OSSERVATORIO
gennaio 2014
Il precariato scolastico tra Giudici nazionali e Corte di Giustizia: osservazioni
sul primo rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale italiana nell’ambito di
un giudizio di legittimità in via incidentale
di Maria Pia Iadicicco – Ricercatore in Istituzioni di diritto pubblico presso la Seconda Università
di Napoli
SOMMARIO: 1. I molteplici motivi di rilievo dell’ordinanza n. 207 del 2013. 2. La pregiudiziale
comunitaria nei giudizi di costituzionalità in via incidentale: continuo e discontinuo nella
giurisprudenza costituzionale. 3. Dissensi tra giurisdizioni nazionali e collaborazione giudiziaria
tramite il rinvio pregiudiziale
1.
I molteplici motivi di rilievo dell’ordinanza n. 207 del 2013
L’ordinanza n. 207 del 2013, con la quale la Corte costituzionale italiana ha sottoposto alla Corte di
Giustizia dell’Unione europea alcune questioni pregiudiziali interpretative, riveste notevole
interesse da molteplici punti di vista: in primo luogo, si tratta del primo rinvio pregiudiziale
effettuato dalla Corte costituzionale nel corso di un giudizio di legittimità costituzionale in via
incidentale1. Sotto questo profilo, la decisione in parola si presenta decisamente come una novità
nel panorama dei rapporti tra giudice costituzionale italiano e Corte di Lussemburgo2. Un secondo e
1
Tra i primi commenti dell’ordinanza 18 luglio 2013, n. 207, v. U. ADAMO, Nel dialogo con la Corte di giustizia la
Corte costituzionale è un organo giurisdizionale nazionale anche nel giudizio in via incidentale. Note a caldo sull’ord.
n. 207/2013, in www.forumcostituzionale, 24 luglio 2013; G. REPETTO, La Corte costituzionale effettua il rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia UE anche in sede di giudizio incidentale: non c’è mai fine ai nuovi inizi, in
www.diritticomparati.it, 28 ottobre 2013, L. UCCELLO BARRETTA, La Corte costituzionale e il rinvio pregiudiziale nel
giudizio in via incidentale, in questa Rivista, 1/2013.
2
A favore di un’apertura al dialogo tra Corte costituzionale italiana e Corte di Giustizia dell’Unione europea si è
pronunciata buona parte della dottrina costituzionalistica: in tema, si vedano gli interventi svolti nel corso del seminario,
organizzato dalla Corte costituzionale, del 20 aprile 2007, raccolti nel volume AA.VV., Diritto comunitario e diritto
interno, Milano, 2008.
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non meno trascurabile motivo di interesse della decisione de qua è dato dal fatto che questo rinvio
pregiudiziale si inserisce in una lunga e travagliata vicenda giurisprudenziale che coinvolge la
normativa europea sul lavoro a tempo determinato e la relativa disciplina interna di attuazione; una
vicenda scandita da molte pronunce di diversi giudici (Tribunali del lavoro, Cassazione, Corte
Costituzionale, Corte di Giustizia) i cui esiti risultano tutt’altro che facilmente armonizzabili. Non
da ultimo, il rilievo della decisione (e del suo seguito) dipende certamente dalla ‘delicatezza’ del
tema affrontato: la spinosa questione del precariato scolastico, con il carico di conflittualità che da
anni ha accumulato, perviene, non per la prima volta, al vaglio della Corte di Giustizia, ma, questa
volta, attraverso il rinvio da parte del giudice nazionale più qualificato a prospettare, in sede
europea, il quadro costituzionale di riferimento della questione.
Per comprendere adeguatamente ciascuno di questi aspetti - nessuno dei quali, a nostro avviso, può
essere trascurato nel tracciare la dinamica dei rapporti tra Corti prefigurata dal caso in esame - è
indispensabile ricostruire brevemente la controversia da cui scaturisce l’ordinanza di rinvio.
Con diverse ordinanze emesse dai Tribunali di Trento, Roma e Lamezia Terme, la Corte
costituzionale è stata chiamata a giudicare la legittimità costituzionale della normativa italiana in
materia di personale scolastico per contrasto con il diritto dell’Unione europea e, precisamente, con
la clausola 5 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato
alla Direttiva n. 1999/70/CE. Le disposizioni censurate (art. 4, commi 1 e 11, della Legge n.
124/99), consentendo di coprire cattedre e posti di insegnamento nelle scuole mediante
conferimento di diverse tipologie di contratti a tempo determinato (supplenze annuali su posti
vacanti e disponibili; supplenze temporanee su posti non vacanti ma ugualmente disponili;
supplenze brevi per ogni altra necessità), hanno dato luogo ad una illimitata successione di tali
contratti a termine. La normativa europea richiamata – che assurge a parametro interposto nel
giudizio di legittimità costituzionale, andando ad integrare e rendere concretamente operativi i
parametri di cui agli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. – proprio al fine di prevenire gli abusi derivanti
dalla successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, ha imposto agli Stati membri
di introdurre, in assenza di norme equivalenti, una delle seguenti misure: predeterminazione della
durata massima di tali contratti o rapporti successivi; fissazione del numero di rinnovi ammissibili;
specificazione delle ragioni obiettive che giustificano la reiterazione dei suddetti contratti.
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Atteso che la normativa italiana sul personale scolastico non contempla le prime due misure3, la
questione interpretativa controversa verte sulla possibilità di rinvenire, nella suddetta disciplina,
norme che integrino le ragioni obiettive sottostanti ai rinnovi contrattuali.
A riguardo, i giudici remittenti hanno richiamato una pertinente giurisprudenza comunitaria sul
tema, in base alla quale la nozione di «ragioni obiettive» va riferita alla particolare natura delle
funzioni svolte con simili contratti oppure al «perseguimento di una legittima finalità di politica
sociale» che giustifica, in modo specifico e non generale ed astratto, l’utilizzo di successivi contratti
di lavoro a termine4. Alla luce di tale giurisprudenza e non ritenendo necessario adire nuovamente
la Corte di Giustizia per risolvere ulteriori dubbi ermeneutici, i giudici a quibus hanno maturano la
convinzione che la normativa italiana sul reclutamento del personale scolastico non soddisfi
l’anzidetto requisito. Secondo i remittenti, infatti, pur essendo vero che l’organizzazione del
servizio scolastico presenta esigenze di flessibilità riconducibili a diversi fattori (tra cui, ad
esempio, la variabilità dell’utenza sia sotto il profilo quantitativo che nella sua distribuzione
territoriale; fenomeni di immigrazione, trasferimento di personale), la ripetizione di alcuni tipi di
contratti di lavoro a tempo determinato e, nel caso di specie, il conferimento di supplenze annuali su
posti vacanti e disponibili è sorretto dal solo interesse al contenimento della spesa pubblica, a fronte
di un potenziale rischio di sovradimensionamento dell’organico derivante dall’assunzione a tempo
indeterminato seguita da una riduzione della popolazione scolastica. Tale ragione giustificativa, per
quanto rilevante, non può, per giudici a quibus, farsi rientrare tra quelle «finalità di politica sociale»
secondo l’accezione desumibile dalla giurisprudenza comunitaria.
