UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DEI BENI CULTURALI:
ARCHEOLOGIA, STORIA DELL’ARTE, DEL CINEMA E DELLA MUSICA
DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA GENERALE
Corso di Laurea Magistrale in Scienze Archeologiche
“ NORA, IL RACCONTO DELL’ARCHEOLOGO ”
ARCHEOLOGIA, VIDEO E DIVULGAZIONE
Relatore: Chiar.mo Prof. Jacopo Bonetto
Correlatori: Chiar.mo Prof. Mirco Melanco, Chiar.ma Prof.ssa Francesca Pazzaglia
Laureanda: Anna Ferrarese
Nr. Matr.: 1084362
Anno Accademico
2015 / 2016
A papà e mamma.
Ad un grande cast.
INDICE
Premessa
p. IX
1. Introduzione alla comunicazione
1.1 Comunicare e informare
p. 1
1.2 La divulgazione scientifica
p. 4
2. Elementi di psicologia dell’apprendimento
p. 9
2.1 Motivazione
p. 12
2.2 Curiosità epistemica
p. 17
2.3 Flow experience
p. 21
2.4 Considerazioni conclusive
p. 26
3. Il mezzo espressivo video-narrativo
3.1 Definizione di cinema “documentario”
p. 29
3.2 Archeologia e video
p. 33
3.2.1 Parlare di archeologia
p. 33
3.2.2 Considerazioni conclusive
p. 36
3.2.3 Far parlare l’archeologia
p. 37
3.2.4 Docudrama
p. 38
3.2.5 Considerazioni conclusive
p. 40
3.3 Web 2.0
p. 40
3.4 Storytelling
p. 43
4. Nora: il caso studio
p. 51
4.1 Storia degli scavi
p. 52
V
4.2 Situazione geografica e topografica
p. 58
4.3 Cenni storici
p. 64
5. Il progetto video
p. 71
5.1 Pre-Produzione
5.1.1 Progettando il documentario: dall’idea al soggetto
p. 73
5.1.2 La scelta dello stile
p. 76
5.1.3 La ricerca dei contenuti
p. 78
5.1.4 Stesura dei contenuti e metodi di narrazione
p. 83
5.1.5 Il livello di comunicazione adottato
p. 90
5.1.6 Risorse economiche, troupe e strumentazione.
p. 98
5.2 Produzione
5.2.1 L’organizzazione del materiale raccolto
p. 102
5.2.2 L’allestimento della scenografia
p. 105
5.2.2.1 Composizione dell’inquadratura
p. 106
5.2.2.2 La fotografia
p. 106
5.2.2.3 Posizionare la macchina da presa
p. 108
5.2.3 La ripresa delle interviste
p. 108
5.2.4 La registrazione della voce narrante
p. 110
5.2.5 La ripresa esterne
p. 111
5.3 Post-produzione
5.3.1 La trascrizione delle interviste
p. 114
5.3.2 Il montaggio
p. 121
5.3.3 La musica
p. 126
5.4 Distribuzione e fruizione
5.4.1 Accenni di distribuzione e vendita
p. 129
5.4.1.1 La distribuzione del documentario “Nora, il racconto dell’archeologo”
p. 130
5.4.1.2 Promuovere il documentario: la creazione del trailer
5.4.2 La fruizione turistica
5.4.2.1 La motivazione turistica
p. 132
p. 133
p. 135
5.4.1.2 Dal turismo ai turismi: un pubblico per “Nora, il racconto dell’archeologo”
p. 136
VI
Considerazioni conclusive
p. 141
Abbreviazioni bibliografiche
p. 145
Sitografia
p. 153
VII
VIII
PREMESSA
Il presente lavoro di tesi riguarda il tema della divulgazione dei dati scientifici, un argomento di vasto
respiro all’interno del quale si è scelto di approfondire, specificatamente, lo studio del mezzo di
comunicazione video narrativo applicato all’archeologia.
L’interesse per questo argomento nasce dall’interazione tra un’esperienza personale e una riflessione
di metodo. La prima riguarda l’attitudine, sviluppata da chi scrive, per la realizzazione di montaggi
video; la seconda si riferisce, invece, alla consapevolezza del successo che il mezzo video narrativo
ha sviluppato nel corso dell’ultimo decennio.
L’occasione d’incontro tra questi due fattori è avvenuta nell’ambito delle pluriennali ricerche
condotte dall’Università degli Studi di Padova, in collaborazione con altri atenei italiani, presso il sito
archeologico di Nora, uno dei più importanti centri urbani della Sardegna punica e romana. Il
promontorio del Capo Pula, sul quale sorgeva l’antica città di Nora, è stato quindi lo scenario per la
sperimentazione di quella che vuole essere, con modestia, una proposta di comunicazione scientifica
alternativa alle consuete forme narrative basate perlopiù sul formato testuale e il mezzo cartaceo.
L’applicazione di questo nuovo linguaggio e mezzo di divulgazione scientifica, tuttavia, non vuole
sostituirsi a quest’ultime ma, piuttosto, affiancarsi al fine di implementare la comunicazione tra la
comunità scientifica e la società, nel suo complesso e nella varietà che la contraddistinguono.
Dallo studio incrociato di argomenti legati alla disciplina archeologica, alla psicologia
dell’apprendimento e del turismo e da un’analisi delle moderne forme di comunicazione scientifica e
delle tecniche di montaggio di video, è nato il mediometraggio “Nora, il racconto dell’archeologo”.
Si tratta di un documentario che mostra, e al contempo spiega, il lavoro professionale svolto dagli
archeologi nello scavo e nello studio di un’antica città del Mediterraneo.
I documentari sono un importante strumento di divulgazione ma la loro produzione, tradizionalmente,
coinvolge l’archeologo solo come consulente scientifico o esperto da intervistare. Ciò che caratterizza
“Nora, il racconto dell’archeologo”, invece, è che la sua produzione coinvolge direttamente gli
archeologi e consente loro di fare divulgazione in prima persona.
IX
Questo comporta, naturalmente, una serie di riflessioni e interrogazioni su quale sia il modo migliore
per raccontare l’archeologia, a partire dagli argomenti da trattare e dalle modalità per farlo, quale
strumentazione usare e quali sono gli eventuali limiti economici e logistici che si possono incontrare.
Queste e altre considerazioni sono state fatte nel corso del progetto e trovano una risposta nelle pagine
di questo elaborato e nel montaggio video prodotto.
“Nora, il racconto dell’archeologo”, per esempio, è stato realizzato in collaborazione con gli studiosi
e i tecnici di cinematografia del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova
e, in quanto progetto di tesi magistrale, ha potuto usufruire a costo zero della strumentazione
professionale presente in laboratorio. Questo ha permesso di ovviare a problemi di carattere
economico, con la consapevolezza, tuttavia, che non tutti i progetti di ricerca archeologica possono
godere di questo vantaggio. Ciò nonostante, la rivoluzione delle tecnologie e delle comunicazioni
permette oggi a chiunque di realizzare montaggi video narrativi con mezzi nuovi e strumentazione a
basso costo, o già in proprio possesso (smartphone, tablet, ecc.). Una parziale verifica di questa
affermazione proviene dalla scelta, legata a problemi logistici, di effettuare le riprese nel sito
archeologico di Nora esclusivamente con la strumentazione a disposizione di chi scrive ma ottenendo,
comunque, un buon risultato qualitativo1.
Grande importanza si è poi prestata ai contenuti, alla forma e alla scelta del linguaggio e del livello
comunicativo più appropriato per questo tipo di divulgazione. Efficace si è rivelato il confronto tra le
diverse aree tecnico-scientifiche inerenti questo progetto: quella archeologica, quella psicologica e
quella di video scrittura.
La multidisciplinarietà che contraddistingue il presente lavoro di tesi è visibile anche nella
suddivisione in capitoli.
Il primo capitolo introduce, sinteticamente, l’argomento cardine del progetto, ovvero la
comunicazione e l’informazione, delineando il loro ruolo all’interno della moderna società. In
secondo luogo definisce i principi della divulgazione scientifica sottolineando la necessità di
individuare nuovi mezzi di comunicazione che vadano oltre le tradizionali pubblicazioni, i convegni
e le conferenze. Infatti, abituato a rapportarsi principalmente con una ristretta cerchia di esperti, chi
fa ricerca non sempre riesce a trovare il livello e il mezzo di divulgazione adatto per rivolgersi ad un
pubblico più ampio e meno informato. Si rischia così di condannarsi all’auto-isolamento, avendo
1
Trasportare nel sito archeologico di Nora, in Sardegna, la strumentazione presente nel laboratorio di cinematografia, a
Padova, avrebbe comportato una spesa economica consistente a differenza dell’utilizzo della fotocamera Nikon D5200 e
del treppiede Manfrotto 728B digi in possesso dell’autrice del presente lavoro.
X
dalla propria parte storie bellissime da raccontare ma non conoscendo i mezzi per farlo.
Parlando di divulgazione si impongono allora alcune considerazioni sulla psicologia
dell’apprendimento. Nel corso del secondo capitolo vengono quindi delineate le principali modalità
che caratterizzano l’apprendimento umano e vengono approfonditi gli aspetti della motivazione, della
curiosità epistemica e dell’esperienza di flusso che intervengono durante la visione di un
documentario.
Il terzo capitolo cerca di dare una definizione del cinema documentario ed analizza l’utilizzo, ancora
embrionale in Italia, del mezzo espressivo video narrativo in archeologia. Conclusa l’analisi di alcuni
progetti di ricerca che si dotano di questo strumento per fare divulgazione, vengono proposte alcune
riflessioni su quale sia il linguaggio e il livello comunicativo da adottare in questi contesti.
Il quarto capitolo, invece, è di carattere strettamente archeologico: introduce il sito di Nora, ne delinea
la storia degli studi e degli scavi. La descrizione delle attività di ricerca intraprese negli anni e dei
risultati ottenuti, consente di conoscere il percorso delle idee che hanno portato alla ricostruzione
storica di questa città e di comprendere come essa sia un panorama completo, sia dal punto di vista
storico che metodologico, per l’applicazione dello strumento video in archeologia.
Infine, il quinto capitolo è dedicato alla relazione delle fasi di lavoro che sono state necessarie per la
produzione del documentario “Nora, il racconto dell’archeologo” e propone alcuni ambiti in cui il
video può trovare applicazione.
Primo tra tutti l’ambiente universitario con finalità di orientamento per il corso di laurea in
archeologia o come video di presentazione alla comunità dei risultati ottenuti e dei metodi scientifici
usati dalle ricerche universitarie. In secondo luogo l’ambiente turistico legato al contesto archeologico
di Nora: in questa sede il video può essere proiettato durante le rassegne culturali organizzate dal
comune di Pula2 o può venire incorporato nel sito internet dedicato all’area archeologica3 per colmare
la necessità di comunicare con il turista e sensibilizzare i cittadini sul tema della ricerca archeologica.
Altri ambiti che vengono considerati riguardano i Film Festival archeologici e la possibilità che il
documentario trovi applicazione anche in ambito scolastico come forma di sperimentazione e verifica
della sua valenza didattica.
2
Tra queste Pularchaios.
3
www.nora.it
XI
XII
1. INTRODUZIONE ALLA COMUNICAZIONE
“Definite sempre un termine quando lo introducete per la prima volta. Se non
sapete definirlo evitatelo. Se è uno dei termini principali della vostra tesi e non
riuscite a definirlo piantate lì tutto. Avete sbagliato tesi (o mestiere).”
- UMBERTO ECO
1.1 Comunicare e informare
Ogni epoca è attraversata da interpretazioni, definizioni, letture della contemporaneità condizionate
da fattori storici, economici, politici, ideologici propri del momento storico in cui queste riflessioni
maturano. Tali definizioni mettono in evidenza di volta in volta alcune caratteristiche della società
stessa rispetto ad altre. Negli ultimi anni, per descrivere la società contemporanea, è stato
frequentemente utilizzato il concetto di società della conoscenza4, riferendosi al ruolo centrale che
questa ha assunto nella vita delle persone che la compongono.
Lo sanno bene le Università e i centri di ricerca che si occupano di rispondere in maniera continua
alla richiesta di nuovo sapere: in sua assenza non crescerebbe la cultura, non ci sarebbe progresso e
non aumenterebbe il benessere. Oltre alle tradizionali missioni che queste istituzioni si trovano a
svolgere, quella della formazione (prima missione) e quella della ricerca (seconda missione), questi
enti devono sempre più spesso rivestire un nuovo ruolo: quello del dialogo con la società. La “terza
missione” riguarda una molteplicità di attività che mettono in dialogo ricerca e società e che di fatto
affondano le loro radici nella sete di conoscenza propria dell’uomo (fig. 1).
4
LOVECE, 2009, pp.1
1
Trasmettere le conoscenze consolidate alle generazioni future, infatti, è peculiare delle società umane;
comunicare conoscenza scientifica superando barriere di spazio e di tempo, offrendo alla scienza la
possibilità di progresso accelerato, espansivo e globale e alle imprese un vantaggio competitivo reale,
è esclusivo dell’ultima parte dei secolo appena trascorso, che ha profondamente modificato stili
cognitivi, tecnologie informative, accesso alle risorse e strategie di governo5.
Figura 1- Nuvola delle parole più frequenti nelle denominazioni delle altre attività di Terza Missione, in altre
parole si tratta di un’analisi qualitativa delle espressioni letterali utilizzate dagli atenei per definire queste attività
(ANVUR - VQR 2004-2010; www.wordle.net).
Ma cosa vuol dire esattamente comunicare?
Comunicare significa “mettere in comune”, dal latino communis6 appunto, e si riferisce al momento
traslativo e dinamico che consente il passaggio di informazioni tra le persone, e non solo.
L’informazione, d’altro canto, si riferisce al “manifestarsi di un’idea” (lat. informatio, -onis), in altre
parole all’azione del “dare forma” a qualcosa 7 . Qualsiasi informazione è il risultato di un
procedimento attraverso il quale un soggetto (il soggetto promotore) servendosi di un mezzo
5
GRAZIANI, 1953, pp.2
6
TRECCANI, 1986.
7
TRECCANI, 1986.
2
codificante trasmette il suo messaggio (il contenuto) ad uno o più soggetti (i recettori) per il
raggiungimento di uno scopo. Ecco allora che si ha la comunicazione.
Alla base di tutto ciò vi è l’attitudine delle persone a relazionarsi. Già Aristotele aveva definito l’uomo
come “animale politico”, costituzionalmente destinato a vivere in associazione con gli altri uomini.
Ed è chiaro che tale associazione non sarebbe possibile prescindendo la comunicazione.
I mezzi attraverso cui comunichiamo hanno subìto un’evoluzione nel corso del tempo, soprattutto
relativa alla velocità di circolazione delle informazioni. Tre precisamente solo le invenzioni da
segnalare:
1. l’invenzione della scrittura, avvenuta nel IV millennio a.C., che ha portato alla rivoluzione
chirografica;
2. l’invenzione della stampa, che ebbe luogo intorno alla metà del XV secolo e che portò alla
rivoluzione gutenberghiana;
3. l’invenzione del telegrafo e, successivamente, della radio, della televisione, della informatica
e della telematica, che diede avvio alla rivoluzione elettrica ed elettronica nota alle ultime
generazioni.
Conseguentemente, alla luce degli strumenti di comunicazione che sono stati di volta in volta
utilizzati, possiamo distinguere almeno quattro tipi di culture che si sono succedute nel corso degli
ultimi sei millenni: la cultura orale (che fu utilizzata per trasmettere le conoscenze della parola
parlata), la cultura manoscritta o chirografica, (che adopera quella tecnologia silenziosa della parola
che è la scrittura), la cultura tipografica (che fonda la trasmissione del sapere sul libro stampato) e,
infine, la cultura dei media elettrici ed elettronici (nella quale le informazioni vengono inviate, in
modo sempre più rapido, attraverso mass media quali la televisione, la radio e l’informazione online).
La conseguenza più vistosa di queste rivoluzioni è stata quella di far circolare le informazioni a una
velocità sempre maggiore (oggi volano alla velocità della luce) e a costi via via più bassi. Inoltre, le
rivoluzioni in questione si sono succedute nel tempo con ritmi sempre più raccorciati: infatti, mentre
tra l’invenzione della scrittura e l’invenzione della stampa sono passati circa cinquemila anni, tra
l’invenzione della stampa e la rivoluzione dei new media non sono intercorsi neppure quattro secoli8.
Le potenzialità di quest’ultimi mezzi di comunicazione sono vastissime, così come la versatilità della
loro applicazione. Oggi non si può pensare di comunicare prescindendo da essi, se pensiamo per
esempio all’attenzione che viene riposta nel marketing, ci accorgiamo che la società stessa viene
modellata sui media. In questo contesto l’errore in cui, talune volte, si rischia di incorrere è quello di
prestare maggiore attenzione a mezzi piuttosto che ai contenuti.
8
GRAZIANI, 1953, pp.5.
3
1.2 La divulgazione scientifica
Se è vero che la nostra società è una società della conoscenza, allora può essere opportuno soffermarsi
sull’importanza e sulle modalità con cui la conoscenza (scientifica) viene diffusa, comunicata quindi,
attraverso essa9.
La divulgazione scientifica può avvenire su due piani comunicativi: quello rivolto alla “comunità
scientifica”, e quello rivolto al “grande pubblico” ovvero l’universo variegato di tutti i possibili
fruitori della conoscenza. In generale oggi siamo tutti concordi nel dire che la divulgazione produce
soprattutto cultura e partecipazione, va detto però che non è sempre stato così. Fino a tempi recenti
idee diverse e contrarie circolavano relativamente alla divulgazione scientifica: per alcuni essa era un
genere potenzialmente utile a risvegliare la passione per la scienza10, per altri invece veniva vista
come un ibrido, veicolo di informazioni distorte, quando non di mera propaganda (come nel caso
dell’antropologia razzista tra Ottocento e Novecento).
La “scienza popolare” o la “scienza per tutti”, com’era chiamata la divulgazione scientifica
nell’Europa del XIX sec, era un genere letterario trascurato e considerato al pari di una perdita di
tempo. Scrivere scienza in modo comprensibile per i “non addetti ai lavori” richiedeva un grosso
sforzo, che purtroppo veniva considerato da molti una distrazione dalla ricerca e dai suoi ritmi serrati
e competitivi11. Chiunque abbia letto un testo di divulgazione e un lavoro scientifico originario sa che
questi generi si differenziano pressoché in ogni elemento costitutivo: per i contenuti, per il livello di
comunicazione e del linguaggio, per i generi letterali utilizzati e per il pubblico che si vuole
raggiungere.
La divulgazione tuttavia è in poco tempo diventata uno degli strumenti utilizzati dagli scienziati per
comunicare con i colleghi di altri settori disciplinari allo scopo di legittimare, discutere e far
conoscere il proprio lavoro; ha contribuito a dare alla figura professionale dello scienziato un ruolo
specifico e riconoscibile dalla società ed è stata usata per dare al cittadino gli strumenti adatti ad
un’istruzione “pratica” e “utile” 12 . Oggi alla divulgazione scientifica viene dedicata grande
attenzione, sia per questa sempre maggiore presa di coscienza “sociale” da parte di molti ricercatori,
sia per la consapevolezza che la ricerca pubblica, pagata con le tasse di tutti, richiede, per continuare
a essere finanziata, il sostegno convinto del contribuente13. Riguardo un tema di discussione così
9
MACCACARO, 2010.
10
EINSTEIN, 1947.
11
MACCACARO, 2010.
12
GOVONI, 2002, pp.37-38.
13
MACCACARO, 2010.
4
tradizionale tantissima bibliografia è stata scritta, tuttavia non mi sembra questa la sede per
soffermarmi sull’argomento se non per chiarire che abbiamo bisogno di trovare mezzi più efficaci
per comunicare con una società che è in continuo movimento e cambiamento.
Negli ultimi anni, la comunità scientifica ha prodotto una quantità di parole stampate senza
precedenti. Non è facile rendersi conto della velocità con cui le conoscenze scientifiche aumentano e
si diffondono nel nostro mondo e delle conseguenze pratiche di questa diffusione. Una valutazione
fatta dal matematico Oskar Morgenstern nell’ormai lontano 1964 propone questo problema in termini
piuttosto drammatici e paradossali: Morgenstern calcola che se le pubblicazioni sulla fisica
continuassero ad aumentare nei prossimi centocinquant’anni con lo stesso ritmo degli ultimi
centocinquanta, alla fine di questo periodo, vale a dire nell’anno 2114, il peso della carta di tali
pubblicazioni diverrebbe uguale al peso della terra14.
La necessità di valutare quantità e qualità della produzione scientifica portò, negli anni ’60 e ’70 del
1900, sotto la spinta dei pionieri Derek Price ed Eugene Garfield, alla nascita di una nuova disciplina:
la scientometria15. Cardine di questo studio è la misurazione e la valutazione delle pubblicazioni (la
bibliometria) mediante il peer reviewing e gli indici bibliometrici. In Italia l’ANVUR, acronimo che
sta per Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca, si occupa proprio
di stilare statistiche su questo argomento. A titolo esemplificativo riporto alcuni dati dell’ultimo
rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca relativo al 201316.
Nella tabella I viene presentata l’evoluzione del numero di pubblicazioni mondiali nelle aree
bibliometriche nella media dei tre decenni considerati nell’analisi, 1981-1990, 1991-2000 e 20012010. La tabella riporta in particolare il numero medio annuo di pubblicazioni per ciascun periodo,
la quota media annua rispetto alle pubblicazioni mondiali e la crescita media annua del numero di
pubblicazioni.
La tabella II considera invece l’evoluzione del numero di pubblicazioni mondiali nelle aree delle
scienze umanistiche e sociali nella media dei tre quinquenni per i quali sono disponibili i dati (19962000; 2001-2005 e 2006-2010); si aggiungono anche i dati relativi al triennio 2011-2013, anche se
per gli anni più recenti i dati ancora non sono ancora completi e sono quindi suscettibili di variazioni.
Nella tabella III l’analisi quantitativa viene affrontata tenendo conto della specializzazione scientifica
delle scienze umane e sociali.
14
LARICCIA, 1985, pp 36-37.
15
Per approfondimenti si rimanda a DE BELLIS, 2014; VIALE, CERRONI 2003.
16
ANVUR, 2014
5
1981-1990
Paese
Numero
pubblicazioni
1991-2000
Quota
mondiale
Crescita
media
annua
Numero
pubblicazioni
2001-2010
Quota
mondiale
Crescita
media
annua
Numero
pubblicazioni
Quota
mondiale
Crescita
media
annua
2,7
Francia
27.839
5,4
3,2
42.427
6,2
4,3
55.286
5,8
Germania
35.043
6,8
4,8
56.578
8,2
4,0
76.876
8,1
2,8
ItalIa
13.561
2,6
6,3
26.104
3,8
6,3
42.444
4,4
4,9
Olanda
9.903
1,9
6,7
16.926
2,5
4,2
24.490
2,5
4,9
44.081
8,6
2,5
61.874
9,0
4,1
79.190
8,3
2,4
6.307
1,2
11,0
16.782
2,4
9,2
33.144
3,4
7,2
Regno Unito
Spagna
Svezia
8.885
1,7
4,6
13.220
1,9
4,0
17.451
1,8
2,7
UE 15
124.906
24,2
3,9
194.772
28,3
4,6
272.664
28,5
3,5
UE 27
134.557
26,1
3,6
210.637
30,6
4,8
302.729
31,6
3,8
Svizzera
7.501
1,5
2,9
11.860
1,7
5,3
17.766
1,8
4,6
Australia
11.662
2,3
2,7
17.948
2,6
5,2
29.294
3,0
6,3
Canada
24.437
4,7
4,5
32.560
4,8
1,6
44.088
4,6
4,9
Giappone
36.020
7,0
5,2
61.623
9,0
5,1
76.239
8,1
0,1
770
0,1
23,1
7.029
1,0
23,7
27.559
2,8
11,6
Corea del Sud
^ƚĂƟhŶŝƟ
197.479
38,4
2,6
244.140
35,8
1,6
294.877
30,9
2,7
OCSE
366.560
71,1
3,2
510.645
74,6
3,2
687.538
71,9
3,5
2.680
0,5
6,7
6.769
1,0
11,5
20.780
2,1
11,5
-
-
26.654
1,6
3,8
26.041
2,8
-0,1
Brasile
Russia *
-
India
13.796
2,7
0,3
15.715
2,3
1,8
28.635
2,9
9,5
Cina
4.254
0,8
18,9
15.366
2,2
14,9
80.679
8,1
16,6
BRIC
Mondo
58.570
11,4
2,7
67.743
9,9
2,5
155.069
15,7
10,9
515.043
100,0
3,0
684.763
100,0
2,8
961.015
100,0
4,4
Tabella I - La produzione scientifica mondiale nelle aree bibliometriche nel periodo 1981-2012 (ANVUR, 2014).
Numero pubblicazioni
Quota mondiale
Crescita media annua
Paese
Australia
96-00
01-05
06-10
11-13
96-00
01-05
06-10
11-13
96-00
01-05
06-10
11-13
18.205
27.391
58.311
55.163
2,94
2,85
3,50
4,34
3,61
14,81
15,39
11,81
21,13
Brasile
1.952
3.690
18.252
18.483
0,31
0,38
1,09
1,45
19,68
12,31
35,90
Canada
26.189
38.052
69.309
55.902
4,23
3,96
4,16
4,40
-0,61
13,25
10,84
9,66
5.606
15.759
87.093
65.922
0,90
1,64
5,22
5,19
13,74
30,22
40,46
-19,20
Francia
13.443
30.456
54.133
42.590
2,17
3,17
3,25
3,35
3,19
21,05
11,57
9,85
Germania
20.248
33.389
64.406
58.022
3,27
3,47
3,86
4,56
8,25
12,74
12,91
15,25
Cina
India
5.355
8.366
20.897
20.212
0,86
0,87
1,25
1,59
8,59
9,84
24,64
9,94
ItalIa
7.469
13.230
31.026
31.718
1,21
1,38
1,86
2,50
3,29
15,92
18,09
20,67
Giappone
9.884
13.223
24.545
17.652
1,59
1,38
1,47
1,39
2,63
9,95
10,44
7,91
Corea del
Sud
2.866
5.258
14.614
13.312
0,46
0,55
0,88
1,05
9,55
14,95
20,87
15,87
Olanda
12.607
19.193
38.454
35.346
2,03
2,00
2,31
2,78
3,58
13,49
14,04
14,38
Federazione
Russa
2.669
3.943
5.740
5.720
0,43
0,41
0,34
0,45
11,71
7,12
7,03
39,64
Spagna
7.510
15.009
38.890
41.095
1,21
1,56
2,33
3,23
12,06
15,89
21,13
21,09
Svezia
5.784
8.543
16.776
16.694
0,93
0,89
1,01
1,31
6,54
10,04
13,58
19,25
Svizzera
3.864
7.231
15.610
14.666
0,62
0,75
0,94
1,15
8,12
18,24
12,76
16,20
88.031 157.663 133.557
10,29
9,16
9,46
10,51
4,28
10,49
10,34
11,91
^ƚĂƟhŶŝƟ
227.915 311.734 502.056 378.875
36,78
32,43
30,11
29,80
-0,36
10,98
8,91
6,91
Mondo
619.729
100,0
100,0
100,0
100,0
3,05
12,27
11,30
5,83
Regno Unito
63.764
961.323 1.667.131 1.271.243
Tabella II – La produzione scientifica mondiale nelle aree delle scienze umanistiche e sociali nel periodo 1996-2013,
valori medi del periodo (ANVUR, 2014).
6
Scienze
ĞĐŽŶŽŵŝĐŚĞĞ
ĮŶĂŶnjŝĂƌŝĞ
Psicologia
4,4
9,3
15,4
46,6
7,9
7,8
17
48,3
6,3
8,7
19,4
43
23,2
4,5
2,3
38,8
11,6
15,4
39
6,8
12,2
19,7
37,6
10,3
11,5
3,7
44,8
10
14,4
16,6
36,5
12,7
8,9
11,8
15,5
43,6
6,3
16,9
15,5
11,4
8,8
41,2
8,9
12,2
5,8
11,1
22,2
39,7
13,2
5,7
9
6
12,4
53,7
Scienze
ĂƌƟƐƟĐŚĞĞ
ƵŵĂŶŝƐƟĐŚĞ
Scienze
manageriali
Australia
9,8
14,4
Brasile
9,7
9,3
Canada
11,9
10,8
Cina
3,7
27,4
Francia
16,7
9,1
8,1
Germania
10,4
13,2
India
5,4
24,2
ItalIa
12,2
10,2
Giappone
7,4
Corea del Sud
Olanda
Federazione Russa
Paese
Scienze delle
decisioni
Scienze sociali
Spagna
15
11,3
8,1
11,8
14,8
39
Svezia
7,7
15,1
5,3
11,1
16,2
44,6
Svizzera
8,6
13,3
6,6
14,1
20,1
37,3
Regno Unito
14,6
12
4
9,4
14,8
45,2
^ƚĂƟhŶŝƟ
Mondo
12
12
4,4
9,1
18,1
44,3
15,2
15,3
5,6
9,3
12,5
42,1
Tabella III – La specializzazione scientifica nelle aree delle scienze umanistiche e sociali. Anni 2006-2010, quote
percentuali di area, valori medi del periodo (ANVUR, 2014).
Questi dati non sembrano lasciare alcun margine di dubbio sul ruolo strategico che il “fattore
comunicazione” ha assunto, con una progressione ben più che geometrica, come elemento essenziale
per determinare non solo le scelte culturali, ma perfino la sopravvivenza di una disciplina. Se meno
di quindici anni fa la pubblicazione scientifica di una ricerca archeologica rientrava sostanzialmente
nell’ambito della deontologia professionale di chi l’aveva materialmente condotta17, oggi il problema
si pone in maniera assai più complessa, in un mondo in cui il valore stesso delle cose è in larga misura
determinato
dalla nostra possibilità/capacità di comunicarle. Un buon osservatorio in questo senso
sono gli studenti dei nostri corsi universitari, che si trovano oggi di fronte a una vera e propria
“emergenza comunicativa”: devono apprendere in tempi rapidi, e con una preparazione di base
profondamente diversa da quella delle generazioni precedenti, una mole enorme di informazioni
complesse, derivanti da una mole altrettanto enorme di ricerche complesse. Se fino a qualche
decennio fa gli studenti universitari erano dei candidati all’ingresso a pieno titolo nella “comunità
scientifica”, oggi possono al massimo oggettivamente aspirare al ruolo di “pubblico informato”, per
il quale l’industria editoriale ha approntato soprattutto nell’ultimo decennio tipologie nuove di
prodotti, dai volumetti di orientamento sintetico che caratterizzano la produzione italiana e francese,
17
La pubblicazione 1998.
7
ai voluminosi companions sui più diversi argomenti che caratterizzano invece la produzione
anglosassone. Il sommarsi di più fattori – l’aumento del numero dei ricercatori, l’espandersi delle
ricerche, il moltiplicarsi delle prospettive e delle posizioni critiche, la sopravvalutazione delle
pubblicazioni “scientifiche” rispetto ad altri possibili fattori di valutazione nelle dinamiche di carriera
accademica, la disponibilità tecnologica di sedi editoriali a costo contenuto o azzerato – ha di fatto
determinato quell’evidente fenomeno di iper-produzione scientifica, anche di alta qualità, con cui
fanno quotidianamente i conti i lettori professionali e i dirigenti delle biblioteche specializzate. Se
quindici o venti anni fa il problema era scrivere e pubblicare, oggi il problema vero è farsi leggere,
ovvero fare in modo che il circuito comunicativo si chiuda e che a fronte di un emittente di un
messaggio ci sia anche un ricevente/fruitore consapevole del messaggio stesso. Sarebbe interessante
provare “oggettivamente” con il supporto di dati numerici questa affermazione, per esempio
misurando la produzione complessiva di una comunità scientifica - anche limitandoci alle sole riviste
con caratteri riconosciuti di standardizzazione internazionale - a fronte delle oggettive capacità di
lettura dei singoli componenti di quella stessa comunità. Ma credo che alla fine basti una rapida analisi
del ritmo di incremento dei database bibliografici più o meno strutturati che ciascuno di noi usa sul
proprio computer e/o una occhiata sull’angosciante riempirsi progressivo della cartella “cose
interessantissime da leggere appena possibile” sui nostri desktop per convenire sul punto essenziale.
E mi pare di poter dire che il punto essenziale sia: abbiamo bisogno di riflettere su nuove forme di
comunicazione archeologica18.
18
8
ZANINI, RIPANTI, 2012 pp 8, 10-11.
2. ELEMENTI DI PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO
“La mente non è un vaso da riempire,
ma un fuoco da accendere”
- PLUTARCO
Nel considerare il tema della divulgazione scientifica è bene tenere a mente che i ricercatori scelgono
di volta in volta i mezzi, le strategie e i luoghi più opportuni per comunicare tanto agli esperti quanto
ai non esperti i risultati delle loro ricerche. Si tratta di un’operazione complessa e ricca di implicazioni
di varia natura, considerata una parte cruciale del processo di produzione del sapere; in sostanza,
come uno degli aspetti importanti del lavoro scientifico. Questo significa che per divulgazione
scientifica si dovrà intendere un insieme di metodi e pratiche complesse volte alla comunicazione di
informazioni. S’impongono allora, nella nostra ricerca, anche domande importanti circa le
problematiche dell’acquisizione del sapere19.
L’apprendimento si snoda per tutto il corso della nostra vita. Abbiamo imparato, e continuiamo ad
imparare, abilità e conoscenze in ambiti diversi. Acquisiamo ogni giorno informazioni e concetti di
molte discipline. Alla base di tutto ciò vi è l’esperienza: l’apprendimento è difatti un cambiamento
relativamente permanente derivato dall’esperienza precedente, non dovuta a maturazione o a
temporanee condizioni dell’organismo20.
19
GOVONI, 2002, pp.40.
20
DE BENI, PAZZAGIA, MOLIN, ZAMPERLIN, 2003.
9
Stabilito questo assunto teorico di base, prima di addentrarci nelle tematiche specifiche che è nostro
interesse approfondire, è bene illustrare sinteticamente alcuni meccanismi che condizionano il nostro
modo di apprendere.
La forma di apprendimento più semplice è quella che si basa sull’associazione tra stimoli (nel caso
del condizionamento classico21) o tra una risposta dell’organismo e una conseguenza che ne deriva
(nel caso del condizionamento operante22). Questo meccanismo di apprendimento è stato studiato agli
inizi del Novecento sulla base del comportamento osservabile dalla scuola psicologica del
comportamentismo. In quest’ottica apprendimento e prestazione si indentificano: infatti di fronte ad
un feedback positivo (un rinforzo, per usare un linguaggio proprio della materia) siamo portati a
ripetere l’azione più volte, contrariamente a quando avviene se la nostra azione è seguita da un
rimprovero o una punizione23.
L’apprendimento, tuttavia, non sempre si identifica nella prestazione. Edward Tolman,
neocomportamentista nonché precursore del cognitivismo, è noto per i suoi studi sull’apprendimento
dei topi in scatole sperimentali apposite (i labirinti di apprendimento) che aprirono la strada a nuove
concezioni, che vanno oltre l’associazione di sequenze di stimoli e di risposte di tipo
comportamentale, per approdare al campo dei processi cognitivi. Secondo Tolman è possibile che vi
sia apprendimento anche in maniera latente, ovvero apprendiamo anche in assenza di rinforzi per fare
fronte ad una situazione problematica, ma il comportamento non è esibito se non si ha uno scopo da
realizzare24.
Un contributo in questo senso viene anche dagli studi sull’apprendimento per insight dello psicologo
e filosofo tedesco Wolfgang Köhler. Studiando il comportamento degli scimpanzé25 Köhler comprese
che la soluzione di un problema non dipendeva solo dall’associazione di esperienze precedenti, o da
21
Un cane in presenza di cibo o di stimoli, di per sé neutri, quali la ciotola o la persona che lo nutre, inizia a salivare. La
salivazione è una risposta incondizionata e fisiologica, che già appartiene al repertorio dell’animale, di fronte ad uno
stimolo incondizionato.
22
Il condizionamento operante si ha quando si induce un comportamento e successivamente lo si premia. È quanto
avviene, per esempio, quando si vuole insegnare ad un cane a salutare con la zampa. Non c’è uno stimolo incondizionato
che induce ad esibire questo comportamento: ci serviamo allora di ricompense attive, come del cibo o segni di
approvazione, che inducano a ripetere il comportamento desiderato.
23
Per approfondimenti ATKINSON et al., 1996.
24
Per approfondimenti TOLMAN, 1983; TOLMAN 1983.
25
Per approfondimenti KÖHLER, 1968.
10
una catena di prove ed errori, ma anche da una ristrutturazione di tutte le esperienze passate e delle
condizioni presenti che consentiva una nuova visione del problema26.
Naturalmente non si imparano solo comportamenti e abitudini ma anche concetti, regole, procedure
per affrontare compiti diversi. Questi apprendimenti, che si definiscono complessi, non possono
essere il frutto di semplici associazioni, ma sono il risultato dell’elaborazione dell’informazione,
intesa nella sua accezione più ampia e articolata. Sulla base di questa considerazione e dei risultati
degli esperimenti di Tolman e Kölher, a partire dagli anni Sessanta, la ricerca psicologica si è
concentrata sui processi cognitivi (scuola psicologica cognitivista) e su un nuovo paradigma
esplicativo, il modello Human Information Processing (HIP)27. I processi cognitivi possono essere
definiti come le rappresentazioni e i processi mentali che permettono di percepire ed e elaborare le
informazioni alla base del comportamento28. L’attività dei processi mentali consente di trasformare,
ridurre, elaborare, immagazzinare e recuperare le informazioni che arrivano ai nostri sistemi
sensoriali29 (fig. 2). Ciò che vediamo, ascoltiamo, tocchiamo non viene registrato in modo passivo
dal nostro sistema cognitivo, ma viene costruito attivamente dal soggetto attraverso un’attività di
riduzione ed elaborazione. Il risultato di questa attività, immagazzinato nella nostra memoria, verrà
al momento giusto recuperato e utilizzato per svolgere attività cognitive.
È bene precisare che l’elaborazione va considerata anche in relazione a differenti processi cognitivi
come la percezione, l’attenzione, la memoria, il pensiero ma anche a fattori di tipo metacognitivo,
motivazionale ed emotivo.
Vediamo ora alcuni temi specifici della psicologia dell’apprendimento che interessano il nostro
progetto di studio.
26
In una serie di esperimenti Köhler mise della frutta fuori dalla gabbia di Sultan, uno scimpanzé, a una distanza superiore
a quella del braccio dell’animale. Con il braccio egli poteva arrivare solo ad un bastoncino che però era troppo corto per
raggiungere il cibo. Fuori dalla gabbia venne posto anche un bastone più lungo, ma più lontano in modo che potesse
essere recuperato solo utilizzando il bastone corto. Sultan faceva un primo tentativo per raggiungere il frutto prima solo
allungando il braccio e poi con il bastone più corto. Agli inevitabili insuccessi seguiva un certo periodo di irrequietezza e
poi lunghi momenti in cui l’animale ispezionava l’ambiente circostante; infine, improvvisamente, Sultan afferrava il
bastone corto e, con l’aiuto di questo, recuperava quello lungo. A questo punto poteva raggiungere la frutta tanto
desiderata.
27
DE BENI, PAZZAGIA, MOLIN, ZAMPERLIN, 2003.
28
JOB, 1998, pp.13.
29
NEISSER, 1967.
11
Figura 2 – Flusso dell’informazione attraverso il sistema di memoria (ATKINSON, SHIFFRIN, 1988). L’elaborazione delle
informazioni in entrata avviene a diversi livelli: prima lo stimolo fisico viene trasformato dal sistema competente in
stimolo sensoriale; avvenuta la trasduzione sensoriale, esso viene mantenuto per qualche frazione di secondo, nel registro
sensoriale; qui l’informazione può essere ignorata o riconosciuta come rilevante mediante il confronto con le conoscenze
depositate nella memoria a lungo termine (MLT); la descrizione famigliare verrà inserita in una categoria esistente, le
nuove informazioni richiederanno invece l’attivazione di nuove categorie; successivamente l’informazione si deposita
nella memoria a breve termine (MBT) per passare poi nella memoria a lungo termine.
2.1 La motivazione
Una componente rilevante, se non fondamentale, dell’apprendimento è quella che riguarda gli aspetti
emotivo-motivazionali come l’emozione, l’affettività ma soprattutto la motivazione. Si tratta di
processi psicologici, definiti caldi, che ci spingono a svolgere una certa attività piuttosto che un’altra.
Non è un caso la scelta del verbo “spingere” poiché, dal punto di vista etimologico, la motivazione è
proprio una spinta, un movimento (lat. motus), verso un oggetto30. Più specificatamente può essere
definita come una configurazione organizzata di esperienze soggettive che consente di spiegare
l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza di un comportamento diretto ad uno scopo31.
30
DE BENI, PAZZAGIA, MOLIN, ZAMPERLIN, 2003.
31
DE BENI, MOÈ, 2000.
12
A seconda del ruolo che esercita il soggetto la motivazione può essere distinta in estrinseca ed
intrinseca.
Nel primo caso la motivazione viene sentita come una spinta nella quale il soggetto eserciterà un
ruolo passivo. È ciò che avviene quando vogliamo guadagnare un premio, quando subiamo un castigo
o se siamo in cerca dell’approvazione sociale; viene per questo definita anche motivazione
strumentale in quanto mezzo per perseguire la riuscita e il successo. Per esempio, gli studenti motivati
estrinsecamente sono quelli che si impegnano nello studio per motivi esterni ad esso, quali ricevere
buone votazioni.
La motivazione intrinseca, invece, implica una preferenza, è una sorta di attrazione nella quale il
soggetto esercita un ruolo attivo. Esempi di motivazione intrinseca sono la curiosità, l’interesse e il
successo. Pertanto gli studenti motivati intrinsecamente allo studio sono interessati e godono
dell’attività di apprendimento32.
Inoltre, nel considerare la motivazione nel suo complesso, vanno tenuti in considerazione anche gli
aspetti soggettivi del singolo: le sue credenze circa le proprie capacità ad affrontare un compito, gli
scopi che lo spingono a svolgerlo e le reazioni emotive che lo stesso suscita in lui; ma non solo. Anche
il tipo di materiale proposto e la situazione in cui viene presentato svolgono un ruolo importante.
Quindi, entrando nel progetto specifico di questo elaborato dovremmo chiederci: quale tipo di
motivazione interviene nell’utente quando decide di documentarsi su un certo argomento utilizzando
il mezzo espressivo video-narrativo?
Credo che a buon diritto si possa escludere l’aspetto estrinseco della motivazione: raramente
guardiamo un documentario in vista di un premio o di una ricompensa. Non c’è tuttavia una regola
fissa: basti pensare ai metodi più elementari, nell’ambito scolastico, per forzare gli studenti di una
classe a svolgere un’attività servendosi della paura di un castigo (“prestate attenzione a questo filmato
che poi vi interrogo”), oppure promettendo un premio (“affrontiamo quest’ultimo argomento e poi
potrete fare una pausa”). Ma, personalmente, spero non sia questo il nostro caso!
