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Letteratura di pietà e censura ecclesiastica

2018, Ricerche di Storia Sociale e Religiosa

1. Al centro di questo lavoro sono i provvedimenti di censura ed i vari sistemi di controllo adottati, nella penisola italiana del Cinque-Seicento, dalle congregazioni romane del Sant'Uffizio e dell'Indice, nonché dagli organi ecclesiastici periferici, nei confronti degli scritti di pietà. All'interno di un panorama storiografico che negli ultimi tempi si è notevolmente arricchito di ricerche di storia del libro, la prospettiva censoria, scelta per lo studio di uno dei principali ambiti del libro di grande circolazione (in altri tempi chiamato impropriamente 'popolare') 1 , contribuisce non solo ad individuare alcune fra le più diffuse letture devozionali dell'epoca (con le loro tortuose vicende di condanna), ma anche ad approfondire il controverso rapporto tra gli Italiani e la lettura 2 . È quanto hanno dimostrato alcuni degli studi più * Abbreviazioni usate nel testo: ACDF (Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede; Index: Archivio della Congregazione dell'Indice; S.O.: Archivio della Congregazione del Sant'Uffizio; C.L.: Censura Librorum); ILI (Index des Livres Interdits, édité par J. M. De Bujanda, 11 voll., Sherbrooke-Montréal-Genève, Centre d'Études de la Renaissance, Université de Sherbrooke-Médiaspaul-Librairie Droz, 1984-2002).

LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII)* 1. Al centro di questo lavoro sono i provvedimenti di censura ed i vari sistemi di controllo adottati, nella penisola italiana del Cinque-Seicento, dalle congregazioni romane del Sant’Uffizio e dell’Indice, nonché dagli organi ecclesiastici periferici, nei confronti degli scritti di pietà. All’interno di un panorama storiografico che negli ultimi tempi si è notevolmente arricchito di ricerche di storia del libro, la prospettiva censoria, scelta per lo studio di uno dei principali ambiti del libro di grande circolazione (in altri tempi chiamato impropriamente ‘popolare’)1, contribuisce non solo ad individuare alcune fra le più diffuse letture devozionali dell’epoca (con le loro tortuose vicende di condanna), ma anche ad approfondire il controverso rapporto tra gli Italiani e la lettura2. È quanto hanno dimostrato alcuni degli studi più * Abbreviazioni usate nel testo: ACDF (Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede; Index: Archivio della Congregazione dell’Indice; S.O.: Archivio della Congregazione del Sant’Uffizio; C.L.: Censura Librorum); ILI (Index des Livres Interdits, édité par J. M. De Bujanda, 11 voll., Sherbrooke-Montréal-Genève, Centre d’Études de la Renaissance, Université de Sherbrooke-Médiaspaul-Librairie Droz, 1984-2002). 1 Di libri, come quelli religiosi, di vasta diffusione si è molto parlato negli ultimi quaranta anni, a partire dalle ricerche famose di Carlo Ginzburg, Natalie Zemon Davis, Roger Chartier e Bob Scribner, solo per citare alcuni dei nomi più significativi. Da ultimo, offre un’aggiornata ed innovativa lettura della tematica, affrontata sul lungo periodo e con un’attenzione privilegiata sull’Italia, ma con un importante confronto europeo, il volume Libri per tutti. Generi editoriali di larga circolazione tra antico regime ed età contemporanea, a cura di L. Braida – M. Infelise, Torino, Utet, 2010. 2 La questione dei bassi livelli di alfabetizzazione in Italia tra Ottocento e Novecento (e della maggiore e consueta ‘debolezza’ del meridione rispetto al nord della penisola) è stata perlopiù al centro di lavori d’impostazione sociologica, tesi ad un’analisi al negativo della problematica (la non lettura), spesso sulla base dei grossolani censimenti ottocenteschi e di «Ricerche di Storia Sociale e Religiosa», A. XLVI, Numero 89 – Nuova Serie – Gennaio-Dicembre 2017, © 2017 Edizioni di Storia e Letteratura ISSN (paper): 0392-1581 ISBN (paper) 978-88-9359-223-9 (e-book) 978-88-9359-224-6 – www.storiaeletteratura.it 70 MILENA SABATO recenti sulla censura ecclesiastica, i quali hanno identificato nel Cinquecento uno snodo fondamentale per intendere la questione3. Per l’età a noi più vicina, tra l’Ottocento e il Novecento, è abbastanza chiaro cosa debba intendersi per un testo di pietà o di devozione: per i processi di selezione che tale testo ha subito nel tempo, per i caratteri di uniformità e di normatizzazione che le devozioni (e di conseguenza i testi) hanno gradualmente acquisito in seguito ai controlli da parte dell’autorità ecclesiastica, e per la ridotta operosità di quanti nei secoli precedenti si erano dedicati in prevalenza a fornire ai fedeli strumenti atti a incrementarne la pietà interiore e la pratica devota. Più difficile è invece dare una definizione precisa del testo di devozione per i secoli dell’Età moderna, dal Cinque al Settecento, argomento di cui si sono fatti interpreti, con innovazioni metodologiche e sempre nuove aperture di campi d’indagini, soprattutto Giuseppe De Luca e Gabriele De Rosa4. In tale periodo, in cui pure non mancarono modi stereotipati e ripetitivi (per la forza e la continuità delle tradizioni religiose), il panorama si presenta estremamente vario e complesso, sebbene caratterizzato da un’eccezionale fioritura di proposte religiose nate dalle spinte e dalle conquiste della Controriforma, e solo un certosino lavoro di ricostruzione dei cataloghi storici (considerato l’importante problema della conservazione) potrebbe aiutare a ricomporne le offerte di lettura5. In senso lato, si è così scelto di intendere per testi di pietà o di devozione tutti quei testi che raccontano il sentire religioso e la pratica religiosa dei fedeli espressi attraverso un insieme profondamente segmentato di forme, modi ed orientamenti. Rientrano pertanto in tale categoria, fra i nume- altri dati statistici, con tentativi poco convincenti di spiegarne le ragioni. Cfr. ibidem, pp. 4-9, dove si affronta il problema da una prospettiva nuova, che tiene conto della vasta gamma di letture (in particolar modo quelle prive di valore collezionistico) e dell’estrema variabilità delle forme di fruizione del testo (collocate, ad esempio, ai confini tra oralità e scrittura). 3 Così, Gigliola Fragnito, ragionando anche sulla presunta non lettura degli Italiani, e riferendosi soprattutto alla proibizione cinquecentesca della Bibbia in lingua volgare e di tutta la produzione non latina, con considerazioni che vanno ben al di là di tale periodo, ha parlato di una «coerente strategia volta a contenere la lenta, ma sicura espansione del numero dei lettori», reagendo contro chi in tempi recenti ha teso a sminuire le conseguenze repressive della Controriforma (Proibito capire. La Chiesa e il volgare nella prima età moderna, Bologna, il Mulino, 2005; citazione a p. 201). 4 Cfr. almeno G. De Luca, Introduzione alla storia della pietà, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1962; G. De Rosa, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Roma-Bari, Laterza, 1978. 5 Esiste difatti un problema di conservazione assai rilevante (che riguarda sia il passato più remoto sia quello più recente), una sorta di pregiudiziale colta che seleziona libri e letture, e che, penalizzando sistematicamente i più diffusi e popolari, rende difficile ricostruire il ventaglio completo delle letture di un’epoca; Libri per tutti, pp. 5-6. LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII) 71 rosissimi esempi che si potrebbero presentare, i libri di preghiere, dai più semplici ai più complessi, accompagnati, ad esempio, da considerazioni o commenti di tipo etico, affettivo ecc., le raccolte di meditazioni sui misteri cristiani, i manualetti di preparazione ai sacramenti, gli scritti brevi di preparazione ai quattro novissimi (morte, giudizio, inferno e paradiso), i testi di comportamento religioso e morale o riguardanti particolari forme di devozione (come il Rosario, la Via Crucis e il Sacro Cuore). Vanno compresi, inoltre, tutti quei testi finalizzati a guidare il devoto nel suo percorso, i quali divengono anche strumento di conquista, di cura della salute e dell’anima e di conoscenza delle gioie della fede (si pensi all’Arsenal divoto del teatino Girolamo Meazza, alla Introduction à la vie dévote di san