Valutata l’ammissibilità delle sole questioni sollevate dai Tribunali di Roma e Lamezia Terme5 ed
entrando nel merito delle stesse, la Corte costituzionale ha riscontrato la permanenza di ulteriori
dubbi interpretativi sulle norme comunitarie richiamate e, conseguentemente, sulla loro
3
Ai sensi dell’art. 10, comma 4 bis, del d. lgs. 368/01 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), i contratti del personale della
scuola sono sottratti dall’applicazione delle disposizioni di tale decreto che fissa, in generale, in 36 mesi il tempo
massimo entro il quale un lavoratore può essere impiegato con successivi contratti a termine. La violazione di tale
limite temporale da parte della pubblica amministrazione è sanzionata con il solo risarcimento del danno, essendo
espressamente esclusa la possibilità di convertire i contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo
indeterminato (così art. 36, comma 5, d.lgs. 165/01).
4
Corte di Giustizia sentenza 4 luglio 2006, C- 212/04, Adeneler, punti 69 ss.; sentenza 23 aprile 2009, C-378-380/07,
Angelidaki, punti 96 ss.
5
Con la coeva ordinanza n. 206 del 2013, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale promossa dal Tribunale di Trento per difetto di rilevanza derivante da
un’incompleta ricostruzione del quadro normativo e dall’inefficacia di una ipotetica pronuncia di accoglimento ai fini
della decisione del giudizio a quo.
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compatibilità con la normativa italiana. E pertanto ricordando di aver già riconosciuto, con
l’ordinanza n. 103 del 2008, la propria legittimazione al rinvio pregiudiziale comunitario nei giudizi
in via d’azione, non ha esitato a ritenersi «giurisdizione nazionale ai sensi dell’art. 267, comma 3,
TFUE, anche nei giudizi in via incidentale», decidendo così, di sottoporre alla Corte di Giustizia
due questioni interpretative6.
1.
La pregiudiziale comunitaria nei giudizi di costituzionalità in via incidentale: continuo e
discontinuo nella giurisprudenza costituzionale
Prima di addentrarci nella descrizione del quadro normativo e giurisprudenziale tracciato dalla
Corte costituzionale nell’ordinanza di rinvio, è opportuno soffermarsi sui profili processuali della
controversia, rispetto ai quali la decisione in esame appare piuttosto lacunosa.
Gli aspetti da prendere in considerazione sono almeno tre ed investono: l’estensione a proporre
questioni pregiudiziali comunitarie anche nel corso di giudizi di legittimità costituzionale in via
incidentale; la (residuale) competenza della Corte costituzionale nella risoluzione delle antinomie
tra diritto interno e diritto dell’Unione europea; nonché i rapporti tra giudici comuni, giudice
costituzionale e Corte di Giustizia ai fini del rinvio pregiudiziale ex art 267 TFUE (precedentemente
art. 234 TCE). Rispetto a ciascuna di queste questioni – fortemente connesse, ma distinte – è
6
Le questioni di interpretazione della clausola 5, punto 1, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato
alla direttiva n. 1999/70/CE, sono così formulate:
«– se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla
direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE debba essere interpretata nel senso che osta all’applicazione
dell’art. 4, commi 1, ultima proposizione, e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di
personale scolastico) – i quali, dopo aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su posti “che risultino
effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre”, dispongono che si provvede mediante il
conferimento di supplenze annuali, “in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di
personale docente di ruolo” – disposizione la quale consente che si faccia ricorso a contratti a tempo determinato senza
indicare tempi certi per l’espletamento dei concorsi e in una condizione che non prevede il diritto al risarcimento del
danno;
– «se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, della direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, le
esigenze di organizzazione del sistema scolastico italiano come sopra delineato, tali da rendere compatibile con il diritto
dell’Unione europea una normativa come quella italiana che per l’assunzione del personale scolastico a tempo
determinato non prevede il diritto al risarcimento del danno».
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opportuno verificare i tratti di continuità ovvero di discontinuità7 dell’ordinanza n. 207 del 2013
rispetto alla pregressa giurisprudenza costituzionale.
Quanto alla legittimazione al rinvio da parte della Corte costituzionale l’unico precedente è
rappresentato dalla celeberrima ordinanza n. 103 del 20088, con la quale il giudice delle leggi ha
superato le precedenti ritrosie all’utilizzo della pregiudiziale comunitaria. È altrettanto noto come la
novità rappresentata dal riconoscimento da parte della Corte costituzionale della possibilità di
essere inclusa tra le giurisdizioni nazionali ai sensi dell’art. 267 TFUE sia stata accompagnata da
una serie di precisazioni volte a circoscrivere tale qualifica ai soli giudizi di legittimità
costituzionale in via principale9. In particolare, la puntualizzazione per cui in tali giudizi la Corte è
giudice di unica istanza per la mancanza di un «giudice a quo abilitato a definire la controversia»10,
lasciava presagire che la svolta si fosse realizzata solo con riferimento ai giudizi in via d’azione11.
Ora, nell’ordinanza n. 207/2013 non solo la Corte non motiva affatto l’estensione della
legittimazione anche ai giudizi in via incidentale, ma non definisce nemmeno i rapporti che si
instaurano tra se stessa e il giudice a quo ai fini del rinvio pregiudiziale.
A ben vedere, ciò che stupisce - soprattutto se ci si pone in una prospettiva più ampia di quella della
singola controversia - non è tanto l’estensione della legittimazione al rinvio anche ai giudizi
incidentali, essendo il riconoscimento della qualifica di «giurisdizionale nazionale» ai fini della
pregiudiziale comunitaria, già contenuta nell’ord. 103/2008, un’affermazione di principio a
7
Per riprendere le espressioni di A. RUGGERI, Continuo e discontinuo nella giurisprudenza costituzionale, a partire
dalla sent. 170/84, in tema di rapporti fra ordinamento comunitario e ordinamento interno: dalla “teoria” della
separazione alla “prassi” della integrazione intersistemica?, in Giur. cost., 1991, 1583 ss.
