PROCEDURA PENALE
Collana fondata nel 2000 da
P. Ferrua, G. Giostra, V. Grevi, G. Illuminati, R.E. Kostoris, E. Zappalà
COMMENTI
Sezione diretta da
M. Bargis, G. Giostra, G. Illuminati, R.E. Kostoris, R. Orlandi, G.P. Voena
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Comitato Editoriale
R. Adorno, H. Belluta, M. Caianiello, A. Capone
M. Ceresa-Gastaldo, M. Daniele, C. Fiorio, L. Giuliani
V. Patanè, P.P. Paulesu, S. Quattrocolo, S. Ruggeri
P. BRONZO - S. BUZZELLI - S. CARNEVALE - L. CESARIS - A. CIAVOLA
R. DE VITO - F. FIORENTIN - E. FRONTONI - G.M. FLICK - F. GIANFILIPPI
G. GIOSTRA - A. MASSARO - F. PETRELLI - P. SPAGNOLO
LA RIFORMA PENITENZIARIA:
NOVITÀ E OMISSIONI DEL NUOVO
“GARANTISMO CARCERARIO”
Commento ai d.lgs. n. 123 e 124 del 2018
a cura di
Pasquale Bronzo, Fabrizio Siracusano e Daniele Vicoli
con introduzione di Glauco Giostra
G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO
© Copyright 2019 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO
VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100
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ISBN/EAN 978-88-921-3101-9
ISBN/EAN 978-88-921-8385-8 (ebook - pdf )
Progetto grafico di copertina: Roberto E. Kostoris
Composizione: La Fotocomposizione - Torino
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CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108,
20122 Milano, e-mail
[email protected] e sito web www.clearedi.org.
Gli Autori
PASQUALE BRONZO, professore associato di Diritto processuale penale –
Università di Roma La Sapienza
SILVIA BUZZELLI, professoressa associata di Diritto processuale penale –
Università degli studi di Milano Bicocca
STEFANIA CARNEVALE, professoressa associata di Diritto processuale
penale – Università di Ferrara
LAURA CESARIS, ricercatrice di Diritto processuale penale – Università di
Pavia
AGATA CIAVOLA, professoressa associata di Diritto processuale penale –
Università di Enna “Kore”
RICCARDO DE VITO, magistrato dell’Ufficio di sorveglianza di Sassari
FABIO FIORENTIN, magistrato dell’Ufficio di sorveglianza di Venezia
GIOVANNI MARIA FLICK, professore emerito di Diritto penale –
presidente emerito della Corte Costituzionale
ELISABETTA FRONTONI, professoressa associata di Diritto costituzionale –
Università Roma Tre
FABIO GIANFILIPPI, magistrato dell’Ufficio di sorveglianza di Spoleto
GLAUCO GIOSTRA, professore ordinario di Diritto processuale penale –
Università di Roma La Sapienza
ANTONELLA MASSARO, professoressa associata di Diritto penale –
Università Roma Tre
FRANCESCO PETRELLI, avvocato del Foro di Roma
PAOLA SPAGNOLO, professoressa ordinaria di Diritto processuale penale –
Università L.U.M.S.A. di Roma
VI
Gli Autori
III
L’ASSISTENZA SANITARIA
IN AMBITO PENITENZIARIO
di Antonella Massaro
SOMMARIO: 1. La dialettica tra “salute” e “sicurezza”, le criticità dell’assistenza sanitaria in
ambito penitenziario e la necessità di una riforma. – 2. L’art. 11. ord. penit.: i principi
generali e la visita medica di ingresso. – 3. L’assistenza sanitaria durante la permanenza
in istituto e il ricovero in luoghi esterni di cura. – 4. L’assistenza sanitaria sul banco di
prova delle questioni di genere: transessualismo e carcere. – 4.1. Le detenute. – 5. La
malattia psichiatrica in carcere: il perdurante (e intollerabile) silenzio da parte del
legislatore e l’intervento della Corte costituzionale.
1. La dialettica tra “salute” e “sicurezza”, le criticità dell’assistenza
sanitaria in ambito penitenziario e la necessità di una riforma.
Il d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123, al Capo I, contiene le disposizioni relative alla riforma dell’assistenza sanitaria in ambito penitenziario, che si sono tradotte essenzialmente nella nuova formulazione dell’art. 11 ord. penit.
La tutela della salute dei soggetti ristretti si caratterizza per una serie
di innegabili criticità, ravvisabili tanto sul piano della ricostruzione teorica quanto su quello della prassi applicativa.
La dialettica tra sicurezza della collettività e diritti del detenuto, in
effetti, si snoda secondo cadenze che sfuggono a tentativi di rigida sistemazione. La tentazione potrebbe essere quella di impostare i rapporti tra sicurezza e diritti del soggetto ristretto, con particolare riguardo
alla tutela della salute, nei termini di un conflitto tra diritti (o principi)
fondamentali da risolversi attraverso il rimedio del bilanciamento 1, in1
Si rinvia sul punto, anche per la sostanziale assimilazione tra il bilanciamento tra
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Antonella Massaro
III,1
teso quale strumento nelle mani non solo del giudice, ma anche, a monte, in quelle del legislatore. L’adeguatezza del giudizio di bilanciamento,
però, si mostra tutt’altro che indiscussa e indiscutibile, per almeno due
ragioni.
Anzitutto, la via del bilanciamento condurrebbe a una sorta di “scontro tra titani”, nel senso che sui piatti della bilancia si troverebbero collocati due diritti-principi dotati di una forza di resistenza particolarmente significativa: l’uno (la sicurezza) proiettato in una dimensione collettiva e l’altro (la salute, direttamente riconducibile alla dignità umana) dotato di una consistenza eminentemente individuale, sia pur nella sua polimorfa natura di diritto anche sociale. Se la sicurezza si trova a volte
qualificata come “condizione di esistenza” della società civile 2, lo stesso
potrebbe dirsi della salute, assumendo come prospettiva quella del singolo individuo 3.
In secondo luogo, la stessa definizione dei due poli attorno ai quali
dovrebbe articolarsi il meccanismo del bilanciamento rappresenta un’operazione a dir poco complessa. I concetti di sicurezza e di salute, sia
pur per ragioni differenti, condividono la comune sorte di un deficit di
determinatezza particolarmente evidente, trattandosi di principi-valori
tanto evocativi sul piano assiologico quanto sfuggenti su quello definitorio. Gli ampi contorni del concetto di salute, in particolare, comportano che la stessa fatichi a emergere nella sua consistenza di “diritto
giustiziabile”, a fortiori nel peculiare contesto dei luoghi di detenzione:
la definizione dalla Organizzazione mondiale della Sanità, secondo cui
la salute, lungi dal ridursi a mera assenza di malattia, identificherebbe lo
diritti e quello tra principi, a G. PINO, Conflitto e bilanciamento tra diritti fondamentali.
Una mappa dei problemi, in Etica&Politica, 2006 (1), p. 1 s.
2
M. TRAPANI, Considerazioni su legittimazione e limiti del diritto penale, in G.L.
FALCHI-A. IACCARINO (a cura di), Legittimazione e limiti degli ordinamenti giuridici, Libreria Editrice Vaticana, 2012, p. 795. In tema di sicurezza come diritto fondamentale
obbligato il riferimento a J. ISENSEE, Das Grundrecht auf Sicherheit, De Gruyter, 1983,
anche per una “non convenzionale” impostazione del rapporto tra sicurezza e libertà
(in particolare. p. 1 s. e 21 s.). Per un’esaustiva sintesi della questione e le necessarie
indicazioni bibliografiche v. T.E. FROSINI, Teoremi e problemi di diritto costituzionale,
Giuffrè, 2008, p. 119 s.
3
COMMITTEE ON ECONOMIC, SOCIAL AND CULTURAL RIGHTS (CESCR), General Comment No. 14: The Right to the Highest Attainable Standard of Health: «Health is a fundamental human right indispensable for the exercise of other human rights. Every human
being is entitled to the enjoyment of the highest attainable standard of health conducive
to living a life in dignity» (Art. 12 § 1).
III,1
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
95
stato di completo benessere fisico, mentale e sociale dell’individuo 4, potrebbe apparire strutturalmente incompatibile con la condizione di un
soggetto ristretto 5, anche in considerazione del fatto che il carcere stesso si presta a funzionare da vera e propria “fabbrica delle malattie” 6.
Senza contare che un troppo generico riferimento al “benessere psichico e fisico” del detenuto comporterebbe delle inevitabili sovrapposizioni con le disposizioni dedicate alla vita penitenziaria, pure oggetto di
riforma ad opera dello stesso d.lgs. n. 123 del 2018: il diritto a un ambiente salubre inteso come ambiente carcerario “degno” (artt. 5 e 6 ord.
penit.), le prescrizioni relative al vestiario e al corredo (art. 7 ord. penit.), all’igiene personale (art. 8 ord. penit.), al vitto (art. 9 ord. penit.) e
alla permanenza all’aria aperta. Pur trattandosi di norme che svolgono
una funzione strumentale rispetto alla tutela della salute 7, pare opportuno rimarcare la loro autonomia strutturale e giurisdizionale, in modo
da assicurare la tutela dei corrispondenti diritti indipendentemente dagli effetti che la loro violazione comporti sul non meglio precisato “benessere” del detenuto 8.
4
Cfr. D. CALLAHAN, The WHO definition of “health”, in The Hastings Center Studies, 1973, p. 77 s., il quale evidenzia come, sebbene un certo grado di astrazione sia
inevitabile quando si abbia a che fare con concetti generali, il rischio è non solo quello
di trovarsi di fronte e definizioni parziali, ma, soprattutto, quello di prestarsi a possibili
“abusi”: la medicina, a tacer d’altro, diverrebbe lo strumento di una pretesa “ricerca della
felicità” e si farebbe confluire nel concetto di salute la risoluzione di ogni questione di
carattere etico e/o sociale. Sugli aspetti postivi di una definizione ampia di salute v. però S. ROSSI, La salute mentale tra libertà e dignità. Un dialogo costituzionale, Franco Angeli, 2015, p. 106.
