LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA
(SECC. XVI-XVII)*
1. Al centro di questo lavoro sono i provvedimenti di censura ed i vari sistemi di controllo adottati, nella penisola italiana del Cinque-Seicento, dalle
congregazioni romane del Sant’Uffizio e dell’Indice, nonché dagli organi
ecclesiastici periferici, nei confronti degli scritti di pietà. All’interno di un
panorama storiografico che negli ultimi tempi si è notevolmente arricchito
di ricerche di storia del libro, la prospettiva censoria, scelta per lo studio
di uno dei principali ambiti del libro di grande circolazione (in altri tempi
chiamato impropriamente ‘popolare’)1, contribuisce non solo ad individuare
alcune fra le più diffuse letture devozionali dell’epoca (con le loro tortuose
vicende di condanna), ma anche ad approfondire il controverso rapporto tra
gli Italiani e la lettura2. È quanto hanno dimostrato alcuni degli studi più
*
Abbreviazioni usate nel testo: ACDF (Archivio della Congregazione per la Dottrina della
Fede; Index: Archivio della Congregazione dell’Indice; S.O.: Archivio della Congregazione
del Sant’Uffizio; C.L.: Censura Librorum); ILI (Index des Livres Interdits, édité par J. M.
De Bujanda, 11 voll., Sherbrooke-Montréal-Genève, Centre d’Études de la Renaissance,
Université de Sherbrooke-Médiaspaul-Librairie Droz, 1984-2002).
1
Di libri, come quelli religiosi, di vasta diffusione si è molto parlato negli ultimi quaranta anni, a partire dalle ricerche famose di Carlo Ginzburg, Natalie Zemon Davis, Roger
Chartier e Bob Scribner, solo per citare alcuni dei nomi più significativi. Da ultimo, offre
un’aggiornata ed innovativa lettura della tematica, affrontata sul lungo periodo e con un’attenzione privilegiata sull’Italia, ma con un importante confronto europeo, il volume Libri per
tutti. Generi editoriali di larga circolazione tra antico regime ed età contemporanea, a cura di
L. Braida – M. Infelise, Torino, Utet, 2010.
2
La questione dei bassi livelli di alfabetizzazione in Italia tra Ottocento e Novecento (e
della maggiore e consueta ‘debolezza’ del meridione rispetto al nord della penisola) è stata
perlopiù al centro di lavori d’impostazione sociologica, tesi ad un’analisi al negativo della
problematica (la non lettura), spesso sulla base dei grossolani censimenti ottocenteschi e di
«Ricerche di Storia Sociale e Religiosa», A. XLVI, Numero 89 – Nuova Serie – Gennaio-Dicembre 2017, © 2017
Edizioni di Storia e Letteratura
ISSN (paper): 0392-1581 ISBN (paper) 978-88-9359-223-9 (e-book) 978-88-9359-224-6 – www.storiaeletteratura.it
70
MILENA SABATO
recenti sulla censura ecclesiastica, i quali hanno identificato nel Cinquecento
uno snodo fondamentale per intendere la questione3.
Per l’età a noi più vicina, tra l’Ottocento e il Novecento, è abbastanza chiaro cosa debba intendersi per un testo di pietà o di devozione: per i processi di
selezione che tale testo ha subito nel tempo, per i caratteri di uniformità e di
normatizzazione che le devozioni (e di conseguenza i testi) hanno gradualmente acquisito in seguito ai controlli da parte dell’autorità ecclesiastica, e per la
ridotta operosità di quanti nei secoli precedenti si erano dedicati in prevalenza
a fornire ai fedeli strumenti atti a incrementarne la pietà interiore e la pratica
devota. Più difficile è invece dare una definizione precisa del testo di devozione per i secoli dell’Età moderna, dal Cinque al Settecento, argomento di cui si
sono fatti interpreti, con innovazioni metodologiche e sempre nuove aperture
di campi d’indagini, soprattutto Giuseppe De Luca e Gabriele De Rosa4. In
tale periodo, in cui pure non mancarono modi stereotipati e ripetitivi (per la
forza e la continuità delle tradizioni religiose), il panorama si presenta estremamente vario e complesso, sebbene caratterizzato da un’eccezionale fioritura
di proposte religiose nate dalle spinte e dalle conquiste della Controriforma,
e solo un certosino lavoro di ricostruzione dei cataloghi storici (considerato
l’importante problema della conservazione) potrebbe aiutare a ricomporne le
offerte di lettura5. In senso lato, si è così scelto di intendere per testi di pietà o
di devozione tutti quei testi che raccontano il sentire religioso e la pratica religiosa dei fedeli espressi attraverso un insieme profondamente segmentato di
forme, modi ed orientamenti. Rientrano pertanto in tale categoria, fra i nume-
altri dati statistici, con tentativi poco convincenti di spiegarne le ragioni. Cfr. ibidem, pp. 4-9,
dove si affronta il problema da una prospettiva nuova, che tiene conto della vasta gamma
di letture (in particolar modo quelle prive di valore collezionistico) e dell’estrema variabilità
delle forme di fruizione del testo (collocate, ad esempio, ai confini tra oralità e scrittura).
3
Così, Gigliola Fragnito, ragionando anche sulla presunta non lettura degli Italiani, e
riferendosi soprattutto alla proibizione cinquecentesca della Bibbia in lingua volgare e di
tutta la produzione non latina, con considerazioni che vanno ben al di là di tale periodo,
ha parlato di una «coerente strategia volta a contenere la lenta, ma sicura espansione del
numero dei lettori», reagendo contro chi in tempi recenti ha teso a sminuire le conseguenze
repressive della Controriforma (Proibito capire. La Chiesa e il volgare nella prima età moderna, Bologna, il Mulino, 2005; citazione a p. 201).
4
Cfr. almeno G. De Luca, Introduzione alla storia della pietà, Roma, Edizioni di Storia
e Letteratura, 1962; G. De Rosa, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Roma-Bari,
Laterza, 1978.
5
Esiste difatti un problema di conservazione assai rilevante (che riguarda sia il passato
più remoto sia quello più recente), una sorta di pregiudiziale colta che seleziona libri e letture, e che, penalizzando sistematicamente i più diffusi e popolari, rende difficile ricostruire il
ventaglio completo delle letture di un’epoca; Libri per tutti, pp. 5-6.
LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)
71
rosissimi esempi che si potrebbero presentare, i libri di preghiere, dai più
semplici ai più complessi, accompagnati, ad esempio, da considerazioni o commenti di tipo etico, affettivo ecc., le raccolte di meditazioni sui misteri cristiani, i manualetti di preparazione ai sacramenti, gli scritti brevi di preparazione
ai quattro novissimi (morte, giudizio, inferno e paradiso), i testi di comportamento religioso e morale o riguardanti particolari forme di devozione (come
il Rosario, la Via Crucis e il Sacro Cuore). Vanno compresi, inoltre, tutti quei
testi finalizzati a guidare il devoto nel suo percorso, i quali divengono anche
strumento di conquista, di cura della salute e dell’anima e di conoscenza delle
gioie della fede (si pensi all’Arsenal divoto del teatino Girolamo Meazza, alla
Introduction à la vie dévote di san Francesco di Sales, alla Guida spirituale di
Miguel de Molinos, al trattato Della regolata divozion de’ cristiani di Ludovico
Antonio Muratori, o ancora al Combattimento spirituale del teatino Lorenzo
Scupoli, all’anonimo Arte della salute, e al Cibo dell’Anima, alle Delizie del
cristiano, alla Pietà ossequiosa, rispettivamente dei gesuiti Francesco Rainaldi,
Giuseppe Rainaldi e Carlo Gregorio Rosignoli). Un insieme di caratteristiche,
che rendono il testo di devozione non oggetto statico, ma mobile, per così
dire di ‘confine’ tra la lettura e la pratica religiosa individuale e collettiva,
specie se si considera il complesso rapporto, almeno duplice, che lega i testi
alle devozioni. Testi che, da un lato, attraverso tutti i loro sviluppi nel tempo
e la loro diffusione (favorita anche, in Europa e fuori d’Europa, dagli ordini
religiosi), divengono insostituibili nel far vivere forme di devozione e di pietà
unitarie e unificanti; e che, dall’altro, semplicemente incentivano le devozioni,
facendo spesso assumere ad esse una dinamica loro propria, affidata all’elaborazione interiore da parte dei fedeli o a stimoli ed elementi ‘esterni’ al testo
stesso, che contribuiscono a caratterizzarle ed arricchirle (si pensi alle forme di
meditazione favorite dalle pause del silenzio, o alla costruzione di spazi sacri,
all’istituzione di compagnie o gruppi devozionali, alla musica sacra e al canto
devoto, alla predicazione, alle festività e alle indulgenze)6. Schematizzando
6
Cfr., per informazioni più specifiche, U. Rozzo, Linee per una storia dell’editoria religiosa
in Italia (1465-1600), Udine, Arti Grafiche Friulane, 1993; Id., Editoria e storia religiosa (14651600), in Storia dell’Italia religiosa, a cura di G. De Rosa – T. Gregory – A. Vauchez, vol. II,
L’ Età moderna, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 137-166; Il libro religioso, a cura di U. Rozzo
– R. Gorian, Milano, Sylvestre Bonnard, 2002; E. Barbieri, Fra tradizione e cambiamento: note
sul libro spirituale del XVI secolo, in Libri, biblioteche e cultura nell’Italia del Cinque e Seicento,
a cura di E. Barbieri – D. Zardin, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 3-61; D. Zardin, Nutrire
con frutto l’«esperienza». Il libro devoto nell’Italia del Cinquecento, in Aspirazioni e devozioni.