8
Tra i tanti commenti, si veda almeno F. SORRENTINO, Svolta della Corte sul rinvio pregiudiziale: le decisioni 102 e
103 del 2008; M. CARTABIA, La Corte costituzionale e la Corte di Giustizia: atto primo, entrambi in Giur. Cost., 2008,
1288 ss. e 1321 ss.; S. BARTOLE, Pregiudiziale comunitaria ed “integrazione” di ordinamenti, in Le Regioni, 2008, 808
ss.
Per un’esaustiva ricostruzione della posizione della Consulta in merito alla propria legittimazione a sollevare questioni
pregiudiziali comunitarie, prima dell’ord. n. 103/2008, si rinvia a M. CARTABIA La Corte costituzionale italiana e il
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, in N. ZANON (a cura di), Le Corti dell’integrazione europea e la
Corte costituzionale italiana, Napoli, 2006, 100 ss.; D. BASINI, G DI NIRO, Corte costituzionale, rinvio pregiudiziale
alla Corte di Giustizia UE e dialogo tra le Corti: evoluzioni e prospettive, in in www.federalismi.it, n. 20/2011, 4 ss.
9
Cfr. F. SORRENTINO, op.ult.cit., 1290; M. CARTABIA, op.ult.cit.; 1314, T. GIOVANNETTI, L’ultimo passo del cammino
comunitario conduce la Corte a Lussemburgo, in www.associazionedeicostituzionalisti.it e in Foro it., 2009, I; L.
PESOLE, La Corte costituzionale ricorre per la prima volta al rinvio pregiudiziale. Spunti di riflessione sull’ordinanza
n. 103 del 2008, in www.federalismi.it, n. 15/2008, 1.
10
Sentenza n. 102 del 2008, punto 8.2.8.3 del Considerato in diritto. Conformemente anche ord. n. 103/2008.
11
La dottrina ha tuttavia sottoposto a serrata critica questa limitazione del ricorso alla pregiudiziale comunitaria nel
corso dei soli giudizi di legittimità costituzionale in via principale, evidenziando che la Corte costituzionale potrebbe
trovarsi nelle condizioni di adire il giudice di Lussemburgo anche nel corso di altri giudizi. Cfr. gli AA. citati nella nota
n. 9.
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carattere generale12, desunta, per di più, dall’ordinamento euro-unitario e non da quello interno13.
Quanto piuttosto colpisce che, nel caso in esame, la Corte non abbia esplicitato le conseguenze
applicative di tale qualificazione sulle dinamiche processuali proprie del giudizio di legittimità
costituzionale in via incidentale. In altre parole, si vuol evidenziare che, anche in questo caso, come
nel 2008, la legittimazione al rinvio pregiudiziale è strettamente connessa alla peculiarità del
giudizio instaurato dinanzi alla Consulta, ma non per la mancanza di un giudice a quo, quanto per
l’impossibilità di questo di risolvere l’antinomia tra diritto interno e comunitario o tramite la non
applicazione del primo ovvero attraverso l’interpretazione conforme al diritto comunitario.
Va precisato, a tal riguardo, che i Tribunali remittenti hanno adeguatamente motivato, in punto di
rilevanza, di non poter risolvere direttamente il denunciato contrasto tra diritto interno e diritto
euro-unitario tramite la disapplicazione (rectius, non applicazione) del primo, a ciò ostando la
carenza di efficacia diretta del secondo, come già chiarito in più pronunce della Corte di Giustizia14.
Allo stesso tempo, nel motivare la non manifesta infondatezza, i giudici a quibus hanno precisato di
non poter pervenire ad un’interpretazione del diritto interno conforme a quello comunitario. Per la
verifica delle suddette condizioni i giudici remittenti non hanno ritenuto necessario adire
preventivamente la Corte di Giustizia non nutrendo alcun dubbio interpretativo sulla normativa
comunitaria richiamata, che non fosse già stato dissipato dalla pregressa giurisprudenza europea.
Su questi passaggi, che pur rivestono grande importanza per chiarire le dinamiche tra Corte
costituzionale e giudice comune ai fini del rinvio pregiudiziale, la prima non si è soffermata
diffusamente; in un passaggio dell’ordinanza n. 207/2013 la Corte si è limitata a ribadire, senza
ulteriori approfondimenti, il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui «in caso di
contrasto con una norma comunitaria priva di efficacia diretta – contrasto accertato eventualmente
mediante ricorso alla Corte di giustizia – e nell’impossibilità di risolvere il contrasto in via
interpretativa, il giudice comune deve sollevare la questione di legittimità costituzionale, spettando
poi a questa Corte valutare l’esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa e,
eventualmente, annullare la legge incompatibile con il diritto comunitario»15.
12
M. CARTABIA, La Corte costituzionale e la Corte di Giustizia europea, cit., 1315.
In tal senso, già A. BARONE, La Corte costituzionale ritorna sui rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, in
Foro it., 1995, I, 2050 ss. Sentenza n. 102 del 2008, punto 8.2.8.3. del Considerato in diritto.
14
Sentenza 15 aprile 2008, C-268/06, Impact, punti 70 ss.; sentenza Angelidaki, cit., punto 196.
15
Corsivo aggiunto.
Sulla competenza della Corte costituzionale a dichiarare l’illegittimità di norme interne in contrasto con norme
comunitarie prive di effetto diretto, v. R. MASTROIANNI, Conflitti tra norme interne e norme comunitarie non dotate di
13
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È evidente, in questi punti, il tratto di continuità con alcune pronunce costituzionali di poco
antecedenti16, con le quali il Giudice delle leggi ha annullato, per la prima volta, alcune norme
legislative per violazione di norme comunitarie prive di effetto diretto17. E se in una di queste
controversie - precisamente quella definita con sentenza n. 28 del 2010 - la Corte costituzionale
non ha effettuato il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, pur richiesto dall’Avvocatura dello
Stato e dalla parte privata costituita, ciò non è stato motivato dalla carenza di legittimazione al
rinvio da parte della Consulta, ma dall’inesistenza di incertezze interpretative sulla norma
comunitaria invocata come parametro interposto18.