5
Cfr. C. FIORIO, Libertà personale e diritto alla salute, Cedam, 2002, p. 44, il quale
sottolinea la difficoltà di riferire al soggetto in vinculis tutti i predicati del “diritto alla
salute”.
6
G. MOSCONI, Il carcere come salubre fabbrica della malattia, in Rass. penit. e criminologica, 2005, p. 59 s.; M. BARTOLINI, La questione psichiatrica all’interno degli istituti
di pena, in www.ristretti.it.
7
A. BERNASCONI, Sub art. 11 ord. penit., in F. DELLA CASA-G. GIOSTRA (a cura di),
Ordinamento penitenziario commentato, V ed., Wolters Kluver Cedam, 2015, p. 124
parla di «salvaguardia preventiva» della salute dei reclusi. Per un inquadramento delle
disposizioni in questione nella cornice più ampia del diritto alla salute v. anche M. RUOTOLO, Diritti dei detenuti e Costituzione, Giappichelli, 2002, p. 142.
8
Sulla proposta di recuperare una nozione “restrittiva” del concetto di salute riferimento ai soggetti ristretti, sia consentito il rinvio ad A. MASSARO, Salute e sicurezza nei
luoghi di detenzione: coordinate di un binomio complesso, in EAD. (a cura di), La tutela
della salute nei luoghi di detenzione, Roma TrE-Press, 2017, p. 96 s.
96
Antonella Massaro
III,1
Il diritto alla salute, è indispensabile precisarlo, presenta un volto necessariamente e inderogabilmente unitario, indipendente dallo status di
libero o di ristretto del soggetto che ne è titolare. A mutare sono solo le
esigenze di salute di cui è portatore il soggetto sottoposto a limitazioni
della libertà personale rispetto a colui che non si trovi nella medesima
condizione: la dimensione “astratta” del diritto alla salute, per contro,
non subisce variazione alcuna, né per ciò che attiene al suo contenuto
né sul versante della sua “non bilanciabilità” per ragioni di sicurezza.
Il passaggio dalla enunciazione teorica di principi pur intuitivamente
condivisibili alla loro traduzione in strumenti giuridici effettivamente operativi è tuttavia un’operazione complessa 9, specie nel caleidoscopico universo carcerario in cui l’equilibrio tra legalità e discrezionalità amministrativa è sottoposto a insidie continue. Il rischio più evidente è che le
esigenze di sicurezza, anche a causa di una “fuga dalla legalità” che lascia
ampi spazi alla discrezionalità amministrativa, riescano a veicolare surrettiziamente una modulazione di tutela della salute per soggetti particolarmente pericolosi, a partire da quelli inseriti in circuiti differenziati o
che si vedono applicato il regime di cui all’art. 41-bis ord. penit.: la condanna riportata dall’Italia per violazione dell’art. 3 c.e.d.u. in riferimento all’ultimo periodo di detenzione di Bernardo Provenzano 10, è solo la
punta dell’iceberg di una situazione da tempo “sotto i riflettori” 11, in cui
La difficoltosa emersione anche di quei diritti che pure, a livello normativo, trovano una chiara enunciazione, è efficacemente evidenziata da S. TALINI, La privazione
della libertà personale. Metamorfosi normative, apporti giurisprudenziali, applicazioni
amministrative, Editoriale Scientifica, 2018, p. 177 s.
10
Corte eur., 25 settembre 2018, Provenzano c. Italia, ha ravvisato una violazione dell’art. 3 c.e.d.u. solo in riferimento alla proroga del regime di cui all’art. 41-bis ord. penit. disposta il 23 marzo 2016, pochi mesi prima della morte di Bernardo Provenzano;
il provvedimento di proroga, infatti, non avrebbe valutato adeguatamente le condizioni
di salute del detenuto e, in particolare, il deterioramento delle sue funzioni cognitive.
Per un primo commento alla pronuncia v. G. ALBERTI, Caso Provenzano: la Corte EDU
riconosce una violazione dell’art. 3 CEDU con riferimento all’ultimo decreto di proroga
del 41-bis, in Dir. pen. cont., 29 ottobre 2018. Più ampi riferimenti, non solo in relazione al caso Provenzano, sono reperibili in D. DE GIOIELLIS, Regime penitenziario di rigore tra esigenze di sicurezza e diritto alla salute, in A. MASSARO (a cura di), La tutela della
salute, cit., p. 167 s.
11
Per tutti M. PALMA, Il regime del 41-bis visto da Strasburgo (e dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura), in F. CORLEONE-A. PUGIOTTO (a cura di), Volti e
maschere della pena, Ediesse, 2013, p. 187 e A. DELLA BELLA, Il “carcere duro” tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, Giuffrè, 2016, spec. p. 309 s. V.
anche E. NICOSIA, Il c.d. 41-bis è una forma di tortura o trattamento crudele, inumano o
9
III,1
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
97
le logiche di una sicurezza permeata da ragion di Stato rischiano di soffocare la dimensione più autenticamente individuale del diritto alla salute.
Muovendo da queste premesse, risulta evidente come una cornice
legislativa sufficientemente nitida e rigorosa rappresenti un’esigenza direttamente proporzionale alla rilevanza degli interessi che quella cornice
dovrebbe tutelare. Non è un caso che, in riferimento alla precedente formulazione dell’art. 11 ord. penit., si lamentasse (tra l’altro) l’eccessiva genericità delle previsioni relative alle prestazioni sanitarie spettanti ai reclusi 12. Così come non è un caso che tra le lacune più intollerabili della
legge penitenziaria si annoverasse l’assenza di una disciplina organica della malattia mentale in carcere, malgrado si assista da tempo a quella che
gli addetti ai lavori, almeno in certi casi, percepiscono come una vera e
propria “emergenza psichiatrica” 13. Non stupisce, dunque, che proprio
il potenziamento dell’assistenza psichiatrica negli istituti di pena fosse la
sola esigenza esplicitata dalla legge delega che, all’art. 1 comma 85 lett.
l, faceva riferimento alla «revisione delle disposizioni dell’ordinamento
penitenziario alla luce del riordino della medicina penitenziaria disposto
dal d.lgs. 22 giugno 1999, n. 230, tenendo conto della necessità di potenziare l’assistenza psichiatrica negli istituti di pena».
Nel lungo e tormentato iter che ha visto protagonista la riforma dell’ordinamento penitenziario 14 era dunque tanto prevedibile quanto necessario che un posto d’onore fosse riservato ai diritti fondamentali dei detenuti. Gli esiti cui quell’iter è faticosamente approdato in materia di diritto alla salute, tuttavia, condividono le sorti complessive della riforma: qualche
degradante?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, p. 1246 s., in riferimento alla decisione di
un giudice federale statunitense di bloccare l’espulsione verso l’Italia del boss Rosario
Gambino, che versava in condizioni di salute particolarmente precarie e che, tornato in
patria, sarebbe stato verosimilmente sottoposto al regime di carcere duro.
12
A. BERNASCONI, Sub art. 11, cit., p. 126.
13
A. DE ANGELIS, Il disagio mentale in ambiente penitenziario: strategie e competenze della polizia penitenziaria, in Quaderni ISSP, Riforma della sanità penitenziaria. Evoluzione della tutela della salute in carcere, n. 11, p. 60. V. anche F. FIORI, I minorati psichici nel sistema penitenziario italiano, profili di gestione e compatibilità con l’esecuzione
penale, ivi, p. 91 s.
14
V. supra, Parte I, Cap. I. Sugli scenari di fondo, v. G. GIOSTRA, La riforma penitenziaria: il lungo e tormentato cammino verso la Costituzione, in Dir. pen. cont., Riv.
trim., 2018 (4), p. 119 s.; F. DELLA CASA, L’urgenza della riforma penitenziaria: un malinconico anacronismo nell’era della riscoperta della centralità del carcere, in Dir. pen.
cont., 25 giugno 2018.
98
Antonella Massaro
III,2
passo in avanti è innegabile, ma ancora troppo assordante è il silenzio del
legislatore su questioni che sarebbe riduttivo affidare pressoché integralmente alle maglie incontrollabili della discrezionalità amministrativa.
2. L’art. 11 ord. penit.: i principi generali e la visita medica di ingresso.
La nuova formulazione dell’art. 11 ord. penit. si apre con l’affermazione per cui il servizio sanitario nazionale opera negli istituti penitenziari e
negli istituti penali per minorenni nel rispetto della disciplina sul riordino
della medicina penitenziaria (d.lgs. n. 230 del 1999, con cui si è realizzata
la “storica svolta” del trasferimento della medicina penitenziaria al servizio
sanitario nazionale 15). Si tratta di una disposizione che, riproducendo pressoché testualmente l’indicazione contenuta nella legge delega, rinvia anzitutto al principio di parità tra i livelli di prestazioni sanitarie assicurate a
detenuti e internati rispetto a quelle garantite ai soggetti liberi 16. La precisazione in questione, a ben vedere, assume una valenza più “descrittiva”
15
La scelta in questione, come efficacemente evidenziato, interveniva in un contesto
fortemente eterogeneo e contraddittorio. Sul territorio nazionale erano infatti rinvenibili realtà di eccellenza, specie se supportate da ASL efficienti, ma la consistente e progressiva emersione delle “emergenze penitenziarie” (stranieri, patologie infettive, centuplicazione della presenza di tossicodipendenti, tassi sempre più elevati di accertato
disagio psichico, sovraffollamento) mostrava la necessità di definire un nuovo modello
assistenziale che valorizzasse anche i centri di politica sanitaria regionale e locale: così
C. CANTONE, La Riforma della sanità penitenziaria: Problemi e percorsi possibili, in
Quaderni ISSP, cit., p. 14. Sugli scetticismi che hanno accompagnato la riforma in questione si rinvia a G. LA GRECA, Delega al Governo per il riordino della medicina penitenziaria, in Dir. pen. proc., 1999, p. 15 s. e ID., Riordino della medicina penitenziaria, ivi,
1999, p. 1218 s.; G. STARNINI, Il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario
nazionale, in www.ristretti.it. Cfr. M. RUOTOLO, Diritti dei detenuti e Costituzione, cit.,
p. 147, il quale sottolinea come anche la mera pregnanza simbolica del passaggio al
SSN non sia da trascurare, posto che nell’assetto normativo precedente la competenza
esclusiva dell’amministrazione penitenziaria ben poteva prestarsi a un uso strumentale
della medicina penitenziaria, che asservisse gli interessi del singolo alle esigenze di ordine e disciplina degli istituti.
