 Nauck) in Tusc. I 48, 115. 28 Hom. Il. XXIV 527 e ss. 29 F. de Luise – G. Farinetti, Storia della felicità. Gli antichi e i moderni, Torino 2001, 13 e ss.; E. Berti, In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica, Roma-Bari 2007, 248 e ss. 30 E. Berti, In principio, cit., 248. 31 22 B 1 D.K. (= Sext. Adv. Math. 7, 132); 57 (= Hipp. Refut. 9, 10); 89 (= Plut. Mor. 166c). 32 28 B 6 D.K. (= Simpl. Phys. 117, 2). 33 I due testi riportati corrispondono ai frr. A1 e G4 dell’edizione curata da P. Scarpi (Le religioni dei Misteri. Vol. I: Eleusi, Dionisismo, Orfismo, a cura di P. Scarpi, Milano 2002). - 66 - Giulio Coppola Le Sirene di Cicerone: uso e abuso di un mito αἶσαν ἔχει φθίμενός περ ὑπὸ ζόφῳ εὐρώεντι. Beato tra gli uomini colui che ha assistito a questi riti; colui che non è iniziato ai misteri, l’escluso, non avrà identica sorte neppure da morto sotto l’umida terra. Trad. di G. Zanetto Pind. fr. 137 Snell-Mahler (Clem. Alex. Strom. 3, 3, 17): ὄλβιος ὅστις ἰδὼν κεῖν' εἶσ' ὑπὸ χθόν'· οἶδε μὲν βίου τελευτάν, οἶδεν δὲ διόσδοτον ἀρχάν. Beato colui che scende sotto terra dopo aver visto queste cose; conosce la fine della vita, ne conosce il principio dato da Zeus. Il ripetersi di identiche forme ( ὄλβιος, l’insistere sul verbo ‘vedere’) rimanda ad un preciso rituale: a noi interessa precisare come sia attiva qui una logica escludente che separa gli ‘iniziati’ (destinati ad essere ὄλβιοι) da i ‘non iniziati’ (a cui è riservata una sorte più triste) e soprattutto come questa separazione passi per una forma di conoscenza (ὄπωπεν, ἰδὼν, οἶδεν). Vanno allora citate le parole di D. Susanetti in merito proprio al tipo di felicità assicurata dai riti misterici 34: l’esperienza misterica è percepita come origine di una vera conoscenza e insieme costituita a modello di un pensiero e di una pratica di sé per coloro che vogliono attingere alla ‘perfezione’. Se dietro il termine ‘perfezione’ si legge ‘felicità’, è facile comprendere come il sapere promesso dai culti misterici si presentasse come alternativa positiva al pessimistico ἄριστον τὸ μὴ γενέσθαι. Conclusioni Dall’analisi fin qui condotta è possibile ricavare le seguenti conclusioni: 1. L’apparente ripresa verbatim da parte di Cicerone dell’episodio di Ulisse e le Sirene nasconde in realtà una profonda manipolazione del mito: la seduzione sensuale incarnata dalle inquietanti figure per metà donna e per metà uccelli diviene nella pagina ciceroniana seduzione intellettuale, attrazione al sapere. Se Omero lascia intendere una contrapposizione Sirene-Muse tutta giocata sulla pretesa delle prime di possedere un sapere di cui solo le seconde sono garanti, l’autore di Arpino finisce per sovrapporre le une alle altre fino ad identificarle. 2. Una tale operazione è tutta giocata sul nesso conoscenza-felicità. Lungi dall’essere – questa – una ‘invenzione’ ciceroniana, essa si fonda su una tradizione molto più antica, autorevolmente rappresentata dal pensiero filosofico di Democrito e Socrate, ma che è possibile retrodatare anche di più, oltre Eraclito e Parmenide fino ai culti misterici: sono questi infatti (fondati appunto sulla promessa di un ‘sapere’ che separa gli ‘iniziati’ dai ‘non iniziati’) a costituire l’alternativa alla visione tradizionale secondo cui ‘è meglio non essere nati’ prima che a ciò provvedesse il pensiero filosofico. 34 D. Susanetti, La via degli dei. Sapienza greca, misteri antichi e percorsi di iniziazione, Roma 2017, 22 e ss. - 67 - Giulio Coppola Le Sirene di Cicerone: uso e abuso di un mito Appendice didattica Senza alcuna pretesa di esaustività, si ritiene opportuno, in sede di fruizione didattica del discorso sviluppato, allegare un prospetto che riporti i passi degli autori antichi maggiormente funzionali al ragionamento sviluppato – limitatamente al tema della felicità. Anno Autori greci Autori latini 3 anno Omero35 Esiodo36 Lirica arcaica37 Erodoto38 Catullo39 Lucrezio40 4 anno Sofocle 41 Euripide 42 Cicerone43 Orazio44 Virgilio45 5 anno Platone46 Aristotele 47 Epicuro48 Marco Aurelio49 Seneca50 Tacito51 Apuleio52 Agostino53 Oltre al già citato passo Hom. Il. XXIV 527 e ss., vd. anche Od. XVIII 129 e ss. Basti citare il famoso passo Op. 225 e ss. in il poeta di Ascra contrappone la città che segue la retta via e che perciò sarà prospera e felice e quella che invece si comporterà diversamente andando incontro alla rovina. 37 Oltre ai già citati Teognide e Bacchilide (del quale vd. anche Ep. III 75 e ss.), vd. anche Archil. fr. 128 West (= Stob. III 20, 28); Alcam. fr. 1, 37 e ss. Page (= P. Louv. E 3320); Solon. fr. 13 West (= Stob. III 9, 23). 38 Hdt. I 30 e ss. 39 C. 5. 40 II 1 e ss. 41 Oltre ai passi già citati, vd. anche Antig. 581 e ss. 42 Oltre ai passi già citati, vd. anche Ecub. 623 e ss.; Alces. 779 e ss.; Bacch. 73 e ss. 43 Oltre ai brani già segnalati, vd. pure De Off. I 4 e ss.; De Fin. I 18 (57) e ss. 44 Od. I 11; II 6; III 29 45 Aen. III 321 e ss. 46 Teet. 173d e ss. 47 Et. Nic. 1097b e ss. 48 Ep. Men. 122 e ss. Usener. 49 III 12: IV 24. 50 Dial. VII 1 e ss. 51 Germ. XLVI. 52 Met. VI 23 e ss. 53 Civ. XIV 25; De vita beat. 1 e ss. 35 36 - 68 -