Francesco di Sales, alla Guida spirituale di Miguel de Molinos, al trattato Della regolata divozion de’ cristiani di Ludovico Antonio Muratori, o ancora al Combattimento spirituale del teatino Lorenzo Scupoli, all’anonimo Arte della salute, e al Cibo dell’Anima, alle Delizie del cristiano, alla Pietà ossequiosa, rispettivamente dei gesuiti Francesco Rainaldi, Giuseppe Rainaldi e Carlo Gregorio Rosignoli). Un insieme di caratteristiche, che rendono il testo di devozione non oggetto statico, ma mobile, per così dire di ‘confine’ tra la lettura e la pratica religiosa individuale e collettiva, specie se si considera il complesso rapporto, almeno duplice, che lega i testi alle devozioni. Testi che, da un lato, attraverso tutti i loro sviluppi nel tempo e la loro diffusione (favorita anche, in Europa e fuori d’Europa, dagli ordini religiosi), divengono insostituibili nel far vivere forme di devozione e di pietà unitarie e unificanti; e che, dall’altro, semplicemente incentivano le devozioni, facendo spesso assumere ad esse una dinamica loro propria, affidata all’elaborazione interiore da parte dei fedeli o a stimoli ed elementi ‘esterni’ al testo stesso, che contribuiscono a caratterizzarle ed arricchirle (si pensi alle forme di meditazione favorite dalle pause del silenzio, o alla costruzione di spazi sacri, all’istituzione di compagnie o gruppi devozionali, alla musica sacra e al canto devoto, alla predicazione, alle festività e alle indulgenze)6. Schematizzando 6 Cfr., per informazioni più specifiche, U. Rozzo, Linee per una storia dell’editoria religiosa in Italia (1465-1600), Udine, Arti Grafiche Friulane, 1993; Id., Editoria e storia religiosa (14651600), in Storia dell’Italia religiosa, a cura di G. De Rosa – T. Gregory – A. Vauchez, vol. II, L’ Età moderna, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 137-166; Il libro religioso, a cura di U. Rozzo – R. Gorian, Milano, Sylvestre Bonnard, 2002; E. Barbieri, Fra tradizione e cambiamento: note sul libro spirituale del XVI secolo, in Libri, biblioteche e cultura nell’Italia del Cinque e Seicento, a cura di E. Barbieri – D. Zardin, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 3-61; D. Zardin, Nutrire con frutto l’«esperienza». Il libro devoto nell’Italia del Cinquecento, in Aspirazioni e devozioni. Brescia nel Cinquecento tra preghiera e eresia, a cura di E. Ferraglio, Milano, Electa, 2006, pp. 36-51; Il libro religioso in Italia. Studi e ricerche, a cura di M. Lupi, Roma, Viella, 2008; M. Rosa, L’ «Arsenal divoto»: libri e letture religiose nell’età moderna, in Libri per tutti, pp. 79-105. 72 MILENA SABATO dal punto di vista temporale, ad affermarsi largamente nell’editoria religiosa è dapprima la presenza domenicana (forte della straordinaria influenza, in Italia, della spiritualità spagnola), affiancata e poi, dagli anni Novanta del Cinquecento, sostituita da quella gesuitica, con la sua graduale esplosione di scritti di meditazione e di devozione (inizialmente destinati ai membri della Compagnia, ma presto utilizzati da una folla indifferenziata di fedeli), capaci di investire sempre più largamente i modi stessi della sensibilità religiosa e le forme della pratica devota. Sul finire del Seicento, contemporaneamente alle tendenze contemplative del quietismo, si incontra lo sviluppo del ‘giansenismo devoto’, con testi prevalentemente polemici, controversistici e apologetici che col tempo mirano non solo a nutrire la pietà individuale, ma anche ad orientare i fedeli verso un più forte legame comunitario ecclesiale, basato sulla preghiera pubblica e la celebrazione liturgica (assumendo caratteristiche simili a quelle dei manuali confraternali, volti, dal canto loro, a favorire i legami di gruppi e di ceti nelle confraternite)7. 2. S’intreccia a questa tematica ed alla pratica attiva di devozione e di pietà la problematica della censura ecclesiastica sui libri, la quale, negli ultimi anni, è stata al centro di un numero importante di studi di specialisti del mondo moderno. Senz’altro determinante in tal senso è stata l’apertura al pubblico degli studiosi, nel 1998, dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (con i fondi del Sant’Uffizio e dell’Indice), che ha favorito la ripresa dell’interesse verso la problematica e, più in generale, verso l’Inquisizione ecclesiastica, con un avvio ampio e diffuso di ricerche e discussioni storiografiche, frenate, in passato, da una pesante eredità storica di matrice illuminista e dal conseguente spessore delle convinzioni di tipo ideologico. Fonti fino a poco tempo fa sconosciute, ponendo fine alle storie sui ‘misteri dell’Inquisizione’, hanno consentito di mettere a confronto le diverse posizioni storiografiche sull’istituzione, con l’esame oggettivo della documentazione originale, di studiare casi e problemi solo parzialmente esplorati e di illuminare sul funzionamento degli organismi centrali, dopo anni di ricerca storica dedicata prevalentemente alle vittime dei tribunali ecclesiastici8. Sul fronte della censura 7 Si rinvia a Rosa, L’ «Arsenal divoto», pp. 83-91, ma si leggano le pagine a seguire (pp. 92-105), anche per gli sviluppi devozionali nel Settecento. 8 L’ apertura degli archivi del Sant’Uffizio romano. Atti della Giornata di studio. Roma, 22 gennaio 1998, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1998, e A dieci anni dall’apertura dell’archivio della Congregazione per la dottrina della fede: storia e archivi dell’Inquisizione. Atti del Convegno. Roma, 21-23 febbraio 2008, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2011. Sull’universo storico delle Inquisizioni, cfr. oggi il ricco ed esauriente Dizionario storico LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII) 73 libraria, le conoscenze accumulate nel corso dei secoli (con lo studio di materiali inquisitoriali ‘tradizionali’) si sono sommate alle tante ricerche condotte di recente sui nuovi materiali romani e su altri fondi documentari dello stesso genere, europei e non, la cui accessibilità è stata anche indirettamente favorita dall’apertura degli archivi vaticani. Si dispone oggi di una grande quantità di dati sull’universo storico del proibito – con una prevalenza di studi, specie in Italia, sul controllo della stampa da parte di istituzioni ecclesiastiche –, che ha permesso di far luce sulle forme della censura e dell’autocensura e sui percorsi della lettura. Un’attenzione particolare è stata riservata all’organizzazione centrale e periferica del controllo librario ed ai rapporti della Chiesa cattolica con le varie e mutevoli forme dei poteri politici, all’applicazione pratica delle norme censorie, ai settori della produzione editoriale più colpiti dalle proibizioni ed al progetto di espurgazione delle opere sospese9. Lo studio della macchina censoria è così entrato a far parte di una volontà di capire, all’interno di un acceso dibattito, cause ed effetti della plurisecolare presenza della Chiesa come potere nella vita religiosa e culturale della società moderna10. Preziosi studi sono stati condotti, in particolare, sugli indici dei libri proibiti11, i quali costituiscono una forma di censura peculiare del mondo cattolico, sebbene cataloghi di libri ad uso censorio siano esistiti anche in altri contesti, come ad esempio nell’Inghilterra del Seicento12. Nessun catalogo è tuttavia paragonabile, per vastità e sistematicità, al progetto bibliografico e censorio messo in atto nel corso dei secoli dalla Chiesa di Roma13. Studi recenti, tenuto conto dei lavori passati (incentrati prevalentemente sulle vicende esterne della formazio- dell’Inquisizione, diretto da A. Prosperi, con la collaborazione di V. Lavenia e J. Tedeschi (Pisa, Edizioni della Normale, 2010, 5 voll.). 9 Cfr., fra gli studi più recenti, G. Fragnito, Gli studi sulla censura ecclesiastica nella prima età moderna: bilanci e prospettive, in Società, cultura e vita religiosa in età moderna. Studi in onore di Romeo De Maio, a cura di L. Gulia – I. Herklotz – S. Zen, Sora, Centro di Studi Sorani «Vincenzo Patriarca», 2009, pp. 163-176; V. Frajese, Censura libraria, in Dizionario storico dell’Inquisizione, vol. I, pp. 324-328. 