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come si costruisce uno spazio mercantile

COME SI COSTRUISCE UNO SPAZIO MERCANTILE: IL TIRRENO NEL SETTECENTO* Annastella Carrino, Biagio Salvemini 1. Nuove rotte per nuovi «padroni». L’11 giugno 1770 il padrone Benedetto Pagliano, «genovese», si presenta all’ufficio della Santé di Marsiglia. Dichiara di essere giunto in rada al comando del pinco «La Vergine del Rosario», con 30 uomini di equipaggio e 2.200 milleroles di olio caricato a Gioia, spiaggia della Calabria meridionale tirrenica, e di aver effettuato vari scali, l’ultimo dei quali nella sua «patria»: Laigueglia, minuscolo borgo della Riviera ligure di Ponente. Con la stessa nave egli risale il Tirreno qualche mese dopo, giungendo a Marsiglia il 17 settembre con 2.200 milleroles di olio caricato questa volta a Taranto e facendo ancora scalo a Laigueglia; e si ripresenta alla Santé il 31 dicembre, con 2.300 milleroles di olio imbarcati a Scilla, altro borgo della Calabria meridionale tirrenica. L’olio caricato sul pinco di Pagliano viaggia «pour son compte», a differenza di quello del padron Giovanni Preve, originario lui pure di Laigueglia, che naviga per conto di Giovanni Domenico Preve: il pinco di Preve giunge a Marsiglia da Pietrenere, spiaggia calabra alcuni chilometri a nord di Gioia, il 10 luglio ed il 16 settembre dello stesso anno, e poi il 29 marzo 1771 da Milazzo, in tutti i tre casi con 1.800 milleroles di olio. Un altro padrone laiguegliese, Carlo Antonio Maglione, parte sistematicamente da Taranto e giunge a Marsiglia, il 20 maggio del 1770 con 2.000 milleroles di olio, il 3 ottobre con 2.100 milleroles, il 6 marzo dell’anno seguente con 2.000 milleroles, sempre «pour son compte». Dieci anni dopo ritroviamo i tre laiguegliesi ed i loro pinchi, di grande capienza ma di difficile manovrabilità, ed anche per questo affollati di marinai, ancora impegnati a trasportare olio secondo gli stessi ritmi (tre viaggi l’anno), lungo gli stessi itinerari, con gli stessi scali, fra i quali non manca quasi mai la «patria». Benedetto Pagliano ha mancato il viaggio collocato fra la tarda primavera e l’estate, sostituito probabilmente da Diego Pagliano, che giunge a Marsiglia il 30 giugno 1780 da Bagnara con 2.300 milleroles, ma si ripresenta all’appuntamento degli altri due arrivi: il 14 settembre con 2.100 milleroles caricati a Pietrenere (e 38 marinai), e il 17 marzo dell’anno seguente con 2.300 milleroles imbarcati a Taranto e * La stesura dei paragrafi 1-2 è da attribuirsi ad Annastella Carrino; quella dei paragrafi 3-4 a Biagio Salvemini. 48 Annastella Carrino, Biagio Salvemini ben 39 marinai. Giovanni Preve, che ormai opera lui pure «pour son compte», arriva l’11 maggio 1780 da Pietrenere con 2.000 milleroles, il 26 agosto da Soverato, sulla costa calabra ionica, ancora con 2.000 milleroles, il 4 aprile 1781 da Scilla con 2.400 milleroles. Carlo Antonio Maglione si presenta alla Santé il 22 aprile 1780 dichiarando di essere partito da Pietrenere con 2.000 milleroles, l’11 agosto dello stesso anno, ancora con 2.000 milleroles da Pietrenere, ed il primo gennaio del 1781 con 2.300 milleroles imbarcati sulla spiaggia di un altro borgo della Calabria tirrenica, Bagnara, sempre «pour son compte». Nello stesso arco di tempo, fra la primavera del 1780 e la primavera successiva, la Santé marsigliese registra dichiarazioni del tutto analoghe di altri tre Maglione laiguegliesi: Francesco, Giovanni Antonio e Domenico Antonio1. Torneremo piú avanti su questa ricorrenza di personaggi, luoghi, merci e itinerari. Notiamo per ora come allungando l’elenco proposto se ne possa ricavare un insieme di tracciati in larga parte sovrapposti, un grafo ben ordinato. Esso intersecherebbe, ovviamente, altre rotte: l’intrico di quelle prodotte dagli scambi marittimi di prossimità da un lato; dall’altro quelle lunghe, ad esempio la rotta che collega Gallipoli, il piú importante porto oleario del Mediterraneo, all’Europa settentrionale attraversando lo stretto di Gibilterra, o le altre che convergono a raggiera su Livorno, e sono controllate dalla possente macchina mercantile e marinara inglese. L’esistenza e la robustezza di queste trame non rendono comunque illeggibile la geografia degli itinerari che non attraversano ma connettono un insieme preciso di mari e le terre che su di essi si affacciano, e che, come vedremo, sono controllati da mercanti e marinai insediati in quelle stesse terre, con inserimenti del tutto marginali di capitali, navi ed imprenditori di provenienze «esterne». Sulla base di quei tracciati si può dunque proporre l’immagine operativa di uno spazio mercantile definibile, per brevità, tirrenico, esteso fino ad inglobare, verso sud-est, i mari e le coste dell’Italia meridionale, e, verso nord-ovest, l’arco ligure e la facciata mediterranea francese. Gli elementi ordinatori di uno spazio cosí definito sono, da un lato, un grande porto di smistamento e trasformazione manifatturiera di materie prime, Marsiglia; dall’altro un’area importante di produzione primaria, i Regni di Napoli e Sicilia. Un caso dunque classico di «vocazioni naturali», di «tirannia degli spazi», di vincoli micro o macro-ecologici che, intrecciandosi alle egemonie economiche ed alle politiche di potenza, definiscono gli orizzonti di possibilità dell’agire mercantile, assegnano ruoli a soggetti ed aree e disegnano geografie Per la documentazione di base e per i calcoli sull’ammontare dei traffici fra il Regno di Napoli e Sicilia e Marsiglia, cfr. i registri delle Dépositions faites par les capitaines de bâtiments à leur arrivée al Bureau de Santé maritime di Marsiglia, in Archives Départementals des Bouches-du-Rhône (d’ora in poi ADBR), 200 E 475-604 (1713-1852). Abbiamo anche utilizzato i Manifestes des marchandises d’entrée dans le port de Marseille a stampa, in Archives de la Chambre de Commerce et Industrie de Marseille (d’ora in poi ACCIM) relativi agli anni 1770-72, 1776-78, 1782-88. 1 49 Il Tirreno nel Settecento di lungo periodo? Basta allungare la cronologia da mettere sotto osservazione per ricavarne un’immagine del tutto diversa. Questo andirivieni di navi olearie liguri sull’asse sud-nord nel Tirreno del secondo Settecento appare iscritto in una fase precisa, ancorato a circostanze ben decifrabili, ed è destinato a venir meno in tempi relativamente rapidi. Esso si presenta come un episodio di costruzione di geografie dello scambio dotate di storicità, un caso di generazione di spazi mercantili: uno dei tanti nel contesto di un Mediterraneo che, come si è soliti ripetere, non è un macrospazio rigidamente definito, ma non è neanche un insieme frammentato di luoghi, economie e scambi; un Mediterraneo che vive producendo e riproducendo spazi di diversa dimensione e qualità, spesso effimeri, che irrompono fra le famose «permanenze» ambientali ed i connessi «caratteri dei popoli» e determinano trasformazioni profonde, una continua riconfigurazione di equilibri dotati di livelli di stabilità e riconoscibilità volta a volta diversi. Confrontiamo la fase nella quale i flussi tirrenici sud-nord si presentano particolarmente intensi con quella precedente e seguente. Fra il 1765 ed il 1792 gli scambi fra il Mezzogiorno e Marsiglia sono piú che quintuplicati in termini di navi arrivate su base annua e quasi decuplicati in termini di tonnellaggio rispetto al periodo 1710-1750, per poi tornare a livelli bassi nei decenni tormentati a cavallo fra Sette e Ottocento. Sia nel periodo precedente che in quello seguente il secondo Settecento, la possibilità di individuare un ambito tirrenico proiettando sullo spazio itinerari e pratiche mercantili appare assai problematica: i grafi che se ne potrebbero ricavare non solo sono meno incisivi per la debolezza relativa dei flussi, ma si aggrovigliano fino a diventare illeggibili a causa della molteplicità delle forme, dimensioni e direzioni che essi assumono. Nel primo Settecento le coste pullulano di piccole imbarcazioni, a volte usate in maniera promiscua per la pesca ed il trasporto o condotte da marinai poliattivi anche nell’agricoltura o nel piccolo artigianato, che compensano deficit e sovrappiú fra luoghi anche vicini insinuandosi nelle pieghe minute dell’habitat costiero, risalendo i fiumi e integrando gli scambi per via di terra che gli ostacoli naturali o l’insufficienza della rete stradale rendono difficoltosi. In forme piú ricorrenti e lungo itinerari piú lunghi, flotte di bâteaux trasportano verso le città merci di largo consumo e basso valore unitario rispetto al peso ed all’ingombro, delle quali l’economia urbana fa ampio e quotidiano consumo: materiali da costruzione compresi i marmi di Carrara, legna da ardere, manifatture di creta, sale, coquillage, vino, frutta ed ortaggi, granaglie non inquadrate dentro i sistemi annonari. Infine la presenza di grandi porti spesso dotati di franchigie di vario livello – oltre a Marsiglia, Genova, Napoli, Messina e soprattutto Livorno – genera flussi lunghi, di importazione e redistribuzione, che percorrono da parte a parte lo spazio tirrenico ma debordano dai suoi limiti, non vi traggono origine o non vi trovano sbocco; e, come i flussi brevi, non lo distinguono, non lo individuano. Ai flussi lunghi e brevi si intrecciano quelli intermedi che, a partire dagli anni Venti, ricominciano a riversare a Marsiglia derrate 50 Annastella Carrino, Biagio Salvemini meridionali negli interstizi lasciati scoperti dalle merci delle échelles del Levante ottomano, collocate sotto il controllo mercantile ed istituzionale della Chambre de Commerce della città. Li animano piccole imbarcazioni che compiono spesso itinerari lunghi e complicati, intrecciando il viaggiare en droiture con le occasioni di lucro offerte dal piccolo cabotaggio. Di conseguenza esse trasportano, accanto a quelle della destinazione finale, una congerie di merci che occupano le stive per tempi e tragitti vari. Si tratta di prodotti di ogni tipo, ivi compresi alcuni manufatti napoletani, anche se fra di essi cominciano a distinguersi le derrate e materie prime sulle quali poggeranno le regolarità spaziali del secondo Settecento: seta in primo luogo, destinata in larga parte alle fabbriche di Lione; cereali per rifornire mulini e forni dell’entroterra di Marsiglia, il quale a sua volta cede alla città il proprio grano considerato di qualità piú elevata di quello d’oltremare; olio e ceneri che concorrono a soddisfare la domanda dei saponifici istallati a ridosso dell’arsenale del grande porto francese. Per il percorso inverso da Marsiglia al Sud italiano queste navi tornano a volte en lest, piú spesso con larghi spazi inutilizzati nelle stive; ma i prodotti trasportati sono in grado di far pendere a favore della Francia la bilancia commerciale con i Regni di Napoli e Sicilia. Vi si possono trovare colli, pacchi, casse contenenti una miriade di oggetti di valore unitario elevato – bigiotteria, cristalleria, porcellane, libri, fiori artificiali, orologi – che integrano i carichi presenti in maniera piú sistematica: prodotti delle îles à sucre, seterie di Lione, drappi di lana di Linguadoca. Il viaggio di ritorno non può non far capo alle places marchandes capaci di svolgere una funzione di redistribuzione tramite la rete del cabotaggio o quella delle fiere e dei mercati: Palermo, Messina e soprattutto Napoli, «fiera permanente» del regno intero. Ma i grandi porti giocano un ruolo di primo piano anche come luoghi di partenza delle navi che caricano derrate. Essi estendono i propri spazi gravitazionali verso zone di approvvigionamento lontane, raccogliendo sui moli e nei magazzini merce destinata non solo al consumo interno ma anche ad essere imbarcata per destinazioni lontane. D’altro canto il carattere sporadico di questi scambi non semplifica le funzioni di intermediazione necessarie a sostenerli; in qualche misura, anzi, le complica, dal momento che esige la capacità di mobilitare, secondo i ritmi di una domanda saltuaria ed imprevedibile, reti informative, capitali, istituzioni creditizie, magazzini, imbarcazioni: insomma risorse tipicamente urbane o che, quando provengono o sono controllate da lontano, trovano nei grandi porti un ambiente ben piú accogliente di quello delle zone rurali in cui le derrate fondamentali vengono prodotte. Incapaci di dare consistenza e visibilità allo spazio tirrenico dei primi decenni del Settecento, i flussi intermedi crescono fino a vertebrare vigorosamente l’intero sistema degli scambi man mano che, attraverso l’agire molecolare, il provare e riprovare di una miriade di attori, si rafforza la complementarietà fra il bisogno crescente di derrate e materie prime di Marsiglia e del suo entroterra immediato e lontano, da un lato, e, dall’altro, un paesaggio rustico meridionale 51 Il Tirreno nel Settecento che, lungi dall’essere prigioniero delle sue «permanenze», presenta un tasso elevato di elasticità rispetto alla domanda. Dei tre comparti fondamentali della domanda mercantile marsigliese, l’alimentazione, la tessitura ed il saponificio, il piú dinamico è quest’ultimo, ed alle fabbriche di sapone di Marsiglia settori importanti dell’economia meridionale si mettono in condizioni di offrire, sistematicamente ed in quantità crescenti, un cluster di merci ben definito: olio «fetido», soda, doghe e cerchi di botti per il trasporto e l’immagazzinamento. La capacità di questi flussi di definire una dimensione spaziale delle pratiche mercantili è affidata, oltre che all’intensità, alla loro standardizzazione. Nel secondo Settecento il trend dei traffici si impenna, ma attorno ad esso la curva su base annua si muove zigzagando. La variabilità di questi commerci rimane fortissima: proporzionale al grado di «politicità» delle merci (il grano in primo luogo), correlata agli accidenti dei raccolti e dei conflitti bellici, ed alimentata dalla concorrenza di altri potenziali fornitori delle merci «mediterranee». Ma tutto questo ha poco a che fare con l’aleatorietà e la casualità degli scambi di primo Settecento. L’orizzonte di prevedibilità non può coincidere con le singole stagioni dei raccolti, ma, con apparente paradosso, si fa piú chiaro man mano che si estende nel futuro. Le innumerevoli variabili in gioco sembrano ricomporsi, agli occhi degli attori, in una nozione di «normalità» che è destinata a prevalere e che sostiene la propensione all’investimento. Non è detto che capitali, navi e marinai trovino impiego profittevole nell’anno in corso o in quello a venire; viceversa il loro utilizzo a medio termine diventa oggetto di un calcolo che suggerisce la convenienza a tenere le risorse disponibili per reiterare gesti e percorsi rivelatisi a medio termine lucrosi, piuttosto che convertirle affannosamente, a costi non irrilevanti, verso investimenti alternativi poco sperimentati, all’inseguimento di redditi da estrarre momento per momento. Si configura una sorta di path dependency al tempo stesso spaziale e imprenditoriale, un insieme di ambiti di azione in cui gli attori tendono a rinchiudersi dopo averli costruiti. Cosí, non appena le condizioni si presentano «normali», la struttura dello scambio, per qualche annata apparentemente «dormiente», si riassesta e ripropone i suoi gesti, sempre piú semplici e ripetitivi. Il materiale nautico si standardizza, le imbarcazioni aumentano di dimensione e si specializzano per itinerari e prodotti; i viaggi en droiture per Marsiglia diventano di gran lunga prevalenti; il ventaglio delle merci che risalgono il Tirreno si restringe, cosicché le tre derrate che piú ingombrano le stive delle navi, olio, soda e grano, giungono a rappresentare i due terzi del totale in termini di quantità, e, insieme alla seta, l’80% all’incirca in termini di valore. 2. Una spazialità segmentaria. Il processo di generazione di questo spazio non lascia indisturbate le altre dimensioni della spazialità mercantile, alla scala maggiore come a quella minore. La crescita del ruolo dell’olio meridionale contribuisce ad indebolire i flussi lunghi che attraversano il Tirreno per giungere a Marsiglia: l’olio levantino, che soddisfaceva quasi la metà della 52 Annastella Carrino, Biagio Salvemini domanda marsigliese negli anni Trenta, precipita a poco piú di un decimo delle importazioni totali di questa derrata negli anni Ottanta. Al livello degli spazi di dettaglio, emerge una gerarchia precisa delle aree meridionali produttrici di derrate commercializzate e mutano vistosamente logiche e dimensioni dei sistemi di gravitazione e commercializzazione. Coste in precedenza del tutto assenti, come la Sicilia e la Calabria ioniche, attivano traffici verso Marsiglia, e altre in posizione defilata emergono in primo piano: la Sicilia meridionale come esportatrice di grano e soda, la Calabria tirrenica per la seta e, in particolare, per l’olio. Contestualmente si definisce una diversa geografia portuale. Nel mentre le places marchandes meridionali mantengono un ruolo monopolistico nel convogliare e redistribuire i prodotti importati, esse perdono vistosamente posizioni dal lato delle esportazioni: Napoli, che nella prima metà del secolo inviava a Marsiglia un quarto delle navi partite dal Mezzogiorno continentale ed insulare, nel secondo Settecento ne invia un decimo, ed i primi cinque porti scendono dal 60 al 30% delle partenze. Le navi provenienti da Marsiglia continuano a far vela en droiture verso i grandi porti urbani che concentrano il consumo diretto e l’organizzazione della distribuzione dei prodotti di qualità, ma vi trovano sempre meno i prodotti da imbarcare, e, soprattutto, non trovano piú sistematicamente, nelle loges e nelle borse formali ed informali, i terminali della intermediazione e della contrattazione delle derrate del regno. Ormai devono cercare gli uni e gli altri lungo le coste, a ridosso delle zone di produzione. Cosí, rintracciando il capo meridionale degli itinerari tirrenici, si individua una miriade di luoghi di imbarco, 164 nel secondo Settecento. Spesso privi di moli, magazzini, cantieri, mercanti, a volte senza rapporto alcuno con episodi significativi dell’insediamento, essi possono essere pesantemente istituzionalizzati, come nel caso dei caricatoi inseriti nella grande macchina di controllo sul mercato cerealicolo del Mastro Portolano siciliano2; o, viceversa, possono essere privi di ogni qualità giuridico-istituzionale connessa con il trasporto per mare, come per buona parte delle spiagge calabre. In ogni caso il rapporto fra fenomeni urbani e fenomeni mercantili si smarrisce. Le funzioni portuali si spargono lungo la costa; «porti di campagna» dotati di toponimi vaghi, spesso non riportati dalle carte anche perché di incerta localizzazione, possono dare origini a flussi consistenti3. Gli spazi di produzione e raccolta dei prodotti per il mercato a lunga distanza, ampi e deformi quando facevano capo alle grandi places marchandes, si frantumano in sistemi di gravitazione elementare, che tendono a disegnare, tramite gli itinerari brevi che portano le merci dai luoghi 2 Cfr., per tutti, A. Blando, Istituzioni e mercato nella Sicilia del grano, Palermo, Tipografia Puntografica, 2003. 3 A. Carrino, B. Salvemini, Porti di campagna, porti di città. Traffici e insediamenti del Regno di Napoli visti da Marsiglia (1710-1846), in «Quaderni storici», 2006, n. 121, pp. 209-254. 53 Il Tirreno nel Settecento di produzione all’imbarco, piccoli triangoli con la base collocata nell’entroterra ed il vertice sul mare. Le coste tirreniche del secondo Settecento non ospitano solo luoghi di mercato direttamente connessi ai traffici delle nuove complementarietà economiche. I nuovi spazi non cancellano, come in un palinsesto, quelli confusi ed omnidirezionali che abbiamo incontrato nella prima metà del secolo; anzi, in una qualche misura, li rafforzano e ne inventano di nuovi, inserendo nei circuiti dell’economia risorse aggiuntive in capitali, attrezzature, saperi. I piccoli traffici che legano al continente la Sardegna sono vivaci4; i borghi della facciata mediterranea francese, come Saint Tropez, Martigues o La Ciotat, offrono massicciamente competenze e mezzi di trasporto per mare ai negozianti marsigliesi impegnati nei nuovi traffici tirrenici, ma espandono al tempo stesso la grande caravane che va «de Turquie en Turquie»5 descritta da Gilbert Buti nella sua straordinaria dimensione e complessità6; la via d’acqua che segue da vicino l’arco costiero fra le propaggini piú settentrionali del Regno di Napoli e la Spagna mediterranea comprendendo la Corsica, e mette in comunicazione spiagge e piazze mercantili, brulica di piccole imbarcazioni di ogni tipo, che trovano in particolare nel porto di Livorno grandi quantità di merci appena sbarcate e pronte a viaggiare per destinazioni vicine e lontane: ad esempio, fra le 4.000 imbarcazioni «sottili» che annualmente frequentano la piazza mercantile granducale7, quella di un altro Maglione di Laigueglia, Simone detto «il Catalano», che nel novembre del 1779 un corsaro cattura nelle acque di Cavalaire con un carico di grano, canapa e lino mentre si dirige da Livorno in Spagna8. E dovunque è possibile imbattersi in un padron Filippo di Rosi, originario di Pizzo, altro borgo sulla costa calabra tirrenica, che parte da Gioia per Napoli nel maggio del 1775 con «due sportoni di lardo e sopressate per suo conto, un carico di prodotti vari per conto di tre personaggi di Gioia (una confezione di cacio, salumi e lardo, 9 quartaroli di vino, 14 fiaschi di vino greco, 12 fiaschi di olio), ed infine un fusto piccolo e 14 quartaroli di olio destinato, in partite uguali di 99 rotola ciascuna», a 25 diversi acquirenti napoletani, 6 dei C. Denis-Delacour, Marseille et la mer Tyrrhénienne: Etudes des rapports économiques avec la Corse, la Sardaigne et la Sicile dans la deuxième moitié du XVIIIe siècle, master I Mifi, 2006-2007, Université de Provence. 