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Lo Speco di San Michele
Arcangelo a Nemi
L
di Roberto Libera*
SUMMARY. In the territory of the Castelli Romani, along the NorthEast wall of the caldera formed during the last phase of eruptive
activity of the Latium Volcano, subsequently occupied by the water of
Lake Nemi, there is an underground church dedicated to St. Michael
the Archangel. The cave, abandoned since the end of the eighteenth
century, is now showing signs of severe degradation, both structurally
and iconographically. A study of the site is currently under way in order
to determine the state of the hypogeum. This article, in addition to
documenting the critical condition of the structure, and presenting its
historical and artistic value, aims to promote an awareness campaign
in order to recover and maintain this example of the cultural heritage
of the Roman province.
GEOLOGIA DELL’AREA
L’ipogeo nemorense, dedicato a San Michele
Arcangelo, si trova in un territorio appartenente
all’area del Vulcano Laziale, più precisamente in
una caldera principale, quella di Nemi, costituita da vari coni eccentrici. Ubicato nella parete
Nord-Est della caldera, con l’ingresso orientato
a Nord-Nord-Est (Fig. 1), il sito religioso fu realizzato presumibilmente in epoca medievale.
Il vulcano dei Colli Albani, chiamato Vulcano Laziale, è uno dei sei distretti vulcanici
principali, conosciuti con il nome di Provincia Magmatica Romana, formatasi a partire
dal Pleistocene medio (0,781-0,126 milioni di
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anni fa). Attualmente è considerato quiescente, ma nel passato l’attività di questo vulcano
ha dato luogo a quattro distinti apparati eruttivi, o litosomi1:
- il Litosoma Vulcano Laziale (circa 600.000
anni fa);
- il Litosoma Tuscolano-Artemisio (intorno ai
300.000 anni fa);
- il Litosoma Faete (tra i 290.000 ed i 270.000
anni fa);
- il Litosoma Via dei Laghi (tra i 50.000 e i
19.000 anni fa).
Il litosoma è un corpo geologico che si diferenzia rispetto a quelli
limitroi in base a caratteristiche litologiche.
1
* Antropologo culturale - Direttore del Museo Diocesano
di Albano –
[email protected]
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Fig. 1. Ingresso dello Speco di San Michele.
Il cratere di Nemi si è formato durante l’ultima
fase eruttiva del vulcano, appartenente al Litosoma Via dei Laghi. Le pendici di questo cratere
sono costituite da sequenze piroclastiche, alcune
più spesse ed altre più sottili, intervallate a livelli
lavici. Le sequenze piroclastiche variano da quelle
non consolidate di tufo, a depositi di cenere e tufo
consolidati. Negli strati di tufo consolidato troviamo il Peperino e lo Sperone, utilizzato dai romani
per la costruzione di banchine lungo la riva del
lago e per altre strutture, come ad esempio muri
di sostegno al tempio di Diana.
Nell’area ci sono alcuni corsi d’acqua di piccola dimensione e due principali: Fosso Tempesta, nella parte settentrionale del cratere; e
un altro grande torrente che scaturisce dalle
pareti rocciose sottostanti la cittadina di Nemi.
Quest’ultimo ha dato vita ad un delta nella zona
chiamata Orti di S. Nicola, abitato in dalla preistoria. È possibile che entrambi i corsi d’acqua,
insieme ai minori, siano stati utilizzati dai romani
come fonti d’acqua per cisterne e acquedotti; il
torrente che inisce agli Orti di S. Nicola è stato
utilizzato anche per il funzionamento dei mulini
post-medievali.
Nonostante le ampie terrazze agricole lungo i
pendii e la presenza di una itta vegetazione, ci
sono evidenti tracce di una forte erosione delle
pareti del cratere nelle epoche passate. Le frane
e il movimento di detriti sono posti in relazione
soprattutto con precipitazioni abbondanti. Anche
se le precipitazioni annue nella zona sono piuttosto moderate, 1200-1400 mm, i fenomeni di forte erosione spesso avvengono quando ad un periodo molto secco succede un periodo di piogge
brevi, ma molto intense. Tali fenomeni, comuni
nei Colli Albani, uniti a terremoti, rappresentano
la maggior parte delle cause di frane e ghiaioni.
