Il Velodromo “Maspes-Vigorelli”: lo spazio, la storia, la cultura.
1. Introduzione.
L'idea per questo elaborato nasce all'interno di un progetto di tesi collettivo coordinato dalla professoressa Giuliana Nuvoli. Proposta in occasione dell'imminente Expo milanese questa ricerca vuole dare voce a tutti quei luoghi, spazi, edifici e opere d’arte che hanno avuto, e si spera continuino ad avere, un’insostituibile forza culturale per la città di Milano ma che necessitano di una maggiore attenzione da parte delle istituzioni.
Spazi urbani che hanno tracciato nel tempo un percorso fatto di spirito, costumi e civiltà, teatri di storie di uomini e donne che hanno scritto capitoli importantissimi nel libro delle idee e del sapere culturale.
Ma quali sono questi luoghi? Grazie alle ricerche telematiche disponibili oggi è molto facile farsi un'idea della quantità dei beni culturali del nostro territorio più o meno dimenticati dai più. A questo proposito non si può non menzionare il progetto del FAI (Fondo Italiano Per l'Ambiente) il quale ha messo a disposizione un sito web, I Luoghi del Cuore, per dar voce alle segnalazioni dei beni culturali che i cittadini sentono particolarmente cari e importanti e che vorrebbero fossero ricordati e conservati intatti per le generazioni future, perché, proprio come si legge nel comunicato stampa dell’iniziativa, per difendere queste ricchezze, “il nostro cuore non basta: per tutelarli è necessario farli conoscere”.
< http://www.iluoghidelcuore.it/i/Luoghidelcuore_2010.pdf >
E’ proprio questo il motivo per il quale abbiamo deciso di dedicare il nostro elaborato finale a questa causa d’impegno civile e di cittadinanza attiva.
La mia scelta, dopo aver passato in rassegna diversi elementi, è infine approdata in via Arona al numero diciannove in zona corso Sempione, nell’antico "borg di scigolatt", ovvero Borgo degli Ortolani, uno tra i più antichi insediamenti della città, dove dal 1935 s’erge il Velodromo Maspes-Vigorelli, sicuramente l’anello per corse ciclistiche su pista più famoso d’Italia e, forse, del mondo.
In questo elaborato oltre a tracciare le linee fondamentali della storia dell’impianto, dei suoi personaggi, della grande epopea su due ruote lungo le strade dell’Italia del dopoguerra e dell’atmosfera che si respirava durante le competizioni sul parquet di legno della pista, parlerò dei rapporti del ciclismo con la letteratura e, naturalmente, con il giornalismo sportivo, per continuare descrivendo la nuova filosofia ciclica urbana che, sotto l’egida dello sviluppo sostenibile, sta crescendo in tutte le città del mondo con fenomeni quali la Critical Mass e con iniziative collettive come le ciclo-officine pubbliche e tante altre opere d’intraprendenza attinenti alla nuova sensibilità planetaria unita alla Green Economy.
Un capitolo di questo elaborato sarà dedicato al futuro del “Vigorelli” il quale, proprio in questi giorni, è al centro di discussioni che concernano il profilo della “nuova” Milano post-Expo.
Una città questa che da troppo tempo sta aspettando una promozione a cui, forse, è finalmente vicina e di questa evoluzione meneghina il “Vigorelli” è sicuramente uno dei simboli più forti.
Noi ci auguriamo che il celebre velodromo torni a splendere e con lui la fiaba della bicicletta che, in questo mondo sempre più tecnologico e alla ricerca di nuove fonti d’energia, sarà sicuramente protagonista come profetizzava Dino Buzzati con queste parole di rara bellezza alla fine del Giro D’Italia del 1949:
“(…) No, non mollare, bicicletta. (…) Se tu capitolassi, non solo un periodo dello sport, un capitolo del costume umano sarà finito, ma si restringerà ancor più il superstite dominio della illusione dove trovano respiro i cuori semplici. A costo di apparir ridicola, salpa ancora in un fresco mattino di maggio, via per le antiche strade dell‘Italia. Noi viaggeremo per lo più in treno-razzo, allora, la forza atomica ci risparmierà le minime fatiche, saremo potentissimi e civili. Tu non badarci, bicicletta. Vola, tu, con le tue piccole energie, per monti e valli, suda, fatica e soffri. Dalla sperduta baita scenderà ancora il taglialegna a gridarti evviva, i pescatori saliranno dalla spiaggia, i contabili abbandoneranno i libri mastri, il fabbro lascerà spegnere il fuoco per venire a farti festa, i poeti, i sognatori, le creature umili e buone ancora si assieperanno ai bordi delle strade dimenticando per merito tuo miserie e stenti. E le ragazze ti copriran di fiori.
Dino Buzzati “Non tramonterà mai la fiaba della bicicletta” Corriere della Sera, 14-6-1949.
Capitolo primo:
Il velodromo “Maspes-Vigorelli”: Lo spazio.
I grandi edifici destinati alle attività sportive posseggono un’energia tutta particolare. Alcuni di questi possono diventare veri e propri templi che custodiscono per sempre il fuoco della gara, gli echi delle urla della folla, le speranze degli atleti, le gioia del vincitore, la disperazione degli avversari. Gli stadi sono catalizzatori di emozioni e il velodromo “Vigorelli”, uno dei primi stadi del ciclismo al mondo per l’impatto culturale e storico-sportivo di cui è stato protagonista, conserva ancora tra le sue elissi perfette, intatta nel ricordo degli appassionati, dei nostalgici di un’epoca, dei ciclisti di tutto il globo, il ricordo di un’anima, la stessa che fa dire a un vecchio folle, che forse tanto folle non è, che gli stadi hanno una vita propria:
“Un vecchio matto sospettava che gli stadi vivessero. Questo stadio deserto non appariva al mio amico come una conchiglia vuota. Gli suggeriva un’ immagine surrealistica: gli offriva la sensazione che la pista e il prato osservassero le tribune”.
Le gambe e la testa, l’evoluzione del ciclismo dal dominio di Merckx ai record di Moser 1965-1988; M. Fossati, A. Martini, G.P. Ormezzano, S. Picchi; La casa dello Sport, 1988, Firenze, p. 800.
In questa bellissime righe, tratte da un celebre articolo di Mario Fossati, giornalista che più d’ogni altro ha cantato l’epica del “Vigorelli”, si può capire subito quanto la pista sorta in via Arona nel 1935, dove i più grandi atleti del mondo si sfidavano a colpi d’aereo dinamica, sia diventata in breve tempo un monumento allo spirito e alla cultura, non solo, sportiva; riempiendo oltre alle tribune, gli spazi dell’emozione.
1. Lo spazio dell’emozione.
La nozione di spazio applicata al ciclismo si divide in molteplici elementi, arrivando a includere, come un’equazione, il tempo, la distanza, la velocità. La bicicletta si presta, forse più di ogni altro mezzo di locomozione, a speculazioni filosofiche:
“il ciclista fluttua al di sopra della moltitudine, senza disprezzo, ma senza nemmeno curarsi delle desolanti contingenze della terraferma”.
Il bello della bicicletta / Marc Auge. - Torino : Bollati Boringhieri, 2009. - 69 p. ; 18 cm. ((Traduzione di Valentina Parlato.
