N. Giusto
Edgar Morin, filosofia eretica ed etica della comprensione
Nicola Giusto, Ma
Università Caʼ Foscari di Venezia
Introduzione a cura di Giuseppe Goisis, Docente di Storia della filosofia politica
allʼUniversità Caʼ Foscari Venezia.
Sottolineo il valore dellʼarticolo di Nicola Giusto, dedicato a E. Morin, alla sua filosofia e
allʼetica della comprensione che lʼautore francese sostiene e approfondisce. In
polemica con le più conosciute analisi di Debord e Baudrillard, Morin ha ben valorizzato
la natura critica, e non puramente conformista, della cultura di massa, se compresa
fino in fondo e adeguatamente rielaborata. La cultura di massa non sarebbe così in
rottura con la cultura classica, come comunemente si ripete. A queste prime
interpretazioni, Giusto ricollega lʼapprofondimento delle istanze progettuali contenute
nei molti saggi pubblicati da Morin: in essi si può rinvenire una genuina profezia, un
tentativo di riprendere il controllo del nostro futuro, riconquistandolo, e non
abbandonandosi ad esso. Nella parte conclusiva del suo scritto, Nicola Giusto, in
concordia discorde con Morin, approfondisce il tema della complessità, nei suoi
contenuti filosofici più profondi, ma anche nelle prospettive pedagogiche di
straordinaria attualità. È in gioco la necessaria riforma del pensiero, una riforma che
non può essere rinviata, giacché il futuro del mondo non esige una mente zeppa di
nozioni, bensì “vitalmente impostata”. È di eccezionale interesse che simili contributi
fioriscano dallʼUniversità, nel momento in cui lʼUniversità ricerca una sua nuova
progettazione, oltre le resistenze e le inerzie del passato, e diviene una specie di
grande laboratorio corale, un laboratorio di insegnamento e apprendimento secondo
nuove chiavi, ma anche un grandioso laboratorio di progettazione del futuro
dellʼumanità intera.
Giuseppe Goisis
1
N. Giusto
Abstract. In questo articolo, mostro come lʼopera L'esprit du temps. Essai sur la culture
de masse contenga già implicitamente i presupposti dellʼintero itinerario speculativo del
pensatore francese che partendo dalla teoria sociale si muove verso lʼontologia prima,
lʼetica e la pedagogia poi.
In particolare, cosa significa pensiero complesso? Perché il paradigma della
complessità è comparso solo recentemente? Quale relazione intrattiene con la società
contemporanea?
Tag. E. Morin, industria culturale, cultura di massa, complessità, riforma del pensiero,
etica planetaria, ecologia dellʼazione
This is your last chance.
After this, there is no going back.
You take the blue pill and the story ends. You wake in your bed and you believe whatever you want to
believe. You take the red pill and you stay in Wonderland and I show you how deep the rabbit hole
goes.
Dal film Matrix, Wachowski
Industria culturale e integrazione: il valore critico della cultura di massa
Lʼesprit du temps (1962), opera nota al lettore italiano con il titolo Lʼindustria culturale.
Saggio sulla cultura di massa, è forse il testo moriniano più conosciuto e famoso. Il
titolo originale mette in luce sin dalla copertina il motivo di fondo del lavoro, il cui
obbiettivo, lungi dallʼesser limitato allʼanalisi dei meccanismi e delle tecnologie di
riproduzione della cultura di massa, è dipingere un affresco dei tardi anni cinquanta,
mostrando il carattere, il paradigma dellʼepoca dellʼirruzione della plastica, della
televisione e della pubblicità in ogni angolo del quotidiano.