Generalmente un video, un filmato, o delle immagini in movimento tendono a catturare la nostra
attenzione e, nel caso di un documentario, a risvegliare la nostra curiosità. Ne ho avuto una conferma
tangibile un mattino mentre bevevo un caffè in un bar di Padova. Come abitudine di molti locali al
giorno d’oggi, a complemento d’arredo in un angolo era stata posta una televisione, rigorosamente
accesa, solo pubblicità, niente di particolare. Quel rumoroso chiacchiericcio faceva da sfondo alle
conversazioni tra altri due avventori e il barista; nemmeno io, assorta nei miei pensieri gli prestavo
32
PALLINI, 2006, pp.8.
13
attenzione. Ad un certo punto, però, mi accorsi che era calato il silenzio. I due avventori fissavano la
televisione e anche il barista, che aveva oramai svolto il suo dovere servendomi il caffè, si era seduto
al loro fianco per guardarla. Capii allora che la pubblicità era terminata per lasciare spazio a
qualcos’altro: un documentario. Torniamo ora a chiederci: quale può essere il motivo che ha aveva
spinto i due avventori e il barista a sospendere all’improvviso ogni discorso o attività e spostare
interamente l’attenzione su quel soggetto?
La motivazione che viene più spesso coinvolta in questo campo è quella intrinseca, che nasce per
soddisfare il nostro innato bisogno di sapere33. Secondo i teorici della motivazione intrinseca, infatti,
non sono solo innati i bisogni di tipo fisiologico (come la fame, la sete, il sonno, ecc.) ma anche altri.
Ad esempio se osserviamo un bambino piccolo o un animale (un gatto per esempio) ci accorgiamo
come in certe situazioni dimostrino curiosità ed interesse34: il bambino prende subito in mano un
oggetto nuovo, lo osserva, lo smonta e il gatto non può resistere alla tentazione di entrare in uno
scatolone che abbiamo appoggiato per terra35. Queste azioni sono dettate dal bisogno innato di essere
curiosi36.
La motivazione intrinseca è quindi autodeterminata e sperimentata come liberamente scelta ed
emanante dal proprio sé, trae difatti origine da dentro di noi. Implica quindi curiosità, esplorazione,
spontaneità e interesse. Ci impegniamo in azioni intrinsecamente motivate perché lo vogliamo. Esse
non richiedono conseguenze motivanti indipendenti; l’unica “ricompensa” necessaria è l’interesse
spontaneo e il piacere che sperimentiamo nel compierle.
Per promuovere questo meccanismo è necessario dapprima soddisfare tre bisogni psicologici innati:
quello di competenza (che consente di sviluppare ed esercitare abilità per manipolare e controllare
l’ambiente), quello di autonomia (che ci permette di decidere cosa fare e come farlo) e quello di
relazionalità (legato all’affiliazione con gli altri tramite relazioni proto sociali) 37.
Sono questi, per esempio, i presupposti che ci spingono a preferire un’attività sportiva piuttosto che
un’altra: se sugli sci mi sento bravo sono motivato a dimostrare la mia competenza e ad accrescere la
33
Le teorie dei bisogni sono state tra le prime teorie motivazionali ad emergere come alternative alle teorie del
rafforzamento del comportamento. Queste teorie spiegano i comportamenti come risposte a bisogni sentiti (BROPHY,
2003).
34
I comportamenti mossi da curiosità sono facilmente osservabili in tenera età, contraddistinguono anche gli adulti ma
spesso vengono inibiti per cui si resta ad un livello motivazionale di attrazione, tensione e desiderio (MOÈ, 2010).
35
DE BENI, PAZZAGIA, MOLIN, ZAMPERLIN, 2003.
36
Sul tema della curiosità epistemica ci soffermeremo nel paragrafo 2.2 del presente capitolo.
37
BROPHY, 2003.
14
mia immagine scegliendo piste sempre più impegnative; viceversa, se sugli scii mi sento debole e non
vedo la possibilità di migliorare, quando sono costretto a sciare scelgo sempre le piste più semplici
oppure cerco il modo di evitare del tutto l’attività. Lo stesso vale nel caso di quelle discipline che nel
corso della nostra carriera scolastica ci attraevano e di quelle che proprio non potevamo sopportare38.
Che si tratti di giochi, di attività ricreative o di attività di apprendimento, i teorici della motivazione
intrinseca si concentrano principalmente sull’aspetto del controllo come autodeterminazione: guardo
un film documentario perché colpisce la mia curiosità e provo emozioni positive nell’acquisire nuove
conoscenze; mi impegno in questa attività perché ho voglia e non perché devo farlo.
Un altro tipo di motivazione è quella legata all’apprendimento. Si distingue da quella estrinseca,
sostenuta da un rafforzamento, e da quella intrinseca, spinta dal piacere. La motivazione ad
apprendere ha a che fare con l’elaborazione delle informazioni, con l’attribuzione di senso alle cose
e con lo sviluppo della comprensione o della padronanza che si verifica quando si acquisiscono
conoscenze o abilità. È, in conclusione, una risposta cognitiva che può essere considerata o come una
disposizione generale o come uno stato specifico di una situazione. In quanto disposizione si tratta di
una tendenza durevole all’apprendimento di valore, nel caso di situazioni specifiche si verifica
quando ci si impegna volontariamente in un’attività adottandone l’obiettivo e tentando di apprendere
i concetti o le abilità che essa sviluppa. Un caso questo che si verifica quando un argomento sollecita
il
nostro
interesse
o
comprendiamo
l’importanza
del
contenuto
o
dell’abilità.
Contrariamente alle pretese di alcuni psicologi, non possiamo essere costantemente motivati
intrinsecamente, è pertanto necessario sviluppare anche la motivazione ad apprendere39. Per farlo è
necessario fare due cose:
1. Avvicinare la lezione agli studenti fornendo opportunità perché apprendano e accrescano il
valore dell’interesse che l’apprendimento ha per loro;
2. Avvicinare gli studenti alla lezione chiedendo che riflettano sul materiale e lo usino e
sostenendo i loro sforzi nel fare questo40.
Come possiamo mettere in pratica questo?
•
Dimostrando, per esempio, entusiasmo e suggerendo ciò che è interessante, importante e di
valore. Che non vuol dire lasciarsi andare a discorsi d’incitamento o false teatralità, bensì
identificare buone ragioni per considerare un argomento importante, unico, differente.
L’obbiettivo non è divertire o intrattenere ma far apprezzare un argomento.
38
DE BENI, PAZZAGIA, MOLIN, ZAMPERLIN, 2003.
39
BROPHY, 2003.
40
BLUMENFELD, PURO, MERGENDOLLER, 1992.
15
•
Altrettanto essenziale è essere intensi assumendo uno stile di comunicazione strategico, che
usi anche espressioni non verbali e gesti, enfatizzando parole chiave, usando inusuali
modulazioni della voce e introducendo le cose al momento giusto.
•
Traendo vantaggio dalla motivazione intrinseca inoltre si può provocare la curiosità o creare
suspance (ci soffermeremo su questo argomento nel paragrafo 2.2 sulla curiosità epistemica).
•
Se un argomento è famigliare è possibile che, pensando di saperne già abbastanza, siamo
portanti a calare la nostra attenzione. È possibile aggirare questa tendenza indicando aspetti
inaspettati, spostando l’attenzione su elementi inusuali, facendo notare eccezioni, o sfidando
a risolvere un mistero celato sotto un paradosso provocando, quella che viene definita,
dissonanza o conflitto cognitivo.
•
Per dare significato a definizioni, principi e altre informazioni astratte possiamo renderle più
personali, concrete o famigliari relazionandole ad esperienze o aneddoti della vita di tutti i
giorni. Il video, in particolare, è un mezzo molto utile per concretizzare un discorso dal
momento che mostra immagini, situazioni, azioni e può coinvolge lo spettatore. Meglio ancora
se il contenuto viene presentato in forma narrativa.
•
Direttamente o indirettamente possiamo inoltre suscitare interesse o apprezzamento per un
compito esprimendo le ragioni per cui dovremmo considerarne il valore oppure predisporre
gli argomenti in modo che autonomamente sia possibile comprenderne l’importanza.
•
È possibile inoltre invogliare la motivazione ad apprendere chiedendo di riflettere su
argomenti o attività che si considerano interessanti o su cui si hanno pregiudizi. In questo
modo si comprende che la motivazione ad apprendere viene da dentro di sé - e questa è una
qualità particolare della persona che apprende piuttosto che del compito da apprendere41.
Seguendo questi accorgimenti, lo spettatore di un film documentario sceglie volontariamente di
prestare attenzione a quanto vede e sente poiché comprende l’importanza dell’argomento che si sta
delineando sotto i suoi occhi; mi impegno in questa attività perché sento che è importante apprendere
qualcosa su questo argomento e non perché devo farlo o perché ne abbia necessariamente voglia.
41
BROPHY, 2003.
16
2.2 Curiosità epistemica
La conoscenza umana è stato un fenomeno ampiamente studiato dalle discipline psicologiche, e non
solo. Tuttavia due importanti questioni ancora restano da affrontare: perché l’uomo dedica così tanto
tempo e sforzi all’acquisizione di nuove conoscenze e perché alcuni aspetti di queste sono ritenuti più
interessanti di altri e riescono a catturare più facilmente il nostro interesse?
Le moderne teorie sull’apprendimento si concentrano sulle variabili motivazionali illustrate
precedentemente per rispondere a queste domande, ma per sostenere il processo conoscitivo è
necessario considerare anche l’aspetto emotivo indagando, in particolare, quella spinta che porta alla
ricezione e al conseguente apprendimento di nuove nozioni. Questa spinta emotiva è stata definita da
Berlyne, professore di psicologia all’Università di Toronto tra il 1962 e il 1976, curiosità epistemica
perché soddisfa un bisogno che non è omeostatico, ma volto alla crescita42.
La curiosità ha una storia strana, in quanto alcune correnti di pensiero la considerano come qualcosa
di negativo. Dopo tutto, la curiosità uccise il gatto e ci lasciò con il vaso di Pandora. La curiosità è
anche spesso associata a deviazioni quali il voyerismo, il desiderio di provare droga, alcol o
esperienze estreme. Nel campo educativo, tuttavia, la curiosità è considerata positiva in quanto
obbliga gli studenti a studiare e non c’è educatore che non esiterebbe ad indicare la curiosità come
uno dei tratti caratteristici di un buon studente. La sua considerazione positiva è così grande in questo
campo che diverse ricerche pedagogiche hanno notato come le valutazioni degli insegnati sulla
curiosità dei loro studenti, erano parametri di misura per la loro intelligenza. Quindi venne constato
che, almeno in ambito educativo, la curiosità facilita il processo di apprendimento43.
Specificatamente, la curiosità epistemica scaturisce di norma come reazione in specifiche situazioni,
o come risposta a stimoli verbali o non verbali44, si riferisce al bisogno universale di conoscere, di
vedere e sperimentare che motiva un comportamento diretto verso l’acquisizione di nuove
informazioni45. Questo bisogno attiva la motivazione ad esplorare l’ambiente. I primi tentativi del
bambino si traducono in esplorazioni del mondo fisico, per esempio aprire i cassetti o sperimentare
che cosa succede lasciando cadere a terra o lanciando oggetti di vari natura. La spinta è così forte che
42
MOÈ, 2010.
43
CERIANI, 2006, pp.35-36.
44
BERLYNE, 1954
45
LITMAN ,2005, pp. 793.
17
si manifesta anche a fronte di proibizioni, ostacoli o difficoltà. Da queste esplorazioni fatte
muovendosi o camminando si passa a curiosità di tipo intellettuale46.
Molti celebri pensatori, per esempio, sono stati stimolati dall’osservazione della vita quotidiana
semplicemente perché avevano pensato a nuove questioni relative a problemi che uomini ordinari
avevano dato per assodati. Infatti, la teoria della curiosità epistemica sottolinea soprattutto il ruolo
dell’ambiente e dà particolare importanza alle caratteristiche degli stimoli, definite “collative”:
novità, complessità o incongruenza con precedenti conoscenze a un livello ottimale, per non creare
risposte di ansia o di fuga47.
Esaminiamo ora come esempio uno stimolo verbale chiamato dai linguisti specific interrogation (da
distinguere quindi dalla yes-or-no question):
“Ma lo sai come si nutre una stella marina?”.
Questa domanda evoca subito in noi concetti o significati che agiscono come stimoli o, seguendo la
terminologia di Morris48, come designators. Nell’esempio specifico il designator è la “stella marina”
che richiama subito alla nostra mente le conoscenze che abbiamo acquisito sulla biologia marina,
l’azione specifica del “mangiare” che le viene associata agisce come stimolo e infine l’avverbio
“come” che è utile per circoscrivere l’argomento e limitare il filo del discorso. Ora, se conosco già la
risposta posso reagire allo stimolo sulla base della conoscenza pregressa, se invece non conosco la
risposta verrà messo in atto in me un processo fatto di prove ed errori che passerà per i seguenti
passaggi comportamentali: il pensare, l’osservare e infine il confermare mediante la consultazione
di esperti; fino ad arrivare alla formulazione di una risposta corretta49.
Ciò che ci spinge a trovare una risposta alla domanda che è stata posta è proprio la curiosità
epistemica, il nostro desiderio innato di sapere ciò che ci circonda; esattamente come il gatto e il
bambino descritti all’inizio di questo capitolo.
Un ruolo importante dell’ambito della curiosità epistemica è rivestito dal conflitto. La contraddizione,
la novità, l’incompatibilità sono più importanti di quello che si pensa. Studi su questo fenomeno sono
iniziati con Lewin50 e proseguiti poi con Miller e i suoi soci51. Recentemente Hebb52 ha posto enfasi
46
MOÈ, 2010.
47
DE BENI, PAZZAGIA, MOLIN, ZAMPERLIN, 2003.
48
Per approfondimenti vedi MORRIS, 1946
49
BERLYNE, 1954.
50
Per approfondimenti vedi LEWIN, 1935.
51
Per approfondimenti vedi MILLER, 1944; MILLER, 1951.
52
Per approfondimenti vedi HEBB 1946; HEBB, 1949.
18
sul processo centrale che avviene tra stimoli e risposte ed è precisamente qui che va ricercato il
nocciolo della questione. Il comportamento, secondo il pensiero di Hebb, dipende da una intricata e
ben coordinata cooperazione tra le cellule della corteccia celebrale. Se passa troppo tempo o se il
processo che avviene nella corteccia celebrale interferisce con qualcos’altro interviene un conflitto.
Alcune di queste sequenze necessitano, inoltre, del supporto di processi sensoriali avviati
esternamente, e se questi non sono imminenti, come quando qualcosa di famigliare viene percepito
come inaspettato, si ha nuovamente una situazione di conflitto. Essa conduce ad un rilascio
disorganizzato dell’energia che, stando a quanto afferma Hebb, è quanto giace dietro ogni emozione.
La sua dimostrazione più nota è la descrizione della paura indotta negli scimpanzé per la vista di
qualcosa di nuovo o diverso dal solito, tuttavia è anche verosimile che queste situazioni possano aver
suscitato della curiosità dopo la paura iniziale. Lo stesso Hebb afferma come, la continua esposizione
a stimoli complessi, elimini questi conflitti e faccia divenire famigliare ciò che prima era estraneo,
acquisendo nuove conoscenze e formando nuove strutture mentali siamo infatti in grado di rimuovere
il numero di interferenze e di conflitti percepiti. Se ammettiamo la possibilità che la curiosità suscitata
da percezioni inaspettate abbia qualcosa a che fare con il conflitto, allora l’eliminazione di questo
conflitto attraverso l’esplorazione può giocare un ruolo nell’ambito della curiosità53.
Per comprendere meglio quanto esposto finora traduciamo gli studi di natura fisiologica di Hebb, che
analizzano meccanismi presenti certamente in noi ma non osservabili direttamente, al
comportamento. In questo senso risultano importanti le considerazioni di George Loewenstein.
Loewenstein ha notato come le attività dell’uomo tendano verso situazioni incerte per le quali egli
può cercare soluzioni, e questo risulta evidente se si pensa alla popolarità che godono puzzles ed
enigmi. La chiave interpretativa di questa tensione è riscontrabile nel fatto che l’uomo cerca sempre
un moderato livello di incertezza, più piacevole e meno ostile di livelli di incertezza molto alti o molto
bassi. L’intensità della curiosità di ognuno nei confronti di qualcosa è strettamente connessa all’abilità
di risolvere l’incertezza. Il modello di Loewenstein si basa sulla nozione di gap gestibile nella
conoscenza di ognuno. La motivazione tende ad aumentare nel momento in cui un individuo realizza
che c’è un intervallo tra il livello di conoscenza raggiunta e quello desiderato. Inoltre Loewenstein ha
notato che la chiave per comprendere la tensione verso la curiosità “sta nel riconoscere che il percorso
di soddisfazione della curiosità è di per sé piacevole” 54 . Quindi gli studenti potrebbero trovare
l’apprendimento divertente perché correlato al riempimento di questo intervallo. “Per stimolare la
curiosità, è necessario far si che gli studenti siano consapevoli di questo buco nella loro
53
BERLYNE, 1954.
54
LOEWENSTEIN, 1994.
19
conoscenza” 55 . Bisogna prestare comunque attenzione: gap troppo profondi possono scoraggiare
l’apprendimento, invece davanti a gap troppo piccoli gli studenti dimostrano un atteggiamento di
apatia nei confronti della sfida. Il considerare in modo negativo ciò che non si conosce, costituisce
senza dubbio una barriera per la curiosità. L’individuo illuminato è colui che riconosce i limiti della
propria conoscenza, mentre una persona curiosa è animata dal desiderio di riempire questo vuoto56.
Per applicare quando appena esposto al nostro oggetto di ricerca è utile ricorrere ancora una volta
all’esempio pratico di una domanda. Considerando il messaggio che il filmato vuole veicolare la
domanda più semplice e diretta da prendere in considerazione è:
“Qual è il mestiere dell’archeologo?”.
Può sembrare una domanda semplice a cui tutti sanno rispondere e per la quale non ci può essere un
gap gestibile, ma per la mia esperienza personale la conoscenza di questa professione non è così
diffusa nella sua reale essenza. Con ogni probabilità, per la maggior parte dei “non addetti ai lavori”,
il designator di questa domanda (ovvero l’archeologo) richiamerà alla mente le scene dei film di
Indiana Jones e la loro immaginazione volerà subito verso avventure e tesori del passato; l’altra metà
di loro confonderà l’archeologo con il paleontologo e inizierà subito a parlare di pennelli e dinosauri,
stereotipando in questo modo anche la professione dei nostri colleghi. Qualcuno ironizzerà chiedendo
a sua volta se l’archeologo sia un mestiere e, sebbene sia triste ammetterlo, pur non sapendolo, costui
ha detto una cosa che prima della legge Madia n. 124 del 7 agosto 2015, era vera: l’archeologia in
Italia non era nemmeno riconosciuta come una professione.
Queste sono solo alcune delle reazioni-tipo che spesso l’archeologo incontra quando cerca di spiegare
il suo mestiere a qualcuno. Nella maggior parte dei casi ci sente rispondere:
•
“Wow archeologia… Che affascinante, anche io da piccolo volevo fare l’archeologo/a, poi
però ho scelto di studiare altro…” (e sappiate che in quei puntini di sospensione si sottintende
“discipline serie e degne di questo nome”);
•
“Oh, che bello! Ma… Quindi che fai? Praticamente intendo…”
Ed ecco il gap gestibile che ci consente di far presa sulla curiosità epistemica: cosa fa praticamente
un archeologo? In altri termini, qual è il suo mestiere?
È compito nostro far capire che l’archeologo non si occupa di dinosauri, non vive la vita avventurosa
del protagonista dei film di Steven Spielberg né tanto meno insegue tesoretti o sacchetti di monete
d’oro. Come scrivevano Colin Renfrew e Paul Bahn, in uno dei libri di testo più letti dagli studenti di
55
LOEWENSTEIN, 1994.
56
CERIANI, 2006, pp. 36-37.
20
archeologia italiani, l’archeologia, è vero, in parte è la scoperta dei tesori del passato, ma in parte è
anche il lavoro meticoloso di un’analista scientifico e un esercizio di immaginazione creativa. È
faticare sotto il sole in uno scavo nei deserti dell’Asia centrale, è lavorare insieme agli Inuit tra le
nevi dell’Alaska, è immergersi al largo della costa della Florida per raggiungere il relitto di una nave
spagnola ed è indagare le fognature della York romana. Ma è anche il cosciente sforzo interpretativo
attraverso il quale si arriva a comprendere che cosa tutto ciò significhi nella storia dell’umanità. Infine
è il tentativo di preservare i beni culturali del mondo dal saccheggio e dalla distruzione dovuta alla
mancanza di cura. L’archeologia, poi, è al tempo stesso attività fisica sul campo e attività intellettuale
svolta nello studio o in laboratorio. L’archeologia è una ricerca emozionante, cioè la ricerca della
conoscenza su noi stessi e sul nostro passato57.
Il gap gestibile, allora, non è così profondo come può sembrare. Osservando da questa prospettiva il
divario tra immaginazione e realtà non è troppo grande da generare risposte di ansia o di fuga e, allo
stesso tempo, possiamo far presa sul fatto che l’archeologia è qualcosa di affascinante che di per sé
incuriosisce. Inoltre se consideriamo il fatto che la maggior parte delle persone non conosce cosa fa
praticamente l’archeologo, si attiverà automaticamente un processo mentale indirizzato a confrontare
quanto conosciamo con quanto ci viene presentato continuando il processo associativo fino al
raggiungimento di una risposta plausibile che consentirà l’apprendimento.
La spinta che mette in moto tutto questo meccanismo, torniamo a ribadire è la curiosità epistemica.
2.3 Flow Experience
Vi è mai capitato di essere così presi dalla lettura o dalla soluzione di un gioco da non rendervi conto
che è passata da un pezzo l’ora di cena? In questi casi avete provato una particolare tipologia di
motivazione intrinseca catturata da Mihaly Csikszentmihalyi nel suo concetto di motivazione di
flusso. Egli ha sviluppato tale concetto dopo aver intervistato persone sulle loro esperienze soggettive
in momenti in cui erano letteralmente assorbite in determinate attività. Si aspettava di scoprire che la
maggior parte delle esperienze di flusso si verificassero durante rilassanti momenti di piacere e di
divertimento. Al contrario, ha scoperto che esse di solito si verificano quando siamo attivamente
coinvolti in compiti sfidanti che mettono alla prova le nostre abilità fisiche o mentali 58 .
57
RENFREW, BAHN, 2006, pp.X.
58
BROPHY, 2003.
21
Nell’esperienza di flusso l’attenzione è concentrata più sullo svolgimento del compito che sui risultati
e la motivazione si mantiene per effetto del piacere provato nel controllo e nella realizzazione del
compito stesso. In genere questa esperienza avviene rispetto a compiti in cui ci si sente competenti,
che forniscono feedback immediati rispetto all’efficacia delle proprie azioni, e che hanno un grado
ottimale di sfida e di curiosità.
Altra caratteristica dell’esperienza di flusso è un’alterata percezione del tempo, che di solito sembra
volare via: “ma come, abbiamo già finito?” è un’espressione spontanea quando un compito ci ha così
presi da farci provare un’esperienza di flusso59. Il fatto è che siamo consapevoli degli obbiettivi del
compito e del feedback generato dalle risposte che forniamo, ma ci dedichiamo al compito in sé stesso
senza darci pensiero del successo o del fallimento, della ricompensa o della punizione o di altre
priorità personali o sociali. Almeno per un poco, ci concentriamo completamente sul sostenere le
sfide che il compito ci pone affinando le nostre strategie di risposta, sviluppando le nostre abilità e
godendo di un senso di controllo e di realizzazione. È molto più probabile che abbiamo esperienze di
flusso quando siamo impegnati in hobby o in attività ricreative (lavori artistici, sport, divertimenti o
giochi al computer), ma possiamo viverle anche sul lavoro o in classe o in qualsiasi altro campo di
attività60. È stato dimostrato che tutte le attività che consentono un’esperienza di flusso hanno questo
in comune: forniscono un senso di scoperta, un sentimento creativo che trasporta la persona in una
nuova realtà.
Pertanto, in sintesi otto sono le dimensioni caratteristiche dell’esperienza di flusso che vengono
indicate da tutti gli autori:
1. l’attività ha obiettivi chiari e offre un feedback immediato sull’efficacia della risposta che
forniamo;
2. Ci sono frequenti opportunità per agire in modo decisivo ed esse si armonizzano con le nostre
percepite abilità di azione. In altre parole le nostre abilità personali sono adeguate alle sfide
poste dalle attività;
3. Azione e consapevolezza si fondono insieme, sperimentiamo uno stato di totale assorbimento
della mente;
4. La concentrazione è sul compito sotto mano; gli stimoli irrilevanti scompaiono dall’orizzonte
della consapevolezza; preoccupazioni e incertezze sono temporaneamente sospese;
5. Sperimentiamo un senso di potenziale controllo;
59
DE BENI, PAZZAGIA, MOLIN, ZAMPERLIN, 2003.
60
BROPHY, 2003.
22
6. Proviamo la perdita dell’autoconsapevolezza, il superamento dei limiti dell’io, il senso di
crescita e partecipazione a un’entità più grande;
7. Viviamo un’alterata percezione del tempo, che di solito sembra volare via;
8. L’esperienza diventa autotelica (dal greco telos = fine): l’attività è in sé degna di essere
compiuta.
La possibilità di fare esperienza di flusso cambia da persona a persona e da situazione a situazione.
Non è semplice trasformare un’esperienza ordinaria in un’esperienza di flusso, ma quanto meno tutti
possono migliorare la loro abilità nel farlo.
Ci sono persone che provano raramente esperienze di flusso perché temono il fallimento e quindi
cercano di evitare situazioni sfidanti: sono preoccupati di ciò che gli altri pensano di loro, hanno paura
di dare l’impressione sbagliata o di fare qualcosa di inappropriato. Si tratta di personalità concentrate
molto su loro stesse, ma essere egocentrici non significa anche essere consapevoli di sé. Alcune
persone potrebbero addirittura essere incapaci di provare l’esperienza di flusso: gli psichiatri indicano
gli schizofrenici come affetti da anedonia, letteralmente assenza di piacere, riferendosi al fatto che
gli schizofrenici sono costretti a notare tutti gli stimoli irrilevanti, a processare tutte le informazioni
sia che gli piacciano o no. Incapaci di concentrarsi, in indiscriminata attesa di qualsiasi cosa, i pazienti
che soffrono di questo disturbo non sono chiaramente in grado di divertirsi. Altre persone, invece,
hanno semplicemente scarsa capacità di concentrarsi, un problema più comune e ben noto soprattutto
in ambito scolastico.
Ci sono persone che sviluppano invece una “personalità di flusso”: cercano sfide e amano superare i
loro limiti, quando si chiede loro di impegnarsi in attività più ripetitive queste persone tendono a
renderle più complesse, provando a farle in modo artistico, cercando di accrescere la loro efficienza
o dandosi obbiettivi che rendano l’attività più sfidante e interessante. Ci sono persone geneticamente
avvantaggiate nel controllo della consapevolezza: queste persone sono meno inclini a soffrire di
disturbi dell’attenzione e possono provare più facilmente l’esperienza di flusso.
Confermano quest’ultima affermazione gli sperimenti condotti dalla Dott.ssa Jean Hamilton sulla
percezione visiva. In un primo esperimento Hamilton ha presentato ad un gruppo di soggetti
un’immagine ambigua, come può essere il cubo di Necker o un’illustrazione di Escher (fig. 3; fig. 4),
e poi l’ha rovesciata chiedendo di invertire la percezione della prospettiva. Le persone che nella vita
di tutti i giorni dimostravano di avere meno motivazione intrinseca avevano bisogno, in media, di
fissare i loro occhi su più punti prima di poter rovesciare mentalmente l’immagine; mentre coloro che
nel complesso erano più spesso motivati intrinsecamente avevano bisogno di guardare pochi punti, o
addirittura un solo punto, per arrivare allo stesso risultato. Questo esperimento suggeriva che le
persone possono avere bisogno di un numero vario di spunti per realizzare lo stesso compito mentale:
23
coloro che necessitano di molte informazioni esterne per rappresentare mentalmente la realtà possono
diventare più dipendenti dall’ambiente che li circonda nell’uso della loro mente, avranno meno
controllo sul loro pensieri e meno possibilità di fare esperienza di flusso; al contrario, le persone che
hanno bisogno soli di pochi spunti esterni per rappresentare consapevolmente gli eventi sono più
autonomi da ciò che li circonda, hanno un’attenzione più flessibile che gli consente di ricostruire le
esperienze più facilmente e perciò di sperimentare altrettanto facilmente il flusso.
Figura 4 - Cubo di Necker
Figura 4 - Relatività, Escher
In un’altra serie di esperimenti è stato chiesto ad un gruppo di studenti di prestare attenzione a dei
flash di luce e a dei suoni in un laboratorio. Mentre i soggetti erano coinvolti in questo esperimento
è stata misurata la loro attività celebrale scoprendo che, coloro che raramente sperimentavano il
concetto di flusso avevano picchi di attività esclusivamente in presenta degli stimoli visivi o sonori,
al contrario, coloro che stavano provando un’esperienza di flusso mostravano una diminuzione della
loro attività celebrale mentre erano concentrati. Anziché richiedere più lavoro, l’investimento
dell’attenzione sembrava diminuire il loro sforzo mentale. La spiegazione più semplice di tutto ciò
risiede nella considerazione che le persone più portate a sperimentare il flusso erano in grado di
ridurre tutte la attività mentali e di focalizzarsi esclusivamente su ciò che loro decidevano essere
importante in quel momento.
Queste evidenze neurologiche non intendono provare che alcuni individui sono avvantaggiati
geneticamente nel controllo dell’attenzione, ma che tramite l’esercizio e l’allenamento possiamo
migliorare la nostra capacità di concentrazione61.
61
CSIKSZENTMIHALYI, 1990.
24
Altre situazioni producono, invece, esperienze diverse. Quando l’abilità è elevata, ma il compito offre
una bassa sfida sperimentiamo noia; quando sia i livelli di sfida che di abilità sono bassi
sperimentiamo apatia, e quando affrontiamo un compito sfidante, nel confronto del quale pensiamo
di possedere bassi livelli di abilità, sperimentiamo ansia (fig. 5). L’ansia è la minaccia principale alle
possibili esperienze di flusso. Troppe situazioni che sfociano nell’ansia possono far preferire la noia
di routine “sicure” alle opportunità di vivere esperienze di flusso offerte da attività stimolanti62.
Figura 5 - Tavola delle esperienze soggettive (CSIKSZENTMIHALYI, 1993.)
Csikszentmihalyi, Rathunde e Whalen hanno consigliato che gli insegnanti incoraggino le esperienze
di flusso in tre modi:
1. padroneggiando la materia che si espone, mostrando entusiasmo nell’insegnarla e agendo
come modelli che perseguono le ricompense intrinseche dell’apprendimento;
2. mantenendo una buona corrispondenza tra ciò che esigono e ciò che gli studenti sono preparati
a realizzare (sollecitandoli, ma anche aiutandoli a conseguire obiettivi sfidanti e tuttavia
ragionevoli);
3. offrendo una combinazione di sostegno emotivo e didattico che consente agli studenti di
affrontare i compiti di apprendimento con fiducia e senza ansia63.
Nel caso della produzione video possiamo inoltre far leva su due sensi che sono spesso il motore di
un’esperienza di flusso: la vista e l’udito.
Occasionalmente le persone si fermano per “rifarsi gli occhi” quando una vista particolarmente
magnifica compare loro davanti, ma non coltivano sistematicamente le potenzialità della loro vista.
62
BROPHY, 2003.
63
CSIKSZENTMIHALYI, RATHUNDE, WHALEN, 1993.
25
Essa può dare accesso ad esperienze gradevoli, Menandro, il poeta classico, diceva “il sole che ci
illumina, le stelle, il mare, le nuvole che si muovono, le scintille del fuoco - che tu abbia vissuto cento
anni o pochi soltanto, mai vedrai alcuna cosa più bella di queste”. Le arti visive e i lavori degli artisti
che sono in grado di toccare i nostri sentimenti ci aiutano a sviluppare questo potenziale, e alla fine
un occhio allenato può essere deliziato anche dalla vista più banale. Lo stesso si può dire per quel che
concerne l’udito, in particolare nel caso di melodie o suoni gradevoli. La musica ha il potere di
evocare sentimenti e stati d’animo, ecco perché ci sono le canzoni per ballare, per i matrimoni, per i
funerali e così via. Ascoltare musica aiuta ad organizzare la mente, a ridurre l’entropia psichica, a
respinge la noia e l’ansia e può indurre ad esperienze di flusso64.
Pertanto, per catturare l’attenzione di una persona che si accinge a guardare un filmato, ci si può e
quasi ci si deve servire di una buona composizione tra immagini o riprese e musiche. Per mantenere
la concentrazione dell’osservatore serve inoltre dimostrare la validità del contenuto che viene
presentato trattando l’argomento in maniera entusiasta e dimostrando di padroneggiare la materia ma,
cosa ancora più importante, di essere allo tesso tempo in grado di raccontarla con un linguaggio
comune e comprensibile a tutti, che non disorienti e non generi troppo divario tra l’emittente del
messaggio e il destinatario. In questo senso sarà molto importante la fase di stesura della
sceneggiatura e la scelta di una buona voce narrante, come vedremo nel quarto capitolo.
2.4 Considerazioni conclusive
In sintesi, come possiamo rendere una produzione video interessante per l’utente medio?
Innanzi tutto è necessario considerare il pubblico a cui ci si sta rivolgendo e di conseguenza adeguarsi
al suo livello comunicativo: torniamo a ripetere che il contenuto del messaggio va avvicinato alla
persona che ascolta e, viceversa, quest’ultima va motivata ad ascoltarci. Per fare questo è bene non
usare un linguaggio troppo tecnico e specifico ma esporre il contenuto con una sintassi semplice e
preferire parole concrete e famigliari, così da personalizzare il discorso. Questo non significa mettere
da parte la correttezza scientifica o la veridicità delle argomentazioni ma, semplicemente, rendere
comprensibile a tutti quanto si vuole affermare in modo da non disorientare l’ascoltatore o farlo
sentire inadeguato all’argomento che si sta trattando. I contenuti devono essere degli esperti ma il
linguaggio dev’essere di tutti.
64
CSIKSZENTMIHALYI, 1990.
26
Il contenuto del messaggio va inoltre reso accattivante e interessante: dimostrando entusiasmo
nell’esposizione (mediante il tono, i gesti delle mani e l’espressione facciale), modulando la voce in
modo da enfatizzare i punti chiave del discorso e cercando di interessare anche i più esperti
sull’argomento sottolineando magari gli aspetti inusuali e più particolari di ciò che si sta esponendo.
È importante individuare una buona voce narrante. Essa ha il potere di incuriosire, catturare
l’attenzione e accompagnare lo spettatore dentro al video stesso. Inoltre, la scelta di porre alcune
domande prima della spiegazione contribuisce a creare dialogo tra la voce narrante e lo spettatore e
ad incrementare l’interesse verso quello che si sta spiegando. Allo stesso modo, l’adozione dello
schema giornalistico (in cui prima viene data la notizia principale e poi gli eventi collaterali che ad
essa fanno riferimento), contribuisce a catturare l’attenzione di chi ascolta.
Se si riesce ad interessare, e magari anche a divertire, lo spettatore è possibile riuscire a coinvolgerlo
tanto da fargli provare un’esperienza di flusso, perdere per un momento il suo “io” e immergersi
totalmente nella narrazione. Contribuisce molto in questa prospettiva la scelta di una buona musica,
adeguata alle immagini e con esse ritmicamente sincronizzata. Deve trattarsi di una musica di
sottofondo che non sovrasti la comunicazione o non disturbi il nostro livello di attenzione ma enfatizzi
le immagini che accompagna, magari riuscendo anche ad evocare l’ambiente di cui si sta parlando.
27
28
3. IL MEZZO ESPRESSIVO VIDEO-NARRATIVO
“Documentaries – or what ever their directors care to call them – are just not my
favorite kind of movie watching. The fact is I don't trust the little bastards. I don't
trust the motives of those who think they are superior to fiction films. I don’t trust
their claim to have cornered the market on the truth. I don’t trust their
inordinately high, and entirely underserved, status of bourgeois respectability.”
-MARCEL OPHULUS
3.1 Definizione di cinema “documentario”
La carriera ancora in corso di Marcel Ophulus come produttore di documentari seri smentisce la sua
pretesa di diffidare della forma. Tuttavia, la dichiarazione di Ophulus arriva al cuore di ciò che
definisce i documentari – “o in qualsiasi altro modo i loro direttori intendano chiamarli”. Tutti i
documentari, sia che siano considerati affidabili o no, ruotano intorno una questione di fiducia. Un
documentario è una qualsiasi immagine in movimento che è suscettibile alla domanda: "potrebbe
mentire?"65
Facciamo un passo indietro. Il cinema stesso nacque per documentare. Negli esperimenti
protocinematografici fatti negli anni Settanta dell'Ottocento dallo statunitense Eadweard Muybridge
e dal francese Étienne-Jules Marey, la moltiplicazione di scatti fotografici ravvicinati
(zooprassografia, cronofotografia) consentiva l'analisi del movimento, così scomposto, di animali o
65
EITZEN, 1995, pp. 81.
29
di esseri umani (fig. 6 e 7). Contemporaneamente, fra le evoluzioni e i perfezionamenti degli
spettacoli della lanterna magica si distinse il prassinoscopio del francese Émile Reynaud, che si
situava su un altro versante, quello delle “attrazioni”, utilizzando non fotografie ma disegni in rapida
successione, che davano l'illusione del movimento (fig. 8). Quando l'evoluzione tecnologica consentì
negli anni seguenti, con lo statunitense Thomas A. Edison e i francesi Lumière, di portare le fotografie
in successione a una cadenza tale da rendere la riproduzione del movimento verosimile e visibile agli
spettatori, prima singoli (tramite il cinetoscopio o peepshow nel caso del cinetografo di Edison) e poi
in gruppo (tramite la proiezione nel caso del cinematografo dei Lumière), la dicotomia realtà-finzione
era già in atto (fig. 9).
Figura 6 - Étienne Jules Marey, Salto con l'asta, 1880.
Figura 8 – Prassinoscopio.
Figura 7 - Étienne Jules Marey , Sequenza di volo.
Figura 9 - Cinetoscopio o peepshow.
Ma quando è stata la prima volta che coscientemente una produzione è stata definita documentaria?
La critica storica tende ad attribuire l'impiego cosciente del termine “documentario” al cineasta e
produttore scozzese John Grierson che, recensendo Moana, un film sulla Polinesia di Robert Flaherty,
30
parlò di "valore documentario" del film66, per poi teorizzare il genere in vari saggi scritti nel 19321934 su "Cinema Quarterly"67.
Oggi l’umanità sta vivendo un’esplosione senza precedenti della produzione audiovisiva. In questi
ultimi anni, non solo troviamo sul mercato attrezzature di ripresa e di montaggio di ottimo livello a
costi bassissimi, ma una sorta di “coazione a riprendere” ha coinvolto ogni gadget elettronico,
soprattutto nell’ambito della telefonia cellulare. La conseguenza pratica è la diffusione virale di
“macchine da presa” di ogni tipo tra la popolazione. Si può dire che il numero di dispositivi capaci di
effettuare riprese video in un paese come l’Italia è passato dalle poche migliaia di alcuni decenni fa
alle decine di milioni di oggi e che in ogni famiglia italiana ci sono almeno due o tre “punti macchina”.
Una schiera di potenziali filmmaker e milioni di macro o micro camere sono in azione ogni giorno
come un gigantesco specchio sociale variegato e frammentario, dando luogo a una trasformazione
storica del tessuto produttivo che ha modificato drasticamente anche la stessa fisionomia del
documentario contemporaneo68.
Come possiamo dunque definire, oggi, il cinema documentario?
Con il termine documentario si intende, nell'uso comune, un film, di qualsiasi lunghezza, girato senza
esplicite finalità di finzione, e perciò, in generale, senza una sceneggiatura che pianifichi le riprese,
ma anzi con disponibilità verso gli accadimenti, e senza attori69. Non a caso, nei paesi anglosassoni
si impiega sempre più spesso il termine nonfiction o factual film e nei paesi sovietici fattografico o
non recitato. Si tratta, come si può notare, di definizioni in negativo che trovano il loro senso in
opposizione al cinema di finzione dominante, mentre mancano definizioni in positivo, forse perché
solleverebbero troppe contraddizioni.
66
La recensione di Grierson fu pubblicata nel giornale New York Sun l’8 febbraio 1926 sotto lo pseudonimo “lo
spettatore”. Nella sua recensione Grierson ha scritto: “Certo Moana, essendo un resoconto visivo di eventi nella vita
quotidiana di un giovane polinesiano e della sua famiglia, ha un valore documentario” (PEPE, ZARZYNSKY, 2012, pp.24).
67
APRÀ in Enciclopedia del Cinema, http://www.treccani.it/enciclopedia/documentario_%28Enciclopedia-del-
Cinema%29/
68
HENDEL, 2014, pp. 9.
69
Escludendo il presentatore o chi rappresenta la voce narrante, le persone che compaiono in un documentario sono
tendenzialmente professionisti o esperti nella materia, che relazionano le loro conoscenze o i risultati delle loro ricerche,
e persone comuni colte nel loro ambiente.
Appunto, anche nel documentario Nora, il racconto dell’archeologo non si è ricorsi ad attori ma sono stati intervistati i
responsabili delle diverse attività che compongono lo studio archeologico del sito di Nora con piena disponibilità nei
confronti delle materie di cui dovranno parlare.
31
Alla base del documentario c'è un rapporto ontologico con la realtà filmata, che si pretende restituita
sullo schermo come si è manifestata davanti alla macchina da presa, senza mediazioni. Il film è il
documento di tale realtà, la prova che le cose si sono svolte come risultano proiettate. Il cinema di
finzione rappresenta invece una realtà mediata, manipolata dal regista per esprimere ciò che ha
immaginato. È una realtà messa in scena. Nel documentario la macchina da presa è al servizio della
realtà che le sta di fronte; nel film di finzione la realtà viene invece rielaborata per la macchina da
presa. In quest'ultimo il patto implicito dello spettatore con lo schermo è: "so bene che ciò che vedo
rappresentato non è vero, benché verosimile, e tuttavia ci credo"; nel documentario egli dirà piuttosto:
"ciò che vedo è vero, e non solo verosimile, e per questo ci credo". L'effetto magico di illusione di
realtà che il cinema di finzione produce viene, per così dire, sospeso nel documentario, dove si
evidenzia l'effetto probatorio.