Ebbene, considerato che nella controversia sulla legittimità della normativa italiana sul personale
scolastico la Corte ha riscontrato la persistenza di ulteriori dubbi interpretativi sul parametro
comunitario interposto, tali da indurla a rivolgersi alla Corte di Giustizia, sarebbe stato quanto meno
opportuno un approfondimento sulle ragioni logico-giuridiche che l’hanno spinta a non dichiarare
l’inammissibilità della questione di costituzionalità, affidando al giudice a quo l’onere di adire
preventivamente la Corte europea. È infatti noto l’orientamento costantemente assunto dalla Corte
costituzionale, prima dell’ordinanza n. 207/2013, nei casi in cui sono state sottoposte al suo giudizio
questioni di compatibilità tra diritto interno e diritto euro-unitario nel corso di giudizi di legittimità
in via incidentale: la Consulta ha ripetutamente evitato di rivolgersi alla Corte di Giustizia
demandando al giudice comune l’onere di chiarire tutti i dubbi interpretativi e di validità del diritto
dell’Unione europea, utilizzando, ove necessario, la pregiudiziale comunitaria prima di adire la
Corte costituzionale19.
efficacia diretta: il ruolo della Corte costituzionale, in Il Dir. dell’Un. Eur., 2007 584 ss., e, se si vuole, M.P.
IADICICCO, Integrazione europea e ruolo del giudice nazionale, in Riv.it. dir. pubbl. com., 2011, 401 ss.
V’è da dire che tra i motivi per i quali la Consulta ha impiegato diversi anni per addivenire concretamente alla
dichiarazione di illegittimità di norme interne in contrasto con il diritto dell’Unione europea non self-executing
rientrano certamente le molte preclusioni processuali poste (se non auto-imposte) dalla Corte per un giudizio nel merito
di tali questioni, nonché la conseguente tendenza dei giudici comuni a forzare i limiti dell’interpretazione conforme al
diritto dell’Unione europea.
16
Sentenze nn. 28 e 277 del 2010.
17
Applicando concretamente le previsioni già astrattamente contenute nella sentenza n. 170/84.
18
Cfr. D. BASINI, G DI NIRO, op.cit., 21.
In sostanza, quando il parametro comunitario interposto e sufficientemente definito nei suoi contenuti non vi sono
preclusioni processuali alla decisione nel merito della questione di legittimità costituzionale da parte della Corte.
19
V. Ordinanza n. 536 del 1995, « [è] il giudice rimettente, il quale alleghi (…) la norma comunitaria a presupposto
della censura di costituzionalità, a doversi far carico in mancanza di precedenti puntuali pronunce della Corte di
giustizia di adire quest'ultima per provocare quell'interpretazione certa ed affidabile che assicuri l'effettiva (e non già
ipotetica e comunque precaria) rilevanza e non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale circa una
disposizione interna che nel raffronto con un parametro di costituzionalità risenta, direttamente o indirettamente, della
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Dunque, alla luce dell’ordinanza n. 207 del 2013, può ritenersi superato tale orientamento
giurisprudenziale? Certo, l’assoluta carenza di motivazioni su questo punto non aiuta a definire il
possibile riparto dei compiti tra Corte costituzionale e giudice comune ai fini del rinvio
pregiudiziale20. Si può tuttavia ipotizzare che la Corte abbia inteso correggere i propri precedenti,
ammettendo che questioni di interpretazione pregiudiziale comunitaria possono sorgere anche nel
corso del giudizio costituzionale e, pertanto, devono essere risolte dalla stessa Consulta e non dal
giudice a quo. Bisogna quindi distinguere, all’interno delle eterogenee fattispecie di cd. doppia
pregiudizialità21, i casi in cui la pregiudiziale comunitaria incide sulla rilevanza della questione di
costituzionalità ovvero sulla condizione di non manifesta infondatezza. La prima ipotesi ricorre
allorquando il giudice della controversia nutre dei dubbi sull’efficacia diretta della norma
comunitaria presumibilmente violata da quella interna22; in questi casi, se il giudice non risolvesse
preventivamente tale dubbio, eventualmente avvalendosi del rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia, ma decidesse di rimettere la questione di costituzionalità alla Consulta, quest’ultima non
potrà che dichiarare l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza o mancata motivazione
della stessa, non avendo il giudice rimettente dimostrato di non poter risolvere direttamente
portata della disposizione comunitaria». In tal senso v. anche ordd. nn. 319/96 e 108 e 109/1998, con le quali la Corte
ha restituito gli atti ai giudici rimettenti affinché questi adissero preventivamente la Corte di Giustizia.
Coerentemente con questa giurisprudenza, quando il giudice della causa principale ha sollevato, nel corso dello stesso
giudizio, tanto la questione di costituzionalità dinanzi alla Consulta, quanto la questione pregiudiziale comunitaria, la
Corte costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza o per insufficiente o
contraddittoria motivazione della rilevanza. V. ordd. nn. 249/01, 85/2002.
Ancora, la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di costituzionalità che coinvolgevano norme comunitarie
rispetto alle quali già pendeva dinanzi alla Corte di Giustizia una questione di interpretazione o validità, anche se
sollevata da un giudice diverso dal remittente o all’esame della Corte di Lussemburgo per procedura di infrazione. V.
ordd. nn. 391/92, 244/94, 38/95. Con l’ord. n. 165 del 2004 la Corte ha invece deciso di rinviare a nuovo ruolo la
decisione di una questione di costituzionalità in attesa che il giudice comunitario si pronunciasse su questioni
pregiudiziali vertenti sulla stessa normativa sottoposta al suo esame. Inoltre, la Corte ha restituito gli atti ai giudici
remittenti per una nuova valutazione della rilevanza tutte le volte in cui una decisione della Corte di Lussemburgo è
intervenuta nelle more del giudizio di costituzionalità. V. ordd. 255/99, 62/2003, 125/2004.
Per un’esaustiva ricostruzione di tutti questi orientamenti processuali v. F. SALMONI, La Corte costituzionale e la Corte
di Giustizia delle Comunità europee, in Dir. pubbl., 2002, 504 ss.; M. CARTABIA, La Corte costituzionale italiana e il
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, cit., 101 ss.
