Europa come sistema complesso
I.
La seduzione del caos ed il clima apocalittico
Da più parti si parla ormai della situazione internazionale facendo riferimento, diretto o
indiretto, al caos.
Nel numero 2/16 di Limes dal titolo esemplificativo: “La Terza Guerra Mondiale?”, la
carta geopolitica di Laura Canali presentata in apertura al volume si intitola:
“Caoslandia”, indicando con questo nome le terre dove gli Stati nazionali si stanno
frantumando sotto la spinta di guerre sia interne che esterne, distinguendo come
“Ordolandia” i territori dove ancora regna ordine, pace ed un relativo benessere1.
L’Europa, ed in particolare l’Italia, appare in questa mappa come il confine geografico
tra l’ordine e il caos.
Lucio Caracciolo, nel suo Editoriale al n. 2/16 di Limes2, parla di “clima apocalittico”
che attraversa tutto il nostro pianeta e che fa apparire quasi ineluttabile il manifestarsi
della Terza Guerra Mondiale, di cui già Papa Francesco ha parlato provocatoriamente
definendola una “Guerra Mondiale a pezzi”3. Il frantumarsi dell’ordine mondiale
imposto da pochi Paesi forti come è stato nel periodo della guerra fredda sta lasciando il
posto, dopo la caduta del muro di Berlino, a innumerevoli micro-nazioni che non hanno
né lo status né la rappresentatività per ridefinire un nuovo ordine mondiale, rendendo
fluido ed indefinito il contesto all’interno del quale si muove tutto il territorio di
“Caoslandia”.
Thomas Friedman, opinionista del New York Times, scrive in uno dei suoi recenti
articoli: “In geopolitica sussistono grandi contrapposizioni di potere, ma lo spartiacque
più rilevante nel mondo di oggi non è più quello tra Oriente e Occidente, capitalisti e
comunisti: sempre più spesso sarà quello tra Mondo dell'Ordine e Mondo del Disordine,
a mano a mano che le pressioni di natura ambientale, settaria ed economica faranno
piazza pulita di stati deboli e falliti. Tutti i giorni, ormai, leggiamo sui quotidiani di chi
1
“Caoslandia”, www.limesonline.com, 08/03/2016, in: http://www.limesonline.com/caoslandia/89915
2
Lucio Caracciolo, Non è la fine del mondo, Limes. Rivista Italiana di Geopolitica, n. 2 (2016) 7-26
Marco Ansaldo, “Il Papa: la terza guerra mondiale è già iniziata”, 18/08/2014, www.larepubblica.it, in:
http://www.repubblica.it/esteri/2014/08/18/news/papa_francesco_terza_guerra_mondiale_kurdistan94038973/
3
fugge dal Mondo del Disordine verso il Mondo dell'Ordine. [...] Nessuno vuole
occuparsi delle zone nelle quali il disordine permea ogni cosa, perché tutto ciò che se ne
ha in cambio è un conto da pagare. Per di più, la maggior parte di questi paesi è del tutto
incapace di autogovernarsi in modo democratico. Chi assumerà dunque il controllo di
queste aree? E se la risposta fosse "nessuno"? Questa sarà una delle più serie sfide di
leadership del prossimo decennio.”4
Federico Rampini intitola uno dei suoi ultimi libri “L’Età del Caos”, e parla di
“seduzione del Caos” come di una sorta di “attrazione fatale, malefica e demoniaca” che
sente crescere attorno a sé.5
Questa seduzione del Caos è tuttavia, secondo Rampini, anche un principio dinamico ed
una risorsa strategica che attraversa non solo la visione politica e sociale dei guerriglieri,
ma anche quella tecnologica e imprenditoriale dei creativi della Silicon Valley.
Entrambi, terroristi da una parte, innovatori dall’altra, vedono nel caos illimitate
possibilità, secondo un’ottica che oggi si ama definire disruptive, che significa sì
distruttivo e devastante, ma anche dirompente e creativo.
La frattura tra la terra dell’ordine e la terra del caos non è unicamente legata ai conflitti
aperti ed alle guerre in atto, ma è anche, e forse soprattutto, di tipo culturale.
Da un lato l’establishment, che si mostra incapace di comprendere il nuovo contesto che
si è generato, essendo abituato a pensare in modo frammentato, lineare e deterministico;
dall’altro, l’approccio dirompente di chi vede nel nuovo disordine globale la possibilità
di cambiamenti radicali ed esponenziali.
I primi riescono ad immaginare il proprio futuro solo in base a ciò che è stato il loro
passato personale; i secondi no: il loro futuro non è il riflesso del passato, trovando
invece spazio ed opportunità esplosive nelle crepe aperte dalle incapacità dei vecchi
poteri di leggere il presente e di comprenderne le dinamiche interdipendenti.
