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Il castello di Pietrabuona

2012, Merlo A. (ed.), Il castello di Pietrabuona, Edizioni ETS, Pisa 2012.

Volume sull'analisi dei processi formativi dell'insediamento alto-medievale di Pietrabuona (Pescia, Pistoia). Nel libro l'autore sintetizza gli esiti di una ricerca pluridisciplinare (i contributi estesi sono racchiusi a loro volta in una pubblicazione digitale a sé stante) all'interno di un più vasto progetto di ricerca sulla Valleriana.

Quaderni di Rilievo Urbano Direttore Alessandro Merlo Comitato scientifico Stefano Bertocci, Marco Bini, Emma Mandelli, Francisco Juan Vidal Comitato di redazione Cristina Boido, Gaia Lavoratti, Francesco Maglioccola, Alessandro Merlo, Uliva Velo, Giorgio Verdiani Quaderni di Rilievo Urbano Alessandro Merlo, Il castello di Sorana, 2010, pp. 246 Alessandro Merlo, Il castello di Pietrabuona, 2012, pp. 246 Aa.Vv., Il castello di Aramo, in preparazione Gaia Lavoratti, Pescia insediamento bipolare, in preparazione La collana Quaderni di Rilievo Urbano ospita i risultati delle ricerche operate nello specifico ambito della città e del territorio, utilizzando il rilievo come strumento prioritario per la lettura e l’interpretazione delle diverse realtà indagate. Nel loro piano generale i Quaderni si compongono di una sezione principale – nella quale saranno pubblicati, in numeri monografici a loro volta raccolti in sezioni tematiche, gli esiti di ricerche, convenzioni o tesi di laurea, con particolare valore scientifico – e di un settore rivolto agli Strumenti per la Didattica. Ciascun volume è corredato di un DVD (Materiali per la Ricerca) nel quale viene raccolta la documentazione che è stata utilizzata e gli esiti della ricerca stessa, in formato editabile, consentendo così a coloro che intendessero proseguire nello studio, di disporre di un insieme di dati ancora troppo spesso non reperibile od ottenibile con tempi eccessivamente lunghi. Alessandro Merlo Il castello di Pietrabuona Edizioni ETS Dipartimento di Architettura Disegno Storia Progetto Lions Club Pescia Il presente studio è stato finanziato con i fondi per la Ricerca Scientifica di Ateneo (ex quota 60%) – titolo del progetto “Rilievo e documentazione del borgo murato di Pietrabuona“, (rif. n. 1.12.03 SDISMERLATEN10), responsabile Prof. Alessandro Merlo – e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia (rif. n. FA 1.03.12.02 MERLCRPP10), della Banca di Pescia (rif. n. 1.03.12.02 SDIS.MERLPUBBLI) e del Lions Club Pescia (rif. n. 1.03.08 SDIS.MERLIONSPI) In copertina ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36 (particolare), realizzato dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni. L’acquerello, che raffigura il castello di Pietrabuona, rientra in una sperimentazione del Catasto Pietroleopoldino avviata su alcune comunità del Pistoiese e del Senese nella seconda metà del Settecento ed interrotta nel 1785. Al centro l’abitato di Pietrabuona con le vestigia delle mura castellane, al tempo ancora integre. Copyright dell’Archivio di Stato di Firenze; su concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Sono vietate ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo. © Copyright 2012 EDIZIONI ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze] ISBN 978-884673435-8 Il castello di Pietrabuona La natura di questa ricerca ha richiesto la partecipazione di un nutrito gruppo di studiosi di discipline diverse, i cui apporti hanno consentito di delineare un quadro quanto più esaustivo possibile della struttura urbana di Pietrabuona e delle sue vicende edilizie. A seguito di questa impostazione, lo scrivente, oltre ad aver coordinato le diverse fasi dello studio, si è cimentato nella rielaborazione dei testi scritti dai collaboratori (i cui originali sono riportati integralmente nel DVD) con il duplice scopo di: “armonizzare” tra loro in un unico saggio parti alcune volte troppo specialistiche o, in altri casi, ripetitive e ridondanti, che avrebbero reso la consultazione del libro faticosa, costringendo il lettore a continui salti da un contributo all’altro per poter delineare un profilo coerente della storia materiale del castello; assecondare le esigenze editoriali e tipografiche che impongono il rispetto delle caratteristiche proprie della collana (l’apparato di note, ad esempio, è stato fortemente ridotto e le singole bibliografie sono confluite in un unico elenco generale). Molti scritti, pertanto, hanno perso la loro “individualità” a sostegno di tesi più complesse. Gruppo di ricerca Responsabile scientifico Alessandro Merlo Coordinatori Alessandro Merlo, Giorgio Verdiani, Gaia Lavoratti, Pablo Rodriguez Navarro (per il gruppo spagnolo) Campagna di rilievo ed acquisizione dati Restituzioni grafiche ed elaborazioni dati Documentazione storica Elisa Bechelli Elaborati grafici CAD Laura Aiello, Silvia Bertacchi, Erica Ganghereti, Gaia Lavoratti, Alessandro Merlo, Uliva Velo Documentazione fotografica Cinzia Jelencovich, Antonino Meo, Giorgio Verdiani Rilievo diretto Laura Aiello, Matteo Bargellini, Silvia Bertacchi, Erica Ganghereti, Stefano Giannini, Francesca Grillotti, Gaia Lavoratti, Alessandro Merlo, Sabino Pellegrino, Nevena Radojevic, Uliva Velo Rilievo topografico Gaia Lavoratti, Alessandro Merlo, Francesco Tioli 6 Elaborazione nuvola dei punti Laura Aiello, Silvia Bertacchi, Sara D’Amico, Erica Ganghereti, Francesca Grillotti, Gaia Lavoratti, Alessandro Merlo, Uliva Velo, Giorgio Verdiani Database nuvola dei punti Alessandro Merlo, Giorgio Verdiani Elaborazioni 3D Andrea Aliperta, Filippo Fantini, Luca Dalcò Rilievo laserscan Alessandro Peruzzi (Area 3D - Livorno) Schedatura - Database tessiture murarie Antonino Meo Rilievo archeologico Federico Andreazzoli, Antonino Meo Analisi del paesaggio Emanuela Morelli Rilievo del paesaggio Sara D’Amico, Emanuela Morelli Analisi UME e UMU Duccio Troiano Schedatura UME e UMU Duccio Troiano Schedatura iconologica Database stemmi e simboli Cinzia Jelencovich Collaboratori Marco Bennati, Giacomo Fabbri, Francesca Fantasia, Valentina Fantini, Mattia Genuini, Stefano Giusti, Sofia Laghi, Giulia Minutti, Giuseppe Monterisi, Riccardo Montuori, Giulio Moriani, Massimiliano Napoli, Marinella Stillavato Analisi iconografica Elisa Maccioni Relazione geologica Serena Di Grazia Non poteva mancare in apertura del volume un richiamo esplicito alla Fondazione Caripit, che più di ogni altro ha sostenuto la ricerca che viene data alle stampe con questo libro. Purtroppo i molteplici impegni del suo Presidente, il prof. Ivano Paci, ed il ritardo con il quale gli ho sottoposto il lavoro affinché potesse scrivere di suo pugno una breve presentazione non gli hanno consentito di redigerla in tempo utile per essere pubblicata. Ne faccio pubblica ammenda, sentendomi ancor più in dovere di colmare questa pagina rimasta bianca fino all’istante prima di andare in stampa. Sono note le attività della Fondazione e la dedizione con la quale sostiene numerosi progetti i cui esiti hanno una ricaduta sul territorio di Pistoia e della sua provincia, ma forse pochi sono a conoscenza della fiducia che i membri del consiglio hanno riposto nel corso degli ultimi dieci anni nelle iniziative coordinate da chi scrive assieme al Dipartimento di Architettura: DSP di Firenze. Iniziative che concernono la Valleriana e gli insediamenti che vi fanno parte e che vedono numerosi ricercatori di ambiti disciplinari diversi collaborare assieme per uno scopo comune: avviare un processo virtuoso di conoscenze affinché il patrimonio culturale rappresentato da queste realtà possa essere preservato ed adeguatamente valorizzato. Non c’è mai stata occasione di parlarne direttamente con il Presidente, confesso che non ci siamo mai incontrati, ma sono sicuro che nutriamo la stessa aspirazione di rendere migliore il territorio in cui viviamo. Ed è così che tra mille difficoltà alimentate in parte dal periodo di austerity in cui ci troviamo escono, dopo quelli di Sorana, questo secondo volume su Il Castello di Pietrabuona e il DVD Materiali per la Ricerca: il castello di Pietrabuona, resi possibili grazie all’interessamento di molti ed al finanziamento proveniente, in larga parte, dalla suddetta Fondazione. prof. Alessandro Merlo 7 L’obiettivo di una Banca di Credito Cooperativo è quello di produrre utilità e vantaggi di natura economica, sociale e culturale a beneficio di tutta la collettività; ciò avviene grazie all’attività creditizia e mediante la donazione di una parte degli utili al fine di promuovere lo sviluppo del territorio. La Banca di Pescia quest’anno, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua fondazione, si è fatta promotrice di numerosi interventi anche in ambito extra economico, impiegando le risorse finanziarie a vantaggio del territorio in cui opera e le raccoglie. Conoscere per preservare e valorizzare realtà a torto ritenute marginali e di indubbio valore storico come i centri della Svizzera Pesciatina è stata la motivazione che ha condotto la Banca di Pescia ad accogliere l’ampio progetto che ha dato come frutto questo importante studio diretto dal professor Alessandro Merlo. Lo studio di ampio respiro, raccolto in questa pubblicazione sul castello di Pietrabuona, grazie al rilievo integrato ed allo sviluppo di un sistema di archiviazione potrà soddisfare anche necessità di tipo urbanistico-amministrativo. Non possiamo però non rilevare che il riportare alla memoria le caratteristiche di uno dei dieci borghi che costituiscono questo tesoro naturalistico ha anche lo scopo di far conoscere l’importanza di quello che fu un fiorente centro ed il graduale processo di abbondano cui fu destinato. Ripercorrere l’esistenza degli antichi edifici, dei quali si conservano oggi soltanto alcuni residui murari, come quelli appartenenti all’originaria chiesa di San Matteo, ci dà la misura di ciò che eravamo e la consapevolezza che solo attraverso la conoscenza del passato possiamo guardare al futuro con maggior responsabilità e cognizione. Un’opera, dunque, piena di passione e rigore scientifico, che saprà costituire, nel tempo, un valido strumento di discussione, divulgazione e interesse. dott. Franco Papini Presidente Banca di Pescia 8 Il Lions Club Pescia ha aderito con grande piacere all’iniziativa del prof. Alessandro Merlo per lo studio degli insediamenti medievali della montagna pesciatina. Sono ben dieci le castella della Svizzera Pesciatina, così definita per la conformazione e la bellezza del territorio. L’abbandono progressivo dei paesi di montagna, associato al declino di un’economia caratterizzata nell’Ottocento dalla coltivazione del gelso e dalla fabbricazione della carta, ha comportato minori interventi pubblici a tutela dell’ambiente ed il conseguente deterioramento delle costruzioni esistenti. È auspicabile lo sviluppo di una politica adeguata a mantenere e tutelare il patrimonio edilizio e culturale, interpretando anche il rinnovato interesse degli stessi italiani e stranieri verso quest’area di indubbio valore storico e paesaggistico. La salvaguardia e la valorizzazione del territorio hanno guidato il progetto condotto con rigore scientifico dal gruppo di ricerca pluridisciplinare coordinato dal prof. Merlo, comprendente architetti, ingegneri, archeologi, storici e geologi, che hanno prodotto una documentazione accurata, corredata peraltro degli elaborati tecnici, a disposizione sia degli studiosi che della stessa amministrazione pubblica. Gli studi iniziati con i castelli di Aramo e Sorana sono continuati con l’analisi del castello di Pietrabuona i cui esiti vengono presentati in questo volume. I Lions, da sempre interessati nello spirito dell’associazione a promuovere il bene civico, sociale e culturale della comunità, hanno sostenuto molto volentieri il progetto, apprezzando la professionalità del prof. Merlo e dei suoi collaboratori, convinti del valore di queste iniziative volte alla conservazione e recupero delle tante ricchezze del nostro patrimonio artistico e culturale che sta a cuore di tutti i cittadini. “Viviamo per il presente, sogniamo per l’avvenire, impariamo dal passato” ing. Alessandro Taddei Presidente Lions Club Pescia 9 Abbreviazioni nel testo AALU Archivio Arcivescovile di Lucca ACLU Archivio Capitolare di Lucca ASFI Archivio di Stato di Firenze ASLU Archivio di Stato di Lucca AVPE Archivio Vescovile di Pescia AVSM Archivio Vescovile di San Miniato BSLU Biblioteca Statale di Lucca SASPE Sezione d’Archivio di Stato di Pescia Autorizzazioni Il presente volume contiene riproduzioni di documenti posseduti: – dalla Regione Toscana: foto aerea di Pietrabuona (str. 47 fot. 70; data del volo 31/03/1998). Autorizzazione S.M.A. alla divulgazione n° 22-175 del 08/06/1998. – dalla Sezione d’Archivio di Stato di Pescia: SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825. Autorizzazione alla pubblicazione rilasciata dalla Sezione di Archivio di Stato di Pescia, con protocollo n. 593/X.1.1 del 25/09/2012. – dall’Archivio di Stato di Firenze (ASFI), conservati nei fondi Segreteria di Gabinetto e Piante dei Capitani di Parte Guelfa, Cartoni e piante sciolte. La pubblicazione delle fotoriproduzioni è soggetta all’autorizzazione: protocollo 5820 class. 28.28.01/487 del 13/09/2012, copyright dell’Archivio di Stato di Firenze, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Sono vietate ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo. – dall’Istituto Geografico Militare (IGM): Carta idrografica del Regno d’Italia – F. 105. Dai documenti originali archiviati presso le conservatorie storiche dell’Istituto Geografico Militare (autorizzazione n. 6691 in data 09/08/2012). Sono vietate ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo. – della Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze. Su gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Riproduzioni fotografiche della chiesa parrocchiale: 88674; degli edifici lungo la via del castello: 102351, 102354, 104112, 104121, 104122; della chiesa di San Michele: 102362, 104124; della Rocca: 88583, 88588, 88591, 88593. – della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico e Artistico ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per il Polo Museale della città di Firenze - Gabinetto Fotografico. Riproduzioni fotografiche: 167678, 167683, 167685, 167687, 167688, 168183, 211490, 290922, 290929, 290950, 291096, 291178. – Nulla-osta dell’Agenzia del Territorio, Ufficio Provinciale di Pistoia, prot. n° 5186 del 25 ottobre 2012. Sommario Presentazioni Emma Mandelli Amleto Spicciani Introduzione di Alessandro Merlo Il significato dei nomi di Rodolfo Vanni 12 14 16 20 Capitolo I – Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore Il quadro d’insieme Evoluzione geologica del paesaggio Le strade Il sistema produttivo 27 33 37 40 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Il rilievo Aspetti geologici e geomorfologici Note storiche Indagine archeologica sulle architetture Fasi di formazione e sviluppo La Rocca L’oratorio di San Michele Arcangelo La chiesa dei Santi Matteo e Colombano Il palazzo pubblico L’ospedale di San Matteo La fontana pubblica Le cartiere “San Rocco” L’immagine descritta Simboli, epigrafi e segni di lapicidi L’ambiente urbano 45 50 53 59 79 92 103 115 136 144 146 149 160 173 186 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione Il rilevamento digitale Il database delle qualità edilizie e urbane La rappresentazione del castello 195 201 204 APPENDICE Indice della toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona di Rodolfo Vanni Indice delle schede iconologiche di Cinzia Jelencovich 215 218 ABSTRACT BIBLIOGRAFIA INDICE DEI RICERCATORI INDICE DEI CONTENUTI DEL DVD 225 229 241 243 11 Presentazione 12 Nel presentare il numero 0, primo volume della collana titolata Quaderni di Rilievo Urbano, mi ero dilungata cercando di illustrare ed accompagnare disciplinarmente gli intendimenti del progetto che tale collana sottintendeva e si proponeva di svolgere nel tempo. Personalmente mi ero augurata che tale impegno si potesse realizzare puntualmente, con la partecipazione degli studiosi coinvolti e degli enti sostenitori, per ottenere un risultato pari a quello del primo testo pubblicato. Oggi, a distanza di due anni, esce il secondo volume sull’incastellamento di Pietrabuona, insediamento, come quello di Sorana, facente parte dei borghi situati in Valleriana. I contenuti del libro sono concepiti in linea con il primo studio; gli apporti pluridisciplinari, infatti, seguono e raccolgono non solo la metodologia già sperimentata, ma sembrano averne affinato il taglio critico nei vari campi affrontati. Constatazione, questa, che non solo fa capire al lettore la volontà e l’impegno del coordinatore e del gruppo di ricerca – autori coinvolti nell’esame faticoso e lungo della rilevazione e dei dati raccolti –, ma come conseguenza mostra e rende inequivocabile l’apprezzamento per il risultato raggiunto. A memoria di chi ha interesse per questa pubblicazione mi sembra opportuno ricordare che la Valleriana, indicazione attuale di due valli distinte nel Pesciatino, ospita, su un territorio abbastanza omogeneo, dieci centri medioevali assai diversi nella loro storia sociale ed edificatoria, che formano un vero sistema paesaggistico e caratterizzano oggi quel territorio dal punto di vista ambientale. Il loro passato apparentemente simile, ma viceversa contrassegnato da vicende storiche, economiche e politiche diversificate, ha lasciato segni materiali inconfondibili, che adeguatamente conosciuti e interpretati forniscono non solo notizie concrete (quantitative e qualitative) sui resti visibili, ma anche indicazioni sulla popolazione e sugli avvicendamenti sociali che l’hanno coinvolta. L’osservazione mira a sottolineare che lo studio di ciascun borgo, di ciascun complesso religioso o militare, apparentemente analoghi fra loro, è sempre cosa nuova e differente e la ricerca che si intraprende, pur nella metodologia ripetuta, proprio attraverso la possibilità del confronto, determina una conoscenza scientifica più penetrante e tende a scoprirne individualmente la vera identità. Questo è l’obiettivo pensato e raggiunto nel continuare con perseveranza lo studio dei castelli della Valleriana al fine di documentarne, oltre la consistenza dello stato di fatto, tutti gli aspetti possibili. La meticolosità scientifica dei rilievi e l’uso dei sistemi più attuali nelle prese dei dati, nella restituzione e nella loro conservazione e consultazione, sono il primo risultato notevole conseguito dal gruppo di ricerca, che ha al suo interno gli esperti del caso, molti dei quali si erano già cimentati nella rilevazione di Sorana. Al primo si somma il secondo esito, con gli approfondimenti storici, documentari, archeologici ecc. realizzati da studiosi esperti; analisi accurate e precise che allargano la visione delle peculiarità dei resti e delle memorie testimoni di un lungo percorso attraverso i secoli. Presentazione Il terzo aspetto descritto è la lettura critica dei dati, che relaziona il contesto urbano e territoriale di competenza strutturando una metodologia sperimentata e dimostrabile nei passaggi di scala necessari dall’architettura al paesaggio, dalla configurazione urbana al particolare architettonico. Le strumentazioni delle quali oggi possiamo disporre permettono la raccolta di numerosissimi dati e contribuiscono a determinare il sistema pluridisciplinare di acquisizione. Materiale che ha necessità di essere intrepretato sia nelle rappresentazioni figurative, sia nelle risposte che possono essere tratte al fine di discernere le ragioni delle matrici del paesaggio e dell’architettura, rivelando gli elementi costitutivi strutturanti spesso celati tra intenzioni e trasformazioni avvenute nel tempo. Le ricerche perseguite dalla pubblicazione dei volumi della collana confermano perciò un duplice obiettivo. In primo luogo realizzare un percorso scientifico che apporti un contributo metodologico nel difficile ambito dello studio delle strutture urbane e del contesto che le circonda, prendendo in esame anche le reti relazionali complesse che individuano e sostanziano quel territorio. Lo studio su Pietrabuona, come il precedente su Sorana, offre i risultati dell’indagine svolta sul campo e contribuisce a formare un panorama del territorio di interesse per gli studiosi nel campo del rilievo urbano, continuando con coerenza e capacità l’approfondimento dei sistemi edilizi complessi, come personalmente avevo augurato nel presentare il primo testo della collana. Il lavoro in oggetto si pone in maniera adeguata in questo filone di studi, che sempre più nella globalizzazione attuale riveste un’importanza vitale per la ricerca ed elaborazione dei dati indispensabili per la conservazione dei beni culturali. Secondariamente, fornire agli enti preposti e alla comunità quanto è necessario conoscere con i mezzi adeguati per affrontare i problemi pratici della conservazione dell’esistente e la eventuale pianificazione e progettazione per la rivitalizzazione di questi luoghi che, negli andamenti altalenanti delle fortune economiche e dell’abbandono degli abitanti, si sono avviati verso un destino di degrado generale. Certo è che da un’attenta tutela del patrimonio culturale e dalla promozione di iniziative di buon livello tese a valorizzare quanto è ancora vivo non solo nel borgo studiato, ma nella interrelazione sociale e culturale delle dieci castella presenti lungo le valli del fiume Pescia, possono nascere suggerimenti utili a interpretare anche in modo partecipato questo tipo di riqualificazione di un paesaggio unitario. Il tutto a beneficio degli abitanti e per sostenere l’auspicabile sopravvenire di un turismo di qualità. Questa ricerca nella sua interezza non suggerisce ipotesi di trasformazione progettuale, ma si attiene ad un percorso di “rilevazione integrata” necessario per capire gli elementi vocazionali dei luoghi e diventare il riferimento di base per qualsivoglia intervento. Mi auguro che il prossimo anno sia dato alle stampe un ulteriore studio (iniziato nel 2007 ed in attesa di fondi per poter essere completato) che ha come oggetto il castello di Aramo, corredato come questo di tutti gli argomenti necessari, che persegua il fine di aggiungere un altro valido tassello alla lettura della Valleriana, mantenendo fede ad una finalità scientifica aperta nelle metodologie di indagine e nei mezzi innovativi di supporto, ma specializzata nella scelta dei luoghi da indagare, conoscere e comunicare. Firenze, settembre 2012 Emma Mandelli 13 Presentazione 14 Una tesi di laurea su Aramo, un libro come questo su Sorana, e infine Pietrabuona, che è, per così dire, la porta di accesso a due valli, polmoni dell’attuale Pescia. La Valleriana ad Occidente, ancora quasi tutta lucchese, e la valle Avellana ad Oriente, fiorentina dal 1339. Si comincia dunque a studiare questa parte montana della Valdinievole pesciatina, e me ne rallegro con l’amico prof. Alessandro Merlo, che con attenta generosità ha così risposto ad un mio invito di dare uno sguardo agli impianti urbani dei paesi, ora spopolati e rinsecchiti, della Valleriana. Per fissare un solido punto di partenza, la necessaria premessa materiale di una storia tutta da pensare e da scrivere, ora che tutto pare sia finito. Se per lungo tempo da questi luoghi alti della montagna la gente scendeva verso il piano e ritornava lassù portando con sé la ricchezza della vitalità economica e delle relazioni umane, oggi ne è discesa per vivere altrove. L’arco di questi antichi paesi, di Fibbialla, Medicina, Pietrabuona, San Quirico, Aramo, Castelvecchio con Sorana, Stiappa e Pontito, forma un bel disegno quasi naturale, nel verde dei boschi inselvatichiti, con le antiche case, con le chiese e i campanili, a testimonianza di un passato esuberante, nel silenzio del presente. Pietrabuona mi pare che patisca questo immiserimento più di tutti gli altri paesi della Valleriana perché, insieme con tutto il resto, subisce anche la chiusura e l’abbandono – lungo il corso del torrente Pescia, che scorre ai suoi piedi – delle cartiere, un antico innesto manifatturiero nel suo territorio agricolo-pastorale. Questa zona infatti possedeva – e inutilmente possiede ancora – due elementi naturali assolutamente necessari nella fabbricazione della carta, della seta e del cuoio: l’acqua in discesa, che mette in moto le macchine, e il vento della gola montana, che asciuga la produzione. Due elementi della natura oggi facilmente sostituibili in altro luogo, più comodo per un efficace impianto industriale, rispetto a Pietrabuona che è luogo di difficile accesso. Ma nel passato bisognava collocare le manifatture dove fosse stato possibile organizzare al meglio la produzione. Cosicché dal secolo XV a tutto il XIX, la zona di Pietrabuona fu sede di importanti industrie, nate per iniziativa di uomini audaci, venuti anche da lontano. Da costoro nacque poi la ricca e colta aristocrazia pesciatina, che troviamo al servizio della corte medicea e di quella di Roma, a cui più tardi successe una nuova generazione risorgimentale, di una altrettanto aristocratica borghesia. Con le sue cartiere, Pietrabuona entrò nella grande storia, almeno nella storia economica dell’industrializzazione e dei commerci a grande distanza. E di riflesso entrò anche nella storia ecclesiastica, poiché forse non a caso, dall’inizio del secolo XVI, il parroco di Pietrabuona, fino quasi all’epoca risorgimentale, fu di diritto il canonico tesoriere della prepositura di Santa Maria di Pescia, espressione ecclesiastica, tra XVI e XVIII secolo, della potente aristocrazia cartaia pesciatina. Un altro interessante riflesso mi parrebbe anche che sia la strana e stonata Presentazione edificazione della nuova enorme chiesa parrocchiale, con la piazza e le abitazioni tutto intorno, come nuovo insediamento costruito subito fuori dell’antico paese: quasi con uno spirito, direi, cittadino. La nuova chiesa fu inaugurata il 3 giugno 1849, come a dire negli anni del maggiore successo produttivo delle cartiere di Pietrabuona, nel clima anche di rinnovamento politico, in quel momento represso, ma di cui la ricca borghesia industriale pesciatina sarà protagonista. Se dunque la nuova chiesa ottocentesca, con le sue forme architettoniche sproporzionate ed estranee alla realtà del paese, non fu una stramberia del progettista, precorritrice dei nostri tempi, bisogna pensare che abbia avuto un senso. Altrimenti dove erano il parroco, il vescovo e la gente del luogo? Allora anche la chiesa nuova ottocentesca sarebbe un sintomo importante del processo storico locale, come lo sono certamente anche i precedenti ben documentati spostamenti della chiesa locale. È infatti ben noto, per gli storici medioevisti, il processo di spostamento del luogo di culto dall’esterno all’interno delle mura castellane, di cui i diversi contributi di questo libro forniscono ampie e precise attestazioni. Secondo una tipologia del tutto comune, anche all’inizio di questa storia è testimoniata la presenza di un modesto oratorio, dedicato a San Michele, all’interno della cerchia muraria, e la presenza di una cappella, dipendente dalla chiesa battesimale di Santa Maria di Pescia, al di fuori delle mura, in modo da consentire l’accesso a tutta la popolazione del territorio. Sappiamo poi che nel secolo XIV questa cappella esterna fu abbandonata (e trasformata in fortilizio) e l’ufficiatura spostata nell’oratorio interno di San Michele, trasformato in una nuova chiesa di più grandi dimensioni. Fatto che a me parrebbe indicativo della nascita di una parrocchia autonoma, o almeno premessa pastorale per l’ottenimento del fonte battesimale. Era nato evidentemente anche un comune rurale. In tal modo i vari spostamenti del luogo di culto con le necessarie modifiche strutturali e architettoniche, mi pare dunque che potrebbero essere assunti come importanti indici di evoluzione storica della comunità umana che là abitava. Ma cosa è successo quando nel mondo agricolo del secolo XV si innestò la manifattura? E nei secoli seguenti si distinse forse il modo di vivere e di pensare di chi abitava nel castello di Pietrabuona (contadini e pastori) da chi invece abitava nel nuovo borgo nato ai piedi del colle (lavoratori cartai)? E chi furono i parroci o i rettori e amministratori civici? L’ambito grande delle manifatture come si rapportò all’ambito ristretto del paese? Di per sé non vediamo nessun nesso organico tra agricoltura, pastorizia e manifattura della carta. I due ambiti assumono infatti un senso non se confrontati, ma se riferiti al proprio più ampio contesto di ciascuno dei due. Sono però molto contento di presentare al grande pubblico dei lettori questo libro: non è ancora un libro di storia, anche se contiene contributi storici, ma è senz’altro una premessa assai stimolante per la storia. Il rilievo urbano, che è l’oggetto scientificamente proprio di questo libro, ci porta come in un viaggio all’indietro, attraverso i segni architettonici lasciati dal tempo. Ma appunto per questo il lettore è invogliato a saperne di più: per curiosità, se si è fatto plasmare dalla temperie culturale in cui oggi viviamo; per una meditazione sapienziale, se sente ancora nel suo animo lo stupore per il mistero dell’avventura umana. Anche quella di un modesto mondo paesano come Pietrabuona, di cui chi legge vuol sapere il senso, che ancora non gli appare. Pescia, settembre 2012 Amleto Spicciani 15 Introduzione 16 A distanza di due anni dall’uscita del libro sul castello di Sorana, vede la luce il secondo volume della collana Quaderni di Rilievo Urbano, sezione Le castella della Valleriana, che ha per oggetto l’insediamento di Pietrabuona. Ventiquattro mesi sono un tempo adeguato per analizzare un nucleo urbano di limitate dimensioni, come lo sono la maggior parte dei dieci centri alto-medievali presenti nella cosiddetta Svizzera Pesciatina, secondo le finalità stabilite all’inizio della ricerca: documentare le fasi di formazione e trasformazione dell’abitato. Il metodo adottato è stato quello del confronto pluridisciplinare tra ricercatori appartenenti ad ambiti scientifici diversi: al fianco dagli architetti rilevatori hanno operato il paesaggista, gli archeologici, il medievista, il geologo e lo storico dell’arte. Non sempre il dialogo è stato semplice, talvolta sono nate delle incomprensioni che hanno spinto i singoli studiosi, ciascuno forte delle proprie certezze, ad arroccarsi su posizioni distinte, ma la predisposizione all’ascolto ha in genere prevalso; quando non è stato possibile raggiungere una convinzione unanime, si è preferito mantenere le divergenti opinioni, rendendole manifeste all’interno del singolo articolo scritto da ciascun ricercatore, confluito in forma integrale nel DVD. Indubbio rimane comunque il valore di questa formula; le perplessità dell’uno hanno trovato spesso risposta nell’altro in un crescendo di informazioni apparentemente scollegate tra loro che, proprio grazie alle molteplici competenze presenti nel gruppo di lavoro, è stato possibile riunire all’interno di un puzzle di non facile composizione, conferendo loro nuovi e più densi significati. Dal punto di vista redazionale, il libro mantiene la stessa impostazione conferita a quello su Sorana. È sembrato infatti opportuno, al fine di agevolare una eventuale lettura incrociata delle due opere, lasciare inalterata la suddivisione dei capitoli e la ripartizione dei paragrafi. Vorrei qui ricordare che il presente volume cartaceo ha uno scopo eminentemente divulgativo, ma non per questo scientificamente meno probante, e che dietro la veste del testo monografico di “agevole” lettura vi sono in realtà dei contributi di ricerca di ben altro tenore, rivolti specificatamente ad un pubblico di esperti, che qui sono stati sintetizzati ed armonizzati per conferire organicità a quello che vuole essere, nelle intenzione di chi scrive, un compendio della storia urbana di Pietrabuona. Il testo non si prefigge di esaurire tutti i possibili interrogativi che riguardano le vicende storico-architettoniche del paese; è vero semmai il contrario: il volume potrebbe infat- Introduzione ti generare nuovi dubbi, dare adito ad ulteriori ipotesi che qui non sono state formulate o spingere verso inediti filoni di indagine. Saremmo fieri se anche solo una di queste tre ipotesi si inverasse, poiché avremmo, come ricercatori, dato il nostro apporto affinché l’interesse verso lo studio e l’analisi dei centri storici possa proseguire nel tempo con sempre maggior vigore, nella convinzione che solo un’approfondita conoscenza delle dinamiche del passato possa consentire una corretta pianificazione degli interventi futuri. A tale proposito il DVD allegato al volume, ma a tutti gli effetti una pubblicazione a sé stante, racchiude, oltre agli articoli di ciascun ricercatore, gli apparati che, per ragione di spazio, non sono potuti confluire nell’opera cartacea (trascrizioni dei documenti storici, schede sui “simboli, epigrafi e segni dei lapicidi”, raffronti tra le opere realizzate dagli architetti Bernardini, dati delle campagne di rilevamento, database delle qualità edilizie ed urbane, archivio fotografico, modelli 3D dell’abitato e rilievi sia dell’intero insediamento che delle singole emergenze architettoniche). Questo insieme di documenti – salvati nel formato nativo e, pertanto, editabili –, che va sotto il nome di Materiali per la Ricerca, dovrebbe facilitare tutti coloro che sono interessati a continuare gli studi intrapresi sui centri della Valleriana. L’equipe fa vanto anche di questo, rimanendo un unicum in un panorama nazionale, nel quale ancora troppo spesso i ricercatori custodiscono i loro prodotti con inaccettabile gelosia. Il volume è articolato in tre capitoli, a loro volta suddivisi in paragrafi sottotematici. Il capitolo I ha come oggetto il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore; la lettura del paesaggio, quale disciplina di sintesi, offre infatti la possibilità di mettere in rapporto le diverse informazioni provenienti dagli studi realizzati su di una determinata parte di territorio e di andare così a cogliere quelle relazioni che si instaurano tra le componenti che lo costituiscono, desumendone Il quadro d’insieme: si è fatto riferimento, nello specifico, alla struttura geologica (Evoluzione geologica del paesaggio), al sistema idrografico e alla rete dei percorsi (Le strade) e al sistema produttivo (Il sistema produttivo), indissolubilmente legato alle risorse naturali presenti nel territorio. Non è stato ritenuto opportuno, in questa sede, fornire nuovamente un riepilogo delle principali fasi insediative di quest’area montana, essendo già state trattate nel volume su Sorana, al quale si rimanda. Il capitolo II affronta nello specifico il castello di Pietrabuona. Il paragrafo, Aspetti geologici e geomorfologici, contribuisce a chiarire la genesi della forma dei luoghi, siano essi naturali (in particolare legati all’orografia del territorio ed ai litotipi presenti) o artificiali (per ciò che concerne i materiali lapidei con i quali è stato costruito il castello). In un paragrafo a sé (Note storiche) sono stati riportati i principali eventi politico-sociali accorsi al borgo tra il X ed il XX secolo. Nonostante i numerosi documenti inediti rintracciati negli archivi consultati, dalla loro lettura non è emerso nessun dato significativo in grado di far 17 Il castello di Pietrabuona 18 progredire la conoscenza degli avvenimenti storici, mentre si sono rivelati di fondamentale importanza nella ricostruzione delle vicende legate alla struttura urbana ed ai suoi principali edifici. La sinergia tra