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Storia della stampa italiana in Uruguay

2014, Fondazione Italia nelle Americhe – La Gente d'Italia, Montevideo

Una storia degli italiani in Uruguay attraverso l'evoluzione dei mezzi di comunicazione dal 1841 a oggi.

Storiografia distratta

Sul giornalismo e sulla stampa etnica italiana a Montevideo, in Italia è stato scritto molto poco e in maniera frammentaria. Perfino le riviste storiche più accreditate che hanno dedicato numeri speciali o sezioni monografiche alla stampa italiana nel mondo, hanno di fatto ignorato quella che si è sviluppata in Uruguay, per nulla secondaria a quella di alcuni paesi d'emigrazione inclusi però nella trattazione.

Nemmeno in Uruguay, in verità, c'è stata una particolare attenzione, anche se gli studi sull'emigrazione offrono contributi notevoli. Un bel libro di taglio giornalistico di Daniel Alvarez Ferretjans, dal titolo «Historia de la Prensa en el Uruguay» 17 , con ricchezza di dati racconta la vicenda del giornalismo nazionale. All'interno di un capitolo dedicato alla stampa delle collettività immigrate, Ferretjans affronta anche l'argomento «Italianos en su salsa», dedicandovi diciotto paragrafi che non possono certo esaurire l'argomento 18 . Quella di Alvarez Ferretjans, tuttavia, rimane una monografia importante. Anche perché fa riscoprire le tracce della presenza italiana nella formazione dell'identità uruguayana 19 .

Qualche approfondimento in più, per fortuna, l'aveva fatto in passato Luce Fabbri: alcune delle sue bellissime e documentate «ciarle» pubblicate sulla rivista Garibaldi, rappresentano la prima e ricca fonte e guida, il punto di partenza insostituibile ed essenziale per chiunque intenda cimentarsi anche in Uruguay è stata collante tra gli immigrati e portavoce delle loro esigenze e delle rivendicazioni, ha valorizzato poi la cultura e l'economia comunitaria, facendo da ponte tra due società e spesso è diventata erogatrice di assistenza materiale. Con una particolarità: contrariamente ad altre realtà d'immigrazione, essa si è caratterizzata per la partecipazione attiva alla vita politica locale.

Non si può certo affermare che tutta la stampa d'emigrazione prodotta dall'800 in poi, possa costituire un esempio da valorizzare in una storia del giornalismo etnico o senza aggettivi. Molto spesso furono pubblicati foglietti senz'anima e senza utilità, la cui cessazione non suscitò rimpianti di alcun tipo.

Riferendosi a una vicenda avvenuta in Uruguay nel 1940 -il processo al periodico degli ex combattenti italiani solidale con le pretese tedesche e critico con le decisioni del governo locale -il settimanale argentino La Nuova Patria degli Italiani, diretto dall'esule antifascista lucano Giuseppe Chiummiento, fissava parole severe, ma condivisibili, su certa stampa d'emigrazione che circolava tra le collettività italiane: «È ben rara l'associazione, la società, il circolo e il club […] che non si permetta il lusso piuttosto ridicolo di avere una propria pubblicazione, un proprio bollettino mensile, una propria vetrina di carta stampata che serve alla pacchiana mania reclamistica di pochi vanitosi, alla grafomania di qualche pseudo giornalista più o meno improvvisato ed alla non giustificata necessità di render mote ai soci le attività sociali che potrebbero ben riassumersi in brevi memorie semestrali od annuali». E poi aggiungeva allarmato: «Quando questi bollettini si dedicano alla politica ed alla letteratura diventano una calamità» 23 .

Oggi che, a ogni modo, le funzioni della stampa d'emigrazione sono profondamente mutate, perché diverse sono le esigenze informative dei pochi italiani e degli italodiscendenti che vivono nel paese, oggi più che mai appare importante sottrarre definitivamente all'oblio quelle pagine ingiallite conservate nella Biblioteca Naciónal o in altre istituzioni culturali in Uruguay o in Italia: se la storia del giornalismo è anche storia sociale -e lo è -quei giornali, visti non solo come deposito di memoria ma piuttosto come propagatori d'idee e di passioni umane, politiche e culturali, possono contribuire in maniera sostanziale a una più densa ricostruzione della storia dell'emigrazione italiana in Uruguay e, più in generale, della stessa storia del Paese, come già abbiamo avuto modo di scrivere 24 .

«L'Italiano» di Cuneo e gli italiani di Montevideo

Garibaldina nel significato generalmente assegnato all'aggettivo e cioè fatta con slancio, risolutezza, volontariato e un pizzico d'improvvisazione almeno negli aspetti economici, e garibaldina anche nei contenuti, la stampa italiana, fino a quando il Paese non fu interessato da flussi migratori massicci, si caratterizzò esclusivamente per le intonazioni repubblicane, anticlericali, massoniche e risorgimentali.

A dar vita al giornalismo italiano nell'area rioplatense 1 , come abbiamo anticipato, fu L'Italiano, settimanale apparso a Montevideo nel 1841 per iniziativa di Giovan Battista Cuneo, emigrato «politico», correttore di bozze, tipografo e giornalista che dava corpo così all'idea di Mazzini di fondare giornali ovunque fosse possibile, confidando nel loro potere per contribuire alla promozione dell'Unità d'Italia. Tempra di rivoluzionario, infaticabile agitatore politico e stoffa di scrittore 2 , Cuneo iniziò la propria attività giornalistica in Uruguay come capo redattore della rivista culturale El Iniciador, voce dei coscritti bonaerensi, fondata dall'esule argentino Miguel Cané e dall'uruguayano Andrés Loma, che si pubblicò a Montevideo dal 15 aprile 1838 dal al 1° gennaio dell'anno successivo 3 . Oltre che sulle pagine di El Iniciador, fortemente influenzato dal romanticismo italiano, Cuneo trattò argomenti italiani anche sui periodici El Nacional di Rivera Indarte e su El Comercio del Plata di Florencio Varela.

Il 22 maggio 1841 finalmente pubblicò L'Italiano 4 , spinto dalla già numerosa collettività italiana, per lo più esuli carbonari e mazziniani in fuga dalle persecuzioni, molti dei quali si sarebbero poi ritrovati nella «congrega» della sua soddisfazione, aveva già scritto sull'Apostolato Popolare un anno prima in una nota dedicata al periodico platense, derivava dal fatto che L'Italiano aveva un'importanza immediata in quanto «la cifra degli Italiani fra i quali si distribuisce, tocca i cinque mila e va crescendo ogni giorno» 11 .

Col primo editoriale firmato «Gli editori» ma attribuibile tranquillamente alla penna di Cuneo (in verità riproduceva il «Prospetto» divulgato ad aprile), il periodico, manifestò subito i sentimenti risorgimentali e repubblicani che lo ispiravano. In esso, infatti, L'Italiano spiegava per quale motivo «una Società d'Italiani, si propone pubblicare nei sabbati d'ogni settimana un giornale, collo scopo di mantener vivo, e fomentar sempre più tra i nostri compatriotti, che vanno ogni giorno aumentando di numero in questi paesi, quello spirito di nazionalità, ed amore alle repubblicane istituzioni, di cui l'Italia abbisogna per costituirsi in uno stato solo, libero, e indipendente». E subito dopo, per ribadire i principi mazziniani a cui si sarebbe attenuto, il periodico aggiungeva: «Lo spirito di nazionalità proposto come uno dei fini all'Italiano, non sarà quello gretto e meschino, che fondandosi sulla teoria del diritto consacra l'odio contro lo straniero come principio necessario di conservazione; ché anzi caldi amatori della causa dell´Umanità ci studieremo con ogni sforzo elevarlo affratellandolo armonicamente colle altre individualità nazionali, dandogli per base il dovere».

Il periodico, che riprendeva una testata mazziniana nata a Parigi nel 1836 e graficamente si ispirava all'Apostolato Popolare fondato a Londra nel 1840 dallo stesso Mazzini, e da cui trasse molti articoli 12 , nonostante le attese e le aspettative non ebbe tuttavia grande fortuna. In un certo senso, concentrato com'era esclusivamente sulle questioni italiane, lo stesso Garibaldi -così ipotizza Alfonso Scirocco -potrebbe non averne condiviso l'indirizzo, in quanto trascurava quelle che erano le idealità umanitarie e cosmopolite della Giovine Europa 13 .

Furono stampati soltanto 8 numeri della prima serie e altri 17 l'anno successivo, dopo una lunga interruzione. Alla resa dei conti, come lamentò lo stesso Cuneo nel numero del 3 luglio 1841, gli emigrati italiani a Montevideo che prima lo avevano spinto a tentare l'impresa si dimostrarono più interessati ai propri affari che alla politica, agli ideali e, dunque, alle riflessioni di un giornale 14 .

Storia della stampa italiana in Uruguay 20 11 L'Italiano, giornale, in «Apostolato Popolare», n. 2, 25 luglio 1841. 12 Sulla testata della seconda serie de L'Italiano, come richiamo alle idee mazziniane a cui si ispirava, comparvero anche la sigla G.I. (Giovine Italia) e le parole Libertà, Uguaglianza, Umanità, Indipendenza e Unità. 13 Alfonso Scirocco, Giuseppe Garibaldi, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 74-75. 14 G.B.C. (Giovan Battista Cuneo), Dell'opportunità di pubblicare L 'Italiano, in «L'Italiano», 3 luglio 1841. periodico con la testata de Il Popolo, di cui non esistono tuttavia testimonianze concrete e dirette 18 . È possibile che la confusione sia stata generata dal fatto che Cuneo, trasferendosi nel Rio Grande do Sul, il 2 maggio 1840 subentrò a Rossetti che aveva abbandonato da tempo l'incarico di redattore del periodico O Povo 19 che significa «Il popolo», del quale due anni prima aveva elaborato il «Prospetto» per dare una mano all'amico che aveva più dimestichezza nel maneggio delle armi che nell'uso della penna. Anche in questa breve occasione Cuneo, che curò gli ultimi cinque numeri, dal 155 al 160, perché il 23 maggio la tipografia fu distrutta dalle truppe imperiali e il giornale cessò le pubblicazioni, andò esponendo principi e idee per la formazione di una Repubblica democratica, ritenendo -come scrisse nell'editoriale del primo numero da lui diretto, che la Repubblica fosse «la sola forma di Governo che, unica, può consentire lo svolgimento armonico di tutte le facoltà umane» 20 .

«Il Legionario Italiano» per Montevideo sotto assedio

Nella Montevideo assediata, per dare voce all'impegno dei diversi gruppi immigrati, furono pubblicati giornali scritti anche in inglese (The Britannia andMontevideo Reporter, 1842-1844) e in francese (L'Écho Français, 1843). In questo contesto si inserì l'ultima avventura uruguayana dell'instancabile esule mazziniano che mediante la stampa de Il Legionario Italiano intendeva «mantenere ardente lo spirito di patriottismo dei legionari italiani» 21 . Con tale foglio distribuito gratuitamente Cuneo si adoperò per dare un'impronta mazziniana a quella prima forza militare formata da esuli politici ed emigranti che un domani avrebbe potuto essere anche impiegata nella lotta per l'unità d'Italia. Il nuovo periodico non era altro che la prosecuzione de L'Italiano, di cui manteneva nell'epigrafe le parole d'ordine mazziniane Libertà, Uguaglianza, Umanità e poi Indipendenza e Unità 22 , s'inseriva tra le diverse attività che gli emigrati Storia della stampa italiana in Uruguay 22 18 Questo giornale è citato da Nicola Bernardini, Guida della stampa periodica italiana, Tipografia editrice Salentina, Lecce 1890, p. 739. Non è improbabile che l'autore abbia raccolto e pubblicato notizie inesatte riprese poi da Fattorello, Il giornalismo italiano cit, anche al Legionario, scrivendo quasi profeticamente: «Io non dubito che anche questa [pubblicazione], appena uscita a Montevideo, muoia al quinto» 27 .

La fine del Legionario, breve o lunga che sia stata, segnò la fine di un ciclo in un certo senso precoce del giornalismo dell'emigrazione italiana, caratterizzato da entusiasmo e volontarismo a sostegno di un ideale ma sostenuto da pochi lettori.

Il periodo uruguaiano per Cuneo fu prodromico, a ogni modo, dell'attività giornalistica e politica poi svolta in Argentina, dove la presenza di emigrati italiani era ben più consistente che a Montevideo. Lasciato il Sudamerica e rientrato una prima volta in Italia (nel 1849 lo ritroviamo deputato al Parlamento del Regno sardo-piemontese) e tornato a Montevideo nel settembre 1850, infatti, Cuneo si spostò ben presto a Buenos Aires come redattore del quotidiano La Tribuna di Héctor Varela: a Montevideo l'intellettuale mazziniano aveva problemi di sopravvivenza, come confessò in una lettera del giugno 1951 all'amico Carlo Lefebre 28 . In Argentina divenne uno degli esponenti della comunità di esuli intellettuali e di emigrati, pubblicando il primo giornale italiano a Buenos Aires. All'inizio degli anni Sessanta dell'Ottocento, poi, tornò definitivamente in Italia come corrispondente del quotidiano bonaerense nonché rappresentante della Repubblica Argentina nel nuovo Regno. Morì a Firenze nel 1875. Il suo grande merito è stato quello di avere fatto conoscere in Sud America gli assiomi della «Giovine Italia» e diversi autori romantici italiani. La sua attività si caratterizzò per una crescente accentuazione del ruolo di difesa degli interessi della collettività italiana e per i toni risorgimentali dei suoi scritti che trovavano buona accoglienza nei sempre più marcati fermenti politici liberali rioplatensi, e ne assecondavano così gli empiti patriottici. Alle idee mazziniane s'ispirarono, infatti, anche i movimenti latinoamericani di liberazione nazionale.

Sfumano i toni risorgimentali

La vicenda del giornalismo etnico italiano, per altri venti anni ancora si mosse sostanzialmente sulla scia dell'esperienza politico-editoriale di Cuneo. Dopo un silenzio durato tredici anni, tuttavia, la stampa italiana ricomparve a Montevideo, durante il governo di Gabriel Pereyra. Nel 1859, infatti, è segnalata la pubblicazione del periodico Guerra d'Italia diretto dallo scrittore Giacinto Marchisio Moreno. Di quel giornale è rimasto soltanto il nome 1 . Moreno, invece, diventò un personaggio importante della colonia italiana, sia come giornalista (avrebbe scritto anche per giornali blancos come la Reforma pacífica e La Opinión Nacional), sia come fondatore di diverse e qualificate testate etniche, alcune delle quali, come vedremo, tra le più accreditate.

Un'impresa certa quanto effimera e per certi versi azzardata, a ogni modo, fu quella tentata nello stesso anno dal milanese Teodoro Silva che, con la condirezione di Moreno, diede vita a La Speranza, «giornale politico, letterario e commerciale», il primo quotidiano italiano in Sud America destinato agli immigrati. Si trattò di un giornale che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto soddisfare le necessità informative della colonia peninsulare che in quegli anni stava crescendo. Nel 1860 gli italiani nel paese erano 20.000 e, secondo calcoli fatti dal viceconsole Lorenzo Chapperon, soltanto quattro anni dopo erano 8.416 in più. E dopo un decennio di intensa immigrazione, nel 1870 gli italiani presenti nel paese registravano un incremento eccezionale arrivando alla ragguardevole cifra di 70.000, per lo più stanziati a Montevideo e dintorni. Era una presenza qualificata e rispettata. Lo stesso Chapperon segnalava in un rapporto che la comunità italiana si presentava come la più interessante in ragione degli elementi di cui era composta 2 .

Quando apparve il quotidiano La Speranza, però, il numero dei potenziali lettori era chiaramente inadeguato per sostenere un'attività editoriale di buon 25 1 N. Bernardini, Guida della stampa periodica italiana cit., p. 739. 2 Rapporto del sig. Lorenzo Chapperon, R. Vice-Console a Montevideo, in data 31 dicembre 1864, La Repubblica Orientale dell'Uruguay, in «Bollettino Consolare del Ministero per gli Affari Esteri», vol. III, Tip. B. Paravia e comp., Torino 1865, pag. 522-523.

Capitolo 3

livello. Nonostante quel nome fiducioso nel futuro, il quotidiano, stampato in piccolo formato nella Tipografia Contrada di Calle 25 de Mayo, così, non ebbe fortuna: durò soltanto dal primo ottobre al 22 novembre 1859, un mese e mezzo e poco più.

L'insuccesso del quotidiano di Silva e Moreno, scoraggiò altre iniziative immediate. Quello che seguì alla chiusura del giornale italiano, oltretutto, fu un periodo drammatico per il paese lacerato da lotte intestine per la conquista del potere. Soltanto quattro anni dopo, al termine del governo guidato da Bernardo P. Berro, mentre l'esercito di don Venancio Flores avanzava verso Montevideo nella sua «Cruzada libertadora», il 1º gennaio 1864 presso la Tipografia Liberal, Carlo Mascarello diede vita al trisettimanale (martedì, giovedì e sabato) Il propagatore italiano, «organo di interessi economici e politici». La direzione fu affidata ad Alessandro Pesce, forte di esperienze analoghe fatte in Italia dove aveva diretto Il Proletario di Torino (5 luglio-30 settembre 1849). Al giornale collaborò anche Giacinto M. Moreno.

La linea moderata e la dichiarata neutralità con cui Il propagatore di Mascarello e Pesce intendeva promuovere la concordia patriottica tra gli italiani affinché a sua volta essa spingesse alla conciliazione delle diverse tendenze politiche locali, in quei tempi convulsi, quando schierarsi era quasi naturale e obbligato, non consentirono la sua affermazione. Di grande formato, il trisettimanale durò così soltanto fino al 29 settembre, pubblicando in tutto 113 numeri. Si era presentato ai lettori con un ridondante editoriale, ma in effetti era impegnato a difendere gli interessi delle élites economiche dell'emigrazione italiana che, da una parte, non intendevano inimicarsi il governo Berro senza, dall'altra, arrivare al punto di appoggiarlo contro Flores.

Il propagatore italiano, , si presentava ricco di articoli e cronache nelle prime due pagine, dedicando le altre due a comunicati consolari rivolti ai cittadini italiani lì residenti, alle attività portuali e agli annunci commerciali. Molto vicino alle autorità diplomatiche e, dunque, di tendenza monarchica, il giornale condusse una dura polemica con il settimanale bonaerense L'Italia del giorno diretto dal cremonese Luigi Daniel Desteffanis, giornale di tendenza repubblicana ispirato al programma federalista di Carlo Cattaneo e con simpatie per le tesi di Proudhon, che appoggiava apertamente la rivoluzione di Flores e il Partito Colorado, sostenitore dei gruppi popolari urbani di Montevideo e degli immigrati (il Partido Blanco conservatore, rappresentava invece gli interessi della borghesia agraria dell'interno e i grandi proprietari terrieri).

Il giovanissimo Desteffanis (aveva allora 25 anni e di lì a poco si sarebbe trasferito a Montevideo dove il caudillo gli procurò la cattedra di Storia all'Università) accusava Il propagatore di sostenere la monarchia che aveva sbarrato il passo a Garibaldi in Aspromonte, sebbene il periodico avesse partecipato con entusiasmo alla campagna di mobilitazione lanciata in Italia per acquistare un milione di fucili da dare alle truppe di Garibaldi per la conquista di Roma e di Venezia 3 . La polemica tra i due periodici scaturiva specialmente dalle diverse posizioni sull'assetto istituzionale dell'Italia: al Propagatore italiano stava bene anche monarchica, mentre L'Italia del giorno preferiva una repubblicana e federale.

Direttore del quotidiano «L'Italia» e messaggero diplomatico

Il 1864, a ogni modo, fu un anno di fermenti per il giornalismo dell'emigrazione italiana che già all'epoca manteneva solidi contatti con quello dell'altra sponda del Plata. Il 16 dicembre dello stesso anno, infatti, Gustavo Minelli, intelligente quanto sfrontato avventuriero (si improvvisò anche medico e ingegnere) che fu professore all'Università di Buenos Aires 4 , città in cui aveva pubblicato una Rivista mensile per gli italiani con la collaborazione del genovese Benito Priuli, fece uscire a Montevideo, dove si era trasferito, il primo numero del quotidiano del pomeriggio L'Italia. Liberale e anticlericale, con le parole Patria e Libertà in bella vista sulla testata, per poco più di un mese il giornale fu stampato nella tipografia dei fratelli Marella. Al giornale collaborò anche Luigi Desteffanis, che nel frattempo si era installato a Montevideo dove, in seguito, divenne un leader più ascoltati all'interno della collettività italiana.

Il quotidiano di fatto fu l'organo del conte Raffaele Ulisse Barbolani, dal 1862 rappresentante diplomatico del nuovo Regno d'Italia, particolarmente attivo nelle iniziative di pacificazione dell'area del Plata 5 . Minelli, dapprima Giornalismo d'informazione 27 3 L. Fabbri Cressatti, Periodismo italiano en el Plata cit.,pp. 42. 4 Per una ricca biografia di Minelli si rinvia a: Edoardo Piva, Una pagina della vita di un avventuroso polesano in America. Gustavo Minelli, in Miscellanea in onore di Roberto Cessi, vol. III, Edizioni di Storia e letteratura, Roma 1958, p. 91-102. Gustavo Niccolò Giovanni Luigi Minelli nacque a Rovigo il 30 giugno 1831 dal tipografo e litografo Antonio Minelli e da Luigia Kiriakri e morì misteriosamente a Las Palmas, nelle Canarie, dopo avere girato mezzo mondo per studiare gli uomini più che vedere i monumenti come scrisse al re Vittorio Emanuele II in una lettera senza data riportata nel saggio di Piva. Minelli era fuggito dalla sua città natale nel 1848 per andare a Venezia e arruolarsi in un «corpo italiano» (si veda: Luigi Barbirolli, Cronaca rodigina. 1 giugno 1848 -1 gennaio 1853, a cura di Luigi Lugaresi, Minelliana, Rovigo 1983, p. 58. Arrivò per la prima volta in Sud America tra novembre e dicembre del 1859, sbarcando a Montevideo dopo tre mesi di navigazione. Subito dopo si trasferì in Argentina e all'università di Buenos Aires fu nominato «profesor catedrático di Historia universal y filosofía de la Historia».

repubblicano intransigente, con la frequentazione di Barbolani, presto «si convertì» alla monarchia che aveva unificato l'Italia, allineandosi alla volontà di ventidue milioni di italiani che avevano ormai accettato la monarchia 6 , convinti che la monarchia fosse ormai simbolo di unità e sentimento nazionale.

Il tentativo montevideano di Minelli, ugualmente, non ebbe fortuna. Furono stampati soltanto 28 numeri. Il 18 gennaio 1865, infatti, il quotidiano fu chiuso d'autorità dal Capo Politico di Montevideo che intimò a Minelli, minacciato nel frattempo anche da un redattore del giornale uruguayano L'Artigas, di lasciare il paese in 24 ore. Forse non era andata a genio, al governo e al giornalismo blanco, il tono anticlericale, massone e liberale del quotidiano. O forse, come è più probabile, il fatto che L'Italia fosse emanazione di Barbolani che in una lettera al ministro degli Esteri di Montevideo Antonio de Las Carreras, definì Minelli suo «segretario volontario» 7 .

Nel corso di quella permanenza a Montevideo, Minelli fu utilizzato anche come messaggero diplomatico nella mediazione tra il governo blanco, all'epoca guidato da Atanasio Aguirre, e il caudillo Flores, missione che era stata affidata al ministro plenipotenziario del Re d'Italia. Minelli si spostava così da un campo militare all'altro per recapitare i messaggi del ministro d'Italia. Questo suo ruolo «diplomatico» non lo salvò dall'ostilità del governo a cui, a quanto pare, il quotidiano L'Italia non piaceva. Vano fu l'intervento di Barbolani per fare ritirare il provvedimento. In una dura lettera di protesta all'ultra conservatore ministro degli Esteri, inutilmente il diplomatico italiano arrivò perfino a minacciare ritorsioni 8 .

La storia del giornale (quattro pagine, sei colonne) finì lì, anche se Minelli fin dal primo numero si era impegnato per «arruolare» corrispondenti tra gli abbonati e gli stessi lettori, in modo di allargare, pubblicando a puntate anche un suo romanzo d'appendice su una storia ambientata in Sardegna dove aveva in precedenza lavorato, la diffusione su entrambe le sponde del Plata. In effetti, la frequentazione argentina di Minelli era ben evidente. Il quotidiano prestava molta attenzione agli avvenimenti di Buenos Aires, città che considerava italiana e nella quale gli immigrati primeggiavano in ogni settore 9 . Gran parte della stessa pubblicità che occupava per intero la quarta pagina proveniva da aziende italiane di Buenos Aires e in ciò s'intravede anche lo zampino di Bar-Storia della stampa italiana in Uruguay 28 6 L. Fabbri Cressatti, Periodismo italiano en el Plata cit.,p. 43. 7 Nella lettera a Vittorio Emanuele II, invece, Minelli si definì «segretario onorario». 8 bolani che era accreditato anche nella capitale argentina. Per il resto le pagine de L'Italia, furono occupate prevalentemente da temi politici e da articoli in difesa di Barbolani. A puntate, e con grande spazio, il giornale avviò la pubblicazione degli «Elementi di Statistica» di A. Moreau de Jonnes, tradotte e annotate dallo stesso Minelli, materiale giornalisticamente indigesto anche per i canoni dell'epoca.

A Minelli viene attribuita una intensa attività giornalistica. Ancora prima di dare vita a L'Italia, avrebbe, infatti, tentato altre imprese editoriali. Tra il 1863 e il 1864 avrebbe pubblicato il periodico monarchico L'Italiano e quindi, ancora nel 1864, L'Europa. Entrambi i periodici sono citati soltanto nel repertorio di Bernardini pubblicato nell'Ottocento, senza altre conferme 10 . Nello stesso periodo, secondo la stessa fonte, gli italiani immigrati avrebbero avuto a disposizione anche un giornale mazziniano, L'Italia del giorno, del quale era direttore il dottor Bartolomeo Odicini, massone, medico della famiglia Garibaldi e, col grado di tenente, chirurgo e combattente nella Legione Italiana 11 .

Se L'Italia non ebbe fortuna, la testata non si perse e, come vedremo, più volte è stata riproposta in futuro. La sua scomparsa, a ogni modo, spinse ad altre immediate iniziative.

La rivoluzione di Flores aveva trionfato e la vita di Montevideo riprendeva con ritmi nuovi. Per la comunità italiana era diventata ormai un'acquisita esigenza avere un proprio organo di stampa. Meno di due mesi dopo, il 2 marzo 1865, nacque allora Il Garibaldino, periodico trisettimanale della sera di carattere politico e informativo (usciva martedì, giovedì e sabato) in formato piccolo. Come complemento di testata aveva le parole «Libertà, Verità, Politico e informativo».

Il periodico, diretto da G. B. Montanaro e di proprietà del tipografo Mario Marella e dei fratelli, si dichiarò subito «senza patrocinio diplomatico» quasi per prendere le distanze dal predecessore legato a filo doppio al ministro d'Italia in Uruguay e rimarcare così la propria indipendenza.

Pur tuttavia Il Garibaldino, al suo apparire rese omaggio al conte Barbolani, riconoscendogli di avere operato per la pace in Uruguay. Ma soprattutto, presentandosi ai lettori, nel primo numero inneggiò al generale Flores definendolo «il Garibaldi orientale» ed esaltandone la rivoluzione, mediante il recupero -come nota Luce Fabbri -di alcuni concetti della presentazione del Propagatore Italiano. Anticlericale in maniera evidente, prudente nella soluzione istituzionale in Italia (evitò di pronunciarsi sulla monarchia), Il Garibaldino fu una vera e propria meteora e si spense il 30 marzo, dopo avere stampato soltanto dodici numeri. Come romanzo di appendice riuscì a pubblicare meno di cinquanta pagine dell'opera «Giuseppe Garibaldi» di G. S. Marchese 12 . Al posto del Garibaldino e come sua naturale prosecuzione, dal 1° aprile i fratelli Marella proposero il periodico della sera Il Commercio Italiano, trisettimanale, stampato in 4° il martedì, giovedì e sabato, che si spense il 30 settembre 1865 dopo avere pubblicato 75 numeri. Evitando quanto più possibile di occuparsi di temi politici (nonostante una pretesa neutralità, come gli altri giornali italiani rifletteva però l'atteggiamento della colonia favorevole al Partito Colorado, e non mancò di protestare per il ritorno dei gesuiti autorizzato da Flores), il giornale si concentrò soprattutto sull'industria e i commerci della collettività italiana. In un certo senso, con Il Commercio Italiano nasceva un nuovo giornalismo. Le questioni risorgimentali che per alcun i decenni avevano appassionato migliaia e migliaia di immigrati, erano ormai sempre più sfumate. L'Unità d'Italia era stata fatta e il giornale, pubblicando sciarade e indovinelli accanto alle notizie, tentava di conquistare un pubblico di lettori che andasse oltre il gruppo degli esuli politici arrivati per primi a Montevideo 13 . Ma non ebbe, ugualmente, grande presa tra i lettori e fu costretto a chiudere dopo una manciata di mesi.

La strada, a ogni modo, era ormai aperta verso un giornalismo d'informazione che facesse da ponte con la madrepatria. Esso si poteva avvantaggiare, oltretutto, del miglioramento tecnologico delle tipografie di Montevideo. Il 3 marzo 1863 era stata inaugurata, nella tipografia del giornale El Siglo, la prima rotativa a vapore nel paese, capace di stampare 2400 copie di giornale ogni ora. Erano migliorate anche le comunicazioni interne e internazionali e ciò aiutava l'avvio di un sistema informativo più veloce e moderno.

Dopo un silenzio protrattosi per alcuni anni (almeno per le notizie giunte fino a noi), nel settore del giornalismo in lingua italiana si registrarono alcune esperienze fugaci che potremmo anche definire minori. Una di queste fu il settimanale La Zanzara, che fece la sua comparsa a Montevideo domenica 8 agosto 1869. Modesto nel piccolo formato, stampato a tre colonne, si presentòtono canzonatorio e ricco di vignette -come un «giornale Lirico-Coreografico-Satirico-Burlesco», convinto tuttavia di svolgere un compito critico, allo stesso tempo utile e morale 14 .

Qualcuna di queste esperienze è addirittura sconosciuta alla Bibliografia Nazionale. È il caso del quotidiano L'Unità italiana, giornale democraticocommerciale come si legge nel complemento della testata, che pure ebbe buona accoglienza da parte dei lettori, esaurendo ben presto le scorte di numeri arretrati da consegnare ai nuovi abbonati 15 . Il quotidiano apparve nel giugno 1871 ed era attivo anche l'anno successivo 16 La sede del giornale era situata nell'ufficio dell'America. Stampata a cinque colonne, L'Unità italiana era un foglio fortemente critico della realtà locale. Così lo giudicò anche La Stella d 'Italia, settimanale scientifico e informativo con redazione anonima apparso il 2 giugno 1872, che costituisce apparente-15 Avviso, in «L'Unità italiana», 16 giugno 1871. 16 Così N. Bernardini, Guida della stampa periodica italiana cit., p. 739. Un giornale con la stessa testata, tuttavia, è citato come esistente anche nel 1870: cfr. Scoperta di un manoscritto, in «Bibliografia Italiana, Giornale dell'Associazione libraria italiana», anno IV, 1970, p. 123. Nel Fondo Gnecchi della emeroteca delle Raccolte storiche italiane di Milano si conserva però il n. 16 del 16 giugno 1871, anno 1°. 17 Bossi nel 1869 avrebbe fondato anche un giornale che si sarebbe chiamato «L'Italia». In esso avrebbe lavorato pure Luigi Desteffanis (cfr. È morto Desteffanis, in «L'Italia al Plata», 1 settembre 1899). 18 Dopo l'esperienza montevideana, Nicola De Siano rientrò in Italia facendo l'avvocato a Roma. Tentò anche un'avventura elettorale, con scarso seguito e dunque senza successo. 19 Nel 1869, Giuseppe Anfossi pubblicò un appello sulla Nazione Italiana di Buenos Aires per promuovere una Società dei pensatori liberi che si stava formando a Napoli e in una lettera del 18 novembre dello stesso anno scrisse al deputato napoletano Giuseppe Ricciardi aderì a un'assise anticlericale «per protestare contro le antinazionali e dispotiche pretese del Papa-re» (cfr. L'Anticoncilio di Napoli del 1869, promosso e descritto da Giuseppe Ricciardi, Stabilimento Tipografico, Napoli 1870, p. 244). Amico di Bartolomeo Bossi a cui la dedicò, nella tipografia del giornale Anfossi stampò una sua famosa lettera -datata Montevideo 12 novembre 1871 -indirizzata a Papa Pio IX «voglioso di dominio», nella quale contestò all'ultimo dei Papa-re pretese temporali ed errori di ordine religioso (cfr. Lettera di Giuseppe Anfossi a Sua Santità Pio IX vescovo di Roma, Tipografia Italiana di B. Bossi, Montevideo 1871). 33 mente un'anomalia nel panorama politico in quanto, benché fondato e diretto da Anfossi, dimostrava simpatie per i blancos quando la colonia, all'epoca costituita da 25 mila residenti, era da sempre e lo sarebbe stata anche in futuro più vicina ai colorados 20 .

La vita de La Stella d'Italia -12 pagine, uscì per 5 domeniche fino al 30 giugno -non fu certo facilitata dal periodo in cui essa nacque, il momento cruento e drammatico dello scontro finale tra Lorenzo Batlle, capo del governo colorado, e il blanco Timoteo Aparicio (la cosiddetta «Revolución de las lanzas», 1870-1872). Il giornale sostenne la neutralità degli italiani nella contesa, posizione già espressa dal Console generale d'Italia e Incaricato d'Affari Giovanni Battista Raffo il quale, in un dispaccio del 16 novembre 1870 al governo 20 Secondo Mario Dotta Ostria, la posizione della Stella d 'Italia, in Dal 1° agosto 1872 al 15 dicembre del 1873, presso la Tipografia Liberal furono stampati anche quindici numeri de Il Balilla. Voluto dagli alunni del Collegio italiano «Cristoforo Colombo» il quindicinale era redatto da Oscar Ortiz, Paolo Fossati, Domenico Repetto e Giovanni Saráchaga. Formato ridotto, semplice nella grafica a due colonne, più che un periodico d'informazione, com'era evidenziato sotto la testata, fu soltanto «un giornaletto scolastico».

Tempo di quotidiani

Per avere un quotidiano italiano di spessore, che anche in Uruguay desse il via al giornalismo coloniale inteso come trattino di congiunzione tra memoria e futuro, a conferma del solido legame tra emigrazione e stampa di collettività, tra storia dei giornali e storia dell'emigrazione stessa 1 , bisognò attendere il 1878.

Tra il 1873 e il 1877, che pure si sono caratterizzati come anni intensi per il flusso immigratorio, si registrò un vuoto nel quale la stampa italiana sembra essersi inabissata. Alla fine di tale quinquennio, per iniziativa di Giacinto M. Moreno circolò per sei mesi il quotidiano L'Eco d 'Italia 2 . Il giornale apparve domenica primo luglio 1877 e si spense nel mese di dicembre successivo: l'ultimo numero sarebbe stato diffuso proprio il 31 dicembre 3 . Nessuna copia è arrivata fino a noi e su questo foglio si hanno solamente poche e incerte citazioni di giornali uruguayani degli anni successivi e alcune segnalazioni che abbiamo rintracciato sulle pagine della coeva La Patria di Buenos Aires fondata pochi mesi prima da Basilio Cittadini. Da esse si ricavano giudizi opposti. Secondo Luce Fabbri, che poggia il suo giudizio dalla stampa etnica locale, L'Eco d'Italia era redatto in una confusione di lingue («somigliava alla Torre di Babele») 4 . La Patria, che ci fornisce la data di fondazione, lo accolse invece molto bene dandone un immediato giudizio positivo («ottimamente, confratello egregio») proprio perché si presentava nell'agone giornalistico agguerrito dal punto di vista linguistico, nonché «simpatico», con veste grafica elegante e modi garbati 5 , ma soprattutto affidabile, tanto da diventare una fonte d'informazione sugli avvenimenti uruguayani per il quotidiano bonaerense. In effetti, il legame tra i quotidiani delle due sponde del Plata deve essere stato intenso, nonostante una qualche concorrenza: La Patria, infatti, aveva lettori in Montevideo e dal 1° agosto affidò alla «Libreria Manicot fratelli Fermepin Successori» di via 25 Mayo 255, il compito di raccogliere nuovi abbonamenti 6 . Purtuttavia, per esempio, L'Eco d'Italia sposò l'appello della Patria per aiutare il Comitato Repubblicano di Genova ad acquistare la casa natale di Giuseppe Mazzini, avviando una raccolta di fondi anche a Montevideo: «Desiderosi di concorrere e di rispondere allo appello che pure si fa alle Colonie Italiane del Plata, invitiamo i nostri concittadini -scrisse L'Eco -a non mostrarsi indifferenti a questa nobile e giusta riparazione» 7 . Inoltre, il quotidiano montevideano aveva una linea politica molto simile a quella della Patria, cioè repubblicana, liberale e anticlericale, come dimostrato apertamente con il numero del 20 settembre per festeggiare Roma capitale d'Italia quando uscì con «i magici tre colori» della bandiera italiana. La vita de L'Eco, però, non deve essere stata prosperosa. Il 10 dicembre il giornale si presentò in due pagine soltanto e il giorno dopo non fu stampato 8 . Forse si spense lì o forse, come indicano altre fonti, tirò avanti fino alla fine dell'anno.

Da quel momento a intermediare le notizie che giungevano dall'Italia ci provarono diversi fogli che si sforzavano anche di chiarire ai nuovi e ai vecchi arrivati la situazione e i mutamenti politico-sociali del Paese. Destinato a scopi non informativi il quindicinale mazziniano Libera Ausonia che ostentava le parole d'ordine «Pensiero e azione», organo ufficiale della massoneria dell'Uruguay che fu stampato in piccolo formato nella tipografia Rúis e Becchi dal 1°o ttobre 1881 al dicembre successivo 9 , a dominare il mercato dell'informazione italiana furono alcuni quotidiani. Il primo di questa nuova fase è L'Italia nuova, giornale politico, commerciale e letterario del mattino, di buona qualità, con «redazione anonima», fondato e diretto da Giuseppe Anfossi, come abbiamo visto reduce di altre esperienze editoriali. Grande formato (69 centimetri), quattro pagine a sei colonne, due delle quali di pubblicità, il quotidiano apparve il 6 gennaio 1878 stampato nella tipografia de La Nación. Rivolgendosi «Ai giornali nazionali» per l'usuale saluto, scrisse: «La nostra bandiera e insignita dello stemma dell'umanità, della libertà, dell'unione, della fratellanza». Cessò le pubblicazioni con il numero 576 del 31 dicembre 1879. Per due anni, dunque, fu al servizio della comunità, tutelandola nei rapporti con le autorità e assecondandola nelle aspirazioni di radicamento e di successo nella realtà uruguayana. La redazione era composta da pochi giornalisti: assieme ad Anfossi -e comproprietari della testata -c'erano anche Giacomo Biancheri e Giovacchino Odicini y Sagra 10 , figlio di Bartolomeo già chirurgo della Legione italiana e medico della famiglia Garibaldi. Per il primo anno (in seguito fu corrispondente da Genova), tra i redattori c'era anche Camillo Barrett, ligure di 27 anni, che a 16 aveva combattuto nella Campagna dell'Agro Romano, ferito e catturato nella battaglia di Mentana, e subito dopo aveva varcato l'oceano per esiliarsi a Montevideo 11 . Dei redattori de L'Italia Nuova conosciamo i volti, grazie a una foto con l'anziano Anfossi seduto al centro col giornale in mano, foto con dedica sul retro 12 donata a Barrett quando a fine 1878 rientrò in Italia per stabilirsi come «speciale corrispondente» dello stesso quotidiano a Genova 13 , dove nel maggio 1887, in seguito a decreto presidenziale, fu nominato anche vice console della Repubblica Orientale 14 .

Le notizie su L'Italia Nuova, sebbene scarse come accade per tanti periodici di cui è difficile rintracciare copie ancora conservate, consentono di delineare anche il carattere coraggioso e battagliero che portò il giornale allo scontro con il governo militare e verso la chiusura.

Il giornale di Anfossi, con il motto «Uno per tutti e tutti per uno» ben in vista accanto alla testata (mezza frase a sinistra e mezza sulla destra), si presentò «Ai giornali nazionali» affermando che la sua bandiera era «insignita dello stemma dell'umanità, della libertà, dell'unione e della fratellanza», e portò avanti senza esitazioni una linea politica anticlericale, di ispirazione mas- 13 Archivio privato Edoardo e Paolo Barrett, Tortona (Alessandria), Lettera di nomina di Camillo Barrett a corrispondente da Genova del quotidiano L'Italia Nuova, Montevideo, 5 ottobre 1878. Questo il testo della lettera su carta intestata a rilievo e timbro ovale dell'amministrazione del giornale: «Egregio Signore e Amico, partendo Voi per l'Italia, ove intendete stabilire la vostra residenza, i sottoscritti proprietari-redattori del Giornale "L'Italia Nuova", riconoscendo le vostre attitudini e la coltura vostra, approfittano ben di cuore l'opportunità per nominarvi speciale Corrispondente di detto Giornale alle già espresse e reciproche condizioni. Augurandovi ottimo viaggio e prospere sorti, hanno l'onore di stringervi la mano e protestarsi vostri Devoti servi ed amici/ G. Odicini y Sagra/ Giacomo Biancheri/ Il Direttore Giuseppe Anfossi». sonica e radicale, che poggiava sul binomio Cavour-Mazzini, linea dichiaratamente antagonista al dispotismo golpista 15 , con l'aggiunta di una intonazione antimperialista, sicuramente precoce rispetto a quella che in futuro avrebbe caratterizzato le sinistre latino-americane 16 . Si era, però, in pieno militarismo, durante la dittatura di Lorenzo Latorre che non gradiva di certo il giornalismo democratico caratteristico della colonia italiana. Il giornale, che si batteva, tra l'altro, anche contro la pena di morte e per la concessione del diritto di voto agli emigrati almeno nelle elezioni municipali, ebbe allora un duro conflitto con il governo che non poteva accettare quelle richieste e tantomeno le critiche sui temi economici e amministrativi e sull'elefantiasi dell'esercito. Ma soprattutto, il governo, considerava intollerabile la campagna promossa da L'Italia nuova contro le prepotenze dei militari. Attorno al giornale, sostenuto oin gran parte dagli avvisi pubblicitari che occupavano più di due pagine delle quattro disponibili, a Montevideo si creò così un clima d'odio ben presto degenerato. Anfossi, che all'epoca aveva 78 anni, fu malmenato e ferito da un militare nel corso di una manifestazione svoltasi il 5 agosto. L'anziano garibaldino non drammatizzò l'episodio ma protestò energicamente con i militari. Tuttavia, anche per evitare altri guai, il 20 dicembre 1878 preferì lasciare il giornale a un altro amministratore (forse a Giuseppe M. Navarro, originario di Legnano, giornalista e ardente patriota che si batté contro il dominio austriaco, giunto da poco a Montevideo dove si era fatto subito apprezzare) 17 . Congedandosi dalla redazione -come riferì anche El Negro Timoteo, periodico «politico, satirico e burlesco» diretto da Washington P. Bermúdez, l'unico foglio dichiaratamente d'opposizione al tempo di Latorre -indirizzò una lettera ai lettori e alla stampa di Montevideo per disconoscere la paternità di un articolo apparso su un giornale genovese e a lui attribuito, spiegando di avere «provato il più grande disgusto» leggendolo, trattandosi di «un articolo infamante dell'onorevole e generosa popolazione di questa capitale e della Repubblica dell'Uruguay» 18 . Nei mesi successivi, a ogni modo, riprese la propria attività al quotidiano.