II.
E’ necessario comprendere il caos
4
Thomas Friedman, Governare il disordine, la sfida dei nuovi leader, 23/05/2015, www.repubblica.it, in:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/05/23/governare-il-disordine-la-sfida-deinuovi-leader27.html
5
Federico Rampini, L’Età del Caos (Mondadori Libri, 2015)
Lo stesso Rampini conclude la sua Introduzione al libro “L’Età del Caos” chiedendosi
se il Caos possa essere visto con altri occhi: “Il Caos può diventare per noi
un'opportunità? Che cosa possiamo imparare dalla mappatura del Disordine dominante?
Crisi e opportunità sono una parola sola, in mandarino. Il filosofo greco Socrate, nel
ritratto che ci tramanda Aristofane con la commedia Le Nuvole, considerava il Caos
come una divinità. Più vicina a noi, è la matematica post-newtoniana ad avere fatto della
Teoria del Caos uno dei suoi sviluppi più importanti. La direzione imboccata dagli
scienziati è assai diversa dall'accezione negativa e catastrofista del disordine,
dell'anarchia e dell'assenza di regole "lineari". [...] Lo studio del caos si è allargato
all'astronomia, alla meteorologia, alla biologia, e ovviamente all'economia”6.
È necessario quindi comprendere il Caos, uscendo dall’abisso apocalittico che così
facilmente porta con sé.
La teoria del caos7, sviluppatasi a partire dagli anni ’60 del secolo scorso grazie all’uso
dei computer nell’analisi dei fenomeni naturali, è uno dei principali apporti allo studio
dei sistemi complessi, quei sistemi definiti appunto come “sistemi all’orlo del caos”,
ovvero sistemi che riescono a mantenersi in un equilibrio dinamico tra ordine e
disordine, senza precipitare nel caos disintegrandosi.
Un aneddoto riguardante la teoria del caos, che richiama gli studi compiuti dal
meteorologo americano e docente al MIT Edward Lorenz, definisce “effetto farfalla”
ciò che, in termini più tecnici, viene definito come “dipendenza sensibile dalle
condizioni iniziali”; secondo questo aneddoto, il battito d’ali di una farfalla a Rio de
Janeiro può provocare un anno dopo un uragano a New York. Si tratta evidentemente di
una metafora un po’ spinta che ha contribuito a diffondere, pur semplificandola, la
teoria del caos. Essa è stata tuttavia utile nel comprendere come eventi semplici, e
spesso impercettibili se non addirittura insignificanti ai nostri occhi, possano generare in
un tempo sufficientemente lungo eventi imprevisti e difficili da correlare alle cause che
li hanno determinati. Secondo questa visione, fenomeni estremamente semplici possono
instaurare un meccanismo dinamico tale da generare fenomeni complessi, grazie al
processo ricorsivo che essi assumono: “Noi tutti crediamo, alquanto ingenuamente, che
fenomeni semplici diano luogo ad altri fenomeni semplici, e che solo fenomeni
6
Rampini, L’Età del Caos, (5), 10-11
7
James Gleick, Caos. La nascita di una nuova scienza (RCS Rizzoli Lbri, 1989)
complessi possano dar luogo ad altri fenomeni complessi; studiando i sistemi dinamici
ci si è accorti, invece, che una tale linearità non esiste nella realtà e che spesso piccoli
eventi di natura semplice possono determinare eventi di natura complessa, proprio
perché sono in interazione con altri fenomeni in un ambiente vivente che si evolve.”.8
Questi fenomeni apparentemente semplici generano uno schema di variabilità definito
da Lorenz stesso come “attrattore strano”: uno spazio che racchiude le possibili
variazioni dell’intero sistema, che non diventano mai ripetitive eppure si muovono
seguendo una forma tipica di intreccio a doppio anello che consente di riconoscere una
sorta di ordine di tipo diverso da quello tradizionale di tipo statico.
Si tratta infatti di un ordine dinamico che racchiude in sé “la storia” degli eventi che lo
hanno preceduto, senza che si possa prevedere con esattezza in quali punti passerà il
sistema ma anche senza che esso sfoci nel caos indifferenziato o che si disintegri. Si
parla a questo proposito di “caos deterministico”, proprio per differenziarlo dal caos di
tipo apocalittico fondato sulla disintegrazione dell’esistente.
I sistemi complessi sono perciò sistemi che mantengono la propria integrità senza
precipitare nel caos e pure, allo stesso tempo, non sono né stabili né prevedibili.