Scriveva cosi Marc Augè in un libro scritto per delineare i contorni di un’utopia urbana. Lo spazio nell’immaginario ciclistico è infatti legato alla strada, alla velocità, ma è anche simbolo di libertà e di leggerezza, inoltre, come avviene per le gare podistiche, è legato freneticamente al record, al secondo, al millesimo.
Lo spazio all’interno di un velodromo è questo, la ricerca della perfezione tra lo spazio (della pista), il tempo, (della corsa) e la velocità, raggiunta dall’atleta. Tutto lo spazio all’interno dei velodromi è progettato per esaltare l’atto agonistico della corsa, la ricerca del l’equilibrio e delle traiettorie perfette per vincere.
Nella storia del ciclismo la ricerca del record, della pedalata perfetta, dalla perfetta alchimia tra uomo e macchina, è stata ricercata principalmente dagli atleti, e lo è tuttora, nei velodromi. Lungo questi tracciati parabolici, infatti, il ciclismo trova l’occasione di mostrarsi.
All’interno di un velodromo, durante una sfida a cronometro o d’inseguimento, lo spettatore beneficiando di un’architettura che lo pone al centro del evento, può abbracciare in un instante la tensione del gesto sportivo, la stessa che sfugge durante le corse su strada, durante le quali uno spettatore può solo godere di una manciata di secondi prima che la scia delle biciclette si allontani da lui.
Nei velodromi invece lo slancio improvviso del ciclista in fuga, incorniciato e esaltato dalle strutture paraboliche, esalta al massimo la trance agonistica e nel far questo, il velodromo Vigorelli, è stato veramente tra i migliori al mondo. Uno spazio costruito quindi per portare al massimo il gesto sportivo e altresì uno spazio che conserva le tracce di questo spettacolo e le consegna alla cultura e al ricordo.
Lo spazio di uno stadio è quindi soprattutto questo, la sede dove prendono vita le emozioni sportive, il cuore pulsante di vita d’intere generazioni alla ricerca dell’essenza della competizione. Uno stadio si pone nel tessuto urbano con la stessa forza di una cattedrale, al suo interno infatti si celebra un vero e proprio culto, sugli spalti si stringono le mani e si guarda verso il cielo, sulla pista, come sul campo da gioco, si gareggia oltre che con la mente soprattutto con il cuore, in uno stadio si piange, si salta di gioia, ci si stringe, si litiga, in una parola si vive, si vivono sensazioni forti, fortissime.
Ecco perché uno stadio può diventare cosi importante, entrare a far parte delle cultura di una città, diventare un ricordo nostalgico di un’epoca, di valori civici, di avventure, di grandi passioni.
La pista magica, lo stradivari del ciclismo, è sorto nella prima metà del Novecento in uno dei più antichi quartieri di Milano, la cui fondazione risale ai più antichi insediamenti della città. E’ il Borgo degli Ortolani, Borg de Scigolatt in dialetto, la zona racchiusa tra corso Sempione e piazza Firenze, chiamata anche Bullona, dal nome di una vecchia stazione ferroviaria. Durante gli anni più luminosi del velodromo i piccoli bar della zona erano pieni delle fotografie dei campioni, i cancelli del Vigorelli si riempivano, i bambini, come racconta Antonio Maspes, correvano verso il velodromo attirati dal rombo dei motori che “allenavano” le biciclette, correvano verso il velodromo attirati dall’energia dello sport, alla ricerca della gloria che nasce dal gesto atletico vittorioso. Lo spazio del Vigorelli riempiva anche il quartiere che lo ospitava e il cuore dei suoi abitanti.
Fausto Coppi, Milano, Velodromo “Vigorelli", 7 novembre 1942.
Capitolo secondo:
Il velodromo “Maspes-Vigorelli”: La storia.
Nel grande universo del ciclismo una parte importantissima è quella relativa alle corse su pista. La prima competizione ufficiale di ciclismo su pista si svolse nel 1893 a Chicago, in occasione dell’Esposizione Universale. L'ufficialità di questa sfida mondiale fu resa possibile dalla creazione nel 1892 della prima organizzazione mondiale di ciclismo denominata “Associazione Ciclistica Internazionale” (International Cycling Association, ICA).
Piccola Enciclopedia della Bicicletta, C. Dufour, J. Durry. (1997), Flammarion-Paris, tr. it. della I ed. (1997) di S. Teodosio, Rizzoli. Ginevra-Milano, 2002, p. 116. Le corse su pista si corrono nelle strutture sportive dei velodromi
Voce ibrida composta dal lat. velox, veloce e dal gr. dromòs corso, neolog. campo di corse -Vocabolario etimologico della lingua italiana. O. Pianigiani ; con prefazione di F.L. Pulle. - Roma ; Milano : Soc. ed. Dante Alighieri di Albrighi, Segati. (1907). - 2 v., avveniristici anelli parabolici di legno, cemento o terra battuta, vetrine del gesto che non ammettono mediocrità
Piccola Enciclopedia della Bicicletta, S. Teodosio, Rizzoli. Ginevra-Milano, cit; p.116., capaci di portare le due ruote a velocità sorprendenti. Essi nascono in tutta Europa alla fine del XX secolo. Il modello ispiratore dei primi velodromi fu il Wolverhampton
S. Teodosio, op cit; p.116., costruito in Inghilterra nel 1874. Alla sua nascita, il ciclismo è uno sport da arena, la magia delle pista coinvolge tutti e lascia pochissimo spazio non solo a un ciclismo d’altro tipo, ma anche ad altre discipline sportive
Le gambe e la testa, l’evoluzione del ciclismo dal dominio di Merckx ai record di Moser 1965-1988; M. Fossati, A. Martini, G.P. Ormezzano, S. Picchi; La casa dello Sport, 1988, Firenze, p. 800..
Come annota brillantemente Mario Fossati, giornalista, firma storica del ciclismo, la pista dai suoi esordi è stata sempre:
(…) “grandezza e servitù del ciclismo. Il suo universo brillante, le tribune permanenti, l’ellisse, di legno o di cemento: il tocco della campana annunciante l’ultimo giro, il ciclismo tattile, che si può toccare con una mano; le peripezie complete di una corsa dalla partenza all’arrivo, sotto l’occhio delle spettatore; lo snobismo trainante di un certo pubblico ne hanno fatto la fortuna
M. Fossati, op. cit; p. 876”.
2. La nascita del Velodromo Maspes-Vigorelli.
Il velodromo Maspes-Vigorelli, il più famoso circuito ciclistico italiano, nasce nel 1935 in piena epoca fascista. L’atto di nascita dell’impianto, fu decretato dalla demolizione del velodromo Sempione. Questa struttura, che sorgeva in via Giovanni da Procida, diventò presto famosa per le gesta di Ganna, Gerbi, Belloni, Eberardo Pavesi, Girardengo. La leggenda vuole che proprio questo ultimo avesse preferito le gare su pista al Sempione a corse prestigiose come il Giro di Lombardia, questo avrebbe dato sui nervi a Emilio Colombo, patriarca dello sport milanese e già direttore della Gazzetta dello Sport, che avrebbe caldeggiato la dismissione dell’impianto.