archeologi dell’architettura e architetti ha consentito di associare a un rilievo accurato una lettura critica delle evidenze materiali, confluita nel paragrafo Indagine archeologica sulle architetture, permettendo di fatto di ampliare, grazie anche all’importante contributo degli altri studiosi, la conoscenza storica del centro rurale. Il paragrafo Fasi di formazione e sviluppo tratta infatti delle dinamiche urbane ed edilizie avvenute in seno al castello, dove per “edilizia” si intende tutto ciò che l’uomo ha costruito nei secoli con finalità inerenti al semplice abitare (edilizia di base) e al vivere sociale, spirituale e produttivo (edilizia speciale). Questi ultimi edifici: La Rocca, L’oratorio di San Michele Arcangelo, La chiesa dei Santi Matteo e Colombano, Il palazzo pubblico, L’ospedale di San Matteo, La fontana pubblica e Le cartiere “San Rocco”, oltre al trecentesco sistema di costruzioni militari atte a proteggere il castello, sono stati oggetto di uno studio minuzioso, confluito ciascuno in un paragrafo, nel quale, a lato del rilievo, vengono analizzati i caratteri costruttivi e stilistici dell’edificio e descritte le vicende che gli sono accorse nel tempo. Ma le architetture “speciali” presenti nel centro abitato sono anche i luoghi deputati ad ospitare le opere d’arte che nell’arco dei secoli sono state realizzate in ambito locale o importate dai centri maggiori. Le testimonianze artistiche presenti a Pietrabuona, oggetto del paragrafo L’immagine descritta, pongono il borgo in una posizione culturale tutt’altro che marginale nel panorama artistico toscano tra Trecento e Seicento, nella quale è possibile ravvisare una vivacità sempre pronta a far propri gli elementi elaborati nelle botteghe dei più importanti maestri di allora. Testimoni silenziosi del grado di erudizione di una comunità, le raffigurazioni impresse nella pietra dall’evidente valore simbolico, le epigrafi e i disegni lasciati dai lapicidi sui manufatti da loro realizzati, una volta riconosciuti e interpretati in relazione alla rispettiva collocazione in seno alla città, consentono di ascrivere un’opera ad un’epoca piuttosto che ad un’altra. La lettura del rilievo ha consentito, infine, di avanzare alcune ipotesi sull’esistenza di un progetto alla base della realizzazione del circuito murario trecentesco (La cerchia delle mura) e sul significato ascrivibile al particolare orientamento della porta Bolognese appartenente a questa stessa cinta (Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali). Il paragrafo L’ambiente urbano posto a chiusura di questo capitolo contiene la descrizione dei caratteri che connotano oggi gli spazi pubblici del castello: tipologia e stato di degrado delle pavimentazioni, dei paramenti murari, degli infissi esterni, dell’impiantisti- Introduzione ca pubblica, del sistema di smaltimento delle acque piovane e di quanto altro contribuisce a formare l’immagine di un luogo. Informazioni che sono state desunte mediante una schedatura realizzata in loco durante la campagna di rilevamento e confluita in un database informatizzato. Il terzo ed ultimo capitolo ospita tre diversi contributi che affrontano nel dettaglio gli aspetti legati ai metodi ed agli strumenti utilizzati nel rilevamento del centro abitato e nella successiva fase di restituzione grafica dei dati. In particolare, nel paragrafo La rappresentazione del castello sono riportati i primi esiti di un progetto nel quale si è tentato di mettere in relazione, grazie all’impiego dei software dedicati al game engine, il database contenente le informazioni sulle qualità edilizie e urbane di Pietrabuona con il suo modello 3D, realizzato utilizzando procedure di reverse modeling, retopology e baking. Conclude l’opera una corposa Appendice nella quale sono confluiti un elenco dei toponimi che ricorrono nella tradizione orale, con il relativo significato, e l’indice delle schede iconologiche, necessario per poter comprendere quali sono stati i simboli, le epigrafi ed i segni dei lapicidi indagati. Seguono, infine, le indicazioni bibliografiche dei testi consultati e l’indice degli autori che hanno preso parte alla ricerca. Alessandro Merlo Ricercatore confermato docente di Rilievo Urbano e Ambientale 19 Il significato dei nomi 20 Pietrabuona è il primo paese della montagna che si incontra risalendo verso Nord la strada Mammianese lungo la sponda destra del torrente Pescia. L’attuale insediamento è costituito principalmente da tre nuclei abitati: Castello, La Croce e San Giovanni. Castello1 (o Bicciuccolo) sorge su uno sprone di roccia a metri 186 sul livello del mare. Il primitivo insediamento era situato più a Nord dell’attuale paese, nel luogo denominato Santo Vecchio, e probabilmente da lì spostato in seguito delle incursioni degli Ungheri. Dall’altura era possibile dominare il corso dei torrenti Pescia, Torbola e San Rocco e controllare l’accesso alla retrostante montagna e, conseguentemente, i percorsi che attraverso la val di Lima e il passo di Boscolungo (Abetone) raggiungevano la valle del Po. La Croce2 e San Giovanni3, sono borghi generati dalla viabilità di lungo fiume. La Croce è situato lungo il tracciato del percorso che va da Pescia al Ponte di Sorana (risalente al 1808, è stato ricalcato parzialmente dalla Regia Strada Mammianese4 fino al luogo detto Le Due Vie), nel punto in cui gli antichi cammini si dividevano, presso il ponte sul rio di San Rocco, per salire al Castello e alla montagna. Fanno parte di questo borgo le località denominate Terrasanta5, Rimigliari6 e Le Carte7. San Giovanni si trova lungo la via Mammianese Nord. Sono sue appendici i nuclei de La Pettorina8, del Ponte di Gemolano9, de L’Inferno, de La Fabbrichina di Sotto, di Santa Caterina, de La Ferriera10 e di Chievi (o di Pilucco)11. Appartenente al vicariato di Pescia, fino alle riforme leopoldine del 1772, Pietrabuona ebbe un proprio statuto comunitativo; dal 1775 fu unita alla comunità di Vellano, mantenendo in loco uffici e magistrature, come si disse allora “per la comodità degli abitanti”. Questa situazione rimase inalterata sino al 1844 quando, con la costruzione della Regia Strada Mammianese, il paese di Vellano rivendicò la sede comunale. La modifica della giurisdizione amministrativa, a seguito dell’unione dei due territori, ebbe come inevitabile conseguenza la variazione dei confini e con essa lo scadere del senso di appartenenza alla comunità: dall’andamento dei limiti amministrativi, infatti, dipendeva a quel tempo la disponibilità di spazio per le coltivazioni, per i boschi e per gli opifici, in sostanza la qualità stessa della vita di un paese12. Pietrabuona possiede oggi un territorio limitato, forse il più piccolo fra le frazioni del comune di Pescia, che va dal limite con la comunità di Vellano, fino alla località detta Al Monte, sulle pendici settentrionali del monte Cupola13, attraversando da Est ad Ovest la Il significato dei nomi Toponomastica dei luoghi: 3. In fondo all’Arco; 11. Callone; 13. Campone; 16. Dietro il Canto; 20. Cartiera del Magnanini; 22. Case di San Rocco; 26. Sotto la Chiesa; 27. Alla Chiesa vecchia; 30. Cimitero; 31. Dietro il Cimitero; 32. Cipresseta del Magnani; 34. Al Circolo; 40. La Croce; 41. Prato della Croce; 46. A mezzo all’Erta; 47. In fondo all’Erta; 49. Ponte della Fabbrichetta; 52. Porta Fiorentina; 53. Fontana sulla Piazza; 57. In fondo alla via delle Fontanelle; 59. Frantoio delle Carte; 68. Da Guazzino; 75. via della Madonnina; 79. strada di Medicina; 82. Molino delle Carte; 83. Alla curva del Molino; 86. Porta della Montagna; 87. Al Monumento; 89. via dell’Ortola; 92. Nel Pantano; 93. Parco della Rimembranza; 96. Nelle Piagge; 100. Piazza; 101. In fondo alla Piazza; 103. Ponte della Croce; 104. Sulla Porta; 105. Nel Pratino; 112. Alle Case nel Rio; 113. Al Ponte di San Rocco; 114. Sulla Ruga; 118. Al ponte di San Giovanni; 119. Case di San Rocco; 127. via del Santo Vecchio; 130 In cima allo Scorcione; 131. Alle Scuole; 137. Al Teatro; 151. Villa Galeotti; 153. Prato della Villa; 154. Sulla Villa (cfr. par. Indice della toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona, in questo stesso volume). 21 Il castello di Pietrabuona valle della Pescia Maggiore e le contigue vallecole del rio Torbola (o Torbolino) e del rio del Cerreto (o di San Rocco). I contadini mezzadri vivevano nei poderi, in case sparse sui poggi di Zano, del Santo Vecchio, Salvareggi e Vallebuia in Vallemagnola, Pianizzori e Le Carderelle14, collegati fra loro fino a tempi recenti da mulattiere ora sostituite da più comode rotabili. I percorsi principali dipartivano dal luogo detto In Fondo alla piazza, presso l’Arco della Vecchia Dogana, costruita là dove La Selletta, situata fra il poggio del Santo Vecchio e Castello, costituiva un passaggio obbligatorio per coloro che volevano recarsi da Pescia verso i paesi della montagna. Nel 1808, dopo l’apertura della strada che passava dalla via di Cima al Prato della Croce, superava il ponte e scendeva in riva sinistra della Pescia, per poi risalire sulla riva destra fino a San Giovanni15, la dogana fu spostata in fondo all’Erta di San Rocco. La popolazione, con riferimento alle attività esercitate, si suddivideva fin da tempi remoti in almeno quattro gruppi: possidenti (numericamente piccolo, ma economicamente importante), contadini e mezzadri (il più numeroso, ma finanziariamente debole), cartai, artigiani e commercianti (cospicuo e dotato di risorse economiche) e scalpellini16 (assai nutrito ma, salvo poche eccezioni, poco agiato). Rodolfo Vanni NOTE 22 1 La forma attuale del castello è definita dal circuito di ronda dal quale dipartono le tre vie della Porta, dell’Ospedale e di Sotto al Campanile, che convergono nella piazzetta davanti alla chiesa vecchia. 2 Denominazione dovuta ad un croce posta lungo la strada da Pescia al Ponte di Sorana, davanti alle scuole (ora Museo della Carta). 3 Il nome deriva dalla chiesa che si trova sul lato Ovest della via Mammianese e che fu il famedio delle più note famiglie interessate all’attività cartaria. 4 Ha inizio nel luogo detto Porto di Altopascio, dove terminava il fosso Imperiale che drenava il lago di Bientina fino all’Arno e, dopo aver risalito i poggi di Vellano fino a Macchino, proseguiva lungo lo spartiacque della Nievole, dell’Ombrone e del Reno per scendere per la via di Prataccio dalla chiesa di Prunetta nella vallecola della Verdiana alle Ferriere di Mammiano, dove si ricongiunge, nel luogo detto L’Indicatore, con la Regia Strada Nazionale Giardini Ximenes (da Pistoia a Boscolungo, Pievepelago a Modena) ora SS. n° 66. 5 Luogo di un antico cimitero risalente alla peste del 1330 di boccaccesca memoria. 6 Situato a circa due miglia da Pescia. A 100 metri dal ponte si trova il cippo del terzo chilometro, che corrisponde alla distanza di 2 miglia (circa metri 3.200). Il prefisso Ri- indica il rivo che scorreva presso quella pietra miliare. 7 Sede di una delle più antiche cartiere della zona, ora parte del Centro per la Documentazione e Museo della Carta, denominata anche Largo Reale. Il significato dei nomi 8 Nucleo abitato sorto lungo la strada, dove esisteva un’antica cartiera di proprietà della famiglia Bini. Ponte che collega la sponda destra con quella sinistra della Pescia presso l’omonima cartiera, già Magnani, ora Bocci, che era specializzata nella produzione di cartone per uso industriale. 10 Nomi di cartiere, ormai quasi tutte dismesse, sulla sponda destra della Pescia, eccetto La Ferriera che si trova sulla sponda sinistra. 11 Attuale cartiera funzionante della famiglia Carrara (Carma). Fu distrutta dalla piena della Pescia del 21 settembre 1868, ricordata come la piena di San Matteo. 12 Descrizione del confine comunicativo prima della riforma Leopoldina del 1772: da Nord-Est, in senso antiorario, a Nord il confine è segnato dal rio del Cerreto (C.T.R. Cerreta, ma su carta I.G.M. rio Framigno), che discende dal poggio delle Tregiaie e versa in riva sinistra nella Pescia, risalendo controcorrente fino alle Case Begliomini presso la cartiera di Sant’Ilario, poi si sposta in riva destra nel luogo ove esisteva la cartiera detta di Pilucco (ora stabilimento Carma) e risale verso Ovest la ripida costa del colle di Chievi, attraverso il bosco ricordato come dei Frati Neri (congregazione religiosa dipendente dall’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, insediati a Pescia davanti alla chiesa di Sant’Antonio in via Sant’Antonio, ora parte del complesso ospedaliero di Pescia). Giunge fino al luogo detto Il Confino d’Aramo, da dove scende lungo la forra di Vallemagnola nel torrente Torbola e lo attraversa nella località Molino del Galluzzi, dove è segnato per un breve tratto dal rio del Maleto (confine con Fibbialla) fino al cippo confinario fra lo Stato di Lucca a Nord ed il Granducato di Toscana a Sud; continua poi verso Sud-Ovest risalendo la costa nel luogo detto Salvareggi e Vallebuia per raggiungere colle Moroni (confine con Medicina) a Nord del Santo Vecchio. Discende nella valle del rio del Cerreto (o di San Rocco), passando dal luogo detto Al Termine, presso la casa del podere omonimo, per un cippo confinario (il cippo è collocato in un ripiano al di sotto dell’attuale strada rotabile comunale che da Pietrabuona va a Medicina) attraversa il torrente a Nord del ponticello di Castagnaia (o di Beppe), che costituiva l’attraversamento del settecentesco acquedotto granducale che raccoglieva le acque della sorgente per condurla con una tubazione di coccio alla fontana pubblica collocata all’inizio della via delle Cartiere, ora denominata via del Cimitero. Risaliva poi la costa lungo la mulattiera che conduce ai ruderi del Molino di Fobbia (o dei Medicini). Subito dopo aver attraversato il ponticello di Castagnola esiste, se non asportato, un cippo confinario fra lo Stato di Lucca ed il Granducato di Toscana. Dalla località detta Il Metato dei Colletti si discende nel rio di Fobbia (che scaturisce alla fontanina di Sant’Anna sotto il pianoro di Culmine, dove permangono i ruderi del romitorio) e che, dopo averlo attraversato, risale il fosso di Lame (o delle Gilete per i Pietrabuonini), lungo la parte Nord del poggio delle Gilete; quindi percorre il crinale a confine con Villa Basilica fino al poggio della Romita. Percorre poi in discesa per un breve tratto il fosso di Spareti, da dove si sposta sulle pendici settentrionali del monte Cupola per scendere verso Nord e raggiungere la località detta In Cima alla Salita di San Lorenzo (o delle Macine; in questo luogo fino agli anni Cinquanta del XX secolo esisteva una fontana con abbeveratoio), scende nella Pescia e percorre controcorrente l’alveo fino allo sbocco del rio dell’Asino, che risale fino alla località Pian dei Pruni, dove esiste una delle più importanti sorgenti dell’acquedotto che alimenta, insieme a quelle di Castagnaia, un serbatoio di ricarica molto grande, costruito negli anni ‘60 del secolo XX all’inizio della via del Santo Vecchio, poco al di sopra della villa Galeotti. L’acquedotto alimenta tutta la rete idrica del paese per caduta (l’acqua raggiunge a pieno carico l’altezza del campanile). A questo punto il confine si riuniva nei boschi delle Carde (Carderelle, C.T.R.), dopo aver attraversato le pinete nella valletta del rio Framigno (o Cerreta, C.T.R. al di sopra del ponte omonimo e seguiva il confine con la comunità vellanese. 13 Le rogazioni maggiori andavano verso i confini della diocesi, raggiungendo processionalmente i luoghi de La Croce fino al confine con Santa Margherita, presso la fontanina di San Lorenzo, le Case 9 23 Il castello di Pietrabuona 24 Pianizzori (o da Brenciolo) ed il podere di Bonello nelle Carde. Un’altra risaliva il colle della Magia, percorreva la mulattiera per Aramo ed arrivava fino al Confin d’Aramo sull’ultimo colle di Chievi; discendeva poi in Vallemagnola e qui al ponte del Galluzzi sul rio del Maleto presso il Molino del Galluzzi, percorreva la via di Torbola per ritornare alla chiesa. Altri luoghi visitati erano quelli che risalivano la via del Santo Vecchio fino al luogo detto Al Termine per discendere poi al ponticello di Beppe ed andare al cippo confinario di Castagnaia con Medicina. La più lunga e più faticosa era quella che risaliva il colle di Zano e raggiungeva il luogo detto Al Monte, al confine con il comune di Villa Basilica. Le processioni, invece, generalmente si svolgevano fra la piazza, il Castello dentro il Canto, La Villa, via della Madonnina e rientro sulla piazza dalla via dell’Ortola. Solo nelle rare occasioni di processioni speciali o pluriannuali queste, dopo essere salite in Castello, compiendo il giro delle mura tornavano sulla piazza, scendevano l’Erta di San Rocco, passavano il ponte omonimo fino al luogo detto Alla Cabina e di qui entravano sulla provinciale che percorrevano fino a San Giovanni dove, nel luogo detto Alla Cooperativa, ritornavano lungo la strada da San Giovanni alla chiesa, dove si concludevano i riti religiosi. Processione tradizionale con luminaria era quella di San Matteo (ordinata dagli statuti della Compagnia) la sera del 20 settembre che, uscita di chiesa saliva in Castello, percorreva la Ruga, andava alla chiesa vecchia per poi scendere la salita della Porta e rientrare sulla piazza alla chiesa parrocchiale. Altre erano quella annuale del Corpus Domini e quella delle feste quinquennali della Madonna (la prima domenica dopo il 15 di agosto, e quella del 21 settembre di San Matteo quando la festa era decennale). La Regina del Rosario ha la particolarità di essere vestita, nonostante le disposizioni del concilio tridentino; fino all’ultima festa solenne con processione del 1972 disponeva di un corredo di abiti che ogni cinque anni erano sostituiti; questi abiti erano di colore bianco, giallo, azzurro e rosa. Altre feste religiose erano quelle di San Colombano, compatrono della chiesa, detta la festa dei contadini, il 26 novembre, e quella assai più solenne di Santa Caterina d’Alessandria, il 25 novembre. Tra i devoti di quest’ultima i cartai e tutti coloro che avevano ed hanno la ruota fra gli strumenti di lavoro. 14 Dove esistono abitazioni rurali e annessi per le lavorazioni. 15 La Croce e San Giovanni sono due borghi di strada che si consolidarono dopo il 1808 con la costruzione della “barrocciabile” Pescia-Ponte di Sorana. Prima di allora la strada più importante proveniva da Pescia, passava il ponte di San Rocco, saliva l’erta e, nel luogo detto In fondo alla piazza, si divideva in diversi rami che andavano verso i paesi della montagna e ai confini occidentali della giurisdizione fiorentina in Valdinievole. Le strade che collegavano i diversi luoghi del territorio paesano erano denominate: La Salita, fra La piazza e La Porta del Castello; la Ruga o anche via del Fondaccio, antico percorso di ronda delle mura castellane ancora intatto; la strada del Pantano, dal Fondo della piazza a San Giovanni, che era parte della strada proveniente da Pescia, nel tratto fra La Croce e La piazza denominata l’Erta di San Rocco; la via delle Cartiere, ora denominata via del Cimitero, da La piazza alla località Le Carte; la strada della Porta Fiorentina, dall’omonima porta a Mezzogiorno del castello (ora quasi completamente distrutta, rimangono i resti di uno stipite appoggiato alla rupe), incrocia la via della Cartiere e, avvolgendo le coste del poggio, scende al ponte di San Rocco; la strada del Rio o de La Fabbrichetta, o dell’Orticaia, la strada detta del Poggio di Zano, la strada lungo la riva destra del rio di San Rocco che dal ponte della via del Poggio collega tutti i poderi sulla riva destra del rio di San Rocco e, nel luogo detto Alla Capanna di Maggino, sale lungo la mulattiera della Rivolta fino alle località dette Al Monte e Pian dell’Eremita o Case Romita sul monte Telegrafo; una strada per il Poggio di Zano iniziava anche dalla via Mammianese, a Sud de La Croce in località via Canina, nel tempo corso Reale, ora Giacomo Matteotti, risaliva lungo la sponda sinistra del rio del Rimigliari passando per la località A Mata, saliva fino alla località Il Monte, al confine con la comunità lucchese di Villa Basilica, dove incontrava la stra- Il significato dei nomi da del crinale che collegava Pescia con la montagna; la via del Santo Vecchio, dal luogo detto In fondo alla piazza a Medicina attraversando i luoghi detti Case del Santo Vecchio, Il Colletto, Al Termine (dove sorge un cippo confinario fra la repubblica Lucchese e lo stato Fiorentino), colle Moroni, Le Case della Cornia (anche Quornia), Le Pillottore, Campiano; la strada di Aramo e della montagna per la val di Torbola si staccava a mezza costa dalla strada del Pantano, passava dietro le case Davanzati di Meino, scendeva al ponte sulla Torbola e risaliva il poggio della Magia verso Nord, attraverso le località Piante Vignole, Il Trasserro, Vallemagnola, percorreva poi il crinale del colle di Chievi, raggiungendo il luogo detto il Confino d’Aramo. I nuclei di Terrasanta, La Croce, San Giovanni, La Pettorina, Gemolano, L’Inferno, Santa Caterina, La Ferriera e Chievi si trovano lungo il torrente Pescia e furono collegati fra loro fin dal 1808 dalla prima strada barrocciabile della valle da Pescia al Ponte di Sorana, copiata per lungo tratto dal 1841, fino alla località detta Le Due Vie dalla Strada Provinciale Mammianese. Questa strada, attraverso mulattiere, collegava col fondo della valle i paesi di Vellano, Serra Pistoiese, Calamecca, Crespole, Lanciole, Pontito, Stiappa, Castelevecchio e San Quirico di Valleriana. 16 Gli scalpellini di Pietrabuona e Vellano vantavano un’antichissima tradizione: cavavano l’arenaria dalle viscere della montagna e la riducevano in lastrico per strade, cordoli, soglie, stipiti, portali di palazzi, ghiere da pozzo, acquai, pile, bozze per le arcate dei ponti (una delle ultime opere in pietra realizzate da queste maestranze nella zona fu la ricostruzione del ponte del duomo a Pescia, distrutto dai tedeschi in ritirata nel 1944 con tutti gli altri ponti della strada Mammianese), molazze da cartiera ed altre parti utili all’attività industriale ed edilizia. L’attività di questi operai era ben conosciuta in Toscana e nelle città vicine, dove inviavano talvolta i manufatti o dove andavano a prestare la loro attività (per esempio fornirono il materiale per la lastricatura della città di Livorno e lavorarono alla preparazione dei materiali per la stazione monumentale di Montecatini Terme). 25 Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore Il quadro d’insieme* Percorrendo la via Mammianese1, che da Pescia raggiunge i rilievi dell’Appennino, dopo aver superato in destra del fiume Pescia l’imbocco della valle stretto tra versanti ripidi e boscati, si giunge in prossimità di una curva, dalla quale è possibile abbracciare percettivamente “un quadro unitario” che ha come soggetto il fiume ed il castello di Pietrabuona (fig. 1), sentinella della porta di accesso alla Valleriana posta a controllo della viabilità principale e dell’ingresso alla valle stessa2. Dal punto di vista morfologico si tratta di una sezione di valle relativamente aperFig. 1 - Il castello di Pietrabuona e il suo paesaggio visto ta rispetto al resto del territorio situata su- dalla via Mammianese bito dopo la strozzatura posta a Meridione che la separa dalla pianura della città di Pescia, prima che a Nord la valle stessa cominci a salire verso il piano montano, dove si trovano le altre nove castella della cosiddetta Svizzera Pesciatina3. Poco a Sud del paese il corso d’acqua, che raccoglie i due bracci della Pescia e alcuni rii minori, compie un’ansa, in prossimità della quale la sezione del fiume fu ampliata nel 1864, modificando un tratto della strada Mammianese, per evitare i pericoli dovuti alle esondazioni durante i momenti di piena. Pietrabuona sorge su di un “gradino-crinale”4 posto alla confluenza delle due valli interne (la val di Forfora e la Val di Torbola) e caratterizzato geologicamente dal macigno, che ha fornito gran parte delle pietre utilizzate fino a poco più di un secolo fa per realizzare abitazioni, chiese, selciati, fonti, muri e strade. È possibile riconoscere tre importanti fasi storiche che hanno portato all’attuale configurazione dell’impianto urbano di Pietrabuona: 27 Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore – il castello medievale, che sorge a solatio su di un “gradino” morfologico e presenta la tipica struttura “avvolgente” del periodo, seguendo l’andamento morfologico del rilievo, con la rocca posta nel punto più elevato. La presenza dei sottostanti versanti, un tempo riccamente terrazzati e coltivati, doveva accentuare il carattere difensivo delle mura, oggi in parte distrutte o inserite all’interno di altri edifici, e creare una cortina inaccessibile. Dalla strada che cinge l’antico nucleo, ricalcando l’andamento del circuito murario, è possibile godere di ampie viste in Fig. 2 - Borgo San Giovanni direzione del paesaggio circostante, mentre all’interno del borgo si ritrovano strette vie rivestite in pietra. – l’espansione sette-ottocentesca che si distende sul crinale a monte (denominato Poggio della Romita) ed è collegata all’antico nucleo da una ampia piazza. Posta su di una “sella” relativamente pianeggiante, questo tipico spazio di cerniera, dal quale si beneficia di ampie e aperte visuali, ospita l’ottocentesca chiesa dei Santi Matteo e Colombano, un parcheggio, il monumento ai caduti e tre esili palme (Trachycarpus fortunei), configurandosi oggi come il principale spazio collettivo del centro abitato. – le espansioni otto-novecentesche, comuFig. 3 - Borgo La Croce nemente chiamate sobborgo di San Giovanni (fig. 2) e de La Croce (fig. 3). Il primo, che deve il suo nome alla stretta relazione con le attività delle cartiere nate in prossimità del fiume5, ha la tipica forma del borgo lineare lungo strada (fig. 4), sviluppatosi ai piedi del castello medievale. Il secondo è posto nelle immediate vicinanze di uno slargo sulla via Mammianese, a lato del Museo della Carta ed è caratterizzato da un breve filare di platani, due gelsi, il ponticello di San Rocco e altri elementi di arredo “minore”. Infine, la strada Mammianese, scorrendo nel fondovalle parallela al corso del fiume, offre a sua 28 Il quadro d’insieme volta inediti affacci sulla Pescia e sui versanti delle valli circostanti (fig. 5). Tornando al “quadro di insieme”, sono proprio i versanti delle valli a formare le quinte del castello ed i crinali a limitare lo spazio visivo. Le aree boscate dominano invece lo sfondo, presentando un’alternanza di boschi di cerro e roverella, castagneti e ampie zone a pino marittimo, robineti6 e qua e là qualche cipresso, oltre ad un sistema insediativo storico-rurale sparso, costituito in prevalenza da poderi e da numerose aree terrazzate a ciglioni, coltivate prevalentemente ad olivo, con qualche vigneto Fig. 4 - La via Mammianese disposto sul margine del declivio. I ciglionamenti presentano la tipica trama a “girapoggio” di forma rettangolare e si fanno più consistenti in prossimità del centro abitato (fig. 6). Nello specifico, il crinale che culmina con il Poggio della Romita e con il nucleo medievale presenta un’estesa area coltivata ad oliveto, mentre le aree boscate vanno a concentrarsi nella parte inferiore del pendio. Lungo la Pescia è presente la tipica vegetazione ripariale costituita da salici e ontani, alla quale si associano processi di colonizzazione di robinia; il corso d’acqua riunisce intorno a sé anche le attività umane più Fig. 5 - La Pescia, il borgo otto-novecentesco de La Croce vivaci, come le già citate cartiere, le aree e il castello medievale sportive (il campo da calcio) ed alcuni orti. Ciascuna di queste parti brevemente descritte7 è costituta da segni che si legano strettamente gli uni agli altri (fig. 7): la strada e i borghi otto-novecenteschi sono un tutt’uno e percorrono insieme l’andamento del fiume. I terrazzamenti, le stesse aree boscate e l’impianto medievale seguono la morfologia dei luoghi, non alterando né causando discontinuità; anche gli edifici delle cartiere, fuori scala rispetto alle dimensioni delle architetture del borgo, sono collocate secondo 29 Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore Fig. 6 - I versanti della valle modellati dai ciglionamenti 30 logiche insediative che nascono dal luogo stesso e dalla sua forma. Ogni elemento nel “quadro di insieme” sembra essere in simbiosi con ciò che lo circonda. Dal confronto della situazione attuale con il volo GAI del 1954 si evince che la struttura del paesaggio di Pietrabuona è ancora sostanzialmente integra e non ha subito particolari alterazioni: il centro abitato, seppure il più vicino alla città di Pescia8 rispetto alle altre castella, non è stato investito dalle espansioni contemporanee, spesso prive di forma e realizzate con tipologie architettoniche decontestualizzate, consentendo ancora di leggere gli impianti storici che lo costituiscono. I ciglionamenti, per quanto in fase di abbandono, non mostrano particolari problemi di cedimento rispetto ad altre strutture idraulico-agrarie presenti in Toscana. L’abbandono o la presenza stagionale, la mancanza di una popolazione stanziale sia nel centro abitato, sia negli spazi agricoli posti a corona intorno ad esso, possono però comportare un aumento consistente del bosco9, la chiusura definitiva delle isole poderali, il crollo dei ciglionamenti e il degrado delle architetture rurali, modificando gradualmente il carattere sia storico-culturale, sia ecologico-naturalistico della valle. Il quadro d’insieme Fig. 7 - Il disegno del paesaggio di Pietrabuona 31 Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore NOTE * Dal contributo originario “Una lettura di sintesi per il paesaggio del castello di Pietrabuona” di Emanuela Morelli nel DVD allegato al volume. 1 La via Mammianese da Pescia attraversa longitudinalmente la valle, raggiunge la località di Mammiano per poi immettersi nel Modenese (Strada Regia Modenese/Strada Ximeniana PistoiaModena). Antica viabilità, posta centralmente tra Pistoia e Lucca, permetteva i collegamenti della Valdinievole con la Pianura Padana, superando i rilievi dell’Appennino. Nel 1838, così come molte altre strade appenniniche, Leopoldo II di Lorena ne promosse un progetto di ammodernamento. 2 La lettura del paesaggio, quale disciplina di sintesi, offre la possibilità di mettere in rapporto le diverse informazioni provenienti dai molteplici studi effettuati su di una determinata parte di territorio, andando così a cogliere quelle relazioni che si instaurano tra le diverse componenti che lo costituiscono: il paesaggio infatti, sia che lo si voglia affrontare sotto il profilo visivo e percettivo, sia ecologico, naturalistico, storico o come fatto culturale, è innanzitutto “relazione”. Il “disegno” del paesaggio, inteso come l’insieme di segni impressi al territorio nel corso dei secoli, sia dall’azione dell’uomo che della natura, è a sua volta un efficace strumento, anche se ovviamente non l’unico, di lettura e rappresentazione. I segni, pertanto intesi in questo caso come le “forme disegnate” sul territorio da eventi naturali o antropici, portano con sé una “indeterminata” quantità di informazione; la loro collocazione spaziale e le modalità con cui si aggregano gli uni con gli altri determinano significato e ruolo, ciò che comunemente negli atti di pianificazione e di progettazione è riconosciuto come “valore” o oggetto di degrado e alterazione. 3 La Svizzera Pesciatina viene spesso fatta coincidere con il territorio della Valleriana. Il toponimo Valleriana, oggi utilizzato indistintamente per designare le due valli del torrente Pescia di Pescia, ha indicato invece, sin dall’alto Medioevo, la sola vallata occidentale, attraversata dal torrente Pescia di Pontito, in riferimento al piviere di San Tommaso “de Arriano” (Castelvecchio), mentre quella orientale, percorsa dal torrente Pescia di Calamecca (poi di Vellano nel ramo più a valle), costituiva quella che dovrebbe più correttamente essere chiamata valle Avellana (o Avellanita) in rispondenza, a sua volta, al piviere di San Martino di Avellano (Vellano). Cfr. A. Merlo - D. Troiano, Processi di antropizzazione, in Il castello di Sorana, di A. Merlo, Pisa 2010. 4 Si definisce “gradino” un tratto di versante con pendenza inferiore ai tratti sovrastante e sottostante, modellato nella roccia. 5 San Giovanni, al pari di Santa Caterina di Alessandria, è infatti considerato il protettore dei librai, cartai, rilegatori, stampatori ed editori. 6 La Robinia pseudoacacia, originaria degli Stati Uniti ed introdotta in Europa nel XVII secolo, è una specie alloctona e invasiva che tende a colonizzare con boschi monospecifici i boschi di querce, cedui di castagno e terreni agricoli incolti. I castagneti, che storicamente hanno caratterizzato il paesaggio forestale della valle, sono concentrati soprattutto nella fascia altimetrica compresa tra i 500 e gli 800 metri. Talvolta, per beneficiare del loro legname e dei loro frutti, sono stati impiantati anche a quote più basse in prossimità dei centri abitati o dei poderi. 7 Per le quali si rimanda agli specifici contributi presenti in questo libro. 8 Pietrabuona, trovandosi più vicino alla città di Pescia, ha sofferto in misura minore la fase di spopolamento che ha caratterizzato le altre “castella”. 