Comprendere la differenza tra sistemi complessi e sistemi caotici consente di operare
affinché la scelta tra ordine e disordine non diventi dicotomica; non si tratta più,
semplicisticamente, di scegliere tra il caos e la distruzione da un lato e la stabilità e la
prevedibilità dall’altro. Si tratta di percorrere una terza via che non è solo filosofica ed
etica: è la via seguita da quasi tutto ciò che ci circonda, che spontaneamente emerge e
che chiamiamo “vivente”9.
III. Perché la complessità oggi
È difficile definire cosa sia la complessità: spesso il termine complessità viene definito
in antitesi al concetto di semplicità, confondendo così il concetto di complessità con
quello di complicazione.
È interessante, per comprendere la differenza di significato tra il termine complesso ed
il termine complicato, risalire all'aspetto etimologico delle parole: mentre complicato
8
Dario Simoncini, Marinella De Simone, Il Mago e il Matto. Sapere personale e conoscenza relazionale
nella rete organizzativa (McGraw-Hill, 2008)
9
Fritjof Capra, Pier Luigi Luisi, Vita e Natura. Una visione sistemica (Aboca, 2014)
deriva dal latino cum plicum, che significa “con pieghe”, complesso deriva dal latino
cum plexum, che significa “con nodi”, intrecciato.
Già etimologicamente, quindi, il termine complesso si distingue da quello di
complicato: l'etimologia latina plicum richiama la piega del foglio, che deve essere
"spiegato" per poter essere letto e compreso, mentre il plexum è il nodo, l'intreccio,
come quello di un tessuto o di un tappeto, che non si può sbrogliare senza che si perda
la sua stessa natura, la visione d’insieme che esso consente. Se di un tessuto, o di un
tappeto, sciogliamo i nodi dell'intreccio, ci rimarranno nelle mani i fili con cui è stato
composto, ma avremo perso il disegno complessivo cui dava forma.
L'approccio ai problemi definiti “complicati” è un approccio di tipo analitico: il
problema si suddivide in parti, le quali vengono studiate, analizzate e solo
successivamente ricomposte, in modo da riuscire a comprendere il problema nel suo
insieme. Dal punto di vista della complessità, invece, un problema non si può
suddividere o segmentare, poiché il fenomeno da analizzare perderebbe il suo
significato.
Per avvicinarsi a problemi definibili come “complessi” bisogna seguire una
metodologia diversa: da un lato è necessario applicare un approccio di tipo sistemico,
che consente di avere una visione del problema nella interezza delle sue connessioni;
dall’altro è necessario applicare un approccio emergenziale, che consente di chiedersi
quali potranno essere le evoluzioni nel tempo del sistema di connessioni che
definiscono il problema stesso.
Studiare la complessità porta a comprendere che tutto è fondato su un principio
relazionale, il “cum”, di cui non si può non tener conto: non si può non tener conto di
quanto le relazioni siano fondamentali nel modificare l’assetto del contesto in cui
viviamo. Ecco perché, parlando di complessità, spesso se ne parla come di un
“paradigma relazionale”, distinguendolo così dal “paradigma separativo” su cui è stata
fondata la nostra cultura dalla fine del ‘400 ad oggi.
Il contesto in cui ci troviamo oggi a vivere è un contesto che non ci consente più di
portare avanti il paradigma precedente; il modo di pensare che poteva andare bene forse
fino a 30 o 40 anni fa, oggi non è più adeguato. Siamo ormai immersi in una realtà che
risulta non più sostenibile nel tempo che abbiamo ancora a disposizione per noi e per le
generazioni che ci seguiranno, per cui la necessità di cambiare i nostri presupposti è
sentita in modo diffuso.
Il presupposto del paradigma relazionale è che siamo in relazione con tutto e tutti.
Siamo in relazione con chi conosciamo, ma anche con chi non conosciamo; siamo in
relazione con il contesto all’interno del quale ci muoviamo, ma anche con quello al di
fuori del nostro ambito abituale; siamo in relazione con le condizioni climatiche che
influiscono direttamente sul nostro ambiente, ma anche con quelle che agiscono al di
fuori di esso. E tutto questo non solo nello spazio, vicino o lontano da noi, ma anche nel
tempo: ciò che è avvenuto prima e ciò che ancora non è accaduto ma che si sta già
preparando ad accadere come effetto delle nostre azioni o non azioni.
Qualsiasi cosa facciamo o diciamo, o non facciamo o non diciamo, ha degli effetti.
Effetti che riusciamo a vedere, o ad immaginare, solo per un ambito ristrettissimo,
quello che ci è più familiare, e per un tempo estremamente limitato, che possiamo
misurare in ore, giorni, forse qualche settimana o mese.