10 Sui termini del dibattito si legga G. Alessi, Discipline. I nuovi orizzonti del disciplinamento sociale, «Storica», 4 (1996), pp. 7-37; D. Zardin, Controriforma, Riforma cattolica, cattolicesimo moderno: conflitti di interpretazione, in Identità italiana e cattolicesimo. Una prospettiva storica. Atti del Convegno. Bergamo, 11-12 ottobre 2001, a cura di C. Mozzarelli, Roma, Carocci, 2003, pp. 289-307 (in particolare pp. 298-300). 11 Cfr. ILI. 12 L. Balsamo, Vicende censorie in Inghilterra tra ’500 e ’600, in La censura libraria nell’Europa del secolo XVI, Convegno Internazionale di Studi. 9-10 novembre 1995, a cura di U. Rozzo, Udine, Forum, 1997, p. 38. 13 M. Infelise, I libri proibiti da Gutenberg all’Encyclopédie, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 31-42, 102-103; V. Frajese, Nascita dell’Indice. La censura ecclesiastica dal Rinascimento 74 MILENA SABATO ne degli indici) e sulla base delle nuove fonti centrali, sono giunti ad una sua corretta comprensione. Hanno precisato come l’indice (che ha valore di legge religiosa e civile solo negli Stati che lo accolgono): sia parte di un progetto più ampio, sia il risultato di diverse e spesso discordanti strategie censorie messe in atto dalle congregazioni romane, sia uno strumento duttile ed abbia comportato conseguenze sul sapere e sulla devozione tutt’altro che scontate14. Quanto a quest’ultimo punto, ad esempio, la tesi secondo cui gli indici siano la causa di una frattura nella circolazione del sapere tra il nord ed il sud Europa appare oggi discutibile. Benché ‘universale’, l’indice romano è difatti accolto variamente nel mondo cattolico (la Francia, ad esempio, lo ignora, e Spagna e Portogallo possiedono indici compilati dalle Inquisizioni nazionali) ed anche negli Stati italiani l’adozione dell’indice non è immediata, se non molto problematica (mentre si accetta perlopiù senza difficoltà quello tridentino)15. Nella seconda metà del Cinquecento, mentre si allontana dalla penisola italiana la minaccia di una diffusione dell’eresia, diviene una delle priorità delle congregazioni romane – insofferenti delle mediazioni gerarchiche nel rapporto con Dio – il controllo della religiosità dei ‘semplici’: molti testi devozionali in volgare che da circa un secolo avevano alimentato la religiosità di fasce popolari di credenti, spesso rispondendo alle loro non poche curiosità religiose, vengono proibiti e tolti dalla circolazione, in quanto capaci di «guast[are] la religione cattolica»16. Lo sforzo di normalizzazione della lettura imposto dagli indici si rivolge anche all’interno degli ordini religiosi, esistendo il pericolo di una propaganda eterodossa dai pulpiti: sul finire del Cinquecento (all’indomani della promulgazione dell’indice clementino del 1596), la Congregazione dell’Indice promuove una colossale indagine per appurare se le loro biblioteche (e quelle dei singoli religiosi) alla Controriforma, Brescia, Morcelliana, 2006; J. M. De Bujanda, Indice dei libri proibiti, Roma, in Dizionario Storico dell’Inquisizione, vol. II, pp. 782-783. 14 S. Landi, Stampa, censura e opinione pubblica in età moderna, Bologna, il Mulino, 2011, pp. 92-94. 15 M. Sabato, Logiche della censura libraria in Italia e in Spagna. Uno sguardo comparativo fra storiografia e forme d’intervento (secc. XVI-XVIII), in Arte e cultura del libro. Saggi di bibliologia e di storia dell’editoria per i venti anni di «Rara Volumina», a cura di M. Paoli, «Rara Volumina. Rivista di studi sull’editoria di pregio e il libro illustrato», XX (2013), 2 e XXI (2014), 1-2 [ma: 2015], pp. 27-28. 16 Citazione in Libro e censure, a cura di F. Barbierato, introduzione di M. Infelise, Milano, Sylvestre Bonnard, 2002, p. 12. La stessa capacità di lettura si era andata evolvendo proprio grazie a nuovi strumenti di autoapprendimento di argomento religioso redatti direttamente nella lingua volgare. Cfr. P. Lucchi, La Santacroce, il Salterio e il Babuino. Libri per imparare a leggere nel primo secolo della stampa, «Quaderni storici», 38 (1978), pp. 593-630. LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII) 75 contengano libri proibiti17. Con un crescendo sul finire del secolo, la censura ecclesiastica opera pertanto anche nei confronti di quei libri indirizzati all’accrescimento e al mantenimento della devozione del credente, sia laico che ecclesiastico, spesso condannati, al pari di altre opere (come quelle letterarie), con motivazioni pretestuose, legate alla pericolosità di un approccio individuale alle questioni teologiche, come hanno mostrato, in particolare, Edoardo Barbieri, Giorgio Caravale, Gigliola Fragnito e Mario Rosa18. Rimane sempre significativa, al riguardo, la testimonianza che viene dal processo intentato a metà degli anni Ottanta del Cinquecento dall’inquisitore di Udine, Girolamo Asteo, contro il mugnaio Domenico Scandella detto Menocchio, reso celebre dalle ricerche di Carlo Ginzburg. L’attento esame dei libri posseduti e letti dall’imputato – molti dei quali erano quei testi devozionali in volgare che avevano alimentato negli ultimi decenni la Sulla scia delle severe e coerenti denunce dell’azione disgregatrice degli ordini religiosi formulate agli inizi del Cinquecento in occasione del V Concilio Lateranense, i cardinali dell’Indice erano convinti che l’eresia dilagasse anche nei luoghi claustrali, procurando dissenso e inquietudini dottrinali tali da poter facilmente ‘contagiare’ i fedeli spesso inconsapevoli. Su tale problematica, inquadrata nel contesto del Regno di Napoli, cfr. M. Sabato, Il sapere che brucia. Libri, censure e rapporti Stato-Chiesa nel Regno di Napoli fra ’500 e ’600, Galatina, Congedo editore, 2009, pp. 196-205. Sulla cosiddetta ‘inchiesta’ sulle biblioteche regolari è d’obbligo ricordare almeno l’inventario analitico di ogni singolo codice, pubblicato in Codices Vaticani Latini. Codices 11266-11326. Inventari di biblioteche religiose italiane alla fine del Cinquecento, a cura di M. M. Lebreton – L. Fiorani, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1985; il pionieristico R. De Maio, I modelli culturali della Controriforma. Le biblioteche dei conventi italiani alla fine del Cinquecento, in Id., Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli, Guida, 19922, pp. 365-381; e Libri, biblioteche e cultura degli ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice. Atti del Convegno Internazionale. Macerata, 30 maggio - 1 giugno 2006, a cura di R. M. Borraccini – R. Rusconi, Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, 2006, che raccoglie gli importanti risultati ottenuti dal progetto denominato «Ricerca sull’inchiesta della Congregazione dell’Indice» (RICI). Inoltre, mi permetto di rinviare a M. Sabato, «Per le celle del convento». Cultura ispanica e biblioteche religiose calabresi nell’inchiesta della Congregazione dell’Indice, in La cultura ispanica nella Calabria del Cinque-Seicento. Letteratura, Storia, Arte, a cura di D. Gagliardi, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2013, pp. 41-59. 18 G. Fragnito, «Dichino corone e rosari»: censura ecclesiastica e libri di devozione, «Cheiron», XVII (2000), pp. 135-158; E. Barbieri, Tradition and change in the spiritual literature of the cinquecento, in Church, Censorship and Culture in Early Modern Italy, edited by G. Fragnito, translated by A. Belton, Cambridge, Cambridge University press, 2001, pp. 111-133; G. Caravale, Censura e pauperismo tra Cinque e Seicento. Controriforma e cultura dei «senza lettere», «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», 38 (2002), pp. 39-77; Id., L’ orazione proibita. Censura ecclesiastica e letteratura devozionale nella prima età moderna, Firenze, Olschki, 2003; Fragnito, Proibito capire; G. Caravale, Orazione, in Dizionario Storico dell’Inquisizione, vol. II, pp. 1139-1142; Rosa, L’ «Arsenal divoto». 17 76 MILENA SABATO pietà religiosa di «semplici et idioti» – aveva consentito alle autorità friulane di ricostruire le fonti delle opinioni eretiche del Menocchio, rendendo loro piuttosto evidente quanto un lettore «non avvertito» potesse facilmente travisare il messaggio del testo evangelico19. 