9 Già peraltro rilevabile dal confronto della foto aerea del volo GAI. 32 Evoluzione geologica del paesaggio* La struttura geologica stabilisce lo schema, la bozza su cui i processi geomorfologici hanno modellato e tutt’oggi continuano a forgiare le forme del paesaggio; vi è poi l’intervento dell’uomo, che prende parte a questi processi con azioni (consolidazione, estrazione, accumulo) dettate dalle esigenze del momento. Per affrontare una trattazione esaustiva e comprensibile sulla struttura e la genesi delle rocce è necessario ricostruire brevemente le tappe dell’evoluzione geologica dell’area a partire dalla Pangea, considerando come motore delle trasformazioni della crosta terrestre la deriva dei continenti1. Nel periodo che va dal Triassico Superiore al Giurassico (200-150 Ma2 circa) il supercontinente Pangea iniziò a dividersi nell’area dove attualmente si trova la Toscana, con la creazione di un oceano di forma allungata chiamato Tetide, che separava il blocco europeo da quello africano. Nei fondali della Tetide si depositarono sedimenti carbonatici di mare poco profondo e fanghi calcarei e silicei a maggiori profondità. Durante il Cretaceo fino all’Eocene (145-55 Ma) avvenne un cambiamento nella dinamica tra le placche3. Con l’apertura dell’oceano Atlantico meridionale la placca africana iniziò a spingere verso il blocco europeo, provocando la progressiva chiusura della Tetide (Oligocene-Miocene inf. 35-20 Ma). Cominciò così una fase deformativa compressiva con la creazione di un “prisma di accrezione”4, struttura in cui si ha l’accavallamento dei sedimenti oceanici in falde che si impilano le une sulle altre, l’ultima delle quali è la Falda Toscana5, di cui fa parte la formazione che costituisce la collina di Pietrabuona. A partire dal Miocene superiore (circa 11 Ma) l’Appennino settentrionale si staccò dal massiccio Corso-Sardo e iniziò un movimento rotatorio verso Est. In questo contesto dinamico si ebbe l’emersione dall’acqua dell’Appennino e l’inizio di una fase distensiva registrata dalla comparsa di faglie dirette6 e la formazione di depressioni tettoniche (tra le quali anche il bacino di Firenze-Pistoia). Nell’area della Svizzera Pesciatina, la struttura a falde ha dato vita a monoclinali con un versante ripido “a reggipoggio”, in cui affiora la testata degli strati, ed uno a “franapoggio”, in cui il versante segue l’immersione degli strati. Tali monoclinali messi in posto durante la fase compressiva hanno creste allungate in direzione Nord/Nord-Ovest, 33 Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore Sud/Sud-Ovest. I movimenti distensivi iniziati nel Miocene hanno segnato il territorio con faglie in direzione NordOvest/Sud-Est7 che, essendo lineazioni di maggior debolezza e quindi erodibilità, hanno localmente condizionato il sistema idrografico. Durante il Quaternario i fenomeni di erosione e deposizione da parte dei corsi d’acqua sono stati i protagonisti delle ultime modifiche, ancora in atto, al territorio. Pietrabuona si sviluppa sulla parte terminale di una cresta variabile degradante verso Sud-Ovest, delimitata da due torrenti affluenti di destra del torrente Pescia di Pescia (il fosso di Cerreto ad Ovest ed il torrente Torbolino ad Est) che corrono quasi paralleli e con la stessa direzione delle lineazioni dell’ultima fase tettonica. La presenza di una sella nella cresta all’altezza dell’attuale piazza di Castello evidenzia il cocuzzolo, anch’esso a struttura monoclinale, su cui è stata edificata la parte più antica dell’insediamento. Fig. 1 - Strati metrici di arenaria in affioramento Il poggio è costituito da rocce apparai piedi del versante Sud tenenti alla Formazione del Macigno facente parte della porzione sommitale della Falda Toscana. La giacitura degli strati pressoché omogenea, con immersione verso Nord-Ovest e circa 35-45° di inclinazione, conferma l’assetto strutturale presente nell’Appennino settentrionale8. Le rocce del Macigno vengono descritte come “arenarie torbiditiche quarzoso-feldspatiche grigie o grigio-verdi, da medio fini a grossolane, in strati da spessi a molto spessi, talvolta amalgamati, a cui si intercalano strati sottili di arenarie fini, siltiti, argilliti e argilliti siltose; nella parte superiore localmente prevale una litofacies pelitico-arenacea con strati da sottili a spessi; a vari livelli, la formazione è caratterizza inoltre dalla presenza di rare torbiditi calcaree a base calcarenitica, talvolta ricca di bioclasti”9 il cui spessore massimo è di circa 3000 m con la frazione grossolana dominante alla base ed un aumento della frazione fine man mano che si 34 Evoluzione geologica del paesaggio risale la formazione10. Si tratta di sedimenti depositati nell’antico Oceano Ligure Piemontese, un ramo dell’Oceano Tetide11, tra i 25 Ma ed i 15 Ma circa (Oligocene-Miocene inferiore) quando la fase compressiva era già in atto12. Nella successione13 che in parte affiora lungo il versante Sud del rilievo su cui sorge il paese sono presenti strati metrici di sabbia grossolana (Ta) di colore marrone chiaro fortemente alterati in cui non si distingue alcuna gradazione verticale (fig. 1); salendo la successione si ha una diminuzione nella competenza degli strati di sabbia grossolana, fino ad arrivare agli affioramenti presenti nella parte alta del paese, nella cantina di un’abitazione della piazza di Castello (fig. 2) e l’affioramento sotto la Rocca, dove gli strati arenacei hanno uno spessore decimetrico. Nell’area rimane costante la presenza di numerosi cristalli di mica individuabili con una analisi con lente all’interno degli strati con granulometria grossolana. Fig. 2 - Strati decimetrici dell'affioramento in piazza di Castello NOTE * Dal contributo originario “Studio dell’evoluzione geologica nel paese di Pietrabuona con considerazioni in merito ad un’attività estrattiva all’interno della cinta muraria” di Serena Di Grazia nel DVD allegato al volume. 1 A. Bosellini, Tettonica delle placche e geologia, Ferrara 1978. 2 Ma= milioni di anni. 3 G. Ciarapica - L. Passeri, The Tuscan Nappe in northern Appennines: data, doubts, hypotheses, in «Memorie Società Geologica Italiana», n. 48 (1994). 4 Associazioni di sovrascorrimenti e pieghe che impilano e deformano rocce delle placche che partecipano alla subduzione. Il prisma di accrezione è costituito principalmente dei sedimenti depositati sul fondo oceanico della placca in subduzione impilati in falde a ridosso della placca sovrastante. 35 Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore 5 F. Baldacci - P. Elter - E. Giannini - G. Giglia - A. Lazzarotto - R. Nardi & M. Tongiorgi, Nuove osservazioni sul problema della Falda Toscana e sulla interpretazione dei Flysch arenacei di tipo “Macigno” dell’Appennino settentrionale, in «Memorie Società Geologica Italiana», n. 6 (1967), pp. 213-244. 6 Nelle faglie si distingue il “tetto” come l’area al di sopra del piano di faglia e viene definita “letto” la parte sottostante. Un faglia è distensiva quando durante il movimento il “tetto” si abbassa rispetto al “letto”. 7 R. Nardi - A. Puccinelli - M. Verani, Carta geologica e geomorfologica, con indicazioni di stabilità, scala 1:25.000- Foglio 4, Provincia di Pistoia, Firenze 1981; Trattato di geologia, morfologia ed idrogeologia, a cura di R. Mazzanti, pubblicato sul sito: www.svizzera-pesciatina.com/it/pdf/geologiamorfologia-idrologia.pdf. 8 S. Conti - R. Gelmini, Miocene-Pliocene tectonic phases and migration of foredeep-thrust belt system in the Northern Apennines, in «Memorie Società Geologica Italiana», n. 48 (1994). 9 Regione Toscana, Programma VEL. Valutazione degli effetti locali, 2007, vol. 2, p. 11. 10 P. Bruni - E. Pandeli - M. Nebbiai, Petrographic analysis in regional geology interpretation: Case history of the Macigno (northern Apennines), Geological Society of America Special Paper, 420, Boulder 2007, pp. 95-105. 11 Dal tardo Giurassico alla sua chiusura, coincisa con l’orogenesi appenninica, è stato il bacino di deposizione delle Formazioni costituenti le Unità Liguridi, Epiliguri e della serie Toscana. 12 Il deposito torbiditico altro non è che una sedimentazione gravitativa in mare profondo, un movimento denominato “corrente di torbida” che attualmente si innesca sulla piattaforma carbonatica e scivola sul fondo oceanico creando un corpo sedimentario a forma di lobo, in cui la maggior parte dei sedimenti vengono depositati nell’arco di poche ore. La dissipazione dell’energia durante il movimento della torbidite è registrato dalla sequenza sedimentaria che ne risulta: le particelle più pesanti sono le prime a precipitare e, man mano che la corrente perde energia, diminuisce il diametro delle particelle che riesce a trasportare, dando origine ad una “gradazione normale”; dato che i materiali più fini sono portati in sospensione per distanze maggiori, oltre che alla gradazione lungo la verticale si ha una gradazione orizzontale, con materiali più grossolani vicino al punto di origine e via via più sottili procedendo verso le aree distali. Nella fase iniziale della corrente di torbida il movimento delle particelle è di tipo turbolento, man mano che l’energia diminuisce le particelle seguono sempre di più un moto di tipo laminare, permettendo così la formazione di strutture quali laminazione incrociata, lamine ondulate e piano-parallele. 13 La descrizione completa di un evento deposizionale di torbida è riportato dalla sequenza di Bouma che, partendo dalla base, è costituita da uno strato di sabbia da fine a grossolana, massiccia o gradata (indicata con Ta); sabbia fine-media a laminazione piano-parallela (Tb); sabbia finissima a laminazione ondulata, incrociate e a convolute (Tc); silt a laminazione piano-parallela (Td); pelite omogenea priva di strutture (Te). Dagli affioramenti rilevati intorno all’abitato di Pietrabuona, la sequenza caratteristica è rappresentata da Tabcd che passano verticalmente l’una all’altra in continuità di sedimentazione. La sedimentazione della pelite negli affioramenti presi in considerazione non è presente; se uno strato di pelite (Te) veniva depositato non aveva molto probabilmente uno spessore sufficiente a resistere all’erosione legata alla turbolenza dell’evento torbiditico successivo. Gli spessori degli strati variano in dipendenza dell’entità della corrente di torbida che li ha generati. 36 Le strade* Il periodo di instabilità politica e sociale seguito alla caduta dell’Impero Romano ed alle successive scorrerie da parte delle popolazioni nordeuropee indussero gli abitanti della Tuscia settentrionale a ritirarsi nelle aree collinari e montane dell’entroterra appenninico, in genere più facilmente difendibili, ed a preferire ai percorsi di fondovalle le vie della transumanza ed i sentieri di crinale, meno battuti e più familiari alle genti indigene. Fig. 1 - Il territorio della montagna pistoiese 37 Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore Fig. 2 - La Dogana dell’Arco Vecchio (particella n° 70 della tavola indicativa del 1825, sezione K foglio I) Fig. 3 - La Dogana nel Borgo La Croce (particella n° 572 della tavola indicativa del 1825, sezione K foglio I) 38 Nel territorio in analisi il crinale dell’Appennino tosco-emiliano si sviluppa a quota pressoché costante dal passo della Cisa fino alle Torri di Popiglio (Lucca), consentendo il passaggio da una regione all’altra. Da qui, superando il fiume Lima, è possibile accedere alla montagna pistoiese ed in Valdinievole (fig. 1). A valle delle Torri, infatti, sono attualmente presenti tre attraversamenti: a Nord-Est vi è il ponte della Lima da cui, percorrendo la via del Granduca, è possibile raggiungere agilmente San Marcello Pistoiese e quindi Pistoia; ad Ovest, ai piedi di una cava di pietra in località La Tana, è situato un moderno ponte, che consente di accedere alla storica Rocca di Lucchio1 e da questa, proseguendo verso Sud, al sistema delle castella della Svizzera Pesciatina2; tra i primi due attraversamenti si trova ancora oggi il ponte matildeo di Castruccio Castracani3, signore di Lucca tra il 1316 ed il 1328. Dal ponte di Castruccio Castracani le direzioni possibili sono quindi due: la prima verso Pistoia, passando sempre da San Marcello Pistoiese o da Piteglio; la seconda verso la Valdinievole, puntando in direzione del crinale della penna di Lucchio. Questa seconda direzione, percorrendo la linea di crinale, passa dalla chiesa della Madonna del Tamburino e permette di giungere fino alle spalle di Medicina e quindi a Pietrabuona. Una volta arrivati in prossimità del castello percorrendo la strada vicinale, per poter accedere alla viabilità di fondovalle era necessario attraversare, in prossimità della piazza alta, una delle due dogane che vi erano a Pietrabuona. L’edificio, indicato con la particella n° 70 nella tavola indicativa del 1825 (sezione K foglio I), si trovava in prossimità dell’accesso Nord-Est di detta piazza, ed era destinata al controllo del traffico merci da e per la montagna (fig. 2). Una seconda dogana (particella n° 572 della tavola indicativa del 1825, sezione K foglio I) venne eretta agli inizi dell’Ottocento, in sostituzione di quella precedente, alle pendici del paese (fig. 3), a controllo della nuova strada di fondovalle che, attraversato il ponte di San Rocco, proseguiva diramandosi verso Aramo o Vellano. Oggi tale struttura risulta di- Le strade Fig. 4 - SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825, sezione K, foglio I. Individuazione delle due dogane slocata rispetto alla viabilità principale a seguito della costruzione, in tempi recenti, di una moderna bretella di collegamento che esclude il piccolo agglomerato urbano de La Croce: la sede dell’antica strada risulta oggi coincidente con la piazzetta antistante il Museo della Carta. In un quadro così definito, appare evidente la funzione di controllo svolta da Pietrabuona sul traffico di merci in transito fra montagna e pianura (fig. 4). NOTE * Dal contributo originario “Sulla via dell’acqua” di Laura Aiello nel DVD allegato al volume. 1 I primi documenti certi di questa fortezza risalgono al XIV secolo, ma la fondazione risale probabilmente agli inizi del XI-XII secolo (cfr. B. Cherubini, I Bagni di Lucca, Lucca 1981). 2 Il percorso si conclude a Pontito, innestandosi sulla viabilità di mezzacosta che collega le castella. 3 Da qui, una volta superato il fiume Lima in direzione Sud, si passa obbligatoriamente in mezzo a due capo-ponti detti “le due dogane”, i quali dovevano evidentemente controllare il traffico di merci e persone tra Lucca e Pistoia. 39 Il sistema produttivo* I numerosi opifici del fondovalle rivelano la stretta connessione che vi era tra la peculiare vocazione produttiva dell’area e l’acqua e, conseguentemente, con le strutture idrauliche in grado di trarre il massimo profitto dal suo utilizzo, sia come forza motrice1, sia come miscela liquida particolarmente “pura” adatta per scopi industriali e alimentari. Il territorio di Pietrabuona – censito al Catasto Toscano Preunitario2 alla sezione K, fogli I e II, comunità di Vellano – risulta delimitato ad Ovest dalla sponda destra del fiume Pescia che lo separa dal territorio di Vellano (sezione V, foglio II), a Nord e ad Est dal confine Fig. 1 - La cartiera della Pettorina con la provincia di Lucca e a Sud dal rio di Rimigliari che lo divide dalla comunità di Pescia. La prassi di appuntare sulla carta d’unione, oltre al nome della località, anche la denominazione dei poderi e delle strutture produttive più importanti, consente oggi di conferire a queste ultime la valenza di enti urbani storicamente consolidati (figg. 1-2-3)3. All’inizio del XIX secolo, il territorio di Pietrabuona sembra essere un’enclave produttiva ben equilibrata: alle pendici del paese vi erano una fabbrica, la cartiera di San Lorenzo, un frantoio ed un mulino, oltre ad un bottaccio (part. n° 100) ancora oggi munito delle caratteristiche pietre scanalate sulle quali venivano sfregati i panni mentre, distanti dall’abitato, si trovavano la macelleria e l’uccelliera, in area di campagna per evitare che i cattivi odori del guano e delle carcasse macellate potessero inficiare la salubrità del paese. 40 Per la lavorazione delle castagne, dalle quali si ricavava la farina che costituiva uno Il sistema produttivo degli alimenti base della dieta degli abitanti di questa zona, vi erano due metati, un mulino da castagne ed un seccatoio, tutti situati ad Ovest di Pietrabuona e disposti sul territorio nel modo più consono per poter sfruttare al meglio l’elemento naturale necessario al loro funzionamento: l’acqua per il mulino che si colloca a valle, l’aria per il seccatoio che è posto in cima al poggio ed il terreno boschivo per i metati. L’industria della carta, attestata in questa area sin dal XV-XVI secolo4, ha rappresentato per decenni la principale attività lavorativa a cui si dedicavano gran parte degli abitanti. Dalla ricognizione iniziata nel 1893 dal Ministero di Agricoltura, Industria e Fig. 2 - Le cartiere del territorio di Pietrabuona nel Catasto Toscano Preunitario (SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825, sezione K, foglio I, comunità di Vellano) 41 Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore Fig. 3 - La cartiera di San Giovanni Commercio e sintetizzata nella Carta Idrografica di Italia5, si desume come alla fine del XIX secolo vi sia stato un netto incremento del numero di queste manifatture, in quegli anni al vertice della parabola produttiva. Seppur minato e indebolito dalle moderne logiche industriali, questo simbolo di una tradizione imprenditoriale consolidata ha saputo in alcuni casi rinnovarsi e svilupparsi. Un certo numero di cartiere hanno infatti aumentato esponenzialmente la produzione grazie all’utilizzo di nuovi e più efficienti macchinari, riuscendo a rimanere competitive anche in ambito internazionale. 42 NOTE * Dal contributo originario “Sulla via dell’acqua” di Laura Aiello nel DVD allegato al volume. 1 L’uso della ruota idraulica, iniziato nel Medioevo, ha dato un notevole impulso alla tecnica produttiva in generale; tuttavia l’utilizzo per la produzione di alimenti e quello per la lavorazione industriale (tessuti, carta) ha dato esiti differenti: nel primo caso si è mantenuto l’aspetto “rurale” delle strutture e della loro organizzazione, nel secondo invece si è sviluppata una vera rete, complessa, in cui si intrecciano relazioni ed economie che si spingono ben oltre il livello locale. L’energia meccanica che attiva i macchinari si ottiene dalla regimentazione dell’acqua, attraverso la derivazione della stessa con dighe murate, in sassi e in pietrami, o la creazione di canali di fuga (gore) con presa diretta dalla via d’acqua principale. La potenza della forza motrice dipende dalla portata del fiume, dal dislivello creato per la caduta dell’acqua e dal tipo di canalizzazione della caduta stessa. Il sistema produttivo 2 Tale sistema censuario è costituito da una sezione grafica denominata “Tavola Indicativa” e da un “Registro delle Partite Campione” all’interno del quale veniva annotata “la descrizione delle partite dei beni intestate, sul territorio della comunità cui si riferiscono, a ciascun singolo possessore (persone, enti, società, etc.)”. Per Pietrabuona, i registri e le relative piante del cosiddetto Catasto di Impianto, redatto tra il 1825 ed il 1826, sono conservate presso l’Archivio di Stato di Pistoia, sezione distaccata di Pescia. 3 Da Nord a Sud è possibile localizzare i seguenti opifici: La Ferriera, la cartiera di Santa Caterina, la cartiera de L’Inferno, la cartiera Gemolano sull’omonimo ponte, la cartiera de La Pettorina, la cartiera di San Giovanni (Foglio I); un molino da castagne all’incrocio tra il rio di Rimigliari e il rio di Spareti (Foglio II). Dalla lettura del registro delle partite campione, invece, si evincono numerose altre strutture produttive: due fabbriche (part. n° 87 ai piedi del centro urbano, part. n° 210 corrispondente alla cartiera di Santa Caterina); un frantoio (part. n° 93 porzione dell’attuale cartiera di San Lorenzo Cerreto, ad oggi in ristrutturazione); due metati (dislocati nella campagna a Nord-Ovest del centro: part. n° 469 ad oggi non più esistente, part. n°473 esterna alle due tavole analizzate); quattro molini (part. n° 99 adiacente al frantoio alle pendici del paese, part. n° 657 e part. n° 658 corrispondente all’anzidetto molino da castagne, part. n° 697 e part. n° 698 collocate all’estremo Ovest della del foglio II, ma non individuate); una fornace con aia (part. n° 508 oggi demolita); una macelleria (all’interno del terreno corrispondente alla part. n° 431); due uccelliere (la prima a fianco della macelleria all’interno della part. n° 431 ed una seconda uccelliera, part. n° 198, esterna alle due tavole indicative e comunque posta ad Est del centro); sei cartiere (part. n° 102 cartiera di San Lorenzo Cerreto; part. n° 170 cartiera di Gemolano; part. n° 207 cartiera di Santa Caterina; part. n° 439 cartiera a monte del rio di San Rocco; part. n° 563 e part. n° 568 cartiera a valle del rio di San Rocco; part. n° 598 e part. n° 600 cartiera sul rio di Rimigliari). Assai singolare appare invece che le due cartiere de La Pettorina (part. n° 148 e part. n° 149) e di San Giovanni (part. nn° 129-131-279-126) individuate sulla tavola indicativa non risultino registrate come tali. 4 L’attività cartaria è testimoniata sul territorio a partire dalla fine del Quattrocento, sebbene in un primo momento non rivestisse l’importanza che assunse in seguito (cfr. C. Cresti, Itinerario museale della carta in Val di Pescia, Siena 1988, pp. 63-69). 5 IGM, foglio 105. 43 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Il rilievo La rappresentazione convenzionale del castello (pianta, prospetti e sezioni) realizzata a seguito di una campagna di rilevamento condotta con strumentazioni a scansione laser ed un’unità topografica di appoggio1, oltre che con i consueti sistemi di rilevamento diretto, ha costituito sia l’imprescindibile supporto bidimensionale sul quale riportare con estrema attendibilità gli esiti delle analisi svolte nei vari ambiti coinvolti nella ricerca, sia l’oggetto precipuo degli studi geometrici e dimensionali in grado di svelare, laddove esistenti, le regole compositive con le quali l’abitato si è andato conformando nel corso dei secoli. Nel primo caso le sezioni ambientali e la pianta realizzata alla quota dei piani terra degli edifici, restituite in scala 1:200, sono stati utilizzate come “basi” dimensionalmente corrette (l’errore è stato tenuto all’interno dei 3 cm)2 per poter redigere ulteriori elaborati grafici in grado di raffigurare con chiarezza alcuni temi oggetto della ricerca. Fig. 1 - Pianta dei piani terra con indicate le pavimentazioni stradali 45 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 2 - Veduta panoramica del castello di Pietrabuona 46 Fig. 3 - Schema con indicazione delle sezioni ambientali Nel secondo, dalle sezioni ambientali è stato possibile evincere le relazioni esistenti tra gli edifici e l’orografia della collina sui quali si attestano, così come i rapporti che intercorrono tra gli edifici stessi presenti lungo un percorso (fronte edilizio) o tra quelli contrapposti su di una medesima “unità di vicinato”. La pianta dei piani terra, palesando la disposizione delle murature portanti, dei vani e dei corpi scala, ha consentito di definire i caratteri precipui delle diverse tipologie edilizie presenti nel tessuto. Gli allineamenti dei corpi di fabbrica e delle pareti, così come le superfici dei lotti sulle quali insistono i fabbricati, sono stati in grado di sug- Il rilievo gerire, a loro volta, antichi assetti oggi non più percepibili in conseguenza di calamità naturali o a seguito di sopravvenuti bisogni che hanno reso necessario apportare modifiche sostanziali alle singole costruzioni o ad interi comparti edilizi3. L’operazione che ha permesso la redazione della suddetta pianta prende il nome di “riammagliamento” e prevede il ridisegno delle singole planimetrie catastali degli immobili urbani e la loro rototraslazione all’interno della pianta generale del castello (desunta dal rilievo digitale) costituita dai soli fili degli edifici prospettanti gli spazi pubblici; le bucature (porte e finestre) rappresentate in entrambi gli elaborati (pianta generale e pianta delle unità edilizie) consentono di giustapporli tra loro4. Il limite di tale operazione è purtroppo costituito dalla scarsa precisione con la quale, ancora oggi, le unità edilizie vengono rappresentate nelle planimetrie catastali, documenti il cui valore cresce in modo inversamente proporzionale alla disponibilità degli abitanti a far misurare le proprie abitazioni. Gli edifici pubblici, che hanno rivestito un ruolo importante nella vita politica e religiosa della comunità, sono stati rilevati nel dettaglio, permettendo un più accurato studio degli aspetti costruttivi e stilistici dei manufatti. Tra questi rientrano la Rocca, la chiesa ottocentesca dei Santi Matteo e Colombano, l’oratorio di San Michele Arcangelo, il palazzo pubblico e le porte urbiche, oltre ad alcune abitazioni che hanno consentito di documentare i caratteri architettonici dell’edilizia di base5. 47 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 48 Il rilievo Fig. 4 - Sezioni ambientali NOTE 1 Cfr. par. Il rilevamento digitale, in questo stesso volume. La precisione, in questo caso, deve essere riferita alla configurazione dello strumento adottato (i parametri di lavoro del laserscan in uso sono stati settati per misurare, alla distanza di 10 metri, un punto ogni 8 mm), alla scala di restituzione impiegata ed alle finalità perseguite in questo tipo di rilievo. 3 Si fa in questo caso riferimento alle note teorie della “permanenza dei percorsi” e del “riuso delle fondazioni esistenti”, elaborate e magistralmente espresse da Luigi Vagnetti in alcuni suoi saggi (Cfr. L. Vagnetti, Genova Strada Nuova. [Presentazione di Luigi Vagnetti], Genova 1967). 4 L’operazione di riammagliamento delle planimetrie delle unità immobiliari urbane di Pietrabuona è stata resa possibile grazie all’interessamento del dott. Luigi Maria Romeo Caraglio, direttore dell’Ufficio Provinciale di Pistoia dell’Agenzia del Territorio. 5 Si ringrazia a tale proposito la Curia di Pescia, nella persona del suo vescovo Monsignor Giovanni De Vivo e dell’addetto al Nuovo Ufficio Amministrativo, Benedetto Bonazzi. Un ulteriore ringraziamento va ad Arianna Soccini, che ha consentito di rilevare il palazzo pubblico, oggi residenza privata, ed alla locale Proloco (in particolare ad Alessio Biondi ed Alessio Giusti). 2 49 Aspetti geologici e geomorfologici* 50 Il rilievo digitale di Pietrabuona ha consentito di documentare con precisione l’andamento delle superfici del piano di campagna del paese e, conseguentemente, di riconoscere all’interno della points cloud le linee che si vengono a determinare laddove vi è una concentrazione di punti appartenenti ad uno stesso piano (“lineazioni”). La lettura in chiave geologica e geomorfologica di tali “lineazioni”, assieme ad una valutazione qualitativa sul litotipo affiorante, ha permesso di stabilire quali superfici di edificazione all’interno di Pietrabuona siano di origine naturale e quali di origine antropica, anche quando non siano presenti tagli di cava o documenti scritti che localizzino i punti di estrazione. Dal punto di vista geologico il poggio è costituito da rocce appartenenti alla Formazione del Macigno e la giacitura degli strati rilevata è pressoché omogenea, con immersione verso Nord-Ovest e circa 35-45° di inclinazione1. Geomorfologicamente, nel versante Ovest della collina l’erosione dovuta al fosso di Cerreto (rio di San Rocco) ha inciso la valle dove attualmente scorre, creando dei ripiani in corrispondenza degli strati più resistenti e scavando i livelli più erodibili; l’inclinazione dei fianchi si aggira attorno ai 30°2. Il torrente Torbolino e la Pescia di Pescia hanno a loro volta creato le scarpate che delimitano il paese ad Est e a Sud. Queste risultano più ripide della precedente, con pendenze di circa 40° in virtù dell’assenza dei ripiani strutturali degli strati. La sella presente sul crinale sembra avere un’origine gravitativa, probabilmente legata all’erosione al piede del versante operata dal torrente Torbolino. Per ciò che concerne l’estrazione della pietra a fini edificatori, la bibliografia esistente parla di piccole cave poste in prossimità dell’abitato. Nel 1841 Emanuele Repetti scriveva: “pietra serena, di cui veggonsi aperte alcune cave nel poggio alla sinistra della Pescia sopra la riva del fiume dirimpetto al castello di Pietra Buona”3. In una recente pubblicazione Publio Biagini4 ipotizza che gli abitanti della Svizzera Pesciatina si servissero di cave di modesta entità aperte nei versanti collinari, adesso nascoste dalla vegetazione. In questa sede invece è stata presa in considerazione l’ipotesi che la pietra utilizzata per la costruzione degli edifici più antichi di Pietrabuona, derivi da cave aperte nella porzione a valle del versante Sud e, in maggior misura, dai lavori di spianamento del terreno Aspetti geologici e geomorfologici per la realizzazione della piazza di Castello. Gli strati di arenarie che affiorano nella scarpata (con inclinazione di circa 40°) sotto la Rocca presentano infatti caratteristiche compatibili con quelle dei conci utilizzati per la costruzione degli edifici del paese. Nella sottostante tabella sono state riportate le unità relative ai due cicli rilevabili nell’affioramento di Macigno sotto la Rocca (fig. 1), partendo dal più giovane. Nella successione stratigrafica rilevata sotto la Rocca, lo strato Ta presenta caratteristiche adatte ad un Fig. 1 - Affioramento sotto la rocca utilizzo come pietra da costruzione, sia per la facilità nell’estrazione, sia per le qualità geomeccaniche. La roccia infatti, dove non alterata, può essere rotta con un unico deciso colpo di martello, ma non può essere scalfita con il coltello. La particolarità estetica dello strato grossolano, data dalla presenza di numerosi cristalli di mica bianca (piccoli fogli pseudoesagonali che riflettono al sole di luce metallica) orientati con il piano di sfaldatura posto perpendicolarmente al piano originario di deposizione (caratteristico dei fillosilicati), che si nota sulla maggior parte dei conci utilizzati per la costruzione degli edifici Fig. 2 - Struttura a convolute (compresi quelli della Rocca), pur non consentendo di individuare il punto di estrazione delle rocce, contribuisce anch’essa ad avallare tale ipotesi. Considerando l’assetto strutturale dell’area in prossimità della sella, l’estrazione CICLO SPESSORE5 >10 cm BOUMA Tb 25 cm Ta 10 cm Td Tc 2 200 cm 1 > 50 cm Tb DESCRIZIONE Sabbia medio-fine in lamine pianoparallele di colore marrone chiaroavana. Sabbia grossolana di colore grigio-marrone dove il colore marrone aumenta con l'aumentare del grado di alterazione, priva di gradazione interna. Presenza di abbondanti miche chiare. Sabbia medio-fine in lamine pianoparallele di colore grigio scuro. Strato di sabbie da medie a fini a lamine pianoparallele di colore grigio chiaro-avana. All'interno dello strato è presente un livello di circa 10 cm con struttura a convolute (fig. 2). Sabbia medio-fine in lamine pianoparallele di colore marrone chiaro. 51 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 3 - Ricostruzione della morfologia della collina della pietra, avvenuta seguendo l’andamento degli strati, ha consentito inoltre di ampliare agevolmente il ripiano, permettendo nel tempo la realizzazione dell’attuale piazza. Il risultato dell’analisi viene presentato in figura 3, dove sono state tracciate due linee: una in giallo che approssima il profilo del versante, ed una in rosso che schematizza i due ripiani suborizzontali (la sella su cui si imposta la piazza e la sommità del crinale dove si sviluppa la parte alta del paese, compresa la Rocca) e le due superfici inclinate del versante Sud (dovuto all’azione erosiva del torrente Pescia) e della scarpata sottostante la Rocca. Quest’ultima si sviluppa in altezza per circa 8 metri ed immerge in direzione opposta allo sviluppo del crinale. Anche se la presenza nella zona di faglie dirette potrebbe aver creato piani inclinati, gli affioramenti dell’area non mostrano zone di frattura e nelle rocce che affiorano nella scarpata non si rilevano segni caratterizzanti il piano di faglia. Per questo motivo si ritiene molto probabile che la scarpata rappresenti il limite di un punto di estrazione da cui attingevano le pietre per la costruzione dei fabbricati. 52 NOTE * Dal contributo originario “Studio dell’evoluzione geologica nel paese di Pietrabuona con considerazioni in merito ad un’attività estrattiva all’interno della cinta muraria” di Serena Di Grazia nel DVD allegato al volume. 1 Cfr. par. Evoluzione geologica del paesaggio, in questo stesso volume. 2 Tale inclinazione è di poco inferiore a quella dell’immersione degli strati. 3 E. Repetti, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato, Ducato di Lucca, Garfagnana e Lunigiana, Firenze 1835-1846, vol. IV, p. 207. 4 P. Biagini, Cave e pietra, pubblicato sul sito: www.svizzera-pesciatina.com/it/pdf/Cave%20e% 20pietra.pdf. 5 Tenendo conto che tra le varie unità del ciclo di Bouma il passaggio è graduale, gli spessori sopra riportati sono approssimati, anche in considerazione della variabilità laterale che possono presentare tali unità. Note storiche Un documento del 798 attesta che l’area dove oggi è posto l’abitato di Pietrabuona era già indicata col toponimo “Bovulo”. Si parla infatti dell’esistenza di una chiesa intitolata a San Gregorio, “quae est aedificata in loco Piscia, ubi vocabulum est Bovulo”1, la quale sarebbe poi rovinata agli inizi del X secolo ed infine abbandonata2 e di un Pertualdo presbitero che era “de loco Piscia ubi vocabulum est Bovulo”, confermando l’esistenza del toponimo. Sul significato del termine “Bovulo” e sull’etimologia della parola Pietrabuona gli studiosi si sono a lungo confrontati; la definizione a cui si fa qui riferimento è quella fornita dall’Arcamone3, che li mette in relazione con la voce “bova”, termine geografico di area settentrionale che significa “frana”. “Bovulum” designerebbe pertanto un’area di smottamenti identificabile con il vasto greto alla sinistra del torrente Pescia (uno slargo pianeggiante oggi detto Cerreto) e “Petra Bovula” starebbe ad indicare la vicinanza del poggio (uno sperone roccioso) con il luogo allora detto “Bovulo”. La fondazione del castello di Pietrabuona è ascrivibile al periodo in cui Pietro II (896933) resse la cattedra lucchese. Fu quella un’epoca in cui il patrimonio diocesano venne riorganizzato, parallelamente al consolidamento delle clientele aristocratiche presenti nel territorio della diocesi stessa4. Pietro II fu, infatti, promotore della fondazione di tre castra, consistenti in insediamenti accentrati presumibilmente racchiusi da una struttura difensiva e posti sotto la sua autorità. Un fatto raro questo, reso necessario da esigenze legate al controllo del territorio che imposero l’erezione dei castelli nelle aree poste al confine della diocesi. Nel giro di pochi anni furono fondati Santa Maria a Monte (906), Pietrabuona (914) e Moriano (915); il castello di San Gervasio, più tardo, risale al 9305. La procedura con la quale vennero costruiti i castra non fu identica, ma per certi versi simile: il vescovo procedeva ad una lottizzazione dei terreni sui quali sarebbe dovuto sorgere il castello e ad una loro cessione, tramite carte di livello, ad alcuni proprietari del luogo, i quali materialmente avrebbero dovuto costruire il castrum. Nel caso di Pietra Bovula6 sono giunti a noi solo tre documenti, ma è assai probabile che fossero molti di più, se non altro per sostanziare una struttura insediativa che, seppur limitata, doveva essere formata da un certo numero di abitazioni. I tre contratti, redatti tra il 4 ed il 5 maggio del 914, fanno riferimento a sette case distribuite in due gruppi di due e cinque 53 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 54 unita abitative7. I concessionari, proprietari locali dotati di patrimoni terrieri anche in altre zone della diocesi, dopo aver eretto una casa “cum fundamento” la cedevano alla chiesa lucchese di San Frediano (dipendente dal vescovo), che a sua volta la riaffittava loro. Oltre alla casa posta all’interno (“infra”) del castello, ai concessionari veniva allivellato anche un terreno all’esterno, di cui “un lato confinava da una parte con la via che dal castello attraversava il monte fino ad incontrare il Pescia ed il torrente Viti, dall’altra con lo stesso torrente Pescia, e da un lato ancora con il torrente Viti” 8. Era prevista la possibilità che la casa fosse ulteriormente concessa dai livellari locali, che non avevano l’obbligo di risiedervi, ad altri homines che la abitassero e lavorassero le terre per conto dei concessionari. Questi ultimi pagavano direttamente al vescovo il censo (da 3 a 6 soldi a seconda del contratto) e si sarebbero dovuti recare su richiesta del presule a Lucca, “ad iustitiam faciendam”9. Oltre alle motivazioni di ordine squisitamente politico, legate al tentativo di legare a sé il potentato del luogo, la fondazione del castello ebbe anche un’indubbia valenza militare. In un contesto di repentini passaggi di potere nel regno italico e, conseguentemente, di scontri tra fazioni locali, il castello rappresentò un punto difensivo a controllo degli importanti percorsi che dai passi appenninici conducevano alla zona collinare. Una vera e propria frontiera a difesa del passaggio dal Nord Italia alla diocesi di Lucca. Pietrabuona fu l’unico dei castelli voluti da Pietro II che venne abbandonato appena dopo quattro decenni. Il fallimento dell’iniziativa fu tale che il suo successore Corrado (935-964) decise di disfarsi della proprietà e di permutare il “colle et sterpeto, ubi jam fuit castello in loco et finibus Piscia maiore, ubi dicitur Petrabona” con altri beni di proprietà di Vitterado, figlio di Giovanni10. Probabilmente le ragioni di tale rovescio vanno ricercate sia nella mancanza di una base demografica consistente, sia nel mancato interesse da parte dei proprietari, che disponevano di altri beni nella diocesi, di investire in una località così decentrata. Degno di nota rimane il fatto che nel documento sia stata utilizzata la tipica formula altomedievale “in loco et finibus”, dimostrando che, nonostante l’iniziativa non avesse avuto l’esito sperato, si era verificata una certa territorializzazione, seppur probabilmente esigua, intorno a questo primo nucleo insediativo. Nell’anno 1139, Trasmondino da Pescia del fu Guglielmo, considerato un fidelis del vescovo Ottone (1138-1146), donò al vescovo tutti i beni che possedeva nella curtis di Pietrabuona, consentendo così a quest’ultimo di rientrare in possesso del colle e di dare avvio ad un nuovo processo di incastellamento11, ossia di passare dall’organizzazione incentrata sulla curtis a quella imperniata sul castrum. Pochi anni dopo la donazione, nel 1164, lo stesso imperatore Federico I, confermò al vescovo di Lucca il possesso di tutti i suoi beni, che includevano “portionem de castro Petraboguli et eorum usibus similiter ad iustitiam faciendam”12. Il diploma venne confermato in maniera identica, per la parte Note storiche che qui interessa, anche da Enrico VI (1194) e Ottone IV (1209)13. Agli inizi del Duecento Pietrabuona si costituì in libero comune14, rimanendo per quanto riguarda la giurisdizione ecclesiastica sotto il controllo della diocesi di Lucca. Poco ci è stato tramandato sul ruolo politico e militare del castello durante le guerre fra Pisa, Lucca e Firenze, che in Toscana videro per anni contrapposte le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini, così come nulla è dato sapere sulle sorti del castello durante la distruzione di Pescia nel 1281 da parte della Lega Guelfa. Nel 1308 Pietrabuona compare nelle pagine dello Statuto Lucchese come comune rurale inserito nella Vicaria “Vallis Nebule”. Il governo cittadino avrebbe inviato a Pietrabuona “unus potestas comuni PetraBone” con un salario di 28 lire15. Le successive attestazioni che riguardano Pietrabuona sono del 1328, anno in cui i comuni della Valdinievole, dopo la morte di Castruccio Castracani (1281-1328) e la fuga dell’imperatore Ludovico il Bavaro (1281-1347), decisero di allearsi con Firenze sottoscrivendo la Lega dei castelli della Valdinievole16. A seguito di questo patto, Pietrabuona divenne, assieme a Castelvecchio, l’unico centro della città gigliata sulla sponda destra del fiume, che in buona misura costituiva il confine con Lucca, assumendosi così il ruolo di sentinella avanzata della fiorentina Pescia. Nel 1331 però, mentre gran parte della Valdinievole restava fedele a questa alleanza, Pietrabuona, assieme a Pescia, tornò a giurare fedeltà a Lucca. Nel 1339 si ebbe il passaggio, sotto Mastino della Scala – l’ultimo dominatore di parte lucchese della Valdinievole –, a Firenze di Pescia e di parte del suo territorio. Pietrabuona ed altri castelli della Valleriana restarono però inclusi nel territorio lucchese, controllato dai Pisani, dominatori di Lucca dal 1342. Le vicende storiche che interessano Pietrabuona nell’arco di tempo che va dal 1361 fino al 1364 sono segnate dagli sviluppi del conflitto tra Pisani e Fiorentini che si contesero aspramente il borgo (fig. 1). È rimasto famoso nelle cronache l’assedio di Pietrabuona del 1362 da parte dei Pisani, a seguito dell’improvvida occupazione da parte dei Fiorentini l’anno precedente, e la sua successiva espugnazione avvenuta sotto gli occhi dei Fiorentini stessi che nulla poterono fare per difenderla17. La guerra fra Pisani e Fiorentini si concluse dopo la battaglia della Badia di Sansavino, con la pace dell’agosto 1364. Con l’atto di sottomissione del 29 marzo 1371 Pietrabuona entrò a far parte del dominio fiorentino, beneficiando di un periodo di relativa tranquillità fino al 1529. Rientrati i Fiorentini in possesso del castello di Pietrabuona, si preoccuparono di riorganizzare le strutture difensive del borgo danneggiate durante il conflitto. A cavallo tra il ‘300 ed il ‘400, anche Pietrabuona, come del resto tutta la Valdinievole, fu vittima di una gravissima crisi demografica, da cui solo nel secolo successivo cominciò lentamente a riprendersi. 