5 Archives Nationales, Paris (d’ora in poi AN), Affaires Etrangères (d’ora in poi AE), B III 150, Inspection du Commerce de Marseille, 1739, t. 26, c. 19v, delibera della Chambre de Commerce di Marsiglia del 15 gennaio 1739. 6 Si veda, in particolare, G. Buti, Les Chemins de la mer. Un petit port méditerranéen. Saint Tropez (XVIIe-XVIIIe siècles), Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2010. 7 J.-P. Filippini, Il porto di Livorno e la Toscana (1676-1814), Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1998, vol. II, pp. 150-151. 8 Archivio di Stato di Genova (d’ora in poi ASG), Archivio Segreto (d’ora in poi AS), Lettere di Consoli. Francia, f. 2622, Lettere di N. Pagano, 20.11.1779. 4 54 Annastella Carrino, Biagio Salvemini quali sono istituzioni religiose regolari9; o in una feluca di Gallico, sulla punta meridionale della Calabria, che, noleggiata da marinai-mercanti di Scilla, piú a nord, e con l’intermediazione del noto abate massone Antonio Jerocades di Parghelía, altro borgo nei pressi di Tropea, ha imbarcato uva passa a Briatico, quarto borgo calabro implicato nell’affare, per trasportarla a Messina e Venezia10. E, ovviamente, si incrociano le mille forme di frodi che i contemporanei consideravano «consustanziali»11 alle piccole navi, ai piccoli porti, ai piccoli mercanti: ad esempio quella del padron Benigno di Cesare, che nel febbraio 1792 deve consegnare ad una casa mercantile di Messina un carico imbarcato ancora a Livorno, costituito da 20 barili di «polvere da botta», 60 botti di catrame, un «colletto» di 15 pezze di organzino, 31 cantara di «stockfis spaccati», un collo di 12 pezze di velluti rigati lisci, un altro di 10 pezze di «cammellotti», 6 pezze di «perpetuelle» ed una pezza di «marsiliana»: merci che non giungono a destinazione, dato che il nostro padrone, dichiarando che la sua polacca si è «rotta in acqua», approda a Vietri, «sua patria», e vende lí il carico a lui affidato «protetto dai suoi numerosi parenti» e da «altri complici ed intelligenti, e financo l’ufficiali doganali», tutti organizzati «in complotto»12. Dunque una molteplicità di traffici «irregolari» che assedia da ogni lato i nuovi traffici strutturati? La sensazione che trasmettono i documenti è un’altra. In questi ambiti «minori» come in quelli situati sulle direttrici che vertebrano lo spazio tirrenico, il disordine, la promiscuità, la concorrenza sregolata, la fungibilità universale di mezzi nautici, saperi e attori indipendentemente dalle loro caratteristiche e provenienze, sembrano cedere il passo ad una sorta di strutturazione, ad un ordine spaziale che nessuno ha programmato e decretato ma che diventa man mano riconoscibile da parte degli attori e concorre a definire il loro orizzonte delle opportunità. L’esistenza indubbia di una rete di contatti, sconti cambiari, reciproche commissioni che coinvolgono la «folla mercantile» di piccoli e grandi mercanti presente nelle loges dei grandi porti13, si accompagna a una segmentazione per circuiti e luoghi che tiene relativamente Archivio di Stato di Napoli (d’ora in poi ASN), Dipendenze della Sommaria, I serie, Dogane e portolani, fascio 349, fascicolo «Volume di bilanci della Regia Dog.a di Rosarno», Bilancio del prodotto della Dogana di Rosarno e Gioia […] maggio 1775. 10 G. Cingari, Scilla nel Settecento. «Feluche» e «venturieri» nel Mediterraneo, Reggio Calabria, Casa del libro, 1979, p. 46 e passim. 11 Cfr. la citazione di Ferdinando Galiani in M. Gangemi, Esportazioni calabresi nel XVIII secolo. Le tratte di «seccamenti, salumi, tavole, legnami, ed altro», Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1991, p. 83. 12 ASN, Supremo Magistrato di Commercio (d’ora in poi SMC), Pandetta Vassallo (d’ora in poi PV), fascio 120, fascicolo 15. 13 A. Carrino, Una «folla» mercantile fra pratiche e identità: nella Marsiglia settecentesca risalendo il Tirreno, in Lo spazio tirrenico nella ‘grande trasformazione’. Merci, uomini e istituzioni nel Settecento e nel primo Ottocento, a cura di B. Salvemini, Bari, Edipuglia, 2009, pp. 217-238. 9 55 Il Tirreno nel Settecento ben distinte pratiche, risorse e protagonisti. Nell’ambito delle importazioni a Marsiglia di grano dai porti della Sicilia meridionale, e soprattutto di fibre tessili, imbarcate in larga parte a Napoli e Messina, la preminenza delle navi e dei patrons della costa provenzale e dei negozianti marsigliesi è assoluta; viceversa, le navi granarie provenienti dall’altra grande zona di produzione, la Puglia centro-settentrionale, sono condotte per tre quarti del totale da «napoletani» di Sorrento, Procida, Amalfi, Positano: centri insignificanti in quanto luoghi di imbarco ma grandi produttori ed esportatori di mezzi e competenze per la navigazione. Ben presenti nei porti oleari ionici ed adriatici, le navi francesi e, quel che è piú significativo, i capitali ed i mercanti marsigliesi, diventano nella Calabria tirrenica una piccola minoranza rispetto in particolare ai «genovesi», che controllano i due terzi del trasporto e della commercializzazione dell’olio locale. Questa sorta di divisione spaziale del lavoro è meglio visibile a una scala piú grande. Si prenda ancora il caso della Calabria tirrenica. La già menzionata Parghelía, del tutto assente fra i luoghi di imbarco, anima circuiti che affiorano a stento nei documenti, ma a loro modo lucrosi ed insediati in spazi ampi che comprendono la stessa Marsiglia, alla quale il borgo è legato anche da reti massoniche: i parghelioti, che «quasi tutti parlano francese» e hanno costumi addolciti dalla frequentazione di popoli civili14, «abbandonano il paese in primavera, e molti per la Lombardia, per la Francia, e per la Spagna, altri per la Germania partono, trafficando coperte di cotone, sete ed essenze, che comprano in altre parti della provincia, riportando al ritorno altri generi esteri, principalmente di lusso, che vendono poi per tutta la Calabria»15. Gioia e Pietrenere, spiagge insignificanti sotto il profilo delle funzioni abitative, dell’attrezzatura portuale e del personale imprenditoriale e marinaro, concentrano circa un quinto degli arrivi di olio a Marsiglia dall’intero Mezzogiorno continentale ed insulare fra il 1751 ed il 1792, nel mentre la vicina Palmi è una presenza modesta sulle rotte lunghe, ma è patria di piccoli traffici e trafficanti costieri, sede di dogana e, lo vedremo, piazza di contrattazione e finanziamento dell’olio imbarcato a Pietrenere e Gioia. Piú a sud anche Scilla sembra volgere le spalle al suo mare: la commercializzazione dell’olio non sembra interessare i «felucari» locali, dato che è lasciata nelle mani dei «genovesi», e lo stesso approvvigionamento di grano per il consumo del borgo è affidato alle feluche di Cannitello, Azzarello e Catona, minuscoli imbarchi del «paraggio» di Reggio. Viceversa gli scillitani sono attivissimi sulla direttrice adriatica: una organizzazione corale di centinaia di marinai ed investitori regge un consistente traffico D.S.T. de Dolomieu, citato in A. Trombetta, La Calabria del ’700 nel giudizio dell’Europa, Napoli, Fratelli Conte, 1976, p. 214. 15 G. Vivenzio, Istoria e teoria de’ tremuoti in generale ed in particolare di quelli della Calabria e di Messina del 1783, Napoli, nella Stamperia Regale, 1783, citato in I. Principe, Città nuove in Calabria nel tardo Settecento, Chiaravalle Centrale, Gangemi, 1976, p. 47. 14 56 Annastella Carrino, Biagio Salvemini di tessuti di qualità bassa in buona parte prodotti dai «telaioli» di Rutigliano, nella Puglia interna, ed imbarcati a Monopoli, sulla costa pugliese adriatica, per essere venduti a Venezia o Trieste16. Ancora dopo la strage provocata dal terribile terremoto e maremoto del 1783, la capacità di mobilitare capitali e promuovere investimento mercantile in una sola precisa direzione, attingendo in maniera molecolare alle risorse del borgo, è impressionante. Fra settembre e ottobre del 1793, tramite un «solenne costituto», si raccolgono fra «tutta quella popolazione, che vive su quest’impieghi» 49.807 ducati a cambio marittimo per finanziare il solito viaggio a Venezia di due «filucari» scillitani, i fratelli Palladino: i finanziatori, che contribuiscono con somme fra i 25 ed i 1.800 ducati ciascuno, sono 197, di cui 189 scillitani, in buona parte padroni e marinai (degli altri otto, tre sono di Messina, due di Monopoli, uno di Reggio, uno di Matera, uno di Bagnara)17. In questo caso, i Palladino tradiscono la fiducia loro riposta ed offrono un «pernicioso esempio […] agli altri onorati padroni di filuche»; ma il carattere ricorrente di queste pratiche non può non presupporre un’esperienza lunga, diffusa fra l’intera popolazione del borgo, di profittabilità di questa particolarissima forma di traffico adriatico monopolizzata da un solo borgo tirrenico. I «genovesi» costituiscono una presenza assai importante in questo spazio, e ne riproducono attivamente la segmentazione. Essi animano, sul piano del piccolo cabotaggio, una «navigation […] très localisée […] de simples navettes entre les divers ports» fra la Toscana e la Provenza18, che attribuisce ciascun percorso ai marinai-mercanti di singoli borghi o, addirittura, di singole parentele. Queste logiche dell’organizzazione mercantile minuta le ritroviamo in qualche misura riproposte nel commercio «in grande» di quegli altri «genovesi» che ossessionano consoli, amministratori e negozianti francesi attivi nello spazio tirrenico, dal momento che vanno conquistando posizioni dominanti sui traffici piú dinamici che fanno capo a Marsiglia, quelli oleari. Sulla loro organizzazione mercantile flessibile e corale, simile in una qualche misura a quella di Scilla, e sui vantaggi del loro modo di fare impresa rispetto a quello «francese», le testimonianze in particolare consolari, numerose e ripetitive, ci offrono un’idea confermata dalla documentazione notarile e contabile: i «genovesi» n’engagent aucun matelot à salaire, ni à part des nolis ; les patrons propriétaires au nom du navire reçoivent de l’argent de divers particuliers capitalistes en fonds qu’on appelle la colonne, et destinée à l’achat de la cargaison. La futaille fait partie du navire […]. Ils ramassent 20 à 25 matelots […] et un seul tonnelier pour soigner cette futaille. Cingari, Scilla nel Settecento, cit.; M.A. Visceglia, Lavoro a domicilio e manifattura nel XVIII e XIX secolo: produzione, lavorazione e distribuzione del cotone in Terra d’Otranto, in Studi sulla società meridionale, Napoli, Guida, 1978, pp. 233-271. 17 ASN, SMC, PV, fascio 121, fascicolo 17. 18 Ch. Denis-Delacour, Le pavillon pontifical en Méditerranée dans la seconde moitié du XVIIIe siècle, in corso di pubblicazione. 