Ivi, p. 886
Ritroviamo nelle parole di Andrea Carapezzi, pistard e direttore del velodromo Sempione, la cronaca di quell’evento che causò in seguito la genesi del Vigorelli:
(…) “ Questo capolavoro qui, che è bello come un violino, è nato per caso. Hanno abbattuto il Sempione, distrutto il Sempione.
E sa perché? Perché succedeva che il Girardengo preferisse una mia riunione su pista al Giro Di Lombardia.
(…) A Colombo le debolezze verso la pista di Gira e degli altri davano maledettamente sul nervo. Un bel mattino al Sempione, su ordine telegrafico giunto da Roma, arrivò una squadra di muratori. I muratori salirono una curva e ne tagliarono una fetta. Una infamia! Morì il velodromo Sempione e per anni i pistaioli italiani furono come morti.”
Ibid.
Per Milano si ripresenta l’occasione di costruire un impianto che possa far infiammare di nuovo l’agonismo ciclistico, ai tempi vera punta di diamante degli sport nazionali, basti pensare che la Gazzetta Dello Sport, nata pochi decenni prima, ebbe la sua genesi dall’unione di due fogli sportivi, il settimanale Il Ciclista, di Eliso Rivera, con sede a Milano, ed il bisettimanale La Tripletta, di Eugenio Camillo Costamagna, con sede a Torino.
< http://it.wikipedia.org/wiki/La_Gazzetta_dello_Sport>
3. Grandi architetture grandi trasformazioni
Nel periodo fascista, la corsa verso un’architettura possente e monumentale interessò segnatamente l’edilizia pubblica, riflettendosi anche su quella sportiva e determinando, in questo modo, un cambiamento d’immagine della città di Milano, un vero e proprio mutamento del tessuto urbano.
L'Italia del Giro d'Italia, Daniele Marchesini, Bologna, Il mulino, (1996). p. 26 In questi anni la casistica dell’architettura per lo sport in Italia si arricchisce decisamente e sollecita un’attenta riflessione progettuale e da prova di realizzazioni decisamente innovative, in contemporanea con la progressiva importanza acquisita dalle attività sportive non solo come occasione di spettacolo ed evasione, ma anche di “ortopedia” sociale, di rigenerazione fisica e morale e di costruzione del consenso
Milano durante il fascimo, AA.VV; Cariplo (1994); p. 284.. L'inaugurazione del Velodromo Vigorelli, il 28 ottobre 1935, completa una serie di infrastrutture sportive di cui Milano si era dotata negli anni precedenti e che caratterizzava dal punto di vista sportivo la parte nord-occidentale della città. Nel 1925 era sorto infatti il Tennis Club Milano di via Arimondi, opera dell'architetto Giovanni Muzio.
Nel 1926, a ridosso e a sussidio degli ippodromi, era stato inaugurato lo stadio di S. Siro, opera dell'ingegner Alberto Cugini, dotato di quattro tribune per complessivi 35.000-40.000 spettatori, l’impianto era caratterizzato dal profilo spezzato delle tribune a diversa altezza, prive delle parti di raccordo, a determinare la peculiare forma compatta autonoma e comprensibile ad un’unica occhiata.
Mentre invece nel 1932 fu edificata in breve tempo la piscina coperta “Roberto Cozzi”, più grande della “Hallenschwimmbad” di Berlino e della piscina nell’isola Santa Margherita a Budapest, considerate allora le maggiori in Europa. La piscina fu collocata lungo il nuovo viale Tunisia, in un organismo simmetrico su pianta rettangolare. Nel grande atrio fu affissa, in bronzo, una frase incisiva di D’Annunzio che ricorda agli italiani il dovere di saper nuotare. mentre.
Ibid.
E’ del 1937 invece il grande impianto ricreativo del Lido, costruito evocando gli accenti delle stazioni balneari di moda all’inizio del secolo.
L’architettura monumentale abbraccia completamente l’attività sportiva e ricreativa, creando un nuovo motivo di identità sociale.
<http://www.vigorelli.org/storia/stcenni.html>
4. Le prime gare in Lombardia.
La prima notizia riguardo l’organizzazione di una gara di velocipedi in Italia è apparsa sul giornale milanese La Lombardia, il quale, in occasione del “Carnevalone” che doveva aver luogo il dieci febbraio, inserì nel programma- manifesto dei festeggiamenti anche una corsa di velocipedi a due ruote. I premi per i vincitori erano bandiere d’onore e bottiglie di vino
Inizio e sviluppo del ciclismo in Italia : fondazione, attivita, splendori, decadenza, ripresa gloriosa della Unione velocipedistica italiana , Angelo Gardellin, a cura dell'A. stampa (1945), p. 40.. La corsa però non fu effettuata a causa di contrasti nati tra atleti e organizzatori. Bisognerà aspettare il 1871, precisamente l’8 gennaio, perché a Milano si corra la prima competizione ciclistica, che verrà effettuata lungo un tracciato di 11 km, il Giro dei Bastioni Spagnoli. Nello stesso anno 1871, venne organizzata una corsa di velocità vinta da Johnson Federico alla quale presero parte dieci corridori. Essa si svolse il 18 dicembre sul percorso di 3500 metri, da Porta Venezia a Porta Tenaglia. Ma la prima lunga corsa che partì dalla capitale lombarda fu la Milano-Piacenza del 1895, sessantacinque estenuanti chilometri.
Ibid.
La febbre del pedale, già da decenni di moda presso gli snob aristocratici, crebbe rapidamente lungo i primi decenni del Novecento arrivando a contagiare tutti i milanesi. Il tempo in cui il comune aveva tentato di imporre ai velocipedi un divieto di circolazione entro la cerchia dei Navigli con un “Bando” a causa della loro presunta pericolosità, è ormai lontanissimo.
Ibid.
5. Le olimpiadi di Roma, il trasloco di un Velodromo.
Nel 1932 a Roma si svolsero I mondiali di ciclismo su strada, per l’evento fu commissionata all'architetto ungherese, con titolo di studio tedesco, Clemens Schuermann, capostipite di una dinastia di progettisti specializzata in velodromi tuttora in attività, la progettazione di una nuova pista, costruita dalla carpenteria Bonfiglio di Milano, il lavoro fu commissionato a nome dall’Unione Velocipedistica Italiana che spese per la costruzione quattrocentomila lire
<http://www.federciclismo.it/terzapagina/storiafederale.
Il circuito venne poi installato nello stadio del Partito Nazionale Fascista (oggi stadio Flaminio). La pista fu poi smontata e spedita a Milano, dove fu ricomposta all’interno della struttura di via Arona proprio dalla Carpenteria Bonfiglio, secondo le direttive e sotto la supervisione del primo progettista coadiuvato dagli ingegneri Ugo Fini e Giuseppe Baselli, la costruzione fu finanziata dalla gazzetta dello sport. Importante fautore politico di questa iniziativa fu Giuseppe Vigorelli, a cui poi fu intitolato l’impianto sportivo, industriale, assessore sotto la giunta Mangiagalli e in gioventù corridore su pista. Finalmente Milano ha di nuovo il suo velodromo.
