Alberto Vespaziani
Il costituzionalismo statunitense all’inizio del nuovo secolo
Il costituzionalismo
statunitense all’inizio
del nuovo secolo
1.
I FOREWORDS DELLA HARVARD LAW REVIEW
A partire dal 1951 gli editori della Harvard Law Review (studenti della
Harvard Law School selezionati in base ai voti ed a due prove scritte) hanno
scelto un docente di diritto costituzionale statunitense per commentare un
term, un anno di giurisprudenza della Corte suprema. I Forewords, pubblicati
nel volume di novembre, hanno acquisito sempre maggiore importanza
all’interno della letteratura giuridica, sino a divenire una lettura pressoché
obbligata per tutti i costituzionalisti e molto frequentata anche da tutti gli altri
giuristi. Questi articoli hanno subito nel corso degli anni numerose trasformazioni: innanzitutto la loro lunghezza e le loro note sono progressivamente
aumentate, sino a giungere al formato di quasi-monografie, e di base di
partenza per successivi libri. Larry Tribe è stato il primo a descrivere i
Forewords come un genere unico1. Un altro aspetto dell’importanza crescente
dei Forewords è costituito dalle citazioni ad opera degli altri autori, così
numerose da farli diventare dei veri e propri classici della letteratura
giuridica2. Questo articolo riassume i principale argomenti contenuti nei
Forewords apparsi nelle edizioni della Harvard Law Review pubblicate nel
nuovo millennio, analizza il divario crescente tra il formalismo della giurisprudenza della Corte suprema e le posture critiche della dottrina costituzionalistica statunitense, e propone alcune valutazioni critico-comparative su tale
genere letterario.
1
L.H. Tribe, Toward a Model of Roles in the Due Process of Life and Law, in 87 Harv. L. Rev., 14,
1973.
2
F. R. Shapiro, The Most-Cited Law Review Articles, in 73 Cal. L. Rev., 1540, 1985.
Quaderni costituzionali / a. XXV, n. 3, settembre 2005
605
Alberto Vespaziani
2.
IL DOCUMENTO E LA GIURISPRUDENZA SECONDO AKHIL AMAR
«Dall’epoca della fondazione sino al nuovo millennio, la costituzione si è
rivelata più illuminata ed illuminante della giurisprudenza che l’ha glossata» 3.
Con questa perentoria affermazione Akhil Reed Amar introduce la grande
dicotomia tra i documentarians, che cercano ispirazione e disciplina nelle
parole del documento scritto, nell’esperienza storica che lo ha prodotto, e
negli elementi strutturali che organizzano il testo, ed i doctrinalists4 che si
concentrano principalmente sugli indirizzi giurisprudenziali e sulle opinioni
dei giudici della Corte suprema. La differenza risiede nell’enfasi: alcuni sono
innanzitutto documentarians e solo in seconda battuta doctrinalists. Amar
sottolinea la giustezza di questa scelta di priorità ed afferma perentoriamente
che ciò che il popolo americano ha detto e fatto nella costituzione è spesso più
edificante, ispirante e sensato di ciò che i giudici hanno detto e fatto nella loro
giurisprudenza. Mentre uno studio attento della costituzione restituisce al
lettore gli orizzonti di significato evocati e promessi (chi siamo come popolo,
dove siamo stati e dove stiamo scegliendo di andare), un’attenzione eccessiva
per le decisioni dei giudici della Corte suprema può condurre allo studio
sterile di formule aride ed ipertecniche, che hanno pervertito principi costituzionali consolidati. È importante sottolineare come Amar parli di «documento» e non di «testo», innanzitutto per distinguere la sua visione dall’originalismo di Scalia e dai teorici dell’intenzione originaria (o strict constructivism),
ed anche per ribadire che il costituzionalismo non è soltanto un discorso volto
alla limitazione del potere, ma è anche un dispositivo narrativo a più livelli, in
cui il documento costituzionale, soprattutto attraverso il XIV emendamento,
incorpora una serie di testi di rilevanza costituzionale, quali costituzioni
statali, la Magna Carta, la Dichiarazione di Indipendenza e altri.
Lo scopo che Amar si propone non è di proibire lo studio della giurisprudenza nelle corti e nelle aule universitarie, ma semplicemente di affermare
alcune virtù poco apprezzate del documento. In tal senso egli difende una
versione del testualismo spaziosa ma non illimitata, un testualismo non
originalista che si accompagna allo studio della storia della concretizzazione e
della struttura costituzionale. Lo scopo congiunto di questi approcci è di
comprendere quello che il popolo americano ha voluto significare e fare
quando ha ratificato ed emendato il documento, costruendo l’identità costituzionale. Il testualismo è dunque lo studio olistico del documento, in cui le
singole disposizioni vengono lette non isolandole né tra di loro, né dagli eventi
epici – la rivoluzione, la guerra civile, il movimento per il suffragio femminile,
3
4
A.R. Amar, The Document and the Doctrine, in 114 Harv. L. Rev., 26, 2000.
È bene sottolineare come il lemma inglese doctrine si traduce in italiano con l’espressione
«indirizzo giurisprudenziale». Curiosamente il lemma italiano «dottrina», nel senso giuridico di
elaborazione teorico-accademica, si traduce nell’inglese jurisprudence.
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Il costituzionalismo statunitense all’inizio del nuovo secolo
i movimenti giovanili degli anni ’60 e quelli per i diritti civili – che hanno dato
vita alle parole della costituzione. Amar si prende cura di distinguere la sua
versione ampia del testualismo, dal costruzionismo stretto che domina la
giurisprudenza costituzionale dell’attuale Corte suprema: ciò che conta come
testo, così Amar, è il documento così come concepito dal popolo americano
che lo ha ratificato ed emendato, e ciò che conta come storia è un significato
pubblico e accessibile, non una segreta intenzione privata. Legare l’interpretazione testuale a quella strutturale consente inoltre di evitare il rischio di
leggere isolatamente le singole disposizioni costituzionali, separandole l’una
dall’altra e dal contesto generale. Il popolo americano non ha ratificato la
costituzione di Filadelfia articolo per articolo, ma come un unico documento.
Generazioni successive hanno aggiunto singoli emendamenti, tuttavia non vi
è alcun emendamento che costituisce un regime giuridico isolato dagli altri.
Soltanto una lettura olistica può dunque rendere giustizia al documento
originario e far emergere i principi generali e l’architettura complessiva della
cultura costituzionale; d’altronde le espressioni «separazione dei poteri» o
«checks and balances» non appaiono in alcuna disposizione costituzionale,
tuttavia fanno senz’altro parte dei concetti organizzativi del documento, letto
olisticamente.
Mentre il doctrinalist basa le sue interpretazioni di questioni costituzionali sui precedenti giurisprudenziali che trova negli United States Reports,
decisioni a volte prese in decadi o secoli successivi all’adozione del testo
costituzionalmente rilevante, il documentarian comincia con il costruire
argomenti che derivano dal testo, dalla storia e dalla struttura, e che formano
un intreccio i cui tessuti si rafforzano reciprocamente.