Brescia nel Cinquecento tra preghiera e eresia, a cura di E. Ferraglio, Milano, Electa, 2006, pp.
36-51; Il libro religioso in Italia. Studi e ricerche, a cura di M. Lupi, Roma, Viella, 2008; M.
Rosa, L’ «Arsenal divoto»: libri e letture religiose nell’età moderna, in Libri per tutti, pp. 79-105.
72
MILENA SABATO
dal punto di vista temporale, ad affermarsi largamente nell’editoria religiosa
è dapprima la presenza domenicana (forte della straordinaria influenza, in
Italia, della spiritualità spagnola), affiancata e poi, dagli anni Novanta del
Cinquecento, sostituita da quella gesuitica, con la sua graduale esplosione di
scritti di meditazione e di devozione (inizialmente destinati ai membri della
Compagnia, ma presto utilizzati da una folla indifferenziata di fedeli), capaci
di investire sempre più largamente i modi stessi della sensibilità religiosa e le
forme della pratica devota. Sul finire del Seicento, contemporaneamente alle
tendenze contemplative del quietismo, si incontra lo sviluppo del ‘giansenismo
devoto’, con testi prevalentemente polemici, controversistici e apologetici che
col tempo mirano non solo a nutrire la pietà individuale, ma anche ad orientare i fedeli verso un più forte legame comunitario ecclesiale, basato sulla
preghiera pubblica e la celebrazione liturgica (assumendo caratteristiche simili
a quelle dei manuali confraternali, volti, dal canto loro, a favorire i legami di
gruppi e di ceti nelle confraternite)7.
2. S’intreccia a questa tematica ed alla pratica attiva di devozione e di pietà
la problematica della censura ecclesiastica sui libri, la quale, negli ultimi anni,
è stata al centro di un numero importante di studi di specialisti del mondo
moderno. Senz’altro determinante in tal senso è stata l’apertura al pubblico
degli studiosi, nel 1998, dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina
della Fede (con i fondi del Sant’Uffizio e dell’Indice), che ha favorito la ripresa dell’interesse verso la problematica e, più in generale, verso l’Inquisizione
ecclesiastica, con un avvio ampio e diffuso di ricerche e discussioni storiografiche, frenate, in passato, da una pesante eredità storica di matrice illuminista
e dal conseguente spessore delle convinzioni di tipo ideologico. Fonti fino a
poco tempo fa sconosciute, ponendo fine alle storie sui ‘misteri dell’Inquisizione’, hanno consentito di mettere a confronto le diverse posizioni storiografiche sull’istituzione, con l’esame oggettivo della documentazione originale, di
studiare casi e problemi solo parzialmente esplorati e di illuminare sul funzionamento degli organismi centrali, dopo anni di ricerca storica dedicata prevalentemente alle vittime dei tribunali ecclesiastici8. Sul fronte della censura
7
Si rinvia a Rosa, L’ «Arsenal divoto», pp. 83-91, ma si leggano le pagine a seguire (pp.
92-105), anche per gli sviluppi devozionali nel Settecento.
8
L’ apertura degli archivi del Sant’Uffizio romano. Atti della Giornata di studio. Roma,
22 gennaio 1998, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1998, e A dieci anni dall’apertura
dell’archivio della Congregazione per la dottrina della fede: storia e archivi dell’Inquisizione.
Atti del Convegno. Roma, 21-23 febbraio 2008, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2011.
Sull’universo storico delle Inquisizioni, cfr. oggi il ricco ed esauriente Dizionario storico
LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)
73
libraria, le conoscenze accumulate nel corso dei secoli (con lo studio di materiali inquisitoriali ‘tradizionali’) si sono sommate alle tante ricerche condotte
di recente sui nuovi materiali romani e su altri fondi documentari dello stesso
genere, europei e non, la cui accessibilità è stata anche indirettamente favorita
dall’apertura degli archivi vaticani. Si dispone oggi di una grande quantità di
dati sull’universo storico del proibito – con una prevalenza di studi, specie in
Italia, sul controllo della stampa da parte di istituzioni ecclesiastiche –, che ha
permesso di far luce sulle forme della censura e dell’autocensura e sui percorsi della lettura. Un’attenzione particolare è stata riservata all’organizzazione
centrale e periferica del controllo librario ed ai rapporti della Chiesa cattolica
con le varie e mutevoli forme dei poteri politici, all’applicazione pratica delle
norme censorie, ai settori della produzione editoriale più colpiti dalle proibizioni ed al progetto di espurgazione delle opere sospese9. Lo studio della macchina censoria è così entrato a far parte di una volontà di capire, all’interno di
un acceso dibattito, cause ed effetti della plurisecolare presenza della Chiesa
come potere nella vita religiosa e culturale della società moderna10. Preziosi
studi sono stati condotti, in particolare, sugli indici dei libri proibiti11, i quali
costituiscono una forma di censura peculiare del mondo cattolico, sebbene
cataloghi di libri ad uso censorio siano esistiti anche in altri contesti, come ad
esempio nell’Inghilterra del Seicento12. Nessun catalogo è tuttavia paragonabile, per vastità e sistematicità, al progetto bibliografico e censorio messo in
atto nel corso dei secoli dalla Chiesa di Roma13. Studi recenti, tenuto conto dei
lavori passati (incentrati prevalentemente sulle vicende esterne della formazio-
dell’Inquisizione, diretto da A. Prosperi, con la collaborazione di V. Lavenia e J. Tedeschi
(Pisa, Edizioni della Normale, 2010, 5 voll.).
9
Cfr., fra gli studi più recenti, G. Fragnito, Gli studi sulla censura ecclesiastica nella prima
età moderna: bilanci e prospettive, in Società, cultura e vita religiosa in età moderna. Studi in
onore di Romeo De Maio, a cura di L. Gulia – I. Herklotz – S. Zen, Sora, Centro di Studi
Sorani «Vincenzo Patriarca», 2009, pp. 163-176; V. Frajese, Censura libraria, in Dizionario
storico dell’Inquisizione, vol. I, pp. 324-328.
10
Sui termini del dibattito si legga G. Alessi, Discipline. I nuovi orizzonti del disciplinamento sociale, «Storica», 4 (1996), pp. 7-37; D. Zardin, Controriforma, Riforma cattolica,
cattolicesimo moderno: conflitti di interpretazione, in Identità italiana e cattolicesimo. Una
prospettiva storica. Atti del Convegno. Bergamo, 11-12 ottobre 2001, a cura di C. Mozzarelli,
Roma, Carocci, 2003, pp. 289-307 (in particolare pp. 298-300).
11
Cfr. ILI.
12
L. Balsamo, Vicende censorie in Inghilterra tra ’500 e ’600, in La censura libraria
nell’Europa del secolo XVI, Convegno Internazionale di Studi. 9-10 novembre 1995, a cura di
U. Rozzo, Udine, Forum, 1997, p. 38.
13
M. Infelise, I libri proibiti da Gutenberg all’Encyclopédie, Roma-Bari, Laterza, 1999,
pp. 31-42, 102-103; V. Frajese, Nascita dell’Indice. La censura ecclesiastica dal Rinascimento
74
MILENA SABATO
ne degli indici) e sulla base delle nuove fonti centrali, sono giunti ad una sua
corretta comprensione. Hanno precisato come l’indice (che ha valore di legge
religiosa e civile solo negli Stati che lo accolgono): sia parte di un progetto
più ampio, sia il risultato di diverse e spesso discordanti strategie censorie
messe in atto dalle congregazioni romane, sia uno strumento duttile ed abbia
comportato conseguenze sul sapere e sulla devozione tutt’altro che scontate14.