Continuità con le forme passate di cultura e dialettica evasione - integrazione. La tesi
centrale è, in polemica con la tradizione critica francofortese e in particolare con
lʼAdorno di Dialettica dellʼilluminismo e Teoria Estetica, temi ripresi tra gli altri da
Marcuse, che la “cultura di massa” rappresenti una terza questione, successiva e
logicamente legata alla cultura classica e a quella nazionale, e che tale cultura
contemporanea possa venir dialetticamente compresa tra una forza identificatrice livellatrice ed una, a questa opposta, capace di promuovere lʼintegrazione della massa
2
N. Giusto
e dellʼuomo comune alla cultura alta. La cultura di massa sta allo Stato Gendarme
(Usa) come quella moderna sta allo Stato Sovrano (Urss). Tra esse vi è una certa
continuità1, ma mentre nella modernità il sapere è forte, idiosincratico, legato allo hic et
nunc, e quindi contenutisticamente rigido, nella società civile degli anni cinquanta,
Morin scorge una cultura della forma mobile, essenzialmente liquida, nella terminologia
più tarda della sociologia di Z. Bauman2, tipica di uno stato liberale, gli Stati Uniti, il cui
potere, che è dolce nel senso conferitogli da Tocqueville, è esercitato attraverso
lʼorientamento, lʼaddomesticamento e la politicizzazione della vita privata ed il cui fine
sembra esser di vendere e far piacere più che di convincere ed educare.
In altre parole, criticando ogni forma di determinismo, la cultura di massa, secondo
Morin, ha la possibilità di esercitare, qualora ben compresa (come comprenderla, si
vedrà, è il motivo di fondo percorso dal pensiero dellʼautore francese), una voce critica
rispetto al potere di un dominio ormai istituzionalizzato e funzionale alla redenzione
sociale dellʼallora classe operaia e del proletariato. Certo, il pensatore francese è ben
conscio del potere anestetizzante della cultura di massa ma la cultura industriale
rappresenta per Morin un terreno innovativo che apre alla possibilità di comunicazione
tra classi sociali e culture diverse; in quanto tale questo nuovo spazio è il primo e
lʼunico esempio di cultura universale della storia dellʼumanità. Si tratta quindi di svelare,
mostrando e portando alla luce una terza via al di là della sterile opposizione tra
universalismo e particolarismo. Le nuove prospettive aperte dalle nuove tecnologie e
dalla loro attuale estensione e pervasività sociale si realizzano non solo nellʼapertura
spaziale (globale) della comunicazione, che non deve più rispondere ad unʼinterazione
dettata dal qui ed ora, ma anche per lʼaumento della velocità della comunicazione che
promuove la costruzione di nuovi spazi, in cui le persone possono sperimentare forme
di comunicazione innovative. Ciò aggiunge valore alla persona e le consente di mettere
in atto il processo di rappresentazione del sé attraverso nuovi strumenti e modalità.
1
Cfr. Lʼindustria culturale. Saggio sulla cultura di massa, op. cit., p. 36 “(...) si può supporre che
la nuova cultura corrisponde ugualmente alla prevalenza o alla progressione dei valori di
“classe media” nellʼambito del nuovo salariato” ovvero il confluire dei valori piccolo borghesi nei
valori del welfare moderno. Un secondo intervento a conferma di una certa continuità tra le
diverse forme di cultura a p. 55: “I contenuti della cultura di massa, come è chiaro, non sono
stati fabbricati artificialmente. La cultura di massa (...) è lʼerede e continuatrice del movimento
culturale delle società occidentali”, corsivo mio.
2
Cfr. Z. Bauman, Il disagio della postmodernità, Mondadori, Milano, 2002.
3
N. Giusto
Evasione e fuga dal mondo. In un primo senso quindi la cultura di massa è una cultura
a buon mercato3, democraticamente livellata verso la mediocrità, ovvero alla qualità di
ciò che è medio, Morin si domanda attraverso le belle parole di Musil “Non avete notato
che i nostri giornalisti divengono sempre migliori e i nostri poeti sempre peggiori?”4.
Lʼadattamento della grande opera al pubblico avviene attraverso un processo di
volgarizzazione, il cui meccanismo agisce per: semplificazione, manicheizzazione,
attualizzazione, e modernizzazione. In questo senso, tale acclimatazione dellʼopera
alta alla cultura di massa contemporanea non può che creare ibridi culturali, somma di
componenti oniriche e realistiche. Così lʼimmaginario collettivo si popola di elementi
misteriosi come: nascita, sostituzione di neonati, patrigni, matrigne, false identità,
travestimenti, sosia gemelli, rovesciamenti straordinari, false morti, persecuzione
dellʼinnocenza.