55 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 1 - Giovanni Sercambi, Le croniche, conquista del castello di Pietrabuona, 1362. Le illustrazioni del Sercambi raffigurano con un buon livello di attendibilità i diversi sistemi fortificati presenti nel territorio lucchese alla fine del XIV secolo, differenziando tra "Torre", "Castello" o "Castro", "Fortezza" o "Rocca" e infine "Villa". Se per la definizione di Torre e Villa non vi sono problemi interpretativi, per Castello o Castro si deve intendere un insediamento fortificato riconducibile ad una struttura signorile che rafforza, controlla e difende un abitato ad essa collegato, mentre per Rocca o Fortezza egli sembra riferirsi a realtà prettamente o preminentemente di tipo militare. Dall'immagine relativa a Pietrabuona si evince che il castello possedeva due cerchie di mura identificate dalla merlatura e confermate dalla presenza di castellani a guardia delle stesse. Il fatto che non vi sia alcun riferimento a edifici-porta fa ritenere che il cronachista abbia classificato l’insediamento come una Rocca o Fortezza. Il fulcro dell’apparato difensivo è costituito da una struttura cubica e turriforme 56 Nel 1447 furono editi gli Statuti del Comune e depositati a Firenze, che poi, a più riprese, ebbero aggiunte ed integrazioni, fino a tutto il 1540. Nel 1529, al tempo dell’ultima Repubblica Fiorentina, il sindaco ed i rappresentanti di Pietrabuona si incontrarono a Pescia con quelli degli altri castelli della Valdinievole, alla presenza di un commissario fiorentino, per eleggere quattro ambasciatori che avrebbero dovuto recarsi dal Papa Clemente VII per cercare di scongiurare un’invasione da parte delle truppe imperiali spagnole, che si stavano battendo con quelle francesi per conquistare il predominio sugli stati della penisola. Nel 1554, il castello fu per l’ultima volta protagonista di un importante fatto d’armi, quando fu occupato dai soldati francesi, alleati dei Senesi che erano in guerra contro il Granducato mediceo. Alla fine del Cinquecento il castello di Pietrabuona, per quanto modesto, venne divi- Note storiche so, per ragioni di ordine sanitario (le vie del castello erano sempre colme di immondizie), in quartieri. Vennero pertanto nominati tre responsabili della nettezza urbana, a ciascuno dei quali venne assegnato un terzo del castello (il quarto quartiere era forse relativo al nascente borgo fuori le mura?). Questa divisione descritta negli Statuti fornisce alcune informazioni sulla struttura dell’insediamento: il primo quartiere andava “dalla Porta fiorentina alla Porta che risponde verso la piazza fino alla cantonata della Rocca unita a detta Porta, con la strada chiamata Fondaccio”, il secondo quartiere andava “dallo Fig. 2 - Divisione in quartieri dell'abitato cinquecentesco spedale del Comune fino al Canto di sotto al Cimitero verso la Canonica vecchia della chiesa, compreso la Strada per dinanzi alla casa di Lorenzo di Bastiano”, il terzo “dal Cimitero alla strada di dietro verso mezzogiorno”18 (fig. 2). L’indipendenza comunale di Pietrabuona continuò fino alla riforma leopoldina del 1775, quando il paese cessò di essere autonomo e passò sotto il comune di Vellano, rimanendo nella sua giurisdizione fino al 1883, quando entrò a far parte del comune di Pescia, di cui ancora oggi costituisce una frazione. NOTE 1 AALU, Diplomatico, *O.18 (cfr. D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del ducati di Lucca, Lucca 1816-1841, tomo V, parte II, documento CCLXVII, p. 156). 2 Sulla chiesa di San Gregorio, cfr. A. Spicciani, Benefici, livelli, feudi. Intrecci di rapporti tra chierici e laici nella Tuscia medioevale. La creazione di una società politica, Pisa 1996, pp. 235 e 249-252. Alcuni storici locali asseriscono, a seguito di alcuni ritrovamenti avvenuti a fine Ottocento, che la chiesa si trovasse sul promontorio del Santo Vecchio (cfr. R. Vanni, Il castello di Pietrabuona, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 3 (1982), pp. 23-30). 3 M.G. Arcamone, La toponomastica fra e intorno alle due Péscie , in I guadi della Cassia. Terre di confine tra Lucca ed il granducato di Toscana, a cura di A. Spicciani, Pisa 2004, pp. 30-32. 57 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 58 4 In quegli stessi anni era marchese della marca di Toscana Adalberto II (884-915), che a sua volta riuniva attorno a sé vaste clientele laiche ed ecclesiastiche e controllava grandi patrimoni, soprattutto nella Lucchesia. 5 Cfr. R. Pescaglini Monti, Toscana medievale. Pievi, signori, castelli, monasteri (secoli X-XIV), Pisa 2012, p. 355. 6 Per una descrizione dettagliata delle vicende altomedievali del castello di Pietrabuona, cfr. Spicciani, Benefici, livelli, feudi, cit., pp. 223-280; A. Puglia, Pescia dall’antichità al medioevo. Potere, insediamento e società in una Terra del contado lucchese, in Pescia città tra confini in terra di Toscana, a cura di A. Spicciani, Milano 2006, p. 43-46. 7 AALU, Diplomatico, +P.7 (cfr. D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del ducati di Lucca, Lucca 1816-1841, tomo V, parte III, documento MCXLIX, pp. 74-75); AALU, Diplomatico, +A.54 (cfr. D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del ducati di Lucca, Lucca 1816-1841, tomo V, parte III, documento MCL, p. 75); AALU, Diplomatico, +F.63 (cfr. D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del ducati di Lucca, Lucca 1816-1841, tomo V, parte III, documento MCL, p. 75). 8 Con il termine castello si deve intendere un insieme di case delimitato “castello insimul amembrato” (negli stessi atti di livello) da una qualche struttura – non necessariamente in muratura – in grado da garantirne la difesa. Occorre infatti tenere presente che il termine castello, nel latino delle fonti, compare indifferentemente in questo periodo sia come castrum che come castellum, ed individua così una grande varietà di manufatti: dalla fortezza con specifiche funzioni militari all’abitazione fortificata, dal semplice recinto ove si ricoveravano in caso di pericolo uomini e bestie al centro abitato fortificato più o meno ampio e organizzato. 9 A questo proposito la iustitia farebbe riferimento ad interventi di tipo fiscale ed amministrativo da parte del vescovo, non essendo accertato un sistema strutturato di esercizio del potere giurisdizionale da parte di quest’ultimo (cfr. Pescia città tra confini in terra di Toscana, a cura di A. Spicciani, cit., p. 46). 10 La permuta risale al 951 (AALU, Diplomatico, *F.78; cfr. D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del ducati di Lucca, Lucca 1816-1841, tomo V, parte III, documento MCCCXLI, p. 236). 11 Il documento fa semplicemente menzione della curtis di Pietrabuona, non fornendo informazioni riguardo alla sua struttura organizzativa. È comunque presumibile che si trattasse di un insieme di terreni e case destinati alla produzione agricola (AALU, Diplomatico, +D.20) 12 Monumenta Germaniae Historica, Friderici I. Diplomata, II, 1979, n. 430, p.324. 13 Cfr. Spicciani, Benefici, livelli, feudi, cit., p. 270. 14 Le fonti edite non chiariscono in realtà quale sia la data di costituzione del comune rurale. Ad oggi l’unico riferimento certo è il 1308, data in cui il comune di Pietrabuona è indicato nelle pagine dello Statuto di Lucca come facente parte della Vicaria Vallis Nebule (ASLU, Statuti, n.1, cc. 41-65-75-95). 15 ASLU, Statuti, n.1, cc. 41-65-75-95. 16 ASFI, Capitoli, n.32, c. 15 (cfr. M. Cecchi - E. Coturri, Pescia ed il suo territorio nella storia nell’arte nelle famiglie, Pistoia 1961, pp. 107-108). 17 Cfr. P. Anzillotti, Storia della Valdinievole dall’origine di Pescia fino all’anno 1818, Pistoia 1846; P.O. Baldasseroni, Istoria della città di Pescia e della Valdinievole, Pescia 1784; A. Torrigiani, Le castella della Valdinievole. Studi storici del canonico Antonio Torrigiani, Firenze 1867; G.-M.-F. Villani, Cronica di Matteo e Filippo Villani con le Vite d’uomini illustri fiorentini di Filippo e la Cronica di Dino Compagni, Firenze 1364 [rist. anast. Milano, 1834]. 18 G. Salvagnini, Pietrabuona castello di Valdinievole. Appunti di storia urbana, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 3 (1982), pp. 17-22. Indagine archeologica sulle architetture* Dal fallimento del primo incastellamento all’accrescimento bassomedievale Il castrum costruito a Pietrabuona nella prima metà del X secolo è attestato esclusivamente su base documentaria da un interessante gruppo di livelli con i quali il vescovo di Lucca, Pietro II, legò a sé un gruppo di personaggi appartenenti molto probabilmente alla media aristocrazia lucchese1. Data la natura effimera degli insediamenti fortificati altomedievali, nulla è ormai visibile del primo incastellamento2. Possiamo solo immaginare strutture in legno, o al massimo edifici con zoccolo in muratura e alzato in materiale deperibile3. Nel corso del X secolo, nel territorio in esame così come in tutto l’Occidente, le conoscenze tecniche del costruire erano infatti assai rudimentali. L’estrazione di grossi blocchi da cava, così come la squadratura dei conci, era sostanzialmente assente nel processo produttivo edilizio. La costruzione era basata soprattutto sul legno e gli elementi litici, quando presenti, erano posti in opera senza lavorazione, o al massimo in seguito allo spacco della faccia a vista da maestranze scarsamente specializzate. Il legante più diffuso era l’argilla o comunque una malta a base di terra. Non mancano tuttavia casi di impiego di malta di grassello di calce, la quale presuppone l’attivazione di un ciclo produttivo specializzato che va dal reperimento del calcare, alla sua cottura in apposite fornaci, al trasporto a piè d’opera e alla lavorazione attraverso il miscelamento con acqua e aggregato fine come sabbia o roccia frantumata4. Alla metà del X secolo il sito sembra essere stato abbandonato. È probabile che effettivamente l’incastellamento non sia riuscito a produrre un reale controllo su uomini e territorio e sia fallito per una scarsa consistenza demografica e quindi, soprattutto, un’esigua rendita economica5. Il centro appare nuovamente incastellato nel corso del XII secolo. Le fonti a tal proposito sono costituite soprattutto da pochi documenti che mostrano l’inserimento del castello all’interno dell’orbita lucchese. Dal punto di vista architettonico, l’evidenza principale attribuibile alla “rinascita” demografica ed economica di Pietrabuona è rappresentata dalla chiesa di San Matteo. L’edificio, oggi allo stato di rudere, si trova immediata- 59 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona mente a destra dell’attuale ingresso al castello, alle spalle della nuova chiesa dedicata ai Santi Matteo e Colombano costruita nel XIX secolo nella piazza principale (fig. 1.1). La struttura, databile anteriormente alla nuova fortificazione dell’insediamento avvenuta intorno alla prima metà del XIV secolo per la presenza di una torre al suo interno, è collocabile, per tecnica costruttiva e stile architettonico, con buona approssimazione nel XII secolo. Essa venne realizzata interamente in pietra squadrata su uno sperone roccioso al margine settentrionale dell’insediamento e doveva suscitare nei contemporanei un forte impatto scenografico, ancor più di quanto non accada oggi. A causa del crollo della parte Nord-occidentale della roccia Fig. 1 - Pianta preliminare e schematica del castello di Pietrabuona con indicazione degli edifici citati nel testo e cronologia proposta sottostante, i fronti Nord ed Ovest e una buona porzione del lato Sud della chiesa sono andati irrimediabilmente perduti. Non siamo in grado, quindi, di comprendere se l’accesso alla cappella avvenisse esclusivamente dal fianco meridionale, dove è ancora visibile una porta, o se la conformazione dello sperone roccioso permettesse di entrare dalla facciata6. La tecnica costruttiva prevede l’impiego esclusivo di blocchi in arenaria grigia perfettamente squadrati con uno strumento a punta singola, posti in opera su filari orizzontali pseudo-isodomi (fig. 2). Per realizzare l’edificio di culto vennero quindi sicuramente impiegate maestranze altamente specializzate, probabilmente le medesime che lavorarono alle contemporanee chiese sorte nel territorio, quali San Lorenzo al Cerreto (PT), la cui 60 Indagine archeologica sulle architetture tecnica è stata datata archeologicamente grazie ad uno scavo condotto nei primi anni Novanta7, o ancora Santa Margherita a Pescia. L’edificio di culto si inserisce quindi nel fenomeno della diffusione della pietra squadrata e del Romanico in Lucchesia nel corso del XII secolo, il quale si dovette probabilmente alla circolazione di taglie lombarde richiamate dalla potente committenza del vescovado lucchese8. Ascrivibile probabilmente allo stesso periodo è la parte inferiore del campanile di San Matteo inframuraneo ed un edificio posto immediatamente alle sue spalle, di cui è stato possibile identificare esclusivamente il cantonale Nord-orientale. La torre (figg. 1.2-3), misurante circa tre metri per quattro, è realizzata in bozzette di arenaria di medie e medio-piccole dimensioni con faccia a vista di forma tendenzialmente rettangolare, sebbene non manchino elementi trapezoidali o quadrangolari. La spianatura è stata eseguita talvolta a spacco, talvolta con strumenti a punta portati con diverse angolazioni, senza mai l’impiego di nastrini. I blocchi sono posti su filari sub-orizzontali con ampio Fig. 2 - Lato meridionale della chiesa di San Matteo impiego di malta di grassello di calce utilizzata anche per colmare le irregolarità e conferire una superficie liscia al paramento. Sul lato meridionale è visibile una piccola apertura priva di davanzale costituita da due piedritti e da un architrave in arenaria squadrati in maniera grossolana. Nonostante l’erosione, è ancora possibile notare la traccia del nastrino, realizzato con un’incisione lungo il perimetro tendente approssimativamente al rettangolo, e i segni dello strumento a punta impiegato per la spianatura. Difficile stabilire qualcosa sull’edificio adiacente (figg. 1.3-4). L’ipotesi preliminare è che si trattasse di una struttura quadrangolare, forse un palatium, per collocazione topografica, ma a causa dell’esiguità dei dati a disposizione è arduo supportare l’ipotesi, o ancora azzardare un termine cronologico. Di particolare interesse sono i resti delle strutture medievali di ambito civile, le quali mostrano, per un periodo generalmente ascrivibile tra il XII e il XIII secolo, una significativa differenziazione sociale all’interno dell’insediamento. A famiglie appartenenti sicura61 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 3 - Parte inferiore del campanile di San Matteo 62 Fig. 4 - Sulla sinistra la parete settentrionale dell’ospedale quattrocentesco mente all’aristocrazia minore sono da attribuire alcuni edifici ancora visibili sul limite Sud-orientale dell’insediamento. Il primo corpo di fabbrica, meglio conservato, ha una pianta a forma pentagonale piuttosto ampia, misurando circa sette metri per dieci (figg. 1.4-5). La parete meglio leggibile, quella orientale, mostra una facciata quasi priva di aperture, assai simile ad una cortina muraria. Le uniche luci sono infatti rappresentate da strette finestre in arenaria macigno con architravi e piedritti monolitici squadrati. L’accesso avveniva invece dal piano terra attraverso un portale di cui rimane lo stipite sinistro, composto da tre grandi conci in arenaria disposti alternatamente in verticale e in orizzontale. Il paramento è costituito da bozzette in arenaria di medie e medio-piccole dimensioni con faccia a vista generalmente spianata a punta e tendente al rettangolo, sebbene non manchino elementi arrotondati. I filari sono orizzontali e paralleli, mentre il legante sembra essere una buona malta di grassello di calce. Il tipo edilizio, pur non essendo pretta- Indagine archeologica sulle architetture mente una torre, data la larghezza della pianta, è comunque ascrivibile all’architettura civile di committenza aristocratica (e quindi guerresca) che, nel costruirsi una residenza fortificata, trovava un modo efficace di rappresentazione del proprio status. Alla stessa tipologia sembrerebbero appartenere gli edifici posti immediatamente a Nord di quello descritto, i quali mostrano la stessa tecnica costruttiva e le medesime rare aperture. A ceti sociali inferiori, seppure di tenore elevato, sono da attribuire inoltre un numero discreto di edifici caratterizzati da uno sviluppo verticale minore. La tecnica costruttiva è sempre quella del filaretto. L’accesso al pian terreno avviene tramite porte costituite da piedritti composti generalmente da tre conci variamente squadrati sostenenti architravi monolitici. Talvolta le finestre sono realizzate ad arco, come è attestato dalla parete occidentale del palazzo pubblico trecentesco, dove è possibile notare uno stipite preesistente connesso a tre cunei di un arco (figg. 1.5-6). Di particolare interesse è, in questo caso, l’impiego di arenaria giallastra, che sembra scomparire nelle fasi successive. Un terzo tipo edilizio, attestato in maniera esclusiva, è rappresentato da un edificio affacciato sulla strada posta lungo l’asse centrale dell’abitato sommitale (fig. 1.6). Si Fig. 5 - Edificio medievale sul lato orientale di Pietrabuona 63 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 6 - Particolare del lato orientale del palazzo comunale trecentesco. Si noti a destra il preesistente arco in arenaria tratta di due pilastri in arenaria sbozzata o riquadrata di medie e medio-grandi dimensioni facenti in origine parte di una costruzione aperta sull’esterno secondo la tipologia della casa-torre pisana. Il prospetto, come di consueto, era chiuso da apparati lignei che, ai piani superiori, potevano sporgere sulla strada aumentando così la superficie interna abitabile. La tipologia in questione, ampiamente diffusa a Pisa, venne adottata precocemente in aree di forte influenza pisana9, a Lucca e in maniera assai sporadica a Firenze. Nel caso della Valdinievole, dove il tipo sembra essere arrivato attraverso la mediazione lucchese, le attestazioni sono rare e probabilmente ascrivibili al XIII-XIV secolo10. L’architettura civile mostra, in sintesi, come l’abitato di Pietrabuona, dopo un primo fallimento, sia riuscito ad affermarsi pienamente come villaggio dotato di una buona base demica e di una evidente differenziazione sociale, data la presenza, accanto a strutture povere, che pure dovevano esistere, di edifici denotanti l’alto tenore di vita dei suoi committenti. Non sorprende, quindi, come alla fine del secolo XIII, Pietrabuona, insieme a Buggiano, Vellano e Pescia, abbia cercato di svincolarsi dalla dominazione lucchese cercando l’appoggio imperiale11. Le trasformazioni trecentesche 64 Nel corso del Trecento, contestualmente al clima di forte conflittualità che contrassegnò l’intero territorio, Pietrabuona subì numerose trasformazioni che ne cambiarono radicalmente l’aspetto e, in parte, la localizzazione dei poli del potere. L’evento principale fu rappresentato dalla realizzazione di una nuova cinta difensiva, ancora in parte conservata. La cortina muraria andò a cingere la parte sommitale del colle, intersecando la vecchia chiesa di S. Matteo, la quale venne convertita in “roccam et fortilitium”12 (fig. 1.8). In corrispondenza del catino absidale venne realizzata infatti una possente torre quadrangolare dotata di arciere, posta evidentemente a protezione dell’accesso al castello. La tecnica muraria impiegata è quella del tipico filaretto trecente- Indagine archeologica sulle architetture sco, ben attestato sul territorio, nel quale vengono impiegate bozze di medie dimensioni con facce spianate tendenti al rettangolo, poste in opera su filari orizzontali con malta di grassello di calce (figg. 7-8). Sempre allo stesso programma edilizio sembra da imputare la costruzione di un nuovo edificio di culto13, posto questa volta nel cuore dell’abitato, in adiacenza alla sede del vecchio potere “laico” (figg. 1.9-9). Qui sarebbe stato costruito un edificio orientato in senso Fig. 7 - Particolare della tecnica costruttiva della cinta Nord-Sud, addossato alla torre preesistente convertita in campanile. La tecnica costruttiva mostra, rispetto ad altri contesti coevi, uno scarso impegno economico. Se, infatti, nel caso di Sorana la facciata venne realizzata con conci squadrati relegando le bozzette ai lati secondari, a Pietrabuona non vi è una caratterizzazione della facciata, sulla quale l’elemento di monumentalità era dato da un alto portale sormontato da un tettuccio a spioventi in legno, di cui rimangono oggi visibili gli alloggiamenti per i travetti. Il portale si inserisce nella tradizione appenninica coeva, in cui l’architrave è sormontato da un arco poggiante su mensole modanate. Dell’abside, fortemente rimaneggiata nei secoli successivi, rimane oggi solo una labile traccia sul lato meridionale della struttura, per cui non è possibile ipotizzarne la pianta e l’estensione. In un documento datato 22 novem- Fig. 8 - Particolare della torre costruita bre 1354 l’attuale chiesa posta all’in- all’interno della chiesa di San Matteo 65 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 9 - Facciata dell’oratorio di S. Michele 66 Fig. 10 - Palazzo pubblico terno dell’abitato viene descritta come “ben governata e fatta in podio soppidaneo contra quella vecchia. La chiesa è nuova e non consacrata perché era un oratorio e la chiesa antica fuit conducta in roccam et fortilitium”14. Si preferisce leggere nel termine “contra” un’indicazione di contrarietà piuttosto che di un rapporto fisico tra i due edifici di culto. Nel secondo caso, infatti, dovremmo supporre un’ulteriore chiesa convivente con quella costruita nel XII secolo e con l’oratorio descritto dal documento. Lo spazio a disposizione permetterebbe di ipotizzare però un edificio di culto di dimensioni minori rispetto al suo stesso oratorio, anche se la presenza di due chiese in un insediamento così piccolo sarebbe assai singolare. Pur non escludendo del tutto tale ipotesi, è plausibile identificare le strutture visibili come parte del cassero signorile e la “chiesa antica” con la chiesa di XII secolo sopra descritta che, come si vedrà successivamente, venne effettivamente convertita in struttura militare nel corso del Trecento. All’interno del medesimo piano di trasformazione urbana è forse da ascrivere la realizzazione della sede del nuovo comune rurale15, posto di fronte alla facciata della nuova chiesa16 (figg. 1.10-10). L’edificio mostra le caratteristiche planimetriche e formali tipiche dei palazzotti sorti in ambiente urbano e rurale nel corso del Trecento come sede funzionale del nuovo potere comunitario sul modello, sempre ricco di fascino, dell’antica residenza signorile17. Si tratta di una struttura a pianta quadrangolare sviluppata su tre piani, con loggia al pian terreno e piano nobile al livello superiore, connessa, probabilmente, ad una torre sul lato occidentale. Gli aspetti formali, così come le caratteristiche planimetriche18, mostrano i chiari legami della taglia esecutrice dell’opera con l’ambiente tecnico fiorentino. Le ampie aperture sormontate da archi potenziati al pian terreno che sul lato principale, in dialogo con la chiesa, poggiano su mensole modanate in arenaria, trovano infatti confronti puntuali nelle case mercantili urbane con loggia al pian terreno. Ugualmente Indagine archeologica sulle architetture ben attestate in ambiente fiorentino sono le due finestre poste su ciascun lato del piano superiore, caratterizzate sempre da archi potenziati in arenaria e da stipiti in conci perfettamente spianati. La perizia degli scalpellini si rende evidente nell’impiego di un elemento a L sul lato destro della facciata, dove l’espediente porta ad ammorsare in maniera ottimale l’arco della loggia con la muratura. La probabile torre, di cui è visibile il fronte occidentale, mostra al Fig. 11 - Lato occidentale del palazzo pubblico primo piano una piccola finestra costituita da davanzale, stipiti squadrati monolitici e architrave poggiante su mensole con semplice modanatura curvilinea interna alla luce dell’apertura. Al piano superiore doveva aprirsi una finestra di dimensioni maggiori, probabilmente non allineata a quella sottostante, composta da conci squadrati e forse sormontata da un arco. Il paramento dell’edificio mostra un’accurata tecnica a filaretto, mentre i cantonali sono costituiti da conci lavorati accuratamente e spianati a punta singola. Il tipo edilizio con loggia al pian terreno, cui fa riferimento il palazzo pubblico, è attestato nel castello sul lato occidentale della piazza, dove un primo impianto, dotato di un fornice con mensole modanate, sembra essere stato ampliato verso Nord con la realizzazione di un’ulteriore apertura, questa volta più ampia e priva delle usuali mensole (figg. 1.11-11). Ascrivibili sempre al Trecento o al secolo successivo sono l’edificio immediatamente ad Ovest della chiesa, di fronte al campanile, ed uno posto lungo la via principale che dall’accesso settentrionale porta all’edificio di culto. Si tratta di corpi di fabbrica costruiti con grossolane bozze poste su filari, ma che mostrano nelle aperture il prezioso impiego di laterizi negli archi con bandella che conferiscono al prospetto una maggiore vivacità cromatica. L’uso di materiale fittile, diffuso massicciamente in area appenninica solo a partire dal XVII-XVIII secolo, trova comunque attestazione nel Trecento, pur limitata a piccoli interventi, in diversi centri della Valdinievole a segnale della loro vitalità economica19. Ascrivibili all’edilizia due-trecentesca sembrano essere alcune strutture poste a Nord dell’insediamento, nel principale polo di espansione poco più a valle del villaggio. Qui, riutilizzate da strutture di età moderna, sono presenti porzioni di muratura a filaretto che 67 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona testimoniano già da questa fase il progressivo consolidamento del borgo esterno e quindi, ancora una volta, la tenuta demografica ed economica dell’insediamento20 (figg. 1.12-12). Le architetture trecentesche mostrano, in sintesi, un centro piuttosto vitale, dove sono giustificati importanti investimenti economici, come la realizzazione di una nuova cinta, di una nuova chiesa e di diversi edifici di ambito privato e pubblico. La costruzione di una cinta, Fig. 12 - Edificio medievale nel borgo settentrionale la demolizione dell’antica chiesa e la costruzione di un nuovo edificio di culto in una posizione più vicina all’abitato, richiamano in maniera evidente quanto avvenne negli stessi anni a Sorana, centro posto poco più a Nord di Pietrabuona, sempre in Valleriana21. La costruzione di una fortificazione sui ruderi della vecchia chiesa (emblema locale del potere vescovile), di un palazzo comunale e di una chiesa, in costante dialogo con esso, sembra non escludere un preciso atto simbolico di manifestazione politica22. Lo sviluppo tardo medievale 68 Agli inizi del XV secolo23 si colloca la costruzione di un ospedale immediatamente alle spalle dell’abside della chiesa castellana per volontà del presule lucchese Baldassarre Manni24 (fig. 1.13). La struttura ricettiva, dedicata come l’edificio di culto a San Matteo, è collocabile con certezza per mezzo della cartografia storica ed identificabile con alcune strutture superstiti grazie ai rapporti di cronologia relativa, alla tecnica costruttiva e alle caratteristiche planimetriche25. Il corpo di fabbrica, infatti, ha come ante quem il nuovo portale di ingresso datato da un’iscrizione al 158626 e mostra una tecnica a bozzette in arenaria poste in opera con numerosi pareggiamenti (fig. 3). Sul lato occidentale l’edificio presenta alcune finestre archivoltate con cunei mostranti un leggero bugnato (fig. 13). Assai significativo è l’aspetto planimetrico: la struttura, caratterizzata da un solo piano avente una superfice di poco superiore a 50 metri quadrati, si presta bene a svolgere la funzione di accoglienza dalla quale, però, alla metà del Cinquecento, lo spitaliere Indagine archeologica sulle architetture preposto poteva ricavare, pare, una ben scarsa rendita27. Probabilmente lo stesso gruppo di maestranze impiegate per l’ospedale venne utilizzata per la costruzione di un nuovo edificio sul lato opposto della strada (fig. 1.14). Scendendo lungo via della Scaletta verso valle, lasciandosi alle spalle la chiesa, è possibile notare sul lato sinistro la porzione occidentale di una struttura di cui rimane l’arco di accesso in connessione con il cantonale. I blocchi, tutti in arenaria macigno ben squadrata, mostra- Fig. 13 - Particolare di un arco sul lato occidentale no anche qui un leggero bugnato spianato dell’ospedale a punta singola, che non sembra lasciare dubbi sull’identità della taglia, forse proveniente da Lucca. A maestranze di diversa formazione è invece da attribuire l’edificio sorto, probabilmente nel giro di pochi decenni, nell’angolo Nord-occidentale del centro fortificato. La facciata, oggi in parte intonacata, è dominata in basso da un portale con arco a pieno centro in arenaria macigno, recante, sul concio di chiave, lo stemma nobiliare fiorentino dei Salviati, con le caratteristiche tre bande doppiomerlate28 (figg. Fig. 14 - Concio di chiave con stemma nobiliare dei Salviati 1.15-14). Ai lati è possibile apprezzare i cantonali ben spianati e parte del paramento in blocchi riquadrati spianati a punta singola. Ai piani superiori dovevano trovarsi due serie di finestre di cui rimangono leggibili soltanto gli stipiti ammorsati alle pietre angolari della facciata. Mentre nel caso della residenza commissionata dai Salviati le maestranze si riallacciano alla tradizione stereotomica bassomedievale di influsso fiorentino, ben attestata, negli stessi anni, a Pietrabuona e Vellano29, nel caso dell’edificio fatto costruire dal presule di Lucca le taglie impiegate mostrano un legame con la tradizione più prettamente lombardo-lucchese. Si tratta di edifici di committenza alta, la cui attestazione mostra come, ancora nel Quattrocento, la pluralità degli interessi per il controllo della valle potesse trovare 69 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona un riscontro e, forse, una modalità di espressione alternativa nella commissione di un cantiere edilizio. La prima età moderna Il Cinquecento segna per Pietrabuona, così come per l’intera vallata, un forte incremento edilizio dovuto probabilmente a nuovi investimenti economici e ad un aumento della popolazione. L’edilizia si contraddistingue per l’impiego di portali a cornice architravati in arenaria macigno, talvolta recanti la data incisa, come nel caso di un corpo di fabbrica posto sulla strada che collega l’accesso principale al castello con la chiesa interna. Qui l’architrave, riportante la data 1542, è connesso ad un soprastante piccolo occhio lucifero sempre in arenaria, che testimonia, insieme al portale, l’alta committenza del corpo di fabbrica (figg. 1.6-15). La tecnica edilizia, così come notato per Sorana, mostra segni di attardamento nella lavorazione e nella posa in opera dei pezzi30. Quando ormai in aree urbane la tecnica impiegata è quella caotica “alla moderna”, in