20
Come osservato anche da B. GUASTAFERRO, La Corte costituzionale ed il primo rinvio pregiudiziale in un giudizio di
legittimità costituzionale in via incidentale: riflessioni sull’ordinanza n. 207 del 2013, in www.forumcostituzionale.it,
21 ottobre 2013, 4; A. RUGGERI, A proposito dell’ordine giusto col quale vanno esaminate le questioni di
costituzionalità e le questioni di “comunitarietà” congiuntamente proposte in via d’azione (a prima lettura di Corte
cost. n. 245 del 2013), in www.giurcost.org, 7; A. ADINOLFI, Una «rivoluzione silenziosa»: il primo rinvio pregiudiziale
della Corte costituzionale italiana in un procedimento incidentale di legittimità costituzionale, in Riv. Dir. Internaz.,
2013, 1253.
21
Sul punto, cfr. F. SALMONI, La Corte costituzionale e la Corte di Giustizia delle Comunità europee, cit., 504 ss.
22
O anche un dubbio sulla validità del diritto dell’Unione europea.
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l’antinomia disapplicando la norma interna contrastante con la norma comunitaria23. In questo
senso, anche dopo l’ordinanza n. 207/2013, deve ritenersi certamente confermata la pregressa
giurisprudenza costituzionale in base alla quale, nei giudizi di legittimità costituzionale in via
incidentale, ove il diritto comunitario rientra tra i parametri di giudizio, «il rimettente deve
espressamente indicare i motivi che osterebbero alla non applicazione del diritto interno in contrasto
con il diritto dell’Unione europea, venendo altrimenti meno la sufficienza della motivazione in
ordine alla rilevanza della questione»24; se il giudice nazionale conserva dubbi sull’interpretazione
del diritto comunitario va utilizzato il rinvio pregiudiziale e, pertanto, «la questione di compatibilità
comunitaria costituisce un prius logico e giuridico rispetto alla questione di costituzionalità, poiché
investe la stessa applicabilità della norma censurata nel giudizio a quo e pertanto la rilevanza della
questione25.
La confermata antecedenza logico-giuridica della questione di compatibilità comunitaria rispetto
alla questione di costituzionalità, in questi casi, non deve tuttavia indurre a ritenere che, prima si
adire la Corte costituzionale, il giudice comune debba obbligatoriamente rivolgersi alla Corte di
giustizia26 a pena d’inammissibilità. Il giudice a quo potrebbe infatti non nutrire alcun dubbio circa
la carenza di efficacia diretta della norma comunitaria potendo esistere, ad esempio e come nel caso
in esame, una pregressa e pertinente giurisprudenza comunitaria capace di dissipare qualsiasi
incertezza interpretativa. In sostanza, il giudice remittente dovrà soltanto attentamente ed
adeguatamente motivare la rilevanza della questione, esplicitando le ragioni che ostano alla non
applicazione della norma interna in contrasto con il diritto comunitario.
È altresì indispensabile che, nel rimettere la questione di compatibilità tra diritto interno e diritto
comunitario alla Corte costituzionale, il giudice a quo dimostri di aver invano tentato di superare
l’antinomia attraverso l’interpretazione della legge conforme al diritto sovranazionale ed, anche in
tal caso, potrà avvalersi dell’intervento chiarificatore della Corte di Giustizia. Senza poterci
addentrare, in questa sede, in approfondimenti sulle multiformi e non sempre pacifiche applicazioni
di tale criterio ermeneutico, si deve però sottolineare, sulla scorta delle sollecitazioni di
23
Ampiamente sul tema F. GHERA, Pregiudiziale comunitaria, pregiudiziale costituzionale e valore di precedente delle
sentenze interpretative della Corte di Giustizia, in Giur. cost., 2000, 1193 ss.
24
Corte costituzionale, sentenze nn. 284/2007e 288/2010.
25
Ordinanze nn. 415/08; 100/09, 241/10, 298/2011, 111/2012. Cfr. F. GHERA, La Corte costituzionale e il rinvio
pregiudiziale dopo le decisioni nn. 102 e 103 del 2008, in Giur. Cost., 2009, 1315 ss.
26
Diverso è l’obbligo di rinvio che incombe sui giudici di ultima istanza ai sensi dell’art. 267, comma 3, TFUE; obbligo
che, tra l’altro, è stato reso meno stringente dalla giurisprudenza comunitaria a partire dalle sentenze 27 marzo 1963, C28-30/62, Da Costa, e 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit, costantemente confermate.
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un’autorevole dottrina27 che l’obbligo di interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea
non incide sulla rilevanza della questione di costituzionalità, ma sulla ricorrenza della condizione di
non manifesta infondatezza e, dunque, non venendo in quest’ultima ipotesi contestata l’applicabilità
della disposizione interna, seppur interpretata alla luce del diritto comunitario, una volta che il
giudice a quo abbia esplicitato le ragioni per cui ritiene impossibile pervenire ad un’interpretazione
adeguatrice, non esistono ostacoli processuali alla decisione del merito da parte della Corte28. Sarà
pertanto quest’ultima, a sollevare, ove necessario, la pregiudiziale comunitaria dinanzi alla Corte di
Giustizia per dirimere i dubbi interpretativi sul parametro comunitario interposto29. Non si
nasconde, però, che alla luce dell’esperienza recentemente maturata nei giudizi di legittimità
costituzionale in via incidentale, il giudice a quo è sempre più spesso chiamato a fornire
argomentazioni approfondite sull’impossibilità di dirimere l’antinomia attraverso l’interpretazione
conforme e, pertanto, ciò lo potrebbe indurre ad adire in via prioritaria la Corte di Giustizia per
evitare la sanzione di inammissibilità. Tuttavia, nemmeno si può trascurare che un troppo disinvolto
uso dell’interpretazione comunitariamente compatibile, spesso avallato dalla giurisprudenza
europea, potrebbe finire per marginalizzare ulteriormente ed eccessivamente la Corte costituzionale
dalle questioni di compatibilità comunitaria, con conseguenze negative tanto sul piano teorico,
quanto su quello pratico. Infatti, anche volendo mettere da parte le ragioni di economia processuale
che sconsiglierebbero un doppio rinvio da parte del giudice a quo prima alla Corte di Giustizia e poi
alla Corte costituzionale, si è osservato30 che sistematicamente dopo la pregiudiziale comunitaria il
giudice comune non ha mai successivamente interpellato la Consulta, ritenendo possibile risolvere
direttamente l’antinomia, magari forzando i margini dell’interpretazione conforme; ipotesi,
quest’ultima, tutt’altro che remota e favorita dalla tendenza della Corte di Lussemburgo a non
27
F. SORRENTINO, Corte costituzionale e Corte di Giustizia delle Comunità europee, Milano, 1970, I, 138 ss.
ID., E’ veramente inammissibile il «doppio rinvio»?, in Giur. Cost., 2002, 782.