Non siamo in grado di comprendere le relazioni, pur se necessariamente ci sono, tra ciò
che stiamo facendo oggi - o non facendo oggi - e ciò che questo determinerà tra,
poniamo, un anno. Considerando che ciò vale per ognuno di noi, possiamo provare a
immaginare le relazioni incrociate che si determinano per ogni nostra azione o non
azione: l’effetto globale che otteniamo è di sentirci disorientati, sommersi da un
presente quasi incomprensibile e da un futuro pressoché caotico. Ecco perché è così
importante comprendere quali siano le competenze che ognuno di noi deve sviluppare
per acquisire maggiore consapevolezza delle relazioni all’interno delle quali è inserito e
di quali possano essere gli effetti sia nello spazio che nel tempo del proprio agire.
Edgar Morin parla a questo proposito della necessità di sviluppare, nell’educazione, una
“conoscenza pertinente”, ovvero una conoscenza in grado di situare ogni cosa nel
contesto e nel complesso planetario, trasformando la nostra capacità di organizzare la
conoscenza in ambiti interdisciplinari ed abbandonando la conoscenza compartimentata:
“la conoscenza pertinente deve affrontare la complessità. Complexus significa ciò che è
tessuto insieme; in effetti, si ha complessità quando sono inseparabili i differenti
elementi che costituiscono un tutto (come l’economico, il politico, il sociologico, lo
psicologico, l’affettivo, il mitologico) e quando vi è tessuto interdipendente, interattivo
e inter-retroattivo tra l’oggetto di conoscenza e il suo contesto, le parti e il tutto, il tutto
e le parti, le parti tra di loro. La complessità è, perciò, il legame tra l’unità e la
molteplicità. Gli sviluppi propri della nostra era planetaria ci mettono a confronto
sempre più ineluttabilmente con le sfide della complessità.
Di conseguenza, l’educazione deve promuovere una “intelligenza generale” capace di
riferirsi al complesso, al contesto in modo multidimensionale e al globale”.10
IV La gerarchia dei sistemi complessi
Proviamo a definire brevemente cos’è un sistema complesso. Innanzi tutto è un sistema,
in cui i singoli elementi interagiscono tra loro determinando un comportamento globale
del sistema diverso da quello dei singoli elementi che lo costituiscono: possiamo perciò
parlare di un’entità organizzata, organica e globale; all’opposto, non abbiamo un
sistema quando vi è un insieme disorganizzato di elementi, come ad esempio un
mucchio di sabbia.
Un sistema complesso è a sua volta costituito da altri sistemi: gli elementi che lo
costituiscono non sono elementi semplici, ma sono a loro volta sistemi; il tutto in una
sorta di “vertigine” di sistemi dentro sistemi intrecciati tra loro che si influenzano
reciprocamente, in una gerarchia sistemica molto diversa nella circolarità delle relazioni
di causa-effetto dalle gerarchie a cui siamo abituati.
Ogni sotto-sistema rappresenta un “livello” del sistema di cui è parte, ed è a sua volta
costituito da numerosi elementi od agenti che, appunto, interagiscono tra loro con
modalità sia cooperative che competitive, dando all’intero sistema di cui sono parte una
forma di “coerenza”, fondamentale per definirlo tale e che porta all’emergere di un
nuovo livello. Ogni livello del sistema è come un mattone su cui si possono formare i
livelli successivi, in una sorta di catena evolutiva che procede dal basso verso l’alto o
bottom-up, costituendo nel loro insieme un’unica entità organizzata e dinamica. Esempi
di queste forme di organizzazione bottom-up sono i formicai, gli stormi di uccelli, i
sistemi sociali, politici ed economici.
Con le parole di Steven Johnson, studioso dei sistemi complessi: “Quali caratteristiche
condividono tutti questi sistemi? In termini semplici, risolvono problemi utilizzando
masse di elementi relativamente stupidi anziché un singolo e intelligente “centro
direzionale”. Sono sistemi dal basso all’alto: bottom-up; non dall’alto al basso: topdown. Acquisiscono dal basso la loro intelligenza. In linguaggio più tecnico, sono
sistemi adattivi complessi che mostrano comportamento emergente. In tali sistemi gli
10
Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro (Cortina, 2001), 38
agenti che risiedono su un livello iniziano a produrre un comportamento che si
manifesta a un livello superiore: le formiche creano colonie; le persone che si
trasferiscono in città creano quartieri; un semplice software di riconoscimento di
configurazioni impara a raccomandare ad hoc novità librarie. Il movimento dalle regole
di basso livello alla sofisticazione di alto livello è ciò che chiamiamo emergenza
(emergence)”.11
La caratteristica peculiare dei sistemi complessi è che essi “imparano” costantemente
attraverso una continua riorganizzazione interna: non sono controllati centralmente, ma
adattano i propri comportamenti in relazione ai mutamenti che avvengono sia
internamente tra gli agenti che li compongono, sia esternamente nel contesto in cui sono
inseriti. Ciò consente loro di evolvere incessantemente nel tempo pur mantenendo una
propria coerenza, che potremmo definire come “identità” dell’intero sistema, senza
perciò disintegrarsi.