cui lo Fig. 15 - Sulla destra, edificio medievale con portale scalpellino, figura principale dell’edilizia medievale, inserito a strappo datato al 1542 scende in secondo piano rispetto al muratore in un ciclo produttivo che abbatte i costi della lavorazione, a Pietrabuona si continuano a porre in opera bozzette, se pure meno accuratamente lavorate rispetto ai secoli precedenti. Gli interventi cinquecenteschi sono localizzati in tutte le aree del castello e vanno a colmare probabili spazi vuoti o, più verosimilmente, nel cuore dell’abitato a rimpiazzare strutture preesistenti non più riutilizzabili per degrado o impiego di materiale deperibile. Casi esemplari sono rappresentati da un edificio ben conservato posto nella parte Sudorientale dell’insediamento o ancora da un corpo di fabbrica collocato sul fronte più orientale del castello. Quest’ultima struttura, assai rimaneggiata nel secolo scorso e difficilmente leggibile, mostra, in associazione con la tecnica a bozzette cinquecentesca e l’usuale portale a cornice, un secondo stemma dei Salviati che oggi appare ricollocato, ma che può ragionevolmente essere associato all’impianto originario (figg. 1.16-16). L’attestazione di un ulteriore edificio commissionato dalla famiglia fiorentina appare as70 Indagine archeologica sulle architetture sai significativa sul ruolo che essa dovette avere alle soglie dell’età moderna nel centro. Pur non disponendo di dati documentari a riguardo, è probabile che i Salviati abbiano acquisito una consistente base fondiaria nel territorio di Pietrabuona, tale da giustificare la realizzazione di edifici di residenza e/o di controllo e prelievo delle rendite agricole. Tra lo scorcio del secolo XVI e gli inizi di quello successivo, quando ormai la valle è pacificata sotto il controllo del florido stato regionale costruito da Firenze, si colloca l’intervento di restauro e ammodernamento del complesso della chiesa di San Matteo, nata come oratorio e poi assurta a rango di chiesa consacrata nel corso del Trecento. Siamo informati dell’andamento dei lavori da alcune fonti documentarie e, soprattutto, da eccezionali date incise sui paramenti, testimonianti le principali tappe del cantiere edilizio. Si trattò di un intervento poco invasivo, mirato all’installazione di nuovi portali, confacenti al gusto del tempo, e al rifacimento del campanile. Il primo edificio a cui si mise mano fu l’ospedale del XV secolo, nel quale venne inserito un ricco portale asportando probabilmente il precedente sulla Fig. 16 - Portale cinquecentesco sovrastato dallo parete settentrionale31 (figg. 1.13-17). Si tratta di stemma nobiliare dei Salviati ricollocato un’apertura trilitica con caratteristica cornice modanata soprastante sormontata da una lunetta in laterizi, che doveva probabilmente accogliere una decorazione ad affresco. Sull’architrave è incisa entro un cartiglio la data 1586, intramezzata dal trigramma IHS con croce sul tratto trasversale della H32. La chiesa venne rialzata e risistemata nella parte sommitale, forse in relazione al rifacimento del tetto, mentre l’abside, probabilmente rovinata a seguito di un cedimento, venne ricostruita cambiandone in parte la forma planimetrica33 (fig. 1.9). Nuovi portali vennero installati sul lato orientale, dove è riportata la data A(nno) D(omini) M(ense) S 1599, e sull’entrata principale in facciata, al di sotto della lunetta legata all’antico impianto medievale (fig. 9). Si tratta di portali architravati con stipiti composti da diversi grandi conci squadrati di arenaria macigno terminanti con due mensole a stampella con modanatura aggettante verso l’interno dell’apertura (fig. 18). L’ingresso secondario mostra stipiti privi di base ed una semplice modanatura curvilinea, mentre l’accesso principale, più accura71 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona tamente lavorato, presenta due basi tronco-piramidali e una modanatura fitomorfa assai stilizzata (fig. 9). La scalpellatura sui conci orizzontali dei portali della chiesa indica come, nel Cinquecento, essa sia stata coperta da uno strato di intonaco in cui gli unici elementi visibili dovevano essere gli elementi architettonici. Il campanile, infine, dove campeggia su un concio del cantonale la data 1611, venne rialzato con la costruzione di una cella campanaria34. Il modello dei nuovi portali di ingresso della chiesa venne adottato probabilmente poco tempo dopo da maestranze locali in un edificio posto sul lato orientale dell’abitato. Qui infatti è possibile notare un corpo di fabbrica, assai compromesso nella lettura da un recente restauro, che mostra un portale e due finestre architravati in arenaria macigno composti da conci grossolanamente squadrati (fig. 1.13). L’esempio ecclesiastico viene riproposto in forme più semplici, unendo le mensole all’architrave per farne un unico elemento. La forma a stampella degli elementi laterali viene mantenuta, mentre si perde l’aggetto della modanatura e quindi l’aspetto squadrato che assume la luce dell’apertura nel modello originario. La scarsa perizia della Fig. 17 - Nuovo portale dell’ospedale di San Matteo datato 1586 taglia, ben evidente nella finitura quasi rudimentale dei pezzi che talvolta presentano un bugnato derivante più dalla volontà di non spianare la faccia a vista che da motivi di carattere estetico, ha comportato l’impiego di un laterizio nella posa in opera dello stipite destro di una delle finestre, evidentemente motivato da un calcolo errato da parte degli scalpellini al momento del taglio dei pezzi e da una correzione effettuata dal muratore al momento della loro posa in opera (fig. 19). Scarse sono le attestazioni dei portali a bugnato rustico rigato, che invece caratterizzano nel Seicento un numero considerevole di edifici a Sorana35. L’elemento architettonico compare al di fuori del castello, nel borgo meridionale e in rifacimenti di strutture preesistenti. Probabilmente il comune, contrariamente a quello di Sorana, in questi anni subì una fase di forte recesso economico e forse demografico, di cui è difficile al momento ricostruire i tempi e soprattutto le cause. Il XVIII secolo segna l’ingresso, a livello edilizio, dell’impiego, seppure non esclusivo, 72 Indagine archeologica sulle architetture del laterizio. I mattoni vengono utilizzati nella posa in opera del materiale, ormai esclusivamente in mano ai maestri muratori, e, nei casi di maggiore investimento edilizio, nelle aperture archivoltate, così come attestano due esempi rispettivamente all’interno dell’abitato, di fronte al lato occidentale del campanile, e nel borgo, sul fronte settentrionale della piazza (fig. 20). Nella maggior parte dei casi, invece, le aperture vennero realizzate, secondo la prassi del tempo, reimpiegando le lastre in arenaria preesistenti ruotandole lungo l’asse longitudinale di 90° in modo tale da avere la superficie lavorata sul lato interno dello stipite o del davanzale e la faccia scabra in facciata, dove sarebbe stata interamente coperta dall’intonaco. Frequente è la realizzazione di rudimentali archetti o piattabande al di sopra dell’architrave, funzionali probabilmente alla protezione, seppure sommaria, degli elementi orizzontali. I segni di maggiore investimento economico si colgono principalmente nel borgo settentrionale dove, accanto ai rifacimenti sopra descritti, venne realizzata una grande residenza patronale e numerosi edifici rurali ben databili al periodo per iscrizioni, caratteristiche tecniche ed esame incrociato dei catasti di XVIII e XIX secolo. Fig. 18 - Portale laterale della chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele) datato 1599 Fig. 19 - Portale principale della chiesa (a sinistra) e finestra di una casa dell’abitato (a destra) 73 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona La prima occupa il margine settentrionale del borgo. L’edificio, scarsamente leggibile a causa dei restauri e dell’intonaco, reca sulla facciata meridionale un portale architravato di pregevole fattura in arenaria macigno recante la data 17. . (figg. 1.18). Nei secondi, spesso ben leggibili, venne impiegata l’usuale tecnica costruttiva “alla moderna” con numerosi frammenti di laterizio, mentre le aperture vennero realizzate in mattoni o con gli stessi conci impiegati nei cantonali. Il tipo edilizio più diffuso, ben attestato nell’espansione sul lato occidentale della piazza principale del borgo (figg. 1.21-21), è rappresentato da un edificio a tre piani con un portale architravato al primo, strette finestre al secondo e grandi aperture costituite da pilastri più o meno larghi che sorreggono il tetto al piano superiore. Le ridotte dimensioni delle aperture mostrano chiaramente la volontà di non disperdere il calore interno a discapito dell’ingresso della luce solare che, evidentemente, passava in secondo piano rispetto alle attività rurali praticate dai fruitori della struttura. Tutto cambiava invece nel sottotetto, dove le grandi finestre gaFig. 20 - Edificio datato 1769 rantivano una maggiore luminosità ed areazione funzionale alla buona conservazione della copertura così come, forse, alla conservazione/lavorazione di alcune derrate. Nel corso dell’Ottocento il centro continuò ad essere interessato da diversi restauri e ricostruzioni che non alterarono sostanzialmente il quadro insediativo venutosi a creare nei secoli precedenti. Il laterizio continuò ad essere impiegato insieme alla pietra senza mai però sostituirla del tutto. I mattoni vennero talvolta alternati, negli angoli degli edifici, ai cantonali in pietra, mentre trovarono ampia applicazione nelle aperture e, più in generale, come zeppe e pareggiamenti. Ai primi anni del XIX secolo risale la ricostruzione della fontana pubblica36 nella piazza inferiore dell’abitato, all’esterno della cinta castellana. Si tratta di un muro entro il quale si apre una nicchia sormontata da un arco a pieno centro, sulla cui chiave compare uno stemma recante un giglio e la datazione al 1822 (fig. 1.19). Di notevole interesse è la spianatura dei cunei, per la quale si applicò un’inedita lavorazione con uno strumento a punta portato con un angolo di impatto inferiore ai 45°, in modo tale da creare dei solchi paralleli e perpendicolari ai raggi dell’arco. 74 Indagine archeologica sulle architetture Sempre allo stesso secolo appartiene la costruzione di un nuovo edificio di culto a pianta centrale37 posto immediatamente alle spalle della fontana e poco sotto l’antica chiesa castellana (fig. 1.20). La struttura, che mostra dimensioni considerevoli, di certo ben superiori a quelle necessarie per ospitare la sola comunità locale, presenta l’ingresso sul lato settentrionale, dove si apre un portale architravato inquadrato da due grandi lesene. Gli archi di protezione delle aperture sono realizzati in laterizi, mentre i cantonali e le bozze del paramento sono in arenaria legata da malta di grassello di calce. Gli interventi edilizi inquadrabili tra la fine dell’Ottocento e, soprattutto, la prima metà del secolo successivo si caratterizzarono per l’impiego della tecnica listata, secondo una prassi ben attestata in tutta l’area appenninica e oltre. Si trattò principalmente di risarcimenti dovuti a forti terremoti che scossero l’area nel periodo in questione e, probabilmente, ai bombardamenti subiti durante il secondo conflitto mondiale. La localizzazione della tecnica muraria, che vide l’impiego di gruppi di filari di laterizi alternati a bancate in pietra, mostra come i maggiori danni vennero subiti dai fronti paralleli ai salti di quota38 (fig. 22). I portali tipici collegati alla tecnica “anti-sismica” sono costituiti da Fig. 21 - Edifici del borgo settentrionale 75 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 22 - Edificio medievale con ripresa post-terremoto 76 sottili piedritti, in arenaria o in cemento imitante la pietra, impostati su plinti parallelepipedi sorreggenti un architrave su cui si apre una finestra rettangolare, generalmente protetta da una grata. Lo spopolamento e il conseguente abbandono di numerosi edifici nella seconda metà del XX secolo sta oggi lentamente lasciando il posto ad una progressiva rioccupazione degli spazi che, dismessa la funzione di edifici prettamente rurali, assurgono a residenze secondarie di cittadini che in esse cercano un modo di evasione dai rumorosi e inquinati centri urbani. Gli interventi, a livello esterno, si limitano frequentemente alla ristilatura dei giunti, alla realizzazione di nuove finestre, legate evidentemente ad una rinnovata ripartizione degli interni, e all’inserimento di nuovi serramenti39. NOTE * Dal contributo originario “Il castello di Pietrabuona: vicende architettoniche dal Medioevo alla prima età moderna” di Antonino Meo nel DVD allegato al volume. L’indagine archeologica sulle architetture di Pietrabuona è stata effettuata con il coordinamento di Antonino Meo e di Federico Andreazzoli. 1 Sulla figura di Pietro II e sulla sua attività di riorganizzazione della diocesi cfr. A. Spicciani, Un vescovo tutore del patrimonio ecclesiastico: Pietro II di Lucca (896-933), in San Pietro in Campo a Montecarlo. Archeologia di una “plebs baptismalis” del territorio di Lucca, a cura di G. Ciampoltrini, Lucca 2007, pp. 107-136. 2 Il presente paragrafo si inserisce nella scia degli studi di archeologia dell’architettura condotti tra gli anni Ottanta e Novanta principalmente da Juan Antonio Quirós Castillo e Fabio Redi per la Valdinievole e, più recentemente, limitatamente a Sorana, da Antonino Meo e Federico Andreazzoli. 3 Per rimanere in Valdinievole, un’idea di come doveva presentarsi nel X secolo il castello può derivare dal confronto con quanto emerso a Terrazzana, cfr. M. Milanese - J.A. Quirós Castillo, Indagine archeologica sulle architetture L’archeologia medievale e post-medievale della Valdinievole, in Atti del Convegno su Archeologia della Valdinievole (Buggiano castello, 29 giugno 1996), Buggiano 1997, pp. 99-161. 4 Come ad esempio a Scarlino. 5 Dati interessanti a tal proposito potrebbero derivare da un’indagine di scavo, che potrebbe mettere in evidenza caratteri materiali ed economici del primo incastellamento e cause del suo immediato fallimento. 6 Cfr. par. La Rocca, in questo stesso volume. 7 Cfr. J.A. Quirós Castillo, Storia e archeologia di una chiesa rurale nella diocesi medievale di Lucca: San Lorenzo a Cerreto (Pescia, PT), in «Archeologia Medievale», n. 23 (1996), pp. 401-448. 8 Le maestranze comacine sono attestate a Lucca grazie ad una serie di documenti affrontati in: G. Concioni, San Martino di Lucca. La cattedrale medioevale, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 1 (2004); P. Guidi, Di alcuni maestri lombardi a Lucca nel secolo XIII (Appunti d’archivio per la loro biografia e per la storia dell’arte), in «Archivio Storico Italiano», s.7, XII, pp. 209-231; G. Volpe, Toscana medievale. Massa Marittima, Volterra, Sarzana, Firenze 1964; Quirós Castillo, Storia e archeologia di una chiesa rurale, cit., pp. 401-448. 9 Cfr. Campiglia Marittima. Un castello e il suo territorio. Ricerca archeologica, a cura di G. Bianchi, Firenze 2004. 10 Cfr. A. Meo, Fasi di formazione e sviluppo, in Il castello di Sorana, di A. Merlo, cit., pp. 85-96. Sulla casa-torre pisana cfr. F. Redi, Pisa com’era, Pisa 1991. 11 Cfr. par. Note storiche, in questo stesso volume. 12 AALU, Libri Antichi n. 66, c.52, 22 novembre 1354. 13 Cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume. 14 Cfr. AALU, Libri Antichi n. 66, c.52, 22 novembre 1354. 15 Cfr. par. Il palazzo pubblico, in questo stesso volume. 16 Il comune rurale è attestato per la prima volta nello Statuto lucchese del 1308 fra quelli appartenenti alla vicaria Vallis Nebule (ASLU, Statuti del Comune di Lucca n. 1, cc.41-65-75-95, 1308). 17 F. Redi, Edilizia civile in Valdinievole nel Medioevo: primi risultati di un censimento, in Atti del convegno su Architettura in Valdinievole (dal X al XX secolo) (Buggiano castello, 26 giugno 1993), Buggiano 1994, pp. 87-102. 18 Sull’unità di misura impiegata cfr. par. Fasi di formazione e sviluppo, in questo stesso volume. L’area prospicente la torre su via della Ruga è ricordata nella tradizione orale come Le Finestracce, a ricordo delle antiche aperture di un vano adibito a carcere. 19 Non a caso essi sono attestati nei centri principali: Pescia, Uzzano, Montecarlo, Cecina di Larciano, Serravalle, Pistoiese, Larciano castello, Uzzano, Buggiano, Colle a Buggiano. Cfr. J.A. Quirós Castillo, Produzione di laterizi nella provincia di Pistoia e nella Toscana medievale e postmedievale, in «Archeologia dell’Architettura», n. 1 (1996), pp. 41-51. 20 Il medesimo fenomeno è attestato negli stessi anni a Sorana, dove si sviluppò il cosiddetto “Borgo Paradiso” (cfr. Meo, op. cit., pp. 85-96). 21 Ibid. Nel lavoro su Sorana il grande intervento edilizio trecentesco era stato imputato a Firenze. Nel caso di Pietrabuona il documento del 1354, più volte citato, mostra come l’operazione di smantellamento dei vecchi simboli del potere e la creazione di nuovi sia avvenuta prima della conquista fiorentina, databile dopo il 1362. 22 La questione meriterebbe di essere approfondita ulteriormente da studi documentari e, soprattutto, attraverso l’ampliamento dell’analisi sulle architetture degli altri centri della Valleriana al fine di 77 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona comprendere ulteriori eventuali casi di “importazione” del modello e/o possibili varianti. 23 Cfr. par. Note storiche, in questo stesso volume. 24 AALU, Visite Pastorali n.5, cc.57 v-58 r., 15 aprile 1450. 25 Cfr. par. L’ospedale di San Matteo, in questo stesso volume. 26 Cfr. par. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi, in questo stesso volume. 27 SASPE, Comune di Vellano n. 328, c. 31r., 19 luglio 1557. 28 Cfr. par. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi, in questo stesso volume. 29 Su Sorana cfr. Meo, op. cit., pp. 85-96. Sull’esempio di Vellano, cfr. J.A. Quirós Castillo, La Valdinievole nel medioevo. “Incastellamento” e archeologia del potere nei secoli X-XII, Pisa 1999, p. 234. 30 F. Andreazzoli, Fasi di formazione e sviluppo, in Il castello di Sorana, di A. Merlo, cit., pp. 96-109. 31 Ibid. 32 Il portale, privo della connessione con la lunetta soprastante, è inserito nella tabella cronotipologica redatta da Quirós Castillo nel 1992: J.A. Quirós Castillo, Cronotipologia dei portali nell’alta Valdinievole: la montagna pesciatina (PT), in «Archeologia Medievale», n. 19 (1992), pp. 729-737. 33 Cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume. 34 I lavori per la torre campanaria sembrano potersi identificare con quelli iniziati nel 1604: SASPE, Compagnie Soppresse n. 1029, cc.23rv., 22 maggio 1604. 35 Andreazzoli, op. cit., pp. 96-109. 36 Cfr. par. La fontana pubblica, in questo stesso volume. 37 Cfr. par. La chiesa dei Santi Matteo e Colombano, in questo stesso volume. 38 Tra gli edifici intaccati è da inserire l’abside della chiesa di culto infra-muranea. Lo stesso fenomeno è stato attestato a Sorana. Cfr. Andreazzoli, op. cit., pp. 96-109. 39 Cfr. par. L’ambiente urbano, in questo stesso volume. 78 Fasi di formazione e sviluppo Per cercare di comprendere quale sia stato il processo di formazione del castello di Pietrabuona è necessario affrontare una complessa operazione di lettura delle relazioni che intercorrono tra l’insediamento ed il territorio circostante, tra la forma urbana e le sue componenti edilizie (di base e speciali), in relazione al ruolo politico-economico rivestito dall’urbs nel corso di un millennio. Per ciò che concerne i nessi tra organismo urbano e struttura territoriale, Pietrabuona si presenta come un tipico insediamento di “testata di crinale”, collegato ad un percorso che discende dal castello di Medicina (di analoga tipologia), a sua volta derivato dal crinale che da Nord a Sud interessa il monte Mitola, il monte Telegrafo, il colle Termineto fino alle colline di Marsalla, che funge da spartiacque tra la valle del Pescia di Pescia e la valle del Pescia di Collodi. Le caratteristiche orografiche del sito sono tali da conferire all’originario nucleo insediativo una serie di vantaggi in termini di salubrità, di protezione dalle eventuali esondazioni del fiume Pescia, di facilità di difesa e, soprattutto, di controllo di una delle principali vie di comunicazione dal Valdarno verso l’Emilia, rendendolo di fatto una postazione strategica per la gestione politico-militare di tutto l’organismo territoriale alle spalle della citta di Pescia. Il primo incastellamento Nell’anno 914 Pietrabuona è segnalata come castello del vescovo di Lucca. Non è dato sapere, allo stato attuale delle ricerche, quali fossero i reali intenti di Pietro II, ma al di là delle motivazioni espresse nei precedenti paragrafi, sembra ragionevole ipotizzare che l’insediamento fosse, fin dall’origine, il presidio1 della città del Volto Santo in un territorio “a confine” tra egemonie in perenne discordia tra loro. In quest’ultimo senso, le dinamiche evolutive di Pietrabuona hanno seguito da vicino le mutazioni del quadro politico ed economico regionale, subendo una sorta di “letargo” nel momento in cui Firenze ne ha assunto il pieno controllo. 79 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Le ricerche storiche e le indagini archeologiche rivelano un susseguirsi di fasi di crescita e di regresso all’interno della cerchia muraria trecentesca. Del primitivo impianto non rimangono tracce materiali se non in alcuni allineamenti dei fronti delle case ad oggi esistenti. La lettura metrico-dimensionale dell’abitato, appoggiata a schemi progettuali noti e ad alcuni indizi presenti nel tessuto edilizio, consentono comunque di avanzare alcune ipotesi circa le prime fasi dello sviluppo dell’organismo urbano (fig. 1). In generale, come accade in tutti i centri posti sulla testata di un percorso di crinale, il principale elemento condizionante la struttura urbana è la suFig. 1 - Il primo incastellamento (c: chiasso) perficie pianeggiante a disposizione dell’abitato. La necessità di onerose operazioni di “livellamento” mediante movimentazione di terra e/o rimozione e riposizionamento di rocce, avrebbero infatti fatto propendere per un’altura diversa (fig. 2). L’estensione di tale area doveva pertanto già essere sufficiente per poter tracciare a terra l’impianto dell’erigendo castello ed è presumibile che anche qui, come già documentato altrove2, questo avvenisse sulla base di uno schema pensato a tavolino, nel quale la dimensione e la disposizione dei lotti, delle strutture difensive e dei percorsi, fossero già stati previsti. Ad avallare tale ipotesi i numerosi studi che hanno dimostrato quanto fossero importanti, durante l’età Media, l’organizzazione del cantiere in relazione, soprattutto, al calcolo delle spese necessarie per la realizzazione di un progetto a scala urbana, edilizia o architettonica che sia, l’esatta determinazione della proprietà in funzione della definizione dei titoli di possesso e, infine, la valenza simbolica attribuita a determinate direzioni cardinali ed a particolari forme geometriche od organiche3. Altri fattori non secondari dovevano contribuire alla redazione di tale schema; tra questi sono da ricordare le esigenze di ordine strategico-militare offensivo e difensivo, quelle legate ai sistemi di comunicazione con gli altri centri e, non ultima, la facilità di tracciamento dello stesso impianto mediante l’impiego delle semplici regole desunte dalla geometria piana, che ben si conciliavano con gli strumenti in possesso delle maestranze di allora4. 80 Fasi di formazione e sviluppo Attraverso un’attenta lettura dell’andamento dei percorsi, dei moduli dimensionali delle strutture edilizie e della caratterizzazione tipologico-strutturale delle stesse, è possibile riconoscere la presenza di un recinto originario di 30x60 braccia lucchesi, in grado di ospitare su due fronti contrapposti 10 lotti larghi 6 braccia ciascuno. Questa ipotesi è suggerita dalla disposizione delle odierne unità edilizie lungo il lato occidentale della probabile, ma non documentata, cinta muraria del primitivo castello (i versanti molto scoscesi assicuravano di per sé un’ottima difesa anche in assenza di particolari opere murarie). Tale allineamento, situato in corrispondenza di un salto di quota di 4 metri, è ulteriormente marcato da un “chiasso” (oggi in parte ostruito, fig. 3) largo 85 cm, che separa il muro tergale della stecca di case aventi il fronte su via del Campanile da quelle prospicienti l’odierna via della Ruga. Sul lato orientale non vi sono lacerti murari che testimonino la presenza della stecca parallela e contrapposta a quella appena descritta, ma tale porzione di tessuto, se mai edificata, deve essere stata sacrificata durante il Trecento per l’inserimento degli edifici pubblici rappresentativi della comunità che, nel frattempo, si era costituita in libero comune. L’accesso al castello doveva avvenire da Nord, sul naturale proseguimento del percor- Fig. 2 - Sezione ambientale. L’elaborato mostra il sedime degli edifici sulla sommità del colle e la diversa quota del piano di campagna dei fabbricati prospettanti su via del Campanile e su via della Ruga 81 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 3 - Il “chiasso” che separa i muri tergali egli edifici che si affacciano su via del Campanile e via della Ruga. Lo stipite presente nell’immagine centrale fa parte della muratura appartenente al fabbricato che prospetta su via della Ruga, mentre la bucatura nell’immagine a destra è inserita nel paramento della costruzione che si apre su via del Campanile so di crinale, matrice stesso dell’insediamento, mentre è solo ipotizzabile che l’eventuale struttura gastaldile si trovasse nell’estremità meridionale, con annessa una torre (l’attuale campanile) ed una cappella antesignana dell’oratorio di San Michele. Il secondo incastellamento 82 Le vicende del castello nei sui primi anni di vita fanno supporre che l’impianto urbano non venne mai completato nelle sue strutture, tanto che al momento del secondo tentativo di inurbare il castrum è ipotizzabile che l’impianto stesso abbia subito ulteriori modifiche (l’originario nucleo, infatti, fu abbandonato prematuramente appena quarant’anni dopo essere stato pianificato). A questa fase di sviluppo può corrispondere probabilmente la realizzazione della cosiddetta “Rocca”, ovvero della primitiva chiesa di San Matteo, appena fuori del perimetro murario del castello ed in prossimità del suo accesso5. Di questa fabbrica, di assoluto rilievo nel panorama degli edifici chiesastici della Valleriana per le sue peculiari caratteristiche stilistiche e costruttive, non si hanno notizie certe relative alla sua fondazione, né tantomeno sulla sua funzione originaria, che doveva andare ben al di là dell’abituale cura delle anime ed essere piuttosto relazionata con il ruolo di presidio militare svolto dal castello. Fatto Fasi di formazione e sviluppo questo che giustificherebbe sia l’assenza di una chiesa interna al castrum, sia l’aspetto severo e robusto della chiesa di San Matteo, che possiede una struttura architettonica tale da poter essere utilizzata anche come avamposto fortificato in caso di assedio. Della prima delle due cinte murarie nominate dal Villani6 non vi sono evidenze materiali, ma è presumibile che in un insediamento di dimensioni limitate come Pietrabuona la loro funzione fosse assolta dalle stesse murature degli edifici costruiti lungo il perimetro del castello. L’ampliamento trecentesco Un diverso e ben più consistente stadio si ebbe durante il XIV ed il XV secolo quando, a causa del nuovo corso politico seguito al definitivo passaggio sotto la Repubblica Fiorentina (1364), fu necessario non solo ampliare il nucleo originario con ulteriori residenze (fig. 6), ma anche dotarlo di un moderno circuito murato in grado di assicurare la difesa del paese e dei principali edifici pubblici, politici e religiosi, utili alla sua conduzione. Le nuove fabbriche furono edificate a cintura del primitivo abitato, su di uno “scalino”, in parte naturale ed in parte artificiale, posto ad una quota altimetrica considerevolmente più bassa (tra i 4 ed i 5 metri, fig. 2) rispetto a quella dell’abitato originario che, oltre a comprendere le nuove unità edilizie a schiera aggregate serialmente, ospitava un percorso anulare (in prossimità dell’isoipsa + 175 metri) corrispondente all’attuale via della Ruga. Le diverse condizioni orografiche del terreno ad Ovest e ad Est del paese devono però aver suggerito l’utilizzo di soluzioni tipologiche differenti: in entrambi i casi non si tratta di vere e proprie case a schiera, ma di una variante dello stesso tipo: quelle sui versanti occidentale e meridionale, di dimensioni 3,5 x 7,5 m, presentavano una parete cieca sul fronte tergale e tre piani fuori terra su quello principale, con il portone di accesso posto sulla nuova viabilità (fig. 4), mentre le abitazioni sul lato orientale, di uguale estensione, non dovendosi addossare alle strutture murarie preesistenti, hanno dato luogo ad unità abitative con due fronti di affaccio e con l’accesso sul percorso principale dell’abitato (fig. 5). Fig. 4 - Abitazioni che prospettano sul tratto occidentale di via della Ruga Fig. 5 - Edifici che prospettano sul tratto orientale di via della Ruga; ai piani inferiori non sono presenti gli accessi agli edifici Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 6 - L’ampliamento trecentesco dell’abitato. Le nuove stecche di edifici (in rosso ed arancione) presentano una profondità pari a 14 braccia fiorentine (8,17 metri), ma una diversa tipologia edilizia. In blu la direzione delle murature portanti degli edifici presumibilmente costruiti a completamento del primitivo nucleo fortificato La cerchia delle mura 84 Il rinnovato organismo urbano, ormai in una fase di formazione “matura”, in quanto sostanzialmente simile a quella attuale, venne quindi dotato di una nuova e più ampia cerchia di mura, il cui tracciato è facilmente riconoscibile ancora oggi, oltre che sulla carta settecentesca redatta dall’ingegner Mazzoni, essendo pervenute fino ai nostri giorni gran parte delle antiche strutture difensive7 (fig. 7). Questa cinta era dotata di due porte: la porta settentrionale, detta “Bolognese” o “della Rocca” (fig. 8) e quella meridionale, conosciuta come “Fiorentina” (fig. 9) poiché in direzione di detta città. Di quest’ultima Fasi di formazione e sviluppo rimane solo la spalla sinistra per chi sale dal borgo La Croce, mentre della porta prospettante il castello di Medicina si è conservato l’intero fornice. Data la sua prossimità alla Rocca, la porta Bolognese non doveva presentare particolari strutture protettive, se non un massiccio portone a doppio battente; dalle feritoie presenti nell’abside, infatti, sarebbe stato possibile difendere efficacemente l’accesso. Utilizzando parte dei resti dell’antica chiesa di S. Matteo la nuova dominante realizzò, inoltre, una torre a base quadrangolare addossando tre delle sue quattro pareti all’edificio esistente, ingrossandole fino a portarle allo spessore di tre braccia fiorentine. È possibile che all’interno del tessuto edilizio si trovasse più di una torre; oltre a quella sopracitata e a quella adibita nel corso del Trecento a campanile della chiesa in Bicciuccolo, è ancora riconoscibile la torre posta a fianco del palazzo pubblico ed oggi accorpata ad altri edifici con funzione residenziale. Fig. 7 - Il circuito murario rappresentato nella mappa catastale redatta dall’ing. Mazzoni nel 1783 85 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 8 - Porta Bolognese (rilievo di Sabino Pellegrino) 86 Fig. 9 - Porta Fiorentina Il circuito murario trecentesco mostra alcune peculiarità di notevole interesse nel panorama delle strutture difensive ascrivibili alla seconda metà del XIV secolo. L’analisi del fronte occidentale, infatti, rivela non solo un’attenta progettazione dell’opera, ma anche, presumibilmente, un intento formale volto più ad intimidire il nemico piuttosto che essere funzionale alla difensiva. L’ignoto ideatore dell’opera assunse infatti una condotta diversa nella realizzazione della cerchia orientale rispetto a quella dei lati Nord, Ovest ed Est; nel primo caso il suo andamento sembra semplicemente assecondare l’orografia del terreno, mentre negli altri un disegno dalla geometria Fasi di formazione e sviluppo ben definita integra la preesistente Rocca, la torre difensiva costruita al suo interno e le due nuove porte urbiche (fig. 10). In questo sistema, volutamente simmetrico, la Rocca, posta sullo spigolo Nord-Ovest, doveva svolgere la funzione di “puntone”8 a protezione della porta Bolognese, il principale varco di accesso al castello. Una seconda porta in direzione di Firenze si apriva sul lato Sud-Ovest, a presidio della quale non sembra esservi alcuna struttura offensiva. Non è da escludere, inoltre, che sull’asse di simmetria di questo complesso fortificato vi fosse un’ulteriore torre, di cui oggi sono forse ravvisabili alcuni resti all’interno di un giardino privato, tangente alla muratura o a cavaliere di essa, che avrebbe consentito di impostare una difesa cosiddetta “ficcante”. Fig. 10 - Il progetto del fronte occidentale del circuito murario La scelta dell’architetto di pri- (PB: porta Bolognese, PF: porta Fiorentina, T: Torre trecentesca; vilegiare nel suo progetto i tre R: Rocca; C: campanile della chiesa di San Michele, ex torre gastaldile) versanti sopracitati è legato, oltre alle naturali condizioni di difesa offerte al lato orientale, alla viabilità: da Settentrione infatti giungeva il percorso di crinale da Medicina, mentre da Occidente saliva la strada di mezzacosta da Pescia; e proprio da questi due cammini era possibile percepire la fortificazione, il cui aspetto severo doveva essere già di per sé un monito per i viandanti9. Niente è possibile dire sulla tipologia della merlatura e sulla presenza o meno della scarpa. In alcuni tratti oggi raggiungibili, là dove le mura svolgono anche la funzione di struttura di contenimento del terreno, quest’ultima è infatti presente. Con il dovuto riserbo ed in attesa di ulteriori riscontri, è comunque verosimile ravvisare nel progetto dei tre fronti principali un’anticipazione dei disegni dei circuiti murari che 87 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona verranno realizzati nei due secoli successivi dai noti architetti ed ingegneri militari al servizio del Granducato Fiorentino. Gli edifici pubblici Allo sviluppo dell’impianto urbano e all’ampliamento delle fortificazioni, che avevano nel complesso Rocca-Porta un efficace baluardo, corrispose una completa revisione delle polarità urbane con l’introduzione, presumibilmente al posto del tessuto edilizio preesisten- 88 Fig. 11 - Il progetto della piazza pubblica: a) le geometrie della piazza; b) i rapporti dimensionali presenti nel palazzo pubblico e nell’ex oratorio di San Michele Arcangelo; c) l’angolo vuoto nel quale si incontrano a 90° il fronte principale del palazzo pubblico e quello laterale della chiesa; d) l’asse di spina del paese sul quale giace il campanile Fasi di formazione e sviluppo te, del palazzo pubblico10, di poco posteriore alla costruzione della chiesa11. A differenza di quello che è accaduto in altre castella, i simboli del potere politico e di quello ecclesiastico non vennero edificati in prossimità del primitivo nucleo, ma al centro dello stesso, divenendo la loro costruzione motivo per una ristrutturazione sostanziale dell’intero insediamento. In assenza di ulteriore documentazione è per il momento solo ipotizzabile che per fare posto ai due edifici sia stato necessario demolire una parte del tessuto originario. Le dimensioni sia della chiesa che del palazzo comunale sono esprimibili in braccia fiorentine, palesando il fatto che la loro costruzione deve essere avvenuta dopo la conquista da parte della città gigliata. Le relazioni metriche e geometriche che vi sono tra i due edifici e la piazza stessa mostrano una intenzionalità progettuale non comune per un insediamento considerato, fino a questo momento, secondario nel territorio pesciatino. Gli elementi salienti relativi a questo spazio urbano sono (fig. 11): – la presenza di un’unica piazza geometricamente definita ma asimmetrica, punto d’incrocio di tutte le visuali, che ospita gli edifici necessari alla vita pubblica; – la scelta della visione di spigolo in funzione dell’approfondimento della visuale: i singoli elementi della composizione si dispongono secondo precise leggi di accentuazione della profondità. Uno dei temi spaziali presenti, ad esempio, è dato dall’angolo vuoto nel quale si incontrano a 90° il fronte principale del palazzo comunale e quello laterale della chiesa; – il disassamento delle due fabbriche in modo da consentire la vista di parte del fronte della chiesa direttamente dalla via principale. – l’alterazione della profondità interna dell’edificio religioso mediante accorgimenti correttivi: la pianta dell’edificio viene deformata da rettangolare in trapezoidale, operazione che ha come risultato il raddrizzamento della fuga delle pareti e quindi un avvicinamento dell’abside; – l’uso del campanile come asse verticale della composizione: anch’esso trapezoidale, è posto sul fianco destro della chiesa sull’asse di spina del paese. Tali artifici, tesi comunque ad agevolare la vista della fabbrica religiosa rispetto a quella laica, sottolineano, in questo caso, la preminenza della prima rispetto alla seconda. Se è vero che gli edifici pubblici rispecchiano, grazie alla gestione sapiente dei volumi e degli stilemi formali, l’importanza delle istituzioni che ospitano, bisogna desumere che Firenze riconoscesse ancora in quest’epoca la supremazia della Chiesa lucchese, presumibilmente legata, almeno in parte, all’estensione dei possedimenti che quest’ultima deteneva all’interno dei confini comunitari. 