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Il popolo nella teoria del diritto divino di Giacomo I

2007

ANTONIO MASTROPAOLO IL POPOLO NELLA TEORIA DEL DIRITTO DIVINO DI GIACOMO I Sommario: 1. Introduzione. -2. Il problema della supremazia prima di Giacomo I. -3. Il problema della supremazia sotto Giacomo I. -3.1. La posizione dei puritani. -3.2. La posizione dei cattolici. -4. I caratteri della teoria del diritto divino. -5. Conclusione.

ANTONIO MASTROPAOLO IL POPOLO NELLA TEORIA DEL DIRITTO DIVINO DI GIACOMO I Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il problema della supremazia prima di Giacomo I. – 3. Il problema della supremazia sotto Giacomo I. – 3.1. La posizione dei puritani. – 3.2. La posizione dei cattolici. – 4. I caratteri della teoria del diritto divino. – 5. Conclusione. 1. Introduzione. – Un significato particolare nell’evoluzione del costituzionalismo assume il passaggio storico che ebbe inizio in Inghilterra con la Riforma protestante sotto Enrico VIII e culminò con la rivoluzione del 1642. In poco più di un secolo furono gettate le basi del successivo sviluppo costituzionale europeo segnato dall’abbandono delle concezioni che avevano dominato durante tutto il corso del medioevo. Non fu una trasformazione repentina e improvvisa. A lungo il vecchio modo di concepire i rapporti di potere resistette alle nuove rappresentazioni che lentamente si stavano facendo strada; e non di rado vi furono sovrapposizioni tra modi di pensare propri del passato e idee più moderne. In generale si può però dire che, in questi anni, si assistette alla progressiva erosione dell’idea medievale di un ordine giuridico strutturato gerarchicamente, e fondato su un articolato sistema di corpi, in favore di un nuovo modo di pensare il popolo, e di rappresentarlo, in modo unitario. Secondo una ricostruzione diffusa un ruolo di assoluto rilievo nelle vicende che portarono alla maturazione di un’idea di popolo inteso come una comunità nazionale, capace di esprimere una propria volontà politica sovrana, riveste il confronto tra Parlamento e Re, nelle prime decadi del diciassettesimo secolo. Da un lato la Camera dei Comuni si venne in quegli anni affermando come soggetto rappresentativo del popolo inglese nel suo complesso, divenen- DIRITTO PUBBLICO, 1/2007 180 DIRITTO PUBBLICO do il vero centro politico del paese, lo spazio entro cui le diverse istanze politiche avevano modo di confrontarsi direttamente(1). Dall’altro lato Giacomo I, iniziatore della nuova dinastia Stuart, seppe avviare una politica di rafforzamento del potere regale, del tutto originale rispetto alle più caute e avvedute prese di posizione della regina Elisabetta, contribuendo così all’affermarsi di una teoria del diritto divino che consentì alla monarchia inglese di procedere nel senso di un definitivo affrancamento dalle maglie dell’universo simbolico tradizionale. Entrambe le parti, in tal modo, riuscirono ad avviare il processo di formazione di un’idea di popolo, inteso come soggetto politico unitario, senza una reale frattura con il passato, facendo appello all’Antica costituzione inglese e reinterpretandola ai loro fini. Se furono i sostenitori dei privilegi della Camera dei Comuni, attraverso il continuo richiamo ai diritti e alle libertà degli inglesi così come si erano consolidati nella tradizione costituzionale, a trasformare la percezione del ruolo del Parlamento, furono però i teorici del diritto divino, con le loro riflessioni sulle origini del potere dei Re, a segnare il definitivo distacco dell’Inghilterra da qualsiasi forma di dipendenza da poteri stranieri, come il papato e l’Impero, e a ridefinire, forse più dei cauti common lawyers(2), la relazione tra sovrano e sudditi al di fuori del quadro organicistico tradizionale, delineando un nuovo rapporto tra monarca e popolo. Fu proprio attraverso il dibattito intorno alla teoria del diritto divino che si giunse a intendere la comunità politica non più come una gerarchia composita fatta di relazioni complesse: ancorché collocato in una posizione subordinata, il popolo iniziò a emergere nella sua sogget–––––––––– ( 1) È in questo luogo che si esplicitò lo scontro, o forse più correttamente il confronto, tra le forze costituite dal Re, dalla nobiltà e dalla chiesa anglicana e il nuovo ceto mercantile che trovò nei common lawyers e nel clero puritano i suoi sostenitori più convinti. Cfr. R. BENDIX, Re o popolo. Il potere e il mandato di governare, Milano, Feltrinelli, 1988, pp. 256 ss. Nella letteratura più risalente, v. G.M. TREVELYAN, Storia della società inglese, Torino, Einaudi, 1948, pp. 188 ss. ( 2) Cfr. R. BENDIX, Re o popolo. Il potere e il mandato di governare, cit., p. 266. SAGGI 181 tività affermandosi come diretto interlocutore del sovrano investito da Dio del suo potere. La teoria del diritto divino è stata interpretata in modi molto diversi da parte degli storici. Essi sono generalmente concordi nel ritenere che sia stata sviluppata per rispondere ai problemi politici sorti in seguito alla Riforma. Indubbiamente servì a reagire alle pretese tanto del papato quanto dei presbiteriani, entrambi intenzionati a ottenere il controllo del clero inglese(3). Alcuni autori non si sono però limitati a queste considerazioni, ma sono giunti a sostenere che il diritto divino dei Re sia stato uno strumento attraverso cui introdurre in Inghilterra la teoria della sovranità intesa come teoria dell’assolutismo regale(4). Di recente questa conclusione è stata messa in dubbio da chi ha sostenuto che i teorici del diritto divino erano pur sempre fedeli all’Antica costituzione inglese(5), in accordo con gli stessi common lawyers, dal conto loro ben disposti a riconoscere l’origine divina del potere regale. Ciò non toglie che le idee espresse dai teorici del diritto divino furono in grado di diffondere una diversa percezione del rapporto tra Re e sudditi. Nelle pagine che seguono cercheremo di ricostruire il contesto entro il quale Giacomo I giunse a elaborare la teoria del diritto divino, mettendo in evidenza come essa sia stata formulata allo scopo di garantire l’indipendenza del monarca da ogni pericolo derivante da ingerenze interne o esterne, sia di matrice calvinista, sia di origine cattolica. In questo quadro si tenterà inoltre di individuare gli elementi di originalità che contraddistinsero tale riflessione rispetto alle visione medioevale e anche alla tradizione costituzionale inglese. In particolare si cercherà di descrivere come in questa teoria fini–––––––––– ( 3) Cfr. J.N. FIGGIS, The Divine Right of Kings, Cambridge, Cambridge University Press, 1914, pp. 256 s. ( 4) Cfr. J.N. FIGGIS, The Divine Right of Kings, cit., pp 5 ss. ( 5) Cfr. G. BURGESS, The Divine Right of Kings Reconsidered, in English histor. rev., vol. 107, n. 425 (Oct. 1992), pp. 837 ss. 182 DIRITTO PUBBLICO sca per emergere l’immagine di un popolo che, pur nella sua passività, è dotato di una soggettività unitaria. Un popolo capace di esprimere una propria volontà ed eventualmente di contrapporsi al sovrano. 2. Il problema della supremazia prima di Giacomo I. – L’ascesa al trono di Giacomo I pose, con rinnovato vigore rispetto al passato, il problema di stabilire a chi spettasse l’autorità ultima dello Stato. Un acceso confronto dottrinale con i puritani( 6), ma soprattutto con i sostenitori della seconda scolastica, contraddistinse i primi anni del regno. Se tale scontro può essere, in senso ampio, letto come un momento della controversia secolare che aveva visto per tutto il medioevo il potere temporale (regnum) scontrarsi con il potere spirituale (sacerdotium) nell’ambito della comunità cristiana(7), nello specifico inglese esso aveva assunto da tempo i caratteri di un problema di definizione del rapporto tra «chiesa» e «Stato», dove il secondo riuscì a imporre la propria supremazia nell’ambito del territorio circoscritto inglese costruendo una chiesa nazionale indipendente da Roma(8). Il problema era stato posto in modo esplicito ai tempi di Enrico VIII, ma la proclamazione nel 1534 della supremazia del Re non era certo nata dal nulla: nei secoli precedenti era comune sostenere che rex superiorem non recognoscens in regno suo est imperator, allo scopo di garantire l’indipendenza dei Re sia dall’Imperatore sia dal Papa(9). Enrico VIII non aveva preteso di far altro che riprendere, a –––––––––– ( 6) Nell’ambito del protestantesimo calvinista i puritani intendevano «purificare» la chiesa anglicana di tutti i compromessi con il cattolicesimo mantenuti dalla Riforma inglese. ( 7) Cfr. C.H. MCILWAIN, Il pensiero politico dai Greci al tardo Medioevo, Venezia, Neri Pozza, 1959, pp. 254 ss. ( 8) Cfr. Q. SKINNER, Le origini del pensiero politico moderno, vol. II, L’età della Riforma, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 129 ss. ( 9) In tal senso l’immagine del re teocratico secondo la ricostruzione di W. ULL MANN, Principi di politica e governo nel medioevo, Bologna, il Mulino, 1972, pp. 147 ss. V. anche C.H. MCILWAIN, Il pensiero politico, cit., p. 330. SAGGI 183 proprio vantaggio, la legge pubblica romana utilizzata dall’imperatore Costantino per stabilire il cristianesimo come religione dell’Impero(10): in base ad essa il Re era episkopos ton ektos, vescovo dell’esterno, espressione con cui si indicava la posizione giurisdizionale ed esterna del Re nei confronti della chiesa(11). Se nel medioevo questa espressione veniva utilizzata per demarcare i limiti del diritto d’interferenza dell’impero e del papato, senza però che venisse negato il ruolo di unico interprete della legge divina di quest’ultimo(12), le affermazioni a favore dei poteri «imperiali» utilizzate da Thomas Cromwell( 13) nel Preambolo dell’Act in Restraint of Appeals a Roma del 1533 si spingevano molto più in là, assumendo un accento nuovo: non si limitavano a sostenere la riduzione delle giurisdizioni pontificie, ma negavano qualsiasi giurisdizione da parte del papato, proclamando l’esistenza di una Anglicana ecclèsia indipendente da Roma(14). Proprio in questo spirito fu redatto l’Act of Supremacy del 1534: il Re è imperatore nel suo regno e, in quanto tale, detiene il governo esterno della chiesa(15). In questo modo Enrico VIII rivendicava di essere l’unica vera autorità giurisdizionale del suo territorio e perciò l’unico vero oggetto di fedeltà politica dei sudditi( 16). Restavano naturalmente escluse dal suo potere tutte le –––––––––– ( 10) Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique de L’État moderne, Paris, Presses Universitaires de France, 2004, pp. 22 s. ( 11) Cfr. W. ULLMANN, Principi di politica e governo nel medioevo, cit., p. 154. ( 12) Cfr. W. ULLMANN, Principi di politica e governo nel medioevo, cit., p. 179. ( 13) Personalità di rilievo negli anni del regno di Enrico VIII, Thomas Cromwell fece una brillante carriera: da Cancelliere dello Scacchiere nel 1533 a Vicario Generale nel 1535 a Lord Gran Ciambellano nel 1539 a Conte di Essez nel 1540. Vicino ai luterani, fece adottare i Ten Articles, articoli di fede di chiara ispirazione luterana. Con le Ingiunzioni Reali del 1538, fece mettere una Bibbia in latino e una in inglese in tutte le chiese. Caduto in disgrazia fu condannato a morte per tradimento nel 1540. ( 14) Cfr. Q. SKINNER, Le origini del pensiero politico moderno, vol. II (L’età della Riforma), cit., p. 136. ( 15) Cfr. G.R. ELTON, The Tudor Constitution, Cambridge, Cambridge University Press, 1982, pp. 353 ss. ( 16) Enrico VIII fu peraltro influenzato anche dalla lettura di scritti protestanti come The Obedience of a Christian Man di Tendale, nel quale si affermava che tutte le giurisdiz ioni rivendicate dal Papa e dalla chiesa, intesa come congregatio fidelium, erano un’usurpa- 184 DIRITTO PUBBLICO questioni religiose stricto sensu(17). Questa conclusione riceveva poi una declinazione diversa: se i giuristi di diritto comune sostenevano che la supremazia sulle materie ecclesiastiche dovesse essere esercitata dal Re in Parlamento, i canonisti, al contrario, sostenevano un’autorità di tipo puramente personale(18). In linea con le tesi sostenuta dai primi lo Statute, la legge scritta emanata dal Parlamento, che prima della Riforma non poteva occuparsi delle materie spirituali riservate alla chiesa, divenne in quegli anni lo strumento attraverso cui dare attuazione alla supremazia del Re e si affermò come fonte suprema in materia religiosa(19). Durante il regno di Elisabetta si fece nuovamente richiamo alla figura di Costantino e alle prerogative imperiali per legittimare la posizione di supremazia della sovrana. Non di rado la regina fu accostata alla figura dell’imperatore: lo stesso John Foxe, nella sua opera Acts and Monuments, paragona la pace fra i cristiani introdotta da Costantino alla pace del regno della Regina e non manca di ricordare i natali inglesi del sovrano bizantino(20). Nel 1563, con i Trentanove articoli(21), fu definitivamente delineato l’assetto compromissorio della chiesa anglicana tra teologia protestante e ordine episcopale. Nell’Articolo XXXVII fu affrontato il problema di come dovesse essere concepita la supremazia del Re alla luce delle pressioni dei puritani, anch’essi convinti della supremazia del potere re–––––––––– zione dell’autorità secolare. Cfr. Q. SKINNER, Le origini del pensiero politico moderno, vol. II, cit., pp. 110 ss. ( 17) «Le souverain Tudor se réapproprie le modèle constantinien du gouvernement romain sur les matières externes à la vie de l’Église en l’adaptant aux préoccupations politiques nouvelles du XVIeme siècle, à savoir la souveraineté territoriale de l’État». Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique de L’État moderne, cit., p. 26. ( 18) Cfr. Q. SKINNER, Le origini del pensiero politico moderno, vol. II, cit., p. 145. ( 19) Cfr. A. D E BENEDICTIS, Politica, governo e istituzioni nell’Europa moderna, Bologna, il Mulino, 2001, pp. 169 ss. ( 20) Cfr. G. SACERDOTI, Sacrificio e sovranità. Teologia e politica nell’Europa di Shakespeare e Bruno, Torino, Einaudi, 2002, pp. 61 ss. ( 21) I Trentanove articoli furono fatti approvare dalla regina Elisabetta nel 1562, con essi furono formulati ufficialmente i contenuti dottrinali dell’anglicanesimo. SAGGI 185 ligioso sul potere politico(22). Se nella prima parte dell’articolo si ribadisce chiaramente che il sovrano non è soggetto ad alcuna autorità straniera, compresa quella papale, e gode di una summa potestas sia nei confronti dei civili sia nei confronti degli ecclesiastici, nella seconda parte si precisa che il Re non gode di una sovranità realmente assoluta in materia ecclesiastica(23). Egli infatti non può esercitare «né il ministero della Parola di Dio, né dei Sacramenti», che restano in mano al clero(24). Dal punto di vista teologico-politico l’argomento fu ripreso in modo sistematico alla fine del XVI secolo da Richard Hooker. Egli distingue nettamente tra il potere del sovrano e il potere di Cristo. Il Re esercita una sovranità visibile sulla chiesa come società politica. Cristo detiene un potere sovrano invisibile sulla chiesa quale corpo mistico. Solo in tal senso si può dire che il Re si colloca al di sotto di Cristo. Ricorrendo alla dottrina dei due regni già sviluppata dai puritani( 25), Hooker sostiene la supremazia regale sulla chiesa, la quale viene concepita nel quadro costituzionale ereditato dal medioevo, del Re-in-Parlamento. Il Re detiene un’autorità che non è soggetta né al Papa all’esterno, né ai vescovi della chiesa all’interno(26). Spazio nazionale e spazio religioso –––––––––– ( 22) Per una ricostruzione dei tentativi di rendere indipendente il potere politico dal potere religioso rivendicando le prerogative sacerdotali in capo al sovrano, v. l’opera di G. SACERDOTI, Sacrificio e sovranità. Teologia e politica nell’Europa di Shakespeare e Bruno, cit. ( 23) La posizione della regina venne ancora ribadita nel 1579 quando compose una raccolta di preghiere private in cui si presentava come «strumento di Dio per la restaurazione del Vangelo, madre della chiesa e protettrice degli esuli religiosi». Se da un lato, dunque, abbracciava la causa protestante, dall’altro, in quanto madre della chiesa, ribadiva che la religione riformata doveva sottostare alla sua volontà ed essere praticata nelle forme previste dalla chiesa anglicana, citato in S. RICCI, Giordano Bruno nell’Europa del cinquecento, Roma, Salerno Editore, 2000, p. 221. ( 24) Cfr. G. SACERDOTI, Sacrificio e sovranità. Teologia e politica nell’Europa di Shakespeare e Bruno, cit., pp. 52 s. ( 25) Secondo la dottrina dei due regni esiste un regno esteriore sui corpi della legge delle opere che appartiene al Principe chiamato a contribuire esteriormente alla venuta del regno di Cristo. Ed esiste un regno interiore sulle anime della grazia della fede che appartiene a Cristo, il quale per mezzo dei suoi discepoli e della chiesa invisibile e visibile opera per fare venire il proprio regno. ( 26) Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique de L’État moderne, cit., pp. 28 ss. 186 DIRITTO PUBBLICO in Inghilterra si erano, da tempo(27), così sovrapposti che Hooker, alla fine del sedicesimo secolo, poteva tranquillamente affermare: «non c’è nessun membro della comunità politica che non sia altresì membro della chiesa d’Inghilterra»(28). Solo più tardi si assisterà alla progressiva separazione dello Stato e della chiesa intese, da ultimo, come entità sociali distinte(29), e al conseguente distacco della dimensione dell’appartenenza nazionale dall’elemento religioso. Per Giacomo I affrontare nuovamente il problema della supremazia aveva una urgente valenza politica: significava definire i termini della devozione dei sudditi nei confronti del sovrano e negare la conseguente possibilità di attivare il diritto di resistenza, variamente inteso negli ambienti protestanti e cattolici, nei suoi confronti. 3. Il problema della supremazia sotto Giacomo I. 3.1. La posizione dei puritani. – Immediatamente dopo l’ascesa al trono di Giacomo I, i puritani presentarono la Millenary Petition, nel tentativo di guadagnare il nuovo monarca al loro programma di riforma della chiesa d’Inghilterra(30). Con essa si richiedeva una netta svolta in senso presbiteriano(31), che avrebbe comportato per il –––––––––– ( 27) Cfr. L. D’AVACK, Costituzione e Rivoluzione. La controversia sulla sovranità legale nell’Inghilterra del ‘600, Milano, Giuffrè, 2000, p. 143. ( 28) Cit. in C. RUSSEL, Alle origini dell’Inghilterra moderna. La crisi dei parlamenti 1509-1660, Bologna, il Mulino, 1988, p. 297. ( 29) Cfr. C.H. MCILWAIN, Introduction, in The Political Works of James I, Cambridge, Harvard University Press, 1918, p. XXIV. ( 30) Non solo i puritani avevano salutato l’arrivo di Giacomo I, ma si era diffusa in tutti gli ambienti l’idea che si stesse aprendo un periodo d’oro per l’Inghilterra. John Chamberlain arriva a scrivere: «Questo inizio promettente solleva lo spirito alimentando le speranze di tutti, tanto che non solo i protestanti, ma i papisti e i puritani e gli stessi poeti […] si dichiarano a favore di Giacomo I» (N.E. MCCLURE (a cura di), The Letters of John Chamberlain, 2 voll., Philadelphia, 1939, p. 192). ( 31) Il presbiterianesimo deriva i suoi paradigmi dal calvinismo. Secondo Calvino la chiesa doveva essere governata dal presbiterio, un’assemblea i cui componenti erano eletti dalla congregazione. Su scala nazionale i presbiteriani sostenevano una struttura piramidale di diverse assemblee elettive che dovevano culminare in una assemblea nazionale. In Inghilterra i sostenitori del presbiterianesimo venivano chiamati puritani per la loro ansia di puri- SAGGI 187 sovrano la rinuncia al ruolo di capo della chiesa e al sostanziale controllo sulla nomina dei vescovi. In accordo con i puritani la Camera dei Comuni era ben disposta verso riforme che accentuassero il carattere protestante della chiesa inglese. Al contrario, i vescovi non intendevano allontanarsi dai dogmi e dalla liturgia della chiesa anglicana, ed erano anzi propensi a un ulteriore rafforzamento della loro autorità. Allo scopo di discutere le richieste, il Re convocò una conferenza teologica a Hampton Court (1605) cui parteciparono prevalentemente rappresentanti puritani moderati. In tale occasione le note parole del sovrano inglese «no bishop, no king» a favore dell’episcopato accompagnarono il netto rifiuto nei confronti delle pretese di ispirazione presbiteriana(32). Fu così che i puritani cercarono sostegno presso il Parlamento. I membri della Camera dei Comuni, dopo aver chiesto una timida riforma, radicalizzarono le loro posizioni, arrivando al punto di schierarsi apertamente a favore di una trasformazione della chiesa in senso presbiteriano, sul modello della chiesa primitiva, come auspicato da Thomas Cartwright( 33). La Camera Alta, dal canto suo, si fece strenua oppositrice di un qualsiasi mutamento dell’assetto episcopale della chiesa. L’unica concessione che Giacomo I fece ai puritani fu una nuova traduzione della Bibbia (Authorized Version), con l’intenzione di creare una frattura al loro interno, poiché molti tra loro erano piuttosto favorevoli alla conservazione della Geneva Bible, realizzata da William Whittingham, genero dello stesso Calvino(34). –––––––––– ficare la chiesa e di tornare alle forme di organizzazione di tipo assembleare che avano caratterizzato la chiesa delle origini. ( 32) C. RUSSEL, Alle origini dell’Inghilterra moderna. La crisi dei parlamenti 15091660, cit., pp. 394 ss. ( 33) Thomas Cartwright fu professore di teologia a Cambridge e sostenitore di una chiesa organizzata in senso presbiteriano sul modello della chiesa primitiva. ( 34) Sull’impatto sociale, v. C. HILL, The English Bible and Seventeenth-century Revolution, New York, Penguin USA, 1993. 188 DIRITTO PUBBLICO Nel 1605 si concluse drammaticamente il tentativo di riorganizzazione della chiesa inglese. Non mancarono severi provvedimenti nei confronti di coloro che avevano rifiutato di uniformarsi alla volontà del sovrano e dei vescovi. Diversi ministri del culto furono privati definitivamente della carica, e molti altri vennero sospesi( 35). La riforma presbiteriana non ebbe dunque luogo e questa sconfitta determinò la rinuncia a qualsiasi ulteriore tentativo. Consapevoli della necessità di adattarsi a una situazione tanto sfavorevole, i puritani finirono per spostare il loro ardore e la loro devozione dall’impegno politico alla riforma etica e spirituale. A partire da questo momento crebbe il movimento congregazionalista e una parte di esso manifestò con Robert Browne(36) tendenze separatiste(37). Di contro, tra i vescovi si consolidarono atteggiamenti erastiani che implicavano l’esplicita subordinazione della chiesa allo Stato. Non stupisce l’avversione di Giacomo I nei confronti dei puritani né stupisce il suo desiderio di mantenere la gerarchia episcopale sin dai primi anni del suo regno. Memore dei problemi che aveva suscitato l’introduzione del presbiterianesimo in Scozia(38), il Re era ben consapevole dei rischi sottesi all’enfasi che tale credo religio–––––––––– ( 35) Sull’atteggimaento nei confronti dei puritani, v. A. BELLANY, A Poem on the Archbishop’s Hearse: Puritanism, Libel, and Sedition after the Hampton Court Conference in The J. of British Studies, vol. 34, n. 2 (Apr. 1995), pp. 137 ss. ( 36) Con l’opera A treatise of Reformation without taryng for anie, and of the wickedness of those Preaches which will not reforme till the Magistrate commaunde or compell them (1582) Robert Browne polemizzava con le concezioni del potere spirituale e temporale elaborate dai presbiteriani. Benché non arrivasse a una esplicita elaborazione della teoria della separazione tra Stato e chiesa, Browne sosteneva che la religione era un’attività sprituale, con cui le autorità temporali non avevano nulla a che fare. ( 37) Cfr. S. CARUSO , La miglior