Durante l’allestimento all’interno della struttura di via Arona ci si accorse che la pista era leggermente troppo grande e per alloggiarla fu necessario svuotare di alcuni metri cubi di terra l'incavo dello stadio, posizionandola quindi sotto il livello del suolo. Essa ha uno sviluppo di 397,27 metri ed è larga 7,50 metri, con una pendenza che passa dai 6,57 gradi nei tratti rettilinei a un massimo di 42,5 gradi nelle curve. La pista originaria, restaurata e ricostruita più volte, era rivestita da 72 chilometri di listelli di pino di Siberia dapprima induriti e impermeabilizzati e poi perfettamente connessi senza lasciare alcun margine alle infiltrazioni, in modo da costituire un manto uniforme, levigato e scorrevole che opponesse pochissima resistenza al rotolamento delle ruote e ai giochi di equilibrio che caratterizzavano le competizioni.
Il velodromo nasceva fin dall’inizio seguendo le direttive più avanzate del settore, facendo tesoro di dati e informazioni su analoghe realizzazioni europee e americane e predisponendo un tracciato attorno al quale si svolgeva l’anulare allungato di tribune interamente coperte (ivi compresa la pista) destinate a un pubblico di 18.000 persone. La perfezione nel disegno dell'ellisse, il calcolo attento dell'inclinazione delle curve, l’attenta geometria di pendenze, di raggi di curvatura, di angoli visivi, di corde e diametri, di raccordi tra tratti inflessi e rettilinei dell'impianto ne fecero un capolavoro di tecnica, il cui prestigio risiedeva nella scorrevolezza e velocità, i listelli componevano un magnifico nastro montante a diverse altezze che non opponeva alcun attrito al rapido turbinare delle ruote e ai giochi di equilibrio richiesti dalla competizione, e nell'alta qualità percettiva che offriva dagli spalti durante le competizioni sportive che ospitava. All'interno della pista ciclistica correva un percorso concentrico con fondo in scorie di carbone adatto a gare podistiche e motociclistiche su terreno difficile (dirt track), mentre il prato interno poteva ospitare incontri di boxe e concorsi ippici.
<http://www.vigorelli.org/storia/architettura-starch.html>
Da semplice impianto sportivo in breve il Vigorelli diventa un luogo mitico, vero e proprio tempio del ciclismo internazionale. I paragoni si sprecano: la "Scala" del ciclismo, lo “Stradivari” delle piste. Le fotografie dei campioni affollano le pareti dei piccoli bar della Bullona e del Sempione, il vecchio "borg di scigolatt", borgo degli ortolani, dove sorge il velodoromo.
AA.VV; Cariplo, Milano (1994); op cit, p.287. L'aura di leggenda che lo circonda sovrasta quasi quella degli stessi atleti che si sfidano sul parquet della pista. Dall'officina di Faliero Masi, che ha per tetto una gradinata del Velodromo, escono le biciclette dei maggiori campioni della strada e della pista. Al Vigorelli corrono i campioni e i ragazzini che imparano ad andare in bicicletta e i milanesi riservano lo stesso entusiasmo agli uni e agli altri, affollando lo stadio anche per le competizioni minori.
Mario Fossati, op. cit., p.888.
6. La pista bombardata e ricostruita.
Durante la seconda guerra mondiale Milano fu colpita da sessanta attacchi aerei che causarono tra i 1200 e i 2000 morti. Approssimativamente, la città perse un terzo delle proprie costruzioni, distrutte direttamente dalle incursioni, dagli incendi da queste causati o per le demolizioni successive resesi necessarie o giudicate più economiche dei restauri. Dall'immensa mole di macerie sgomberate dal suolo cittadino sorse la Montagnetta di San Siro al QT8. Il velodromo meneghino venne colpito dalla pioggia di bombe incendiarie lanciata su Milano durante una notte dell’estate del 1944. Ripropongo qui il racconto che fece il primo custode, Battista, a Mario Fossati durante un’intervista:
"Guardi, un baccano da fare saltare le orecchie. Io capisco al volo e porto via i miei dal tunnel in camicia da notte. Mia madre, poveretta si sveglia e crede di sentir suonare le trombe del giudizio. Mi sono voltato un istante: c' erano gocce di fuoco dappertutto, la pista era un anello di fuoco. Illuminava l' erba del prato, che sembrava entrata nelle sue radici. Un inferno". L’indomani il Vigorelli pareva lo scheletro di un enorme mammuth. La guerra, la Liberazione, finalmente.”
Mario Fossati, op. cit, p. 888.
La ricostruzione del Maspes-Vigorelli nacque da una telefonata, a farla fu Luigi Grassi e il telefono squillò a un suo vecchio compagno di scuola, Vittorio Stumolo, economista e amante dello sport. Strumolo accetta di dare una mano. Il telefono squilla di nuovo: questa volta è Strumulo che chiama, dall’altra parte del cavo il commendatore Zafferri. L’affare è fatto. Tanti sacchi di cemento, tanto legname: non è più abete di Siberia ma abete delle Alpi, le cui essenze sono identiche. Nasce di nuovo il Vigorelli.
Ibidem.
Storico manifesto del 1935 di Gino Boccasile
7. Pedalare sulla pista magica
"Se non hai classe, al Vigorelli pedali nel vuoto: se non conosci l'arte dell'allenamento, ti imballi. Per corrervi al meglio devi fare potenza sulla strada o a mezzo della ginnastica oppure della pesistica. Poi torni al Vigorelli e ti ritrovi leggero ed asciutto".
Mario Fossati, op. cit; p. 880
Sono parole di Primo Bergomi, primatista mondiale e campione d'Italia della velocità. Già nell'anno inaugurale, il 1935, il Velodromo vede il record dell'ora di Giuseppe Olmo, che il 31 ottobre percorse 45,090 km. Da allora saranno più centocinquanta le migliori prestazioni mondiali ottenute da corridori singoli o quartetti di diverse categorie e nazionalità sulle varie distanze.
8. Il record dell’ora di Coppi e l’arte della pista.
Nel 1942 il Vigorelli serve da centro di smistamento per l'esercito e il campionissimo Fausto Coppi ci si allena quando la pista è libera per tentare il record dell'ora con cui spera di evitare di partire per il fronte. E quel record (45,871 km), stabilito il 7 novembre nel Velodromo danneggiato dai bombardamenti del giorno prima da un Coppi poco allenato, in maglia di lana e casco di cuoio e feltro su una bicicletta da americanista con i cerchi piuttosto sbilenchi e i tubolari di larga sezione, verrà ricordato per anni come una vera e propria prodezza.
<http://www.vigorelli.org/storia/stcamp.html>
Fausto Coppi impegnato nel record dell'ora 45,871 km - Vigorelli, 7 novembre 1942.
E’ al Vigorelli di Milano che ha inizio la leggenda di quell’uomo che in sella alla sua bici “sbriciolava gli avversari”, anima “cosi forte e cosi fragile”, per usare le parole di Indro Montanelli che sul Corriere della Sera del 1960, scrive in onore dell’ultima, estrema tappa, del campionissimo che ha tanto incantato l’Italia del dopoguerra, e a cui sono state dedicate alcune delle più belle pagine del giornalismo sportivo, vero eroe di quella moderna epica che è lo sport.
In morte di una leggenda; I. Montanelli, “Corriere della Sera”, (3-1-1960).
I record, come le gesta dei grandi eroi della letteratura classica, offrono uno spettacolo affascinante, una esplorazione totale dei limiti psicologici e atletici dell’uomo. Ed è proprio nel cuore del Vigorelli, su questo ellisse perfetto calato tra alte, vocianti tribune, che l’epopea dei record trova la sua sposa perfetta: la pista.