Amar sottolinea le virtù del documento costituzionale, cominciando da
un’analisi del pronunciamento iniziale della missione democratica We the
People of the United States... do ordain and establish this Constitution... Molti
lettori moderni del documento hanno letto questo proclama con scetticismo
che talvolta ha sconfinato nella derisione. L’esclusione degli schiavi, delle
donne, i requisiti censitari, nonché la morte avvenuta più di due secoli fa dei
padri fondatori, sono i classici argomenti che vengono impiegati per squalificare la pretesa identitaria del «Noi, il popolo». Tuttavia tale atteggiamento
critico tradisce una coscienza antistorica; in realtà nel 1788 il preambolo della
costituzione federale era l’atto di inclusione più democratico della storia del
mondo, ed in tal senso venne inteso dai suoi estensori. Centinaia di migliaia di
normali cittadini vennero invitati a votare, mentre nel vecchio mondo
consuetudini inegualitarie e monarchi non elettivi dominavano la scena.
Anche laddove vi erano state forme di autogoverno repubblicano, mai si era
realizzato un tale livello di partecipazione costituente come quello descritto
dal preambolo. Nessuna repubblica antica greca o romana aveva mai permesso alla cittadinanza di votare sulla costituzione; in Inghilterra nessuno aveva
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votato per Giorgio III. Nello stesso continente americano nessuna costituzione statale nel 1776 o nel 1777 era stata sottoposta al voto popolare, né
tantomeno ciò era avvenuto per la Dichiarazione di indipendenza o per gli
Articoli della Confederazione. La costituzione federale era dunque un atto
costituzionalmente rivoluzionario: il vecchio ordine veniva rovesciato e la
sovranità veniva fatta risiedere non nel Re o nello Zar o nell’Imperatore o
nella tradizione, ma nel popolo. Ciò che era autenticamente unico nell’atto
costituente statunitense non era l’estensione della sua esclusione, ma l’ampiezza della sua inclusione. Rispetto alla grandezza storica del costituzionalismo delle origini, lo sviluppo giurisprudenziale contemporaneo dei diritti di
cittadinanza, rimesso alle sottili disquisizioni tecniche di pochi giudici che
dissentono tra loro, fa apparire il documento originario come un gigante
rispetto al piccolo cabotaggio di decisioni giurisprudenziali che pretendono di
parlare in nome del popolo.
Proprio sul versante dell’inclusione sociale, i doctrinalists concepiscono la
Corte suprema come una convenzione costituzionale permanente, che attraverso le sue massime rimedia alle esclusioni perpetrate dal documento
originario. Tuttavia un’attenta analisi della giurisprudenza costituzionale
mostra che le corti sono sempre state composte, ieri come oggi, più da uomini
bianchi che non da altri gruppi sociali, e che i giudici sono stati più disposti a
svalutare previsioni testuali che attribuiscono diritti ai neri o alle donne,
mentre hanno rafforzato pretese non fondate sul testo costituzionale che
beneficiano i ricchi e i potenti.
Anche dal punto di vista del procedimento deliberativo, il documento
originario mostra virtù maggiori rispetto all’elaborazione giurisprudenziale.
Dal testo originario sino agli emendamenti successivi (con il caso estremo del
XIX emendamento con la sua gestazione pluridecennale), il documento
costituzionale è stato il prodotto di una considerata elaborazione testuale
seguita da una partecipata deliberazione popolare in sede di ratifica. Questo
procedimento a due tappe incentiva una buona deliberazione: i proponenti
non possono mai essere sicuri della ratifica e quindi sono stimolati a redigere
un testo di buona qualità. Il gap tra proponenti e ratificatori crea una
incertezza salutare, un velo di ignoranza, che migliora la qualità del procedimento deliberativo costituente. Benché Michelman abbia caratterizzato il
procedimento decisorio interno della Corte suprema come l’incarnazione
della polis deliberativa, un modello di virtù repubblicana 5, Hart ha offerto una
visione più disincatata della deliberazione giudiziale, raccontando una realtà
fatta di decisioni prese in poco tempo, da giudici informati non al meglio, che
5 F.I. Michelman, The Supreme Court, 1985 Term – Foreword: Traces of Self-Government, in 100
Harv. L. Rev. , 4, 1986.
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non hanno tempo di consultarsi approfonditamente con i colleghi prima di
stilare le proprie opinioni6. Amar non fa mistero di preferire la seconda
caratterizzazione. Nella sua visione i giudici della Corte suprema sottostanno
a stringenti limitazioni temporali, affidano gran parte del loro lavoro agli
assistenti, e non hanno né tempo né tantomeno interesse a dialogare con i
colleghi. Occupati a massimizzare il loro potere mediante agire strategico, i
giudici non sono inclini ad ammettere l’esistenza di errori nei precedenti
giurisprudenziali, principalmente per paura di compromettere l’autorità della
Corte in cui siedono. In questo modo, però, la giurisprudenza costituzionale si
è ossificata ed ha perso le virtù autocorrettive tipiche dei procedimenti
democratici ed ha finito per imporre al sistema costituzionale una visione
della supremazia giudiziaria, del tutto contraria alla lettera ed allo spirito del
documento originario.
Dal punto di vista dell’estensione temporale la giurisprudenza è dunque il
prodotto di deliberazioni affrettate, schiacciate sul presente, e non ben
ponderate; il documento costituzionale, al contrario, appare monumentale: i
suoi costruttori sono spinti a riflettere attentamente sul passato e sul futuro.
La saggezza che proviene dalla deliberazione collettiva delle moltitudini è
maggiore di quella prodotta dalla decisione di cinque o nove individui. Il
popolo americano ha fatto nascere e rinascere il documento costituzionale
concentrandosi su eventi epici di cui ha fatto esperienza: una monarchia
arrogante che aveva fatto scaturire una rivoluzione armata ed un regime
insufficiente retto dalle costituzioni statali e dagli articoli della confederazione; una crisi elettorale nel 1801 generata dall’incapacità di anticipare l’ascesa
del partiti presidenziali nazionali; una guerra civile sanguinosa innescata da
una schiavocrazia repressiva che alla fine della guerra costituì una minaccia
continua alla libertà di tutti e all’eguaglianza dei neri; una serie prolungata di
perdite dei diritti politici che si è fatta gioco delle promesse democratiche del
preambolo, una gerontocrazia autoreferenziale che obbligava gli adolescenti
a combattere in Vietnam mentre impediva loro di votare sulla saggezza della
guerra, e così via. I giudici che non hanno visto tutti questi mali con i loro
occhi, né li hanno sentiti nelle loro ossa, sono stati spesso incapaci di cogliere
il senso di parole nate nel sangue, nelle lacrime e nel sudore. Un documento
ispirato ha regolarmente dato vita ad una giurisprudenza ottusa.
Amar sottolinea che la forma di stato designata dalla costituzione
federale è di tipo democratico, disegna quindi un governo del popolo, per il
popolo. Per questo la costituzione è stata scritta in una prosa straordinaria-
6 H.M. Hart, Jr., The Supreme Court, 1985 Term – Foreword: The Time Chart of the Justices, in 73
Harv. L. Rev., 84, 1959. Di recente tale lettura è stata confermata e rielaborata da M.C. Dorf, The
Supreme Court, 1997 Term – Foreword: The Limits of Socratic Deliberation, in 112 Harv. L. Rev., 4,
1998.