3. Attraverso una serie di casi particolarmente significativi, in questa sede si cercherà di dimostrare quanto la realizzazione di questo nuovo corso non sia stata facile. Per quanto concerne il tema della preghiera – aspetto rilevante della vita sociale e culturale della prima Età moderna –, già nella penisola italiana dei primi decenni del Cinquecento l’incitamento alla preghiera spirituale e mentale e l’insistenza sul Pater Noster come unica preghiera fruttuosa erano diventati, per gli inquisitori, sintomi di un messaggio dottrinalmente pericoloso. A questi temi, nei primi anni Novanta del Quattrocento, Girolamo Savonarola aveva dedicato tre operette spirituali (il Sermone dell’oratione, il Trattato in difensione e commendazione dell’orazione mentale e l’Espositione sul Pater noster), facendo oggetto della sua critica le cerimonie e le pratiche devozionali esteriori osservate dai fedeli in ossequio ai precetti di Roma, quindi la meccanica recitazione di paternostri e salmi. In quegli scritti, le cerimonie esteriori e l’orazione vocale come pratica fine a se stessa divenivano per il frate ferrarese il simbolo di una sterile devozionalità: «Dio cerca da noi el culto interiore senza tante cerimonie» – affermava Savonarola – e quelle manifestazioni compiute dal fedele, secondo il frate, andavano relegate ad una funzione di stimolo devozionale, di passaggio intermedio nel cammino dell’uomo verso Dio, e non dovevano essere altro che strumenti necessari e preliminari alla preghiera mentale20. Le operette savonaroliane non sarebbero state inserite nell’indice paolino del 1559 e mai espressamente contemplate dagli altri indici romani (probabilmente per l’aver il frate affermato almeno la funzione strumentalmente necessaria degli atti esteriori), ma molti altri Sermones e Prediche del ferrarese avrebbero invece ricevuto un’attenzione particolare, con la condanna nel primo indice romano con una proibizione definitiva e nel tridentino quamdiu expurgantur21. Sul tema dell’orazione, il punto di rottura sarebbe stato costituito da Lutero e, in particolare, dalla diffusione nella penisola italiana, nel corso degli anni Venti, della C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio friuliano del ’500, Torino, Einaudi, 1976. 20 Caravale, L’ orazione proibita, p. 5. 21 Diversamente, in Spagna, la tradotta Exposicion sobre el Pater noster fu inserita negli Indici del 1559 e del 1583. Cfr. ILI, vol. X, Thesaurus de la littérature interdite au XVIe siècle. Auteurs, ouvrages, éditions…, p. 353. 19 LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII) 77 versione volgare del suo commento al Padre nostro, che riproponeva molti degli argomenti avanzati da Savonarola, inserendoli tuttavia in un contesto dottrinalmente eterodosso (in cui, ad esempio, l’invocazione al Pater seguiva un consolidato schema che vedeva il richiamo alla miseria dell’uomo seguito dall’invocazione dell’esaltazione della potenza divina)22. Soprattutto da quel momento, nel giro di tre decenni, la preghiera, prescritta e incoraggiata nei più diffusi testi catechistici e caldamente raccomandata dalle gerarchie ecclesiastiche, diveniva il simbolo della dilagante e minacciosa eresia luterana. E i cataloghi di metà Cinquecento finiscono col riservare uno spazio di rilievo al filone di commenti al Padre Nostro inaugurato da Savonarola, menzionando esplicitamente la Dominicae precationis explicatio, edizione lionese comprendente alcuni commenti savonaroliani ai Salmi (inserita anche negli indici spagnoli), nonché un’anonima Esposizione dell’oratione del Signore in volgare, composta per un padre non nominato23. Sempre rimanendo sul tema della preghiera, nella storia della spiritualità controriformistica ed in quella della censura cinquecentesca altrettanto significativo è, nella seconda metà del secolo, quel tentativo di recupero di almeno una parte della tradizione devozionale inaspettatamente ceduta, nei decenni precedenti, al fronte protestante. Il riferimento è, ad esempio, all’opera e all’azione pastorale dell’arcivescovo di Salerno, Girolamo Seripando, che dedica proprio al Pater noster un intero ciclo di prediche, avviando così un processo di riappropriazione della preghiera dominicale24. Ma è soprattutto Carlo Borromeo, nella Milano degli anni Settanta, che, pur privilegiando la dimensione comunitaria della preghiera, riassorbe nell’ortodossia l’orazione mentale, quindi la dimensione individuale della preghiera, presentandola come una validissima alternativa all’orazione comune; non a caso, inoltre, incita i confessori della sua diocesi a far comprare, fra gli altri libri spirituali e devoti, quelli del teologo domenicano Luis de Granada, le cui opere sul tema dell’orazione mentale dovevano moltissimo agli scritti savonaroliani25. 22 Ibidem, passim. Caravale, Orazione, p. 1139. Fondamentale, al riguardo, A. Prosperi, Preghiere di eretici: Stancaro, Curione e il Pater noster, in La gloria del Signore. La Riforma protestante nell’Italia nord-orientale, a cura di G. Hofer, Mariano del Friuli, Edizioni della Laguna, 2006, pp. 45-66. 24 Cfr. R. M. Abbondanza Blasi, Tra evangelismo e riforma cattolica. Le prediche sul Paternoster di Girolamo Seripando, introduzione di G. De Rosa, Roma, Carocci, 1999; M. Cassese, Girolamo Seripando e i vescovi meridionali, 1535-1563, 2 voll., Napoli, Editoriale Scientifica, 2002. 25 M. Bataillon, De Savonarole à Louis de Granada, «Revue de Littérature Comparée», 16 (1936), pp. 23-39; C. Borromeo, La preghiera e il suo modo. Istruzioni sull’orazione, 15711582, introduzione di F. Giancotti, Milano, Il Club di Milano-Jolly Master, 2012. 23 78 MILENA SABATO Del resto, segnali evidenti in questo senso venivano anche dagli stessi censori romani, i quali si profondevano in elogi dell’opera del Granada, raccomandandone la lettura ai più devoti fedeli della Chiesa romana26. Studiando anche le vicende censorie del francescano Bartolomeo Cordoni da Castello – in particolare, quelle relative al suo Dialogo dell’unione dell’anima con Dio, messo all’indice27 – e quelle del domenicano Battista da Crema e del suo allievo prediletto, il canonico regolare Serafino da Fermo (il primo posto all’indice28, il secondo no), l’impressione è che, per quanto concerne l’orazione mistica, si combatteva tutto ciò che si associava presto alla dottrina luterana, come conferma anche lo studio delle più tarde censure espurgative sui testi degli autori condannati29. A testimoniarlo è, ad esempio, anche il «privilegio» rilasciato ai gesuati da Michele Ghislieri nel marzo del 1559, che consentiva loro di «tenere et leggere epistole, evangelii, et altri libri volgari spirituali per loro devotione, et edificatione (…) purché tali libri non siano stampati dall’anno 1520 in qua»30. Una politica censoria dalle linee diverse rispetto a quella romana, quindi meno incline al recupero della tradizione mistica, si sarebbe avuta invece in Spagna, dove, ad esempio, la traduzione dell’opera di Savonarola sul Pater, il Libro de Oración di Luis de Granada e le Obras espirituales di Serafino da Fermo (i cui temi si avvicinavano pericolosamente ai temi condannati nei processi per eresia alumbrada) sarebbero state messe all’indice sin dal 1559, senza lasciar spazio dunque a compromessi o incertezze31; a spiccare qui è invece il riguardo con cui viene trattata l’opera di Erasmo (condannata totalmente nell’indice romano del 1559), del quale si proibiscono solo sei opere in latino e in volgare, tra cui il trattato specificamente dedicato alla questione della preghiera (il Modus orandi) ed i commenti in lingua spagnola al Pater noster32. Un nuovo vaglio censorio avrebbe poi atteso l’orazione mistica solo negli ultimi decenni del XVII secolo, con la diffusione dell’eresia quietista formalizzata nelle proposizioni attribuite allo spagnolo Miguel de Molinos. La sua Guida spirituale, apparsa a Roma nel 1675 e ristampata più volte nella stessa Roma, a Venezia e a Palermo, nonché nell’originale spagnolo a Madrid, a Caravale, Orazione, p. 1140. ILI, vol. X, p. 118. 28 Ibidem, p. 115. 29 Caravale, L’ orazione proibita, pp. 1-61; Id., Orazione, pp. 1140-1141. 30 Fragnito, «Dichino corone e rosari», p. 135. 31 ILI, vol. X, passim. 32 M. Bataillon, Erasme et l’Espagne, texte établi par D. Devoto, édité par C. Amiel, 3 voll., Genève, Droz, 19912. 