16 57 Il Tirreno nel Settecento Arrivé en Calabre, ou en Sicile, ils achètent l’huile oú ils trouvent mieux leur compte; fraudent tant qu’ils peuvent les droits de sortie et ne payent ni courtage ni commission ni nolis, ni assurance. Rendus à Marseille, ils y vendent leur cargaison 3 à 4% moins que les françois et trouvent peut être encore le double de profit sur leur capital. De ce bénéfice est prélevé la dépense de la nourriture des équipages et les frais de navigation. Tout le reste le partage entre les capitalistes, le propriétaire du navire et les matelots. Les françois au contraire chargent leur correspondans à Naples et à Messine de faire leur achats, ils nolisent des navires à grand fret pour aller lever leur cargaison; ils doivent leur fournir une futaille qui ne sert plus lorsqu’elle est à Marseille. Ils sont obligés pour leur sureté de contracter par des actes publics qui mettent leur opération en évidence et ne leur laissent pas les voyes de se soustraire aux droits. Ils payent 5 à 6% de courtage, commission, assurance et autant de nolis. Il est reconnu qu’une cargaison d’huile qui revient aux Génois vendue à Marseille à 100 fm en coute plus de 108 fm aux françois […]. Ils ont leurs commissionnaires en Pouilles, en Calabre, en Sicile, qui achètent à l’avance, autant qu’ils peuvent, toutes les huiles à quelque prix que ce fait en sorte que si quelque négocians à Marseille se présente pour spéculer sur cet article, il trouve déjà dans les Provinces les prix très altérés […]. Ils ont des ressources immancables pour leur procurer des nolis de préférence aux françois, ils ont toujours des fonds qu’ils procurent chez eux à un change très modique. Ils s’intéressent aux cargaison, ils prètent à hypothèque aux expéditionnaires pour les compléter et ils se contentent aujourd’hui de nolis médiocres pour écarter leurs concurrens, sauf à les augmenter lors qu’ils seront seul […]. Cette manouevre leur a très bien réussi jusqu’à présens […] depuis 20 ans ils ont chassés de ces parages au de là de 350 batimets françois qui faissient autrefois le commerce des Deux Siciles et le cabotage de l’Espagne et de l’Italie19. Dotato dagli investitori della sua «patria» del capitale della «colonna», ma non obbligato per contratto ad una destinazione prefissata, il capitano organizza la «carovana»: una pratica di tutt’altra natura rispetto alla grande «caravane» provenzale sulle coste del Mediterraneo ottomano, dal momento che in questo caso si smarriscono i connotati distintivi della civilizzazione dello scambio per mare, in particolare la distinzione fra armamento e negozio e la predeterminazione delle rotte sulla base del funzionamento di reti informative e di contratti sottoscritti prima del passaggio di mano della merce. «On appelle faire la caravane – spiega un mémoire francese del 1766 a proposito dei «genovesi» – aller à l’aventure le long d’une côte, de port en port, de plage en plage, pour y faire leur chargement en détail à mesure qu’il se présente des objets à bon marché»20. 19 ACCIM, H 124 bis, Huiles étrangères. Réflexions sur le commerce des huiles à Marseille par les Génois, 1787. Sul funzionamento della colonna, cfr. L. Lo Basso, Il Sud dei genovesi. Traffici marittimi e pratiche mercantili tra l’Italia meridionale, Genova e Marsiglia nel Settecento, in Lo spazio tirrenico, cit., pp. 239-262; e A. Carrino, Fra nazioni e piccole patrie. «Padroni» e mercanti liguri sulle rotte tirreniche del secondo Settecento, in «Società e storia», 2011, n. 131, pp. 36-66. 20 AN, AE, B III 407. 58 Annastella Carrino, Biagio Salvemini Ma questa deformalizzazione dello scambio, che rende il commercio regolare fra grandi formazioni economiche complementari, come quelle francese e napoletana, simile ai microtraffici di prossimità sotto il profilo dei protagonisti, dei luoghi e delle tecniche, non si accompagna necessariamente ad una deformalizzazione degli spazi praticati. Non tutti i «genovesi» sono attivi nella navigazione mercantile tirrenica; e non tutti coloro che vi prendono parte lo fanno secondo i modelli disegnati dai consoli francesi. Come Marsiglia per la facciata mediterranea francese, Genova vi contribuisce pochissimo; hanno invece un ruolo di primo piano navi, uomini e capitali dei borghi delle Riviere le cui funzioni mercantili erano state a lungo osteggiate attivamente dalla Dominante, in particolare quelli della Riviera di Ponente. Ma, anche a questa scala, la segmentazione è evidente. Le presenze significative sono fortemente concentrate in alcuni punti di un breve tratto di costa: a Porto Maurizio, qualche chilometro a sud-ovest di Imperia, a Diano e Cervo, alcuni chilometri piú a nord-est, ed infine a Laigueglia, piú avanti nella stessa direzione; e, nonostante facciano capo a luoghi contigui, sono fortemente differenziate sul piano delle pratiche e delle geografie. Nel secondo Settecento troviamo discendenti dei padroni di successo di Porto Maurizio che hanno da tempo abbandonato il trasporto per mare, punto di partenza della loro scalata sociale ed imprenditoriale, e praticano il negozio «normale» inseriti organicamente e dignitosamente nelle grandi piazze mercantili tirreniche21. Non sono dunque costoro che alimentano l’immagine, diffusa fino a diventare uno stereotipo, dei nuovi «genovesi», bensí i padroni degli altri borghi marinari, un pugno di famiglie ben radicate nella loro «patria» e connesse in parentele dense, dalle quali provengono i marinai-mercanti – fra gli altri quelli menzionati all’inizio di questo scritto – robustamente insediati sulle rotte nord-sud: dei 1655 arrivi di navi comandate da padroni «genovesi» dal Mezzogiorno a Marsiglia fra il 1751 ed il 1792, 1103 (il 67%) sono di Laigueglia e 484 (il 29%) di Cervo o Diano22. Questi arrivi non si distribuiscono in forma random fra i 164 porti meridionali che hanno rapporti mercantili con Marsiglia nel secondo Settecento, ma si addensano in maniera statisticamente significativa. A Marsiglia sono pochissimi gli arrivi di navi di laiguegliesi provenienti dai porti centro-settentrionali, e quelle che giungono dal Sud tendono a ribaltare sulle coste meridionali la Carrino, Fra nazioni e piccole patrie, cit. L’attribuzione della «patria» ai singoli nomi di capitani e padroni è stata effettuata sulla base delle fonti seguenti: ASG, AS, f. 2622, Lettere di consoli. Francia, Lettere di N. Pagano, 1780; ASG, AS, Governo Provvisorio, b. 2957, petizione di capitani e patroni liguri a favore della candidatura a console di Stefano Musso, 12.2.1798; ASG, AS, b. 2634, Consoli delle due Sicilie, Messina, lettera del console Brigant al Ministro delle Relazioni estere in Genova, 4.11.1798; ADBR, 200 E 507-548, Dépositons et arrivages. Dépositions faites par les capitaines de bâtiments à leur arrivée, 1751-92. 21 22 59 Il Tirreno nel Settecento geografia minuta e segmentata delle coste liguri: nel mentre le imbarcazioni che partono dall’Isola di Dino, nella Calabria settentrionale, sono comandate in larga parte da padroni provenzali e quelle in arrivo da Bagnara da padroni locali, il 53% delle 526 navi cariche di olio che fra il 1751 ed il 1792 giungono a Marsiglia da Pietrenere e Gioia è costituito da pinchi laiguegliesi condotti da padroni e marinai laiguegliesi per conto degli imprenditori «diffusi» laiguegliesi, e corrispondono ad oltre un quarto degli arrivi totali attribuibili a personale del borgo ligure. Tenendo conto degli arrivi dagli altri luoghi di addensamento di queste presenze – Taranto (98 arrivi), Milazzo (96), Messina (74) e Scilla (73) – quasi il 60% dei viaggi mercantili gestiti da Laigueglia partono da 6 luoghi di imbarco meridionali. Insomma la «carovana» genovese è tutt’altra cosa dall’«aller à l’aventure le long d’une cote, de port en port, de plage en plage»: essa presuppone e suscita una spazialità precisa, dietro la quale si sono cristallizzati decenni di gesti, contatti, conoscenze mercantili. E, a volte, determina forme di insediamento che non interrompono in alcun modo i rapporti con la «piccola patria», ma che superano la pura stanzialità mercantile, momentanea e priva di radici. Nel nostro periodo troviamo società laiguegliesi a Marsiglia, Napoli, Taranto – dove i Preve fanno investimenti onorifici che tuttavia si riveleranno effimeri23 – e ovviamente sulla costa calabra, in particolare a Palmi24. La documentazione, in particolare quella notarile, ci consente di intravvedere le condizioni che li inducono a stringere rapporti con i luoghi privilegiati dalle loro rotte. I «genovesi» di Laigueglia non acquistano l’olio da imbarcare a Pietrenere e Gioia confrontandosi direttamente con una democrazia di olivicoltori calabri piccoli e grandi. La loro preminenza mercantile è fondata sul fatto che essi hanno trovato una mediazione locale decisiva in un piccolo gruppo di negozianti, e sono stati a loro volta da costoro «adottati». L’olio imbarcato nei pinchi passa attraverso un imbuto stretto: esso viene contrattato a Palmi tenendo conto della «voce» dell’olio stabilita a Seminara, collocata immediatamente all’interno e residenza degli Spinelli, signori del feudo che comprende Palmi e Pietrenere, ed attivi in particolare nel commercio delle sete, in cui si muovono con la disinvoltura nei confronti di norme e ufficiali consentita loro anche dalla «condizione molto distinta e riguardata»25 della quale godono. In connessione Schiacciati dai debiti, dopo aver acquistato enormi partite di grano, Giacomo Filippo Pagliano e suo figlio lasciano Taranto e vanno a rifugiarsi a Laigueglia. Il grande e «sontuoso» palazzo «di molti membri» che avevano acquistato nella città pugliese, sarà al centro di un lungo contenzioso fra l’annona cittadina, i creditori dei Pagliano, in contrasto reciproco, gli stessi Pagliano padre e figlio, e la vedova Pagliano (madre di Giacomo Filippo), residente a Marsiglia e a capo di una società omonima (ASN, SMC, PV, fascio 119, fascicolo 2). 