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mente compatta. L’intero testo, emendamenti inclusi, è costituito da meno di
8000 parole, una lettura di mezz’ora. Il documento quindi invita il pubblico
generale, il popolo, a leggerlo ed a rileggerlo. Ed è questo il messaggio
centrale della famosa sentenza McCulloch: «una costituzione non può condividere la prolissità di un codice giuridico, perché un tal codice non verrebbe
mai compreso dal pubblico. La sua natura di documento popolare, quindi,
richiede che siano evidenziate soltanto le grandi linee... non dobbiamo mai
dimenticare che è una costituzione che stiamo ampliando» 7. Come il gran
Canyon, la Costituzione espone la sua storia epica all’osservatore ordinario. Il
linguaggio del documento originario è anche più diretto e vivido del pallido
gergo giurisprudenziale in cui è tipicamente tradotto. Mentre il linguaggio del
documento evidenzia i concetti fondamentali della struttura sociale repubblicana («noi, il popolo» che governa «noi ed i nostri posteri», che ripudia i
«titoli nobiliari», che rinuncia al sistema della «schiavitù» e della «servitù
involontaria», che promette «eguale cittadinanza», etc.), il linguaggio dei 500
volumi degli United States Reports, la raccolta ufficiale delle sentenze della
Corte, è costituito da astruse formule giurisprudenziali quali «scrutinio
intermedio» o «sovra – o sottoinclusività». L’interpretazione costituzionale è
degenerata in un gergo tecnico autoreferenziale, che è diventato un fine in sé
ed ha soppiantato una discussione aperta sui valori costituzionali sostanziali,
allontanando il popolo dalla legge fondamentale. La brevità e la chiarezza del
documento e la sua intima relazione con la narrazione dell’identità statunitense costituiscono il punto focale ideale per tenere insieme cittadini provenienti da tutte le parti del mondo. Gli antenati degli americani di oggi
arrivarono nel nuovo mondo in tempi diversi da terre diverse, professando
fedi diverse, parlando lingue diverse e mostrando diversi colori della pelle.
Tuttavia tutti poterono trovare nella costituzione un vocabolario comune per
deliberazioni comuni ed un tessuto narrativo condiviso. Alcuni autori hanno
descritto la giurisprudenza come un punto di incontro di linguaggi e di
identità diverse; certamente le tecnicità del linguaggio giurisprudenziale
possono aiutare a coordinare i giudici, i funzionari pubblici, gli avvocati e,
forse, i cittadini. Ma il documento rimane un punto di incontro migliore. Molti
test giurisprudenziali sono elaborati per un’applicazione all’interno dell’aula
giudiziaria, piuttosto che per un’edificazione al di fuori di essa. Il problema
principale del linguaggio giurisprudenziale non è l’umiltà ma la hubris
giudiziaria. Il dubbio se il punto focale delle conversazioni costituzionali
debba essere il documento o la giurisprudenza si risolve leggendo l’art. VI.
Esso obbliga tutti i pubblici ufficiali a prestare giuramento ed a difendere la
stessa cosa. Quando tutti prestano giuramento di fedeltà ad una stessa cosa,
un ovvio punto focale emerge per il coordinamento tra pubblici ufficiali e tra
7
610
McCulloch v. Maryland, 17 U.S. (4 Wheat) 316, 407 (1819).
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governo e cittadini. E quel punto è «la costituzione», non «la giurisprudenza
della Corte suprema».
Con queste premesse metodologiche Amar passa ad analizzare alcune
trasformazioni che la giurisprudenza costituzionale ha subito nel corso della
storia americana, offre la sua teoria del posto del precedente nell’interpretazione giudiziaria (la giudice documentarian non comincia e finisce con il
documento; lei comincia con il documento e quindi pondera come meglio
tradurre la sua saggezza in regole operative ed applicabili in aula), e quindi
seleziona sette casi del term 1999, che giudica rappresentativi degli indirizzi
della Corte suprema, e li discute nei dettagli. Il leitmotiv della sua critica alla
giurisprudenza della Corte Rehnquist si incentra sull’uso massimalista che
questa fa del precedente. L’argomento strutturale contro il modello massimalista del precedente si basa sull’idea che il judicial review à-la Marbury
presuppone che i giudici applichino il documento del popolo, non le proprie
deviazioni da esso. Gli allontanamenti dal documento – gli emendamenti –
debbono provenire dal popolo, non dalla Corte suprema. Altrimenti ci si
ritrova in un costituzionalismo senza costituzione, sovranità popolare senza
popolo. Questo argomento di tipo strutturale aiuta anche a vedere ciò che vi è
di sbagliato nella visione di supremazia giudiziaria difesa dalla attuale Corte
suprema. I suoi giudici si presentano come gli unici interpreti della costituzione, sdegnano il contributo interpretativo degli altri poteri dello stato, e si
rifiutano di sottomettere ad un candido scrutinio i propri errori del passato.
L’interpretazione documentarian ritiene, al contrario, che una volta che il
popolo ha lottato per inserire qualcosa nel documento costituzionale, questo
non dovrebbe essere modificato che dal popolo stesso, ed i precedenti decisi
in modo errato possano rimanere vincolanti solo se ratificati non solo dalla
Corte suprema, ma anche dal popolo.
All’inizio del nuovo millennio, conclude Amar, il diritto costituzionale
statunitense sta perdendo il contatto con la costituzione. Una densa rete
giurisprudenziale minaccia di oscurare il documento, con conseguenze generalmente nefaste. La costituzione è più saggia della Corte suprema. Nel breve
periodo è improbabile che la Corte cambi indirizzo. Potenti forze strutturali –
formazione del giudiziario, tradizione, vincoli temporali, preoccupazioni istituzionali, amore di sé – inducono i giudici ad elevare la giurisprudenza al di
sopra del documento. Nel lungo periodo, tuttavia, le prospettive potrebbero
migliorare. Anche se nel lungo periodo noi saremo morti, il noi di We the
people non lo sarà. Il documento stesso si concentra sulla lunga durata
intergenerazionale, e così dovrebbero fare i documentarians. Per far ciò Amar
propone di mutare l’impostazione dei manuali di diritto costituzionale e di far
studiare di più il documento, con meno fissazioni sui dettagli della giurisprudenza attuale. Il documento sopravviverà a molti indirizzi giurisprudenziali di
oggi e fornisce un fulcro stabile da cui criticare alcune avventure meno
611
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ammirevoli della Corte suprema. I corsi di diritto costituzionale ed i casebooks
dovrebbero anche concentrarsi di più sulla vita della costituzione al di fuori
della sua interpretazione giudiziaria. Molti studenti non diventeranno mai dei
giudici, ma un giorno saranno chiamati a prendere decisioni costituzionali.
Forse la Harvard Law Review dovrebbe aggiungere alla rassegna di novembre
dedicata all’ultimo anno di giurisprudenza della Corte suprema, annualmente
nel numero di giugno, uno studio sulla vita della costituzione al di fuori della
Corte. Tutti coloro che studiano o insegnano diritto costituzionale dovrebbero
rifamiliarizzarsi con la costituzione stessa. Questa è un documento ricco di
significato, il cui studio appassionato è ricco di soddisfazioni. Forse, conclude
sarcasticamente Amar, è troppo chiedere agli attuali giudici della Corte
suprema di leggere la costituzione regolarmente e con attenzione. Ma è
troppo chiederlo ai professori ed agli studenti di diritto costituzionale?
3.
DALLA SUPREMAZIA ALLA SOVRANITÀ GIUDIZIARIA: LA CRITICA STORICA DI
LARRY KRAMER
Proprio la trasformazione della supremazia giudiziaria in sovranità giudiziaria sta al centro del Foreword di Larry Kramer8, relativo all’anno 2000, in
cui la Corte è intervenuta nell’elezione presidenziale con la sentenza Bush v.