La pioggia pesante può anche innescare frane
e cadute di massi lungo le pendici del bacino del
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lago di Nemi. Tali fenomeni sono stati
e sono ancora comuni nei luoghi dove
le rocce laviche fratturate si trovano
sopra formazioni piroclastiche più
friabili, per esempio nelle rupi a conine tra i due crateri sovrapposti e lungo
le pendici orientali a nord di Nemi città; in queste aree ci sono ampie prove
di frane massicce.
É visibile, nelle immediate vicinanze dell’ipogeo dedicato a S. Michele,
sotto Nemi, l’inluenza dovuta a fenomeni simili; infatti, le aperture che
iancheggiano le grotte scavate nella roccia sono più o meno chiuse da
grandi blocchi di rocce laviche cadute
dall’alto (Fig. 2).
Ghiaioni, frane e cadute di roccia
possono essere state causate anche da
eventi sismici, ben documentati da varie fonti nel passato. Nel «Catalogo
dei Forti Terremoti in Italia, 461 a.C. 1990», sono segnalati sette terremoti di
entità consistente nella zona di Nemi tra
il 1806 e il 1927. Probabilmente molti
siti storici e archeologici avranno subito danni causati dall’attività sismica dei
terremoti registrati nell’area nemorense.
Attualmente lo Speco di San Michele mostra gravi segni di degrado,
causati dalle attività naturali di cui sopra, aggravati però da sconsiderati atti
di vandalismo e dall’incuria generale.
STORIA DELL’IPOGEO
Alberto Galieti, studioso dei Castelli Romani
vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, riteneva che il sito dedicato all’Arcangelo Michele
fosse stato ricavato da una caverna naturale, riadattata durante il medioevo ad uso di chiesa2.
Non ci è dato sapere se prima del Cristianesimo l’ipogeo sia stato già utilizzato e per quale
eventuale funzione. Sempre il Galieti ricorda che
il più antico documento in cui si menziona lo
2
Galieti, 1940.
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Fig. 2. Roccia lavica franata nei pressi dell’ingresso dell’ipogeo.
speco micaelico è una Bolla del 12 gennaio 1255.
Nel documento in questione Papa Alessandro
IV, nel confermare la concessione a scopo di
villeggiatura del castello di Nemi ai monaci di
S. Anastasio alle Tre Fontane, già concessa da
Anastasio IV nel 1143, fa riferimento, tra le dipendenze, anche alla chiesa di S. Angelo3, cioè
San Michele Arcangelo. Poiché, allo stato attuale, non risulta sia esistita nel territorio nemoUghelli, 1717-22, I col. 53: «…In quibus… castrum, quod dicitur
Nemo; ecclesiam S. Mariae, S. Angeli, S. Januari et S. Nicolai in
valle Lunae et stipis eiusdem cum aliis omnibus suis pertinentiis…»
3
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rense un’altra chiesa dedicata al culto
micaelico, non sembra ci siano dubbi
sull’identiicazione della stessa con lo
speco conosciuto.
Dalla metà del XVII secolo in poi
il luogo di culto passò alle dipendenze della parrocchia di Nemi; alla ine
dello stesso secolo il parroco, con
l’approvazione del vescovo, consegnò
la custodia del sito ad alcuni eremiti.
Sappiamo che nel 1759 era presente
nei pressi dello speco un eremo capace di ospitare più eremiti4.
L’oratorio era fornito in quei tempi
di una campanella e di una sola porta,
foderata esternamente con lamine di
ferro, sulla quale si aprivano due piccole inestre; vi si oficiava soltanto
per le feste di S. Michele, l’8 maggio
ed il 29 settembre di ogni anno.
A causa dello stato di rovina, in cui
erano caduti sia l’ipogeo di culto sia
l’eremo, risulta che nel 1770 entrambi
furono abbandonati. In seguito all’abbandono scomparvero il bassorilievo
d’altare di San Michele, l’acquasantiera di marmo e il mosaico sull’architrave del ciborio.
Da allora l’ingresso alla chiesa ipogea fu chiuso, ma ciò non impedì ulteriori danneggiamenti
della struttura.
LA STRUTTURA DELL’IPOGEO
Si accede all’interno dello Speco di San Michele attraverso una porta alta 1,98 m e larga 1,70 m.
La porta in ferro che chiudeva l’ingresso è stata
divelta; si può, quindi, entrare senza dificoltà. La
larghezza massima dell’interno è poco più di 8 m
e la profondità di 8,40 m (Fig. 3). La pavimentazione originale è costituita da lastre rettangolari
di peperino, l’altezza massima raggiunge i 3,10 m.