Quanto a quest’ultimo punto, ad esempio, la tesi secondo cui gli indici siano la
causa di una frattura nella circolazione del sapere tra il nord ed il sud Europa
appare oggi discutibile. Benché ‘universale’, l’indice romano è difatti accolto
variamente nel mondo cattolico (la Francia, ad esempio, lo ignora, e Spagna e
Portogallo possiedono indici compilati dalle Inquisizioni nazionali) ed anche
negli Stati italiani l’adozione dell’indice non è immediata, se non molto problematica (mentre si accetta perlopiù senza difficoltà quello tridentino)15.
Nella seconda metà del Cinquecento, mentre si allontana dalla penisola
italiana la minaccia di una diffusione dell’eresia, diviene una delle priorità
delle congregazioni romane – insofferenti delle mediazioni gerarchiche nel
rapporto con Dio – il controllo della religiosità dei ‘semplici’: molti testi
devozionali in volgare che da circa un secolo avevano alimentato la religiosità di fasce popolari di credenti, spesso rispondendo alle loro non poche
curiosità religiose, vengono proibiti e tolti dalla circolazione, in quanto
capaci di «guast[are] la religione cattolica»16. Lo sforzo di normalizzazione
della lettura imposto dagli indici si rivolge anche all’interno degli ordini
religiosi, esistendo il pericolo di una propaganda eterodossa dai pulpiti:
sul finire del Cinquecento (all’indomani della promulgazione dell’indice
clementino del 1596), la Congregazione dell’Indice promuove una colossale
indagine per appurare se le loro biblioteche (e quelle dei singoli religiosi)
alla Controriforma, Brescia, Morcelliana, 2006; J. M. De Bujanda, Indice dei libri proibiti,
Roma, in Dizionario Storico dell’Inquisizione, vol. II, pp. 782-783.
14
S. Landi, Stampa, censura e opinione pubblica in età moderna, Bologna, il Mulino,
2011, pp. 92-94.
15
M. Sabato, Logiche della censura libraria in Italia e in Spagna. Uno sguardo comparativo fra storiografia e forme d’intervento (secc. XVI-XVIII), in Arte e cultura del libro. Saggi
di bibliologia e di storia dell’editoria per i venti anni di «Rara Volumina», a cura di M. Paoli,
«Rara Volumina. Rivista di studi sull’editoria di pregio e il libro illustrato», XX (2013), 2 e
XXI (2014), 1-2 [ma: 2015], pp. 27-28.
16
Citazione in Libro e censure, a cura di F. Barbierato, introduzione di M. Infelise,
Milano, Sylvestre Bonnard, 2002, p. 12. La stessa capacità di lettura si era andata evolvendo
proprio grazie a nuovi strumenti di autoapprendimento di argomento religioso redatti direttamente nella lingua volgare. Cfr. P. Lucchi, La Santacroce, il Salterio e il Babuino. Libri per
imparare a leggere nel primo secolo della stampa, «Quaderni storici», 38 (1978), pp. 593-630.
LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)
75
contengano libri proibiti17. Con un crescendo sul finire del secolo, la censura ecclesiastica opera pertanto anche nei confronti di quei libri indirizzati
all’accrescimento e al mantenimento della devozione del credente, sia laico
che ecclesiastico, spesso condannati, al pari di altre opere (come quelle letterarie), con motivazioni pretestuose, legate alla pericolosità di un approccio
individuale alle questioni teologiche, come hanno mostrato, in particolare,
Edoardo Barbieri, Giorgio Caravale, Gigliola Fragnito e Mario Rosa18.
Rimane sempre significativa, al riguardo, la testimonianza che viene dal
processo intentato a metà degli anni Ottanta del Cinquecento dall’inquisitore di Udine, Girolamo Asteo, contro il mugnaio Domenico Scandella
detto Menocchio, reso celebre dalle ricerche di Carlo Ginzburg. L’attento
esame dei libri posseduti e letti dall’imputato – molti dei quali erano quei
testi devozionali in volgare che avevano alimentato negli ultimi decenni la
Sulla scia delle severe e coerenti denunce dell’azione disgregatrice degli ordini religiosi
formulate agli inizi del Cinquecento in occasione del V Concilio Lateranense, i cardinali
dell’Indice erano convinti che l’eresia dilagasse anche nei luoghi claustrali, procurando
dissenso e inquietudini dottrinali tali da poter facilmente ‘contagiare’ i fedeli spesso inconsapevoli. Su tale problematica, inquadrata nel contesto del Regno di Napoli, cfr. M. Sabato,
Il sapere che brucia. Libri, censure e rapporti Stato-Chiesa nel Regno di Napoli fra ’500 e ’600,
Galatina, Congedo editore, 2009, pp. 196-205. Sulla cosiddetta ‘inchiesta’ sulle biblioteche
regolari è d’obbligo ricordare almeno l’inventario analitico di ogni singolo codice, pubblicato
in Codices Vaticani Latini. Codices 11266-11326. Inventari di biblioteche religiose italiane alla
fine del Cinquecento, a cura di M. M. Lebreton – L. Fiorani, Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana, 1985; il pionieristico R. De Maio, I modelli culturali della Controriforma.
Le biblioteche dei conventi italiani alla fine del Cinquecento, in Id., Riforme e miti nella Chiesa
del Cinquecento, Napoli, Guida, 19922, pp. 365-381; e Libri, biblioteche e cultura degli ordini
regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice. Atti
del Convegno Internazionale. Macerata, 30 maggio - 1 giugno 2006, a cura di R. M. Borraccini
– R. Rusconi, Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, 2006, che raccoglie gli importanti risultati ottenuti dal progetto denominato «Ricerca sull’inchiesta della Congregazione
dell’Indice» (RICI). Inoltre, mi permetto di rinviare a M. Sabato, «Per le celle del convento».
Cultura ispanica e biblioteche religiose calabresi nell’inchiesta della Congregazione dell’Indice,
in La cultura ispanica nella Calabria del Cinque-Seicento. Letteratura, Storia, Arte, a cura di
D. Gagliardi, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2013, pp. 41-59.
18
G. Fragnito, «Dichino corone e rosari»: censura ecclesiastica e libri di devozione,
«Cheiron», XVII (2000), pp. 135-158; E. Barbieri, Tradition and change in the spiritual literature of the cinquecento, in Church, Censorship and Culture in Early Modern Italy, edited
by G. Fragnito, translated by A. Belton, Cambridge, Cambridge University press, 2001, pp.
111-133; G. Caravale, Censura e pauperismo tra Cinque e Seicento. Controriforma e cultura
dei «senza lettere», «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», 38 (2002), pp. 39-77; Id.,
L’ orazione proibita. Censura ecclesiastica e letteratura devozionale nella prima età moderna,
Firenze, Olschki, 2003; Fragnito, Proibito capire; G. Caravale, Orazione, in Dizionario Storico
dell’Inquisizione, vol. II, pp. 1139-1142; Rosa, L’ «Arsenal divoto».
17
76
MILENA SABATO
pietà religiosa di «semplici et idioti» – aveva consentito alle autorità friulane
di ricostruire le fonti delle opinioni eretiche del Menocchio, rendendo loro
piuttosto evidente quanto un lettore «non avvertito» potesse facilmente travisare il messaggio del testo evangelico19.
3. Attraverso una serie di casi particolarmente significativi, in questa sede si
cercherà di dimostrare quanto la realizzazione di questo nuovo corso non sia
stata facile. Per quanto concerne il tema della preghiera – aspetto rilevante
della vita sociale e culturale della prima Età moderna –, già nella penisola
italiana dei primi decenni del Cinquecento l’incitamento alla preghiera
spirituale e mentale e l’insistenza sul Pater Noster come unica preghiera fruttuosa erano diventati, per gli inquisitori, sintomi di un messaggio dottrinalmente pericoloso. A questi temi, nei primi anni Novanta del Quattrocento,
Girolamo Savonarola aveva dedicato tre operette spirituali (il Sermone
dell’oratione, il Trattato in difensione e commendazione dell’orazione mentale
e l’Espositione sul Pater noster), facendo oggetto della sua critica le cerimonie
e le pratiche devozionali esteriori osservate dai fedeli in ossequio ai precetti
di Roma, quindi la meccanica recitazione di paternostri e salmi. In quegli
scritti, le cerimonie esteriori e l’orazione vocale come pratica fine a se stessa
divenivano per il frate ferrarese il simbolo di una sterile devozionalità: «Dio
cerca da noi el culto interiore senza tante cerimonie» – affermava Savonarola
– e quelle manifestazioni compiute dal fedele, secondo il frate, andavano
relegate ad una funzione di stimolo devozionale, di passaggio intermedio nel
cammino dell’uomo verso Dio, e non dovevano essere altro che strumenti
necessari e preliminari alla preghiera mentale20. Le operette savonaroliane
non sarebbero state inserite nell’indice paolino del 1559 e mai espressamente
contemplate dagli altri indici romani (probabilmente per l’aver il frate affermato almeno la funzione strumentalmente necessaria degli atti esteriori),
ma molti altri Sermones e Prediche del ferrarese avrebbero invece ricevuto
un’attenzione particolare, con la condanna nel primo indice romano con una
proibizione definitiva e nel tridentino quamdiu expurgantur21. Sul tema dell’orazione, il punto di rottura sarebbe stato costituito da Lutero e, in particolare, dalla diffusione nella penisola italiana, nel corso degli anni Venti, della
C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio friuliano del ’500, Torino,
Einaudi, 1976.