V L’Europa è un sistema complesso
Il termine “Europa” pare derivi dal semitico ereb, che significa “là dove è buio”,
indicando la terra dove tramontava il sole per i Fenici insediati in Siria, termine ripreso
poi dai Greci intendendo le terre poste a nord, dove vivevano i barbari.
L’Europa non è definibile geograficamente: non è un continente, non è un’isola, non ha
confini definiti. Come affermano Edgar Morin e Mauro Ceruti: “L’Europa geografica
non ha un centro fisso. Nel corso della sua storia, i suoi centri si sono spostati e nuovi
centri sono apparsi. [...] L’Europa ha frontiere permeabili, a geometria variabile, che
subiscono slittamenti, rotture, trasformazioni. [...] L’Europa sfugge a ogni rigida
polarizzazione geografica: non è un occidente contrapposto a un oriente; non è un nord
contrapposto a un sud”12.
Verso Est, l’Europa non è che una penisola: un piccolo capo del continente asiatico,
come l’ha definita Paul Valéry. Verso Sud, il Mediterraneo è un confine incerto: è il
“mare interno” dell’antico Impero Romano e la culla della civiltà europea. Verso Ovest,
l’Atlantico sembra definirne geograficamente i confini; ma non possiamo dimenticare
11
Steve Johnson, La nuova scienza dei sistemi emergenti (Garzanti, 2004), 16
12
Edgar Morin, Mauro Ceruti, La nostra Europa (Raffaello Cortina Editore, 2013)
che, con l’età moderna, le Americhe sono divenute le “nuove Europe”, e così pure
l’Australia e la Nuova Zelanda.
Non è l’assetto geografico che a priori definisce il territorio europeo; l’Europa è
definibile solo storicamente, e quindi culturalmente: il territorio diviene una variabile
della volontà umana, e non viceversa. L’Europa varia al variare della storia, divenendo
la manifestazione delle continue scelte che gli uomini hanno compiuto – o non
compiuto – nel tempo.
Un esempio piuttosto recente nella storia d’Europa: le banconote dell’Euro stampate dal
1° gennaio 2002 riportano sul retro una cartina d’Europa; può sembrare un elemento
semplice da definire, ma non lo è. Alcuni Paesi che erano in procinto di entrare
nell’Unione Europea – come Malta e Cipro – non sono state incluse, mentre altre –
come la Svizzera e la Norvegia, la Bielorussia e parte della stessa Russia sono state
incluse. “Sul retro si è voluta aggiungere una bella cartina geografica. Cosa di più
asettico di una cartina, si sarà pensato. E invece non c’è nulla di più geopolitico”.13
Si tratta quindi di considerare l’Europa come un processo dinamico, soggetto a continui
mutamenti, sia nel tempo che nello spazio. Ovvero, come un sistema complesso.
1.
Le dinamiche nello spazio: cambiano i confini, cambiano i popoli
I confini sono incerti: passano da uno Stato all’altro, si fanno impermeabili fino a
divenire muri e filo spinato; sono soggetti a tensioni, conflitti, guerre. Oppure sono
totalmente permeabili, fin quasi a scomparire: si trasformano in una passeggiata in
bicicletta, in una arrampicata in montagna, in una nuotata nel lago.
Le migrazioni sono continue: provocate dall’intolleranza religiosa, dalla pulizia etnica,
dalle emigrazioni forzate, dagli arrivi in massa di immigrati in fuga da stermini,
cataclismi o povertà. L’Europa è sempre stata soggetta a movimenti di migliaia, a volte
milioni di persone: spostamenti di popoli, culture, religioni, etnie che hanno
continuamente rimodellato la stessa idea di Europa.
Anche ora assistiamo a nuove dinamiche nello spazio: cambiano di nuovo i confini, da
invisibili si stanno trasformando nuovamente in blocchi di frontiera, fili spinati e muri;
13
Limes. Rivista Italiana di Geopolitica, n.1 (2002), 22
dall’integrazione degli stranieri ai blocchi fuori e dentro l’Europa per impedirne
l’accesso.
2.