16
Art. 1 comma 1 d.lgs. 22 giugno 1999, n. 230: «I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi
generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel
Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali ed in quelli locali».
III,2
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
99
che “prescrittiva”, limitandosi a ribadire all’interno dell’ordinamento penitenziario quanto già (da tempo) affermato, sempre da parte di una legge
ordinaria 17.
Una portata almeno parzialmente innovativa può essere invece riconosciuta al comma 3 dello stesso art. 11 ord. penit., il quale, richiamando la Carta dei servizi sanitari per i detenuti e gli internati di cui all’art.
1 comma 3 d.lgs. n. 230 del 1999, richiede che la stessa sia messa a disposizione dei soggetti interessati con idonei mezzi di pubblicità.
I commi successivi dell’art. 11 ord. penit., riproducendo una struttura che nei suoi tratti fondamentali resta sostanzialmente inalterata, prendono in considerazione l’assistenza sanitaria del ristretto nelle varie fasi
che scandiscono la detenzione, con particolare riguardo all’ingresso e alla successiva permanenza in istituto.
Il nuovo comma 7 dell’art. 11 ord. penit., relativo alla visita medica
generale di ingresso, introduce una disciplina indubbiamente più articolata di quella ricavabile dal precedente comma 5. La visita di ingresso si
pone, in maniera emblematica, al crocevia della duplice esigenza, di sicurezza e di tutela del singolo 18, sul cui crinale, come già precisato, si
tengono in precario equilibrio molte delle questioni relative al diritto alla salute dei detenuti. Da una parte, infatti, il controllo medico risponde
a ragioni di tipo amministrativo-collettivo, riconducibili alla “gestione”
del detenuto nell’ambiente penitenziario: si pensi, tra l’altro, al fatto che
in caso di diagnosi anche sospetta di malattia contagiosa si può disporre
anche l’isolamento del soggetto (art. 11 comma 11 ord. penit.) 19. Dall’altra parte, è evidente la contestuale ratio di garanzia cui si ispira la visita di ingresso, posto che la stessa può servire tanto a riscontrare eventuali segni di lesioni o maltrattamenti derivanti dalla precedente attività
della polizia giudiziaria quanto a verificare se sussistano circostanze che
possano determinare, per esempio, un rinvio dell’esecuzione della pena.
Proprio ai profili di garanzia il legislatore delegato ha destinato una
particolare attenzione.
Cfr. però C. FIORIO, Carcere: la riforma dimezzata, in Proc. pen. giust., 2019 (3), p.
742, il quale sottolinea come il nuovo art. 11 ord. penit. aspiri a segnare il transito definitivo della sanità penitenziaria nel servizio sanitario nazionale.
18
Sottolineano chiaramente questo aspetto G. DI GENNARO-R. BREDA-G. LA GRECA,
Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Giuffrè, p. 82 s.; A.
BERNASCONI, Sub art. 11, cit., p. 128.
19
Più in generale, sull’isolamento continuo motivato da ragioni sanitarie v. l’art. 33
comma 1 lett. a ord. penit.
17
100
Antonella Massaro
III,2
Anzitutto, l’art. 11 comma 7 ord. penit., a fronte del generico riferimento a «i soggetti» che compariva nel precedente comma 5, fa esplicita menzione tanto del detenuto quanto dell’internato: entrambi devono
ricevere dal medico informazioni complete relative al proprio stato di salute al momento dell’ingresso, durante il periodo di detenzione e al momento della rimessione in libertà.
Si precisa inoltre che, in occasione della prima visita, nella cartella clinica sono annotate le informazioni relative a segni o indici che evidenzino possibili violenze o maltrattamenti subiti dal soggetto, con conseguente comunicazione al direttore dell’istituto e al magistrato di sorveglianza
(fermo restando l’obbligo di referto). Non si prevede invece che le annotazioni in questione avvengano anche “mediante documentazione fotografica”. Quest’ultima precisazione era stata inserita nella proposta elaborata dalla Commissione Pelissero, che dava seguito sul punto ai rilievi
svolti dal Garante nazionale dei detenuti 20 e che, chiaramente, traeva origine anche dalle esigenze emerse con drammatica prepotenza in occasione del caso relativo alla morte di Stefano Cucchi 21.
Pare opportuno segnalare che le questioni che ruotano attorno ai “nuovi giunti” risultano cruciali per un intervento efficace a fronte non solo
di possibili maltrattamenti i cui effetti, per intendersi, potrebbero essere
oggetto di documentazione fotografica, ma anche di quelle condizioni
patologiche (o potenzialmente tali) che «non lasciano segni visibili sulla
pelle del detenuto». Sul primo versante, è innegabile come il personale
medico e, nello specifico, lo strumento della cartella clinica, rappresentino la via privilegiata affinché le notizie di reato siano in grado di valicare il muro di cinta del carcere 22: ciò vale fin dal primo ingresso del
20
Nella Relazione di accompagnamento della proposta elaborata dalla Commissione Pelissero (disponibile in www.giustizia.it), si precisa altresì che «gli obblighi di documentazione e di comunicazione rafforzano l’obbligo di referto, garantendo una traccia più significativa (utile anche ai fini dell’accertamento di eventuali responsabilità penali) degli elementi dai quali possano emergere segni di maltrattamenti o violenza». L’omessa precisazione nel testo definitivo è segnalata da A. DELLA BELLA, Riforma dell’ordinamento penitenziario: le novità in materia di assistenza sanitaria, vita detentiva e lavoro penitenziario, in Dir. pen. cont., 7 novembre 2018, § 4.
21
Il valore delle immagini fotografiche in casi come quello di Stefano Cucchi è chiaramente evidenziata da L. MANCONI-V. CALDERONE, Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri, Il Saggiatore, 2011, p. 17.
22
S. CARNEVALE, Tortura e maltrattamenti in carcere: i presidi di diritto processuale e
penitenziario a supporto degli strumenti sostanziali, in DisCrimen, 2019, p. 8, la quale evidenzia come questa sia una delle ragioni che hanno determinato il passaggio di competenze in materia di salute dei ristretti e il suo affidamento al servizio sanitario nazionale.
III,3
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
101
soggetto nell’istituto di pena. Sul versante delle sofferenze che esulano
dal vero e proprio maltrattamento fisico, ormai da tempo sono state evidenziate, per esempio, le conseguenze negative che possono derivare dal
c.d. trauma da ingresso in carcere 23; senza contare che, almeno in certi
casi, un’accurata visita iniziale potrebbe rendere più agevole l’individuazione, in una eventuale fase successiva, di possibili simulazioni da parte
del ristretto, volte a ottenere (quanto meno) condizioni di detenzione più
favorevoli 24.
3. L’assistenza sanitaria durante la permanenza in istituto e il ricovero in luoghi esterni di cura.
Lo stesso comma 7 dell’art. 11 ord. penit. prevede che, durante la permanenza in istituto, «l’assistenza sanitaria è prestata con periodici riscontri, effettuati con cadenza allineata ai bisogni di salute del detenuto», uniformandosi ai principi del metodo proattivo, di globalità dell’intervento
sulle cause di pregiudizio della salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, d’integrazione dell’assistenza sociale e sanitaria e di garanzia della continuità terapeutica. Le precisazioni relative ai caratteri cui dovrebbe uniformarsi la “nuova” assistenza sanitaria riproducono pressoché
testualmente le dichiarazioni di principio contenute nell’art. 2 comma 2
d.lgs. n. 230 del 1999. Visto il rinvio alla disciplina in questione contenuto nel comma 1 dell’art. 11 ord. penit., questa ulteriore precisazione
ad abundantiam rischia di risultare sovrabbondante o, comunque, di non
apportare alcun reale valore aggiunto. La sola innovazione rispetto alla
legge del 1999 è rappresentata dal riferimento al metodo proattivo 25:
23
V. già C. MASTANTUONO-M. DELLA ROVERE-E. D’ERRICO, Trauma da ingresso in
carcere, in Rass. stud. penit., 1962, p. 425 s.
24
In generale S. FERRACUTI, Simulazione e malattie simulate, in F. FERRACUTI (a cura
di), Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, Psichiatria forense generale e penale, vol. XXIII, Giuffrè, 1990, p. 671 s. Più nello specifico N. ANSELMI-V. SAVOJA, La simulazione della malattia mentale in ambito penitenziario, in Riv.
psich., 2004 (3), p. 208 s.; A.M.A. NIVOLI-L.F. NIVOLI-M.N. SANNA-S. CASULA-L. LORETTU-G.C. NIVOLI, La simulazione della malattia mentale nelle istituzioni penitenziarie,
in Giorn. it. psicopat., 2011, p. 203 s.