20
Caravale, L’ orazione proibita, p. 5.
21
Diversamente, in Spagna, la tradotta Exposicion sobre el Pater noster fu inserita negli
Indici del 1559 e del 1583. Cfr. ILI, vol. X, Thesaurus de la littérature interdite au XVIe siècle.
Auteurs, ouvrages, éditions…, p. 353.
19
LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)
77
versione volgare del suo commento al Padre nostro, che riproponeva molti
degli argomenti avanzati da Savonarola, inserendoli tuttavia in un contesto
dottrinalmente eterodosso (in cui, ad esempio, l’invocazione al Pater seguiva
un consolidato schema che vedeva il richiamo alla miseria dell’uomo seguito
dall’invocazione dell’esaltazione della potenza divina)22. Soprattutto da quel
momento, nel giro di tre decenni, la preghiera, prescritta e incoraggiata nei
più diffusi testi catechistici e caldamente raccomandata dalle gerarchie ecclesiastiche, diveniva il simbolo della dilagante e minacciosa eresia luterana. E i
cataloghi di metà Cinquecento finiscono col riservare uno spazio di rilievo al
filone di commenti al Padre Nostro inaugurato da Savonarola, menzionando
esplicitamente la Dominicae precationis explicatio, edizione lionese comprendente alcuni commenti savonaroliani ai Salmi (inserita anche negli indici
spagnoli), nonché un’anonima Esposizione dell’oratione del Signore in volgare,
composta per un padre non nominato23.
Sempre rimanendo sul tema della preghiera, nella storia della spiritualità
controriformistica ed in quella della censura cinquecentesca altrettanto significativo è, nella seconda metà del secolo, quel tentativo di recupero di almeno
una parte della tradizione devozionale inaspettatamente ceduta, nei decenni
precedenti, al fronte protestante. Il riferimento è, ad esempio, all’opera e
all’azione pastorale dell’arcivescovo di Salerno, Girolamo Seripando, che
dedica proprio al Pater noster un intero ciclo di prediche, avviando così un
processo di riappropriazione della preghiera dominicale24. Ma è soprattutto
Carlo Borromeo, nella Milano degli anni Settanta, che, pur privilegiando la
dimensione comunitaria della preghiera, riassorbe nell’ortodossia l’orazione
mentale, quindi la dimensione individuale della preghiera, presentandola
come una validissima alternativa all’orazione comune; non a caso, inoltre,
incita i confessori della sua diocesi a far comprare, fra gli altri libri spirituali
e devoti, quelli del teologo domenicano Luis de Granada, le cui opere sul
tema dell’orazione mentale dovevano moltissimo agli scritti savonaroliani25.
22
Ibidem, passim.
Caravale, Orazione, p. 1139. Fondamentale, al riguardo, A. Prosperi, Preghiere di eretici: Stancaro, Curione e il Pater noster, in La gloria del Signore. La Riforma protestante nell’Italia
nord-orientale, a cura di G. Hofer, Mariano del Friuli, Edizioni della Laguna, 2006, pp. 45-66.
24
Cfr. R. M. Abbondanza Blasi, Tra evangelismo e riforma cattolica. Le prediche sul
Paternoster di Girolamo Seripando, introduzione di G. De Rosa, Roma, Carocci, 1999; M.
Cassese, Girolamo Seripando e i vescovi meridionali, 1535-1563, 2 voll., Napoli, Editoriale
Scientifica, 2002.
25
M. Bataillon, De Savonarole à Louis de Granada, «Revue de Littérature Comparée»,
16 (1936), pp. 23-39; C. Borromeo, La preghiera e il suo modo. Istruzioni sull’orazione, 15711582, introduzione di F. Giancotti, Milano, Il Club di Milano-Jolly Master, 2012.
23
78
MILENA SABATO
Del resto, segnali evidenti in questo senso venivano anche dagli stessi censori
romani, i quali si profondevano in elogi dell’opera del Granada, raccomandandone la lettura ai più devoti fedeli della Chiesa romana26. Studiando
anche le vicende censorie del francescano Bartolomeo Cordoni da Castello
– in particolare, quelle relative al suo Dialogo dell’unione dell’anima con Dio,
messo all’indice27 – e quelle del domenicano Battista da Crema e del suo
allievo prediletto, il canonico regolare Serafino da Fermo (il primo posto
all’indice28, il secondo no), l’impressione è che, per quanto concerne l’orazione mistica, si combatteva tutto ciò che si associava presto alla dottrina
luterana, come conferma anche lo studio delle più tarde censure espurgative
sui testi degli autori condannati29. A testimoniarlo è, ad esempio, anche il
«privilegio» rilasciato ai gesuati da Michele Ghislieri nel marzo del 1559, che
consentiva loro di «tenere et leggere epistole, evangelii, et altri libri volgari
spirituali per loro devotione, et edificatione (…) purché tali libri non siano
stampati dall’anno 1520 in qua»30. Una politica censoria dalle linee diverse
rispetto a quella romana, quindi meno incline al recupero della tradizione
mistica, si sarebbe avuta invece in Spagna, dove, ad esempio, la traduzione
dell’opera di Savonarola sul Pater, il Libro de Oración di Luis de Granada e
le Obras espirituales di Serafino da Fermo (i cui temi si avvicinavano pericolosamente ai temi condannati nei processi per eresia alumbrada) sarebbero
state messe all’indice sin dal 1559, senza lasciar spazio dunque a compromessi o incertezze31; a spiccare qui è invece il riguardo con cui viene trattata
l’opera di Erasmo (condannata totalmente nell’indice romano del 1559), del
quale si proibiscono solo sei opere in latino e in volgare, tra cui il trattato
specificamente dedicato alla questione della preghiera (il Modus orandi) ed i
commenti in lingua spagnola al Pater noster32.
Un nuovo vaglio censorio avrebbe poi atteso l’orazione mistica solo negli
ultimi decenni del XVII secolo, con la diffusione dell’eresia quietista formalizzata nelle proposizioni attribuite allo spagnolo Miguel de Molinos. La sua
Guida spirituale, apparsa a Roma nel 1675 e ristampata più volte nella stessa
Roma, a Venezia e a Palermo, nonché nell’originale spagnolo a Madrid, a
Caravale, Orazione, p. 1140.
ILI, vol. X, p. 118.
28
Ibidem, p. 115.
29
Caravale, L’ orazione proibita, pp. 1-61; Id., Orazione, pp. 1140-1141.
30
Fragnito, «Dichino corone e rosari», p. 135.
31
ILI, vol. X, passim.
32
M. Bataillon, Erasme et l’Espagne, texte établi par D. Devoto, édité par C. Amiel, 3
voll., Genève, Droz, 19912.
26
27
LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)
79
Saragozza e a Siviglia, sino alla condanna dell’autore nel 1687, sarebbe stata
per un decennio un testo basilare sul modo di ‘giungere a Dio’, non attraverso la meditazione e i ragionamenti, ma con la pura fede e la contemplazione,
intendendo colpire proprio l’universo devozionale costituitosi durante la
Controriforma. Il suo divieto avrebbe, da un lato, cancellato dagli orizzonti
religiosi del secolo l’orazione di quiete ed accentuato le espressioni devozionali fortemente volute dalla gerarchia e dal clero, dall’altro, avviato il secolo
seguente verso una pratica religiosa imperniata su un’ascesi ‘più facile’ ed
‘accessibile’ e sul rilancio di antiche e nuove devozioni penitenziali33.