legge del regno. Consuetudine, diritto naturale e contratto nel pensiero e nell’epoca di John Selden (1584-1654), vol. I, Milano, Giuffrè, 2001, p. 58. ( 38) Salito al trono di Scozia pochi mesi dopo la nascita per la rinuncia forzata di Maria Stuart, Giacomo I fu fin dalla giovinezza oggetto delle pressioni presbiteriane. Lo stesso John Knox pronunciò il sermone per l’incoronamento del Re sul trono scozzese. A partire da questo momento la corona passò sotto il controllo della chiesa presbiteriana e della nobiltà. Per lunghi anni si sostituirono al sovrano reggenti e gli furono affidati tutori, guidati da George Buchanan e incaricati di educarlo a divenire un vero e proprio principe protestante. SAGGI 189 so poneva sulla responsabilità personale del singolo(39), la quale rischiava di trasformare la devozione dei sudditi in pretese che dall’ambito religioso potevano spostarsi a quello politico(40). L’ostilità di Giacomo nei confronti dei puritani era perciò principalmente di ordine politico e solo in seconda istanza di ordine religioso(41). Ciò che egli rimproverava al puritanesimo era il rifiuto del suo potere regale di governante supremo in materia ecclesiastica(42). I puritani respingevano in modo netto l’organizzazione gerarchica della chiesa, la stessa possibilità che i vescovi venissero nominati dall’alto. Essi infatti intendevano porre al posto della struttura episcopale i presbyters, e cioè introdurre il sistema ginevrino di consigli e assemblee di «anziani» chiamati a nominare e ordinare i ministri della chiesa. Nel modello proposto da John Knox la designazione dei titolari degli uffici ecclesiastici doveva avvenire mediante suffragio popolare e non da parte di un’autorità superiore. Non bisogna peraltro dimenticare che il carattere democratico della loro organizzazione ecclesiale non era in contraddizione con l’intenzione di creare un dispotismo teocratico, in cui l’«autorità ecclesiastica» a–––––––––– ( 39) La stessa regina Elisabetta era apparsa a volte più determinata a debellare il puritanesimo che il cattolicesimo. Cfr. CHR. HAIGH, Elizabeth I, London-New York, Longman, 1988, p. 41. ( 40) Non bisogna dimenticare che per il periodo che va dall’undicesimo al diciassettesimo secolo «non è eccessivo affermare che il grosso di tutti gli scritti che possiamo comprendere sotto il termine di ‘politici’ si occuparono in primo luogo della grande controversia tra autorità spirituale e autorità secolare. Per gran parte di questo lungo periodo la politica diventò poco più che un’aggiunta incidentale alla questione religiosa o ecclesiastica». Cfr. C.H. MCILWAIN, Il pensiero politico dai Greci al tardo Medioevo, cit., p. 186. ( 41) A proposito dei puritani Ugo Bonanate ricorda «in questi decenni vengono gettate le base di una concezione della società non più immobile e irreversibilmente stratificata, ma al contrario, considerata come un dato modificabile a proprio vantaggio, e tale quindi da generare non un rassegnato quietismo, ma l’entusiasmo per le possibilità che si intravedono». Cfr. U. BONANATE , I puritani. I soldati della Bibbia, Torino, Einaudi, 1975, p. 6. Fino a quel momento «il politico radicale attivo, ideologicamente impegnato, era del tutto sconosciuto in Europa. La società medievale, per usare i termini di un teorico moderno, era una società largamente composta da uomini inattivi, non-partecipanti». Cfr. M. WALZER, La rivoluzione dei santi, Il puritanesimo alle origini del radicalismo politico, Torino, Claudiana, 1996, p. 40. ( 42) Cfr. C.H. MCILWAIN, Introduction, cit., p. XCII. 190 DIRITTO PUBBLICO vrebbe finito per sostituirsi al «potere secolare» nella gestione della vita collettiva(43). I presbiteriani intendevano porre il potere politico sotto il controllo dell’organizzazione ecclesiastica. La polemica con il settlement elisabettiano all’inizio del diciassettesimo secolo si incentrava proprio su questo punto. I puritani affermavano la necessaria subordinazione delle autorità temporali alle indicazioni che provenivano dai ministri del culto. Se certo non arrivarono mai a sostenere per ciò una qualsiasi forma di resistenza attiva nei confronti del sovrano, tuttavia non mancarono di sottolineare a più riprese il diritto di manifestare il proprio dissenso, e i rischi sottesi alla proclamazione del principio della libertà di coscienza individuale erano evidenti ai loro stessi oppositori( 44). Ai nostri fini si può osservare che il presbiterianesimo era una dottrina che proponeva una visione dell’uomo diametralmente opposta alla tradizionale immagine dell’uomo del medioevo, caratterizzato dalla sostanziale rassegnazione nei confronti della volontà divina e dalla conseguente passività politica. Proponeva una nuova ricostruzione della sfera religiosa, nell’ambito della quale l’uomo era chiamato a esprimersi e a partecipare attivamente alla realizzazione della volontà divina, come membro della comunità degli eletti( 45). Ciò non poteva non avere sul lungo periodo una ricaduta nella sfera politica; e in tal senso si può ritenere che esso abbia finito per essere una vera e propria ideologia rivoluzionaria(46). Nella visione puritana il Re era considerato niente altro che un membro della chiesa e certamente non il suo capo(47). Proprio in –––––––––– ( 43) Cfr. G. SACERDOTI, Sacrificio e sovranità, cit., pp. 17 s. ( 44) Cfr. P. ADAMO, La libertà dei santi, cit., pp. 49 ss. ( 45) Cfr. U. BONANATE , I puritani. I soldati della Bibbia, cit., p. 11. ( 46) Cfr. M. WALZER, La rivoluzione dei santi, cit., p. 59. ( 47) Andrew Melville dichiarava alla presenza di Giacomo «There are two kings and two kingdoms in Scotland, that is King James the head of the Common wealth, and there is Christ Jesus the King of the Church, whose subject king James VI is, and of whose SAGGI 191 questo senso, nella comune negazione della supremazia del sovrano sulla chiesa, i puritani finivano per avvicinarsi ai cattolici( 48). D’altro canto non bisogna dimenticare che l’immagine offerta dal sistema presbiteriano era sostanzialmente incompatibile con una monarchia, mentre nella visione dottrinaria di una parte dei cattolici era comunque immaginabile la possibilità per il Re di sostituirsi al Papa(49). 3.2. La posizione dei cattolici. – Gran parte degli scritti politici inglesi del diciassettesimo secolo possono essere letti come un diretto attacco contro il punto di vista degli autori cattolici. Lo stesso Robert Filmer dedicò la sua opera, il Patriarcha, a confutare le tesi dei due grandi teorici della Controriforma, Roberto Bellarmino e Francisco Suàrez. Se verso l’esterno la polemica con il mondo cattolico ebbe modo di esprimersi con riguardo al tema del giuramento di fedeltà, verso l’interno l’ostilità nei confronti della minoranza cattolica aveva avuto modo di crescere in seguito alla vicenda che aveva determinato l’imposizione di tale giuramento: la «Congiura delle polveri» del 1604. Delusi nelle loro speranze al pari dei puritani, un gruppo di nobili cattolici progettò di far saltare in aria il Parlamento nella seduta di apertura ufficiale dei suoi lavori. Il progetto fu tuttavia scoperto e sventato quando uno degli attentatori si trovava già davanti ai barili di polvere da sparo. L’episodio merita di essere ricordato per tre ragioni: in primo luogo perchè rivela la percezione che gli attentatori avevano del Parlamento come del loro vero nemico; e ciò testimonia il rilievo che in questi anni esso aveva assunto, divenendo il vero centro politico del paese e non più solo un’Alta Cor–––––––––– kingdom he is not a king, nor a lord, nor a head, but a member» (citato in C.H. MCILWAIN, Introduction, cit., p. XXI. ( 48) Cfr. J.N. FIGGIS, The Divine Right of Kings, cit., pp. 186 ss. ( 49) Cfr. G. SACERDOTI, Sacrificio e sovranità. Teologia e politica nell’Europa di Shakespeare e Bruno, cit., p. 19. 192 DIRITTO PUBBLICO te di giustizia. In secondo luogo perché al tentativo di attentato seguì una forte reazione anticattolica accompagnata dall’adozione di numerosi provvedimenti repressivi nei confronti dei «puritani-papisti»(50). Fu così che, come già era avvenuto in passato con l’ostilità nei confronti degli spagnoli, l’avversione nei confronti dei cattolici divenne un importante elemento di identificazione per gli inglesi. In Inghilterra, l’ostilità nei confronti di Roma non solo finì per configurarsi come una testimonianza di vera devozione religiosa(51), ma assunse i caratteri di vero e proprio patriottismo(52). A testimonianza di ciò basti ricordare che, al pari della sconfitta dell’Invencible Armada, l’episodio della «Congiura delle polveri» verrà ricordato ancora a lungo, tanto da venire celebrato nel 1640 in una preghiera di ringraziamento rivolta alla Provvidenza e pronunciata quotidianamente dalla Camera dei Comuni( 53). In terzo luogo perché Giacomo I approfittò del clima di indignazione che seguì il fallito attentato per ottenere il consenso del Parlamento all’espulsione dei gesuiti, per imporre ai cattolici uno speciale giuramento di allegiance al Re e per far approvare un provvedimento che negava al Papa ogni potere di deporre i sovrani e di sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà(54). Il giuramento di fedeltà costituisce il fulcro di tutto il successivo conflitto tra cattolici e sovrano. Risponde alla sfida lanciata dalla teoria bellarminiana del potere temporale indiretto del Papa(55), anche se ne accetta una delle premesse: la separazione tra potere spiri–––––––––– ( 50) Emblematica definizione dei cattolici di Giacomo I. Cfr. The Political Works of James I, cit., p. 126. ( 51) Cfr. C. HILL, L’Anticristo nel Seicento inglese, Milano, Il Saggiatore, 1990, pp. 11 ss. ( 52) Cfr. E.S. MORGAN, op. cit., p. 18. ( 53) Cfr. C. RUSSEL, Alle origini dell’Inghilterra moderna. La crisi dei parlamenti 1509-1660, cit., p. 399. ( 54) Cfr. S. CARUSO , La miglior legge del regno, cit., p. 60. ( 55) Secondo il cardinale Bellarmino il Papa non ha alcun potere diretto nelle materie temporali, ma soltanto nelle spirituali, tuttavia, proprio in ragione del suo potere spirituale, egli ha talvolta, indirettamente, un potere supremo nelle materie temporali. SAGGI 193 tuale e potere temporale(56). Esso rappresenta di conseguenza un passaggio chiave nella storia del pensiero politico moderno, in ragione di una più chiara delimitazione del potere secolare e ecclesiastico(57). La controversia nata dalla «Congiura delle polveri» non è perciò una questione prettamente inglese, ma mette in discussione l’intero statuto dei poteri secolari in Europa in contrasto con la tradizione cattolica stessa. Il principale artefice del giuramento fu l’arcivescovo di Canterbury Richard Bancroft, succeduto a Whitgift e già suo collaboratore nella campagna anti-puritana. Il giuramento appariva vantaggioso in quanto non comportava il venir meno della fedeltà dei sudditi cattolici al Papa. Tuttavia esso prevedeva una precisa negazione del potere papale di scomunica e di deposizione dei principi. Ciò non mancò di sollevare un vivace dibattito che vide nei gesuiti, da sempre ardenti difensori del diritto di resistenza, gli oppositori più tenaci nei confronti della nuova misura coercitiva contro la chiesa. Per rispondere alle critiche lo stesso Giacomo I si vide costretto a scrivere nel 1607 l’Apologia per il giuramento di fedeltà(58), nelle cui pagine la questione religiosa è strettamente connessa a quella della so–––––––––– ( 56) Cfr. C.H. MCILWAIN, Introduction, cit., p. XLIX. ( 57) Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique de L’État moderne, cit., p. 88. ( 58) Sulla controversia tra il cardinale Bellarmino e Giacomo I riguardo al giuramento di fedeltà, v. B. BOURDIN, La genése théologico-politique de L’État moderne, cit., pp. 94 ss., «la réponse du cardinal à l’Apologie de Jacques fait clairement apparâitre, en vertu du pouvoir de lier et délier, la divergente doctrinale entre royauté et papauté à propos de leur