Iniziava proprio allora una fase molto intensa e impegnativa della stampa di comunità sulla sponda orientale del Plata già interessata da consistenti flussi migratori, una fase che proseguì con la pubblicazione di alcuni quotidiani che 15 Il male del paese, in «L'Italia Nuova», 5 febbraio 1878. 16 L. Fabbri Cressatti, El aluvión inmigratorio italiano cit,, p. 58.

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furono firmati da Luigi D. Desteffanis e Giovacchino Odicini y Sagra, i quali diedero inizio a una stagione ricca e coraggiosa del giornalismo etnico che fu sostenuta da gran parte della collettività italiana 19 .

Come giornale politico, commerciale, artistico e letterario, redatto da Desteffanis, Odicini y Sagra e Francesco Passano 20 e amministrato da Luigi Teja, nel mese di agosto 1879 apparve L'Era Italiana, un quotidiano di grande formato, moderno nei caratteri e impaginazione tradizionale con titoletti in nero e notizie tutte a seguire. Il giornale aveva sede in via Treinta y Tres 115-117 e usciva dalla rotativa della Stamperia Renaud Reynaud.

Si pose subito in concorrenza con L'Italia Nuova e, con la campagna abbonamenti avviata nel settembre dell'anno successivo, quando il giornale entrava cioè nel secondo anno di vita, mise in atto quella che l'amministratore con grande enfasi definì «una miglioria colossale, inaudita nei fasti della Stampa italiana nella Repubblica dell'Uruguay», e cioè un «premio straordinario eccezionale», un regalo misterioso riservato esclusivamente agli abbonati. Sempre dal 1° settembre 1880, nell'intento di acquisire nuovi lettori iniziò, gratis per gli abbonati, la pubblicazione della «Biblioteca dell'Era Italiana», dispense settimanali «di 16 pagine grandi, stampate su carta di lusso e con nitidi tipi» 21 .

L'amministrazione, oltre che sul «regalo» agli abbonati, ovviamente puntava a incrementare le vendite valorizzando l'organizzazione editoriale e i contenuti del giornale che in quei giorni si era meritato il plauso dei colleghi di entrambe le sponde del Plata: L'Era Italiana, secondo l'amministratore, era «un Giornale che […] tratta quotidianamente le più importanti questioni, segue attentamente le lotte politico-parlamentari-economiche che si succedono in Italia, dà in un solo numero, all'arrivo di ogni piroscafo dal vecchio mondo, più notizie che altri in tre numeri». Inoltre, vanto dell'Era Italiana erano: la rete di «corrispondenti particolari» a Genova, Roma, Milano; la squadra di collaboratori formata dalle «più chiare intelligenze della Colonia italiana in Montevideo», un servizio telegrafico speciale ed esclusivo diretto da ogni paese del Mondo che nessun'altro giornale di Montevideo aveva e, infine, un'Appendice quotidiana dedicata al Commercio mentre non era indifferente, «come i giornali politici di vecchia scuola», alle lettere, alle scienze, alle arti e al teatro 22 . 19 D. Alvarez Ferretjans, Historia de la Prensa en el Uruguay cit., p. 254. 20 Francesco Passano fu molto presente nelle attività delle istituzioni comunitarie. Ricoprì, tra l'altro, l'incarico di presidente della commissione per la costituzione della Dante Alighieri e fece parte del consiglio direttivo della Camera di Commercio Italiana di Montevideo. 21 Il primo volume fu la «Storia d'Italia dai primi tempi fino ai giorni nostri». A seguire era annunciata «I Martiri d 'Italia» di Atto Vannucci. Per tutte queste cose, evidentemente, si qualificò come «organo pubblico degl'interessi e dei sentimenti della nostra colonia nell'Uruguay» o almeno così lo ritenne il comandante della Regia Corvetta Caracciolo in navigazione nel Sud America che aveva fatto una tappa lunga due mesi anche a Montevideo, accolta festosamente dalla comunità italiana 23 .

L'Era Italiana, in politica, fu specchio dei sentimenti di gran parte degli immigrati italiani, con evidente soddisfazione diede la notizia della nomina di Garibaldi a presidente onorario dei club politici colorados, sostenne il Partito Colorado di cui pubblicò il manifesto tradotto in italiano, non esitando a schierarsi contro il generale Máximo Santos, uscendo indenne, con meraviglia del vice console italiano Eugenio Perrod. Questi segnalò a Roma la violazione della libertà di stampa e le devastazione dei giornali La Razón, El Plata, e La Nación da parte di una turba di sostenitori armati del generale e sottolineò che il quotidiano italiano, pur avendo pubblicato articoli insolenti nei confronti di Santos e del presidente della Repubblica, per i quali in qualsiasi altro paese, monarchico o repubblicano che fosse sarebbe stato condannato non solo a una forte multa ma anche a una sospensione per diversi mesi, se la cavò senza subire alcuna minaccia contro gli uffici e i redattori 24 . 23 Da L'Era italiana si staccò una parte della redazione e dalla fusione con L'Italia Nuova, dove il vecchio Anfossi era uscito di scena, il 12 ottobre 1882 nacque L'Italia, quotidiano politico, commerciale, artistico e letterario, stampato in formato grande (70 centimetri), 4 pagine e 6 colonne, con gerente proprietario Giuseppe M. Navarro, redattore capo Luigi D. Desteffanis e redattore Giovacchino Odicini y Sagra. Li affiancavano Francesco Passano e un tale D'Arcais. Collaboravano al giornale, inoltre, alcuni repubblicani italiani tra cui Angelo Luisi 25 e Giosuè E. Bordoni 26 . Il quotidiano mantenne la linea politico-editoriale democratico-radicale, contraria ai governi in divisa dell'epoca. Anche per tale motivo si potrebbe parlare, in verità, di una continuazione di entrambe le esperienze editoriali precedenti, se non fosse che L'Era Italiana, con altri giornalisti, proseguì ancora per poco le sue pubblicazioni. Una continuazione, a ogni modo, fu per i fondatori i quali proseguirono la numerazione de L' Italia Nuova. La fondazione de L'Italia, con redazione in via Misiones e tipografia propria dotata di una moderna rotativa «a vapore e a gaz» utilizzata anche per stampare libri e altri giornali per conto terzi, rappresentò un notevole salto di qualità sia in termini editoriali sia in termini giornalistici veri e propri. Il quotidiano aveva redattori e corrispondenti anche in Italia e diventò il punto di riferimento di tutta la colonia italiana di cui divenne difensore. Espressione degli ambienti massonici della colonia, il giornale mantenne sempre una linea democratica, «di quella democrazia sana e ragionevole atta ad affratellare gl'Italiani sul lontano continente d' America» 27 .

Fu ovviamente un giornale anticlericale e nel 1882 accusò apertamente i gesuiti, indicandoli come i «neri», di essere responsabili dell'incendio divampato nella Loggia Garibaldi durante la celebrazione del funerale massonico dell'eroe, un tragico episodio che causò la morte di 18 persone, 19 feriti gravi e un centinaio di contusi tra i presenti alla cerimonia, per i quale L' Italia il 13 25 La morte del generale, a ogni modo, a Montevideo ebbe un forte impatto emotivo, lasciando attoniti i suoi sostenitori 29 : «Dominati dalla più profonda tristezza, comunichiamo ai nostri lettori -scrisse L'Italia in poche righe nell'immediatezzauna triste notizia che è arrivata questa mattina da Genova. Ieri, 2 giugno, morì a Caprera il Generale Giuseppe Garibaldi. Il nostro stato d'animo non ci permette di aggiungere nemmeno una parola a questa terribile disgrazia che getta l'Italia nel lutto. Vedremo domani».

Come i giornali liberali uruguayani, il quotidiano fu anche antimilitarista, posizione che lo portò allo scontro con il governo del generale Máximo Santos attaccandolo per gli atteggiamenti illiberali sulla stampa, un tema molto caro da sempre ai massoni del Sud America 30 . La direzione Desteffanis e Odicini y Sagra, severa nei confronti dei governi nella difesa dei diritti degli immigrati, non ebbe mai cedimenti. I due nel periodo della dittatura di Santos finirono anche in carcere.

D'altra parte la difesa dei connazionali costituiva uno degli obiettivi genetici del quotidiano. E L'Italia dimostrò vocazione in tante piccole e grandi occasioni, e in maniera clamorosa nel febbraio del 1882, quando due operai oriundi di Padula in provincia di Salerno, Raffaele Volpi e Vincenzo Patrone, arrestati con l'accusa di aver commesso un crimine a Montevideo, l'assassinio di un giovane francese a scopo di rapina, furono indotti a confessare mediante tortura 31 . Il caso ebbe una notevole copertura giornalistica anche da parte della stampa di Montevideo e dell'interno di diverso orientamento politico e ideologico 32 . Il quotidiano italiano insorse e protestò ritenendo l'episodio come il culmine di un'intollerabile violenza poliziesca esercitata contro gli stranieri, e assieme al Circolo Napolitano spinse il vice console Perrod, in quel momento anche Incaricato d'affari, ad accertarsi personalmente dello stato di salute dei due carcerati sottoposti a inumane sevizie. Accompagnato da un medico militare italiano in servizio sulla cannoniera Sicilia, Perrod si recò nel carcere centrale situato nel Cabildo. Le autorità uruguayane gli fecero vedere due persone che 29 47 passeggiavano a distanza spacciandole per i due italiani arrestati. La messinscena fu scoperta presto. Volpi e Patrone, scarcerati per mancanza di prove il 21 marzo, furono condotti nel Circolo Napolitano dove una perizia medica accertò le violenze subite. La collettività italiana indignata, sostenuta dal giornale, protestò fermamente. Il giorno dopo, in un lungo articolo, L'Italia raccontò la drammatica permanenza in carcere dei due «napoletani» tenuti per un mese in catene, frustati e picchiati con bastoni 33 e il 24 marzo, il giornale pubblicò per intero le dichiarazioni di Volpi e Patrone i quali, oltre a parlare delle torture subite, affermarono di non aver incontrato Perrod e il medico che lo accompagnò in carcere al Cabildo: Volpi mostrava diverse cicatrici sul corpo che attribuì «alla tortura del ceppo, subita per tre giorni consecutivi e in ore prestabilite nel mese appena trascorso», mentre Patrone presentava «una piccola ma profonda ferita irregolare» tra le sopracciglia sul lato sinistro causata da un calcio ricevuto mentre stava ai ceppi. Entrambi, infine, presentavano paralisi delle braccia e avevano dei denti rotti. Anche la stampa nazionale, come documenta Nicolas Duffau 34 , diede conto delle denunce di tortura e il quotidiano La Razón, a nome del popolo uruguayano, in un editoriale si scusò con gli stranieri chiedendo perdono per le atrocità commesse nei loro confronti, scrivendo che «mai tanta malvagità, tanto cinismo, tanta sfacciata impunità» si erano verificati nei posti di polizia 35 .

La collettività italiana se la prese anche con le autorità diplomatiche italiane accusate di essere state prese in giro dai funzionari della prigione. La situazione divenne tesa e si arrivò alla rottura delle relazioni diplomatiche tra Italia e Uruguay: la Legazione il 26 marzo venne chiusa e Perrod scortato dai marinai della nave Caracciolo presente in rada, era pronto a lasciare il Paese 36 . Lo stesso dittatore Maximo Santos presentò le scuse ufficiali al plenipotenziario italiano. Le tensioni tra i due paesi avevano dato fiato anche a un atteggiamento antitaliano della stampa nazionale. Accadde così che vari direttori di giornali furono arrestati in seguito a una denuncia fatta dal Ministro italiano in Uruguay, per avere riprodotto sulle loro testate le «vili calunnie» pubblicate da El Diario di Buenos Aires. Il corpo diplomatico a Montevideo, tra cui anche il rappresentante italiano, chiesero il loro rilascio ritenendo ingiusta la detenzione e il trattamento ricevuto in carcere e tre giorni dopo -il 20 luglio 1884 -furono rilasciati, tutti tranne il futuro presidente della Repubblica José Battle y Ordoñez 37 . 33 Gravissimo, in «L' Italia», 22 marzo 1882. 34 N. Duffau, ¿El Infierno en Babel? cit. 35 El crimen de Cabildo, in «La Razón», 23 marzo 1882. 36 La vicenda è ricostruita in J. A. Oddone, Una perspectiva europea del Uruguay cit., p. 28n. 37 Con la vicenda Volpi e Patrone, a ogni modo, L'Italia si guadagnò sul campo il consenso degli emigrati italiani e non solo come difensore della collettività. Consolidò così, anche sotto l'aspetto economico, la propria presenza nella collettività. Cosa molto importante, infatti, il giornale era visto come un'impresa economica oltre che un veicolo di idee: «L'Italia -si legge in un editoriale di fine 1884 -è di chi scrive e l'amministra, i quali vivono appunto dei quattrini di coloro che leggono. Se ci si rimettesse soltanto un centesimo al giorno, a quest'ora avremmo chiuso negozio da un pezzo» 38 .

«Nata in tempi torbidi» e dopo avere sfidato «tremende procelle», entrando nel suo settimo anno di vita L'Italia andava orgogliosa per avere tenuto alto il vessillo tricolore e le parole Italia e Libertà 39 . Liberale ma senza per questo «essere organo di una fazione determinata», il giornale era certo di avere conquistato «le simpatie de' buoni italiani». Le accuse di antichi commilitoni repubblicani di essere diventato ormai un foglio monarchico, non intaccavano le sue sicurezze: «Alla questione istituzionale -scrisse -noi diamo oggi una importanza assai minore di una volta. Urge combattere il prete anzitutto, controtutto dappertutto. Urge combatterlo nelle Repubbliche come nelle monarchie» 40 .

Il quotidiano, infatti, non dubitava di essere rimasto fermo al servizio dei compatrioti, continuando a rappresentarne gli interessi e le necessità materiali e immateriali: «Letta da una Colonia di brava gente -assicurò -[L'Italia] continuerà ad avere una forma popolare, ad essere scritta alla buona sì, ma con coscienza ed amore» 41 . Con la coppia Desteffanis e Odicini y Sagra alla direzione, le pagine del giornale contribuirono ad alimentare l'ammirazione nei confronti di Garibaldi e la costruzione del mito.

Quelli stampati allora furono tutti giornali di formato grandissimo (115 centimetri in altezza), ben curati, che riservavano le prime due pagine ad articoli politici, offrendo in complesso un panorama di notizie molto ricco. Con frequenza quotidiana, questi giornali si occupavano dei diversi aspetti della vita della colonia: parlavano delle attività culturali, organizzavano collette per aiutare le vittime di catastrofi in Italia, si rendevano autonomamente promotori di iniziative sui temi dell'emigrazione, raccontavano le attività delle associazioni italiane e di quanto si faceva per la difesa dei diritti degli immigrati 42 , spesso esposti all'arbitrio della polizia. E naturalmente pubblicavano notizie provenienti d'oltre oceano. 38 L' Italia. Politica, Cultura, Arte, Letteratura. Anno VII, in «L'Italia», 31 dicembre 1884. 39 Il nostro anniversario, in «L'Italia», 12 ottobre 1884. 40 Ibidem 41 L'Italia. Politica, Cultura, Arte, Letteratura. cit. 42 Cfr. Ketty Corredera Rossi, Inmigración italiana en el Uruguay , Proyección, Montevideo 1989, pp. 106-107. Forte e comprensibile, anche per i motivi finanziari che derivavano da tale rapporto, fu il legame del giornale con le élite dell'emigrazione. L'Italia affiancò con continuità le attività degli imprenditori italiani, mediante contatti quotidiani con la Camera di Commercio di Montevideo, la prima rappresentanza commerciale italiana costituita, nel 1883, all'estero grazie anche al «clima ricettivo e di attesa» creato dalla stampa di comunità, e dall'impegno dei leader della colonia che facilitarono l'iniziativa avviata dal console generale Pasquale Corte 43 . Nella logica di mettersi al servizio della collettività con il fine di essere utile così alla Madre Patria (e a sé stessi), L'Italia mise generalmente a disposizione della Camera di Commercio le proprie pagine. E quando accadde che l'organizzazione imprenditoriale aveva difficoltà ad avviare un proprio Bollettino, come aveva deciso subito dopo la sua costituzione, il quotidiano si offrì di risolvere il problema «gratuitamente»: «A conferma di quanto abbiamo avuto l'onore di parteciparle verbalmente quest'oggi -scrissero Giuseppe Navarro e Odicini al presidente Alessandro Talico -le dichiariamo con la presente che, desiderosi di essere utili, nel limite delle Nostre forze, a questa Camera di Commercio […], offriamo la pubblicazione gratuita nel nostro giornale "L'Italia" del primo Bollettino che questa Camere intende dare alla luce per il 19 cor. […]. Nutriamo fiducia che l'offerta disinteressata che abbiamo l'onore di farle, sarà presa in considerazione dalla S. V. Illus. e dagli Onorevoli suoi Colleghi» 44 . D'altra parte L'Italia aveva fatto parte dei promotori dell'istituzione camerale, fornendo un sostegno pratico al console Corte nel promuovere le assemblee che portarono alla costituzione. Segnalò, infatti, l'invito del console a tutti i commercianti per la riunione del 29 settembre 1883, evidenziando anche i benefici che ne sarebbero derivati anzitutto alle esportazioni italiane, in quanto gli imprenditori della Madre Patria avrebbero potuto «avvantaggiarsi dei consigli e della esperienza dei commercianti stabiliti all'estero, sul modo di preparare gli articoli per renderli accettabili alle piazze di consumo, e per vincere nella perfezione e qualità e nel condizionamento, la concorrenza straniera» 45 .

Di certo, c'è da credere, l'offerta del quotidiano non era poi tanto interessata, vista la reclame delle aziende italiane in Uruguay sulle sue pagine. Sempre in questa logica di sostenere l'attività dei commercianti italiani, Giuseppe Navarro, anche a nome di Odicini, subito dopo scrisse ancora per offrire una collaborazione mediante la pubblicazione di articoli sull'economia, sull'industria e sul commercio per rendere così «un nuovo omaggio a questa istituzione la qual certo saprà meritarsi la stima della nostra Madre Patria» 46 .

La Camera di Commercio pubblicò, in seguito, un proprio Bollettino commerciale, industriale, marittimo e finanziario riguardante le imprese italiane in Uruguay 47 ma ciò non significò un disimpegno del quotidiano. L'Italia, infatti, continuò la propria opera di affiancamento, sostenendo le iniziative, occupandosi dei prodotti italiani, segnalando anche alle autorità peninsulari quelli che potevano riscuotere successo, come ad esempio il vino, un prodotto ben accolto nel piccolo stato del Plata: «L'Italia deve far ogni sforzo -auspicò -per rendere accetti i suoi vini alle due Americhe, e per aprirsi una vasta via di sfogo ai medesimi sui mercati americani» 48 .

I positivi risultati dell'impresa editoriale consentirono al giornale di beneficiare dei primi progressi tecnologici che interessarono anche le altre testate uruguayane, trasformando l'attività giornalistica tra fine Ottocento e principio del Novecento. La rotativa a vapore e a gaz della sua tipografia è un esempio. Ma anche la rapidità delle trasmissioni delle notizie grazie al telegrafo prima e al telefono dopo, nonché le nuove tecnologie di stampa, accelerarono lo sviluppo del quotidiano imponendogli un mutamento radicale rispetto al modello di giornalismo prevalente fino poco tempo prima, legato a toni e contenuti risorgimentali, a favore di un giornalismo informativo. Questo cambiamento tuttavia, almeno per L'Italia e per i periodici comunitari, non produsse mai sensazionalismo e fece a meno dei temi seducenti introdotti nel 1883 da Joseph Pulitzer, che toccarono punte elevate di attenzione grazie a William Randolf Hearst dopo il 1886.

Nome nuovo, «L'Italia al Plata»

Proprio nel 1886, L'Italia cambiò la testata e divenne L'Italia al Plata quotidiano del mattino diffuso inizialmente in 4000 copie e considerato ancora, e per molto tempo, l'organo più importante della laboriosa colonia italiana. Il La prima pagina del quotidiano L'Italia al Plata (Biblioteca Nacional Montevideo)

Cambia la t e s t a t a : da L'Italia a L'Italia al Plata

quotidiano era guidato da due letterati che avevano scelto il giornalismo come professione quasi esclusiva, facendo della redazione un cenacolo di incontro e discussione per scrittori e poeti. Odicini era un apprezzato scrittore, corretto «allo stesso modo nella lingua di Cervantes che in quella di Boccaccio», oltre che un ammirato poeta e traduttore di opere dall'italiano allo spagnolo ben noto anche oltre i confini nazionali 49 . Assieme a Desteffanis, anche lui uomo di grande levatura, i cui scritti furono determinanti per la diffusione della cultura italiana nell'Uruguay del secondo Ottocento, diresse il giornale con grande intelligenza tanto che si conquistò un'ottima reputazione e grande considerazione 50 . Come giornalisti, all'epoca, i due furono il meglio di quanto la colonia potesse esprimere. Desteffanis, abbiano visto, fin da giovane si era dedicato alla carta stampata sia come giornalista che come letterato e studioso. Già all'opera in Argentina, trovò a Montevideo il luogo ideale per esprimersi al meglio. Fu giornalista e fu docente universitario di Storia Universale, incarico dal quale nel 1884 fu sollevato bruscamente dal governo autoritario del gen. Máximo Santos -con grande scandalo e indignazione da parte di tutta la stampa uruguayana e argentina che accusò l'esecutivo della Repubblica Orientale di nazionalismo esasperato 51 -per non essersi fatto «trascinare dalla corrente dell'entusiasmo artiguista» 52 e avere scritto sul quotidiano L'Italia un articolo critico sulla figura di José Gervasio Artigas, proprio nel momento in cui il nazionalismo montante lo stava rivalutando. Dopo un periodo di emarginazione Desteffanis fu reintegrato dal successivo governo di Máximo Tajes che, nel quadro di una politica tesa al consolidamento della pace interna con il ritorno alla normalità, abrogò il decreto di Santos e gli restituì la cattedra.

Il percorso umano e professionale di Desteffanis, per molti aspetti, sembra parallelo a quello di Basilio Cittadini che sull'altra sponda del Plata nel 1877 aveva fondato il quotidiano La Patria (poi La Patria Italiana e, infine, La Patria degli Italiani) il più importante organo di stampa dell'emigrazione italiana in tutto il mondo 53 . Come Cittadini, Desteffanis era repubblicano. Col tempo, però, entrambi annacquarono la loro posizione ideologica, prendendo atto che l'Italia unita era monarchica e diventando alquanto moderati, pur mantenendo un anticlericalismo radicale e liberal-massonico alla base del loro impegno culturale e professionale. Culturalmente molto attrezzato, dunque, per riconoscimento unanime Desteffanis fu uno dei leader della colonia italiana e dalle colonne del giornale svolse una «fecondissima e multiforme opera culturale» 54 . Scrisse per diversi giornali nazionali, dal quotidiano La Tribuna a El Siglo. Nel 1898 fu tra i fondatori e fu eletto primo presidente della sezione montevideana della «Dante Alighieri», l'Associazione da poco fondata in Italia dal poeta Giosuè Carducci.

I giornali, si sa, somigliano agli uomini che li fanno. E negli anni Ottanta-Novanta dell'Ottocento il giornalismo etnico italiano in Uruguay è quello espresso dalla coppia Desteffanis-Odicini y Sagra, fatto di grandi passioni e abbastanza moderno nei canoni espressivi e nelle tecniche informative. Assieme hanno guidato L'Italia al Plata fino a quando il primo marzo 1896, in seguito a cambiamenti intervenuti nella proprietà (il 27 dicembre 1895 era morto Giuseppe M. Navarro, inizialmente rimpiazzato dal fratello Luigi), rimase al vertice il solo Odicini y Sagra che, a giudizio del girovago conte Angelo De Gubernatis, orientalista e letterato, la «diresse con amore e senso di calda italianità» 55 . Desteffanis restò tuttavia al giornale come capo redattore. Alessandro Radici subentrò come gerente e amministratore della nuova impresa editrice. Fu Radici, con una sua nota, a garantire ai lettori che il cambiamento non avrebbe influito per nulla nella linea del quotidiano che avrebbe continuato «la sua pacifica e patriottica missione», proprio perché sarebbe stato ancora diretto da Odicini y Sagra che in passato aveva dato «prova di una circospezione che aveva dato all'ITALIA le simpatie di tutti i partiti» e «la cui prudenza e imparzialità è giustamente apprezzata da quanti riconoscono le difficoltà speciali contro cui lotta all'estero un giornale italiano» 56 .

Il rilancio della testata puntava anche su un rinnovato impegno dei redattori che -Radici non mostrava dubbio alcuno -«consacreranno i loro sforzi a mantenere l'importanza e l'autorità che L'ITALIA AL PLATA si è acquistata nella stampa cittadina» 57 . A tal fine furono incrementati il servizio telegrafico, le corrispondenze dall'Italia, il numero dei giornali da cui trarre informazioni, tutto per offrire un servizio migliore ai lettori. Un grande sforzo a cui la nuova amministrazione aggiunse anche l'invio gratuito agli abbonati, a partire dal mese di aprile successivo, del periodico a colori L'Italia illustrata, diretto anch'esso 54 Evi Camussi Calvi, Influenza italiana nella cultura rioplatense, 1853-1915, CNR, Roma 1967 da Odicini y Sagra 58 . Al di là degli sforzi e delle novità editoriali, il 1896 fu un anno complicato per il quotidiano, come lo fu per tutta la stampa uruguayana. In quell'anno si verificò, infatti, la sollevazione del «caudillo rural» Aparicio Saravia che segnò il ritorno alle lotte fratricide e il governo intimò ai giornali -che con un documento firmato anche da Odicini y Sagra protestarono con forza affermando l'incostituzionalità del provvedimento di censura -di non occuparsi di cose politiche, un bavaglio che, di fatto, in quei momenti turbolenti li rendeva meno interessanti agli occhi dei lettori.

Il sodalizio Desteffanis-Odicini y Sagra, a ogni modo, si interruppe per la morte del primo avvenuta il 31 agosto 1899, nel cordoglio generale della collettività italiana, del mondo accademico e giornalistico. Per i due giorni successivi il giornale uscì listato a lutto, dedicando la prima pagina alla morte e ai funerali dell'intellettuale scomparso e pubblicando anche un ritratto di Desteffanis. Formalmente, il vecchio professore al momento del decesso era ancora redattore capo e, in tale veste, sebbene assente dal 12 giugno quando esplose la malattia che l'avrebbe portato alla morte, aveva fatto in tempo a vedere una «riforma» grafica e un ulteriore potenziamento editoriale del giornale che nel frattempo si era stabilito nella nuova sede di via del Rincón.

Con l'incarico di Segretario di Redazione, nel frattempo, una nuova brillante firma era diventata popolare tra i lettori, quella di Arturo Pozzilli che era entrato al giornale a metà del 1897 ed era ormai pronto a sostituire Odicini y Sagra. Fu proprio Pozzilli, che si firmava anche Adelio, a spiegare il significato dei mutamenti che riguardavano soprattutto l'afflusso più veloce delle notizie (alla «valigia» di giornali e informazioni proveniente dell'Italia con le navi, lentamente furono sostituiti, grazie anche a un accordo con La Patria degli Italiani di Buenos Aires, i telegrammi delle agenzie e quelli propri), il rafforzamento del numero dei corrispondenti dall'Italia e dall'interno, l'acquisizione di nuova pubblicità: «Questo giornale -che per noi è passione e cura suprema -sia per voi, lettori, bandiera. Questo foglio è vostro. Tra esso e voi corre continua, reciproca una corrente di pensiero e di affetti che incoraggi e conforti nel quotidiano lavoro», scrisse Pozzilli 59 .

In quel momento la redazione era composta da 15 giornalisti, oltre a direttore, capo redattore e segretario di redazione. Alcuni di essi erano forti di esperienze fatte anche in Italia, com'era il caso di Ettore Vollo e di Pietro Barozzi, un noto editore veneziano che si era trasferito al Plata.

L'assalto dei giornali politici

Nel panorama della stampa d'immigrazione degli ultimi venti anni del XIX secolo i giornali in lingua italiana continuarono a essere la maggioranza rispetto a quelli editi da altre comunità immigrate. E tra i giornali italiani, il monopolio de L'Italia e poi dell'Italia al Plata nella colonia di immigrati di fatto fu inattaccabile. Alcune iniziative, tuttavia, già negli anni Ottanta nacquero tentando senza grandi risultati di sottrarre lettori e avvisi commerciali al quotidiano di Desteffanis e Odicini y Sagra.

Si conosce poco o niente del periodico L'Artista, diffuso nel 1881 e dal nome si ha ragione di ritenere che si sia trattato di un periodico di nicchia. Nel 1883, però, si presentò ben agguerrito il quotidiano L'Indipendente, «giornale della democrazia». Fu fondato e diretto da Salvatore Nicosia, detto Totò, una vita scalmanata, «presunto giornalista» secondo il ministro plenipotenziario italiano in Argentina 1 anche se aveva fatto importanti esperienze anche in Brasile dove ritornerà in anni successivi con ruoli di protagonista nella collettività 2 , un imprenditore siciliano considerato sovversivo, cognato dell'on. Giovanni Bovio che aveva sposato sua sorella Bianca. Il giornale, amministrato da Cesare Noceti, stampato in grande formato nella propria tipografia, apparve il 3 agosto 1883 e restò in vita fino al 2 settembre 1885, caratterizzandosi per la vis polemica nei confronti di altri fogli di Montevideo. L'Indipendente non ebbe grande successo, nonostante la sua vivacità e il confronto durissimo col Partito Nacionalista, cose che spinsero Nicosia a misurarsi in diversi duelli che infiammarono l'ambiente giornalistico del paese: a 28 anni il focoso siciliano si era battuto già 15 volte, prima della sfida con il deputato David Buchelli che portò in carcere i duellanti e due testimoni, Ingegneri e Pollari.

Capitolo 5

Fogli precari di fine Ottocento nostante la sua origine italiana, era intervenuto in Parlamento dicendosi contrario al progetto di un monumento a Garibaldi. L'opinione espressa dal deputato non piacque ai dirigenti della comunità italo-uruguayana. Garibaldi era già considerato una bandiera e guai, quindi, ad attaccarne la memoria o non riconoscere quanto aveva fatto per l'Uruguay e per l'Italia. Nicosia reagì a suo modo e dalle pagine dell'Indipendente si scagliò contro il parlamentare. Il conflitto ben presto degenerò tragicamente 3 .

Dopo i due anni montevideani fatti di protagonismo e disavventure, Nicosia varcò il Plata e a Buenos Aires fondò e diresse, un giornale che chiamò ancora L'Indipendente. Entrò nel Circolo Repubblicano Italiano, tenendo conferenze e scrivendo articoli per L'Amico del Popolo diretto da Gaetano Pezzi, forse conosciuto nel gennaio 1885 durante una visita fatta a Montevideo dall'esponente mazziniano. In Argentina, finalmente, Nicosia «fece l'America» ma non con il giornalismo: si arricchì, infatti, con alcune speculazioni su concessioni di terreni fiscali. Sia in Uruguay e sia in Argentina, infatti, il giornalista siciliano si era legato a un gruppo di personaggi che frequentavano circoli affaristici, avventurieri dediti a traffici di ogni tipo.

Ribattezzato «il barone dalla cravatta rossa» per la sua «scarlatta democrazia» -a sentire Giuseppe Gaya che ne scrisse sul Giornale d'Italia di Buenos Aires in un articolo del 1916 che prendeva spunto da un episodio che vedeva protagonista suo figlio Americo -Nicosia era un tipo che lasciava buoni ricordi dovunque si recasse.

«Qui a Montevideo -scriveva Gaya -lo ricordano ancora direttore dell'"Indipendente" ai tempi di Santos. Al Perù lo rammentano come console dell'Uruguay, all'Argentina e al Brasile come tribuno e giornalista. […] In giornalismo ebbe epoche felici, soprattutto quando era redattore del "Jornal do Brasil" a Rio de Janeiro e corrispondente del "New York Herald", "Prensa" e "Diario". Così pure nel Chile, come corrispondente degli stessi giornali e redattore della "Tarde" di Santiago» 4 .

Nei primi anni del Novecento, Nicosia ottenne dal governo cileno un'importante concessione di terreni considerati «fertilissimi» impegnandosi in un progetto di colonizzazione nel Comune di Lumaco (Provincia di Malleco) dove fondò la Colonia «Nuova Italia» 5 . Era ancora attivo nel primo dopoguerra, scrivendo su un giornale italiano antifascista. Nicosia, tuttavia, rimase molto legato alla capitale uruguayana nella quale ritornò ottenendo importanti riconoscimenti dal governo che lo nominò anche suo console 6 .

Mentre ancora si pubblicava L'Indipendente, un altro quotidiano cercò di farsi spazio tra gli italiani di Montevideo e Buenos Aires. Si chiamò La bandiera italiana, giornale politico, letterario e commerciale di tendenza liberale; aveva una tipografia propria e sebbene fosse sostenuto da una forte presenza di pubblicità la sua vita fu alquanto breve: uscì, infatti, dall'1 gennaio al 15 luglio 1885 (155 numeri). Datato Montevideo-Buenos Aires non è dato conoscere se nella capitale argentina arrivasse il giornale stampato in quella uruguayana oppure venisse distribuita una edizione gemella ma autonoma. Direttore del nuovo quotidiano fu Ettore Vollo, il quale l'anno successivo fondò anche L'Avvenire italiano, prima di trasferirsi in Argentina: a La Plata nel 1886 diresse L'Avvenire Rioplatense, a Buenos Aires collaborò all'Indipendente di Nicosia e quindi andò a rafforzare la redazione del quotidiano La Patria Italiana di Basilio Cittadini, l'organo più importante della colonia italiana.

Vollo fu un giornalista di buon mestiere e pieno di entusiasmo, orgoglioso di avere combattuto battaglie patriottiche per giustizia, verità e unità del paese; già da studente aveva aderito alle idee di Mazzini e successivamente era stato redattore del Dovere e direttore del giornale radicale La Bandiera di Napoli. Poi, come tanti della sua generazione, emigrò in Sud America, accarezzando l'idea di fondare un giornale tutto suo. Per tale motivo aveva colto l'opportunità trovata in Uruguay -non si conosce se con risorse proprie o messe a disposizione da qualche imprenditore locale -di dare vita a un giornale che però si rivelò di scarsa presa sui lettori italiani. Eppure le premesse sembravano buone. Quindici giorni prima della pubblicazione del primo numero. Vollo diffuso il programma del suo giornale tra gli italiani di Montevideo e fece incontri pubblici anche con potenziali lettori, raccogliendo, così almeno sostenne, consensi diretti e tramite lettere e biglietti. «Noi avemmo la buona certezzascrisse con ottimismo nell'editoriale di presentazione in cui spiegò ancora principi, intendimenti e linea che La Bandiera Italiana avrebbe seguito -d'essere stati intesi anche in tutti i più minuti particolari. E che attorno alla nostra Bandiera si raccoglierà tutta la popolazione italiana residente sulle rive del Plata» 7 .

Le duemila copie del primo numero, furono distribuite nelle prime ore del mattino di capodanno 1885. La Bandiera, in seguito, uscì tutti i giorni, tranne i festivi, alle 5 del pomeriggio. E mentre il primo numero fu quasi interamente dedicato a illustrare progetti e programmi, dal secondo incominciò a pubbli-Fogli precari di fine Ottocento 57 6 G. Gaya, Il figlio di Totò, cit. care i dispacci di un'agenzia telegrafica che si aggiungevano alle note sulla vita della colonia e a quelle dei corrispondenti in Italia. La fisionomia di giornale «notizioso», come si definì, fu completata da una sezione commerciale. Nelle intenzioni il giornale avrebbe dovuto essere un sostegno della colonia e Vollo assicurò che la sua penna sarebbe stata utilizzata per difenderla, contro soprusi, maltrattamenti e menomazioni dei diritti: «Noi vogliamo che La Bandiera Italiana sia un amico, una difesa, un confidente per tutti nostri connazionali» 8 . Il giornale, non senza un pizzico di retorica annunciava la propria intenzione di stare «sempre ferma e calma, decoro e difesa dei nostri fratelli» 9 .

Le aspettative e le speranze che elettrizzavano il clima della redazione di via 25 de Mayo 445 durante la preparazione del primo numero alla vigilia del nuovo anno, si scontrarono presto con tante difficoltà, proprio perché la risposta insufficiente di quei «fratelli», le «scaramucce con la parte avversaria» all'interno della stessa collettività italiana, i contrasti politici locali resero progressivamente precaria la stessa esistenza del giornale che fu costretto a chiudere. Prima di essere «ammainata» -lo scrisse il fervente mazziniano Aurelio Saffi alla pasionaria socialista Anna Kuliscioff in una lettera del 15 maggio 1885 -La Bandiera Italiana condivise l'iniziativa di una raccolta di fondi per gli esuli russi in Italia 10 .

Vollo fu «costretto» ad abbandonare l'Uruguay dopo avere preso parte al tentativo insurrezionale che si era registrato a Montevideo nel marzo 1886 (la cosiddetta Revolución del Quebracho), sul quale, una volta riparato in Argentina, scrisse un libro-testimonianza 11 . Il suo rapporto con l'Uruguay riprese, più, intenso agli inizi del nuovo secolo, quando si dedicò al giornalismo uruguayano abbandonando quello italiano, al quale ritornava raramente dietro insistenza dei colleghi tra i quali, anche a distanza di anni, aveva lasciato ottimi ricordi. Fu dapprima redattore del quotidiano El Día che poi lo inviò a Roma come corrispondente. Quindi fu nominato console dell'Uruguay prima a Napoli e poi a Trieste che dovette lasciare, trasferendosi a Roma, appena scoppiata la guerra 12 .

Se La Bandiera Italiana di Vollo ebbe poca fortuna, ancora meno bene in quanto a durata andò al quotidiano del pomeriggio Il Pensiero italiano, diretto da Alfredo Beer e amministrato da R. de Amézaga, che si pubblicò, in grande formato, per poco più di quattro mesi a cavallo tra il 1889 e il 1890 (dal 16 novembre al 28 marzo).

Nel 1886 è segnalata anche la nascita di L'Eco degli Italiani, letterario e informativo, piccolo formato a tre colonne 13 , con redazione anonima, un giornale ancora in vita l'anno successivo ma del quale non si hanno altre notizie, mentre nel 1888 fu diffuso il settimanale del giovedì Montevideo, redatto in spagnolo e italiano e pubblicato in 8° dalla Editorial «La Uruguaya». Si trattò di un'altra meteora: apparso il 10 maggio 1888, infatti, Montevideo cessò al settimo numero pubblicato il 21 giugno successivo.

Alla fine del decennio, infine, si presentò L'Operaio Italiano di Montevideo, un giornale politico del mattino, di grande formato e otto colonne, che disponeva di una tipografia propria. Fu attivo dal 1° marzo 1889 al 28 settembre 1890 (192 numeri) 14 .

Fogli precari di fine Ottocento 59 La vicenda editoriale de L'Operaio Italiano è molto complicata e può essere distinta in due gestioni. La prima, secondo il repertorio di Scarone pubblicato nel 1943 sulla Revista Nacional 15 , vede come proprietario Giuseppe Magrini, giornalista transumante tra Montevideo e Buenos Aires 16 . La direzione, invece, fu affidata a Ugo Falconi, che in Italia aveva fatto altre esperienze professionali essendo stato, tra l'altro, redattore della Libertà di Piacenza. Amministratore, invece, fu Roberto Savastano, anche lui giornalista, che incontreremo in altre iniziative begli anni successivi 17 . Rispetto ad altre presenze editoriali in lingua italiana il quotidiano lasciò molto a desiderare e fu snobbato dalla collettività. E si può ritenere che la gestione Magrini-Falcone-Savastano sia terminata tra la fine di febbraio e i primissimi giorni di marzo del 1889 18 . L'Operaio Italiano di Montevideo potrebbe anche avere subìto una breve interruzione e una ripartenza. Sta di fatto, tuttavia, che quella che può essere considerata la seconda serie del quotidiani porta sotto la testata l'indicazione «Anno I» 19 . In aprile 1889, infatti, alla direzione c'era già Alfredo Beer con Carmine Freda segretario di redazione, mentre Savastano figurava ancora come amministratore.

In questa seconda vita, proprietario de L'Operaio Italiano fu Francesco Tocci, nipote di Felice Tocci che a New York aveva acquisito L'Eco d'Italia, il quotidiano fondato come settimanale nel 1849 dal mazziniano Giovanni Francesco Secchi de Casali 20 .

Storia della stampa italiana in Uruguay

132 99 Clara Aldrighi, Inmigrantes de rexeitamento. O antisemitismo en Uruguai (1930-1940), in «Estudios Migratorios», 9, 2000

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Redazione in Calle 25 Agosto 58, tipografia potenziata mediante l'assunzione di tipografi selezionati tra quanti sapevano «comporre possibilmente in italiano», quattro pagine giganti delle quali almeno due riservate alle inserzione pubblicitarie che non mancavano di certo, L'Operaio Italiano di Montevideo offrì ai lettori un ricco notiziario di cronaca sulla colonia, sull'emigrazione e sull'Italia (aveva anche un corrispondente a Roma). Tale notiziario era arricchito dai telegrammi dell'Agenzia Havas per le informazioni internazionali e da articoli tratti da altri giornali italiani. Il confronto con L'Italia al Plata, quotidiano dominante, si rivelò tuttavia ugualmente perdente e il giornale ben presto cessò le pubblicazioni.

Altri quotidiani ebbero anche minore fortuna. Per esempio, il quotidiano Garibaldi, diretto da Carmine Freda che ne era anche proprietario, nel quale ci fu pure lo zampino di Roberto Savastano, durò soltanto 56 numeri, dal 3 luglio 1889 al 7 settembre successivo. «Giornale degli italiani» come si definiva in prima pagina, di formato tabloid a cinque colonne, aveva sede in via Rincón a Montevideo e disponeva di una tipografia propria.

Furono anni di grandi fermenti e di interessanti risultati. Il mondo dell'emigrazione era affollato da personaggi non sempre cristallini. Molti di loro erano arrivati nei paesi del Plata con l'obiettivo di diventare ricchi e in fretta facendo speculazioni ma rientrarono in Patria più spiantati di quando erano partiti 21 . Tra essi non mancarono giornalisti, come Nicosia, Beer o Carlo Cerboni, che fu uno dei primi librai in Argentina, autore nel 1905 di un Manuale per l'emigrazione dall'Italia all'Argentina, i quali tentarono di fare affari diversi sulle due sponde del «Plata» con avventurieri arrivati per «fare l'America» e subito, come Enrico Barberi Borghini, medico romano con il quale fu in contatto a Montevideo, o ancora il marchese Adriano Colocci. A quest'ultimo, la cui avventura sudamericana si concluse tristemente senza un peso in tasca, fu affidato il compito di elaborare diversi progetti che avrebbero dovuto fare la fortuna del gruppo. Tra questi, almeno due, avevano a che fare con il mondo dell'informazione. Fino al 1890 non c'erano ancora edicole a Montevideo, e Colocci -come egli stesso ricorda -preparò un progetto per ottenere, assieme ad Alfredo Beer, la concessione per realizzare bouvettes e installare nelle strade della città «chioschi di giornali». Carlo Cerboni, poi, gli aveva affidato l'esame di una non meglio specificata «speculazione giornalistica» con il quotidiano Roma che Colocci avrebbe dovuto dirigere 22 .