Lo scintillio dei riflettori, il rumore sordo dei tubolari sulle tessere di legno, il carosello vorticoso dei pistard fasciati da sfavillanti maglie di seta, il suono della campana che annuncia l'ultimo giro, un’invenzione pare di Tristan Bernard
Mario Fossati, op cit; p. 876 , un pubblico dal palato raffinato in grado di intuire e apprezzare l'impasto di forza atletica, senso tattico e astuzia che costruisce il risultato, un mondo un po’ clownesco e al contempo bohèmien, fatto di spettacolo, emozioni e mondanità oltre che dal talento. E' un ciclismo speciale, in cui la bicicletta diventa attrezzo ginnico, la velocità sublima nel surplace per poi esplodere nella sua forma più pura, quasi astratta, nel brevissimo spazio degli undici-dodici secondi che servono a coprire gli ultimi duecento metri. Gli atleti devono possedere acume tattico, intelligenza, riflessi pronti e coraggio. A seconda della tattica scelta dal corridore, la gara assume, pur nei tempi brevissimi, caratteristiche sempre diverse. La sorpresa è quasi sempre l'arma vincente, per cui la regola d'oro è una, a suggerirla è lo sprinter milanese Antonio Maspes: "parti il più tardi possibile, ma sempre un attimo prima del tuo
avversario".
Ibidem.
9. Antonio Maspes
Tra i tanti atleti che hanno volato sull’ellissi di legno riporterò in questo elaborato la storia di Antonio Maspes che, con i suoi sette titoli mondiali della velocità è sicuramente uno dei più grandi sprinter di tutti i tempi, e il protagonista di una storia tutta milanese. Al Vigorelli, due passi dietro la residenza milanese dei Maspes, Antonio capitò per la prima volta a quattordici anni, ma non per assistere alle imprese dei “pistard”, bensì da appassionato di motociclette attirato dal rombo di motori che provenivano dal velodromo, dove si correva una gara di stayer. Le motociclette allenatrici lo affascinavano.
<http://www.vigorelli.org/storia/stcamp.html> La pista lo convertì ben presto. Era il 1947 quando truccò con della scolorina il certificato di nascita per partecipare e vincere un campionato minore, nello stesso anno conquista il titolo italiano allievi, nel 1951 è escluso per ragioni di squadra dai campionati mondiali della pista che si tengono al Vigorelli, commissario tecnico della nazionale a quel tempo era Guido Costa e fu sua la decisione di “alleggerire” la competizione di una presenza dal peso specifico altissimo, per non scoraggiare gli altri atleti azzurri. L’esclusione fu una grande ferita per Maspes. Nel 1952 è secondo alle Olimpiadi di Helsinki nella velocità. Nel 1955, a 23 anni, conquista sulla "sua" pista il primo titolo mondiale della velocità, battendo lo svizzero Plattner, partendo con un volo stupendo, e dando l'avvio a una luminosa carriera. Si ripeterà l'anno dopo e poi dal '59 al '62 (ancora al Vigorelli) e nel 1964. E' undici volte campione italiano, conquista un primato mondiale sui 200 metri e cinque vittorie consecutive al Gran Premio di Parigi. E' esplosivo nello scatto, formidabile nella rimonta, geniale nella tattica e abilissimo nel surplace, la raffinata e ormai dimenticata arte di stare in bilico sui pedali a bicicletta ferma, per costringere l'altro a passare in testa a condurre la volata. Maspes aveva capito che la linea più breve che conduce al traguardo non è sempre una retta. Insieme al campione milanese in quegli anni gli altri pistard italiani, Beghetto, Bianchetto, Gasparella, Ogna, Pettenella, Sacchi, Gaiardoni, Lombardi, mietono allori al Vigorelli e in tutti i velodromi del mondo sotto la guida del sopracitato Guido Costa, maestro della pista italiana.
Antonio Maspes chiuse infine la carriera da professionista nel 1968, dopo aver ottenuto, all'età di 35 anni, ancora un quarto posto ai campionati mondiali. Diventò commissario tecnico della nazionale di pista e da c.t. vinse il mondiale dell’inseguimento, in seguito fu nominato responsabile tecnico del Vigorelli.
Antonio Maspes fu il simbolo di un'epoca, quella di un'Italia abbastanza lontana dalla guerra per iniziare a scordarla ma ancora troppo vicina per dimenticarla del tutto. L'Italia in fuga, per strade ancora mezze sterrate, in una corsa che avrà per traguardo il boom economico e Milano a tirar la volata. La Milano di Giovanni Testori e del suo Dante Pessina, Il dio di Roserio 1951, giovane ciclista di periferia diventato campione con la forza delle gambe e la convinzione che l'importante è vincere a qualsiasi costo.
L. Mascheroni, “Papà Antonio Maspes”; In Il Giornale, 08-10-2006, Milano.
La pista milanese, che l’amministrazione comunale si è proposta di riportare agli onori di un tempo, gli è stata intitolata alla sua scomparsa. La sua prima bicicletta “Dei” del 1947, quella con cui vinse per due anni consecutivi il campionato italiano di velocità allievi, riposa ora al Museo del ciclismo “Gino Bartali” di Firenze. Il grande campione milanese ora riposa nel Famedio del Cimitero monumentale di Milano, accanto a Delio Tessa, poeta.
Ibidem.
10. Il declino del Vigorelli.
Il Velodromo continua la sua attività sino al 1975, quando viene chiuso alle competizioni di pista e per poco non diventa un cinodromo, fino a rinascere nel 1984.
Sotto la nevicata del gennaio 1985, una nevicata monstre, per dirla con la felice espressione di Mario Fossati, la tettoia che ricopre le tribune crolla sul parquet della pista, causando ingenti danni, è un colpo terribile, un tuono, come se tutte le saracinesche di Milano fossero calate nello stesso istante
<http://milano.repubblica.it/dettaglio/addio-al-vigorelli-lo-stadio-con-lanima>. E' l'inizio del declino dell'impianto. La pista viene ricostruita ma non la tettoia. Dopo tre anni di attività ridotta il velodromo viene definitivamente chiuso all'attività ciclistica nel gennaio del 1988. In seguito verrà ricostruita la tettoia e il 10 luglio del 1991 verrà installato e collaudato un nuovo impianto di illuminazione, ma l'impianto continuerà a rimanere chiuso. Parole, idee e promesse si susseguono nel corso degli anni, ma di volta in volta la mancanza di fondi o la priorità assegnata dall'amministrazione comunale ad altri progetti distolgono l'attenzione dalle sorti del Vigorelli e per anni il velodromo rimane
abbandonato. Dopo una ristrutturazione condotta grazie soprattutto all'impegno del gruppo Mapei, l'azienda chimica milanese che sponsorizzava una delle più forti squadre ciclistiche del mondo, il Vigorelli riapre finalmente il 10 dicembre 1997, per ospitare un evento singolare quale una prova di Coppa del Mondo di sci di fondo, nello speciale percorso di neve artificiale creato in mezzo alla pista. Il prato centrale del Velodromo era stato nel frattempo ricoperto con erba sintetica per poter ospitare incontri di football americano, calcetto e hockey. Il restauro aveva interessato anche l'ellisse in legno della pista, ma per assistere a una riunione di ciclismo su pista al Vigorelli bisognerà attendere il 20 settembre 1998, in concomitanza con l'Esposizione del Ciclo. Il programma prevede alcuni pistard (Collinelli, Martinello, Villa) accanto a stradisti di nome (Baffi, Ballerini, Museeuw, Pantani, Tafi, Tonkov) che si affrontano in corse a eliminazione. Ma rimarrà purtroppo solo un episodio. Da allora infatti le strade del grande ciclismo e del Vigorelli non si incontreranno più.