jurisdiction respective. La première, par sa volonté de ne pas laisser amoindrir sa souveraineté, poursuit et même accentue la politique inaugurée par Henry VIII concernant la requête de fidélité des sujets à la Couronne, et sur le plan des conséquences ecclésiologiques, engagè avec plus d’exigence ancore, la reconsidération de la notion d’Église. La seconde s’attache à défendre la conception romaine d’Église, centrée sur la primauté de jurisdiction du pape et sur son pouvoir temporel indirect». D’altro canto lo stesso Giacomo I non manca di sottolineare come il giuramento sia cosa ne diversa dall’Atto di supremazia di Enrico VIII. In esso è assente qualsiasi negazione dell’autorità spirituale del pontefice e lo stesso potere di scomunica inteso nel suo significato originario di privazione dell’altare rimane intatto. Il problema che intende affrontare è quello della lealtà del suddito al sovrano, riconoscendo implicitamente il dato della pluralità confessionale entro i confini nazionali. Cfr. F. MOTTA, Bellarmino. Una teologia politica della Controriforma, Brescia, Morcelliana, 2005, pp. 396 s. 194 DIRITTO PUBBLICO vranità del monarca e della problematica lealtà dei suoi sudditi cattolici. Non bisogna peraltro dimenticare che numerosi teorici gesuiti della Controriforma si erano dimostrati disponibili verso soluzioni politiche imperniate sulla sovranità popolare, dimostrandosi in tal modo forse più radicali dei calvinisti( 59). La teoria elaborata in ambito cattolico rappresentava perciò una non trascurabile minaccia per le pretese di supremazia del sovrano inglese. I teorici della Controriforma, prima domenicani e poi gesuiti, nella seconda metà del cinquecento(60), affermavano la necessità di tenere distinti il potere secolare e il potere ecclesiastico. Il Papa, nella loro visione della chiesa, non poteva vantare alcun potere diretto sugli Stati secolari. Tuttavia erano ben attenti a non sostenere che tutto il potere coattivo dovesse essere necessariamente un potere secolare. E rivendicavano con nettezza un’autorità giurisdizionale della chiesa. Anche se spesso veniva da loro negato un potere coattivo della chiesa sugli affari temporali, purtuttavia molti di loro ritenevano che il Papa avesse ampi poteri indiretti. Tra i teorici che sostennero la tesi del potere indiretto del Papa merita di essere ricordato per la raffinatezza del pensiero Francisco Suàrez. Egli fu incaricato di scrivere nel 1613 una risposta all’Apologia del giuramento di fedeltà elaborata da Giacomo I contro gli attacchi del cardinale Roberto Bellarmino e del Papa stesso: la Defensio fidei catholicae et apostolicae adversus sectae Angliganae errores. La sua riflessione si rivela interessante per molti aspetti. Prende le mosse da una premessa contrattualistica non dichiarata: quella dell’esistenza di un precedente stato di natura nel quale tutti gli uomini sono uguali, liberi e indipendenti( 61). In questo stato nessun –––––––––– ( 59) Cfr. Q. SKINNER, Le origini del pensiero politico moderno, vol. II, cit., p. 169. ( 60) Influenzati dal pensiero di Ockham e dei suoi seguaci. Cfr. Q. SKINNER, Le origini del pensiero politico moderno, vol. II, cit., p. 254. ( 61) J.P. SOMMERVILLE, From Suàrez to Filmer, in Historical J., vol. 25, n. 3, p. 525. SAGGI 195 uomo è superiore agli altri. Posto ciò egli precisa, nella migliore tradizione aristotelico-tomistica, che gli uomini sono animali socievoli destinati a vivere una vita comunitaria(62). L’idea di fondo è che Dio quando creò la natura umana diede agli uomini taluni istinti che, seguiti razionalmente, lo avrebbero condotto al proprio profitto. Tra questi istinti rientra naturalmente quello che li spinge a vivere in gruppi: gruppi necessari al compimento delle basilari necessità umane(63). In aggiunta a ciò Dio diede agli uomini la libera volontà di scegliere o anche rifiutare ciò che per essi poteva essere vantaggioso. Tuttavia gli istinti e la razionalità dell’uomo sono forti abbastanza da assicurare che ciò non succeda. Seguendo i loro istinti razionalmente gli uomini erigono famiglie e Stati. L’istinto naturale spinge gli uomini verso la formazione di comunità di vario genere, e la ragione dice loro che ciò è utile. Ma nel far ciò non li costringe. Gli uomini si uniscono volontariamente con lo scopo di perseguire il bene comune. Naturalmente, una volta costituita questa comunità, essa possiede tutti i poteri necessari per perseguire questo fine. Il consenso produce la comunità politica ma non conferisce ad essa potere; questo trova fondamento nelle leggi di natura. Nella comunità il potere risiede nell’intero. Ciò perché, posta l’originale uguaglianza degli uomini, non c’è ragione per cui un uomo piuttosto che un altro possa averlo. Francisco Suàrez è consapevole del fatto che, per conferire il potere politico al popolo in una situazione svincolata dalle leggi positive, occorre considerarlo come un organismo in possesso di una personalità giuridica collegiale in grado di esprimere i propri fini comuni( 64): in questo senso si può dire che tutte le società originariamente sono democratiche(65). Tuttavia i pensatori cattolici affer–––––––––– ( 62) Cfr. Q. SKINNER, Le origini del pensiero politico moderno, vol. II, cit., p. 230. ( 63) Cfr. J.P. SOMMERVILLE, From Suàrez to Filmer, cit., p. 526. ( 64) Cfr. Q. SKINNER, Le origini del pensiero politico moderno, vol. II, cit., pp. 242 s. ( 65) Cfr. J.P. SOMMERVILLE, From Suàrez to Filmer, cit., p. 528. 196 DIRITTO PUBBLICO mano che la comunità non si mantiene tale perché trasferisce in un secondo momento il potere a uno o più persone a certe condizioni, o lo delega a magistrati che, appunto perché delegati, rimangono responsabili verso l’intera comunità. Alcuni teorici cattolici ritengono che il trasferimento o la delega siano atti necessari; altri, come Francisco Suàrez, affermano che, benché sia consigliabile per la comunità agire in questo modo, non è obbligata a far ciò dalla ragione naturale. La nostra ragione ci spinge a erigere società politiche in ragione dei maggiori benefici che derivano alla nostra sicurezza e prosperità dalla accettazione di una qualche limitazione alla nostra libertà originaria, ma non siamo costretti a questa scelta, e a quelle successive, relative alla individuazione dell’autorità politica, dalla legge di natura. Esiste una possibilità di scelta che la comunità deve accettare di compiere(66). Secondo Francisco Suàrez il consenso costituisce il mezzo attraverso cui si dà vita a uno Stato legittimo. Muovendo da questa premessa egli desume che l’autorità politica deriva dal popolo inteso come un tutto, poiché l’individuo da solo non saprebbe esercitarla. È solo attraverso il consenso della comunità che tale potere può essere trasferito al Re o ad altri magistrati. Ed è solo attraverso il consenso che l’autorità del Re o dei magistrati possono ritenersi legittime. Prima di questo momento il potere risiede nell’intera comunità. Su questo passaggio occorre porre l’accento: il potere trova il proprio fondamento nella natura delle cose, nelle leggi di natura, non come potere che appartiene a qualcuno, ma come potere che appartiene all’intera comunità(67). «Ex vi rationis naturalis nulla potest excogitari ratio cur haec potestas determinetur ad unam personam, vel ad certum numerum personarum infra totam communitatem, magis quam ad alium; er–––––––––– ( 66) Cfr. Q. SKINNER, Le origini del pensiero politico moderno, vol. II, cit., pp. 234 ss. ( 67) Cfr. J.P. SOMMERVILLE, From Suàrez to Filmer, cit., p. 529. SAGGI 197 go ex vi naturalis concessionis solum est immediate in communitate»(68). Nel momento in cui il potere politico viene trasferito ad un Re o a dei magistrati, essi devono attenersi alle condizioni poste dal popolo. Nel caso in cui non le rispettino il potere torna al popolo. È su questo passaggio che si fonda la teoria cattolica del diritto di resistenza. Un diritto di autodifesa degli individui era riconosciuto, in via generale, da Francisco Suàrez, in accordo con la massima «vim vi repellere licet». Alla possibilità di tutelare sé stessi si affiancava, come sua naturale estensione, per i cittadini, la possibilità di tutelare la comunità di cui facevano parte contro gli attacchi, provenienti dall’esterno o dallo stesso principe. Sostenere, però, che egli limitasse il diritto di resistenza della comunità solo ai casi in cui fosse necessario preservarla contro le aggressioni dirette non è coerente con un’interpretazione complessiva del suo pensiero, che tenga conto del fatto che, nella sua opera, è completamente assunta la riflessione cattolica sulla nascita del governo. Questa conferisce un peso particolare al contratto originale con cui la comunità trasferisce il potere civile al governante(69): quest’ultimo è vincolato a rispettare le condizioni minime in esso fissate per il conseguimento del bene comune. Il contratto contrario al pubblico interesse – che non preveda queste condizioni minime e il dovere di rispettarle – è ingiusto e perciò invalido(70). Alcuni commentatori hanno dedotto dalle parole di Suàrez sul tema del contratto una giustificazione dell’assolutismo, laddove egli ha affermato che benché il popolo possa considerarsi la fonte origi–––––––––– ( 68) Cfr. F. SUÀREZ, Defensio fidei, citato in J.P. SOMMERVILLE, From Suàrez to Filmer, cit., p. 528. ( 69) Cfr. B. BOURDIN, La genèse théologico-politique de l’État moderne, cit., pp. 34 s. ( 70) Molti scrittori erano convinti della realtà storica di tale contratto e lo stesso Francisco Suàrez affermava che esso fosse inglobato nell’«antica costituzione» e che fosse un vincolo effettivo nei confronti del governante. Cfr. J.P. SOMMERVILLE, From Suàrez to Filmer, cit., p. 533. 198 DIRITTO PUBBLICO naria dell’autorità del principe, in ogni caso il trasferimento della sovranità avviene una volta per tutte: è definitivo e incondizionato. Instaurando un’analogia tra l’individuo e la comunità Francisco Suàrez argomenta che come l’individuo può cedere la propria libertà, così la comunità può cedere la propria autorità civile. Secondo questa interpretazione, indubbiamente, l’unico caso in cui è possibile resistere nei confronti del sovrano sarebbe quello dell’aggressione diretta. Questa lettura, a lungo diffusa tra gli studiosi, non tiene conto, però, del concetto di bene pubblico, centrale nel pensiero di Francisco Suàrez( 71). Egli ritiene che noi siamo obbligati dai contratti che stipuliamo qualora essi siano giusti, e non ritiene che siamo obbligati da contratti ingiusti. Il contenuto del contratto giusto è evidente: la legge naturale conferisce il potere civile alla comunità per assicurare il perseguimento del bene pubblico. Ne consegue che il principe, cui è stato trasferito tale potere, non può esercitarlo in modo incompatibile con il bene comune. In sostanza, se la comunità stipula con il principe un contratto attraverso il quale gli permette di esercitare il potere civile contro il pubblico interesse, tale contratto è da ritenersi ingiusto, perciò invalido. Nessuno sarà perciò tenuto ad obbedire al sovrano. Francisco Suàrez riteneva che il principe in questi casi potesse essere deposto dal suo popolo. Siccome la legge naturale conferisce alla comunità il potere di assicurare il bene pubblico, ne consegue che se il principe non esercita tale potere, esso torna al popolo affinché questi assuma le conseguenti decisioni: la legge naturale, infatti, richiede che qualcuno assicuri il bene comune, dal momento che questo è l’obbiettivo della società civile(72). Nella teoria cattolica, e nel pensiero di Francisco Suàrez, in definitiva, il contratto originale non era affatto utilizzato per sostene–––––––––– ( 71) Cfr. J.P. SOMMERVILLE, From Suàrez to Filmer, cit., p. 534. ( 72) Cfr. J.P. SOMMERVILLE, From Suàrez to Filmer, cit., p. 534. SAGGI 199 re l’assolutismo, ma piuttosto per limitare i poteri del Re. Il suo contenuto minimo era che il Re doveva