Lo spazio destinato ai fedeli presenta, nella
parete a destra dell’ingresso, una seconda porta
4
Sacra Visitatio edita per Em.mum et Rev.mum D.num Carolum Albertum S. R. E. Card. Guidobonum Cavalchini Episc. Albanen, anno
Dom. 1759, II pag. 832.
Fig. 3. Interno della chiesa ipogea.
(1,95x0,72 m); lungo tutta la parete si trova un
banco che permetteva ai presenti di sedersi comodamente durante le funzioni religiose. I due
settori della chiesa, quello riservato al pubblico
e quello del presbiterio, sono divisi da una balaustra in muratura alta 0,85 m, che lascia una
apertura di passaggio larga 1,18 m.
Il presbiterio è leggermente spostato a destra
rispetto l’asse dello speco. Il sedile per il clero
è addossato sia alle facce interne della balaustra
che sotto le due absidi laterali. L’abside centrale
è occupata dal ciborio che sovrasta l’altare composto da una mensa di granito larga in fronte
1,17 m sorretta da quattro colonnine marmoree
senza base, alte 86 cm e sormontate da capitelli
romani di ordine composito alti 14 cm.
La presenza della rituale crocetta ad ogni
angolo della mensa fa supporre che l’altare
abbia ricevuto la consacrazione liturgica. Il ciborio è largo in fronte 1,46 m e lungo 1,64
m, costituito da quattro colonne di marmo disposte a rettangolo, alte 1,82 m, comprese le
basi e i capitelli, dei quali i due anteriori sono
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in stile corinzio, mentre i due posteriori sono di stile ionico. Su di esse
è posato l’architrave di marmo bianco, che al posto del fregio presenta
una lista di mosaico a piccole tarsie
colorate ormai scomparse. Anteriormente l’architrave è sormontato da
un più breve timpano, nel cui centro
è incavata una croce di forma bizantina, probabilmente una volta ripiena
d’intarsia policroma (Fig. 4).
Lastre marmoree lunghe 66 cm,
ma di varia larghezza, chiudono il tetto a due spioventi del ciborio. Una di
queste conserva il caratteristico ornamento strigilato dei sarcofagi romani;
vari indizi mostrano che il materiale
fu raccolto da antichi monumenti romani sparsi nei dintorni. Il fondo del
ciborio è chiuso da un muro spiccato
sulla mensa dell’altare, con una scadente pittura a guazzo che rappresenta l’Arcangelo Michele. Questa pittura
ha sostituito il medievale bassorilievo
marmoreo di S. Michele, ricordato dalla Sacra Visita del 17595.
GLI AFFRESCHI
Sullo scorcio del secolo XV, a spese
di alcuni devoti, le pareti della chiesa ipogea ricevettero una decorazione iconograica. Sul pilastro a destra dell’ingresso principale
è visibile un affresco che rappresenta l’Apostolo
Pietro con le chiavi nella mano destra, mentre
con la sinistra regge aperto il libro del Nuovo
Testamento in cui si legge la frase: «sobri estote et
vigilate: quia adversarius vester diabolus, tamquam leo»6.
A sinistra di San Pietro è rafigurato San Bernardino da Siena, che sostiene sul petto una tabella
in cui risplende il monogramma di Cristo «IHS»
raggiato (Fig. 5). Sotto l’affresco si trova l’iscrizione riferita alle due igure di cui sopra con il
Vedi nota 3: «… simulacrum ex marmore dicti S. Arcangeli est nimis
antiquum…».
6
Prima lettera di Pietro (V, 8-9), «siate sobri e vegliate, perché il vostro nemico, il diavolo, come un leone (ruggente va in giro…)»
5
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Fig. 4. Altare con ciborio.
nome del dedicante: Angelus Saccus ieri iguras
istas praecepit galilei Petri atque Bernardini senensis.
Al di sotto dei suddetti affreschi ci sono sicuramente pitture più antiche. Prova ne è che
l’affresco copre gran parte di una igura di facile interpretazione: si tratta, infatti, di San Sebastiano, traitto dalle frecce del martirio. Con
molta probabilità a ianco di San Sebastiano era
rafigurato San Michele, di cui si scorgono solo
alcune piume delle grandi ali.
Nel presbiterio, formato da tre absidi, sono
presenti ulteriori affreschi. In cornu Evangelii, il
lato sinistro dell’altare, si trova una complessa
scena pittorica che rappresenta il Signore in
croce, tra la vergine e San Giovanni Evange-
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Fig. 5. San Pietro e San Bernardino da Siena.