Le dinamiche nel tempo: tra evoluzione e distruzione
I mutamenti nel tempo rappresentano un processo irreversibile: la storia non consente di
tornare indietro. Ogni scelta effettuata nei diversi bivi di cui è costellata la storia
influisce e modifica l’assetto europeo.
Le dinamiche nel tempo, pur se possono apparire graduali o addirittura statiche, sono
soggette ad improvvise rotture: dei veri e propri salti evolutivi tra civiltà e barbarie, tra
la disintegrazione entropica nel caos e l’emergere di un sistema più complesso con
nuove qualità, grazie alla sincronia che accomuna d’improvviso i suoi elementi.
L’Europa è quindi un sistema complesso, costantemente in bilico tra ordine e caos, tra
evoluzione e distruzione. Ogni processo che si è risolto con una evoluzione ne ha
modificato la forma in modo radicale.
Nel 1492 si ha la prima forma d’Europa: il formarsi di quella che sarà definita l’Europa
moderna. L’Europa trova una sua identità con l’avvio del primo processo di
globalizzazione su scala planetaria.
Da un lato il formarsi dei primi Stati-Nazione, dall’altro il manifestarsi dell’intolleranza
religiosa14; la Spagna sarà il fulcro di questo triplice processo: globalizzazione,
formazione dello Stato-Nazione, intolleranza religiosa verso ebrei e musulmani, che
segnerà il destino della storia d’Europa fino al rischio della sua disintegrazione totale15.
Il 1941 segna un nuovo momento cruciale nella storia europea, una metamorfosi
evolutiva al bivio tra disintegrazione totale e rinascita sotto nuova forma: con il Patto
Atlantico, l’Europa, da “terra del tramonto” diventa “l’Occidente”, territorio collegato
idealmente e materialmente agli Stati Uniti d’America, con conseguenze enormi sia sul
proseguimento della guerra sia su tutti gli assetti successivi alla guerra stessa. Alla
conclusione del conflitto mondiale nel 1945, finisce l’Europa moderna per trasformarsi
in una identità meta-nazionale che pensa l’Europa come un progetto da realizzare per
volontà comune.
14
Gianluca Bocchi, Mauro Ceruti, Origini di storie (Feltrinelli Editore, 1993)
15
Edgar Morin, Cultura e barbarie europee (Raffaello Cortina Editore, 2006)
Il 1989 rappresenta una metamorfosi meta-nazionale dell’Europa: insieme al crollo del
muro di Berlino cade subito dopo l’ex impero sovietico, che arretra verso oriente,
lasciando scoperti verso l’Europa i paesi dell’Est ed aprendo alla possibilità di un loro
ingresso nell’Unione Europea.
VI. L’Europa è all’interno del sistema complesso più vasto: la Terra
La Terra è il sistema più complesso che conosciamo, intesa non solo come ambito geopolitico, ma come pianeta tutto. I problemi da affrontare trascendono ormai i confini
politici ed istituzionali, e non possono perciò essere affrontati dai singoli Stati
separatamente o dai singoli organi istituzionali, spesso chiusi nella loro burocrazia
interna. L’economia, la finanza, l’uso delle risorse, il traffico di armi e di droga, il
terrorismo, le mafie, l’inquinamento, il riscaldamento globale, la deforestazione, i
contagi, la sovrappopolazione, le guerre: sono tutti problemi che attraversano l’intero
pianeta. I problemi sono globali, e tale deve essere il modo di affrontarli. Come afferma
Ervin Laszlo: “Viviamo un’epoca cruciale – un’epoca di instabilità e cambiamento. Il
futuro è aperto. Potremmo cadere nel caos e nella catastrofe oppure risollevarci con le
nostre forze, verso un mondo pacifico e sostenibile. La scelta tra evoluzione e estinzione
è reale. Abbiamo bisogno di capire come avviene e cosa comporta.”16
È la sopravvivenza della specie umana a essere chiamata in causa, non come ipotesi
lontana ed improbabile, ma nel breve termine ed a livello sistemico. Se fino a non molti
anni fa la nostra sopravvivenza sembrava dipendere unicamente dall’equilibrio di forze
fondato sul possibile uso delle armi nucleari, ora la crisi è multi-fattoriale e multilivello. Ogni problema è intrecciato inestricabilmente agli altri, in una rete di
interdipendenza reciproca che sembra paralizzare qualunque tipo di intelligenza e di
azione.
Si parla ormai da qualche tempo di “declino degli Stati-Nazione” e di emergere di poteri
altri. La frantumazione degli Stati lascia emergere poteri trasversali: etnie, religioni,
fazioni, mafie, tribù, ma anche grandi imprese, mass media, ong, reti.