Per quanto reale e non manipolato sia il profilmico (ciò che la macchina da presa riprende), esso non
può evitare di essere inquadrato, e con ciò stesso selezionato e orientato; anche se è stato detto che
l'inquadratura di un documentario è una finestra aperta sul mondo più che una cornice che lo
racchiude e lo sintetizza. Inoltre, per quanto breve sia il film il fatto stesso che ci sia un inizio e una
fine implica inevitabilmente un embrione di narrazione, un'evoluzione del profilmico marcata da un
“prima” e da un “dopo”. La realtà, in altre parole, è sempre, nel documentario come nel film di
finzione, una realtà “registrata”, quindi mediata, “impura”. Ma l'innocenza, per così dire, con cui lo
spettatore assiste alla proiezione (o, in televisione, alla trasmissione) di un documentario lo rende
facilmente ingannabile, quando si vuol far passare subdolamente per documento, prova inconfutabile
di verità, ciò che è realtà truccata: è quanto ha sempre fatto la propaganda, con i cinegiornali e i
telegiornali, e con la pubblicità70. Questo perché c’è il rischio che la soggettività o gli orientamenti di
pensiero dell’autore possano prendere il sopravvento sull’aspetto etico intrinseco al documentario.
Nel corso degli anni si è parlato di documentario come una “rappresentazione drammatica della
relazione dell’uomo con la sua vita istituzionale”, come “film con un messaggio”, come “la
comunicazione, non di cose immaginarie, ma di cose reali” e come “tipologia di film che rinuncia al
controllo degli eventi che vengono filmati”. Ma la definizione più famosa, e quella ancora che oggi
risulta essere la più funzionale, è quella di John Grierson: egli definisce efficacemente il documentario
come “trattamento creativo dell’attualità”71.
70
APRÀ in Enciclopedia del Cinema, http://www.treccani.it/enciclopedia/documentario_%28Enciclopedia-del-
Cinema%29/
71
EITZEN, 1995, pp. 82.
32
3.2 Archeologia e video
L’Italia, purtroppo, partecipa in maniera inadeguata alla fioritura della cinematografia
documentaristica a causa di due fattori limitanti che operano in una perversa sinergia: la scarsità di
finanziamenti, specialmente pubblici, e l'atteggiamento di molti film-maker che, contrapponendo i
valori culturali ai valori di mercato, si condannano di fatto all'isolamento. In un panorama culturale
dominato dal culto del cinema di fiction da una parte e dalla presenza di moduli giornalistici dell’altra,
resta poco per la promozione del documentario cosiddetto “creativo”; la stessa Rai ha destinato a
questa produzione una porzione residuale del suo budget. D’altro canto, molti autori reagiscono a
questa trascuratezza incrementando una paradossale “auto-emarginazione” dal mercato, sostenendo
una sorta di “incorruttibilità" delle proprie opere rispetto alle richieste di un pubblico di massa. Per
questa via, arroccati funzionari e illuminati registi sono d'accordo su un punto: il documentario non
può avere un suo mercato, quindi che viva ai margini della produzione culturale, nella penombra del
cine d’essai.
In realtà i numeri Auditel dimostrano che in Italia esiste un mercato potenzialmente enorme per i
documentari, basterebbe esplorarlo! Ci sono peraltro molti film-maker, soprattutto tra le giovani forze,
pronti a misurarsi con mercati pubblici diversi; esistono documentari italiani che nonostante tutto
hanno già viaggiato nel mondo riscuotendo successi importanti e altri i cui autori stanno affilando le
armi per entrare anche loro in gioco. Sono risorse eccezionali, a loro spetterà risollevare la bandiera
del documentario italiano e portarla nel mondo.72
3.2.1 Parlare di archeologia
Facendo ora riferimento alle ricerche archeologiche italiane, quante si dotano del supporto audiovisivo per comunicare i risultati delle loro ricerche, concluse o ancora in corso, al pubblico e alla
comunità scientifica? Come scrive Francesco Ripanti nel suo blog 73 , Archeovideo, Narrating
72
HENDEL, 2014, pp.10-11.
73
È un fenomeno recente quello rappresentato degli acheo-blogger: archeologi che usano il web, il canale promozionale
più diffuso al giorno d’oggi, per farsi conoscere e far conoscere l’archeologia italiana, per suscitare curiosità nelle persone
che li leggono e valorizzare il patrimonio culturale del nostro paese. Sono persone che si sono formate nei beni culturali
e poi hanno scelto di specializzarsi nella comunicazione, passando, con versatilità, dalla cazzuola alla parola: solo con le
giuste parole possiamo infatti raccontare belle storie.
33
archaeology through a video camera, la comunicazione archeologica nel nostro paese è ancora un
fenomeno limitato ad alcuni casi illuminati e, anche all’interno di questi esempi, la diffusione del
video come strumento per comunicare non è molto ampia. Se fossimo interessati a vedere un video
di un sito che ci interessa e cercassimo su YouTube “area archeologica di…” o “scavi archeologici
di…” dovremmo trovare senza troppi clic il canale con i relativi filmati. Oppure si potrebbe andare
sul sito web e da lì cliccare sui link giusti per poter vedere i video girati dagli stessi archeologi che
scavano il sito74.
Ebbene, la realtà è molto diversa da questo scenario utopistico.
Molto spesso la produzione audio-visiva che riguarda l’archeologia non è iniziativa dell’archeologo
stesso ma di persone esterne, o estranee, al suo lavoro: l’archeologo, anziché essere un protagonista
attivamente coinvolto, si riduce dunque al ruolo di semplice collaboratore esterno. È questo il caso,
per esempio, dei servizi mandati in onda dai telegiornali locali sul cantiere archeologico attivo nella
loro area di competenza75.
Altri video in cui compaiono gli scavi archeologici sono a scopi promozionali: tra immagini
suggestive e musica accattivante vengono esibiti i punti di forza del territorio per attrarre il turismo,
storia e archeologia vengono inserite in questa prospettiva76 . In alcuni casi i video promozionali
possono anche riguardare un singolo evento o una manifestazione che viene organizzata per il
Un importante approfondimento di queste tematiche si è svolto il 31 ottobre 2014 a Paestum durante la XVII edizione
della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico in cui l’archeologa, giornalista e, naturalmente, blogger Cinzia Dal
Maso, ha riunito i principali archeo-blogger italiani.
74
https://archeovideo.wordpress.com/2013/01/25/archeologi-e-comunicazione-che-cosa-si-vede-attraverso-i-video/
75
Alcuni esempi che si trovano nel web sono il servizio di Roberto Centrone del 09 gennaio 2013 per Canale 7 che parla
del sito neolitico Santa Barbara a Polignano a Mare (https://youtu.be/oEPd9pGgqMw); quello di Carla Zita del 19 luglio
2014 per la Nuova Tg sul sito archeologico di Villa Romana Malvaccaro a Potenza (https://youtu.be/wcon-2wc0gg); il
servizio di TG Universo sugli scavi archeologici in corso presso il sito di Aquinum (Castrocielo - FR) del 10 luglio 2015
(https://youtu.be/HP7uwaUA52I); o ancora il servizio di rtv38 sul rinvenimento di un mosaico nel sito archeologico di
Vignale (https://youtu.be/zyXAUK5GNnc?list=PLYx_9lY_seRJrLmKRedzZAQLTD9rx3aBE).
Anche il sito archeologico di Nora è stato coinvolto in questo tipo di produzioni video con, per esempio, la puntata del
27 aprile del 2014 di Sereno Variabile
76
In internet troviamo alcuni esempi interessanti, anche relativi all’area archeologica di Nora che introdurremo nel
prossimo capitolo: l'Assessorato al Turismo del Comune di Pula propone, per esempio, il video “Nora e Pula: perle di
Sardegna” in cui, in 4,47 minuti, viene mostrata la città di Pula, i suoi monumenti, il sito archeologico e suggestivi scorci
paesaggistici (https://youtu.be/61e074g-T-A); un altro video documentario per il Comune di Pula è stato realizzato da
Malizia Video Productions (https://youtu.be/q4b9MMm012c) e trasmesso a Lugano alla “Fiera del viaggiatore”.
34
pubblico, strategia questa che sembra quasi un assillante tentativo di marcare la propria presenza: un
avviso che dice siamo qui e stiamo lavorando per voi!
Un mondo a sé stante è quello delle ricostruzioni 3D, una nuova e sofisticata tecnica di rilievo che si
inserisce nel filone della virtual archaeology. Con l’aggettivo virtuale si intende una “riproduzione”
dell’oggetto reale, riferendosi ad un tipo di simulazione interattiva, nella quale lo spettatore, con
l’ausilio di un computer, può esplorare ed interagire con una rappresentazione tridimensionale di
oggetti ed ambienti, provando la sensazione di essere nell’ambiente stesso che, pur non esistendo
concretamente, può essere percorso ed osservato. Negli ultimi anni, tale concetto in ambito
archeologico ha interessato svariati campi di applicazione, arrivando a comprendere anche il sito
archeologico nel suo complesso 77 . Il 3D rappresenta anche un incremento nella ricerca e nella
documentazione archeologica. Completa infatti la documentazione di scavo, nello specifico il rilievo
archeologico, e consente di confrontare, anche in simultaneo, le diverse ipotesi ricostruttive che gli
archeologi hanno formulato sulla base dei dati ottenuti con le loro ricerche e studi. È uno strumento
utile alla realizzazione di montaggi video capaci di far apprezzare al turista il volume degli edifici
storici e vedere, tradotto in immagine, ciò che altrimenti resterebbe nell’immaginazione
dell’archeologo. Le potenzialità offerte da questa tecnica di rilievo sono vastissime ma scarseggiano
esempi in cui vi sia un’integrazione tra le varie tipologie di produzione audio-visiva per raggiungere
una comunicazione integrata sullo stesso sito78. Ulteriori aspetti critici dell’impiego di elaborazioni
3D in archeologia riguardano il fattore economico e tecnico: da una parte, l’elevato costo dei software
commerciali induce a ricercare sempre di più nei vantaggi offerti dagli strumenti open source le
soluzioni adeguate alle necessità della comunicazione scientifica e divulgativa; dall’altra,
l’archeologo non possiede le conoscenze necessarie per un utilizzo avanzato delle nuove tecnologie
e si trova a dover demandare la realizzazione di un progetto ricostruttivo agli esperti nel settore del
3D imaging79.
La tipologia di video più diffusa in grado di fare divulgazione e integrare, tra l’altro, ricostruzione
3D, valorizzazione e al contempo una spiegazione precisa e puntuale, dimostrando quindi abilità nel
gestire la multidisciplinarietà che è propria della disciplina archeologica, resta il documentario (le cui
caratteristiche abbiamo già delineato ad inizio capitolo). Si tratta di un genere di produzione audio-
77
RIPANTI, DISTAFANO, 2013.
78
Merita una menzione ALTAIR4 Multimedia che nel suo canale YouTube condivide con il pubblico straordinari video
di ricostruzione 3D (https://www.youtube.com/user/altairquattro69).
79
RIPANTI, DISTEFANO, 2013.
35
visiva noto a tutti grazie alle trasmissioni televisive del calibro di SuperQuark o Ulisse e a programmi
come RaiStoria, Focus, History Channel e molti altri ancora. L’elenco potrebbe essere lunghissimo e
declinabile in svariate forme. In internet si trovano altrettanti esempi80 di documentari anche prodotti
da reti televisive locali, da video-maker indipendenti e da canali tematici che non scadono nel
sensazionalismo stile Voyager o Mistero. In tutti i casi, comunque, l’archeologo non viene coinvolto
nel processo di produzione ma, negli esempi migliori, collabora tutt’al più prestandosi ad interviste
in cui parla del sito archeologico in esame e, eventualmente, fornisce qualche informazione sulle
ricerche in corso81.
3.2.2 Considerazioni conclusive
Come testimonia il contesto sinora esposto, l’Italia dimostra di essere ancora in una fase embrionale
per quanto concerne la comunicazione dei dati archeologici mediante il mezzo audio-visivo. Ma,
come è evidente, le potenzialità di questo strumento nella documentazione, nella comunicazione alla
comunità scientifica e nella divulgazione al grande pubblico sono tantissime. Nel panorama italiano
ci sono anche casi che dimostrano di aver recepito questa lezione e, nonostante si sia ancora agli inizi,
qualcosa nell’ambito della divulgazione sta cambiando. L’esempio forse più importante è
rappresentato dalla Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico, organizzata dalla Fondazione
del Museo Civico di Rovereto fin dal 1990, che si svolge annualmente nelle prime settimane di
ottobre. Le proiezioni raccolgono opere cinematografiche legate al settore della ricerca archeologica,
storica, paleontologica, antropologica e comunque aventi come scopo la tutela e la valorizzazione dei
beni culturali.
80
Ne segnalo solo alcuni: il canale tematico della rivista Archeologia Viva (https://www.archeologiaviva.tv), o il video
di Marcello Bandierini, promosso dal comune di Sassuolo e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia
Romagna, sul sito archeologico di Montegibbio (https://youtu.be/2JIAQyXU1IU?list=UUuwRCIx39CnaotxhRkzuwhA);
la produzione, non italiana, del canale Smithsonian Channel (www.smithsonianchannel.com) che propone due brevi
documentari sulle ricerche, ancora in corso, dell’Archeologa forense Caroline Sturdy Colls nel campo di sterminio del
regime
nazista
Treblinka
(http://www.smithsonianchannel.com/videos/the-bones-the-nazis-hid/29315;
http://www.smithsonianchannel.com/videos/excavating-a-secret-gas-chamber/29312).
81
Un esempio per il sito archeologico di Nora è il documentario “Nora la città più antica della Sardegna” prodotto
dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo di Pula, con gli interventi del Dott. Piero Bartoloni e del Dott. Carlo Trochetti,
in cui viene raccontata la storia di Nora.
36
3.2.3 Far parlare l’archeologia
Ci sono anche contesti in cui l’archeologo si fa video-maker e racconta l’archeologia dal suo punto
di vista. Diversamente dalle situazioni precedenti in cui si parlava di archeologia, in questo caso è
l’archeologia che prende voce attraverso le parole del professionista. Navigando nel web ci si può
imbattere in video che mostrano, per esempio, la giornata-tipo dell’archeologo impegnato in una
campagna di scavo, le immagini sono di solito accompagnate da musica ma prive di una voce
narrante 82 . Si tratta, il più delle volte, di produzioni amatoriali rivolte probabilmente agli stessi
archeologi che compongono il gruppo di lavoro ma che, messe in rete, possono essere visualizzate da
un numero potenzialmente molto più ampio di persone
Alcuni video si focalizzano, invece, sulla documentazione di particolari fasi del lavoro. Anche in
queste produzioni audio-visive manca quasi sempre una voce che racconti cosa si stia effettivamente
facendo. L’obbiettivo pare sia da un lato di documentare il metodo di lavoro, dall’altro mostrare
alcune attività di cantiere. Sebbene l’idea si dimostri decisamente all’avanguardia rispetto al
panorama circostante, l’assenza di una voce narrante limita la comprensione completa del messaggio
che il video vuole trasmettere a un gruppo ristretto di persone83.
Ci sono missioni archeologiche che si servono dello strumento audio-visivo per documentare
l’avanzamento dello scavo. Si tratta di video in cui un archeologo si fa finalmente portavoce di ciò
che viene ripreso e in alcuni casi viene relazionato il lavoro eseguito e proposta anche
un’interpretazione84.
82
Riporto qui come empio il video ArchaeOlogy (https://vimeo.com/90846650) che raccoglie una selezione di fotografie
scattate durante una campagna di scavo e le unisce in una presentazione a ritmo di musica. Io stessa, nel corso delle
campagne di scavo presso il sito archeologico di Nora, ho realizzato, tra il 2013 e il 2015, delle produzioni video di questo
tipo unendo insieme filmati che ritraevano la vita di tutti i giorni del gruppo di lavoro e usando come base sonora una
canzone che era la più rappresentativa, o quella più ascoltata, durante le giornate di lavoro collettivo.
83
Esemplificativo è, per esempio, il filmato della “canaletta in corso di scavo” a Santa Cristina in Caio vicino a
Buonconvento in provincia di Siena (https://youtu.be/15nwwTyiFQY).
84
Nel corso delle Campagne di scavo dell’anno 2011 e 2012 presso Santa Cristina in Caio vicino a Buonconvento in
provincia di Siena, sono stati prodotti alcuni video che relazionano il lavoro come in un diario di scavo, usando quindi un
linguaggio e un livello comunicativo professionale, pertanto, forse, poco apprezzabile per il pubblico medio, ma che
dimostrano la versatilità di questo strumento utile anche per completare la documentazione di scavo
(https://youtu.be/WY_1r8Rvnq8). Da menzionare anche i video della playlist Live from Excava(c)tion del canale
YouTube Uomini e Cose a Vignale, in cui si presentano alcune attività del cantiere archeologico dell’Università degli
37
Si segnala anche un uso dello strumento audio-visivo, da parte dell’archeologo stesso, per
promuovere la propria attività e valorizzare l’area in cui sta lavorando. Ci sono video che illustrano
la storia dello scavo, altri che riprendono rievocazioni storiche in cui l’archeologo si fa attore e,
muovendosi nella stessa area archeologica, tenta, appoggiandosi all’immaginazione degli spettatori,
di riportare vita alle rovine85.
3.2.4 Docudrama
Una produzione audio visiva che sta emergendo negli ultimi anni, applicata non solo all’archeologia
da campo, è quella del docudrama 86 . Questo è “un genere cinematografico che cerca di fondere
documentario e cinema di finzione, attraverso la ricostruzione più realistica e circostanziata possibile
di eventi realmente accaduti. Si distingue dal cinema di ricostruzione storica per l’attenzione specifica
ad eventi legati ancora all’attualità, per l’ambientazione nei luoghi reali della storia e perché, quando
possibile, utilizza come attori gli stessi protagonisti dell’evento della vita reale”87. Cortometraggi
come questi vanno nella direzione dell’edutainment, ovvero di quella forma d’intrattenimento
finalizzata sia ad educare che a divertire88: spesso si tende a separare il momento dell’intrattenimento
da quello dell’apprendimento e della riflessione, tuttavia queste istanze vanno fortemente integrate
con il fine di raggiungere tutto il pubblico interessato, dai bambini fino agli specialisti, e un più ampio
Studi
di
Siena
raccontate
con
un
livello
comunicativo
di
timbro
divulgativo
(https://youtu.be/wF5-
hbcNdjY?list=PLYx_9lY_seRKAGSQnG1t-ivuZjUGudXO8).
85
Esempi di promozione archeologica sono il video del Gruppo Archeologico Romano che illustra il Campo dei Faleri
mostrando immagini che riprendono lo scavo, gli archeologi al lavoro, ma anche eventi e manifestazioni che vengono
organizzate nel sito archeologico (https://youtu.be/y930LpjpGeo). Simile, ma privo di voce narrante è il video che
promuove l’area archeologica di Massaciuoli e le iniziative che la riguardano (https://youtu.be/ofpM-dRsDEo). Infine,
un esempio di rievocazione storica datato al 30 ottobre del 2010 è stato girato nel sito di Mirandulo e mette in scena un
assalto al castello (https://youtu.be/uqEa0ZXzywE).
86
Esempi di questo forma video-narrativa sono: il docudrama “Raccontando la cisterna romana: giornalisti, schiavi ed
altro”, realizzato dai bambini di quinta elementare della scuola “D. Alighieri” di Falconara Marittima (AN), in
collaborazione con il Comune e la Soprintendenza Archeologica delle Marche (https://youtu.be/sBQSkVE2yVs); o il
video realizzato da Giuliano De Felice e Francesco Ripanti “Le relazioni pericolose” in occasione del Archeocontest di
Opening the Past 2013 (https://youtu.be/LZXZdMXcZXI) in cui il team di scavo si presta alla recitazione per raccontare,
in modo auto-ironico, come sia facile per gli archeologi arrivare ad interpretazioni fuorvianti.
87
CANOVA, 2009.
88
ZANINI, RIPANTI, 2012.
38
margine di attendibilità delle ricostruzioni prodotte. In questa direzione, il “docudrama” rappresenta
uno degli esempi di applicazione “a costo zero” delle tecnologie digitali all’archeologia, dal momento
che sul piano tecnico, per ottenere un prodotto semiprofessionale, c’è bisogno solo di una
videocamera e di discrete competenze nell’utilizzo dei software di video editing. Inoltre, il
coinvolgimento in veste di attori anche di alcuni esponenti della comunità locale, oltre che degli
archeologi impegnati nello scavo, si rivelata un ottimo metodo per mantenere vivo e per potenziare
l’interesse per il progetto di scavo in corso89.
Sperimentazioni ben riuscite di questo genere documentario si inseriscono nel progetto archeologico
condotto dall’Università degli Studi di Siena a Vignale. Nel canale YouTube “Uomini e Cose a
Vignale” si trovano cinque cortometraggi girati durante le campagne di scavo degli anni 2008-201290.
L’obiettivo del progetto è stato quello di creare dei cortometraggi autoprodotti che riguardavano il
sito archeologico sviluppandone i principali temi d’interesse. Le sceneggiature, scritte perlopiù
collettivamente dal gruppo di archeologi, hanno prodotto delle “microstorie”, che prendono spunto
dalle vicende del sito e delle persone che lo hanno abitato e che sono state ricostruite secondo quello
che è il modello delle living histories (o re-enactment). Questo modello prevede la ricostruzione di
un determinato contesto storico all’interno del quale si muovono degli attori che portano in scena un
particolare evento o una specifica storia. I docudrama realizzati a Vignale non sono altro che living
histories filmate, in quanto riportano una storia ricostruita basandosi sulle fonti a disposizione e che
richiede un’attenta messa in scena91.
Anche il sito archeologico di Nora è stato lo scenario di un docudrama prodotto nel 2008 nell’ambito
del progetto denominato MARPHYS, attivato dall’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Pula,
al quale hanno partecipato anche gli Assessorati al Turismo e alla Cultura, unitamente
all’Associazione Turistica Pro Loco. Il mediometraggio “Opuliscum, un paese da sogno” è stato
realizzato dal regista Mariano Cirina e ha coinvolto un centinaio di attori, la maggior parte di età
compresa tra i 16 e i 21 anni.
Il docudrama mette in scena, nel sito archeologico di Nora, la storia dello schiavo romano Opuliscum
che, punito per aver rubato del cibo durante un banchetto, augura che l’ira degli dei si scagli un giorno
sull’impero romano. Fattasi ormai notte fonda Opuliscum si corica, si sveglia l’indomani nell’anno
2008 tra le rovine del sito archeologico di Nora scoprendo che la sua preghiera era stata esaudita. Ha
89
RIPANTI, DISTEFANO, 2013.
90
Va segnalata in particolare una playlist composta da ben 5 video che sviluppa questo genere e lo applica alla storia del
sito archeologico e del suo territorio (https://youtu.be/YrTi42kaIS4?list=PLYx_9lY_seRJgl_0fGPim1lrvQuuJzmC6).
91
ZANINI, RIPANTI, 2012.
39
inizio così un gioco di equivoci che intreccia l’anno 303 d.C. con la realtà archeologica ma anche
sociale e culturale di oggi.
Opuliscum, a differenza dei filmati precedentemente riportati, rappresenta un genere di video
narrazione comica, visti i toni paradossali e assurdi in cui sfocia in certi punti, che un filmato di
divulgazione. Infatti di scientifico possiede ben poco. Risulta, di fatto, un mediometraggio di
produzione locale, teso a valorizzare la città di Pula e di Nora, e non un esempio da perseguire ed
imitare per mettere in scena l’archeologia moderna
3.2.5 Considerazioni conclusive
Il panorama che abbiamo rapidamente delineato è solo una parte che viene programmata in
televisione, nel caso delle produzioni più importanti, proiettata nel corso di eventi o concorsi e infine
“lanciata” nel web per la pubblica diffusione. Le possibilità e le varietà di declinazione e uso sono di
sicuro più vaste di quelle che in questo paragrafo si è scelto di descrivere. Da questa sintetica analisi
dello strumento audio-visivo si intuisce, infatti, la versatilità di questo mezzo di comunicazione che
ne consente l’applicazione ad un’ampia casistica di situazioni. Permette, inoltre, di mettere in
discussione i linguaggi tradizionali e di avvicinare un pubblico sempre più numeroso, e
potenzialmente interessato, ai temi di una ricerca in atto, superando la schematica divisone tra la
documentazione rivolta alla comunità scientifica e la divulgazione per il grande pubblico.
Approfondiamo ora alcune tematiche da cui non possiamo prescindere di trattare nel parlare del
mezzo espressivo video-narrativo.
3.3 Web 2.0
In questa situazione l’impatto delle nuove tecnologie diffuse e in particolare degli strumenti di
produzione e fruizione di videocomunicazione non può non essere oggetto di riflessione. Nel breve
volgere di meno di un ventennio (che detto così sembra un tempo lungo, ma che è spesso un tempo
inferiore al completo dipanarsi di una ricerca archeologica mediamente complessa, dalla sua
40
progettazione alla sua edizione finale92), il rapporto tra archeologia e multimedialità e, soprattutto, tra
archeologia e videocomunicazione, si è sviluppato con crescente complessità.
Da un lato questo rapporto è andato nella direzione della “pervasività” della video comunicazione,
oggi appare oggettivamente improbabile progettare un museo che non utilizzi questo canale
comunicativo per aggiornare, più o meno in tempo reale, i visitatori sullo sviluppo delle attività di
ricerca, scavo e di restauro. Dall’altro lato è andato nella direzione della “democratizzazione” della
videocomunicazione legata all’archeologia in atto, che ha smesso da tempo di essere un campo di
attività per figure professionali specifiche (quelle dei divulgatori) per divenire uno degli strumenti
che ogni archeologo da campo può pensare di utilizzare. La diffusione degli strumenti di produzione
video ha trasformato anche il più refrattario degli archeologi da campo in un potenziale produttore di
cinematografia archeologica e, al contempo, ha creato una platea di potenziali fruitori per questa
produzione, costituita da un pubblico che è sempre più abituato a costruire le proprie opinioni su ogni
materia a partire dai linguaggi comunicativi audiovisuali. La rete ha fatto la sua parte creando una
serie di potenziali canali di collegamento e dando vita ad un percorso di comunicazione del tutto
nuovo. È nelle possibilità di ognuno di noi produrre informazione e accedere alla produzione di altri,
una produzione che non è vincolata da un linguaggio preciso, da tempi ridotti e da continua ricerca
dell’attenzione dello spettatore, ma misura il suo successo in termini di durata, contatti nel tempo e
di percorsi che si costruiscono in sinergia con altri segmenti della comunicazione presenti sulla rete93.
Con il passaggio al web 2.0, un termine questo apparso nel 2005 per indicare genericamente la
seconda fase di sviluppo e diffusione di Internet, caratterizzata da un forte incremento dell’interazione
tra sito e utente, pervasività e democratizzazione sono ulteriormente accresciute. Lo dimostra la
maggiore partecipazione dei fruitori, che spesso diventano anche autori (blog, chat, forum,
wikipedia), e la più efficiente condivisione delle informazioni, che possono essere più facilmente
recuperate e scambiate con strumenti peer to peer o con sistemi di diffusione di contenuti multimediali
come YouTube e l’affermazione dei social network94.
Internet consente infatti di accedere, grazie alla sua quasi infinità capacità di archivio, ad ogni tipo di
informazione, anche mala-informazione purtroppo. È doveroso aprire una parentesi su questa
questione: l’utilizzo di internet per le ricerche di qualsiasi tipo è ormai un passaggio standardizzato
del modus operandi comune, tuttavia, in una rete di condivisone virtuale in cui tutti possono essere
92
Come per esempio la stessa missione archeologica condotta dall’Università degli Studi di Padova a Nora.
93
ZANINI, RIPANTI, 2012.
94
http://www.treccani.it/enciclopedia/web-2-0/
41
produttori di conoscenza, va prestata la massima attenzione alla veridicità delle informazioni che si
reperiscono. Il controllo delle fonti, infatti, non è mai troppo!
Il grande fenomeno dei video in rete è uno dei canali con cui viaggiano le informazioni. La fortuna
della videocomunicazione nel web 2.0 è iniziata con il sito di condivisione YouTube, fondato nel
2005 da tre uomini – Steve Chen, Chad Hurley e Jawed Karim – e acquistato da Google nel 2006 per
l’esorbitante prezzo di 1,65 miliardi di dollari. Questo sito web, e altri come lui, hanno un incredibile
potenzialità per mostrare brevi documentari ad un pubblico davvero interessato, ma senza una
remunerazione finanziaria per il documentarista. Il loro successo è derivato dal fatto che postare un
video in rete è tendenzialmente semplice, bastano pochi click e, nel caso di YouTube, non serve
necessariamente avere un account. È possibile inoltre inserire il proprio prodotto video in una rete di
collegamenti già esistenti tramite i tags, ovvero parole chiave che gli utenti possono usare nel motore
di ricerca per trovare una specifica informazione. Il video può essere così inserito tra i risultati della
ricerca, in una rete molto più ampia rispetto a quella originaria. Le piattaforme web come YouTube
sono utili, inoltre, per caricare trailer di filmati che invece sarebbero molto più lunghi e complessi. In
questo modo è possibile creare interesse e stimolare la curiosità epistemica dell’utente per indirizzarlo
a scoprire qualcosa in più sull’autore o cercare informazioni su come acquistare il video completo95.
Le caratteristiche del web 2.0, quindi, completano ed enfatizzano la pervasività dello strumento video,
che ormai è parte integrante di ogni sito internet aggiornato e sempre più condiviso dagli utenti dei
social network. Allo stesso modo la rivoluzione digitale ha contribuito a creare tecnologie a basso
costo ma in grado di produrre immagini di alta qualità consentendo, a chiunque sappia usare un
software per il montaggio video e abbia un minimo di conoscenza delle regole di composizione
dell’immagine, di riprendere e pubblicare documentari a basso costo.
Nonostante la democratizzazione della strumentazione, molti archeologi sembrano ancora riluttanti
ad usare questa forma di pubblicazione e divulgazione delle loro ricerche o a collaborare attivamente
con chi produce documentari. In genere dimostrano un atteggiamento passivo nel cercare di realizzare
un documentario che tratti del loro progetto di ricerca: sembra quasi aspettino che Ken Burns96, o uno
dei suoi colleghi, bussi alla porta del loro studio. La verità è, invece, che siamo letteralmente cresciuti
davanti il piccolo schermo della televisione. Nelle ultime decadi, e ancora di più oggi con l’uso di
95
PEPE, ZARZYNSKY, 2012, pp. 47-49.
96
Kenneth Lauren "Ken" Burns, nato a New York il 29 luglio 1953, è un regista statunitense noto per i suoi documentari
realizzati utilizzando materiale fotografico d'archivio. È soprattutto noto per la sua capacità di "dar vita" alle fotografie
grazie a lente zoomate sui soggetti presenti nelle fotografie stesse. Questa tecnica, disponibile oggi su molti software di
montaggio video e presentazione foto, è chiamata effetto Ken Burns.
42
Internet, il documentario come mezzo audio-visivo ci ha intrattenuti, informati e permesso di
esplorare luoghi sconosciuti che prima potevamo solo sognare di visitare. Pertanto, dove siamo noi,
in quanto archeologi, in questo processo? Dovremmo essere una componente integrante in un team
di produzione video documentaria. Dopo tutto chi meglio dell’archeologo inserito in un progetto può
conoscere il contenuto della ricerca?97. Non possiamo sfuggire dai media; sono tutti intorno a noi,
permeano le pratiche attraverso le quali la nostra intelligibilità del mondo traspare. Non possiamo
fermare questa mediazione: non ha spegnimento; vive e nutre la nostra necessità di comunicare; non
possiamo sfuggire dai media98.
3.4 Storytelling
Quasi tutti gli archeologi veterani, indipendentemente dal loro principale argomento di studio,
avranno esclamato, almeno una volta nel corso della loro carriera professionale, “questo progetto
archeologico sarebbe un grandissimo documentario!”. Commenti che probabilmente erano corretti.
Molti archeologi hanno, infatti, progetti degni di nota e affascinanti che implorano di essere raccontati
e interpretati in una grande varietà di modi. Molto spesso i risultati dei loro studi vengono trasmessi
sotto forma di rapporti, papers professionali, conferenze pubbliche, articoli in pubblicazioni popolari
e siti Internet. Invece, raramente un regista bussa alla porta di un archeologo perché interessato a
produrre un documentario su un progetto di ricerca in corso, a meno che non si tratti di un argomento
di altissima considerazione. Per lo stesso motivo molti archeologi non sanno dove andare per trovare
un regista di documentari formato con cui collaborare99.
Alla narrazione (storytelling in lingua inglese) dell’archeologia viene dunque prestata meno
attenzione di quello che meriterebbe. Essa può essere definita come l’arte di saper raccontare e
l’archeologo è un narratore naturale, il primo per eccellenza, poiché possiede la storia dentro la storia,
ovvero può raccontare come si è giunti alla sua spiegazione speculativa nei libri. Narrare come la
scoperta di un reperto, di una struttura, di un monumento, di un sito archeologico, ecc. ha consentito
e contribuito a ricostruire il passato, può educare coinvolgendo e appassionando il pubblico. Lo
97
PEPE, ZARZYNSKY, 2012, pp.15.
98
CLARK, BRITTAIN, 2007, pp. 15.
99
PEPE, ZARZYNSKY, 2012.
43
storytelling indossa, indirettamente, anche le vesti di uno strumento di marketing che rende
accessibile e comprensibile a tutti l’intero processo di scoperta e conoscenza.
Lo stesso cinema documentario – l’arte cioè di creare un film di non finzione, un video o un
programma televisivo di cronaca su un evento, una persona o un gruppo di persone – è invero tutta
una questione di narrazione potente ed emozionale. La regista documentaria Sheila Curran Bernard
ha scritto “a good documentary confounds our expectation, pushes boundaries, and takes us into
worlds – both literal worlds and worlds of ideas – that we did not anticipate entering” 100.
Lo storytelling affonda le sue radici nella prima metà del 1900 quando alcuni autori cominciarono a
considerare la possibilità di raccontare il mondo mediante nuovi mezzi espressivi. Abraham (Aby)
Moritz Warburg, fu tra questi. “Amburghese di cuore, ebreo di sangue e d’anima fiorentino”, come
egli stesso si definiva, fu un museologo, ricercatore e filosofo nato ad Amburgo il 13 giugno del 1866
e morto, nella stessa città, il 26 ottobre del 1926. Il suo ultimo progetto fu Mnemosyne, un atlante
figurativo composto da una serie di tavole contenenti un migliaio di fotografie sapientemente
composte, assemblate e corredate da testi esplicativi. Le immagini erano l’oggetto privilegiato di
studio di Aby Moritz Warburg che le considerava un modo immediato di “dire il mondo”, un luogo
in
cui
più
direttamente
si
condensava
l'impressione e la memoria degli eventi.
Nell'Atlante la giustapposizione di immagini,
impaginate in modo da tessere più fili tematici
attorno ai nuclei e ai dettagli di maggior rilievo,
creava campi di energia e provocava lo spettatore
a un processo interpretativo aperto: “la parola
all'immagine”101.
Un altro passo in questa direzione venne fatto da
Andrè Malraux (Parigi, 3 novembre 1901 –
Créteil, 23 novembre 1976) con la sua idea di un
museo immaginario, il museo “senza mura” in
cui, accanto all’opera d’arte originaria, venivano
Figura 10 - Andrè Malraux
raccolte immagini e storie che ad essa erano legate
(fig. 10).
100
“Un buon documentario confonde le nostre aspettative, forza i confini, e ci porta dentro mondi – sia il mondo letterale
sia il mondo delle idee – in cui non avevamo previsto di entrare” (BERNARD, 2007 pp. 3-4).
101
44
http://www.engramma.it/eOS2/atlante/
Erano queste le prime riflessioni su un nuovo modo di diffondere la cultura e di fare divulgazione
attraverso la narratività. Negli ultimi anni questa tendenza è andata sempre più diffondendosi in varie
discipline e oggi si avvale anche di strumenti innovativi di comunicazione che mettono in discussione
i linguaggi tradizionali. Infatti, se “suggerire” alcuni temi di una ricerca in atto ad un pubblico
potenzialmente interessato, ma non formato da specialisti, è relativamente semplice, ben più
complesso può risultare costruire un video che si
proponga di “raccontare” un sito archeologico
secondo un approccio “scientifico”. In questo caso occorre interrogarsi su quale sia il linguaggio
appropriato. Non è consigliabile usare un lessico comunicativo “ristretto” come quello dei
documentari, che semplificherebbe i contenuti esposti rendendoli inadeguati per far capire agli
specialisti la complessità degli argomenti trattati. Allo stesso modo non sarebbe possibile utilizzare il
linguaggio scientifico delle pubblicazioni specialistiche. Un conto è leggere di Unità Stratigrafiche e
periodizzazioni storico-topografiche in una pubblicazione a stampa, un altro è sentire una voce che
ne parli. La quasi totalità delle pubblicazioni archeologiche è sviluppata attraverso un linguaggio
impersonale, denso di termini gergali che hanno lo scopo primario di inserire il lavoro che si presenta
all’interno di un filone di lavori simili, piuttosto che quello di spiegare in maniera fluente e più
comprensibile la propria ricerca.
Ciò non significa, tuttavia, che il video è un mezzo espressivo incompatibile con l’esposizione di un
contenuto scientifico, ma semplicemente che necessita di nuovi livelli comunicativi 102 . Usando
diversi mezzi di comunicazione siamo in grado di trasmettere messaggi altrettanto diversi in vari
modi, incidendo sul contesto dell'interpretazione, nonché elaborazione e riformulazione dei contenuti
per il consumo. Come professionisti in archeologia, e come membri della società, abbiamo la
responsabilità dell’impatto culturale del nostro lavoro. Un'analisi critica del rapporto tra l’archeologia
e i media è una parte essenziale di questa consapevolezza proattiva. Chiaramente, questa forma di
comunicazione raggiunge un pubblico che si estende ben oltre quello della maggior parte dei libri di
testo universitari. Questo si nota nella reazione positiva del pubblico: un pubblico vigile, incuriosito,
e reattivo ha un valore inestimabile! Tuttavia, come è già stato detto, la traduzione di testi accademici
da parte dei media per un pubblico di massa è spesso rimproverata perché semplifica troppo una
ricerca dettagliata e complessa rivelandosi infine poco accurata. In effetti, tradizionalmente il mondo
accademico e della scienza è sempre stato separato da quello della divulgazione e della non-scienza,
entrambi posti in competizione tra loro. In questa bipartizione il flusso di informazioni risulta
unidirezionale: dalla sommità della cultura “alta” all’inferiorità della cultura “bassa”, dal mondo
accademico a quello popolare. Ne risulta che adeguarsi a quest’ultimo viene considerato come un
sacrificio di autorità e di erudizione, e quindi irrilevante per progredire. Tuttavia la realtà è ben più
102
ZANINI, RIPANTI, 2012.
45
complessa: si snoda attraverso una circolarità di idee ricorrenti che interagiscono con i diversi livelli
di comunicazione piuttosto che secondo un semplice passaggio lineare di informazione dall’alto verso
il basso.
La comunicazione pubblica di archeologia richiede l'arte dello storytelling, ma anche il linguaggio
formale della scrittura accademica racconta un tipo di storia, una storia che risponde alle esigenze
professionali all'interno della comunità archeologica. Il livello superficiale è la trasmissione dell'idea.
Ma quando tale idea viene trasmessa come una narrazione al pubblico, non è necessariamente un tipo
di narrazione diversa da quella presentata nel testo professionale: ciò che differisce è il livello di
riferimento scelto per raccontare quella storia. Il modo in cui si racconta una storia avrà un impatto
significativo sul risultato, ovvero sulla produzione di conoscenza. C'è una vasta letteratura sulla
comunicazione e la comprensione pubblica della scienza che ha cercato di fare i conti con questo
problema. Invece di definire una rigida distinzione tra narrazione della scienza e narrazione per la
divulgazione, è possibile individuare quattro tipi di testi scientifici disposti lungo un continuum
scorrevole (fig. 11):
1. intra-specialistico: caratterizzato da pubblicazioni accademiche specializzate, supportate con
dati empirici, teorie di esperti, e riferimenti ad altre opere importanti;
2. inter-specialistico: che comprende quei testi e documenti che collegano tra loro
specializzazioni accademiche connesse;
3. pedagogico: cioè la comunicazione attraverso il libro di testo in cui vengono presentate le
teorie completate e i paradigmi, tutto viene impostato in una prospettiva di progressione della
disciplina;
4. popolare: in cui immagini caratteristiche e metafore analogiche vengono presentate dalla
stampa e trasmesse dai documentari.
Queste differenze graduali negli stili e nei contesti di comunicazione e ricezione emergono lungo un
continuum come un flusso di trasmissioni di idee tra livelli intermedi di comunicazione. Muovendosi
lungo questo flusso si vedranno diminuire i riferimenti alle metodologie per la raccolta di dati, o le
discussioni dettagliate sui fenomeni empirici e le distinzioni tipologiche, o le caratteristiche della
composizione del suolo e delle matrici; aumenteranno invece i riferimenti alla rilevanza storica della
ricerca, anche in confronto ad altre simili. Allo stesso modo, discussioni specifiche e quantitative
lasciano spazio a narrazioni ampie e qualitative. Va segnalato che il flusso di informazioni tra i livelli
del continuum non è necessariamente scorrevole o senza difficoltà. Una serie di barriere possono
ostacolare il flusso: per esempio alcune teorie, o dettagliati aspetti del sapere, possono essere meno
adatti rispetto ad altri per la diffusione attraverso i media, così come i vincoli specifici di certi mezzi
di comunicazione possono portare un certo tipo di informazione ad essere più idonea ad un medium
46
Figura 11 - Modello di comunicazione scientifica come un continuum comunicativo (CLARK, BRITTAIN, 2007).
piuttosto che ad un altro. È più importante, comunque, sapere che qualcosa si è verificato piuttosto
che conoscere le minuzie del verificarsi in sé.
Le implicazioni di questi argomenti per la comunicazione come un continuum aprono diverse vie di
discussione. Innanzitutto, l’uso dello strumento video consente di superare i problemi di
delimitazione tra ciò che costituisce scienza e non-scienza. In secondo luogo, i confini tra gli ambiti
disciplinari sono fluidi per consentire intersezioni tra diverse considerazioni e approcci a questioni
specifiche. In terzo luogo, la natura ricorsiva della comunicazione archeologica risulta aperta sia per
l'analisi che il consumo. La produzione di conoscenza può cominciare non solo al livello superiore di
una gerarchia di stadi comunicativi, ma potrebbe essere concepita in una qualsiasi delle fasi attraverso
le quali numerose forme di conoscenza vengono trasferite in ogni momento. I media si insinuano tra
i livelli del continuum, non come un facilitatore di icone di verità tra i due mondi opposti della
comunicazione scientifica e della divulgazione, ma come una parte della pratica archeologica
stessa103.