Ed ancora sul tema della preghiera, occorre infine ricordare il tentativo
di controllo da parte delle autorità romane, negli anni Cinquanta-Sessanta
del Cinquecento, delle diffuse forme di devozionalità popolare che si esprimevano attraverso il commercio, la lettura e l’utilizzo privato e pubblico
di brevi testi di «orazioncelle», ritenute false e superstiziose in particolare
per le cosiddette rubriche apposte all’inizio o alla fine del testo. Dedicate a
vari santi (ad esempio a s. Elena, a s. Maria o a s. Daniele), erano volte alla
soluzione immediata di concreti problemi della vita quotidiana del fedele:
la guarigione da una malattia, la salvaguardia personale, la scarcerazione di
un familiare, fino all’eliminazione o alla sconfitta di un rivale in amore o al
desiderio di coronare con successo un amore non corrisposto34. Inquisitori
locali e vescovi si impegnano per combattere l’uso superstizioso di questi
testi (anche aiutati dalle dettagliate liste di orazioni proibite stilate e pubblicate dalle Congregazioni del Sant’Uffizio e dell’Indice) e gli incartamenti
processuali di fine secolo sono ricchi di testimonianze su questa battaglia
repressiva, dagli esiti, tuttavia, infelici. Decisamente incontrollabile sarebbe
stato, difatti, nel Seicento fino al Settecento, l’uso in privato e negli oratori
di litanie vietate in pubblico, per le quali da Roma si riteneva opportuno un
controllo di natura filologica e teologica, per evitare che inesattezze storiche,
imprecisioni o invenzioni lessicali ed errori dottrinali potessero allontanare i
devoti dalla vera fede. Dal primo Seicento, dopo una prima fase caratterizzata da una vigorosa battaglia contro la superstizione, si assiste in pratica ad un
progressivo rilassamento della tensione censoria, di fronte alle dimensioni
incontenibili del fenomeno e al graduale convincimento della sostanziale
inoffensività di quelle devozioni (le quali perdevano luce rispetto ad altri
fenomeni più urgenti). La superstizione devozionale diventa persino uno
33
G. Perrotti, Tempo della meditazione e tempo della contemplazione: Molinos e la controversia quietista, «Rivista di storia e letteratura religiosa», XLI (2005), pp. 555-572.
34
Sulla gran parte dei «segreti superstiziosi» contenuti invece nei testi utilizzati da fattucchiere e negromanti nelle loro pratiche magiche cfr. Sabato, Il sapere che brucia, pp. 145-170.
80
MILENA SABATO
strumento utile nelle mani degli ecclesiastici: così, mentre si sottraggono alla
lettura dei fedeli testi devozionali intimistici come il Giardino d’orazione o lo
Specchio di orazione del frate cappuccino Bernardino da Balvano, o il Monte
delle orazioni volgari, il mercato editoriale dei primi del Seicento si arricchisce di testi devozionali di autori ecclesiastici che ripropongono le medesime
superstizioni combattute pochi decenni prima35.
4. Ad ogni modo, sempre al fine di allontanare i fedeli da una religiosità interiorizzata e intellettualizzata, nella penisola italiana, il vero accanimento nei
confronti di una grande quantità di testi devozionali in volgare italiano (che
nei secoli precedenti avevano alimentato la pietà interiore dei cattolici) si ha
sul finire del Cinquecento. Avviene cioè a partire dal 1596, anno di promulgazione del terzo indice romano, compilato questa volta non dall’Inquisizione
né da un’apposita congregazione di vescovi (come avvenuto, rispettivamente,
nel 1559 e nel 1564), ma, fra molti contrasti, dalla Congregazione dell’Indice. È con questo catalogo che, soprattutto per le costanti intromissioni del
Sant’Uffizio, si raggiunge il culmine del tentativo romano di disciplinamento
delle coscienze attraverso la proibizione del libro, nonostante i pochi elementi
di liberalità, riguardanti ad esempio le indicazioni per l’espurgazione36. Al centro, questa volta, è soprattutto la volontà di controllare l’uso del volgare nella
liturgia e nella formazione religiosa dei fedeli (per gli sviluppi imprevedibili
e incontrollabili cui poteva dar luogo), con provvedimenti che costringono
i devoti a privarsi di testi familiari e a lungo autorizzati dalla Chiesa37. La
Caravale, L’ orazione proibita, pp. 63-226; Id., Orazione, pp. 1141-1142. Sulle ragioni e le
dinamiche di questo fallimento si è soffermato, con attenzione, lo stesso Caravale (L’ orazione
proibita, pp. 143 e sgg.) e preziose indicazioni sono pure in Fragnito (Proibito capire, passim).
Ricco di informazioni, inoltre, M. P. Fantini, Censura romana e orazioni: modi, tempi, formule
(1571-1620), in L’ Inquisizione e gli storici: un cantiere aperto, Roma, Accademia Nazionale dei
Lincei, 2000, pp. 221-243. Altrettanto ambiziosi sarebbero stati i progetti romani volti a regolamentare il delicato settore delle indulgenze o a bloccare la predicazione eterodossa, come
dimostrano, ad esempio, molte testimonianze documentarie relative alla complessa realtà
territoriale del Regno di Napoli; qui il tema della censura ecclesiastica si riconosce particolarmente rilevante oltre che per il composito vissuto religioso, il contesto socio-antropologico e
la situazione strutturale, soprattutto per l’originale vicenda in fatto di crimini di fede – affidati all’unica fragilissima rete inquisitoriale, quella diocesana – e per i complessi rapporti fra
Stato e Chiesa. Cfr. Sabato, Il sapere che brucia, in particolare pp. 196-210, e, per un quadro
generale, G. Viscardi, Tra Europa e ‘Indie di quaggiù’. Chiesa, religiosità e cultura popolare nel
Mezzogiorno (secoli XV-XIX), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005.
36
Utile sintesi sulla storia degli indici dei libri proibiti è Libro e censure, pp. 116-127.
37
Dell’estesissimo e scivoloso terreno della produzione religiosa in volgare, con particolare attenzione ai testi scritturali, Gigliola Fragnito si è occupata con grande rigore meto35
LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)
81
genericità della Observatio ad quartam regulam, allegata all’indice clementino
(la quale revoca, per intervento del Sant’Uffizio, la «regola IV» dell’indice tridentino del 1564, che permetteva ai vescovi ed agli inquisitori di concedere ai
fedeli licenze per la lettura della Scrittura in volgare), consente di «comprendere nella categoria dei volgarizzamenti vietati una molteplicità di testi che, sia
pure in diversa misura e forma, presentano materiali di derivazione scritturale
in volgare ed autorizza gli esecutori dell’indice a procedere al sequestro di
qualsiasi scritto che presentasse florilegi e parafrasi in prosa o in versi della
Bibbia»38. Nel mirino, non sono solo le traduzioni integrali o parziali della
Scrittura, ma moltissime altre opere possedute e lette dal comune fedele, le
quali, ripetutamente ristampate, erano ora ritenute ambigue e sfuggenti, al
limite fra ortodossia e tentazione ereticale: così, le Epistole et evangeli per
tutto l’anno liturgico, i salmi (anche penitenziali, specialmente nelle loro versioni poetiche), le raccolte omiletiche, le Meditazioni della vita di Cristo dello
pseudo-Bonaventura, e poi tutti quegli scritti, spesso anonimi, che circolavano
col titolo di Natività, Vite, Passioni di Gesù o Pianti e Lamenti della Madonna
(che narravano episodi della vita di Gesù e della Vergine e della passione di
Cristo, tratti o tradotti fedelmente dal Nuovo Testamento; tra questi rientravano, oltre alle rappresentazioni sacre, testi popolarissimi come lo Specchio di
Croce di Domenico Cavalca), Fioretti della Bibbia (che mescolavano testi della
Vulgata con passi dei vangeli apocrifi e cronache medievali) e Figure della
Bibbia (riassunti in versi volgari di episodi edificanti tratti dall’Antico o dal
Nuovo Testamento), Compendi historici e Sommari del Vecchio e del Nuovo
Testamento (fra i quali, quelli di Bartolomeo Dionigi da Fano e di Cristoforo
Miliani)39. Tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento giungeva così a maturazione e si consolidava un vasto ed ambizioso progetto della
Chiesa, realizzatosi tra conflitti e contrapposizioni anche agli stessi vertici
curiali, volto a sottrarre alla curiosità intellettuale della massa dei credenti la
conoscenza dei ‘misteri della fede’, soprattutto con l’imposizione di una lingua, il latino, incomprensibile ai più. Tuttavia, in seguito alle difficoltà sorte
nell’applicazione di un decreto così onnicomprensivo, sollevate di continuo
alla Congregazione dell’Indice da vescovi ed inquisitori, perplessi e smarriti
di fronte all’incredulità dei fedeli (specie dei ‘semplici’, digiuni di latino) e al
disorientamento delle monache40, l’Indice tenta di ridurre la portata dei divieti
dologico in particolare in La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della
Scrittura (1471-1605), Bologna, il Mulino, 1997, e in Proibito capire.