Gore9. Significativamente Kramer dedica solo 3 pagine a discutere brevemente alcune sentenze, 4 pagine per criticare Bush v. Gore, e costruisce il suo
Foreword (lungo ben 169 pagine) con una indagine storica sulle concezioni
originarie del judicial review e delle sue trasformazioni nell’epoca del New
Deal, sino a giungere agli indirizzi contemporanei della Corte Rehnquist. È
bene sottolineare come l’approccio storico di Kramer non si propone di
rispolverare le concezioni originarie per riattualizzarle all’epoca presente, ma
al contrario di criticare proprio l’impostazione originalista della Corte Rehnquist, per mostrare come il passato cui questa pretende di voler tornare non è
mai esistito. Alle strumentalizzazioni storiche della Corte Rehnquist, Kramer
oppone un’indagine storico-critica sul ruolo e sul significato del judicial
review.
A partire dalla famosa affermazione contenuta in Marbury secondo cui it
is, emphatically, the province and duty of the judicial department, to say what
the law is10 il controllo di costituzionalità si è radicato nella cultura, tradizione
e pratica costituzionale statunitense; tuttavia inizialmente ciò significava
soltanto che anche il potere giudiziario aveva competenza ad interpretare la
costituzione, non che la sua interpretazione avesse valenza superiore a quella
8
L. Kramer, Foreword: We the Court, in 115 Harv. L. Rev., 4, 2001.
9
121 S.Ct. 525 (2000).
10
612
Marbury v. Madison, 5 U.S. 137 (1803).
Il costituzionalismo statunitense all’inizio del nuovo secolo
offerta dagli altri poteri, né, tantomeno, che ne detenesse il monopolio.
Soltanto con l’altrettanto famosa affermazione contenuta in Cooper secondo
cui the federal judiciary is supreme in the exposition of the law of the
Constitution11 si introduce l’idea della supremazia dell’interpretazione giudiziaria della costituzione. Benché nella letteratura contemporanea vi siano
alcuni contributi che invitano ad una lettura alternativa dell’interpretazione
costituzionale, il paradigma dominante è oggi rappresentato dalla posizione
che difende con argomenti normativi l’esigenza che tutti gli attori della sfera
politica deferiscano alla Corte suprema il potere di decidere in ultima istanza
sul significato delle norme costituzionali. Così Alexander e Schauer difendono questa concezione: some call this positivism, others call it formalism. We call
it law12.
A queste affermazioni Kramer oppone la sua interpretazione del costituzionalismo delle origini, che egli chiama popular constitutionalism: una
concezione della legge suprema come il prodotto della deliberazione del
popolo sovrano, diretta a regolare il compito dei governanti e chiaramente
differenziata dalla legislazione ordinaria, diretta principalmente alle corti ed
ai giudici. Soltanto verso il 1830 l’idea della supremazia giudiziaria entra nel
lessico politico statunitense, sia per una progressiva assimilazione della
costituzione alla legge ordinaria positiva, sia per le difficoltà degli attori
politici a risolvere da soli questioni di tono costituzionale. Tuttavia, sottolinea
Kramer, c’è un’enorme differenza tra il dire che il potere giudiziario ha
l’ultima parola e il dire che esso ha l’unica parola in materia di interpretazione
costituzionale. Lo slittamento dalla supremazia alla sovranità giudiziaria non
ha radici nella cultura costituzionalistica statunitense e si giustifica solo
mediante l’autocomprensione delle Corte Rehnquist come dell’attore unico
del teatro costituzionale. La ricostruzione storica di Kramer mira a mettere in
luce come il judicial review fosse stato un’invenzione dei federalisti americani,
concepita per salvare il repubblicanesimo da se stesso. A ben vedere nella
ancient constitution non vi era alcun posto per il controllo di costituzionalità.
Nel costituzionalismo popolare il potere legislativo e quello giudiziario sono
«servi del popolo» ed è il popolo stesso l’ultima istanza deputata a risolvere i
conflitti costituzionali. Mentre la legislazione ordinaria veniva concepita
come proveniente dai rappresentanti, la legislazione costituzionale veniva
concepita come riconducibile direttamente al popolo sovrano. Tuttavia con la
conquista dell’indipendenza gli americani avevano assunto le responsabilità
governative che precedentemente spettavano alla Corona britannica, di
conseguenza le competenze dei legislatori statali si ampliarono progressiva11
Cooper v. Aaron, 358 U.S. 1 (1958).
12
L. Alexander, F. Schauer, On Extrajudicial Constitutional Interpretation, in 110 Harv. L. Rev.,
1359, 1997.
613
Alberto Vespaziani
mente. Inoltre le norme costituzionali statali erano scritte, e l’elemento della
scrittura, aggiungendo chiarezza e precisione alle regole costituzionali consuetudinarie, le rendeva più disponibili ad essere invocate come criteri di
soluzione dei conflitti politici. D’altronde le stesse opportunità per questi
conflitti andavano aumentando, per la riorganizzazione dei commerci e per la
redistribuzione e contestazione delle competenze tra il governo federale ed i
governi statali. Infine l’affermazione del principio della sovranità popolare
comportò l’elaborazione di una teoria e di una pratica della supremazia della
costituzione e del suo procedimento di ratifica.
Comunque nei dibattiti della Convenzione di Filadelfia la possibilità di
istituire un controllo giudiziario di costituzionalità affiorò in commenti
sporadici, senza mai divenire un vero e proprio oggetto a sé stante della
discussione. Mentre l’esigenza di controllare l’arbitrarietà dei provvedimenti
legislativi venne regolata con l’introduzione del veto presidenziale, fu solo il
timore della invasione della legislazione statale nelle sfere di attribuzione del
potere federale ad indirizzare i costituenti verso l’istituzione del judicial
review. Di fronte a tali prospettive l’anti-federalista Brutus pubblicò tre saggi
sul New York Journal in cui criticava il potere affidato ai giudici di decidere
secondo equità; a cui Hamilton replicò con la sua celeberrima difesa del least
dangerous branch, nel Federalista n. 78. Con le prime esperienze di governo,
gli statunitensi si accorsero dell’insufficienza dei meccanismi politici di
risoluzione delle controversie costituzionali: con l’espandersi delle funzioni
pubbliche, il bicameralismo ed il federalismo non riuscivano a filtrare gli
interessi particolari delle fazioni, come i padri fondatori avevano immaginato.
All’interno di questo mutamento di percezione, si deve dunque situare la
sentenza Marbury che, lungi dall’essere un atto rivoluzionario, si deve invece
leggere come l’applicazione coerente delle premesse del popular constitutionalism: quando un provvedimento legislativo viola la costituzione, intesa
come legge suprema, anche le corti hanno il potere di offrire un’interpretazione costituzionale che stabilisca l’inapplicabilità delle leggi ordinarie che
contrastano con la legge fondamentale.
Mentre dunque i costituenti delle origini avevano disegnato un ruolo
limitato per il potere giudiziario, è solo verso la metà del diciannovesimo
secolo che comincia ad affermarsi l’idea di una posizione privilegiata della
sede giurisdizionale nell’interpretazione costituzionale. Nei suoi Commentaries on the Constitution of the Unites States del 1833, nel capitolo intitolato
Who is the Final Judge or Interpreter in Constitutional Controversies, Joseph
Story scriveva che «there is a final and common arbiter provided by the
constitution itself, to whose decisions all others are subordinate; and that
arbiter is the supreme judicial authority of the courts of the Union». La
trasformazione del diritto costituzionale in diritto positivo e l’assorbimento
della politica popolare nel sistema dei partiti, condussero uomini come
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Il costituzionalismo statunitense all’inizio del nuovo secolo
Madison e Story ad abbracciare l’idea che i giudici debbano avere una
posizione privilegiata nell’attribuzione di senso costituzionale. La loro esperienza politica mostrava che la versione del popular constitutionalism che
avevano ereditato dalla tradizione si veniva mostrando inadeguata a risolvere
i problemi di una società in forte espansione: occorreva un’autorità, più
definita ed individuabile del generico popolo, per risolvere conflitti costituzionali che minacciavano di distruggere l’Unione, e quest’autorità risiedeva nelle
pronunce dei giudici.