29
A sostegno di tale ricostruzione ID., Svolta della Corte costituzionale sul rinvio pregiudiziale, cit., 1291, richiama il
differente ruolo spettante al giudice a quo e alla Corte costituzionale relativamente alla cognizione del vizio di
costituzionalità della legge: «poiché al primo spetta (o spetterebbe) una mera delibazione della questione di legittimità
costituzionale ed alla Corte la decisione di merito, il quesito interpretativo o di validità delle norme comunitarie
andrebbe di regola posto in sede di giudizio di legittimità costituzionale, piuttosto che di delibazione sulla non
manifesta infondatezza». V. anche le opere dello stesso A. precedentemente richiamate, e, molto chiaramente su questo
aspetto, ID., La Corte e le questioni pregiudiziali, in AA.VV., Diritto comunitario e diritto interno, cit., 471.
30
M. CARTABIA, A. CELOTTO, La giustizia costituzionale in Italia dopo la Carta di Nizza, in Giur. Cost., 2002, 4503
ss.; F. SORRENTINO, op.ult.cit., 468.
28
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limitarsi a fornire l’interpretazione del parametro comunitario, ma ad indicare anche le conseguenze
applicative di tale interpretazione sul diritto interno31.
2.
Dissensi tra giurisdizioni nazionali e collaborazione giudiziaria tramite il rinvio pregiudiziale
Tenuto conto di ciò non si può che accogliere con favore la scelta della Corte costituzionale
di interloquire direttamente con la Corte di Giustizia; scelta, in vero, non solo giuridicamente e
processualmente ineccepibile, ma quanto mai opportuna in ragione del coinvolgimento, nella
controversia in esame, di principi e valori costituzionali che interferiscono con l’applicabilità del
diritto euro-unitario.
Se, infatti, nell’ordinanza n. 207 del 2013 sono quasi del tutto omesse le ragioni processuali che
sorreggono il rinvio pregiudiziale da parte della Consulta, è riposta invece grande attenzione nella
ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale all’interno del quale è sorta la questione
interpretativa comunitaria. Inoltre, si deve tener conto del fatto che l’ordinanza n. 207/2013
costituisce l’ultima (e non certo conclusiva) pronuncia sul tema della compatibilità comunitaria
della normativa italiana sul personale scolastico.
Prima che i Tribunali di Trento, Roma e Lamezia Terme sollevassero il giudizio di legittimità
costituzionale in esame, affidando alla Corte costituzionale la decisione sulla controversa legittimità
della L. 124/99, molti giudici del lavoro avevano sostenuto di poter addivenire ad
un’interpretazione comunitariamente compatibile della medesima32. Questi giudici, adducendo
diverse motivazioni ritenevano, infatti, che anche nel settore scolastico potesse trovare applicazione
la disciplina generale di cui al d. lgs. n. 368/2001, approvato in attuazione della direttiva n.
1999/70/CE, che riconosce ai lavoratori il diritto al risarcimento del danno nel caso di abusiva
reiterazione dei contratti a termine. Sennonché, una simile ricostruzione del quadro normativo
sembra essere il frutto più che di un’interpretazione adeguatrice di una «disapplicazione
mascherata»33, atteso che, dal chiaro tenore letterale delle disposizioni sul personale scolastico non
si può che dedurre l’esclusione, anche in caso di abuso di successivi dei contratti a termine, tanto
31
F. SORRENTINO, Rivisitando l’art. 177 del Trattato di Roma, in AA.VV., Lo stato delle istituzioni italiane: problemi e
prospettive, 649; R. CALVANO, La Corte di giustizia e la Costituzione europea, Padova, 2004, 239 ss.
32
Per una ricostruzione di tale giurisprudenza v. C. SALAZAR, Crisi economica e diritti fondamentali – relazione al
XXVIII convegno annuale dell’AIC, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 27.
33
Così . C. SALAZAR, op.ult.loc.cit.
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del risarcimento del danno, quanto della conversione degli stessi in contratti a tempo indeterminato
(sanzione, quest’ultima, inapplicabile ai tutti contratti stipulati con la P.A.34).
Ed, infatti, poco dopo queste decisioni, la Corte di Cassazione35 non ha esitato a precisare che la
normativa italiana sul reclutamento del personale scolastico presenta caratteri di specialità rispetto
alla disciplina generale sui contratti a termine e, più precisamente, che le oggettive e specifiche
esigenze del comparto scolastico, assieme alle peculiari finalità ad esso sottese, giustificano la
sottrazione dei relativi rapporti di lavoro a tempo determinato dal regime generale dei contratti a
termine, per andare a configurare quelle «ragioni obiettive» richiamate dalla clausola 5, punto 1,
dell’Accordo quadro allegato alla direttiva comunitaria. Si deve sottolineare che, nel dichiarare la
conformità della normativa interna al diritto dell’Unione, la Suprema Corte ha ritenuto non
doveroso adire in via pregiudiziale la Corte di Giustizia; pur trattandosi di giurisdizione di ultima
istanza, obbligata come tale al rinvio ai sensi dell’art. 267, comma 3, TFUE, il Giudice di legittimità
ha motivato il mancato rinvio sostenendo che, nel caso in esame, ricorresse un’ipotesi di acte claire,
e cioè che l’esistenza di molteplici conformi pronunce della Corte di Giustizia rendesse inutile un
ulteriore rinvio.
A prescindere dalla correttezza o meno delle motivazioni addotte dalla Cassazione per sottrarsi al
rinvio pregiudiziale36, è opportuno precisare che a seguito di questa pronuncia era difficile
immaginare che i giudici di merito continuassero a perpetrare la strada dell’interpretazione
conforme al diritto comunitario per riconoscere una tutela anti-abusiva ai precari della scuola.