38
Fragnito, «Dichino corone e rosari», pp. 136-137.
39
Ibidem, pp. 137, 140. Cfr. ILI, vol. X, passim.
40
Fragnito, «Dichino corone e rosari», pp. 138-140.
82
MILENA SABATO
imposti dal Sant’Uffizio. Così, in nome della sua battaglia a favore di una circolazione, sia pure controllata, della Scrittura, riesce a consentire, nel rispetto
della regola IV, le Epistole et evangeli purché corredate di commenti di autori
di provata ortodossia; e per quanto riguarda i salmi, le traduzioni accompagnate dai commenti di Francesco Panigarola e di Flaminio de’ Nobili e, dopo
un prolungato dibattito, le versioni poetiche della Sacra Scrittura «dummodo
errores non contineant, nec textum S. Scripturae illud esse affirment». Fra
le opere che riproducevano brani del Nuovo Testamento, accompagnandoli
con meditazioni ed omelie, finisce con l’autorizzare la lettura del Nuovo leggendario della vita, e fatti di N.S. Giesù Christo di Alfonso de Villegas, della
Vita e fatti di Gesù Christo del benedettino Joachim Perion, della Vita di Giesù
Christo nostro redentore del certosino Landolfo di Sassonia, delle Meditationi
sopra i misterii della Passione et resurrettione di Christo del gesuita Vincenzo
Bruni, delle Devotissime meditationi per i giorni della settimana di Luigi di
Granada e della triplice serie di Meditazioni sopra i vangeli delle domeniche
e le feste principali dell’anno liturgico, per le ferie di Quaresima e per le feste
dei santi del certosino spagnolo Andrés Capilla. Fra le raccolte omiletiche,
vengono concesse le Prediche del carmelitano Bartolomeo Lantana, i Sermoni
predicabili sopra gli Evangeli Domenicali e Festivi di Silvestro Cigno e l’Homilario quadragesimale di Ludovico Pittorio. Viene, infine, tentato il salvataggio
del Sommario historico della Bibbia del bergamasco Cristoforo Miliani, previa
espurgazione (fra l’altro mai pubblicato nell’edizione espurgata). Il tutto non
senza suscitare reazioni negative da parte degli esecutori dell’indice, i quali,
di fronte ad una normativa spesso volutamente oscura e accessibile a pochi e
all’assenza di un’adeguata ‘pubblicizzazione’ della stessa e delle relative modifiche apportate, venivano a trovarsi in situazioni piuttosto incresciose41.
5. Di queste ‘precisazioni’ non o mal formalizzate, ma soprattutto delle
pluriennali discussioni intorno alle versificazioni e della riluttanza della
Chiesa a divulgare il sapere cristiano in poesia (e, specie, in lingua volgare),
fortemente preoccupata per l’abuso della licenza poetica e la commistione
di sacro e profano – temi, questi, di vaste dimensioni e di grande rilevanza
–, l’esempio della censura (e della successiva espurgazione) del poema sacro
in ottave Maria Concetta dell’ecclesiastico e poeta di corte Giovanni Carlo
Coppola offre diretta testimonianza. Il 12 giugno del 1635, il vicario fiorentino Vincenzo Rabatta commissionava al gesuita Tommaso Antonelli la lettura
del manoscritto da pubblicarsi, al fine di «vedere se nella retroscritta Opera
41
Ibidem, pp. 142-152.
LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)
83
si contenga cosa, che repugni alle Apostoliche Constituzioni, e Decreti, alla
Pietà Christiana, o buoni costumi», ricevendo dallo stesso, il 17 luglio, questa risposta: «Ho letto per ordine di Monsignore Reverendissimo Vicario
la presente Opera; la quale non solamente non contiene cosa repugnante a’
Decreti, e Constituzioni Apostoliche, alla Pietà Christiana, et a’ buoni costumi, ma è degnissima delle Stampe sì per il Soggetto, di che si tratta, come
per l’ingegnose inventioni, che l’abbelliscono, e per la felice grandezza, con
cui si maneggiano Misterij altissimi». Il giorno successivo, il vicario, letta
la relazione positiva del teologo, riteneva di poter concedere il «si stampi»,
«osservato però li soliti ordini». Contestualmente, l’inquisitore generale di
Firenze Clemente Egidio procedeva all’invio dell’opera al consultore del
Sant’Uffizio Girolamo Rosati, protonotaio apostolico, affinché «si compiaccia
di vedere questo Poema se vi sia cosa repugnante alla stampa». La risposta
del censore, giunta il 1o agosto, non evidenziava alcun motivo di censura,
anzi lo stesso riferiva di aver letto «con grandissimo (…) gusto (…) questo
Poema del Dottissimo Sig. Abate Coppola utilissimo a’ Devoti dell’Immacolata Concettione della Santissima Vergine»; lo stesso giorno l’inquisitore
generale fiorentino concedeva l’imprimatur42. L’opera usciva dai torchi del
fiorentino Pietro Nesti nel 1635, presentandosi, in venti canti in ottave, come
una complessa macchina allegorica scritta per promuovere la devozione
mariana, come del resto l’autore, «desideroso di eccitare i Devoti con la gloria
del vostro [di Maria] Nome, e non d’allettare i curiosi con l’impiego della
(…) penna»43, dichiarava, con fini evidentemente cautelativi, nell’epistola ai
lettori: «parto più della mia devozione, che del sapere (…). La materia in tutto
aliena dall’amenità Poetica m’ha tal’hor forzato di essere ardito nelle finzioni,
sempre però con quella riverenza, che si deve alla verità, et alla Fede, che
inviolabilmente professo di serbare. Ho cercato muovere in questo Poema
tutto l’Universo, tutto giudicandolo interessato nella Concezione di Maria»44.
I primi sospetti sull’opera furono sollevati all’indomani della sua pubblicazione, non si sa quanto motivati da una reale ambiguità teologica e quanto dalle
trascorse avventure intellettuali dell’autore (ardente discepolo, per circa un
lustro, di Tommaso Campanella). Il 3 febbraio 1636, su iniziativa di Urbano
VIII, si riuniva la Congregazione del Sant’Uffizio per discutere del poema e
indicare quanto «videtur adnotatione dignum»45. Dell’opera, con un’esatta
G. C. Coppola, Maria Concetta. Poema sacro dell’abb. Gio. Carlo Coppola, in Fiorenza,
nella stamperia del Nesti, 1635, pagine iniziali non numerate.
43
Ibidem, p. A2.
44
Ibidem, pagine non numerate.
45
ACDF, S.O., C.L. 1626-40, fasc. 15, c. 185r.
42
84
MILENA SABATO
indicazione dei canti e delle ottave, si misero in evidenza le proposizioni false
ed eretiche. I passi censurati, non solo presentavano epiteti inappropriati
attribuiti alla Vergine, ma riguardavano, in particolare, la formazione del
corpo e dell’anima di Maria, il mistero dell’incarnazione, lo Spirito Santo,
i segni naturali e supernaturali e l’intelletto46. L’autore veniva «graviter»
ammonito soprattutto per non aver tenuto nel debito conto la costituzione di
Pio V («in Bullam in ordine 114 quae incipit super specula», poi «cum alijs
innovata» nei decreti di Paolo V e Gregorio XV), trattando «de hac materia
vulgari sermone, quod est in dicta Constitutione prohibitum»47. Il 21 febbraio 1636 si procedeva così alla registrazione della censura ed alla proibizione
del libro48, lasciando poi cadere sulla vicenda un silenzio (almeno archivisticamente parlando) di circa nove anni. Solo nel 1645, quando il Coppola era
intanto divenuto vescovo di Muro Lucano49, giungeva a Innocenzo X una
supplica della granduchessa di Toscana, che chiariva come in realtà l’opera
fosse stata sospesa50. L’autore, forte delle sue protezioni a Firenze, dove i successi poetici gli avevano consentito d’intrattenere stretti rapporti con la corte
medicea, sperava in tal modo di ‘sbloccare’ la lunga sospensione dell’opera,
dovuta, a quanto pare, ad un titolo non gradito al precedente pontefice (lo
stesso Urbano VIII che, contemporaneamente, aveva favorito la sua carriera
ecclesiastica) ed anche per la circostanza di presentarsi in versi. Il 4 luglio
dell’anno successivo, Innocenzo X – forse accelerando, dietro sollecitazione,
una pratica già decisa e lasciata ferma da molto tempo – affidava al cardinale
Giustiniani l’incarico di procedere all’emendazione della Maria Concetta51,
sulla base delle formule di fede non corrette e talvolta ereticali già indivi-
Ibidem, cc. 184r-189r.