necessariamente governare nell’interesse pubblico. La resistenza attiva nei confronti del sovrano trovava perciò la propria giustificazione attraverso il diretto ed esplicito riferimento al contratto e non nei termini della semplice autodifesa. Queste erano certo affermazioni molto pericolose agli occhi di Giacomo I e dai suoi sostenitori. Nella Defensio fidei Francisco Suàrez spiega come la comunità politica non escluda una chiesa fondata da Cristo, intesa come regnum. In tal senso i teorici della Controriforma si opponevano a quelle teorie che sostenevano che tutto il potere coattivo dovesse essere secolare(73). Naturalmente vi sono delle differenze: la chiesa è immutabile, al contrario dei poteri umani, e la sua finalità spirituale è universale, al contrario dei poteri civili particolari. Ciò che la distingue dai poteri temporali è la sua istituzione direttamente divina contrariamente all’origine dei governi temporali fondata sul diritto naturale. In ragione del suo fine soprannaturale tra la chiesa e l’ordine politico intercorre una relazione di dipendenza indiretta. La chiesa può intervenire indirettamente nel campo d’azione del potere temporale qualora esso attenti alla salvezza delle anime e al buon funzionamento delle istituzioni ecclesiastiche. Francisco Suàrez introduce la teoria del potere indiretto del Papa affermando che egli può costringere i Re mediante scomunica o interdetto o mediante sanzioni, giungendo sino al punto di sottrarre loro il regno. Ciò può avvenire naturalmente per tutelare i suoi sudditi( 74). «Pontifex Summum, ex vi suae potestatis seu iurisdictionis spiritualis, est superior regibus et princibus temporalibus, ut eos in usu potestatis temporalis dirigat in ordine spiritualem finem, ratione –––––––––– ( 73) Cfr. Q. SKINNER, Le origini del pensiero politico moderno, vol. II, cit., p. 260. ( 74) Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique de L’État moderne, cit., pp. 36 s. 200 DIRITTO PUBBLICO cuius potest talem usum praecipere vel prohibere, exigere aut impedire, quantum ad spirituale bonum Ecclesiae fuerit coneveniens. Per potestatem enim directivam non intellegimus solam potestatem consulendi, monendi, aut rogandi, haec enim non sunt propria superioris potestatis, sed intelligimus propriam vim obligandi, et cum morali efficacia movendi, quam aliqui solent coactivam appellare, sed haec vox magis ad poena pertinet […], hic autem de iurisdictione ad obligandum in coscientia loquimitur»(75). 4. I caratteri della teoria del diritto divino. – Nel processo di definizione dei rapporti tra chiesa e Stato, l’unico modo che Giacomo I aveva di respingere definitivamente le pretese presbiteriane e cattoliche era rivendicare a sua volta la supremazia ecclesiastica, proclamando il diritto divino dei Re(76). La teoria da lui elaborata si configura perciò come un costruzione rivolta alla confutazione delle teorie degli avversari; le sue riflessioni sul diritto divino dei Re sono a un tempo anti-cattoliche, poiché negano una qualsivoglia supremazia papale, e anti-calviniste, giacché negano la pretesa puritana di sottomettere lo Stato alla chiesa. Si delineano pertanto come una vera e propria dichiarazione di indipendenza, il fondamento della libertà inglese da ogni potere straniero(77), e allo stesso tempo appaiono come una netta presa di posizione contro le teorie del diritto di resistenza da ovunque esse provengano(78). È innegabile che –––––––––– ( 75) Cfr. F. SUÀREZ, Opera, tomo XXIV, Defensio Fidei, lib. III, c. XXII, 1, Parigi, Éd. Vives, 1859. ( 76) «Era in base al loro diritto divino che papato e presbiterio potevano agire sulla coscienza dei fedeli, recidendone i legami di lealtà all’autorità civile». Cfr. G. SACERDOTI, Sacrificio e sovranità, cit., p. 75. «If Christian and Jewish theology created for us an antropomorphic deity, Christian politics, and English politics not least, created a theomorphic king». Cfr. E.S. MORGAN, op. cit., p. 17. ( 77) Cfr. Ibidem, p. 18. «si le roi Stuart marque une étape décisive dans la genèse de la politique moderne, c’est parce qu’il oppose, à partir d’une théhorie théologico-politique, la pussance de l’État à celle du Siège romain. L’originalité de Jaques Ier est de faire de la théologie une arme redoutable pour amener la souveraineté pontificale à ne plus être qu’une puissance parmi d’autres, avec ses finalités propres». Cfr. B. BOURDIN, La genése théologicopolitique de L’État moderne, cit., p. 12. ( 78) Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique de L’État moderne, cit., p. 135. SAGGI 201 grazie alla sua riflessione sulle origini del potere politico Giacomo I poté aderire, almeno in parte, a concezioni del potere che stavano allora diffondendosi sul continente. Tale teoria si discosta dall’idea medievale secondo cui il Re è il vicario di Dio in terra(79). Secondo la teoria medievale, il Re era di diritto divino solo indirettamente, in ogni caso nel quadro della tradizione costituzionale inglese. Giacomo I, al contrario, arriva a formulare la teoria moderna secondo cui il sovrano non è soggetto ad alcuna legge umana, nemmeno alla common law(80) (anche se quest’ultima affermazione non sarebbe mai stata sottoscritta apertamente da nessun teorico del diritto divino). Nel 1609-10 Giacomo I pronunciava queste parole innanzi ai Comuni e ai Lords a Whitehall: «The State of Monarchie is the supremest thing upon the earth: For Kings are not onely Gods Lieutenant upon earth, and sit upon Gods throne, but even by God himselfe they are called Gods»(81). Al contrario di quanto veniva sostenuto negli ambienti cattolici, Giacomo non concepisce la sua funzione regale al servizio di un –––––––––– ( 79) Cfr. G. BURGESS, The Divine Right Reconsidered, in English histor. rev., vol. 107, n. 425 (Oct. 1992), p. 841. ( 80) La teoria di R. Filmer, efficacemente sintetizzata da Costa, esprime chiaramente questa nuova visione: «In primo luogo il Re detiene il monopolio del diritto: la common law, che pure anche per Filmer costituisce un quadro normativo accettabile, deve essere suscettibile di adattamenti e modificazioni di cui solo il Re può farsi portatore, proprio perché egli è, insieme, legislatore ed interprete supremo del diritto; e d’altronde il diritto consuetudinario, quindi la stessa continuità ‘immemorabile’ del diritto comune, ha alla sua origine un comando o un’autorizzazione sovrana e non costituisce quindi nemmeno per la sua origine un’eccezione al monopolio del diritto da parte del sovrano. In secondo luogo, anche per Filmer il Parlamento gode di un grande prestigio, si avvale di una lunga tradizione storica, svolge un’importante funzione (costituire un elemento di raccordo tra il Re e i sudditi), ma non può certo condividere con il monarca l’esercizio della sovranità. Come momento intermedio fra il principe e i soggetti, il Parlamento raccoglierà le istanze di questi ultimi e formulerà petizioni, mentre confermerà le leggi emanate dal Re rafforzandole agli occhi delle magistrature inferiori e del popolo. In terzo luogo, le libertà rivendicate in Parlamento ed attribuite ai soggetti sono libertà «of grace from the king», si fondano su una graziosa concessione del sovrano e non sono «the liberties of nature to people». La stessa Magna Charta porta nella sua stessa intestazione, traccia della volontà regia che in essa si è liberamente manifestata» (P. COSTA, op. cit., pp. 186 s.). ( 81) Citato in G. BURGESS, The Divine Right Reconsidered, cit., p. 837. 202 DIRITTO PUBBLICO ordine ecclesiastico-istituzionale, il cui elemento unificatore è rappresentato dal Papa. E allo stesso tempo respinge la dottrina presbiteriana dei due regni che subordina il potere dei Re al potere ecclesiastico dei pastori. Il sovrano nella riflessione di Giacomo è direttamente investito da Dio e i sudditi debbono essere fedeli solo alla sua persona, indipendentemente dalle appartenenze confessionali. Giacomo riesce a costruire in tal modo una teoria della regalità slegata da qualsiasi chiesa senza nel far ciò dissolvere il fondamento religioso della condizione politica. Muovendo da una simile teoria si giunge a escludere ogni forma di resistenza nei confronti del monarca, in quanto egli è assunto come diretta immagine di Dio, quando addirittura non viene identificato con lui( 82). Le idee di Giacomo trovarono espressione nel trattato pubblicato nel 1598, The Trew Lawe of Free Monarchies: Or the Reciprock and mutuall Duties Betwixt a Free King, and His Naturall Subjects e poi in seguito nel Basilikon Doron(83). Quest’ultimo fu tradotto in molte lingue e il suo successo perdurò nel tempo. Nell’intento originario l’opera doveva essere diffusa unicamente tra i membri della Corte e non era destinata a essere conosciuta da un più largo pubblico. Il destinatario è il principe Enrico, cui Giacomo vuole dare un ammaestramento nell’arte del governare(84). In queste pagine, e–––––––––– ( 82) Dall’investitura divina negli anni Giacomo passerà alla totale identificazione del sovrano con Dio. Nel 1609 in Parlamento dichiarerà: «The State of Monarchie is the supremest thing vpon earth: For Kings are not only Gods Lieutenants Vpon earth, and sit vpon Gods throne, but euen by Gods himselfe they are called Gods». Cfr. Speech of 1609 in The Political Works of James I, cit., p. 307. ( 83) Opera che ebbe una grande diffusione in Inghilterra dopo l’arrivo del sovrano dalla Scozia: cfr. LINDA LEVY PECK, The Mental World of the Jacobean Court, Cambridge, 1991, p. 4. ( 84) Di tale intenzione è testimonianza questo sonetto introduttivo dell’opera: «God giues not Kings the stile of Gods in vaine / For on his throne his Scepter do they swey: / And as their subiects ought them to obey, / So Kings should feare an serue their God againe, / If then ye would enjoy a happie raigne, / Observe the statutes of our heauenly King: / And from his Law, make all your Laws to spring: / Since his Lieutenant here ye should remain, / Reward the iust, be stedfast, true and plaine: / Represse the proud, maintayning aye the right: / Walke alwayes so, as euer in his sight, / Who guardes the godly, plaguing the prophane: / And so ye shall in princely vertues shine, / Resembling right your mightie King Diuine». Cfr. Basilikon Doron in The Political Works, cit., p. 3. SAGGI 203 gli rivendica in maniera velata, per non violare l’Articolo XXXVII, l’autorità episcopale degli imperatori d’Oriente(85), la quale non derivava tanto dalle Sacre Scritture quanto dalle precedenti pratiche pagane(86). Se al tempo dei Tudor la metafora consueta era stata quella del capo e del corpo politico, nell’opera di Giacomo I l’immagine cui si ricorre è quella del padre e dei figli e viene accentuato il ruolo della famiglia come mattone fondamentale della comunità politica(87). Il Re è visto come «padre del suo popolo»: una moltitudine senza capo che solo grazie a lui può realmente dirsi tale(88). Nel trattato The Trew Lawe of Free Monarchies il bersaglio privilegiato di Giacomo è la dottrina della resistenza elaborata da George Buchanan. Nelle pagine di questo scritto egli si fa avvocato della dottrina del diritto divino diretto. Il tema verrà ripreso qualche anno dopo con la già citata Apologia per il giuramento di fedeltà nel 1606, opera rivolta più direttamente ai sudditi cattolici e destinata a opporsi alla teoria bellarminiana del potere temporale indiretto del Papa. Entrambi gli scritti intendono difendere la supremazia del sovrano di diritto divino sulle varie appartenenze confessionali( 89). Nel trattato l’interlocutore di Giacomo I è il popolo unitariamente inteso, cui il Re intende spiegare la preferenza per la monarchia come forma di governo ideale e il conseguente obbligo di obbedienza per i sudditi: «As there is not a thing so necessarie to be knowne by the people of any land, next the knowledge of their God, as the right knowledge of their alleagance, according to the forme of gouvernement established among them, especially in a Monarchie (which forme of gouernment, as resembling the Diuinitie, approacheth –––––––––– ( 85) Cfr. G. SACERDOTI, Sacrificio e sovranità, cit., p. 56. ( 86) L’autorità vescovile dei re verrà affermata anche da Hobbes attraverso il richiamo agli imperatori bizantini. Cfr. T. HOBBES, Leviatano, Roma-Bari, Laterza, 1974, cap. XLII. ( 87) Cfr. L. D’AVACK, Costituzione e Rivoluzione, cit., p. 146. ( 88) Cfr. S. CARUSO , La miglior legge del regno, cit., p. 56. ( 89) Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique de L’État moderne, cit., p. 137. 