25
Cfr. art. 17 comma 8 reg. penit.: «in ogni istituto devono essere svolte con continuità
attività di medicina preventiva che rilevino, segnalino ed intervengano in merito alle situa-
102
Antonella Massaro
III,3
anche in questo caso, tuttavia, trattandosi di un’indicazione generica e
comunque bisognosa di una concretizzazione che tenga conto delle specificità dei singoli contesti e dei singoli casi, non sembra si vada molto al
di là della dichiarazione di mero principio.
Qualche perplessità ha invece destato la formulazione del successivo
comma 8, il quale stabilisce che il medico del servizio sanitario garantisce quotidianamente la visita dei detenuti ammalati e di quelli che ne
facciano richiesta, quando la visita stessa risulti necessaria in base a criteri di appropriatezza clinica. Quest’ultima precisazione, che non compariva nel precedente testo dell’art. 11 ord. penit., rischierebbe di introdurre un’inutile o, peggio, controproducente componente discrezionale 26. Si tratta di un giudizio che, pur rappresentando il presupposto
della visita, sembra a sua volta presupporre la visita stessa: a meno che
non si ritenga che la valutazione di “appropriatezza clinica” possa essere effettuata anche su base meramente documentale.
Deve inoltre segnalarsi come la giurisprudenza di legittimità, chiamata
a pronunciarsi sull’assistenza sanitaria da prestare al soggetto in isolamento, avesse confermato una lettura “ampia” dell’obbligo in questione
proprio valorizzando la precedente formulazione dell’art. 11 ord. penit.
L’art. 39 ord. penit., completando il “quadro normativo” dell’obbligo
di prestare assistenza sanitaria al soggetto ristretto, stabilisce che la sanzione della esclusione dalle attività in comune può essere eseguita solo
in presenza di una certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, la quale
attesti che il soggetto è in grado di sopportarla, con l’ulteriore precisazione per cui il soggetto escluso dalle attività in comune è sottoposto a
un costante controllo sanitario. La Corte di cassazione ha sottolineato
che l’obbligo dei sanitari di effettuare la vista medica, ricavabile in generale dall’art. 11 ord. penit., non possa ritenersi limitato ai casi di espressa richiesta del detenuto o a quelli di soggetti che presentino segni clinici evidenti: pur non trattandosi di un obbligo di visita quotidiana, la visita “fissa” dovrebbe avvenire con cadenza mensile o addirittura settimanale, a seconda delle peculiarità del caso concreto 27.
zioni che possono favorire lo sviluppo di forme patologiche, comprese quelle collegabili
alle prolungate situazioni di inerzia e di riduzione del movimento e dell’attività fisica».
26
Perplessità sulla formula “criteri di appropriatezza clinica” sono espresse anche
da A. DELLA BELLA, Riforma dell’ordinamento penitenziario, cit., § 4.
27
Cass., 11 maggio 2017, P.M., in C.e.d., n. 270328. Sull’obbligo di controllo periodico e frequente delle condizioni di salute dei detenuti v. anche Cass., 11 ottobre 2018,
Franceschini, ivi, n. 274776.
III,3
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
103
Delle due l’una. Se, privilegiando una lettura “oggettiva”, si ritiene
che il criterio della appropriatezza clinica non faccia altro che ribadire
la necessità di modulare la cadenza “fissa” della visita tenendo conto delle necessità del singolo soggetto, non solo l’assetto precedente resterebbe sostanzialmente invariato, ma il legislatore avrebbe inteso delimitare
secondo criteri più stringenti l’altrimenti ondivago parametro della
“frequenza” della visita. Qualora invece si intendesse accedere a una lettura “soggettiva” del requisito in questione, si rischierebbe di rendere meno rigido il requisito della necessaria periodicità, compromettendo la determinatezza del criterio in questione.
Il riformato art. 11 ord. penit. introduce anche significative novità relative ai trattamenti sanitari da eseguire all’interno e all’esterno dell’istituto.
Il comma 12 estende i trattamenti sanitari che i detenuti e gli internati possono richiedere, a proprie spese, all’interno dell’istituto e da parte
di un esercente la professione sanitaria di fiducia. A venire in considerazione, infatti, solo non solo le visite, come previsto dal precedente comma 11, ma anche, e più in generale, i trattamenti medici, chirurgici e terapeutici (secondo quanto previsto dall’art. 17 comma 7 reg. penit., che
possono effettuarsi all’interno dell’istituto previo accordo con l’azienda
sanitaria competente 28.
Con specifico riferimento ai ricoveri in luoghi esterni di cura, deve
anzitutto precisarsi che il ricovero in strutture esterne costituisce uno
strumento residuale dell’assistenza sanitaria, al quale si può e si deve ricorrere solo nel caso in cui i servizi sanitari presenti presso gli istituti non
siano in grado di far fronte alle necessità terapeutiche del soggetto 29. La
valutazione relativa alla necessità del ricovero esterno, altrimenti detto,
richiede un giudizio complesso, che metta in relazione le condizioni cliniche del paziente con le effettive possibilità di cura offerte dal servizio
sanitario carcerario 30.
28
M. BORTOLATO, Luci ed ombre di una riforma a metà: i decreti legislativi 123 e 124
del 2 ottobre 2018, in Quest. giust., 2018 (3), p. 124.
29
G. CAMERA, Liberi, detenuti in carcere e ristretti in strutture dedicate: diverse prospettive del diritto alla salute, in La tutela della salute, cit., p. 113.
30
Di particolare interesse risulta sul punto Cass., 11 ottobre 2018, Franceschini, cit.,
in cui i giudici di legittimità, confermando la condanna del dirigente sanitario presso
una casa circondariale per omicidio colposo di un detenuto, hanno precisato che i profili di colpa attenessero non tanto alla inadeguatezza in sé del trattamento terapeutico
adottato nei confronti del paziente all’interno del centro diagnostico carcerario, quanto
piuttosto alla negligente e imprudente sottovalutazione delle condizioni di salute del de-
104
Antonella Massaro
III,3
Le innovazioni più significative apportate dal d.lgs. n. 123 del 2018 in
materia di ricoveri presso luoghi esterni di cura attengono indubbiamente
alla disciplina della competenza, rispetto alla quale il precedente assetto
normativo aveva determinato non poche incertezze applicative 31.
Il nuovo comma 4, più esattamente, introduce un riparto di competenza che segue la “posizione giuridica” del soggetto interessato dal provvedimento, distinguendosi tra imputati, da una parte, e condannati (e internati) dall’altra.
Per gli imputati provvede il giudice che procede; se si tratta di un
giudice in composizione collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente. Si precisa altresì che prima dell’esercizio dell’azione penale la
competenza spetti al Giudice per le indagini preliminari, oppure al pubblico ministero in caso di giudizio direttissimo e fino alla presentazione
dell’imputato in udienza per la contestuale convalida dell’arresto. Qualora sia stato proposto ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha
emesso il provvedimento impugnato.
Per i condannati e gli internati provvede invece il magistrato di sorveglianza. Il testo dell’art. 11 ord. penit. elaborato dalla Commissione
Pelissero prevedeva la possibilità per il magistrato di sorveglianza di delegare il direttore dell’istituto: lo scopo era chiaramente quello di velocizzare la procedura, individuando altresì il soggetto “più prossimo” al
detenuto. La competenza del direttore dell’istituto, pur non inserita nell’art. 11 ord. penit., è comunque prevista, come in passato, dall’art. 17
comma 8 reg. penit., il quale dispone che, «quando deve provvedersi
con estrema urgenza al trasferimento di un detenuto o di un internato
tenuto e alla incompatibilità delle stesse con il regime detentivo. Le reazioni psico-fisiche
del soggetto, infatti, erano fuori controllo e non più gestibili da parte dello stesso interessato, risultando inefficaci le cure psichiatriche e farmacologiche cui era stato sottoposto
presso il centro diagnostico del carcere. I sanitari, dunque, accordando prevalenza alla
salute del paziente rispetto alle esigenze generalpreventive connesse al regime carcerario,
avrebbero dovuto indirizzare il detenuto verso un trattamento medico da svolgere in una
struttura ospedaliera esterna e non in un contesto ristretto e disagevole come quello penitenziario. Cfr. M. CAREDDA, La salute e il carcere. Alcune riflessioni sulle risposte ai bisogni
di salute della popolazione detenuta, in www.costituzionalismo.it, 2015 (2), p. 12, la quale
segnala, tra le principali criticità “organizzative” relative alle prestazioni da eseguire in
luoghi esterni di cura, i ritardi causati dalle procedure di traduzione dei detenuti.
31
La Relazione illustrativa della proposta elaborata dalla Commissione Pelissero
evidenziava altresì i disservizi e i ritardi applicativi derivanti da una disciplina divisa tra
la normativa penitenziaria e il codice di procedura penale. Per una esaustiva ricostruzione, antecedente alla riforma, delle questioni relative all’individuazione dell’autorità
competente si rinvia ad A. BERNASCONI, Sub art. 11, cit., p. 129 s.
III,3
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
105
in luogo esterno di cura e non sia possibile ottenere con immediatezza
la decisione della competente autorità giudiziaria, il direttore provvede
direttamente al trasferimento, dandone contemporanea comunicazione
alla predetta autorità» 32.
La nuova ripartizione di competenze è stata oggetto di giudizi contrastanti. Secondo alcuni, il nuovo art. 11 ord. penit. avrebbe razionalizzato il sistema, distinguendo nettamente gli imputati dai condannati e
internati: anche la mancata riproposizione della possibilità di delega al
direttore dell’istituto, secondo questa lettura, risponderebbe a una condivisibile esigenza di semplificazione 33. In senso contrario, non solo si è
criticato l’accresciuto potere attribuito al giudice che procede a discapito del magistrato di sorveglianza, ma si è anche osservato che la possibilità di delega al direttore dell’istituto avrebbe consentito, almeno dei casi più urgenti, un intervento maggiormente tempestivo 34.