89 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona La nascita del borgo Nel corso del XVII secolo avvenne il definitivo spostamento del baricentro dell’organismo urbano verso la parte settentrionale del paese, in corrispondenza dell’area pianeggiante fuori della Porta Bolognese, dove la presenza di vestigia del vecchio cimitero è documentata in alcuni manoscritti del XVI e del XIX secolo. Qui si concentrarono con il tempo alcune delle funzioni specialistiche a servizio del nucleo abitato (come il macello) ed è presumibile che vi si svolgesse anche il mercato, dato che nella documentazione consultata non vi è notizia di un altro luogo adibito a questo uso. A metà Ottocento troverà posto in questa area anche la nuova chiesa, la cui costruzione ha avuto ripercussioni sia sulla morfologia dell’abitato, snaturando soprattutto la primitiva percezione del castello, sia sulle dinamiche insediative. L’analisi dell’organismo urbano attuata attraverso la lettura delle unità stratigrafiche murarie12 degli edifici esistenti consente, infine, di mettere in evidenza due ulteriori fenomeni degni di nota: il primo è relativo all’elevatissimo numero di corpi di fabbrica ricostruiti a seguito dei terremoti che a più riprese hanno colpito l’abitato, facilmente riconoscibili dalle listature in laterizio presenti nelle Fig. 12 - Il versante orientale della piazza di Castello cortine dei fronti edilizi; il secondo si riferisce alla differenziazione gerarchica degli edifici, in particolare tra il XVI ed il XVII secolo, come è avvenuto nei castelli limitrofi. Quest’ultima constatazione è sintomatica del fatto che Pietrabuona sembra essere stata in grado di beneficiare delle fortune economi90 Fasi di formazione e sviluppo che che hanno investito la Valleriana a seguito del successo dell’industria serica prima e cartaria poi. Nel tessuto edilizio sia infra che extra-moenia sono documentati, infatti, alcuni casi in cui dalle originarie case a schiera si è passati ad edifici con caratteristiche di palazzo, segnale indiscutibile di un processo di valorizzazione della proprietà. NOTE 1 Cfr. par. Le strade, in questo stesso volume. Cfr. Merlo, Il castello di Sorana, cit., pp. 110-113. 3 Cfr. M.T. Bartoli, Un laboratorio dell’architettura gotica: Firenze, la città, le mura, il palazzo, in Città e Architettura, le matrici di Arnolfo, a cura di M.T. Bartoli - S. Bertocci, Firenze 2003, pp. 17-53. 4 Gli strumenti topografici in uso dal X al XIV secolo, per quanto è possibile osservare dalle relazioni intercorrenti, ad esempio, tra torri appartenenti a insediamenti lontani tra loro, consentivano di compiere misurazioni indirette anche a grandi distanze, con una precisione molto elevata (cfr. M.J.T. Lewis, Surveying instruments of Greece and Rome, Cambridge 2001). 5 Cfr. par. La Rocca, in questo stesso volume. 6 G.-M.-F. Villani, Cronica di Matteo e Filippo Villani con le Vite d’uomini illustri fiorentini di Filippo e la Cronica di Dino Compagni, Firenze 1364 [rist. anast. Milano, 1834]. 7 La fitta boscaglia che circonda il paese sul versante orientale ha impedito di rilevare la cinta muraria. Per poter procedere ad una valutazione dei caratteri geometrico-dimensionali del circuito si è fatto riferimento alle indicazioni presenti nella mappa catastale redatta dall’ingegner Mazzoni nel 1783, avendo preventivamente verificato in due punti distinti, mediante strumentazione topografica, la correttezza delle misurazioni settecentesche. 8 Con il termine puntone si intende una torre sporgente dal filo delle mura, per lo più poligonale, considerata un’opera di transizione tra la torre ed il baluardo. Nel XV secolo ebbe già i caratteri del bastione (cfr. M. Naldini - D. Taddei, Torri Castelli Rocche Fortezze. Guida a mille anni di architettura fortificata in Toscana, Firenze 2003, p. 190). 9 A quell’epoca non esisteva alcun percorso di fondovalle che cingesse sul lato orientale il colle su cui giace Pietrabuona (cfr. mappa catastale dell’ingegner Mazzoni). 10 Cfr. par. Il palazzo pubblico, in questo stesso volume. 11 Cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume. 12 Cfr. par. Indagine archeologica sulle architetture, in questo stesso volume. 2 91 La Rocca* Dell’antico edificio posto “nel luogo detto la rocca”1 – strategicamente posizionato a conclusione del percorso di crinale che, scendendo da Medicina e passando per il Santo Vecchio, conduce ad una delle due porte trecentesche del castello di Pietrabuona – si conservano oggi soltanto alcuni lacerti murari appartenenti alla primitiva chiesa di San Matteo2 e le vestigia di una torre difensiva costruita al suo interno in seguito agli scontri del XIV secolo (fig. 1). Nonostante l’attuale stato di degrado ed abbandono dell’organismo architettonico, le due strutture costituiscono la testimonianza materiale di un graduale processo storico che ha progressivamente fatto perdere alla fabrica la funzione re- 92 Fig. 1 - Sistema Rocca-porta visto dalla via Mammianese La Rocca ligiosa per la quale era stata concepita e realizzata per assumerne una prettamente difensiva. Sebbene la fondazione della chiesa venga tradizionalmente fatta risalire ad un lasso di tempo compreso tra il X e l’XI secolo, a seguito della seconda fondazione del castello, le prime notizie documentarie che ne attestino la presenza sono le pergamene dell’Archivio Capitolare di Lucca3 e gli Estimi della Diocesi di Lucca4 degli anni compresi tra il 1260 e il 1303, che la riportano come “Ecclesia S. Mathei de Petrabona”5, dipendente dalla “Plebes de Piscia”6. Sicuramente presente, con il suo cimitero annesso7, durante i feroci scontri del 1281, l’edificio conservò probabilmente la sua funzione religiosa fino alla metà del secolo successivo8, quando i repentini sconvolgimenti politici e le ripetute battaglie combattute sul territorio imposero delle modifiche radicali al corpo di fabbrica (fig. 2). Dalle cronache del tempo si evince come nel 1354 la chiesa risultasse pesante- Fig. 2 - Abside e fianco Nord-Ovest della Rocca mente danneggiata, tanto da spingere gli abitanti del castello ad abbandonarla e a trasferire le normali funzioni religiose all’interno dell’oratorio9, dove il rettore della chiesa di Medicina venne autorizzato da Berengario vescovo di Lucca ad officiare le funzioni10. Sebbene non sia possibile escludere a priori un valore difensivo dell’edificio anche a cavallo tra XIII e XIV secolo, è probabile che il cambiamento definitivo di ruolo sia coinciso proprio con il passaggio del castello sotto la sfera di influenza fiorentina11. Sui resti dell’antica chiesa, sfruttando dove possibile le murature rimaste indenni, la nuova dominante realizzò una torre a controllo della porta addossata alla base dell’abside. Alla fine del Trecento il sistema Rocca-porta divenne pertanto un nodo fondamentale dell’ultima cinta muraria12 – della quale la torre ed i lacerti dell’antica chiesa divennero parte integrante – ma, al pari delle altre strutture militari, anch’esso vide gradualmente decrescere la sua importanza man mano che le mutate condizioni socio-politiche imposero un differente assetto difensivo, e conobbe una progressiva fase di declino. 93 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona La prima vera descrizione del manufatto architettonico risale al XVI secolo quando Lorenzo Pagni, ad una prima lettera indirizzata ai Capitani di Parte Guelfa nella quale richiedeva il passaggio di proprietà della Rocca13, fece seguire una seconda istanza in cui, oltre a rinnovare la domanda, identificava la struttura “lontana dalla terra di Pescia circa due miglia verso la montagna al suo sito è lungo circa braccia 25 et largo braccia 18 dove esser una bella torre et dentro vi sono certi archibusi antiqui da muraglia et serve per rifugio di quel castello ne’ tempi di guerra et non ha beni di sorte alchuna intorno se non le ripe che per essere sul masso non si potrebbero condurre a’ cultura”14. L’area fu sottoposta a livello anche nei secoli Fig. 3 - Il crollo della Rocca. Foto conservata all’archivio successivi15, finché nel 1815 Carlo Poschi ottenfotografico della Soprintendenza (Soprintendenza per ne l’affrancatura della torre e delle terre ad essa i Beni Architettonici di Firenze, riproduzione fotografica annesse16. L’organismo architettonico non trovò n. 88593. Su gentile concessione del Ministero per però una concreta possibilità di rifunzionalizzai Beni e le Attività Culturali) zione e subì un graduale processo di abbandono, aggravato dal degrado delle strutture soggette ai fenomeni atmosferici, tanto che nel 1832 Bonaventura Poschi ne chiese la parziale demolizione17. Il progressivo deterioramento fu aggravato anche dall’edificazione di un fabbricato eccessivamente vicino al fronte Sud-Est e da una lunga serie di crolli, fino all’ultimo, degli anni Settanta del XX secolo (fig. 3), che impose la realizzazione delle murature in cemento armato a contenimento del terreno ed a protezione dei setti murari rimasti. Indagine metrica della fabrica lucchese 94 L’edificio non segue strettamente un canonico orientamento Est-Ovest, ma risulta ruotato di circa 60° rispetto ad esso (fig. 4). Le ragioni di tale inclinazione possono essere rintracciate nella volontà di conferire un determinato allineamento dell’aula rispetto al sole in particolari giorni dell’anno18 e, soprattutto, nella necessità di un miglior sfruttamento del ridotto spazio disponibile sullo sperone roccioso. Tale motivazione potrebbe aver determinato anche la presenza del portale principale di accesso (A) sul lato Sud-Est, in direzione dell’abitato19. Benché il crollo quasi totale della parete Sud-Ovest non consenta di La Rocca Fig. 4a - Rilievo integrato dei lacerti della Rocca - pianta (elaborazione a cura di Gaia Lavoratti e Andrea Aliperta) Fig. 4b - Rilievo integrato dei lacerti della Rocca - sezione AA’ (elaborazione a cura di Gaia Lavoratti e Andrea Aliperta) 95 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 4c - Rilievo integrato dei lacerti della Rocca sezione BB’ (elaborazione a cura di Gaia Lavoratti e Andrea Aliperta) 96 negare l’esistenza di un ulteriore accesso su quest’ultimo, le dimensioni e la finitura del varco A e le proporzioni della navata20 tendono a far escludere questa eventualità. Un’indagine più specifica riguardante il dimensionamento della fabrica consente di avvalorarne l’origine lucchese e, contemporaneamente, di formulare alcune considerazioni in merito al progetto del manufatto architettonico21. Il perimetro esterno dell’edificio si imposta su un rettangolo aureo – in cui, pertanto, i lati minori (Nord-Est e Sud-Ovest) risultano essere la sezione aurea dei lati maggiori (Nord-Ovest e Sud-Est) lunghi 26 BL22 – all’interno del quale sono stati impostati gli spessori murari delle pareti (11/4 BL per le pareti laterali e tergale, 11/2 BL per la parete Sud-Ovest). Fig. 5 - Proporzionamento dell’aula. Il perimetro esterno è un rettangolo aureo con il lato maggiore lungo 26 BL. L’abside è posizionata in asse con la navata suddividendo il lato minore interno in quattro parti Fig. 6 - Proporzionamento dell’abside e delle aperture. I rapporti geometrici individuati tra i pieni ed i vuoti indicano una precisa volontà progettuale nel dimensionamento degli elementi principali dell’aula La Rocca Su tale impianto l’ampiezza dell’abside, perfettamente centrata nella parete Nord-Est, si imposta esattamente suddividendo in quattro parti uguali il lato stesso (fig. 5). L’apertura così determinata costituisce lo spigolo maggiore del rettangolo (i cui lati sono tra loro in rapporto di 7:423) che inscrive l’abside a ferro di cavallo. L’asse dell’accesso principale alla navata (A), infine, si trova, rispetto al vertice orientale esterno dell’edificio, ad una misura pari alla sezione aurea dell’intero lato Sud-Est (pertanto corrispondente alla misura dei lati Nord-Est e Sud-Ovest) e dista dall’asse dell’altro accesso (B) 11 BL24 (fig. 6). Confronti stilistici e formali Se il dimensionamento conferma un progetto di impianto maturato in ambito lucchese, i caratteri stilistici denotano un preciso riferimento all’architettura romanica pistoiese – ed in particolare alle chiese appenniniche – già a partire dagli aspetti salienti dell’edificio: la navata unica, l’abside a ferro di cavallo, il coronamento a mensole con modanatura e la totale assenza di bicromia25. Tale corrispondenza potrebbe essere giustificata dalla prossimità dell’abitato alla via publica di collegamento con la valle della Lima ed alla relativa vicinanza alla via Francigena, importanti luoghi di transito di uomini e mezzi in grado forse di influenzare le scelte espressive operate per la chiesa di Pietrabuona26. L’edificio presenta una muratura a sacco (fig. 7) con paramento esterno ed interno in blocchi lapidei squadrati su filari orizzontali e continui di altezza omogenea. L’accuratezza nell’esecuzione si manifesta non soltanto nell’impiego della tecnica pseudo-isodoma, ma anche nella meticolosità della finitura superficiale delle bozze ben spianate e riquadrate. L’abside a ferro di cavallo27 (fig. 8) poggia su un basamento a gradoni che consente di superare il salto di quota tra la soglia della porta urbica ed il piano di calpestio della navata. All’esterno risultano totalmente assenti gli archetti pensili che decorano numerose chiese contemporanee nelle vicinanze28; la cornice aggettante è retta da mensole modanate simili a quelle della chiesa di San Silvestro di Santomoro, della badia di San Tommaso di Santomato e della chiesa di San Frediano di Fabrica. All’interno la medesima cornice è riproposta all’imposta del catino absidale29 chiuso da un arcone in pietra, mentre le due aperture rettangolari, disallineate e sicuramente successive all’iniziale impianto, lasciano intravedere la traccia di un’ipotetica monofora originale, di dimensioni contenute e posizionata al centro del ferro di cavallo (fig. 9). Il portale principale d’accesso (A) presenta un architrave liscio privo di mensole, al di sopra del quale sono stati ricollocati frammenti di cornice modanata. Della lunetta rimane soltanto la parte esterna ed orientale dell’arco fino alle reni, della quale è possibile ap- 97 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 7 - Muratura a sacco che caratterizza l’intera fabrica lucchese Fig. 8 - Abside a ferro di cavallo della chiesa di San Matteo Fig. 9 - Catino absidale realizzato con buona cura stereotomica Fig. 10 - Particolare del portale di accesso principale (A) 98 prezzare la cornice modanata dell’estradosso e l’omogeneità nella suddivisione radiale dei conci (fig. 10). Il secondo accesso sul lato Sud-Est (B), posto in area presbiteriale a ridosso dell’abside, presenta uno stipite30 costituito da un’unica pietra poggiante su una soglia modanata, al di sopra del quale si imposta un architrave liscio sorretto da una mensola (fig. 11) decorata con tema floreale simile a quello dell’architrave in facciata della chiesa di San Iacopo e Martino di Uzzano ed una spigatura a bassorilievo presente anche sul portale della chiesa di San Michelino in Pescia. Sebbene nell’impianto decorativo manchino, o siano andati persi, elementi figurativi strettamente legati alla rappresentazione alto-medievale di figure zoomorfe ed antropomorfe, la volutina della mensola (fig. 12), oggi semiincastonata nel muro edificato a ridosso dell’edificio religioso, richiama, per forma e dimensione, alcuni dei capitelli della cripta della badia di San Salvatore in Agna, ed in gene- La Rocca Fig. 11 - Mensola a sostegno dell’architrave dell’accesso (B) Fig. 12 - Voluta della mensola dell’accesso (B) semi-incastonata nella successiva muratura Fig. 13 - Architrave e lunetta dell’accesso (B) Fig. 14 - Una delle due monofore sul fianco Sud-Est rale alcuni manufatti di pregio realizzati dalle principali maestranze operanti in zona31. La lunetta a tutto sesto con mensole modanate mostra nell’intradosso il sacco della muratura e sul concio di chiave i resti di una decorazione in laterizio andata perduta (fig. 13). Le due monofore che si aprono sul lato Sud-Est, infine, sono realizzate con un archetto intagliato in un’unica pietra sorretto da mensole modanate montate su stipiti monolitici, soluzione questa impiegata anche nelle vicine chiese di San Niccolò di Monsummano Alto e San Piero in Campo. Del davanzale aggettante, a causa della prolungata esposizione agli agenti atmosferici, non è più possibile distinguere il sistema di modanature che lo ornava, così come non è più visibile la decorazione interna delle aperture in quanto ad esse è stata addossato il paramento murario al momento della costruzione della torre nell’aula ormai interdetta al culto (fig. 14). 99 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Da chiesa a Rocca L’edificazione della torre fiorentina Fig. 15 - Dimensionamento della torre 100 Fig. 16 - Resti della torre fiorentina all’interno della navata della chiesa di San Matteo Gli ingenti danni subiti dalle strutture della chiesa di San Matteo durante i conflitti del XIV secolo e gli sconvolgimenti politici legati al passaggio del castello sotto Firenze indussero probabilmente i nuovi signori ad intervenire in modo rapido e consistente per rendere nuovamente fruibile l’edificio come struttura militare, provvedendo alle necessarie riparazioni. Risale verosimilmente a questa fase storica del castello l’erezione della torre quadrangolare, i cui lacerti sono ancora ben visibili all’interno della navata dell’antica chiesa. La nuova struttura venne realizzata addossando tre delle sue quattro pareti ai resti dell’edificio esistente, ingrossandole fino a portarle allo spessore di 3 BF32, e posizionando il muro Sud-Ovest, anch’esso spesso 3 BF, ad una distanza di 71/2 BF dal parallelo Nord-Est (fig. 15). Il diverso momento storico di realizzazione della torre rispetto alla preesistente struttura religiosa si esplica non soltanto nell’unità di misura impiegata, ma anche nelle tecniche costruttive utilizzate e nella tipologia di paramento murario, a bozze più piccole e irregolari (fig. 16). Sulle ragioni dell’edificazione di una struttura difensiva proprio in quella posizione, infine, è possibile ipotizzare che il controllo dell’imbocco della val di Torbola e della val di Forfora ed il contatto visivo con il vicino castello di Medicina possano aver giocato un ruolo fondamentale, così come di primaria importanza dovette essere la difesa della porta urbica edificata ai piedi della Rocca. La Rocca NOTE * Dal contributo originario “La Rocca. Da luogo di culto a presidio difensivo” di Gaia Lavoratti nel DVD allegato al volume. 1 G. Palamidessi, Pietrabona. Ricerche storiche, Pescia 1930, p. 15. 2 Dell’originaria chiesa restano gran parte della parete Sud-Est fino alla cornice, l’intera parete Nord-Est contenente l’abside e la traccia a terra di una porzione della parete Sud-Ovest. La parete NordOvest è andata completamente perduta in seguito a ripetuti crolli causati dal cedimento del terreno. 3 ACLU, Pergamene, T 15, 1209. 4 BSLU, Libellus extimi Lucanae dyocesis MCCLX, ms.135. 5 Riguardo alla titolazione della chiesa gli storici locali discordano tra San Matteo (cfr. Palamidessi, op. cit., p. 15; Repetti, op. cit., pp. 206-207) e Santi Matteo e Colombano (cfr. G. Salvagnini, Pietrabuona castello di Valdinievole. Appunti di storia urbana, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 3 (1982), pp. 17-22). 6 F. Redi, Chiese medievali del Pistoiese, Pistoia 1991, pp. 218-220. 7 Nel 1595 venne respinta un’istanza di allivellamento delle carbonaie a Nord del castello perché in quel luogo erano ancora presenti “vestigia di cimitero di vecchia chiesa rovinata” (cfr. Salvagnini, op. cit., pp. 17-22). Sebbene dai documenti l’area non possa essere localizzata univocamente, è possibile che la chiesa ottocentesca sorga proprio sul medesimo suolo consacrato. 8 L’avvenuto passaggio di funzione da chiesa a Rocca è testimoniato soltanto in un documento del 1354 relativo ad una visita alla nuova chiesa di San Matteo e Colombano dal quale si evince che “La chiesa [all’interno del paese, ndr] è nuova e non consacrata perché era un oratorio e la chiesa antica fuit conducta in roccam et fortilitium” (AALU, Libri antichi, 66 c.52, 22 novembre 1354). 9 Cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume. 10 AALU, Libri antichi di cancelleria 24 c. 1, 1364. 11 La pace tra Firenze e Pisa-Lucca fu firmata il 17 agosto 1364 nella chiesa di Santo Stefano in Pescia. Tale accordo sanciva il definitivo passaggio del castello sotto la dominazione fiorentina. 12 Cfr. par. Fasi di formazione e sviluppo, in questo stesso volume. 13 ASFI, Capitani di Parte Guelfa 715, n. 2, 17 luglio 1563. 14 ASFI, Capitani di Parte Guelfa 715, n. 3, 26 agosto 1563. 15 Nel 1612, ad esempio, l’intera area venne ceduta a livello al pesciatino Stefano Martini (cfr. Salvagnini, op. cit., pp. 17-22). 16 SASPE, Comune Vellano 380, cc. 24rv., 7 maggio 1815. 17 SASPE, Comune Vellano 380, cc., 2 ottobre 1832. 18 Cfr. par. Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali, in questo stesso volume. 19 Il ricorso all’accesso laterale, sebbene non particolarmente comune, è presente in alcuni edifici religiosi nei quali le condizioni orografiche del sito su cui sorgono impediscano un’entrata canonica dal lato minore della fabrica. La chiesa di San Biagio a Montorgiali, ad esempio, presenta una soluzione simile a quella impiegata nella realizzazione del San Matteo di Pietrabuona, trovandosi al limite di uno sperone di roccia, senza la possibilità di un accesso frontale con una pertinenza sufficientemente ampia. 20 Esaminando i lacerti della parete Sud-Ovest è evidente come nel paramento superstite non si ritrovino tracce di aperture. Un eventuale portale di accesso, di dimensioni almeno pari all’accesso di Sud Est, pertanto, sarebbe dovuto essere posizionato più a Nord, risultando così assolutamente decentrato rispetto alla navata. Tali considerazioni tendono a far escludere la presenza di un ingresso, non menzionata nemmeno dal Palamidessi nel 1930 (cfr. Palamidessi, op. cit., pp. 16-17), sebbene i crolli avvenuti 101 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona e l’assenza di una più mirata documentazione storica non consentano di negarla definitivamente. 21 Nonostante il crollo di buona parte delle pareti Nord-Ovest e Sud-Ovest abbia irrimediabilmente fatto perdere traccia dell’angolo Ovest del fabbricato, la posizione di quest’ultimo è stata ricavata all’intersezione delle direzioni determinate dai lacerti dei muri Nord-Ovest e Sud-Ovest. 22 BL = Braccio Lucchese = 0,590500 m. (cfr. A. Martini, Manuale di metrologia, ossia misure, pesi e monete in uso attualmente e anticamente presso tutti i popoli, Torino 1883, p. 308). 23 Il rettangolo così generato è l’approssimazione del rettangolo dinamico mediante il quale è possibile individuare la √3. Il lato maggiore risulta infatti essere L√3, dove L, misura del lato minore, corrisponde alla profondità dell’abside. 24 Dell’apertura B rimane soltanto lo stipite orientale; ipotizzando lo stipite occidentale simmetrico al precedente rispetto all’asse della lunetta posta al di sopra dell’architrave è possibile verificare come esso dovesse trovarsi alla distanza di 4 BL dallo spigolo orientale della navata. 25 In particolare l’assenza di bicromia, archetti ciechi o losanghe tende ad allontanare l’architettura dai canoni compositivi più strettamente pisani e lucchesi, mentre la contemporanea mancanza di archetti pensili di coronamento non consente di collocare in situ le stesse maestranze di derivazione lombarda che hanno operato nella realizzazione di altre architetture contemporanee della stessa area (cfr. Redi, Chiese medievali del Pistoiese, cit., pp. 64-78). 26 La particolare posizione, a controllo di un’importante via di comunicazione e sullo storico confine tra i territori lucchesi e fiorentini, ha sicuramente influenzato le scelte formali e stilistiche operate per la chiesa di San Matteo. Sebbene siano innegabili i riferimenti all’architettura religiosa dell’Appennino pistoiese, la perizia esecutiva, la pulizia formale e l’impiego di alcune bozze finemente decorate differenziano la fabrica dalla maggior parte delle cappelle rurali della zona. Il consistente spessore murario, la posizione su uno sperone roccioso a ridosso del sistema difensivo trecentesco, la scarsità di aperture e l’entrata laterale la accomunano piuttosto alle chiese-fortezza diffuse nel medesimo periodo in tutta Europa. Gli esempi toscani sono rari, ma non marginali, dislocati in aree storicamente di frontiera o sulle isole. 27 In pianta la geometria dell’abside supera di circa 16° la semicirconferenza. Tale caratteristica, seppur poco accentuata, colloca stilisticamente il manufatto nell’ambito delle chiese romaniche dell’Appennino pistoiese. 28 Un esempio su tutti può essere considerata la chiesa di San Michelino di Pescia. 29 L’intradosso della volta, conservatosi interamente nonostante alcune lesioni, mostra una cura ed una precisione nella stereotomia dei conci che non trova uguali nella maggior parte degli esempi limitrofi comparabili per forma e dimensione (il catino absidale della pieve di San Leonardo di Artimino, della badia di San Giusto al Monte Albano o della più vicina chiesa di San Michelino di Pescia). 30 Lo stipite occidentale è invece andato perso e ad oggi l’accesso è stato parzialmente rimodellato per far fronte a successive esigenze nell’utilizzo dei vani interni inserendo un archetto in muratura a contenimento del sacco della parete. 31 Redi, Chiese medievali del Pistoiese, cit., pp. 142-152. 32 BF = Braccio Fiorentino = 0,583626 m. (cfr. Martini, op. cit., p. 206). 102 L’oratorio di San Michele Arcangelo* La struttura architettonica L’oratorio di San Michele (poi divenuto chiesa di San Matteo e Colombano) è posto al centro dell’antico insediamento in Bicciuccolo1, affacciandosi sulla piazzetta più alta del castello di fronte al palazzo pubblico. L’edificio (fig. 1), ad aula unica di forma trapezoidale, termina con un’abside “a ferro di cavallo” coperta da un catino a sesto ribassato; la copertura “a capanna” del corpo di fabbrica è sostenuta da capriate lignee di recente fattura. Un gradino che corre per tutta la larghezza della chiesa consente di differenziare la quota del piano di calpestio dell’area presbiteriale rispetto a quella dell’aula. La particolare morfologia della pianta (fig. 2) e la notevole estensione dell’abside, il cui rapporto con le dimensioni della navata non trova corrispettivi in altri edifici chiesastici della zona, fanno sì che lo spazio si dilati in prossimità dell’altare. L’innesto tra Fig. 1 - Fotopiano del fronte principale dell’oratorio questi due volumi avviene attraver- di San Michele Arcangelo 103 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona so un’apertura quadrangolare, con architrave stuccato in finto marmo, in sostituzione di un precedente arcone costruttivamente e morfologicamente più consono alla tipologia della fabbrica2. La pavimentazione è realizzata con elementi di cotto di vari formati, messi in opera a spina di pesce all’interno di una fascia perimetrale. Le aperture lucifere presenti sulla facciata, sui fianchi e nell’abside, tutte di epoca più tarda rispetto all’impianto primitivo, rendono l’interno dell’edificio sufficientemente luminoso. Sulla parete destra si trova la sacrestia, ricavata all’interno della torre campanaria (fig. 3), alla quale si accede, una volta superati due gradini in pietra locale, mediante una piccola porta con stipiti ed architrave, anch’essi in macigno. Sempre sul fianco destro si trova una cappella con altare dedicato alla Madonna, ricavata all’interno di una nicchia sporgente rispetto alla parete perimetrale della chiesa e ornata con un ciclo di pitture databili al XVII secolo. L’altare maggiore “alla romana” è di modesta fattura e decorato con stucchi Fig. 2 - Pianta dell’oratorio di San Michele Arcangelo che simulano marmi policromi. Nei suoi (sezione a 1,70 m da terra). La pianta, con le indicazioni della pavimentazione, descrive la sacrestia e, solo in parte, fianchi sono presenti due piccoli vani rile scale che conducono alla torre campanaria vestiti in metallo lavorato: quello sulla sinistra, di forma trilobata, doveva contenere gli oli santi, mentre quello sulla destra era presumibilmente utilizzato come tabernacolo. Sopra la mensa, i resti di un “dossale” in legno fanno presumibilmente parte di un intervento di ristrutturazione a cui è stata sottoposta la chiesa nei primi decenni del XIX secolo per aggiornarla ai mutati gusti del tempo. Sul fianco sinistro dell’aula si trovano la seconda porta di accesso, caratterizzata an104 L’oratorio di San Michele Arcangelo Fig. 3 - Sezione trasversale verso l’altare maggiore. L’elaborato, sezionando la sacrestia al centro del vano, dà indicazione della sequenza degli ambienti che costituiscono la torre campanaria Fig. 4 - Fotografia dell’interno della chiesa, gia in stato di abbandono, conservata all’Archivio Fotografico della Soprintendenza (Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze, riproduzione fotografica n.102362. Su gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) ch’essa da un portale in pietra ascrivibile al XVI secolo, e il fonte battesimale, posto all’interno di una nicchia ricavata nella muratura e decorata con l’immagine del Battesimo di Cristo3. Infine, nella controfacciata, è situata la cantoria, realizzata presumibilmente nella terza decade dell’Ottocento con elementi lignei stuccati e dipinti, che ospitava un organo4. Nell’insieme l’interno della chiesa, non più utilizzata da tempo ma mai sconsacrata, versa oggi in uno stato di avanzato degrado (fig. 4), di cui soffrono in particolare le decorazioni pittoriche presenti sulle pareti. Vicende costruttive Il trasferimento del culto dalla primitiva chiesa di San Matteo, all’oratorio di San Michele, come conferma un documento del 1354, non avvenne a seguito della distruzione della Rocca da parte dei Fiorentini nel periodo compreso tra il 1361 ed il 1364, ma circa un decennio prima. Nella Visita Pastorale del 22 novembre 1354 si legge infatti: 105 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona “La chiesa è nuova e non consacrata perché era oratorio e la chiesa antica fuit conduca in roccam et fortilitium”. E ancora: “la chiesa ha un altare della Santa Croce e in detta chiesa c’è unam fenestram cum clausura bona et idonea”5. La guerra contro i Fiorentini danneggiò comunque anche la nuova chiesa, che nel 1381 si trovava “in malum statum per la guerra e diminuita nelle sue facoltà”, come del resto lo era quella di Cerreto, rimasta, tra l’altro, senza rettore6. I documenti d’archivio non consentono di risalire alla data di costruzione del fabbricato. L’apparecchiatura muraria in bozze di pietra del fianco Est e del fronte principale7, così come alcuni degli elementi architettonici che caratterizzano il portale principale8 sono certamente ascrivibili al periodo romanico. L’architrave sormontato da un arco a tutto sesto con imposte rialzate, in particolare, è uno degli elementi tipici del romanico pisano-lucchese, il cui riverbero giunse anche in Valdinievole9 e nel territorio pistoiese10. Non è stato possibile stabilire se le parti più antiche di muratura siano coeve alla costruzione dell’oratorio o se siano appartenute a costruzioni preesistenti. La presenza inusuale di una torre annessa ad un oratorio, infatti, induce ad ipotizzare che nel luogo occupato da quest’ultimo vi fosse in precedenza un palazzo con torre, modificato nel corso del XII-XIII secolo per inserirvi la nuova funzione; cambiamento purtroppo non registrato nei documenti superstiti. Sempre dalla Visita del 1354 si evince che la chiesa era già provvista di canonica, anche se non se ne conosce l’esatta ubicazione. La presenza del fonte battesimale viene 106 Fig. 5 - Sezioni longitudinale e trasversale del corpo principale della chiesa. Da questi elaborati sono ben evidenti i cambiamenti di quota che caratterizzano questa costruzione L’oratorio di San Michele Arcangelo menzionata, invece, solo a partire dalla Visita Pastorale del 145011. Il primo documento che riporta delle notizie più estese sulla chiesa in Bicciuccolo è la Visita Pastorale del 25 aprile 146712, dalla quale si evince che “è consacrata con l’altare maggiore […] è battesimale e prende l’acqua e il Santissimo dalla pieve di Pescia. Ha l’opera e il suo operaio è Blaxio di Antonio”13, il quale entro l’anno avrebbe dovuto riparare la canonica. Di quest’ultima sappiamo inoltre, da un documento più tardo (1575), che “è piccola e parva e non molto comoda per un rettore”14. Non è stato possibile accertare se, al momento della trasformazione funzionale da oratorio a chiesa, la fabbrica abbia subito delle modifiche; è però ipotizzabile che l’oratorio fosse, in origine, sprovvisto di abside. Alcuni interventi importanti all’edificio furono realizzati all’inizio del XVI secolo. Nel documento del 26 febbraio 1512 si legge infatti: “peragli et paressi decta comunità di volere fare una agiunta alla chiesa di S. Matteo e Colombano in dicto Castello di Pietrabuona posto et quella fare riconciliare et ogni cosa a buon fare”15. È presumibile che le opere a cui si fa cenno nel documento siano quelle necessarie alla costruzione della prima abside; lavori che dovettero durare più di due anni, se in un documento del 20 febbraio 1516 “Francesco di Giunta, Francesco di Mencio et Giovanni di Antonio Filaferro et chiamati dal presente consiglio et uomini di Pietrabuona a spendere ducato 30 in raccrescere la chiesa di San Matteo e Colombano nel Castello di Pietrabuona et quella riconciliare et decti ducati si habbiano a cavare dal guadagno”16 (fig. 5). Una seconda serie di opere deve essere stata realizzata agli inizi del XVII secolo. In un documento del 3 maggio 1615 si chiese di: “concedere a detta comunità di poter accrescere la lor chiesa sendo per l’incapacità di essa con scomodo grandissimo per il popolo e fare alli due offitiali e insieme voglia restar servita a fare accomodare tal conto a’ detta comunità”17. Le opere a cui si fa riferimento sono presumibilmente quelle necessarie alla costruzione della cappella con altare sporgente sul fianco Ovest della chiesa, con le quali venne data una degna sede alla Compagnia della Madonna e del Corpus Domini18, se nel documento del 26 febbraio 1628 si legge che i membri della Compagnia del Corpus Domini “dovessero sopra ciò a far dipingere la nicchia della nostra compagnia et allora fosse lecito trovare il pittore farli far la poliza e tenere conto di tutta la spesa”19. A questa data, infatti, i lavori iniziati nel 1615 dovevano essere stati conclusi e la Compagnia si prestava a decorare il nuovo “ambiente” con pitture proprie dell’epoca. La compagnia del Corpus Domini fu molto attiva in Pietrabuona, facendosi carico costantemente dei lavori necessari al mantenimento della chiesa. In un documento del 1611, ad esempio, si legge che “Lorenzo di Bastiano […] come governatore ringò e disse che essendo lui uno de’ sopra ciò alla fabbrica del campanile della chiesa di San Matteo e Colombano di Pietrabuona, per il quale essendo mancato in denaro per fornire detta fab- 107 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona brica e per non lasciare detto campanile imperfetto solo per non poter suonare le campane come ancora per non venire al peggio il qual che rovina di pioggia o per il campanile o per la chiesa e più occasioni risoluti in tutto e per tutto di fornire la detta fabbrica […] risoluti di domandare alla Compagnia del Corpus Domini di Pietrabuona se si contenta di prestare all’opera quel poco e quell’assai che di denari oggi si ritrova”20. Data l’importanza attribuita a tali opere è molto probabile che queste riguardassero non solo il rifacimento della parte sommitale del campanile (come sembrerebbe confermato dalla targa apposta), ma anche quelli alla base dello stesso. Fino a quel momento, con molta probabilità, l’accesso alla torre Fig. 6 - Particolare della porta d’ingresso della chiesa. Foto conservata campanaria avveniva al piano terreno all’archivio fotografico della Soprintendenza (Soprintendenza per i attraverso una porta che prospettava Beni Architettonici di Firenze, riproduzione fotografica n. 102354. sulla via pubblica, richiusa al momenSu gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) to della costruzione della cappella della Madonna e visibile ancora oggi all’interno dell’attuale sacrestia21. Si può presupporre che proprio in questa occasione il piano terreno della torre fosse adibito a sacrestia, creando un accesso diretto alla chiesa e costruendo un solaio in volta reale. Questi interventi privarono però la torre campanaria del suo ingresso alla quota della strada, rendendo pertanto necessaria la realizzazione, sul fianco Ovest, di una scala, inizialmente in materiale deperibile, che ne permettesse l’accesso dal piano soprastante la sacrestia. Dalla Visita Pastorale del 1629 sappiamo che all’interno della chiesa erano presenti il fonte battesimale e due altari: l’altare maggiore e l’altare della Vergine dove si riuniva “l’oratorio di San Rocco”, retto da Bartolomeo Rungai22. La visita riguardò anche la sacrestia e la Compagnia del Corpus Domini, che nel frattempo doveva avere spostato la sua sede dalla chiesa ai locali a questa adiacenti, sul lato Est, dove per circa un secolo era esistito un ospedale23. 