204 DIRITTO PUBBLICO nearest to perfection, as all the learned and wise men from the beginning haue agreed vpon; Vnitie being the perfection of all thing) So hath the ignorance, and (which is worse) the seduced opinion of the moltitude blinded by them, who thinke themselues able to teach and instruct the ignorants, procured the wracke and ouerthrow of sundry flourishing Common-wealths; and heaped heauy calamities, threatning vtter destruction vpon others»(90). Giacomo precisa che il suo intento è di illustrare ai sudditi la funzione regale, i cui fondamenti sono la scrittura(91), le leggi fondamentali del regno e le leggi naturali( 92). È interessante osservare come egli si rivolga al popolo, non nei termini di un corpo politico, ma come un padre ai figli, che hanno bisogno di essere istruiti( 93); egli è chiamato, nei confronti dei sudditi, a esercitare un potere analogo a quello esercitato dal pater familias(94). Si inizia a spezzare in tal modo la tradizionale visione gerarchica del corpo politico, e il popolo diviene un interlocutore unitario con cui il sovrano si confronta direttamente senza mediazioni. Questo modo di rapportarsi con i sudditi era indubbiamente conseguenza dell’educazione calvinista che era stata impartita a Giacomo in Scozia. Non bisogna di–––––––––– ( 90) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, in The Political Works of James I, cit., pp. 53 s. ( 91) Il ricorso all’argomentazione scritturale ha particolare significato se si tiene conto del fatto che egli intende prima di tutto opporsi alle teorie ecclesio-politiche presbiteriane. ( 92) «First then, I will set downe the trew grounds, whereupon I am to build, out the Scriptures, since Monarchie is the trew paterne of Diuinitie, as I haue already said: next, from the fundamental Lawes of our owne Kingdome, which nearest must concerne vs; thirdly, from the Law of Nature, by diuers similitudes drawne out of the same: and will conclude syne by answering the most waighty and appearing incommodities that can be obiected» (The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 54). ( 93) «By the Law of Nature the Kings becomes a naturall Father to all his Lieges at his Coronation: And as the Father of his fatherly duty is bound to care for the nourishing, education, and vertuous gouernment of his children; euen so is the king bound to care foe all his subiects» (The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 55). ( 94) Negli stessi termini sarà inteso più tardi da Filmer. Cfr. R. FILMER, Patriarcha. The Naturall Power of Kinges Defended against the Unnatural Liberty of the People, in ID., Patriarcha and Other Writings , a cura di J.P. Sommerville, Cambridge, Cambridge University Press, 1991, ch. 3, p. 19. Sulla diffusione di questa immagine anche negli ambienti puritani, v. M. WALZER, La rivoluzione dei santi, cit., pp. 219 ss. SAGGI 205 menticare che il Dio calvinista, di cui gli avevano parlato durante tutta la sua infanzia, era un Dio che metteva in pericolo la gerarchia medievale degli ordini, livellando il cosmo e liberando l’uomo da ogni giurisdizione alternativa: era sovrano assoluto dinnanzi al quale tutti gli uomini erano uguali( 95). I Re, diceva lo stesso Giacomo in un discorso pronunciato in Parlamento nel 1609, «are justly calle Gods, for they exercice a manner or resemblance of Divine power upon earth: For if you wil consider the Attributes to God, you shall see how they agree in the person of a King. God hath power to create, or destroy, make, or unmake at his pleasure, to give life, or send death, to judge all, nd to be judged nor accomptable to none: To raise low things, and to make high things low at his pleasure, and to God are both aoule and body due. And the like power have Kings: they make and unmake their subjects: they have power of raising, and casting downe: of life, and of death: Judges over all their subjects, and in all causes, and yet accomptable to none but God onely. They have power to exalt law things, and abase high things, and make of their subjects like men at the Chesse»(96). Ciò non toglie che la rottura non sia così drastica e che ancora in una certa qual misura la tradizionale immagine della «Grande catena dell’essere» (strettamente legata alla visione organicistica dello Stato) sia ancora il fondamento della visione di Giacomo(97). Non a caso egli fu uno strenuo difensore della struttura episcopale della chiesa. Tuttavia è indubbio che comincino a farsi strada nuovi modelli anche grazie agli influssi provenienti dal continente(98). Per un –––––––––– ( 95) Cfr. M. WALZER, La rivoluzione dei santi, cit., pp. 188 s. ( 96) Cfr. Speach of 1609 in The Political Works of James I, cit., pp. 307 s. ( 97) Cfr. F. OAKLEY, Omnipotence, Covenant and Order: an Excursion in the History of Ideas from Abelard to Leibniz, NY, Ithaca, 1984, pp. 96 ss. ( 98) «L’antico ordine dei poteri, delle gerarchie, dei corpi non si dissolve come nebbia al sole alle prime avvisaglie di mutamento, ma continua a costituire la solida trama entro la quale si fanno strada elementi di novità. La stessa ‘assolutizzazione’ della sovranità, pur permettendo di stringere in un inedito ‘circolo virtuoso’ l’individuo e il sovrano, non dissolve bruscamente ogni principio concorrente: la ‘nuova’ sovranità non si costituisce, ma si so- 206 DIRITTO PUBBLICO definitivo abbandono della visione organicista si dovranno attendere i libellisti della Rivoluzione inglese. L’argomentazione utilizzata da Giacomo I prende le mosse dalla narrazione del passo biblico I Samuele 8, 10-20(99) e sviluppa un ragionamento di fondamentale importanza a sostegno della monarchia di diritto divino, che serve a precisare quali siano i doveri dei sudditi nei confronti del sovrano. Attraverso il riferimento biblico si mettono in evidenza due aspetti chiave della teoria del diritto divino: il primo, che è il popolo «attivamente» ad aver chiesto a Samuele un Re; il secondo, che tale monarchia inevitabilmente ha carattere assoluto e che l’obbedienza deve essere di conseguenza altrettanto assoluta. Il processo attraverso cui si arriva a una monarchia assoluta è poi descritto dettagliatamente e si articola in sei momenti che possono essere così sintetizzati( 100): a) il popolo ha commesso un errore rifiutando il regno di Dio; b) il popolo è stato avvertito di tale errore da Samuele; c) il popolo tuttavia non ha ascoltato le parole di Samuele; d) Dio ha accordato un Re al popolo; e) se il popolo vuole cambiare tale Re, deve domandare il permesso a –––––––––– vrappone all’ordine tradizionale’ delle continuità gerarchiche. Corrispettivamente, il fascio di luce che la cittadinanza-soggezione proietta sull’individuo rendendolo visibile come controparte del sovrano lascia in ombra (e in sostanza presuppone) la posizione del soggetto nell’intreccio di oneri e diritti ancora legati alla logica delle appartenenze e delle diseguaglianze» (P. COSTA, op. cit., p. 116). ( 99) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 56. ( 100) «But by the contrary it is plaine, and euident, that this Speech of Samuel to people, was to prepare their hearts before the hand to the obedience of that King, which God was to giue vnto them; and therefore opened vp vnto them, what might be the intollerabile qualities that might fall in some of their kings, thereby preparing them to patience, not to resist to Gods ordinance: but as he would said; Since God hath granted your importunate suit in giuing you a king, as yee haue else committed an errour in shaking off Gods yoke, and ouer-hastie seeking nof a King; so beware yee fall not into the next, in casting off also rashly that yoke, which God at your erarnest suite hath laid vpon you, how hard that euer it seeme to be: For as ye could not haue obtained one without the permission and ordinance of God, so may yee no more, fro hee be once set ouer you, shake him off without the same warrant. And therefore in time arme your selues with patience and humilitie, since he that hath the only power to make him, hath the onely power to vnmake him; and ye onely to obey, bearing with these straits that I now foreshew you, as with the finger of God, which lieth not in you to take off» (The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 57). SAGGI 207 Dio; f ) ne consegue per il popolo il dovere di obbedienza, pazienza e umiltà, e il divieto di ogni diritto o dovere di resistenza(101). Su di un punto occorre insistere: il popolo ha prestato il proprio volontario consenso e ha stipulato un vero e proprio contratto di assoggettamento con Dio, il quale ha scelto un sovrano, che il popolo non può giudicare, avendo rinunciato a tutti i suoi privilegi, e che può essere giudicato soltanto da Dio. «As He would say; When ye shall finde these things in proofe that now I forewarne you of, although you shall grudge and murmure, yeti t shal not be lawful to you to cast it off, in respect it is not only the ordinance of God, but also your selues haue chosen him vnto you, thereby renouncing for euer all priuiliedges, by your willing consent out of your hands, whereby in any time hereafter ye would claime, and call backe vnto your selues againe that power, which God shall not permit to doe. And for further taking away of all excuse, and retraction of this their contract, after their consent to vnder-lie this yoke with all the burthens that hee hath declared vnto them, he craues their answere, and consent to his proposition: which appeareth by their answere, as it is expressed in these words: 19 Nay, but there shall be a King ouer vs. 20 And we also will be like all other nations: and our king shall iudges vs, and goe out bifore vs and fight our battels»(102). A questo punto Giacomo si preoccupa di definire i caratteri dell’obbedienza dovuta ai sovrani, specificando che essa è prestata a prescindere dal fatto che i Re possano essere tiranni. Egli trae le sue argomentazioni facendo riferimento sia all’Antico sia al Nuovo Testamento(103) e conclude replicando chiaramente nei confronti dei presbiteriani: –––––––––– ( 101) Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique de L’État moderne, cit., p. 152. ( 102) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 59. ( 103) «To end and the ground of my proposition taken out of the Scripture, let two speciale, and notable examples, one vnder the law, another vnder the Euangel, conclude 208 DIRITTO PUBBLICO «If then Idolatrie and defection from God, tyranny ouer their people, and persecution of the Saints, for their profession sake, hindred not the Spirit of God to command his people vnder al Highest paine to giue them all due and heartie obedience for conscience sake, giuing to Caesar that which was Caesars, and to God that which was Gods, as Christ saith; and that this practice throughout the booke of God agreeth with this lawe, which he made in the erection of that Monarchie (as is at length before deduced) what shamelesse presumption is it to any Christian people now adayes to claime to that vnlawfull libertie, which God refused to his owne peculiar and chosen people?»