Ibidem, c. 189r-v. Fanno senz’altro riflettere le valutazioni contrastanti date sull’opera
del Coppola nelle due diverse fasi descritte, le quali, senza trascurare la vicenda delle censure campanelliane, potrebbero ricondurre alla notoria difficoltà di applicare una normativa
sostanzialmente ambigua o essere attribuite alla semplice negligenza dei revisori.
48
Ibidem, c. 189v. La condanna di questa prima edizione dell’opera sarebbe stata
ufficialmente registrata con decreto del Sant’Uffizio del 9 maggio 1685; ILI, vol. XI, Index
librorum prohibitorum. 1600-1966, p. 245.
49
M. A. De Cristofaro, Giovanni Carlo Coppola e le costituzioni sinodali del 1645, in
Chiesa e società nel Mezzogiorno moderno e contemporaneo, a cura di A. Cestaro, Napoli,
Edizioni scientifiche italiane, 1995, pp. 491-521. Per un contesto generale è sempre fondamentale M. Rosa, La Chiesa meridionale nell’età della Controriforma, in Storia d’Italia.
Annali, 9. La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a cura di G.
Chittolini – G. Miccoli, Torino, Einaudi, 1986, pp. 291-345.
50
ACDF, S.O., C.L. 1641-54, fasc. 15, c. 489r.
51
Ibidem, c. 490v.
46
47
LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)
85
duate anni prima ed inviate al revisore solo nell’aprile del 164652. Si decideva
pertanto di ‘salvare’ l’opera del vescovo di Muro, togliendo «dove è cosa di
cativo»53, attraverso lo strumento espurgativo introdotto ufficialmente dal
catalogo tridentino, previsto nella costituzione di Pio V del 1571 (ma per i
soli Officia latini) e regolato poi dalle norme de correctione librorum inserite
nell’indice clementino. A circa sei mesi dall’assegnazione dell’incarico, il 18
febbraio 1647, il cardinale Giustiniani, per il quale fu relativamente agevole
individuare nell’opera falsità e manifeste eresie, apportava le sue correzioni
alla Maria Concetta54, in vista di una nuova stampa espurgata dell’opera. A
tal fine, avendo probabilmente l’autore già scelto di ripubblicare il poema a
Napoli, con decreto del successivo 1o maggio il Sant’Uffizio inviava copia di
quelle correzioni contemporaneamente all’arcivescovo napoletano e al granduca di Firenze55. Solo il 13 luglio 1648, lo scritto «corretto e mutato»56 veniva consegnato dall’arcivescovo di Napoli al teologo e consultore Giuseppe
Rossi, per essere ancora rivisto e corretto, «conforme la correttione mandata
(…) dalla Suprema, et Universale Inquisitione di Roma». Così il Rossi nella
sua missiva di risposta del 14 luglio 1648:
Eminentissimo, e Reverendissimo Signore. Per ordine di V. E. Reverendissima ho
revisto il Poema heroico dell’Abbate Giovanni Carlo Coppola, hora Vescovo di
Muro, intitolato Maria Concetta, quale fu prohibito nel 1636. Hora stante la correttione fatta per ordine di N. S. e mandata a V. E. dalla suprema Congregazione
del Santo Officio puntualmente è stato da me revisto, purgato, e corretto, et in tal
forma liberamente si puol dar licenza, che si stampi, conforme all’ordine d’essa
suprema Congregatione. E stampato, che sarà, se doverà da me far il solito confronto con l’originale, e trovando, che concorda con esso, V. E. li potrà dar la licenza di
publicarse, et a V. E. fo humilissima riverenza57.
Sempre il 14 luglio 1648, l’arcivescovo di Napoli, «stante supradicta
relatione per nostrum Theologum facta», concedeva l’imprimatur all’opera
emendata. Parallelamente, sul versante civile, secondo quanto previsto dalle
legislazione statale del Regno di Napoli sui libri58, i reggenti del Collaterale
Zufia, Casanate, Caracciolo e Capecealtro, rilasciavano la licenza di stampa
Ibidem, S.O., C.L. 1626-40, fasc. 15, c. 189v.
Ibidem, Index, Epistolae Archiepiscopum, Episcopum, Inquisitorum etc., III.1, c. 208r.
54
Ibidem, S.O., C.L. 1641-54, fasc. 15, cc. 491r-496r.
55
Ibidem, carta non numerata.
56
Ibidem, c. 491r.
57
G. C. Coppola, Maria Concetta. Poema sacro (…) corretto dall’Autor medesimo, e di
nuovo ristampato, In Napoli, per Honofrio Savio, 1649, pagine iniziali non numerate.
58
Cfr. Sabato, Il sapere che brucia, pp. 89-107, 121-144.
52
53
86
MILENA SABATO
sulla base del parere positivo dello stesso proreggente Diego Capecelatro59.
L’edizione napoletana del 1649 della Maria Concetta, uscita dai torchi di
Onofrio Savio (e seguita da varie altre impressioni per tutto il secolo), presentandosi sempre in forma poetica (ma con un’avvertenza dell’autore che chiariva la sua posizione sulla funzione e sui limiti degli ornamenti poetici, e sulla
loro ultima subordinazione alla professione dell’ortodossia), nasceva pertanto
da un’opera di «purificazione» non del titolo (che, tanto «dispiaciuto» ad
Urbano VIII, rimaneva invece immutato) ma del testo, tra l’altro presentando
come correzioni autentiche dell’autore quelle che in effetti non lo erano60.
Solo un accenno, infine, in vista di uno studio futuro più ampio e dettagliato, alle altrettanto significative vicende censorie che videro protagonisti alcuni scrittori salentini di pietà, quali il francescano Diego Tafuri da
Lequile, condannato all’indice nel 1654 (donec corrigantur) per il Novo quaresimale (Venezia 1650) e La vite mariana di S. Antonio di Padova (Lecce 1648),
ed il celestino Francesco Antonio Giorgi, all’indice nel 1690 per la sua Vita
dell’ammirabile monaco e papa S. Pietro Celestino (Napoli 1689)61.
6. Davanti ad un problema storiografico che riguarda le direttive romane
in materia di letteratura devozionale, allo stato attuale degli studi emergono
alcuni dati inequivocabili. Intanto che, a fine Cinquecento, i volgarizzamenti
biblici, nella loro varia ed articolata tipologia, erano tra i libri più familiari
per gli Italiani, usati tanto in ambito domestico (e spesso anche scolastico)
quanto per seguire le prediche e la liturgia in latino, dai quali si separavano
con maggiore difficoltà, anzi con «scandalo», trattandosi di testi che avevano
alimentato per generazioni la loro pietà. In secondo luogo, che erano diversi
gli elementi che rendevano sospette queste scritture devozionali: non solo il
loro frequente anonimato o il ‘nudo’ testo della Bibbia non accompagnato da
annotazioni, che consentiva un accesso diretto alla Parola, non mediato, ma
anche la presenza in esse di dottrine non ortodosse o credenze superstiziose e
magiche, di brani che incentivavano il gusto per il meraviglioso ed il sovrannaturale, che mescolavano sacro e profano, che introducevano elementi paro-
G. C. Coppola, Maria Concetta (ed. 1649), pagine iniziali non numerate.
Sulla vicenda cfr. M. Sabato, «Corretto e mutato». L’ espurgazione del poema sacro Maria
Concetta di Giovanni Carlo Coppola (1635-49), «Mediterranea. Ricerche Storiche», VII (agosto
2010), 19, pp. 295-316, dove, alla luce della preziosa documentazione rinvenuta nell’archivio
del Sant’Uffizio e dal confronto fra le due edizioni dell’opera, si illustrano concretamente le
devianze segnalate dal censore e gli importanti interventi di correzione apportati.
61
ILI, vol. XI, pp. 387, 867. Cfr., al riguardo, Scrittori salentini di pietà fra Cinque e
Settecento, a cura di M. Marti, introduzione di B. Pellegrino, Galatina, Congedo editore, 1992.
59
60
LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)
87
distici, che mescolavano testi apocrifi, leggende e cronache, che accentuavano enfaticamente l’efficacia della passione di Cristo ai fini della salvezza.