Eppure solo qualche mese dopo, il Tribunale di Napoli, sezione lavoro, dissentendo dalle
conclusioni della Suprema Corte, ha ritenuto necessario adire nuovamente la Corte di Lussemburgo
per un “supplemento interpretativo” sulla normativa comunitaria in relazione alle norme interne sul
34
A garanzia del principio del concorso pubblico di cui all’art. 97 Cost. Mettendo da parte l’eventuale capacità del
diritto dell’Unione europea di derogare tale previsione costituzionale, si deve evidenziare che contro l’applicabilità del
rimedio della conversione dei contratti militano altre ragioni: in primo luogo, la Clausola 5, paragrafo 2, del citato
Accordo quadro, rimette espressamente alla discrezionalità degli Stati membri la previsione o meno della conversione
del rapporto in caso di abuso di una successione di contratti; in secondo luogo, la Corte di Giustizia ha già avuto modo
di pronunciarsi sulla questione osservando che «la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno
Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato
stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro» privato o pubblico,
purché si preveda «un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti a
tempo determinato stipulati in successione». Corte di Giustizia sentenze 7 settembre 2006, C-53/04, Marrosu e C180/04, Vassallo; ordinanza 1° ottobre 2010, C-3/10, Affatato.
35
Sentenza 20 giugno 2012, n. 10127.
36
Valutazione che, invece, assume grande rilievo ai fini della configurabilità della responsabilità dello Stato per
violazione manifesta del diritto dell’Unione europea derivante da operato del giudice di ultima istanza, secondo la nota
giurisprudenza comunitaria Köbler e Traghetti.
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personale scolastico37. La decisione di questo giudice del lavoro non stupisce affatto: sempre più
spesso in questi anni molti giudici di merito si sono rivolti alla Corte di Lussemburgo per poter
‘facilmente’ superare un diritto vivente ritenuto in contrasto con il diritto dell’Unione europea38.
Inoltre, come si è visto, questo rapporto diretto tra giudici comuni e Corte di Giustizia è stato
fortemente incoraggiato dalla Corte costituzionale anche per evitare di rivolgersi in prima persona
al giudice comunitario.
Alla luce di ciò non si può che ribadire la correttezza dell’operato della Corte costituzionale che,
adita da altri giudici del lavoro, ha deciso di rinviare la questione interpretativa alla Corte di
Giustizia. Non solo, come si è appurato, nel caso di specie non erano rinvenibili ostacoli processuali
ad una decisione nel merito da parte della Consulta, ma la scelta di sottoporre alcune questioni di
interpretazione alla Corte di Giustizia appare sostenuta anche dall’esigenza di preservare il
«generale interesse all’uniforme applicazione del diritto comunitario», richiamato già a sostegno del
rinvio pregiudiziale del 2008, seppur in un giudizio di legittimità costituzionale in via principale. In
effetti, la formazione di un diritto vivente potenzialmente in contrasto con l’interpretazione della
Corte di Giustizia, non adita dal giudice di ultima istanza, avrebbe potuto contribuire ad aggravare
la posizione dello Stato italiano, nei confronti del quale già pende una procedura di infrazione,
promossa dalla Commissione europea, per il non corretto recepimento della direttiva 1999/70/CE
nei confronti di tutto il personale impiegato nella scuola pubblica39.
La decisione della Corte costituzionale di rivolgersi alla Corte di Lussemburgo va oltremodo
apprezzata non solo perché, richiamando alcuni suoi precedenti, il giudice costituzionale avrebbe
potuto ancora una volta sottrarsi al confronto diretto con il giudice europeo40, ma anche perché, nel
rimettere le questioni interpretative alla Corte di Giustizia, la Consulta non ha mancato di
sottolineare i principi costituzionali coinvolti nella controversia, a partire dagli artt. 33 e 34 Cost.,
37
Ordinanza del 17 gennaio 2013, iscritta a ruolo in Corte di Giustizia come causa C-22/13, Mascolo v. Ministero
dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. Si vedano anche le Osservazioni scritte della Commissione europea del
22 maggio 2013, Sj.j.(2013)1358718.
38
Cfr. D. BIFULCO, Insolvenza transfrontaliera, forum shopping giudiziario e questioni di giustizia distributiva. I diktat
interpretativi della Corte e le ragioni del dissenso giudiziale, in Giur. cost., 2012, 4877 e 4879; L. CAPPUCCIO, I giudici
italiani e il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dopo il Trattato di Lisbona, in ID., E. LAMARQUE (a cura di),
Dove va il sistema italiano accentrato di costituzionalità, Napoli, 2013, 88 ss.
39
Procedura n. 2010/2124 (Non corretto recepimento della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a
tempo determinato con riferimento agli ausiliari tecnici amministrativi impiegati nella scuola pubblica). Si v. anche la
lettera di costituzione in mora complementare, ai sensi dell’art. 258 TFUE, trasmessa al Ministro degli Affari esteri, in
data 24 ottobre 2012, con la quale la Commissione europea ha esteso anche al personale docente la procedura di
infrazione intrapresa in riferimento al personale ATA.
40
Vedi nota 19.
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che affermano il diritto fondamentale allo studio e, dunque, impongono allo Stato di organizzare
opportunamente il servizio pubblico di istruzione, nonché l’art. 97, terzo comma, Cost., in base al
quale agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso. Sebbene la Corte
non faccia alcun cenno al pur fondamentale diritto al lavoro41, non si può dire che trascuri
completamente la condizione del precariato scolastico ed, infatti, pur riprendendo molte
considerazioni della Corte di cassazione42, la Consulta continua a nutrire alcuni dubbi interpretativi:
in generale, che le esigenze di organizzazione del sistema scolastico possano costituire «ragioni
obiettive» tali da giustificare continui rinnovi contrattuali, i cui abusi non sono prevenuti col
risarcimento del danno; ed, inoltre, che il continuo conferimento di supplenze annuali su posti
vacanti e disponibili sia protraibile «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per
l’assunzione del personale docente di ruolo» (art. 4, comma 1, L. 124/99) e, dunque, secondo la
Corte, senza la previsione di tempi certi43.
Com’è stato fatto efficacemente notare, la vicenda del precariato scolastico «assurge a specchio dei
tempi»44: il carico di conflittualità che ha innescato, oltre a provocare più decisioni di diverse
giurisdizioni non facilmente armonizzabili, sembra configurarsi come un vero e proprio conflitto
ideologico tra le aspettative di stabilità lavorativa di diverse categorie sociali e le esigenze di
contenimento della spesa pubblica. Ma soprattutto questa vicenda potrebbe concludersi con un esito
paradossale45: se infatti la Corte di Giustizia dovesse pronunciarsi nel senso che l’interpretazione
del diritto europeo osta con quelle disposizioni della disciplina italiana sul precariato scolastico che
escludono il risarcimento del danno, in sostanza un organo dell’Unione europea «con la quale
41
Cfr. C. SALAZAR, op.ult.cit., 17 ss., e, più ampiamente, almeno C. MORTATI, Art. 1, in Commentario della
Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna – Roma, 1975, passim.