26 27 LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII) 79 Saragozza e a Siviglia, sino alla condanna dell’autore nel 1687, sarebbe stata per un decennio un testo basilare sul modo di ‘giungere a Dio’, non attraverso la meditazione e i ragionamenti, ma con la pura fede e la contemplazione, intendendo colpire proprio l’universo devozionale costituitosi durante la Controriforma. Il suo divieto avrebbe, da un lato, cancellato dagli orizzonti religiosi del secolo l’orazione di quiete ed accentuato le espressioni devozionali fortemente volute dalla gerarchia e dal clero, dall’altro, avviato il secolo seguente verso una pratica religiosa imperniata su un’ascesi ‘più facile’ ed ‘accessibile’ e sul rilancio di antiche e nuove devozioni penitenziali33. Ed ancora sul tema della preghiera, occorre infine ricordare il tentativo di controllo da parte delle autorità romane, negli anni Cinquanta-Sessanta del Cinquecento, delle diffuse forme di devozionalità popolare che si esprimevano attraverso il commercio, la lettura e l’utilizzo privato e pubblico di brevi testi di «orazioncelle», ritenute false e superstiziose in particolare per le cosiddette rubriche apposte all’inizio o alla fine del testo. Dedicate a vari santi (ad esempio a s. Elena, a s. Maria o a s. Daniele), erano volte alla soluzione immediata di concreti problemi della vita quotidiana del fedele: la guarigione da una malattia, la salvaguardia personale, la scarcerazione di un familiare, fino all’eliminazione o alla sconfitta di un rivale in amore o al desiderio di coronare con successo un amore non corrisposto34. Inquisitori locali e vescovi si impegnano per combattere l’uso superstizioso di questi testi (anche aiutati dalle dettagliate liste di orazioni proibite stilate e pubblicate dalle Congregazioni del Sant’Uffizio e dell’Indice) e gli incartamenti processuali di fine secolo sono ricchi di testimonianze su questa battaglia repressiva, dagli esiti, tuttavia, infelici. Decisamente incontrollabile sarebbe stato, difatti, nel Seicento fino al Settecento, l’uso in privato e negli oratori di litanie vietate in pubblico, per le quali da Roma si riteneva opportuno un controllo di natura filologica e teologica, per evitare che inesattezze storiche, imprecisioni o invenzioni lessicali ed errori dottrinali potessero allontanare i devoti dalla vera fede. Dal primo Seicento, dopo una prima fase caratterizzata da una vigorosa battaglia contro la superstizione, si assiste in pratica ad un progressivo rilassamento della tensione censoria, di fronte alle dimensioni incontenibili del fenomeno e al graduale convincimento della sostanziale inoffensività di quelle devozioni (le quali perdevano luce rispetto ad altri fenomeni più urgenti). La superstizione devozionale diventa persino uno 33 G. Perrotti, Tempo della meditazione e tempo della contemplazione: Molinos e la controversia quietista, «Rivista di storia e letteratura religiosa», XLI (2005), pp. 555-572. 34 Sulla gran parte dei «segreti superstiziosi» contenuti invece nei testi utilizzati da fattucchiere e negromanti nelle loro pratiche magiche cfr. Sabato, Il sapere che brucia, pp. 145-170. 80 MILENA SABATO strumento utile nelle mani degli ecclesiastici: così, mentre si sottraggono alla lettura dei fedeli testi devozionali intimistici come il Giardino d’orazione o lo Specchio di orazione del frate cappuccino Bernardino da Balvano, o il Monte delle orazioni volgari, il mercato editoriale dei primi del Seicento si arricchisce di testi devozionali di autori ecclesiastici che ripropongono le medesime superstizioni combattute pochi decenni prima35. 4. Ad ogni modo, sempre al fine di allontanare i fedeli da una religiosità interiorizzata e intellettualizzata, nella penisola italiana, il vero accanimento nei confronti di una grande quantità di testi devozionali in volgare italiano (che nei secoli precedenti avevano alimentato la pietà interiore dei cattolici) si ha sul finire del Cinquecento. Avviene cioè a partire dal 1596, anno di promulgazione del terzo indice romano, compilato questa volta non dall’Inquisizione né da un’apposita congregazione di vescovi (come avvenuto, rispettivamente, nel 1559 e nel 1564), ma, fra molti contrasti, dalla Congregazione dell’Indice. È con questo catalogo che, soprattutto per le costanti intromissioni del Sant’Uffizio, si raggiunge il culmine del tentativo romano di disciplinamento delle coscienze attraverso la proibizione del libro, nonostante i pochi elementi di liberalità, riguardanti ad esempio le indicazioni per l’espurgazione36. Al centro, questa volta, è soprattutto la volontà di controllare l’uso del volgare nella liturgia e nella formazione religiosa dei fedeli (per gli sviluppi imprevedibili e incontrollabili cui poteva dar luogo), con provvedimenti che costringono i devoti a privarsi di testi familiari e a lungo autorizzati dalla Chiesa37. La Caravale, L’ orazione proibita, pp. 63-226; Id., Orazione, pp. 1141-1142. Sulle ragioni e le dinamiche di questo fallimento si è soffermato, con attenzione, lo stesso Caravale (L’ orazione proibita, pp. 143 e sgg.) e preziose indicazioni sono pure in Fragnito (Proibito capire, passim). Ricco di informazioni, inoltre, M. P. Fantini, Censura romana e orazioni: modi, tempi, formule (1571-1620), in L’ Inquisizione e gli storici: un cantiere aperto, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2000, pp. 221-243. Altrettanto ambiziosi sarebbero stati i progetti romani volti a regolamentare il delicato settore delle indulgenze o a bloccare la predicazione eterodossa, come dimostrano, ad esempio, molte testimonianze documentarie relative alla complessa realtà territoriale del Regno di Napoli; qui il tema della censura ecclesiastica si riconosce particolarmente rilevante oltre che per il composito vissuto religioso, il contesto socio-antropologico e la situazione strutturale, soprattutto per l’originale vicenda in fatto di crimini di fede – affidati all’unica fragilissima rete inquisitoriale, quella diocesana – e per i complessi rapporti fra Stato e Chiesa. Cfr. Sabato, Il sapere che brucia, in particolare pp. 196-210, e, per un quadro generale, G. Viscardi, Tra Europa e ‘Indie di quaggiù’. Chiesa, religiosità e cultura popolare nel Mezzogiorno (secoli XV-XIX), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005. 36 Utile sintesi sulla storia degli indici dei libri proibiti è Libro e censure, pp. 116-127. 37 Dell’estesissimo e scivoloso terreno della produzione religiosa in volgare, con particolare attenzione ai testi scritturali, Gigliola Fragnito si è occupata con grande rigore meto35 LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII) 81 genericità della Observatio ad quartam regulam, allegata all’indice clementino (la quale revoca, per intervento del Sant’Uffizio, la «regola IV» dell’indice tridentino del 1564, che permetteva ai vescovi ed agli inquisitori di concedere ai fedeli licenze per la lettura della Scrittura in volgare), consente di «comprendere nella categoria dei volgarizzamenti vietati una molteplicità di testi che, sia pure in diversa misura e forma, presentano materiali di derivazione scritturale in volgare ed autorizza gli esecutori dell’indice a procedere al sequestro di qualsiasi scritto che presentasse florilegi e parafrasi in prosa o in versi della Bibbia»38. Nel mirino, non sono solo le traduzioni integrali o parziali della Scrittura, ma moltissime altre opere possedute e lette dal comune fedele, le quali, ripetutamente ristampate, erano ora ritenute ambigue e sfuggenti, al limite fra ortodossia e tentazione ereticale: così, le Epistole et evangeli per tutto l’anno liturgico, i salmi (anche penitenziali, specialmente nelle loro versioni poetiche), le raccolte omiletiche, le Meditazioni della vita di Cristo dello pseudo-Bonaventura, e poi tutti quegli scritti, spesso anonimi, che circolavano col titolo di Natività, Vite, Passioni di Gesù o Pianti e Lamenti della Madonna (che narravano episodi della vita di Gesù e della Vergine e della passione di Cristo, tratti o tradotti fedelmente dal Nuovo Testamento; tra questi rientravano, oltre alle rappresentazioni sacre, testi popolarissimi come lo Specchio di Croce di Domenico Cavalca), Fioretti della Bibbia (che mescolavano testi della Vulgata con passi dei vangeli apocrifi e cronache medievali) e Figure della Bibbia (riassunti in versi volgari di episodi edificanti tratti dall’Antico o dal Nuovo Testamento), Compendi historici e Sommari del Vecchio e del Nuovo Testamento (fra i quali, quelli di Bartolomeo Dionigi da Fano e di Cristoforo Miliani)39. Tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento giungeva così a maturazione e si consolidava un vasto ed ambizioso progetto della Chiesa, realizzatosi tra conflitti e contrapposizioni anche agli stessi vertici curiali, volto a sottrarre alla curiosità intellettuale della massa dei credenti la conoscenza dei ‘misteri della fede’, soprattutto con l’imposizione di una lingua, il latino, incomprensibile ai più. Tuttavia, in seguito alle difficoltà sorte nell’applicazione di un decreto così onnicomprensivo, sollevate di continuo alla Congregazione dell’Indice da vescovi ed inquisitori, perplessi e smarriti di fronte all’incredulità dei fedeli (specie dei ‘semplici’, digiuni di latino) e al disorientamento delle monache40, l’Indice tenta di ridurre la portata dei divieti dologico in particolare in La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Bologna, il Mulino, 1997, e in Proibito capire. 