Se registrando immagini in movimento, il video ci restituisce la più semplice espressione di un
processo in forma narrativa, allora è lecito usare questo medium e questa forma per parlare di un
103
CLARK, BRITTAIN, 2007, pp. 30-34.
47
scavo ad altri archeologi, o non archeologi. Una cornice e una forma narrativa non solo non
pregiudicano la trasmissione dei contenuti al livello di approfondimento necessario per il pubblico a
cui vogliamo rivolgerci, ma aiutano anche ad arrivare alla costruzione della realtà. Un altro elemento
che aggiunge qualità alla narrazione è il dialogo. Attraverso lo scambio di opinioni è possibile
contestare o supportare un argomento partecipando così alla creazione di una nuova conoscenza.
Quando persone diverse sono d’accordo, lo sono da punti di vista differenti e per questo continuano
a rappresentare posizioni differenti. Applicando tutto questo all’archeologia vediamo che i singoli
elementi che formano il paradigma indiziario che l’archeologo deve sviluppare all’inizio della
riflessione sono slegati, delocalizzati. L’unico modo per metterli insieme e arrivare a formulare
un’ipotesi plausibile è quella di contestualizzarli e di dare loro significato all’interno di un sistema di
valori. Per fare questo, anche inconsapevolmente, l’archeologo è portato a creare una storia, ad usare
la narratività per dare a ciò che ha scavato un’ambientazione spazio-temporale. Riuscire a raccontare
una storia sulle tracce archeologiche che sono state scavate è il segno del successo del lavoro
compiuto. Non è più solo un modo di presentare il lavoro, ma rappresenta il culmine di quello che si
è imparato o capito104.
Sulla tema dello storytelling si è discusso anche durante la seconda edizione di TourismA – Salone
internazionale dell’Archeologia, che si è svolta nel Palazzo dei Congressi a Firenze tra il 19 e il 21
febbraio 2016. Alcuni spunti di riflessione interessanti sulla narrazione sono rappresentati dai progetti
Izi.Travel e ScavaStorie.
Izi.Travel105 è una piattaforma aperta, globale e gratuita dedicata allo storytelling, una via di mezzo
tra Facebook e Wikipedia, come loro stessi di definiscono. L’attività che viene svolta con questa
piattaforma si basa principalmente sulla volontà di aiutare le organizzazioni dei settori cultura,
patrimonio e turismo nel portare in vita gli elementi della loro cultura e della loro storia, promuovendo
contemporaneamente l’attività degli operatori turistici. Un ulteriore scopo perseguito è quello di
rendere le visite a musei e a città molto più entusiasmanti e istruttive, per ogni genere di turisti, grazie
alla narrazione. Izi.Travel è anche un’applicazione che è installabile sulla maggior parte degli
smartphone, un’audioguida che consente di riprodurre audio, video e di visualizzare immagini di alta
qualità e mappe. Le audioguide mobili dispongono di comandi più estesi e sono in grado di
determinare la posizione dell'utente in caso di necessità, riprodurre i file multimediali corrispondenti,
stabilire una connessione a Internet ed eseguire gli aggiornamenti richiesti. Per quanto buona possa
104
ZANINI, RIPANTI, 2012.
105
https://izi.travel/it
48
essere un'audioguida, tuttavia, essa non potrà mai rimpiazzare una guida in persona: una storia
raccontata a voce da una persona in carne e ossa coinvolge maggiormente di una storia registrata.
Izi.Travel da quindi la possibilità ad ognuno di noi di raccontare una storia istruttiva su un elemento
del patrimonio culturale, nella convinzione che “una buona storia è per sempre”. Scrivere una storia
ambientata nel passato consente di affrontare un argomento da molteplici punti di vista e rendere il
contenuto del messaggio accattivante per molte persone.
Un altro esperimento di storytelling partecipativo è il progetto Scavastorie 106 in cui le guide
d’eccezione sono i reperti archeologici dell'area archeologica di Massaciuccoli. Recuperati durante i
recenti scavi dell'edificio romano di Via Pietra a Padule, gli oggetti chiusi nelle vetrine diventano
“parlanti", protagonisti di storie plausibili, anche se totalmente inventate, in cui forniscono una
possibile spiegazione di come e perché siano finiti lì dove gli archeologi li hanno trovati dopo quasi
2000 anni. Ciascun reperto è illustrato non da tradizionali didascalie, ma da due brevi filmati: nel
primo, il manufatto viene raccontato dal punto di vista di un archeologo che presenta i dati oggettivi,
mentre nel secondo assistiamo alla storia di cui quell'oggetto è stato testimone, o protagonista
involontario, affidandoci alla ricostruzione di “fantasia” delle video-storie. Il visitatore, quindi, oltre
alla "biografia segreta", ha a disposizione la "scheda dell'archeologa", in cui con un linguaggio
divulgativo, ma rispettoso del gergo tecnico e della realtà storica, un'archeologa fornisce tutte le
informazioni tecniche connesse al reperto (contesto di rinvenimento, cronologia, confronti, tipo,
forma, area di produzione, ecc.), insomma, quella che è la "voce" dell'archeologia in merito
all'oggetto. Viene sottolineato in questo modo che non vengono scavati solo oggetti ma vengono
riportate alla luce vere e proprie storie.
Per narrare una buona storia è necessario prestare attenzione ad alcune accortezze:
1. innanzi tutto bisogna definire l’oggetto e il punto di vista da cui lo si racconta, è necessario
tenere in considerazione il pubblico a cui ci si sta rivolgendo e di conseguenza adottare un
ritmo di narrazione e un livello di comunicazione idoneo;
2. la storia che si costruisce dev’essere breve e non troppo complicata: il messaggio dev’essere
efficace altrimenti perde di significato, in alcuni contesti vale infatti la regola the less is more;
3. quando è possibile, la stimolazione dei vari sensi, vista, udito, tatto, consente di coinvolgere
maggiormente lo spettatore;
4. utile è la personalizzazione della storia e la creazione di un contenuto emotivo;
106
http://www.scavastorie.flazio.com
49
5. infine non dobbiamo dimenticare che la storia che si sta narrando ha un destinatario e sta
all’emittente del messaggio interagire con l’ascoltatore.
In conclusione lo strumento video può avere una declinazione multipla che in generale va nelle due
direzioni della documentazione visiva, anche di carattere scientifico, e della divulgazione culturale.
In entrambi i casi si tratta di uno dei modi migliori per l’archeologo, o le organizzazioni dei settori
culturali, di informare il pubblico relativamente i propri progetti di ricerca. Qualche volta gli
archeologi falliscono quando è il momento di presentare i risultati delle loro ricerche. È stato stimato
che circa il 60% dei moderni scavi archeologici resta non pubblicato fino a 10 anni dopo la
conclusione dei lavori. È un comune ritornello, all’interno della comunità archeologica, che lo stesso
processo di scavo (il quale resta il metodo principale per la raccolta dei dati archeologici) è distruttivo
per natura. Gli archeologi hanno quindi una grandissima responsabilità professionale nel riportare i
risultati delle loro ricerche da campo e di farlo in molti modi così da massimizzare la diffusione delle
informazioni agli esperti e alla comunità. Senza dubbio, il tipo di sensibilizzazione pubblica che
raggiunge il maggior numero di persone e che ha anche il grande potenziale di informare con l’effetto
speciale del “fattore-wow” è il genere di produzione audiovisiva documentaria. Si tratta, invero, di
una storia che ha trovato il suo storyteller. Qualche anno fa il Prof.re Pat Aufderheide (American
University), produttore di documentari, ha scritto “I belive the role of the filmmaker will be
increasingly to work in collaborative partnerships with people who have great stories to tell,
passionate convictions, [and] inside access” 107 . Il paradigma archeologo come produttore di
documentari sembra essere una scelta naturale108.
107
AUFDERHEIDE, 2006.
108
PEPE, ZARZYNSKY, 2012.
50
4 - NORA: IL CASO STUDIO
“L’archeologia è una disciplina estremamente pratica che si caratterizza per
studiare oggetti concreti a scopo di ricostruzione storica. Tutti i reperti vanno
forzati ad essere parte di una storia avente per protagonisti gli uomini e il loro
vivere in società. Inevitabilmente l’archeologo ne sarà il regista: attribuisce le
parti ai vari interpreti, organizza una trama, suggerisce un finale e, talvolta, una
morale. Per fare questo, se non un copione già scritto, serve almeno un
canovaccio o un’idea. Senza idee non si fa storia (e non si girano film).”
– ENRICO GIANNICHEDDA
Prima di procedere con il capitolo esplicativo relativo alla realizzazione del documentario, progetto
di questa tesi, ho ritenuto opportuno dedicare un capitolo introduttivo al sito archeologico di Nora.
Allineandomi all’efficace similitudine proposta da Enrico Giannichedda nel suo manuale di
Archeologia teorica109, considero utile e quasi necessario, riassumere, nel modo più completo ma al
contempo sintetico possibile, i punti salienti che contribuiscono a formare il “canovaccio” della storia
di Nora e delle ricerche ad essa inerenti. Senza conoscere il percorso delle idee che hanno portato alla
ricostruzione storica di questa città non sarebbe possibile comprendere le motivazioni che ci hanno
indotto a scegliere questa città antica come scenario per documentare il lavoro dell’archeologo.
109
GIANNICHEDDA 2011.
51
4.1 Storia degli scavi
Il più antico scrittore di storia sarda dopo il medioevo, lo Arquer, circa nella metà del Cinquecento,
accenna brevemente a Nora come ad una città non più esistente di cui non conosce nemmeno
l’ubicazione. Alcuni anni dopo di lui, nel 1580, J. Fara, in una descrizione geografica della Sardegna
ben più precisa, parla delle rovine di Nora e ne distingue i vari edifici: aquaedoctus sumptuosus,
theatrum, moenia, balnea et plurima aedificia semidiruta. L’immenso campo di rovine, in cui si era
trasformata la città morta, dovette essere a lungo saccheggiato da muratori, da tagliapietre, poi anche
da cercatori di oggetti per conto d’antiquari e collezionisti. Per esempio, come riporta G. Spano, il
villaggio di Pula, posto a 3 chilometri a nord di Nora, fu costruito con materiali prelevati dalle rovine
della città antica e i privati abbellirono le loro abitazioni con pezzi di mosaici.
I primi ad operare nella penisola per finalità culturali furono i due pionieri degli studi archeologici in
Sardegna, G. Spano e A. Della Marmora. Il primo fece un piccolo saggio di scavo nell’area della
necropoli, il secondo convalidò l’ubicazione, già affermata dagli storiografi sardi che lo avevano
preceduto, e rilevò, con qualche lieve inesattezza, la pianta topografica del teatro110.
Ma il primo scavo sistematico avvenne solo tra la fine del XIX sec. e l’inizio del XX sec., in seguito
ad un episodio fortuito. In una notte del marzo 1889, una tempesta di mare diseppellì, in località
Sant’Efisio, un luogo ricco di stele e di olle contenenti avanzi combusti. F. Vivanet dette avviò allo
scavo ritenendo di aver scoperto una necropoli ad incinerazione, addirittura la più antica della
penisola. A partire da quel momento, la scoperta delle necropoli di Nora divenne l’obiettivo principale
delle ricerche che seguirono.
Il geometra F. Nissardi, conservatore delle antichità, si votò alla loro identificazione, e
successivamente l’archeologo G. Patroni le qualificò come Tophet. (fig. 12). Quest’ultimo proseguì
gli scavi individuando il Tempio di Tanit, un’opera sul promontorio del Coltellazzo, alcune opere
portuali e altri piccoli resti che confermavano l’importanza e la ricchezza della città antica. Pensarono
lo stesso gli amatori privati che, conclusi gli scavi, ripresero la ricerca ossessiva di “tesori”.
Il tempo e le intemperie seppellirono nuovamente la penisola di Nora tanto che G. Pesce,
Soprintendente alle Antichità della Sardegna, racconta che nel 1949 la città altro non era che un
campo coltivato a grano. Gli unici ruderi visibili erano la cavea del teatro e il complesso dei muri in
laterizio delle “terme a mare”. A G. Pesce risale il merito di aver riattivato gli scavi di Nora con una
110
52
PESCE, 1972.
nuova e organica campagna durata 8 anni (dal 1952 al 1960) che restituì 30.000 m2 di superficie
coperta di antichi ruderi (fig. 13). L’obiettivo era rendere Nora un sito archeologico visitabile111.
Figura 12 - Tophet di Nora, scavi di G. Patroni del 1889 -1890
(Archivio storico Soprintendenza Archeologica della Sardegna).
Figura 13 – Fotografia del Tempio Romano scattata dal Teatro. Scavi diretti da G. Pesce
(Archivio storico Soprintendenza Archeologica della Sardegna).
111
CHIERA, 1978.
53
Nel 1990, dopo una serie di limitati sondaggi per chiarire alcune situazioni particolari, ha avuto inizio
la nuova stagione degli scavi di Nora grazie all’impegno di cinque Università (Genova, Milano,
Padova, Pisa, Viterbo), al coordinamento della Soprintendenza archeologica di Cagliari e Oristano e
alla cooperazione con il Comune di Pula. La finalità è stata fin dall’inizio quella di ricostruire, nelle
sue linee generali, la storia e la cultura di una grande città della Sardegna antica, mettendo a
disposizione competenze diverse e tutte ugualmente necessarie per il conseguimento dei risultati
attesi112.
L’impegno dell’Università di Padova a Nora, dal 1990 ad oggi, si è articolato in momenti e forme
diversi per intensità, strategie, risorse umane ed obbiettivi. Fino al 1996, l’impegno si è limitato alla
partecipazione di alcuni studenti nel quadro della Missione unitaria, che operava esclusivamente nel
quadrante occidentale della città antica con dichiarate prevalenti finalità didattiche. Dal 1997, venute
a cadere certe restrizioni di indagine suggerite dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici, l’Ateneo
di Padova ha dato vita ad una nuova fase del suo impegno a Nora selezionando come spazio urbano
di propria prioritaria attività il settore orientale della città antica, rappresentato dal complesso del
Foro113 e, dal 2008, del Tempio romano. Infine, dal 2012, un ulteriore impegno dell’Ateneo patavino
è costituito dalla ripresa, dopo oltre cent’anni, delle indagini presso l’area già occupata dalla Marina
militare al centro della penisola, dove, come noto, una vasta necropoli a camera venne rimessa in
evidenza nei decenni finali del XIX secolo.
La strategia di scavo adottata prevedeva l’analisi in estensione spaziale e in profondità stratigrafica
dei settori di scavo per ottenere ricostruzioni diacroniche dell’evoluzione insediativa del centro
norense114. In questo modo è stato possibile ricostruire il succedersi, per circa 1600 anni, di episodi
di presenza umana che va dai contatti tra popolazioni fenicie e le comunità nuragiche della prima età
del Ferro fino alla destrutturazione dell’abitato in epoca altomedievale.
Quest’idea di uno studio globale di una città non riguarda solo la dimensione e la profondità
cronologica dell’insediamento, ma pure la sua estensione spaziale, funzionale e relazionale. Per
questo motivo l’Università di Padova si è mossa ad osservare la città e la sua vita anche da prospettive
e da luoghi diversi da quelle, pur basilari, dello scavo, rivolgendosi particolarmente a studiare le
forme di interazione tra la comunità antica e le risorse ambientali, ritenuti fattori decisivi per la vita
e lo sviluppo dell’insediamento. In quest’ottica, oltre al già delineato progetto Noramar, va segnalato
112
BEJOR, BONDÌ, GHEDINI, GIANNATTASIO, GUALANDI, TRONCHETTI, 2003.
113
Lo scavo è stato edito in cinque volumi con la vasta partecipazione di quanti avevano partecipato allo scavo e di altri
studiosi: BONETTO, GHIOTTO, NOVELLO, 2009.
114
54
Scelta che ripete, pur con rinnovate metodologie, la filosofia del citato e troppo spesso svalutato Gennaro Pesce.
lo studio sulla gestione della risorsa idrica nella città attraverso il riesame di tutti i manufatti dedicati
all’approvvigionamento e alla conservazione dell’acqua nelle case e negli altri edifici cittadini.
D’impatto pure significativo è stato l’aver avviato l’analisi delle forme di sfruttamento delle risorse
lapidee per la crescita dei complessi architettonici cittadini. È così iniziato nel 2009 lo studio del
contesto spaziale e archeologico della penisola di Is Fradis Minoris, posta ad ovest della penisola
della città antica, dove sono state compiute estese campagne di rilievo diretto strumentale di tutte le
tracce di tagliate antiche presenti, e dell’area estrattiva lungo il litorale orientale della penisola115.
Ulteriori punti di forza della missione archeologica padovana sono state la didattica,
l’interdisciplinarietà e l’attenzione rivolta alla tutela, alla valorizzazione ma anche alla divulgazione
dei risultati di scavo.
L’attività didattica ha coinvolto negli anni più di 150 studenti, italiani e stranieri, i quali, per più
settimane all’anno, hanno svoto presso gli scavi la loro attività pratica e di tirocinio. Anno dopo anno
agli studenti sono state impartite nozioni di base e avanzate della professione dell’archeologo da
campo fornendo insegnamenti differenziati rispettivamente a quanti partecipavano per la prima volta
alle attività e a quanti prendevano avanzata confidenza con i ferri del mestiere per assumere ruoli di
sempre maggiore responsabilità con il passar degli anni. In questo quadro di progressiva maturazione
degli allievi, a molti tra i più capaci e costanti sono state affidate tesi di laurea e di specializzazione,
e gli stessi sono stati poi coinvolti nella redazione dei rapporti scientifici dello scavo. Per questo
percorso di crescita e di selezione un ruolo importante hanno svolto anche le attività che seguono lo
scavo in ciascuna campagna, articolate in seminari e incontri di elaborazione dei dati organizzati
periodicamente a Padova presso i Laboratori di Archeologia. Così a Nora è stato possibile vivere
quell’intreccio, spesso auspicato ma non sempre realizzato, di didattica e ricerca in cui da un lato i
docenti hanno trasferito agli studenti i frutti dello studio e dei risultati delle indagini precedenti, e
dall’altro gli stessi studenti hanno per anni convertito la propria attività di apprendimento in modalità
principale di fare ricerca. Questo continuo fluire circolare di conoscenze, lavoro e apprendimento ha
rappresentato uno dei motivi di grande sforzo organizzativo e didattico, ma anche di perseguire
l’arduo obiettivo di fare ricerca educando ed educare facendo ricerca.
Ma il fascino dell’esperienza didattica (e scientifica) a Nora risiede anche nel fatto che nei diversi
cantieri della città hanno a lungo operato, opportunamente “miscelati”, studenti delle diverse
Università in uno scambio proficuo di esperienze, di metodi e di prassi formative, così da permettere
a ciascuno, da un lato, di interagire coi propri colleghi giovani sul campo umano e scientifico, e,
dall’altro, di assorbire da docenti diversi dal proprio modi di operare e conoscenze. La felice riuscita
di questa operazione ha consentito di sviluppare l’interdisciplinarietà, anche verso ambiti di studi
115
BONETTO, GHIOTTO, 2013.
55
diversi da quello archeologico, che è propria della disciplina e che risulta necessaria per lo studio di
una città a continuità di vita.
Infine, all’impegno sul fronte della didattica e della ricerca, si è aggiunto anche quello dedicato ai
piani di valorizzazione e tutela del sito116. Tra fasi positive e battute d’arresto è stato possibile avviare
il restauro dei mosaici, promuovere interventi rivolti ad arrestare i processi di degrado117 e conferire
piena leggibilità dei monumenti antichi. Per esempio, i comparti della città che erano stati sottoposti
a lunghe campagne di scavo avevano sviluppato enormemente le conoscenze loro relative, ma
avevano pure compromesso sia lo stato di conservazione dei resti sia la già modesta loro leggibilità
dopo gli spogli tardoantichi e medievali. Per questo motivo sono state eseguite opere di
consolidamento sul tempio affacciato sulla piazza, sullo spazio aperto e sugli edifici circostanti il foro
e sul Tempio romano che hanno ridato sicurezza statica alle strutture e hanno puntato alla
ricostituzione dei piani d’uso attraverso l’utilizzo di ghiaini differenziati per cromatismo e tessitura
(fig. 14) al fine di accrescere quelle potenzialità di fruizione che deve essere uno degli obiettivi anche
di chi è preposto alla ricerca scientifica118.
Figura 14 - L'area del foro romano dopo l'intervento di consolidamento e sistemazione con ghiaini a colorazione
differenziata (BONETTO, 2011).
116
Per approfondimenti vedi MINOJA, 2001; ROMOLI, 2011.
117
Tra questi anche quelli promossi dal già citato progetto Noramar.
118
BONETTO, 2011.
56
Di tutta l’attività formativa e di ricerca finora riassunta sono esito le pubblicazioni edite dall’Ateneo
di Padova e dagli altri quattro Atenei coinvolti 119 . Ai numerosi rapporti preliminari degli scavi,
raccolti prima nei Quaderni della Soprintendenza agli studi miscellanei di Ricerche su Nora I e II si
è affiancata più recentemente la collana dei Quaderni Norensi120 e una serie assai nutrita di quasi 400
studi che affrontano temi d’architettura, di cultura materiale, di territorio e che rendono l’idea
dell’attività della Missione intera. L’attività divulgativa viene effettuata non solo attraverso queste
pubblicazioni, ma anche nel corso di conferenze e seminari. Si tratta, tuttavia, pur sempre di testi e
interventi destinati alla comunità scientifica, per tanto poco chiari e accattivanti se rivolti al grande
pubblico e alla folla di turisti che ogni anno visita il sito di Nora.
Le prime iniziative di divulgazione rivolte alla popolazione ebbero inizio nel 1982 con la rassegna di
poesia e teatro “La notte dei poeti”, proseguirono nel 1985 con l’inaugurazione a Pula del Museo
Comunale Giovanni Patroni e continuano tutt’oggi con la manifestazione culturale Pularchaios121,
giunta nel 2015 alla sua XI edizione, che organizza spettacoli teatrali, conferenze archeologiche,
visite agli scavi in corso e si conclude con un banchetto rievocativo dei gusti enogastronomici romani,
il “Romanum Convivium”. L’università degli Studi di Padova si è inserita in questo contesto
sperimentando l’utilizzo delle nuove tecnologie per la fruizione turistica 122 , inizialmente con il
progetto NORACE e poi con il progetto ArcheoPad Nora, e condividendo le informazioni più
aggiornate sugli scavi anche nei social network123.
Il gran lavoro svolto, sintetizzato in questo paragrafo, ha reso Nora uno dei centri più accuratamente
indagati della Sardegna antica e un enorme serbatoio di conoscenze urbanistiche e architettoniche. La
varietà degli studi intrapresi e dei metodi applicati lo conferma, inoltre, in quanto fertile campo per
l’applicazione sperimentale dello strumento di divulgazione audio-visivo in esame.
119
Un’immagine eloquente dello sforzo prodotto viene trasmessa da una silloge che raccoglie tutte le pubblicazioni della
Missione archeologica di Nora tra il 1990 e il 2010: FALEZZA, SAVIO 2011.
120
A cui si rimanda per approfondimenti: codice identificativo della collana ISSN 2280-983X.
121
Organizzata dal Comune di Pula, Assessorato alla Cultura, Turismo e Spettacolo con decorrenza annuale in
concomitanza con le missioni archeologiche.
122
Per approfondimenti si rimanda all’articolo di L. SAVIO in corso di stampa sulla rivista Quaderni Norensi VI (SAVIO,
c.d.s.) e alla tesi di laurea magistrale SAVIO, 2013-2014.
123
Nel 2013 è stata attivata la pagina Facebook “Ricerche archeologiche a Nora - Università degli Studi di Padova”:
https://www.facebook.com/scavidinora/?fref=ts
57
4.2 Situazione geografica e topografica
L’antica città di Nora sorgeva sopra una lingua di terra, protesa sul mare e terminante con un’alta
rupe, oggi chiamata Capo di Pula, nella costa meridionale della Sardegna. La sua posizione geografica
è 38° 59’ 1’’ di latitudine nord e 3° 26’ di longitudine ovest dal meridiano che passa per Monte Mario.
Si trova a sud ovest di Cagliari e dista da questa circa 32 chilometri (fig. 15).
Fig. 1. Carta storica della Sardegna in età romana. Nora è situata all’estremità sud-occidentale del golfo di Cagliari,
Figura 15 - Carta storica della Sardegna in età romana. Nora è situata all’estremità sud-occidentale del golfo di
Cagliari, lungo la costa meridionale dell’isola (TALBERT,2000).
58
L’identificazione di Nora con il Capo di Pula non si ricava dall’antica letteratura, i cui testi danno
solo indicazioni vaghe, ma è fondata sopra i seguenti due elementi: il primo si riferisce all’agiografia
di Sant’Efisio che, secondo la tradizione religiosa, sarebbe stato martirizzato a Nora e sepolto là, nel
punto dove fu poi elevata una chiesetta (ancora oggi esistente) presso la stretta lingua di terra che
unisce il territorio di Pula al promontorio urbano (fig. 16); il secondo si riferisce al rinvenimento,
nello stesso luogo, di un’iscrizione, posta su una basa consacrata a Iuno, datata al I sec. d.C. e dedicata
a Favonia Vera dal padre, in cui si ricorda il dono di una domus fatto dalla donna al popolus
Norensis124.
Figura 16 - Chiesa di Sant'Efisio
(Regione Autonoma della Sardegna, http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=2436&id=510158).
Questa lingua di terra è separata dall’entroterra mediante uno stretto istmo che, nel punto di massima
strozzatura, non supera gli ottanta metri di larghezza. Dopo questo stretto il promontorio si allarga
sensibilmente, estendendosi in due punte: l’una a Sud, Capo di Pula o Punta ‘E Su Coloru (Punta dei
serpenti); l’altra ad Est, Punta di Coltellazzo, di fronte all’isoletta omonima.
124
PESCE, 1972; ZARA 2010-2011.
59
Si forma così un approssimativo triangolo, la cui base, rivolta verso il mare, misura all’incirca 650
metri e la cui altezza, sino alla strozzatura dell’istmo, è di 500 metri (fig. 17). La superficie
complessiva della penisola è di 20 ettari di cui ben 5 visitabili. Il promontorio inizia ad elevarsi
all’altezza della cosiddetta “Casa della Guardiania”, in linea con il tombolo che costituisce il limite a
mare della Peschiera di Nora, portandosi a quota 3 metri sul livello del mare, e si estende a livello
pressoché costante, tranne che in tre leggeri rialzi: il cosiddetto “luogo alto” o “tempio di Tanit” a
quota 5 metri sul livello del mare; Punta ‘E Su Coloru a quota 6 metri sul livello del mare e soprattutto
la Punta di Coltellazzo a quota 32 metri sul livello del mare.
Figura 17 – Foto aerea dell’area archeologica di Nora (Quaderni Norensi).
La topografia attuale del promontorio non rispecchia fedelmente quella antica. Il luogo comune della
“Nora sommersa” si basa, infatti, sul reale arretramento della linea costiera, in talune parti abbastanza
sensibile, anche se non in modo tale da giustificare le fantasie locali sulla città giacente sul fondo
marino 125 . Le problematiche sul rapporto topografico, fisico e funzionale tra la città e gli spazi
d’acqua antistanti la penisola sono state l’oggetto di studio del progetto Noramar, avviato da parte
125
60
TRONCHETTI, 2001.
dell’Università di Padova, in sinergia con L’ENEA di Roma e con la Soprintendenza per i Beni
Archeologici, nel corso del 2010.
Precedentemente la folta letteratura specialistica inerente questa città antica riportava solo qualche
segnalazione di strutture semisommerse nella bibliografia più datata e annotazioni sparse sugli effetti
nefasti della crescita del livello marino o dell’erosione sulla conservazione degli edifici litoranei. Tra
questi lavori va ricordato quello di compiuto da G. Schmiedt nel 1965, dedicato alla lettura e
all’interpretazione delle anomalie riscontrabili nelle fotografie aeree per lo spazio d’acqua circostante
la penisola126, e quello, rimasto fondamentale, dedicato da P. Bartoloni nel 1979 all’individuazione
della possibile collocazione dell’antico porto della città 127 . A questi studi, basati su documenti
cartografici e fotografici, vanno accostate le attività di ricognizione subacquea condotte tra gli anni
Sessanta del Novecento ed oggi. Il primo intervento si data al 1964-1965 e fu condotto dalla British
School at Rome con un gruppo di sommozzatori amatoriali128. Successivamente, tra il 1978 e il 1984,
un’estesa e ripetuta attività di recupero subacqueo fu portata avanti per parecchie stagioni da un
gruppo francese afferente alla Section Archéologie sub-aquatique del Touring Club Français; in
questa occasione fu condotta una benemerita campagna di salvataggio di importanti materiali da relitti
che vennero però resi solo parzialmente pubblici tramite manoscritti attualmente inediti e di difficile
consultazione129.
Dopo un lungo periodo di stasi, l’attività di ricerca subacquea è stata quindi portata avanti tra il 1993,
il 1997 e gli anni recenti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e
Oristano che ha condotto nuove immersioni per la verifica delle vecchie notizie e il recupero di altre
informazioni sulle presenze archeologiche sommerse. Un nuovo approfondito intervento sul porto e
sulla laguna di Nora, supportato dalle conoscenze derivate dalle pluriennali campagne di ricognizione
di superficie si deve a S. Finocchi130 ed offre una nuova messa a punto delle problematiche relative
alla portualità antica dell’insediamento. A questo panorama di studi archeologici vanno accostati
recenti o recentissimi contributi di studiosi di discipline geologiche e geomorfologiche che hanno
proposto riletture complessive della cruciale problematica della crescita del livello marino, cercando
opportunamente di far interagire dati archeologici e dati ambientali relativi all’area di Nora senza
trascurare il riferimento al più ampio panorama mediterraneo.
126
Per approfondimenti vedi SCHMIEDT, 1965.
127
Per approfondimenti vedi BARTOLONI, 1979.
128
Di tali interventi pressoché nulla si sa poiché ne resta memoria solo grazie all’edizione del materiale metallico
realizzata nel 2001 da D. Winterstein (per approfondimenti vedi WINTERSTEIN, 2001).
129
Per approfondimenti vedi Nora e il mare. Le ricerche di Michael Cassien (1978-1984).
130
Per approfondimenti vedi FINOCCHI, 2000.
61
Il progetto Noramar pone le sue radici in questi studi e si sviluppa nel corso delle indagini
archeologiche e architettoniche dedicate allo studio del foro della città di Nora (1997-2007), quando
venne affrontato il cruciale problema dell’evoluzione planimetrica del lato di chiusura meridionale
della piazza, quello rivolto verso il mare. Questa porzione del foro appariva chiaramente danneggiata
dall’azione del moto ondoso, tanto da essere ritenuta non più riconoscibile fino agli studi più recenti.
Le ripetute attività di ricognizione, pulizia e rilievo della battigia e della fascia intertidale portarono
a rimettere in luce sia il cavo di fondazione del lungo muro che sosteneva il limite meridionale del
portico della piazza forense sia un secondo cavo di fondazione quasi certamente legato all’imponente
edificio della basilica civile. Tali inattese evidenze, decisive per la lettura architettonica del complesso
forense, stimolarono però nuovi interessi e nuove ricerche verso lo spazio marino posto oltre la
ristretta battigia, poiché avevano lasciato intuire una pressoché certa originaria maggiore estensione
degli spazi di terra emersa e quindi anche dell’area urbana rispetto all’assetto attuale. Da questa
occasione di studio mirato sono emerse le potenzialità e l’importanza decisiva che poteva assumere
uno studio sistematico della fascia costiera della penisola ai fini della comprensione dell’articolarsi
di molti complessi archeologici e poteva estendersi verso nuove letture dell’estensione complessiva
della penisola su cui si adagiava la città antica e, di conseguenza, sull’articolazione urbanistica e sulle
dinamiche d’uso delle varie componenti funzionali dell’insediamento.
Il Progetto Noramar punta, di conseguenza, da un lato a produrre documenti conoscitivi utili alla
ricostruzione dell’assetto e del funzionamento dell’insediamento antico, dall’altro a fornire
indicazioni precise dello stato di fatto e dello stato di rischio dei vari settori della costa di Nora, da
impiegare da parte degli organi preposti alla tutela e agli enti territoriali deputati alla realizzazione
delle opere di protezione131.
Questo intervento, condotto in cooperazione con ditte private di Cagliari132, è stato realizzato con
misurazioni ad ecoscandaglio che hanno fornito una griglia di migliaia di punti quotati di tutti i fondali
attorno alla penisola fino all’isobata di -4, da cui è derivato il modello digitale del fondale marino. A
partire da questo, utilizzando i dati noti di crescita del mare, si è giunti alla riproposizione, risultata
molto sorprendente, dell’estensione della penisola in età antica. A seconda dell’andamento del
fondale, infatti, basso o al contrario fortemente digradante verso il mare aperto, muta sensibilmente
l’ipotizzabile estensione della terra che in antico affiorava dalla distesa d’acqua. Questa ricostruzione
131
BONETTO, FALEZZA, BERTELLI, EBNER, 2012.
132
In particolare la ditta Idrogeotop (Cagliari) di R. Flores e di A. Scintu che ha curato il rilievo batimetrico,
l’inquadramento topografico dei rilievi e l’assistenza per l’elaborazione dei dati.
62
è stata integrata con il rilievo diretto strumentale133 di tutti gli edifici sommersi o semisommersi
presenti lungo le rive della penisola fino a giungere a riletture via via sempre più attendibili e
insospettate dell’assetto architettonico e urbanistico degli attuali margini della terra emersa, un tempo
compresi pienamente negli spazi emersi (fig. 18).
Figura 18 - Ricostruzione dell'estensione della città antica sulla base dello studio batimetrico e archeologico
(BONETTO, GHIOTTO, 2013).
Si può così ricostruire il paesaggio urbano di tutta la fascia costiera orientale e meridionale in cui la
costa rocciosa, talvolta alta e scoscesa, venne estesa verso il mare da riporti consistenti per creare
“terrazze sul mare” sostenute da muraglioni di contenimento che regolarizzavano il perimetro del
centro urbano ad una distanza comunque considerevole dall’antica linea di costa. Tali poderose
murature di contenimento sono state identificate lungo la strada di accesso al sito in più punti, di
fronte ai resti delle Terme di levante e di fronte alla piazza del foro e si configurano per lo spessore
133
Eseguito con stazione totale posizionata a terra sul caposaldo geodetico materializzato presso la Basilica cristiana e
con asta a prisma in acqua. Sono state così eseguite alcune sezioni est-ovest fino a raggiungere i -4 metri di profondità
circa, operando ad intervalli di circa 10 metri (BONETTO, FALEZZA, BERTELLI, EBNER, 2012).
63
considerevole e l’utilizzo dell’opera quadrata nella fondazione. All’opposto la fascia costiera
occidentale appare segnata da una morfologia di terra e di fondale assai “levigata” e progressivamente
degradante verso le aree profonde: in questo caso venne predisposta una poderosa struttura, nota come
“Molo Schmiedt”134, a marcare un naturale salto di quota e a fissare la linea di riva antica per tenere
all’asciutto una vasta porzione di terre ora sommerse.
Alla lettura topografica dell’abitato sul mare si è associata una lettura funzionale degli spazi
paralitoranei attraverso il riesame del complesso problema della individuazione della sede portuale
antica; per far questo le indagini si sono spostate nell’area dell’attuale Peschiera, un tempo insenatura
marina profonda posta ad occidentale del promontorio urbano, che è stata scandagliata e misurata
fino all’individuazione di una vasta depressione a morfologia sub-regolare di probabile origine
antropica. Questa evidenza, già notata in passato, ma forse non ancora valorizzata adeguatamente,
alimenta ipotesi sulla presenza di un cothon in quest’area135.
L’auspicata esecuzione di tutte le ricerche suddette mira ad essere la base per la redazione di uno
studio complessivo che contribuisca ad una migliore lettura del rapporto dell’insediamento antico con
lo spazio marino, vitale per la sua genesi e la sua storia quanto potenzialmente oggi letale per la sia
sopravvivenza e fruizione136.
4.3 Cenni storici
Nora ha conservato i segni delle diverse culture che hanno distinto questo insediamento nel tempo,
in quanto la sua storia si è fermata oltre un millennio fa, quando è stata definitivamente abbandonata
dai suoi abitanti. Una storia, quella di Nora, che appare ai nostri occhi affascinante, per il salto nel
tempo che si è creato fra il nostro presente e il suo lontano passato137.
134
Si tratta di una poderosa struttura di origine antropica, citata e rilevata per la prima volta da G. Schmiedt nel 1965,
allungata in senso NW-SE, con diramazioni verso la costa in coincidenza con la Basilica cristiana. La struttura,
determinato da un ammasso di blocchi, sia di forma irregolare sia talvolta squadrati, contribuisce ad accentuare un netto
salto di quota dei fondali della cala e per tale motivo di particolare rilievo ai fini di questo studio. Tale sua incidenza
nell’assetto batimetrico complessivo ha suggerito di eseguirne un rilievo del perimetro per cogliere i margini del salto di
quota da esso prodotto, salto che va da 1 a 2 metri circa (BONETTO, FALEZZA, BERTELLI, EBNER, 2012).
135
BONETTO, GHIOTTO, 2013.
136
BONETTO, FALEZZA, BERTELLI, EBNER, 2012.
137
GIRALDI, 1993.
64
Purtroppo non sono moltissime le testimonianze scritte della storia di Nora come centro urbano: le
fonti letterarie sono assai scarse; qualcosa in più ci dicono quelle epigrafiche ed i dati principali
debbono essere ricavati dalla documentazione archeologica. Vediamo quindi cosa possiamo ottenere
dalla combinazione di questi tre tipi di documenti per illustrare le vicende storiche del sito di Nora,
dalla sua prima occupazione da parte dell’uomo sino al suo abbandono.
Con ogni verosimiglianza il luogo era abitato da genti nuragiche. Infatti, nelle fondazioni del
cosiddetto “tempio di Tanit” sono stati trovati reimpiegati alcuni conci a T tipicamente nuragici e
resti ceramici della stessa fase culturale sono stati rinvenuti sulla Punta di Coltellazzo e, talora, nei
riempimenti nell’abitato. La vita in epoca nuragica nella zona norense, anche se non in Nora stessa,
è attestata inoltre dai resti di un nuraghe sul piccolo rilievo di Sa Guardia Mongiasa, a quota 13 metri
sul livello del mare, praticamente l’unico rialzo di una certa entità nell’immediato entroterra della
città, adesso purtroppo occultato da un insediamento della Marina Militare.
Anche il nome stesso di Nora è rapportato alla radice mediterranea nor* - nur* ben presente in
Sardegna, appartenente forse ad un sostrato pre-fenicio.
Di queste tracce nuragiche non conosciamo, come già detto, la cronologia e pertanto non sappiamo
se fossero vitali al momento dell’arrivo dei Fenici, ovvero se questi abbiano trovato il luogo ormai
abbandonato138.
Sulla fondazione fenicia siamo invece più documentati. I primi indizi della presenza nel nostro mare
di popoli orientali risale al 1100 a.C. Ciò che attirava questi popoli verso Occidente erano gli scambi
commerciali dei prodotti, in particolare il commercio dei metalli, per i quali vi era una grande richiesta
da parte di tutti i mercati del Mediterraneo. In quest’ottica la stessa posizione geografica
dell’insediamento norense è indicativa. Il promontorio appare conforme ai canoni degli insediamenti
fenici più tipici: presenta, infatti, un livello roccioso adatto per la sepoltura dei morti, possiede
sorgenti per l’approvvigionamento idrico e, soprattutto, grazie alle due baie contrapposte, consente
un approdo sicuro da qualunque direzione provenga il vento139.
La presenza fenicia nella città è documentata anche dalle fonti letterarie ed epigrafiche: secondo una
notizia che leggiamo in Pausania (X, 17, 5), ed in uno scrittore latino del secolo successivo, Caio
Giulio Solino (IV, 2), Nora sarebbe stata fondata da Iberi guidati dall’eroe Norace, figlio del dio
Hermes e della ninfa Eritea, nata da Gerione. Da Norace si sarebbe denominata la città; aggiunge
inoltre Pausania che Nora fu la prima città fondata in Sardegna e Solino che gli Iberi provenivano dal
138
TRONCHETTI, 2001.
139
GIRALDI, 1993, CHIERA, 1978.
65
paese di Tartesso140. Si è generalmente interpretato negli Iberi guidati da Norace (evidente ecista
eponimo) i Fenici e si è trovato un fondamento alla definizione “prima città della Sardegna” nella
testimonianza archeologica data da documenti epigrafici fenici provenienti da Nora, i più antichi di
tutta l’isola. Uno di questi, la Stele di Nora, databile nell’VIII sec. a.C., ci riporta per la prima volta
il nome Sardegna ma, per quanto importante, questa epigrafe non è sufficiente a dimostrarci
l’esistenza della città in quel periodo; infatti potrebbe essere pertinente ad una struttura o dedica sacra
posta prima dell’impianto urbano vero e proprio.
I risultati degli scavi più recenti hanno finalmente portato alla luce i primi resti dell’insediamento
fenicio di Nora e parte del patrimonio mobile rinvenuto nei corredi delle tombe e dei tophet. Sembra,
quindi, che l’insediamento fenicio si articolasse nella parte sud-orientale del promontorio, dove, tra
l’altro, sono stati rinvenuti materiali sporadici di quel periodo, sia al tempo degli scavi di Pesce che
successivamente141. Sono state, per esempio, rinvenute una serie di buche di palo pertinenti a tende e
ad altre strutture stagionali e provvisorie in materiali deperibili, risalenti al VII sec. a.C., nel settore
orientale della penisola, precisamente al di sotto del complesso del foro e del vicino “Tempio
romano”. Questi ritrovamenti documentano la frequentazione stagionale da parte dei mercanti fenici,
nel quadro di una rete commerciale molto più ampia che collegava gli empori orientali con quelli
sardi.
A causa di una guerra scoppiata contro il re Nebukhadnezar di Babilonia, intorno al 573 a.C. ebbe
iniziò il declino politico-culturale della fenicia Tiro, e fu Cartagine ad assumere il ruolo di
protagonista nel Mediterraneo, occupando tutte le colonie fenicie. Sul finire del VI sec a.C. (circa il
525 a.C.) anche la Sardegna entrò a far parte dell’impero marittimo di Cartagine, che a partire da
questo momento, per quasi tre secoli esercitò il proprio controllo su tutte le coste dell’isola. Durante
il periodo punico Nora assurse a ruolo di città principale, rispetto alle altre dell’isola, in quanto
residenza del governatore comandante della base navale di presidio dell’isola142. I cartaginesi, oltre
che abili politici, erano anche uomini d’affari e fecero della Sardegna un ricco deposito di grano. La
colonizzazione punica della Sardegna fu effettuata in grande stile, con la deportazione di non pochi
schiavi libici e con l’immigrazione di numerosi liberti cittadini fenici, già residenti nel Nord-Africa143.