11. Il futuro del Vigorelli.
Da anni gli appassionati di ciclismo, assieme a tutte quelle persone che riconoscono la grande importanza dello stadio con l’anima, attendono che da Palazzo Marino arrivi la notizia della riapertura e del restauro della pista, ma questa buona novella si fa attendere, diventando con il tempo sempre più flebile, più speranza vagheggiata che realtà. Sul tavolo degli assessori allo sport di Milano le proposte si sono susseguite di anno in anno senza mai arrivare a progetto concreto, e mentre vado scrivendo questo elaborato le ultime notizie che arrivano, da una giunta comunale impegnata a costruire la Milano dell’Expo, non sono certo positive per il mondo della pista, del ciclismo e della cultura sportiva.
A.Gallione, Il Vigorelli senza pista diventerà la seconda arena; in “La Repubblica”, Milano, (19-4-2012). Rileggendo la storia recente del Vigorelli salta subito all’occhio la vocazione storica della struttura a ospitare competizioni d’altri sport e eventi non sportivi. Vorrei ricordare a questo proposito l’esibizione dei gruppi musicali dei Beatles nel 1965 e dei Led Zeppelin nel 1971. La struttura di via Arona è stata altresì designata all'inizio del mese di Luglio 2008 come sede provvisoria di una moschea che dovrebbe sostituire quella di viale Jenner, terminato l'utilizzo a fine 2008, proposta che non vide mai la messa in pratica.
<http://it.wikipedia.org/wiki/Velodromo_Maspes-Vigorelli>
Come accennavo poco sopra le ultime notizie che arrivano da Palazzo Marino non sono per nulla confortanti. In un articolo apparso infatti su Repubblica
A.Gallione; op. cit. si legge che i fondi per un restauro della pista sono stati calcolati come troppo ingenti e, perciò, è auspicabile il suo smantellamento, al fine di trasformare il velodromo in una seconda arena civica aperta a diversi sport. La notizia piomba come un colpo di pistola su tutti gli appassionati che da diversi anni chiedono insistentemente al comune di prendere una decisione. La notizia, correndo velocemente sulla rete, ha destato un ragionevole malcontento come si può leggere in diversi blog
<http://www.fixedforum.it/forum/topic/24282-19-aprile-2012.> dedicati all’argomento.
Naturalmente non è detta l’ultima speranza per questo stadio tanto amato che tante volte ha dato prova di saper risorgere dalle sue ceneri. Infine vorrei concludere con una domanda, certamente retorica, che si pose Mario Fossati scrivendo un articolo per Repubblica:
“Ma si può amare uno stadio? Accade. Lo stadio più amato dai milanesi è il velodromo Vigorelli. Tre volte il Vigorelli è rinato dalle macerie e dall' incuria degli uomini. Hanno cercato anche di distruggerlo. Sempre, però, qualcosa ha sconfitto i detrattori e qualcuno ha fatto ricredere i tiepidi.”
M. Fossati, Addio al Vigorelli lo stadio con l’anima; in “La Repubblica”, (14-01-2009) <http://milano.repubblica.it/dettaglio/Addio-al-Vigorelli-lo-stadio-con-lanima>
Speriamo che anche questa volta vada cosi.
Manifestazione davanti al velodromo, Milano, 20 novembre 2011.
Capitolo terzo:
Il velodromo “Maspes-Vigorelli”: la cultura.
1. Il ciclismo nella letteratura e nel giornalismo sportivo.
Fin dalla sua nascita la bicicletta ha ispirato la penna di poeti, prosatori e artisti. Si è sempre prestata, per le sue caratteristiche intrinseche, a divenire simbolo di ideali e di rivoluzioni del pensiero, stendardo di classi sociali, anima di alcuni periodi storici. Gli esempi sono tanti e diversi, e descrivono una galassia coloratissima, basti pensare, a quante bellissime pagine sono state ispirate dall’avventura del giro d’Italia:
“Quando ero piccolo, gli exploit di Gerbi, di Petit-Breton, di Ganna non mi lasciavano dormire: quegli eroi del ciclismo erano i miei Achille, i miei Ettore, i miei Aiace. La prima epopea della bicicletta fu la mia Iliade”.
Curzio Malaparte “Coppi e Bartali” Traduzione di Marco Bevilacqua Biblioteca minima 2009, pp.56
Così Curzio Malaparte nel suo scritto “Coppi e Bartali” del 1949 ricorda l’entusiasmo col quale da ragazzo seguiva le imprese dei pionieri del ciclismo d’inizio secolo. Il riferimento agli eroi classici sarà sempre una costante dei racconti delle cronache ciclistiche. Le imprese dei campioni delle due ruote, eroi di una popolarissima mitologia contemporanea, ben si prestavano alla produzione di prose appassionate e di grande potere evocativo da parte dei tanti scrittori che seguirono la corsa rosa fin dalla sua prima edizione nel 1909. Moderni cantori capaci di evocare al meglio i grandi duelli, le audaci imprese, le folgoranti vittorie e le drammatiche sconfitte dei protagonisti del Giro d’Italia in una sorta di popolarissima chanson de gestes novecentesca, alla quale diedero voce le migliori penne della nostra letteratura.
“Il portiere caduto alla difesa : il calcio e il ciclismo nella letteratura italiana del Novecento” introduzione di Folco Portinari. - San Cesario di Lecce : Manni, [2005]. - 135 p. ; 21 cm.
Dai brani del primo Novecento dedicati al piacere dell’andare in bicicletta, Alfredo Oriani, Alfredo Panzini, e i poeti futuristi, per arrivare al resoconto vero e proprio delle gesta dei pionieri, Ganna, Girardengo, Binda, Guerra, e giungere al fecondissimo periodo del secondo dopoguerra, quando scrittori del calibro di Dino Buzzati, Vasco Pratolini, Alfonso Gatto, Marcello Venturi e Anna Maria Ortese, inviati al Giro dalle principali testate giornalistiche nazionali, raccontavano non solo le imprese di Coppi e Bartali, ma soprattutto dal Giro traevano spunto per raccontare l’Italia che si risollevava a fatica dalle tragedie della guerra e ritrovava, nel passaggio della carovana rosa, un’ identità capace di collegare le Dolomiti alla Sicilia in un sentire, in una grande stretta nazionale, comune e condivisa.