La posizione privilegiata del potere giudiziario trovava una conferma ed
un accomodamento nel periodo del New Deal, in cui ad una ritrovata efficacia
dell’azione del legislativo corrispondeva un’azione incisiva della Corte suprema. Questa rafforzava il suo sindacato nei confronti del potere degli Stati, lo
limitava nei confronti del Congresso e dell’esecutivo, e si ergeva a difensore
dei diritti garantiti dal Bill of Rights, soprattutto a favore delle minoranze
razziali, religiose o discrete and insular13.
Rispetto alla soluzione di equilibrio trovata dalle Corti Warren e Burger,
la Corte Rehnquist si è viceversa caratterizzata per un assalto al popular
constitutionalism, e per un sindacato via via sempre più aggressivo, sino a
giungere alla pretesa di essere il solo organo che ha il potere di interpretare
autoritativamente la costituzione. A giudizio di Kramer, la Corte Rehnquist è
stata autrice di una vera e propria rivoluzione costituzionale in senso
conservatore, che nega al popolo qualsiasi ruolo nella definizione dei valori
costituzionali. Sia nell’area del Primo Emendamento, dove la Corte ha
costruito una giurisprudenza basata sui presupposti dell’individualismo metodologico, sia nell’area del federalismo, dove la Corte si è regolarmente
allineata alle posizioni degli Stati, concepiti come grandi individui che resistono
alle invasioni del legislatore federale, nella giurisprudenza contemporanea,
che culmina in Bush v. Gore, la Corte Rehnquist ha optato per uno stile
formalistico ed ha tolto al popolo sovrano il ruolo centrale che il costituzionalismo delle origini le aveva assegnato. Ciò porta Kramer a concludere che «i
membri della maggioranza conservatrice della Corte sono dei fondamentalisti
costituzionali, che agiscono con l’intento di restaurare la Costituzione verso
quella che essi credono sia la sua vera forma. Come la maggior parte dei
fondamentalismi, la loro credenza si fonda su di un passato immaginato che
non è mai esistito. Per quanto tempo dobbiamo permettere loro di continuare
a fantasticare a nostre spese? La storia può non dirci cosa dobbiamo fare. Ma
può dirci chi eravamo ed in tal modo ci può aiutare a capire chi siamo
diventati. La leggenda racconta che, lasciando la Convenzione costituzionale,
Benjamin Franklin fu avvicinato da una donna che gli chiese “cosa ci avete
13
United States v. Carolene Prods. Co., 304 U.S. 144, 152-53 n. 4 (1938).
615
Alberto Vespaziani
dato, Dr. Franklin?” “A republic” rispose “if you can keep it”. Ma lo abbiamo
fatto? Nonostante tutti i disaccordi intorno al significato del termine “repubblica” nessuno ha mai dubitato che l’autogoverno sia la sua essenza, e una
costituzione il suo distillato più puro. Che tipo di repubblica rimuove la sua
costituzione dal processo di autogoverno? Certamente non quella che i Padri
fondatori ci hanno dato. È quella che preferiamo? La scelta, dopotutto, è
nostra. La Corte suprema ha fatto la sua mossa per conquistare il potere. La
domanda è: glielo consentiremo?» 14.
14 Dopo la critica aggressiva mossa da Kramer, e dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, gli
editori della Harvard Law Review hanno invitato il presidente della Corte suprema israeliana a
scrivere il Foreword. O per recuperare una lettura positiva del ruolo della giustizia costituzionale, o
per diffondere la prudenza acquisita da un giudice che si è trovato più volte a dover giudicare della
tutela dei diritti fondamentali in tempi di emergenza terroristica, comunque, per la prima volta nella
storia dei Forewords, un giurista non americano ne è stato autore. L’impostazione del Foreword di
Barak, che sceglie di non commentare il Term della Corte suprema statunitense, si discosta talmente
tanto dagli altri Forewords, che ho scelto di darne conto solo in nota, non per un suo minor interesse
scientifico, ma perché totalmente estranea all’analisi di questo lavoro, incentrato sulle trasformazioni
dei rapporti tra giurisprudenza e dottrina costituzionalistica negli USA. Nel suo Foreword [A. Barak,
A Judge on Judging: The Role of a Supreme Court in a Democracy, in 116 Harv. L. Rev., 18, 2002]
Barak ribadisce l’importanza classica della giurisprudenza della Corte suprema americana come
fonte di ispirazione per i costituzionalisti del mondo intero e, dopo aver affermato che la ragione per
cui è talvolta critico della Corte americana è il rammarico per il fatto che essa sta perdendo il ruolo
centrale che un tempo aveva tra corti delle moderne democrazie, Barak costruisce tutto il suo
Foreword come un trattato di teoria costituzionale, supportato da giurisprudenza israeliana, da egli
stesso coniata, nonché da riferimenti ad orientamenti giurisprudenziali di altri paesi, principalmente
dell’area di common law. Comunque, a differenza di Kramer, per Barak la Corte suprema
statunitense ha fatto bene a decidere Bush v. Gore, perché, a suo dire, non esistono problemi che non
possano essere risolti tramite interpretazione giudiziaria, ed il problema principale delle democrazie
contemporanee è di trovare delle soluzioni a problemi politici che assumono dei caratteri giuridici.
Ciò è dovuto essenzialmente all’emergere di concezioni sostanziali della democrazia, che hanno
assunto la difesa dei diritti umani come compito centrale dei poteri pubblici, la emersione della
minaccia terroristica, un progressivo raffinamento delle riflessioni dottrinali sul ruolo e sulla
funzione dell’interpretazione giudiziaria, ed infine un diffuso ampliamento della zone di influenza
del potere giudiziario a scapito degli altri poteri statali. Proponendo una teoria sul ruolo delle corti
supreme nelle moderne democrazie costituzionali, Barak dichiara di voler scegliere un’impostazione
eclettica, capace di accogliere le istanze che provengono da tutte le altre teorie quali, tra le altre, il
realismo giuridico, il positivismo, il movimento del giusnaturalismo, il movimento del legal process, il
movimento degli studi critici. Tale aspirazione erculea spinge Barak a formulare una teoria
normativa del ruolo e degli strumenti appropriati dell’interpretazione giudiziaria ad un tempo
astratta e concreta, ricca di suggestive formulazioni dogmatiche ma supportata da precisi riferimenti
a casi concreti. Concettualizzando una teoria non formalistica dell’ermeneutica giuridica, Barak
riesamina i presupposti dell’indipendenza del potere giudiziario e, soprattutto, gli argomenti
impiegati dai giudici nell’interpretazione costituzionale. Rispetto alle riflessioni offerte dai costituzionalisti statunitensi, Barak si distingue tanto per l’insistenza sulla centralità della metafora del
bilanciamento e dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, quanto per un’appassionata difesa
dell’importanza del metodo comparativo, sia in funzione epistemica, sia in funzione argomentativa.