Una delle questioni di più evidente interesse, che si pone in termini
pressoché coincidenti per l’autorizzazione prestata alle cure all’interno e
all’esterno dell’istituto, è quella che attiene alla possibilità di un controllo giurisdizionale sulle scelte dell’autorità di volta in volta competente.
La giurisprudenza prevalente ritiene non impugnabili il provvedimento
che nega l’autorizzazione a sottoporsi a proprie spese a visite o trattamenti eseguiti da un medico di fiducia e quello che nega il ricovero in
strutture esterne di cura, poiché si tratterebbe di atti di natura meramente amministrativa, che non inciderebbero sulla libertà personale,
ma unicamente sulle modalità di detenzione 35. Questa soluzione, almeno nella sua assolutezza, non manca di suscitare perplessità, posto che a
venire in considerazione sono provvedimenti potenzialmente in grado
di limitare l’esercizio dei diritti da parte del ristretto. In presenza di un
provvedimento dell’autorità amministrativa, un rimedio potrebbe essere
offerto dal reclamo giurisdizionale di cui all’art. 35-bis ord. penit. 36, che,
Ad avviso di A. DELLA BELLA, Riforma dell’ordinamento penitenziario, cit., § 4,
potrebbero porsi dubbi di legittimità costituzionale in riferimento alla competenza del
direttore che, in assenza di una esplicita “base legale”, sia fondata sulla sola previsione
regolamentare.
33
M. BORTOLATO, Luci ed ombre di una riforma a metà, cit., p. 124.
34
A. DELLA BELLA, Riforma dell’ordinamento penitenziario, cit., § 4.
35
Tra le più recenti Cass., 7 giugno 2002, Calzolaio, in C.e.d., n. 221856; Cass., 25
marzo 2009, Simoncelli, ivi, n. 243314. Amplius, anche per ulteriori riferimenti, G.
CAMERA, Liberi, detenuti in carcere e ristretti, cit., p. 133 s.
36
L’art. 69 comma 6 lett. b ord. penit., in effetti, fa generico riferimento all’inosser32
106
Antonella Massaro
III,4
almeno stando alla lettera della legge, ben potrebbe trovare applicazione anche riguardo ai provvedimenti emessi sulla base dell’art. 11 ord.
penit. È tuttavia significativo che la Corte di cassazione abbia ribadito il
proprio orientamento restrittivo anche dopo l’introduzione dell’art. 35bis ord. penit., il quale troverebbe applicazione solo per i diritti di cui
all’art. 3 c.e.d.u. 37.
Il comma 5 dell’art. 11 ord. penit., riproducendo pressoché integralmente la formulazione del precedente comma 3, muove dalla premessa di
un generale obbligo di piantonamento per i detenuti ammessi al ricovero
esterno 38, ferma restando la possibilità di stabilire diversamente quando
non vi sia pericolo di fuga e il piantonamento non si renda necessario per
la tutela dell’incolumità del detenuto o di soggetti terzi. Risulta invece più
ampia rispetto al passato la responsabilità per evasione del soggetto che si
allontani dal luogo di diagnosi o di cura senza giustificato motivo: secondo il nuovo comma 6, l’art. 385 c.p. si applica indipendentemente dal fatto che il soggetto fosse o meno sottoposto a piantonamento, mentre il
precedente comma 4 faceva riferimento solo a quest’ultima ipotesi.
4. L’assistenza sanitaria sul banco di prova delle questioni di genere: transessualismo e carcere.
Di particolare interesse risulta il comma 10 dell’art. 11 ord. penit., se
non altro perché rappresenta un primo passo verso il progressivo infrangersi della impermeabilità mostrata dall’ordinamento penitenziario, anche per comprensibili ragioni storiche, nei confronti delle tematiche di
vanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla legge sull’ordinamento penitenziario e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato
un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti. Per un generale inquadramento dell’art. 35-bis ord. penit., a titolo meramente esemplificativo, L. MARAFIOTI, Il procedimento per reclamo, in P. CORSO (a cura di), Manuale della esecuzione penitenziaria, Monduzzi, 2015, p. 341 s.; M. BORTOLATO, Torreggiani e rimedi ‘preventivi’: il nuovo reclamo giurisdizionale, in www.archiviopenale.it, 2014 (2), p. 1 s.; F. FIORENTIN, Il reclamo
giurisdizionale” per la tutela dei diritti delle persone detenute e internate, in Rass. penit.
e criminologica, 2013 (2), p. 235 s.
37
Cass., 7 aprile 2015, Bindi, in C.e.d., n. 264292, con l’ulteriore precisazione per
cui la tutela dell’integrità fisica del detenuto sarebbe già assicurata tramite il differimento facoltativo o obbligatorio dell’esecuzione della pena.
38
M. CANEPA-S. MERLO, Manuale di diritto penitenziario, X ed., Giuffrè, 2010, p. 142.
III,4
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
107
genere. La disposizione in questione, più esattamente, assicura ai detenuti e agli internati che abbiano già in corso un programma terapeutico
relativo alla rettificazione di attribuzione di sesso (legge 14 aprile 1982,
n. 164) la prosecuzione del programma e il necessario supporto psicologico.
La necessità di continuare e monitorare una terapia ormonale particolarmente complessa, da un punto di vista tanto fisico quanto psicologico 39 è talmente autoevidente da non richiedere considerazioni ulteriori. Il tassello in questione, tuttavia, si inserisce in un mosaico ancora in
fase di allestimento, a partire dall’esigenza di predisporre adeguate condizioni di trattamento per detenuti transessuali: questi ultimi, infatti,
sono attualmente assegnati alle sezioni maschili, a quelle femminili o a
“sezioni apposite”, magari insieme ai sex offenders (non a caso l’altra categoria di detenuti per cui l’art. 13-bis ord. penit. fa esplicito riferimento a un trattamento di tipo psicologico). Poiché le assegnazioni in questione sono rimesse a scelte discrezionali e “non controllabili” dell’amministrazione penitenziaria, un effettivo innalzamento del livello di tutela, inteso anzitutto come apprezzabile miglioramento delle condizioni di
detenzione dei transessuali, sembrerebbe direttamente proporzionale al
grado e alle modalità di attuazione delle disposizioni contenute nell’art.
14 comma 5 così come modificato dallo stesso d.lgs. n. 123 del 2018. Il
comma in questione precisa che l’assegnazione dei detenuti e degli internati, per i quali si possano temere aggressioni o sopraffazioni da parte della restante popolazione detenuta, in ragione solo dell’identità di
genere o dell’orientamento sessuale, deve avvenire, per categorie omogenee, in sezioni distribuite in modo uniforme sul territorio nazionale
previo consenso degli interessati i quali, in caso contrario, saranno assegnati a sezioni ordinarie. L’obiettivo delle nuove previsioni, secondo alcuni, sarebbe proprio quello di andare verso il definitivo superamento
delle c.d. sezioni protette 40. Il rischio sempre presente è però quello di
una tacita “istituzionalizzazione” delle sezioni “ghetto” per omosessuali e
transessuali, con la conseguente esclusione, sia pur solo di fatto, dai percorsi trattamentali cui hanno accesso gli altri detenuti 41: non a caso il
legislatore della riforma ha sentito l’esigenza di ribadire che resta comunA. DELLA BELLA, Riforma dell’ordinamento penitenziario, cit., § 4.
M. BORTOLATO, Luci ed ombre di una riforma a metà, cit., p. 125.
41
V. sul punto le dichiarazioni rilasciate dal Garante nazionale Mauro Palma, a seguito della visita eseguito presso il carcere di Gorizia, riportate in www.ilfattoquotidiano.it, 9
maggio 2016.
39
40
108
Antonella Massaro
III,4
que garantita la partecipazione alle attività trattamentali dei soggetti in
questione, eventualmente insieme alla restante popolazione detenuta.
4.1. Le detenute.
Al di là delle questioni poste dalla condizione di transessualismo che,
almeno per ciò che attiene alla fase di mutamento di sesso, il legislatore
ha inserito in maniera diretta nella cornice dell’assistenza sanitaria, una
“prospettiva penitenziaria di genere” implica necessariamente un riferimento alla condizione “normativa” delle donne detenute. Anche la condizione femminile in carcere, in effetti, trova uno specifico riconoscimento nell’art. 11 ord. penit., il cui comma 8 prevede che in ogni istituto penitenziario sono in funzione servizi speciali per l’assistenza sanitaria alle
gestanti e alle puerpere. La donna, altrimenti detto, viene in considerazione in quanto madre, secondo cadenze che, lungi dal contraddistinguere la sola dimensione della tutela della salute, sono quelle caratteristiche dell’intera disciplina di settore, dalla fase cautelare fino a quella
esecutiva in senso stretto 42.
Il divieto di discriminazione per ragioni legate al sesso, all’identità di
genere e all’orientamento sessuale compare nel nuovo testo dell’art. 1
comma 1 ord. penit., come riformato dal d.lgs. n. 123 del 2018 43. In riferimento alle donne detenute, rimangono inalterate le precedenti disposizioni relative, in particolare, alla necessità di predisporre in ogni
“istituto penitenziario per donne” (anche se spesso si tratta di mere “sezioni femminili”) servizi speciali per l’assistenza sanitaria alle gestanti e
alle puerpere. Il fatto che quello italiano, anche per ragioni legate alla
bassa percentuale di detenute, “non sia un ordinamento penitenziario
per donne” non sembra potersi seriamente mettere in discussione. Una
maggiore attenzione alla condizione di detenzione della donna, indipendentemente dal fatto che la stessa sia anche madre, consentirebbe
forse un avanzamento più deciso verso un’uguaglianza sostanziale dei
detenuti e delle detenute. Ancora insufficienti, in effetti, sembrano le
sparute disposizioni relative alla condizione femminile in carcere, pure
introdotte dallo stesso d.lgs. n. 123 del 2018: il riferimento è all’art. 14
42
G. CAMERA, Liberi, detenuti in carcere e ristretti, cit., p. 125 s. Si rinvia, anche per
ampi riferimenti bibliografici a D.M. SCHIRÒ, voce Detenute madri, in Dig. pen., Agg.,
Utet, 2016, p. 242 s.