Fig. 6. San Giovanni Evangelista e l’abitato
di Nemi sullo sfondo.
lista, mentre il devoto commissionario da una
parte e la moglie con le due iglie dall’altra,
nei caratteristici costumi dell’epoca, pregano
inginocchiati a mani giunte. La croce si trova
sopra un monte entro il quale, in una grotta,
è visibile un teschio umano; questa iconograia ricorda la tradizione che indica il Calvario
come luogo dove fu sepolta la testa di Adamo. Ai lati del Cristo sono due nessi di lettere
greche JC (Iη ο ) e XC (X ι ό ) mentre sul
titolo della croce si trova in tabella l’iscrizione latina «Iesus Nazarenus Rex Iudeorum» con la
traduzione greca:
IHCOUC O NAZΩPAIOC O BACIΛEUC
TΩN IOU AIΩN
A ianco della Madonna si legge MA(ter Dei)
che nell’altro lato, ora non visibile, dovrebbe
avere il corrispettivo greco M(η η)P Θ(eo)U.
A destra di San Giovanni l’epigrafe: S.
Ioh(anne)s Eva(n)ge lista, ripetuta a sinistra in greco:
O A (I)OΣ IΩ(ANNH)S EVA(N) EΛICTA.
Al di sotto dell’affresco in caratteri gotici su
una sola riga si trova l’iscrizione:
Hoc Baraundus opus statuit tibi Christe Iohannes
ut protegas semper se atque suam sobolem=An(n)o
D(omi)ni MCCCCLXXX.
Ma la caratteristica più importante dell’affresco
è il paesaggio sullo sfondo, a destra del dipinto, che
rafigura non la veduta del Calvario con Gerusalemme, ma quella di Nemi, con il lago, il monte
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lieti così interpretava7: «ha(n)c Georgettus
ieri igura(m) Dalmata (?) rite p(raece)pit
Matris…».
Fig. 7. Maria, il Bambino e San Sebastiano.
Cavo e, subito sotto, il castello di Nemi, il paese
con il campanile di S. Maria del Pozzo (Fig. 6).
Nell’abside, in cornu Epistolae, il lato destro
dell’altare, si trova l’affresco rafigurante la Vergine con in braccio il Bambino, al cui ianco sta il
martire Sebastiano. Tutte e tre le igure portano
il nimbo rotondo disegnato a raggiera e le nubi
stilizzate, sulle quali siede la Vergine e si staglia
San Sebastiano. Maria, che con la destra poggiata
sul seno sembra tenere un grappolo d’uva, indossa una veste turchina, mentre un
ampio mantello verde dalle larghe pieghe
scende dalla testa sulle spalle per raccogliersi con i lembi sulle ginocchia.
Il Bambino è vestito con una tunica rossa a
maniche lunghe, con la sinistra sostiene una
sfera sormontata da una piccola croce. La
sua destra non è visibile, probabilmente è
nell’atto della Benedizione. San Sebastiano,
in piedi a destra di chi guarda, tiene nella sinistra le frecce con cui fu martirizzato e nella destra la palma della vittoria. Sulle spalle
porta un corto mantello color rosso (Fig. 7).
Ai piedi dell’affresco per tutta la lunghezza
dell’abside corre su tre righe una iscrizione
a caratteri gotici quasi del tutto nascosta
sotto la scialbatura, di cui è possibile solo
scorgere parte della prima riga, che il Ga-
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Al gruppo, che in alto e ai due lati
è delimitato da una greca giallognola,
fa seguito, in un piccolo spazio ovale, una igura che rappresenta San
Michele Arcangelo che tiene un serpente, simbolo di Satana, con la mano
sinistra e con la mano destra impugna
una spada (Fig. 8).
Sembra che le pitture delle absidi,
anche se coeve, non siano state dipinte dalla stessa mano. Gli autori forse
furono modesti artisti locali, visto l’utilizzo di forme ormai sorpassate rispetto agli sviluppi della pittura di ine
XV secolo.
Lo Speco di San Michele nemorense versa
ormai in pessime condizioni. Urge un intervento di risanamento dell’area circostante al sito, di
consolidamento della struttura dello stesso e un
profondo restauro dell’impianto iconograico.
Continuare ad ignorare lo stato di rovina dell’ipogeo micaelico signiica abbandonarlo a distruzione certa.
Fig. 8. San Michele Arcangelo.
7
GALIETI, 1940, pag. 16.
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Bibliografia
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