Testate minori e presenze fugaci

Gli anni Ottanta furono segnati anche dalla presenza di una stampa fatta di testate «minori» e non solo d'informazione. Dal primo agosto al 26 settembre 1881 furono diffusi 9 numeri del periodico settimanale La Frusta «serio, semiserio, umoristico, satirico, letterario, artistico, ecc., ecc.». In esso si trova la notizia dell'esistenza di un altro periodico, La sveglia, pubblicato dal «Circolo Napolitano», un foglio che non figura nella Bibliografia Nazionale. Tra le tante testate pubblicate è citato anche Il Ficcanaso (sottotitolo: «Sfodererà il naso tutti i giovedì), settimanale diretto da Antonio Pisani e stampato in 4° nella tipografia de «La Bandiera italiana», che circolò dal 6 agosto al 24 dicembre 1885.

Anche le iniziative editoriali degli anni Novanta, non ebbero grande accoglienza e si rivelarono spesso vere e proprie meteore apparse nel cielo giornalistico della capitale. Il Popolo Italiano, quotidiano del mattino diretto da Carlo Agnisina, con la sua bella testata in elegante corsivo fu pubblicato per appena due mesi, dal 14 febbraio al 22 aprile 1891 (54 numeri). Sorte analoga toccò a L'Italiano, quotidiano popolare del mattino diretto da Sebastian Angeleri 23 e G. Merlo, con direzione e amministrazione in via Uruguay 42. Stampato -sei colonne -nella Tipografia «La Nueva Central», fu pubblicato dal 1° novembre 1894 all'8 gennaio successivo (55 numeri). Nell'editoriale del primo numero, L'Italiano si presentò affermando di avere un solo intento, quello di essere un giornale al servizio degli immigrati peninsulari. Per affermare la propria neutralità in campo politico, nello stesso editoriale uno dei direttori sostenne di non essere monarchico, né repubblicano e nemmeno anarchico. Eppure il giornale non si tirò indietro quando si trattò di protestare contro i soprusi e le vessazioni della polizia crispina nei confronti di socialisti e anarchici spinti all'esilio o quando -come nota Luce Fabbri -si trattò di dare notizia della vittoria dei panificatori che avevano scioperato a Buenos Aires 24 .

Altre presenze fugaci furono quelle dei primi tentativi di riviste letterarie e d'intrattenimento: il settimanale della domenica La farfalla dell'America, diretto da Genadini Capeti ed edito da Attilio Mazzucchi 25 , del quale, dall'8 luglio al 30 settembre 1894, apparvero tredici numeri stampati nella tipografia «L'Italia»; sempre nel 1894 era distribuita in omaggio ai soci della Libreria In-Fogli precari di fine Ottocento 63 24 L. Fabbri Cressatti, Periodismo italiano en el Plata cit., p. 49. 25 Trasferitosi a Buenos Aires, Attilio Mazzucchi continuò a fare l'editore ma, su sua stessa istanza, nel 1899 fu dichiarato fallito (cfr. Buenos Aires, in «Giornale della libreria, della tipografia, e delle arti ed industrie affini», vol. 12, 1899, p. 75) ternacional la rivista L'Italia della domenica; e, ancora, fu ben accolto il mensile L'Italia Illustrata, supplemento de L'Italia al Plata, che aveva come direttore Odicini y Sagra, sulle cui pagine comparvero ancora articoli letterari riguardanti il Risorgimento italiano. Si conoscono solo i due numeri di aprile e maggio 1896, forse gli unici stampati.

In campo culturale fu importante la pubblicazione della rivista mensile Dante. Ricreazioni letterarie, con sede in via Ejido 86, considerata la più conservatrice tra le riviste letterarie italiane. Era diretta da Lucio Ambruzzi 26 e Felice Vitali: sedici pagine compilate in italiano e castigliano, veniva stampata nella tipografia Goyena di Montevideo. La rivista, che era diretta alle famiglie colte di origine italiana (in particolare alle donne) aveva come primo obiettivo quello di diffondere la lingua italiana 27 , e si occupava di storia e letteratura italiana in maniera particolare. Apparve ogni domenica dal 5 agosto al 2 dicembre 1894.

Ancora. Prima di rientrare in Italia dove dal 1908 al 1935 fu docente di Lingua e Letteratura Spagnola della Facoltà di Economia e Commercio dell'Università Torino (insegnò anche alla Regia Scuola Superiore di Studi Applicati al Commercio di Torino 28 ), Ambruzzi fondò e diresse per quattro anni la rassegna settimanale illustrata Ausonia. Il periodico artistico letterario apparve il primo gennaio 1899 e cessò con il numero 158 del 28 aprile 1903. Le sue pagine ospitarono collaborazioni dei più insigni scrittori uruguayani e italiani radicati nel paese.

Non mancarono, in quel fine secolo, i numeri unici. Spesso, con la pubblicazione di un numero unico, come per ogni tipo di giornale, si cercava di raggiungere obiettivi plurimi.

È il caso dei numeri unici realizzati in occasione del 20 Settembre, la data più importante del calendario civile degli immigrati. Spicca Roma intangibile pubblicata nel 1899 e curata da Francesco Caracciolo Aratta, un elegante esemplare di rivista con copertina a colori opera dell'artista Leopoldo Bersani, pagine dense di scritti anticlericali o dedicati alla grandezza d'Italia e soprattutto tanta pubblicità: gli utili, in questo caso, erano destinati alla scuola italiana di Montevideo.

Storia della stampa italiana in Uruguay 64 26 Ispanista, direttore della Scuola italiana di Montevideo, socio fondatore della Dante Alighieri di Montevideo, membro del Círculo de la Prensa, socio corrispondente dell'Ateneo ibero-americano di Buenos Aires, viceconsole dell'Argentina, redattore dell'Italia al Plata e collaboratore di quotidiani locali, Lucio Ambruzzi (che da giovane si faceva chiamare Lucillo), è ricordato in particolare come autore di un vocabolario italiano-spagnolo e spagnolo-italiano tra i più accreditati, pubblicato per la prima volta nel 1948.

Prime esperienze di stampa operaia e anarco-comunista

Come è facile constatare la stampa italiana in Uruguay era tutta concentrata nella capitale dove dagli anni Settanta in poi si era stabilita la gran parte della massa di immigrati italiani. I più parlavano soltanto il dialetto delle regioni di origine e sconoscevano l'italiano, non molti sapevano leggere e scrivere. A volte si riunivano tra compatrioti e uno di loro leggeva a voce alta il giornale italiano perché tutti potessero essere partecipi di quello che accadeva nel paese natale e in quello di accoglienza. Ciò spiega i motivi per cui tardò ad affermarsi una stampa d'informazione di massa e le frequenti difficoltà a cui le aziende editoriali andavano incontro. Sostenute per lo più dagli avvisi commerciali destinati agli immigrati, infatti, erano soggette a crisi e chiusure per la mancanza di lettori.

Con l'arrivo in Sud America di quella massa di lavoratori provenienti da Italia, Spagna e Francia, e la nascita di una classe operaia e di un proletariato industriale, anche a Montevideo nacquero le prime associazioni di tutela dei lavoratori. «Le condizioni di vita e di lavoro del proletariato nascente erano terribili», annota Eugenio Gomez, dirigente e storico del Partito comunista uruguayano 29 , e in qualche modo era necessario attivarsi perché non si aggra- vassero ulteriormente, visto che i bassi salari imponevano mille sacrifici ai lavoratori costretti ad affollare miseri conventillos 30 .

La principale forza di tutela del mondo operaio, rafforzato dall'immigrazione europea (italiana e spagnola in particolare) era rappresentata dal movimento anarchico. Già nel 1877 esisteva una Federazione libertaria che contava duemila anarchici iscritti a cinque sezioni. Nella seconda metà degli anni Ottanta, al termine del lungo periodo di dittatura di Latorre e Santos, Montevideo fu frequentata anche dai primi agitatori anarchici, giunti al Plata. Tra essi, in primo luogo Errico Malatesta che dall'Argentina, dov'era impegnato a organizzare e sostenere il movimento operaio e dove pubblicò il primo periodico anarchico (La Questione Sociale), si spostava più volte a Montevideo per la sua azione di propaganda. In questo clima, tra la fine del XIX e all'inizio del XX secolo, si registrò una fioritura di stampa libertaria «inimmaginabile», con la pubblicazione di opuscoli, riviste e periodici, dovuta soprattutto agli anarchici 31 e quasi sempre promossa da giornalisti improvvisati e nemmeno sempre padroni della lingua in cui scrivevano.

La prima testata in lingua italiana a dichiararsi «organo degli operai» fu La Colonia italiana, un trisettimanale diretto da Roberto Savastano e stampato dal primo ottobre al 30 dicembre 1885 ogni martedì, giovedì e domenica nella tipografia «Pro Patria» (39 numeri) a Montevideo. È stato il primo periodico in lingua italiana di tendenza socialista. Impegnato a difendere il diritto di sciopero con articoli di G. Cassano, il periodico sostenne anche la lotta dei tipografi e raccontò le vicende italiane con i frequenti arresti di socialisti e anarchici. Muovendosi nella cornice dell'impegno etnico prima ancora che di classe, il giornale tentò di compattare il movimento operaio italiano distribuito nelle tante associazioni che operavano a Montevideo, tutte dirette da persone estranee alla classe operaia. L'invito all'unità, però, cadde nel vuoto (vi aderì solo il Circolo Napolitano) e La Colonia Italiana, pur ricca di avvisi commerciali, fallì il proprio obiettivo cessando ben presto le pubblicazioni.

Savastano, tuttavia, non se ne stette con le mani in mano e si devono a lui altre iniziative editoriali 32 : il quotidiano Garibaldi, di cui si è detto, e ancora L'operaio italiano, settimanale che avviò le pubblicazioni nel 1896, con poche pagine e illustrato come segnala l'Annuario della Stampa Italiana dello stesso anno, ancora in vita all'inizio del Novecento. Un'iniziativa singolare di Savastano, che ne fu proprietario e redattore responsabile, fu il settimanale La Mosca, «periodico umoristico, satirico con caricature» con spunti di taglio letterario, apparso nel marzo del 1891, con sede in via Mercedes. Si dichiarava «periodico indipendente, che dà bastonate da orbi a destra e a manca». Ricco di disegni e vignette, scritto a mano e poi stampato con cliché, al debutto si presentò molto modesto nella veste grafica. Purtuttavia, fu il più stabile tra i giornali satirici, solitamente molto fugaci e fu pubblicato fino al 1916 33 , diventando il vero impegno professionale di Savastano. Il periodico, ha scritto Checa Godoy, «benché zigzagante in politica e con gli inevitabili alti e bassi, nel suo quarto di secolo di vita, meno acido della maggioranza dei suoi colleghi, acquistò prestigio in tutto il paese» 34 .

Lo sviluppo di un movimento operaio in Uruguay vide molti italiani tra i protagonisti. E nell'intento di porre rimedio alle scarse attenzioni che la stampa quotidiana della collettività italiana dedicava alla nascente organizzazione operaia, il 18 agosto 1889 nacque Il Socialista, organo comunista-anarchico che si dichiarò «irreligioso, antipatriottico, redatto dai lavoratori», un giornale bilingue, italiano e spagnolo, con qualche nota anche in francese. Era un tabloid a 4 colonne redatto da Felice Vigliano, il nome che utilizzò Malatesta, quando nel 1891 rientrò a Lugano dove, denunciato da un confidente, fu arrestato dalla polizia. Dopo la pubblicazione di sei numeri, Il Socialista proseguì come sezione italiana del periodico bilingue La Voz del Trabajador, d'ispirazione comunista-anarchica, redatto da P. Amilcare e fondato da Raffaele Roca, un ciabattino dotato di grande oratoria che da Buenos Aires era riparato a Montevideo per sfuggire alla repressione del movimento da parte della polizia argentina.

Trasferito a Montevideo da San Paolo del Brasile, fu pubblicato anche il periodico anarchico L'Avvenire, un quindicinale irregolare («Esce quando può», scriveva sotto la testata). Fondato e diretto da Alfredo Casini il 18 novembre 1894 con redattori Giuseppe Consorti, Augusto Donati e Ludovico Tavani, in Uruguay fu stampato dal 14 luglio 1895 (n. 1)-18 agosto 1895 (n. 3) nella Tipografia La Costanza. Ancora nel 1896 a Montevideo in una «Tip. Anarquista», dopo il 20 febbraio fu stampato il n. 2 de L'Operaio (sottotitolo: Comunistaanarchico. Si dà gratis. Esce quando può). Diretto da A. Ceschi (Augusto Donati), il primo numero de L'Operaio era apparso il 2 febbraio 1896 a São Paulo Fogli precari di fine Ottocento 67 del Brasile dove operava un forte e appassionato nucleo di anarchici italiani. Furono pubblicati a Montevideo anche diversi numeri (dal 217 al 221 almeno) del Venti settembre, pubblicazione comunista anarchica settimanale che si stampò fino al 1901 a Buenos Aires.

In tale contesto, fatto per lo più di precarietà, e nonostante tutti i tentativi di proporre nuovi fogli agli immigrati, il giornale di riferimento della colonia italiana, anche nell'ultima decade dell'Ottocento continuò a essere L'Italia al Plata, da sempre impegnato, indipendentemente dai loro ideali, nella tutela di tutti gli italiani con molta frequenza sottoposti alle angherie della polizia.

Non solo a Montevideo

Se L'Italia al Plata non ebbe in quegli anni una reale concorrenza, nonostante i fermenti culturali e giornalistici nella collettività fossero intensi, non vuol dire che non ci siano state iniziative editoriali «minori», alcune anche interessanti. Sebbene non concorrenziali, infatti, furono diverse le novità d'inizio Novecento e alcune estesero la geografia del giornalismo etnico italiano in Uruguay. La stampa di giornali italiani, tuttavia, rappresentò un fenomeno nuovo sebbene modesto, utile tuttavia per dare prestigio alle colonie italiane installatesi fuori da Montevideo. Fogli etnici si proposero a Salto, città di tradizione garibaldina, e a Paysandù. In entrambe le città si erano stabilite folte comunità italiane che avevano costituito numerose associazioni, circoli e Società di Mutuo Soccorso 1 . Diretto da Arnolfo Lena Tanca, apparve per primo L' Italia Nuova (7 giugno 1903), giornale patriottico e monarchico che riprendeva la testata fondata dal garibaldino Giuseppe Anfossi. Realizzato con molti articoli tratti da altri periodici, si dimostrò una presenza fugace e sostanzialmente insignificante anche perché s'arrestò al primo numero 2 . Più impegnativa, invece, la prima esperienza di Paysandù dove dal 1° novembre al 2 dicembre dello stesso 1903, furono stampati quindici numeri del trisettimanale La Pace, bilingue italiano e spagnolo. Di tendenza monarchica, quattro pagine di grande formato (con la pubblicità sistemata in quelle interne), il periodico era concentrato esclusivamente sulla collettività italiana per la quale propugnava pace e concordia.

Due nuove testate si videro ancora a Salto, città che già dalla fine dell'Ottocento, stava dimostrando una briosa attività editoriale caratterizzata da una forte influenza italiana nei contenuti e anche nella lingua. Tra l'altro il grande scrittore Horacio Quiroga che a Salto era nato nel 1878, ancora giovanissimo, nel 1899 aveva fondato La Revista del Salto. Semanario de Literatura e Ciencias Sociales, un periodico che durò fino all'anno successivo, quando il fonda-69 tore, che su quel foglio debuttò come narratore, si trasferì in Francia. Protagonista del giornalismo etnico italiano a Salto, a ogni modo, fu il medico Vincenzo C. Alciati. A lui, infatti, si deve la stampa del settimanale L'Italia, una esperienza effimera ma non inutile. Il periodico apparve il 18 novembre e cessò col terzo numero datato 2 dicembre 1906. Si presentò alla «famiglia italiana» -all'epoca, si calcola che su diecimila abitanti della città circa 3000 erano italiani e molti di loro occupavano posti di responsabilità nella vita cittadinacon il compito di «riaccendere e tener vivo lo spirito, il sentimento di italianità». Il suo nome, spiegò ai lettori, era «una bandiera ed un programma» 3 . La presenza del settimanale, oltre che per lo spirito d'italianità profuso e gli articoli di interesse medico, non passò inosservata per alcune prese di posizione «forti», come l'appoggio alla campagna per il divorzio che l'anno successivo sarebbe stato introdotto nel Paese. Pur avendo assicurato che non sarebbe entrato in politica, L'Italia di Salto sostenne, come fece in pratica quasi tutta la colonia italiana in Uruguay, il presidente José Batlle y Ordóñez e polemizzò con gli avversari blancos contrari a un'iniziativa che Alciati aveva intrapreso per rendere omaggio a Garibaldi nel centenario della nascita. Il giornale era già chiuso e la celebrazione del centenario nel 1907 si tenne ugualmente alla presenza di almeno tremila persone. Alciati tenne il discorso principale nella cerimonia svoltasi nel teatro cittadino e dettò il testo della lapide commemorativa collocata nei locali della Società Unione e Benevolenza 4 .

In quell'occasione fu dato alle stampe un numero unico commemorativo, con la testata Giuseppe Garibaldi, al quale contribuirono intellettuali e pubblicisti italiani e uruguayani 5 . Tra essi Edmondo De Amicis, Luigi De Andreis, Guglielmo Ferrero (che si rivolge ad Alciati chiamandolo «antico compagno dell'Università»), Víctor Pérez Petit e Setembrino E. Pereda, l'autore de Los Italianos en la nueva Troya.

Qualcosa di nuovo nel mondo editoriale in lingua italiana si registrò anche a Montevideo dove nacquero alcuni modesti fogli: il quindicinale La scuola italiana che fu stampato nella tipografia «l'Italia al Plata» dal 1° giugno al 1°s ettembre 1903; e il Bollettino della Società italiana di Mutuo Soccorso -Circolo Napolitano (prima epoca 1 aprile -1 novembre 1905). Il Bollettino mensile Circolo Napolitano che apparve il 1° novembre 1910 (seconda epoca) ebbe migliore fortuna e fu stampato ininterrottamente fino al dicembre 1931 e, in altra serie, fino all'1 febbraio 1951 6 .

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Nel 1905 è segnalato ancora in vita, con redazione in calle Misiones 228, il settimanale L'Italia che si stampava già dal 1896. E sempre in Misiones 63 aveva sede un altro settimanale, L'Operaio italiano, stampato ancora nel 1906. Proprio in quest'anno -ne riferì L'Italia al Plata nel numero del 15 ottobre senza aggiungere altri dettagli sull'operazione editoriale -si parlava della imminente nascita di un nuovo quotidiano italiano ma non accadde nulla.

Per iniziativa di Guido Trenti e con molte pretese, invece, apparve Vita Moderna, rivista italo-uruguayana di letteratura, arte, teatro, industria, commercio e varietà. Un programma impegnativo divulgato a maggio 1906 -«rispecchiare il movimento intellettuale, artistico, industriale e commerciale dell'Uruguay, al quale porta così efficace contributo di attività e di progresso la collettività italiana» -avrebbe dovuto coinvolgere «la Società di Mutuo Soccorso e Ricreativa, come pure i signori industriali e commercianti» i quali avrebbero trovato «un sicuro mezzo di propaganda» facendo pubblicare in essa «fotografie e vedute di feste e riunioni, di stabilimenti, fabbriche, negozi e prodotti commerciali».

La rivista di Trenti (redazione e amministrazione in calle Marcelino Sosa), prima della pubblicazione sospettata addirittura di simpatie anarchiche, avrebbe dovuto uscire tre volte al mese ma si fermò al primo numero pubblicato il 30 giugno di quello stesso anno, sebbene vantasse collaboratori come Emilio Frugoni, Perfetto Lopez e Angelo Falco 7 .

Sorte analoga toccò a Famiglia italiana, una rivista illustrata che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere quindicinale, di cui vide la luce solo il primo numero datato 25 dicembre 1912 8 .

Nuovi giornali della dissidenza

Nella prima decade del Novecento si registrò anche una ripresa del giornalismo della dissidenza. Il movimento operaio, infatti, era maturato diventando sempre più attivo e organizzato col sostegno di una stampa fiancheggiatrice povera ma combattiva. Gli italiani, in tale ambito, furono protagonisti e non solo nel giornalismo etnico. Infatti, fu un figlio di Italiani ancora ventunenne, Edmundo Bianchi che si firmava Lucrecio Espíndola, a fondare e dirigere dal 16 settembre 1901 al marzo successivo il primo quotidiano anarchico uruguayano, El Trabajo, «difensore della classe operaia» e portavoce del Centro Internacional de Estudios Sociales, che aveva in programma di «combattere la religione, la politica e tutto ciò che sia tirannia e implichi un arretramento», come annunciò Tribuna Libertaria 9 .

Il giornale apparve in un periodo di forti tensioni sociali e manifestazioni sindacali, allo scopo di fronteggiare la stampa padronale. Nell'impresa editoriale, assieme a Bianchi, drammaturgo, poeta e tribuno anarchico che diresse anche Futuro, una rivista di ideologia rivoluzionaria 10 , in redazione si ritrovarono Pasquale Guaglianone, il drammaturgo Florencio Sánchez, E. J. Rotpey, Emilio Frugoni e José Eulorgio Peyrot.

Nel giornalismo etnico, altre testate hanno avuto un impatto notevole sul movimento operaio all'inizio del secolo. Per povertà di mezzi (vivevano di contributi volontari e sottoscrizioni) tali periodici non hanno avuto mai stabile periodicità e -qui e altrove -non hanno mai raggiunto grandi tirature. In quegli anni a Montevideo soggiornavano numerosi dirigenti anarchici intenti a fare opera di propaganda. Il clima politico in Uruguay era alquanto accogliente. La vicina Buenos Aires, che fino ad allora aveva accolto tanti libertari in fuga dall'Italia, era diventata poco ospitale in seguito all'approvazione nel 1902 della «Ley de Residencia» che, varata per arginare l'esplosiva conflittualità sociale, consentiva alla polizia di espellere o deportare gli stranieri indesiderabili, tra cui in primo luogo c'erano gli anarchici, massicciamente perseguitati 11 . Nel 1903, per esempio, a Montevideo si era stabilito e sposato anche Oreste Ristori, espulso dall'Argentina, il quale l'anno successivo si trasferì a Saõ Paolo del

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Brasile dove diede vita a La Battaglia, periodico attivo fino al 1912. Vittima della repressione crispina, dopo essere stato sottoposto in Italia alla misura del domicilio coatto, a Montevideo, trovò rifugio anche il controverso propagandista foggiano Roberto D'Angiò, pubblicista all'epoca molto conosciuto, il quale operò anche in Egitto. D'Angiò, che nel 1900 collaborava a L'Agitazione di Ancona e Il Risveglio di Firenze e nel 1904 aveva diretto Il Fascio Operaio organo della Camera del Lavoro di Prato di cui era segretario 12 , continuò la propria militanza in Uruguay e dal 1° maggio al 31 agosto 1906 pubblicò sei numeri del settimanale La Giustizia, un periodico di propaganda pratica dell'anarchismo stampato nella tipografia del quotidiano L'Italia al Plata e rivolto ai lavoratori immigrati «che comprendono meglio l'italiano che lo spagnolo» 13 .

Sebbene il clima del paese fosse molto aperto e tollerante, la stampa dell'insorgenza sociale, che accelerò la formazione di una coscienza di classe, rimase «sorvegliata speciale». L'Uruguay batllista, a ogni modo, non era il terreno migliore per una propaganda violenta, per cui la stampa anarchica o sindacalista non ebbe il vigore e il successo che pure si poteva aspettare in un paese dove la presenza operaia era notevole tanto da superare, assieme agli impiegati dell'industria e del commercio, l'occupazione nelle campagne. Una realtà che, qui prima che altrove, aveva fatto sorgere una questione sociale con conseguente sindacalizzazione e avvio di proteste, e un movimento operaio di orientamento «nitidamente anarchico» 14 . Non mancarono così forme di repressione nei confronti della stampa operaista: La Democracia, per esempio, fu chiusa d'autorità nel 1906 per il sostegno dato al mondo operaio e, dapprima costretta alla clandestinità, riapparve assumendosi un compito importante di sostegno alle rivendicazioni dei lavoratori 15 .

Il fatto che la corrente libertaria fosse maggioritaria all'interno, a ogni modo, ebbe ripercussioni anche nel settore della stampa vicina al movimento operaio, dove quella anarchica, sebbene debole congenitamente, soverchiò quella socialista e ciò per quanto riguarda anche i fogli in lingua italiana 16 .

Per sostenere le ragioni operaie, tra Bahía Blanca, in Argentina, e quindi Nel nuovo secolo 73 12 Giuseppe Calzerano, Gaetano Bresci: vita, attentato, processo, carcere e morte dell'anarchico che giustiziò Umberto I, Galzerano editore, Casalvelino 2001, p. 179n. 13 Rientrato in Italia negli anni successivi, Roberto D'Angiò, si stabilì in Liguria dove continuò l'attività giornalistica, pubblicando, con l'iniziale supporto di Benito Mussolini che ne annunciò l'uscita sul Popolo d'Italia, anche un periodico d'ispirazione anarco-interventista, La Protesta, che non sopravvisse al secondo numero: il suo fallimento lo indusse a ritirarsi a vita privata (cfr. Alessandro Luparini, Anarchici di Mussolini: dalla sinistra al fascismo tra rivoluzione e revisionismo, MIR edizioni, Montespertoli 2001, pp. 71-72).

Montevideo, diretto da Antonio Casubolo, un noto anarchico poi naturalizzato francese e attivo in Tunisia negli anni Trenta 17 , fu stampato poi L'Agitatore, con il complemento di testata «Individualista anarchico» che mutò il nome in L'Agitatore anarchico. Fondato in Argentina nel 1906 come portavoce del sindacalismo rivoluzionario, dovette traslocare a Montevideo per la repressione del movimento anarchico, per poi tornare a Buenos Aires. Il periodico ebbe una periodicità zoppicante: «esce quando può», avvertiva in prima pagina, ma si può parlare di un quindicinale molto irregolare. In Uruguay, presso la tipografia «La Costanza», furono stampati sicuramente il numero del 25 settembre 1908 (anno II, n. 19, conservato nell'Istituto Internazionale di Studi Sociali di Amsterdam) e forse almeno uno dei due numeri precedenti non reperiti 18 .

Non era inusuale questa spola tra le due sponde del Plata. In diversi periodi, ha ricordato Luce Fabbri in un'intervista, «c'era una tradizione di reciprocità fra Uruguay e Argentina perché le dittature non erano mai sincronizzate e se c'era un regime dittatoriale in Argentina, contemporaneamente in Uruguay si stava bene e del resto bastava attraversare il fiume... Ci furono giornali che iniziarono le pubblicazioni in Argentina per finire in Uruguay o viceversa, a seconda delle vicissitudini politiche» 19 .

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L'«Italia al Plata» ha segnato un'epoca

Per il giornalismo italiano a Montevideo, il Novecento sì aprì con novità importanti, specialmente nel suo organo più diffuso, L'Italia al Plata, che entrò nel nuovo secolo forte di una buona considerazione come quotidiano tradizionalmente attento alla vita politica del paese 1 e con un nuovo direttore, Arturo Pozzilli, giovane e con moderne esperienze fatte in Italia, il quale firmava i suoi articoli anche con lo pseudonimo di Adelio. Morto Desteffanis già nel 1889, infatti, col nuovo secolo uscì di scena anche Odicini y Sagra che mantenne tuttavia una qualificante collaborazione al giornale. Venne, così, messo in archivio un passato di giornalismo praticato per lo più da uomini nati o cresciuti in Sud America nei miti risorgimentali. Pozzilli, invece, rappresentava la novità per provenienza e per formazione. Era nato a Tivoli nel 1871, e prima di trasferirsi nel 1897 al Plata per dedicarsi al giornalismo, si era laureato all'Università di Roma e in quella città aveva fatto le prime esperienze professionali come redattore al settimanale L'Amico Fritz e al quotidiano La Tribuna. Non aveva, dunque, legami diretti col mito risorgimentale: quando lui nacque Roma era già capitale del Regno e negli anni della sua formazione l'Italia unita, a cui restava da conquistare solo le terre irredente del confine orientale, pur tra mille contraddizioni perché non aveva risolto alcuno dei grandi problemi sociali che produssero la valanga emigratoria, puntava a diventare una potenza mondiale e coloniale.

La direzione di Pozzilli diede nuovo smalto al quotidiano che già non aveva rivali nel mercato etnico dell'informazione. Il giornale, che da tempo aveva abbandonato il formato gigante, fu ulteriormente ridotto e la grafica modernizzata. Pozzilli ebbe accanto a sé una squadra di brillanti professionisti e intellettuali che lo aiutarono a mettere a frutto i cambiamenti tecnico-grafici e portare avanti il suo progetto editoriale. Poté contare, infatti, su Guido Trenti, 75 1 Benjamin Fernández y Medina, La imprenta y la prensa en el Uruguay, Imprenta de Dornaleche y Reyes, Montevideo 1900, p. 60. Nel 1900 a Montevideo si stampavano 9 quotidiani nazionali in gran parte politici e d'informazione, 1 italiano, 1 spagnolo, 2 francesi e 1 inglese (Ivi, p. 58).

Capitolo 7

Apogeo e tramonto della grande stampa suo vice e poi suo successore, Ettore Ernesto Mosca, Lucillo Ambruzzi, Alberto Scarzella, Giuseppe Nigro, Riccardo Baldassini, Emilio Bignami, Racondio Piccioli, Adolfo D'Agostino e altri ancora che frequentarono la redazione del quotidiano e scrissero pagine significative del giornalismo e della stessa cultura italiana in Uruguay. Molti di loro, infatti, quando si chiuse l'esperienza del giornale, li ritroveremo in ruoli di primo piano o alla guida di importanti organi di stampa coloniali.

Nel 1903, celebrando il 25° anniversario della fondazione, Pozzilli fece un tour nelle città dell'interno in cui erano attive molte collettività italiane, per prendere contatti diretti e allargare la sfera d'influenza del quotidiano. Dalle colonne dell'Italia al Plata, il giovane direttore s'impegnò senza alcun risparmio nella difesa degl'interessi italiani nell'Uruguay che si metteva definitivamente alla spalle gli anni convulsi che avevano preceduto la presidenza di Batlle y Ordoñez. L'ultima guerra civile che dal gennaio a settembre 1904 sconvolse il paese determinando anche restrizioni alla libertà di stampa, con la sconfitta e la successiva morte del blanco Aparicio Saravia, segnò la fine del caudillismo. Un gruppo di italiani avrebbe voluto costituire un battaglione di volontari, una nuova Legione italiana che prendesse parte attiva alla lotta contro Saravia. L'operazione non andò in porto ma nel tentativo di screditare il governo battlista fu diffusa una lista di massacri di italiani subito smentita da L'Italia al Plata, il cui direttore si adoperò per far sapere anche nella madrepatria che si trattava di un falso, mediante una lettera del 5 aprile 1904 inviata al quotidiano romano Giornale d 'Italia 2 .

Il quotidiano italiano di Montevideo godeva della fiducia delle élites orientales ed era molto stimato dai connazionali. E Pozzilli ebbe molti incarichi all'interno delle istituzioni comunitarie, fu componente delle commissioni direttive di diverse società e fu eletto anche presidente della Dante Alighieri, fondata e già presieduta da Desteffanis. Intellettuale a tutto tondo, giornalista affidabile ed elegante nonché impegnato a sostenere la propria fama di dandy frequentando gli ambienti libertini della capitale, inoltre, Pozzilli era «pazzo per il teatro» e conosceva il nome di ogni cantante, attrice e attore, come ebbe a constatare con piacevole sorpresa Guido Noccioli, attore scritturato dalla compagnia di Eleonora Duse per la tournée nel 1906 in Sud America. Noccioli, che incontrò Pozzilli sulla nave che lo riportava in Italia «a prender moglie», ne parlò nel suo diario («In mare, 20 ottobre 1907»), definendolo «un romano Storia della stampa italiana in Uruguay 76 autentico» e «un compagno di viaggio prezioso e simpatico» 3 .

Nel 1909 Pozzilli fu anche tra i fondatori del Circulo de la Prensa di Montevideo 4 , per il quale si era impegnato fin dal suo arrivo in Uruguay cercando di coinvolgere tutta la stampa locale nella fondazione, avvenuta nel 1898, della Asociación de la prensa allo scopo di difendere gli interessi morali e materiali degli iscritti (della prima Commissione direttiva aveva fatto parte anche Luigi Desteffanis 5 ).

Nella sua lunga attività, Pozzilli si distinse anche come ottimo conferenziere. Nominato, infatti, agente propagandistico in Europa da parte del presidente Battle, di lui si ricordano due conferenze nell'intento di attrarre nuovi emigranti, una tenuta a Parigi e un'altra all'Università Popolare di Milano nella quale parlò della vita degli Italiani nel paese sudamericano.

Con la direzione di Pozzilli, a ogni modo, per la prima decade del secolo L'Italia al Plata continuò la sua vita florida, mantenendo un primato che obiettivamente si mostrava inattaccabile, addirittura con meno insidie rispetto al passato quando i tentativi di scalzare il giornale dal cuore degli immigrati erano stati tanti e, tuttavia, tutti perdenti. Nei primi anni del Novecento il quotidiano, a parte alcuni bollettini di Società di Mutuo Soccorso e precari fogli della dissidenza anarchica, di fatto era l'unica testata italiana nel paese, forte di una tradizione di qualità informativa e di una invidiabile organizzazione aziendale che l'avevano resa il più accreditato vero portavoce della collettività peninsulare: una situazione analoga a quella del quotidiano bonaerense La Patria degli Italiani, che aveva collaboratori e lettori anche nella Repubblica Orientale e che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, dopo avere assorbito altri quotidiani concorrenti, si era data una nuova organizzazione, confermandosi così leader (lo sarebbe stata fino al 1931, fino a quando il fascismo, che non riuscì ad asservirla, riiuscì a farla chiudere 6 ). Come La Patria degli Italiani, Apogeo e tramonto della grande stampa 77 con la quale aveva rapporti di collaborazione editoriale, L'Italia al Plata godeva di molto prestigio e autorevolezza anche al di fuori della colonia e di ciò tenevano buon conto i governanti del Paese interessati a un fitto dialogo con la massa di immigrati italiani, ancora in continuo afflusso nonostante alcuni contenziosi aperti tra i due paesi. Il quotidiano, oltretutto, era lo specchio di una comunità dinamica e compatta, politicamente vicina al nuovo presidente colorado Battle y Ordóñez e alla sua politica, una comunità protagonista in diverse attività economiche di respiro locale e nazionale testimoniante anche dagli avvisi pubblicitari delle «case italiane» che affollavano le pagine del giornale. Può darsi che avesse perso quel qualcosa che solo personalità forti come quelle di Desteffanis e Odicini y Sagra avevano potuto dare, ma il giornale continuò a essere punto di riferimento nonostante i cambiamenti registrati. Anzi si presentava molto attrattivo per il corretto uso della lingua italiana e per i mutamenti e le novità introdotte dalla nuova direzione portatrice di un giornalismo «più impersonale e più oggettivamente informativo» come esigevano i tempi.

La gestione di Pozzilli favorì anche una modernizzazione tecnologica che avrebbe dovuto garantire al giornale di affrontare il futuro al meglio delle condizioni. Con molta soddisfazione, come dichiarò Racondio Piccioli, nuove linotypes furono acquistate da un'azienda canadese 7 . Nel 1906, così, L'Italia al Plata poté aumentare la foliazione, portandola da quattro a sei-otto pagine quotidiane per dare sfogo da una parte al carico pubblicitario che occupava la metà dello spazio e qualcosa in più, e dall'altro introdurre nuove rubriche. Il potenziamento, infatti, riguardò anche i contenuti informativi, mediante nuove fonti telegrafiche con notizie provenienti da ogni parte d'Europa e d'America 8 , con particolare attenzione, ovviamente, agli avvenimenti italiani e a quelli uruguayani compresa la crisi che oppose i due governi per le vicenda del brigantino «Maria Madre» e quella successiva del cosiddetto «conflitto sanitario». Oltre al tradizionale lavoro di forbici con cui notizie e commenti venivano ripresi a iosa dai giornali che giungevano da oltre oceano e tradotti dalla stessa stampa nazionale 9 , per arricchire ancora l'offerta editoriale si provvide a po- tenziare la pubblicazione di romanzi a puntate di autori italiani molto noti e apprezzati (Carolina Invernizio, Gerolamo Rovetta e altri) che tanto appassionavano i lettori, fidelizzandoli ancora di più alla testata.

Pur vicino, come abbiamo visto, alla locale imprenditoria italiana da cui ricavava la quali totalità degli introiti pubblicitari, tuttavia, il quotidiano non mancò di mostrarsi molto aperto nei confronti del mondo operaio, un atteggiamento che si ritrova anche in altri grandi giornali coloniali in Argentina e Brasile, tutti impegnati a tutelare i propri connazionali, in una logica di appartenenza etnica e non di classe. Si occupò così dei movimenti di lotta e degli scioperi, e seguì con attenzione anche le riunioni della Federazione operaia, dando conto dei dibattiti e delle decisioni prese. Nel 1905, L'Italia al Plata formulò anche un'ardita proposta per lo sviluppo del paese che apparve in qualche modo rivoluzionaria e trovò la forte e decisa opposizione dei grandi agrari. Chiese, infatti, di «chiamare gli agricoltori europei ed espropriare i latifondi», per attrarre nuovi flussi migratori e avviare una più fruttuosa colonizzazione del territorio 10 . La proposta non ottenne grandi consensi. Al quotidiano fu opposto che lo Stato non poteva e non doveva intervenire per cambiar il modello di colonizzazione agricola fino a quel momento utilizzato.

Dell'emigrazione, a ogni modo, tra il 1907 e il 1908 il giornale si dimostrò un osservatore più che attento, documentando arrivi e partenze e pubblicando anche le cifre ufficiali del Commissariato Generale per l'Emigrazione sui movimenti transoceanici favoriti dal governo Battle y Ordoñez. Con tale atteggiamento ecumenico e senza esprimere ufficialmente preferenze politiche, L'Italia al Plata si confermò, finché fu in vita, come il giornale di tutti gli italiani.

Negli anni del nazionalismo montante

Entrato nel Corpo consolare dell'Uruguay e destinato a Milano, Pozzilli lasciò la direzione del giornale a Guido Trenti 11 che in Italia aveva «fatto le prime armi» nella redazione del giornale milanese Il Commercio, un tempo organo, così si presentò, degli interessi commerciali, economico-finanziari d'Italia. Prima di emigrare in Uruguay, Trenti era considerato un sovversivo e per questo fu schedato dalla polizia come tipografo socialista 12 . Proprio negli anni in cui Trenti arrivò al vertice del quotidiano etnico, il giornalismo italiano, stava subendo una profonda trasformazione, in specie quello professionale rappresentato da L'Italia al Plata. Le intonazioni risorgimentali e garibaldine, già da tempo avevano lasciato il posto a un nazionalismo esasperato, quello che in Italia portò alla guerra contro la Turchia per la conquista della Tripolitania e della Cirenaica e alla partecipazione alla guerra mondiale tre anni dopo.

Il «diritto» dell'Italia di occupare la Libia per avere una colonia di diretto dominio eccitava l'orgoglio degli immigrati per i quali la conquista rappresentava quasi una rivincita sulla loro storia. L'Italia al Plata si rese interprete di tali sentimenti enfatizzandoli e offrendo motivi di dibattito, e già nel 1908 invitò il governo di Roma a dirigere la propria attenzione verso l'Africa perché era lì il futuro degli italiani, in quanto offriva migliori prospettive di vita. In un certo senso il giornale dettava, come si direbbe oggi con una terminologia presa in prestito dalle sociologia della comunicazione, l'agenda politica e culturale della colonia platense. D'altra parte è ben nota l'attività «pedagogica» che i grandi giornali etnici hanno avuto nella formazione politica e culturale delle collettività italiane nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento 13 . Tale atteggiamento non riguardava esclusivamente la stampa etnica dell'Uruguay. Come ha potuto verificare Bertagna, lo si ritrova, con toni forse ancora più accesi, nei giornali d'informazione delle colonie di Buenos Aires e San Paolo: La Patria degli Italiani e Il Fanfulla in particolare hanno avuto un ruolo preponderante nel plasmare l'opinione pubblica tra gli emigrati con campagne lunghe e martellanti 14 .

Anche a migliaia di chilometri di distanza la stampa d'emigrazione, infatti, partecipò all'orgia patriottarda e all'infatuazione coloniale. A tale scopo anche L' Italia al Plata utilizzò Nello stesso tempo, L'Italia al Plata accentuò il proprio ruolo di giornale di servizio, promuovendo le attività di artigiani, commercianti, professionisti e imprenditori mediante uno spazio dedicato ai piccoli annunci, magari a pagamento, dal titolo «Rubrica utile» che, di fatto, divenne una vetrina delle attività italiane nella capitale.

La direzione di Guido Trenti, il quale tenne per sé anche l'incarico di redattore capo, forse avvertendo i segnali di una imminente crisi economica della società editrice, si era mostrata abbastanza incisiva. Pur tuttavia, nonostante l'impegno dell'amministratore Emilio Del Seno, la crisi e il declino de L'Italia al Plata, per più di trent'anni «voce» più diffusa e autorevole degli italiani in Uruguay, si consumarono in un clima esasperato di nazionalismo e il giornale, che aveva partecipato con impegno al coro colonialista, arrivò al capolinea finale proprio nel momento in cui le truppe italiane erano impegnate nella guerra italo-turca 15 .

L'ultimo numero di cui si ha notizia apparve martedì 20 febbraio 1912. Un guasto improvviso alla rotativa avvenuto nel corso della settimanale pulizia degli impianti -almeno così spiegò il giornale scusandosi con i lettori per l'assenza nelle edicole -aveva ufficialmente impedito l'uscita del numero della domenica precedente e solo «provvisoriamente» il quotidiano era riapparso in edicola, in attesa che da Buenos Aires arrivasse il pezzo di ricambio necessario. Complice anche la consueta pausa di due giorni dei quotidiani del mattino in occasione del Carnevale, il giornale avrebbe interrotto lì le pubblicazioni: la raccolta alla Biblioteca Nacional di Montevideo, in ogni caso, termina con quel numero 16 . Si può ragionevolmente ritenere che la notizia del guasto e del pezzo di ricambio, criticità inattese e però facilmente superabili 17 , fosse un modo per nascondere ai lettori ben altri problemi, magari di tipo economico. Dopo 34 anni di protagonismo in difesa della causa italiana finiva a ogni modo una grande storia. Eppure il giornale, favorito anche dal conflitto Apogeo e tramonto della grande stampa 81 italo-turco di cui la comunità italiana seguiva le vicende con trasporto, sembrava viaggiare con il vento in poppa: negli ultimi mesi di vita aveva raggiunto, infatti, il massimo storico di 8000 copie vendute.

Scomparsa L'Italia al Plata, il successo delle armi italiane in Libia, auspicato e atteso con determinazione dal quotidiano, fu celebrato dal numero unico illustrato Vittoria e Pace, stampato nel 1912.