43
V. supra, Cap. I.
III,5
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
109
ord. penit., il quale ribadisce che le donne sono ospitate in istituti separati da quelli maschili o in apposite sezioni, con la precisazione per cui il
numero deve essere tale da non compromettere le attività trattamentali;
all’art. 19 ord. penit., che assicura la parità di accesso delle donne detenute e internate alla formazione culturale e professionale; all’art. 31 ord.
penit., che introduce “quote rosa” per le rappresentanze dei detenuti e
degli internati negli istituti che ospitano sezioni femminili.
Pur senza entrare nel dettaglio di problematiche che meriterebbero
un diverso grado di approfondimento, può solo precisarsi che anche la
“donna in quanto tale”, considerata cioè indipendentemente dalla maternità e dal rapporto con la prole, è portatrice di esigenze di salute specifiche, come evidenziato da quella che non si esita a definire una “medicina di genere”. Di qui, per esempio, la rinnovata attenzione per l’esigenza di carceri interamente femminili che, meglio di sparute sezioni
allestite in istituti maschili, sarebbero in grado di valorizzare le specifiche esigenze di tutela delle donne ristrette sul versante del diritto alla
salute 44.
5. La malattia psichiatrica in carcere: il perdurante (e intollerabile)
silenzio da parte del legislatore e l’intervento della Corte costituzionale.
L’ampio e dibattuto percorso che ha condotto all’approvazione della
recente riforma penitenziaria rende pressoché inevitabile che l’attenzione sia rivolta non solo alle modifiche effettivamente approvate, ma anche alle questioni sulle quali il legislatore ha scelto di non pronunciarsi.
In riferimento all’art. 11 ord. penit. le omissioni più evidenti riguardano
senza dubbio il tema della malattia mentale 45.
Nonostante da tempo si denunci la sussistenza di una vera e propria
“emergenza psichiatrica” che si consuma giornalmente negli istituti di
44
M. GRAZIOSI, Salute della donna e detenzione, all. 3 del Tavolo 3 “Donne e carcere” degli Stati generali dell’esecuzione penale, in www.giustizia.it (archivio, Stati generali esecuzione penale 2015-2016), p. 2.
45
M. PELISSERO, Salute mentale e carcere: una necessità dimenticata, in Quest. giust.,
2018 (3), p. 133 s. C. FIORIO, Carcere: la riforma dimezzata, cit., p. 744. Preziose indicazioni al riguardo sono offerte anche dal Comitato Nazionale per la Bioetica, con il recente parere Salute mentale e assistenza psichiatrica in carcere, 22 marzo 2019.
110
Antonella Massaro
III,5
pena e che gli operatori si trovano spesso ad affrontare senza una necessaria formazione, la perdurante assenza di una disciplina organica relativa al trattamento della malattia mentale in carcere, più che come un’occasione mancata, suona come un ingiustificato e ingiustificabile silenzio.
L’impressione è quella per cui si muova, sia pur implicitamente, da
un’artificiosa separazione tra l’esecuzione delle pene e quella delle misure di sicurezza, riconducendo la malattia mentale al solo ambito applicativo delle seconde. In realtà, non solo si può arrivare in carcere con
patologie psichiatriche pregresse, non solo la patologia psichiatrica può
insorgere durante l’esecuzione della pena, ma si rende altresì necessario
fare i conti con i rapporti reciproci tra le anime del doppio binario sanzionatorio e, più esattamente, con il coordinamento tra il carcere e il sistema delle REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). A questo proposito vale la pena precisare che quel processo di definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), forse
troppo enfaticamente annunciato dal d.l. 22 dicembre 2011 n. 211, conv.
nella legge 17 febbraio 2012, n. 9, è per molti aspetti ancora in corso,
rendendo dunque inopportuno un bilancio di quello che, in ogni caso,
ha rappresentato un necessario scatto d’orgoglio sul piano politico-culturale 46. Sarebbe tuttavia altrettanto riduttivo minimizzare le disfunzioni che si stanno registrando a livello operativo e che, per restare alle più
evidenti ripercussioni sul carcere, sono anzitutto la conseguenza del limitato numero di posti (pari a venti) legislativamente imposto a ciascuna REMS 47: si pensi alle poco ortodosse “lista d’attesa” di soggetti che,
pur destinati al ricovero nelle REMS, si trovano temporaneamente ristretti in carcere, richiedendo agli istituti di pena una difficoltosa predisposizione di “estemporanee” articolazioni psichiatriche 48. Se alle criticità
V. in particolare C. MAZZUCATO-G. VARRASO, Chiudere o … aprire? Il “superamento” degli OPG tra istanze di riforma e perenni tentazioni di “cambiare tutto per non cambiare niente”, in Riv. it. medicina legale, 2013, p. 1343. Amplius, soprattutto per indicazioni
bibliografiche ulteriori, si rinvia ad A. MASSARO, Sorvegliare, curare e non punire: l’eterna
dialettica tra “cura” e “custodia” nel passaggio dagli ospedali psichiatrici giudiziari alle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, in Riv. it. medicina legale, 2015, p. 1357 s.
47
Per un approccio “operativo” alla questione P. DI NICOLA, Vademecum per tentare di affrontare (e risolvere) il problema dell’assenza di posti nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), in Dir. pen. cont., 13 dicembre 2017.
48
Valgano per tutte le preoccupazioni espresse dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nella circ. 5 dicembre 2018: «a ciò devesi aggiungere la inadeguata
attivazione delle istituite REMS, in luogo degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari: la loro
numerica insufficienza e la loro incompiuta distribuzione ha prodotto come conse46
III,5
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
111
in questione non sarà fornita una risposta convincente in tempi brevi, il
rischio ulteriore è quello che il clima di generalizzato sfavore nei confronti delle misure di sicurezza custodiali, unito alle innegabili difficoltà
di gestione di un sistema i cui meccanismi non risultano ancora perfettamente oliati, possa “indurre” un eccesso di prudenza nell’accertamento del vizio di mente, specie in ragione delle criticità che caratterizzano
il giudizio in questione. Il poco auspicabile risultato sarebbe quello di
contare meno internati e più detenuti con patologie mentali, nel senso
di spostare dall’ospedale psichiatrico al carcere il “trattamento” del soggetto con problemi di natura psichiatrica.
A fronte di questa situazione indubbiamente complessa, la proposta
della Commissione Pelissero si proiettava in un orizzonte ambizioso, anzitutto per il carattere sistematico con il quale si affrontava il tema della
malattia mentale dei soggetti ristretti. Non solo, infatti, si introducevano
specifiche e più esplicite disposizioni sul versante della sanità penitenziaria in senso stretto, ma si valorizzavano in maniera consistente i percorsi alternativi al carcere 49: in questa direzione si muovevano, in particolare, le proposte di modifica degli artt. 147 e 148 c.p. nonché dell’art.
147-ter comma 1-ter ord. penit., introducendo poi l’art. 47-septies ord.
penit., al fine di intervenire sulla disciplina della infermità psichica sopravvenuta e sul trattamento sanzionatorio dei soggetti a capacità diminuita. Senza contare che la stessa Commissione aveva lavorato alla possibile riforma delle misure di sicurezza personali 50, nell’ambito di una proguenza una quantità importante di detenuti, inseriti nel circuito penitenziario per la
gestione dei problemi psichici-psichiatrici. Il passaggio dagli OPG alle REMS ha prodotto una criticità, non tutte risolte o risolvibili: le REMS attualmente in funzione accolgono un numero limitato e definito (venti internati al massimo) di soggetti inclusi,
lasciando una cospicua quantità di soggetti, che avrebbero diritto al trattamento in queste strutture, nei vari istituti di pena: di conseguenza, si sono dovute attrezzare (e non
sempre ci si è riusciti) articolazioni psichiatriche all’interno del carcere, con le difficoltà
che una struttura di custodia può avere nel gestire questo tipo di pazienti. Le criticità
principali al momento nascono da un numero elevato di soggetti con patologie psichiatriche, che sono ristretti in carcere lista di attesa: queste sono trenta in tutta Italia e
possono dunque accogliere un numero massimo di seicento pazienti. Trattandosi di
materia di esclusiva competenza delle autonomie regionali, l’unica iniziativa che potrà
adottare il Dipartimento è compiere attività di sensibilizzazione e di promozione fattiva
con le medesime Regioni per superare il torpore in cui versa l’intero sistema».
49
M. PELISSERO, Salute mentale e carcere, cit., p. 133 s.
50
Riassuntivo del dibattito alimentato dalla proposta di riforma risulta lo scambio
di opinioni tra M. IANNUCCI-G. BRANDI, Il reo folle e le modifiche dell’ordinamento penitenziario, in Dir. pen. cont., 2018 (2), p. 87 s.; M. PELISSERO, Sanità penitenziaria e
112
Antonella Massaro
III,5
spettiva di riforma la quale, lungi dal limitarsi a un intervento “a valle”,
risalisse la corrente delle criticità che, specie dopo il passaggio dagli OPG
alle REMS, caratterizzano in maniera evidente il doppio binario sanzionatorio. La visione di sistema è andata irrimediabilmente perduta nel testo giunto a definitiva approvazione, permeato, nel suo complesso, da una
prospettiva carcerocentrica da cui trasuda diffidenza e sfavore nei confronti di qualsiasi percorso extramurario.