24 Carrino, Fra nazioni e piccole patrie, cit. 25 ASN, Segreteria di Stato di Casa Reale, 799, Affari Diversi, fs. sul contrabbando di seta in Calabria, consulta di F. Ventura del 9 giugno 1744. L’autore materiale del contrabbando viene individuato nel solito padrone laiguegliese, Giacomo Filippo Pagliano, che trafuga balle di 23 60 Annastella Carrino, Biagio Salvemini con il principe Spinelli agiscono a Palmi due famiglie di negozianti come al solito di origine marinara, i Bagalà ed i Parpagliolo, che finanziano e a volte gestiscono i traffici fra costa ed entroterra di vino e grano, e, soprattutto, concentrano l’olio della Piana di Gioia tramite contratti alla voce per poi cederlo ai vari Maglione, Pagliano e Preve. D’altronde i lucri da intermediazione dei Bagalà e dei Parpagliolo sono accresciuti da quelli che derivano dalla loro partecipazione attiva e massiccia al finanziamento dell’impresa «genovese». Il 24 novembre 1770 Antonio e Francesco Bagalà di Palmi forniscono al laiguegliese Pietro Giovanni Pagliano, che ha ancorato il suo pinco davanti alla spiaggia di Gioia, l’intero capitale necessario al suo solito viaggio verso nord, 9.078,80 ducati a cambio marittimo per un carico d’olio destinato a Genova e Marsiglia, con la clausola «secondo l’uso e lo stile della spiaggia di Laigueglia»26. Altri 7.380 ducati vengono consegnati qualche mese dopo, sempre a cambio marittimo e «secondo gli usi e il costume della spiaggia di Laigueglia», da Francesco e Pasquale Parpagliolo a Pietro Giovanni Pagliano27 che, partito da Pietrenere il 28 maggio del 1771, si presenta davanti all’intendente della Santé marsigliese il 26 giugno successivo con 1.700 milleroles di olio per suo conto. In altri casi il finanziamento è di minore entità, ma, in una qualche misura piú penetrante, dato che colloca il negoziante di Palmi all’interno stesso della «colonna», fra la folla di microinvestitori di Laigueglia: fra maggio e giugno 1766 Francesco Bagalà «negozia alle parti […] giusto il costume di Laigueglia e come sono soliti praticarli tutti gli altri padroni di bastimenti», prima 2.000 ducati sul pinco di Domenico Musso28, che giunge a Marsiglia da Gioia il 28 maggio con 2.150 milleroles di olio, e poi 780 ducati sul pinco di Giacomo Maglione, «alias Disperato Genovese»29, che giunge sempre da Gioia a Marsiglia il 15 giugno con 1.900 milleroles sempre per suo conto. Il nesso fra i microluoghi della costa ligure e quelli della costa calabra segmenta lo spazio tirrenico e, al tempo stesso, contribuisce vigorosamente a strutturarlo, producendo un ambito di prevedibilità nel gioco degli attori dentro il quale seta destinate a Livorno nel suo pinco carico di olio; l’ideatore ed organizzatore sarebbe lo Spinelli, che Ventura consiglia di non disturbare: «Quanto poi al principe di Cariati, che si suppone l’autore del grosso controbanno di seta, egli è certo, che per liquidarsi si avrebbe da farsi appartare, ma essendo la sua condizione molto distinta, e riguardata in quelle provincie di Calabria dove tiene molti speciosi feudi, potrebbe la di lui appartazione cagionare della novità negli animi di quella gente, ed ancor qui, la quale piuttosto a motivi di Stato che di contrabanni l’applicarebbe; quindi è che stimo di non doversi per ora dar un tal passo, ma incaricarsi al Vicario generale di farli soprasedere…». 26 Archivio di Stato di Reggio Calabria, Sezione di Palmi, Notaio Francesco Colloridi, busta 136, volume 1415, cc. 83r-v. 27 Ivi, busta 137, volume 1416, cc. 21v-22r. 28 Ivi, busta 136, volume 1411, cc. 63 r e v. 29 Ivi, busta 136, volume 1411, cc. 82r-83r. 61 Il Tirreno nel Settecento una folla di piccoli imprenditori ed investitori può uscire dai circuiti dello scambio di vicinato ed attingere il livello del commercio «in grande». 3. Una «costituzione materiale» per lo spazio tirrenico. Resterebbe da chiedersi quale ruolo abbia giocato, nella produzione di quest’ordine spaziale plurale ed effimero ma riconoscibile, una dimensione tenuta fino a questo punto artificiosamente fuori dello sguardo: quella politica ed istituzionale. È del tutto banale constatare che i negozianti e padroni che si muovono nello spazio tirrenico hanno a che fare, oltre che con derrate, tempeste e magazzini, con una rete minutissima e complicata di poteri e diritti. Tanto piú che la fase in cui esso si struttura coincide con una crescita evidente dell’estensione ed efficacia delle politiche mercantiliste che, producendo norme ed apparati, riducono la «libertà» dei mari, la loro capacità «corruttrice»30 fondata sulla debolezza dei limiti posti al dispiegarsi delle avidità individuali. E, dal momento che la funzione attribuita classicamente alle istituzioni è quella di stabilizzare agli occhi degli attori le interpretazioni possibili dei dati di realtà, e quindi di ridurre la fantasmagoria delle possibili opzioni, il moltiplicarsi ed irrobustirsi dei mercantilismi dovrebbe avere un effetto ordinatore sulle pratiche e sulle loro proiezioni spaziali. Come vedremo, la crescita di densità normativa ed istituzionale contribuisce senza dubbio alla produzione della spazialità delineata nelle pagine precedenti; ma la natura delle norme ed istituzioni, e i percorsi attraverso i quali agiscono non rispondono alle definizioni di scuola. L’elemento di fondo di questa immensa produzione normativa consiste nell’aggressione alla dimensione universalistica in una qualche misura presente nelle grandi places marchandes della rivoluzione commerciale tardo medievale e di prima età moderna. Il suo obbiettivo è, da un lato, l’incremento delle entrate del fisco regio, dall’altro il «commercio attivo» inteso come controllo della navigazione, scambio di manufatti contro derrate e saldo positivo della bilancia dei pagamenti, e, al tempo stesso, come segno del capitale «onorifico» detenuto dal sovrano e dal suo popolo. Essendo il «commercio attivo» per sua natura riferito a singoli spazi di sovranità, non può diffondersi attraversando le frontiere; di conseguenza esso si ottiene a spese del commercio altrui, produce nei propri partners «commercio passivo»: una ferita aperta agli occhi di amministratori ed intellettuali che adottano il principio che «ogni nazione che non naviga vedrà i suoi interessi politici e domestici subordinati agli interessi del popolo navigatore»31, e considerano atto «basso» e degno dell’«Imperatore del Marocco» il consentire agli stranieri di «venire a fare un commercio attivo Il riferimento è a P. Horden, N. Purcell, The Corrupting Sea. A Study of Mediterranean History, Oxford, Blackwell, 2000. 31 G. Dragonetti, Trattato delle virtù e de’ premi, Napoli, Gravier, 1767, p. 98. 30 62 Annastella Carrino, Biagio Salvemini con i prodotti del proprio suolo»32. Nel caso dello spazio tirrenico, il conflitto si attenua smarrendosi nei meandri dei giochi di potenza e del vario livello di incisività del «patto di famiglia» fra i Borbone di Francia, Spagna e del regno napoletano33; ma riemerge di continuo attorno ad una questione ben presente agli attori: il fatto che la crescita dei traffici tirrenici alimentati dalla domanda di Marsiglia non solo si realizza in larga parte con uomini ed imbarcazioni non francesi, ma provoca il rovesciamento in un passivo vistoso dell’attivo primosettecentesco della bilancia commerciale della Francia con il Regno di Napoli e quello di Sicilia. Non riuscendo a compensare con la vendita di manufatti la crescente importazione di derrate meridionali, la Francia deve acquistare una parte consistente di queste ultime con mezzi di pagamento usati dai meridionali per acquistare manufatti inglesi. La potenza di gran lunga maggiore, il regno francese, non può assistere impassibile al consolidarsi di complementarietà mercantili che rischiano di generare il temuto «commercio passivo». Oggetto del conflitto è la manipolazione a proprio vantaggio dei traffici e della loro «libertà». Come scrive nel 1736 un magistrato napoletano in risposta alle polemiche del console francese contro il vincolismo del regno meridionale divenuto indipendente, il diritto delle genti non impone ai popoli di commerciare fra loro: il commercio per mare è il risultato eventuale di una «reciproca permissione»34, ed è pensabile dentro limiti e forme definite dal sovrano tramite atti di volizione di ogni livello – legislativo, regolamentale, negoziale – volti all’incremento della potenza regia e della «pubblica felicità» dei propri sudditi. A rendere parzialmente compatibili queste diverse volontà, ed a creare spazi di conflittualità diminuita che favoriscano alcuni scambi ritenuti di reciproco vantaggio, sovrintende lo strumento del trattato di commercio; ma, nel caso che ci riguarda, le negoziazioni fra Napoli e Parigi, i due maggiori partners commerciali, trovano un ostacolo insormontabile nella pretesa dei Borbone francesi di preservare i privilegi loro riconosciuti dai precedenti sovrani napoletani, gli Asburgo di Spagna, e, viceversa, nella rivendicazione da parte dei Borbone napoletani di una sovranità derivante dal diritto di conquista, che li libera da ogni vincolo acquisito dai precedenti «padroni» del regno meridionale35. Le robuste linee di traffico che strutturano lo spazio tirrenico settecentesco devono dunque farsi largo nell’intrico delle norme che ciascuna Archivio della Società Napoletana di Storia Patria, Napoli, ms. XXX C I, c. 93, Consulta del Supremo Magistrato di Commercio, 29.4.1781. 33 R. Tufano, La Francia e le Sicilie. Stato e disgregazione sociale nel Mezzogiorno d’Italia da Luigi XIV alla Rivoluzione, Napoli, Arte tipografica editrice, 2009. 34 R. Zaugg, Stranieri di antico regime. Consoli, giudici e mercanti nella Napoli del Settecento, Roma, Viella, 2012. 35 A.V. Migliorini, I problemi del trattato franco-napoletano di navigazione e di commercio (1740-1766), in «Rivista storica italiana», 1979, n. 1, pp. 180-209. 32 63 Il Tirreno nel Settecento formazione politica affacciata su quei mari produce e riproduce per proprio conto e per i propri fini. Si tratta di norme che non anticipano una territorializzazione legicentrica di tipo ottocentesco; e non solo per l’evidente difficoltà di definire pertinenze e confini sugli spazi liquidi. Essendo atti di diritto positivo, essi possono essere smentiti da altri atti puntuali della stessa natura, e quindi appaiono dotati di un livello di legittimità e di coercitività modesto, inferiore alle norme di diritto privato ancorate allo jus gentium, al diritto romano, al diritto naturale, e sono incapaci di sostituirsi alle norme stratificatesi nei secoli nel campo della navigazione e dello jus mercatorum: queste ultime continuano ad accumularsi ed hanno vigore in una pluralità di istanze giudicanti. Gli stessi sovrani prevedono i limiti di applicabilità delle leggi che emanano, ne producono altre parzialmente contraddittorie; in piú ne affidano l’attuazione spesso ad uffici vendibili o appaltati, ad apparati vecchi e nuovi che non sono inseriti in un meccanismo di trasmissione verticale del comando, ma rispondono a poteri locali o corporativi gelosi delle proprie prerogative ed in reciproco conflitto. Nel nostro ambito il caso piú eclatante è l’enorme potere di tipo pubblicistico affidato ad una istituzione corporativa come la Chambre de Commerce marsigliese, che produce continui conflitti al tempo stesso di competenza, di interressi e d’onore. Nel quadro della vivace dialettica cetuale marsigliese e della trasformazione dei quadri istituzionali dello Stato francese36, non manca un «député du commerce de Marseille à Paris» che nel 1778, provenendo dal mondo del commercio e nell’esercizio della funzione di suo rappresentante, ne prende le distanze in nome dell’«administration», solo soggetto capace di operare per il benessere collettivo: C’est (il faut le dire) que le génie marchand toujours attentif à calculer son intérêt particulier, perce dans toutes les délibérations des assemblées composées de commerçants. L’intérêt de l’Etat est mis à l’écart. L’on veut être étranger quand le sort de l’étranger est avantageux, et on veut jouir des droits des nationaux quand ces droits sont utiles […] c’est à l’administration à maintenir l’équilibre37. In realtà l’«administration» che negozianti e marinai incontrano nello spazio tirrenico non produce «équilibre», ma ipertrofia e, al tempo stesso, indefinizione dei quadri istituzionali e normativi che si insinuano in ogni interstizio delle pratiche e della geografia. Gli stessi porti franchi ne sono pienamente investiti. Cfr. B. Salvemini, Spazi del mercato, spazi della città: gerarchie sociali ed istituzioni a Marsiglia fra la Fronda e la Rivoluzione, in Acque, terre e spazi dei mercanti. Istituzioni, gerarchie, conflitti e pratiche dello scambio dall’età antica alla modernità, a cura di D. Andreozzi, L. Panariti, C. Zaccaria, Trieste, Editreg, 2009, pp. 15-40. 