38 Fragnito, «Dichino corone e rosari», pp. 136-137. 39 Ibidem, pp. 137, 140. Cfr. ILI, vol. X, passim. 40 Fragnito, «Dichino corone e rosari», pp. 138-140. 82 MILENA SABATO imposti dal Sant’Uffizio. Così, in nome della sua battaglia a favore di una circolazione, sia pure controllata, della Scrittura, riesce a consentire, nel rispetto della regola IV, le Epistole et evangeli purché corredate di commenti di autori di provata ortodossia; e per quanto riguarda i salmi, le traduzioni accompagnate dai commenti di Francesco Panigarola e di Flaminio de’ Nobili e, dopo un prolungato dibattito, le versioni poetiche della Sacra Scrittura «dummodo errores non contineant, nec textum S. Scripturae illud esse affirment». Fra le opere che riproducevano brani del Nuovo Testamento, accompagnandoli con meditazioni ed omelie, finisce con l’autorizzare la lettura del Nuovo leggendario della vita, e fatti di N.S. Giesù Christo di Alfonso de Villegas, della Vita e fatti di Gesù Christo del benedettino Joachim Perion, della Vita di Giesù Christo nostro redentore del certosino Landolfo di Sassonia, delle Meditationi sopra i misterii della Passione et resurrettione di Christo del gesuita Vincenzo Bruni, delle Devotissime meditationi per i giorni della settimana di Luigi di Granada e della triplice serie di Meditazioni sopra i vangeli delle domeniche e le feste principali dell’anno liturgico, per le ferie di Quaresima e per le feste dei santi del certosino spagnolo Andrés Capilla. Fra le raccolte omiletiche, vengono concesse le Prediche del carmelitano Bartolomeo Lantana, i Sermoni predicabili sopra gli Evangeli Domenicali e Festivi di Silvestro Cigno e l’Homilario quadragesimale di Ludovico Pittorio. Viene, infine, tentato il salvataggio del Sommario historico della Bibbia del bergamasco Cristoforo Miliani, previa espurgazione (fra l’altro mai pubblicato nell’edizione espurgata). Il tutto non senza suscitare reazioni negative da parte degli esecutori dell’indice, i quali, di fronte ad una normativa spesso volutamente oscura e accessibile a pochi e all’assenza di un’adeguata ‘pubblicizzazione’ della stessa e delle relative modifiche apportate, venivano a trovarsi in situazioni piuttosto incresciose41. 5. Di queste ‘precisazioni’ non o mal formalizzate, ma soprattutto delle pluriennali discussioni intorno alle versificazioni e della riluttanza della Chiesa a divulgare il sapere cristiano in poesia (e, specie, in lingua volgare), fortemente preoccupata per l’abuso della licenza poetica e la commistione di sacro e profano – temi, questi, di vaste dimensioni e di grande rilevanza –, l’esempio della censura (e della successiva espurgazione) del poema sacro in ottave Maria Concetta dell’ecclesiastico e poeta di corte Giovanni Carlo Coppola offre diretta testimonianza. Il 12 giugno del 1635, il vicario fiorentino Vincenzo Rabatta commissionava al gesuita Tommaso Antonelli la lettura del manoscritto da pubblicarsi, al fine di «vedere se nella retroscritta Opera 41 Ibidem, pp. 142-152. LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII) 83 si contenga cosa, che repugni alle Apostoliche Constituzioni, e Decreti, alla Pietà Christiana, o buoni costumi», ricevendo dallo stesso, il 17 luglio, questa risposta: «Ho letto per ordine di Monsignore Reverendissimo Vicario la presente Opera; la quale non solamente non contiene cosa repugnante a’ Decreti, e Constituzioni Apostoliche, alla Pietà Christiana, et a’ buoni costumi, ma è degnissima delle Stampe sì per il Soggetto, di che si tratta, come per l’ingegnose inventioni, che l’abbelliscono, e per la felice grandezza, con cui si maneggiano Misterij altissimi». Il giorno successivo, il vicario, letta la relazione positiva del teologo, riteneva di poter concedere il «si stampi», «osservato però li soliti ordini». Contestualmente, l’inquisitore generale di Firenze Clemente Egidio procedeva all’invio dell’opera al consultore del Sant’Uffizio Girolamo Rosati, protonotaio apostolico, affinché «si compiaccia di vedere questo Poema se vi sia cosa repugnante alla stampa». La risposta del censore, giunta il 1o agosto, non evidenziava alcun motivo di censura, anzi lo stesso riferiva di aver letto «con grandissimo (…) gusto (…) questo Poema del Dottissimo Sig. Abate Coppola utilissimo a’ Devoti dell’Immacolata Concettione della Santissima Vergine»; lo stesso giorno l’inquisitore generale fiorentino concedeva l’imprimatur42. L’opera usciva dai torchi del fiorentino Pietro Nesti nel 1635, presentandosi, in venti canti in ottave, come una complessa macchina allegorica scritta per promuovere la devozione mariana, come del resto l’autore, «desideroso di eccitare i Devoti con la gloria del vostro [di Maria] Nome, e non d’allettare i curiosi con l’impiego della (…) penna»43, dichiarava, con fini evidentemente cautelativi, nell’epistola ai lettori: «parto più della mia devozione, che del sapere (…). La materia in tutto aliena dall’amenità Poetica m’ha tal’hor forzato di essere ardito nelle finzioni, sempre però con quella riverenza, che si deve alla verità, et alla Fede, che inviolabilmente professo di serbare. Ho cercato muovere in questo Poema tutto l’Universo, tutto giudicandolo interessato nella Concezione di Maria»44. I primi sospetti sull’opera furono sollevati all’indomani della sua pubblicazione, non si sa quanto motivati da una reale ambiguità teologica e quanto dalle trascorse avventure intellettuali dell’autore (ardente discepolo, per circa un lustro, di Tommaso Campanella). Il 3 febbraio 1636, su iniziativa di Urbano VIII, si riuniva la Congregazione del Sant’Uffizio per discutere del poema e indicare quanto «videtur adnotatione dignum»45. Dell’opera, con un’esatta G. C. Coppola, Maria Concetta. Poema sacro dell’abb. Gio. Carlo Coppola, in Fiorenza, nella stamperia del Nesti, 1635, pagine iniziali non numerate. 43 Ibidem, p. A2. 44 Ibidem, pagine non numerate. 45 ACDF, S.O., C.L. 1626-40, fasc. 15, c. 185r. 42 84 MILENA SABATO indicazione dei canti e delle ottave, si misero in evidenza le proposizioni false ed eretiche. I passi censurati, non solo presentavano epiteti inappropriati attribuiti alla Vergine, ma riguardavano, in particolare, la formazione del corpo e dell’anima di Maria, il mistero dell’incarnazione, lo Spirito Santo, i segni naturali e supernaturali e l’intelletto46. L’autore veniva «graviter» ammonito soprattutto per non aver tenuto nel debito conto la costituzione di Pio V («in Bullam in ordine 114 quae incipit super specula», poi «cum alijs innovata» nei decreti di Paolo V e Gregorio XV), trattando «de hac materia vulgari sermone, quod est in dicta Constitutione prohibitum»47. Il 21 febbraio 1636 si procedeva così alla registrazione della censura ed alla proibizione del libro48, lasciando poi cadere sulla vicenda un silenzio (almeno archivisticamente parlando) di circa nove anni. Solo nel 1645, quando il Coppola era intanto divenuto vescovo di Muro Lucano49, giungeva a Innocenzo X una supplica della granduchessa di Toscana, che chiariva come in realtà l’opera fosse stata sospesa50. L’autore, forte delle sue protezioni a Firenze, dove i successi poetici gli avevano consentito d’intrattenere stretti rapporti con la corte medicea, sperava in tal modo di ‘sbloccare’ la lunga sospensione dell’opera, dovuta, a quanto pare, ad un titolo non gradito al precedente pontefice (lo stesso Urbano VIII che, contemporaneamente, aveva favorito la sua carriera ecclesiastica) ed anche per la circostanza di presentarsi in versi. Il 4 luglio dell’anno successivo, Innocenzo X – forse accelerando, dietro sollecitazione, una pratica già decisa e lasciata ferma da molto tempo – affidava al cardinale Giustiniani l’incarico di procedere all’emendazione della Maria Concetta51, sulla base delle formule di fede non corrette e talvolta ereticali già indivi- Ibidem, cc. 184r-189r. Ibidem, c. 189r-v. Fanno senz’altro riflettere le valutazioni contrastanti date sull’opera del Coppola nelle due diverse fasi descritte, le quali, senza trascurare la vicenda delle censure campanelliane, potrebbero ricondurre alla notoria difficoltà di applicare una normativa sostanzialmente ambigua o essere attribuite alla semplice negligenza dei revisori. 