Per quanto riguarda il bilanciamento, che Barak considera essenziale all’interpretazione giudiziaria,
e tuttavia non sufficientemente tematizzato dalla dottrina, esso trova posto in una visione non
normativistica dell’ordinamento giuridico, in cui le regole specifiche sono sempre espressione e
concretizzazione di più ampi principi e valori. Soprattutto nel bilanciamento tra libertà individuali ed
esigenza di sicurezza nazionali in tempi di emergenza terroristica, viene in primo piano il ruolo del
potere giudiziario in una democrazia costituzionale. Esso ha la responsabilità di proteggere la
democrazia sia dal terrorismo sia dai mezzi che lo Stato vuole usare per combattere il terrorismo. La
protezione dei diritti individuali è ancor più importante in tempi di guerra e di emergenza, perché se
fallisce in quel periodo, a maggior ragione sarà possibile ristabilirla in tempo di pace. Precisando che
616
Il costituzionalismo statunitense all’inizio del nuovo secolo
4.
LA DIALETTICA TRA CULTURA, CORTI E DIRITTO NEL POST-REALISMO DI ROBERT
POST
Commentando il term dell’anno 200215, Post comincia con il notare una
sorprendente imprevedibilità della giurisprudenza della Corte suprema. Accusata negli ultimi tempi di eccessiva deferenza nei confronti delle decisioni
maggioritarie, la Corte ha mutato giurisprudenza in materia di leggi statali che
criminalizzavano la sodomia; accusata di perseguire un agenda conservatrice,
la Corte ha emesso una serie di sentenze d’ispirazione liberal, sino a
legittimare l’uso di azioni positive da parte delle università nei loro criteri di
selezione di ammissione degli studenti. Selezionando solo tre casi da discutere
nel dettaglio16, Post indaga i diversi modi in cui il diritto costituzionale si
relaziona alle credenze e ai valori degli attori non giudiziali. Nel suo
vocabolario concettuale «diritto costituzionale» è il diritto prodotto dai
giudici, mentre «cultura» fa riferimento alle credenze e ai valori degli attori
non giudiziali. Soprattutto con la prima definizione Post rivela la sua impostazione doctrinalist, un modo di leggere la giurisprudenza che si incentra sulle
dinamiche interne alla Corte, che prende sempre le mosse dalle opinioni dei
giudici, per sottoporle a valutazioni critiche. In particolare Post sostiene che
mentre nei suoi pronunciamenti espressi la Corte suprema avanza una
concezione formalistica e positivistica del diritto costituzionale 17, concependolo rigidamente separato dalla politica e dalla morale, nella sua giurisprudenza essa non può fare a meno di fare riferimento ai principi ed ai valori che
si agitano nella società e non riesce ad evitare un dialogo comunicativo con gli
altri attori sociali e con le istanze normative da questi avanzati. Post precisa
che, benché sia difficile tracciare una chiara linea di demarcazione tra cultura
e cultura costituzionale, è bene mantenere distinto questo secondo concetto
perché la legittimità del diritto costituzionale dipende in parte dalle convinzioni costituzionali degli attori non giudiziari. Anche quando protegge i diritti
il confine tra stato di guerra e stato di pace è assai labile e mai precisamente individuabile, Barak
ribadisce la maggiore responsabilità che grava sul potere giudiziario in tempi emergenziali, perché
mentre le misure legislative e amministrative sono destinate a esaurire la loro forza normativa con il
ripristino della normalità, gli indirizzi giurisprudenziali che si consolidano nell’emergenza sono
destinati a rimanere, e possono essere sempre invocati anche una volta che lo stato di eccezione sia
terminato. Inoltre ciò che distingue la guerra dello Stato dalla guerra dei suoi nemici, è che lo Stato
combatte rispettando la legalità, mentre i suoi nemici combattono calpestando il diritto. È quindi
preciso dovere del potere giudiziario far sì che anche durante il periodo di battaglia le leggi
continuino ad essere rispettate, soprattutto da parte degli altri poteri statali.
15
R.C. Post, Fashioning the Legal Constitution. Culture, Courts, and Law, in 117 Harv. L. Rev., 4,
2003.
16 Nevada Department of Human Resources v. Hibbs, 123 S. Ct. 1972 (2003); Grutter v. Bollinger,
123 S. Ct. 2325 (2003); Lawrence v. Texas, 123 S. Ct. 2472 (2003).
17 Vedi le opinioni di Rehnquist in Bd. of Trs. v. Garrett, 531 U.S. 356, 360 (2001); United States v.
Morrison, 529 U.S. 598, 601 (2000) e di Scalia in Originalism: The Lesser Evil, 57 U. Cin. L. Rev. 849, 854
(1989).
617
Alberto Vespaziani
costituzionali, il diritto costituzionale riflette e allo stesso tempo regola la
cultura costituzionale, perché i diritti proteggono valori costituzionali che a
loro volta sono radicati nella cultura costituzionale. Le asserzioni della Corte
relative alla pretesa autonomia del diritto costituzionale non debbono quindi
essere interpretate come una descrizione accurata del modo in cui la Corte
effettivamente funziona. Esse debbono invece essere comprese come delle
affermazioni ideologiche sul modo in cui la Corte vorrebbe che il diritto
costituzionale fosse considerato.
Nel ricercare i criteri che consentano di valutare la giurisprudenza
costituzionale, analizzandola dall’interno ma senza appiattirsi sulle posizioni
espresse dai giudici, Post si ripromette di analizzare i rapporti dialettici che
intercorrono tra la cultura, le corti ed il diritto, cercando, sulle orme di
Cardozo «una concezione del diritto che il realismo possa accettare come
vera»18. Così la costituzione non è un documento di diritto positivo né un
contratto di avvocati, né un vincolo alle decisioni della maggioranza, ma
piuttosto un’espressione delle più profonde credenze e convinzioni della
nazione americana, dei principi fondamentali come sono stati intesi dalle
tradizioni del popolo e del diritto 19, un veicolo della vita, il cui spirito riflette
sempre lo spirito del tempo20. Questa concezione del diritto costituzionale
permette alla Corte tutt’al più di pronunciarsi prima degli altri sugli ideali
costituzionali, in un dialogo continuo con gli altri organi del potere pubblico e
con il popolo tutto.
Conformemente a queste premesse metodologiche, Post passa ad analizzare i tre casi che gli appaiono più rilevanti del Term, osservando che il
problema non è se la cultura costituzionale debba essere una fonte del diritto
costituzionale, perché sia strutturalmente sia storicamente, l’interpretazione
costituzionale è possibile solo perché la Corte è inserita in un continuo
dialogo costituzionale con le credenze e con i valori costituzionali degli attori
non giudiziari. Il problema rilevante è dunque di indagare i modi in cui la
cultura costituzionale funziona come una fonte per il diritto costituzionale.
La cultura costituzionale, infatti, non è né interamente esterna al diritto
costituzionale, né del tutto ad esso interna. Il diritto costituzionale trae
ispirazione, forza e legittimità dalla cultura costituzionale, che fornisce orientamento e scopo al diritto costituzionale. Non ci può essere diritto costituzionale senza cultura costituzionale, ma il diritto costituzionale non può essere
ridotto alla cultura costituzionale. Questa relazione dialettica è tanto vera
18 La citazione di apertura del Foreword è infatti «We must seek a conception of law which
realism can accept as true» di B.N. Cardozo, The Nature of the Judicial Process, 127 (Gaunt 1998)
(1921).
618
19
Il riferimento è a Lochner v. New York, 198 U.S. 45, 76 (1905) (Holmes, J., dissenting)
20
Il riferimento è a W. Wilson, Constitutional Government in the United States, 69 (1908).