Sono in molti a parlare di mondo multipolare, mentre Parag Khanna, nel suo libro
“Come si governa il mondo”, partendo dalla domanda: “Come può un’organizzazione
16
Ervin Laszlo, Worldshift. Scienza, società e nuova realtà (Franco Angeli, 2008), 28
nata per provvedere ai problemi degli Stati dotati di confini risolvere i problemi di un
mondo senza confini?”, propone lo scenario, come futuro probabile che ci attende, di un
nuovo Medioevo e di un ritorno al modello delle città-stato medievali italiane. Egli
sostiene infatti che è impossibile riuscire a governare i problemi interconnessi a livello
globale con la burocrazia delle organizzazioni internazionali impegnata solo su target ed
obiettivi da raggiungere: “Secondo il National Intelligence Council americano, nel 2025
il concetto stesso di un’unica “comunità internazionale” apparirà un’idea pittoresca e
anacronistica. Nessun leviatano universale, nessun parlamento globale, nessuna
egemonia americana potrà più trovarvi posto. Al contrario, ci stiamo muovendo nella
direzione di un mondo frantumato, frammentato, ingovernabile, multipolare, o nonpolare. Tutti questi aggettivi ci suggeriscono la realtà autentica del mondo che sta
prendendo forma: quella di un nuovo Medioevo.”17
Siamo perciò di fronte ad una situazione nuovamente all’orlo del caos nella storia non
più solo europea, ma mondiale.
Dinnanzi allo sgretolarsi dei vecchi poteri sorretti da un establishment miope incapace
di vedere l’interdipendenza dei fenomeni ed il loro evolversi, si apre l’abisso del caos
apocalittico e del conflitto su scala mondiale; oppure l’emergere di un nuovo, possibile per quanto improbabile - ordine dinamico che integri molteplicità ed unità, nuovi
modelli di polis che connettono territori su scala globale, integrazione dei saperi e
cooperazione: ovvero un agire ed un pensare che accomuni gli uomini nel mondo
attraversandolo e connettendolo da parte a parte.
VII.
Metamorfosi europea
Jeremy Rifkin parla, a questo proposito, di “Sogno europeo”, in contrapposizione al
vecchio “Sogno americano”, ormai obsoleto: “Per gli americani la sola vera
preoccupazione è come migliorare la propria condizione, traendo il meglio da sé: lottare
per un futuro migliore, sul piano materiale ed emotivo, è la radice del Sogno americano
e la maggior parte degli immigrati negli Stati Uniti sceglievano di dimenticare il proprio
passato e di sacrificare il presente in cambio di benefici futuri. Il Sogno europeo, al
contrario, è molto più ambizioso: gli europei vogliono conservare la propria eredità
17
Parag Khanna, Come si governa il mondo, (Fazi Editore, 2011)
culturale, godere la vita presente e creare un mondo sostenibile e pacifico, per un futuro
ragionevolmente prossimo. E, oltre a tutto questo, desiderano definire una politica
basata sull’inclusività, ovvero che rispetti ugualmente il sogno personale di ciascuno: un
impegno che supera ogni possibile immaginazione”.18 Il libro di Rifkin è del 2004 e,
purtroppo, sembrano passati già moltissimi anni da allora ed il Sogno europeo sembra
essersi trasformato in un’utopia, soprattutto con il sopraggiungere della crisi del 2008
che non ha fatto che aggravare il contesto politico e sociale europeo.
Cosa è necessario fare oggi perché possa attuarsi il Sogno europeo? “La domanda da
porsi è quale nuovo legame condiviso spingerà la gente a trascendere le obsolete lealtà,
per rendere il Sogno europeo universale e realizzabile. In termini più semplici, per
quanto non sia un compito facile, bisognerà essere disposti a passare dall’adesione ai
diritti e doveri che discendono dalla proprietà legata al territorio all’adesione ai diritti e
doveri umani universali, legati alla nostra comune esistenza sulla terra”.19
È necessario, perché questo possa avvenire, un “New Deal Europeo”: il formarsi di un
nuovo contratto sociale che trovi le sue basi nello sguardo ampio necessario per
comprendere i contesti locali ed il loro integrarsi in contesti globali; che includa tutte le
parti sociali nell’affrontare le dinamiche di interdipendenza dei problemi da affrontare
con una politica coordinata sui temi della sicurezza, della coesione sociale,
dell’educazione, della disoccupazione, dei flussi migratori, dell’inquinamento, delle
città e del decentramento territoriale, dell’innovazione tecnologica e della ricerca, della
politica fiscale. Tutto questo, se lasciato in mano alle forze disgreganti che si stanno
manifestando in modo evidente in Europa, non solo non può essere risolto, ma diventa
esso stesso motivo e fattore di ulteriori forze centripete, acuendo i problemi anziché
risolverli e sfociando, inevitabilmente, nel conflitto globale.