Possibilità di integrazione. In una seconda e fondamentale accezione la società tardo
borghese, o, se preferite, lʼepoca della riproducibilità tecnica, è caratterizzata da
unʼessenza poli-culturale, priva di centro (ma non per questo acefala), cosmopolita e,
in quanto estesa allʼintero globo, planetaria ed universale.
Proprio in questa universalità, il filosofo coglie unʼistanza critica - creativa immanente
alla cultura di massa e allʼindustria culturale che, per la prima volta nella storia,
attraverso la mobilitazione generale e la partecipazione collettiva, pone i diversi popoli
in dialogo, in un movimento di vicinanza allʼaltro da sé.
Tale dialogo è da intendersi come reciproca comprensione e integrazione, dal
momento che una:
differenza quantitativa, creando un mercato universale, la possibilità di raggiungere un
pubblico globale ad ogni istante, crea nello stesso tempo le condizioni per una
5
differenziazione qualitativa .
La cultura di massa è in altre pagine del testo caratterizzata alternativamente da: un
linguaggio onnipresente che avvolge ed immerge lʼindividuo, un movimento reale della
viva presenza nel senso che riproduce immediatamente il mondo reale e le mere cose,
quasi televisione e radio fossero in grado di recuperare elementi folcloristici ed arcaici,
3
Cfr. il saggio di Th. W. Adorno, Lʼindustria culturale, in Dialettica dellʼilluminismo, opera scritta
a quattro mani con M. Horkheimer: in cui il tema di una cultura del divertimento che non
comporta fatica né attività, di una contemplazione estetica semplice, facile, estesa
democraticamente a chiunque è già ampiamente delineato.
4
Lʼindustria culturale. Saggio sulla cultura di massa, op. cit., p. 44.
5
Ibid p. 55, corsivo mio.
4
N. Giusto
mantenendo pertanto un valore cultuale nel senso benjaminiano. Resterebbe però da
vedere se un medium caldo, della presenza viva, sia sufficiente a giustificare una
modalità virtuosa di partecipazione collettiva. Tali tendenze, tralasciando lʼultimo punto,
sarebbero confermate dai movimenti della prima e seconda Avanguardia nei quali
Morin non vede che i primi inconsapevoli tentativi di integrare elementi finora
considerati eterogenei quali: Chaplin con Hammet, Chopin con il Jukebok, una melodia
di Beethoven con un canzone di Dalida, Jazz colto con la musica suonata nelle strade
delle metropoli. Insomma, il modello di produzione industriale è dialetticamente legato
al divinismo e al culto dellʼoriginalità. In questo senso egli scrive
La cultura di massa, infatti, ci pone problemi mal formulati e non affioranti. Lʼespressione
cultura di massa non può da sola designare questa cultura in emersione, dalle frontiere
ancora fluide (...).
6
Noi siamo rinviati direttamente al complesso globale.
Resta ora da chiarire in che cosa consista tale complessità e quale sia il pensiero in
grado di cogliere, comprendere un mondo che, improvvisamente, lʼuomo scopre
complesso. Mi sembra però il caso, prima di procedere oltre, di sottolineare i due
importanti passi avanti compiuti: primo, Morin usa il concetto cultura in senso ampio,
definendolo come lo spazio di libertà dellʼuomo, esteso tra lʼapparato tecnico e
lʼistituzione burocratica, in cui agisce una certa dialettica tra personalizzazione serializzazione e un continuo bisogno di novità, originalità ed individualità. Secondo, il
processo di creazione industriale e quindi i meccanismi di riproducibilità e
serializzazione sono percepiti come un possibile atto creativo, immaginifico, talentuoso,
ovvero creazione e produzione non vanno più intesi come elementi antitetici ma
reciproci e interconnessi. In questo senso Morin può affermare che:
(...) la standardizzazione non comporta necessariamente la dis-individualizzazione.7
e ancora, alcune righe avanti
Così, né la divisione del lavoro, né la standardizzazione sono in sé degli ostacoli
allʼindividualizzazione dellʼopera.