(104). Un elemento emerge con chiarezza: Giacomo fonda la supremazia regale sul richiamo diretto alla Bibbia, e quindi senza dissolvere la dimensione religiosa, ma facendo in modo che la sua legittimità non dipenda da una particolare istituzione religiosa(105). Sono tre gli aspetti del contratto di assoggettamento che vengono indicati nel trattato: l’obbedienza del popolo che rinuncia a ogni suo privilegio volontariamente; il potere giudiziario del Re; e il potere giudiziario di Dio(106). Definiti questi caratteri, Giacomo, ricorrendo all’argomentazione storica, e cioè attraverso il richiamo alla storia di Scozia e d’Inghilterra, tenta di fondare empiricamente la legittimità del suo diritto di sovrano. Non stupisce che sia Giacomo I sia i suoi sostenitori affermassero a più riprese che la prerogativa del Re era conosciuta nel dirit–––––––––– this part of my allegeance. Vnde the lawe, Ieremie threatheth the people of God with vtter destruction for rebellion to Nabuchadnezar the king of Babel: who although he was an idolatrous persecuter, a forraine King, a Tyrant, and vsurper of their liberties; yet in respect they had once receiued and acknowledged him for their king, he not only commandeth them to obey him, but euen to pray for his prosperitie, adioyning the reason to it; because in his prosperitie stood thir peace. And vnder the Euangel, that king, whom Paul bids the Romanes obey and serue for conscience sake, was Nero that bloody tyrant, an infamie to his aage, and a monster to the world, being also an idolatrous persecuter, as the King of Babel was» (The Trew Law of Free Monarchies, cit., pp. 60 s.). ( 104) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 61. ( 105) Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique, cit., p. 172. ( 106) Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique, cit., pp. 154 ss. SAGGI 209 to inglese fin dai tempi remoti. Si tratta di una mentalità perfettamente in linea con il crescente nazionalismo del tempo. Sin dai tempi di Elisabetta il Ministro della regina Lord Burghley e l’arcivescovo Parker erano concordi nel ritenere che il potere del sovrano su chiesa e Stato doveva trovare una solida base anche sotto il profilo culturale(107). Perciò entrambi furono convinti sostenitori degli studi di antichistica in Inghilterra. Un’esigenza simile era sentita anche al di là della Manica, in Francia. Qui furono i politiques a cercare un fondamento delle istituzioni che trascendesse le pretese dei Valois. Se però essi cercarono una giustificazione teoretica nella legge, gli inglesi fecero appello al metodo storico. In questo contesto si collocano le opere di William Camdem: Britannia, attraverso la quale si cerca di ricostruire un’organica continuità storica e dinastica dalle origini al periodo Tudor e gli Annals of the Great Britain in the Reign of Elisabeth sostenuta dallo stesso Giacomo I e dedicata a celebrare il regno di Elisabetta(108). Giacomo afferma il proprio diritto nei termini di una proprietà assoluta che trova il fondamento della propria validità nella conquista dell’Inghilterra, da parte di Guglielmo, e della Scozia, da parte di Fergus, i quali hanno spogliato il popolo, ora riunito sotto un’unica corona, di ogni diritto. Questa è per Giacomo la legge fondamentale. Il sovrano, secondo questa ricostruzione, è stato creato prima di ogni Stato, di ogni rango di uomini e prima di ogni Parla–––––––––– ( 107) «Il potere di Elisabetta non doveva apparire, come appariva agli stranieri, la fragile autorità di una giovane donna insicura, l’ultima, debole discendente dell’usurpatrice dinastia Tudor: doveva apparire come la naturale, organica continuazione di una monarchia robusta, antica e incontestata. Del pari, la chiesa elisabettiana non doveva apparire come un’innovazione capricciosa ed eretica, un effimero compromesso politico destinato a fallire sotto la pressione della lotta ideologica: doveva apparire come l’autentica e legittima continuazione di quella prima chiesa cristiana impiantata in Inghilterra secoli prima che quel parvenu di un vescovo di Roma ne assumesse il controllo, corrompendo la sua purezza». Cfr. H.R. TREVOR-ROPER, Il Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp. 97 ss. ( 108) Così come alla stessa esigenza di ricercare una base impersonale al potere al fine di garantirne la continuità deve essere ricondotta l’elaborazione della teoria dei Due corpi del Re. Cfr. E.H. KANTOROVICZ, op. cit., pp. 199 ss. 210 DIRITTO PUBBLICO mento e di ogni legge(109). In conseguenza di ciò lo stesso diritto di proprietà esiste ora solo per concessione del Re. Il Re è Dominus omnium bonorum e Dominus directus totius dominij. Non a caso Giacomo precisa che qualora un proprietario di terre e di beni muoia senza eredi tutti i suoi averi tornano al Re(110). Su quest’ultimo punto si deve porre particolare attenzione, poiché il successivo conflitto costituzionale sarà focalizzato proprio sul confronto tra prerogativa e diritto di proprietà. Secondo la tradizione costituzionale i diritti di proprietà costituivano un limite invalicabile per la prerogativa del sovrano. Se questi infatti, nell’ambito del gubernaculum, aveva il compito di amministrare la giustizia e garantire la pace del regno, non poteva tuttavia ledere le libertà personali e i beni dei sudditi, garantiti dalla common law. Giacomo sostiene invece che al Re spetta anche la iurisdictio, il potere di stabilire le leggi con il consenso del Parlamento. E contestualmente nega al Parlamento la possibilità di fare leggi senza il suo consenso, che è un diritto che verrà rivendicato negli anni della rivoluzione. Nel 1604 Giacomo arriva a sostenere che i Comuni detenevano i loro privilegi in virtù della «grazia» sovrana. Contro tali affermazioni i Comuni rivendicarono il carattere antico dei loro privilegi e la non disponibilità di essi da parte del sovrano(111). Ma Giacomo non manca di replicare a più riprese nel corso della sua vita che la prerogativa è Arcanum Imperii: «Keepe you therefore all in your owne bounds, and for my part, I desire giue no more right in my priuate Prerogatiue, then you giue to any Subiect; and therein I will be acquiescent: As for the absolute Preogatiue of the Crowne, that is no Subiect for the tongue of a Lawyer, nor is lawfull to be disputed. –––––––––– ( 109) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 62. ( 110) «If a person, inheritour of any lands or goods, dye without any sort of heires, all his landes and goods returne to the king» (The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 63). ( 111) Cfr. C. RUSSEL, Alle origini dell’Inghilterra moderna, cit., p. 403. SAGGI 211 It is Atheisme and blasphemie to dispute what God can doe: good Christians content themselues with his will reuealed in his word. So, it is presumption and high contempo in a Subiect, to dispute what a King can doe, or say that a King cannot doe this, or that; but rest in that which is the Kings reualed will in his Law»(112). Nel Trew Law of Free Monarchies Giacomo respinge uno degli aspetti fondamentali di quella teoria che negli scritti di Bracton aveva trovato la sua più autorevole espressione, affermando il diverso principio per cui il Re è sempre al di sopra della legge, e mai soggetto a essa. «And so it followes of necessitie, that the kings were the authors and makers of the Lawes, and not the Lawes of the kings»(113). Giacomo si preoccupa di precisare ulteriormente il ruolo del Parlamento. Sono proprio queste parole che testimoniano la trasformazione in corso nella percezione stessa di questa Corte: in questi anni la Camera dei Comuni sta mutando aspetto, da Alta Corte di giustizia si sta trasformando in un’assemblea rappresentativa, che rivendica il diritto di partecipare al governo del paese. Dinnanzi a questi cambiamenti il Re sente il bisogno di chiarire quale sia la sua reale funzione. E naturalmente si preoccupa di negare in modo deciso il potere del Parlamento di fare le leggi: «we daily see that in the Parliament (which is nothing else but the head Court of the king and his vassals) the lawes are but craued by his subiects, and onely made by him at their rogation, and with their addice [...] yet it lies in the power of no Parliament, to make any kinde of Lawe or Statute, without his Scepter be to it, for giuing in the force of a Law»(114). –––––––––– ( 112) Cfr. Speech in Star Chamber, 1616, in The Political Works of James I, cit., p. 333. ( 113) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 62. ( 114) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 62. 212 DIRITTO PUBBLICO Ribadita in tal modo la supremazia del Re sulla legge, Giacomo precisa che il sovrano sceglie di conformare le proprie azioni alla legge per dare il buon esempio ai sudditi. «As likewise, although I haue said, a good king will frame all his actions to be according to the Law; yet is hee bound thereto but of his good will, and for good example-giuing to his subiects»(115). Nell’ultima parte del trattato il sovrano Stuart dedica particolare attenzione alla confutazione delle teorie sul diritto di resistenza elaborate dai suoi avversari che sempre maggiore diffusione hanno in quegli anni. In primo luogo egli si oppone a quel preteso dovere morale dei sudditi di liberare i loro regni dall’oppressione dei tiranni, affermando che non si può commettere un male perché ne risulti un bene. Aderire a un simile principio significa mettere in discussione l’unità del potere. Quindi Giacomo afferma che un Re cattivo viene mandato da Dio come maledizione per i peccati del popolo e mette ulteriormente in luce le conseguenze del contratto stipulato. Infine, replica a quelle teorie che giudicano legittime le ribellioni sulla base del loro successo, sostenendo che Dio talvolta può appoggiare chi sbaglia per difendere la propria causa. Giacomo offre un ultimo argomento prendendo spunto dalle teorie contrattualistiche sviluppate dai suoi avversari George Buchanan e John Knox. «And the last obiection is grounded vpon the mutuall paction and adstipulation (as they calli it) betwixt the King and his people, at the time of his coronation: For there, say they, there is a mutuall paction, and contract bound vp, and sworne betwixt the king, and the people: Whereupon it followeth, that if the one part of the contract or the Indent bee broken vpon the Kings side, the people are no longer bound to keepe their part of it, but are therby freed –––––––––– ( 115) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 63. SAGGI 213 of their oath: For (say they) acontract betwixt two parties, of all Law frees the one partie, if the other breake vnto him»(116). Nel corso dell’argomentazione Giacomo riconosce che il Re al momento dell’incoronazione si impegna nei confronti del popolo con solenne giuramento a osservare le leggi fondamentali del regno. Parla altrove, per l’appunto, di un patto col popolo, cui viene promesso di rispettare le leggi fatte per esso, «according to that paction which God made Noah after deluge, Here after Seed-time, and Haruest, Cold and Heate, Summer and Winter, and Day and Night shall not cease, so long as the earth remaines»(117). Ed è questa l’unica legge cui è soggetto. Ma si tratta di una legge tutta interna alla coscienza del Re: insindacabile e non sanzionabile(118). Poiché la carica gli è attribuita dall’autorità divina, il compito di giudicare la sua condotta non spetta ai sudditi ma solo a Dio. «Now in this contract (I say) betwixt the king and his people, God is doubtles the only Iudge, both because to him onely the king must make count of his administration (as is oft said before) as likewise by the oath in the coronation, God is made iudge and reuenger of the breakers: For in his presence, as only iudge of oaths, all oaths ought to be made. Then since God is the onely Iudge betwixt the two parties contractors, the cognition and reuenge must onely appertaine to him: It followes therefore of necessitie, that God must first giue sentence vpun the King that breaketh, before the people can thinke themselues freed of their oath»(119). L’aspetto su cui Giacomo insiste è che l’eventuale ribellione da parte del popolo, e la conseguente rottura del contratto, distrugge–––––––––– ( 116) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 68. ( 117) Cfr. A Speach to the Lords and Commons of the Parliament at White-Hall in The Political Works of James I, cit., p. 309. ( 118) Cfr. S. CARUSO , La miglior legge del regno. Consuetudine, diritto naturale e contratto nel pensiero e nell’epoca di John Selden (1584-1654), cit., p. 57. «And, as Hobbes sagely observed. A self-imposed limitation is really no limitation at all» in F. OAKLEY, Omnipotence, Covenant and Order: an Excursion in the History of Ideas from Abelard to Leibniz, cit., p. 99. ( 119) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 68. 