Il costituzionalismo statunitense all’inizio del nuovo secolo
dalla prospettiva esterna dello storico che indaga l’evoluzione del diritto
costituzionale, quanto dalla prospettiva interna del giudice che cerca di creare
il diritto costituzionale. Tanto per i giudici quanto per gli storici la cultura
costituzionale è il medium all’interno del quale il diritto costituzionale è
foggiato. Ma siccome la cultura è sempre dinamica e contestata, così il diritto
costituzionale sarà sempre dinamico ed oggetto di contestazione. Tanto
all’interno della cultura quanto all’interno del diritto costituzionale non vi
sono punti archimedici, non ci sono posizioni neutrali o oggettive: ci sono solo
interpretazioni in conflitto all’interno dei diversi significati culturali.
Mostrando come tali concezioni siano all’opera nei casi discussi nel
dettaglio, Post costruisce una concezione normativa dell’interpretazione costituzionale, critica dell’autocomprensione della Corte Rehnquist, in cui i
processi storici e culturali confluiscono nella giurisprudenza costituzionale,
concepita come una combinazione tra principi del rule of law e dialogo della
Corte con gli altri attori della sfera politica.
5.
LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DELLA POLITICA DEMOCRATICA NELLA CRITICA
DI RICHARD PILDES
Studioso dei processi elettorali e difensore di una concezione procedurale
della democrazia, Pildes seleziona tre casi21 del Term 2003, tutti relativi alla
materia elettorale, per analizzare la costituzionalizzazione della politica
democratica operata dalla Corte suprema 22. Dopo qualche cenno di carattere
comparativo, Pildes avanza la sua teoria costituzionale, ispirata dall’opera di
Ely23, secondo cui nel prossimo futuro il diritto costituzionale sarà caratterizzato dalla collisione di due sviluppi: da un lato le Corti supreme costituzionalizzeranno sempre più le strutture della democrazia, dall’altro le circostanze
politiche genereranno sfide ricorrenti alle strutture democratiche. A giudizio
di Pildes la giurisprudenza costituzionale ha un ruolo legittimo nell’intervento
sul processo democratico, proprio perché questo non è capace di totale
autoregolazione, essendo suscettibile di essere occupato da fazioni e gruppi di
interesse, che tendono ad otturare i canali della rappresentanza politica.
Tuttavia la giurisprudenza della Corte suprema statunitense ha applicato alla
materia elettorale le stesse categorie concettuali adoperate per l’area dei
diritti individuali; in particolare le questioni di gerrymandering24 sono state
21 McConnell v. FEC, 124 S. Ct. 619 (2003); Georgia v. Ashcroft, 123 S. Ct. 2498 (2003); Vieth v.
Jubelirer, 124 S. Ct. 1769 (2004).
22
R.H. Pildes, The Constitutionalization of Democratic Politics, in 118 Harv. L. Rev., 28, 2004.
23
J.H. Ely, Democracy and Distrust, Cambridge, 1980.
24
Termine intraducibile, esprime la delimitazione territoriale delle circoscrizioni elettorali
orientata dal criterio di blindare il risultato del voto, basandosi sugli orientamenti espressi nelle
precedenti tornate elettorali. Il termine fu coniato per irridere il provvedimento del Governatore del
619
Alberto Vespaziani
costruite come relative all’area dell’eguale protezione delle leggi, i casi di
regolazione del finanziamento delle campagne elettorali sono stati interpretati come casi afferenti alla protezione del Primo emendamento. Trasferire
analogicamente le categorie relative ai diritti individuali nell’area sistemica
dell’organizzazione del potere e dei soggetti collettivi ha prodotto, così Pildes,
una distorsione dei processi politici che ha finito per aggravare i problemi che
si intendeva risolvere. In società frammentate da cleavages religiosi, razziali,
etnici o culturali, le istituzioni democratiche hanno il compito di garantire che
le maggioranze politiche non opprimano le minoranze vulnerabili. Tali garanzie vengono normalmente fornite da tribunali indipendenti che applicano i
principi di libertà ed eguaglianza contenuti nei cataloghi dei diritti. Tuttavia le
corti sono istituzioni reattive, che agiscono ex post per sancire l’illegittimità
dell’esercizio del potere governativo, incapaci di mobilitare positivamente il
potere delle minoranze.
Pildes considera il controllo costituzionale della politica democratica
come un problema funzionale nel design istituzionale. La dottrina costituzionalistica contemporanea, più di ogni altro campo, rimane troppo spesso legata
all’interpretazione di parole e concetti, o a problemi teorici di conciliazione
tra i principi dell’autogoverno e del controllo di costituzionalità, trascurando
le conseguenze sistemiche che le strutture istituzionali e le regole giuridiche
producono per la pratica politica. Visto come un problema di design istituzionale, il rapporto tra il sistema delle corti e le procedure democratiche richiede
una comprensione delle relazioni reciproche tra le istituzioni e le strutture
che organizzano il sistema democratico: partiti politici, delimitazione territoriale delle circoscrizioni elettorali, regole di voto, istituzioni rappresentative,
regimi di finanziamento elettorale, etc. Tale comprensione è necessaria, così
Pildes, sia perché un controllo di costituzionalità adeguato richiede la consapevolezza degli effetti che le regole costituzionali hanno su questo sistema
integrato, sia perché non tutto il pensiero costituzionalistico avviene all’interno delle corti. Inoltre il ruolo che le corti debbono svolgere si ricava meglio da
un’analisi funzionalistica delle capacità e delle limitazioni delle varie istituzioni, corti incluse, nella complessiva architettura istituzionale della democrazia,
piuttosto che attraverso l’interpretazione delle previsioni testuali o l’affidamento all’intenzione originaria dei costituenti.
La cultura politica americana è sempre stata ostile alla natura collettiva
della vita politica, ed è stata forgiata dal mito dell’individualismo romantico,
l’illusione secondo cui è l’individuo – e non i partiti, le coalizioni, i gruppi di
interesse – ad essere la stella polare del sistema politico. Solo così è stato
Massachusetts Elbridge Gerry, che nel 1811 sanzionò una circoscrizione elettorale, disegnata in
maniera talmente contorta, da richiamare alla mente la forma della salamandra. Da qui gerrymandering.
620
Il costituzionalismo statunitense all’inizio del nuovo secolo
possibile che la giurisprudenza costituzionale abbia salvaguardato i principi
costituzionali originari, ignorando l’inversione funzionale del ruolo delle due
camere: mentre nel disegno dei padri fondatori la Casa dei Rappresentanti
doveva riflettere i mutamenti dell’opinione pubblica, il Senato era stato
pensato come una camera di riflessione, impermeabile ai mutamenti repentini
delle passioni popolari. Oggi, grazie alle sofisticate informazioni tecnologiche
disponibili, i detentori di cariche pubbliche sono in grado di predire i modelli
di comportamento elettorale della cittadinanza, e quindi possono premere sui
legislatori statali al fine di far disegnare a loro piacimento le circoscrizioni
elettorali in modo da ottenere dei seggi sicuri 25. Gli Stati Uniti sono l’unico
paese che attribuisce il potere di disegnare le circoscrizioni elettorali, ed il
potere di regolare gran parte del procedimento elettorale, nelle mani degli
stessi attori politici coinvolti. L’assenza di una legislazione anti-trust per le
concentrazioni di potere politico, combinata con l’assenza di istituzioni
intermedie, quali commissioni elettorali indipendenti, crea la pressione di
costituzionalizzare le questioni concernenti il controllo del funzionamento
delle procedure democratiche. Tuttavia, così Pildes, il diritto costituzionale
delle corti rimane uno strumento inadeguato per lo scopo di salvare il
processo democratico da se stesso, e la giurisprudenza della Corte suprema in
materia rimane troppo legalistica ed ancorata alle categorie dei diritti
individuali, finendo per sanzionare un sistema di autoconservazione della
classe politica, a scapito delle esigenze di ricambio che stanno alla base di una
rappresentanza politica democratica.