Anzi, Morin sembra esser convinto che la cultura di massa rappresenti il massimo
grado di individualizzazione mai raggiunto
6
7
5
Ibid, p. 11, corsivo mio.
Ibid, pp. 24-25.
N. Giusto
la modificazione delle condizioni di vita sotto lʼinflusso delle tecniche, lʼaumento delle
possibilità di consumo, la promozione della vita privata corrispondono ad un nuovo grado
di individualizzazione dellʼesistenza umana. La cultura di massa si costituisce in funzione
dei bisogni individuali emergenti e fornisce alla privata le immagini e i modelli che ne
informano le aspirazioni.
Complessità: individuo - specie - società
Le considerazione di antropologia sociale condotte da Morin nei primi anni sessanta
possono venir considerate la prima tappa di un iter filosofico che si muove dalla teoria
della società allʼontologia e da questʼultima allʼimpegno etico e pedagogico (che
lʼautore considera campi indiscernibili).
Il pensatore è convinto che, al pari della difficoltà incontrata nel pensare la cultura di
massa, molte aporie cui giunge la ragione siano in realtà il frutto della cecità della
conoscenza
riduzionista
e
calcolante
tipica
dell'Occidente.
Il
procedere
per
disgiunzione, lʼutilizzo di paradigmi convenzionali, ignorando la complessità del reale
conduce ad errore ed illusione.
Complexus significa ciò che è tutto insieme (...). La complessità è perciò il legame tra
8
lʼunità e la molteplicità
in questo senso la complessità è unità multiplex, imparare a pensare il complesso è il
compito dellʼuomo contemporaneo. Tale comprensione è possibile a partire dalla
chiarificazione dei meccanismi che regolano il conoscere: il linguaggio disgiuntivo e la
specializzazione chiusa. in questo senso ogni riduzione non può che giungere ad una
falsa razionalità. Se il complesso è “ciò che è tessuto insieme” allora:
Ogni persona non è che un filo di una tela più ampia, e si deve ben badare che la tela
non si strappi, ma anzi si consolidi, giacché la salute del filo dipende da quella della tela,
9
così come anche la salute della tela dipende da quella dei singoli fili.
8
I sette saperi necessari allʼeducazione del futuro, op. cit., p. 38
Cfr. Il pensiero politico di Antonio Rosmini e altri saggi fra critica ed Evangelo, op. cit., di
Giuseppe Goisis, Docente di Storia della filosofia politica allʼUniversità Caʼ Foscari Venezia, la
cui insistenza sullʼattualità e lʼurgenza di ripensare la figura della persona, così come pensata
da Rosmini, ne mette ben in luce il suo aspetto complesso, intrinsecamente irriducibile ad un
concetto chiuso.
9
6
N. Giusto
A partire da queste premesse, Morin vede una complessa rete di relazioni che lega
lʼindividuo, la specie e la società10, una triade allo stesso tempo una e molteplice,
caratterizzata cioè da quella che egli definisce unidualità. Lʼerrore consiste nel voler
focalizzare lʼattenzione di volta in volta su un singolo elemento, rendendolo ciò che non
è, facendone cioè il filo unico della rete. Eʼ quindi possibile comprendere come educare
al complesso, al di là del suo aspetto pedagogico, rappresenti un impegno etico
originario e, in questi tempi bui, la prima urgenza:
Lʼeducazione deve mostrare questo principio di unità-diversità in tutti i campi. (...)
L'educazione dovrà fare in modo che lʼidea di unità della specie umana non cancelli
lʼidea della sua diversità e che lʼidea della sua diversità non cancelli lʼidea della sua unità.
11
Vi è unʼunità umana. Vi è una diversità umana.
La Riforma del pensiero
Nonostante la chiara presa di coscienza di una sempre maggior frattura tra il sapere
tecno-scientifico, esoterico e iper-specializzato, da un lato, e la vita quotidiana della
massa di persone comuni, dallʼaltro, il pensiero politico di Edgar Morin è peculiarmente
ottimista. Lʼottimismo moriniano nasce paradossalmente proprio dalla nitida messa a
fuoco di tale frattura.