E’ il periodo d’oro del neorealismo, e così la folla, la massa dei tifosi e degli appassionati, diventa la grande protagonista delle cronache:
“L’Italia davanti a noi era un muro sottile e variamente colorato che saliva come un serpe per quei monti verdi, fino a quel cielo, e si perdeva nei boschi dove i boschi cominciavano, e riappariva lungo il mare dove le spiagge balenavano”
“L'archivio di Anna Maria Ortese”, inventario a cura di Rossana Spadaccini, Linda Iacuzio e Claudia Marilyn Cuminale. Napoli: Archivio di Stato di Napoli -Associazione Culturale Sebezia, 2006
scrive Anna Maria Ortese nel 1955, ed è invece la gente della provincia italiana quella descritta da Alfonso Gatto nel 1947:
“con gli operai in maniche di camicia e col berretto di carta in testa appesi alle impalcature, con le scolaresche bianche e celesti allineate davanti alle scuole di campagna, con i preti giovani affacciati ai seminari, con le mamme ridenti alle fontane degli ultimi paesi di montagna
Viaggio per l'Italia all'insegna de "l'Unità", reportage per tappe apparso dal 9 agosto al 22 settembre del 1949 e promosso dall'associazione Amici de "l'Unità".”.
E i ciclisti? Anche per quelli non è tanto l’impresa sportiva che emerge, ma il tratto umano, l’animo, il carattere; e più dei campioni ad essere celebrati sono i gregari, i portatori d’acqua, oppure gli sconfitti perché, come scrive Vasco Pratolini nelle sue cronache al Giro del 1955:
“spesso è molto più bello, nello sport, come nella vita, non essere amico del vincitore”.
Al Giro d'Italia. Vasco Pratolini al 38º Giro d'Italia (14 maggio-5 giugno 1955)
Ricchissima e di alto livello fu anche la produzione narrativa legata al ciclismo, spesso sospesa tra resoconto sportivo, neo realismo e cronaca, ne è un esempio tra più alti il celebre racconto “Il Dio del Roserio”, di Giovanni Testori, cantore della periferia milanese degli anni 50, delle passioni degli ultimi, della volontà di sopravvivere che porta con se esiti tragici. Ne “Il Dio di Roserio,” Testori evoca il legame tra i quartieri all’estremo della città e i suoi abitanti esclusi dal boom economico, con l’epopea del ciclismo. Un legame tragico, che evoca la crudele corsa della vita, del successo a ogni costo, di quella competizione all'ultimo sangue che travalica assolutamente anche l'agonismo più acceso ma che è un reale specchio di quella competizione sociale, di quella sfrenata voglia di boom che proprio in quegli anni mutò radicalmente il volto di un'Italia ancora contadina e popolare.
Giorgio Taffon, Dedicato a Testori. Lo scrivano fra arte e vita, Bulzoni, Roma 2011.
La tecnologia, ha purtroppo determinato la fine delle grandi narrazioni, di quella vera e propria epica del ciclismo legata al giro e alle vicende umane. Oramai le corse sono seguite in elicottero, riprese e fotografate in tutte le maniere, lo spazio dedicato all’ immaginazione ne viene necessariamente danneggiato; L’epoca dei grandi suiver che con le loro parole restituivano le emozioni della fatica dei giganti della strada, probabilmente è finito, ma la loro eredità non è andata perduta, e nell’ultimo decennio sembra essere rinata, ciclismo, letteratura, cultura, costume e ideologie politiche e sociali si stringono forte nel segno delle due ruote più silenziose al mondo, e l’armonia poetica che lega la bicicletta alle vicende umane continua.
2. Il record dell’ora di Coppi e l’arte della pista.
Si sa, le pagine più belle sono sempre state dedicate alle corse su strada, il ciclismo su pista è sempre stato visto come il fratello minore del grande sport, le avventure e la cultura della pista sono state raccontate raramente con quella emozione che contraddistingueva i resoconti dei vari giri e tours. Per qualcuno i velodromi e le manifestazioni legate alla pista come le Seigiorni sono sempre state la "corrida del pedale", ciclismo minore, di cui i protagonisti erano di volta in volta definiti simpatici folli, filibustieri del parquet, pazzi volanti. Niente a che vedere con l'epica che si consumava sulle strade del Giro e del Tour, con i Campionati del Mondo o le Olimpiadi, a cui spettano le prime pagine.
Le gambe e la testa, l’evoluzione del ciclismo dal dominio di Merckx ai record di Moser 1965-1988; M. Fossati, A. Martini, G.P. Ormezzano, S. Picchi; La casa dello Sport, 1988, Firenze, p. 800.Ho deciso di ricordare in questo capitolo l’impresa compiuta dal più celebre ciclista italiano di tutti i tempi che, giovanissimo in sella alla sua bici, conquistò nella struttura di via Arona il record del mondo. Nel 1942 il Vigorelli serve da centro di smistamento per l'esercito e il campionissimo Fausto Coppi ci si allena quando la pista è libera per tentare il record dell'ora con cui spera di evitare di partire per il fronte. E quel record (45,871 km), stabilito il 7 novembre nel Velodromo danneggiato dai bombardamenti del giorno prima da un Coppi poco allenato, in maglia di lana e casco di cuoio e feltro su una bicicletta da americanista con i cerchi piuttosto sbilenchi e i tubolari di larga sezione, verrà ricordato per anni come una vera e propria prodezza.
<http://www.vigorelli.org/storia/stcamp.html>
E’ al Vigorelli di Milano che ha inizio la leggenda di quell’uomo che in sella alla sua bici “sbriciolava gli avversari”, anima “cosi forte e cosi fragile”, per usare le parole di Indro Montanelli che sul Corriere della Sera del 1960, scrive in onore dell’ultima, estrema tappa, del campionissimo che ha tanto incantato l’Italia del dopoguerra, e a cui sono state dedicate alcune delle più belle pagine del giornalismo sportivo, vero eroe di quella moderna epica che è lo sport.
In morte di una leggenda; I. Montanelli, “Corriere della Sera”, (3-1-1960).
I record, come le gesta dei grandi eroi della letteratura classica, offrono uno spettacolo affascinante, una esplorazione totale dei limiti psicologici e atletici dell’uomo. Ed è proprio nel cuore del Vigorelli, su questo ellisse perfetto calato tra alte, vocianti tribune, che l’epopea dei record trova la sua sposa perfetta: la pista.
Lo scintillio dei riflettori, il rumore sordo dei tubolari sulle tessere di legno, il carosello vorticoso dei pistard fasciati da sfavillanti maglie di seta, il suono della campana che annuncia l'ultimo giro, un’invenzione pare di Tristan Bernard
Mario Fossati, op cit; p. 876 , un pubblico dal palato raffinato in grado di intuire e apprezzare l'impasto di forza atletica, senso tattico e astuzia che costruisce il risultato, un mondo un po’ clownesco e al contempo bohèmien, fatto di spettacolo, emozioni e mondanità oltre che dal talento. E' un ciclismo speciale, in cui la bicicletta diventa attrezzo ginnico, la velocità sublima nel surplace per poi esplodere nella sua forma più pura, quasi astratta, nel brevissimo spazio degli undici-dodici secondi che servono a coprire gli ultimi duecento metri. Gli atleti devono possedere acume tattico, intelligenza, riflessi pronti e coraggio. A seconda della tattica scelta dal corridore, la gara assume, pur nei tempi brevissimi, caratteristiche sempre diverse. La sorpresa è quasi sempre l'arma vincente, per cui la regola d'oro è una, a suggerirla è lo sprinter milanese Antonio Maspes: "parti il più tardi possibile, ma sempre un attimo prima del tuo avversario".