108 L’oratorio di San Michele Arcangelo Una terza fase di lavori che comportò delle trasformazioni alla struttura della fabbrica venne condotta tra il 1666 ed il 1668. Anche in questo caso i documenti parlano genericamente di “necessità di accrescimento dietro l’altare maggiore per la moltitudine del popolo cresciuto”24, ed è ipotizzabile che si tratti nuovamente della parte absidale, forse ulteriormente accresciuta fino a raggiungere le dimensioni e la forma possedute anche da quella attuale25. Nel 1684 vennero aperte le due finestre nell’abside della chiesa. Dai documenti di questo anno si desume anche che il coro era provvisto di un cancello e che l’altare venne modificato, o forse semplicemente spostato in avanti, consentendo di aumentare lo spazio retrostante. Fu inoltre sostituita la porta che dalla chiesa immetteva in sacrestia e fu fornita di serramento la finestra che vi si apriva. Quattro anni più tardi (1688)26 vennero deliberati nuovi lavori ai solai del campanile ed al tetto sopra l’altare della Madonna (nei documenti sono ricorrenti le richieste di riparazione alle coperture, essendo una delle parti degli edifici maggiormente soggette ad un rapido deterioramento, fig. 6). La carta redatta nel 178327 dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni (fig. 7), incaricato in quegli anni di aggiornare la cartografia dei territori granducali, consente di fare alcune riflessioni sui caratteri dell’edificio a fine Settecento. La chiesa è raffigurata dalla particella n° 74 e la sacrestia e la soprastante torre campanaria dalla particella n° 75. A differenza delle altre costruzioni la chiesa, così come la Rocca, è rappresentata me- Fig. 7 - Raffronto tra la carta redatta dal Mazzoni nel 1783 ed il Catasto Leopoldino redatto nel 1825 (SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825). La situazione, per quanto concerne la chiesa, è pressoché immutata 109 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 110 diante la sua pianta (compresi gli spessori murari), che riporta in modo accurato: le due porte di accesso, i gradini in facciata di forma semicircolare e quelli rettangolari sul fianco, le spallette in muratura che definiscono la cappella della Madonna con il secondo altare e, infine, le scale esterne di accesso alla torre campanaria, segno che a questa data erano indubbiamente realizzate in muratura28. Con il nuovo secolo, a seguito probabilmente dell’incremento del numero di abitanti, i documenti rivelano il desiderio da parte della comunità di ampliare la chiesa o di costruirne una ex novo. L’occasione si presentò allorché il Granduca di Toscana istituì la “Commissione per il restauro delle chiese parrocchiali” con il compito di promuovere e sostenere i lavori necessari a rinnovare questi edifici. Il 29 febbraio 1836 venne redatta una prima perizia riguardante lo stato della chiesa e le opere che occorrevano per il suo miglioramento. Il 2 ottobre del 1837 la suddetta Commissione deliberò “lire 80 perché siano eseguite le riparazioni alla chiesa e canonica dei Santi Matteo e Colombano a Pietra Buona non avendo creduto di dare luogo all’attualità delle circostanze al progetto d’ingrandimento o nuova costruzione della chiesa stessa, volendo che il parroco supplisca al trascurato mantenimento e che siano eccitati tutti i solleciti provvedimenti per la costruzione del campo santo chiudendo le attuali sepolture affine di rendere più sana quella chiesa”29. Le aspettative dei parrocchiani di vedere almeno accresciuta la loro chiesa vennero pertanto deluse, ma si gettarono le basi per risolvere uno degli annosi problemi che affliggevano l’edificio: quello relativo alle sepolture. Tale questione era infatti particolarmente urgente, sia per il cattivo odore che emanavano i cadaveri, sia perché vi era il divieto di inumare all’interno delle chiese. Una volta abbandonato il primitivo cimitero situato nei terreni dove oggi sorge l’ottocentesca chiesa parrocchiale30, il camposanto venne infatti realizzato dietro l’oratorio di San Michele, nei lotti confinanti con l’ospedale e indicati nella cartografia settecentesca con le particelle nn° 81 e 82. Della sua presenza si ha conferma, tra l’altro, nei numerosi documenti in cui è riportata la necessità di “conciare” il cimitero o di prolungare i muri di recinzione, in parte prosecuzione dei muri stessi della chiesa, affinché le bestie non vi entrassero31 (fig. 8). I soldi ottenuti per il restauro della chiesa bastarono in realtà soltanto per apportare alcune lievi migliorie, come si evince dalla lettera che il 1° marzo 1839 il rettore Giovanni Tonini scrisse al Granduca di Toscana Leopoldo II: “le 80 lire […] accordate per i restauri di questa chiesa e canonica sono bastate per fare apribili alla chiesa due finestre grandi e una finestra in sacrestia (restando sempre fisse al muro altre tre piccole finestre in chiesa). È stato pure fatto un uscio che corrisponde in coro (che era totalmente interdetto) da dove si scende in un piccolo orticino che resta fuori accanto il coro medesimo e che quest’uscio alle volte si tiene aperto per fare entrare un po’ d’aria in chiesa e L’oratorio di San Michele Arcangelo Fig. 8 - Immagini relative alla parte absidale della chiesa. In particolare, i terreni cinti da mura sono con molta probabilità quelli su cui un tempo sorgeva l’antico cimitero. Foto conservata all’archivio fotografico della Soprintendenza (Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze, riproduzioni fotografiche nn. 104121, 104122. Su gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) specialmente un po’ d’aria fresca nell’estate perché la chiesa resta da tutte le parti ristretta e rinserrata dalle case e lì vi è un piccolo punto aperto […] così le lire 80 sono state del tutto consumate”32. Si noti che di questo varco, citato anche in un successivo documento (“il coro nella tribuna dietro l’altare maggiore [ha] un uscio a sinistra nel muro di tergo si comunica con una stanza a tetto e mattonata alla quale evvi una stanza buia ed inaccessibile sterrata che serve per spurgo delle fosse sepolcrali”33) oggi non vi è traccia; potrebbe essere stato tamponato nel momento in cui i terreni retrostanti la chiesa sono stati alienati a privati. La lettera prosegue descrivendo i lavori che sarebbe stato ancora necessario realizzare: “Adesso vi sarebbe il coro che è tutto rattoppato e non è possibile accomodarlo diversamente perché volendoci mettere le mani andrebbe tutto a monte […] Le mura interne della chiesa e specialmente il tetto pure interno hanno scrostata quasi tutta l’imbiancatura […] in canonica pure vi manca per fino il luogo comodo […] oltre all’esservi dei solai spaccati e usci mezzi interdetti”34. La Commissione, a sua volta, fece stilare negli stessi anni una perizia35 all’ingegner Maurizio Zanetti, responsabile del circondario di Pescia, concernente lo stato della chiesa ed i lavori necessari al suo completo recupero. In tale relazione è descritto il campanile “costruito a foggia di torre quadrata e divisa in tre piani che il primo in volta formante il coperto della detta sacrestia e 111 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona gli altri due di legname cui si giunge con scale di legno e con uscio esterno” e viene per la prima volta menzionata la cantoria in legno sopra la porta, possibile indice della sua recente realizzazione. A seguito della costruzione della nuova chiesa in piazza di Castello, la fabbrica più antica, pur rimanendo di proprietà della curia di Pescia, è stata inizialmente data in uso alla Compagnia del Santissimo Sacramento e San Matteo36 affinché la utilizzasse come sede e poi, una volta cessata tale funzione, abbandonata all’incuria. Analisi geometrico dimensionale della fabbrica 112 Il rilievo dell’edificio ha consentito di analizzare minuziosamente i caratteri geometrici e compositivi della fabbrica, comparandoli con l’unità di misura su cui è impostata (il braccio fiorentino). La facciata, larga 12 braccia, raggiunge in gronda37 la medesima quota (fig. 9). Il quadrato di base è poi spartito in 9 parti uguali; il portale di ingresso, posto al centro della facciata, è 1/3 della misura totale. Seppur in presenza di notevoli manomissioni, risulta di particolare interesse l’analisi geometrica di quest’ultimo: tracciando infatti la circonferenza che descrive l’intradosso dell’arco in pietra si osserva che tale misura definisce sia l’altezza, compresi i gradini, del portale (pari a 2d, dove con d si intende il diametro della circonferenza), che la soluzione adottata per definire gli elementi architettonici che rialzano l’arco stesso. La sua imposta è rialzata mediante alcune cornici fino a raggiungere una quota tale per cui la distanza tra l’intradosso e la fine dell’apertura risulta pari a d. La ghiera dell’arco, realizzata con conci di pietre irregolari il cui taglio non permette di evidenziare alcuna regola geometrica che abbia guidato Fig. 9 - Fronte principale con indicazione dei il lavoro degli scalpellini, è calcolata in moprincipi proporzionali generatori della do che risulti a spessore variabile. composizione del prospetto stesso L’oratorio di San Michele Arcangelo Questi aspetti compositivi, propri dell’architettura romanica della Toscana Nord occidentale, così come descritti sia dal Redi38 che dal Tigler39, si trovano chiaramente espressi anche nella realizzazione di questa architettura periferica ed evidenziano un legame culturale con i centri maggiori (Pisa, Lucca e Pistoia). Quindi, nonostante questa chiesa risponda alle unità di misura introdotte dalla dominazione fiorentina, tipologicamente resta ancorata alla lezione delle scuole Lucchese e Pistoiese. NOTE * Dal contributo originario “La chiesa di San Matteo e Colombano, ex oratorio di San Michele a Pietrabuona” di Erica Ganghereti nel DVD allegato al volume. 1 Il Bicciuccolo è la parte più alta ed antica dell’insediamento di Pietrabuona (cfr. par. Indice della toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona, in questo stesso volume.). 2 Tale intervento deve essere fatto risalire al consolidamento post-terremoto realizzato nel 1928 (cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23, nel quale si legge: “Chiesa di San Michele […] Gravemente lesionata specialmente nella parte dell’abside per il terremoto del 1920, fu restaurata con la demolizione e riedificazione totale dell’abside l’anno 1928 con un contributo governativo”). 3 Per questo specifico argomento e più in generale per quanto riguarda le opere d’arte presenti nella chiesa cfr. par. L’immagine descritta, in questo stesso volume. 4 ASFI, Relazione n. 19, Ingegnere Maurizio Zanetti. 5 AALU, Libri Antichi n. 66, c. 52, 22 novembre 1354. 6 AALU, Libri Antichi n. 34, c. 12r., 27 maggio 1381. Il documento sottolinea la volontà da parte dei parrocchiani della chiesa di San Lorenzo di Cerreto di essere uniti alla chiesa di Pietrabuona che, pur in pessimo stato, ha come rettore il presbitero Pietro che, visto il momento di difficoltà di entrambe, avrebbe amministrato sia i beni spirituali che materiali di entrambe le chiese. 7 Per approfondimenti in merito alla datazione degli apparati murari cfr. par. Indagine archeologica sulle architetture, in questo stesso volume. 8 Nonostante il caratteristico impianto romanico, le volute dei capitelli, realizzate in foglie d’acanto dalle forme semplificate, sono presumibilmente ascrivibili alla fine del XV inizio del XVI secolo. La presenza di caratteri riferibili a periodi diversi è indice di come il portale principale sia stato più volte modificato nel corso dei secoli. 9 Facciate di questo tipo si ritrovano nelle chiese di Monsummano Alto (documentata dal 1260), Buggiano (ricostruita in forme romaniche nel XII secolo e poi ampliata e trasformata a più riprese tra il XV e il XVI secolo) e Serravalle (XIII secolo). 10 Cfr. Redi, Chiese medievali del pistoiese, cit. 11 AALU, Visita Pastorale n. 5, cc. 57v.-58r., 15 aprile 1450. 12 AALU, Visita Pastorale n. 8, c. 222v., 25 aprile 1467. 13 Ibid. 14 Cfr. AVPE, Visita Apostolica n° 1, s.12, cc. 209r., 1575. 15 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325. 16 Ibid. 17 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 328, c.nn. 113 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 18 La compagnia del Santissimo Rosario non ebbe altra sede all’infuori di questo altare. Solo dopo la costruzione della chiesa ottocentesca la compagnia trovò ubicazione all’interno della nuova canonica (“Congregazione di Maria del Santissimo Rosario […] Fu eretta da tempo immemore nella chiesa parrocchiale, non ha sede propria ed usufruisce della canonica”, cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23). 19 SASPE, Compagnie Soppresse n. 1029, c. 69r. 20 SASPE, Compagnie Soppresse n. 1029, c. 50v.-51r., 5 novembre 1611. 21 Resta comunque il dubbio sull’esistenza e l’eventuale collocazione di una precedente sacrestia. 22 ACVPE, Propositura, Visite Pastorali n. 1, cc. 666v.-667r., 20 novembre 1629. 23 Cfr. par. L’ospedale di San Matteo, in questo stesso volume. 24 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 73r. 25 Soprattutto nel pistoiese le absidi venivano rese più profonde introducendo una parte rettilinea prima della semicirconferenza. Non sono documentati però casi in cui la circonferenza superi l’ampiezza dell’arco absidale in maniera evidente ed irregolare come in quello in analisi. 26 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 102v., 9 agosto 1688. 27 ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36. 28 La sacrestia ha invece una forma più irregolare dell’attuale; questa differenza, quasi certamente, è da imputarsi ad una errata rappresentazione della stessa. 29 ASFI, Commissione per il recupero delle chiese parrocchiali n. 64, fascicolo non numerato. 30 Cfr. par. La chiesa dei Santi Matteo e Colombano, in questo stesso volume. 31 AALU, Visite Pastorali n.5, c. 58r., 15 aprile 1450. 32 ASFI,Commissione per il restauro delle chiese parrocchiali n. 64, fascicolo non numerato, 1 marzo 1839. 33 ASFI, Relazione n. 19, Ingegnere Maurizio Zanetti. 34 ASFI, Commissione per il recupero delle chiese parrocchiali n. 64, fascicolo non numerato. 35 ASFI, Relazione n. 19, Ingegnere Maurizio Zanetti. 36 Si veda la descrizione delle Istituzioni Religiose di Pietrabuona contenuta in: AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23. 37 Questa considerazione può essere assunta con sufficiente attendibilità vista la continuità dei cantonali. 38 Cfr. Redi, Chiese medievali del pistoiese, cit. 39 Cfr. G. Tigler, Toscana Romanica, Milano 2006. 114 La chiesa dei Santi Matteo e Colombano* La struttura architettonica La chiesa di Pietrabuona dedicata ai Santi Matteo e Colombano1 venne edificata extramoenia, tra il 1846 ed il 1848, nella parte meridionale dell’odierna piazza di Castello (fig. 1). L’imponente mole dell’edificio rivaleggia con il nucleo abitato, marcando in modo incisivo il profilo dell’intero paese. L’attuale aspetto del fabbricato (fig. 2) è pressoché Fig. 1 - La chiesa dei Santi Matteo e Colombano è ubicata all’esterno dell’antico borgo fortificato, nei pressi dei resti della Rocca 115 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 116 Fig. 2 - Elaborati grafici della facciata principale e della sezione trasversale della chiesa dei Santi Matteo e Colombano La chiesa dei Santi Matteo e Colombano quello originario, a meno di lievi cambiamenti negli arredi interni e di alcune modifiche alle coperture resesi necessarie a seguito dei bombardamenti occorsi durante il secondo conflitto mondiale. L’architetto Bernardino Bernardini2, originario di Pescia, probabile autore del progetto risalente al 18453, aveva disegnato un edificio a croce greca, con quattro bracci poco profondi orientati secondo i punti cardinali e con l’entrata principale rivolta a Settentrione4. Questa scelta, presumibilmente legata al gusto eclettico dell’epoca5, può tuttavia essere stata determinata anche dalla sagoma stessa del lotto. Dal punto di vista formale l’edificio non presenta qualità rilevanti, tanto che negli anni Trenta del XX secolo il suo stile veniva duramente criticato e definito dal sacerdote Pagni un “pessimo barocco”6. Le pareti della chiesa sono libere su ogni lato, con l’eccezione del fianco SudOvest, al quale si affianca il corpo della sagrestia, saturando lo spazio compreso tra le due ali (fig. 3). La facciata principale (fig. 4), di semplice fattura, è priva di ornamenti decorativi. A terra vi è uno zoccolo aggettante cinque centimetri, che cinge tutta la chiesa (nel braccio occidentale forma una scarpa leggermente inclinata). In alto, una fascia marcapiano in mattoni sottolinea il livello su cui si imposta l’apertura lucifera di forma semicircolare, che è presente anche al termine di ogni braccio della chiesa per garantire l’illu- Fig. 3 - La sacrestia addossata alla parete Sud-Ovest dell’edificio con il piccolo campanile a ventola Fig. 4 - La facciata principale della chiesa (foto di Giovanni Anzani) 117 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona minazione interna7. Un “portale” in rilievo delimita la specchiatura nella quale è inserito, al centro della facciata, il portone di accesso, a sua volta incorniciato da architrave e stipiti in pietra assicurati alla muratura da graffe in metallo8. A destra della porta, la parete è interrotta da un taglio netto dall’andamento inclinato, ripristinato con materiale laterizio, in corrispondenza delle scale interne che conducono al livello dell’organo, probabile risarcitura del paFig. 5 - I due accessi della chiesa, il portale principale e quello laterale ramento a seguito dell’inserimento sinistro (foto di Giovanni Anzani) dello stesso corpo scale. Un solo scalino, anch’esso in pietra, garantisce l’accesso allo spazio di culto. Il portale laterale, di dimensioni inferiori e sempre in pietra, è posto nella facciata Nord del braccio orientale della chiesa e costituisce l’unica altra entrata di cui è dotato l’edificio (fig. 5). Nella parete interna dell’ala destra è presente un vano simmetrico a questa porta, che non si manifesta invece sull’esterno. Il prospetto Est non mostra decorazioni e l’unica apertura esiFig. 6 - Prospetti Est ed Ovest della chiesa stente è la finestra semicircolare. (foto di Giovanni Anzani) Nel prospetto occidentale, inserito in una breccia, è presente il volume sporgente di un’edicola poco profonda, realizzata con elementi in laterizio poggianti su due mensole in pietra e coperta in coppi (fig. 6). Al suo interno conserva in una vetrina la statua della Madonna del Rosario. 118 A Meridione la chiesa si addossa al pendio che conduce alla Rocca, separato dall’edifi- La chiesa dei Santi Matteo e Colombano cio religioso da uno scannafosso che provvede alla raccolta delle precipitazioni e all’allontanamento delle acque di scolo del declivio stesso9. La copertura di ogni braccio dell’edificio è costituita da un tetto a doppia falda, con colmo e gronda costanti che si intersecano in quattro compluvi10. Il manto è composto da coppi e tegole in laterizio. Ogni facciata è conclusa da un timpano triangolare, sottolineato da una cornice modanata11 (fig. 7). I fronti presentano ad intervalli regolari le buche pontaie utiFig. 7 - La copertura a falde dell’edificio, protetta da un manto lizzate per la costruzione, oltre a due di elementi laterizi tiranti metallici inseriti nelle pareti durante le opere di consolidamento di fine anni Novanta. Il paramento murario è abbastanza regolare, ma non di pregio. Il pietrame utilizzato risulta infatti soltanto sbozzato, non mostrando superfici di taglio se non nei cantonali, che sono invece regolari ed ammorsati. I filari, in generale, non sono isodomi e le pietre utilizzate, di diversa pezzatura e differenti per qualità e colorazione, provengono presumibilmente dal vicino fiume Pescia o da “scampoli” di cava12. L’edificio, come in altri proget- Fig. 8 - I bracci laterali dell’edificio, coperti con volte a botte ti dei Bernardini13, era verosimilmente e colorati nei toni del rosa, e l’area centrale voltata a vela destinato ad essere intonacato anche e dipinta in giallo (foto di Giovanni Anzani) esternamente; la cura nella scelta e nella posa dei materiali era perciò ritenuta superflua14. L’utilizzo del mattone è limitato alle sole ghiere degli archi a tutto sesto delle finestrature e degli archetti ribassati di scarico sopra i due accessi, oltre al già citato intervento di ricucitura in facciata. Lo spazio interno della chiesa si articola nei quattro bracci della croce, voltati con 119 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona botti a tutto sesto impostate su una cornice sporgente, che dipartono da un unico ampio vano, coperto da una volta a vela (fig. 8). Sopra l’ingresso una poco profonda cantoria, ornata con cornici in stucco e sorretta da due colonne dipinte a finto marmo, sostiene l’organo. Il livello è raggiungibile mediante la scala in pietra alloggiata in parte nello spessore della parete di facciata, con accesso a destra del portale di ingresso (fig. 9). La pavimentazione, di recente posa, è composta da mattonelle quadraFig. 9 - La cantoria sorretta da colonne con l’organo te di cotto a superficie rustica, di dimensioni di 20x20 cm, messe in opera a 45 gradi e delimitate da un nastro di elementi posti parallelamente alla parete15. L’area absidale, similmente lastricata, è sopraelevata di un unico gradino in pietra. La decorazione è molto sobria e sia le pareti che le volte sono semplicemente intonacate. Nell’ultimo restauro16 l’interno è stato ritinteggiato con colori nei toni del rosa e del giallo, patinati a spugna, che differenziano la struttura voltata della copertura e sottolineano le cornici e le membrature architettoniche17. Originariamente l’interno Fig. 10 - L’altare principale e la mensa per l’ufficio delle funzioni dell’edificio era invece dipinto in verreligiose (foto di Giovanni Anzani) de chiaro, con le cornici in rilievo di colore bianco18. 19 Gli altari , realizzati in mattoni, sono intonacati e dipinti ad imitazione del marmo. L’altare maggiore è situato nella zona meridionale, in posizione frontale per chi accede all’edificio. Di forme abbastanza semplici, presenta un doppio livello di mensole terminanti in due volute laterali ed un rivestimento ligneo sul fronte dove sono inserite le se120 La chiesa dei Santi Matteo e Colombano dute per gli officianti. Il ciborio, di marmo bardiglio bianco, presenta uno sportello di legno dorato (fig. 10). Alle sue spalle un dipinto di grandi dimensioni raffigurante San Matteo occupa quasi completamente la parete20; davanti si trova una mensa in pietra per l’officio delle funzioni. Altri due altari, uguali e posti simmetricamente al termine delle ali laterali, sono dedicati alla Madonna (quello di destra) e al Crocifisso (quello di sinistra) (fig. 11). Entrambi costruiti in laterizio e rifiniti a stucco, presentano una mensa parallelepipeda rialzata su uno scalino, ai lati della quale si impostano due paraste con basamento e capitello composito che sorreggono una trabeazione decorata, sormontata a sua volta da un timpano con croce. Nelle edicole centrali sono poste le effigi del Cristo in Croce21 (a sinistra) e la statua della Madonna22 (a destra), quest’ultima fiancheggiata da ex-voto appesi alla parete. Nella mensa dell’altare del Crocifisso esiste tutt’oggi uno scudo marmoreo con sei teste di angioletti in rilievo23. Ulteriori due altari sono addossati alla parete Sud del transetto, in corrispondenza delle nicchie che conservano le statue dei santi (fig. 12): a sinistra quella di Santa Caterina24 Fig. 11 - L’altare del Crocifisso nella parete sinistra della chiesa; l’altare dedicato alla Madonna ubicato nella parete destra (foto di Giovanni Anzani) 121 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona e a destra quella di Sant’Antonio da Padova25. Sul fianco sinistro, addossato alla parete, è presente il pulpito, datato 1876, come riportato nella targa apposta in basso tra le sue due mensole26 (fig. 13). Nella chiesa sono presenti alcune opere artistiche di valore27, come le statue lignee raffiguranti i santi titolari, San Matteo Evangelista28 e San Colombano Abate29, conservate nelle nicchie più alte della parete meridionale, di scuola toscana e datate all’inizio del XV secolo (fig. 14). Fig. 12 - Gli altari di Santa Caterina e di Sant’Antonio da Padova Completano la collezione una ac(foto di Giovanni Anzani) quasantiera a fusto in marmo scolpito della metà del XVI secolo30, oltre ad alcuni arredi sacri, calici, pissidi, ostensori in argento e candelieri in legno dipinto e dorato del XVII secolo. Nella parete sinistra rispetto all’entrata principale troviamo “Il battesimo di Gesù”31, copia del Veronese, eseguita dal pittore fiorentino Arturo Zanieri e donata alla chiesa da Eugenio Galeotti Flori nel 189932 (fig. 15). Fa parte del complesso anche la sagrestia, uno spazio di due piani posto a Sud-Ovest del fabbricato e accessibile dall’interno della chiesa33. Fig. 13 - Il pulpito con il dettaglio dell’iscrizione Ogni piano è illuminato unicamente (foto di Giovanni Anzani) da una finestra che affaccia sulla via del Cimitero. Sulla copertura del tetto a falda, nel campanile a ventola, è situata la campana più piccola proveniente dalla vecchia chiesa di San Matteo e Colombano, suonata a corda per il richiamo dei fedeli34. Il piano terra della sagrestia è riservato alle operazioni necessarie per il culto, mentre quello superiore viene utilizzato come magazzino per statue ed arredi. Degne di nota sono anche una acquasantiera in pietra scolpi122 La chiesa dei Santi Matteo e Colombano ta ed un lavabo lapideo, inseriti nella parete del piano inferiore, entrambi del secolo XVII35. Il rilievo dell’edificio36 corrobora le dimensioni riportate nella relazione di progetto37 nella quale si afferma che “la forma della detta chiesa è a croce greca sviluppata in un quadrato di braccia 14 per ogni lato e nella lunghezza e larghezza di braccia 35”. Vicende costruttive La costruzione dell’edificio si era Fig. 14 - Le statue dei santi titolari, San Matteo Evangelista resa necessaria allorché, a causa del e San Colombano Abate (foto di Giovanni Anzani) progressivo accrescimento della popolazione38, l’antica chiesa del paese risultò non più sufficiente per accogliere tutti i fedeli. Nell’impossibilità di ampliare quest’ultima stretta tra le abitazioni del paese, fu approvata il 18 agosto 184639, per ordine di Leopoldo II, l’edificazione di una nuova chiesa fuori dall’antico castello. Assieme all’edificio venne prevista anche la costruzione di una nuova canonica40, in precedenza situata in un edificio “ad una certa distanza”41 e pertanto non di comodo utilizzo. Per l’ubicazione del nuovo immo- Fig. 15 - Copia de “Il battesimo di Gesù” del Veronese dipinta bile fu scelto un terreno42 nei pressi dal pittore fiorentino Arturo Zanieri, donata alla chiesa della porta Bolognese e prospiciente da Eugenio Galeotti Flori nel 1899 la piazza al centro dell’espansione extra-moenia dell’abitato, in cui era presente anche la fonte pubblica. Dalle mappe catastali di epoca settecentesca si evince che il lotto scelto confinava con il recinto delle “vestigia delle mura castellane” e con ciò che rimaneva dell’antica Rocca43. Nello stesso documento è riportato il numero della particella (39), in quel mo123 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona mento non ancora edificata, e la sua dimensione (933 braccia quadrate). Nel catasto del 1825 la stessa particella appare segnata con il numero 43 e frazionata in due parti, con un’area di dimensioni inferiori di forma quadrangolare, forse con l’intenzione di adibirla a terreno edificabile, e il resto della particella unita con graffa44. Confrontando le due documentazioni catastali sembra che il lotto del terreno sia stato ampliato con parte dell’antica particella 41, ancora interna al recinto delle mura e collegata alle adiacenze della Rocca (fig. 16). In prossimità del lotto su cui venne fondato l’edificio era anticamente presente il cimitero della primitiva chiesa di San Matteo già distrutta al tempo degli eventi bellici trecenteschi e sostituita dalla chiesa sita nel centro del paese45. Dalla documentazione cinquecentesca si evince infatti che a fine secolo vigeva ancora il divieto di concessione delle carbonaie della zona settentrionale del castello, in quanto si riscontrava la presenza di 124 Fig. 16 - Raffronto delle mappe catastali del paese di Pietrabuona. Il lotto su cui è edificata la nuova chiesa viene rappresentato dalla particella 39 del catasto settecentesco, contigua da un lato al recinto delle antiche mura e della Rocca. Nel catasto del 1825 la medesima particella risulta frazionata e segnata con il numero 43 (SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825); successivamente appare l’edificio con l’ingombro della sagrestia, che attualmente è censito come immobile unico La chiesa dei Santi Matteo e Colombano “vestigia di cimitero di vecchia chiesa rovinata”46. Nonostante l’attribuzione del progetto dell’edificio all’architetto Bernardino Bernardini47 (secondo quanto riportato nella documentazione)48, un ruolo rilevante nella costruzione deve averlo avuto il padre, il perito Pietro Bernardini49. Infatti nella perizia datata 12 luglio 184550 e nella relazione addizionale del 17 dicembre dello stesso anno, entrambe redatte da Pietro, venivano indicati dettagliatamente i lavori da eseguire e le dimensioni per l’esecuzione dell’edificio. Nel luglio del 1846, in una lettera indirizzata al vicario regio del tribunale di Pescia, veniva fornita, sulla base della documentazione sopracitata, una relazione per punti circa i requisiti che dovevano soddisfare la ditta incaricata delle opere ed i materiali da impiegare51. Oltre a richiedere l’affidamento dei lavori ad un “onesto e capace capo mastro muratore”, da comprovare in “moralità e capacità” con opportuni certificati, veniva assegnato un termine di quattordici mesi per il completamento del manufatto. L’accollatario doveva impegnarsi a costruire il cornicione con elementi laterizi (“terre cotte”), intonacandolo “a sagoma”. I materiali da costruzione dovevano essere procurati in quantità abbondante per poterne permettere una cernita: i mattoni dovevano essere “cotti a perfezione, sonanti e di buona qualità”; la calcina cotta di recente; la rena proveniente dal fiume Pescia, pulita dalla terra mediante lavaggio; il legname per il tetto e gli infissi, stagionato e senza nodosità dannose52. Facendo riferimento a quanto scrive il Bani53, altre prescrizioni erano state suggerite dall’ingegnere del circondario nel rapporto del 17 marzo 184654 e nella relazione del 1 maggio dell’anno seguente. Nel medesimo documento si indicava di costruire nella chiesa tre altari di carattere provvisorio55. La supervisione della costruzione veniva affidata ad una deputazione, di cui facevano parte quattro membri: il parroco sacerdote Tonini, il presidente Frateschi56, un rappresentante della Compagnia del Sacramento57 e uno della Compagnia del Rosario58. Le mansioni della deputazione erano principalmente quelle di controllare la corretta esecuzione dei lavori, con l’incarico di presiederne la direzione, di impegnarsi alla raccolta del denaro necessario con l’obbligo di rendicontare le somme acquisite e di spronare la popolazione ed i fedeli a prestare mano d’opera a titolo gratuito nel cantiere della chiesa stessa59. I fondi per l’edificazione giunsero in gran parte dalle donazioni della popolazione60 (depositate nella cassa dei Vacanti) e dal sussidio governativo di Lire 6.000, versato in tre rate uguali negli anni successivi61. Anche il comune concorse alla costruzione con Lire 50062, stornando questo importo da quello destinato alla costruzione del nuovo camposanto della parrocchia (per tale funzione venne deciso di utilizzare la vecchia chiesa trasformandola in sepolcreto)63. Le compagnie del SS. Sacramento e del Rosario avevano offerto a loro volta la somma di Lire 2.000, da versarsi in cinque anni mediante le rimanenze annuali delle rispettive amministrazioni64. 