Una frattura inconciliabile tra, da un lato, il sapere calcolante (altrove chiamato
epistemico, della spiegazione causale, dellʼermeneutica archeologia) e, dallʼaltro, un
sapere
poetico
dimenticato:
un
sapere
pratico,
processuale,
aurorale,
della
comprensione, dellʼintenzioni e dei motivi, un senza fondo, incertezza costitutiva per
definizione incolmabile ed insanabile che, proprio per la sua originaria dinamicità, è
contemporaneamente sapere di verità innovatrice e creatrice. In altre parole, secondo il
sociologo francese, la rinuncia alla certezza12, allʼunicità della verità, lʼabdicare della
10
e ancora: il cervello, la mente e la cultura così come la ragione, lʼaffetto e la pulsione.
Ibid., p. 56.
12
Certezza tipica del pensiero antico e, seppur con evidenti differenze tra i due, di quello
moderno.
Dal momento che lʼargomento richiederebbe assai più spazio di quello previsto in questo luogo,
mi limito qui a enumerare tre tra le principali tradizioni del pensiero etico antico giocate sulla
componente fondamentale della certezza: etica della Virtù (Platone, prima, Cristianesimo, poi)
la cui certezza deriva dalla presenza oggettiva di una realtà morale esterna e trasparente alla
conoscenza umana, etica dellʼUtilitarismo (J. Stuart Mill) secondo cui la soddisfazione dei propri
bisogni è riconosciuto il principale criterio per la definizione del risultato morale, infine etica del
11
7
N. Giusto
risposta definitiva non si traduce nellʼimpossibilità dellʼazione quanto in un azione
idiosincratica, responsabile del contesto e relativa alla situazione, perché in continuo
dialogo dialettico con la realtà, infinitamente dinamica, perché originariamente
disponibile al cambiamento, al controllo e al monitoraggio, e aperta, ovvero,
consapevole di essere contemporaneamente, creatrice e distruttrice di senso.
Come questo sia possibile, Morin non lo spiega. Spero sia stata messa adeguatamente
in luce, nel presente testo, come sia possibile leggere questa apparente “mancanza”
come logica risultante di una voluta strategia dellʼautore, il quale sa bene che, ogni
sforzo di chiarire ulteriormente la questione, in modo definitorio e definitivo, ricadrebbe
nel circolo vizioso da egli stesso denunciato. Egli preferisce quindi comprendere il
problema senza mai ridurlo ad unica pura spiegazione, limitandosi ad illuminare uno
scenario originariamente oscuro senza pretendere pregiudizialmente però di riuscire a
illuminarlo completamente. Come ben evidenzia Massimiliano Costa:
La razionalità, non riuscendo ad interpretare la unicità e la specificità che lega il singolo
alla complessità, non è in grado di far emergere dalla società altro che la legittimazione
della sua funzione; tale illusione razionalizzatrice, come la definisce Morin, ha impoverito
la nostra società di quella visione che proietta il singolo in un processo di dialogo a
razionalità multiple in cui le differenze, le discontinuità, la contaminazione, la riflessività
13
qualificano la complessità come opportunità e non come limite.
Detto altrimenti, secondo Morin, la contemporaneità può ancora riporre speranza
nellʼumana ragione se e solo se è in grado di pensarla come un faro che illumina la
notte, il cui fascio di luce è sì di aiuto alle imbarcazioni ma non in grado di rendere la
notte giorno, lʼincertezza evidenza. Forse per questo, egli riconosce esplicitamente il
debito che ogni uomo contrae originariamente con Platone, il primo a rilevare “che ogni
Diyke, la legge saggia, è figlia di Hybris, la dismisura”14. Negli scritti degli anni novanta
vi è un continuo riferimento alla necessità di una Riforma del pensiero15 che passa
attraverso un nuovo tipo di educazione: lʼeducazione alla complessità nellʼera
planetaria, la sola in grado di dare avvio allʼecologia dellʼazione. Unʼazione che però è
dover essere (Kant) la cui certezza sta nellʼauto-evidenza del principio morale come imperativo
categorico e delle forme apriori della conoscenza.