214 DIRITTO PUBBLICO rebbero l’ordine politico, razionale e unitario, garanzia contro il disordine che affligge il resto d’Europa afflitto dalle guerre di religione(120). È chiaro che i suoi interlocutori sono sia i puritani sia i teologi della Controriforma: il suo linguaggio, come la sua teoria, risentono dell’influenza dei suoi oppositori. Siamo lontani anni luce dalla visione del mondo ordinato gerarchicamente. Il sovrano si rivolge a un popolo fortemente influenzato da nuove forme di pensiero lontane da quelle diffuse nel medioevo. Il popolo è un interlocutore privilegiato come mai era stato prima ed è una delle due parti del contratto. Esso, solo in virtù del patto, si colloca in una condizione di subordinazione, cui corrispondono peraltro dei precisi obblighi per il monarca. La violazione degli obblighi reciproci non comporta però il diritto di ribellione. «Nay, to speak trewly of that case, as it stands betwixt the king and his people, none of them ought to iudge of the others break: For considering rightly the two parties at the time of their mutuall promise, the king is the the one paty, and the whole people in one body are the other party. And therfore since it is certaine, that a king, in case so it should fal out, that his people in one body had rebelled against him, hee should not in that case, as thinking himselfe free of his promise and oath, become an vtter enemy, and practice the wreake of his whole people and natiue country: although he ough iusly to punish the principall authours and bellowes of that vniversall rebellion: how much lesse then ought the people (that are alweis subiect vnto him, and naked of all authoritie on their part) presse to iudge and ouer-throw him?»(121). L’ultimo argomento sul quale Giacomo fonda l’obbedienza dei sudditi è quello del carattere ereditario della monarchia. La fedeltà non è dovuta solo al principe regnante, ma anche ai suoi eredi( 122). –––––––––– ( 120) Cfr. B. BOURDIN, La genése théologico-politique de L’État moderne, cit., p. 163. ( 121) Cfr. The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 69. ( 122) «And it is here likewise to be noted, that the duty and alleageance, which the people sweareth to their prince, is not only bound to themselues, but likewise to their law- SAGGI 215 Il tema della continuità dinastica era un argomento a cui gli inglesi erano particolarmente sensibili( 123). Dopo un secolo di incertezze dinastiche saliva al trono Giacomo I, il primo monarca dopo lungo tempo in grado di garantire con la sua discendenza una lunga serie di sovrani sul trono(124). Ciò non poteva non essere accolto con entusiasmo dai sudditi fedeli alla Corona(125). Se nel trattato si pone un particolare accento sul tema della continuità dinastica, non si deve peraltro dimenticare che a esso si accompagnò spesso nei discorsi di Giacomo I la celebrazione, sin dall’inizio del suo regno, dell’unione anglo-scozzese, fortemente avversata in Parlamento(126). In un discorso pronunciato nel marzo 1603 il sovrano insiste sul dono della pace che Dio ha concesso attraverso la sua persona ai suoi sudditi: pace verso l’esterno «The first then of these blessings, which God hath ioyntly with my Person sent vnto you, is outward Peace»(127) e pace interna «And therefore the second great blessing that God hath with my Person sent vnto you, is Peace within»(128). –––––––––– full heires and posterity, the lineall succession of crowns being begun among the people of God, and happily continued in diuers christian common-wealths: so as no obiection either of Heresie, or whatsoeuer priuate statute or law may free the people frome their oathgiuing to their king, and his succession, established by the old fundamentall lawes of the kingdome: for, as hee is their heritable ouer-lord, and so by birth, not by any right in the coronation, commeth to his crowne» (The Trew Law of Free Monarchies, cit., p. 69). ( 123) Sull’argomento, v. E.H. KANTOROWICZ, op. cit., pp. 269 ss. ( 124) Nella rappresentazione del 1606 del Macbeth la continuità dinastica viene celebrata con il corteo di ombre che appare a Macbeth che comincia con Banquo e termina con l’ombra di Giacomo I che porta le tre corone dei tre regni di Inghilterra, Scozia e Irlanda. Sulle convinzioni politiche di Shakespeare rispetto a quelle di Giacomo I, v. I. RIBNER, Political Doctrine in Macbeth, in Shakespeare Quarterly, vol. 4, n. 2 (Apr. 1953), pp. 202 ss. ( 125) «Degna di nota è l’importanza che fu data alla famiglia reale nei discorsi di congratulazioni rivolti a Giacomo al suo arrivo in Inghilterra. In quello tenuto a nome degli sceriffi di Londra e del Middlesex da un ufficiale del Middle Temple, Richard Martin, che fece riferimento a «questi splendidi discendenti della stirpe dei nostri antichi Re … la Vostra nobile prole», si plaudeva al ritorno del «sacro sangue reale» che per cento anni era stato dato in prestito al nord» (A. FRASER, op. cit., p. 94, cita JOHN NICHOLS, The Progresses of King James the First, vol. I, London, 1828, p. 128). ( 126) Lo stesso filoso Francis Bacon, sostenitore del sovrano, nel 1603 scrisse a sua volta un Brief Discourse Touching the Happy Union of the Kingdoms of England and Scotland. ( 127) Cfr. Speech of 1603, in The Political Works of James I, cit., p. 270. ( 128) Cfr. Speech of 1603, cit., p. 271. 216 DIRITTO PUBBLICO La pace interna è stata raggiunta in due modi. In primo luogo attraverso l’unione nella persona del Re delle due casate Lancaster e York – il che era avvenuto con la salita al trono del primo Tudor, Enrico VII – ponendo perciò fine ai problemi di successione che avevano segnato la storia inglese degli ultimi due secoli. «First, by my descent lineally out of loynes of Henry the seuenth, is reunited and confirmed in mee the Vnion of the two Princely Roses of the two Houses of Lancaster and Yorke, whereof thet King of happie memorie was the first Vniter, as he was also the first roundayer of the other Peace»(129). E in secondo luogo attraverso l’unione dei due regni di Scozia e di Inghilterra, il che avveniva nella sua persona: «But the Vnion of these two princely Houses, is nothing comparable to the Vnion of the ancient and famous Kingdomes, wich id the other inward Peace annexed to my Person»(130). Giacomo I non manca di celebrare attraverso colorite metafore l’unione dei due regni. «I am the Husband, and all the whole Isle is my lawfull Wife; I am the Head, and it is my Body; I am the Shepard, and it is my flocke: I hope therefore no man will be so Vnreasonable as to thinke that I that am a Christian King Vnder the Gospel, sholuld be a Polygamist and husband to two Wiues; that I being the Head, should haue a diuided and monstrous Body; or that being the Shepard to so faire a Flocke (whose fold hath no wall to hedge it but the foure Seas) should heue my Flocke parted in two»(131). Eppure, nonostante le parole del sovrano, in Inghilterra finì per prevalere un diffuso atteggiamento antiscozzese. Si consideri, ad esempio, la questione della naturalizzazione dei sudditi scozzesi del Re. In un processo del 1608 (Calvin’s Case) si era riconosciuto –––––––––– ( 129) Cfr. Speech of 1603, cit., p. 271. ( 130) Cfr. Speech of 1603, cit., p. 271. ( 131) Cfr. Speech of 1603, cit., p. 272. SAGGI 217 che tutti i sudditi di Giacomo I, in entrambi i regni, nati dopo l’acquisizione della corona, godessero dei diritti di sudditi naturalizzati. Tale conclusione si fondava sul fatto che esisteva un solo dovere di fedeltà dei sudditi, fossero essi scozzesi o inglesi, anteriore alla legge e al diritto nei confronti del monarca. Non solo ciò era in evidente contrasto con l’opinione della Camera bassa, che riteneva che la naturalizzazione dovesse avvenire per il tramite di una legge parlamentare, ma l’aver sottolineato il carattere naturale ed extragiuridico dell’autorità del sovrano nei confronti dei sudditi poteva condurre a un indebolimento dei diritti di questi ultimi la cui unica garanzia era costituita tradizionalmente dalla common law(132). Alla naturalizzazione dei sudditi scozzesi Nicholas Fuller, giurista puritano, si oppose tenacemente, affermando che Dio aveva fatto certi popoli adatti a vivere in un certo clima, altri a vivere in un altro(133). In sostanza alla celebrazione dell’unione tra i due regni corrispose il consolidarsi di una vivace propaganda antiscozzese che non mancò, a sua volta, di contribuire a rafforzare i processi di costruzione identitaria del popolo inglese, che per altre vie stava ottenendo la sua legittimazione politica(134). 5. Conclusione. – In conclusione si può osservare che la teoria del diritto divino fu in primo luogo elaborata da Giacomo I allo –––––––––– ( 132) Sulla rilevanza costituzionale del Calvin’s Case, v. H. WHEELER, Calvin’s Case (1608) and the McIlwain-Shuyler Debate, in Amer. histor. rev., vol. 61, n. 3 (Apr. 1956), pp. 587 ss. ( 133) «E paragonava l’ammissione di scozzesi in Inghilterra all’abbattimento di una siepe posta attorno a un pingue pascolo, permettendo così al bestiame proveniente dagli aridi pascoli circostanti di venirlo a calpestare. A suo avviso il calo delle buone occupazioni, la diminuzione di posti all’università, e il sovraffollamento delle abitazioni londinesi non lasciavano spazio per accogliere degli stranieri». Cfr. C. RUSSEL, Alle origini dell’Inghilterra moderna. La crisi dei parlamenti 1509-1660, cit., pp. 390 s. ( 134) Ancora nel 1649 in un giornale vennero pubblicati questi versi: «A Scotch man enters Hell at’s birth / And ‘scapes it when he goes to earth / Assured no worse a Hell can come / Than that which he enjoys at home / … / A Scot an English Earldom fits / As purple doth your marmuzets / Suits like Noll Cromwell with the crown, / Or Bradshaw with his scarlet gown» citato in C. RUSSEL, Alle origini dell’Inghilterra moderna. La crisi dei parlamenti 1509-1660, cit., p. 391. 218 DIRITTO PUBBLICO scopo di respingere la pretesa papale di ingerenza indiretta e al tentativo di sottoporre la monarchia inglese alla chiesa presbiteriana, ma consentì allo stesso tempo al sovrano di definire la posizione del popolo inglese, unitariamente inteso, rispetto al potere politico. Giacomo I è attento a respingere i tentativi di far derivare il potere politico dal popolo sia che provenissero dai teorici cattolici sia che fossero il frutto delle riflessioni presbiteriane. Il timore che il popolo potesse attivare il diritto di resistenza rappresentava una minaccia che Giacomo intendeva allontanare il più possibile. Nell’affermare la subordinazione del popolo al sovrano come dei figli al padre, Giacomo non ricorre alle immagini consuete del medioevo dell’ordine giuridico strutturato gerarchicamente perché estranee al dibattito in corso intorno a lui, e si avvale al contrario dell’armamentario teorico fornitogli dal pensiero calvinista di cui lui stesso era imbevuto. Nel tentativo di disinnescare il pericolo rappresentato da un popolo attivo politicamente Giacomo I contribuì così a rafforzare l’idea di una nazione inglese intesa come unità politica con una propria storia e dei propri caratteri, idea che si sarebbe trasformata con la rivoluzione inglese nella pretesa da parte del popolo di poter decidere della propria costituzione.