Ibidem.
3 Noi siamo il traffico: La nuova cultura del ciclismo urbano.
L’idea tutta contemporanea di una grande rivoluzione ambientalista ha, com’è noto, tra i suoi protagonisti anche la bicicletta. Sostenibilità, riforme verdi, protezione delle tradizioni culturali, mobilità dolce, sono tutte parole che nell’ultimo decennio si sono imposte con forza nell’immaginario e nel sentire comune. Il velocipede, e in particolar modo la bicicletta da pista, con la sua linea snella e nervosa, che è diventata in breve simbolo del mezzo di trasporto moderno che elimina tutto ciò che è superfluo e trattiene solo ciò che è fondamentale per il movimento, ha in tutto questo un ruolo da protagonista e sta vivendo, proprio in questi anni, una grande rinascita, ponendosi al centro di una rivoluzione culturale e sociale, che ha la sue origini nelle grandi città, e nasce legata strettamente alla vita e alla cultura urbana. Di questa rivoluzione ciclistica la pista è diventata simbolo e motore, inaspettatamente le nuove generazioni di amanti della bicicletta hanno riabilitato la cultura, lo sport e l’emozione della pista. Il tutto è avvenuto nel giro di un ventennio, quando la spinta al cambiamento in senso ambientalista di un numeroso gruppo di persone ha dato il via al fenomeno della critical mass. La massa critica è un fenomeno di difficile definizione, trattandosi di un evento spontaneo privo di struttura organizzativa formalizzata. Il fenomeno si è sviluppato, a partire da San Francisco dove nel 1992 si svolse la prima critical mass, e da li si è diffuso in tutti i continenti. Il raduno critico consiste in appuntamenti convenzionali ("coincidenze organizzate") di ciclisti che attraversano insieme tratti di percorso urbano in sella ai loro mezzi. La prima critical mass si svolse a San Francisco, con 48 ciclisti; iniziò alle 6 del pomeriggio, il 25 settembre del 1992, anche se l'evento incominciò ad essere chiamato critical mass solo dal secondo incontro, venerdì 30 ottobre (con 85 ciclisti). Il suo nome incominciò ad essere utilizzato per simili ma indipendenti eventi, che iniziarono a crearsi nel mondo intero più o meno nello stesso periodo. Il termine massa critica è anche utilizzato da sociologi, che sostengono che una rivoluzione sociale sia possibile solo dopo che una quantità "critica" di supporto popolare sia assicurato.
Critical mass: l'uso sovversivo della bicicletta, a cura di Chris Carlsson, Feltrinelli, 2003. Questo modo di pensare riflette il proposito di chi partecipa alla manifestazione: la mobilità nelle città può ssere migliorata grazie alle biciclette e ad altri mezzi di trasporto alternativi rispetto al trasporto privato delle automobili. La massa critica è spesso definita una "coincidenza organizzata", senza leader, organizzatori, o membri individuati da qualcosa che non sia la loro partecipazione all'evento. Anche il percorso seguito durante la manifestazione viene deciso sul momento, spesso da chi è in testa al gruppo, oppure chiunque abbia una propria idea su un percorso possibile, può stampare delle mappe e distribuirle ai partecipanti. Altre volte la decisione del percorso viene presa e condivisa tra più persone subito prima che questa abbia inizio. In questo modo il movimento si spoglia di tutto ciò che è implicato nella creazione di una organizzazione gerarchica: nessuna struttura interna, nessun capo, niente politica interna, niente direttive di movimento. Per far esistere l’evento tutto ciò che serve è che abbastanza persone sappiano della sua esistenza e si incontrino il giorno designato per il raggiungimento della massa critica, al fine di occupare tranquillamente un pezzo di strada, in modo da escluderne i mezzi motorizzati. Proprio in conseguenza di questa mancanza di gerarchia, è richiesto che i cicloattivisti prendano responsabilità dell'evento, ciascuno individualmente. In questa ottica, per preservare la compattezza del gruppo, alcune volte dei partecipanti usano una tattica chiamata corking, che consiste nel bloccare le macchine che potrebbero spezzare l'unità della manifestazione, frammentandola. Questo viene ottenuto semplicemente fermandosi con la bicicletta di fronte alle auto, in corrispondenza di incroci, rotonde, o anche semafori, fino a che tutto il gruppo sia passato. Questo permette anche di salvaguardare la sicurezza dei manifestanti e di limitare gli attriti con i conducenti di mezzi motorizzati
Ibidem..
Il passaggio della Critical Mass nel centro di Milano.
Milano è stata la prima città italiana ad avere un regolare evento critical mass, con cadenza addirittura settimanale, a partire da febbraio del 2002. La prima volta erano solo in 15, ma a giugno sono arrivati ad essere più di 200, via via che la voce si diffondeva e la stagione si avviava verso la primavera. Oltre a questa manifestazione sul tessuto urbano delle città che più di altre hanno trovato un insieme di persone che tutti i giorni usano la bici per esprimere una propria idea di comunità, sono nate anche altri tipi di eventi, gare clandestine, esercitazioni ciclistiche improvvisate che risentono molto della filosofia di tutti quegli sport legati alla strada come lo skateboard o il parkur, ma anche come il surf o tutte le altre attività che prevedono di potersi sfidare tramite la pratica del freestyle. Questa branca del ciclismo urbano che vede i propri sostenitori radunarsi all’interno di eventi-gare illegali noti come “Alleycat Race”. Esse sono corse ciclistiche “informali”, spesso organizzate all’interno di ambienti urbani. Nascono soprattutto nelle città dove esiste la figura del pony-express in bicicletta, classico ciclista che conosce alla perfezione ogni via della città. La prima gara nominata “Alleycat” si svolse a Toronto, il 30 ottobre 1989.
Questo movimento spontaneo celebra tra le grandi vie di collegamento delle città tutto il paradigma legato al ciclismo su pista. Dalla scelte dei veicoli all’abbigliamento al gergo tecnico, la pista rivive negli ultimi anni grazie a questo nuovo sport urbano un periodo di rinascita. La bici da pista, snella e nervosa, priva di freni, dal telaio inclinato, è diventata in breve tempo un’icona di un particolare modo di vivere la propria città.
E a Milano, patria del ciclismo “pistaiolo” italiano, si può constatare a occhi nudo questa nuova sensibilità, dalla nascita di negozi dedicati, alle centinaia di persone che tutti i giorni, imparano a riparare da soli la propria bici, affollando le varie “ciclofficine” pubbliche nate in vari quartieri nel giro di una decina d’anni.
A volte di notte alcune bande di ciclisti si recando in via Arona, sono in sella alle stesse bici che usavano Merckx e Maspes per i loro record dell’ora, hanno abiti colorati e numerosi led lampeggianti applicati sul telaio e sui vestiti, per segnalare la loro presenza, qui compiono un giro silenzioso attorno alla grande struttura ellittica, per un attimo risentono lo squillo della campanella e il colore del vento durante sprint, cosi facendo chiudono gli occhi per un secondo e salutano la grande pista con un colpo di pedale.
E’ questa la nuova cultura della pista italiana, l’eredità che il “Vigorelli” ha lasciato a Milano.
Manifestazione davanti al velodromo, Milano, 20 novembre 2011.
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