13
Cfr. Complessità e formazione di M. Costa in Filosofia e civiltà della complessità, op. cit., p.
63, corsivo mio.
14
I sette saperi necessari allʼeducazione del futuro, op. cit., p. 62.
15
Cfr. Introduzione al pensiero completo, 1990, e La conoscenza della conoscenza, 1989 in cui
peraltro di afferma “Se non si ha qualche separazione, non si ha più neppure né soggetto né
oggetto di conoscenza, non si ha più né utilità interna nel conoscere né realtà esterna da
conoscere”.
8
N. Giusto
scelta e rischio, frutto deliberato delle ragioni in dialogo con se stesse e coscienza
dellʼincertezza che tutto avvolge:
(...) significa dunque tener conto della complessità che esso (il pensiero) comporta, con i
suoi rischi, i suoi casi, con le sue iniziative, con le sue decisioni, con i suoi imprevisti e
16
richiede inoltre la coscienza delle derive e delle trasformazioni.
Nel tentativo di chiarire ulteriormente la strada per tale riforma del pensiero, Morin
scrive:
L'educazione dovrebbe mostrare e illustrare il destino a molte facce dellʼumano (...).
Dovrebbe sfociare nella presa di conoscenza, dunque di coscienza, della condizione
umana, della condizione comune a tutti gli uomini e dalla ricchissima e necessario
diversità degli individui, dei popoli, delle culture, e infine del nostro radicamento come
17
cittadini della terrà” ,
la prima parte dellʼopera andrebbe in realtà letta nella sua interezza, un continuum che
procede via via dai primi capitoli dedicati alla forma della conoscenza al suo contenuto,
fino a giungere alla riflessione complessiva sulla condizione umana.
Etica della comprensione planetaria ed ecologia dellʼazione
Lʼuomo “(...) sorride, ride, piange, ma sa anche conoscere oggettivamente; è un essere
serio e calcolatore, ma anche ansioso, angosciato, gaudente, ebbro, estatico; è un
essere di violenza e di tenerezza, di amore e di odio”18 il cui compito è imparare a
pensare unʼetica dellʼera planetaria capace di tenere insieme le istanze globali e locali
attraverso un dialogo critico, democratico e intersoggettivo volto a smantellare ogni
pregiudizio a favore di una verità procedurale fedele alla terra che è prima e ultima
patria dellʼuomo. Lʼuomo è chiamato a testimoniare e a prendersi cura della terra e
della società. In altre parole è chiamato a garantire la solidarietà intellettuale e morale
dellʼumanità:
Così, dobbiamo imparare a “esserci” sul pianeta. imparare a esserci significa: imparare a
vivere, a condividere, a comunicare, a essere in comunione: è ciò che si imparava
soltanto nelle e con le culture singolari. Abbiamo ormai bisogno di imparare a essere, a
16
Ibid, p. 89.
Ibid, p. 62.
18
Ibid, p. 60.
17
9
N. Giusto
vivere, a condividere, a comunicare, essere in comunione anche in quanto umani del
19
pianeta terra.
Lʼistanza planetaria e la comprensione umana sono chiamate reciprocamente a
confrontarsi fondando quella che Morin definisce lʼetica della comprensione planetaria.