Testate in cerca di eredità

La Società Anonima che pubblicava L'Italia al Plata, comunque forte di un notevole patrimonio come lo stabilimento tipografico dal quale uscivano anche edizioni librarie, mise in atto iniziative e cercò contatti per tentare di riprendere le pubblicazioni del quotidiano. Si fece avanti una cordata di imprenditori d'origine italiana guidata da Emilio Coelli 18 . Al suo fianco, secondo informazioni del settimanale L'Italiano, c'erano altri nomi autorevoli della collettività tra cui Gaetano Devoto, uno dei più apprezzati tipografi, e «tali Fili e Comini» (una Editorial Comini operò a Montevideo fino agli anni Quaranta). L'assemblea degli azionisti della Società, a giugno autorizzò gli amministratori, se non ne fossero arrivate altre migliori, ad accettare l'offerta con cui Coelli garantiva la pubblicazione di un quotidiano italiano, sebbene ciò non significasse esplicitamente la ripresa de L'Italia al Plata 19 . Comunque siano andate le cose L'Italia al Plata scomparve definitivamente. Può anche darsi che Coelli abbia rilevato la Società editrice e gli impianti del vecchio organo della collettività. Sta di fatto che il 6 settembre 1912 apparve il Corriere d'Italia, quotidiano della sera (sei pagine, sette colonne, 69 centimetri di altezza, con pubblicità anche in prima pagina) diretto e amministrato da Racondio Piccioli. I tempi della sua pubblicazione e il fatto che il giornale avesse sede pure in Cerro Largo, a ridosso del porto, e per direttore un giornalista che aveva lavorato in ruoli di responsabilità a L'Italia al Plata, potrebbero rappresentare una conferma che il nuovo quotidiano sia stato fondato per raccogliere direttamente l'eredità dell'antico collega, così come intendeva fare la cordata di Coelli. Con una testata in corsivo che ricordava quella de Il Popolo italiano del 1891, posta accanto allo stemma del Regno d'Italia, oltretutto, il Corriere d'Italia ripartì proprio da quei temi nazionalistici (guerra di Libia, problema dei Balcani) tanto cari al predecessore, al quale rinviavano anche alcuni elementi grafici. Il Corriere d'Italia puntava in maniera esclusiva al mercato della colonia tricolore: «Il giornale italiano -spiegò nel numero dell'1-2 ottobre 1912 -è fatto per gli italiani, e quindi, tutti vi devono collaborare come sanno e come possono, mantenendo viva e nutrita la sezione informativa coloniale» 20 . Per tale motivo, con poche righe in nero e senza titolo poste in apertura dello stesso numero, la direzione si rivolse «ai connazionali di città e di campagna» e alle loro associazioni, invitandoli a inviare «informazioni e notizie d'interesse generale e specialmente riguardanti gli interessi italiani», con l'avvertenza che non avrebbero dovuto turbare mai, in ogni caso, l'armonia della collettività.

Le pagine del Corriere d'Italia, in quest'ottica editoriale, furono prevalentemente dedicate alle questioni della colonia italiana e della Patria lontana, al conflitto in Nord Africa e, con più attenzione, alle vittorie e agli eroismi delle truppe italiane. Già sul primo numero il quotidiano si soffermò sulla calda accoglienza che le società italiane di Montevideo avevano riservato a un giornalista francese di Le Temps che viaggiava nel Sud America tenendo alcune conferenze, la prima al teatro Urquiza di Montevideo dal titolo «Los primeros días de Trípoli italiana», per esaltare la conquista italiana della Libia. Al banchetto finale la stampa italiana rese omaggio al collega francese. Erano presenti i rappresentanti del Corriere d'Italia e c'erano anche quelli delle altre testate italiane 21 .

Il Corriere d'Italia entrava, però, in un mercato nuovo, quello dei quotidiani vespertini, e senza nemmeno spendere l'autorevolezza che L'Italia al Plata si era guadagnata in tanti anni di presenza nella vita del Paese. In epoca batllista (ma non solo) l'Uruguay aveva un livello di lettura dei giornali molto elevato 22 , e in quel momento a Montevideo, dove si concentravano gran parte dei periodici stampati nel paese, circolavano altri dodici quotidiani locali, diversi pubblicati anche nel pomeriggio. In molti di essi lavoravano giornalisti dal nome italiano e tutti erano attenti anche alle cose italiane 23 . Per il Corriere tutto, ovviamente, era più complicato.

Nella sua pur breve vita, tuttavia, il quotidiano dedicò particolare attenzione alla vicenda del brigantino italiano «Maria Madre» che dal 1902 era sotto Storia della stampa italiana in Uruguay 84 sequestro nel porto di Paysandù 24 . Rendendosi interprete del sentimento di gran parte della collettività contraria all'armatore genovese Balestrino e alle sue esagerate pretese risarcitorie che non consentivano una soluzione delle tensioni diplomatiche italo-uruguayane, aggravate in seguito dal cosiddetto «conflitto sanitario» 25 (dal 1908 al secondo dopoguerra, il flusso di lavoratori italiani verso Montevideo fu insignificante), il giornale chiese al governo di Roma di non «immischiarsi più nella brutta vicenda».

Il nuovo quotidiano non resse più di tanto sul mercato e cessò le pubblicazioni il 2 marzo 1913. Già nel mese di dicembre 1912, a ogni modo, era dato per spacciato anche perché non aveva aperto la campagna abbonamenti. Né Italia e Uruguay (1902-1944 Roma 1988, pp. 288-310. Rosoli ricostruisce la vicenda dal versante italiano, con particolare attenzione ai rapporti diplomatici con l'Argentina. Il contenzioso che aveva provocato il blocco della corrente migratoria verso il Plata, era scaturito da una epidemia di colera esplosa a Napoli nel 1911, a quanto sembra più grave di quella del 1894 e però tacitata dalle autorità politiche italiane impegnate a tutelare gli interessi di chi operava nel mondo dell'emigrazione diventato per tanti un grande affare (cfr. Frank Martin Snowden, Naples in the time of cholera 1884-1911, Cambridge University Press, Cambridge 1995 la sua agonia destava sorpresa e afflizioni, come lasciavano intendere poche righe di una corrispondenza pubblicata dal Roma di Buenos Aires 26 .

Il quotidiano della sera fondato e diretto da Vincenzo D. Caranci, dal canto suo, in quel momento di incertezze nel mercato etnico italiano cercava spazio anche a Montevideo dove, aprendo un'agenzia presso l'editore Orsini Menotti Bertani, aveva stabilito un servizio di corrispondenza quotidiana con l'impegno di «intensificare ed allargare la sua azione» 27 .

La chiusura del Corriere d'Italia in un certo senso stava a dimostrare che non esisteva più una collettività italiana in grado di sostenere un giornale quotidiano. Gli eventi successivi nel settore della stampa etnica lo avrebbero sostanzialmente confermato. Sebbene partecipasse ancora alle attività delle associazioni e mantenesse saldo il legame affettivo con la madrepatria, la collettività peninsulare si stava sempre più integrando nella realtà locale e quindi aveva esigenze informative cambiate per soddisfare le quali si rivolgeva alla stampa nazionale.

A nulla valse nemmeno il tentativo di intercettare i vecchi lettori de L'Italia al Plata, operato dal settimanale L'Italia che si richiamava direttamente al quotidiano. L'Italia, che aveva redazione e amministrazione al 650 di Reconquista 28 , era diretta da Alberto Scarzella, avvocato e critico teatrale del quotidiano cessato 29 , e Riccardo Baldassini, il quale divideva il suo tempo tra professione e passione 30 : arrivato a Montevideo nel giugno 1903 come veterinario all'Istituto di Igiene Sperimentale, infatti, aveva collaborato a L'Italia al Plata e ai quotidiani di Buenos Aires L'Italia del Popolo e il Giornale d'Italia, del quale con Scarzella curava la sezione uruguayana. Già in vita nel 1912, L'Italia di Scarzella e Baldassini (amministratore Del Seno, redattore Ettore Ernesto Mosca) apparve fino al 24 novembre del 1914: aveva ben poco, tuttavia, dello storico quotidiano da cui aveva ereditato una parte del nome ma non certo lo spirito e la tradizione, anche se tra i suoi redattori figurava Guido Trenti, ultimo direttore di L'Italia al Plata.

Inizia l'era del settimanale «L'Italiano» L'impresa fallita dal Corriere d'Italia e mancata da L'Italia, riuscì in qualche modo al settimanale L'Italiano, che uscì in 4 pagine (due per la pubblicità), 5 colonne fitte di testo e rare immagini. Fondato da Giuseppe Nigro, un giornalista calabrese che era giunto a Montevideo alla fine dell'Ottocento non ancora ventenne 31 , il giornale ebbe la sua prima sede in Sarandì 204, negli uffici del notaio Raffaele Marasco. Nigro, come abbiamo visto, non era nuovo del mestiere. Da quando aveva messo piede in Uruguay si era dedicato al giornalismo collaborando a diverse testate della collettività 32 . Subito dopo la chiusura de L'Italia al Plata, di cui era stato redattore, diede vita al proprio domenicale che restò in vita 28 anni, dal 12 maggio 1912 fino al 24 maggio 1940, stampando la bellezza di 1496 numeri. Il longevo settimanale di Nigro fu legato a filo doppio ai settori benpensanti della colonia e alle rappresentanze diplomatiche italiane di Montevideo che lo sostennero e foraggiarono. Per tale dipendenza, che fu finanziaria e culturale, il periodico fu «costretto» a evidenti e a volte repentini mutamenti di linea per seguire i cambiamenti dei governi nella madrepatria, fino a sposare totalmente anche la causa fascista.

Al debutto L'Italiano si annunciò con un programma che può essere riassunto dalla frase in esso contenuta: «Sopra tutto e sopra tutti l'Italia; tutto per l'Italia». E assecondando quanto richiesto in quel momento dal mercato dell'informazione della colonia, anche il settimanale di Nigro entrò in scena raccontando le «cronache settimanali» delle operazioni militari italiane in Libia e nell'Egeo.

I primi anni di vita non furono tranquilli, sebbene il nuovo settimanale offrisse ai lettori un ricco notiziario e sulle quattro pagine, come si è visto, ben due fossero destinate ad annunci pubblicitari. In più occasione si appellò alla collettività per avere sostegno. Rivolgendosi «agli abbonati agli amici ai lettori», alla fine del 1914 fece ricorso a toni retorici per solleticare un rinnovato consenso da parte dei connazionali allo scopo di esaltare, come aveva fatto fino ad allora, «i progressi, le virtù, il valore, la coltura (sic!), la grandezza imminente» dell'Italia, e fare in modo che essi «maggiormente vibrino di quell'orgoglio italico tanto necessario all'estero, [e] acquistino quella disciplina patriottica che è a base della nostra forza morale» 33 . Al di là del fumoso e interessato richiamo ai sentimenti patriottici, L'Italiano nell'occasione volle rivendicare la propria indipendenza da persone e da associazioni, e assicurò che, nel rispetto di opinioni e apprezzamenti, senza tuttavia legarsi a «partiti e credenze», avrebbe cooperato con tutti «coloro che amano sinceramente la patria», intendendo il giornalismo non soltanto come «pane nostro quotidiano» ma come una «missione sacrosanta da adempiere come un sacerdozio».

Per radicarsi meglio sul mercato il giornale organizzò una rete di corrispondenti e agenti diffusa sull'intero territorio nazionale, in particolare dov'erano attive associazioni italiane 34 . E sempre nel 1914 varò anche il Corriere settimanale, una sezione di notizie provenienti da tutte le regioni italiane, per dare ai propri lettori informazioni riguardanti i loro paesi d'origine. Sotto la testata «Dalla cento città», quindi, il giornale pubblicava notizie provenienti dall'Italia, in verità senza alcuna linea editoriale e gerarchia. Esse, tuttavia, assieme al tradizionale marketing dei giornali coloniali con cui si sorteggiavano premi tra gli abbonati (per il 1915 in palio c'erano tre orologi, d'oro, d'argento e di acciaio), si dimostrarono sufficienti per fidelizzare un buon numero di abbonati, tanto che la tiratura, secondo quanto affermato dallo stesso settimanale, già nei primi mesi del 1914 stava per raggiungere quella dei grandi quotidiani italiani che si erano stampati a Montevideo 35 .

L'Italiano si sforzò per diventare veramente il giornale di riferimento della collettività italiana ma, in effetti, raggiunse l'obiettivo anche per la debolezza della concorrenza. Il direttore, tuttavia, aprì le pagine del giornale alla collaborazione di tutti: «L'Italiano -scrisse il 17 settembre 1916 -non ha mai rifiutato [collaborazioni] ed è ben lieto di poter fare assegnamento sulla penna dei connazionali» 36 , e sollecitò spesso gli amici affinché si adoperassero per incrementare il numero degli abbonati. In più, cercò di organizzarsi sul modello dei vecchi quotidiani coloniali nell'intento di diventare il punto di riferimento Storia della stampa italiana in Uruguay 88 33 Agli abbonati agli amici ai lettori, in «L'Italiano», 27 dicembre 1914. 34 Il corrispondente da Colonia -l'unico di cui abbiamo rintracciato il nome -si chiamava Antonio Stella. 35 La tiratura de L'ITALIANO, in «L'Italiano», 1 febbraio 1914: i «lettori increduli» furono invitati a recarsi nella sede del giornale per controllare essi stessi le spedizioni. 36 Ai connazionali, in «L 'Italiano», 17 settembre 1916. della comunità per tutte le necessità, proponendosi subito come una sorta di agenzia di collocamento. Diede assistenza ai connazionali poveri e in difficoltà, e si offrì anche di tradurre per loro, gratuitamente, lettere, atti e documenti dall'italiano allo spagnolo e viceversa. Per aiutarli a trovare un lavoro conveniente mise a disposizione, ancora, le proprie pagine pubblicando i loro avvisi.

Tale atteggiamento si dimostrò vincente. Per cui, pur legato a filo doppio alle vecchie élites imprenditoriali, liberali e massoniche, e ovviamente foraggiato dalla Legazione d'Italia, L'Italiano divenne il giornale della colonia di immigrati: celebrò con numeri speciali il XX Settembre, data più importante del calendario civile, il genetliaco del Re che, grazie a un accordo di reciprocità di bandiera, vedeva esposta quella orientale su tutti gli edifici pubblici dell'Uruguay 37 , e altre ricorrenze nazionali. Furono, a ogni modo, gli eventi internazionali, dalla guerra di Libia alla Guerra mondiale, a decretare il definitivo radicamento del giornale che all'epoca stampava 4 o 6 pagine divise in sei colonne, ma produceva uno sforzo editoriale notevole per gli eventi particolari che interessavano la collettività italiana, quando usciva più ricco di pagine e di immagini.

Dopo avere raccontato la «coda» della tragica conquista della Libia, L'Italiano iniziò le cronache della Grande guerra con particolare attenzione, però, ai riflessi che essa aveva nella colonia italiana, prima ancora dei racconti delle operazioni militari dai luoghi delle battaglie. Da quel che mostrano le pagine del giornale è evidente che gli anni che seguirono furono di lacrime e feste. Lacrime per la carneficina sui campi di battaglia, sontuose feste sociali per mobilitare la comunità, raccogliere fondi e aiutare i combattenti e le famiglie delle vittime e dei richiamati alle armi.

Non c'è dubbio che se L'Italiano, senza grandi impennate, rimase sulla piazza come il periodico più affidabile per la comunità, tutto il merito è stato del suo fondatore. Sia per i suoi legami con la Legazione italiana, la Camera di Commercio che continuava a editare il proprio Bollettino Ufficiale, il Circolo Napolitano (per il quale curava il Bollettino mensile) e la Scuola Italiana nella quale fu vice segretario onorario del Consiglio Scolastico, sia per la sua dedizione al giornale del quale era direttore, amministratore, correttore, traduttore e articolista, come egli stesso tenne a mettere in chiaro 38 .

Nel gruppo degli intellettuali italiani ben radicati in Uruguay tra fine Ottocento e inizi Novecento, molti dei quali già tentati dalle idee nazionaliste che precedettero e accompagnarono la guerra di conquista della Libia 39 , Nigro fu uno dei più attivi e capaci. Il suo giornale, come si è visto, più di quanto abbiano fatto altri fogli coevi, pian piano divenne portavoce della colonia italiana, sostenendone inizialmente le ansie e rappresentandone le aspirazioni fino a quando non divenne portavoce del fascismo 40 .

L'Italiano si fece carico anche di quel ruolo di difensore civico che in altri paesi dov'erano presenti folte colonie peninsulari, come Argentina e Brasile, in quegli anni fu esercitato da quotidiani di grande tradizione e forte diffusione (La Patria degli Italiani a Buenos Aires, Il Fanfulla a San Paolo), e che in Uruguay, in passato, era stato appannaggio dei quotidiani fondati da Desteffanis e Odicini Sagra. La strenua difesa dell'italianità e degli italiani residenti in Uruguay procurò molti consensi al giornale e al direttore, il cui impegno più volte fu elogiato dal Vittorio Emanuele III e dal governo italiano. Nigro, per riconoscimento generale, divenne così un leader della colonia, tanto che una edulcorata nota biografica lo descrive come un apostolo del giornalismo, lontano dalle logiche mercantilistiche, impegnato in un'«opera disinteressata di italianità» esclusivamente per l'amore verso il Paese natale 41 .

Verso la Grande Guerra

Alla vigilia della prima guerra mondiale, quando ormai i flussi migratori si erano sostanzialmente inariditi, fu varato un nuovo quotidiano. Il suo nome era il Giornale Italiano dell'Uruguai, scritto come sui fili del telegrafo sorretti da due pali e nei due lati le cartine di Montevideo e Roma. Direttore era l'ingegnere Achille Monzani (figlio) 42 , amministratore Innocenzo Puccio, redattore Raimondo Cerri, il quale, come scrisse in una autobiografia del 1915 per l'Almanacco degli Italiani dell'Argentina, ne «cucinò alcuni numeri» e poi «fuggì da Montevideo insalutato ospite» mettendo in dubbio le capacità del suo direttore 43 . Il giornale si dimostrò una meteora. Fu pubblicato, infatti, per poco più di due mesi, dal 17 settembre al 30 novembre 1914. Eppure L'Italiano lo aveva accolto con la convinzione che, in quanto «intelligentemente redatto», avesse «assicurata lunga e prospera vita» 44 .

Il fatto è che si era già chiusa un'epoca. Il 9 febbraio 1914 era morto anche Giovacchino Odicini y Sagra, fino all'ultimo molto presente sia nella stampa locale sia come corrispondente del più importante quotidiano argentino, La Prensa. Il giorno dopo la sua scomparsa, El Siglo ricordò le qualità umane, culturali e professionali del giornalista, spese tutte al servizio dell'italianità. «Nella colonia italiana -scrisse El Siglo -godeva di un reale e positivo ascendente, per il suo carattere austero, per la serietà delle sue attività, per il flusso di intelligenza messo a disposizione di tutte le cause giuste e nobili». La morte di Odicini y Sagra destò profondo cordoglio nella comunità italiana e in quella giornalistica di Montevideo, tanto che una moltitudine di persone affollò la camera ardente per rendergli omaggio. Gli anni d'oro della stampa italiana in Uruguay per certi versi potevano, ormai, considerarsi conclusi. E comunque fino all'entrata in guerra dell'Italia contro gli Imperi centrali, il settore editoriale dell'emigrazione non ebbe particolari sussulti.

Ancora una volta, tuttavia, la collettività si mobilitò per aiutare le popolazioni della Marsica colpite da un devastante terremoto il 13 gennaio 1915. E ancora una volta la solidarietà fu canalizzata attraverso un Comitato, che si insediò nella sede del Circolo Italiano, e la stampa etnica, in particolare con un giornale, L'Araldo Italiano curato dall'ex tenente Adolfo D'Agostino, che era stato redattore del quotidiano L'Italia al Plata, un numero unico molto apprezzato per la qualità: «È una splendida pubblicazione ricca di illustrazioni bellissime e di materiale scelto, degno del benefico patriottico scopo pel quale fu compilata», scrisse infatti L 'Italiano 45 . I venti di guerra spazzavano l'Europa già da tempo. La stampa di comunità in Uruguay, dopo avere seguito con passione il dibattito tra neutralisti e interventisti parteggiando sostanzialmente per questi ultimi, si accingeva ormai, anche a più di seimila miglia di distanza dalle trincee e dai campi di battaglia, ad affrontare anni tempestosi.

Quotidiani con l'elmetto

Quando nel 1915 l'Italia entrò in guerra contro gli Imperi centrali a cui fino a pochi mesi prima era legata dal Trattato della Triplice Alleanza, si aprì una nuova stagione della stampa etnica italiana. In tutto il mondo, infatti, essa ebbe il merito di mobilitare e organizzare le colonie di emigrati per sostenere la madrepatria nello sforzo bellico. Non poteva mancare anche a Montevideo un giornale che assolvesse specificamente questi compiti patriottici. Sebbene con scarso successo, infatti, il 20 agosto di quell'anno fu avviata un'altra impresa editoriale quotidiana. Direttore Achille Monzani, reduce dal fiasco del Giornale Italiano dell'Uruguay, in italiano e spagnolo fu stampato Il Bersagliere, foglio dal nome evocativo per una comunità particolarmente legata al mito della presa di Porta Pia e che vedeva nella guerra in Europa il completamento del movimento risorgimentale.

Il quotidiano di Monzani non ebbe grande presa sui lettori e si mantenne in vita con difficoltà solamente fino al 7 ottobre successivo. Anche se, a giudizio del settimanale L'Italiano, poteva contare su «uno scelto corpo di redattori ed un competente amministratore» 1 , con un capo redattore di nome Odicini Sagra e in redazione, tra gli altri, Giuseppe Cabiati, Remo Prati e Ascanio Del Mazza: quest'ultimo lavorò al quotidiano Fanfulla di San Paolo in Brasile, città dove diresse pure il settimanale artistico letterario Il Fiore (1908) e il quindicinale L'Idea (1920) 2 .

Il Bersagliere, che in un numero speciale mise in mostra lo spirito liberale che lo animava, era quasi tutto dedicato alle informazioni sulla guerra in Europa e in particolare dal fronte italiano.

Secondo il quotidiano, contro gli austro-ungarici l'Italia combatteva l'ultima guerra risorgimentale per liberare territori ancora in mano straniera. Per tale motivo annunciò che «L'ora è suonata» e pronosticò che il 20 settembre 95 le truppe italiane sarebbero già state a Trieste. L'enfasi nazionalistico-patriottica (sul primo numero, in piena offensiva delle truppe italiane contro l'esercito austriaco, paragonò Cadorna a Garibaldi), testimoniata anche dal ricco notiziario sul conflitto, dai comunicati della Croce Rossa e dai resoconti degli aiuti alle famiglie dei richiamati alle armi, non fu sufficiente al quotidiano per entrare nel cuore degli emigrati italiani e affermarsi. E così ben presto si spense (pubblicò solamente 60 numeri). Prima del fallimento, fece in tempo, a ogni modo, a celebrare il XX Settembre che quell'anno era stato dichiarato festa nazionale in Uruguay con un decreto del governo che ne segnalava l'importanza anche perché ricordava l'ingresso trionfale di Garibaldi a Roma.

«Forse risorgerà», scrisse Giuseppe Gaya in una nota pubblicata qualche mese dopo sul Giornale d'Italia di Buenos Aires del quale era agente e corrispondente da Montevideo, con sede in piazza Independencia 3 . L'auspicio, però, rimase tale: «il giornale italiano -spiegò il giornalista con una frase contorta e tuttavia indicativa -per la nostra colonia è un lusso che non si merita». I motivi sono spiegati nello stesso articolo in cui Gaya traccia una sintesi del giornalismo italiano nell'Uruguay e, utilizzando il lemma giornale per quotidiano, lamenta che «oggidi a Montevideo non ci sono giornali italiani». La «verità scottante», sostenne Gaya, è che «cento generosi non bastano a un'azienda giornalistica». Gli altri, le masse, pur leggendo male lo spagnolo e parlandolo peggio, preferivano i quotidiani del Paese e a Montevideo potevano scegliere tra ben 14 testate, più di Buenos Aires «anche senza tenere il cosiddetto limite del paragone». In altre colonie italiane all'estero, anche più piccole di quella uruguayana (Valparaiso, Porto Alegre, Lima, Caracas, San Francisco California, Chicago), segnalava Gaya, un giornale italiano esisteva: «solamente a Montevideo fa la smorfia, e quel centinaio di generosi intellettuali si rassegnano». Ricordando i fasti del quotidiano L'Italia col suo magnifico stabilimento tipografico, doveva però riconoscere che i tempi erano cambiati e che Storia della stampa italiana in Uruguay 96 le aziende dovevano sopportare forti sacrifici anche «perché in realtà il gran pubblico lettore non esiste», mentre erano molti i giornalisti, perfino nelle città dell'interno.

Gaya neppure provò a dissimulare il proprio pessimismo sul futuro dei quotidiani in lingua italiana a Montevideo e per certi versi non aveva torto. Di sicuro, l'arresto del flusso emigratorio e l'ormai quasi completa assimilazione della vecchia emigrazione, non favorivano una ripresa in grande stile della stampa d'emigrazione. Le imprese editoriali avviate negli anni successivi, a conferma, hanno avuto scarsa diffusione. Alcune rimasero in edicola per pochi mesi.

Diede la sensazione di potersi affermare Il Roma, «giornale degli italiani dell'Uruguay» e poi «organo ufficiale della collettività italiana nell'Uruguay», che fu stampato per dieci mesi, dal 7 febbraio 1917 al 26 dicembre successivo (254 numeri). Il quotidiano fu diretto da Dionisio Baia 4 , che a Buenos Aires, dove operava da molti anni, aveva guidato un giornale omonimo con buoni risultati, e da Nino Bergna giornalista dal piglio manageriale che in Argentina era stato definito «eroe della quarta pagina dei giornali che seppe fare miracoli nel giornalismo, dando alla pubblicità slancio e brio» 5 : negli anni seguenti li ritroveremo entrambi in Brasile, il primo a S. Paolo come direttore di alcuni importanti giornali prima di rientrare in Argentina, il secondo a Rio, titolare di una tipografia che stampava un proprio foglio 6 .

Dalla Grande Guerra al fascismo 97 4 Dionisio Baia era arrivato a Buenos Aires nel 1908 e l'anno dopo pubblicò il settimanale La Vita. Quindi lavorò per alcuni anni al Giornale d'Italia, passando poi a dirigere, sempre nella capitale argentina, l'autorevole quotidiano Il Roma che lasciò, anche in seguito a una vicenda giudiziaria per la quale rischiò l'arresto (aveva criticato l'esecuzione di due italiani responsabili di omicidio). Si trasferì dapprima in Uruguay e in seguito a San Paolo del Brasile dove, dopo la morte del fondatore Paolo Mazzoldi (1918), assunse la direzione del quotidiano progressista della sera Il Piccolo, pur essendo monarchico e nazionalista. Sempre a San Paolo nel 1921 diede vita alla rivista Vittoria, mensile di politica, scienze, letteratura e arte. Rientrando a Buenos Aires avrebbe pubblicato il Roma Nuovo, inizialmente quotidiano della sera e poi del mattino e in seguito diresse la rivista Pareceres che aveva inizialmente simpatie fasciste, poi sfumate.

Nuovi periodici per la comunità

In una situazione di sostanziale debacle della stampa etnica quotidiana, che anni dopo il quotidiano antifascista L'Italia del Popolo di Buenos Aires attribuì anche alla Patria degli Italiani che «non tollerava la concorrenza neanche in questa parte del Plata» mandando a monte qualsiasi iniziativa 7 , si registrarono alcune novità nel settore dei periodici. Dal 1915 fu diffuso il mensile illustrato e bilingue La Patria italiana en el Uruguay, rivista diretta da Raffaele Labella, «creata -spiegò ancora dopo molti anni -con l'alto fine di stabilire vincoli culturali e fraterni tra il popolo uruguayano e la laboriosa colonia italiana nel Paese» 8 , e molto criticata da L'Italiano che accusava il direttore di approssimazione linguistica.

Con un nome quasi identico, Patria Italiana in Uruguay, il 25 agosto 1916 fu pubblicato un numero unico diretto da Nicola Pastorino.

Non erano tali periodici, per struttura editoriale e qualità, a poter dare risposta alle esigenze informative di una comunità abituata per lungo tempo a ben altro e che, quel particolare momento, aveva interesse e necessità di avere informazioni e analisi sul conflitto europeo -per le quali era costretta ad affidarsi ai quotidiani coloniali di Buenos Aires (La Patria degli Italiani, il Giornale d'Italia e quindi L' Italia del Popolo) o ai quotidiani uruguayani -e di un giornale capace di coinvolgere tutti gli emigrati in tutto il paese nel sostegno alla madrepatria in guerra.

Nel febbraio del 1918 fece la sua comparsa il settimanale di intonazione patriottica Pro Patria, diretto da Guido Trenti che all'epoca curava il settore propaganda della Legazione italiana. Stampato nella Tipografia «La Liguria», il periodico ebbe continuità fino al novembre 1925. Fondato in formato tabloid piccolo, quattro colonne, Pro Patria era nato per sostenere il V prestito a favore dell'Italia in guerra, prestito per il quale a Montevideo si era costituito un Comitato di mobilitazione civile della collettività italiana del quale Trenti faceva parte 9 . Inizialmente, pertanto, agì con molta moderazione.

Parlando del settimanale, che con comprensibile autocompiacimento riportò il giudizio sulle proprie pagine, La Razón scrisse: «Pubblicazione serena, imparziale, ispirata ai più alti sentimenti dell'onore e della giustizia, il settimanale "Pro Patria" che conta nel sostegno del Ministro d'Italia e di tutta la collettività è il riflesso della vita della simpatica e laboriosa colonia italiana» 10 .

Per i primi 21 numeri, alla pubblicazione del settimanale provvide la Commissione di propaganda di tale Comitato di cui Trenti era «assessore alla stampa», con i fondi generosamente forniti dal Banco Italiano dell'Uruguay. Nel 1920 il giornalista rientrò in Italia ma dopo sette mesi tornò a Montevideo dove riprese la propria attività tenendo in vita il settimanale, convinto che per il proprio paese, messo in ginocchio dalla guerra, c'era ancora da combattere. Nella sua permanenza italiana Trenti era stato conquistato dal movimento di Mussolini e, a testimonianza di ciò, da Montevideo «spedì agli amici copie di giornali ove egli scriveva lunghi articoli esaltando l'operato del fascismo» 11 .

Nel 1921, così, il Pro Patria e Trenti che accanto a sé aveva Vincenzo Le Pera come segretario di redazione, appoggiarono con entusiasmo la fondazione Dalla Grande Guerra al fascismo 99 dell'Associazione italiana reduci della guerra europea che raggruppava tutti gli ex combattenti presenti in Montevideo, invitando la collettività a prendere parte alla cerimonia di fondazione che si svolse nel corso di un pranzo al «Forte di Makallé» nel Parque Rodò 12 .

Il settimanale, che nel frattempo aveva ingrandito il proprio formato, andò avanti per gli anni successivi con mezzi propri, seppure non mancò il sostegno indiretto del Banco Italiano di cui Pro Patria si occupava molto spesso (si veda, a conferma, anche la pubblicità dell'istituto di credito sulle pagine del giornale), e l'appoggio -si presume anche economico -della Legazione d'Italia. Già infiammato di nazionalismo agli esordi, nella sua seconda serie il Pro Patria -il passo era alquanto breve -divenne fiancheggiatore del fascismo ancor prima che il Pnf si organizzasse ufficialmente in Uruguay.

Tra i fogli locali di tenore religioso, dal 1919 fu diffuso il Don Bosco, organo mensile degli ex-allievi salesiani dell'Uruguay e Paraguay, stampato a Montevideo e ancora in vita negli anni Trenta. Il periodico, considerato un segno di rinascita nell'organizzazione delle varie Associazioni, era impegnato a rafforzare i vincoli tra coloro che avevano frequentato i collegi della Congregazione 13 .

Largo ai quotidiani bonaerensi

Alla fine della guerra, le relazioni politiche e commerciali tra l'Uruguay e l'Italia erano da considerarsi eccellenti, come testimoniava nei suoi rapporti l'Incaricato d'Affari Francesco Maestri Molinari, «dimenticato» dal governo italiano a Montevideo dove era arrivato il 3 novembre 1913 rimanendovi per ben nove anni. Le manifestazioni di simpatia verso l'Italia e gli italiani erano pubbliche e frequenti. La vittoria delle armi italiane, l'Uruguay la visse come una vittoria propria. Un sentimento di italianità diffuso, spinse lo stesso Presidente della Repubblica, i ministri e le più alte personalità dello Stato a partecipare al banchetto campestre organizzato il primo dicembre 1918 a Canelones, del quale fu «cerimoniere» il pubblicista Trenti, mentre a Folco Testena, nome de plume di Comunardo Braccialarghe, all'epoca direttore del quotidiano L'Italia del Popolo di Buenos Aires che a Montevideo aveva un buon numero di lettori, fu affidato il compito di tenere il discorso celebrativo 14 . E ancora. Mentre il Parlamento discuteva di forme di credito per aiutare l'Italia a uscire dalla feroce crisi post-bellica 15 , a conferma della simpatia per l'Italia, Storia della stampa italiana in Uruguay 100 la festa degli italiani del XX Settembre, elevata a Festa nazionale dell'Uruguay, veniva festeggiata congiuntamente, con ricevimento delle autorità diplomatiche italiane al Palazzo del Governo. Anche in seguito i rapporti si mantennero sempre cordiali e la collettività italiana partecipò intensamente alla vita del paese 16 .

In quegli anni, pur in assenza di grandi organi coloniali locali, Montevideo si confermava un centro molto dinamico nel settore giornalistico in lingua italiana. Erano diversi i corrispondenti di giornali d'oltre oceano. Alla fine del 1919, come corrispondente del quotidiano coloniale italiano di Buenos Aires La Patria degli Italiani, vi si trasferì Comunardo Braccialarghe, noto come Folco Testena, «estroso temperamento di giornalista», nonché «tribuno e scrittore di sentimenti libertari» 17 , una delle penne più argute e pungenti del giornalismo d'emigrazione italiano. L'anarchico, che pochi anni dopo sarebbe diventato un fervente benché anomalo fascista dirigendo dal 1931 al 1935 il rinato Giornale d'Italia di Buenos Aires, aveva improvvisamente abbandonato la direzione del quotidiano L'Italia del Popolo da lui fondato nel 1917, e si era ritirato nella capitale uruguayana senza una chiara motivazione. Qui si occupò inizialmente di corrispondenze su argomenti locali, tornando a spaziare su argomenti italiani e internazionali soltanto dopo la cosiddetta «rivolta dei bersaglieri» avvenuta ad Ancona nel 1920;dal 1921dal al 1922 Frugoni (immigrato italiano, fondatore e leader socialista nel Paese 18 ) nella redazione del settimanale Germinal, organo del Partito socialista uruguayano 19 .

Grazie alla presenza e al contributo di Testena, proprio nel 1920 La Patria degli Italiani cercò di piantare più profonde radici nella capitale uruguayana, considerata da sempre un mercato naturale di sbocco: estese a Montevideo quei «servizi ausiliari» -consultorio medico e consultorio giuridico, sconti negli acquisti presso alcuni negozi convenzionati -che in Argentina avevano contribuito a determinare il suo successo. Abbonati locali o di passaggio, così, rivolgendosi alla succursale del giornale di via Mercedes 915, dal primo aprile potevano accedere alle prestazioni mediche del prof. Cesare Bordoni Posse, Dalla Grande Guerra al fascismo 101 oppure avere a disposizione un gruppo di legali, coordinati dall'avv. Alberto Scarzella, futuro corrispondente che intanto curava anche una rubrica di risposte a quesiti legali. Del consultorio giuridico facevano parte note personalità, gli avvocati Amador Sanchez, Bonaventura Caviglia (figlio) ed Emilio Frugoni.

Già la conquista della Libia e ora la vittoria dell'Italia nella Grande Guerra, a ogni modo, avevano rafforzato l'orgoglio patrio 20 , sostituendo con un nazionalismo straripante il complesso di inferiorità che aveva accompagnato gli emigrati per decenni. In tale clima patriottardo, anche tra le colonie italiane all'estero, s'incominciò presto a fare i conti con il fascismo che avrebbe voluto utilizzare gli emigranti, d'improvviso diventati «italiani all'estero», come strumenti della propria geopolitica ed elemento di penetrazione fuori dall'Italia.

Fascistizzazione dei giornali etnici

Il numero di emigrati italiani in Uruguay nel dopoguerra si era notevolmente ridotto e la lenta e contestata ripresa dei flussi non registrò più i volumi del passato, nonostante i progetti del governo locale per facilitare soprattutto l'ingresso di italiani ai quali assicurare dignitose condizioni di vita nelle campagne 1 . Fallimentari esperienze di colonizzazione, tuttavia, si registrarono proprio all'indomani della marcia su Roma, quando ancora il fascismo non aveva una propria politica migratoria e il Commissariato dell'emigrazione s'affannava a sconsigliare la Repubblica Orientale come destinazione perché il paese non era in grado di garantire nulla alle famiglie reclutate da mirabolanti promesse dei consoli uruguayani in Italia 2 .

Al 31 dicembre 1924 in Uruguay vivevano 190.000 italiani -la cifra tonda è indicativa di un discusso censimento effettuato dal Commissariato per l'Emigrazione di Roma -e, sebbene con enorme distacco da Argentina, che registrava 1.771.378 italiani residenti, e Brasile che ne contava addirittura 1.837.883, si confermava il paese più attrattivo delle correnti transoceaniche rispetto al resto dell'America Latina (a forte distanza seguiva il Cile con 21.566 emigrati peninsulari).

Nonostante gli ottimi rapporti tra Roma e Montevideo e questa forte presenza di immigrati, chiaramente approssimativa e sottostimata e tuttavia determinante anche per qualità nella vita del paese, la situazione dell'Italia in Uruguay, a sentire l'inviato straordinario e ministro plenipotenziario Antonino D'Alia che s'insediò il 16 aprile 1925 per un breve periodo (dal 12 luglio 1926 fu sostituito da Temistocle Filippo Bernardi), non era però delle migliori. «Potremmo essere i primi e siamo quasi gli ultimi», scrisse D'Alia in un rapporto indirizzato a Mussolini, forse un po' frettolosamente, a due mesi soltanto dal 103 1 L'Emigrazione italiana negli anni 1924-1025, Commissariato generale per l'emigrazione, Roma 1925, pp. 562-566. 2 Stampa italiana in camicia nera suo arrivo a Montevideo 3 . D'Alia descrisse al Duce una collettività sparente: parlava di 100.000 italiani residenti, gran parte dei quali avevano allentato i rapporti con la madrepatria perché si sentivano abbandonati dal governo, per la mancanza di una degna sede diplomatica, per le gelosie esistenti che avevano dato vita a 20 società, e perché funzionava una sola scuola italiana con 200 alunni soltanto a causa -riteneva il diplomatico -del suo carattere «irreligioso», cosa che lo aveva spinto ad avviare «silenziose pratiche» con le scuole dei salesiani 4 nelle quali fin dall'Ottocento si insegnava in lingua italiana 5 . Forse anche l'assenza di una stampa comunitaria di livello adeguato al ruolo che gli italiani tuttavia svolgevano nel contesto del Paese, avrebbe potuto trovare attenzione nel rapporto di D'Alia. L'opera di fascistizzazione dei pochi e poco diffusi giornali circolanti nella prima metà degli anni Venti, in sostanza senza grande respiro, era stata già accelerata con l'apparizione dei fasci di combattimento, avvenuta in maniera spontaneistica prima ancora che per le spinte della diplomazia fascista.

Fascio di combattimento e rappresentanza diplomatica (la sezione dell'Opera Nazionale Dopolavoro a Montevideo, inaugurata nel 1932, di fatto entrò in attività solo nel 1939 con molto in ritardo rispetto per esempio all'Argentina), operarono tuttavia sinergicamente per una totale fascistizzazione della colonia. La loro azione incontrò però forti resistenze dovute alla tradizione democratica del paese nella quale gran parte degli italiani si riconoscevano.

Il Partito comunista uruguayano, formatosi nel 1921, contrastò con determinazione l'invadenza fascista nel paese: il 17 aprile 1923, per esempio, in un salone dell'Istituto Verdi un gruppo di aderenti al PC tentò di impedire con un'azione di forza un'affollata conferenza del giornalista Ottavio Dinale, intimo amico di Mussolini e delegato del Pnf per il Sud America, che dissertava sul tema «Il fascismo e le sue finalità all'estero», e l'anno dopo manifestò contro la missione in Sud America del principe Umberto di Savoia, considerato un emissario personale del Duce 6 . La conferenza di Dinale, che trovò eco su tutta la stampa di Montevideo a motivo anche degli incidenti verificatesi (ci furono tafferugli e dovette intervenire la polizia e il dirigente fascista concluse il suo intervento davanti a un pubblico ridotto rimasto in sala) 7 , può essere considerata tuttavia il primo atto pubblico ufficiale del fascismo in Uruguay: in quella occasione, infatti, il tenente Carlo Grignetti, che introdusse l'intervento di Dinale, «proclamò costituito il primo nucleo fascista di Montevideo da lui presieduto» 8 .

Per raggiungere l'obiettivo, come già era stato sperimentato in Italia, il controllo delle istituzioni comunitarie e specialmente dei giornali divenne una questione prioritaria per la propaganda fascista, soprattutto in un paese come l'Uruguay dove si era stabilito un forte nucleo di immigrati che non mostrava alcuna simpatia per le idee del Duce e ne contrastò la diffusione 9 . Anche nell'interno il fascismo italiano ebbe per lungo tempo difficoltà ad attecchire per la manifesta ostilità delle associazioni di emigrati gelose della loro tradizione di autonomia. Nel 1931, addirittura, lo storico Circolo Italiano di Tacuarembò, cittadina situata nel nord-est del Paese a 390 chilometri di distanza dalla capitale, cambiò il proprio nome in Club Democratico 10 , chiudendo così la porta in faccia ai tentativi di fascistizzazione operati delle autorità diplomatiche. Molto spesso, tuttavia, il fascismo riuscì a mettere le mani sui simboli dell'italianità a Montevideo con effetti però negativi. Il settimanale antifascista La Nuova Patria di Buenos Aires, nel luglio 1933, riportò un articolo pubblicato dal giornale El Ideal di Montevideo secondo il quale il fascismo minacciava di far scomparire due centri di cultura italiana, la Dante e la prestigiosa Scuola Italiana, di tradizione massonica e garibaldina ma dove «tutti i giorni le lezioni terminavano con il canto di "Giovinezza"» 11 . I fascisti -raccontava il giornale montevideano -trasformandola in un centro di propaganda, col risultato di vedersi diminuire alunni e corsi, come nella Dante avevano imposto il ritratto di Mussolini in ogni aula, con grande disappunto di molti alunni e genitori democratici uruguayani 12 . La vicenda trovò spazio anche sul quotidiano di sinistra L'Italia del Popolo di Buenos Aires che, tra le tante proteste contro la deliberazione di mettere 8 Propaganda fascista tra gli italiani in Uruguay cit. Alla manifestazione era presente anche il ministro plenipotenziario e inviato straordinario Giovanni Alliata di Montereale, assieme alla moglie Olga. 9 Juan Andrés Bresciano, El antifascismo italo-uruguayo en el contexto de la segunda guerra mundial, in «DEP», 11, 2009, p. 96. 10 Marta R. Martinez Ambrosini, Associazionismo italiano nel Nord dell'Uruguay, www.gentecamuna.it/files/Ambrosini.pdf. 11 Giuseppe Nigro lo ricordò con soddisfazione nella conferenza tenuta dai microfoni di Radio Carve il 9 dicembre 1935, il cui testo fu pubblicato anche su L'Italiano del 15 dicembre successivo.

il ritratto di Mussolini nella scuola italiana, segnalò la diffusione di un manifesto dal titolo «Gli italiani liberi di Montevideo», diretto agli alunni e ai loro parenti invitandoli a boicottare con disprezzo la scuola per l'evidente «infiltramento» del fascismo e per il turbamento da ciò creato 13 .