37 AN, AE, B III 189, Députés du commerce de Marseille à Paris, cc. 15-16, 3.6.1778. 36 64 Annastella Carrino, Biagio Salvemini Les differens droits que se perçoivent dans la ville de Marseille – scrivono gli ufficiali della Santé – sont en si grand nombre que l’on doute quelques fois si le port en est franc, parce qu’en bien de cas on ne jouit pas de cette franchise qui fait tant de bruit chez les étrangers […]. Les bureaux du poids et casse, du domaine d’occident, des chaires et poissons salés, des huiles et de la ferme du tabac, les visites pour le sel, la poudre et les étoffes et marchandises prohibées sont autant d’obstacles à cette franchise qui pourroit opérer de grands biens à l’Etat et au commerce si elle étoit plus étendue38. In particolare le guardie della «ferme du tabac», non appena le navi finiscono la quarantena, vi salgono, «font leur visites partout et fouillent dans les caisses, dans les hardes et jusque sur les personnes des officiers et matelots, et s’ils trouvent seulement une pipe remplie de ce tabac ils en prennent l’occasion de dresser des verbaux et d’inquiéter les gens de mer». Oltre a vanificare di fatto la franchise del porto, tutto questo ha conseguenze che invadono l’ambito gelosamente custodito dal corpo della Santé: i marinai, per sfuggire alle visite di questa folla di uomini delle varie fermes e uffici doganali, escogitano stratagemmi ingegnosissimi per far arrivare a terra pacchi, cassette, involucri di ogni genere durante la quarantena, impegnando gli ufficiali della Santé in un cache-cache faticoso e che può avere conseguenze funeste per la salute pubblica. Dialettica delle norme e dialettica dei corpi istituzionali si intrecciano inestricabilmente. La rete consolare, che comincia a ristrutturarsi secondo logiche non corporative nello spazio tirrenico del secondo Seicento ed è, un secolo dopo, completa e pienamente operativa, rappresenta un ulteriore protagonista di questo gioco. L’alternativa fra la funzione pienamente giurisdizionale del console, connessa alle tradizione secolare delle «nazioni» mercantili corporate e dotate di extraterritorialità, e la funzione arbitrale a lui liberamente assegnata da mercanti in conflitto fra loro, sembra in linea di principio sciogliersi a favore di questa seconda opzione: non è piú possibile «che in un istesso tempo vi fossero due supreme potenze nel luogo istesso», quella del sovrano territoriale e quella di un altro sovrano esercitata tramite il suo console39. D’altro canto, uno dei caratteri fondamentali della istituzione consolare è quella di reintrodurre e difendere strenuamente elementi di extraterritorialità, di sospensione, non ufficializzata ma di fatto reciprocamente tollerata e a volte negoziata, della vigenza delle leggi emananti dal sovrano del territorio in cui il console si è insediato con l’exequatur di quello stesso sovrano. La sua capacità si misura anche su questo metro, e nella corrispondenza egli è ben attento a sottolineare i «colpi» che su questo piano gli riescono. Il viceconsole francese a Messina ADBR, 200 E 1025, Rapports. Ferme du tabac, 1719-1723, Mémoire sur le tabac du Levant, s.d. 39 ASN, Esteri, Relazione di C.O.Buglio, consultore della Giunta di Sicilia presso la corte di Napoli, 30.1.1736, citata in Zaugg, op. cit. 38 65 Il Tirreno nel Settecento segnala alla Chambre de Commerce di Marsiglia nel 1769 l’ideazione da parte sua, e l’attuazione da parte del capitano Clavelly di La Ciotat, di un «coup» rischioso: quello di recuperare nottetempo e di liberare dal vincolo della quarantena imposta dalla magistratura sanitaria meridionale l’equipaggio della tartana del patron Martineny naufragata sulla spiaggia dell’Agnone, sulle coste calabre1. Di un altro colpo, nell’altro ambito sensibilissimo della normativa regia accanto alla prevenzione del contagio, quello della prevenzione della disette cerealicola, rende conto il console genovese a Messina nel novembre 1766, «con la soddisfazione, che naturalmente arrecar sogliono li vantaggi de’ propri sudditi». Avendo il governo napoletano, «nelle presenti critiche circostanze in cui si sperimenta una notabil scarsezza e penuria di grani», emanato «rigoroso divieto, eziandio sotto pena della vita, che affatto non si potesse estrarre detto genere dalli suoi stati e domini per asportarlo ne’ paesi forestieri», Carlo Antonio e Giacomo Maglione, due padroni ancora una volta di Laigueglia, si «immaginano» di «potere per via d’industriosi maneggi eludere senza alcun rischio il rigore di si fatto divieto». Comprano a Napoli una grossa partita di grano pugliese, prendono a nolo due imbarcazioni napoletane per andarlo a caricare con destinazione dichiarata il porto di Napoli, ma, «con singolar maneggio» e «le piú industriose providenze», le fanno giungere a Messina. Lí, «col favore dell’asilo che presta lo scalo e porto franco di questa piazza», ottengono «il permesso di trabalzo» del grano dai bastimenti napoletani da essi noleggiati ai loro due pinchi ancorati a Messina, «sotto pretesto d’esser grani del Levante e d’essersene tra loro passata vendita», e quindi esclusi dal divieto di esportazione. L’operazione era cominciata quando «una spia andiede a presentarsi dal Regio Fisco a discuoprirgli il fondo di tutto l’intrico»: grani e navi sono messe sotto sequestro e i due padroni arrestati. Il fatto è «spaventevole» e apparentemente senza uscita, ma l’intervento del console riesce ad annullare la vigenza delle norme sovrane sia sul piano procedurale che sostanziale. Egli dà «subito mano ad ogni sorta di maneggio, impiegando ed amici e congionti», mobilita le sue «aderenze» e il «credito» che gode nella piazza, fa «sparire e ritirare […] la spia che aveva denunciato l’arcano», «acquieta» «il Regio Fisco, l’intendente della scala franca, il giudice assessore, il ministro delle reali finanze», ottenendo non solo la restituzione ai due Maglione dei beni, della libertà «e probabilmente della vita ancora», ma anche il successo pieno del colpo da essi tentato: «Sono già scorsi sei giorni, che essi sono felicemente partiti da questo porto seco conducendo al luogo del loro destino sette in ottomila tomoli di grano ACCIM, K 142, Correspondance consulaire, Messine, Lettres de P. Bénézet-Armény, 17681774, 9.5.1769, 10.5.1769, 30.5.1769. 1 66 Annastella Carrino, Biagio Salvemini proveniente dalla Puglia, ove è assolutamente vietato ed interdetto di caricare per paesi forestieri»1. Carlo Antonio Maglione ha ancora davanti a sé – lo abbiamo visto – una lunga carriera sulle rotte tirreniche, che continuerà a percorrere utilizzando come opportunità di lucro mercantile l’intrico di vincoli istituzionali, il diverso livello di flessibilità che essi incorporano, il particolare modo di essere ed agire degli uomini delle istituzioni che vi sono preposte. Uno di questi vincoli, che entra nella quotidianità delle pratiche di Maglione, costituisce un fondamentale elemento al tempo stesso di distorsione e di strutturazione dello spazio tirrenico: il diritto aggiuntivo del 20% sulle merci provenienti dal Levante a Marsiglia su navi straniere – una sorta di atto di navigazione risalente al 1669, in contraddizione stridente con la contemporanea istituzione del porto franco. La produzione normativa secondaria volta ad impedire che la norma fosse aggirata è imponente e sempre piú vincolistica: l’arrêt du Conseil d’Etat dell’11 gennaio 1746, ribadito nel 1786, giunge a deliberare che si sarebbero ritenute provenienti dal Levante tutte le merci «amenées des pays étrangers dans le royaume si le contraire n’est justifié par des certificats en bonne forme des magistrats des lieux d’envoi et des consuls de la nation française, s’il y en a d’établis, et payeront en conséquence un droit de 20%»2. La capacità di favorire il «commercio attivo» francese di queste norme sembra inconsistente; d’altronde esse costruiscono un ordine spaziale ben preciso, che trasforma virtualmente una parte consistente dell’olio levantino in olio tirrenico giocando su una triangolazione fra il porto franco di Messina, le spiagge della Calabria tirrenica e quelle delle «piccole patrie» dei «genovesi». Le pratiche che questi ultimi in particolare adottano sono varie. Le piú frequenti sembrano le seguenti: - i padroni liguri si procurano a Napoli una tratta di olio corrispondente alla capienza dei loro pinchi (800 o 900 salme); scendono in Calabria dove caricano la metà dell’olio consentito dai permessi di esportazione, e completano il carico a Messina con olio giunto in porto franco dal Levante en droiture o tramite il porto franco di Trieste; a questo punto fanno rotta verso Marsiglia, dove spacciano l’intero carico per olio meridionale; - oppure essi caricano interamente i pinchi con olio levantino a Messina dichiarando come destinazione Genova o il proprio borgo; qui lo sbarcano per poi caricarlo su piccole imbarcazioni francesi che lo porteranno a Marsiglia facendolo figurare come olio ligure. ASG, AS, b. 2634, Consoli delle Due Sicilie, Messina, Lettere di E. Ambrogini, 1766-1797, 4.11.1766. 2 Un mémoire della Chambre de Commerce di Marsiglia che riassume efficacemente la questione in AN, AE, B III 185, Inspection du Commerce de Marseille 1788-1798, t. 61, cc. 94-99. Sulla questione si veda P. Boulanger, De la tromperie sur la marchandise au XVIIIe siècle ou le commerce interlope des huiles du Levant à Marseille de 1784 à 1790, in «Provence historique », 1982, n. 130, pp. 409-430. 