48 Ibidem, c. 189v. La condanna di questa prima edizione dell’opera sarebbe stata ufficialmente registrata con decreto del Sant’Uffizio del 9 maggio 1685; ILI, vol. XI, Index librorum prohibitorum. 1600-1966, p. 245. 49 M. A. De Cristofaro, Giovanni Carlo Coppola e le costituzioni sinodali del 1645, in Chiesa e società nel Mezzogiorno moderno e contemporaneo, a cura di A. Cestaro, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1995, pp. 491-521. Per un contesto generale è sempre fondamentale M. Rosa, La Chiesa meridionale nell’età della Controriforma, in Storia d’Italia. Annali, 9. La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a cura di G. Chittolini – G. Miccoli, Torino, Einaudi, 1986, pp. 291-345. 50 ACDF, S.O., C.L. 1641-54, fasc. 15, c. 489r. 51 Ibidem, c. 490v. 46 47 LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII) 85 duate anni prima ed inviate al revisore solo nell’aprile del 164652. Si decideva pertanto di ‘salvare’ l’opera del vescovo di Muro, togliendo «dove è cosa di cativo»53, attraverso lo strumento espurgativo introdotto ufficialmente dal catalogo tridentino, previsto nella costituzione di Pio V del 1571 (ma per i soli Officia latini) e regolato poi dalle norme de correctione librorum inserite nell’indice clementino. A circa sei mesi dall’assegnazione dell’incarico, il 18 febbraio 1647, il cardinale Giustiniani, per il quale fu relativamente agevole individuare nell’opera falsità e manifeste eresie, apportava le sue correzioni alla Maria Concetta54, in vista di una nuova stampa espurgata dell’opera. A tal fine, avendo probabilmente l’autore già scelto di ripubblicare il poema a Napoli, con decreto del successivo 1o maggio il Sant’Uffizio inviava copia di quelle correzioni contemporaneamente all’arcivescovo napoletano e al granduca di Firenze55. Solo il 13 luglio 1648, lo scritto «corretto e mutato»56 veniva consegnato dall’arcivescovo di Napoli al teologo e consultore Giuseppe Rossi, per essere ancora rivisto e corretto, «conforme la correttione mandata (…) dalla Suprema, et Universale Inquisitione di Roma». Così il Rossi nella sua missiva di risposta del 14 luglio 1648: Eminentissimo, e Reverendissimo Signore. Per ordine di V. E. Reverendissima ho revisto il Poema heroico dell’Abbate Giovanni Carlo Coppola, hora Vescovo di Muro, intitolato Maria Concetta, quale fu prohibito nel 1636. Hora stante la correttione fatta per ordine di N. S. e mandata a V. E. dalla suprema Congregazione del Santo Officio puntualmente è stato da me revisto, purgato, e corretto, et in tal forma liberamente si puol dar licenza, che si stampi, conforme all’ordine d’essa suprema Congregatione. E stampato, che sarà, se doverà da me far il solito confronto con l’originale, e trovando, che concorda con esso, V. E. li potrà dar la licenza di publicarse, et a V. E. fo humilissima riverenza57. Sempre il 14 luglio 1648, l’arcivescovo di Napoli, «stante supradicta relatione per nostrum Theologum facta», concedeva l’imprimatur all’opera emendata. Parallelamente, sul versante civile, secondo quanto previsto dalle legislazione statale del Regno di Napoli sui libri58, i reggenti del Collaterale Zufia, Casanate, Caracciolo e Capecealtro, rilasciavano la licenza di stampa Ibidem, S.O., C.L. 1626-40, fasc. 15, c. 189v. Ibidem, Index, Epistolae Archiepiscopum, Episcopum, Inquisitorum etc., III.1, c. 208r. 54 Ibidem, S.O., C.L. 1641-54, fasc. 15, cc. 491r-496r. 55 Ibidem, carta non numerata. 56 Ibidem, c. 491r. 57 G. C. Coppola, Maria Concetta. Poema sacro (…) corretto dall’Autor medesimo, e di nuovo ristampato, In Napoli, per Honofrio Savio, 1649, pagine iniziali non numerate. 58 Cfr. Sabato, Il sapere che brucia, pp. 89-107, 121-144. 52 53 86 MILENA SABATO sulla base del parere positivo dello stesso proreggente Diego Capecelatro59. L’edizione napoletana del 1649 della Maria Concetta, uscita dai torchi di Onofrio Savio (e seguita da varie altre impressioni per tutto il secolo), presentandosi sempre in forma poetica (ma con un’avvertenza dell’autore che chiariva la sua posizione sulla funzione e sui limiti degli ornamenti poetici, e sulla loro ultima subordinazione alla professione dell’ortodossia), nasceva pertanto da un’opera di «purificazione» non del titolo (che, tanto «dispiaciuto» ad Urbano VIII, rimaneva invece immutato) ma del testo, tra l’altro presentando come correzioni autentiche dell’autore quelle che in effetti non lo erano60. Solo un accenno, infine, in vista di uno studio futuro più ampio e dettagliato, alle altrettanto significative vicende censorie che videro protagonisti alcuni scrittori salentini di pietà, quali il francescano Diego Tafuri da Lequile, condannato all’indice nel 1654 (donec corrigantur) per il Novo quaresimale (Venezia 1650) e La vite mariana di S. Antonio di Padova (Lecce 1648), ed il celestino Francesco Antonio Giorgi, all’indice nel 1690 per la sua Vita dell’ammirabile monaco e papa S. Pietro Celestino (Napoli 1689)61. 6. Davanti ad un problema storiografico che riguarda le direttive romane in materia di letteratura devozionale, allo stato attuale degli studi emergono alcuni dati inequivocabili. Intanto che, a fine Cinquecento, i volgarizzamenti biblici, nella loro varia ed articolata tipologia, erano tra i libri più familiari per gli Italiani, usati tanto in ambito domestico (e spesso anche scolastico) quanto per seguire le prediche e la liturgia in latino, dai quali si separavano con maggiore difficoltà, anzi con «scandalo», trattandosi di testi che avevano alimentato per generazioni la loro pietà. In secondo luogo, che erano diversi gli elementi che rendevano sospette queste scritture devozionali: non solo il loro frequente anonimato o il ‘nudo’ testo della Bibbia non accompagnato da annotazioni, che consentiva un accesso diretto alla Parola, non mediato, ma anche la presenza in esse di dottrine non ortodosse o credenze superstiziose e magiche, di brani che incentivavano il gusto per il meraviglioso ed il sovrannaturale, che mescolavano sacro e profano, che introducevano elementi paro- G. C. Coppola, Maria Concetta (ed. 1649), pagine iniziali non numerate. Sulla vicenda cfr. M. Sabato, «Corretto e mutato». L’ espurgazione del poema sacro Maria Concetta di Giovanni Carlo Coppola (1635-49), «Mediterranea. Ricerche Storiche», VII (agosto 2010), 19, pp. 295-316, dove, alla luce della preziosa documentazione rinvenuta nell’archivio del Sant’Uffizio e dal confronto fra le due edizioni dell’opera, si illustrano concretamente le devianze segnalate dal censore e gli importanti interventi di correzione apportati. 61 ILI, vol. XI, pp. 387, 867. Cfr., al riguardo, Scrittori salentini di pietà fra Cinque e Settecento, a cura di M. Marti, introduzione di B. Pellegrino, Galatina, Congedo editore, 1992. 