Della città punica non conosciamo molto: prevalentemente le tracce sono state individuate in
preesistenze nell’ambito urbano ovvero, in maggior misura, nei reperti materiali. L’impianto urbano
140
PESCE, 1972.
141
TRONCHETTI, 2001.
142
GIRALDI, 1993.
143
PESCE, 1972.
66
venne progettato seguendo le caratteristiche proprie di una pianificazione matura. Lo stanziamento di
carattere provissorio e stagionale fenicio lasciò così il posto ad un complesso diquartieri organizzati
per magazzini e abitazioni. Nelle tre alture della penisola vennero edificati il “Tempio di Tanit”, la
fortificazione presso l’area sacra del Coltellazzo e il Santuario di Esculapio sulla Punta ‘E Su Coloru.
I materiali di corredo delle tombe, invece, ci riportano più vivacemente all’aspetto del ricco centro
mercantile, fervido di attività e scambi commerciali. Le tombe ad inumazione scavate in roccia hanno
più deposizioni, con corredi ricchissimi di ceramica prodotta sul posto, importata dalla Grecia,
amuleti, gioielli in metalli preziosi ed oggetti di ornamento personale.
Da questi si ricava che la città, già fiorente nel V secolo a.C., nel IV ebbe un rigoglio considerevole
aprendosi, alla fine del secolo, ai contatti anche con il mondo italico, in particolare Roma 144 .
Precisamente risale al 348 a.C. il trattato tra la capitale africana e Roma che proibisce a quest’ultima
di commerciare e di fondare città nell’isola. Nei decenni che seguono, tuttavia, la situazione generale
si evolve portando allo scontro definitivo con i romani145.
Le tante risorse che la Sardegna offriva non potevano sfuggire allo sguardo di Roma, la quale se ne
impadronì nel corso del III sec. a. C., durante l’intervallo fra la prima e la seconda guerra punica,
approfittando di un’insurrezione delle milizie mercenarie al soldo di Cartagine.
I Romani dovettero lottare sia contro le popolazioni cartaginesi, fissati da più generazioni nelle città
marittime, sia contro i Sardi punicizzati. Tuttavia alcune delle città sul mare si allearono subito con i
romani, forse per rivalità commerciali con le città vicine, e pertanto non subirono devastazioni. La
Sardegna fu intensamente romanizzata. Non ebbe, tuttavia, quell’intenso processo di urbanizzazione
che le altre province occidentali conobbero. Uno degli esempi più notevoli della Sardegna romana è
rappresentato proprio da Nora146.
Sotto il dominio romano Nora conservò forse la posizione privilegiata di capitale dell’isola, così come
potrebbe risultare dalle iscrizioni dei cippi miliari delle strade che da Nora portavano a Karalis
(Cagliari) e Bithia (Chia), che indicano la distanza in miglia partendo dalla possibile capitale. Nora
era, con ogni probabilità, la sede del governatorato; anche in epoca imperiale, quando ormai la sede
del potere era stabilita da tempo a Cagliari. Il suo status di municipium è confermato anche da
un’iscrizione di statua dedicata ad un Quintus Minucius Pius, quattorviro iure dicundo, che rivestiva,
cioè, una carica propria di tale ordinamento giuridico147.
144
TRONCHETTI, 2001.
145
GIRALDI, 1993.
146
PESCE, 1972.
147
GIRALDI, 1993; TRONCHETTI, 2001.
67
Dal punto di vista urbanistico-architettonico, sono evidenti per l’età imperiale un ampliamento e un
arricchimento considerevoli, gli stessi che ne definiscono l’attuale veste romano-imperiale. La
cospicua documentazione epigrafica ci informa, infatti, su dediche ad imperatori, a divinità, sui lavori
effettuati ad edifici e su opere pubbliche. I ritrovamenti dovuti alle campagne di scavo ci permettono
di dare una datazione, sia pure indicativa, a gran parte degli edifici norensi e di fissare il periodo di
maggior fioritura del centro fra il II ed il III sec. d. C. I materiali archeologici, continuano, come per
il periodo punico, a significarci l’ampiezza dei traffici che facevano capo a Nora. Dalla Spagna, dalla
Grecia, dalla penisola italiana, dalla Gallia meridionale e soprattutto dall’Africa, giungevano a Nora
le svariate merci prodotte in quelle regioni: vino, olio, salsa di pesce, ceramiche fini da mensa, ecc.
Città ricca, dunque, e con prosperi abitanti148.
La decadenza della città di Nora iniziò intorno alla metà del V sec. d. C., quando cominciarono i primi
assedi dei Vandali149. I Vandali occuparono per un’ottantina d’anni le coste della Sardegna, senza
proseguire con le distruzioni, né costruire o ricostruire edifici, ma limitandosi a utilizzare i già
esistenti centri urbani. Il centro urbano comincia a dare i primi segni di disgregamento. Gli scavi
dell’ultimo decennio hanno consentito di ricostruire una situazione in cui si vede diradarsi il tessuto
urbano, con l’occupazione di almeno una sede stradale per una probabile piccola stalla per animali,
mentre parte dell’abitato viene abbandonato, demolito, livellato ed utilizzato come spazio agricolo. È
in questa fase che si possono assegnare le tracce delle attività produttive (forni, macine, ecc.) che si
vedono sparse nell’abitato.
Intorno al 533-34 d. C. i Vandali furono debellati da Belisario, il generale dell’imperatore
Giustiniano, che riunì sotto l’impero di Bisanzio gran parte delle terre bagnate dal Mar Mediterraneo,
e fra queste anche la Sardegna: il dominio bizantino resistette a lungo, salvo una breve parentesi
dovuta a un’invasione dei Goti verso la metà del VI sec. d. C.
Intorno al 710 d. C. la Sardegna e la Corsica passarono ai Saraceni: essi occuparono qualche punto
dell’isola, frequentarono qualche emporio, ma soprattutto si dedicarono all’attività di distruzione
degli abitati lungo il litorale. Ai Sardi spetta il merito di aver impedito ai Saraceni di occupare
stabilmente quest’isola. Risale a quest’epoca l’ultima menzione di Nora da parte delle fonti storiche;
scrive l’Anonimo Ravennate: “presso Cagliari è il presidio di Nora”. Di li a poco, tra l’VIII e il IX
sec. d. C., le spoliazioni di pirati musulmani che battevano la costa sarda e, per altro verso, il
148
CHIERA, 1978; TRONCHETTI 2001.
149
Si segnala che tra le iscrizioni tarde di Nora vi è una che attesta il restauro dell’acquedotto al tempo di Teodosio II e
Valentiniano II, fra il 425 e il 450 d. C. È probabile che il guasto fu causato da un assedio dei Vandali che cercarono di
provocare la resa della città assetandone gli abitanti (PESCE, 1972.)
68
fenomeno del bradisismo, assai dannoso alla conformazione e alle strutture portuali di molti centri
della Sardegna, Nora inclusa, costrinsero i cittadini di quest’ultima a ritirarsi dal mare, guadagnando
l’entroterra150.
Ciò che avvenne in seguito segue le leggi della natura. Nora, lentamente, in un modo e in una forma
che non ci è permesso sapere, cessò di esistere. Le sue case, prima organismi vivi, vengono
abbandonate. Quando una casa viene abbandonata muore, cioè crolla in rovina. L’intonaco cade a
pezzi, nelle commessure tra la pietra si deposita, portato dal vento, terriccio ricco di germi, nascono
le radici che, crescendo, disgregano la compagine del fabbricato. L'acqua, non più convogliata dei
condotti occlusi, ristagna e bagna le fondamenta. I muri crollano. Moltiplicate questa casa per cento
ed avrete la spettrale visione di una città, che si disintegra, come un cadavere va in decomposizione.
Il vento di mare incipria di sabbia il campo di rovine; il fango, trascinato dalle piovane giù dalle
alture, si stende sulle pietre sommerge con una grigia marea; il piano di campagna si innalza e spunta
l'erba selvatica151.
150
CHIERA, 1978; PESCE, 1972, TRONCHETTI 2001.
151
PESCE, 1972
69
70
5 - IL PROGETTO VIDEO
“A story is not a story until the story is told”
- VINCENT. J. CAPONE
In questo capitolo descriveremo il processo metodologico che viene seguito per elaborare un
documentario, in particolare ci soffermeremo sulle fasi che hanno riguardato la produzione del
documentario “Nora il racconto dell’archeologo”.
Come si evince dalla suddivisione dei sotto-capitoli, quattro sono le fasi principali che concernono la
realizzazione di un progetto video:
1. la pre-produzione, che comprende tutto ciò che avviene prima dell’inizio delle riprese: è una
fase molto articolata e racchiude in sé diversi momenti, sia gli aspetti legati all’ideazione e
alla progettazione del documentario sia gli aspetti strettamente logistici o finanziari;
2. la produzione, ovvero il momento in cui si mette a fuoco tutto ciò che è stato pianificato in
pre-produzione: viene quindi raccolto il materiale necessario alla riuscita del documentario e
si effettuano le interviste e le riprese;
3. la post-produzione, la fase in cui tutto il materiale, raccolto e prodotto, viene ordinato, valutato
e selezionato per poi entrare in sala di montaggio dove il documentario prenderà la sua forma
definitiva;
4. infine vi è la distribuzione e la vendita, due fasi che non fanno parte propriamente della
realizzazione del documentario ma mirano a trovarne una collocazione all’interno nel contesto
mediatico152.
Di seguito un sintetico schema di questo processo.
152
FANTINI, 2005, pp. 18.
71
1. PRE-PRODUZIONE
Sviluppo di un'idea
Ricerche preliminari: si può realizzare?
Stesura del soggetto
Ricerche approfondite
Stesura della sceneggiatura
Programmazione delle riprese e della logistica
Richiesta di finanziamenti
Costituzione della troupe
Scelta della strumentazione
2. PRODUZIONE
Raccolta e organizzazione del materiale di repertorio
Allestimento della scenografia
Settaggio strumentazione
Ripresa delle interviste
Riprese esterne
Registrazione voce narrante
3. POST-PRODUZIONE
Visione del girato
Trascrizione delle interviste
Prima fase del montaggio video
Aggiunta musiche
Finalizzazione del montaggio video
4. DISTIBUZIONE E
VENDITA
72
Fruizione e divulgazione
5.1 Pre-produzione
5.1.1 Progettando il documentario: dall’idea al soggetto
Ogni documentario è unico ed inizia con un’idea. Questa è un concetto, una generalizzazione
riassunta in una o due frasi, e spesso include parte del titolo e una domanda. Samuel Goldwyn,
produttore cinematografico statunitense del XX secolo, una volta ha detto “se non puoi scrivere l’idea
del tuo film sul retro di un biglietto da visita, allora non hai un film”. Una volta scritta l’idea si può
pensare ad un titolo che catturi l’attenzione. Il titolo potrebbe cambiare durante l’elaborazione del
documentario, e spesso accade. In ogni caso avere un titolo fin dall’inizio aiuta a guidare la
produzione e a promuovere il progetto. Il titolo rende unico il documentario e lo distingue da tutti gli
altri che gli gravitano attorno153.
In qualsiasi ambiente siamo tutto ciò che ci circonda è un potenziale spunto per sviluppare un’idea.
Ogni cosa, ogni persona è un potenziale soggetto. Molto spesso le idee sbocciano da una semplice
chiacchierata, stanno dietro ad ogni angolo insomma, basta imparare a scorgerle e farle proprie, oltre
che, necessariamente, a selezionarle. Per farlo bisogna porsi fin da subito alcune domande “è mai
stato fatto?”, “può interessare questo argomento?”, “quale punto di vista potrei offrire al pubblico?”,
“mi interessa veramente fare un documentario su questa cosa?”. Alcuni sostengono che scrivere un
documentario sia come scrivere un’opera di finzione. Ma i modi di affrontare la realizzazione di un
documentario portano spesso a costruire le cose in maniera decisamente differente dalla narrazione
classica e spesso dettate innanzitutto da casualità. Una cosa è fondamentale: bisogna stare attenti a
non perdersi nel cercare una storia che possa piacere al pubblico, tutto si basa su ciò che piace a noi.
Infatti, solo cercando di realizzare un documentario che tratta un argomento che sia innanzi tutto di
nostro interesse, possiamo rendere in maniera appassionata la storia che esso porta con sé154.
Il presente progetto si è sviluppato dalla consapevolezza che il lavoro dell’archeologo non è
diffusamente noto e, inoltre, spesso viene condito da stereotipi o confuso con quello di altri
professionisti dei beni culturali. Da questa considerazione si è sviluppata l’idea di raccontare
l’archeologia, con i suoi principi e metodi, attraverso la presentazione del lavoro svolto
dall’Università di Padova presso il sito archeologico di Nora. La missione, ormai ventennale, del
Dipartimento di Beni Culturali, ha prodotto una vasta e varia mole di dati e ha consentito
l’applicazione di numerose strategie metodologiche. Le stesse spaziano dal tradizionale scavo
153
PEPE, ZARZYNSKY, 2012.
154
FANTINI, 2005, pp. 19-21.
73
all’innovativa documentazione in 3D, structure from motion e dense stereo matching. Inoltre, una
documentazione fotografica precisa e puntuale ha restituito una quantità e una varietà di materiale
visivo pienamente adatto per essere inserito in un documentario. Questa disponibilità è fondamentale
in quanto, l’accesso diretto e la possibilità di reperire facilmente il materiale sono due aspetti che
influenzano, sensibilmente, la scelta del soggetto da trattare. Nel caso di Nora l’opportunità di
accedere alla documentazione fotografica e, in certi casi, produrla, ha arricchito il documentario e ha
permesso non solo di rappresentare visivamente quanto veniva detto, ma anche di far conoscere allo
spettatore il sito archeologico di Nora.
Titolo
Nora, il racconto dell’archeologo.
Idea
Questo è il racconto di come si svolge il lavoro di un archeologo impegnato nello scavo e nello studio
di una qualsiasi città antica del Mediterraneo, usando l’esempio dell’antica città di Nora.
Una volta definita l’idea e abbozzato il titolo è il momento di scrivere il soggetto. Il soggetto è
fondamentale per definire la forma e i contenuti del documentario. Esso è il nucleo narrativo, story
appunto in inglese, da cui si sviluppa la sceneggiatura155.
Mediamente il soggetto è abbastanza breve, un paio di pagine, e serve per presentare il documentario
al committente, ad un collega o ad altre persone. Un soggetto di successo dimostra che l’idea di fondo
è solida, che si ha una buona conoscenza dell’argomento e che si è persone professionali che, pertanto,
andrebbero ingaggiate. La sua lettura dovrebbe suscitare curiosità e spingere alla richiesta di ulteriori
informazioni. Nello specifico, nel soggetto andrebbero inserite tutte quelle indicazioni utili a definire
il documentario che si vuole produrre, per esempio: il titolo del documentario e il nome del team di
produzione, con eventuali contatti; la durata; un breve riassunto dell’argomento che si vuole
documentare e quali sono gli aspetti rilevanti che rendono questa scelta unica; a quale pubblico è
rivolto il documentario e quale approccio e stile è quindi consigliabile seguire156.
155
MUSCIO in Enciclopedia del Cinema http://www.treccani.it/enciclopedia/soggetto_(Enciclopedia-del-Cinema)/
156
PEPE, ZARZYNSKY, 2012.
74
Soggetto
Nora, il racconto dell’archeologo
di
Anna Ferrarese, Mirco Melanco e Jacopo Bonetto
Il video si propone di documentare l’attività professionale svolta da un team di archeologi nello
scavo e nello studio di una città antica. Nello specifico, il caso studio scelto per illustrare questo
argomento, è l’area archeologica di Nora.
Nora è un sito archeologico della Sardegna meridionale, in provincia di Cagliari. Il sito si inserisce
in un territorio di particolare fascino paesaggistico: è collocato su un promontorio, il capo di Pula,
separato dalla terra ferma da uno stretto istmo di terra, circondato da baie e sferzato dalle onde
del mare. Le sue rovine e testimonianze archeologiche racchiudono oltre dieci secoli di storia i cui
principali protagonisti furono dapprima le popolazioni nuragiche e i mercanti fenici, poi i
Cartaginesi e infine i Romani. Il lento e progressivo abbandono dell’abitato, iniziato nel VI sec.
d.C. per le invasioni dei Vandali, dei Goti e dei Saraceni, ci ha consegnato un panorama storico
unico, caratterizzato dalla sovrapposizione, e dalla compresenza, di periodi di vita e cultura diversi
tra loro.
Nuove conoscenze sulla storia degli uomini che hanno abitato l’antica città Nora provengono dalle
indagini archeologiche condotte da alcune Università italiane. Tra queste opera anche l’Università
degli Studi di Padova: in 25 anni di scavi, le linee di ricerca avviate e le diverse metodologie
applicate hanno prodotto una vasta documentazione scientifica in grado di rendere Nora un
esempio completo per una puntuale narrazione di come si svolge il lavoro dell’archeologo.
La felice collocazione geografica e la bellezza paesaggistica che contraddistingue il capo di Pula
ha già ispirato diverse produzioni video, amatoriali e professionali. Ma nessuna di esse descrive
puntualmente il lavoro condotto dagli archeologi nel sito. Il documentario proposto, invece, mira
proprio a questo: illustrare le fasi che contraddistinguono un’indagine archeologica.
Prestando attenzione a non superare 30 min. di montaggio video, verranno spiegate e approfondite
le seguenti tematiche:
1. Gli studi e le analisi utili a programmare un intervento archeologico: lo studio preliminare
delle fonti storiche, scritte e cartografiche, il remote sensing, il survey e le prospezioni
geofisiche.
75
2. Le operazioni che accompagnano un intervento archeologico: lo scavo archeologico, la
documentazione di scavo e lo studio dei materiali.
3. E infine la precauzioni adottate in conclusione di un intervento archeologico: le opere di
tutela dei beni culturali, l’applicazione del 3D in archeologia e la valorizzazione e la
divulgazione dei risultati delle ricerche.
Per ogni argomento verrà intervistato un esperto che ha acquisito, con l’esperienza, una buona
padronanza della materia. Il filo conduttore delle interviste sarà la voce narrante a cui spetta il
compito di guidare lo spettatore alla scoperta del senso dell’archeologia e ricostruire la storia di
Nora.
Il video è rivolto agli studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado e ha scopo
divulgativo. Nello specifico gli obiettivi che il video si propone di perseguire sono: orientare lo
studente che si vuole formare nell’ambito dei beni culturali alla scelta di un corso di studi
universitario idoneo alle sue preferenze e dimostrare come la storia non esca in modo speculativo
dalle pagine di un libro, ma abbia radici empiriche nella scienza archeologica. Premesso il livello
comunicativo scelto e i contenuti proposti, un ulteriore destinatario è anche il pubblico più ampio
del turista o del cittadino medio, in possesso di un livello base di conoscenze, che conosce il sito
archeologico di Nora e vuole apprendere come si è giunti alla sua ricostruzione storica.
La scelta di raccontare come si svolge il lavoro di un archeologo professionista si rivela, inoltre,
decisamente attuale di fronte alla crisi delle figure professionali che operano, o potrebbero e
dovrebbero operare, nel settore dei beni culturali.
5.1.2 La scelta dello stile
Il soggetto, carta di presentazione del progetto, trasmette un’idea del tipo e del genere di documentario
che si intende produrre. Lorenzo Hendel afferma di aver rintracciato, nelle migliaia di documentari
che ha analizzato, co-prodotto o realizzato, l’esistenza di alcune strutture tipo, modelli ricorrenti
all’interno di tipologie distinte. Queste tipologie sono state da lui definite “paradigmi”157. Secondo
Hendel ogni documentarista ha in mente un suo modello di riferimento, una sua matrice, un
paradigma appunto, che magari attiva in modo inconsapevole, istintivo.
157
76
HENDEL, 2014 pp. 11-13.
I paradigmi individuati da Hendel sono tre:
1. il paradigma tematico: è quello più classico, ereditato dal documentario tradizionale, ma
evoluto in forme sempre nuove. I documentari strutturati con questo paradigma individuano
un tema e procedono raccogliendo materiale d’archivio, materiali ex novo, interviste,
testimonianze, che poi tentano di “mettere in forma” attraverso differenti dispositivi
drammaturgici;
2. il paradigma osservazionale: eredita la lezione dei grandi maestri operanti nella seconda parte
del secolo scorso, primo tra tutti Frederick Wiseman, e persegue il metodo di filmare
determinati accadimenti senza che regista e troupe abbiamo mai a interferire con essi, e
diventando anzi essi stessi, come si dice, “mosche sul muro”, che osservano invisibili senza
intervenire;
3. il paradigma narrativo: è la tendenza più recente e ambiziosa del documentario moderno, e
vede il documentario come la costruzione di una storia che ha come protagonisti dei
personaggi della vita reale (si chiamano, infatti, anche “documentari character driven”), che
vengono seguiti e ripresi nella loro vita come se si trattasse di un filma a soggetto. La struttura
della storia però opera la sia costruzione senza forzare né modificare la realtà in corso, ma
adattandola ad essa.
Al di là degli argomenti, delle storie, dei personaggi, delle location, ogni documentario ha una sua
struttura, ed è questa (non il contenuto) che secondo Hendel ne determina la fisionomia, l’andamento
e la logica narrativa.
Queste classificazioni non vanno naturalmente prese alla lettera, si tratta per lo più di un semplice
schema che permette di cogliere tante facce del documentario, o meglio, apprezzarne le potenzialità.
Tant’è che a queste strutture possiamo aggiungerne altre, come il modello partecipativo, in cui il
regista diventa parte integrante dell’opera e appare in video presentando l’argomento (è una variante
del paradigma tematico); la ricostruzione filmata che affronta fatti storici attraverso diversi mezzi
espressivi (filmati, foto d’archivio, illustrazioni, messe in scena) presentati come una
drammatizzazione di una storia vera; o ancora il docudrama e i film biografici che emulano lo stile
narrativo del documentario ma assomigliano però più a un normale film di fantasia158.
Il nostro documentario, per certi versi, unisce alcuni aspetti del paradigma tematico con quelli del
paradigma narrativo.
158
LINDENMUTH, 2011, pp.10-13.
77
L’intenzione di voler spiegare il lavoro dell’archeologo comporta necessariamente la scelta di un
tema (l’archeologia) e la raccolta di tutto il materiale utile a documentare quanto di quel tema viene
trattato. In quest’ottica ampio spazio viene lasciato all’esposizione verbale, soprattutto da parte degli
esperti, al fine di persuadere lo spettatore ad accettare la prospettiva che gli viene presentata, quella
dell’archeologo. Inoltre, una delle scelte che maggiormente inserisce il nostro documentario nella
tradizione, è il ricorso alla voce narrante per condire il contenuto scientifico del video. Il punto di
vista onnisciente, che spiega e definisce l’argomento, carica di enfasi le interviste degli esperti e
sfocia, in alcuni punti, anche in toni medio-drammatici in grado di risvegliare e catturare l’attenzione
dello spettatore. Questa è una tendenza molto popolare soprattutto nel caso di quei documentari che
approfondiscono tematiche investigative o eventi storici e archeologici159.
L’impostazione del corpo centrale del video secondo la modalità “intervista”, invece, lascia spazio ai
protagonisti non-attori di farsi narratori rispondendo ad alcune domande guida che gli vengono poste.
È questa una forma di sperimentazione del paradigma narrativo che coinvolge nella produzione i
protagonisti del tema affrontato, ovvero gli archeologi stessi.
5.1.3 La ricerca dei contenuti
La prima cosa da fare dopo aver trovato una storia è documentarsi raccogliendo più informazioni
possibili sugli elementi che la compongono: dal tema (o i temi) che essa contiene, alle persone che
coinvolge, dalla sua cronologia alle possibili evoluzioni, fino alla relazione con altre storie simili che
sono già state raccontate, cosa utile anche per distinguerla nel taglio.
Internet, giornali, libri, film, altri documentari: tutti questi mezzi aiutano. Nella maggior parte dei
casi, un buon documentario comincia da buone letture, che non devono essere strettamente specifiche
bensì anche solo contigue alla storia o darle una prospettiva più ampia. Per esempio, se vogliamo
raccontare un’oasi naturalistica dobbiamo sapere cos’è un ecosistema, quale sia la politica della
conservazione ambientale in quel paese, e così via. Bisogna avere una visione più ampia, anche se
questa non basta da sola, perché poi il documentario non può essere fatto a tavolino ma, nelle prime
fasi, l’approfondimento conoscitivo è fondamentale. Quindi, agli strumenti elencati, va aggiunta la
consultazione di esperti e di studiosi del settore entro cui la storia si inserisce160. La ricerca di queste
persone, che faranno da guida, da consulente scientifico e da esperto del settore nel progetto, sarà
159
PEPE, ZARZYNSKY, 2012.
160
BALSAMO, PANNONE, 2009, pp. 29.
78
fonte di nuove idee. Ovviamente questo vale nel momento in cui l’esperto non sia l’autore stesso161,
come nel nostro caso.
Oltre a cercare le persone giuste da intervistare, fa parte della fase delle ricerche l’individuazione
delle fonti che possano fornire tutte le informazioni utili a una buona riuscita del documentario.
Quando si inizia un progetto si possono presentare, infatti, due casi-tipo.
Il primo è quello in cui è un contatto, spesso fortuito, a provocare la scintilla che fa scaturire l’idea di
un filmato. In questo caso i collegamenti verso altre eventuali persone utili possono giungere dallo
stesso primo contatto.
Il secondo caso invece è quello in cui a seguito di un’idea più o meno definita si lavora per individuare
quelle che potrebbero essere le figure più utili alla sua realizzazione. Ed è questo il nostro caso.
Da una buona ricerca e da un efficace costruzione narrativa possono scaturire migliaia di cose
interessanti da raccontare. Ovviamente una controindicazione esiste, ed è quella di cadere vittima del
troppo materiale accumulato. Per evitare questo è fondamentale, man mano che nascono nuove idee,
fermarsi e provare a schematizzare in modo sempre più specifico e concreto il possibile percorso del
documentario, individuando man mano una collocazione di massima per tutti i nuovi argomenti
suscitati dalle ricerche. Raccolte tutte le informazioni possibili bisogna poi estrapolare solo ciò che
realmente è funzionale alla costruzione del documentario162.
La felice collocazione geografica e le rovine di Nora hanno stimolato la produzione di video che
puntano a mostrare le bellezze paesaggistiche e le realtà archeologiche del Capo di Pula (fig.19) 163.
La suggestiva scenografia che il sito propone ha ispirato, tra le molte, anche la produzione del video
musicale del cantante Ligabue “Un colpo all’anima”.
L’importanza storica del sito è stata raccontata in più produzioni video: al 1950 risale, per esempio,
il film dell’Archivio Luce “Città sommersa” realizzato sotto la regia di Giovanni D’Eramo;
successivo e di altrettanta rilevanza è invece il filmato “Itinerario quiz. Viaggio a premi attraverso
l'Italia: Sardegna” (regia di Piero Turchetti e testi di Nissim Renzo) trasmesso dalla Rai il 4 marzo
1962, in cui viene percorso, a bordo di una Giulietta Alfa Romeo, un itinerario culturale da Cagliari
161
FANTINI, 2005, pp. 25.
162
FANTINI, 2005, pp. 25-29.
163
Due filmati sono già citati alla nota n.74 ma in internet possiamo trovare molti altri esempi amatoriali: come le riprese
da aereo della penisola di Nora proposte in Sardegna in volo (https://www.youtube.com/watch?v=QkvL0Lzi3TI), alcuni
video
subacquei
(https://www.youtube.com/watch?v=7iD3j3V8DUo;
https://www.youtube.com/watch?v=MhlBLYbNsnI) oppure delle composizioni di foto e video che ritraggono le rovine
dell’antica
città
in
esame
(https://www.youtube.com/watch?v=uhb3IN7OWPQ;
https://www.youtube.com/watch?v=BDniqm2fc2A; https://www.youtube.com/watch?v=LrphnhgulX0).
79
a Sulci; il già nominato documentario “Nora la città più antica della Sardegna”, prodotto
dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo di Pula, con gli interventi del Dott. Piero Bartoloni e del
Dott. Carlo Trochetti, in cui viene raccontato l’evolversi della storia di Nora; e infine il documentario
“Pula, sulle tracce dell'antica Nora” realizzato nel 2009 sotto la regia di Jones Peter.
Nel tempo le produzioni sul sito di Nora sono state molte. Oltre ai filmati già elencati, nel sito
http://www.sardegnadigitallibrary.it/, inserendo nel motore di ricerca la voce “Nora Pula”, si trovano
numerose altre produzioni video che riguardano il sito in esame.
Figura 19 – Casa dell’atrio tetrastilo. Sullo sfondo la Punta di Coltellazzo con il caratteristico faro.
Fotografia scattata nel giugno 2016 (Anna Ferrarese)
Non ho riscontrato invece filmati che esplicano il lavoro condotto dalle Università italiane impegnate
dello scavo e studio della città antica.
L’ambiziosa idea di voler colmare questa lacuna ha sollevato, naturalmente, alcuni interrogativi in
merito alle tematiche da affrontare. Visto il tempo a disposizione, per esempio, quali aspetti del lavoro
dell’archeologo andavano raccontati e su quali invece si poteva sorvolare? Quali procedimenti
andavano approfonditi e quali invece nominati sono superficialmente?
80
La disciplina archeologica è una materia molto vasta e varia, in quanto studia l’uomo che per sua
natura è vario. Si è scelto, quindi, di selezionare le fasi principali che caratterizzano un’indagine
archeologica, quegli aspetti, invero, che sono individuabili nella maggior parte dei progetti di ricerca.
Per questo motivo si è scelto di trattare gli studi e le analisi che precedono un intervento di scavo, le
operazioni che inevitabilmente lo accompagnano e, infine, le scelte che vengono attuate per tutelare
il patrimonio archeologico e trasmettere i risultati al pubblico.
Fin dalle prime fasi del progetto si è rivelato utile confrontarsi con gli esperti per appuntare quali
argomenti erano rilevanti per spiegare ciascuna materia. Vagliati i suggerimenti e messe a confronto
le idee, sono stati individuati i temi principali sui quali condurre le ricerche e raccogliere il materiale.
Inoltre, è bene tenere sempre a mente a quale livello informativo si vuole trasmettere al pubblico.
Sarà rivolto a persone che non sanno nulla in materia o per qualcuno che già conosce l’argomento?
Dal momento che tutti i documentari sono intesi per informare, bisogna assicurarsi che il programma
segua questo intento e che le argomentazioni siano il più concrete possibile. Le informazioni raccolte
dovranno quindi essere filtrate per decidere quali siano le più importanti e come presentarle al
pubblico 164 . Il destinatario del nostro documentario, come precisato nel soggetto, è il pubblico
composto dai ragazzi delle scuole medie e superiori, un pubblico giovane che può essere stato istruito
dal docente sull’argomento e magari anche appassionato di storia. Il documentario potrebbe avere, in
questo contesto, anche un valore orientativo nei confronti della scelta di un corso universitario. Ma
non solo, anche il grande pubblico che ogni anno visita il sito archeologico di Nora potrebbe essere
un potenziale destinatario. Una volta conclusa la conoscenza del sito, infatti, il documentario potrebbe
rispondere a tutti gli interrogativi del turista su come effettivamente sia stato possibile ottenere questa
ricostruzione storica.
Tabella riassuntiva con le tematiche da trattare e gli esperti che verranno intervistati.
PARTE 1:
•
LE RICERCHE PRELIMINARI,
Prof. Andrea Raffaele Ghiotto.
Ruolo delle fonti nella progettazione di un
intervento archeologico.
•
Tipologia delle fonti: scritte, cartografiche,
fotografiche, ricognizioni, prospezioni.
•
Nora: caso studio.
•
Storia degli scavi, una base di partenza per le
nuove ricerche.
164
LINDENMUTH, 2011.
81
PARTE 2:
•
Scavi condotti dall’Università di Padova.
•
Geofisica – definizione: “geo” ovvero “terra”;
LE PROSPEZIONI GEOFISICHE,
“fisica” nel senso di metodi applicativi che
Prof.ssa Rita Deiana.
sfruttano i principi fisici della terra.
•
Le caratteristiche della terra sono diverse da
luogo a luogo, quindi non possiamo applicare
sempre tutti i metodi.
•
Caso studio Nora: presenza di sabbia, mare e
rifiuti metallici (es. elettromagnetico inadatto).
•
Applicazione del georadar.
•
Applicazione della geoelettrica.
•
Risultati ottenuti.
PARTE 3:
•
Perché scavare?
LO SCAVO ARCHEOLOGICO,
•
Come scavare?
Prof. Jacopo Bonetto.
•
Stratigrafia e scavo archeologico.
PARTE 4:
•
Diario e schede US.
LA DOCUMENTAZIONE DI SCAVO,
•
ADaM.
Dott. Arturo Zara.
•
Documentazione fotografica: come fare una
foto scientifica?
•
Documentazione grafica: piante e sezioni.
•
Cos’è la stazione totale?
PARTE 5:
•
Cosa sono i reperti archeologici?
I MATERIALI,
•
Dove si trovano i materiali?
Dott.ssa Valentina Mantovani.
•
Perché sono importanti?
•
Come si datano i materiali?
•
Definizione di seriazioni morfologiche.
•
Aspetto pratico (lavaggio, siglatura, fotografia,
disegno, studio).
PARTE 6:
•
Cos’è la tutela archeologica?
LA PROTEZIONE E CONSERAZIONE DI UN
•
L’importanza del rapporto con l’ambiente.
SITO,
•
Interdisciplinarietà.
Dott. Filippo Carraro.
82
•
Previsioni di rischio.
PARTE 7:
•
Definizione ricostruzione virtuale.
LA RICOSTRUZIONE 3D,
•
Applicazioni
Dott. Simone Berto.
ricostruzione
virtuale
in
archeologia.
•
Finalità scientifica e divulgativa.
•
Ricostruzione 3D.
•
Applicazioni a Nora.
PARTE 8:
•
Cos’è la valorizzazione?
LA VALORIZZAZIONE,
•
Perché valorizzare?
Prof. Jacopo Bonetto.
•
Applicazioni a Nora.
•
Pubblicazione e divulgazione.
5.1.4 Stesura dei contenuti e metodi di narrazione
È stato più volte sottolineato la necessità di mettersi in ascolto del reale: il documentario non è un
film di finzione. “Scrivere il documentario” sembra, allora, un ossimoro, ma non è così.
L’indeterminatezza, infatti, quasi mai aiuta il regista a trovare il percorso più efficace. C’è un
momento in cui il frutto della propria ricerca, e i suoi vari momenti, vanno raccolti in quello che
diventa un bilancio. Non è solo uno script da far leggere al produttore, ma un passaggio che serve
anche all’autore. È una verifica, un mettere ordine nella propria mente. Creare un primo step in cui
ciò che si è conosciuto viene messo su carta.
All’inizio si tratta di una “scrittura aperta” in cui convergono gli elementi raccolti e che può subire,
nelle sue varie fasi, costanti modifiche. È proprio questo continuo approfondimento e la conseguente
riflessione che aumenta fortemente la sensibilità nei confronti della realtà che si andrà a filmare165.
Molto spesso all’inizio non si hanno le idee chiare, con ogni probabilità si entra nella sala di
montaggio con un’idea e si esce con un prodotto completamente diverso. Per cominciare è bene
165
BALSAMO, PANNONE, 2009, pp. 81-82.
83
analizzare gli argomenti da descrivere o approfondire e valutare se per la realizzazione del filmato
basta un unico narratore fuori campo o più testimonianze e interviste.
La scelta più comune è quella di affidare il testo a una voce fuori campo che ha lo scopo di spiegare,
commentare e condurre lo spettatore lungo lo svolgimento del “viaggio”. È la via più facile ma
richiede un grande sforzo per chi scrive che diventa padrone e demiurgo delle cose dette nel corso
del filmato.
Un altro metodo di narrare consiste nell’aggiungere al testo fuori campo dei personaggi che possano
assumere il ruolo di protagonisti o anche di semplici testimoni di un’esperienza. Scegliendo questa
strada il documentario andrà strutturato in modo da dare a ciascuno il tempo sufficiente per
esprimersi, senza perdersi nel testo narrato.
Un’ultima possibilità è quella del documentario interamente narrato dagli intervistati. Le interviste
andranno costruite cercando di rendere i passaggi tra i personaggi e gli argomenti più fluidi possibile.
Per riuscirci è indispensabile che il percorso dei passaggi logici tra un’intervista e l’altra sia
perfettamente scorrevole166.
La necessità di un copione dipende dallo stile adottato e dal soggetto che si intende trattare. Il copione
dettaglia l’intero documentario 167 : le riprese, le inquadrature, le transizioni tra una scena e la
successiva, la lunghezza di ogni intervista, oltre alle parole dell’intervistato e dell’intervistatore. Se
c’è una voce narrante include anche le sue parole168. I documentari, tuttavia, possono essere anche
privi di copione: mentre i primi riguardano qualcosa che è già accaduto, i secondi non scritti, al
contrario, sono di solito di tipo osservazionale e riprendono eventi in accadimento. Non ci sono
interferenze con lo svolgimento dei fatti, sono meno strutturati e richiedono solo la preparazione di
una lista di domande da porre agli intervistati169. Le domande che verranno poste durante l’intervista
devono essere progettate per fornire sostanza al documentario, quindi è bene pianificarle con buon
anticipo: devono essere domande dirette, formulate con parole semplici e seguire una sequenza
logica170.
Il soggetto del documentario “Nora, il racconto dell’archeologo” richiedeva l’interazione tra
interviste e voce narrante. Agli esperti è stata data la possibilità di esprimersi e di farsi narratori della
166
FANTINI, 2005, pp.29-31.
167
Bisogna sempre tenere presente che scrivere un copione che sarà letto a voce è molto diverso dallo scrivere solo per
sé stesso.
168
LINDENMUTH, 2011.
169
PEPE, ZARZYNSKI, 2012, pp. 53-54.
170
LINDENMUTH, 2011.
84
loro professione, alla voce fuori campo è stato assegnato invece il compito di introdurre lo spettatore
alla disciplina archeologica e tessere le fila del messaggio che il filmato voleva veicolare. Gli
interventi degli esperti sono stati ordinati in una logica sequenziale che li ha resi autonomi dalla voce
narrante. Il narratore, infatti, ricompare nel corpo del documentario con un unico intervento che
spezza i due blocchi di interviste recuperando l’attenzione dello spettatore e alleggerendo i toni delle
argomentazioni (fig. 20). Il cambio di scena rende più attraente la regia evitando l’eccesiva monotonia
espositiva che rischia di portare l’ascoltatore alla saturazione171.
La sceneggiatura ha quindi coniugato da un lato il copione preparato per la voce narrante, interpretata
da Antonio Andreetta, e dall’altro la lista delle domande da porre agli esperti nel corso delle interviste.
Non essendo questi attori professionisti non era di fatto possibile proporre a ciascuno di loro un testo
da imparare a memoria o da leggere senza incorrere nel rischio di avere un’interpretazione piatta.
L’intervista, infatti, prevede la spontaneità di un non-attore che esprime con le sue parole un
argomento di cui ha una buona conoscenza. Pertanto ci si è limitati a fornire loro sola la lista delle
domande a cui avrebbero dovuto rispondere.
Diversamente, per la voce narrante è stato scritto il copione. Scrivere un buon testo per la voce fuori
campo non è facile, richiede talento e abilità nel mestiere. Essa prende vita nelle riprese, nelle
fotografie, nelle illustrazioni, nelle mappe e nelle animazioni. Non deve descrivere solo ciò che si
vede ma deve fornire anche informazioni ulteriori senza, tuttavia, confondere e disturbare lo
spettatore ma accompagnandolo lungo tutta la storia. Scrivendo la narrazione bisogna sempre tenere
in considerazione che il testo andrà intrepretato e parlato piuttosto che letto, questo comporta la
preferenza per una sintassi semplice fatta di frasi brevi, parole concrete e facili da pronunciare172.
Nel nostro progetto video la voce narrante, in aggiunta ai compiti già presentati, doveva dare una
definizione di archeologia e dimostrare come i suoi principi siano applicati nelle metodologie proprie
della disciplina. Attingendo ai più famosi scritti di archeologia teorica e traendo ispirazione dalle
parole di grandi autori come Luis Frèdèric173, Andrea Carandini174 , Daniele Manacorda175, Colin
Renfrew e Paul Bahn 176 , si è cercato di delineare una immagine affascinante, ma anche sincera,
dell’archeologia per coinvolgere lo spettatore e condividere con esso la passione per questo mestiere.
171
COSTA, 2009, pp.172.
172
PEPE, ZARZYNSKI, 2012, pp. 113-114.
173
FREDERIC, 1980, pp. 3.
174
CARANDINI, 2010, pp. 6-7, 11-12.
175
MANACORDA, 2004, pp.32.
176
RENFREW, BAHN, 2006.
85
86
Figura 20 - Schema con la struttura del documentario.
Copione
INTRODUZIONE – Voce narrante
Si parla spesso di archeologia. Fiumi d’inchiostro sono stati scritti sull’argomento. Ma che cos’è veramente
l’archeologia? Definirla con una sola parola è impossibile.
Si potrebbe definire scienza di storia, scienza dell’umanità scomparsa, oppure… Narrazione dell’evoluzione
umana che prende le mosse dagli oggetti e dalle tracce che il tempo non è riuscito a cancellare. L’archeologo
ricostruisce le storie, erose dal tempo, custodite nel sottosuolo o appena sopra di esso, come un codice che
deve essere decifrato da occhi e menti attente.
Ma quali sono i suoi metodi? Per scoprirlo abbiamo chiesto a un team di archeologi dell’Università di
Padova di raccontarci il loro lavoro presso il sito archeologico di Nora.
Oggi sappiamo che Nora era un’antica città posta lungo la costa meridionale della Sardegna, ad ovest di
Cagliari. Rimasta quasi del tutto sepolta per secoli, ha conservato i segni delle diverse culture che l’hanno
plasmata nel tempo. Sulle sue coste approdarono prima i Fenici, mercanti orientali, con le loro capanne
temporanee; poi i Cartaginesi, abili politici, che costruirono a Nora la prima città, e infine arrivarono i
Romani che monumentalizzarono l'abitato… Trasformandolo in un ricco centro mercantile del
Mediterraneo.
Successivamente le invasioni dei Vandali, dei Goti, dei Saraceni spinsero gli abitanti nell’entroterra, e fu
così che i grandi edifici… Abbandonati… Divennero ruderi, ruderi che ancora oggi vediamo.
Ma come è stato possibile acquisire queste conoscenze e scrivere questa narrazione? In altre parole… Quali
tracce si nascondono dietro la storia della frequentazione umana dell’isola?
CORPO 1 – INTERVISTE AGLI ESPERTI
LA PROGRAMMAZIONE DI UN INTERVENTO ARCHEOLOGICO
Prof. Andrea Raffaele Ghiotto – Le ricerche preliminari:
Come ha inizio un intervento archeologico?