Tornando ai giornali della collettività, sostanziale subordinazione nei confronti del fascismo mostrarono però gran parte di quelli fondati prima e dopo la marcia su Roma. Il nazionalismo patriottardo del Pro Patria -abbiamo già visto l'evoluzione precoce del settimanalequasi fisiologicamente sfociò nel fascismo e il direttore della testata Guido Trenti, figura controversa, non mostrò esitazioni nella scelta di campo, rivendicando di essere stato fascista, cosa vera, prima ancora che Mussolini arrivasse al potere e non «comodamente» dopo la marcia su Roma. «Gli italiani tutti -e quelli residenti all'estero principalmente -devono essere grati all'on. Mussolini di avere valorizzato l'Italia presso tute le Nazioni, mediante una politica di dignità e di utilità nazionale», scrisse nel 1923 esaltando l'azione dei Fasci all'estero per l'opera patriottica e di disciplina 14 .

La stessa Gazzetta italiana, bisettimanale nato il 2 gennaio 1922 e diretto da Alberto Scarzella, con Remo Prati amministratore 15 , che vantava un gruppo di quotati collaboratori 16 , puntava a esaltare la grandezza della Patria e a difenderne la latinità, senza trascurare gli interessi pratici della collettività. La stella del periodico, tuttavia, brillò solamente fino al 16 luglio successivo. Scarzella, avvocato, giornalista e scrittore-commediografo, nonché poliedrico operatore culturale 17 che inizialmente tenne un atteggiamento ambiguo nei confronti del fascismo 19 , Scarzella si dimostrò disponibile verso le autorità diplomatiche di cui raccontava anche le vicende familiari, nonché delle «novità» politiche italiane che arrivavano sulle sponde del Plata veicolate dalle autorità diplomatiche e dal fascio di combattimento.

Fondato nel marzo 1922, vita dignitosa e abbastanza lunga, tra i periodici locali ebbe il mensile illustrato Italia, una rivista di scienze, arti e letteratura diretta da Angelo Alberto Moreno (dopo il terzo anno affiancato da José Barbaro), che si adeguò ben presto al nuovo corso politico in Italia. Stampato anche in castigliano presso la tipografia Industrial, del periodico apparvero 82 numeri fino al settembre 1932 e altri sporadici negli anni successivi.

Di tono fascista, invece, furono i giornali nati quando ormai Mussolini aveva conquistato il potere, anche se ciò non fu sufficiente ad assicurare loro una vita facile. Sorte infelice toccò, infatti, al «settimanale italianissimo e indipendente» Il Piave diretto da Fernando Chiappini, ex tenente degli alpini, arrivato a Montevideo subito dopo la guerra. Apparso il 4 novembre 1924 con il rituale saluto alla stampa italiana al Plata 20 , il periodico si caratterizzò immediatamente per uno spinto nazionalismo e dalle sue pagine il direttore sollecitava gli italiani a iscrivere i propri figli alla scuola italiana. Monarchico nelle intenzioni, il settimanale fu immediatamente affascinato da alcuni slogan del fascismo, come «Eia, Eia, Alalà» con cui il direttore concluse il suo primo editoriale. Del Piave, che non lasciò grandi rimpianti all'interno della colonia italiana, furono pubblicati 31 numeri, dal novembre 1924 al giugno dell'anno successivo anche se, come ricordato dal figlio del direttore, Umberto, quel settimanale contava molti abbonati e mostrava una discreta presenza sulle sue pagine di avvisi pubblicitari 21 : l'insuccesso, dunque, fu decretato dalla dominante cultura repubblicana e democratica ancora viva e resistente nella collettività italiana.

A Fernando Chiappini, in Uruguay, si devono altre fugaci iniziative giornalistiche che guardavano più al Re che al Duce, espressione quindi di quel fascismo monarchico che trovava espressione anche nella stampa italiana come nel caso del quotidiano Il Sabaudo di Torino 22 . Quasi a dare il cambio al Piave, infatti, per pochi mesi e senza grande successo apparve La Verità, «settimanale italiano indipendente» diretto da Aldo Dieci, del quale è noto l'impegno giornalistico anche in Brasile 23 , di proprietà di Rafael Presilda ma ammini- La Verità era appena cessata, e il suo spazio fu preso dal settimanale L'era nuova che, nato come organo libertario, il 25 agosto apparve come Settimanale fascista: organo ufficiale del Fascio italiano in Uruguay, senza indicazioni sulla redazione. Ebbe però un destino infausto: scomparve il 26 novembre dello stesso anno 24 . L'inquieto ex tenente ritentò con la pubblicazione del settimanale Italia Nova. «Organo degli italiani fidenti nella Patria nel Re e nel Governo», come recitava il complemento di testata, il periodico da lui diretto ebbe, però, poca diffusione per le resistenze al fascismo da parte della colonia italiana e, pertanto, vivacchiò in edicola solo per quattro mesi, dal 1° aprile al 22 luglio 1926. Si trattò, in ogni caso, di un foglio molto modesto e soltanto per questo già di scarso peso, nonostante utilizzasse toni enfatici e caratteri di scatola, come fece, per esempio, il 24 giugno per invitare gli italiani al Teatro Artigas per una conferenza programmata da Tommaso Marinetti nel suo fugace passaggio a Montevideo nella tournée che il poeta fece in compagnia della moglie Benedetta anche in Argentina e Brasile per diffondere il Futurismo: «ITALIANI! Martedì 30 corr. il geniale poeta Marinetti darà sua Conferenza al teatro Artigas. AC-CORRETE NUMEROSI». Quasi mestamente Italia Nova il giorno dopo la conferenza dovette scrivere che «il pubblico non era numeroso, però in cambio era composto da persone intelligenti, che seppero tributare i giusti onori al valente oratore che per oltre due ore parlò in un linguaggio chiaro e preciso», tanto da essere oggetto di una manifestazione di simpatia all'uscita dal Teatro 25 .

Per il resto, Chiappini si fece notare soltanto per gli attacchi ai fuoriusciti italiani e alla massoneria e per una polemica pungente e continua con il quotidiano uruguayano El Día, vicino a José Batlle y Ordóñez, che a sua volta attaccava il foglietto fascista e il fascismo stesso (El Día ed El Ideal furono spesso in polemica anche con il settimanale L'Italiano) 26 .

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Italiana e del supplemento umoristico Il Tribuno d'Italia. Considerato un buon giornalista, collaborò anche con il quotidiano antifascista La Difesa di San Paolo. Dal 12 maggio al 31 dicembre 1926, ancora, a Montevideo circolò anche il bisettimanale Il Piccolo. Fino all'11 agosto ebbe proprietario l'ing. Osvaldo Maggio e come direttore Nigra Chiarina e successivamente Annibale Fontanella.

«L'Italiano», dal Re a Mussolini

Forte del proprio solido passato, un ruolo singolare per tutto il Ventennio fascista svolse ancora il settimanale L'Italiano, l'organo più importante della colonia, fondato da Giuseppe Nigro. Da sempre monarchico e filogovernativo e per tale motivo a libro paga della Legazione italiana, all'apparire si era mostrato piuttosto tiepido ma non ostile col fascismo. Con un atteggiamento identico a quello di tante testate dell'emigrazione che al termine del grande conflitto mondiale erano ancora ubriache di nazionalismo e temevano l'avanzata socialista in Italia, per tutto il 1922 il settimanale ignorò le violenze dello squadrismo nella sua ascesa al potere e solo dopo 15 giorni dall'evento diede notizia della marcia su Roma delle camicie nere di Mussolini, pubblicando un breve articolo in seconda pagina in cui si limitava a fornire l'elenco dei ministri del nuovo governo («di coalizione», come spiegò), preoccupandosi di rassicurare la collettività che c'era stata una rivoluzione pacifica e che nulla era mutato per quanto riguardava le istituzioni monarchiche, il parlamento e l'esercito. L'Italiano, insomma, o non aveva compreso gli avvenimenti italiani o intenzionalmente chiudeva gli occhi davanti a essi. Perno della sua linea editoriale a ogni modo restava la difesa della monarchia sabauda. Non furono pochi, a tale proposito, i numeri celebrativi della famiglia reale, in occasione del genetliaco del re o altre significative date del calendario civile legate al Risorgimento.

Con il 1923, lo sviluppo dei Fasci di combattimento all'estero e la conseguente soggezione delle rappresentanze diplomatiche al nuovo governo, anche Nigro e il suo settimanale progressivamente finirono per allinearsi e indossare la camicia nera. Dal nazionalismo al fascismo la strada da percorrere non era poi tanta e l'evoluzione del giornale fu naturale. L'Italiano, così, in poco tempo aderì alle idee del Duce, salvo un ripensamento manifestato con un prolungato silenzio sulle vicende italiane seguite all'omicidio del leader socialista Giacomo Matteotti, silenzio che si protrasse fino al novembre 1924. Tuttavia, già in quell'anno l'Annuario della stampa italiana lo segnalava come settimanale filofascista, con redazione in Calle 25 de Mayo 326, tra Solìs e Colón, l'ultima sede dopo le tante cambiate nel corso della sua esistenza 27 . L'Aventino del settimanale durò ben poco. Sul finire del 1924, infatti, tornò all'esaltazione di Mussolini a pubblicare grandi foto e articoli elogiativi sul duce, la sua famiglia, la sua politica, aprendo le proprie pagine alle notizie che direttamente o indirettamente esaltavano il Regime: una linea editoriale, apparentemente molto misurata nei toni, sebbene chiaramente pilotata dalla diplomazia italiana nel Paese, linea che Nigro portò avanti assieme al redattore Giovanni Caldieri e la collaborazione di alcuni esponenti fascisti locali.

Anche quando il fascismo controllava di fatto il suo giornale, Nigro mantenne comunque come sua personale stella polare la monarchia sabauda. Il numero speciale del 28 ottobre 1927, a cinque anni dalla marcia su Roma, ne costituisce una conferma. L'Italiano, nella data più cara al fascismo, celebra «La Vittoria Italiana» e più che esaltare la presa del potere da parte di Mussolini, rievoca l'epopea della prima guerra mondiale e dei suoi protagonisti, dal Re Vittorio Emanuele III ai capi di stato maggiore dell'esercito. Senza mai trascurare l'antico e solido rapporto con la collettività senza volto e senza nome, per la quale, tra le tante iniziative, aveva messo a disposizione anche un consultorio giuridico «assolutamente gratuito» per gli abbonati che ne avessero avuto necessità, consultorio affidato all'avv. Attilio Renzi Segura, un affermato giurista, procuratore dello stato per il contenzioso amministrativo.

Proprietario, amministratore e direttore del suo giornale, Nigro negli anni Venti era anche vice segretario della Camera di Commercio Italiana di Montevideo, con l'incarico di curare la pubblicazione del Bollettino, dapprima assieme al segretario generale Alberto Scarzella e dal 1925 al successore Gerardo D'Andrea (dal 1928 al 1934 il bollettino camerale si chiamò La rivista commerciale italo-uruguayana). Nello stesso periodo, quando ormai L'Italiano era già allineato sulle posizioni fasciste, il suo direttore fu nominato corrispondente e rappresentante a Montevideo del Corriere della Sera e di altri giornali e riviste pubblicate dalla società editrice di Milano: La Domenica del Corriere, Il Romanzo mensile, Il Corriere dei Piccoli.

Nonostante il legame col fascismo locale e forse perché non ne accompagnò nei primi anni gli impeti dottrinari, tuttavia, alla fine degli anni venti il periodico attraversò momenti di crisi abbastanza seri che Nigro superò anche con iniziative speciali. Tra queste un numero straordinario di circa 200 pagine, come omaggio della collettività italiana all'Uruguay in occasione del centenario della sua indipendenza, il 18 luglio 1930. Per l'occasione, Nigro sollecitò materiali da pubblicare anche a personalità del fascismo in Italia 28 che, prima di aderire alla richiesta, vollero essere garantite «sulla serietà, importanza e tendenza del giornale L'Italiano»: l'ufficio stampa del ministero degli Esteri, a firma di Ferretti, assicurò che Nigro, sulla base delle informazioni avute da Montevideo, era persona nota all'Ambasciata «per la sua propaganda d'Italianità e per la sua devozione al Regime» 29 .

Ogni sforzo risultò insufficiente, tanto che nel gennaio del 1931 L'Italiano sospese le pubblicazioni, secondo il ministro plenipotenziario per difficoltà economiche, ben presto superate però con la definitiva trasformazione del settimanale in portavoce del fascismo. Con il n. 964, dopo 21 anni, il suo fondatore e direttore, ufficialmente per ragioni di salute secondo quanto spiegò la stampa fascista, fu costretto ad abbandonare momentaneamente la direzione e cederla all'avvocato Francesco Saverio Servillo, di origini napoletane, in Uruguay dal 1909, che, all'epoca aveva 54 anni ed era molto stimato all'interno della collettività 30 . Servillo piaceva al Fascio locale per «la sincerità e il fervore del suo patriottismo» ma specialmente perché mostrava «grande fede sui destini d'Italia». Come spiegò, facendo sfoggio di retorica, nel suo programma al momento di assumere la guida del giornale, «ormai l'Italia è quello che è. Piaccia o non piaccia» ed era tornata «ad essere faro di gran luce nel mondo», che erano «evidenti e noti … i segni nel suo grande e immancabile destino» e che, infine «la sua nuova grandezza è giusto titolo di orgoglio, di fierezza per tutti gli italiani» 31 . Parole pompose, ben gradite al fascismo.

Il tempo dei quotidiani fascisti

Tra le testate italiane di quegli anni, l'espressione giornalistica più duratura e significativa è rappresentata da La Voce d'Italia, quotidiano ultra-fascista del mattino. Il primo numero uscì l'1 settembre 1926. Il giornale era diretto da Francesco Santoro, con Guido Trenti capo della redazione e Antonio Basile amministratore, aveva sede in via Rio Branco 1319 e possedeva una tipografia propria. Della sua vita conosciamo ben poco ma quel che conosciamo, grazie al corrispondente del quotidiano di sinistra L'Italia del Popolo che si stampava a Buenos Aires e cercava di radicarsi anche a Montevideo 32 , rappresenta uno spaccato di avventurismo politico nelle comunità emigrate: sussidiato dalla Legazione che, come accadeva ovunque, di fatto obbligava i commercianti italiani a sostenerlo con avvisi pubblicitari, La Voce d'Italia era diretta da un ex capitano reduce della Grande Guerra, a quanto pare arrivato in fretta e furia dal Brasile «dove aveva lasciato un non grato ricordo di sé in una banca», il quale fu estradato in Italia per associazione a delinquere (questioni di mafia, si disse) ed omicidio. In quel momento il giornale, che «tirava innanzi non proprio a gonfie vele, ma via, tirava innanzi», era il portavoce del fascismo locale che, imbarazzato dalla piega degli eventi, non mosse un dito per salvare il direttore «fascista al cento per cento». Sebbene infermo e con moglie e figli, Santoro tornò in Italia in ceppi e finì in carcere all'Ucciardone di Palermo.

La Voce d'Italia ebbe un colpo mortale. Benché avesse ben servito il Fascio locale e la Legazione, bombardando la collettività con la propaganda mussoliniana, era diventata una testata impresentabile. Nel luglio 1930 si decise di mettere fine a quella esperienza. Dal 1° agosto, così, il quotidiano fu sostituito da Il Messaggero d'Italia, diretto da Raffaele Torre che ne divenne anche proprietario e che mantenne la stessa redazione. La sede fu spostata in via Mercedes 787. Amministratore rimase Antonio Basile. Per il severo corrispondente della porteña L'Italia del Popolo, il quotidiano «spuntò come un fungo velenoso», fu «un altro aborto del giornalismo» che «fallì in capo ad alcuni mesi». La linea politica, chiaramente fascista e aggressiva (come sottotitolo recava la molto eloquente frase «Meglio vivere un giorno da leoni che cento da pecore»), gli impedì di diventare il quotidiano di tutta la collettività. Il giornale, così, pubblicò soltanto 138 numeri e si spense definitivamente il 24 dicembre successivo, anche per problemi riguardanti il suo direttore. Il Fascio di Montevideo, infatti, con un criptico comunicato si premurò di smentire definendo pettegolezzi le voci circolanti sui problemi giudiziari del direttore-proprietario, spiegando che non era mai stato iscritto al Fascio in Italia e non aveva fatto domanda per essere iscritto a quello di Montevideo ma che, a ogni modo, non aveva mai riportato «condanne penali tali da poter dar luogo alla sua estradizione» 33 .

A cavallo tra gli anni Venti e Trenta, con una stampa etnica ormai in gran parte allineata al regime e, c'è da ritenere, per lo più dipendente dai fondi occulti della Legazione e del Consolato e dal sostegno della Camera di Commercio Italiana, il fascismo produsse il massimo sforzo per acquisire il consenso della massa di emigrati e intimorire quei gruppi che non intendevano adeguarsi al nuovo corso italiano. Non mancò, allora, di varcare il Plata per spendersi nella propaganda del fascismo quel Mario Appelius che nel 1930 a Buenos Aires, con le credenziali di Arnaldo Mussolini, s'era insediato come primo direttore del quotidiano littorio Il Mattino d'Italia, la cui nascita costrinse alla chiusura, dopo 51 anni di vita, la storica Patria degli Italiani 34 . A Montevideo, in verità, Appelius giocava anche in proprio perché il quotidiano da lui guidato si proponeva fin d'allora di diventare l'«Organo delle collettività italiane di Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia e Cile» (come poi avvenne ufficialmente dal 1934) e per la sua espansione puntava molto sulla capitale uruguayana dove aveva aperto subito una propria rappresentanza. Colui che, nella definizione di Alessandro Galante Garrone, sarebbe diventato il «triviale e forsennato» giornalista ai microfoni della radio fascista, spiccando tra gli aedi di Mussolini, partecipò ad alcune iniziative promosse dalla Camera di Commercio, assieme al Ministro d'Italia Temistocle Filippo Bernardi, pronto a fare le valige dopo sei anni di permanenza nella sede, e al potentissimo gerarca Piero Parini, segretario generale dei fasci all'estero, impegnato nella missione di fascistizzare le collettività italiane nei paesi del Plata apparentemente impossibile e che, a ogni modo, fino ad allora aveva trovato insormontabili resistenze.

Quell'incontro servì a smuovere qualcosa nel giornalismo etnico italiano di Montevideo. Chiuso, infatti, Il Messaggero d'Italia, il settimanale L'Italiano fu interessato, come abbiamo visto, da mutamenti profondi. Il fascismo non aveva però un organo di stampa potente, contrariamente a quanto avveniva sull'altra sponda dove cercava di imporsi Il Mattino d'Italia di Appelius. Fu in questi mesi che l'organo fascista di Buenos Aires, cominciò a trattare con più insistenza evvenimenti di Montevideo, pensando di potere occupare realmente la piazza. Il giornale fin dalla sua fondazione, a Montevideo aveva un'agenzia affidata a Camillo Cardu e «una bella schiera di abbonati ed amici» e, tentò di espandersi potenziando le corrispondenze. A Cardu, un cagliaritano insegnante di letteratura italiana all'Istituto di studi superiori, poeta e traduttore di poeti della terra orientale 35 , console della Repubblica di San Marino, direttore delle riviste Un cenno di vita italiana nell'Uruguay (1926) nella quale «è illustrata l'attività dei nostri connazionali benefica in ogni campo» 36 , La Nostra antologia, organo della Dante Alighieri che «tratta di letteratura e illustra l'Italia» 37 , e nel 1928 della rivista politica Los deberes del hombre 38 , affiancò allora il navigato Guido Trenti, ultimo direttore della mitica L'Italia al Plata, un tempo battlista e repubblicano, poi conquistato dal fascismo. Trenti dapprima lavorò come inviato speciale e dal 10 luglio come «direttore» della succursale 39 di Montevideo, la cui sede fu inaugurata il 3 agosto successivo in via Convención 1174, succursale che sarebbe stata accolta addirittura «con giubilo» per la campagna di italianità portata avanti dal giornale allo scopo di «far meglio conoscere la rinnovata grandezza della Patria» 40 . Al varo della pagina settimanale montevideana, Trenti garantì il suo assoluto allineamento alle direttive del quotidiano fascista di Buenos Aires e che la sua attività sarebbe stata corollario «dell'azione patriottica che il giornale svolge [va] in Argentina, al di fuori da ogni meschina competizione personale e di ogni sterile dissidenza dottrinaria» 41 . Sebbene lavorasse al servizio dell'organo fascista sposandone la linea in maniera convinta, nei fascicoli della polizia in Italia, a volte sepolti tra mille altri e lentissimi nell'aggiornamento, Trenti era etichettato come socialista. Ancora nel 1933, infatti, il prefetto di Modena chiedeva informazioni sul suo conto «per potere stabilire se il Trenti anzidetto debba essere considerato elemento sovversivo» 42 . A favore del giornalista dovette scendere in campo il nuovo Ministro d'Italia Serafino Mazzolini che in una lettera al Ministro dell'Interno a Roma spiegò di conoscere personalmente Trenti, «fervente fascista», nonché «direttore dell'ufficio locale di corrispondenza del quotidiano il "Mattino d'Italia" di Buenos Aires», che serbava «condotta politica irreprensibile» e non poteva, dunque, «essere considerato elemento sovversivo» 43 . Con Trenti a capo della redazione di Montevideo e al suo fianco Camillo Cardu, fervente mussoliniano, segretario del Fascio locale e per qualche tempo anche segretario di zona, nelle corrispondenze da Montevideo ai giornali argentini si replicò il duello tra fascismo e antifascismo che divampava sulle pagine del quotidiano di Appelius e della liberal-democratica Patria degli Italiani ormai quasi moribonda per l'assedio di Ambasciata e Fascio di Buenos Aires 44 . Trenti, con servizi e interviste agiografiche, si adoperava per dare lustro all'attività dell'imprenditore Giuseppe Fiocchi, segretario del Fascio di combattimento di Montevideo nel 1931 intestato al tenente colonnello pilota Umberto Maddalena, diventato presidente della «Fiat Uruguaya S.A.» 45 , e Cardu s'affrettava a trasmettere con «telegramma particolare» la cerimonia per l'anniversario della fondazione dello stesso Fascio alla quale, con il Regio Ministro Bernardi, parteciparono Fiocchi, il console della Milizia Gangemi e «una folla di connazionali» 46 . Il corrispondente della Patria denunciava, invece, la deriva verso il fascismo di alcune associazioni di emigrati e accusava apertamente la Società Italiana di Mutuo Soccorso di fare politica fascista. I dirigenti di quest'ultima, per smentire l'accusa non trovarono di meglio che inviare una lettera al Mattino accusando di «disfattismo» il quotidiano democratico di Buenos Aires 47 .

Nel rarefatto panorama della stampa antifascista in lingua italiana, per un paio d'anni, dal 5 febbraio 1929 al 21 giugno 1931, fu pubblicata Giustizia, sezione autonoma, con articoli in italiano e spagnolo, del settimanale uruguayano Justicia, vecchio organo del Partito Socialista locale che dopo la scissione era rimasto in mano alla frazione comunista.

Mazzolini e la propaganda fascista

Il vampirismo ideologico fin d'allora esercitato dal fascismo sulle vecchie associazioni di emigrati cresciute a liberalismo e democrazia, tuttavia, divenne L'intensa attività propagandistica, tesa a dare vita a una piccola patria fascista tra gli italiani del Plata, protrattasi fino al 1937 quando Mazzolini fu trasferito al Cairo, non raggiunse grandi risultati: la conferma sta nel numero molto modesto di iscritti ai Fasci di combattimento che nel 1937 erano solo 1100, di cui 450 a Montevideo, numeri che il suo sponsor Luigi Federzoni considerò tuttavia eccellenti 49 ma che difficilmente possono ritenersi tali se si pensa che la colonia italiana -a detta dello stesso Mazzolini -era composta da 60-70.000 persone e il solo Circolo Napolitano, di tendenza antifascista, contava più di 1.500 soci.

Mazzolini, un «ventottista» già console a San Paolo del Brasile, ex deputato fascista con un passato di nazionalista, volontario nella Grande Guerra e legionario con D'Annunzio a Fiume, impresse una forte accelerazione al tentativo di cambiare i comportamenti politici della colonia italiana con il coinvolgimento della sua vecchia dirigenza. Muovendosi con abilità tattica come aveva fatto in Brasile (era una sorta di «predatore» il cui principale obiettivo puntava a incrementare il consenso al fascismo nelle comunità italiane) conquistò alla causa del regime istituzioni come la Scuola Italiana, molti circoli (la Società Italiana di Mutuo Soccorso e il Circolo Italiano, tra quelli più importanti) con alcune significative eccezioni, però, come quella molto nota -e più importante -del Circolo Napolitano 50 . Assieme a quest'ultimo, anche l'Ospedale Italiano, la Società Democratica e il Circolo Garibaldini andavano avanti perché erano afascisti o addirittura antifascisti 51 , com'era il caso della «Famèe friulana», nella quale più delle metà dei fondatori aveva idee antifasciste e sei di loro furono schedati nel Casellario Politico Centrale di Roma. D'altra parte, assicurava il corrispondente de L'Italia del Popolo tirando l'acqua al mulino dell'antifascismo, «il fascismo non poteva mettere allori né trovare simpatie in mezzo ad una collettività composta per tre quarti di vecchi aventi le loro idee su tutti i problemi della vita e della politica»; per poi, retoricamente domandarsi: «Qui dove le primordiali libertà di stampa, di parola, di riunione, di associazione, di suffragio, sono illibate e costituiscono il patrimonio sacro e inviolabile della nazione orientale come poteva un regime liberticida, dispotico e poliziesco, fare proseliti fra gli stessi italiani?» 52 .

L'episodio sicuramente più clamoroso e netto di antifascismo fu quello dimostrato dal Circolo Napoletano. Il rifiuto del Circolo di adornare le proprie stanze con il ritratto di Mussolini, fu uno schiaffo per il diplomatico fascista ma soprattutto fu ritenuto un pronunciamento contro l'invadenza dei Fasci che avrebbero voluto con la prepotenza controllare l'antica e benemerita associazione patriottica 53 . Non per niente il Circolo divenne un bersaglio dello squadrismo fascista e il 9 giugno 1938 subì l'attacco di una quindicina di camicie nere che furono respinte dal gerente Eriberto Staffa e da pochi altri soci presenti. In diverse occasioni i fascisti avevano tentato senza successo di impadronirsi della vecchia istituzione e pochi giorni prima erano stati ancora battuti dalla maggioranza democratica del Circolo 54 . La spedizione punitiva era capeggiata da Compagnucci Compagnoni, segretario di zona dei Fasci dell'Uruguay intenzionato ad accelerare con metodi violenti la fascistizzazione di quelle realtà associative in cui erano fallite anche le manovre di Mazzolini 55 . «Come è di dominio pubblico -avrebbe scritto Giuseppe Martella anni dopo, rifiutando da far parte di un Comitato di accoglienza per il nuovo ministro d'Italia in quanto, in quella occasione, nessuna solidarietà era giunta dalla gran parte dei sodalizi comunitari allineati al fascismo -la nostra Società, dal principio, ha assunto una linea di condotta contro il fascismo che, disgraziatamente, non è stata condivisa dalla quasi totalità delle istituzioni italiane» 56 .

Nel 1934, a ogni modo, sulla scia delle resistenze del Circolo Napolitano si ribellò anche l'Associazione Democratica Italiana, sorta 12 anni prima e sempre malvista dai benpensanti e dai regi ministri, comunque fiorente fino a che non ebbe a scontrarsi con il fascismo, quando il suo presidente, l'imprenditore Emilio Coelli, avrebbe voluto fonderla con la fascista Casa d'Italia. L'operazione, però, non andò in porto per la dura opposizione della maggioranza dei soci che non intese aderire alle pressioni dei «signori del fascio» 57 .

Anche per la stampa democratica, sia quella nazionale, sia quella etnica residuale, quelli furono periodi foschi. In quel periodo, infatti, le forbici della censura furono usate senza sosta e molti fogli non asserviti al potere uscivano con spazi bianchi. Altri giornali angtiregime non potevano essere stampati per tagli improvvisi della corrente elettrica. In seguito al colpo di stato del 31 marzo 1933 a opera di Gabriel Terra, leader della corrente di destra del «Partido Colorado» nel quale si formò un gruppo noto sotto il nome di terrismo, golpe che secondo alcune fonti ebbe proprio in Mazzolini il regista 58 , infatti, fu introdotta la censura. I giornali di opposizione -proprio su segnalazione di Mazzolini, che suggeriva a quanto pare anche i nomi degli oppositori da arrestare e contribuì a creare l'apparato dittatoriale uruguaiano -furono boicottati in tutti i modi.

Il giornalismo democratico in lingua italiana chinò definitivamente la testa, schiacciato tra l'urto fascistizzante di Mazzolini e le limitazioni di parola imposte da Terra che giudicava Mussolini «il più grande uomo del secolo» e sosteneva che le Camicie nere erano continuatrici delle Camicie rosse garibaldine, mandando in giuggiole quella parte della colonia italiana che aveva aderito al regime mussoliniano 59 .

Nel suo spasmodico attivismo propagandistico, rivolto specialmente ai rapporti con le comunità italiane dell'interno del Paese, Mazzolini ottenne pure il sostegno dei salesiani molto sensibili alle attenzioni che il diplomatico 60 , come lascia intravedere una nota del loro Bollettino 61 . Mazzolini era un ex-allievo e con la Congregazione, da decenni impegnata al Plata a contenere la propaganda socialista e massonica 62 , mantenne stretti e cordiali contatti. «Entusiasta del sistema educativo di Don Bosco ed affezionato ai suoi antichi educatori», secondo il giudizio del Bollettino salesiano, tra giugno e luglio del 1933 l'ex-allievo onorò «di una sua desideratissima visita» diversi collegi salesiani, tra cui quello di Salto, i due di Paysandù, le Scuole Professionali di Montevideo e i due collegi di Manga. In ogni occasione fu accolto Storia della stampa italiana in Uruguay 122 inviò al suo governo alla fine del 1934: «A Montevideo è stato notato che il Ministro italiano è il rappresentante diplomatico frequentemente invitato a riunioni dei capi militari, come banchetti ufficiali, consegna delle bandiere, etc., alle quali generalmente non sono invitati i membri del corpo diplomatico […] C'è chi arriva ad affermare che la sua influenza è responsabile delle tendenze fasciste che si stanno manifestando nel paese» (cfr. Alfredo Alzugarat, Imperios y dictaduras, in «El País», Montevideo, 7 agosto 2009). al suono di Marcia reale e inni patriottici «con tutto lo slancio dello spirito salesiano»: religiosi e giovanii «hanno dimostrato al Ministro d'Italia l'intensa simpatia e la fervida ammirazione ch'essi nutrono per la Patria del Beato Don Bosco» 63 .

Totale sostegno ebbe dallo stesso governo cesarista di Gabriel Terra, del quale il diplomatico fascista fu consigliere personale, che faceva di tutto per compiacere l'amico italiano: malgrado le proteste della stampa locale e della dissidenza italiana, nel novembre 1933 Mazzolini ottenne la consegna di quattro anarchici italiani che avevano trovato rifugio nella capitale uruguayana 64 Nell'affannosa corsa per fascistizzare ogni spazio di italianità, Mazzolini dotò la Legazione di un Servizio stampa e propaganda affidandolo a Camillo Cardu che curava i rapporti con la stampa locale 67 , elargì contributi più o meno occulti ai periodici vicini alla Legazione 68 , e puntò massicciamente sul nuovo media emergente, la radio, che già negli anni Trenta in Uruguay rifletteva quella che era una «"nazione di immigrati", dove convivevano molti costumi, Stampa italiana in camicia nera 123 63 In quelle occasioni, come riporta il Bollettino (1° ottobre 1933), Mazzolini «ebbe ovunque parole di grande compiacenza ed espressioni di profonda ammirazione e di vivissimo affetto per l'Opera salesiana». 64 G. Scipione Rossi, Mussolini e il diplomatico, cit., p. 89. Gli anarchici colpiti da decreto di espulsione nel novembre 1933, «deportati» e consegnati alla polizia fascista dopo due mesi passati in prigione furono Antonio Destro, Giacomo Barca, Ugo Fedeli e Giulio De Stefani (cfr. Un trentennio di attività anarchica 1914-1945, L'Antistato, Cesena 1953, ora Samizdat, Pescara 2002 Nuova Patria», 7 luglio 1935). 67 Gianni Marocco, Sull'altra sponda del Plata. Gli italiani in Uruguay, Franco Angeli, Milano 1986, p. 105. Nel 1935 Cardu organizzò anche l'«Istituto uruguaiano di cultura italiana». storie e una miscela di linguaggi», per cui la programmazione dedicava «nutriti spazi» alle associazioni regionali italiane, spagnole, ebree e armene le quali «con esito differente cercavano di mantenere vive le proprie tradizioni» 69 . Proprio in quegli anni un italiano, Carlo C. Laura, a Salto diede vita a Radio CW 38 «Broadcasting Centenario». Era lo stesso proprietario a trasmettere musica e informazioni in lingua italiana. Ma la propaganda fascista locale che privilegiò le frequenze di Radio Carve, si affidò anche alle trasmissioni radiofoniche dell'Eiar che in onde corte diffuse programmi che potevano essere ascoltati anche in Sudamerica e che, il sabato alle 21,45 e la domenica alle 13 ora locale, erano dedicati alla collettività italiana in Uruguay 70 . Per tali programmi l'Eiar, secondo quanto scrisse L'Eco d'Italia, ricevette lettere con commenti favorevoli da diversi centri del Paese. E ancor prima che dalla stazione di Prato Smeraldo, dieci chilometri a Sud di Roma, a partire dal maggio 1937 venissero irradiati con maggiore potenza i programmi per gli italiani all'estero, «una importante stazione di Buenos Aires ha fatto delle proposte all'EIAR per farsi carico della ritrasmissione» nei paesi del Plata 71 .

La stessa stampa uruguayana fu sommersa dalla propaganda fascista. Le sezioni esteri di giornali come El Debate, Tribuna Popular, El Imperial e El Pueblo, si affidavano ad agenzie fasciste come Romapress e Italpress per le loro informazioni internazionali 72 e tali agenzie, assieme ad altra documentazione erano fornite gratuitamente dalla Legazione italiana.

Mazzolini cercò, poi, di dare un ruolo al Dopolavoro, lo strumento di penetrazione popolare del fascismo tra gli emigrati, istituito nel 1932 che però incominciò a funzionare realmente nel 1939 73 , per cui non fu un grado di sviluppare una attività penetrante come in atri paesi.

La stampa etnica in tinta littoria, a ogni modo, guadagnò ben poco dall'orgia di gagliardetti e labari. Dopo l'arrivo di Mazzolini nell'agosto 1932, e la con-Storia della stampa italiana in Uruguay 124 69 Mónica Maronna, La segunda guerra mundial como acontecimiento mediático cotidiano, in «UNIrevista» (Brasile), I, 3, luglio 2006. «Tutte le fonti del tempo dedicate alla radio -scrive Maronna -, pubblicavano nel dettaglio i programmi e annunciavano anche le stazioni italiane, inglesi, spagnole, ecc. che trasmettevano in onde corte la cui programmazione figurava alla pari di quella locale». Tra esse c'erano, ovviamente, le cronache del regime di Radio Roma che il fascismo, con Galeazzo Ciano dal 1933 responsabile della stampa e propaganda, seppe bene utilizzare per suscitare il consenso delle masse all'interno e all'esterno del Paese, 70 I programmi radiofonici pel Sudamerica, in «L 'Italiano», 20 gennaio 1935 71 Sante Lungherini, Il fiasco della Norma, in «L'Eco d 'Italia», 13 gennaio 1935. 72 Con il nome Italpress, a Buenos Aires invece funzionò un'agenzia di stampa antifascista per trasmettere notizie a quotidiani e periodici (cfr. Luigi Daga, La forza dell'utopia. Giuseppe Parpagnoli sovversivo dal sindacato al buongoverno, Ediesse, Roma 2004, p. 155). seguente forzata fascistizzazione di una parte della collettività, anzi, si registrò un suo lento declino. Si spense, come abbiamo visto, il mensile Italia di Moreno che stampò ancora dei numeri speciali prevalentemente in lingua spagnola: uno nel settembre 1934, un altro nell'ottobre dell'anno seguente in cui spicca una lunga recensione di Olindo Malagodi a un libro sul corporativismo fascista scritto da Giuseppe Bottai, accanto ad articoli sulla conquista italiana dell'Etiopia e sul ministro d 'Italia Mazzolini. Lo stesso Moreno, inoltre, nel 1938, dirigeva il mensile Uruguay-Italia, «Revista Nacional del Club Italia», che nel numero di gennaio ripropose un ritratto di Mazzolini e ricordò la scomparsa di Enrico Coelli.

Gli anni Trenta, a ogni modo, furono animati da una stampa minore in tinta littoria che vivacchia come può. All'interno della collettività italiana, infatti, circolarono fogli d'informazione di vita breve o di non grande peso. Dal 31 gennaio 1932 al 1939 fu in vita il periodico Corriere d'Italia diretto da Ernesto Chiancone sul quale esistono solo vaghe notizie nonostante abbia avuto una vita così lunga 74 .

Benché si presentasse in severa tinta littoria e fosse patrocinato dallo stesso ministro Mazzolini a cui era asservito, o proprio per questo, si dimostrò una meteora il settimanale L'Eco d'Italia, «giornale degli Italiani nell'Uruguay»quattro pagine tabloid -che provò senza esito a diventare organo alla collettività. Il nuovo periodico fondato da Guido Trenti, decano dei giornalisti italiani di Montevideo, definitosi di «incrollabile fede fascista», infatti, fallì miseramente l'obiettivo. Apparso il 13 gennaio 1935 dopo pochi numeri (la Biblioteca Nacional ne conserva cinque) il giornale cessò le pubblicazioni. L'Eco d'Italia più che giornale degli italiani, si mostrò pronubo al fascismo fin dal primo numero con un enfatico editoriale firmato da Trenti in cui si faceva sfoggio e abuso di maiuscole: «Saremo così collaboratori spontanei modesti ma sinceriscrisse il direttore -di Colui che la Nuova Italia qui rappresenta degnissimamente, S.E. il R. Ministro On. Serafino Mazzolini, la cui azione diplomatica ha già dato tanti eccellenti frutti, così per l'unione e la concordia della nostra collettività come nei sempre più stretti rapporti d'amicizia tra l'Italia e l'Uruguay» 75 . Trenti, pur convinto dei necessari miglioramenti da apportare, si dichiarò subito soddisfatto dell'accoglienza che l'iniziativa editoriale ebbe nella colonia 76 , definendola lusinghiera 77 . A nulla valsero i contributi della Legazione che, in verità, il direttore smentì categoricamente, il notevole sostegno pubbli- 75 Guido Trenti, Per cominciare, in «L'Eco d 'Italia», 13 gennaio 1935. 76 Id, Chiarimenti, in «L'Eco d 'Italia», 26 gennaio 1935. 77 Id., Come è accolto "L'Eco d 'Italia", in «L'Eco d'Italia», 16 febbraio 1935. citario di imprese «italiane» 78 , una sede nella prestigiosa piazza Independencia e la buona organizzazione aziendale, con Pasquale Teramo amministratore e Gianni Beccaria Benzi segretario. Il settimanale già alla fine di febbraio scomparve dalle edicole e dalle strade di Montevideo. La linea editoriale de L'Eco d'Italia era, infatti, appiattita sui presunti successi del fascismo in Italia e all'estero e di Mazzolini in Uruguay, nonché sostenitrice del presidente Gabriel Terra. E fu rigettata, quindi, dalla maggioranza democratica degli emigrati italiani e degli italo-discendenti. In ogni numero il ministro d'Italia era al centro dell'attenzione: per essersi occupato della situazione dell'Ente Opere Assistenziali a favore degli italiani bisognosi; per l'intenzione di realizzare un grande palazzo, la Casa d'Italia, capace di ospitare tutte le associazioni italiane; per la visita ai «primi campeggi di bimbi e giovanetti d'Italia voluti da Legazione, Fascio e Scuola italiana» e per altro ancora 79 . Contrariamente a quanto sostenuto da Trenti, la collettività italiana in quel momento più che unità e concordia registrava profonde e insanabili fratture proprio per l'aggressività della Legazione e del Fascio per i quali essere italiano avrebbe dovuto significare essere fascista.

Per il resto, nel decennio, furono stampati diversi numeri unici e speciali, bollettini di circoli, organi fascisti o di associazioni, nonché fogli occasionali finanziati da maggiorenti della colonia, come quello «che ogni tanto vede la luce per opera del nominato Mario Veneruso», da cui Trenti si premurò di prendere le distanze 80 . Tra le testate edite da associazioni, La Dante Alighieri proseguì la pubblicazione dell'omonimo bollettino e quella degli ex combattenti, dal 24 maggio al dicembre 1939, pubblicò un proprio notiziario, La Squilla. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il mensile della combattenti, come riportato da un settimanale di Buenos Aires, assunse le difese della Germania contro lo stesso governo uruguayano e fu perciò denunciato e processato per frasi oltraggiose verso la nazione: aveva solidarizzato con la tesi tedesca nella vicenda della Graf Spee 81 , una disputa che coinvolse le rappresentanze diplomatiche di Germania e Gran Bretagna e il governo dell'Uruguay, paese all'epoca ancora neutrale, e fu costretto a chiudere 82 . 79 Cfr., in particolare, i numeri del 13 gennaio, 26 gennaio e 9 febbraio 1935. 80 Noi e… gli altri, in «L'Eco d 'Italia», 9 febbraio 1935. 81 Per un bollettino processato in Uruguay, in «La Nuova Patria degli Italiani» (Bs. As.), 6 gennaio 1940. 82 Era accaduto che la piccola corazzata tedesca Admiral Graf Spee, in seguito alla nota battaglia del Rio della Plata, per i danni subiti fu costretta a riparare nel porto di Montevideo, dove diede sepoltura a 37 marinai morti in combattimento. La Convenzione del'Aja permetteva la sosta di una nave appartenente a una nazione in guerra al massimo per 24 ore. Il governo uruguayano

«L'Italiano» portavoce del Fascio e la guerra d'Abissinia

A dominare la scena per tutti gli anni Trenta, specialmente dopo il fallimento de L'Eco d 'Italia, rimase il settimanale L'Italiano totalmente fascistizzato. Nigro aveva ripreso formalmente il suo ruolo nel giornale ma a dettarne la linea, come direttore di fatto, era chiaramente Mazzolini. Conferme emblematicamente del ruolo di organo propagandistico del fascismo e in particolare della Legazione italiana, sono i numeri pubblicati in occasione della conquista di Addis Abeba, poi allorquando il Comitato «Pro Patria» nel maggio successivo organizzò una settimana di festeggiamenti patriottici e, infine, al tempo della promulgazione in Italia delle famigerate leggi razziali.

Forte della sua tradizione «ministerialista», L'Italiano era ormai diventato, un potente e duttile strumento della propaganda fascista, il portavoce più accreditato dei Fasci di Combattimento e, soprattutto, del diplomatico fascista, uomo dal forte carisma e iperattivo, al quale dedicava un'attenzione costante e crescente, pubblicando articoli sulla sua attività pubblica e privata, corredati quasi sempre da sue foto in tutte le fogge per renderne più popolare la figura di rappresentate del Duce.

Il settimanale, era scontato, diede grande ed enfatica copertura al viaggio di Mazzolini in Italia e all'entusiasmo con cui fu accolto al suo rientro in sede, ma specialmente all'incontro del 5 agosto con Mussolini, incontro trasformato in un trionfo personale del diplomatico fascista 83 . D'altra parte anche in passato il giornale di Nigro non gli aveva mai lesinato elogi: «È noto anche come l'illustre capo della Nazione -aveva scritto tra l'altro L'Italiano il 27 gennaio 1935 -nutre per il giovane Rappresentante del nostro paese una sincera e profonda amicizia, alla quale S. E. Mazzolini si mostra particolarmente sensibile, e che vivamente e rispettosamente contraccambia».