L’espansione del ruolo e delle funzioni delle corti costituzionali, unita al
fenomeno della crescente costituzionalizzazione dei processi della democrazia politica, così Pildes, stanno producendo il rischio di una ossificazione delle
dinamiche democratiche. In particolare l’insistenza della Corte suprema su di
una giurisprudenza formalistica, che applica le categorie dei diritti individuali
e del principio della eguale protezione delle leggi ai problemi sistemici che
affliggono la rappresentanza politica (ma discorso analogo può essere svolto
per i problemi che riguardano la lotta al terrorismo), si lascia criticare da
un’analisi funzionalistica che non assume la giurisprudenza costituzionale
come uno luogo privilegiato di soluzione dei problemi che gli attori politici
non riescono a risolvere autonomamente.
25 È questo il modo in cui il gerrymandering produce il political self-entrenchment. In effetti le
competizioni elettoriali per il Senato, che non sono soggette al redistricting, sono decise dagli elettori,
che infatti cambiano opinione con una certa regolarità. Dagli anni ’80 la maggioranza che controlla il
Senato è cambiata ben cinque volte. Nello stesso periodo la Casa dei rappresentanti ha cambiato
maggioranza soltanto una volta nel 1994, con la conquista del partito repubblicano. Dal punto di vista
sostanziale sono i legislatori statali, e non gli elettori, a selezionare i membri della Casa dei
rappresentanti. V.J. Toobin, The Great Election Grab, The New Yorker, 08.12.2003.
621
Alberto Vespaziani
6.
IL COSTITUZIONALISMO STATUNITENSE ALL’INIZIO DEL NUOVO SECOLO: DOTTRINA CONTRO GIURISPRUDENZA?
La comparazione costituzionale si nutre di traduzioni, e diversi sono i
livelli possibili di traducibilità tra mondi di vita giuridici. Rispetto alla cultura
giuridica europea i Foreword costituiscono una lettura istruttiva, sia per la
giurisprudenza oggetto del commento, sia per la scelta del metodo interpretativo del costituzionalista di turno, sia per il genere letterario in sé. Ma mentre
le giurisprudenze costituzionali europee si vanno sempre più contaminando
tra loro – tanto per lo sviluppo degli argomenti comparativi, quanto per la
progressiva influenza dei livelli supra ed internazionali dei sistemi di tutela
dei diritti umani – la giurisprudenza della Corte suprema statunitense sta
perdendo il soft power che aveva a lungo esercitato sulla cultura e sulla
pratica giurisprudenziale del costituzionalismo europeo. Al cospetto della
ridotta capacità di attrazione della giurisprudenza, frutto anche dell’accentuarsi dell’Atlantic divide, i modi in cui la dottrina sceglie di leggere la
giurisprudenza, di commentarla e criticarla, assumono un’importanza che
cresce con l’aumentata rilevanza della dimensione giurisprudenziale del
diritto costituzionale europeo. Se l’ethos repubblicano si è drammaticamente
affievolito nella giurisprudenza della Corte USA, che propugna una concezione della sovranità giudiziaria che non trova riscontro nella tradizione del
costituzionalismo statunitense, la varietà delle concezioni dell’interpretazione
costituzionale, che si trovano in una letteratura plurale e ampiamente ventilata, costituiscono uno stimolo per il lettore continentale, ed un invito a
competere con tale vivacità discorsiva ed argomentativa.
La lettura dei Forewords della Harvard Law Review che ogni anno
commentano gli indirizzi giurisprudenziali della Corte suprema può dunque
soddisfare molteplici esigenze del costituzionalista europeo. Innanzitutto
consente di prendere cognizione delle decisioni più importanti rese dalla
Corte statunitense nel corso dell’anno giudiziario; essa permette anche di
conoscere chi sono i costituzionalisti più in voga nel vivace scenario accademico statunitense, e quali concezioni dell’interpretazione costituzionale vi
vengono difese. Essa consente anche di assolvere alla funzione critica ed
antidogmatica della comparazione. Al cospetto di un’uso autoritario dell’argomento comparativo come di un conversation stopper («la Corte americana
ha detto che...» come novello ipse dixit), lo studio dei Forewords mostra come
la giurisprudenza statunitense non sia affatto compatta ed internamente
coerente come talvolta viene presentata, e come la dottrina sia animata da
un’impressionante ricchezza e vivacità, e da profondi, benefici disaccordi sulle
teorie della costituzione e sulla scelta del metodo per la sua interpretazione.
Soprattutto l’analisi degli ultimi cinque Forewords ha mostrato un costante atteggiamento fortemente critico dei commentatori nei riguardi della
giurisprudenza della Corte. Le ragioni di una tale divaricazione tra il diritto
622
Il costituzionalismo statunitense all’inizio del nuovo secolo
della Corte ed il diritto delle università, o tra una giurisprudenza formalistica
ed una dottrina critica, sono ovviamente molteplici. Tra le ragioni istituzionali
si segnalano le regole che governano la composizione e la selezione dei giudici
costituzionali, in particolare la stretta dipendenza delle loro nomine dall’influenza del potere politico, ed il fatto che gli attuali giudici sono in grande
maggioranza il frutto di nomine sponsorizzate dal partito repubblicano 26. Per
quanto riguarda la invidiabile libertà critica di cui gode la dottrina statunitense ipotizzo tre fattori: in primo luogo le università di élites cui appartiene la
maggior parte degli estensori dei Forewords27 sono luoghi deputati a coltivare
le capacità critiche delle classi dirigenti; in secondo luogo l’esiguo numero e la
durata vitalizia della carica di giudice della Corte suprema riducono la
verosimiglianza delle aspettative dei professori di diritto costituzionale di
rivestire tale ruolo, disinibendo le loro attitudini critiche nei confronti della
suprema autorità giurisdizionale; infine la presenza delle opinioni concorrenti
e dissenzienti consente alla dottrina di criticare le opinioni di maggioranza
della Corte, senza attaccare la legittimità della Corte in sé. Utilizzando le
opinioni concorrenti e dissenzienti come appigli argomentativi, i commentatori possono criticare la giurisprudenza costituzionale senza attaccare la
pratica della giustizia costituzionale, né le ragioni normative che la giustificano. Lungi dal contribuire all’indebolimento della forza impositiva del giudicato costituzionale, le opinioni concorrenti e dissenzienti ne rafforzano la
legittimità nei confronti dell’opinione pubblico-giuridica, immunizzando
l’istituzione della giurisdizionale costituzionale dalle critiche vigorose e robuste che la dottrina muove alla sua giurisprudenza 28.
26 Durante la presidenza Carter (1976-1980) non vi furono nomine da effettuare; durante i suoi
due mandati (1993-2000) Clinton ha potuto nominare solo due giudici.
27 V.M. Tushnet, T. Lynch, The Project of the Harvard Forewords: A Social and Intellectual
Inquiry, in 11 Const. Comment., 463, 1995.
28 Harvard Law Review – Supreme Court Term Forewords
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