Quando venne individuata Nora e a quando risalgono le prime indagini del sito?
Quali sono stati i progetti condotti dall’Università di Padova?
Prof.ssa Rita Deiana – Le prospezioni geofisiche:
Come si fa a capire dove iniziare a scavare?
Che cos’è la geofisica?
A Nora che tipo di prospezioni sono state fatte?
87
L’INTERVENTO ARCHEOLOGICO
Prof. Jacopo Bonetto – Lo scavo archeologico:
Quando viene programmata la fase di scavo?
In cosa consiste lo scavo archeologico?
Quali sono i principi e i metodi che segue lo scavo archeologico?
Dott. Arturo Zara – La documentazione di scavo:
Cos’è la documentazione di scavo e a cosa serve?
Quali sistemi di documentazione si usano?
Cos’è una stazione totale?
Dott.ssa Valentina Mantovani – I reperti archeologici:
Cosa sono i reperti archeologici?
Perché è importante studiare i materiali e come si fa a datare un oggetto?
Cosa sono le seriazioni morfologiche?
Con quale procedimento lavora l’esperto di materiali?
INTERVENTO CENTRALE – Voce narrante
L’archeologia è quindi una disciplina pratica ed estremamente varia. Come è vario l’uomo stesso.
Per ricostruire la storia dell’umanità l’archeologo, quindi, consulta documenti storici, interpreta analisi
fisiche, fatica sotto il sole o si immerge per recuperare la storia sommersa, documenta quanto è rimasto del
passaggio dell’uomo e studia gli oggetti che hanno accompagnato la sua evoluzione.
Ogni lembo di terra mosso dall’uomo, ogni pietra toccata dall’uomo, ogni coccio plasmato dall’uomo ci
raccontano la storia dell’uomo.
Ma il lavoro dell’archeologo non si limita solo a questo. La conoscenza del nostro passato appartiene a tutti
e, pertanto, una parte importante del suo lavoro consiste nel trasmettere i risultati delle sue ricerche al
pubblico.
CORPO 2 – INTERVISTE AGLI ESPERTI
LA CONCLUSIONE DI UN INTERVENTO ARCHEOLOGICO
Dott. Filippo Carraro – La protezione e conservazione di un sito:
Cosa significa tutelare il patrimonio archeologico?
Che problematiche sono state individuate nel sito di Nora?
Come si è sviluppato il progetto Noramar?
88
Dott. Simone Berto – la ricostruzione 3D:
Cos’è la ricostruzione tridimensionale e quali applicazioni ha in ambito archeologico?
Che finalità ha la ricostruzione 3d?
Quale procedimento viene seguito?
Quali applicazioni sono state fatte nel sito di Nora?
Prof. Jacopo Bonetto – La valorizzazione:
Cos’è la valorizzazione archeologica?
Quale valorizzazione è stata applicata nel sito di Nora?
Come agisce la valorizzazione sulla divulgazione?
CONCLUSIONE
Il risultato di questa sequenza di lavoro e di metodi è la ricostruzione di culture, usi e costumi, relazioni
sociali, economiche e politiche, credenze religiose... Ottenuta attraverso l'osservazione attenta di opere
d’arte, innovazioni tecnologiche e oggetti d’uso comune... In una parola: il risultato è la ricostruzione della
vita dell’uomo di allora.
Grazie ad un grande sforzo interpretativo gli archeologi riescono a ricostruire tutto questo, per farlo hanno
sviluppato l’abilità di ragionare all’indietro, in tempi rovesciati: come quando si perde un oggetto e si
ripercorre la giornata… Al contrario di come si è svolta per ritrovarlo. Usano, quindi, la distruzione a
vantaggio della ricostruzione.
Nel caso di Nora è stato seguendo questa metodologia che gli archeologi sono riusciti a ricostruirne la storia
penetrando tra le spighe del campo di grano che ad inizio ‘900 veniva coltivato tra le rovine del teatro e
delle terme romane. È stato grazie alle continue ricerche e ai metodi scientifici elaborati nel corso del tempo
che Nora è venuta alla luce insieme alla sua storia. Una storia di oltre 10 secoli che ha reso l’antica città un
punto di riferimento per i traffici commerciali tra Oriente e Occidente e una delle città più importanti della
Sardegna punica e romana. Ma la storia è un universo enorme e non sarà mai scritta fino in fondo: per questo
le ricerche archeologiche che sono ancora in corso contribuiranno ad arricchire le conoscenze acquisite sulla
storia di questa città antica in un incessante riformulazione del fluire della vita passata, specchio senza tempo
dell’umanità presente e futura.
89
5.1.5 Il livello di comunicazione adottato
Molto spesso, il problema della divulgazione dei risultati scientifici, come precedentemente ho
sottolineato, sta nel livello di comunicazione che si sceglie di usare. L’iper-specializzazione delle
discipline e l’abitudine a comunicare in un contesto accademico o composto esclusivamente di
esperti, può indurre ad adottare, anche in modo inconsapevole, un linguaggio non idoneo per la
comunicazione di massa. Lasciando agli esperti la possibilità di essere spontanei e di esprimersi con
le loro parole vi era il rischio che gli stessi adottassero quel linguaggio, a loro più famigliare per
trattare dati scientifici.
Per ovviare questo problema a ciascuno di loro è stato fornito un testo, che non andava letto né
imparato a memoria, ma che voleva essere un modello da prendere come riferimento, un esempio per
migliorare la comprensibilità del discorso.
I testi sono stati scritti, seguendo i suggerimenti della docente di psicologia Prof.ssa Francesca
Pazzaglia. Nello specifico si è prestato attenzione a scegliere una sintassi semplice e una struttura del
discorso in stile giornalistico, anticipando cioè, quando possibile, l’informazione principale e poi gli
eventi ad essa collegati. Frasi brevi, verbi semplici, parole concrete e quotidiane hanno contribuito a
rendere più famigliari gli argomenti. Per sostenere la motivazione, poi, si possono adottare anche altre
modalità, fra cui l’esempio. Infatti come altri tipi di comportamento, anche la motivazione è soggetta
all’apprendimento “per imitazione”. Pertanto, quando necessario, è utile riportare nel discorso
qualche esempio pratico per raffigurare quanto di sta affermando.
Anche esprimersi con entusiasmo aiuta. L’entusiasmo è, infatti, contagioso e rafforza la motivazione.
Tuttavia non è sempre facile trasmettere quest’ultima a parole. Pertanto agli esperti sono state
consigliate alcune accortezze da seguire per esprimersi al meglio:
•
usare espressioni para-linguistiche (come la modulazione del volume, del tono e della
frequenza della voce) per attirare l’attenzione dell’ascoltatore;
•
servirsi degli atteggiamenti non verbali per sottolineare i punti più importanti del discorso,
(per esempio enfatizzare alcune espressioni facciali per sottolineare quanto si sta dicendo o
lanciare sguardi eloquenti e illuminati, come se si stesse guardando qualcosa di importante);
•
avvalersi di atteggiamenti prossemici che enfatizzano la gestualità delle mani, per esempio
con costanti gesti dimostrativi, e del corpo.
Come in tutte le cose è bene, anche in questo caso, non eccedere troppo nell’esprimere entusiasmo.
Infatti, nonostante l’intenzione di incoraggiare a volte gli incentivi sortiscono l’effetto contrario. La
passione armoniosa è infatti considerata positiva e genera comportamenti volontari costruttivi
90
(voglio/vorrei), quella ossessiva invece è negativa e porta spesso a subire degli obblighi (devo/dovrei)
nei confronti di qualcosa177. Per sviluppare la passione armoniosa è importante anche sviluppare un
clima autonomo e controllante178.
Riporto di seguito i modelli di riferimento preparati e consegnati agli esperti alcuni giorni prima
dell’inizio delle riprese come esempio del livello comunicativo da adottare.
Modelli di riferimento
LE RICERCHE PRELIMINARI
Programmare un intervento archeologico
Come ha inizio un intervento archeologico?
Ogni intervento archeologico inizia con l’individuazione di un sito o di un elemento che compone il
paesaggio del passato. Ci sono aree archeologiche che sono note da sempre (pensiamo alle piramidi d’Egitto
o all’antica Roma, per esempio); altre che sono conosciute solo da un certo periodo storico; altre invece che
devono essere ancora scoperte.
Un numero notevole di siti è stato individuato per caso, grazie a rinvenimenti fortuiti, lavori agricoli o edili.
Quando un archeologo deve localizzare un sito procede invece metodicamente:
1. studia le fonti scritte storiche e cartografiche;
2. svolge ricognizioni territoriali,
3. analizza le fotografie aeree delle ricognizioni da remoto
4. e ancora effettua delle prospezioni per indagare il sottosuolo.
Nora, le prime indagini
Quando venne individuata Nora e a quando risalgono le prime indagini del sito?
Fino al XVI secolo l’antica città di Nora non era stata ancora individuata. I rinvenimenti sparsi e i ruderi
che emergevano dal terreno ne suggerivano solo in parte l’importanza.
Le prime indagini accurate risalgono alla fine del 1800 quando Giovanni Patroni individuò una grande
necropoli appartenente a una città di “antichissima origine”: era stata così scoperta Nora, che Pausania
indicava come “la prima città dell’isola”!
177
Si è soliti attribuire alla motivazione solo emozioni positive ma non è così. A volte si può essere anche spiacevolmente
motivati, magari perché costretti o impegnati in passaggi sgradevoli, ma necessari per raggiungere ciò verso cui ci si
motiva.
178
MOÈ, 2010, pp. 187-190; MOÈ, 2011; MOÈ, 2012.
91
Lo scavo metodico dell’insediamento iniziò solo nel 1952 quando il soprintendente Gennaro Pesce cominciò
a riportare in luce gran parte dell’antica città romana. L’obbiettivo finale era rendere visitabile il sito al
pubblico.
Dal 1990 alcuni Atenei italiani hanno ripreso gli scavi archeologici a Nora, per poter acquisire nuovi e più
puntuali dati sulla storia dell’antica città.
La missione archeologica dell’Università di Padova
Quali sono stati i progetti condotti dall’Università di Padova?
L’università di Padova, a partire dalle relazioni lasciate dagli archeologi precedenti, ha indagato dal 1997 la
grande piazza romana, il foro, dal 2007 il tempio d’età imperiale vicinissimo alla piazza e, negli ultimi anni,
l’area delle necropoli fuori dalla città e il rapporto della città stessa con il mare.
LE PROSPEZIONI GEOFISICHE
Geofisica e archeologia
Come si fa a capire dove iniziare a scavare?
La documentazione storico-cartografica è fondamentale per conoscere un sito archeologico. Grazie al suo
studio, per esempio, gli archeologi hanno saputo dove si trovava il foro di Nora e in quel punto hanno
iniziato lo scavo. Quando però s’intraprende un’indagine archeologica in aree che non sono state studiate in
precedenza, è necessario decidere dove stabilire il cantiere e raccogliere tutte le informazioni relative al
terreno prima di iniziare a scavare. Per fare questo l’archeologia usa le prospezioni geofisiche.
Definizione di geofisica
Che cos’è la geofisica?
In generale la Geofisica è per definizione la scienza che studia le proprietà fisiche della Terra e le variazioni
di queste proprietà nello spazio e nel tempo. Per esempio, si può osservare come una corrente elettrica
attraversa il sottosuolo o con che velocità un segnale elettromagnetico o un segnale meccanico viaggiano
nel terreno. Ogni materiale, in base alle sue caratteristiche, risponde in modo diverso e questo consente di
individuare le “anomalie” che, in archeologia, sono i reperti sepolti.
Il lavoro del geofisico quindi non è molto diverso da quello di un medico quando fa una radiografia o una
TAC per capire dove si deve intervenire.
Analisi effettuate a Nora
A Nora che tipo di prospezioni sono state fatte?
Gli strumenti che usa il geofisico per poter fare una “fotografia del sottosuolo” in cui vedere le anomalie
sono tanti ma non tutti sono utilizzabili in ogni luogo. A Nora, per esempio, la vicinanza del mare e la
presenza di rifiuti metallici ha impedito l’uso di diversi metodi. Si è scelto di usare, invece, due strumenti
92
in particolare: il georadar e la tomografia elettrica. Si tratta di due metodi che evidenziano le variazioni delle
proprietà elettriche del suolo. Poiché la corrente elettrica non può passare attraverso il vuoto, è stato possibile
individuare cavità nel terreno. Gli archeologi, scavando in corrispondenza di questi vuoti, hanno potuto
individuare con grande facilità le tombe scavate nella roccia che risalgono al periodo in cui Nora era
frequentata dai Cartaginesi.
LO SCAVO ARCHEOLOGICO
La fase di scavo
Quando viene programmata la fase di scavo?
Una volta raccolte tutte le informazioni di carattere storico e quelle relative alle anomalie geofisiche del
sottosuolo, l’archeologo programma la fase dello scavo.
Scavare è un’operazione vecchia come il mondo: da sempre infatti l’uomo ha scavato il terreno per costruire
una capanna, per creare una tomba, per gettare le fondamenta di un edificio, per sotterrare oggetti e molto
altro ancora. In seguito l'uomo ha cominciato a scavare per cercare nel terreno ciò che qualcuno vi aveva
lasciato o sepolto in altro momento. Questo scavo veniva fatto però senza alcun criterio tecnico e mirava
soprattutto a ritrovare qualcosa di importante o prezioso.
Lo scavo archeologico
In cosa consiste lo scavo archeologico?
Lo scavo archeologico, invece, è un’operazione complessa e metodica che serve per raccogliere, nel modo
più completo possibile, tutte le informazioni che il terreno conserva e portare alla luce strutture e reperti
archeologici.
La stratigrafia
Quali sono i principi e i metodi che segue lo scavo archeologico?
Grazie alle osservazioni e agli studi avviati dai geologi e portati avanti dagli archeologi, abbiamo imparato
che il terreno sotto i nostri piedi non è una massa di sedimenti indistinti, ma è il prodotto della
sovrapposizione di tanti strati, diversi tra loro, che si sono formati nel corso del tempo in vari modi. Gli
strati più recenti sono naturalmente quelli posti ad una quota più alta (“stanno sopra”), quelli più antichi si
trovano a maggiore profondità (“stanno sotto”). Scavando l’archeologo sfoglia il terreno, strato per strato,
dai più recenti ai più antichi: analizza dunque la stratigrafia, seguendo un ordine contrario rispetto quello
con il quale si è formata, e ricostruisce la storia dell’area indagata! In base alla sequenza di questi strati,
chiamati unità stratigrafiche, deve riuscire a capire che cosa è avvenuto prima e cosa dopo, ricostruendo
una sequenza cronologica relativa.
Ogni asporto o apporto di terra, fatto per qualsivoglia motivo, lascia delle tracce nel terreno o sulle strutture
e l’archeologo, come un detective, riesce a individuarle e interpretarle.
93
LA DOCUMENTAZIONE DI SCAVO
La documentazione di scavo
Cos’è la documentazione di scavo e a cosa serve?
Lo scavo consente quindi di raccogliere molte informazioni ma, allo stesso tempo, porta alla distruzione
della stessa fonte di conoscenza: la stratigrafia! Quando uno strato viene scavato, viene logicamente tolto e
non è più possibile tornare indietro. Ecco perché bisogna documentare ogni fase del lavoro.
Metodi di documentazione
Quali sistemi di documentazione si usano?
Giorno dopo giorno, quindi, ogni archeologo registra con pazienza tutte le operazioni che compie e tutte
interpretazioni che da allo scavo in un diario personale: il diario di scavo.
Ogni strato scavato viene poi descritto in apposite schede US, abbreviazione che sta per “unità
stratigrafiche”: queste sono una sorta di carta d’identità che raccoglie tutte le informazioni dello strato.
Ad ogni unità stratigrafica vengono anche scattate varie foto. Nelle foto dev’essere presente un riferimento
metrico e una freccia che indichi il nord. Poi, per identificare il soggetto della foto, viene scritto in una
lavagnetta il nome con cui è stato classificato.
Infine, per rappresentare le relazioni tra tutti gli strati e le strutture scavate si disegnano piante e sezioni.
Precisamente, le piante consentono una visione dall’alto dello scavo; invece le sezioni mostrano uno
spaccato, come la fetta di una torta mille-strati. Per fare questi disegni è necessario prendere tante misure
con uno strumento particolare: la stazione totale.
Cos’è una stazione totale?
Questa macchina è dotata di un raggio laser che serve da distanziometro, misura cioè con precisione
millimetrica l’altezza e le distanze dei punti che ci interessano. Questi dati vengono in seguito visualizzati
con un computer come punti nello spazio. Unendo questi punti secondo un ordine stabilito sul campo,
proprio come nei giochi della settimana enigmistica, vengono disegnate piante e sezioni.
I MATERIALI
I reperti archeologici
Cosa sono i reperti archeologici?
Scavando l’archeologo trova anche oggetti, interi o più frequentemente in frammenti, in ceramica, vetro,
metallo o pietra, che vengono chiamati con un termine abbastanza generico “reperti antichi”. Questi
materiali sono un’altra testimonianza della storia dell’uomo, ed entrano a far parte dell’unità stratigrafica
perché qualcuno, nel passato, li ha rotti e quindi abbandonati in terra, ad esempio, oppure persi, sotterrati
per nasconderli, o molto altro ancora.
94
Lo studio dei materiali
Perché è importante studiare i materiali e come si fa a datare un oggetto?
Lo studio dei materiali è importante perché consentono di capire quando uno strato si è formato. Sono infatti
degli indizi di cronologia assoluta: aiutano, cioè, a stabilire a quale periodo risale lo strato.
Ma come si fa a datare un oggetto?
C’è un principio alla base di questa informazione: i materiali prodotti in un determinato periodo e luogo
hanno un aspetto esteriore, come ad esempio il colore, la forma e la decorazione, riconoscibili e diversi da
quelli prodotti in luoghi o in periodi differenti. Partendo da questa affermazione nel corso degli anni diversi
studiosi si sono dedicati allo studio proprio di questi elementi di distinzione, classificando i materiali in base
alle loro caratteristiche fisiche, e costruendo così complesse seriazioni morfologiche.
Cosa sono le seriazioni morfologiche?
In altre parole… Questi studiosi hanno diviso gli oggetti antichi per materiale (raggruppando la ceramica
con ceramica, metallo con metallo, ecc.), poi sulla base dell’aspetto esteriore, ottenendo così delle classi,
quali, ad esempio, la ceramica a vernice nera (caratterizzata da un colore della superficie nero), e la terra
sigillata, (caratterizzata invece da superfici di colore corallo). All’interno dei gruppi così ottenuti hanno poi
individuato le forme basandosi sui modelli e le loro funzioni (in questo caso parleremo di brocche per versare
liquidi, bicchieri per bere e tanti altri). Infine, con le ultime caratteristiche fisiche differenti, hanno
individuato i tipi.
Per ciascuno dei tipi hanno creato una sorta di “carta di identità”, nella quale è possibile trovare informazioni
relative al nome dell’oggetto, quando e dove è stato prodotto.
Confrontando con queste carte d’identità il frammento proveniente dall’unità stratigrafica appena scavata è
possibile risalire all’origine del pezzo, alla sua datazione e, quindi, a quando si è formata lo strato stesso.
Il metodo
Con quale procedimento lavora l’esperto di materiali?
Ovviamente, lo studio dei materiali non si fa solo in biblioteca, ma inizia già sullo scavo, con la pulitura, la
siglatura e l’inserimento di ciascun oggetto in un database, e prosegue poi in laboratorio, dove si effettuano
i disegni e le fotografie, indispensabili alla successiva ricerca in biblioteca, condotta proprio utilizzando le
seriazioni morfologiche.
LA PROTEZIONE E CONSERVAZIONE DI UN SITO
La tutela del patrimonio archeologico
Cosa significa tutelare il patrimonio archeologico?
95
Per trasmettere i risultati delle ricerche ad un pubblico futuro è necessario salvaguardare le strutture che
studiamo: è questo il significato della tutela del patrimonio archeologico. Ogni sito ha le sue problematiche
ed è bene evidenziarne le situazioni a rischio e facilitarne la conservazione.
Il progetto Noramar
Che problematiche sono state individuate nel sito di Nora?
Rientra anche in quest’ottica il progetto “Nora e il mare”. Oggi, come in passato, Nora sorgeva sul mare e
con il mare si relazionava. La presenza di strutture archeologiche oggi sommerse è stato il primo indizio
utile per capire che, nel corso dei secoli, qualcosa nel rapporto tra la città e la costa era cambiato.
Dal confronto con altre discipline scientifiche e dalla collaborazione con l’ENEA si è appreso che il mare è
cresciuto negli ultimi due mila anni di circa 1 metro e 40 centimetri. Questo innalzamento, e le forti
mareggiate, mettono in pericolo i resti archeologici lungo la costa. Per esempio: in soli tre anni parte della
necropoli punica, che si trovava a ridosso del mare, è crollata!
È dunque necessario intervenire e documentare il progressivo avanzamento del mare e le sue conseguenze
sul sito archeologico. Ma come fare?
Metodologia e risultati
Come si è sviluppato il progetto Noramar?
Per prima cosa si è indagato l’andamento della superficie del terreno, emerso e sommerso. Le strutture
sommerse sono state rilevate con la stazione totale. Il fondale marino è stato mappato con il sonar, uno
strumento che emette frequenze acustiche. E infine questi dati sono stati confrontati con le fotografie aeree
storiche della zona.
Risultati
Tutto questo ha confermato, con rigore scientifico, che il territorio emerso in passato era più esteso, e di
conseguenza lo era anche la città; che l’ampia fascia costiera poteva essere usata per sfruttare le risorse
marine, costruire infrastrutture come il porto e in alcuni punti opere di contenimento e protezione, opere che
anche oggi si stanno costruendo per difendere questo sito archeologico dall’erosione del mare.
LA RICOSTRUZIONE 3D
Le nuove tecnologie
Cos’è la ricostruzione tridimensionale e quali applicazioni ha in ambito archeologico?
La ricostruzione tridimensionale, in archeologia, è uno strumento molto utile con il quale, sostanzialmente,
si cerca di “ricostruire” l’aspetto originario dei manufatti antichi o delle strutture che vengono portate alla
luce durante lo scavo. È quindi uno strumento utile per comunicare visivamente i risultati della ricerca
archeologica.
96
La ricostruzione 3D
Che finalità ha la ricostruzione 3d?
In questo senso la ricostruzione tridimensionale ha due finalità principali.
1. In primo luogo possiede un grande valore scientifico: ad esempio, per l'archeologo ricostruire
virtualmente un edificio antico è un'ottima occasione per comprendere se le ipotesi su cui la
ricostruzione stessa si basa sono corrette o meno.
2. In secondo luogo svolge un’efficace funzione comunicativa, migliorando la comprensione di una
determinata area archeologica che, ad esempio, potrà essere maggiormente apprezzata da parte dei
visitatori.
Quale procedimento viene seguito?
Normalmente, quando si cerca di elaborare un'ipotesi ricostruttiva, si seguono pochi semplici passaggi:
1. Prima di tutto si parte da una pianta dello scavo,
2. Poi si confrontano i dati emersi dallo scavo con le fonti antiche e si cercano dei confronti pertinenti
all’edificio che si vuole ricostruire,
3. infine, attraverso software specifici per la modellazione e il disegno tridimensionale, si cerca di proporre
l'ipotesi più verosimile.
Applicazioni
Quali applicazioni sono state fatte nel sito di Nora?
Seguendo questo procedimento a Nora sono state eseguite proposte di ricostruzione virtuale per alcuni
edifici, uno tra questi è per esempio il Tempio Romano.
Servendosi di questa tecnologia il turista che si approccia alle rovine può, attraverso l’uso di determinati
software e visualizzatori, vivere una coinvolgente esperienza visiva e ammirare la realtà storica ricostruita,
su base scientifica, davanti a suoi occhi.
In questo modo viene rispettato anche il fine ultimo della ricerca archeologica, ovvero la valorizzazione e
la divulgazione dei dati acquisiti.
LA VALORIZZAZIONE
La valorizzazione archeologica
Che cos’è la valorizzazione archeologica?
Ogni intervento archeologico completato va valorizzato. Ma cosa significa esattamente? Valorizzare
significa dare un valore, un significato, un’importanza e per farlo bisogna riuscire a far capire il passato e
le realtà antiche.
Molto spesso accade, andando a visitare un sito archeologico, di leggere la descrizione di un monumento
ma di vedere nella realtà poche pietre consumate dal tempo. Un intervento archeologico concluso mostra,
97
infatti, tracce del passaggio dell’uomo appartenenti ad epoche diverse, buche nel terreno e spesso mucchi di
terra. Tutto questo rende lo scavo di difficile comprensione, anche all’archeologo più esperto.
Ecco perché l’archeologo deve trovare il modo migliore per presentare i risultati delle ricerche al pubblico.
Le possibilità nel campo della valorizzazione sono tantissime: i resti si possono restaurare, ricostruire con
cautela, o risistemare per renderli più leggibili.
Foro e Tempio romano di Nora
Quale valorizzazione è stata applicata nel sito di Nora?
Ad esempio nel sito archeologico di Nora, partendo dai dati di scavo, abbiamo cercato di ricostruire la città
antica nell’immaginario del turista. All’interno del sito, e precisamente nel Foro e nel Tempio Romano, si è
scelto di agire in modo da avere il minor impatto possibile sulle strutture antiche. Sono stati così utilizzati
ghiaini di diversi colori per far percepire l’articolazione degli ambienti all'interno del monumento.
Divulgazione risultati
Come agisce la valorizzazione sulla divulgazione?
Valorizzare significa anche divulgare le conoscenze al grande pubblico e alla società. Il modo più efficace
per farlo sono le pubblicazioni, accessibili e comprensibili da tutti. Un altro modo altrettanto utile è
organizzare conferenze e coinvolgere le comunità nelle attività archeologiche e di recupero dei beni culturali
nell’ottica di quell’archeologia che è stata definita “pubblica”.
5.1.6 Risorse economiche, strumentazione e troupe
Una volta definito il soggetto e la struttura del documentario è possibile prevedere i costi e i tempi di
produzione, la strumentazione utile e il numero di persone necessarie per la realizzazione del progetto.
La pre-produzione, come si è visto, è un processo molto dinamico, definisce gran parte dell’estetica
e della qualità del documentario. Una buona pianificazione influisce sulla buona riuscita sia della
produzione sia della post-produzione. La pianificazione del lavoro, però, è spesso influenzata
dall’ammontare del budget e i problemi legati ad essa possono avere ripercussioni in ambito
economico. Inoltre, sia il piano di lavoro sia il budget dipendono strettamente dal tipo di copione
realizzare179. Il budget non ha bisogno di essere dettagliato, dovrebbe per lo più proporre una stima
179
98
LONG, SCHENK, 2002, pp. 9.
dei costi per le varie fasi del progetto. La pre-produzione, la produzione e la post-produzione costano
tanto quando le spese di distribuzione. Il budget è di solito preparato dal documentarista, che ha
l’esperienza di mettere insieme i dati. Il ruolo dell’esperto, in questo caso dell’archeologo, sarà quello
di guidare il documentarista provvedendo a fornire informazioni sui costi relativi alle ricerche, ai
viaggi, alle spese in laboratorio e sul campo. Fortunatamente gli archeologi scrivono continuamente
proposte di progetti per supportare il loro lavoro e perciò hanno familiarità con la stesura di un
preventivo importante180.
Il documentario “Nora, il racconto dell’archeologo” è un progetto di tesi magistrale e, pertanto, si
inserisce in ambito universitario. Questa felice collocazione non necessitava della stesura di un budget
poiché non prevedeva spese di produzione. La collaborazione con gli studiosi e i tecnici di
cinematografia del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova ha
permesso, infatti, di usufruire a costo zero della strumentazione professionale presente in laboratorio.
Una fortuna in cui non tutti i progetti di ricerca archeologica possono sperare: molto spesso i budget
a disposizione solo limitati e sufficienti esclusivamente per le attività strettamente legate all’indagine
archeologica.
Tuttavia, ribadisco nuovamente, oggi è davvero economico ottenere e utilizzare un sistema di ripresa
di qualità cinematografica in quanto il panorama commerciale offre strumentazione eccellente a costi
contenuti. In realtà oggi il problema appare quasi l’inverso: c’è talmente tanta scelta che decidere la
strumentazione da usare è davvero complesso. La rivoluzione digitale, inoltre, consente a un qualsiasi
possessore di smartphone o tablet di girare video in buona definizione. L’attrezzatura richiesta da un
documentario, invero, è molto ridotta rispetto a quella necessaria a un film tradizionale. Quindi, se
nel passato l’attrezzatura era uno dei principali problemi da sormontare, oggi è diventato l’aspetto più
semplice di una produzione181.
Il Laboratorio audio-video e fotografico del Dipartimento dei Beni Culturali è in possesso delle
seguenti postazioni e attrezzature:
•
corredi di video-produzione per i Laboratori didattici;
•
stazioni di post-produzione digitale audio-video;
•
consolle di produzione dedicato ai riversamenti e all’archiviazione del Progetto di
digitalizzazione della raccolta filmica;
•
corredi camcorder video professionali con parco microfoni e altre attrezzature di supporto;
180
PEPE, ZARZYNSKI, 2012, pp. 68-69.
181
LINDENMUTH, 2011.
99
•
corredo per l’illuminazione artificiale delle riprese;
•
workstation dedicate all’acquisizione e all’elaborazione fotografica;
•
corredi digitali per la ripresa fotografica;
•
sistema di sintonizzazione, acquisizione e registrazione via etere.
Precisamente, per effettuare le riprese del documentario, ci siamo serviti della seguente
strumentazione:
1. Una videocamera Canon XA10, con obiettivo incorporato.
2. Un treppiede a testa fluida: la testa fluida sostiene con solidità il corpo macchina e consente
di effettuare delle riprese stabili, il pubblico percepisce immediatamente come amatoriale un
documentario realizzato con immagini che tremolano irrazionalmente a causa di un operatore
non esperto.
3. Le riprese delle interviste sono state effettuate presso lo studio di registrazione del
Dipartimento dei Beni Culturali di via Beldomandi a Padova. Lo studio, insonorizzato e
illuminato correttamente, come vedremo, ha permesso di eseguire delle riprese di ottima
qualità e di ridurre al minimo il lavoro di equalizzazione del suono e delle immagini nella fase
di post-produzione (fig. 21).
4. L’audio è stato registrato con un microfono direzionale da studio e di alta qualità, collocato
subito fuori dalla presa video in posizione sopraelevata su uno stativo. Spesso registrare il
sonoro è assai più difficile che riprendere il visivo e il microfono della videocamera è adatto
per raccogliere il suono ambientale, ma non per registrare l’audio di un’intervista. In questi
casi è meglio appunto usare un microfono esterno da collegare alla videocamera.
5. Per verificare direttamente la qualità dal sonoro è stato utile servirsi anche di un paio di cuffie
HI-FI. Ciò che si ascolta nelle cuffie è ciò che viene registrato: in questo modo è possibile
individuare subito eventuali rumori o disturbi e correggere il problema. Anche se lo studio di
registrazione è insonorizzato, infatti, ci può essere sempre qualche disturbo proveniente dalle
stanze adiacenti o dall’ambiente cittadino.
6. Quando si effettuano delle riprese, inoltre, è importante fare affidamento su una sorgente di
luce sicura: un’immagine scura risulterà sgranata. Lo studio di registrazione è dotato anche di
un completo corredo di illuminazione del quale abbiamo usufruito di pannelli diffusori a LED.
Per effettuare le riprese presso il sito archeologico di Nora, invece, è stata usata la strumentazione in
possesso di chi scrive, ottenendo comunque nell’insieme, del buon materiale per il montaggio:
1. Fotocamera modello Nikon D5200
2. Obiettivi AF-S DX NIKKOR 18-105mm f/3.5-5.6G ED VR e AF-S VR Zoom-Nikkor 70300 f/4.5-5.6G IF-ED
100
3. Treppiede Manfrotto 728B digi, dotato di tre movimenti e ideale anche per riprese a 360°.
Infine, ultimo aspetto da tenere in considerazione è la composizione della troupe, ovvero la
compagine dei collaboratori. Anche questo è compito del documentarista, in accordo con il produttore
e tenendo conto del budget di produzione. La troupe di un documentario differisce da progetto a
progetto, a seconda dei soldi a disposizione ma anche in relazione alla natura della singola storia e
alle sue necessità182 . Una delle cose più difficili è spesso quella di formare un gruppo di lavoro
perfettamente omogeneo, in cui ogni persona abbia dei compiti specifici e tragga la massima
soddisfazione dalle proprie attività. Una troupe ideale è composta di un regista, un autore, un direttore
della fotografia, un direttore della produzione, un fonico, un microfonista, un operatore alla camera
con il suo assistente, un elettricista, un interprete e un autista o una guida (queste ultime tre figure
sono molto utili in caso ci si trovi in un paese straniero)183.
Quando si ha a disposizione un budget medio-alto e si ha a che fare con lavorazioni complesse tutte
queste figure possono essere necessarie, ma in situazioni particolari, per una buona riuscita del
documentario, è preferibile non inserire ulteriori mediazioni e ridurre al minimo le persone.
Figura 21 - studio di registrazione DAMS Università di Padova.
182
BALSAMO, PANNONE, 2009, pp. 89.
183
FANTINI, 2005, pp. 105-108.
101
La troupe per la realizzazione del documentario “Nora, il racconto dell’archeologo” è stato composta
dalle seguenti persone:
1. chi scrive nel ruolo di regista: generalmente questa figura ha il compito di plasmare il
documentario dando forma ai suoi contenuti, caratterizzando dal punto di vista visivo ed
emotivo il prodotto finale;
2. il professore Mirco Melanco nel ruolo di produttore: compito principale del produttore è
gestire ed organizzare l’intero progetto in ogni suo aspetto;
3. il professore Jacopo Bonetto e l’autrice del presente lavoro nel ruolo di autori: costui è la
persona che si occupa in maniera meticolosa dei contenuti. Il lavoro dell’autore inizia pertanto
molto prima dell’inizio delle riprese, insieme al regista, progetta e immagina il prodotto finito
e stabilisce il taglio che le domande dovranno avere per ottenere dall’intervistato risposte che
possano facilmente raccordarsi con la storia;
4. i dottori Antonio Zanonato e Alberto Fanin, rispettivamente responsabile del laboratorio e
assistente tecnico, si sono occupati, invece, di tutti gli aspetti tecnici, dalla gestione delle luci
alla gestione del suono, dalle riprese al montaggio, e così via.
L’assegnazione di questi ruoli non va intesa in maniera rigida, è stato infatti il costante confronto e
interazione tra le parti a garantire la buona riuscita del progetto. Per esempio, l’esperienza del
professor Melanco e i consigli professionali dei dottori Zanonato e Fanin, condivisi con chi scrive,
hanno permesso la realizzazione di un prodotto video di ottima qualità. Invece, il continuo scambio
di idee con il professor Bonetto ha consentito la stesura di un saldo contenuto scientifico che,
controllato dalla professoressa Pazzaglia ha rispettato le condizioni di comprensibilità descritte in
precedenza.
5.2
Produzione
5.2.1 L’organizzazione del materiale raccolto
L’organizzazione di un documentario richiede un impegno considerevole di tempo, e diventa spesso
un’ancora di salvezza per il suo autore o la troupe impostare il lavoro in modo preciso e professionale,
fin dalla gestione del materiale di repertorio e della raccolta delle informazioni. È utile organizzare
102
in cartelle dai nomi chiari e precisi i file di testo, il materiale fotografico, gli eventuali materiali
d’archivio e tutti gli appunti raccolti nel corso delle ricerche184.
Avere molto materiale a disposizione è preferibile: aumenta la possibilità di scelta in fase di
montaggio e garantisce un costante accompagnamento visivo a quanto viene detto dagli intervistati.185
Il materiale, se ordinato, è più facile da trovare in fase di montaggio. Seguendo questa metodica,
pertanto, si è proceduto ad organizzare il materiale raccolto nel corso delle ricerche in cartelle in base
alle tematiche in esso affrontate. In questo modo è stato possibile avere un’idea della quantità della
documentazione utilizzabile ed individuare eventuali carenze da colmare successivamente con delle
riprese supplementari.
Documentazione fotografica e video su Nora
Foto storiche del promontorio di Pula, Soprintendenza alle antichità della
Sardegna, Cagliari.
FOTO D’EPOCA
Foto di Gennaro Pesce.
Foto scavi storici del foro, tempio romano e della necropoli fenicia e punica.
Filmato dall’Archivio dell’Istituto Luce, Roma, Città sommersa, regia di
Giovanni D’Eramo, 1950.
Itinerario quiz. Viaggio a Premi attraverso l’Italia: Sardegna, regia di Pietro
Turchetti, testi Nissim Renzo, editore Rai - radiotelevisione italiana, anno di
trasmissione 1962.
VIDEO D’EPOCA
Documentario su Nora con gli interventi di Piero Bartoloni e Carlo Tronchetti,
Nora, la più antica città della Sardegna.
Documentario Pula, sulle tracce dell’antica Nora, produzione Wilder srl,
autore Spadetta Giulio, regia Jones Peter, editore Regione autonoma della
Sardegna, 2009.
FOTO
CONTEMPORANEE
NORA
184
FANTINI, 2005, pp. 25
185
LINDENMUTH, 2011.
Ortofoto degli anni 1960, 2002 e 2006.
Foto aeree della penisola e delle strutture del sito (foro, tempio romano, teatro,
terme a mare, casa dell’atrio tetrastilo), Gianni Alvito.
103
Documentazione fotografica di scavo, missione Nora Università degli Studi
di Padova.
Documentazione fotografica, Anna Ferrarese.
Video subacqueo Molo Schmiedt.
Archivio filmati immersioni con Go-pro.
Documentazione fotografica del progetto Noramar, missione Nora Università
NORAMAR
degli Studi di Padova: foto barriere di protezione in costruzione, foto
mareggiate, foto archeologi al lavoro, foto strutture sommerse.
Video uso software Globalmapper, variazione livello marino (Filippo
Carraro).
Foto materiali in ceramica, vetro, metallo, pietra.
MATERIALI
Esempio seriazione classe ceramica da MOREL 1981.
Ricostruzione 2D foro, tempio romano e terme.
Camminata attraverso Nora 3D.
Ricostruzione 3D di Nora, transizione dal periodo fenicio a quello romano e
RICOSTRUZIONI 3D
attuale.
Video uso software Vectorworks per rielaborazione grafica 3D.
Video uso software Mashlab, Simone Berto.
Video rilievo tridimensionale necropoli, Simone Berto.
Documentazione fotografica di scavo, missione Nora Università degli Studi
di Padova.
PROSPEZIONI
GEOFISICHE
Foto area di lavoro e relativi disturbi ambientali: il mare e i rifiuti metallici.
Immagini dei risultati (geoelettrica e georadar) ed elaborazione pianta di
scavo.
Video uso software Vectorworks per documentazione di scavo (piante e
DOCUMENTAZIONE
sezioni).
DI SCAVO
Esempio piante e sezioni.
Esempio foto di documentazione di scavo.
SCAVO
Documentazione fotografica scavo, missione Nora Università degli Studi di
Padova.
104
Documentazione fotografica, Anna Ferrarese.
Fotografie foro e tempio romano, Gianni Alvito.
Pubblicazioni scientifiche: Collana Quaderni Norensi, codice identificativo
della collana ISSN 2280-983X; J. BONETTO, A. R. GHIOTTO, M. NOVELLO,
VALORIZZAZIONE
Nora. Il foro romano, Padova 2009; J. BONETTO (a cura di), Nora e il mare.
Le ricerche di Michael Cassien (1978-1984), Padova 2014; J. BONETTO, G.
FALEZZA (a cura di), Vent’anni di scavi a Nora, 1990-2010, Padova 2011.
Pubblicazioni divulgative: C. TRONCHETTI, Sardegna archeologica, guide e
itinerari, Nora, Sassari 2001.
5.2.2 L’allestimento della scenografia
Per scenografia, in teatro, si intende lo sfondo (in genere, artificiale, appositamente progettato)
davanti al quale si svolge l'azione drammatica. Nel cinema tutto si complica per il fatto che a ogni
inquadratura corrisponde inevitabilmente un aspetto diverso della scenografia-madre (così si può
denominare l'ambiente scenico nel suo complesso) e dunque si potrebbe a ragione sostenere che a
ogni inquadratura corrisponde una scenografia diversa. In questo modo la scenografia, una soltanto
sul set, può diventare, nel film, molte scenografie, non solo in rapporto al taglio dell'inquadratura, ma
anche ai cambi d'illuminazione, alle variazioni della profondità di campo, ai tipi di obiettivo, nonché
ad altri elementi. L'unità della scenografia, nel cinema, si trasmette tale e quale dal set al film soltanto
ove si privilegi il ricorso all'inquadratura fissa186.
Parliamo ora del piazzato 187 scelto per le interviste del documentario “Nora, il racconto
dell’archeologo”, in cui, per motivi d’unità d’immagine, si è preferito usare proprio un’inquadratura
fissa.
186
CAPPABIANCA,
Enciclopedia
del
cinema
2004,
voce
scenografia:
http://www.treccani.it/enciclopedia/scenografia_(Enciclopedia-del-Cinema)/
187
Con il termine “piazzato” si intende un set (spesso di modeste dimensioni) creato per un’esigenza specifica, che nei
documentari è per lo più l’intervista. Il piazzato prevende una camera posizionata su cavalletto, puntata verso
l’intervistato, e un certo numero di luci puntate sul soggetto secondo degli schemi quasi standard (FANTINI, 2005, pp.119).
105
5.2.2.1 Composizione dell’inquadratura
Solitamente per la composizione dell’inquadratura si intende disporre gli oggetti all’interno del
campo visivo della macchina da presa. La composizione dipende dalla posizione delle persone
rispetto agli oggetti e dalla posizione della focale della camera rispetto a tutti. Nel complesso si tratta
di un misto di gusto estetico e di tecnica 188 . Nel nostro caso abbiamo scelto di riprendere gli
intervistati su uno sfondo nero, neutro, in modo da non creare distrazioni. Centro dell’attenzione era
quindi esclusivamente l’esperto.
Figura 22 - Composizione d'immagine adottata.
Figura 23 – La sezione aurea.
Uno degli elementi importati per determinare la composizione dell’inquadratura è il formato
dell’immagine, che nel nostro caso è stato di 16:9.
Gli intervistati non sono stati ripresi al centro dell’inquadratura ma seguendo le regole di
composizione della sezione aurea che spostano il soggetto dell’immagine appena fuori dal centro (fig.
22), nei punti di intersezione della griglia visibile nella figura 23, o almeno con le linee di questa.
Questo consente di ottenere un’inquadratura molto più equilibrata e naturale.
5.2.2.2 La fotografia
La bellezza di un documentario passa, innanzi tutto, attraverso la fotografia. Avendo una giusta
conoscenza dei mezzi tecnici e delle loro possibilità si possono ottenere diversi effetti nella creazione
di un’atmosfera, soprattutto grazie al posizionamento delle luci (fig. 24).