Siamo in presenza di un'attenzione sovrabbondante -in assenza del titolare della Legazione confermata anche all'Incaricato d'affari Raimondo Carbonelli di Lettino, figura certamente meno carismatica -e di una inequivocabile esaltazione del fascismo da parte del settimanale dovuta al fatto che parte dei fondi per la sua pubblicazione arrivavano direttamente dal governo italiano è dunque destinatario di contributi direttamente da Roma 84 e Storia della stampa italiana in Uruguay 128 concesse 72 ore rispetto alle due settimane chieste dai tedeschi per riparare i danni e il comandante, capitano di vascello Hans Langsdorff, che poi si uccise, decise allora di autoaffondare la nave. L'equipaggio fu trasferito a Buenos Aires e internato fino al termine della guerra. Sulla vicenda, immortalata anche in un film del 1956, tra l'altro si veda Geoffrey Bennett, La Battaglia del Rio de la Plata (testimonianze tra cronaca e storia), Mursia, Milano 1974. altri, c'era ragione di credere, «erano forniti dalla Legazione» 85 . Il settimanale perse così quel po' di smalto e di credibilità residua e però mantenne la sua posizione leader, visto l'instabile panorama della stampa etnica. Privilegiando tutto ciò che poteva essere utile a esaltare il fascismo al quale riservava gran parte del proprio spazio, infatti, L'Italiano continuò a raccontare comunque la vita della collettività vista esclusivamente, però, attraverso le lenti della Legazione e del Fascio locale. Si distinse, così, al momento in cui si avvertivano già i venti di guerra in Abissinia, difendendo il presunto diritto italiano di avere un posto al sole e invitando, tra l'altro, gli italiani a fidarsi solamente delle informazioni ufficiali del governo italiano. Lo fece -come ha notato anche Rodríguez Ayçaguer -con il tipico linguaggio dispregiativo dei fogli d'ordine del Partito Nazionale Fascista: «Bisogna rispondere con un sesquipedale menefreghismo a tutte le voci allarmanti e allarmiste che non partono da Roma» 86 . Il giornale sostenne, dunque, con entusiasmo la politica colonialista di Mussolini e si adoperò per spiegarla diffusamente agli uruguayani e per superare proteste e contrarietà 87 . Inoltre, diede ampia copertura alla preparazione e poi al conflitto, dedicandovi articoli e foto.

Al progetto espansionista fascista partecipò anche un piccolo contingente di volontari italiani dell'Uruguay, in gran parte anziani e reduci della Grande Guerra. I primi 58 partirono il 2 ottobre sulla nave Augustus salutati dal ministro Mazzolini e da una folla di connazionali 88 , altri si imbarcarono il 12 ottobre sulla nave Oceania e l'ultimo gruppo il 19 novembre ancora sulla Augustus. In tutto si arruolarono 117 emigrati: 16 tra ufficiali, sottufficiali e graduati, e 101 soldati ex combattenti della Grande guerra. Pochi altri ancora avevano chiesto di essere arruolati ma non partirono «per necessità di servizio o perché riformati». Il settimanale, che già si era impegnato con articoli e re- soconti di manifestazioni e conferenze, come quella del segretario di zona del Fascio, colonnello ing. Paolo Matteucci, al fine di formare una sorta di legione uruguayana da impiegare in Africa Orientale nella guerra di conquista dell'Etiopia 89 , solennizzò la partenza del piccolo manipolo con un trattamento particolare perché essa ben rappresentava l'entusiasmo di quella parte della collettività in camicia nera per l'impresa coloniale, a cui L'Italiano faceva da amplificatore. In effetti il settimanale ne parlò a lungo, dedicando, infine, quasi tutto il numero datato 8-15 dicembre ai legionari partiti da Montevideo che furono inquadrati nella 221ª Legione di Camicie Nere, nota come Legione Parini, dal nome del direttore degli Italiani all'Estero, Piero Parini, che ne assunse il comando. Come omaggio a quell'«eroica coorte», L'Italiano impegnò 5 delle sue pagine per pubblicare un enfatico articolo e una piccola foto di ogni volontario, assieme a quella ben più grande di Parini e a un'altra che mostrava un gruppo di volontari che dalla coperta dell'Augustus salutava amici e parenti rimasti sul molo 90 .

Non bastò tuttavia l'impegno entusiasta e tenace del settimanale fascista, specchio dell'Italia ufficiale e del lavorio della Legazione sul governo uruguayano, per indurre quest'ultimo a sostenere l'invasione dell'Etiopia decisa da Mussolini. Foto e discorsi del Duce e di gerarchi comparivano in ogni numero del giornale. Ma nella collettività italiana c'era una forte tradizione radicale favorita dalla cultura politica locale che fece «fallire il progetto di espansione fascista tramite emigranti» 91 , per cui furono in tanti, che non si fecero blandire, a manifestare contro la guerra e il fascismo.

L'insistente, e in qualche caso prepotente, campagna mediatica nei confronti dell'opinione pubblica nazionale e del tollerante governo uruguayano, accompagnata da continue pressioni di Mazzolini sul presidente della Repubblica 92 , non sortì gli attesi risultati. Costretto a scegliere tra l'Italia colonialista da una parte e l'Impero Britannico e gli Usa dall'altra, alla fine anche il presidente Gabriel Terra, del quale è nota l'ammirazione per il Duce e il fascismo, finì per dovere appoggiare le sanzioni internazionali votate dalla Lega delle Nazioni ma fece di tutto per depotenziarle e per dimostrare in ogni occasione l'amicizia dell'Uruguay nei confronti dell 'Italia 93 . Sebbene la guerra si conclu- 17, 1998, p. 20 desse il 26 novembre 1935 con l'annessione dell'Etiopia e la proclamazione dell'Impero, soltanto nel 1938, comunque, giunse il riconoscimento del il governo di Montevideo 94 .

Tornando al settimanale e alla sua presenza, sebbene fosse stato sempre vicino alla Legazione e in parte dipendesse dai suoi contributi, L'Italiano non era mai stato così appiattito sul governo di Roma come in quei momenti. Merito innegabile di Mazzolini che seppe utilizzare la stampa etnica sicuramente meglio del suo predecessore, come già aveva fatto in Brasile. Nigro di fatto divenne il megafono del rappresentante diplomatico e dunque il giornalista principe del fascismo a Montevideo. Un compito che espletò non soltanto sulle pagine del giornale ma anche attraverso conferenze alla radio. All'epoca della guerra d'Abissinia e delle sanzioni, accogliendo con soddisfazione l'arrivo nella capitale uruguayana -l'8 dicembre, a bordo del Conte Grande -di una Missione commerciale italiana proveniente da Buenos Aires e guidata dall'ex sottosegretario Alberto Asquini, che inizialmente doveva toccare solo la capitale argentina 95 , Nigro il 9 dicembre tenne una conferenza sulle frequenze di Radio Carve sul tema «Italia in Africa», facendo la storia del conflitto e segnalando le gravi conseguenze delle sanzioni anche nei rapporti bilaterali: «Come l'Italia -si legge nel testo della conferenza pubblicato su L'Italiano del 15 successivo -molti popoli cominciano a soffrire per le sanzioni, ed oggi considerano amaramente che il loro vassallaggio all'Inghilterra non salverà la sovranità del Negus, non consoliderà la pace e soprattutto non avrà affermato l'indipendenza dei deboli di fronte al prepotere dei forti» 96 .

L'Italiano andò avanti così, ligio ai dettami mussoliniani «trasmessi» dalla Legazione italiana. Scimmiottando la stampa della madrepatria, a partire dal 1938, dopo l'approvazione delle leggi razziali, divenne anche antisemita 97 . E stando attento, fino alla fine, come tutta la stampa italo-fascista a dimostrare la propria lealtà quella degli italiani in camicia nera alla società uruguayana e specialmente al suo governo 98 .

Stampa italiana in camicia nera

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Il pregiudizio antiebraico del settimanale di nigro era quello che serpeggiava tra i fascisti di Montevideo, un atteggiamento, ha sottolineato Aldrighi, che «rispetto alla questione giudaica riflette[va] la scelta acritica dell'antisemitismo da parte di molti fascisti, anche all'estero, come conseguenza della politica razziale avviata in Italia nello stesso anno» 99 .

L'antisemitismo, in verità, aveva trovato sostenitori anche tra gli uruguayani e megafoni nella stessa stampa nazionale conservatrice, nonostante la tradizionale passione civica e democratica del paese 100 (nella campagna di stampa antisemita si distinse il giornale filonazista Fragua 101 ).

Il settimanale italiano mantenne il suo ruolo di portavoce del fascismo fino alla chiusura avvenuta nel maggio 1940 con la morte del fondatore, quando la redazione si trovava da tempo nella sede della Legazione. La sua scomparsa segnò, in pratica, la fine del giornalismo d'emigrazione vecchia maniera.

L'offensiva propagandistica del fascismo, a ogni modo, non rimase concentrata esclusivamente su Montevideo.

A Salto, città del Nord con forte concentrazione di emigrati italiani 102 , tra il 15 dicembre 1932 e il 25 marzo 1933, Fiamma Italia stampò 15 numeri, e il 4 novembre dell'anno successivo apparve la testata Fascismo, redatta da Atilio A. Falcioni quasi interamente in lingua spagnola. Il foglio, stampato su carta verde nella tipografia del giornale La República, con l'editoriale dell'unico numero disponibile, si rivolse «a todos los uruguayos», spiegando con grande enfasi, in prima pagina e in caratteri ben marcati, che in quel periodo di disorientamento politico etico ed economico, «il fascismo, per tutte le terre, per tutti i mari, per tutti i cieli, percorrendo e avanzando per tutte le vie del mondo, frutto di un figlio d'Italia, offre a tutti i popoli in un'ora tanto oscura per l'umanità, una nuova civiltà, una nuova idea universale, unica in grado di realizzare le speranze degli stessi popoli» 103 .

L'opposizione dei fogli antifascisti

Cosa rimase in quegli anni del giornalismo antifascista, in un paese di tradizione liberale e democratica? Quello che è certo è che la vivace attività democratica e antifascista degli emigrati e delle loro istituzioni non ebbe il sostegno di gran parte del giornalismo etnico locale che, mettendosi al servizio della Legazione e del Fascio ottenne visibilità e prebende.

Ancora nel 1930, per qualche tempo, venne in soccorso la stampa prodotta sulla sponda ovest del Plata. Come gli altri tre quotidiani italiani stampati in Argentina, cercò spazio in Uruguay anche Il Risorgimento, «giornale dell'antifascismo militante» fondato a Buenos Aires il 1° dicembre 1930 dall'ex deputato socialista italiano Francesco Frola e al quale da Montevideo collaborò anche Luigi Fabbri con gli pseudonimi di Giulio Fabrizi e Luigi Fabrizi 1 . Il 15 novembre Frola, giunse nella capitale uruguayana «per stabilirvi gli uffici di corrispondenza», incontrò Fabbri e, su invito del Partito socialista e dell'Unione Antifascista di Montevideo, tenne due conferenze, in entrambe introdotto dal deputato socialista Emilio Frugoni 2 . Secondo un informatore di Mazzolini, allora console di San Paolo del Brasile, il «rinnegato» Frola avrebbe ricevuto continue sovvenzioni dagli antifascisti di Montevideo con i quali l'esponente socialista era in corrispondenza durante il suo esilio 3 .

Il quotidiano di Frola, che usciva dalle rotative della Patria degli Italiani, divenne subito una spina nel fianco della diplomazia fascista nei paesi del Plata per il suo linguaggio giudicato «sconciamente ingiurioso» contro il Re, Mussolini, gerarchi e regi funzionari 4 , e per la violenta campagna 133 1 Luce Fabbri Cressatti, Periodismo italiano en el Plata a partir de la Guerra Grande, «Rivista Garibaldi», 8, 1993, pp. 41-61;si veda anche Luigi Fabbri, Epistolario ai corrispondenti italiani ed esteri, 1900-1935 'esilio 1925-1946, G. Quartara, Torino 1950 Lettera riservata di Mazzolini al MAE e all'ambasciatore d 'Italia a Rio de Janeiro, 22 giugno 1928. Cit. in F. Frola, Ventun anni d'esilio cit., p. 139. contro il viaggio del quadrunviro Italo Balbo a Buenos Aires coronata da successo ma che, secondo qualcuno, fu la causa del suo abbandono dell'Argentina 5 .

Il Risorgimento dopo alcune settimane era già in crisi, come lo stesso Frola, prima della fine dell'anno, confidò a Fabbri al quale tuttavia, scrisse «che la vita del giornale almeno per qualche mese era assicurata» 6 . Le rassicurazioni erano alquanto ottimistiche.Il giornale, infatti, finì malamente il 15 gennaio 1931 facendo respirare di sollievo l'ambasciatore italiano a Buenos Aires 7 . Accusando problemi di salute, Frola lo abbandonò a un comitato di redazione composto da antifascisti, e decise di raggiungere la moglie in Brasile, imbarcandosi per Santos 8 . «Con una incoscienza incredibile» lasciò dietro di sé, in verità, anche un mare di debiti e di problemi a cui dovette ancora una volta far fronte l'industriale Torquato Di Tella il quale già finanziava generosamente la Concentrazione antifascista di Parigi 9 . Ancora per qualche tempo si tentò inutilmente di tenere in vita Il Risorgimento come settimanale, diretto gratuitamente da Giuseppe Chiummiento.

Contro la dilagante «subdola infiltrazione del fascismo», provò a fare da argine, con mezzi manifestamente insufficienti, pure il quotidiano L'Italia del Popolo di Buenos Aires che anche in Uruguay, come poté verificare il suo corrispondente dopo un giro nel Paese, godeva di grande simpatia negli ambienti massonici e in particolare contava sul sostegno dei gran maestri delle Logge di Calle Paysandù e di Lontaro 10 . Per sostenere quella che considerava una «legittima reazione» all'invadenza fascista favorita dal terrismo, nel 1934 il giornale chiese il supporto degli «amici antifascisti» della capitale uruguayana, dal grande divulgatore Torquato Gobbi 11 , a Vincenzo Gadoppi e Pietro Rasenti. Secondo il corrispondente, L'Italia del Popolo aspirava a raggiungere 400 abbonati, quota che considerava «una Storia della stampa italiana in Uruguay 134 5 Maria Leiva de Lujàn, Il movimento antifascista italiano in Argentina (1922Argentina ( -1945, in Gli italiani fuori d 'Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d'adozione, 1880-1940, Franco Angeli, Milano 1983 Luigi Fabbri, Epistolario ai corrispondenti italiani ed esteri cit., p. 304. 7 ASMAE, Affari Politici (1931Politici ( -1945 (1928-1931), in «Storia Contemporanea», XXIII, 4, 1992 seria penetrazione» nell'Uruguay, ma per svolgere un qualche ruolo si sarebbe accon tentato anche di 100 12 .

La stampa democratica italiana d'informazione prodotta localmente sembra avere scelto l'Aventino, per poi scomparire. Non c'è un foglio d'informazione di tendenza antifascista in grado di contrastare l'urto del giornalismo in camicia nera. E non c'è imprenditore -eppure sono tanti quelli di sentimenti democratici -che mostri intenzione di investire nel settore editoriale come accadeva un tempo. Lo stesso Bollettino della Camera di Commercio Italiana non avrebbe nulla da guadagnare mettendosi di traverso -se mai ci fosse la necessità -a chi governa in Italia e si guarda bene dal farlo. L'antifascismo di alcuni imprenditori, semmai, si espresse con efficacia in alcune società italiane che fecero muro e respinsero l'assalto fascista guidato da Mazzolini. È il caso, per esempio, del Circolo Napolitano, di cui fu presidente Giuseppe Martella, un medio commerciante di origini calabresi, dal 1924 socio della Camera di Commercio, che negli anni del fascismo, difese con i denti l'indipendenza dell'istituzione democratica da lui guidata.

Per il resto l'antifascismo organizzato trovò obiettive difficoltà al suo espandersi per gli ostacoli frapposti dalla Legazione e dall'attivismo di Mazzolini che godeva dell'appoggio e della tolleranza del governo golpista di Terra. Se ne ebbe conferma con la guerra per la conquista dell'Etiopia. Anche in Uruguay si costituì un «Comitato italiani all'estero contro la guerra di Abissinia» che si presentò con una affollata manifestazione introdotta da M. Cavarocchi, per conto dello stesso Comitato, e nella quale, secondo il resoconto che ne fece L'Italia del Popolo di Buenos Aires 13 , parlarono Tanagosa Carlos Bremen per conto di un «Comitato della razza negra», il fuoriuscito Nicola Cilla giunto appositamente da Buenos Aires, la professoressa Paulina Luisi, affermata poetessa e paladina della causa democratica 14 e, infine, il deputato socialista Frugoni. All'iniziativa del Comitato che inviò un telegramma al Segretario generale delle Nazioni Unite per affermare che gli italiani d'Uruguay erano contro la guerra invocando -a detta della Legazione di Montevideo -«l'applicazione di tutte le sanzioni nessuna esclusa contro l'Italia», replicarono con stizza alcuni comitati, creature di Mazzolini, che a loro volta inviarono telegrammi alle Nazioni Unite negando qualsiasi rappresentanza al Comitato antifascista, Contro il Duce e Mazzolini 135 ripudiando, ovviamente, le sanzioni e riaffermando un «completa adesione alla politica di Benito Mussolini» 15 .

La stampa in lingua italiana si era praticamente inabissata. A parte il mensile La Patria italiana en el Uruguay che fu stampato almeno fino al 1942. Il periodico, infatti, rivendicò la propria collocazione democratica («La Patria italiana en el Uruguay -scrisse -è stata e sarà sempre una rivista democratica, che ammira gli italiani liberi e i popoli liberi») sostenendo di essere stata impegnata «costantemente in difesa degli interessi dei nostri numerosi abbonati, inserzionisti e amici di tutte le collettività, senza passioni né odi, sempre con lealtà e fervore patriottico» 16 .

Per i pochi numeri che abbiamo potuto consultare alla Biblioteca Nacional di Buenos Aires, il mensile di Raffaele Labella, di scarso peso informativo ma editorialmente apprezzato anche fuori dal paese in cui era stampato e diffuso, si presentava come un magazine all'epoca elegante per la veste grafica e le numerose fotografie, per lo più celebrative degli inserzionisti e degli amici del direttore che, da parte sua, si faceva ritrarre con personalità della politica e della cultura facendo un narcisistico sfoggio di questi suoi rapporti. Copie della rivista venivano inviate in Brasile, Argentina, Paraguay e altri paesi americani.

La «povera» e tenace resistenza anarchica

Un notevole peso specífico tra gli italiani italiani ostili al fascismo ebbe il movimento anarchico. Forti resistenze alla fascistizzazione della comunità, furono opposte dalla stampa anarchica del gruppo che collaborava con Luigi Fabbri e dai tanti fuoriusciti per i quali Montevideo fu un rifugio di libertà. Con l'avvento del fascismo, è ampiamente noto, furono in molti a essere costretti all'esilio dall 'Italia 17 . Anche un gruppo di ebrei italiani obbligati a espatriare dopo le leggi razziali del fascismo trovò riparo a Montevideo, diventata il crocevia degli antifascisti italiani al Plata e non solo 18 . Come nell'Ottocento lo era stato per i patrioti italiani del Risorgimento e i Storia della stampa italiana in Uruguay 136 perseguitati argentini all'epoca di Rosas, l'Uruguay fu terra d'accoglienza, considerata «il rifugio della libertà» di numerosi fuoriusciti provenienti dai paesi europei dove si instauravano regimi totalitari 19 e dalla stessa America Latina. Gli esuli, infatti, cominciarono ad aumentare dopo il golpe del generale Felix Uriburu che in Argentina scatenò una feroce repressione del comunismo, con centinaia di anarchici, militanti di sinistra e sindacalisti confinati nella colonia penale di Ushuaia, capitale della Terra del Fuoco, o espulsi dal Paese. Il movimento anarchico di Montevideo si rafforzò con l'arrivo di molti militanti in fuga dall'Argentina a causa della persecuzione scatenata dalla polizia speciale del generale golpista. Tra essi vi era Aldo Aguzzi che trasferì a Montevideo il quindicinale L'Anarchia, avviato nel 1930 a Buenos.

L'editoria e il giornalismo anarchici in lingua italiana, dunque, in quegli anni furono legati a Luigi Fabbri, la più prestigiosa figura di militante e teorico libertario in esilio, col quale collaborava la giovanissima figlia Luce da poco laureata all'Università di Bologna 20 . In fuga dall'Italia già dal 1926 per le persecuzioni fasciste che poi gli resero la vita difficile anche in Francia e in Belgio, nel 1929 Fabbri riparò con la famiglia e alcuni stretti collaboratori a Montevideo 21 . Attorno alla figura e all'attività politica dell'agitatore libertario si muoveva un gruppo di fuoriusciti che anche in terra straniera lottarono contro l'oppressione fascista in Italia. Tra loro vi era anche Emilio Spinaci arrivato assieme a lui a Montevideo, il quale anticipò le spese per pubblicare un volume di poesie di Luce Fabbri 22 che fu un piccolo caso letterario specialmente nei circoli antifascisti di Montevideo 23 .

Per sopravvivere Fabbri diede inizialmente qualche lezione privata e poi lavorò come maestro e quindi direttore della Scuola Italiana. Il posto, però, venne abolito in seguito alle pressioni della Legazione italiana che minacciava il taglio dei contributi se gli amministratori non si fossero sbarazzati del pensatore anarchico che così finì in miseria. Come giornalista Fabbri collaborò con periodici anarchici pubblicati in Francia, Spagna e Nord America (tra cui il settimanale Germinal) e con periodici e quotidiani stampati a Buenos Aires. Dal suo arrivo in Sud America e fino al 1930 Fabbri curò una pagina in italiano per il quotidiano anarchico La Protesta, organo della FORA, la Federazione operaia argentina, diretto da Emilio López Arango e Diego Abad de Santillan; ancora nel 1930, come abbiamo visto, collaborò a Il Risorgimento di Buenos Aires, e non fece mancare il proprio contributo a due numeri unici di Umanità Nova che videro la luce il primo maggio del 1930 e del 1932 nella capitale argentina 24 . In questo periodo Fabbri, in totale libertà, scrisse articoli, anche contro il fascismo in Italia 25 , per la bella rivista d'avanguardia La Pluma (1927)(1928)(1929)(1930)(1931), mensile fondato a Montevideo dall'editore Orsini Bertani, ex anarchico individualista, ammiratore, amico e sostenitore del presidente José Batlle y Ordóñez per la sua politica di laicizzazione dello Stato. La rivista che si occupava di scienze, arti e lettere, fu diretta prima dal critico letterario e saggista Alberto Zum Felde e, quindi, dal poeta, docente universitario e giornalista Carlos Sabat Ercasty.

A partire dal 16 marzo 1930, tuttavia, nonostante fosse ancora attiva la pagina settimanale su La Protesta, e dopo avere stampato il numero unico Venti Settembre, antireligioso e antifascista, in collaborazione con Orsini Bertani (l'iniziativa si bloccò lì perché non si trovarono i soldi per continuare con un periodico di propaganda 26 ), Fabbri pubblicò Studi Sociali, rivista di «libero esame», giustamente considerata una delle più importanti pubblicazioni antifasciste e antitotalitarie apparse nella stampa italiana dell'esilio 27 . In essa, infatti, Fabbri proseguì la sua analisi del fascismo e dell'antifascismo e «si interessò alla nuova formazione Giustizia e Libertà e all'opera scritta nel 1920 da Carlo Rosselli, Socialismo liberale» 28 .

Nella nuova impresa editoriale, Fabbri si trovò accanto i compagni di sempre, Torquato Gobbi e Ugo Fedeli, fuoriusciti anche loro e come lui espulsi dalla Francia. Il programma era quello di Lotta Umana, il periodico 'Italia del Novecento (1920-1945, Zero in condotta, Milano 2010, pp. 203-223. 25 Cfr. Luigi Fabbri, La marcha del fascismo en Italia in «La Pluma», gennaio 1931, pp. 35-39 26 Ugo Fedeli, Luigi Fabbri, Gruppo editoriale anarchico, Torino 1948. Nel volume, Fedeli dedica un capitolo a Studi Sociali (pp. 99-104). che il gruppo aveva pubblicato a Parigi prima dell'espulsione: in entrambi i giornali «uno dei problemi che più interessarono i redattori fu quello della rivoluzione, non solo come incitamento a compierla, ma piuttosto come soluzione, come tentativo di risolvere quei vasti e varii problemi che questo grande avvenimento inevitabilmente porta con sé e che noi dobbiamo guardare con occhi realistici per non essere poi travolti o soltanto utilizzati come truppe d'assalto» 29 .

Frutto di una lunga preparazione e di interminabili discussioni, bimensile nelle intenzioni, Studi Sociali di fatto ebbe una periodicità molto irregolare, tanto che in cinque anni apparve quaranta volte, con ripetute interruzioni e pause lunghissime -fino a quattro mesi -tra un numero e l'altro, una volta per le vicende argentine e la «caccia» agli anarchici, un'altra per l'improvvisa malattia di Fabbri e ancora per mancanza di fondi per la stampa. Nel primo anno di vita stentata, il periodico libertario fu pubblicato grazie al sostegno della Editorial La Protesta di Buenos Aires, dove aveva sede l'amministrazione. La redazione, invece, era a Montevideo. Con il primo numero del 1931 tutto fu concentrato nella capitale uruguayana: una situazione favorevole dal punto di vista redazionale ma molto più onerosa nei costi tipografici. Nella rivista, otto pagine in formato medio, tre colonne, il teorico dell'anarchismo profuse le grandi capacità maturate in tanti anni di attività militante e intellettuale, nell'intento «unionista», come spiegò nell'editoriale del primo numero, teso ad associare l'iniziativa anarchica a quella sindacale. Secondo Fedeli Studi Sociali «non voleva essere un giornale a grande diffusione» 30 , ma ebbe comunque una discreta circolazione soprattutto tra gli anarchici in Nord America e in Francia (un po' di copie venivano spedite anche in Australia e in diversi paesi europei tra cui Belgio, Olanda e Svizzera), anche se dalle 3000 copie iniziali la tiratura ben presto scese a 1500 e quindi a 1000. Attorno al periodico si formò un piccolo ma attivo gruppo di stretti collaboratori politici che consentì a Fabbri di costruire una rete solidale con altri giornali anarchici o comunque antifascisti che allora si pubblicavano nei paesi del Rio della Plata 31 .

Studi Sociali non si occupò mai di fatti uruguayani, «un po' per l'indole della rivista rivolta a questioni di carattere generale, un po' perché vera- mente non avremmo avuto molte cose da dire». Dopo il golpe di Gabriel Terra che instaurò una «dittatura finanziata dalle grandi imprese inglesi e nord-americane, ma ispirata, nei suoi modi di procedere, dalle autorità diplomatiche italiane e specialmente dal famigerato Mazzolini» 32 , invece, «delle cose da dire -spiegò in una nota di poche righe senza titolo -ne avremmo di certo… ma non le possiamo dire a causa della censura» 33 . Sfidare la dittatura sarebbe stato inutile e il cammino si sarebbe fatto più difficile che mai. Il periodico scelse dunque l'autocensura, decise di continuare come in passato a ignorare le vicende locali per potere puntare su obiettivi più ideologici e generali. Lo fece proponendo rubriche come «Rivista delle Riviste», «Spunti critici e polemici» e la nota «Bibliografia» che apparve in ogni iniziativa editoriale di Fabbri 34 .

Tra i più assidui collaboratori di Studi Sociali c'erano Torquato Gobbi, Lucia Ferrari e Hugo Treni (nome d'esilio di Ugo Fedeli), Emilio Frugoni; e poi Aldo Aguzzi, Luce Fabbri, Salvatore Cortese, Diego Abad de Santillan, Libero Battistelli, Gastone Leval, Leonida Mastrodicasa e Camillo Berneri. Anche Simon Radowitsky che nel novembre 1909 uccise Ramon L. Falcón, capo della polizia di Buenos Aires, ed era stato da poco graziato, scrisse sulla rivista libertaria di Fabbri, per parlare di Usuahia, la «prigione degli anarchici» in Argentina 35 , nella Terra del fuoco. In ogni numero, poi, venivano pubblicati scritti di Malatesta, mentre almeno la metà delle pagine usciva dalla penna dello stesso Fabbri che firmava anche con diversi pseudonimi, tra cui Catilina e Bibliofilo, note polemiche e riflessioni varie fatte di posizioni originali rispetto al resto della pubblicistica anarchica. Si trattò, anche per tale motivo, di una delle esperienze politico-culturali più interessanti tra gli anarchici del Sudamerica. «Anche questa pubblicazione -commentò Fedeli -tutto sommato, rappresentò un contributo non lieve alla precisazione delle nostre idee, sia dal lato teorico, sia nel campo della pratica» 36 . Allo stesso tempo, tuttavia, per i temi affrontati, Studi Sociali confermò il solido legame che Fabbri, anche a Montevideo mantenne con l'antifascismo italiano che aveva riparato all'estero 37 .

Il giornalismo di Fabbri, oltre che per i contenuti politico-ideologici, si Storia della stampa italiana in Uruguay 140 caratterizzò per quella che potremmo definire -se l'immagine non fosse riferita a un pensatore anarchico -una visione industriale dell'impresa giornalistica. Egli, infatti, era molto attento all'estetica del prodotto-giornale, curandone la veste tipografica nei suoi elementi diversi, testuali e paratestuali (impaginazione, rubriche, titolazioni, ecc.). Inoltre, come si è visto, si contornava di numerosi collaboratori, evidentemente convinto che, anche nei giornali fortemente ideologizzati ed espressione solitamente degli intellettuali che li dirigono, era finita l'epoca del compilatore unico che, al massimo, si limitava ad accogliere qualche contributo esterno 38 . Il primo ciclo del periodico si concluse il 15 maggio 1935 per la malattia di Fabbri che il mese dopo morì. La rivista però sopravvisse al suo fondatore e animatore. Alla direzione, infatti, dopo alcuni mesi di preparazione subentrò la figlia Luce, anche lei militante anarchica, che diresse i sedici numeri della seconda serie, da quello del 20 novembre 1935 quasi per intero dedicato al padre 39 e che riuscì «commovente e interessante assieme» 40 , all'ultimo pubblicato nel maggio 1946 41 .

Si trattò di un lavoro improbo. Anni dopo, la studiosa anarchica avrebbe ricordato l'esperienza con queste parole: «La redazione, le bozze, l'impaginazione, il trasporto delle copie, i pacchi da spedire: era tutto sulle mie spalle. Mi aiutavano il mio compagno e mia madre. La rivista stava in piedi grazie alla collaborazione di operai e di rifugiati in varie parti dell'America, che organizzavano picnic, per esempio, e mandavano assegni di tre dollari o somme del genere» 42 .

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Guerra, radio e democrazia Rispondendo a un dispaccio con cui il ministro Vittorio Zoppi, direttore della sezione Affari Politici del Ministero degli Esteri, da Roma chiedeva «un quadro completo delle pubblicazioni periodiche italiane edite in Uruguay» 1 , il nuovo Incaricato d'Affari a Montevideo Nicolò Moscato, se la sbrigò stilando un rapporto di poche righe, nel quale comunicava, in estrema sintesi, che nel Paese -era il 1946 -non c'era ombra da tempo di periodici italiani d'informazione 2 . Il settimanale L'Italiano, che secondo la nota ministeriale «riceveva fondi dalla Legazione ed era naturalmente di tendenza fascista» e del quale da Roma sollecitavano notizie, non si pubblicava ormai dal maggio 1940, dalla morte del suo fondatore Giuseppe Nigro. E in quel momento non circolava un solo periodico italiano stampato in Uruguay.

In 100 anni e passa di onorata presenza di fogli dell'emigrazione italiana sulla sponda orientale del Plata, più desolante di così la situazione non era stata mai. La stampa etnica, e non solo per le contingenze belliche, si era di fatto inabissata e la collettività per molti anni rimase tributaria della stampa italiana prodotta in Argentina. Tuttavia, pur in assenza di periodici politici e d'informazione stampati localmente, il giornalismo etnico italiano in Uruguay non era morto. Negli anni della Seconda Guerra mondiale e ancora dopo si espresse facendo un massiccio ricorso al nuovo ed emergente medium, la Radio, che già negli anni Trenta era stato utilizzato dalla propaganda fascista. Da Montevideo, scelta come sede per la sua centralità e col consenso del governo, infatti, dal 23 ottobre 1942 andò in onda in tutta libertà, un radiogiornale quotidiano in lingua italiana, Il Giornale dell'Aria, dichiaratamente antifascista, prodotto da un Comitato Italo Americano di Educazione Democratica, fondato da Serafino Romualdi, un socialista ita-143 liano di tendenza moderata, esule negli Stati Uniti dopo la conquista del potere da parte di Mussolini 3 , legato ai Servizi segreti americani 4 che lo inviarono per organizzare in Uruguay il congresso degli antifascisti in Sud America 5 . Romualdi, nel 1941, arrivò in Argentina per una campagna di proselitismo tra gli italiani a favore degli Alleati, campagna che svolse intensamente anche in Brasile e Uruguay scelto poi come base operativa per tutte le attività di sostegno ai movimenti democratici italiani e non solo.

Fondato per sostenere la causa della libertà 6 , il quotidiano informativo de Il Giornale dell'Aria, unico nel panorama del giornalismo etnico del paese ed eccezionale in America Latina per funzione, qualità e durata, non solo fu voce democratica in tempi da tregenda mondiale ma riuscì a rivitalizzare e non far disperdere i valori di democrazia e italianità in una comunità lacerata, intaccando l'influenza delle organizzazioni fasciste che avevano spadroneggiato a lungo invasate di retorica littoria e foraggiate dalla rappresentanza diplomatica. Molte di queste associazioni erano state chiuse perché guidate da fascisti e considerate al servizio del fascismo: tra esse la Combattenti i cui soci finirono nella lista nera mentre tutti i suoi documenti furono «rilegati con spago ed asportati e custoditi poi nell'edificio centrale della polizia della calle Yaguaron e Cuareim» 7 .

Se non fosse stato per la presenza a Montevideo di un solido gruppo antifascista con forti contiguità popolari, che dava vita sia al Giornale dell'Aria e sia alla trasmissione radiofonica settimanale Voce Italiana, la colonia italiana, sempre più spaccata, negli anni della guerra sarebbe stata allo sbando. I promotori di tali iniziative editoriali si ritrovavano anche attorno al giornale democratico Italia Libre, poi Italia Libera, pubblicato a Buenos Aires dall'associazione omonima ramificata in tutti i paesi dell'America Latina. La sezione uruguaiana fu fondata il 27 dicembre 1941 per iniziativa del socialista Nicola Cilla. Da pochi giorni gli Stati Uniti erano entrati in guerra.

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Nel 1942 nella capitale uruguayana, mentre l'associazionismo fascista spegneva i bollori dell'ultimo decennio, il movimento antifascista cresceva contando su nuove associazioni, tra cui il «Comitato Democratico Italiano di solidarietà con l'Inghilterra e paesi alleati» presieduto dal «rinnegato» Biase Genovese 8 , e la «Unione Democratica Antifascista», presieduta dal «sedicente» ing. Dante David, un «esiliato politico di Mussolini» che poi divenne dirigente di Italia Libre in Uruguay. Tali associazioni si erano aggiunte al Circolo Progresso, molto tenace e attivo, fondato nel 1938 dall'editore Orsini Bertani che ne fu primo presidente, e da anarchici italiani ed esponenti del Partito Colorado. Tale circolo, come ha affermato in un'intervista il prof. Pablo Rocca, docente di Letteratura Uruguaiana presso l'Universidad de la República nonché autore di una biografia sull'editore italo-uruguaiano, «pragmaticamente si alzò contro i totalitarismi» 9 , incominciando, ovviamente, da quello italiano. Il Progresso, al quale aderirono subito centinaia di italiani, diventati negli anni sempre più numerosi, così, fece dell'antifascismo la propria ragion d'essere, scatenando la reazione delle organizzazioni filofasciste della comunità italiana che tentarono di screditarlo in tutti i modi definendolo antipatriottico e senza alcuna rappresentatività 10 . Per tutta risposta, una volta entrata in guerra l'Italia, a sostegno della propria campagna antifascista che ben presto si collegò con quella di Italia Libre, il Circolo decise la pubblicazione del periodico Progreso, stampato dal giugno 1940 al 7 aprile 1941, redatto da Francesco Martinelli. Associazione e redazione del giornale ebbero una sede presso il «sovversivo» Circolo Repubblicano Spagnolo.

Tutte queste associazioni democratiche erano irrise dalla diplomazia italiana secondo cui «il movimento antifascista italiano nell'Uruguay -scriveva in un rapporto il ministro d'Italia Vittorio Bonarelli -procede con fortuna molto scarsa, ma in compenso procura di moltiplicare le sue attività e di fare molto rumore, anche se gli agitatori incaricati di fondare le diverse entità sovversive sono sempre gli stessi e se il movimento si appoggia precipuamente su pochi elementi militanti da decenni nella politica e dimen-Senza inchiostro, notizie in onda 145 tichi sin qui della loro qualità di italiani, in qualche ebreo italiano ed in un numero ridotto di uruguayani discendenti o no da italiani e nella loro grande maggioranza "batllisti"» 11 .

Nei suoi rapporti Bonarelli descriveva un quadro all'evidenza irreale: o non capiva o chiudeva gli occhi magari per compiacere gli interlocutori romani. Proprio nel 1942 Italia Libre organizzò a Montevideo la Conferenza Panamericana alla quale presero parte antifascisti italiani che arrivarono da ogni parte, allo scopo di potenziare tra le colonie d'immigrati del Plata l'attività contro il regime mussoliniano che aveva condotto l'Italia in guerra accanto ai nazisti 12 . La Conferenza, come primo risultato, servì a sgonfiare la «bolla» di adesioni al regime che si era creata nell'era Mazzolini ed era stata molto aggressiva anche col sostegno del suo successore Alberto Bellardi Ricci e infine con il ministro Vittorio Bonarelli, ultimo rappresentante diplomatico fascista a Montevideo.

L'organizzazione della propaganda antifascista in Sud America, impresa problematica, era stata avviata da tempo, partendo proprio dall'Uruguay che già nel 1939 aveva ospitato il Congresso democratico panamericano che vide come protagonista Luigi Antonini, nativo di Vallata nella provincia di Avellino, sindacalista negli Stati Uniti e fondatore dell'Italian American Labor Council. Antonini aveva ben chiara l'importanza di disporre di organi d'informazione per potere contrastare la propaganda fascista molto attiva 13 : «Se molti immigrati -disse in occasione del congresso -vivono ancora sotto l'influenza ideologica e politica dei loro consolati, degli agenti dei governi dei loro paesi di origine, è perché vivono ancora segregati nelle loro rispettive piccole "isole linguistiche" dove la propaganda attra verso i programmi locali in lingua straniera, la stampa in lingua straniera, i contatti condotti in lingua straniera con le loro società di mutuo soccorso e le loro fratellanze, ecc, è praticamente l'unica voce che abbiano l'opportunità di sentire, l'unica fonte di informazione sugli avvenimenti del mondo. Toccare il cuore e la mente di questi im migrati con fatti, argomenti, e idee che, benché scritti nella loro lingua madre rappresenterebbero il contrario della propaganda che essi ricevono dagli agenti dei re-Storia della stampa italiana in Uruguay 146 gimi totalitari, sarebbe, seconde me, una misura molto utile di garanzia democratica» 14 .

Era la premessa d'iniziative editoriali antifasciste che avrebbero riguardato anche i paesi del Plata. In quella circostanza -fra il 20 e il 25 marzo -Antonini strinse intensi rapporti con gli antifascisti italiani che lottavano in Sudamerica contro la dittatura in Italia. In avvio degli anni Quaranta, in parallelo con le scelte di politica internazionale del governo uruguayano che si schierò contro il nazifascismo, cessò qualsiasi forma di attività fascista in passato non solo tollerata bensì accettata con entusiasmo, specialmente all'epoca del presidente Gabriel Terra. E riprese, specularmente, quota l'antifascismo della collettività, ancora vivo in una generazione chiaramente influenzata dal fascismo e bombardata dalla sua propaganda.

Dopo un periodo di neutralità che aveva fatto di Montevideo la base strategica per le attività dell'Asse, nel paese si affermò una coscienza democratica intollerante delle frequenti provocazioni di cui spesso si rendevano responsabili organizzazioni fasciste italiane. A Montevideo nel gennaio 1941, per esempio, queste ultime, assieme ai marinai delle navi italiane «Adamello» e «Fausto» ferme in porto dallo scoppio della guerra 15 , e con l'appoggio nemmeno tanto dissimulato delle rappresentanze diplomatiche italiane e tedesche, intendevano bloccare la proiezione del film di Chaplin «Il grande dittatore». I quotidiani El Día e El País sollecitarono la popolazione a reagire e si arrivò alla guerriglia urbana 16 . Tali attività antidemocratiche raggiunsero l'apice con l'incidente sanguinoso di Durazno del 29 giugno 1941, che svelò al paese intero il volto violento delle camicie nere italiane e alimentò un generalizzato sentimento antifascista. In tale occasione, oltre duecento fascisti italiani e italo-discendenti guidati dal segretario del Pnf in Uruguay, si scontrarono con una folla di cittadini democratici tra i quali si registrarono un morto e otto feriti. La replica popolare non si fece attendere estendendosi in tutto il paese con uno scio- 15 I due mercantili furono poi requisiti dal governo uruguaiano che li ribattezzò «Montevideo» e «Maldonado». Il primo fu affondato nei pressi di Haiti nel marzo del 1942 da un sommergibile italiano e il secondo nell'agosto successivo da uno tedesco. Sui due episodi cfr. El hundimiento del mercante nacional Montevideo, in «Révista Naval», 36, 2000, pp. 61-64. Pierre Hervieux, I sommergibili della classe "Calvi" 1936, in «Storia Militare», 8, 1994 pero generale e la distruzione di negozi di proprietà d'italiani e sedi di istituzioni tricolori, preludio per importanti decisioni del governo 17 .

Infatti, mentre in Europa infuriava il conflitto, il 25 gennaio 1942 l'Uruguay comunicò la rottura delle relazioni diplomatiche con l'Italia 18 . Il ministro Bonarelli chiuse la Legazione e lasciò il paese, la tutela degli interessi italiani fu affidata alla rappresentanza diplomatica spagnola. Poche settimane prima Bonarelli aveva ancora elargito contributi, gli ultimi provenienti da Roma, all'agenzia di stampa Italpress, rappresentata dal fascistissimo Camillo Cardu, e aveva liquidato somme anche all'agenzia Propaganda per trasmissioni radiofoniche del regime, Echi d'Italia, dirette dallo stesso Cardu 19 . Prelevando da un fondo in dollari di cui la Legazione disponeva, prima di lasciare il paese, inoltre, Bonarelli fece in tempo a liquidare a Cardu altre 7.500 lire, pari a 3.863 euro circa, solo come contributo per i mesi di novembre-dicembre 1941 e gennaio 1942 20 .

L'attività della stampa d'informazione della comunità italiana in Uruguay, così come si era strutturata negli anni del fascismo, fu costretta al silenzio: Cardu continuò la sua attività a favore del regime scrivendo sul mensile fascista La Patria degli Italiani di Buenos Aires dove nel 1943 tuonava contro la «mano sacrilega dei plutocrati angloamericani che si era levata contro la grande madre della civiltà occidentale, che è anche capitale della Cristianità» 21 e sul quotidiano Brescia Repubblicana, quotidiano del Partito Fascista Repubblicano apparso il 7 novembre 1943 e diretto da Corrado Rocchi.