Come spesso accaduto nella “storia del diritto penitenziario”, è stata
la Corte costituzionale a colmare, almeno in parte, la lacuna ravvisabile
sul versante delle alternative extracarcerarie per i soggetti affetti da infermità psichica. Con la sent. n. 99 del 2019 il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter comma 1-ter ord.
penit. nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di grave infermità
psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione al condannato della c.d. detenzione domiciliare in deroga 51.
Le motivazioni della Corte ruotano anzitutto attorno all’art. 148 c.p.,
la cui formulazione risente in maniera evidente di un orizzonte culturale
fondato sulla logica dell’internamento come unica reazione alla malattia
mentale: i detenuti malati psichici potevano (e dovevano) essere allontanati dal carcere per le difficoltà della convivenza con gli altri detenuti e in
ragione del fatto che la loro condizione era considerata strutturalmente
incompatibile con qualsiasi prospettiva di rientro nella vita sociale 52.
Sebbene l’art. 148 c.p., con l’anacronistico riferimento terminologico all’istituzione manicomiale, non risulti formalmente abrogato, il suo ambito
di applicazione è stato progressivamente eroso 53, prima con la chiusura
doppio binario. Alcune puntualizzazioni a margine di “Il reo folle e le modifiche dell’ordinamento penitenziario”, in Dir. pen. cont., 21 febbraio 2018; M. IANNUCCI-G. BRANDI,
Il reo folle e doppio binario. Una risposta alle osservazioni del prof. Marco Pelissero, in
Dir. pen. cont., 13 marzo 2018.
51
Corte cost., 20 febbraio 2019, n. 99. A questo risultato era già pervenuta una parte della magistratura di sorveglianza: il riferimento è anzitutto a Trib. Sorv. Messina, 28
febbraio 2018, in Dir. pen. cont., 14 maggio 2018: muovendo dalla premessa di una tacita abrogazione dell’art. 148 c.p. a seguito della chiusura degli OPG, il Tribunale aveva ritenuto ammissibile una estensione analogica (perché in bonam partem) della disciplina prevista dagli artt. 147 e 47-ter comma 1-ter ord. penit. all’ipotesi in cui sopraggiunga, in corso di esecuzione della pena, un’infermità psichica.
52
Corte cost., 20 febbraio 2019, n. 99, § 3.1. del Considerato in diritto.
53
Per considerazioni critiche relative ad alcuni aspetti della disciplina ricavabile dall’art. 148 c.p. v. già G. VASSALLI, Fine poco gloriosa di una norma poco civile: l’art. 148
c.p., in Giur. cost., 1975, I, 2021 s.
III,5
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
113
degli ospedali psichiatrici civili per effetto della c.d. legge Basaglia (legge
13 maggio 1978, n. 180) e poi con il passaggio dal sistema degli OPG a
quello delle REMS. Le REMS, precisa la Corte costituzionale accogliendo sul punto la lettura offerta dal giudice a quo 54, non si sono limitate a
sostituire gli OPG attraverso un mero scambio di etichette formali: se, in
particolare, gli OPG erano destinati ad accogliere tutti i malati psichiatrici comunque venuti a contatto con la giurisdizione penale, le REMS hanno come unici destinatari i malati psichiatrici sottoposti a misura di sicurezza, perché ritenuti non imputabili o perché condannati per un delitto
non colposo a pena diminuita per cagione di infermità psichica 55.
L’ordinamento presenta quindi una evidente lacuna per tutti quei
detenuti affetti da infermità psichica sopravvenuta, i quali non hanno
accesso né alle REMS né alle misure alternative al carcere, almeno nei
casi in cui la pena residua superi i quattro anni di reclusione (escludendo, dunque, la possibile operatività della detenzione domiciliare ordinaria di cui al comma 1 dell’art. 47-ter ord. penit.).
Neppure potrebbe farsi riferimento alle disposizioni relative al rinvio
dell’esecuzione della pena. Il rinvio obbligatorio previsto dall’art. 146
comma 1 n. 3 c.p. non è suscettibile di applicazione generalizzata, posto
che non sempre la grave patologia psichica supera la “soglia” della malattia così avanzata da non rispondere più ai trattamenti disponibili e alle terapie curative. Quanto al rinvio facoltativo, l’art. 147 comma 1 n. 2
c.p. si applica ai soli casi di grave infermità fisica 56.
A fronte dell’intollerabile vuoto normativo apertosi nei confronti di
soggetti portatori di esigenze di tutela della salute non meno rilevanti di
quelle riconducibili alla malattia fisica, lo strumento più adeguato a evitare un contrasto con gli artt. 2, 3, 27 comma 3 e 117 comma 1 Cost. è
stato individuato nella detenzione domiciliare “umanitaria” o in “deroga”: si tratta infatti di una modalità di esecuzione della pena in posizione intermedia tra la detenzione in carcere e la piena liberazione del condannato e che, al tempo stesso, consente di mediare tra le esigenze legate al necessario controllo di soggetti pericolosi e quelle relative a una esecuzione della pena compatibile con il senso di umanità 57. Estendendo la
54
Cass., 23 novembre 2017, M.N., in Cass. pen., 2018, p. 2989, con osservazioni di
S. SCIPPA.
55
Corte cost., 20 febbraio 2019, n. 99, § 3.2. del Considerato in diritto.
56
Corte cost., 20 febbraio 2019, n. 99, § 3.3. del Considerato in diritto.
57
Corte cost., 20 febbraio 2019, n. 99, § 5.3. del Considerato in diritto: «in definiti-
114
Antonella Massaro
III,5
possibile applicazione dell’art. 47-ter comma 1-ter ord. penit. ai soggetti
affetti da infermità psichica sopravvenuta, la Corte costituzionale, in assenza di un pur invocato intervento diretto da parte del legislatore 58 e
affrancatasi definitivamente dalle pastoie dei rimedi “a rime obbligate” 59,
supplisce, almeno in parte, all’inerte immobilismo di un legislatore più
attento ad assecondare una bulimica espansione del diritto penale che
ad assicurare una esecuzione della pena i cui contenuti (prima ancora di
ogni discussione relativa alla sua funzione) siano davvero rispettosi dei
più basilari principi costituzionali.
Anche sul versante della sanità penitenziaria “in senso stretto”, il risultato della recente riforma dell’ordinamento penitenziario non si rivela più incoraggiante. Non si è esitato a denunciare la «puntigliosa soppressione di qualsiasi previsione […] indirizzata ad intercettare e a rispondere al disagio psichico di detenuti e internati» 60. Si registrerebbe,
anzi, un apparente arretramento di tutela, con particolare riferimento al
nuovo comma 2 dell’art. 11 ord. penit. Quest’ultima disposizione riproduce sostanzialmente il precedente comma 1, prevedendo che il serva, la detenzione domiciliare è uno strumento capace di offrire sollievo ai malati più
gravi, per i quali la permanenza in carcere provoca un tale livello di sofferenza da ferire
il senso di umanità: al tempo stesso, essa può essere configurata in modo variabile, con
un dosaggio ponderato delle limitazioni, degli obblighi e delle autorizzazioni secondo
le esigenze del caso: grazie a una attenta individuazione del luogo di detenzione, possono perseguirsi finalità terapeutiche e di protezione, senza trascurare le esigenze dei suoi
familiari e assicurando, al tempo stesso, la sicurezza della collettività».
58
Corte cost., 20 febbraio 2019, n. 99, § 3.1. del Considerato in diritto: «questa Corte, con una sentenza risalente, preso atto dell’insoddisfacente trattamento riservato all’infermità psichica grave, sopravvenuta alla condanna, ha richiamato il legislatore a “trovare una equilibrata soluzione” che garantisca ai condannati affetti da patologie psichiche “la cura della salute mentale – tutelata dall’art. 32 Cost. – senza che sia eluso il trattamento penale” (sent. n. 111 del 1996). A distanza di tanti anni, tale richiamo è rimasto inascoltato.
Pur consapevole che incombe sul legislatore il dovere di portare a termine nel modo migliore la già avviata riforma dell’ordinamento penitenziario nell’ambito della salute mentale, con la previsione di apposite strutture interne ed esterne al carcere, questa
Corte non può esimersi dall’intervenire per rimediare alla violazione dei principi costituzionali denunciata dal giudice rimettente, di modo che sia da subito ripristinato un adeguato bilanciamento tra le esigenze della sicurezza della collettività e la necessità di garantire il diritto alla salute dei detenuti (art. 32 Cost.) e di assicurare che nessun condannato sia mai costretto a scontare la pena in condizioni contrarie al senso di umanità
(art. 27 comma 3 Cost.), meno che mai un detenuto malato».
59
Corte cost., 20 febbraio 2019, n. 99, § 2.1. del Considerato in diritto.
60
A. DELLA BELLA, Riforma dell’ordinamento penitenziario, cit., § 4.
III,5
L’assistenza sanitaria in ambito penitenziario
115
vizio sanitario nazionale garantisca 61 la presenza in ogni istituto di un servizio sanitario rispondente alle esigenze profilattiche e di cura della salute di detenuti e internati, ma risulta soppresso l’inciso «dispone, inoltre, dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria». Si è ipotizzato
che la modifica in questione potrebbe integrare un eccesso di delega,
nella misura in cui il legislatore delegato è intervenuto in materia di assistenza psichiatrica operando in una direzione esattamente speculare rispetto a quella indicata nella legge delega 62. La soppressione, forse, potrebbe giustificarsi in ragione del più generico riferimento a un «servizio
sanitario» adeguato, in luogo della precedente e più settoriale espressione «servizio medico e servizio farmaceutico»: potrebbe ritenersi, in altri
termini, che il generico concetto di “servizio sanitario”, includendo di
fatto anche quello psichiatrico, abbia reso superfluo l’inciso posto a conclusione del precedente comma 1.