188
FANTINI, 2005, pp.116.
106
Figura 24 – Alcuni esempi di tecniche d’illuminazione: soggetto con luce frontale, laterale, controluce e silhouette
(FANTINI, 2005).
Lo schema d’illuminazione di base, adatto ai documentari o alle interviste, richiede due o tre luci
complete di treppiede, paraluce regolabili e diffusori. Serviranno come luce chiave (di solito posta
frontalmente e più intensa, magari riflessa negli occhi del soggetto così che sembri più vivace), come
luce di riempimento (posta frontalmente ma opposta alla luce chiave così da eliminare ogni ombra,
di solito ha un’intensità dimezzata) e come retro illuminazione189. Quest’ultima si è rivelata molto
importante per separare il soggetto dal fondo nero e illuminare la silhouette delle persone con i capelli
più scuri (fig. 25; 26).
Appena più problematico è stato il posizionamento delle luci per i soggetti con gli occhiali. Il sistema
d’illuminazione è stato quindi per cui impostato in modo da di far apparire il meno possibile il riflesso
sulle lenti da vista.
Figura 25 – Schema esemplificativo del sistema
Figura 26 – Fotografia scattata all’inizio delle riprese
tradizionale d’illuminazione (LINDENMUTH, 2011).
con il Dott. Filippo Carraro, è visibile la disposizione
delle luci e la scelta dell’illuminazione.
189
LINDENMUTH, 2011.
107
5.2.2.3 Posizionare la macchina da presa
Successivamente, è stato il momento di posizionare la
macchina da presa. Facendo riferimento al livello registico,
le interviste possono essere registate con una o più
videocamere, scelta che va fatta sulla base del risultato che
si vuole ottenere e, naturamente, dei mezzi a disposizione.
Nel nostro caso ci siamo serviti di una sola videocamera.
Questa è stata collocata in posizione frontale all’intervistato
ad una distanza di quasi 2 metri. Regolando il punto di
ripresa leggermente più basso del suo sguardo è stato
possibile escludere la ripresa dall’alto ma, allo stesso tempo,
evitare l’effetto “doppio mento”. Era, inoltre, preferibile che
l’intrevistato non guardasse direttamente in macchina,
Figura 27 – Diagramma che indica la
pertanto l’intrevistatore si è seduto a lato della video camera:
posizione ideale del treppiede per
i questo modo gli esperti sono stati ripresi leggermente girati
un’intervista (LINDENMUTH, 2011).
di ¾ mentre interloquivano con l’intervistatore (fig. 27).
5.2.3 Le riprese delle interviste
Una volta determinata la location delle interviste, predisposto la scenografia e settato la video camera,
si può procede con le riprese programmate.
Dialoghi e interviste sono elementi cardine di un documentario. Dal punto di vista del linguaggio i
dialoghi si accordano a una modalità più cinematografica del racconto, ne valorizzano la fluidità e la
partecipazione dello spettatore; invece l’intervista è uno strumento più classico, che evidenza la
presenza dell’intervistatore (nell’inquadratura o in voce, quest’ultima spesso esclusa durante la fase
di montaggio): tale presenza genera un atteggiamento diverso nel pubblico, che si rende conto della
funzione di “mediatore” tra se e l’intervistato svolta dall’autore e la cosa lo distanzia dalla narrazione.
Quindi nell’intervista la prima opzione è:
1. Lasciare l’intervistatore fuori campo e fare in modo che le sue domande siamo escludibili: in
questo modo la struttura narrativa non viene interrotta. È necessario però che l’intervistato si
raccordi alla domanda posta in modo che la risposta, in fase di montaggio, non perda senso.
108
2. L’intervistatore è in campo (visivo e/o sonoro), conserva in montaggio le sue domande e
segna, in qualche modo, la sua presenza190.
Per il documentario “Nora, il racconto dell’archeologo” abbiamo preferito escludere l’intervistatore
dallo schermo. Avendo consegnato in anticipo le domande agli esperti la figura dell’intervistatore
non era indispensabile se non per ripetere le domande e guidare l’intervistato nel discorso.
Generalmente, un grave errore da evitare in questa fase è parlare sopra all’intervistato, interromperlo
o, peggio ancora, rispondere alle domande aggiungendo troppo a quanto serve dire. L’autore deve,
pertanto, sparire piuttosto che apparire (fig.28; 29).
Figura 28; 29 – Fotografie scattate dal punto di vista dell’intervistatore:
a sinistra il Prof. Andrea Raffaele Ghiotto e destra il Dott. Arturo Zara.
Tuttavia, se nel corso delle riprese l’intervistato devia il discorso verso una direzione inaspettata,
senza però esulare troppo dal soggetto, è accettabile procedere in quel verso per concedergli maggiore
libertà d’espressione e osservare l’argomento da un altro punto di vista.
Infine, conclusa la lista delle domande stabilite è possibile chiedere all’intervistato se c’è
qualcos’altro che vorrebbe aggiungere a quanto già detto: sono in questi casi che vengono pronunciate
le risposte più affascinanti, perfette per essere inserite nella conclusione del documentario.
190
BALSAMO, PANNONE, 2009, pp. 115-118.
109
All’intervistatore spetta non solo il coordinamento dell’intervista, ma anche il compito di far sentire
a proprio agio l’intervistato: quest’ultimo infatti può mostrare nervosismo, specie se non si è mai
trovato di fronte ad una macchina da presa.
In questo contesto la prima domanda è piuttosto importante: dev’essere una una domanda semplice,
mirata a guadagnare la fiducia dell’intervistato e rompere il primo imbarazzo. In alcuni casi conviene
anche ripetere le prime domande alla fine dell’intervista, così da ottenere risposte più rilassate. In
genere, comunque, dopo un quarto d’ora, anche i soggetti più tesi tendono a dimenticarsi della
videocamera e a concentrarsi sull’oggetto dell’intervista.
È essenziale anche che l’intervistatore mantenga il contatto visivo con l’intervistato e dimostri un
genuino interesse in ciò che quest’ultimo sta dicendo. Ciò stimolerà risposte efficaci e frasi ad effetto
utilizzabili nella seguente fase di montaggio191.
5.2.4 La registrazione della voce narrante
Cosa ci spinge a fare un documentario? Forse la voglia di presentare delle informazioni e delle
immagini per far conoscere vicende, luoghi e scoperte. Qualunque sia il motivo, il compito di un
bravo documentarista non è solo quello di riportare fedelmente le cose che vede ed essere
assolutamente certo dei dati che cita; ma è anche quello di raccontare delle storie in modo
emozionante e per certi versi “poetico”. Il pubblico ha sete di sogni oltre che di informazioni192.
La voce narrante, in questo, è uno strumento potente perché comunica direttamente con il pubblico e
aggiunge valore alle semplici immagini. Ecco perché la voce narrante è sinonimo stesso di un
documentario. Viene particolarmente usata nei documentari con copione in cui occorre comunicare
con il pubblico molti fatti e informazioni, può inoltre imprimere emotività al documentario e rendere
più interessanti i dati esposti. In generale, comunque, la voce fuori campo deve comunicare la storia
senza intralciarla: per questo motivo essa deve adattarsi al soggetto di cui andrà a parlare incarnando
i contenuti e i toni del documentario193.
“Nora il racconto dell’archeologo” fonda la sua narrazione sull’intreccio delle interviste, queste ne
costituiscono l’ossatura e la voce narrante serve per fornire le informazioni necessarie alla
191
LINDENDMUTH, 2011; PEPE, ZARZYNSKI, 2012, pp. 101-106.
192
FANTINI, 2005, pp.121-123.
193
LINDENDMUTH, 2011, PEPE, ZARZYNSKI, 2012, pp. 115-116.
110
comprensione del documentario, più tutti gli elementi indispensabili per unire tra loro i diversi
argomenti affrontati dalle sue immagini.
Per rispettare l’atmosfera del documentario è stato
chiesto ad Antonio Andreetta, di interpretare la voce
fuori campo. Docente a contratto dell’Università di
Padova e ancor prima regista, produttore e attore
teatrale, Antonio Andreetta ha messo a disposizione la
sua esperienza professionale, non solo per leggere
usando la giusta dizione e timbro di voce il testo
proposto, ma anche per consigliare alcune modifiche
che hanno reso più chiaro e fluido il copione.
Come per le interviste, la registrazione della voce
narrante è avvenuta in studio mediante un microfono
direzionale e di alta qualità posizionato appena sopra
l’attore (fig.30).
Figura 30 – Fotografia scattata durante le riprese
della voce narrante con Antonio Andreetta.
5.2.5. Le riprese esterne
Una volta concluse le interviste e registrata la voce narrante, è il momento di effettuare le riprese in
esterno. Si tratta, invero, del metraggio supplementare che andrà a colmare eventuali carenze nel
repertorio alternandosi, in fase di post-produzione, alla ripresa principale.
Effettuare delle riprese illustrative è uno dei perni nella realizzazione di un documentario. Inoltre la
scelta delle tecniche di ripresa, dell’inquadratura e dell’angolo visuale contribuisce a determinarne
anche lo stile.
Per rispettare il soggetto e ottenere del girato utile e attinente, è buona abitudine progettare le riprese
da fare: stilare una lista delle inquadrature insomma, in cui individuare cosa manca, cosa andrebbe
integrato, cosa migliorato e così via. In questi casi lavorare con un copione è utile perché consente di
pianificare con largo anticipo quali inquadrature realizzare; viceversa, quando non si dispone di un
copione, si avrà un’idea precisa del materiale da raccogliere solo dopo aver concluso le riprese del
111
parlato. Una volta che si ha chiara l’idea di come si svilupperà il documentario si può provare a
visualizzarla nella propria mente, annotando tutte le idee o abbozzando visualmente le scene che si
intendono girare (fig.31; 32)194.
Figura 31; 32 – Esempi di bozzetti realizzati.
In genere i documentari hanno un rapporto girato/usato pari a 30:1, il che significa che per un’ora di
documentario occorrerà filmare almeno 30 ore di girato. Due terzi di questo materiale costituiranno
il repertorio. Nel nostro caso, essendo la durata complessiva del documentario di 30 minuti,
occorreranno complessivamente circa 15 ore di girato dalle quali si ricaveranno 10 ore di repertorio.
Per effettuare delle riprese di buona qualità, infine, è bene prendersi tutto il tempo che occorre. La
cosa peggiore che può capitare è quella di filmare materiale scadente. Conviene pertanto avere sempre
più materiale a disposizione di quanto sia necessario195.
Il materiale raccolto per il documentario “Nora, il racconto dell’archeologo” era già molto, pertanto
è stato semplicemente sufficiente integrarlo. In particolare, in collaborazione con il laboratorio audiovideo e fotografico del Dipartimento dei Beni Culturali, sono state effettuate delle riprese per
illustrare lo studio dei materiali, le prospezioni geofisiche e le modalità con cui si svolge la
documentazione archeologica. Con i mezzi di chi scrive, invece, sono state effettuate le riprese presso
il sito archeologico di Nora mirate, soprattutto, a coprire la voce narrante (fig. 33-36).
Per ogni scena sono state effettuate più riprese da più angolazioni, ad esempio una grandangolare,
una a mezza distanza e una ravvicinata, così da avere più scelta in fase di montaggio. Vista la varietà
194
Trattandosi di un documentario, e non di un film di finzione, comunque, l’importante è essere flessibili per non alterare
la realtà.
195
LINDENDMUTH, 2011.
112
dei soggetti, poi, è stato possibile effettuare sia inquadrature in movimento sia fisse. Infine, in tutti i
contesti si è preferito usare la luce naturale. Trattandosi di materiale di riempimento non è invece
stato necessario preoccuparsi della registrazione audio.
Figura 33; 34; 35; 36 – Alcune fotografie scattate durante le riprese al laboratorio di archeologia di Ponte di
Brenta, all’anfiteatro romano di Padova e nel sito archeologico di Nora.
Ogni inquadratura che verrà utilizzata, e l’ordine con cui si deciderà di montarla, dovrà trasmettere il
senso del documentario.
A volte, pur di ottenere del materiale indispensabile, occorre effettuare delle simulazioni, ad esempio
mettendo in scena alcuni avvenimenti non realmente accaduti. L’ “imbroglio” può essere anche,
semplicemente, una persona che lavora al computer per avere un filmato da mostrare mentre
l’intervistato parla della documentazione di scavo o della catalogazione dei reperti. Anche se la
persona inquadrata sta solo fingendo di lavorare la scena risulterà comunque veritiera. Questo
stratagemma è stato utilizzato sia per le riprese presso il laboratorio di Archeologia di Ponte di Brenta,
113
sia per le riprese riguardanti le prospezioni geofisiche, quest’ultime effettuate presso l’anfiteatro
romano di Padova. Per motivi d’uniformità d’immagine si è prestato comunque attenzione a non
comprendere elementi che denunciassero l’ambientazione diversa da quella del sito archeologico di
Nora.
5.3
Post-produzione
Anche se viene per consuetudine associata puntualmente al montaggio, la post-produzione di un
documentario consiste di numerosi fasi che è fondamentale non trascurare196:
•
visione del girato;
•
trascrizione delle interviste;
•
prima fase del montaggio (rough cut);
•
abbozzo di narrazione;
•
aggiunta proposte musicali;
•
modifiche alla prima fase di montaggio e generazione versione più avanzata (final cut);
•
visione del final cut per approvazione o modifiche;
•
aggiunta versione definitiva narrazione;
•
aggiunta musiche definitive;
•
generazione versione video definitiva (fine cut);
•
post-produzione audio.
5.3.1 La trascrizione delle interviste
La trascrizione testuale delle interviste può sembrare, a primo avviso, un enorme lavoro e una perdita
di tempo. Tuttavia, il tempo investito in questa fase consentirà di velocizzare il successivo montaggio.
Vedere scritto il discorso pronunciato dagli esperti, infatti, consentirà di individuare subito in quali
punti inserire le immagini di repertorio e le riprese in esterno senza necessariamente ascoltare in
continuazione l’intervista per individuare, di volta in volta, il punto di nostro interesse.
196
FANTINI, 2005, pp.123.
114
La trascrizione delle interviste
LE RICERCHE PRELIMINARI
Ogni intervento archeologico ha inizio con l’individuazione di un sito di un monumento o di altre tracce del
passato. Vi sono aree archeologiche che sono note da sempre; altre che sono state individuate nel corso del
tempo; altre ancora che non sono state ancora individuate
Molti dei siti attualmente conosciuti sono stati rinvenuti fortuitamente, altri invece vengono individuati con
metodologie avanzate dagli archeologi. Per l’individuazione dei siti gli archeologi si avvalgono delle fonti
antiche, scritte oppure anche delle fonti cartografiche, si avvalgono di ricognizioni territoriali, dello studio
d’immagini aeree oppure da satellite e poi sul terreno in modo specifico utilizzano anche prospezioni
geofisiche per individuare e verificare l’esistenza di strutture nel sottosuolo.
Per lunghi secoli l’antica città di Nora non era stata individuata con precisione. Qua e là emergevano dei
ruderi venivano effettuati dei ritrovamenti ma tutto questo suggeriva solamente l’esistenza di un’antica città
senza poterne definire esattamente il nome.
I primi scavi archeologici condotti con metodo scientifico risalgono alla fine del 1800 quando è stato
individuato il Tophet, un particolare tipo di santuario di età punica, e buona parte di una grande necropoli.
Tutti questi ritrovamenti sono stati ricondotti, appunto, alla presenza di questa antica città, la città di Nora,
che Pausania definiva come “la prima città dell’isola”!
Le ricerche all’interno dell’abitato sono iniziate invece nel 1952 grazie all’intervento del sovrintendente
Gennaro Pesce che ha portato alla luce molti dei monumenti che ancora adesso vediamo e che ha reso
possibile la loro fruizione da parte dei turisti e degli studiosi.
In seguito, a partire dal 1990 alcune Università Italiane hanno ripreso le ricerche a Nora, in modo particolare
all’interno dell’abitato, per approfondire determinati aspetti che ancora sfuggivano della città antica.
Nell’ambito delle nuove ricerche a Nora l’Università di Padova ha scavato dal 1997 l’area del foro, la
principale piazza della città romana, poi, dal 2007 ha indagato il vicino tempio romano e, in tempi ancora
più recenti, ha ripreso gli scavi nell’area della necropoli, all’esterno dalla città, inoltre ha indagato il rapporto
tra la città e il mare i mutamenti che sono avvenuti nel corso dei secoli relativamente a questo rapporto.
LE PROSPEZIONI GEOFISICHE
La documentazione storico-cartografica è fondamentale per conoscere un sito archeologico. Grazie al suo
studio, per esempio, gli archeologi hanno saputo dov’era il foro di Nora e hanno iniziato in quel punto lo
scavo. Per iniziare un’indagine archeologica, nel caso in cui non si abbia a disposizione questa
documentazione, è necessario comunque conoscere a priori le caratteristiche del suolo e per fare questo gli
archeologi usano le prospezioni geofisiche.
115
La Geofisica letteralmente è la scienza che studia le proprietà fisiche della terra e le sue variazioni nello
spazio e nel tempo. Tutti i materiali hanno caratteristiche proprie per cui, variazioni di queste proprietà
indicano anomalie che sono per gli archeologi i reperti sepolti.
Con la geofisica si possono studiare diverse proprietà, per esempio, la distribuzione della corrente elettrica
nel suolo o il tempo di transito di un segnale elettromagnetico o un segnale meccanico. In pratica il lavoro
del geofisico è come quello di un medico quando fa una radiografia o una TAC per capire dove si deve
intervenire.
Numerose possono essere le prospezioni geofisiche ma non tutte sono adatte in ogni luogo. A Nora, per
esempio, la presenza del mare e la di rifiuti metallici ha impedito l’uso di tutti i metodi e in particolare si è
deciso di utilizzare la geoelettrica e il geo radar. La mancata distribuzione della corrente elettrica in vuoti
consente l’individuazione di questi e pertanto gli archeologi hanno effettuato lo scavo individuando le tombe
relative la frequentazione dei Fenici e dei Cartaginesi a Nora.
LO SCAVO ARCHEOLOGICO
L’azione per molti versi conclusiva e anche decisiva, del percorso di ricerca archeologica, è costituita dallo
scavo.
Lo scavo è l’operazione conclusiva perché segue tutta una serie di attività preliminari o preparatore, che
sono già state descritte, e che servono appunto ad indirizzare questa operazione di scavo che è, quanto mai,
onerosa e complessa.
È anche un po’ l’operazione decisiva perché, da un certo senso, lo scavo produce tutta una serie di dati che
non sono, o non possono essere, surrogati o sostituiti da alcuna interpretazione. Sono i dati nuovi che
l’archeologo cerca e che pone sul tavolo, poi, della discussione per creare tutta una serie di nuove
considerazioni e valutazioni di ordine storico, o per ripensare alle precedenti valutazioni storiche già
costituite.
L’uomo si è sempre dedicato ad attività di scavo, a scavare il terreno, ma lo ha fatto per ragioni diversissime:
lo ha fatto per nascondere qualcosa, lo ha fatto per diseppellire qualcosa, lo ha fatto per costruire, per
demolire… Ma l’archeologo, in età moderna o contemporanea ha pensato allo scavo in maniera molto
diversa.
In età moderna si scavava, sostanzialmente, rimuovendo il terreno che copriva grandi complessi
monumentali. In età, invece, contemporanea, diciamo degli ultimi venti o trent’anni, lo scavo è stato
ripensato, è stato riformulato nei suoi principi ed è diventata un’operazione estremamente delicata. Quasi
un’operazione chirurgica.
Lo scavo archeologico contemporaneo, che è detto stratigrafico, ha mutuato i suoi principi e le sue regole
dalla geologia. Lo scavo contemporaneo prevede una regola molto semplice: ogni azione antropica, cioè
116
prodotta dall’uomo, o naturale lasciano una traccia sul terreno, lasciano spessissimo un deposito di
materiale. Compito dell’archeologo è riconoscere questi depositi, corrispondenti ad azioni, e riscostruire la
sequenza degli strati e delle azioni per ricostruire la storia di un luogo.
Naturalmente non è semplice così come si dice. La deposizione del terreno, per ragioni naturali o antropiche,
avviene spesso in maniera caotica, in maniera molto complessa, e sta all’archeologo con un’operazione
delicata, da condurre sotto un profilo estremamente professionale, ricostruire quale è stata questa sequenza
e quali sono i rapporti tra i singoli strati e tra gli strati e le strutture. Fissata questa relazione, si avrà una
sequenza di cronologia relativa: quale strato e quindi quale azione sta prima e sta dopo a quale altra azione.
Al termine dell’operazione si passa da una cronologia relativa, quindi da una sequenza di strati, ad una
cronologia assoluta, cioè una definizione del tempo assoluto storico in cui ogni azione si è svolta. Per far
questo l’archeologo usa una serie di metodi che vanno da sistemi archeometrici, come l’analisi del carbonio
14, alla raccolta di reperti che si possono trovare all’interno di ciascuno strato. Metodi archeometrici e
metodi di analisi cronotipologica dei materiali ci portano alla datazione degli strati e, quindi, alla costruzione
di una sequenza storica di azioni e quindi alla storia di un luogo.
LA DOCUMENTAZIONE DI SCAVO
La documentazione di scavo è una procedura attraverso la quale l’archeologo riesce a registrare tutti i dati
che incontra nel corso dello scavo.
Essa è necessaria in quanto lo scavo stratigrafico porta ad una distruzione irrimediabile della fonte
d’informazioni principale: ossia la stratigrafia. Quando uno strato viene scavato, infatti, viene rimosso e
perso per sempre. Non è più possibile, infatti, in questo modo tornare indietro. Ecco perché è fondamentale
documentare ogni singola azione.
Nel tempo i sistemi di documentazione si sono evoluti, tra questi vi è anche il diario di scavo.
Un tempo il diario era redatto solamente in forma cartacea, mentre oggi i dati vengono riversati in banche
dati informatiche. Gli scavi di archeologia classica dell’Università degli Studi di Padova utilizzano il
database online ADAM (acronimo che significa Archaeological Data Management).
In questo ambiente, oltre alla descrizione delle giornate di lavoro, vengono inseriti anche i dati relativi ogni
singola unità stratigrafica. Infatti, in forma digitale, si ritrovano anche le schede US, per l’appunto “unità
stratigrafica”. In ogni scheda vengono indicate in maniera sintetica, ma esaustiva, tutte le caratteristiche di
una unità stratigrafica, come può essere ad esempio il colore, i materiali contenuti, ma anche i rapporti con
strati circostanti.
117
Per ogni unità stratigrafica vengono anche scattate varie foto. In ogni foto è necessario sia inserito un
riferimento metrico, un’indicazione del nord geografico, ma anche un supporto in cui, in forma testuale,
vengono indicate le informazioni principali per riconoscere il soggetto inquadrato.
Infine, per rappresentare le strutture e le unità stratigrafiche individuate, è necessario fare anche dei disegni:
delle piante e delle sezioni. Le piante riproducono in forma semplificata gli strati e le strutture individuate,
conferendo una visione d’insieme dello scavo; le sezioni, invece, mostrano uno spaccato dell’area indagata
e permettono di visualizzare graficamente la sovrapposizione tra gli strati.
Per fare questi disegni è necessario avere delle serie di misure di altissima precisione acquisite attraverso
uno strumento denominato stazione totale. La stazione totale è un apparecchio elettronico dotato di un
distanziometro. Attraverso un raggio laser, infatti, vengono individuate le posizioni nello spazio di punti
fondamentali individuati nello scavo. Questi punti, acquisiti attraverso lo strumento, vengono in un secondo
momento riversati in un programma di grafica vettoriale come punti tridimensionali. Unendo attraverso
delle linee spezzate questi punti, si vanno a ricostruire sia le strutture che le unità stratigrafiche individuate.
Sono questi solo alcuni degli esempi di quanto minuzioso debba essere il lavoro dell’archeologo perché
nessun dato vada perso e perché il passato possa essere ricostruito.
I MATERIALI
I reperti archeologici sono tutti quegli oggetti antichi in vetro, in ceramica, in metallo ad esempio, che
l’archeologo rinviene durante lo scavo. Ovviamente questi materiali sono un’altra testimonianza della storia
antica, ed entrano a far parte dell’unità stratigrafica perché sepolti volontariamente, ad esempio, o rotti e
presi dall’uomo antico.
Lo studio dei reperti archeologici è importante perché ci permette di definire quando si è formata l’unità
stratigrafica all’interno della quale i materiali sono stati rinvenuti. Questo è possibile perché materiali
prodotti in un determinato luogo e in uno specifico momento storico hanno delle caratteristiche differenti
da materiali prodotti in altri luoghi e in altri momenti storici. Partendo da questa presupposto, quindi, gli
studiosi di materiali antichi hanno creato una serie di classificazioni che si basano soprattutto sullo studio
di queste differenze e caratteristiche e che permettono quindi di recuperare dai materiali antichi tutta una
serie di informazioni.
In altre parole, gli studiosi di materiali, hanno creato delle vere e proprie seriazioni morfologiche che altro
non sono che delle classificazioni che appunto si basano su queste diverse caratteristiche. Gli studiosi di
materiali hanno quindi prima raggruppato tutti quegli oggetti costituiti da un comune elemento
denominatore, ad esempio la ceramica, il vetro il metallo. Successivamente, all’interno di questi gruppi sono
118
state fatte ulteriori suddivisioni basate su quelle che erano le caratteristiche estetiche di questi oggetti,
creando quindi dei sotto gruppi che possiamo definire classi. Le classi si differenziano appunto per colore
diverso, forma diversa e decorazioni diverse. Una di queste classi può essere, ad esempio, la ceramica a
vernice nera, che è caratterizzata appunto da un rivestimento di colore nero; o ancora, la terra sigillata che
invece ha un rivestimento di colore rosso.
Successivamente gli studiosi hanno poi identificato le varie forme presenti, quali ad esempio le coppe, i
bicchieri, i piatti e le bottiglie.
Alla fine di questo lungo processo di classificazione, quindi, si ottiene una vera e propria seriazione
morfologica, che altro non è che una carta d’identità del nostro oggetto antico.
Ovviamente, lo studio degli oggetti antichi inizia già al momento del loro rinvenimento, sullo scavo,
momento nel quale, appunto, prima si effettua il lavaggio e la pulitura degli oggetti, e successivamente la
siglatura e l’inserimento nei database di riferimento. Una volta in laboratorio si procede a fotografare e a
disegnare gli oggetti e, solo successivamente, in seguito a questi step iniziali, si può proseguire ed
approfondire la ricerca e lo studio di questi oggetti in biblioteca attraverso la ricerca bibliografica che si
basa appunto sull’utilizzo delle seriazioni morfologiche.
LA PROTEZIONE E CONSERVAZIONE DI UN SITO
Tutela è protezione e conservazione. È in altre parole un dovere nei confronti del presente e delle generazioni
future affinché tutti possano fruire e studiare ciò che fino ad oggi si è conservato.
Sul sito di Nora agiscono dei fenomeni che minacciano questa conservazione. Uno di questi fenomeni è
l’erosione costiera provocato da un lato dalle forti mareggiate stagionali e dall’altro da un fenomeno di ben
più vasta scala, causato dall’innalzamento del livello marino causato a sua volta dal surriscaldamento
globale.
Gli effetti di questo fenomeno sono ben visibile dal confronto tra le foto aeree storiche e anche dal
monitoraggio di quelli che sono stati degli importanti crolli avvenuti lungo la costa.
Di fronte a tale rischio si è deciso di intervenire, da un lato con i mezzi più propri dell’archeologia, che sono
la documentazione e la ricerca, dall’altro con degli interventi di protezione del litorale.
È nato così il progetto Nora e il Mare.
Dal punto di vista degli obiettivi e delle metodologie il progetto può essere diviso in 3 fasi.
In primo luogo sono state documentate tutte le strutture che si trovano lungo la fascia costiera. Ogni struttura
è stata disegnata, mediante un rilievo a stazione totale, e corredata da una scheda descrittiva che riporta
quanto fino ad ora noto e quanto di nuovo è risultato dal rilievo.
119
Il secondo obiettivo è stato ricostruire lo scenario antico entro cui inserire queste strutture. Per questo
abbiamo ricostruito il modello tridimensionale della penisola, integrando quella che è la parte emersa con
una batimetria, che è la ricostruzione del fondale marino.
Su questo modello abbiamo tracciato quella che doveva essere l’antica linea di costa. Gli studi infatti
dimostrano che il mare in epoca antica dovesse essere circa 1m e 40 cm al di sotto del livello attuale. Questo
significa che lo spazio urbano, in epoca antica, era molto più esteso rispetto a quello attuale, e quindi diverso
doveva essere il rapporto tra la città e il mare.
Infine il terzo obiettivo è stato quello di individuare quelli che sono gli elementi più a rischio lungo la costa,
e collaborare quindi con Soprintendenza ed Enti pubblici per avviare delle opere di protezione. Questi
interventi sono stati realizzati nell’estate 2015 e insieme alle informazioni e alla documentazione raccolta
sul campo, favoriranno la tutela del sito di Nora.
LA RICOSTRUZIONE 3D
La ricostruzione tridimensionale, in archeologia, è uno strumento molto utile con il quale, sostanzialmente,
si cerca di “ricostruire” l’aspetto originario di manufatti o strutture antiche che, ad esempio, possono essere
ritrovati durante uno scavo archeologico. La ricostruzione 3D è quindi un mezzo fondamentale per
comunicare visivamente i risultati della ricerca archeologica.
La ricostruzione tridimensionale ha due finalità principali.
In primo luogo possiede un grande valore scientifico: ad esempio, per l'archeologo il momento della
ricostruzione virtuale è un’ottima occasione per verificare l’affidabilità delle ipotesi su cui la ricostruzione
stessa si basa.
In secondo luogo svolge un’efficace funzione comunicativa, migliorando la comprensione di una
determinata area archeologica che, ad esempio, potrà essere maggiormente apprezzata da parte del visitatore.
Normalmente, quando si cerca di elaborare un'ipotesi ricostruttiva, si seguono pochi semplici passaggi:
prima di tutto si parte da una planimetria dello scavo, successivamente si confrontano i dati emersi dallo
scavo con le fonti antiche e si cercano dei confronti pertinenti con l’edificio o il manufatto che si vuole
ricostruire, infine, attraverso software specifici per il disegno o per la modellazione tridimensionale, si cerca
di proporre l'ipotesi più verosimile.
Seguendo questo procedimento sono state eseguite proposte di ricostruzione virtuale per alcuni edifici della
città antica, uno tra questi è per esempio il Tempio Romano.
Grazie a questa tecnologia il visitatore che si approccia alle rovine può, attraverso l’uso di speciali visori,
vivere una coinvolgente esperienza visiva dell’ambiente e osservare, davanti a suoi occhi, la realtà storica
ricostruita su base scientifica.
120
In questo modo viene rispettato il fine ultimo della ricerca archeologica, ovvero la valorizzazione e la
divulgazione del dato.
LA VALORIZZAZIONE
La valorizzazione è l’obiettivo più importante che un archeologo o uno storico si deve porre. Valorizzare
significa, appunto, dare un significato, dare un’importanza, dare un valore e per dare un valore bisogna far
capire quello che era ed è stato il mondo antico. L’archeologo, quindi, al termine di tutte le operazioni
d’indagine, esse siano preliminari o poi effettive di scavo, ha questa mission, questo deciso obiettivo di far
capire al pubblico le realtà antiche.
Spesso le realtà antiche si presentano in forme incomprensibili e quindi l’archeologo deve agire sui resti
archeologici attraverso una serie di operazioni che possono essere di restauro, che possono essere, con molta
cautela, di ricostruzione, o che possono essere di sistemazione dei resti per renderli appunto leggibili da
qualsiasi persona, anche non archeologo.
Nel caso di Nora abbiamo applicato dei sistemi quanto più delicati possibili e non siamo intervenuti
direttamente sugli edifici, attraverso ricostruzione o restauri pesanti, ma abbiamo agito attraverso la
ricomposizione dei piani d’uso antichi dando ad essi dei colori diversi attraverso ghiaini di colore diverso.
Così il pubblico, che oggi passeggia per la città antica, può apprezzare le diverse funzioni delle diverse aree
e capire quindi, in età romana o ancor prima in età punica, come le diverse zone della città venivano utilizzate
a anche da chi.
Valorizzare significa anche divulgare, trasferire le conoscenze al grande pubblico e alla comunità. Per
questo, una delle forme di divulgazione più efficaci è la produzione di pubblicazioni, di carattere
naturalmente divulgativo e accessibili al grande pubblico. Oppure, ancora, tenere, svolgere, organizzare
conferenze per il pubblico ma ancora coinvolgere il pubblico, cioè coinvolgere le comunità nelle stesse
attività archeologiche o nelle stesse attività di riprestino e adeguamento dei siti per quella che ultimamente
è stata chiamata archeologia “pubblica”.
5.3.2 Il montaggio
Spesso non si valuta sufficientemente la rilevanza del montaggio nel documentario. Questo non va
considerato semplicemente come la disposizione in sequenza delle migliori inquadrature realizzate
nel corso delle riprese, né la presentazione ordinaria di un girato, ma al contrario è un vero e proprio
121
momento magico nel quale tutto il lavoro compiuto nell’ideazione e nella realizzazione del
documentario si fonde per restituire qualcosa, un prodotto finito che poco prima non esisteva. In
poche parole, in un documentario è il montaggio che fa il film197.
È qui che entra in gioco la creatività del produttore. Dal punto di vista tecnico, invece, è solo questione
di conoscere il programma che si ha a disposizione così da poter eseguire a meglio quello che la
nostra creatività ci suggerisce198.
Il montaggio è il giudice ultimo della qualità del lavoro eseguito in fase di ripresa. La cattiva gestione
del “set” o le incertezze del regista si pagano proprio in sala di montaggio. Non è possibile, infatti,
fare miracoli in post-produzione: un video o un audio di cattiva qualità resteranno di cattiva qualità.
L’eventuale correzione cromatica consumerà molto tempo e spesso non andrà a buon fine199.
Una delle cose più difficili da imparare è forse proprio questo: rassegnarsi a tagliare, tagliare, tagliare.
L’affetto che nasce nei confronti di determinate immagini o inquadrature spinge spesso gli autori più
giovani a compiere l’errore di inserirle nella loro opera, anche a scapito della buona riuscita del
prodotto finale.
Bisogna sempre tenere a mente che il montaggio non deve essere il semplice accostamento di pezzi
indipendenti. Tutto deve fluire da una cosa all’altra, da un suono all’altro senza creare disturbo o
sensazione di discontinuità a chi segue200. Affidarsi ad un montatore esperto può essere d’aiuto in
questo: essendo meno coinvolto nella storia, infatti, egli ha una distanza verso il materiale girato e
può far riflettere su alcuni passaggi con maggiore lucidità201.
Riassumendo, le fasi che caratterizzano il montaggio di un documentario sono:
1. il pre-montato (rough cut), ossia la prima fase in cui il montaggio da zero arriva ad una forma
molto grezza. È normale che in questa fase manchino ancora alcune immagini, che le grafiche
siano rudimentali, l’audio incompleto, o magari con musiche di riferimento non definitive. La
cosa che conta è l’ordine visivo degli elementi, e che non siano presenti troppi errori tecnici
e di forma. Questa versione ha lo scopo di mostrare la linea narrativa del prodotto al fine di
essere visionato, commentato ed eventualmente modificato per arrivare alla fase successiva.
2. La seconda fase è detta final cut ed è praticamente il montato definitivo, che tuttavia non ha
ancora subito trattamenti dell’immagine e del suono tali da renderlo perfetto. L’ordinamento
197
FANTINI, 2005, pp.123; BALSAMO, PANNONE, 2009, pp. 123.
198
LINDENMUTH, 2011.
199
Ibidem.
200
FANTINI, 2005, pp.130.
201
BALSAMO, PANNONE, 2009, pp. 125.
122
visivo della fase precedente si allarga comprendendo la percezione di un maggior numero di
effetti psicologici. Sebbene il documentario sia vicino alla sua forma definitiva, può ancora
subire cambiamenti importanti.
3. La terza ed ultima fase è il fine cut, nel quale il documentario assume, in tutto e per tutto, la
forma definitiva pronta per l’ultimissima approvazione, che porterà alla generazione delle
tracce audio e del master definitivo. L’emozione diventa qui opinione: opinione personale,
sociale e politica del regista202.
Per il montaggio del documentario “Nora, il racconto dell’archeologo” ci siamo serviti del software
di video editing digitale e non lineare Sony Vegas Pro 12 (fig. 37). Questa tipologia di software apre
le porte ad una ampia gamma di possibilità per l’editor, non solo perché è possibile iniziare il
montaggio da dove si preferisce, ma anche perché consente di apportare modifiche dovunque e ogni
volta che lo si ritiene necessario. In questo modo è fattibile prima portare a compimento la produzione
e poi tornare sui propri passi per perfezionarla203.
Figura 37 – Screenshot del programma usato Sony Vegas Pro 12.
(http://www.sonycreativesoftware.com/vegaspro)
Nel presente progetto video il montaggio è iniziato a partire dalle interviste. Le risposte alle domande
poste sono state montate in modo tale da creare un discorso che non durasse più di 3 minuti per
intervistato. Questa scelta ha reso possibile, da un lato, di mantenere una certa omogeneità in tutto il
corso del video, dall’altro, di migliorare l’attentività dell’ascoltatore e la comprensibilità
dell’argomento trattato. Un tempo superiore ai 3 minuti avrebbe infatti reso l’intervista noiosa da
ascoltare, una durata eccessivamente inferiore, invece, non avrebbe dato la possibilità all’esperto di
spiegare con accuratezza l’argomento di cui era portavoce.
202
FANTINI, 2005, pp.131; BALSAMO, PANNONE, 2009, pp. 124.
203
PEPE, ZARZYNSKI, 2012, pp.134.
123
Il rough cut ottenuto è stato in seguito integrato con le immagini di repertorio e le riprese in esterno.
Parallelamente, e in un altro progetto Vegas, si è proceduto con il montaggio della voce narrante. Fin
da subito grande importanza è stata data a quei legami in grado di rendere il montaggio vivo: le pause,
i respiri e le attese204 . Completato l’audio con le immagini didascaliche, il rough cut della voce
narrante è stato unito a quello delle interviste ottenendo pertanto il final cut complessivo del progetto.
È stata allora generata una versione più avanza del montaggio, con attenzione alle inquadrature, alle
tempistiche con cui apparivano le immagini, alle transizioni e ai tutti gli altri piccoli dettagli visivi.
Per esempio, una persona deve poter guardare un documentario senza notare il montaggio, quindi la
maggior parte delle transizioni saranno dissolvenze verso altre immagini o a nero. Questo tipo di
transizione si adatta bene per passare da una persona all’oggetto di cui sta parlando, specialmente se
racconta qualcosa avvenuto nel passato205.
Tutti gli effetti speciali e la grafica vanno considerati un bonus, non sono degli extra che aggiungono
valore al documentario. Pertanto vanno usati solo se possono apportare qualche contenuto valido206.
Nello specifico abbiamo cercato di ottenere un effetto particolare ed immersivo nella scena che
mostra l’uso del visore Samsung Gear VR (Fig. 38; 39): attraverso il ripetuto spostamento
dell’inquadratura all’interno della ricostruzione virtuale si è cercato di trasmettere allo spettatore
l’esperienza che stava provando la persona inquadrata.
Figura 38, 39 – Inquadrature tratte dal documentario Nora, il racconto dell’archeologo.
In questa fase del montaggio è stato anche equalizzato il suono integrandolo poi con della musica, la
scelta di quest’ultima verrà approfondita nel prossimo paragrafo.
204
BALSAMO, PANNONE, 2009, pp. 125.
205
LINDENMUTH, 2011.
206
Ibidem
124
Infine, ottenuto oramai il fine cut, sono stati inseriti i titoli di testa e di coda.
La funzione primaria dei titoli di un film è quella di comunicare informazioni che siano chiare e
comprensibili: tutto il resto è superfluo. I titoli di testa possono essere sovraimpressi o meno alla
sequenza iniziale. In genere durano 20-60 secondi includono il titolo del programma, il produttore, il
regista e l’eventuale compositore della colonna sonora. Tutte le persone coinvolte nel documentario
e il resto dei ringraziamenti viene, invece, elencato nei titoli di coda. Lo stile adottato per entrambi
dev’essere quello usato in tutto il resto del documentario207.
I titoli di testa scelti per il documentario “Nora il racconto dell’archeologo” sono stati molto semplici
e ridotti: il documentario è iniziato con il solo titolo lasciando tutti i crediti e i ringraziamenti nei titoli
di coda. In questo modo il pubblico non viene annoiato e può fruire subito dei contenuti.
Titoli di coda
Soggetto
Sceneggiatura
Jacopo Bonetto
Mirco Melanco
Anna Ferrrarese
Alberto Fanin
Riprese e montaggio
Anna Ferrarese
Antonio Zanonato
Supervisione
Antonio Zanonato
Produzione
Mirco Melanco
Voce narrante
Antonio Andreetta
Regia
Anna Ferrarese
Consulenza
Francesca Pazzaglia
Simone Berto
Jacopo Bonetto
Filippo Carraro
Interventi
Rita Deiana
Andrea Raffaele Ghiotto
Valentina Mantovani
Arturo Zara
207
LINDENMUTH, 2011.
125
Nora – Pula (CA)
Riprese in esterni
Laboratorio di Archeologia – Ponte di Brenta (PD)
Anfiteatro romano di Padova
Soprintendenza Archeologica Belle Arti Paesaggio delle province di
Cagliari e Oristano
Comune di Pula (CA)
Teravista – Cagliari
IKON – Cagliari
Ringraziamenti
Gianluca Olla
Cop.Tur. – Pula (CA)
Alessandro Mazzariol
Federica Stella Mosimann
Maria Chiara Metelli
Federica Patuzzi
Wisps
of
Whorls,
Kevin
MacLeod
(incompetech.com),
http://creativecommons.org/licenses/by/3.0
Brani musicali
Relaxing, Bensound.com
Slowmotion, Bensound.com
Documentario realizzato a scopo didattico scientifico
Anno di realizzazione
2016
5.3.3 La musica
I produttori e autori Dale Newton e John Gaspard nel libro Digital Filmmaking 101 – An essential
guide to Production Low-Budget Movies, asseriscono che ci sono poche cose in grado di integrare
un’immagine in movimento come la musica di sottofondo. Lo stesso si può dire per i documentari.
Selezionare la musica più adatta può migliorare il documentario, al contrario una scelta sbagliata
rovinerà l’intera produzione208.
Effettivamente, se le immagini fanno immergere lo spettatore visivamente in un contesto, la musica
e i suoni tramettono più immediatamente le sensazioni che è possibile vivere al suo interno. La musica
208
PEPE, ZARZYNSKI, 2012, pp.137.