Tra le misure accessorie della rottura delle relazioni vi era anche il divieto di pubblicare libri o giornali in lingua italiana sul territorio nazionale, provvedimento che in verità suscitò non poche perplessità anche fuori dal paese 22 . Si trattò, infatti, di una decisione contraddittoria, anche perché, in un rinnovato clima di simpatia per la collettività italiana che in gran parte aveva preso le distanze dal fascismo, il presidente Alfredo Baldomir Ferrari, origini italiane, proprio nel 1942 aveva reso obbligatorio lo studio della lingua italiana nelle scuole superiori statali, dopo avere fatto revocare l'interdizione al suo uso auspicata dal quotidiano bonaerense L'Italia del Popolo 23 Il divieto di pubblicare giornali italiani, che portò al paradosso del sequestro di stampa italiana democratica proveniente dall'altra sponda del Plata 24 , a ogni modo, fu adottato in una situazione di totale debolezza dell'editoria etnica di qualsiasi intonazione. Della chiusura del settimanale L'Italiano s'è detto già. Pochi mesi prima, nel febbraio 1940, Angel Alberto Moreno aveva firmato l'ultimo numero straordinario della rivista mensile Italia intitolato Uruguay- Italia, uno speciale relativo al 1937Italia, uno speciale relativo al -1938. In seguito, il silenzio della stampa italiana fu quasi totale. La Società Italiana di Mutuo Soccorso dal febbraio 1941 avviò la pubblicazione di una serie fortunata del proprio bollettino che si spense soltanto nel settembre 1954, mentre nel dicembre 1942 fece la sua apparizione la Rivista del Circolo meridionale italiano: come si può notare si trattò di una stampa dalla diffusione limitata quasi interamente dedicata e destinata ai soci dei due sodalizi comunitari ai quali si rivolgeva per lo più in castigliano.

Sicuramente fino al 1942, ancora, Raffaele Labella pubblicava, come abbiamo visto, il suo mensile illustrato La Patria Italiana en el Uruguay, che quell'anno festeggiò i 26 anni di vita: era l'unico periodico informativo antifascista rivolto alla collettività immigrata, sebbene usasse pochissimo la lingua italiana e sarebbe stato stampato fino al 1944 25 . A conferma del suo carattere democratico, La Patria italiana en el Uruguay tenne a far sapere di non avere alcunché da spartire con il mensile La Patria degli Italiani che apparve a Buenos Aires nel maggio 1940, come mensile illustrato del quotidiano fascista Il Mattino d 'Italia 26 . Una rivista mensile intitolata Italia, infine, apparve il 20 settembre 1944 e si stampò fino a maggio dell'anno successivo.

In qualche modo attiva rimase la stampa della dissidenza che sappiamo, tuttavia, non si occupava di vicende riguardanti l'Uruguay 27 . Da fine ottobre 1941 al 31 maggio 1946, ancora, quasi a confermare che il divieto del governo non ebbe un'applicazione rigida e severa, Luce Fabbri diresse i cinque numeri della terza serie di Studi Sociali, cui seguì la pubblicazione di cinque foglietti con la stessa testata. Nel frattempo, «nonostante il poco tempo e la cattiva salute» 28 , la studiosa anarchica si dedicò anche a un'altra iniziativa editoriale e nel 1944 curò la parte italiana della rivista trilingue Socialismo y libertad, un periodico «di discussione e di incontro tra tendenze affini» 29 , redatto in spagnolo ma con una pagina in italiano, a cui collaborarono anche socialisti e repubblicani in nome dell'antifascismo 30 .

Nella sua militanza politica, Luce Fabbri scrisse innumerevoli articoli di denuncia e pubblicò, con l'aiuto del marito Ermàcora Cressatti e della madre Bianca Sbriccioli, anche la rivista Rivoluzione libertaria di cui apparvero solo cinque numeri che vennero spediti clandestinamente in Italia.

Senza periodici d'informazione stampati, in quel difficile decennio il giornalismo italiano degli immigrati e per gli immigrati, si caratterizzò per l'utilizzo della radio, frutto per lo più di una forte passione politica e di attaccamento per l'Italia che si voleva libera e democratica, e dalla «importazione» di giornali italiani dall'altra sponda del Plata.

Gli stessi missionari salesiani, insediati fin dal 1876 in Uruguay, fecero ricorso alla radio per fini pastorali più che informativi. Con il programma serale «Buona notte», una Radio di Montevideo teneva i contatti con gli ex allievi «con una buona paterna elevazione delle menti e dei cuori» e ogni giovedì Radio Rural fin dal 1948 metteva in onda il programma salesiano «La voz del Ex alumno» che si occupava dei vari problemi sociali 31 .

In un certo senso, con quelle trasmissioni i salesiani avevano anticipato quanto, alla fine di ottobre 1950, avrebbe messo in rilievo il Congresso Catechistico Internazionale indetto dalla S. Congregazione del Concilio a Roma, e cioè «le grandi possibilità educative e sociali che hanno i mezzi di diffusione in genere e la radio in particolare» che trovarono nell'Arcivescovo di Montevideo Antonio Barbieri uno dei più convinti sostenitori: «Oggi in realtà -sostenne l'alto prelato -nessuno fa a meno della radio: ogni casa più o meno solitaria dispone di questo mezzo e nelle plaghe più impervie si punta almeno sulla radio come strumento per comunicare con il mondo civile» 32 . dal 1943al 1950, Edizioni RL, Pistoia 1981 Ivi, p. 256n. 30 A partire dal 1947 Studi Sociali divenne anche una casa editrice, avviando la pubblicazione di piccoli volumi di cultura generale, storia e attualità (saggi, studi e monografie) dedicati ognuno a un tema specifico: cfr. Ediciones de "Studi Sociali", in «Italia Libre», 13 settembre 1947. 31 Uruguay -Montevideo, in «Bollettino Salesiano», LXXIII, 23, 1° dicembre 1949 Radio e famiglia cristiana, in «Bollettino Salesiano», LXXVI, 17, 1° settembre 1950. 33 ASMAE, Affari Politici 1946-1950. 1, f. 12, Appunto dell'Ufficio stampa per gli Affari Generali del Ministero degli Esteri, Roma 20 settembre 1946. «Appaiono ben intonati ed utili ai nostri interessi nell'America del Sud». Così l'Ufficio Stampa del Ministero degli Esteri da Roma, dopo avere preso visione dei testi dattiloscritti, giudicava i bollettini quotidiani trasmessi dal Giornale dell'Aria di Montevideo. Li aveva ricevuti in visione dal Sottosegretariato alla Stampa presso la Presidenza del Consiglio e si premurò di sapere com'era sorta l'organizzazione di tali programmi radio, chiedendo anche alla direzione degli Affari Politici del Ministero degli Esteri se essi erano diffusi in altri paesi dell'America Latina come lasciava «supporre l'intestazione dei bollettini» che elencavano molte stazioni radio in "relai" con l'emittente di Montevideo» 33 . In effetti, le stazioni collegate erano solamente uruguayane ma l'idea di trasmissioni analoghe in altri paesi fu incoraggiata del Ministero degli Esteri che in tal senso sollecitò subito tutte la rappresentanze diplomatiche del Sud America 34 .

La storia del Giornale dell'Aria, trasmesso in onda corta dalla potente stazione CXA Radio El Espectador di Montevideo, la più antica del paese 35 e notoriamente vicina ai settori antifascisti della collettività italiana, e in onda lunga dalla catena «Difusora del Uruguay» costituita da diverse stazioni radio sul territorio nazionale 36 , iniziò alla fine di novembre del 1942. Fino al 1943, anno in cui rientrò negli Stati Uniti, fu diretto da Serafino Romualdi che fu poi sostituito da Nicola Cilla, leader antifascista nei paesi del Plata e appassionato difensore della libertà, già comunista espulso dal partito e passato su posizioni di riformismo socialista, prima vicino a Nenni e infine a Pacciardi e Saragat 37 . Amministratore del programma era R. Rimini. Oltre alla sinistra e ai batllisti, il radiogiornale italiano ebbe il sostegno di esponenti «blancos» e della stessa Presidenza della Repubblica. Il Giornale dell'Aria, «tribuna radiofonica» il cui raggio era esteso a tutto l'Uruguay 38 , sud del Brasile, Argentina, Cile e Perù, assolse lo stesso mandato affidato al settimanale Italia Libre, «tribuna giornalistica», diventando per più di un quinquennio, per la puntualità e la qualità dell'informazione, un riferimento per le collettività italiane nei paesi dell 'America Latina 39 .

La diffusione del radiogiornale che sostenne validamente la causa della libertà italiana, infatti, travalicò gli anni del conflitto bellico, dell'abbattimento del fascismo e dell'instaurazione della Repubblica Italiana. I promotori ritennero, infatti, che la sua missione non si fosse esaurita, per cui Il Giornale dell'Aria continuò «la sua opera di educazione democratica fra la nostra emigrazione e di difesa e consolidamento della Repubblica Italiana insidiata dai due opposti estremismi totalitari» 40 . Allo stesso tempo continuò a sollecitare aiuti materiali a favore del popolo italiano, «primo dovere di tutti i connazionali all'estero» 41 .

Il quotidiano radiofonico, sempre più popolare, era strutturato in ma- niera molto semplice, quasi scontata per quella che era in quei frangenti la gerarchia delle notizie. Il Giornale dell'Aria mostra, infatti, un impianto fisso. Negli anni del conflitto diffondeva notizie relative alla situazione in Italia, alla guerra e al contesto internazionale 42 . Finita la guerra l'impianto naturalmente muta ma non di tanto, come è possibile verificare nei bollettini fittamente dattiloscritti che sono consultabili nell'Archivio Storico del Ministero degli Esteri a Roma, relativi comunque al 1946. All'inizio dei quindici minuti di trasmissione (dalle 13,15 alle 13,30), vi era il «Panorama internazionale», redatto sulla base di agenzie e notizie riprese da altre fonti giornalistiche. Seguiva un «Panorama italiano», con notizie sull'Italia tratte per lo più da quotidiani uruguayani e argentini, e quindi un «Panorama italo-americano» -il più originale -dedicato agli avvenimenti locali che vedevano protagonista o potevano interessare la collettività italiana.

In chiusura la «Nota del giorno», un commento legato preferibilmente a una questione particolare riguardante il mondo dell'emigrazione, senza disdegnare note su avvenimenti riguardanti la situazione internazionale che, a volte, furono «ripresi» e pubblicati anche da Italia Libre.

In ogni caso, Il Giornale dell'Aria, per tutti gli anni in cui si fece sentire, fu il punto di riferimento di tutti gli esponenti democratici di passaggio o residenti a Montevideo, da Romualdi, «il papà» del radiogiornale e di tutte le attività del Comitato Italo Americano di Educazione Democratica, tornato in Uruguay nel 1946, al sindacalista dell'American Labor Council Luigi Antonini che fu tra i finanziatori di Italia Libre e di altre attività antifasciste. Tutti i protagonisti dell'antifascismo, insomma, di volta in volta erano invitati a parlare ai microfoni della radio. Lo stesso Incaricato d'affari Niccolò Moscato, appena giunto in sede, volle inviare un messaggio agli italiani: lo fece dai microfoni della radio e il testo fu ripreso da Italia Libre. In tal modo Il Giornale dell'Aria si conquistò un ruolo unico e di rilievo politico, esercitando un grande effetto morale nelle comunità democratiche italiane dell'Uruguay e degli altri paesi latinoamericani in cui la radio era ascoltata 43 .

A partire dal 12 ottobre 1947, però, Radio Roma, riprese a trasmettere programmi in lingua italiana, spagnola e portoghese anche per il Sud America, regolarmente captati in Uruguay. L'Italia riscopriva le sue colonie etniche e tra esse quella dell'Uruguay, paese che era «retto da una seria democrazia progressista» e costituiva «una oasi nel marasma mondiale», anche a giudizio del presidente della Fiera di Milano in visita pochi mesi dopo nel paese 44 . I programmi di Radio Roma si ponevano l'obiettivo di ricucire e rendere più stabili i rapporti tra l'Italia repubblicana e democratica e i suoi immigrati che per più di venti anni erano stati bombardati dalla propaganda fascista, ancora in parte attiva e tenace. Il Bollettino trasmesso dall'Italia in onde corte -naturalmente più fresco e attuale nelle notizie internazionali e italiane e pertanto molto seguito -in qualche modo intaccò il ruolo del Giornale dell'Aria che dal febbraio successivo ridusse le sue «audizioni», fino alla chiusura determinata dalla crisi generale che già aveva portato alla fine di Italia Libre, come vedremo in parte sostituita dal Corriere degli Italiani di Buenos Aires.

La realizzazione di un radiogiornale quotidiano, oltretutto, era impresa abbastanza impegnativa e aveva bisogno di risorse notevoli per mantenersi, nonostante il massiccio lavoro di volontariato di cui usufruiva. Il Giornale dell'Aria, oltre ai finanziamenti politici che arrivavano principalmente dagli Stati Uniti, fece ricorso a non insignificanti introiti derivanti dalla pubblicità. Il suono di un gong nel corso della trasmissione, infatti, introduceva e chiudeva gli annunci commerciali di aziende italiane e rioplatensi: per lunghi periodi furono fisse le reclame della Siam dell'ing. Torquato Di Tella, lo «zio d'America» che finanziò la Concentrazione antifascista di Parigi e diverse iniziative editoriali a Buenos Aires (tra cui la stessa Italia Libre) 45 , del Banco Italiano dell'Uruguay sottratto alle influenze fasciste, del Vermouth Cinzano, del Ritrovo degli Amici di Montevideo, e della «Imprenta Lamb» di Buenos Aires legata all'ambasciata inglese, di cui era gerente Achille Gatti, e dai cui impianti erano venuti e venivano ancora alla luce tanti periodici antifascisti.

Oltre al Giornale dell'Aria, la propaganda democratica via etere 46 , dal 1943 contò anche su un'altra trasmissione radiofonica, Voce Italiana, settimanale in onda dallo stesso auditorium il giovedì durante la guerra e il 'azione antifascista negli anni 1928-1932, in «Storia Contemporanea», IX, 3, 1978: e ancora: Id. (a cura di), Il carteggio tra Filippo Turati e Torquato Di Tella (1928-1931. Di Tella, fu tra i finanziatori del settimanale argentino La Nuova Patria e si svenò anche nel tentativo di tenere in vita il quotidiano Risorgimento, fondato a Buenos Aires da Francesco Frola (cfr. Lettera di Turati a Di Tella del 31 gennaio 1931, in Tobia cit., p. 669). sabato negli anni successivi. Voce Italiana era un programma culturale voluto da Serafino Romualdi, di cui s'incaricò, con grande competenza, Umberto Scazzocchio 47 , un ebreo fuggito dall'Italia in seguito alle leggi razziali, giunto in Uruguay nel marzo 1941 con la moglie Lea Sestieri e il figlio 48 . La trasmissione settimanale ebbe l'appoggio di «gruppi di collaboratori e collaboratrici, volenterosi ascoltatori de "La Voce", che spontaneamente hanno offerto la loro opera» 49 . Tra loro, a 17 anni appena, esordì anche Meri Lao, l'etnomusicologa che ha dedicato la propria vita al tango e che a quel microfono imparò il mestiere di conduttrice con rubriche letterarie e musicali.

Per sostenere questa trasmissione, molto cara agli immigrati italiani, nel 1946 si costituì un Circolo Amici della Voce Italiana con sede nei locali di Italia Libre 50 . Questo circolo era formato da giovani donne che promossero anche a diverse iniziative culturali e sociali 51 (insegnamento della lingua italiana e spagnola, lezioni di disegno, scultura e musica e conferenze di letteratura, storia arte e sociologia), molto apprezzate dalla Legazione italiana che si premurò di segnalarle a Roma 52 .

Tutta questa attività contribuì a creare un clima di rinascita democratica nella collettività italiana che, accolse con grande entusiasmo la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Italia e Uruguay, con la successiva elevazione al rango di Ambasciata delle rispettive rappresentanze diplomatiche, e la notizia del risultato del referendum istituzionale favorevole alla Re-

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Risorgimento italiano (che specialmente in Uruguay erano state una violenza sulla tradizione garibaldina degli italiani e degli stessi uruguayani democratici per i quali la figura di Garibaldi costituiva un vero e proprio mito). Cfr. A. Bresciano,p. 102. pubblica che, in maniera inaspettata, prima ancora che in Italia venne diffusa proprio da Radio Montevideo dove potrebbe essere arrivata tramite contatti romani di Italia Libre 53 .

Alcuni settori della collettività italiana, in particolare organizzati in Italia Libre, Circolo Progresso, Associazione Democratica e Circolo garibaldino, accolsero l'auspicato cambio istituzionale con clamorose manifestazioni 54 , e per iniziativa del Circolo Progresso, si costituì subito un Comitato di omaggio alla Repubblica Italiana, del quale fecero parte tutte le associazioni italiane di mutuo soccorso e democratiche, assieme a uomini politici uruguayani che simpatizzavano per l'Italia 55 .

Stampa etnica d'importazione

E la carta stampata? Bisogna a questo punto chiedere un prestito alla storia del giornalismo etnico italiano in Argentina, per vedere, di riflesso, che tipo d'informazione circolasse in quegli anni in Uruguay. Alcuni giornali pensati e redatti a Buenos Aires, infatti, in assenza di altri mezzi di informazione etnici locali, possono essere considerati anche uruguayani per gli spazi e l'attenzione politica che hanno dedicato ai problemi degli italiani che vivevano nella Repubblica Oriental. Dopo la cessazione del settimanale L'Italiano, per quanto possibile la domanda d'informazione degli italiani e italo-discendenti fu soddisfatta da quotidiani e periodici, fascisti e democratici, che giungevano da Buenos Aires e che dedicavano grande attenzione agli avvenimenti uruguayani. Il Mattino d'Italia, con la una prosa che riprendeva quella dei giornali fascistissimi italiani (Il Tevere e La difesa della razza), continuò a fare propaganda per l'Asse e ad alimentare sentimenti di devozione a Mussolini, accentuando anche l'antisemitismo al Plata, come ricorda Renzo de Felice riferendosi ad alcuni articoli pubblicati dal quotidiano bonaerense 56 , finché, dopo ammonimenti e sospensioni, con un decreto del 17 ottobre 1944 non venne chiuso dalle autorità argentine 57 .

Senza inchiostro, notizie in onda

A contrastare l'organo fascista, ci fu Italia Libre che aveva una redazione anche a Montevideo. Italia Libre fu il foglio che, pur redatto in Argentina, più di altri ebbe un'anima uruguayana, non fosse altro che per la frequentazione che Nicola Cilla, suo animatore, ebbe con la realtà di Montevideo dove visse per lungo tempo e dove fu anche segretario dell'Associazione Italia Libre locale. Il periodico fu l'ultima scommessa politico-editoriale sostenuta dall'industriale Torquato Di Tella che per anni aveva finanziato giornali antifascisti.

Il rifiuto di Giuseppe Chiummiento, che lavorava alle dipendenze di Di Tella, di trasformare in quotidiano e organo dell'antifascismo democratico il settimanale La Nuova Patria che dirigeva dal 1932 58 , il 21 agosto 1940 portò al varo di Italia Libre, quindicinale bilingue in spagnolo e italiano, ricca veste tipografica, articoli di varie personalità dell'antifascismo argentino e mondiale 59 , creato da Nicola Cilla (con l'aiuto di Giuseppe Parpagnoli, Giuseppe Coppola, Cesare Civita e Gino Germani), ufficialmente edito da Achille Gatti ma economicamente sostenuto anche dall'American Labor Council di Luigi Antonini.

L'intento del periodico era quello di «fare opera di propaganda democratica e antifascista e diffondere nel mondo americano l'idea che il popolo italiano non era complice del fascismo nella guerra contro le democrazie e alla prima occasione favorevole avrebbe rovesciato il fascismo e diretto le sue armi contro i tedeschi» 60 .

Negli intenti dei promotori, Italia Libre avrebbe dovuto nascere come quotidiano e assorbire L'Italia del Popolo dei fratelli Mosca che all'epoca dipendeva dalle erogazioni dell'ambasciata inglese e come direttore già si faceva il nome di Luigi Campolonghi, socialista, presidente della Lega ita-

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Memorandum dell'addetto stampa Valentini al Ministero degli Esteri (Roma), Buenos Aires 15 settembre 1944: e ancora: Ivi,b. 41,f. 33). Si ritiene, tuttavia, che la chiusura, che riguardò anche il quotidiano tedesco Deutche La Plata Zeitung, sostenitore di Hitler, e il mensile La Patria degli Italiani (cfr. ASMAE, Affari Politici 1931-1945 liana dei diritti dell'uomo (LIDU) 61 . Non se ne fece nulla per le pretese esose avanzate dai Mosca. Si partì allora con un quindicinale di cinquemila copie, presto diventato settimanale, e l'impegno della sua trasformazione in quotidiano. Nel complemento di testata per i primi tre numeri Italia Libre si definì «periodico italo-argentino», dal n. 4 del 1940 mutato in «semanario italo-argentino» e, infine, dal n. 19 del 1941 in «la tribuna italo-argentina al servicio de la democrazia» e, con la terza serie del 1946 «tribuna del los Italianos Libres de America».

Secondo Pietro R. Fanesi, Italia Libre era schierata su posizioni intransigenti e antisovietiche, già evidenti nel manifesto con cui si presentò il Comité Italia Libre in cui l'URSS era paragonata alla Germania nazista, che determinarono «una grave crisi delle relazioni unitarie tra i vari gruppi dell'antifascismo» 62 .

In verità -lo dimostra anche la lunga lista dei collaboratori sia italiani e e sia argentini 63 -il giornale, fermo restando l'antisovietismo confermato e forse cresciuto negli anni e l'anticomunismo spietato di alcuni suoi promotori, era sostenuto «da un arco ideologico antifascista ampio» che includeva anche comunisti 64 e perfino gli anarchici (nell'aprile 1941 nei festeggiamenti per Nicola Cilla a Montevideo si fecero notare Luce Fabbri e il marito Ermàcora Cressatti, animatori del circolo Libertad 65 ), cosa che determinò il suo successo e la sua espansione immediata anche in Uruguay e in altri paesi latinoamericani.

D'altra parte, il giornale, si presentava ben fatto, come il gemello Argentina Libre (1940-47) con cui condivise collaboratori, prospettive poli-Senza inchiostro, notizie in onda 159 tiche e una grafica molto ricca di fotografie, illustrazioni e caricature: Mussolini fu continuamente ridicolizzato dai fumettisti Roberto Gómez, esiliato spagnolo, e Fernando Cozzolino, di origine italiana (famiglia radicata in Uruguay), entrambi impegnati anche in altri periodici dell'antifascismo stampati in Argentina 66 .

Cilla, dopo la Conferenza di Montevideo si fermò nella capitale uruguayana e la direzione di Italia Libre passò a Giuseppe Fabi, giovane avvocato e giornalista esiliato, che diresse il giornale fino al 1944 67 .

Il 2 dicembre 1943 la trasformazione; sempre con l'appoggio di Di Tella, uscì il primo numero del «quotidiano democratico di tutti e per tutti gli italiani» con il nome di Italia Libera 68 . Il giornale aumentò la diffusione anche al di là del Plata, nonostante fosse costretto a muoversi con prudenza per le restrizioni imposte alla stampa dal governo argentino e per l'ostilità dell'Incaricato d'Affari «badogliano» Livio Garbaccio. Questi, insediatosi ad aprile 1942 come rappresentante del governo fascista, rimase a Buenos Aires nello stesso ruolo anche dopo la caduta di Mussolini. Ancora nel 1944 fece pressioni per la chiusura di Italia Libera fornendone notizia anche alla stampa.

Storia della stampa italiana in Uruguay 160 66 Marcela Gené, Impresos bajo fuego. Caricaturas e ilustraciones en la prensa antifascista porteña (1940)(1941) (ACS, CPC, b. 1912, f. 1852, "Fabi, Giuseppe", Nota della Questura di Roma al Min. Int. Dir. Gen. P.S., Div. Aff. Gen. e Ris., Cpc, Roma 29 nov. 1929). Nel novembre 1926 emigrò a San Paolo del Brasile chiamato dal quotidiano Fanfulla ma, per una lettera di solidarietà a Francesco Frola, fu licenziato e la sua attività antifascista divenne militante. Fu caporedattore al settimanale La Difesa dal quale comunque se ne andò per mancanza di fondi e, pare, per dissidi con lo stesso Frola. Rimasto senza lavoro alla fine del 1928 si spostò a Buenos Aires, dove entrò in contatto con il gruppo dei fuoriusciti italiani (cfr. Ivi, Nota dell'Incaricato d'affari dell'Ambasciata d'Italia di Buenos Aires al Min. Int., Div. P.S., Buenos Aires 5 marzo 1930). Fu subito coinvolto nella redazione del settimanale socialista L' Italia Proletaria, ed 'ultimo, nel 1934 console generale a Rosario e poi a Sydney, tornato esule in Argentina perché colpito dalle leggi razziali, nel 1943 pubblicò il periodico Il Domani, moderato, che si muoveva «tra il liberale e il liberalismo», anticipando la necessità di promuovere, una volta finito il conflitto, la pacificazione tra fascisti e antifascisti (cfr. Alberto Indelicato, Una rivista anomala dell'esilio. Il Domani di Paolo Vita Finzi, in «Nuova Storia Contemporanea», II, 4, 1998, pp. 89-100).

Denunciava una campagna «di questo quotidiano repubblicano-anticattolico […] contro i Regi funzionari». L'iniziativa del Garbaccio, ovviamente, provocò la dura reazione di Fabi che protestò telegrafando al Conte Sforza a Salerno 69 . Inutile si dimostrò un richiamo del segretario generale del Ministero degli Esteri, Renato Prunas, nei confronti del diplomatico 70 che continuò imperterrito negli attacchi al giornale. Italia Libera intraprese un braccio di ferro con Garbaccio, invocandone la destituzione per le sue «pericolose condiscendenze» nei confronti di «certi accaniti elementi neo-fascisti» ma anche per «la sua inattività in ogni campo», come scrisse in un articolo del 17 settembre 71 .

Perse però la battaglia. Il giornale fu chiuso nell'aprile 1944 e la cosa creò grande sconcerto più in Usa che in Italia, perché era il terzo giornale favorevole alle Nazioni Unite, dopo La Prensa e La Vanguardia, vittima di drastici provvedimenti del governo argentino. Italia Libera era stato l'unico quotidiano italiano a Buenos Aires contrario fin dalla sua fondazione al regime mussoliniano, scrisse allarmato il New York Herald-Tribune in una corrispondenza esclusiva da Montevideo pubblicata il 28 aprile 1944 e per giunta, denunciava il quotidiano, era stato soppresso su «richiesta del Dott. Livio Garbaccio, incaricato d'affari italiano» che operava «ancora a Buenos Aires con metodi fascisti e contro la democrazia e gli interessi delle Nazioni Unite, nonostante la caduta di Mussolini e il cambiamento del governo italiano». Secondo l'Herald Tribune, citato da diversi quotidiani americani, Garbaccio ha chiesto al regime del presidente Edelmiro Farrell di chiudere Italia Libera e il generale Luis Perlinger, ministro degli interni, un nazionalista forte, ha «prontamente ottemperato» 72 .

L'ostilità di Garbaccio nei confronti del giornale, risaliva a qualche anno prima, alla nascita di Italia Libre che, sebbene fosse considerato «mal concepito e mal diretto», divenne immediatamente un'ossessione per la diplo-Senza inchiostro, notizie in onda 161 69 ASMAE, Affari Politici 1931-1945, Argentina, b. 40, f. 4, Garbaccio al Ministero degli Esteri, Buenos Aires 10 maggio 1944 Ivi, Prunas a Garbaccio, maggio 1944. 71 Il governo italiano, dopo avere ricevuto informazioni sul peggioramento della situazione all'interno della collettività italiana di Buenos Aires e dietro pressioni statunitensi, era pronto a richiamare subito il diplomatico (cfr. ASMAE, Affari Politici 1951-1957, America Latina 1953, b. 1593, f. 1945, CASS 1100 Argentina-Italia, Appunto di Prunas per S.E. il Capo del Governo, Brindisi 22 novembre 1943) ma tergiversò ancora quasi un anno per evitare la rottura diplomatica con l'Argentina (Ivi, Promemoria Di Prunas del 7 settembre 1944). Il conflitto tra Italia Libera e Garbaccio, considerato un servitore di Mussolini, è ben ricostruito in F. Bertagna, La Patria di riserva cit. pp. 173-176. 72 L'articolo del New York Herald-Tribune fu ripreso da diversi quotidiani statunitensi. Cfr. per esempio 3d Pro-Allied Paper Closed By Argentina, in «Syracuse Herald Journal», 29 aprile 1944. mazia fascista che assoldò confidenti sicuri «per essere in grado di seguire tutte le mene ed ogni ulteriore sviluppo di questa delittuosa organizzazione» 73 . Terminata, con la fine della guerra, l'esperienza militante, chiusi il quotidiano e poi il settimanale che lo sostituì, il 6 gennaio 1946 Cilla riprese la vecchia testata Italia Libre, facendone la palestra del nuovo giornalismo etnico. Il ritorno a Italia Libre settimanale significò anche un mutamento di contenuti rispetto al quotidiano. Cilla spiegò che il settimanale sarebbe tornato alle origini, esclusivamente dedicato alla «predica politica». Italia Libre -scrisse Cilla nell'editoriale di avvio della terza serie -era apparso «quando giunse il momento di segnare la rotta patriottica e umana alla nostra collettività» e il giornale divenne subito la voce che indicò il dovere «di ripudiare la guerra fascista, di allinearsi con le Nazioni Unite, di lottare per l'instaurazione della Repubblica Democratica d'Italia». In passatoaggiunse -il giornale aveva lottato per la vittoria della democrazia anche in Italia, ora avrebbe operato per stabilizzarla affinché la pace non fosse una parentesi 74 . L'attenzione agli avvenimenti uruguayani fu continua anche in questa ultima serie del periodico, in un difficile compito di riconciliazione della collettività che, in parte, andava ancora «educata» alla democrazia, tema caro anche ad altre associazioni italiane in Uruguay.

Alla terza serie di Italia Libre, tra gli altri, continuò a lavorare Ettore Rossi, che faceva parte della redazione dalla prima ora. Rossi subentrò a Cilla nella direzione della testata che, parimenti all'associazione omonima, stava ormai per esaurire il suo tempo. Nel dicembre 1947, in una lettera a Luigi Antonini che era stato tra i patrocinatori del giornale, Rossi preannunciò l'intenzione di dare una svolta per trasformare Italia Libre in un foglio maggiormente diffuso 75 . A fine 1948, quindi, Rossi prese la «fatale decisione» della chiusura «convinto ormai che il periodico avesse compiuto la sua opera e chiuso il suo ciclo» e l'anno dopo diede vita al nuovo organo della collettività italiana di Buenos Aires, il Corriere degli Italiani, che circolò anche a Montevideo 76 . Fu un successo immediato. Il Corriere degli Italiani rinnovò il mito della Patria degli Italiani che la collettività aveva sempre rimpianto. Socialdemocratico convinto, nell'editoriale del primo 74 Nicola Cilla, De "Italia Libre" a "Italia Libre", in «Italia Libre», 6 gennaio 1946. 75 La lettera di Rossi ad Antonini è citata in Veronica Perozeni, Politica USA ed emigrazione italiana. Emigranti, sindacalisti e diplomatici in Argentina 1946-1955, tesi di dottorato in Storia della società europea, ciclo XIX, Università di Verona 2003 numero, Rossi alzò la bandiera della solidarietà patriottica e rivolse un invito a tutti gli emigrati peninsulari residenti al Plata a mettere da parte i conflitti politici e ritrovarsi uniti esclusivamente come italiani 77 . Non tutti, però, accolsero il suo invito a ricomporre le fratture. Era troppo profondo il solco scavato negli anni del regime. L'opposizione di vecchi e nuovi fascisti divenne anzi più decisa, sfociando nelle contumelie personali contro Rossi e i suoi collaboratori.

Contrariamente al silenzio editoriale che si registrava ormai da lunghi anni in Uruguay, sulla sponda occidentale del Plata ci fu un fiorire di iniziative. Con il motto «per una Italia democratica, progressista, libera e indipendente», anche il periodico quindicinale comunista L'Unità degli Italiani di Buenos Aires («Tribuna democratica della vecchia e nuova immigrazione italiana al Plata», com'era evidenziato nel complemento di te- Un ruolo non secondario ma controverso toccò al quotidiano L'Italia del Popolo diretto da Vittorio Mosca che in maniera combattiva ma ambigua, aveva fronteggiato la propaganda fascista di altri mezzi di comunicazione etnici che, altrimenti, rischiava di stordire l'intera collettività. Vittorio Mosca, secondo l'accusa mossa il 9 febbraio 1946 da Italia Libre, si era avvicinato all'Ambasciata fascista per avere sostegno economico (altro sicuro sostegno lo ebbe dal governo di Juan Domingo Perón 79 ), compromettendo così la «purezza» della testata, impegnata solo apparentemente -secondo l'antifascismo moderato -a difendere la trincea della democrazia. L'Italia del Popolo aveva già una tradizionale presenza in Uruguay ma un equivoco atteggiamento, che la indusse ad attaccare anche gli altri fogli dell'antifascismo e gli stessi esponenti democratici, finì per ritorcersi contro facendo scemare sempre di più il modesto favore che negli anni si era conquistato tra i lettori di sinistra.

Non rimasero senza attenzione i tanti fascisti irriducibili che operavano all'interno della collettività italiana in Uruguay, prima durante e dopo la guerra. A loro erano destinati pacchi di giornali di stampo chiaramente fascista che ancora si pubblicavano nella capitale argentina: assieme al fascistissimo quotidiano Il Mattino d'Italia, diretto da Michele Intaglietta, le navi trasportavano anche la rivista mensile La Patria degli Italiani, testata rilanciata dall'organo fascista (24 pagine in bianco e nero in formato 18 per 27 centimetri). Ricco di fotografie e di servizi dalle zone di guerra e di notizie sulla vita degli italiani emigrati, il mensile era impegnato a esaltare l'attività bellica italo-tedesca e una presunta epopea delle truppe italiane in Russia o in Africa proprio nel momento in cui la situazione militare vedeva in rotta gli eserciti dell'Asse. Fondato come settimanale nel 1946, considerato a lungo uno strumento di divisione più che di riferimento degli italiani al Plata, chiuso per la campagna dì odio contro i diplomatici italiani e il governo di Roma e poi ripreso e trasformato in quotidiano, il Risorgimento trovò abbonati e sostenitori anche in Uruguay ma si sostenne soprattutto grazie ai consistenti contributi dal governo di Peron: incassò 425 mila pesos dal 1948 al 1955 81 .

Fugace comparsa d'un periodico locale

La pagina che Italia Libre nel dopoguerra pubblicava settimanalmente e l'attenzione che gli altri giornali bonaerensi di diversa tendenza non lesinavano agli italiani in Uruguay non furono sufficienti a ogni modo per colmare il vuoto che si era creato nella stampa d'emigrazione della quale il fascismo aveva lasciato macerie. Tali giornali -con una parziale eccezione per Italia Libre e la sua connotazione democratico-progressista vicina a quella del Partido Coloradoerano considerati pur sempre giornali argentini che gettavano solo uno sguardo, a volte anche distratto se non proprio superficiale, sulle cose uruguayane.

In effetti, alla fine degli anni Quaranta, nella collettività italiana si registrò un risveglio a 360 gradi. Arrivavano artisti di fama dalla madrepatria, tornarono insegnanti rimpatriati all'inizio della guerra, fu rilanciata la Senza inchiostro, notizie in onda 165 80 Cfr. Mario Missori, Gerarchie e statuti del PNF. Gran consiglio, Direttorio nazionale, Federazioni provinciali: quadri e biografie, Roma, Bonacci, 1986. Scuola italiana. C'è uno struggente racconto d'emigrazione scritto da Maria Rosa Atella Vignola 82 che, in poche righe, offre un affresco vivo di tali fermenti: «In quel periodo -scrive -cominciò ad arrivare in America un flusso di artisti; tra i più noti, Beniamino Gigli, Gino Becchi, Maria Caniglia, Tito Gobbi, Jorge Damiani, Caterina Gigli, Tito Schipa, Carlo Buti e la sua "rivista", Emma Gramatica. Tutti vollero visitare la Scuola e ci incontrarono nell'Aula Magna "Luigi Pirandello"».

La Scuola Italiana di Montevideo, con il Liceo Habilitado Italo-Uruguayo, era da sempre il fiore all'occhiello degli italiani in Uruguay. In quel periodo di transizione, ricorda Atella Vignola, si faceva di tutto per diffondere i valori culturali italiani. E che c'era di meglio di una trasmissione radiofonica per farlo? La radio rappresentava il mezzo ideale. «Un po' di pubblicità -scrive ancora la giornalista di origini lucane -poteva aiutare lo sviluppo della Scuola, sicché iniziò un programma sulla radio CX48: "La Voce della Scuola Italiana", che veniva trasmesso verso le sette di sera con notizie e tanta musica moderna. Lo stesso programma, ma specifico per cultura, letteratura, arte e musica classica italiana, si trasmetteva la domenica mattina alle ore 10. Regista di questo programma, il M.tro [Andrea] Fontanot».

In questo clima, qualcuno ritenne ch'era ormai tempo di pubblicare un nuovo foglio comunitario pensato e stampato in Uruguay, paese con una forte tradizione di giornalismo etnico italiano che in passato aveva vissuto periodi epici al servizio delle collettività. Soltanto nel novembre 1949, tuttavia, si ebbe un effimero risveglio editoriale: a Montevideo apparve il mensile Messaggero italico, il primo periodico in lingua italiana del dopoguerra stampato nella Repubblica Orientale. Diretto dal ragioniere Eugenio Rossi Masella, il Messaggero fu l'Organo delle Società Italiane Riunite dell'Uruguay. Sebbene patrocinato da tutto l'associazionismo italiano, del giornale furono stampati appena sei numeri, dal novembre 1949 all'aprile 1950. Si trattò di una presenza effimera e però importante quanto meno per avere interrotto un ormai lungo periodo di assenza della stampa etnica prodotta nel paese.

Dopo la scomparsa del Messaggero italico tornò il silenzio per qualche anno, mentre fascisti vecchi e nuovi lentamente riconquistavano il governo di diverse associazioni etniche. Nulla, però, sarebbe stato più come prima.

Notizie romane, arriva l'Ansa

Un po' in tutti i paesi dell'America Latina, per la stampa di comunità la ripresa del secondo dopoguerra fu lenta e molto lontana dalla qualità del passato. In Uruguay, particolarmente, avvenne con enorme ritardo rispetto ad altri paesi dell'area: le ferite dovute alle divisioni determinate dal fascismo all'interno della colonia italiana erano ancora dolorose e una ricomposizione unitaria non fu semplice né tantomeno immediata, anche perché il paese divenne meta di molti fascisti in fuga dall'Italia i quali alimentarono a lungo il clima di conflitto. Nella capitale molti italiani erano rimasti fascisti «cosa che non deve sorprendere -aveva spiegato Italia Libreperché il regime scomparso aveva dedicato una propaganda intensa e a volte efficace per conquistare le collettività all'estero attraverso la stampa, il cinema, la radio, inviati speciali e rappresentanti diplomatici e consolari molto attivi» 1 .

L'assimilazione degli italiani residenti e l'esaurirsi dei grandi flussi migratori, nonostante gli accordi di governo del 1952 e l'ultima ondata di sbarchi del dopoguerra, incisero poi anche sulla quantità e sulla qualità dei mezzi di informazione della collettività e imposero un ripensamento del modello di giornalismo. La stampa etnica che aveva interessato l'Uruguay negli anni del grande esodo era col tempo diminuita fino a estinguersi alla vigilia della Seconda Guerra mondiale. La massa d'italiani dell'emigrazione prebellica si era perfettamente integrata e molti italo-discendenti spesso non avevano memoria o non mostravano interesse per la terra dei loro antenati, infastiditi magari dal bombardamento propagandistico del fascismo.

Il clima di risveglio democratico, pertanto, non influì più di tanto sulla ripresa della stampa italiana che segnò a lungo il passo. E quando riapparve aveva cambiato pelle. In questo senso, sia a un'analisi di tipo quantitativo (giornali stampati, copie diffuse), sia qualitativo, misurabile con l'impatto sociale dei contenuti sulla realtà locale al di là della connotazione ideologica, si può parlare certamente di declino, nonostante le strutture di supporto 167 1 Los problemas de la colectividad en el Uruguay estudiados por los italianos libres de Montevideo, in «Italia Libre», 2 maggio 1948.

Capitolo 12

destinate all'informazione italiana in America Latina.

Alla fine del 1952 l'agenzia Ansa, che già operava a Buenos Aires, firmò una convenzione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il ministero degli Esteri italiani per potenziare la sede esistente e aprirne di nuove a Montevideo e S. Paulo del Brasile 2 , convenzione inviata già per «opportuna conoscenza» ad Ambasciate, Legazioni e Consolati italiani in America Latina 3 . L'obiettivo del governo italiano era assicurare «ai giornali di quest'area, dove è forte la presenza di emigrati italiani, un'informazione scritta da giornalisti italiani e non francesi o britannici o americani» 4 .

Un carteggio tra il MAE e l'Ambasciatore italiano a Montevideo, Guglielmo Rulli, nel periodo fascista vice direttore degli italiani all'estero, dà conto dell'attività preparatoria che coinvolse tutte le rappresentanze diplomatiche. Rulli propose subito Nicola Cilla, «giornalista professionista, direttore [delle] note trasmissioni radiofoniche "Voce dell'Aria" [sic!]» come titolare della nuova sede 5 . In quel momento la stampa etnica italiana in Uruguay non era ancora tornata realmente presente, ma l'Ansa, oltre ad aiutare i gironali della collettività emigrata, puntava ad altro tipo di clientela. Quella diffusa, infatti, era un'informazione «per» i giornali sudamericani più che per i fogli di comunità i quali, soprattutto negli anni successivi, se ne servirono comunque abbondantemente. Agli inizi veniva diramato un notiziario esclusivamente in italiano al quale, in seguito, si aggiunsero anche quelli in spagnolo e portoghese. Da Roma, in base alla convenzione, ogni giorno venivano trasmesse 4000 parole, un notiziario basico fatto di «notizie e commenti politici illustrativi dei punti di vista italiani sui principali problemi politici internazionali» 6 , idoneo per offrire un sufficiente quadro degli avvenimenti in Italia e nel mondo (dal 9 aprile 1953 le parole furono aumentate a 12.000 per iniziativa autonoma e a spese dell'agenzia 7 ).

Inizialmente per mezzo di rudimentali apparecchi, i lanci radio, erano Storia della stampa italiana in Uruguay 168 captati nelle diverse sedi e le notizie, dopo essere state tradotte, distribuite ai giornali locali interessati. In Uruguay, dopo diversi mesi di preparazione, la nuova sede fu operativa a partire dalla metà del mese di luglio 1953, ben accolta da tutti i quotidiani che -segnalò l'ambasciatore -pubblicarono un cordiale saluto. Complice la presenza di una folta comunità di italiani e di italo-discendenti, già assimilati e di parlata spagnola, il notiziario dell'Ansa, ebbe un immediato e sorprendente successo, superiore a ogni aspettativa. «Gli inizi così, fanno ben sperare per l'avvenire. La mia impressione -comunicò al ministero degli esteri a Roma il rappresentante diplomatico italiano -è che, con un buon lavoro locale, la sigla "ANSA" potrà entro breve tempo affermarsi e che si potrà riuscire così a fare in modo che la stampa locale attinga anche a fonte diretta notizie sul nostro paese e su avvenimenti internazionali che interessano o riguardano l'Italia» 8 . L'Ambasciatore Rulli se ne faceva quasi un vanto personale, fornendo spesso anche consigli sui contenuti da diramare 9 . In effetti, a poco più di un anno dall'apertura della sede, una lunga e fitta relazione del responsabile di sede inviata il 27 luglio alla direzione dell'agenzia a Roma, documenta la crescita dell'Ansa rispetto alle altre agenzie internazionali, potendo contare, già dopo un anno, sul maggior numero di abbonati, grazie anche ai costi contenuti del servizio previsti dalla convenzione col governo italiano. Dopo un sommario cenno al sistema della stampa uruguayana, il titolare della sede di Montevideo documentava come il notiziario prodotto fosse utilizzato dai maggiori quotidiani montevideani che avevano sottoscritto un abbonamento, spesso preferendolo a quelli delle grandi agenzie nordamericane e alla France Presse, e scriveva: «Prescindendo dal comunista "Justicia", divenuto quotidiano da alcuni mesi (di scarsa tiratura e campo chiuso per tutte le agenzie, perché pubblica solo le notizie della sua agenzia di partito) i giornali importanti del paese sono: "El Dia", che può definirsi il numero uno dell'Uruguay, poi, come tiratura, "El País", "La Mañana", "El Plata", "El Diario": inoltre di certa importanza politica, ma di non grande diffusione, "El bien publico", "El Debate" e "Acción" (questi ultimi due sempre passivi): finalmente, abbastanza diffuso, ma senza alcun prestigio -si occupa solo di cronaca nera locale, corse, calcio e lotteria), "La Tribuna Popular"» 10 .