42
E pur ribadendo che all’attribuzione di supplenze annuali non si può provvedere sempre con i contratti a tempo
indeterminato «perché in questo modo la Pubblica Amministrazione si esporrebbe alla concreta possibilità di avere un
numero di docenti superiori al necessario, ipotesi, quest’ultima, da evitare in linea generale e, in particolare, nel periodo
attuale nel quale sussistono gravi necessità di contenimento della spesa pubblica, anche in base ad impegni derivanti da
vincoli posti dall’Unione europea».
43
In questo senso, la Consulta prende seriamente in considerazione alcune precedenti statuizioni della Corte di
Giustizia, in particolare, la sentenza 26 gennaio 2012, C- 586/10, Kucuk, nella quale il Giudice di Lussemburgo
ammette che, nell'ambito di un'amministrazione che dispone di un organico significativo, è spesso necessario ricorrere a
sostituzioni temporanee e tale sostituzione può costituire una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a),
dell'Accordo quadro. Tuttavia, nella stessa sentenza la Corte sottolinea che le autorità competenti devono verificare
concretamente che il rinnovo di successivi contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato miri a soddisfare esigenze
provvisorie.
44
C. SALAZAR, op.ult.cit., 27.
45
IDEM, 29.
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abbiamo sottoscritto gli impegni stringenti volti al risanamento dei bilanci (…) spingerebbe ad
introdurre una modifica legislativa idonea a produrre una notevole impennata della spesa pubblica».
Naturalmente non è detto che la vicenda si concluda in questo senso, non solo perché la Corte di
Giustizia potrebbe fornire un’interpretazione ‘sfuggente’ della normativa comunitaria46, ma anche
perché, ammesso pure che il giudice di Lussemburgo si pronunci rilevando l’incompatibilità, si
potrebbe prendere sul serio l’affermazione, contenuta nell’ord. 207/2013, per cui è alla Corte
costituzionale che «spetta valutare l’esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa e
eventualmente annullare la legge incompatibile con il diritto comunitario».
Se quell’avverbio ha un senso, se ne dovrebbe desumere che, nonostante l’accertamento
dell’antinomia, la Corte possa rigettare la questione di costituzionalità, dando concreta attuazione
alla teoria dei controlimiti, la quale presuppone l’accertamento della violazione, da parte del diritto
dell’Unione, di un principio supremo dell’ordinamento costituzionale o di un diritto fondamentale.
Ma, a ben vedere, l’ordinanza di rinvio, a parte il riferimento di cui si è appena detto, non sembra
prefigurare seriamente un simile scenario47; piuttosto, l’attenzione riposta dalla Corte nella
definizione del quadro normativo interno, con specifici riferimenti ai principi costituzionali che lo
sottendono, è un chiaro segnale di impegno da parte del giudice costituzionale a veicolare,
attraverso il rinvio pregiudiziale, i principi costituzionali di uno Stato membro a livello
dell’Unione48, prevenendo, in tal modo e ove possibile, l’applicazione concreta dei controlimiti49.
Nella vicenda in esame sembra dunque essersi innescato un vero e proprio dialogo tra Corti espressione, in vero, abusata e talvolta meramente declamatoria50 – il cui esito, quale che sarà, non
46
Come talvolta è accaduto, la Corte di Giustizia potrebbe rimettere al giudice nazionale (e, nel caso di specie, alla
Corte costituzionale) il controllo sulla ragionevolezza delle previsioni nazionali o la verifica della ricorrenza di alcuni
presupposti che legittimano deroghe agli obblighi comunitari, tutto ciò considerato che il giudice nazionale è «meglio
posizionato per svolgere simili valutazioni». Così A. GUAZZAROTTI, Competizione tra giudici nazionali e intervento
della Corte di giustizia, in Giur. Cost., 2007, 2789 e 2793.
47
Configurabile, com’è noto, solo in casi estremi, in cui il sistema comunitario, nel suo complesso, non si riveli più in
grado di offrire una tutela adeguata dei principi fondamentali del nostro assetto costituzionale. Cfr., ex plurimis, F.
DONATI, Corte costituzionale, «controlimiti» e rinvio pregiudiziale ex art. 234 Trattato CE, in AA.VV., Diritto
comunitario e diritto interno, cit., 262.
48
Sulla necessità di utilizzare il rinvio pregiudiziale per “dar voce” all’ordinamento costituzionale nei giudizi dinanzi
alla Corte di Giustizia, v., tra i tanti, M. CARTABIA, A. CELOTTO, La giustizia costituzionale in Italia dopo la Carta di
Nizza, cit., 4502; V. ONIDA, “Armonia tra diversi” e problemi aperti, in Quad. cost., 2002, 552; S.P. PANUNZIO, I
diritti fondamentali e le Corti in Europa, in ID. (a cura di), I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2005, 90
ss.
49
Cfr. R. CHIEPPA, Nuove prospettive per il controllo di compatibilità comunitaria da parte della Corte costituzionale,
in AA.VV., Diritto comunitario e diritto interno, cit., 200.
50
G. DE VERGOTTINI, Oltre il dialogo tra le Corti. Giudici, diritto straniero, comparazione, Bologna, 2010; S. TROILO,
(Non) di solo dialogo tra i giudici vivranno i diritti? Considerazioni (controcorrente?) sui rapporti tra le Corti
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potrà comunque che rendere evidente l’esigenza di una maggiore collaborazione tra gli organi
politici (e non solo tra quelli giurisdizionali), gli unici legittimati a ricercare un ragionevole punto di
equilibrio tra interessi contrapposti e gli unici capaci di far fronte alle esigenze organizzative e
finanziarie derivanti dall’armonica costruzione di un sistema multilivello di garanzia dei diritti
fondamentali51.
costituzionali e le Corti europee nel presente sistema di tutela multilivello dei diritti fondamentali, in
www.forumcostituzionale.it, 13 aprile 2011.
51
Cfr. M. LUCIANI, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur. Cost., 2006, 1663 ss.; M.
CARTABIA, L’ora dei diritti fondamentali nell’Unione europea, in ID. (a cura di), I diritti in azione. Università e
pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, Bologna, 2007, 57 ss.
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