59 60 LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII) 87 distici, che mescolavano testi apocrifi, leggende e cronache, che accentuavano enfaticamente l’efficacia della passione di Cristo ai fini della salvezza. Ed ancora, si è notato che vecchio e nuovo procedettero per un lungo tratto insieme, che la letteratura devota della Controriforma si fece strada molto lentamente tra i fedeli, che la vera frattura fu rappresentata non dal Concilio (che invece rappresentò solo una svolta) ma dall’indice clementino, e che la Congregazione dell’Indice adottò una deliberata strategia tesa a selezionare ed imporre opere ispirate ai nuovi orientamenti (con conseguenze di ampio raggio, relative alle abitudini ed agli atteggiamenti culturali del paese, da misurare sul lungo periodo). È emerso, infine, quel progressivo irrigidimento nei riguardi dell’uso dell’italiano, accentuatosi dopo la promulgazione dell’indice clementino, non soltanto negli scritti che trattavano materie bibliche o, più genericamente, teologiche, ma anche nella recita delle preghiere più comuni come il Padre Nostro o l’Ave Maria, le quali, formulate in latino, divenivano parole incomprensibili62. Particolarmente indicativo, al riguardo, quanto affermato da Silvio Antoniano, membro della Congregazione dell’Indice, nei Tre libri dell’educazione christiana dei figliuoli, il quale richiamava i lettori alla «santa simplicità», insistendo sull’inutilità per il buon cristiano di «cercare curiosamente molte cose sopra la sua intelligenza (…) conciosia che per andare in paradiso non fa di bisogno di molta dottrina»63. Il tema solleva tuttavia non pochi problemi rimasti ai margini della ricerca storica, che riguardano le profonde implicazioni di una tale censura sul terreno della prassi devozionale e, più in generale, sulle abitudini culturali e sugli atteggiamenti verso la vita sociale e politica maturati nel tempo dagli Italiani. Intanto, di molti di questi testi devoti non si conoscono i contenuti, l’evoluzione interna e i molteplici rimaneggiamenti. Sappiamo invece che le conseguenze di questa politica censoria, di questa «diffidenza verso una crescita intellettuale e culturale favorita dalla lettura»64, si misurano sul lungo periodo, prodotte, come sono, non solo dalla dimensione repressiva, ma anche dalla lunga affermazione di stili educativi e di modelli culturali fortemente controllati dall’alto. «L’esclusione dei fedeli dalle discussioni sui grandi temi teologici e dalle scelte conseguenti che un popolo maturo dovrebbe consapevolmente assumere ha comportato un costo molto pesante in termini di responsabilità dell’individuo nei confronti della società, che non è stato recuperato con il lento spegnersi della spinta controriformistica»65. 62 63 64 65 Fragnito, «Dichino corone e rosari», pp. 153-158. Fragnito, Proibito capire, p. 12. Ibidem, p. 24. Libri per tutti, p. 11. 88 MILENA SABATO L’interiorizzazione dei divieti si manifesta a livelli tali da non consentire il ritorno a vecchie pratiche o l’adeguamento agli standard del nord Europa neppure con la rimozione definitiva di alcuni di essi (si pensi all’eliminazione nel 1758, da parte di Benedetto XIV, del divieto di lettura della Bibbia nelle lingue nazionali introdotto nel primo Index del 1559), continuando l’inerzia delle antiche proibizioni a produrre i suoi effetti ancora in pieno Ottocento (ad esempio, con i divieti tridentini ancora ribaditi nei più diffusi manuali di istruzione per i confessori)66. Insieme ai sequestri e ai roghi, lo sviluppo della nuova religiosità richiesta dal Concilio e dalle alte gerarchie avrebbe trasformato lentamente il clima culturale in Italia con notevoli cambiamenti nella stessa produzione libraria, la quale registra via via un forte aumento di titoli devozionali raccomandati o prescritti ai fedeli67. Ma stando ai suggerimenti di Gigliola Fragnito, sarebbero da misurare anche le resistenze tra i semplici alle disposizioni repressive (con le conseguenti vittorie o sconfitte dell’Indice) e, insieme alla clandestinità68, la possi66 Se ne parla in M. Sabato, Leggi ecclesiastiche ed obbedienza nel Regno di Napoli nel Cinque-Seicento. Ricerche di storia inquisitoriale dal centro e dalla periferia, in The Proceedings of the International Conference The Roman Inquisition in Malta and Elsewhere. Birgu, Malta, 18-20 September 2014 (in corso di stampa). 67 A. Del Col, L’Inquisizione in Italia. Dal XII al XXI secolo, Milano, Oscar Mondadori, 2006, p. 528; Libri per tutti, pp. 14-16; Rosa, L’«Arsenal divoto», pp. 83-105. L’esperienza nel controllo delle letture insegnava del resto che non si poteva operare solo con i divieti o con le stringenti forme di controllo, e che la realizzazione di ‘buoni libri’ poteva costituire un’alternativa edificante nel contrastare la marea di opere perniciose. In questo contesto, vanno certamente ricordati la nascita e lo sviluppo dello straordinario fenomeno editoriale del vescovo campano Alfonso de’ Liguori, autore di una miriade di composizioni a sfondo religioso-devozionale (cfr., al riguardo, Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo. Atti del Convegno organizzato dall’Istituto Universitario orientale, dalla Società Italiana di Studi sul Secolo XVIII e dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Napoli, 5-7 dicembre 1996, a cura di A. M. Rao, Napoli, Liguori Editore, 1998). Sull’editoria cattolica sette-ottocentesca prodotta con simili finalità cfr. M. Sabato, Poteri censori. Disciplina e circolazione libraria nel Regno di Napoli fra ’700 e ’800, prefazione di G. Galasso, Galatina, Congedo editore, 2007, pp. 149-156 e R. Rusconi, «Emuliamo i perversi». Una strategia editoriale cattolica nell’Italia dell’Ottocento, in Libri per tutti, pp. 106-125. 68 Nel Regno di Napoli, ad esempio, dove in un modo o nell’altro il sistema della censura fu comunque messo in atto, i pochi processi a lettori, stampatori e librai, i sequestri in case private, nelle librerie ed alle dogane o le cronache registrano (negli anni Quaranta del Cinquecento) la circolazione di un Sommario della Scrittura, del Beneficio di Cristo e di alcune opere di Filippo Melantone e di Erasmo, tutti – a detta di Luigi Amabile – raccolti, in gran numero di esemplari, e bruciati (anche per volontà del governo) davanti alla porta maggiore dell’Arcivescovado; mentre, fra i regolari si rileva la presenza (tutta ancora da ‘giustificare’) di diverse opere proibite o sospese, come quelle di Sebastiano Ammiani, Pseudo Bonaventura, Denis le Chartreux, Tommaso De Vio, Diego Estella, Bartolomeo Fumo, Antonio de Guevara, Domingo de Soto e varie edizioni della Bibbia in volgare. Cfr. Sabato, Il sapere che brucia, passim. LETTERATURA DI PIETÀ E CENSURA ECCLESIASTICA (SECC. XVI-XVII) 89 bilità di circolazione di testi attraverso nuove edizioni o sostituzioni proposte o imposte69; quindi, i testi definitivamente rimossi (con le motivazioni sottese) e le opere con cui vennero sostituiti. Così, se il Trattato utilissimo del Beneficio di Cristo, un vero best-seller degli anni Quaranta del Cinquecento, fu eliminato totalmente dalla cultura spirituale italiana, tanto da divenire una vera e propria rarità bibliografica70, delle sopra citate opere spirituali del domenicano Battista da Crema, ad esempio, sulle quali si era abbattuta la scure della condanna già prima dell’indice tridentino (che invece le inserì finché non fossero emendate), si registra la sopravvivenza ed addirittura la diffusione. A garantirle, gli scritti del canonico lateranense Serafino da Fermo, altamente diffusi in Italia e in Spagna, e, in forma criptica, la congregazione barnabitica, sulla quale l’autore, col suo insegnamento carico di fervore penitenziale e di spiritualismo mistico, aveva esercitato una grande influenza71. È un terreno difficile da percorrere, questo dei tramiti attraverso i quali i libri spirituali del primo Cinquecento, condannati o espunti dal canone delle letture devote post-tridentine, poterono continuare a circolare, spesso completamente mascherati, contando sul terreno permeabile della devozione. MILENA SABATO Fragnito, «Dichino corone e rosari», p. 156. G. Caravale, Il Beneficio di Cristo e l’Inquisizione romana: un caso di censura tardiva, in Cinquant’anni di storiografia italiana sulla Riforma e i movimenti ereticali in Italia, 1950-2000, XL Convegno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia. Torre Pellice, 2-3 settembre 2000, a cura di S. Peyronel Rambaldi, Torino, Claudiana editrice, 2002, pp. 151-174. 71 Cfr. M. Firpo, Nel labirinto del mondo. Lorenzo Davidico tra santi, eretici, inquisitori, Firenze, Olschki, 1992, in particolare, p. 45. 69 70