Si noti che in tal senso la nozione di complessità, come ha chiarito approfonditamente
Giuseppe Goisis, non può che avere un valore paradigmatico piuttosto che
programmatico, “la complessità non è un fondamento, è il principio normativo che non
perde di vista la realtà del tessuto fenomenico (...)”20. Un sapere etico di questo tipo
non può che tradursi immediatamente in azione aperta volta ad affrontare le incertezze
considerandole da una molteplicità irriducibile di punti di vista, agire
(...) significa dunque tener conto della complessità che esso comporta, con i suoi rischi, i
suoi casi, con sue iniziative, con le sue decisioni, con i suoi imprevisti e richiede inoltre la
21
coscienza delle derive e delle trasformazioni ,
“(...) nella consapevolezza della necessaria incompiutezza di ogni autentico processo
dʼindagine e della necessità di una continua procedura di verifica e falsificazione di
ipotesi, asserzioni, punti di vista”22. Come un faro nella notte, lʼuomo illumina singole
porzioni del reale ed è per tanto essenzialmente arrischiante, “la strategia, come la
conoscenza, rimane una navigazione in un oceano di incertezze, attraverso arcipelaghi
di certezze”23. Morin individua a tal proposito quattro tipi di incertezza: lʼimprevedibilità
a lungo termine delle conseguenze delle nostre azioni, il rischio della prevaricazione, la
possibilità dellʼeterogenesi di fini e mezzi, e il rapporto autore-collettività.
Morin è però ben conscio che nessuna tecnica di comunicazione può, in quanto tale,
garantire lʼapporto della comprensione del complesso. Il sistema di educazione
scolastica attuale è incapace di fornire gli strumenti necessari a comprendere la
complessità del presente; la soluzione risiede in unʼ educazione multidisciplinare,
perché solo attraverso una visione che comprenda le varie sfumature del mondo
contemporaneo si potranno abbattere i confini creati dalla scienza e dallʼeconomia, per
poter così giungere ad un umanesimo planetario. I fenomeni disturbanti una corretta
comprensione del reale hanno secondo il filosofo una duplice origine: da un lato, legata
allʼindividuo e al suo rapporto con lʼaltro lontano (rumore, polisemia dei significati,
19
Ibid, p. 77, corsivo mio.
Filosofia e civiltà della complessità, op. cit., p. 76.
21
I sette saperi necessari allʼeducazione del futuro, op. cit., p. 89.
22
Filosofia e civiltà della complessità, op. cit., p. 91.
23
I sette saperi necessari allʼeducazione del futuro, op. cit., p. 94.
20
10
N. Giusto
ignoranza dei riti e dei costumi, dei valori idiosincratici, della visione del mondo, del
framework mentale), dallʼaltro, unʼorigine interna di natura antropologica (lʼindifferenza
per la diversità e la tendenza allʼauto-giustificazione insita nellʼuomo). Pertanto il
raggiungimento della consapevolezza del complesso ha il carattere del dono e della
gratuità, della promessa e del mistero:
Lʼetica della comprensione è unʼarte di vivere che richiede innanzitutto di comprendere in
modo disinteressato. (...) richiede di comprendere lʼincomprensibile. (...) richiede di
24
argomentare, di refutare anziché scomunicare e anatemizzare.
In conclusione,
La comprensione fra società suppone società democratiche aperte, il che significa che il
cammino della comprensione fra culture, popoli e nazioni passa attraverso la
generalizzazione della società democratiche aperte.
Ma non dimentichiamo che anche nelle società democratiche aperte rimane il problema
epistemologico della comprensione: affinché possa esservi comprensione fra strutture di
pensiero, occorre poter acquisire una metastruttura di pensiero che comprenda le cause
25
dellʼincomprensione delle una rispetto alle altre e che possa superarla.
Bibliografia
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- I sette saperi necessari allʼeducazione del futuro, Raffaello Cortina editori, Milano, 2001
Goisis G., Il pensiero politico di Antonio Rosmini e altri saggi fra critica ed Evangelo, Il Segno
dei Gabrielli Editori, Verona, 2009
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Cafoscarina, Venezia, 2006
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relazione, X Corso dei Simposi Rosminiani, Stresa, Colle Rosmini, Agosto 2009
Di Cinto M. e Pastrello M. (a cura di), Filosofia e civiltà della complessità, Il Poligrafo, Padova,
2009
McLuhan M., La galassia Gutenberg. Nascita dellʼuomo tipografico, Armando, Roma, 1998
24
25
Ibid, p. 104.
Ibid, p. 109 e successive, corsivo mio
11
N. Giusto
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- Lʼarchitettura dellʼintelligenza, Testo & Immagine, Roma 2001
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