L'informazione nel secondo dopoguerra 169 A queste considerazioni, l'autore della relazione faceva seguire «uno specchietto», indicando le agenzie alle quali erano abbonati i diversi giornali (tabella 1).

La Reuter, annotava con soddisfazione il responsabile della sede Ansa montevideana, serviva solo due giornali; la United Press tre, tra cui El Día al quale forniva anche telefoto; la Associated Press quattro; l'International New Service due, cinque la Agence France Press e ben sette l'Ansa. La Tribuna Popular non utilizzava agenzie di stampa, visto il tipo notizie pubblicate, quasi esclusivamente di cronaca locale. Poteva considerarsi un vero e proprio successo dell'iniziativa.

Dalla sede Ansa di Montevideo, infine, in base agli accordi col governo italiano, il bollettino -per via aerea -era inviato in diversi stati latinoamericani 11 , almeno fino a quando, l'anno successivo, per accorciare i tempi di diffusione e soddisfare anche la richiesta informativa locale accresciuta anche in seguito al massiccio afflusso di emigrati italiani in Venezuela, non fu aperta anche la sede Ansa di Caracas che si aggiunse a quelle già aperte a Buenos Aires. Montevideo, Rio de Janeiro e S. Paulo del Brasile 12 , con competenza sugli stati centroamericani.

Venticinque anni dopo, in Uruguay l'agenzia contava 12 clienti (tra cui 3 quotidiani) serviti direttamente, contro i 42 dell'Argentina (tra cui 15 quotidiani), i 32 del Brasile (con 16 quotidiani) e i 24 di Caracas (di cui 7 quotidiani) 13 .

Giornali d'oltre Plata

La ripresa dell'informazione etnica del dopoguerra in Uruguay, tuttavia, è stata possibile ancora grazie ai giornali importati dall'altra sponda del Plata, a parte l'esperienza fugace, come abbiamo visto, del primo periodico locale, il mensile Messaggero italico che apparve soltanto alla fine degli anni Quaranta, esattamente nel novembre 1949. A pochi mesi dalla chiusura del periodico montevideano, il Corriere degli Italiani, che era stato fondato a Buenos Aires il 9 maggio 1949 da Ettore Rossi allo scopo di superare i conflitti politici tra i connazionali, cercò di colmare il vuoto editoriale determinatosi nel vicino Uruguay 14 . Dal 6 marzo 1950 il settimanale di Rossi pubblicò un'edizione con due pagine dedicate alla comunità italiana in Uruguay, con testi in italiano e spagnolo sotto una testata autonoma, Correo de los italianos. Edición Uruguay. Il resto del giornale, quello più corposo fatto di articoli, corrispondenze, notizie e commenti sull'Italia, riproponeva le pagine dell'edizione argentina, la stessa che fino a quel momento era stata diffusa anche in Uruguay a quanto pare con buoni risultati. Perché allora l'edizione uruguayana? Rossi, su sollecitazione dei suoi amici e colleghi di Montevideo, ritenne che il mercato etnico dell'informazione della Repubblica Orientale, mediante un'attenzione puntuale, avrebbe potuto dare ulteriori soddisfazioni alla testata che aveva registrato continui incrementi nelle vendite e nel numero degli abbonati anche sulla sponda orientale del Plata. Piuttosto che dar vita a un periodico esclusivo per l'Uruguay, di cui pure si avvertiva l'importanza ma che, chiaramente per una faccenda di costi, se realizzato da altri sarebbe stato modesto e ridotto nell'informazione generale proveniente dall'Italia, si decise di pubblicare un'edizione con le due pagine redatte autonomamente a Montevideo dal gruppo di giornalisti e intellettuali, Nicola Cilla in testa, che ancora animavano Italia Libre e mandavano in onda Il Giornale dell'Aria ininterrottamente dal 1942.

L'edizione speciale per l'Uruguay, che si decise di realizzare bilingue per attrarre lettori non solo italofoni, con un'amministrazione autonoma affidata a Ludovico Pedroni 15 e un proprio ufficio di pubblicità, ebbe dapprima sede in Calle Propios per trasferirsi ben presto in Calle Rio Branco. Il programma di lavoro prevedeva ampie informazioni su tutte le istituzioni italiane (assistenziali, mutualistiche, culturali, politiche e ricreative della Capitale e del- l'interno) e sulle rappresentanze diplomatico-consolari, con una particolare attenzione alle iniziative della collettività e ai problemi dell'emigrazione, alla valorizzazione del lavoro italiano, alla cultura, insomma a tutte le questioni che potevano interessare gli emigrati italiani e gli stessi uruguayani. Un giornale nel giornale, dunque 16 .

Federica Bertagna, come al solito molto incisiva, considera l'iniziativa «un modo per riavvicinare come in passato gli italiani residenti sulle due sponde del Río de la Plata» 17 . In mancanza di dati diffusionali e di altri riscontri, tuttavia, non si sa quanto essa abbia realmente soddisfatto le esigenze della collettività italiana montevideana e bisogna affidarsi quindi alle notizie che a riguardo lo stesso giornale ha fornito.

L'accoglienza -a leggere il Corriere -fu più che incoraggiante. Lo stesso presidente della Repubblica Luis Batlle Berres inviò un messaggio auspicando che «sotto il segno delle due Repubbliche il "Correo de los Italianos" sia un costruttivo ed efficace servitore dei tradizionali vincoli di affetto e di sangue che legano uruguayani e italiani». E l'ambasciatore italiano Alfonso Tacoli, dal canto suo si augurò che il giornale fosse «il Corriere di tutti gli italiani di tutta l'America Latina» 18 . Il Corriere, inoltre, si soffermò compiaciuto sull'accoglienza «concreta», quella fatta cioè di copie diffuse e vendute, ricevuta dalla collettività italiana non solo a Montevideo, ma anche a Colonia, Carmelo, Paysandù, Mercedes, Salto e Artigas, e nei dipartimenti di Canelones, Trinidad, Minas, Durazno, Sarandì, Melo, Rivera e Rocha 19 .

Il giornale, trasformatosi per alcuni anni in quotidiano, non allentò mai la propria attenzione verso l'Uruguay e, come vedremo, nel decennio successivo rilanciò la propria offerta informativa nei confronti della collettività.

Anche i salesiani, per scopi chiaramente religiosi, all'inizio degli anni Cinquanta, ebbero una stampa propria che può rientrare tra quella etnica. La Congregazione, infatti, tra il 1952 e il 1953 diffuse «un giornaletto, divenuto rivista», il Bollettino salesiano, che aveva una tiratura di 12.000 copie e lo scopo «di mantenere uniti gli emigrati e di conservare nelle famiglie italiane le tradizioni cristiane» 20 . Si trattò di uno sforzo effimero perché ai primi due salesiani che si erano assunti il lavoro di redazione fu-L'informazione nel secondo dopoguerra 173 16 El porque de esta edición uruguaya, in «Correo de los Italianos», 5 marzo 1950. 17 Federica Bertagna, La Stampa italiana in Argentina, Donzelli, Roma 2009, p. 177. 18 Alte personalità parlano del "Correo de los Italianos", in «Corriere degli Italiani», 20 marzo 1950. rono presto affidati altri compiti. Perciò la rivista cessò le pubblicazioni maestra italo-uruguayana Maria Abbate 29 , per scegliere il nome della testata. Non per nulla, infatti, come editoriale del primo numero intitolato «Un giornale italiano», fu utilizzata una lettera di Martino che indirettamente esplicitò la linea del giornale. La lettera era preceduta da poche righe del direttore il quale spiegava che le parole dell'ambasciatore esponevano «un vero e proprio programma, quale era nelle nostre intenzioni e che, tuttavia, non avremmo così compiutamente ed autorevolmente espresso» 30 . Martino salutò la pubblicazione del quindicinale «italiano nella lingua e nello spirito», una «bandiera» per coloro che avevano «vincoli di «sangue e di cultura», un giornale impegnato in una feconda collaborazione con il paese che li ospitava.

La Gazzetta d'Italia, così, dedicò ampi spazi alla celebrazione del 150°a nniversario della nascita di Garibaldi ricordato solennemente in tutto l'Uruguay e seguì con attenzione la conferenza di ambasciatori e ministri italiani accreditati nei 20 paesi dell'America Latina e presieduta dal ministro degli Esteri Giuseppe Pella, conferenza che il governo di Roma organizzò a Montevideo alla fine del 1957 nell'intento di rafforzare le relazioni con i Paesi sudamericani 31 .

Il giornale assicurò, inoltre, un'adeguata copertura anche al II Congresso della Confederazione Associazioni Ex-Combattenti Italiani in America Latina che si svolse nel maggio 1958 a Montevideo, nella Sala Pirandello della Scuola Italiana, congresso che registrava, almeno sul piano formale, il superamento del rapporto dialettico fascismo-antifascismo che aveva caratterizzato per lungo tempo la vita della collettività. Tra gli organizzatori, infatti, figuravano ex repubblichini e partigiani ed erano presenti reduci di tutte le guerre «senza distinzione di fede o di partiti» 32 . fine si trasformerà in Radio Italia. Guiglia amava molto coinvolgere altri connazionali nell'attività radiofonica, tra cui persone che leggevano i racconti da lui stesso scritti. Era una specie di radio-teatro per catturare e far divertire gli ascoltatori. «Proprio per l'impegno e la professionalità dimostrati ogni giorno con la radio che divenne un importante punto di riferimento per la collettività italiana e per gli uruguaiani che capivano l'italiano», ricorda il figlio, Guiglia fu fatto Cavaliere della Repubblica Italiana 35 .

La trasmissione radiofonica di gran lunga più ascoltata dagli italiani in Uruguay fu La Voce d 'Italia, della 35 Testimonianza di Federico Guiglia all'A, con email dell'11 febbraio 2013. Con Guiglia -come dimostra una foto scattata nello studio radiofonico -collaborarono tra gli altri Ivana Mannucci, insegnante d'italiano, Enrico Torrioli, bancario, e l'imprenditore Giorgio Graglia.

Tullo Guiglia, Ivana Mannucci, Enrico Torrioli e Giorgio Graglia, nello studio della trasmissione «Trenta minuti con l 'Italia» un giovane Gianni (Juan) Raso e tra i collaboratori Stefano Casini, il quale fu chiamato alla radio nel 1968 e lavorò al programma di Guiglia per tre anni. Dal 1990, Casini assunse la corrispondenza della Rai dall'America Latina. Guiglia, invece, continuò a guidare La Voce fino al 1973 quando rientrò in Italia e a Merano, pochi anni dopo, diede vita all'emittente Radiotelenord.

Con la sua voce inconfondibile e l'amore per la lingua italiana che coltivava con passione, oltre a fare informazione Guiglia trasmetteva molta musica italiana, opere comprese. «Il suo obiettivo -testimonia il figlio Federico, nato a Montevideo e giornalista in Italia -era di ricreare, in piccolo e in un'ora al giorno, tutti i giorni, un'idea di Italia e di quello che in Italia accadeva». Dalla sua attività alla radio, «considerata sempre e soltanto alla stregua di un servizio per gli altri, oltre che di un modo, forse, per sentire lui stesso ogni giorno la patria vicina», Guiglia «non guadagnò una lira, anzi, un "peso"», assicura il figlio, perché vedeva la radio «come missione, come luogo d'incontro, come "voce", appunto, dell'Italia lontana» 36 .

Per quanto riguarda la parte informativa, naturalmente, quei programmi radiofonici attingevano alle notizie provenienti dall'Italia, specie quelle trasmesse delle agenzie di stampa. Guiglia utilizzava anche le bobine della Rai che arrivavano ogni settimana: «Voleva "far sentire" l'italiano d'Italia agli italiani emigrati, i quali erano destinati per forza di cose a dimenticare o mescolare con lo spagnolo la propria lingua. Oltretutto la Rai ricorreva a conduttori, attori e doppiatori di prim'ordine, che potevano, così, aiutare anche a non perdere la pronuncia della bella lingua» 37 .

Alla Voce d'Italia, si sono affiancate altre trasmissioni di minore peso e durata, tutte tese a rafforzare il sentimento patrio con notizie e musica italiane, gli stessi obiettivi perseguiti in altri settori culturali da diverse istituzioni comunitarie. Negli stessi anni, il 14 aprile 1963, iniziò le trasmissioni la prima radio di una comunità regionale, La Voce dei calabresi, con un programma domenicale di un'ora in onda tutte le domeniche dalle 12 alle 13, per molti anni trasmesso dalle sulle frequenze di Radio Clarin CX 58.

La Rai s'insedia a Montevideo

Nel giornalismo etnico degli anni Sessanta, a ogni modo, quello radio- 36 Testimonianza di Federico Guiglia all'A, con email del 23 novembre 2012. 37 Ibidem.

fonico occupa forse il posto più rilevante sia per le trasmissioni prodotte all'interno della collettività, sia per l'insediamento a Montevideo di una sede per il Sudamerica della Rai, all'epoca tv monopolista di stato in Italia che registrava una fase espansiva. Era il 1964 quando il Consiglio d'Amministrazione della Rai presieduta da Pietro Quaroni, con amministratore delegato Marcello Rodinò di Miglione, dopo quella di New York con il mitico Ruggero Orlando, decise l'apertura di una sede in America Latina, e ne affidò l'incarico a Luigi Casini che guidava la sede Rai regionale di Ancona. Per la nuova sede destinata a soddisfare la sete d'informazione qualificata e continua di centinaia di migliaia di di italiani e italo-discendenti, si scelse Montevideo, sulla base di semplici considerazioni geopolitiche: l'Uruguay è incuneato tra Argentina e Brasile e le trasmissioni sono facilmente ricevibili anche negli altri paesi del subcontinente americano, e in quegli anni era ancora un paese stabile che non faceva intravedere rischi di dittature. Allo scopo ci sarebbe stato un impegno del Presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat nei confronti del Governo uruguayano 38 .

La sede di Rappresentanza di Montevideo cominciò ben presto a operare distribuendo programmi radio e tv a emittenti locali. Questa «lodevole attività informativa» fu avviata con una trasmissione intitolata «Hoy en Italia», in onda da aprile 1966 ogni martedì sera su Radio Carve, e quindi con il «Panorama televisivo italiano» diffuso ogni quindici giorni (il venerdì alle 23) dal Canal 4 Montecarlo, una «rassegna dei più importanti avvenimenti della settimana in Italia dal cinema al teatro, dalle interviste ad attori e cantanti alle attività sportive e sociali di particolare interesse». Tali informazioni radio-televisive, ovviamente, rendevano «un ottimo servizio» sia agli emigrati italiani, desiderosi di essere aggiornati su quello che accadeva in Patria, sia ai cittadini uruguayani interessati ad avere notizie dall 'Italia 39 .

Inaugurata il 16 giugno 1966 dal nuovo amministratore delegato Gianni Granzotto, accolto con grandi onori assieme al vice direttore generale Marcello Bernardi, alla presenza dell'ambasciatore Ruggero Farace, del nunzio apostolico Alfredo Bruviera e rappresentanti del governo uruguayano, la sede di Avenida 18 de Julio 1044, divenne anche un punto di riferimento per l'italianità in Sudamerica. La presenza della Rai a Montevideo, come affermò Granzotto, non aveva scopi commerciali bensì culturali: mediante la distribuzione di programmi italiani intendeva facilitare lo scambio di informazioni e di esperienza 40 . Più di 30 milioni di sudamericani, infatti, ascoltavano i Giornali Radio made in Italy, che col tempo divennero quotidiani, realizzati in italiano, spagnolo e portoghese dalla sede uruguayana e distribuiti a una cinquantina di emittenti radiofoniche locali, assieme ai settimanali «Italia Oggi», «Settimana italiana», «Per voi giovani», «Orizzonte italiano», «Sport Italia», «Tutto cinema» e «Supplementi regionali di Vita Cittadina», inviati in bobina dall 'Italia 41 . In più la sede di Montevideo faceva da supporto tecnico per gli inviati della Rai in America Latina 42 .

Negli anni Settanta, tra giornalisti tecnici, annunciatori, amministrativi e traduttori vi lavoravano più o meno 20 persone.

A Luigi Casini, morto prematuramente per un infarto, subentrò Fabio Della Seta, inviato da Roma, che a Montevideo rimase per diciassette anni dal luglio 1973 al 1989, concludendo la sua lunga attività in Rai 43 .

Seguirono, poi, due direttori di sede contrattati localmente: dal 1990 al 1989 Ildefonso Beceiro, critico e cineasta, e dopo di lui, fino alla chiusura decisa a fine maggio 2011, Juan Raso, docente di diritto del lavoro all'Università della Repubblica e con il tarlo del giornalismo etnico e degli studi sull'emigrazione anche perché da giovane è vissuto a lungo in Italia, che già dalla fine degli anni Settanta era stato chiamato come consulente legale.

Nuova informazione per nuovi emigrati

Un lavoro notevole per rafforzare l'identità italiana negli anni Sessanta fu svolto da due riviste nate all'interno dell'Istituto Italiano di Cultura e della Associazione Dante Alighieri. La prima si chiamò Dialogo e già racchiudeva nel nome il proprio programma tendente a intensificare i rapporti culturali tra Italia e Uruguay. Mensile bilingue di vita e cultura italiana diretto da Salvatore Candido, il quale aveva alle spalle un'analoga esperienza fatta in Argentina 44 , Dialogo fu pubblicato dal giugno 1959 al 1965, quando di fatto si congedò stampando un numero speciale di 360 pagine dedicato alla visita del presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat nella capitale uruguayana 45 . La seconda testata fu Quaderni della Dante, un mensile diretto dal filologo Guido Zannier 46 : stampato nelle Officine Grafiche Mariz, il primo numero apparve nel dicembre 1963.

Con la cessazione della Gazzetta d'Italia, di fatto, la stampa d'emigrazione sparì per lunghi anni dal panorama montevideano e bisognò attendere il 1964 per vederla risorgere su iniziativa di un giovane immigrato calabrese, Gaetano Cario (1941Cario ( -2005, che avrebbe avuto un ruolo di primo piano nell'evoluzione del giornalismo etnico. Il primo ottobre del 1963, infatti, in un clima d'attesa da parte della collettività italiana, in una vecchia tipografia di Calle Ituzaingó 1483 47 fu stampato L'Eco d'Italia, periodico informativo indipendente che si presentò con una tiratura di 10.000 copie, che ben presto, però, fu ridotta a 3000. Cario era arrivato a Montevideo nel 1958, ad appena 16 anni, proveniente da un paesino della Sila e nel 1961 a Montevideo si era diplomato ragioniere. Poco attratto dalla vita di contabile si concentrò su altri due interessi personali, la collettività calabrese e il giornalismo, quest'ultimo -a suo modo di vedere -funzionale allo sviluppo della prima.

Quasi come premessa alla fondazione del suo giornale, il 17 marzo 1963, infatti, assieme a un gruppo di sette corregionali Cario fu tra i fondatori dell'Associazione Calabrese di Montevideo della quale fu il primo segretario generale 48 . Meno di un mese dopo, il 14 aprile come abbiamo già detto, 44 Studioso di Garibaldi e dell'emigrazione al Plata, autore di numerosi saggi, Salvatore Candido, dopo Buenos Aires (1954)(1955)(1956) fu Addetto culturale dell'Ambasciata d'Italia e direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Montevideo (1956Montevideo ( -1965. Collaboratore di diversi giornali di comunità stampati sulle due sponde del Plata, nella capitale argentina aveva diretto il periodico Vita italiana. Per una biografia si veda: Salvatore Candido, Curriculum Vitae et Studiorum, in «Studi Garibaldini» (Marsala), quaderno n. 1, dicembre 2000, p. 7. 45 Dialogo, in «L'Ora d'Italia», 1 dicembre 1965. Al numero celebrativo collaborarono molti intellettuali italo-uruguayani. Tra essi Furio Lilli, Vincenzo Cappelleti, Luigi Bona, Giovanni Zilio. Candido curò il tradizionale notiziario culturale pubblicato dalla rivista. 46 Originario di Udine, antifascista e partigiano della Divisione Osoppo, deluso dalla piega degli eventi nell'Italia del dopoguerra anche all'interno di coloro che avevano preso parte alla Resistenza, Guido Zannier nel 1951 approdò a Montevideo dove fu docente della locale università. È considerato uno dei maggiori italianisti dell'America Latina (su Zannier si veda: Luce Fabbri Cressatti, Guido Zannier, in Graciela Barrios, Alcides Beretta Curi, Mario Dotta, Estudios humanísticos en memoria al dr. Guido Zannier, Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación-Universidad de la República, Montevideo 1998, pp. 11-13. 47 Nel 1967 Cario ebbe una propria tipografia. Quando trasferì a Buenos Aires la famiglia e l'attività editoriale, tale tipografia fu acquistata da Stefano Casini. Il giornale ebbe sede anche in Calle Yaguaron, 1412. 48 Due anni dopo, il 22 maggio 1965, l'associazione aprì la propria sede in calle Agraciada 3103, ufficialmente inaugurata il 12 giugno successivo. si fece sentire La Voce dei calabresi. Passò un anno ancora, e assieme ad Angelo Del Duca e Mario De Luca, avviò la sua prima attività editoriale, L'Eco d 'Italia, in cui coinvolse Virginio Spada, giovane di buona penna, fascista arrivato in quegli anni in Sudamerica, assunto da Cario, che era socialista (fu anche al vertice dell'Istituto «Fernando Santi» per l'Uruguay), con l'incarico di «revisore» dei testi da pubblicare.

Agli esordi, il settimanale non ebbe vita facile anche perché la collettività all'epoca era ancora dilaniata dai forti contrasti politici riacutizzatisi con l'afflusso di nuovi immigrati sia fascisti sia antifascisti.

Nella confezione del giornale Cario fu affiancato in seguito da Ezio Muzio come redattore, e dal 1967, quando avviò la prima tipografia in pro prio, anche da Mario De Luca con l'incarico di vice direttore. Del gruppo redazionale fece parte anche Alba Nespoli, moglie di Spada, una giornalista che, secondo la testimonianza di Stefano Casini, «ha fatto molto per la stampa di comunità» 49 . Anche Renato Palermo che oggi vanta una lunga militanza sindacale e nelle associazioni italiane in Uruguay, dal 1969 al 1975 vi lavorò come cronista 50 . Stefano Casini, invece, dal 1980Casini, invece, dal fino al 1987 Una prima pagina del »quindicinale informa tivo indipendente» L'Eco d 'Italia ruolo di direttore editoriale, ruolo ripreso ancora dal 1997 fino al 2010.

Una cosiddetta redazione italiana inviava al giornale contributi per lo più letterari: essa era affidata a Luciano Rossi, un pubblicista calabrese che viveva in provincia di Cosenza, impegnato fin dagli anni Trenta in giornali dell'emigrazione rivolti ai calabresi in Argentina (La Voce dei Calabresi diretta da Fernando Gualtieri, quindi L'Eco dei calabresi diretto da Pasquale Caligiuri, giornali che ebbero collaboratori, abbonati e lettori anche in Uruguay).

I due soci di Cario col tempo lasciarono l'impresa, ma il giornale, senza rinunziare alla sua linea democratica, andò avanti sforzandosi di diventare l'organo di tutti gli italiani senza distinzione di fede politica. L'Eco d'Italia andò avanti, comunque, pur tra frequenti cambi di formato e brevi interruzioni che testimoniano il percorso accidentato. Seguiva attentamente gli avvenimenti all'interno della collettività rimanendo spesso schiacciato dalle polemiche, e già all'epoca aveva fatto del diritto di voto degli italiani all'estero un proprio cavallo di battaglia 51 , sull'onda della discussione che qualche anno prima era stata riaperta in Italia con la presentazione in Parlamento di una proposta di legge in tal senso che, in Uruguay, avrebbe riguardato 30 mila italiani residenti 52 .

Al settimanale, che spesso diventava «di fatto» quindicinale pubblicando numero doppi, inizialmente collaborò anche Gianni Raso, da poco arrivato dall'Italia dove il padre era stato console uruguayano a Napoli, città in cui il giovane Raso, «un italiano figlio di uruguayani», come si è definito 53 , aveva fatto i suoi studi. Diretto in seguito dallo stesso Gaetano Cario e quindi dal figlio Paolo, L'Eco d'Italia è l'esperienza editoriale più lunga del secondo dopoguerra, sopravvissuta fino al 2010, quando gli sono stati negati i contributi del governo di Roma, prima concessi sulla base della legge per l'editoria italiana all'estero.

Il settimanale è stato il capofila e il modello di diversi settimanali etnici. Anche nella capitale argentina, dove in seguito si trasferì, dal primo gennaio 1970 Cario diede alle stampe un'edizione de L'Eco d'Italia affidata alla direzione del suo corregionale Mario Pascuzzi che la firmò fino al 14 51 Esercizio del diritto di voto da garantirsi ai migranti, in «L'Eco d 'Italia», 1 novembre 1966. 52 Il 18 settembre 1956, il deputato Massimo del Fante, monarchico, aveva presentato alla Canera dei Deputati una proposta di legge sull'«Esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani all'estero». Il problema posto non era nuovo. Di una rappresentanza consultiva si era discusso già al primo Congresso degli Italiani residenti all'estero che si tenne a Roma nell'ottobre del 1908 ma soltanto nel 2001 avrebbe trovato soluzione con l'approvazione della cosiddetta legge Tremaglia (L. 27 dicembre 2001, n. 459, «Norme per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero», Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 4 del 5 gennaio 2002). 53 Juan Raso, Sono stato emigrante all'incontrario cit., pp. 59-68. febbraio 1975 54 , quindi aprì una tipografia e avviò un'attività multimediale -un Gruppo Cario ancora fiorente fino al 2012 che estendeva la sua influenza su una vasta area del Sudamerica 55 -con una propria radio e la pubblicazione di numerosi periodici di comunità destinati anche alle comunità italiane del Brasile e del Cile 56 . Al giornale Il Quotidiano di Cosenza, capoluogo della provincia in cui è nato, nel 1996 Cario dichiarò di avere la consapevolezza del lavoro fatto in «trent'anni di continue batta glie sul piano civile e poli tico a fianco ed in difesa dei diritti degli emigranti: dalla pensione alla cittadi nanza, alla rappresentatività davanti alle autorità». E spiegò anche che «in una collettività all'estero, il periodico è qualcosa di più che un sem plice mezzo di comunica zione, Diventa una vera e propria "casa" nella quale l'emigrante trova un angolo di patria» 57 .

Beneficiando dei contributi che il governo italiano assegna per legge alle testate dell'emigrazione, nel prospetto inviato alle autorità consolari, L'Eco d'Italia nel 2010 dichiarava una tiratura di 5.000 copie dell'edizione montevideana, stampate a Buenos Aires nella tipografia propria. Il 70 per cento di tali copie era distribuito gratuitamente, il resto in abbonamento.

Una proiezione uruguayana ebbe anche il quindicinale L'Eco dei calabresi, diretto da Pasquale Caligiuri, che si stampava a Buenos Aires a partire dal 1967. Il periodico, sulla scia della Voce dei calabresi di Fernando Gualtieri che aveva abbonati in Uruguay fin dagli anni Trenta, ebbe una discreta diffusione tra i propri corregionali, grazie all'iniziativa del proprio corrispondente Carlo Abbruzzini 58 , presidente della Associazione Calabrese di Montevideo e poi della Fratellanza Italiana in Uruguay 59 , e la collaborazione del dottor Adolfo D'Alessandro, molto stimato nella comunità tricolore. 54 Socialista, poi ispettore provinciale del sindacato fascista, in seguito a un conflitto con esponenti del regime mussoliniano Mario Pascuzzi nel 1932 emigrò dalla Calabria in Argentina. Fece il giornalista (fu inizialmente caporedattore alla Voce dei calabresi) e dal 1936 al 1944 collaborò all'Ufficio stampa e propaganda dell'Ambasciata d'Italia. «Giornalista di sinistra», come si definiva, nel dopoguerra cooperò con il patronato Inca Ggil nella costituzione dei «Comitati per la difesa degli italiani all'estero». Nel 1975 rientrò in Italia in seguito a una grave malattia. Notizie biografiche su Pascuzzi, si trovano in Antonio Scura, Da un anno costretto a una trasfusione ogni ventidue giorni, in «Il Giornale di Calabria», 7 agosto 1976. 55 Gaetano Cario ha creato un piccolo impero editoriale, con giornali per l'emigrazione oltre che in Argentina e Uruguay, anche in Brasile dove furono diffusi i settimanali Italia del Popolo a San Paolo e La voce d´Italia a Porto Alegre e il mensile Italia Viva a Rio de Janeiro. 56 Dal «Gruppo Cario» sono stati pubblicati i mensili Campania, Panorama Italiano, Meri diano Giuliano, Abruzzo oggi, Gazzettino Calabrese, Avanti Europa, La Sar degna, Corriere della Sicilia, Gazzettino Lucano. Sempre negli anni Sessanta tentò nuovamente di rafforzarsi in Uruguay anche il Corriere degli Italiani di Buenos Aires, già ridiventato bisettimanale. Il giornale, che usciva il lunedì e il giovedì, all'epoca pubblicava una pagina settimanale su Montevideo, pagina per due anni redatta da Gianni Raso 60 e in seguito da Stefano Casini. Ebbe buone risposte tra gli emigrati, fino a quando, passato al gruppo editoriale che faceva capo al potentissimo finanziere Umberto Ortolani, non si trasformò in uno strumento di pressione per interessi affaristico-politici del proprio editore. Si era convinti così di potere condizionare il voto degli italiani all'estero che sembrava imminente e, gonfiando in maniera iperbolica le cifre di vendita, si potevano ottenere cospicui contributi dal governo italiano 61 .

Come è noto il Corriere degli Italiani, che aveva in qualche modo contribuito al superamento di tanti dissidi interni della comunità italiana lacerata dai tempi del fascismo, in seguito tramite il gruppo Ortolani, protagonista di spericolate operazioni nel settore della stampa d'emigrazione con il supporto del Ministero degli Esteri di Roma 62 , entrò nel pacchetto della Rizzoli. Il gruppo editoriale milanese dal 1975 si era messo nelle mani di Licio Gelli e Ortolani, per superare una grave crisi economica ma venne trascinato in sconsiderate e fallimentari iniziative editoriali in Sudamerica, sborsando fior di quattrini per acquisire tre testate appartenenti a Ortolani in Argentina, Uruguay e Brasile che messe assieme vendevano all'incirca 15.000 copie 63 .

Quando si registrò la bancarotta della casa editrice milanese, per la quale anche Ortolani fu condannato, terminò pure la storia del Corriere degli Italiani. Stessa sorte toccò nel 1979 a un altro organo locale d'informazione per gli immigrati italiani, L'Ora d'Italia di Montevideo, che vantava una presenza ormai decennale quando finì prima nelle mani di Ortolani e quindi della Rizzoli e che nell'ultimo periodo di vita non era altro che un'edizione del Corriere degli Italiani per l'Uruguay quasi interamente redatta a Buenos Aires.

Eppure L'Ora d'Italia per quasi quindici anni era stata ben presente e attiva nel mondo dell'emigrazione italiana in Uruguay. Era apparsa il 1°g iugno 1965, con direzione in calle Rondeau 1444 e servizi informativi forniti da diverse agenzie (Ansa, Italia, Sim, Agit, Aim e Agr). Il periodico nacque da una costola del settimanale L'Eco d'Italia, per iniziativa di Alba Nespoli che ne fu il direttore, e del marito Virginio Spada. I due coniugi avevano abbandonato polemicamente la redazione del giornale di Cario in seguito a divergenze con l'editore. Fu Spada a firmare il primo editoriale del nuovo periodico rivendicando il voto degli italiani all'estero 64 . L'Ora d'Italia, che si qualificò come giornale «informativo indipendente» e poteva contare su una buona rete di collaboratori, per una «questione di coerenza», come scrisse il direttore spiegando il motivo della fondazione, riproponeva la linea editoriale originaria de L'Eco d'Italia: «Il giornalespiegò Alba Nespoli -è della collettività italiana e non di qualcuno e proprio questo concetto che stava per essere confuso ha determinato la nostra decisione» 65 .

Il periodico dei coniugi Nespoli e Spada, dunque, si proponeva di «servire la comunità», come evidentemente -riteneva -non aveva fatto e non faceva più il settimanale di Cario 66 . Già agli esordi, trattandosi di un evento coinvolgente per gli emigrati italiani, prestò grande attenzione alla annunciata visita che il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat poi effettuò a Montevideo, intrattenendosi tra gli italiani dell'Uruguay.

L'Ora d'Italia ebbe una buona tiratura. Assicurava di vendere migliaia di copie a Montevideo e all'interno e di avere 500 abbonati in Italia, Brasile, Argentina e persino in Etiopia. Alla fine dell'anno, soddisfatto dei risultati raggiunti in termini di diffusione e consensi giudicati «oltre ogni ottimi-stica previsione», il giornale avviò una campagna abbonamenti annunciando l'intenzione di trasformarsi in settimanale per espandersi ma anche per potere reggere la sfida della concorrenza e «degli avversari per partito preso» 67 .

Ai suoi lettori, il giornale, ribadì di sentirsi libero e indipendente, di non ricevere sovvenzioni 68 e non difendere alcun interesse costituito, di non pubblicare «veline» e non accettare ordini. Per sostenersi , quindi, non aveva altra via che quella del mercato. Si trattò di una scelta che alla lunga si dimostrò fruttuosa, sebbene la periodicità non fu subito cambiata e il prezzo, con l'anno nuovo, fu portato da due a tre pesos. Oltretutto, L'Ora d'Italia chiedeva il sostegno dei lettori perché aveva intuito che nella stampa italiana dell'emigrazione si stava registrando -la chiusura dopo 72 anni del Fanfulla di San Paolo del Brasile rappresentava una eloquente dimostrazione -«un'azione avvolgente e a spirale intesa a far cadere tutte le testate libere e indipendenti dell'America latina per far posto a un solo giornale guidato, amministrato e finanziato da un determinato gruppo di pressione italiano». Secondo L'Ora, si trattava di una «manovra volta ad ammorbidire ed a sterilizzare l'opinione degli italiani residenti in questo continente», un'azione sotterranea di cui informare le autorità italiane». Il giornale di Nespoli, insomma, aveva avvertito per tempo i pericoli di una concentrazione di stampa per fini poco nobili come da lì a poco avrebbe realizzato Umberto Ortolani, e scrisse pertanto di volersi trasformarsi in settimanale «prima che sia troppo tardi» anche per «fermare a tempo questa "sete di potere"» 69 .

Il giornale italiano di Montevideo, forse con un pizzico di esagerazione dei risultati (abbonamenti triplicati, diffusione raddoppiata in Argentina Brasile e Italia), a ogni modo poté festeggiare il primo anno di vita con un eccellente bilancio nonostante i «propositi liberticidi» che da più fronti lo insidiavano. «Il giornale -scrisse il direttore -prosegue informando senza compiacenze […] al servizio di tutti, portavoce dei giusti aneliti e delle giuste aspettative, sempre con lealtà senza soggiacere ai compromessi, alle adulazioni, alle corruzioni e senza lasciarsi irretire da incomprensioni e cattiverie a vario calibro» 70 . 67 La campagna 1966 de L'Ora d'Italia per un settimanale italiano a Montevideo. 1 + 1, in «L'Ora d 'Italia», 1 novembre 1965. 68 Per il "Fondo di Solidarietà", in «L'Ora d'Italia», 1 marzo 1966. Il Ministero degli Esteri italiano destinò 10.000 pesos per circa 150 abbonamenti e il giornale, pur sostenendo di non meritare l'elargizione accettò tuttavia la somma destinandola al Fondo di solidarietà della Scuola italiana di Montevideo per la creazione di borse di studio a favore di figli di connazionali in difficoltà. 69 Muore "Il Fanfulla", in «L'Ora d 'Italia», 15 ottobre 1965. 70 Il direttore, 24 numeri, in «L'Ora d 'Italia», 15 maggio 1966. Il destino, però, era quello di finire proprio nelle mani di quel gruppo di potere di cui aveva denunciato il pericolo incombente. Si era accanitamente difeso da una sorta di concorrenza sleale da parte del Corriere degli Italiani che, solido e ben strutturato, arrivava da Buenos Aires e si contendeva i lettori italiani con una politica editoriale aggressiva (abbonamenti sottocosto, lussuosa sede di rappresentanza a Montevideo che metteva in evidenza la profusione di mezzi, la preferenza per il «diletto» Uruguay. L'Ora reagì con decisione, spiegando che non si sarebbe fatta intimorire dalla potenza economica del settimanale di Buenos Aires che avrebbe dovuto, invece che all'Uruguay, dedicare attenzioni alle collettività del Cile, del Paraguay e della Bolivia dove «non si ha il bene di leggere giornali italiani» 71 . Dovette, tuttavia, cedere le armi e all'inizio degli anni Settanta fu acquisito dal gruppo editoriale capitanato da Umberto Ortolani e poi ceduto al Gruppo Abril nel 1974-75. Forse senza consapevolezza del ruolo indiretto che avrebbe avuto nella propria vicenda editoriale, in tempi non sospetti Nespoli aveva dedicato anche un articolo al Sovrano Militare Ordine di Malta di cui Ortolani era rappresentante in Uruguay 72 .

Dopo la cessione L'Ora d'Italia fu diretta Piero Maria Ortolani, figlio del finanziere piduista, il quale figurava anche come vice direttore del Corriere degli Italiani di Buenos Aires. Dal 1974 e fino alla chiusura, direttore editoriale fu Stefano Casini, assunto nel 1972 come redattore da Umberto Ortolani, che in veste di editore partecipò a due Congressi della Fmsie (Federazione Mondiale Stampa Italiana all'Estero) 73 .

Diventato settimanale, L'Ora d'Italia rappresentò per quasi quindici anni un punto di riferimento per le élites facoltose dell'immigrazione arrivate nel dopoguerra, quelle per intenderci che in Italia avevano sostenuto il fascismo, senza mai distaccarsene ideologicamente neppure dopo la sua caduta. Sul neofascismo degli italiani in Uruguay, in verità il giornale manifestò attenzioni compiaciute, segnalando per esempio messe di suffragio per Mussolini nella Chiesa dei Francescani conventuali e altre attività organizzate dalla sezione del Movimento Sociale Italiano (MSI) che fu molto attiva a Montevideo.

Anche L'Ora d'Italia fu travolta dalle trame piduiste e dai problemi giudiziari di Umberto Ortolani in Italia. L'editore, proprietario del Banco Financiero Sud Americano (Bafisud), infatti, vantava forti aderenze politiche e bancarie in Argentina e Uruguay ed era considerato «la testa internazio-nale» della Loggia P2 di Licio Gelli di cui fu l'eminenza grigia in contatto anche con «personaggi chiave» dell'intelligence americana 74 , e negli anni seguenti fu anche amico dei generali golpisti argentini.

Ancor prima di essere stritolata dal fallimento dell'operazione Rizzoli in Sud America, L'Ora d'Italia, almeno fino al dicembre 1978 (ultimi numeri consultabili alla Biblioteca Nacional di Montevideo) ufficialmente diretta ancora da Gian Giacomo Foà -già allontanato dall'Argentina per le sue corrispondenze al Corriere della Sera di Milano che non piacevano al regime militare al potere -aveva perso copie e ruolo e di fatto, pur avendo una redazione fantasma nella calle Buxareo di Montevideo, fu per lungo tempo confezionata a Buenos Aires, nella stessa «ampia e luminosa» redazione del Corriere degli Italiani situata nel cuore di Buenos Aires, in Corrientes e Florida (editore del settimanale uruguayano risultava Bernardo Vidal Buzzi, uomo di fiducia della Rizzoli che si occupava della gestione economica, casa editrice la Editalia SACI), con l'utilizzo di pagine e servizi del giornale argentino e l'aggiunta di una pagina (in spagnolo) con notizie sull'Uruguay, come testimonia Oscar Piovesan 75 . La sua storia, insomma corre affiancata a quella del Corriere degli Italiani e spesso si confonde con essa, accomunata in un unico destino che, silurato Foà in quanto non gradito al governo argentino perché sul Corriere della Sera, già in mano piduista, aveva rivelato le violenze della dittatura, vide i tentativi di Benedetto Mosca, che a metà 1979 lo trasformò in settimanale illustrato, e di Oscar Piovesan che lo guidò per l'ultimo anno, di rilanciare la testata e tenere in piedi il piccolo impero giornalistico di Rizzoli che accumulava perdite per miliardi di lire.

Ortolani, che fece la propria apparizione in Sudamerica nel 1962 e comprò ben presto il Corriere degli Italiani 76 , gestì anche altri giornali destinati agli emigrati in Uruguay e Brasile, utili per ottenere finanziamenti destinati alla stampa italiana all' estero dalla Farnesina, nella veste di editore divenne presidente della Federazione mondiale della stampa italiana al-l'estero (Fmsie), nata nel 1956 e subito finita in mani poco imparziali 77 . Lo scopo era quello di fare pressioni e ottenere dalla Farnesina finanziamenti destinati alla stampa italiana all'estero. Ortolani era stato dapprima il vice di Giuseppe Caron, parlamentare trevigiano della destra Dc, sotto la cui guida la federazione firmò un accordo con l'Agenzia Giornalistica Italia che si impegnò a fornire un notiziario ai giornali associati, materiali fotografici e «Lettere al direttore» nelle quali si faceva il punto sulla situazione italiana 78 : era questo un modo, ben sperimentato già con l'Agenzia Stefani durante il fascismo, per manipolare l'informazione alla fonte.

Per i periodici dell'emigrazione ricevere notizie dalla madrepatria già pronte per essere pubblicate rappresentava, infatti, una vera manna. Fondatore, con denari dell'European Reconstruction Program americano, dell'Agenzia Italia che avrebbe rifornito di notizie i giornali italiani all'estero, però, era lo stesso Ortolani il quale poteva così pilotarle a proprio piacimento anche per fini poco nobili come le vicende successive avrebbero evidenziato. «Dietro la formula che voleva i giornali "bandiera di italianità" in terra straniera da difendere -ha scritto in maniera molto convincente Federica Bertagna -si celava un tentativo di limitarne l'indipendenza tenendo le testate a distanza di sicurezza da un qualsivoglia coinvolgimento negli affari interni dei paesi ospiti, e utilizzandole per influenzare gli orientamenti degli emigrati, in attesa che la concessione del voto agli italiani all'estero, rendesse politicamente utilizzabili in chiave anticomunista anche quelli residenti Oltreoceano (nei paesi europei, dato anche l'elevato turnover dei lavoratori, i rientri per votare erano frequenti)» 79 .