Quel che è certo è che ormai da troppo tempo l’atteggiamento nei
confronti della malattia mentale dei soggetti ristretti è trattata come si fa
con la polvere che si nasconde sotto il tappeto. Si continua a voltare lo
sguardo a fronte di una realtà dolorosa, complessa da gestire, apparentemente relativa a una minoranza, ma che in realtà rappresenta uno dei
possibili punti di cedimento di un sistema di assistenza sanitaria adagiato su delle fondamenta che, nella loro struttura complessiva, si rivelano
ancora troppo fragili e incerte.
61
La disposizione del comma 2 è in realtà priva di un soggetto cui riferire il verbo
«garantisce», soggetto che va quindi mutuato dal precedente comma 1 e identificato
nel «servizio sanitario nazionale».
62
A. DELLA BELLA, Riforma dell’ordinamento penitenziario, cit., § 4.
116
Antonella Massaro
III,5
INDICE
pag.
V
Gli Autori
PRESENTAZIONE
VII
INTRODUZIONE
UN GRANDE FUTURO DIETRO ALLE SPALLE.
QUALCHE RIFLESSIONE INTRODUTTIVA
di Glauco Giostra
IX
PARTE PRIMA
DALLA LEGGE DELEGA
AI DECRETI DELEGATI
I
L’ITER DI ATTUAZIONE DELLA DELEGA: UN PERCORSO
TORMENTATO
di Elisabetta Frontoni
1.
2.
3.
4.
Premessa
La legge delega e i Tavoli dell’esecuzione penale
L’attuazione della delega. Il complesso iter di formazione dei decreti legislativi “a cavallo” fra due legislature
Considerazioni conclusive: una riforma tradita
3
4
9
13
326
Indice
pag.
PARTE SECONDA
I PROFILI “SOSTANZIALI”
I
LE NUOVE COORDINATE CONCETTUALI
DEL TRATTAMENTO PENITENZIARIO
di Fabio Gianfilippi
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Premessa
L’art. 1 ord. penit., i principi costituzionali e le Regole penitenziarie europee
Il diritto al trattamento imparziale
Responsabilizzazione e sorveglianza dinamica
Il trattamento individualizzato
La riflessione critica e le conseguenze per la vittima
Gli elementi del trattamento
Il programma di trattamento e il regime disciplinare
L’effettività rieducativa delle pene e il ruolo del magistrato di sorveglianza
21
24
28
31
34
36
39
42
43
II
IL RIORDINO DELLE CONDIZIONI GENERALI
DELLA VITA PENITENZIARIA
E L’IRRISOLTO NODO DELL’AFFETTIVITÀ
di Laura Cesaris
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
Premessa
Interventi a tutela della dignità
Interventi di responsabilizzazione
Nuova linfa per gli strumenti risocializzanti
La nuova disciplina dell’isolamento
Le modifiche in tema di regime disciplinare
I colloqui con il difensore e con i garanti dei diritti dei detenuti
Affettività e carcere
Segue: la sessualità negata
I contatti con la famiglia
47
52
61
64
67
69
72
77
81
86
Indice
327
pag.
11. Segue: i colloqui telefonici
12. Chiosa
89
91
III
L’ASSISTENZA SANITARIA IN AMBITO PENITENZIARIO
di Antonella Massaro
1.
2.
3.
4.
5.
La dialettica tra “salute” e “sicurezza”, le criticità dell’assistenza
sanitaria in ambito penitenziario e la necessità di una riforma
L’art. 11 ord. penit.: i principi generali e la visita medica di ingresso
L’assistenza sanitaria durante la permanenza in istituto e il ricovero in luoghi esterni di cura
L’assistenza sanitaria sul banco di prova delle questioni di genere: transessualismo e carcere
4.1. Le detenute
La malattia psichiatrica in carcere: il perdurante (e intollerabile)
silenzio da parte del legislatore e l’intervento della Corte costituzionale
93
98
101
106
108
109
IV
IL LAVORO COME FULCRO
DEL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO
di Pasquale Bronzo
SEZIONE PRIMA
LE MODIFICHE IN TEMA DI LAVORO PENITENZIARIO
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Il “problema” del lavoro penitenziario
Le riforme mancate
L’obbligo del lavoro: un paradosso da cancellare
3.1. L’eliminazione dell’obbligatorietà
Le altre modifiche all’art. 20 ord. penit.
La remunerazione
Gli altri interventi
117
125
128
134
136
142
146
328
Indice
pag.
SEZIONE SECONDA
I PROGETTI DI PUBBLICA UTILITÀ
1.
2.
3.
4.
5.
La scarsa fortuna del public work penitenziario
I progetti di pubblica utilità: l’art. 20-ter ord. penit.
Le preclusioni
L’ipotesi della premialità
I profili problematici
150
152
156
158
161
V
VESTIGIA DI UNA RIFORMA MANCATA:
IL NUOVO ASSETTO DELLE MISURE ALTERNATIVE
FRA OSSERVAZIONE ALL’ESTERNO, POTENZIAMENTO
DEI CONTROLLI E RIVISITATI POTERI D’INIZIATIVA
di Stefania Carnevale
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Considerazioni inattuali: il disegno perduto in materia di misure
alternative
L’osservazione della personalità in ambiente esterno: le ragioni
del recupero di un passaggio disperso
Modi, tempi e caratteri dell’osservazione all’esterno
Incidenza dell’osservazione all’esterno sui rapporti fra giurisdizione di cognizione e di sorveglianza: l’approdo a un modello
tendenzialmente bifasico per le pene brevi
La nuova disciplina dei controlli sull’esecuzione delle misure alternative
La rivitalizzazione del potere di iniziativa per gli strumenti di reinserimento sociale
165
170
175
183
188
194
Indice
329
pag.
PARTE TERZA
I PROFILI “PROCESSUALI”
I
LE MODIFICHE AI CRITERI DI RIPARTO
DELLE COMPETENZE
di Paola Spagnolo
1.
2.
3.
Un’esigenza di semplificazione
Le modifiche in materia di controllo sulla corrispondenza
Segue: e di permessi di necessità
205
207
213
II
LE MODIFICHE ALLE PROCEDURE DI SORVEGLIANZA
di Fabio Fiorentin
1.
2.
3.
4.
5.
Premessa
L’intervento sull’art. 656 c.p.p.
Le modifiche all’art. 678 commi 1 e 1-bis c.p.p.
3.1. La nuova disciplina per la definizione agevolata dei procedimenti di concessione delle misure alternative alla detenzione nel caso di condannati “liberi sospesi” e pene non superiori a diciotto mesi (art. 678 comma 1-ter c.p.p.)
La riforma dell’art. 51-bis ord. penit.
La novella dell’art. 51-ter ord. penit.
221
222
228
232
238
242
III
LE MODIFICHE AL PROCEDIMENTO DI RECLAMO
EX ART. 35-BIS ORD. PENIT.
di Agata Ciavola
1.
2.
3.
4.
L’effettività dei diritti fondamentali
Il procedimento di reclamo
I diritti partecipativi dell’amministrazione
Le garanzie partecipative del detenuto
247
251
252
259
330
Indice
pag.
5.
6.
La mancata abrogazione del doppio grado di merito
L’effetto sospensivo del reclamo giurisdizionale alla luce del principio di effettività della tutela preventiva
261
264
IV
L’UTILIZZO DEI COLLEGAMENTI AUDIOVISIVI
di Silvia Buzzelli
1.
2.
3.
4.
5.
Cronache legislative
Scopi diversi, un solo criterio
Conseguenze: la cattiva legislazione scaccia la buona
“Semplificazione” del procedimento di sorveglianza?
Aggiramento delle questioni di fondo
269
272
273
276
280
PARTE QUARTA
OPINIONI
I
LA RIFORMA “MUTILATA”
di Francesco Petrelli
1.
2.
3.
4.
5.
La violenza della cancellazione
La “riserva” di carcere
La vita detentiva, la tutela della salute e il lavoro penitenziario
Dalla pulsione securitaria al carcere come fine
Conclusioni
285
289
292
296
298
II
RIFLESSIONI SU UNA RIFORMA PERDUTA
di Riccardo De Vito
1.
2.
La fine di una stagione: dagli Stati generali alla “riscrittura” della riforma
I frutti avvelenati del colpo di spugna
301
303
Indice
331
pag.
3.
4.
5.
6.
Le promesse e la realtà
Il tradimento della riforma e il ruolo del giudice
Il pericolo dell’assuefazione
Post-scriptum. Sugli aspetti positivi
305
307
309
311
POSTFAZIONE
IL CARCERE 1948-2019: DALLA RIVOLUZIONE PROMESSA
ALLA INVOLUZIONE REALIZZATA
di Giovanni Maria Flick
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
La Costituzione tenta di entrare in carcere
Segue: sia con l’art. 27 Cost., per i fini e per i modi del trattamento
Segue: sia con gli artt. 2 e 3 Cost., per l’attuazione dei diritti inviolabili e della pari dignità sociale
L’interruzione del percorso di giustizia riparativa, a fianco di
quella rieducativa e a completamento di quella retributiva
La recente svalutazione delle misure alternative a favore di un carcere sicuro perché duro
L’art. 41-bis ord. penit. e la tendenza agli automatismi, pietre miliari per la carcerazione
Dal carcere legato al fatto, a quello legato alla “diversità” della
persona e al “tipo di autore”
313
315
317
319
320
322
323
332
Indice
Finito di stampare nel mese di novembre 2019
nella Stampatre s.r.l. di Torino – via Bologna, 220