1 67 Il Tirreno nel Settecento 4. Degli usi della legge ai margini delle istituzioni. Il viceconsole francese a Messina Jean-Baptiste Lallement, di origine borghese e mai coinvolto in prima persona nei traffici, vede svolgersi queste manovre sotto i suoi occhi e cerca, in particolare dalla metà degli anni Ottanta, di applicare la legge, producendo fra l’altro una valanga di lettere e memoriali diretti alla Chambre marsigliese ed al ministro competente a corte. L’esito è del tutto deludente, anche perché egli si scontra con il possibilismo radicato nelle istituzioni del suo stesso paese. Il 1° settembre 1786 Lallement scrive alla Chambre: Je dois Messieurs vous prévenir que les personnes que vous chargez de remettre ces certificats [d’origine des huiles destinées à Marseille] doivent être très attentives sur ceux qu’on délivre en Italie et sur la côte de Gênes. Les patrons Vincent Forchero d’Alassio [...] et André Elena du même lieu [...] ont chargé en Calabre, le premier à la marine de Catanzaro 280 salmes d’huile, le second à Rocchetta sous Monteleone 308 salmes. Ils ont envoyé chez moi pour le certificat et je leur ai fait répondre qu’ils eussent à m’apporter leur contrat d’achat et les documents d’usage. Je n’en ai plus entendu parler. Je vis deux jours après le vice-consul de Gênes [à Messine] à qui je demandai pourquoi ils n’étaient pas revenus. Il me dit qu’ils étaient partis et que leur ayant représenté le risque oú ils se mettaient en portant leur huile à Marseille sans certificat, ils lui ont répondu qu’il n’en courraient aucun, qu’ils allaient dans leur pays, et qu’au moyen du document que leur on donnerait, suivant l’usage, le vice-consul de France qui y réside, ils seraient au couvert du double droit. J’ignore quel est ce document. On dit que c’est une attestation d’avoir chargé cette huile à Alassio même43. Ma le complicità possono annidarsi in sedi consolari di ben altro rilievo. A Napoli in quel torno di tempo il consolato è affidato ad interim ad un personaggio di tutt’altra natura rispetto a Lallement: Michel Périer, negoziante marsigliese molto attivo sulle rotte tirreniche, alla testa di una casa di commercio istallata nella stessa capitale meridionale, e destinato a fallire dopo qualche anno44. Perier è comunque «intime ami» di Lallement, e gli promette «que lorsqu’il expédierait des certificats aux Génois qui passeraient à Messine, il les obligerait à me les présenter pour être visés»45. Ma non sembra appassionarsi alla questione della «tromperie» genovese sugli oli; anzi, egli esclude, nella sua corrispondenza con la Chambre e con il ministero della Marina, che ci siano traffici fraudolenti di «huile grecque» a Napoli e nel Regno: semmai la cosa riguarda Livorno, dove l’olio levantino è mescolato a quello toscano ed inviato nei paesi nordeuropei: «de nouvelles recherches que j’ai continué à faire contribuent de plus en plus à ACCIM, K 143, Correspondance consulaire, Messine, Lettres de J.B. Lallement, 1.9.1786. 44 ADBR, 533 U 25, Tribunal de Commerce, Faillite de Périer Salse, 1815, 46 cc. 45 ACCIM, K 143, Correspondance consulaire, Messine, Lettres de J.B. Lallement, 14.7.1787. 43 68 Annastella Carrino, Biagio Salvemini me confirmer dans cette opinion»46. Impedito dalla sua evidente qualità di négociant, che, secondo la ratio delle norme francesi, provocherebbe un conflitto di interessi con la funzione di console, Périer vede la titolarità del consolato di Napoli affidata all’abate Antoine-Madeleine Bertrand47. Ma l’abate è fratello di Dominique, deputato della Chambre de Commerce di Marsiglia, e lui pure continua nell’atteggiamento «morbido» di Périer che vanifica gli sforzi legalistici di Lallement a Messina. Quest’ultimo finisce cosí per chiamare direttamente in causa il ruolo non piú dei viceconsoli dei borghi liguri, ma quello del consolato di una grande capitale portuale: Il est arrivé dans les premiers jours de mai dans cette rade cinq batimens grecs chargé d’huile de Morée. J’ai vu les Génois en traiter avec eux et l’on m’a assuré qu’ils les ont achetés. Ces batimens sont ensuite parti pour Gênes. Il y a environ 15 jours que le patron Jacques Galleano […] m’a envoyé demander un certificat pour son entier chargement disoit-il prit dans le port franc de Messine. C’est précisément un de ceux que j’avois vu le plus actif auprès des Grecs. Je lui fit demander la quantité et la note ordinaire des officiers. Il me fit dire qu’il ne pouvoit pas la donner et puisque j’étoit si difficile il le prendroit à Naples […] Il seroit bien sans doute qu’on ne donnait point à Naples de certificats pour les chargements déclarés pris à Scilla, Bagnara, Nicotera, Pietranegra, Tropea et Palmi, parce que la plupart se chargent dans le port franc de Messine48. L’espediente che renderebbe impossibili queste frodi e metterebbe la navigazione tirrenica francese al riparo dall’invadenza di genovesi e napoletani è quello proposto da lungo tempo: assoggettare al diritto del 20% tutte le navi straniere indipendentemente dalla loro provenienza; ma a bloccarne l’approvazione c’è una configurazione di interessi ben nota: «L’opposition d’un tout petit nombre de négociants qui sont à la tête des fabriques de savons de Marseille»49, che Lallement non si stanca di denunciare come «complices des Génois»50. Il conflitto fra i savonniers marsigliesi, affamati di olio a buon mercato che i «genovesi» sono in grado di procurar loro in grandi quantità, e gli interessi armatoriali grandi e piccoli della città e dei centri della costa provenzale, provoca uno stallo normativo e, al tempo stesso, una distanza fra norme e pratiche alimentata non da ufficiali periferici infedeli e mercanti fraudolenti, ma dai ACCIM, Correspondance consulaire, Naples, Lettres de M. Périer, 25.2.786; cfr. anche AN, AE, B I 901, Correspondance consulaire, Naples, Lettres de M. Périer, 1786 passim. 47 A. Mézin, Les consuls de France au siècle des Lumières, Paris, Ministère des Affaires Etrangères, 1977, pp. 143-144. 48 ACCIM, K 143, Correspondance consulaire, Messine, Lettres de J.B. Lallement, 5.6.1790. 49 ACCIM, H 124 bis, Huiles étrangères, Réflexions sur le commerce des huiles à Marseille par les Génois (joint à la lettre de M. Perrin), Naples, 29 juillet 1782. 50 ACCIM, K 143, Correspondance consulaire, Messine, Lettres de J.B. Lallement, 25.2.1780; 11.3.1786; 13.5.1786; 14.7.1787; 11.9.1790; 30.10.1790. 46 69 Il Tirreno nel Settecento vertici dello Stato francese. È lo stesso ministro della Marina che, anche sotto le pressioni del plenipotenziario genovese a Parigi Cristofaro Spinola, induce la Chambre di Marsiglia ad imporre non il pagamento del dovuto, ma una modesta ammenda al solito padrone laiguegliese che, su denuncia di Lallement, era stato sorpreso con olio levantino che voleva far passare per meridionale51. Ed è ancora il ministro ad invitare la Chambre ad un «accomodement amiable sur les 30.000 livres auxquelles serait soumis en rigueur» Saverio Costanzo52, «négociant et savonnier» originario di Sorrento e titolare di un comptoir à la rue des Quatre Tours a Marsiglia53, al quale è destinato un carico di 3.400 milleroles di olio «greco» détourné attraverso il porto franco di Trieste e dichiarato «italiano». È interessante notare che, di fronte alla richiesta della Chambre di pagare, oltre ai diritti dovuti dall’olio «italiano», una modesta multa di 2.557 livres «à titre de contravention»54, ossia meno di un decimo di quanto la legge prevede, Costanzo paga ma riapre la negoziazione presentando una richiesta al Conseil d’Etat perché la multa gli venga restituita55, ed una supplica alla regina di Napoli perché lo appoggi. La regina raccomanda Costanzo all’ambasciatore francese, ma poi si accorge di essere stata «trompée», e la richiesta viene sdegnosamente respinta56; ma l’episodio mostra con chiarezza come questo spazio amministrativo, lungi dall’essere, come nelle definizioni tecniche, l’ambito di applicazione di norme a soggetti che non hanno il diritto di interloquire, si configuri in realtà come un vasto campo di contrattazione corale. La negoziazione ed il riposizionamento continuo degli attori economici ed istituzionali a seconda degli esiti della negoziazione stessa ruotano comunque, piuttosto che attorno agli elementi portanti del quadro istituzionale – come il 20% o la «franchise du pavillon» che permette alle navi francesi di fare contrabbando a dispetto degli arrendatori dei proventi delle dogane – sui processi decisionali legati al verificarsi o meno di situazioni congiunturali: la normativa mercantile inerente alla neutralità o al coinvolgimento negli eventi bellici; la chiusura o l’apertura delle esportazioni delle merci «politiche», grano ed olio in primo luogo, o delle materie prime di settori chiave come il setificio ACCIM, H 124 bis, B 64, Huiles étrangères, Correspondance active de la Chambre, 7.11.1785; B 19, Délibérations de la Chambre, séance du 1.02.1786; K 143, Correspondance consulaire, Messine, Lettres de J.B. Lallement, 25.2.1780, 11.3.1786, 13.5.1786, 14.7.1787, 11.9.1790, 30.10.1790. Su quest’affaire, cfr. anche Boulanger, op. cit. 52 ACCIM, H 124 bis, Huiles étrangères, lettre rédigée à Versailles, 27.11.1785. 53 ADBR, B13, Tribunal de commerce, Enregistrement des actes déposés au greffe: dépôts de bilans, cautionnements, affirmations de voyage, actes de sociétés en dissolution; 4 floréal an VIII, 7 pluviôse an VIII. Cfr. anche Archives Municipales de Marseille, Guides marsellois, 1786, 1787-88. 54 ACCIM, B 19, Bureau de la Chambre tenu à l’Hôtel de Ville, 1.2.1786. 55 ADBR, C 2647, Copie d’une lettre du Maréchal de Castries, 7.5.1786. 56 ACCIM, H 124 bis, Huiles étrangères, Lettre de M. de la Tour à la Chambre, 15.5.1786; AN, AE, BI 901, Correspondance consulaire, Naples, Lettres de M. Périer, 11.3.1786. 51 70 Annastella Carrino, Biagio Salvemini e la tessitura57; i «riti doganali»58 e le «chicanes continuelles des officiers de la Douane»59; le «vexations» dei tribunali napoletani in particolare nei confronti dei creditori60; le politiche di prevenzione dei contagi. È un ambito che diventa centrale man mano che la contesa per il «commercio attivo» si inasprisce ma, anche per ragioni connesse agli equilibri politici, non può giocarsi sui livelli piú elevati ed ufficiali, con mosse e contromosse di politica economica incisive e vistose. Il «commercio attivo» viene perseguito attraverso un reciproco «harassement» che, sotto gli occhi delle magistrature superiori, coinvolge migliaia di ufficiali e mercanti. Ne deriva un abbassamento del livello dei decisori ed un coinvolgimento sistematico nel processo decisionale degli stessi soggetti che dovrebbero subirlo. I luoghi delle decisioni si diffondono, si frantumano, si avvicinano agli attori della vita economica, dando origine a intrecci di interessi e di ruoli. La negoziazione tende a diventare «democratica». Un luogo assolutamente centrale, produttore di decisioni di enorme importanza per la vita quotidiana dello scambio, è costituito dalle magistrature sanitarie. Sulle rotte tirreniche, quelle di Marsiglia, Genova, Livorno, Napoli, Messina e Palermo costruiscono quotidianamente la trama normativa di breve e brevissimo periodo dentro la quale si svolge la vita del commercio. Le enormi quantità di informazioni scambiate producono decisioni di immediato carattere performativo sui traffici, che si ripercuotono da una piazza all’altra in un processo a catena aperto a manipolazioni di ogni tipo e livello. Si tratta di materia caldissima ma collocata in buona parte nelle mani di ufficiali periferici. In particolare quelli napoletani suscitano proteste vivaci e continue da parte di consoli e mercanti francesi, che vedono vanificarsi pilastri istituzionali dei loro traffici come la «franchise du pavillon» o il diritto di padroni e marinai alla «paccottiglia». Sulla base della falsa notizia di un contagio scoppiato nel lazzaretto di Marsiglia – scrive alla Santé il console francese a Messina il 14 novembre 175261 – si fa fare quarantena nei Regni di Napoli e Sicilia non solo alle navi francesi in provenienza da Marsiglia o dalla Provenza, ma anche a quelle Si veda, su questo, P. Macry, Mercato e società nel Regno di Napoli. Commercio del grano e politica economica del ’700, Napoli, Guida, 1974; E. Alifano, Il grano, il pane e la politica annonaria a Napoli nel Settecento, Napoli, Edizione scientifiche italiane, 1996; A. Montaudo, L’olio nel Regno di Napoli nel 18. secolo: commercio, annona e arrendamenti, Napoli, Edizione scientifiche italiane, 2005; D. Ciccolella, La seta nel Regno di Napoli nel XVIII secolo, Napoli, Edizione scientifiche italiane, 2003. 