Ed ancora, si è notato che vecchio e nuovo procedettero per un lungo tratto
insieme, che la letteratura devota della Controriforma si fece strada molto
lentamente tra i fedeli, che la vera frattura fu rappresentata non dal Concilio
(che invece rappresentò solo una svolta) ma dall’indice clementino, e che la
Congregazione dell’Indice adottò una deliberata strategia tesa a selezionare
ed imporre opere ispirate ai nuovi orientamenti (con conseguenze di ampio
raggio, relative alle abitudini ed agli atteggiamenti culturali del paese, da
misurare sul lungo periodo). È emerso, infine, quel progressivo irrigidimento nei riguardi dell’uso dell’italiano, accentuatosi dopo la promulgazione
dell’indice clementino, non soltanto negli scritti che trattavano materie bibliche o, più genericamente, teologiche, ma anche nella recita delle preghiere
più comuni come il Padre Nostro o l’Ave Maria, le quali, formulate in latino,
divenivano parole incomprensibili62. Particolarmente indicativo, al riguardo,
quanto affermato da Silvio Antoniano, membro della Congregazione dell’Indice, nei Tre libri dell’educazione christiana dei figliuoli, il quale richiamava i
lettori alla «santa simplicità», insistendo sull’inutilità per il buon cristiano di
«cercare curiosamente molte cose sopra la sua intelligenza (…) conciosia che
per andare in paradiso non fa di bisogno di molta dottrina»63.
Il tema solleva tuttavia non pochi problemi rimasti ai margini della ricerca storica, che riguardano le profonde implicazioni di una tale censura sul
terreno della prassi devozionale e, più in generale, sulle abitudini culturali
e sugli atteggiamenti verso la vita sociale e politica maturati nel tempo dagli
Italiani. Intanto, di molti di questi testi devoti non si conoscono i contenuti,
l’evoluzione interna e i molteplici rimaneggiamenti. Sappiamo invece che le
conseguenze di questa politica censoria, di questa «diffidenza verso una crescita intellettuale e culturale favorita dalla lettura»64, si misurano sul lungo
periodo, prodotte, come sono, non solo dalla dimensione repressiva, ma
anche dalla lunga affermazione di stili educativi e di modelli culturali fortemente controllati dall’alto. «L’esclusione dei fedeli dalle discussioni sui grandi temi teologici e dalle scelte conseguenti che un popolo maturo dovrebbe
consapevolmente assumere ha comportato un costo molto pesante in termini di responsabilità dell’individuo nei confronti della società, che non
è stato recuperato con il lento spegnersi della spinta controriformistica»65.
62
63
64
65
Fragnito, «Dichino corone e rosari», pp. 153-158.
Fragnito, Proibito capire, p. 12.
Ibidem, p. 24.
Libri per tutti, p. 11.
88
MILENA SABATO
L’interiorizzazione dei divieti si manifesta a livelli tali da non consentire il
ritorno a vecchie pratiche o l’adeguamento agli standard del nord Europa
neppure con la rimozione definitiva di alcuni di essi (si pensi all’eliminazione nel 1758, da parte di Benedetto XIV, del divieto di lettura della Bibbia
nelle lingue nazionali introdotto nel primo Index del 1559), continuando
l’inerzia delle antiche proibizioni a produrre i suoi effetti ancora in pieno
Ottocento (ad esempio, con i divieti tridentini ancora ribaditi nei più diffusi
manuali di istruzione per i confessori)66. Insieme ai sequestri e ai roghi, lo
sviluppo della nuova religiosità richiesta dal Concilio e dalle alte gerarchie
avrebbe trasformato lentamente il clima culturale in Italia con notevoli cambiamenti nella stessa produzione libraria, la quale registra via via un forte
aumento di titoli devozionali raccomandati o prescritti ai fedeli67.
Ma stando ai suggerimenti di Gigliola Fragnito, sarebbero da misurare
anche le resistenze tra i semplici alle disposizioni repressive (con le conseguenti vittorie o sconfitte dell’Indice) e, insieme alla clandestinità68, la possi66
Se ne parla in M. Sabato, Leggi ecclesiastiche ed obbedienza nel Regno di Napoli nel
Cinque-Seicento. Ricerche di storia inquisitoriale dal centro e dalla periferia, in The Proceedings
of the International Conference The Roman Inquisition in Malta and Elsewhere. Birgu, Malta,
18-20 September 2014 (in corso di stampa).
67
A. Del Col, L’Inquisizione in Italia. Dal XII al XXI secolo, Milano, Oscar Mondadori,
2006, p. 528; Libri per tutti, pp. 14-16; Rosa, L’«Arsenal divoto», pp. 83-105. L’esperienza nel
controllo delle letture insegnava del resto che non si poteva operare solo con i divieti o con le
stringenti forme di controllo, e che la realizzazione di ‘buoni libri’ poteva costituire un’alternativa edificante nel contrastare la marea di opere perniciose. In questo contesto, vanno certamente
ricordati la nascita e lo sviluppo dello straordinario fenomeno editoriale del vescovo campano
Alfonso de’ Liguori, autore di una miriade di composizioni a sfondo religioso-devozionale (cfr.,
al riguardo, Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo. Atti del Convegno organizzato dall’Istituto Universitario orientale, dalla Società Italiana di Studi sul Secolo XVIII e dall’Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici. Napoli, 5-7 dicembre 1996, a cura di A. M. Rao, Napoli, Liguori Editore,
1998). Sull’editoria cattolica sette-ottocentesca prodotta con simili finalità cfr. M. Sabato, Poteri
censori. Disciplina e circolazione libraria nel Regno di Napoli fra ’700 e ’800, prefazione di G.
Galasso, Galatina, Congedo editore, 2007, pp. 149-156 e R. Rusconi, «Emuliamo i perversi».
Una strategia editoriale cattolica nell’Italia dell’Ottocento, in Libri per tutti, pp. 106-125.
68
Nel Regno di Napoli, ad esempio, dove in un modo o nell’altro il sistema della censura fu
comunque messo in atto, i pochi processi a lettori, stampatori e librai, i sequestri in case private,
nelle librerie ed alle dogane o le cronache registrano (negli anni Quaranta del Cinquecento) la
circolazione di un Sommario della Scrittura, del Beneficio di Cristo e di alcune opere di Filippo
Melantone e di Erasmo, tutti – a detta di Luigi Amabile – raccolti, in gran numero di esemplari, e bruciati (anche per volontà del governo) davanti alla porta maggiore dell’Arcivescovado;
mentre, fra i regolari si rileva la presenza (tutta ancora da ‘giustificare’) di diverse opere proibite o sospese, come quelle di Sebastiano Ammiani, Pseudo Bonaventura, Denis le Chartreux,
Tommaso De Vio, Diego Estella, Bartolomeo Fumo, Antonio de Guevara, Domingo de Soto e
varie edizioni della Bibbia in volgare. Cfr. Sabato, Il sapere che brucia, passim.
LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)
89
bilità di circolazione di testi attraverso nuove edizioni o sostituzioni proposte
o imposte69; quindi, i testi definitivamente rimossi (con le motivazioni sottese)
e le opere con cui vennero sostituiti. Così, se il Trattato utilissimo del Beneficio
di Cristo, un vero best-seller degli anni Quaranta del Cinquecento, fu eliminato totalmente dalla cultura spirituale italiana, tanto da divenire una vera e
propria rarità bibliografica70, delle sopra citate opere spirituali del domenicano Battista da Crema, ad esempio, sulle quali si era abbattuta la scure della
condanna già prima dell’indice tridentino (che invece le inserì finché non
fossero emendate), si registra la sopravvivenza ed addirittura la diffusione. A
garantirle, gli scritti del canonico lateranense Serafino da Fermo, altamente
diffusi in Italia e in Spagna, e, in forma criptica, la congregazione barnabitica,
sulla quale l’autore, col suo insegnamento carico di fervore penitenziale e di
spiritualismo mistico, aveva esercitato una grande influenza71. È un terreno
difficile da percorrere, questo dei tramiti attraverso i quali i libri spirituali
del primo Cinquecento, condannati o espunti dal canone delle letture devote post-tridentine, poterono continuare a circolare, spesso completamente
mascherati, contando sul terreno permeabile della devozione.
MILENA SABATO
Fragnito, «Dichino corone e rosari», p. 156.
G. Caravale, Il Beneficio di Cristo e l’Inquisizione romana: un caso di censura tardiva, in
Cinquant’anni di storiografia italiana sulla Riforma e i movimenti ereticali in Italia, 1950-2000,
XL Convegno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia. Torre Pellice, 2-3 settembre 2000, a cura di S. Peyronel Rambaldi, Torino, Claudiana editrice, 2002, pp. 151-174.
71
Cfr. M. Firpo, Nel labirinto del mondo. Lorenzo Davidico tra santi, eretici, inquisitori,
Firenze, Olschki, 1992, in particolare, p. 45.
69
70