La possibile scelta europea è, ancora una volta, tra la frantumazione di sé od una nuova
metamorfosi evolutiva: tra i confini che ridiventano frontiere ed il ritorno dell’Europa
ad essere un’appendice del continente asiatico, al divenire un’identità sovra-nazionale
anche politicamente, costituendosi in una federazione di Stati; un’identità multipla fatta
di diversità culturali accomunate da un unico desiderio di civiltà e civilizzazione
globale. La metamorfosi è un processo di trasformazione di un sistema complesso
18
Jeremy Rifkin, Il Sogno europeo (Mondadori 2004), 270
19
Rifkin, Il Sogno europeo, (18), 271
all’orlo del caos, soggetto a spinte così forti che possono distruggerlo e che pure riesce a
superarle aumentando la propria complessità interna ed evolvendo ulteriormente: “Un
sistema che non riesce ad affrontare i suoi problemi vitali può disintegrarsi. Ma può
anche intraprendere una metamorfosi, trasformandosi in un sistema più ricco e più
complesso, in grado di affrontare questi problemi. Le metamorfosi, per quanto
improbabili, sono possibili”20.
VIII.
Una nuova cultura umanistica fondata sul pensiero complesso
Occorre un nuovo tipo di umanesimo, che non sfoci più, come avvenuto in passato,
nella deriva arrogante dell’uomo posto al centro del mondo, governatore indiscusso
della natura ed artefice dei destini della Terra, secondo un approccio esclusivista e
riduzionista e che ha trascinato più volte nel baratro lo stesso sentimento dell’essere
uomo. È essenziale, invece, operare affinché si diffonda una cultura che integri la natura
nell’uomo in modo inclusivo, la molteplicità delle identità nell’unità di una identità
emergente, senza distruggerne la potenza creatrice e innovatrice. Come ci ricordano
Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti: “Il carattere specifico dell’identità europea è la
varietà. Varietà di radici e di matrici, di lingue e di confessioni, di paesaggi e di regioni.
Fin dal suo primo delinearsi, dopo la rottura dell’unità culturale del bacino del
Mediterraneo e attraverso il faticoso stabilirsi di una nuova unità culturale in nuovi
spazi e verso nuove direzioni, l’Europa ha vissuto tutte le dimensioni di questa varietà.
Fin da allora, ha anche sperimentato convivenze e dialoghi, ibridazioni e integrazioni,
mescolanze e convergenze”.21
La visione complessa aiuta a comprendere come l’uomo non possa che essere
considerato parte di un tutto, di cui ha il dovere di prendersi cura – specie oggi, visto lo
stato di imbarbarimento che sta portando il mondo sull’orlo dell’abisso della propria
distruzione.
20
Edgar Morin, Elogio della metamorfosi, La Stampa, 14/01/2010, www.lastampa.it, in:
http://www.lastampa.it/2010/01/14/cultura/edgar-morin-elogio-della-metamorfosip3lvd5nAhll3kFuVcCneRJ/pagina.html
21
Bocchi, Ceruti, Origini di storie (14), 109
Prendersi cura significa avere quella capacità generativa e rigenerativa che sorge solo
dal comprendere dove siamo – qual è lo spazio che occupiamo – e qual è il tempo che
stiamo vivendo, e come tutto questo divenga un contesto comune.
Si tratta di civilizzare la globalizzazione, cosa che finora non è stata fatta. Manca infatti
un “pensiero del contesto”, in grado di comprendere il complesso che lo attraversa e che
lo costituisce momento per momento.
La globalizzazione è un processo che ha attraversato ripetutamente la storia europea,
dalla scoperta delle Americhe alle crisi finanziarie ed economiche di questi anni;
l’abbiamo subìta come qualcosa di ineluttabile che accadeva indipendentemente dalla
nostra volontà, rimanendo ciechi di fronte ai suoi effetti spesso catastrofici.
È fondamentale oggi pensare alla civiltà della globalizzazione come dialogo tra culture
diverse, in grado di integrare le diversità locali su scala globale, mantenendo
l’irriducibilità di ciascuna. Solo una civiltà – ed in particolare un nuovo pensiero
politico – in grado di collegare, contestualizzare, integrare le conoscenze, può aiutare
l’ultima, attuale metamorfosi dell’Europa che può renderla attiva nel mondo,
contribuendo alla trasformazione globale.
“Mai, nella storia d’Europa, le responsabilità del pensiero e della cultura sono state così tremende”.
(Edgar Morin, Mauro Ceruti, 2013)
Marinella De Simone
Complexity Institute – Italy
[email protected]