58 L’espressione è di G.M. Galanti, Relazione sulla Calabria meridionale per le finanze, 25 febbraio 1793, in Id., Giornale di viaggio in Calabria, a cura di A. Placanica, Napoli, Società editrice napoletana,1981, p. 346. 59 AN, AE, B I 897, Correspondance consulaire, Naples, relazione del 2.11.1776. 60 Cfr., ad esempio, ACCIM, K 135, Correspondance consulaire, Naples, 1775-1793, Lettres de J.B. Lallement, 25.2.1786. 61 ADBR, 200 E 416, Lettres des ambassadeurs, consuls, agents français et administrations sanitaires étrangères, XVIIe-XIXe s., lettre envoyée de Messine le 14.11.1752. 57 71 Il Tirreno nel Settecento che arrivano dalle coste meridionali. Né si tratta di una semplice «quarantaine de précaution», ma di quella che si applica «aux bastimens pestiférés, nous faisant décharger tout ce qu’il y a à bord, en nous mettant deux gardes, nous visitant par tous les recoins des bastimens; jusque dans les caisses de l’équipage et celles du capitaine». Il caso è «trop marqué» per credere che abbia a che fare con questioni di pubblica salute: «La chose est faite à dessein» per danneggiare la navigazione francese a vantaggio di quella napoletana. Qualche decennio dopo dall’osservatorio di Messina si fa insistita la denuncia della gestione particolaristica della sanità marittima napoletana come strumento di promozione del «commercio attivo» a scapito dei concorrenti: Les quarantaines à Naples rapportent trop d’argent aux particuliers chargés de cette partie de l’administration publique, pour croire qu’ils ne veuillent pas profiter des plus légers prétextes pour les multiplier, sans que le Ministère veuille réfléchir que si de pareilles gènes aussi inutiles que capricieuses dérangent le commerce et la navigation des étrangers, elles ruinent toutes les provinces du Royaume qui regorgent de denrées invendues, parce qu’il en coute trop de tems et trop d’argent pour aller les y chercher. Nous sommes malheureusement ceux qui en souffrent le plus. C’est notre pavillon qui fait une grande partie du cabotage de la Méditerranée, et c’est sur nous que tombent les frais exorbitantes de ces quarantaines; aussi notre navigation diminue-t-elle tous les jours, et les Génois et les napolitaines qui ont l’art de s’y soustraire par des moyens dont nos capitaines rougiroient de se servir, en profitent et enlèvent à la place de Marseille le bénéfice assez considérable qu’elle faisoit sur le grand cabotage62. La lettera di Lallement si conclude con una esortazione al sovrano francese perché usi la sua potenza simbolica, politica e finanche militare per ridurre alla ragione il parente che siede sul modesto trono napoletano, inducendolo a forme piú ortodosse di mercantilismo; ma, nel caso del nostro console, questa è una sorta di formula di congedo stereotipica, che nel suo stesso ripetersi denuncia la propria inefficacia. Ben piú risolutiva può essere viceversa l’azione che si dispiega sul bordo delle istituzioni, a ridosso dei moli, in contatto diretto con navi, merci e marinai: e non solo mettendo in atto un «coup» notturno, del tutto illegale e azzardato come quello che abbiamo descritto in precedenza. Nell’aprile 1782 il capitano Pierre Royze, che, proveniente con il suo pinco dal Levante ha fatto scalo a Messina, dovrebbe scontare la quarantena a Marsiglia non essendo stato ammesso in quarantena dalla deputazione di Palermo, secondo gli ordini rigorosi in tal senso del sovrano napoletano. In realtà, scrive Lallement, sarebbe stato facile ottenere una deroga. Ciò che lo ha dissuaso a percorrere questa strada è «le cours ordinaire des dépêches de cette cour», il quale avrebbe fatto perdere agli interessati troppo tempo in pregiudizio dei ADBR, 200 E 416, Lettres des ambassadeurs, consuls, agents français et administrations sanitaires étrangères, XVIIe-XIXe s., lettre envoyée de Messine le 25.9.1784. 62 72 Annastella Carrino, Biagio Salvemini loro interessi63. In altri casi la negoziazione viene messa in atto ed ha successo. Nel 1785 vige il «rigoroso costituto» del re di Napoli che impone «quarantaines d’observation» alle imbarcazioni francesi, ma il 22 ottobre Michel Périer può trionfalmente comunicare alla Chambre che è «enfin parvenu à obtenir la suppression» di questa misura64. Sarebbe assai interessante capire lungo quali canali e secondo quali procedure Périer si sia mosso. Ciò che comunque appare evidente è che la legge emanata dal re non giunge direttamente agli attori ed alle loro pratiche, ma viene reinterpretata e manipolata in una zona ipernormata e al tempo stesso opaca; una sorta di limbo territoriale in cui si incrociano gli agenti e gli istituti di molte sovranità, dove si addensano istituzioni che smarriscono la natura pubblicistica loro assegnata dai processi di statizzazione e si aprono alla dimensione del privato, ad un mondo di attori situati stabilmente in bilico fra vari sistemi di norme ed appartenenze, ed a loro volta in grado di praticare quei margini istituzionali e partecipare ai processi decisionali lí situati. Proporre in questo contesto una lista di comportamenti fraudolenti – che i documenti classificano volta in volta come contrabbando, uso di bandiere plurime, scambio di patenti di sanità e di identità personali, false dichiarazioni di provenienza – sarebbe al tempo stesso assai facile ma, in una qualche misura, ozioso. La frode presuppone, da un lato, una tavola delle leggi rispetto alla quale misurare la devianza della pratica fraudolenta, dall’altra la collocazione in una dimensione pubblicistica di quanti sono chiamati a misurare e punire la frode stessa: condizioni, lo abbiamo visto, in larga parte assenti nel nostro spazio. Il free riding, l’estrarre profitti differenziali eludendo le norme in un contesto di attori che vi si attengono, è un fenomeno reso inconsistente dal suo stesso generalizzarsi. I «cattivi» di questi spazi, coloro che producono disonore per se stessi e la propria patria, non sono tanto coloro che commettono reati – o, se si vuole, coloro che peccano; bensí gli inetti, coloro che non sono in grado di mobilitare le risorse, ivi comprese quelle istituzionali, per conseguire un commercio «attivo» per sé ed i propri soci da un lato, e per il proprio sovrano dall’altro. È per questo che il famigerato «formicaio»65 dei «contrabbandieri» francesi sulle coste tirreniche, a differenza di altri «contrabbandieri» non meno numerosi, i liguri in primo luogo, suscita solo repulsione e disprezzo da parte delle stesse istituzioni che dovrebbero proteggerli. Sulle 140 imbarcazioni francesi che fanno due-tre volte l’anno il viaggio dalle coste francesi mediterranee a 63 ADBR, 200 E 416, Lettres des ambassadeurs, consuls, agents français et administrations sanitaires étrangères, XVIIe-XIXe s., lettre envoyée de Messine le 6.4.1782. 64 ACCIM, K 135, Correspondance consulaire, Naples, 1775-1793, Lettres de M. Périer, 22.10.1785. 65 L’espressione è di Bernardo Tanucci (Caserta, 16 febbraio 1773), in Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), a cura di R. Mincuzzi, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento, 1969. 73 Il Tirreno nel Settecento quelle napoletane – si legge in un mémoire del 1776 proveniente dal Consolato francese a Napoli – solo una ventina lavorano per conto di negozianti solidi. Gli altri sono dei «misérables caboteurs», «petits patrons avides» che con le loro «petites tartanes» animano un «misérable commerce», «une contrebande minutieuse» che «nous expose tous les jours aux querelles les plus désagréables de la part du Gouvernement Napolitain, et fait également tort et déshonneur à notre commerce»66. Tutto questo propone, per il mercantilismo francese, una difficile contabilità costi-benefici sul terreno della protezione della navigazione: «Je ne vois pas, tout compté, que les avantages que nous en retirons vaillent la protection que, d’un autre coté, il est impossible de ne pas accorder au pavillon français». Anche perché non si vede come possano far concorrenza a quei «genovesi» nelle cui mani è finito «presque absolument» il «commerce lucratif» dell’olio del Regno di Napoli: una derrata «dont nous ne pouvons pas nous passer pour nos manufactures de savon». La differenza fondamentale fra «misérable contrebande» francese e cabotaggio dei «genovesi» non sta certo nel diverso livello di adesione all’etica ed alle norme del commercio, ma nel fatto che questi ultimi, «étant les plus forts, se rendent maîtres d’établir les prix»: essi «mèlent les différentes espèces d’huile», avendo a disposizione, sulla costa ligure, «les lieux de correspondance auxquelles ils puissent se fier pour les mélanger». In piú, aggiungerà Lallement, cercando i loro corrispondenti nei borghi provinciali e legandosi a costoro con rapporti diretti, non sono, come i Francesi, che agiscono tramite le grandi piazze di Napoli e Messina, «obligés pour leur sureté de contracter par des actes publiques qui mettent leur opération en évidence et ne laissent pas des voyes de se soustraire aux droits»67. La «costituzione materiale» che regge questo spazio tirrenico non promuove prevedibilità e fiducia reciproca fra gli attori inducendo rispetto per le norme che le istituzioni formalizzano e sorvegliano, ma rendendo ben visibili agli occhi degli attori le regole di fatto e le etiche contestuali che agiscono in ciascuno dei segmenti di mercato e li occupano spesso in forme quasi monopolistiche. Ne derivano sedimentazioni e regolarità evidenti ma precarie, che iscrivono il mutamento sociale e spaziale fra i loro caratteri costitutivi. L’accelerazione dei tempi nei decenni fra Sette e Ottocento scombinerà e riconfigurerà il nostro spazio mercantile in forme nuove, esse pure difficilmente deducibili dalle «permanenze» mediterranee. AN, AE, B I 897, Correspondance consulaire, Naples, relazione del 2.11.1776. ACCIM, H 124 bis, Huiles étrangères, Réflexions sur le commerce des huiles à Marseille par les Génois, 1787. 66 67