126
è, altresì, un elemento “non realistico” perché viene aggiunto in post-produzione, pertanto va usata
con molta attenzione. Toccando corde profonde, a volte imprevedibili, può portare lo spettatore
lontano da dove la storia lo potrebbe condurre. Di fatto è un’ “imposizione” sull’immagine, quindi
con tutta evidenza un segno profondo dell’autore: marca la sua valenza espressiva.209.
Se ne propongono vari usi: la musica può avere un timbro contrapposto a quello della scena,
raffreddandone l’emotività o, al contrario rendendola più intensa; può accompagnare l’immagine e
quindi assecondarla e dialogarvi; o anche potenziarla, qualora la scena non restituisca l’emozione o
la forza che si è sprigionata nella realtà; infine può essere altresì uno stratagemma per legare tra loro
scene altrimenti diverse.
In ogni caso la musica non deve distrarre l’osservatore o disturbare le altre voci presenti nel
documentario. Di conseguenza, la musica cantata sarà più adatta ai titoli di testa e di coda, mentre la
musica strumentale sarà idonea a sottolineare l’importanza delle parole dette.
Comunque la si utilizzi, il regista può affidare alla musica il suo punto di vista, consegnarle parte del
suo sguardo su un personaggio o su una situazione210.
Ecco perché, quando si affronta la realizzazione di un documentario, è bene darsi da fare
immediatamente per cercare qualcuno che si occupi di individuare la musica che gli farà da colonna
sonora. La situazione migliore prevede la consultazione di veri e propri professionisti del settore che
comporranno della musica appositamente per la storia e per le atmosfere presenti nel documentario.
In molti altri casi, invece, bisogna ricorrere a musiche già composte, prestando naturalmente
attenzione al diritto d’autore. Nelle produzioni a basso costo è impossibile ottenere la licenza d’uso
di brani editi già famosi, sia per i costi proibitivi, sia per i lunghi tempi necessari ad ottenere il
contratto firmato. In questi casi la soluzione migliore è quindi l’uso di musica priva di diritti
d’autore211.
Certo, la musica non basta. Ruolo altrettanto importante è giocato dai suoni che completano,
riempiono e ricreano l’ambientazione di una scena, in particolare nel caso del documentario
naturalistico. L’audio, in questo caso, può essere registrato durante le riprese oppure ricostruito
mediante una banca suoni. Anche questi effetti devono venire usati solo per aggiungere contenuti al
209
FANTINI, 2005, pp. 132; BALSAMO, PANNONE, 2009, pp. 131.
210
BALSAMO, PANNONE, 2009, pp. 132; LINDENMUTH, 2011.
211
FANTINI, 2005, pp. 132-133; LINDENMUTH, 2011.
127
documentario o per sostituire il sonoro già presente nei filmati: è importante, infatti, che il realismo
venga mantenuto212.
Il montaggio audio è un processo piuttosto lungo, che richiede una cura estrema sui volumi, che
devono essere bene equilibrati e uniformi, per tutta la durata del documentario, e sui tagli, che devono
essere ammorbiditi da veloci dissolvenze213.
Nel montaggio del documentario “Nora il racconto dell’archeologo”, la musica è stata inserita come
accompagnamento della voce narrante e per rimarcare il cambio di argomento tra le interviste. Per
dare il senso di uniformità tra il parlato e la musica sono state applicate lente dissolvenze che hanno
sfumato la colonna sonora portandola in secondo piano rispetto alle parole dette.
La scelta dei brani è stata influenzata da due parametri: da un lato, la necessità di non violare i diritti
d’autore ha comportato la scelta di brani liberi di copyright214; dall’altro, l’esigenza di non disturbare
il parlato, rendendolo così di difficile ascolto e comprensione, ha portato a preferire brani strumentali
caratterizzati da un ritmo lento e soffuso, privo di quei suoni forti che, per esempio, potevano essere
generati dall’introduzione di chitarre o di percussioni. In ogni caso, come ulteriore precauzione, i
brani sono stati equalizzati e resi più armonici per adeguarsi nel modo più ottimale possibile al parlato
del documentario.
Di seguito i brani scelti e inseriti nel documentario “Nora il racconto dell’Archeologo”:
• Wisps of Whorls, di Kevin MacLeod (incompetech.com)
http://creativecommons.org/licenses/by/3.0;
•
Relaxing, Bensound.com (http://www.bensound.com/royalty-free-music);
•
Slowmotion, Bensound.com (http://www.bensound.com/royalty-free-music).
212
FANTINI, 2005, pp. 133; LINDENMUTH, 2011.
213
FANTINI, 2005, pp. 133-134.
214
In internet si trovano numerosi siti che compongono brani musicali liberi di copyright e dotati di licenza Creative
Commons. Tra questi sono stati consultati: http://www.bensound.com e http://incompetech.com/wordpress/.
128
5.4 Distribuzione e fruizione
5.4.1 Accenni di distribuzione e vendita
Molti archeologi che hanno sognato di fare un documentario sul proprio progetto di ricerca
probabilmente hanno immaginato anche di vederlo trasmesso su una rete televisiva, proiettato al
cinema o distribuito in DVD215.
Un’analisi di tutte le forme di distribuzione di questa categoria di prodotto e delle leggi che regolano
il suo mercato sarebbe troppo ampia e complessa, oltre che non coerente con il prodotto realizzato in
questa sede. Il documentario “Nora, il racconto dell’archeologo”, infatti, è stato realizzato in ambito
universitario per fini esclusivamente didattici e divulgativi: pertanto sarebbe improprio parlare di
vendita. Tuttavia, per completezza, si propone una breve riflessione anche su questo argomento.
La distribuzione e la vendita sono due fasi che spesso non vengono considerate nella letteratura
dedicata al documentario, ma che sono invece di fondamentale importanza. Anche se esse non fanno
propriamente parte della realizzazione del prodotto, ci troviamo infatti pur sempre nell’ambito della
comunicazione e, se il messaggio non arriva ad un destinatario, questo fine ultimo non viene
perseguito. Un documentario dev’essere guardato da qualcuno.
Quando si fa un documentario, oltre a produrre un’opera di livello artistico, si crea anche un prodotto
che dovrà trovare una collocazione in determinati contesti mediatici. Ma vendere un documentario è
tutt’altro che facile, e uno dei problemi maggiori di questa categoria di prodotto è quello di essere
spesso considerato, soprattutto in Italia, elitario, poco interessante e debole dal punto di vista
dell’intrattenimento. Il primo grosso sforzo per evitare che ciò accada deve venire, ovviamente, da
chi i documentari li fa, piuttosto che da chi li produce e li distribuisce.
Il suggerimento di Luca Fantini, nel suo libro Fare un documentario, è quello di sforzarsi di vendere
il documentario come una possibile forma d’intrattenimento, al di là d’ogni opinione e gusto
personale. Appassionante, veloce, commovente, entusiasmante, strabiliante. Un’altra carta vincente
sarà poi quella di sapere sempre con chi si avrà a che fare216.
215
Per approfondimenti si rimanda a PEPE, ZARZYNSKI, 2012, pp.151-157.
216
FANTINI, 2005, pp. 18, 32.
129
5.4.1.1 La distribuzione del documentario “Nora il racconto dell’archeologo”
Il documentario prodotto in questa sede, ribadiamo, è stato realizzato per fini didattici e divulgativi,
la sua divulgazione e la sua fruizione non seguiranno quindi le leggi del mercato moderno. Ciò non
significa che la sua produzione sia fine a sé stessa. Ma, piuttosto, che troverà applicazione in altri
ambiti. Di seguito alcune possibili forme di diffusione.
In primo luogo in ambito universitario. In questa sede, in particolare, il documentario “Nora il
racconto dell’archeologo” può avere una duplice valenza:
1. può orientare uno studente interessato ad iscriversi al Corso di Laurea Triennale in
Archeologia, proposto dall’ Università degli Studi di Padova, guidandolo nella comprensione
di quali siano alcune delle competenze che potrà acquisire nel corso dei suoi studi;
2. può anche rendere conto alla comunità dei risultati ottenuti dalle ricerche universitarie e
dimostrare il rigore scientifico con le quali queste sono condotte.
Riporto qui, a scopo esemplificativo, due tra le iniziative più importanti a cui aderisce il dipartimento
di Beni Culturali dell’Università di Padova: la Notte europea dei ricercatori e Galileo, il festival
dell’innovazione. Sono queste solamente alcune occasioni durante le quali il documentario potrebbe
trovare la sua applicazione come strumento di presentazione delle attività condotte nell’ambito degli
scavi di archeologia classica dell’Università degli Studi di Padova. In questa sede il documentario
prodotto sarebbe quindi un valido strumento per rispondere alle esigenze della “terza missione” delle
Università italiane contribuendo così a intensificare il dialogo tra la ricerca e la società. Il mezzo
espressivo video-narrativo, infatti, viene percepito dal cittadino medio, abituato ad informarsi
attraverso internet e reti televisive, come più accattivante rispetto a pubblicazioni e conferenze
istituzionali.
Allo stesso modo altre manifestazioni esterne all’ambito universitario, come i già nominati Film
Festival, sarebbero dei contesti adatti alla diffusione del filmato realizzato. In questo contesto esso
risponderebbe anche alla necessità di sensibilizzare e raggiungere il grande pubblico sui temi della
ricerca archeologica e sulla tutela del patrimonio culturale.
I Film Festival sono un eccellente sede sia per presentare sia per promuovere un documentario. I
vantaggi di partecipare a questi festival sono notevoli: contribuiscono a pubblicizzare il prodotto
video, garantiscono una copertura mediatica, consentono di ottenere riconoscimenti critici o di
130
vincere premi e, inoltre, danno l’opportunità di relazionarsi con coloro che distribuiscono i
documentari nel mercato mediatico217.
Per verificare la sua valenza formativa, invece, si potrebbe presentare il documentario come una
sperimentazione in ambito scolastico. In questo contesto sarebbe possibile confrontare quale sia il
mezzo più efficace per l’apprendimento didattico organizzando, in alcune classi, lezioni frontali
tradizionali sul metodo della ricerca archeologica e, in altre, proiettando il filmato “Nora il racconto
dell’archeologo”. Mediante la compilazione di un questionario verrebbero raccolte le opinioni degli
studenti e verificato con quale tipologia di lezione sono state assimilate maggiori informazioni.
Infine, presentando il caso studio di un sito archeologico di grande valenza culturale, un altro ambito
di applicazione potrebbe coerentemente essere quello turistico. Fin dall’inizio, infatti, questo
documentario vuole rivolgersi anche al turista che, visitata l’area archeologica di Nora, desidera
informarsi su come la sua storia sia stata ricostruita.
L’attuale mancanza di strutture adatte alla proiezione di un filmato nei pressi del sito esclude,
naturalmente, la visione contestuale del documentario nel momento della visita.
La già citata rassegna culturale Pularchaios, viceversa, si presta ad essere un’occasione di diffusione
del lavoro condotto dall’Ateneo patavino e un’opportunità di confronto metodologico con le altre
Università Italiane coinvolte nello studio di questo antico insediamento.
In conclusione, per sopperire alla necessità di comunicare con il turista e di sensibilizzare i cittadini
sul tema della ricerca archeologica, cercando di raggiungere un numero sempre più ampio di
spettatori, un ulteriore canale di diffusione potrebbe essere la rete. La durata del documentario,
purtroppo, non si adatta a questo canale mediatico.
Tuttavia la strutturazione in capitoli e in sotto argomenti permette di frammentare il video in filmati
più brevi, mirati a spiegare esclusivamente una determinata sequenza metodologica o una specifica
fase del lavoro dell’archeologo. Per esempio, dal documentario principale si può ricavare un filmato
più breve in cui vengono spiegate quali procedure precedono un intervento di scavo (ovvero gli
argomenti trattati dal Prof. Andrea Raffaele Ghiotto e dalla Prof.ssa Rita Deiana); oppure,
frazionando ulteriormente il documentario, ricavare dei filmati ancora più specifici per ogni
argomento (la geofisica, per esempio, o lo scavo archeologico o, ancora, lo studio dei materiali, ecc.).
Ecco che in questo modo è possibile per l’utente interagire con gli argomenti proposti soffermandosi
solo su quanto è oggetto d’interesse.
217
PEPE, ZARZYNSKI, 2012, pp. 165-168.
131
5.4.1.2 Promuovere il documentario: la creazione del trailer
Promuovere un documentario è un passaggio fondamentale per il successo della distribuzione.
Quando lo scopo è quello di far conoscere al grande pubblico l’esistenza di un documentario, allora
internet è sicuramente la forma di pubblicità più economica e facilmente accessibile.
Uno degli strumenti di promozione più importanti per la diffusione un audio visivo è sicuramente il
trailer (promo in lingua italiana) perché è facilmente fruibile da chiunque. Su internet, per esempio,
è molto più probabile che una persona sia invogliata maggiormente a guardare un trailer piuttosto che
leggere una recensione218.
“Trailer” letteralmente significa rimorchio, questa accezione è dovuta al fatto che in origine veniva
proiettato alla fine del film. Viceversa, oggi viene proiettato, con scopi pubblicitari, prima dell’uscita
di un film come anteprima e presentazione del film stesso.
Il trailer risponde alle esigenze comunicative del mondo moderno in cui il passaggio d’informazioni
deve avvenire nel modo più veloce possibile. Per questo motivo molti trailer non superano i 150
secondi. La loro durata ottimale, tuttavia, si aggirerebbe tra i 90 e i 120 secondi. Detto questo, vi sono
anche trailer molto più lunghi.
In questo breve lasco di tempo va offerta al pubblico la prima impressione del filmato realizzato e
stimolato il suo interesse. In due-tre minuti bisogna riassumere la storia raccontata dando un’idea
chiara dei suoi contenuti e prestando comunque attenzione a non svelarne il finale. Inoltre, dal
momento che un documentario è basato sui fatti, il trailer non può trarre in inganno il pubblico, deve
presentare tutte le informazioni con lo stesso tono usato all’interno di tutto il programma219.
P. Pepe e J. W. Zarzynski, nel loro libro Documentaru Filmmaking for Archaeologist, riassumono
efficacemente le principali caratteristiche di un trailer. Gli autori affermano che un trailer dovrebbe:
1. fornire il titolo del documentario;
2. presentare la compagnia di produzione ed eventualmente quella di distribuzione;
3. catturare subito l’attenzione dello spettatore;
4. introdurre gli spettatori alla storia del documentario e ai suoi conflitti;
5. introdurre i protagonisti del documentario;
6. riassumere brevemente il documentario senza svelarne il finale;
7. usare le migliori riprese per interessare gli spettatori;
8. esibire alcune qualità cinematografiche;
218
LINDENMUTH, 2011.
219
PEPE, ZARZYNSKI, 2012, pp. 181-184; LINDENMUTH, 2011.
132
9. usare una musica grandiosa e cambiarla più volte nel corso del 150 secondi previsti;
10. ribadire il titolo del documentario e riportare il cast, la troupe e le altre informazioni necessarie
alla fine.
La realizzazione di un trailer per il documentario “Nora il racconto dell’archeologo”, piuttosto che
per scopi pubblicitari, è legata maggiormente alla necessità di presentare il filmato alla commissione
nel giorno della discussione e in tutti quei contesi in cui, per motivi di tempo, non sarebbe possibile
mostrarlo nella sua interezza.
Come K. J. Lindenmuth suggerisce, nel suo libro Come girare documentari, la realizzazione del
trailer può iniziare solo successivamente la conclusione del montaggio del documentario. Solo con i
contenuti definitivi ed avendo ben chiaro lo sviluppo della storia, infatti, è possibile estrarre i
fotogrammi migliori 220 . Pertanto, riguardando più volte il prodotto finito, si è proceduto
all’annotazione delle parti più rilevanti e delle frasi più significative in grado di comunicare,
sinteticamente, il maggior numero di informazioni e restituire una visione d’insieme dell’intero
filmato.
Avendo poco tempo a disposizione era necessario catturare subito l’attenzione, si è deciso così di
adottare un ritmo vivace e incalzante. Per fare questo è stato necessario ricorrere all’alterazione di
alcune sequenze e all’accompagnamento musicale (alterazione che riguarda, naturalmente, l’aspetto
formale e non quello contenutistico). Infatti, anche per la creazione dell’anteprima è importante
prestare attenzione alla comunicazione con il pubblico e rispettare i principi divulgativi ed istruttivi
del filmato. Pertanto alle immagini di presentazione del sito di Nora sono state intervallate scene che
illustrano particolari aspetti del lavoro dell’archeologo. In questo modo si riesce a trasmettere, in un
lasco di tempo breve, un’idea sia del sito archeologico stesso, sia della complessità dei metodi delle
indagini scientifiche in corso.
5.4.2 La fruizione turistica
Come più volte specificato, il documentario realizzato si rivolge a due target di spettatori principali:
gli studenti e i turisti. Mentre il gruppo rappresentato dagli studenti è, di per sé, facilmente definibile
e circoscritto, non solo per età e formazione, ma anche per gli aspetti motivazionali legati
all’apprendimento e all’orientamento universitario, il gruppo variegato rappresentato dai turisti
220
LINDENMUTH, 2011.
133
necessita invece di un’ulteriore specificazione. Fondamentale, anche in questo caso, è partire dalla
base dell’argomento: ovvero definire il fenomeno turistico.
A differenza del viaggio, che è un’attività assai antica221, il turismo ha una lunga tradizione ma una
breve storia. Il fenomeno turistico infatti non è sempre esistito. È nato durante l’età moderna,
parallelamente alla rivoluzione industriale: per la precisione la sua data di nascita si colloca alla fine
del XVIII secolo, in Inghilterra222.
Le evoluzioni subìte da allora lo hanno reso un fenomeno complesso e un ambito di ricerca recente,
stimolante e, allo stesso tempo, di particolare interesse per molte discipline223.
Le difficoltà di definizione del suddetto fenomeno emergono già nel momento in cui si cerca di
definire il termine stesso. La parola turismo, infatti, si presenta non specifica e di uso comune224.
Quindi, per non correre il rischio di perdersi in una babele di significati, è necessario individuare le
diverse accezioni del termine adottando un criterio d’analisi e stabilendo il criterio logico dei vari
significati presi in esame.
Tre sembrano essere gli usi principali del concetto:
1. turismo come evento del mondo esterno, ossia il comportamento messo in atto dai turisti;
2. turismo come campo d’indagine accademico, una comunità il cui scopo è quello di costruire
un corpo di conoscenze;
3. turismo come educazione, un fenomeno che ha assunto importanza negli ultimi anni a fronte
della necessità di formare operatori preparati.
Da quanto detto si comprende la difficoltà nel trovare una risposta alla domanda “cos’è il turismo?”.
Non esiste, infatti, una lettura univoca del fenomeno né a livello del senso comune né a quello della
conoscenza scientifica. Conseguentemente non esiste nemmeno un unico approccio metodologico da
221
Si riscontra in genere una distinzione tra viaggio e turismo in merito al comportamento e alla profondità dell’esperienza
di viaggio. Il turista è separato, contrapposto al viaggiatore, quest’ultimo è in grado di stabilire un contatto più profondo
con i luoghi e le persone incontrate, entrando immediatamente in una sorta di relazione autentica con la popolazione
locale. Per approfondimenti vedi VILLAMIRA, 2001, pp. 9-25.
222
MAERAN 1996, pp. 22-24.
223
MAERAN, 2006, pp.15.
224
Il termine turismo ha le sue origini agli inizi del XIX sec (The Oxford English Dictionary, 1814). Dumazadier riporta
che la parola turismo fu inventata da Stendhal per indicare chi viaggia per divertimento, per istruzione e non più per
interesse o necessità (MAERAN 1996, pp. 23).
134
parte delle discipline che si intessano del suo studio, tra queste: la psicologia, la geografia,
l’economia, sociologia e l’antropologia225.
5.4.2.1 La motivazione turistica
Le persone, guidate da scopi precisi e tese alla soddisfazione dei propri bisogni, si muovono
nell’ambiente in modo da essere in grado di cogliere le opportunità che esso offre. Molto
ragionevolmente possiamo dire che, se non esistesse nell’uomo un bisogno forte e radicato (curiosità,
desiderio di conoscere l’ignoto, avventura, desiderio di cambiamento) in grado di spingerlo al
viaggio, il turismo come pratica sociale, così come oggi noi lo viviamo, non esisterebbe226.
Incorre, dunque, anche nell’agire turistico, il concetto di motivazione, già delineato nel paragrafo 2.1
di questo elaborato 227 . In questo contesto, si parla di motivazione per indicare le forze sociopsicologiche che inducono una persona a scegliere l’esperienza turistica o, più in specifico, una
determinata località o tipo di attività228.
La motivazione tradizionale, che vede la vacanza come un periodo di riposo dallo stress quotidiano,
venne nel tempo gradualmente sostituita da un concetto di vacanza come un periodo attivo in cui
conoscere e sperimentare situazioni, luoghi nuovi e interessanti e comunicare con persone di altri
paesi. La vacanza divenne quindi sempre più una necessità e, nel contempo, una combinazione di
impegno e di svago. Così oggi i prodotti non vengono più considerati solo per le caratteristiche
materiali e funzionali, ma per la loro capacità di fornire gratificazioni psicologiche strettamente
connesse con la definizione della propria personalità. Accanto alle classiche motivazioni di carattere
propriamente fisiologico (recupero dell’energia) vengono sempre più evidenziate motivazioni
relative al bisogno di stima e di autorealizzazione che rendono il turismo un oggetto socialmente non
neutro229 (tabella IV).
Categorie motivazionali
Motivazioni fisiche
Motivazioni
•
riposo del corpo e della mente
•
per motivi di salute (prescrizione medica)
225
MAERAN, 2004, pp. 4-5.
226
MAERAN, 2004, pp. 6.
227
È necessario precisare che il concetto di motivazione al viaggio non dev’essere confuso con quello di domanda
turistica. Più correttamente la domanda è il risultato della motivazione.
228
Per approfondimenti vedi MAERAN, 2004, pp. 32-36; MAERAN, 1996, pp. 57.
229
MAERAN, 2004, pp. 19; MAERAN, 2006, pp.18.
135
•
per fare sport
•
per piacere, divertimento, fare acquisti
•
curiosità per paesi, luoghi e persone stranieri
•
interessi in campo artistico, musicale e
folkloristico
Motivazioni culturali
•
interesse per luoghi storici (monumenti, chiese,
rovine)
•
sperimentare eventi specifici
•
visitare amici e parenti
•
incontrare nuove persone e cercare nuove
amicizie
•
cercare nuove e differenti esperienze in ambiti
diversi
Motivazioni personali
•
fuggire dal proprio ambiente sociale (desiderio
di cambiamento)
•
l’eccitazione personale dovuta al viaggiare
•
visitare luoghi e persone per ragioni religiose,
spirituali (pellegrinaggi)
•
viaggiare per viaggiare
•
per hobbies
•
per continuare lo studio e la propria
formazione
Motivazioni di status e prestigio
•
per cercare contatti d’affari e obiettivi
professionali
•
per conferenze e meetings
Tabella IV – Le motivazioni del turista (MCINTOSH, 1977 in MAERAN, 1996).
5.4.2.2 Dal turismo ai turismi: un pubblico per “Nora il racconto dell’archeologo”
In quest’ottica, dunque, non si può più parlare di un'unica forma di turismo, il turismo di massa
dell’epoca moderna (le cui variabili tradizionali erano il sole, la natura e la famigliarità), ma ci
troviamo costretti a parlare di turismi e, conseguentemente, delle diverse categorie di turisti che
segnano l’epoca post-moderna.
136
Nel classificare i comportamenti turistici bisogna considerare le intenzioni alla base del modo di agire
delle persone. Nel modello di Fishbein e Ajzen (1975) le intenzioni derivano sia dall’atteggiamento
che dalla pressione sociale. Gli atteggiamenti sono determinati dall’aspettativa del risultato
moltiplicata per il valore attribuito al risultato stesso; mentre la pressione sociale deriva dalle
assunzioni normative moltiplicate per la motivazione ad aderire, cioè da quello che gli altri si
aspettano che la persona faccia e dalla motivazione a conformarsi ai desideri degli altri230.
Varie sono le classificazioni dei comportamenti turistici in base agli aspetti del viaggio, ne riportiamo
di seguito alcune.
In base allo stile di viaggio Perrault e Dardern (1977) hanno individuato 5 tipologie di turista231:
•
i viaggiatori a risparmio: hanno un reddito medio, sono attenti agli aspetti economici della
vacanza, scelgono il campeggio, i viaggi storici ed educativi;
•
gli avventurieri: sono in prevalenza giovani con un buon livello di istruzione e con un reddito
medio-alto preferiscono viaggi rischiosi e le attività da jet-set;
•
i moderati: si collocano nella media sia rispetto alle variazioni demografiche (età, scolarità,
ecc.) si per reddito, rappresentano il turista medio;
•
i casalinghi: preferiscono viaggi rilassanti ma non amano particolarmente viaggiare;
•
i vacanzieri: hanno un’istruzione più bassa, sono molto attivi da un punto di vista sociale,
trascorrono le vacanze con la famiglia sperando di fare viaggi cosmopoliti e progettando con
molto anticipo le vacanze232.
Krippendorf (1971), invece, ha analizzato le esigenze turistiche utilizzando una tecnica che integrava
la segmentazione motivazionale (per individuare gli atteggiamenti verso il prodotto turistico) con
quella della segmentazione psicografica (per definire gli stili di vita adottati dai consumatori).
L’autore ha così identificato sei tipologie comportamentali:
•
alfa: persone dotate di un’elevata carica motivazionale
•
beta: persone poco aperte alle innovazioni e alle nuove attività;
•
kappa: persone conservatrici e tradizionaliste;
•
gamma: persone impegnate politicamente e culturalmente, ambientalisti e intellettuali;
•
sigma: persone che frequentano locali pubblici notturni;
230
MAERAN 2004, pp. 64-65.
231
Il campione in esame era costituito da cittadini nord americani. Precisazione questa necessaria poiché in base alla
cultura del paese d’origine si distinguono anche forme di turismo diverse.
232
MAERAN 1996, pp. 42-43; MAERAN, 2004, pp. 65-66.
137
•
omega: persone che vivono in condizioni di emarginazione, non integrate pienamente nella
società233.
Diversamente, Cohen (1974) pone la sua attenzione sull’elemento essenziale del turismo: la ricerca
di novità e di cambiamento. L’autore individua così le seguenti tipologie di turista:
•
il vacationer trascorre in modo abitudinario le proprie vacanze, non è alla ricerca della novità
ma di elementi conosciuti che possano infondergli sicurezza. Può altresì essere definito come
il turista abituale attratto dal sole, dall’aria sana, dal buon cibo, e da un alloggio confortevole.
•
il sightseer ricerca la novità e rappresenta il turista nel senso più letterale del termine. Visita
varie località, individuate e studiate accuratamente prima di partire. La sua attenzione è rivolta
al movimento, al viaggio e meno al soggiorno. Ricerca i monumenti, i siti archeologici, i beni
artistici o paesaggistici che rendono unica una nazione rispetto ad un'altra;
•
il drifter ama, invece, l’avventura per l’avventura. Ricerca destinazioni sempre nuove e
diverse, parte senza una meta precisa e previlegia le località poco frequentate alla ricerca
dell’autenticità in un esperienza esistenziale234.
Gulotta (1991) riprende le analisi di Cohen e sviluppa il concetto di competenza turistica: l’autore
ritiene ovvero che il comportamento turistico sia influenzato e determinato dal complesso di
atteggiamenti, aspettative e motivazioni che fanno parte del bagaglio di esperienze propri
dell’individuo. Le persone con una bassa competenza turistica ricercano nella vacanza soprattutto
ricreazione (intesa come pura evasione, famigliarità, sicurezza e organizzazione); per chi, invece,
possiede un’elevata competenza turistica, la vacanza è soprattutto attività (sportiva, culturale, ecc.)
novità, ricerca del diverso, dell’inaspettato, autonomia e creatività235.
Queste classificazioni non costituiscono, chiaramente, schemi fissi, bensì una persona può entrare a
far parte di ognuna di queste tipologie in periodi diversi della propria vita o della propria carriera
turistica.
Ciò che in questa sede è di nostro interesse sottolineare, è che vi sono alcune caratteristiche in comune
tra le classificazioni riportate che consentono di individuare un destinatario preciso all’interno del
troppo vasto e variegato sistema composto dai turisti.
233
MAERAN 1996, pp. 42; MAERAN, 2004, pp. 67.
234
MAERAN, NOVELLO 1991, pp. 33; MAERAN 1996, pp. 45-46; MAERAN, 2004, pp. 68-69.
235
MAERAN 1996, pp. 50; MAERAN, 2004, pp. 70-71.
138
Il documentario “Nora, il racconto dell’archeologo”, infatti, si rivolge precisamente al turista che
sceglie il viaggio storico ed educativo, una persona culturalmente impegnata e con un’elevata carica
motivazionale. Si può a ragione credere che, ricercando la novità o attività alternative, questa
tipologia di turisti sia interessata a partecipare ad una rassegna culturale. Essi, infatti, considerano la
vacanza come cambiamento e apprendimento insieme.
Altrettanto si può affermare per la categoria di turisti che prepara il viaggio studiando la destinazione,
informandosi sulla storia del posto e cercandone le caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono.
La raccolta delle informazioni è decisiva per la scelta della destinazione turistica. Nel corso della
progettazione del viaggio i turisti potrebbero, per esempio, imbattersi nella visione del documentario
online e, incuriositi, essere indotti a visitare il sito archeologico di Nora.
Una precisazione questa importante in quanto, ogni forma di comunicazione risulta efficace qualora
si abbia in mente il destinatario del messaggio e ad esso venga adattata forma e contenuto della
comunicazione stessa.
139
140
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Se “Nora, il racconto dell’archeologo” possa divenire un esempio di divulgazione archeologica di
successo solo la diffusione potrà dirlo. Ciò che in questa sede si intende sottolineare, invece, è che
esso rappresenta un esempio di divulgazione scientifica basato su saldi contenuti ma costruito con un
lessico e un livello di comunicazione adatto ad un pubblico medio.
L’esperienza fatta nel montaggio di questo documentario mi porta a ribadire l’importanza di alcune
considerazioni scritte nelle pagine del presente elaborato.
La prima e forse fondamentale constatazione è legata al ruolo centrale assunto dalla comunicazione
nella società attuale. Come già scritto in precedenza, l’importanza delle cose è oggigiorno
direttamente proporzionale alla nostra capacità di comunicarle in modo appropriato 236 . Questo
pensiero è riscontrabile soprattutto nelle nuove generazioni: l’abitudine di pubblicare, condividere,
cercare aggiornamenti è ormai parte della loro quotidianità. Le discipline scientifiche, se vogliono
sopravvivere, devono adeguarsi a questa continua richiesta d’informazioni e sfruttare tutti i mezzi che
la rivoluzione delle comunicazioni ha messo a loro disposizione.
Attualmente uno dei principali canali di comunicazione è rappresentato dai social network che
costituiscono uno strumento di informazione rapido, globale ed efficace. Prescindere dal loro uso,
oramai, non è più possibile: infatti, molti sono i progetti di ricerca dotati di una pagina Facebook, di
un account Twitter o, nei casi più illuminati, di un canale YouTube dedicato alla diffusione di brevi
filmati divulgativi. Questo non deve chiaramente inficiare base scientifica dei contenuti: infatti, si
può essere scientificamente corretti ma allo stesso tempo semplici ed efficaci.
L’importanza della semplicità espressiva in contesti accademici o di ricerca viene, talune volte,
inconsapevolmente sottovalutata. Invece, nel momento in cui ci relazioniamo con il pubblico
dovremmo chiederci: come faccio a rendere interessante lo studio di una cisterna romana? Oppure,
come possono spiegare in maniera avvincente che l’analisi di un certo deposito archeologico ha dato
236
ZANINI, RIPANTI, 2012.
141
luogo ad una certa ricostruzione storica? Dopotutto un conto è scrivere relazioni stratigrafiche e
compilare diagrammi matrix, un conto è farsi narratori del proprio lavoro e protagonisti di quelle
riflessioni che stanno alla base delle interpretazioni sul campo.
In secondo luogo, la scelta del mezzo video-narrativo per la divulgazione scientifica può
rappresentare una risposta valida da parte della disciplina archeologica nell’era digitale della
multivocalità, della velocità di scelta e della grande portata comunicativa.
Oggi, il modo con cui scegliamo di dire le cose ha un notevole impatto sul risultato e sulla
divulgazione della conoscenza stessa. Il video, in questo contesto, costituisce una forma di
comunicazione dinamica, moderna e creativa in grado rispondere efficacemente alle necessità di una
disciplina varia come l’archeologia e alle continue richieste di una società che ha sete di conoscenza.
Inoltre, le sue molteplici possibilità di declinazione consentono di raggiungere un pubblico sempre
più ampio, nell’ottica di quel continuum comunicativo che è stato precedentemente descritto.
Il linguaggio tradizionale può essere così affiancato da un nuovo tipo di comunicazione adatta alla
trasmissione della conoscenza sia all’interno dello stesso gruppo di ricerca, sia nella più ampia
comunità scientifica e sia nella società in generale, in direzione di un linguaggio espressivo comune.
Un’edizione scientifica di uno scavo archeologico non potrà essere sostituita da un video, ma
certamente da esso affiancata nell’ottica di raggiungere un pubblico di fruitori molto più ampio.
Le potenzialità del mezzo video narrativo possono, inoltre, venire rafforzate se veicolato dagli attuali
prioritari canali di comunicazione. Facebook, per esempio, ha dato ampio spazio negli ultimi tempi
al video come strumento fondamentale di narrazione.
Alcune prospettive di sviluppo del presente progetto si accodano proprio a queste considerazioni e
sfruttano le possibilità offerte dal mondo dei social: si programma infatti di realizzare, nel corso della
missione archeologica 2016, dei brevi e semplici video divulgativi da pubblicare settimanalmente
sulla pagina Facebook di rappresentanza 237 . L’obiettivo è quello di coinvolgere e aggiornare la
comunità virtuale sul prosieguo delle indagini e sui risultati ottenuti, senza essere sottoposti a limiti
di target o numero di persone raggiungibili.
Una volta confermato il successo di questo modello di comunicazione ulteriori prospettive di sviluppo
potrebbero riguardare la produzione di filmati più elaborati e lunghi che, per queste stesse
caratteristiche, non avrebbero fortuna sui social ma potrebbero trovare un efficace canale di diffusione
su YouTube. Raggruppati in playlist, in base agli argomenti trattati o alle tematiche sfiorate, i
237
https://www.facebook.com/scavidinora/?fref=ts
142
cortometraggi divulgativi costituirebbero una piccola serie documentaria che andrebbe a
completamento del documentario già prodotto.
In terzo luogo, raccontare una storia significa anche comprenderla, farla propria. La divulgazione
perciò ha il duplice vantaggio di istruire, istruendo. Per riuscire a spiegare qualcosa a qualcuno, infatti,
è necessario acquisire una conoscenza approfondita di quell’argomento e di tutto il contesto che gli
fa da sfondo. Ritornare sulle ricostruzioni interpretative e sforzarsi di ripensarle in termini più
quotidiani e concreti può portare gli stessi archeologi a porsi nuove domande e riflessioni più
approfondite circa gli sviluppi e i metodi della propria ricerca.
Tutte queste riflessioni si possono, a ragione, inserire nell’ambito di quella che recentemente è stata
chiamata archeologia sociale e/o pubblica. Essa è da intendere, invero, come quel processo di ricerca
ed azione che vuole investigare i rapporti e le interazioni tra archeologia e contemporaneità per
avviare una vera e propria operazione culturale238. L’obiettivo è, da un lato, cercare di coinvolgere la
comunità locale nelle stesse attività archeologiche e di tutela dei beni culturali e, dall’altro, di
riassegnare importanza alla figura professionale dell’archeologo e al suo ruolo di mediatore tra
presente e passato nella convinzione che la conoscenza archeologica possa dimostrarsi utile alla
società.
Con la produzione del documentario “Nora, il racconto dell’archeologo”, e con lo studio teorico che
ad esso si è affiancato, si è cercato di riflettere su questi temi, che oggi più che mai sono di vitale
importanza per la disciplina, e trovare risposta agli interrogativi sollevati: archeologia e video sono
compatibili? Può lo strumento video narrativo apportare un contribuito positivo nell’ambito della
divulgazione archeologica?
Esaminando il lavoro appena concluso la risposta non può che essere affermativa. Il binomio videoarcheologia si rivela, infatti, uno strumento valido per dare voce all’archeologo e far parlare
l’archeologia stessa, inoltre, fare video per la divulgazione scientifica risulta perfettamente coerente
con le forme di comunicazione del mondo contemporaneo.
238
PATERLINI, RIPANTI, 2016.
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RINGRAZIAMENTI
È in una vecchia e folkloristica casa sarda, agli sgoccioli di un altro scavo Norense, che ho scelto di
ritagliarmi un po’ di tempo per ringraziare le molte persone coinvolte in questo percorso universitario
e scrivere questi… Titoli di coda.
Innanzi tutti ringrazio il Prof. Jacopo Bonetto che ha voluto osare proponendomi un argomento
inusuale, una tesi diversa e alternativa, e ha saputo sostenermi durante tutto il suo sviluppo. Il suo
entusiasmo mi ha spinta a vincere l’iniziale indecisione e mi ha incoraggiata ad intraprendere questa
nuova strada.
La Prof.ssa Francesca Pazzaglia che ha allargato le mie conoscenze e proposto fruttuosi spunti di
riflessione, i suoi suggerimenti si sono rivelati un saldo punto di riferimento per affrontare le
tematiche, a me non famigliari, legate alla psicologia.
Il Prof. Mirco Melanco che ha condiviso con me la sua esperienza professionale rendendo possibile
la produzione di questo documentario.
Il Dott. Antonio Zanonato e Alberto Fanin che, con pazienza e competenza, mi hanno aiutata nelle
riprese e nella realizzazione di “Nora, il racconto dell’archeologo” sviluppando la mia esperienza di
montaggio video e approfondendo le mie conoscenze tecniche sull’argomento.
Il Prof. Antonio Andreetta che ha prestato la sua voce per narrare il meraviglioso ed emozionante
mondo dell’archeologia, mondo che spero continui ad essere parte integrante della mia vita.
Ma non solo, dietro ad ogni grande film ci sono grandi attori e i miei ringraziamenti vanno anche a
tutti coloro che, vinta la timidezza e l’imbarazzo iniziale, si sono posti davanti all’obiettivo mettendo
a disposizione, non solo le loro competenze, ma anche le loro personalità e le loro idee.
Il Prof. Andrea Raffaele Ghiotto con la sua immancabile precisione, l’entusiasmo della Prof.ssa Rita
Deiana, la totale spontaneità di Arturo Zara, l’appoggio appassionato di Simone Berto, il coraggio di
Valentina Mantovani e la professionalità di Filippo Carraro. Le vostre opinioni e i vostri consigli sono
stati un costate stimolo per migliorare; gli scambi di idee, uniti agli inaspettati cambi di rotta, una
fonte d’ispirazione.
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Un affettuoso grazie anche ai migliori attori non protagonisti, Federica Stella, Maria Chiara Metelli,
Alessandro Mazzariol, Federica Patuzzi e Andrea Lintas che, con pazienza ma spero anche una buona
dose di divertimento, sono state le comparse di questo documentario, assieme ai già nominati Filippo
e Arturo. Grandi!
Alle spalle di una grande sceneggiatura vi è poi una fantastica storia. Quella che vi ho raccontato è
stata costruita sui libri e sui banchi del Liviano, ha viaggiato in treno, è volata fino ad Istanbul ed è
scesa giù nelle miniere della Val Leogra, si è avventurata tra rovi e zecche, ha scavato nell’umidità
di un sito palafitticolo e, allo stesso tempo, sotto il sole sardo, con la cazzuola in una mano e l’asta
del prisma nell’altra (“bollaaa…”) e, come in molti dei piatti cucinati in casa Olla, anche qui c’era un
ingrediente segreto: la passione! Molte sono le persone che hanno fatto parte di questa storia e hanno
contribuito a renderla indimenticabile. L’elenco di certo sarebbe infinto e nominarli tutti impossibile!
Ci tengo, in ogni caso, a ricordare il mitico Prof. Armando De Guio, la carissima Prof.ssa Mara
Migliavacca e tutti gli archeo-ricognitori con cui mi sono avventurata lungo i pendii e le valli del
torrente Leogra: in particolare, gli immancabili Filippo Carraro, Amy Rodighiero, Alberto Panozzo,
il Dott. Zotti con la dolce Agnese, Marika Cogo, Don Gianatonio Urbani, e Andrea Meleri.
Lo squadrone Norense che ha contribuito a rendere la penisola di Nora la migliore scenografia di
sempre: Federica Stella, in arte DJ Fedez, amica vēra (che, si sa, è molto più di vera), l’orso
Alessandro Piazza e il polemico Leonardo B(a)ison, compagni di serate like no tomorrow; gli
inimitabili squalorsi, una spēcie davvēro rara, Alessandra Marinello, Giulia Fioratto, Chiara
Andreatta, Roberta d’Andrea, detta Robyonecheroby, Francesco Verdirosa e, chiedo scudo, anche
Luca Giurato; il fenicio Alessandro Coppola, Federica Trivisonno, Caterina Previato, Ludovica Savio
e Matteo Tabaglio; infine, i grandi divulgatori di Nora 2016 Arturo Zara novello Alberto Angela
affiancato da un Edoardo Brombin improvvisato Piero Angela, Alessandro Mazzariol che da quel
ciak non smetterà mai di odiarmi, Eliana Bridi con il suo sorriso “tagliente”, Alessandra Marinello
per tutti i divertentissimi 22 ciak e Luca Zamparo, il solito PQttone; ma ancora tutta la troupe che ha
collaborato in questa esperienza “social”, Beatrice Marchet, Jessica Capellato, Emily Salamon,
Beatrice Peripoli e Matteo Zampar.
Infine, spostandomi verso paesaggi più famigliari, desidero ringraziare anche le amiche di una vita,
Chiara, Stella, Lalla e Betta che sanno essermi vicine anche quando i chilometri e gli impegni ci
distanziano.
Il mio ragazzo Luca che mi sostiene e mi vizia, qualcuno dice anche sopporta… Una cosa è certa, la
vita con te è un’instancabile e meravigliosa avventura!
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Dulcis in fundo, il pensiero più affettuoso va alla mia famiglia, senza il cui appoggio tutto ciò non
sarebbe stato possibile. A mia sorella Erica, sempre pronta ad ascoltare, che davanti alle mie
indecisioni mi incoraggia a pensare con la pancia (lei certo capirà cosa intendo). Ai miei più grandi
fans: la mia super mamma, controparte di discussioni vivaci che nascono solo perché ci vogliamo
tanto bene, e il mio caro papà che è la persona più forte e coraggiosa che conosca, voglio che sappia
che faccio sempre il tifo per lui. Forza papi!
Sono loro le colonne portanti su cui posso sempre contare e alle quali dedico questo lavoro.
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