125 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 126 Nel 1847 le opere per la fabbricazione della nuova chiesa venivano messe all’incanto dalla cancelleria del regio tribunale della città di Pescia, con procedura da assolversi pubblicamente il giorno 6 febbraio davanti alla porta principale del palazzo Pretorio65. L’approvazione “al migliore e minore offerente” fu vinta da Agostino Mazzonini di Pistoia66, che si accollò gli oneri del cantiere alle condizioni descritte negli atti, e che avrebbe provveduto alle opere concludendole dopo circa 18 mesi di lavoro67. Una volta terminato, l’edificio sarebbe stato consegnato all’Opera, che ne deteneva interamente la proprietà68 (la chiesa non risultava di ius-patronato privato, bensì in libera collazione del vescovo pro tempore dopo essere rimasta vacante per disposizione di Leopoldo I)69. La costruzione venne terminata nell’anno 184870, sicuramente prima del mese di settembre, protraendosi per qualche tempo i lavori di ripristino e di sistemazione degli spazi esterni71. Il vescovo monsignor Pietro Forti benedì la nuova chiesa il giorno 3 giugno del 1849, al fine di renderne possibile l’utilizzo per il culto72. Dopo pochi anni dall’inaugurazione, l’ingegnere Meacci informava sul fatto che la chiesa presentava segni di cedimenti dovuti all’assestamento del terreno fondale, che si presentavano con lesioni non significative nelle murature73. Agli inizi del Novecento la chiesa conservava il titolo di rettoria74; il territorio di sua competenza era delimitato dal rio Flaminio e dal rio di Rimigliari, per un totale di 1.500 anime. All’epoca era retta dal sacerdote Camillo Bianucci75, originario delle Spianate e con oltre trenta anni di sacerdozio. Nella parrocchia veniva celebrata messa nei giorni festivi, senza eccezione alcuna, per cui il numero di offici veniva considerato sufficiente76. Dei tre altari presenti in chiesa nessuno era di giuspatronato; tutti erano liberi da obblighi di messe, benefici e cappellanie e pertanto le spese per il loro mantenimento ricadevano sull’Opera, che aveva l’obbligo di pagare sia l’olio della lampada, sia le opere di riparazione eventualmente necessarie per la sagrestia77. L’altare Maggiore godeva di privilegio; vi era poi quello dedicato alla Madonna e quello del Crocifisso78. Nella visita del 1902 si riscontrava l’assenza di suppellettili, decorazioni, statue, bassorilievi o quadri di valore storico-artistico; inoltre in chiesa non risultava custodita alcuna immagine prodigiosa esposta alla venerazione. Degne di nota, invece, le spoglie di San Matteo Apostolo, di San Colombano Abate e di Santa Caterina. Le sacre reliquie, dotate di certificato di autenticità, venivano conservate in armadi appositi e mostrate al pubblico solo in occasione delle feste dei santi titolari. In chiesa era presente un organo, il sacrario, un “battistero” ornato e chiuso con coperchio di legno79 e un tabernacolo di marmo, la cui chiave veniva custodita dal sacerdote. Nella sagrestia esisteva un archivio di libri antichi, databili a partire dal 1600, della cui conservazione era incaricato il parroco stesso. Registri, titoli e carte risultavano ben classificati e catalogati. Sembra che sulla nuova chiesa non abbia avuto conseguenze evidenti il distruttivo ter- La chiesa dei Santi Matteo e Colombano remoto del 1920, che invece lesionò gravemente la chiesa di San Matteo e Colombano. A metà del 1930 il sacerdote Narciso Pagni informava dell’efficienza della chiesa80, sufficiente alla popolazione, e della buona condizione di conservazione dell’edificio, che aveva subito riparazioni straordinarie alla volta sopra l’altare maggiore nell’agosto del 1928 e la sistemazione del tetto nel gennaio dello stesso anno. Della manutenzione, sia essa ordinaria che straordinaria, si era fatto carico il comune della città di Pescia, nelle vesti di amministratore dell’Opera dei Santi Matteo e Colombano81. Tra i possedimenti erano annoverati diversi fondi e appezzamenti di terreno nelle campagne, la cui amministrazione era tenuta dal parroco82. Oltre alle due istituzioni religiose della Compagnia del Santissimo Sacramento e la Congregazione di Maria del Santissimo Rosario, nella parrocchia esisteva in quegli anni una nuova confraternita di misericordia, detta della Santa Immacolata Concezione, istituita a partire dal 23 maggio 1923 con lo scopo di esercitare opere di carità a sollievo del prossimo83. Negli anni Quaranta del XX secolo l’edificio subì ulteriori interventi di riparazione ad opera del Genio Civile per risarcire i danni causati dal secondo conflitto mondiale 84. Secondo la documentazione degli anni Cinquanta la chiesa era stata riparata completamente nel 1936 con significative variazioni nell’assetto interno. In realtà l’unico intervento citato era l’addossamento dell’altare in marmo dedicato a Santa Caterina alla parete in cui un tempo era situato il “battesimo”85. Nella visita del 1955 il sacerdote Pagni menzionava tutti gli altari, nessuno dei quali ancora consacrato, per un numero totale di cinque. Già esistenti al momento della fondazione, l’altare Maggiore era dedicato ai titolari Santi Matteo e Colombano; l’altare della Madonna del Rosario aveva acquisito un privilegio perpetuo per decreto vescovile di Monsignor Angelo Simonetti in data 8 agosto 1922; in ultimo l’altare del Crocifisso, dotato di tabernacolo fisso con la porticina chiudibile, era dedicato al Santissimo Sacramento86. Dei due altari di più recente installazione, probabilmente frutto delle modifiche interne subite a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, quello a destra era dedicato a Sant’Antonio da Padova87, mentre quello a sinistra è dedicato a Santa Caterina vergine, a cui corrispondevano le rispettive statue dei santi88. La sagrestia, dotata di chiave, conservava al suo interno un inginocchiatoio, un lavabo e una pila per l’acqua santa. Una sola campanella di piccole dimensioni serviva per chiamare i fedeli89. Come ricordato dalla lapide posta nella parete destra della navata, la chiesa parrocchiale venne consacrata il 6 settembre 1992, un secolo e mezzo dopo la conclusione dei lavori di edificazione, ad opera del vescovo di Pescia Monsignor Giovanni Bianchi e alla presenza del parroco Don Angelo Stragliotto e della cittadinanza90. Pochi anni dopo l’edificio fu oggetto di lavori di restauro e risanamento conservativo91, con l’obiettivo di consolidare soffitti e volte92, sostituire gli elementi dell’orditura 127 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona della copertura in pessime condizioni statiche93 e risarcire le lesioni occorse nelle murature perimetrali che in particolar modo interessavano l’angolo Nord-Est del fabbricato, alla sommità del timpano dell’ala sinistra della chiesa94. Alla fine degli anni Settanta il crollo di una porzione del fianco settentrionale della Rocca compromise gravemente la parete Sud dell’edificio religioso, rendendo necessari ingenti interventi di consolidamento. 128 Fig. 17 - Immagini relative alla parte absidale della chiesa in seguito al crollo della rocca negli anni Settanta del secolo scorso. Foto conservata all’archivio fotografico della Soprintendenza (Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze, riproduzione fotografica n. 88674. Su gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) La chiesa dei Santi Matteo e Colombano NOTE * Dal contributo originario “La chiesa dei Santi Matteo e Colombano in Pietrabuona (Pescia)” di Silvia Bertacchi nel DVD allegato al volume. 1 La chiesa è dedicata a San Matteo Evangelista e a San Colombano Abate, protettori della terra di Pietrabuona, il cui culto era particolarmente sentito dagli abitanti del paese fin da epoche remote. Gli Statuti Comunali, ad esempio, obbligavano tutti gli abitanti del castello, forestieri compresi, a partecipare alla luminaria organizzata nei giorni di ricorrenza dei santi patroni (cfr. Salvagnini, op. cit., pp. 1722). La buona riuscita della festa, indice di profonda venerazione nei confronti dei santi, era imprescindibile. “Ogni abitante di Pietrabuona [era] tenuto et obligato [a] fare luminaria” in modo che le strade del paese risplendessero durante la sera precedente alla festa. Chi non adempiva all’obbligo veniva multato e costretto a pagare una somma di due Lire. Nel giorno della festa la merce in vendita veniva esentata dalle gabelle (ASFI, Statuti delle comunità Soggette n. 576, L. I, r. 82, anno 1555). 2 La famiglia Bernardini è originaria di Montecarlo (Lucca) ed è nota nel XIX secolo per l’abilità dei suoi membri come maestri stuccatori di scagliola e “onesti e provetti decoratori”, oltre che come validi progettisti sia di edifici ecclesiastici che di scenografie teatrali. Pietro, capostipite della famiglia, aveva ricoperto l’incarico di architetto e perito edile in periodo granducale e si era distinto all’epoca anche come costruttore. I figli, Alessandro e Bernardo, erano considerati impresari di rispetto. Il nipote Giulio (Pescia, 16 agosto 1863 - 3 marzo 1946) a soli tredici anni aveva abbandonato l’istruzione per partecipare alle attività di cantiere con lo zio Bernardo, divenendo in breve molto esperto di ogni fase ed aspetto dell’attività edile. La sua formazione era comunque continuata come autodidatta fino al conseguimento del titolo per l’insegnamento della materia del Disegno nelle Scuole Tecniche. La fama di Giulio raggiunse l’apice nei primi anni del Novecento, con i progetti delle strutture turistiche, dei parchi e degli stabilimenti termali di Montecatini Terme, oltre ai villini residenziali, di cui l’unico situato nella città di Pisa viene progettato per l’amico Carlo Fedeli, con uno stile sobrio e classicheggiante (cfr. C. Massi, Villini a Pisa inizio Novecento, esempi di eclettismo in Toscana, in Le dimore di Pisa. L’arte di abitare i palazzi di una antica Repubblica marinara dal medioevo all’Unità d’Italia, di E. Daniele, Pisa 2010, pp. 119 e segg.; A. Camilletti, Giulio Bernardini. Una biografia dal 1863 al 1914, Pescia 2001, pp. 16 e segg.). 3 Il sacerdote Narciso Pagni, nella sua visita risalente agli anni Trenta, attribuisce il progetto della nuova chiesa di Pietrabuona a Bernardo Bernardini (cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23). Non ci sono riscontri simili nei documenti ottocenteschi, che invece menzionano solo il padre, Pietro Bernardini, in qualità di perito incaricato di fornire dimensioni e istruzioni per la costruzione del nuovo edificio religioso. 4 Nella relazione dell’ingegnere Meacci viene descritta dettagliatamente la nuova chiesa, che risulta avere “l’ingresso principale dall’indicata parte di tramontana” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855). 5 Cfr. par. Gli edifici religiosi progettati dagli architetti Bernardini nel DVD allegato. 6 AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23. 7 Le quattro vetrate della chiesa erano inizialmente “tinte a olio, conformate a lunette che le due laterali con telaio fisso e due sportelli muniti di cristalli in stecche di legno e le altre due con telaio fisso a raggiera con cristalli” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855). 8 La porta principale della chiesa era originariamente un “uscio di legname di castagno a gramola 129 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 130 in due parti verniciato color verdone, corredato di arpioni, bandelle, braccio di ferro interno, paletto verticale in fondo e con toppa e chiave” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855). 9 Nonostante l’accorgimento di inserire una membrana impermeabile e la presenza di questo spazio tecnico, la chiesa soffre internamente di una significativa risalita capillare delle acque che causano efflorescenze, muffe ed evidenti danni all’intonaco ed alle tinteggiature. 10 Secondo la relazione del 1855, la copertura originale era “sorretta da archi di mattone e armatura di legname di castagno” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855). 11 L’elemento del timpano triangolare ricorre anche in altri edifici religiosi progettati dagli architetti Bernardini. Per maggiori approfondimenti cfr. schede Gli edifici religiosi progettati dagli architetti Bernardini nel DVD allegato. 12 In una relazione del 1846 viene richiesto il vaglio dei materiali da costruzione con lo “scarto di quelli che non fossero atti alla costruzione di cui si tratta” (SASPE, Comune pre-unitario n. 87, cc.ss., 17 luglio 1846). 13 Cfr. schede Gli edifici religiosi progettati dagli architetti Bernardini nel DVD allegato. 14 In una delle perizie redatte da Pietro Bernardini per la chiesa di San Miniato al Tedesco l’architetto afferma che l’edificio era stato progettato “senza intonaco perché il lavoro sia durevole, e con un solo bozzato laterale in pietra, cornicione e culmine”, dimostrando invece una scelta stilistica consapevole che privilegia la parete a faccia vista al fine di limitare i lavori di manutenzione (cfr. G.C. Romby, Dimenticare il Medioevo. Restauri e rinnovamenti nella cattedrale di San Miniato, in La Cattedrale di San Miniato, a cura di G.C. Romby, Pisa 2004, pp. 9-20; documento originale in AVSM, Restauri del Duomo vol. II, n. 1547, c. 189r.). 15 Il pavimento originale era in quadroni di terracotta (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855). 16 Il restauro è stato effettuato nel 1997 (cfr. Relazione tecnica dell’Arch. Lorenzo Niccoli, Lavori di Restauro e risanamento conservativo alla chiesa dei SS. Matteo e Colombano in Pescia, località Pietrabuona, Pescia, 6 agosto 1997). 17 Sugli intonaci in malta di calce idraulica e velo sono state applicate tinteggiature a calce con patinatura a pennello e/o spugna (cfr. Relazione tecnica dell’Arch. Lorenzo Niccoli, Lavori di Restauro e risanamento conservativo alla chiesa dei SS. Matteo e Colombano in Pescia, località Pietrabuona, Pescia, 6 agosto 1997, punto 3.3.5). 18 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855. 19 Altare Maggiore, dimensioni 210 x 470 cm (Riferimento 102204). Altare della Madonna dimensioni 900 x 435 cm (Riferimento 102208), presenta una statua raffigurante la Vergine di dimensioni di circa 120 cm, in legno e gesso adornata di tessuto, datata a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo (Riferimento 102256). Altare del Crocifisso, dimensioni 900 x 435 cm (Riferimento 102203). Cfr. Repertorio delle schede di catalogo. Comune di Pescia. Beni Artistici e Storici, a cura di B. Montevecchi - S. Papaldo, Roma 1986, voll. I, II, III. 20 A metà Ottocento dietro l’altare maggiore era presente “un piccolo armario di legno […] in due sportelli con toppa e chiave”, oggi non più esistente (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855). 21 Un tempo il Crocifisso era ornato con tendaggi (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855). 22 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855. La chiesa dei Santi Matteo e Colombano 23 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855. La santa, originaria di Alessandria d’Egitto, fu sottoposta al martirio nel 304. La sua ricorrenza cade il 25 novembre. L’attributo con cui la santa viene qui rappresentata è la ruota. 25 Sant’Antonio da Padova era un religioso portoghese vissuto nel XIII secolo e canonizzato dalla Chiesa cattolica. Inizialmente monaco agostiniano, in seguito divenuto frate francescano, Sant’Antonio è uno dei santi più venerati al mondo per la sua grande sapienza e per i suoi miracoli prodigiosi. La ricorrenza cade il 13 giugno. Secondo la tradizione viene rappresentato in atto di sorreggere il Bambino Gesù e con il giglio candido in mano. 26 L’iscrizione nella targa riporta: D. O. M./IRENE COMIT. DELLA ROCCA/TAVRINEN. VXOR/VT SVAE PERIVCVNDAE RVSTICTIONIS/IN PROXIMA FLORIANA VILLA/MNEMOSYNON CVRIALBVS RELINQVERET/SVGGESTVM FACIENDVM CVRAVIT/AN. CHR. MDCCCLXXVI (cfr. Montevecchi - Papaldo, op. cit., riferimento 102206). 27 La lista degli arredi sacri della chiesa è raccolta in Montevecchi - Papaldo, op. cit., artt. 102202102273. 28 San Matteo Apostolo ed Evangelista visse nel I secolo, esercitando prima della sua chiamata a Dio il mestiere di esattore delle tasse, da cui deriva la tradizionale raffigurazione con il libro dei conti. La festività del santo ricorre il 21 di settembre. La statua di San Matteo evangelista (rif. 102264) è in legno intagliato e dipinto, con un’altezza di circa 150 cm, e presenta un mediocre stato di conservazione (cfr. Montevecchi - Papaldo, op. cit., p. 348). 29 San Colombano era un monaco di origine irlandese vissuto nel VI secolo. Fondò diversi monasteri contribuendo a diffondere il monachesimo irlandese nel mondo. La ricorrenza del santo viene festeggiata il 23 novembre. La statua di San Colombano (rif. 102265) è in legno intagliato e dipinto, con un’altezza di circa 150 cm, e presenta un mediocre stato di conservazione (cfr. Montevecchi - Papaldo, op. cit., p. 348). 30 L’acquasantiera si trova oggi a destra dell’entrata principale. Informazioni dimensionali: altezza 130 cm, diametro 72 cm (cfr. Montevecchi - Papaldo, op. cit., rif. 102209). 31 Dipinto a olio su tela, dimensioni 240x170 cm, buono stato di conservazione, incorniciato (cfr. Montevecchi - Papaldo, op. cit., rif. 102258). 32 L’iscrizione nella targa (in legno dipinto, dim. 40x70 cm) ricorda: IL BATTESIMO DI GESÙ/OPERA INSIGNE DI PAOLO VERONESE/COPIA FEDELE DELL’AMICO E OSPITE/ARTURO ZANIERI PITTORE FIORENTINO/EUGENIO GALEOTTI FLORI/A MAGGIOR DECORO DI QUESTA CHIESA/ IL PREGEVOLE DONO DESTINAVA/A. D. MDCCCXCIX. 33 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855. 34 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855. 35 Montevecchi - Papaldo, op. cit., riff. 102217 e 102219. 36 Al rilievo della chiesa hanno partecipato Marco Bennati, Giacomo Fabbri e Valentina Fantini, coordinati da Matteo Bargellini e Silvia Bertacchi. La messa a registro delle scansioni tridimensionali è stata realizzata dallo stesso gruppo. Elaborazioni nuvola di punti con il programma Reconstructor: Matteo Bargellini. Fotografie: Giovanni Anzani. Un ringraziamento al sig. Paolo Bini per le preziose indicazioni in merito all’attività degli architetti Bernardini e agli edifici religiosi da loro progettati. 37 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855. 38 Negli anni della costruzione della nuova chiesa Pietrabuona, insieme alle comunità di Castelvecchio e Sorana, era soggetta alla comunità di Vellano, in forza della promulgazione del regolamento leopoldino del 23 gennaio 1775. A partire dall’anno 1883 Pietrabuona entrò invece a far parte del Comune di Pescia. (Cfr. R. Vanni, Il castello di Pietrabuona, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 3 (1982), pp. 23-30). 24 131 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 39 Carteggio chiesa n. 13, 2 settembre 1846 (cfr. SASPE, Pescia pre-unitario n. 1402, 11 settembre 1846). 132 40 La documentazione successiva fa ulteriori riferimenti alla canonica e alla casa parrocchiale. Nella visita pastorale del 1902 la casa dove risiedeva il parroco risultava in cattive condizioni di conservazione (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss., 4 agosto 1902). Ancora nel 1930 il parroco risiedeva nella casa parrocchiale, che secondo la documentazione era distante una cinquantina di metri dalla chiesa stessa, confinava con la casa di Alberto Baldini ed era circondata dalla strada che conduce a Medicina. La casa canonicale era stata donata alla chiesa da Quirico Fabbretti, mediante contratto rogato da Giuseppe Orlandi in data 2 maggio 1587, allo scopo di liberarsi da un livello a cui era obbligato nei confronti della chiesa stessa. L’abitazione, sottoposta ad una tassa locativa di 40 Lire annue, era composta da nove vani sistemati su due piani. Negli anni Trenta del Novecento risultava in buono stato, eccettuate le imposte esterne delle aperture, che necessitavano la sostituzione insieme alla riparazione delle infiltrazioni di acqua dalla copertura, con spese a carico del parroco pro tempore (AVPE, Visite pastorali n.17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23). L’edificio era sfruttato come sede dalla congregazione di Maria Santissima del Rosario dal momento che quest’ultima non aveva sede propria. Negli anni Cinquanta la canonica, ancora di proprietà della chiesa, risulta in pessimo stato e senza arredi (AVPE, Visite Pastorali n. 17, 1955). 41 La documentazione ci dà notizia che l’edificio della canonica si trovava di fronte alla chiesa ad una distanza maggiore alle 200 braccia, ovvero a più di cento metri, per cui probabilmente l’utilizzo risultava scomodo (AVPE, Carteggio chiesa n. 13). 42 Attualmente la chiesa risulta censita nel foglio di mappa 65 particella A, ed è rappresentata da un unico immobile con un piccolo terreno di pertinenza sul fronte, confinante sul retro con il terreno della particella numero 389. In precedenza la sagrestia era numerata a sé, segnata con il riferimento di particella n° 300. 43 Probabilmente i lavori intrapresi, lo sbancamento del terreno necessario per la costruzione della chiesa nuova e l’asportazione di parte del pendio roccioso ebbero come effetto l’ulteriore destabilizzazione del muro della Rocca, già al tempo pericolante. 44 Nella mappa ottocentesca appare ancora il nucleo della Rocca, campito con il colore rosso ed indicato con il numero 42, riconoscibile nelle vicinanze della vecchia porta della Rocca che dà accesso alla strada denominata dello Scoglio (cfr. SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1852). 45 Per le notizie relative alla primitiva chiesa dei Santi Matteo e Colombano cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume. 46 Notizia riferita da Salvagnini, op. cit., pp. 17-22. Nel suo articolo il Salvagnini cita le fonti inedite da cui ha tratto le notizie: ASFI, Capitani di Parte F. 765, c. 4, F. 782 c. 53; Statuti dei Comuni Soppressi n. 576; Disegni dei Capitani di Parte XXVI, 36. 47 Secondo l’opinione del sacerdote Narciso Pagni (cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23). 48 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Avviso di pubblico incanto delle opere per l’edificazione della nuova chiesa dei SS. Matteo e Colombano di Pietrabuona, emesso dalla cancelleria del regio tribunale di Pescia in data 26 gennaio 1847. 49 Cfr. nota 3. 50 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Avviso di pubblico incanto delle opere per l’edificazione della nuova chiesa dei SS. Matteo e Colombano di Pietrabuona, emesso dalla cancelleria del regio tribunale di Pescia in data 26 gennaio 1847. La chiesa dei Santi Matteo e Colombano 51 SASPE, Comune pre-unitario n. 87, cc. ss., 17 luglio 1846. Ibid. 53 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera di C. V. Bani datata in Firenze il giorno 2 settembre 1846. Firmata da C. Petri per copia conforme dal tribunale di Pescia il 10 settembre 1846. 54 SASPE, Comune pre-unitario n. 1402, 11 settembre 1846. Qui si data la relazione all’11 marzo 1846. 55 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera di C. V. Bani datata in Firenze il giorno 2 settembre 1846. Firmata da C. Petri per copia conforme dal tribunale di Pescia il 10 settembre 1846. 56 Niccola o Natale a seconda dei diversi documenti (cfr. SASPE, Pescia pre-unitario n. 1402, 11 settembre 1846 e AVPE, Carteggio chiesa n. 13). 57 La compagnia del Santissimo Sacramento e San Matteo venne eretta, o meglio rifondata, previo assenso del parroco e con rescritto del 17 luglio redatto dal segretario del regio diritto, nell’anno 1795 con il nome di una vecchia compagnia non più esistente. Detta compagnia venne confermata tramite un decreto emesso il 28 luglio dello stesso anno dal vescovo Francesco Vicenti, nella sede del palazzo Vescovile di Pescia. Il suo obiettivo era il culto di Dio e il trasporto dei defunti, e traeva il suo patrimonio dai proventi delle tasse dei fratelli e da piccole questue. Inizialmente la compagnia non comprendeva nel titolo l’altro intestatario della parrocchia locale, San Colombano, tuttavia l’abitudine fece cambiare nell’uso corrente il nome originale, per cui la compagnia assunse la medesima titolazione della chiesa. La prima sede era costituita da una stanza adiacente all’antica chiesa di San Michele, denominata per questo motivo “La compagnia”. Con la costruzione della nuova chiesa, la compagnia acquisì la proprietà del precedente luogo di culto. La concessione della proprietà venne accordata mediante decreto dell’ordinario il giorno 19 gennaio 1876 (cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23). In un documento di inizio Novecento si ricorda che la compagnia, oltre ad intervenire nelle processioni, trasportare i morti e prestare servizio in chiesa tramite un sagrestano, aveva l’obbligo di far celebrare tredici messe per ogni fratello defunto. L’abito della compagnia consisteva in una cappa bianca con cordone rosso. Cfr. AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss.; R. Papini, Momenti di vita associativa nella comunità di Pietrabuona, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 3 (1982), pp. 41-54). 58 La congregazione di Maria Santissima del Rosario, eretta a Pietrabuona da tempo immemorabile, era votata al suffragio delle anime dei defunti. Uno dei compiti annuali era celebrare la festa della Madonna del Rosario; con cadenza triennale, in maniera più fastosa. La congrega non aveva sede propria, usufruendo dei locali della canonica per espletare le proprie funzioni (cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23). 59 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera di C. V. Bani datata in Firenze il giorno 2 settembre 1846. Firmata da C. Petri per copia conforme dal tribunale di Pescia il 10 settembre 1846. 60 AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23. 61 AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss.; SASPE, Pescia pre-unitario n. 1402, 11 settembre 1846. 62 In un documento datato 7 dicembre 1846 si rende noto che, tramite dispaccio della regia camera compartimentale, la comunità era stata “invitata a depositare nella cassa dei Vacanti della diogesi la somma di lire 500” per l’esecuzione dei lavori di costruzione delle fabbriche della nuova chiesa dei Santi Matteo e Colombano di Pietrabuona (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 2, c. 213 r-v, 7 dicembre 1846). 63 SASPE, Pescia pre-unitario, n. 1402, 11 settembre 1846; SASPE, Archivio del Comune di Vellano 52 133 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 134 n. 365, cc. s, 17 dicembre 1862. 64 SASPE, Pescia pre-unitario n. 1402, 11 settembre 1846. 65 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Avviso di pubblico incanto delle opere per l’edificazione della nuova chiesa dei SS. Matteo e Colombano di Pietrabuona, emesso dalla cancelleria del regio tribunale di Pescia in data 26 gennaio 1847. 66 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera al signor Dotto Mazzei, 1849 circa. 67 Le spese dovevano venir pagate in tre rate di uguale importo (cfr. SASPE, Pescia pre-unitario n. 1402, 11 settembre 1846). 68 A causa della proprietà dell’Opera il governo non passava alcun supplemento al parroco per le spese di culto (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss.). 69 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera al signor Dotto Mazzei, 1849 circa. 70 In una visita pastorale del 1902 si afferma che la chiesa sarebbe stata aperta al culto nel 1844, il che è certamente erroneo vista la documentazione che data l’inizio dei lavori come posteriore alla metà del 1846 (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss.). 71 In un documento del settembre del 1848 il signor Framerio Orsi di Pietrabuona richiedeva la riapertura del viottolo che dalla piazza posta nel castello di Pietrabuona scendeva alla strada detta Fiorentina, “serrato in seguito dei lavori per la costruzione della nuova chiesa dei SS. Matteo e Colombano”, per cui i responsabili incaricati venivano intimati con atti della cancelleria civica di Pescia a ristabilire la porzione di via pubblica interessata (di lunghezza di braccia 3) riportandola nello stato di viabilità precedente (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 3, cc. 44v-45v, 28 settembre 1848). 72 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera al signor Dotto Mazzei, 1849 circa. 73 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855. 74 Visita Pastorale del 4 agosto 1902 (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss., 4 agosto 1902). Per rettoria si intende una chiesa che non svolge funzioni di parrocchia e dipende dalla chiesa parrocchiale del luogo per quanto riguarda le questioni canoniche e le direttive pastorali. 75 Camillo Bianucci era stato ordinato sacerdote nel 1870 e investito dal reverendo monsignor cavalier Giovanni Benini. Risiedeva nella canonica con la sorella Giusta di 67 anni (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss., 4 agosto 1902). 76 Gli obblighi della chiesa, come le messe dei giorni festivi e quelle soppresse secondo le istruzioni vescovili, erano registrati in una “vacchetta” riservata allo scopo. La chiesa godeva dell’indulgenza plenaria per la festa dell’Assunzione di Maria e infra octava di ogni anno. La festa di San Matteo veniva organizzata a spese del parroco, mentre le quarant’ore e la divina pastora con i proventi delle elemosine dei fedeli, di cui teneva l’amministrazione il sacerdote. Le spese in occasione della festa di Maria Santissima del Rosario, celebrata per concessione la domenica successiva alla solennità dell’Assunzione, erano invece a carico delle congrega della chiesa (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss.). 77 La sagrestia risultava in buono stato (Visita Pastorale del 4 agosto 1902, AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss., 4 agosto 1902). 78 Visita Pastorale del 4 agosto 1902 (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss., 4 agosto 1902). 79 Il Battistero doveva trovarsi dalla parte sinistra della chiesa (SASPE, Archivio del Comune Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855). 80 AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23. 81 Ibid. 82 L’amministrazione dei beni temporali della chiesa era tenuta dal parroco. Negli anni Trenta il sa- La chiesa dei Santi Matteo e Colombano cerdote Pagni si occupava di prendere possesso di un beneficio parrocchiale, che possedeva di fatto ma non di diritto, del fondo de “La Vigna” lasciato per testamento dal rettore Camillo Bianucci. La chiesa in realtà aveva perso i diritti sul campo perché non si era interessata della pubblicazione nei sei mesi seguenti alla morte del testamentario. Nelle memorie di Pietrabuona, n. 16, sono annoverati altri possedimenti della parrocchia: Selva al Monte (25 dicembre 1934); Al Metato (1 febbraio 1935); i due appezzamenti di terreno di Rineti; una casa colonica con terreno annesso (1938), un terreno a Santovecchio (1953) (cfr. AVPE, Memorie di Pietrabuona n. 16, 11 luglio 1928). 83 AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23. 84 AVPE, Visite Pastorali n. 17, 1955. 85 Ibid. 86 Ibid. 87 La lapide marmorea posta nella parete presso l’altare ricorda la data del 1917. ALTARE AC SIMULACRUM/ D. ANTONI PATAVINI/CURA ET SUMPTIBUS/RECTORIS ITALI INCERPI ET POPULI/ANNO MCMXVII. 88 AVPE, Visite Pastorali n. 17, 1955. 89 Ibid. 90 La lapide marmorea recita le seguenti parole: D.O.M./QUESTA CHIESA PARROCCHIALE/IN ONORE DEI S. S. MATTEO EVANGELISTA/ E COLOMBANO ABATE/ COSTRUITA NEL PERIODO 1846-1848/ È STATA SOLENNEMENTE CONSACRATA/ DAL VESCOVO DI PESCIA/ SUA ECC. REV. MONS. GIOVANNI BIANCHI/ IL 6 SETTEMBRE 1992/ CON PARTECIPAZIONE DI POPOLO/ ESSENDO PARROCO IL SACERDOTE/ DON ANGELO STRAGLIOTTO/ DEO GRATIAS. 91 La descrizione dettagliata di tale intervento, compresi i disegni tecnici ed esecutivi di progetto, è contenuta nella relazione dei “Lavori di Restauro e risanamento conservativo alla chiesa dei SS. Matteo e Colombano in Pescia” firmata nell’agosto del 1997 dal progettista Arch. Lorenzo Niccoli (cfr. Relazione tecnica dell’Arch. Lorenzo Niccoli, Lavori di Restauro e risanamento conservativo alla chiesa dei SS. Matteo e Colombano in Pescia, località Pietrabuona, Pescia, 6 agosto 1997). 92 Cfr. Relazione tecnica dell’Arch. Lorenzo Niccoli, Lavori di Restauro e risanamento conservativo alla chiesa dei SS. Matteo e Colombano in Pescia, località Pietrabuona, Pescia, 6 agosto 1997, punti 3.3.1 e 3.3.4. 93 Ibid. 94 La relazione riferisce lesioni evidenti le cui tensioni hanno fratturato alcuni degli elementi in cotto che formano la gronda, ripercuotendosi nell’interno con fenomeni di distacco della volta del soffitto dalla parete perimetrale (cfr. Relazione tecnica dell’Arch. Lorenzo Niccoli, Lavori di Restauro e risanamento conservativo alla chiesa dei SS. Matteo e Colombano in Pescia, località Pietrabuona, Pescia, 6 agosto 1997, punto 3.3.3). 135 Il palazzo pubblico* 136 Fig. 1 - Il palazzo pubblico di Pietrabuona. Foto conservata all’archivio fotografico della Soprintendenza (Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze, riproduzione fotografica n. 102351. Su gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) Nel corso del XIII secolo, analogamente a quanto accaduto per molti altri centri della Valleriana, anche Pietrabuona si costituì come libero comune1. Nel 1308, come descritto nello Statuto Lucchese, faceva parte della vicaria di “Vallis Nebule”2. I documenti non riportano l’esatta collocazione, all’interno dell’insediamento, dell’edificio ufficialmente dedicato ad accogliere tale istituzione, ma gli abitanti del luogo e gli storici locali3 identificano l’antica sede comunale nel palazzetto in pietra contrapposto all’oratorio di San Michele Arcangelo e prospiciente la piazzetta centrale del Bicciuccolo; affermazione che può essere giustificata dalla particolare posizione assunta dall’edificio all’interno del tessuto insediativo, nonché dai caratteri formali impiegati e dagli elementi decorativi adottati, che differenziano inequivocabilmente il corpo di fabbrica dall’edilizia residenziale nella quale è inserito. Il palazzo, d’angolo tra l’attuale via del Campanile e la piazzetta del Il palazzo pubblico Bicciuccolo4, è caratterizzato da due fronti in pietra (larghi 12,5 BF5) che, seppur pesantemente rimaneggiati nel corso dei secoli, conservano alcuni caratteri peculiari degni di nota (fig. 1). Al piano terra, su ciascun lato, l’accesso all’ampio vano interno era garantito da un’apertura6 coronata da un arco crescente a tutto sesto con conci spianati e riquadrati analoghi a quelli che denunciano i cantonali e le bucature ai livelli superiori. Tale particolare soluzione si trova ripetuta su numerosi altri fronti del centro abitato e della piazzetta stessa, sebbene in molti casi la disposizione dei blocchi lapidei e l’eterogeneità delle soluzioni costruttive adottate indichino interventi di consolidamento, o addirittura di rimontaggio, sicuramente successivi alla primitiva realizzazione. Le due arcate del palazzo comunale presentano soluzioni singolari non soltanto per quanto riguarda la conformazione Fig. 2 - Particolare della mensola modanata dei piedritti – nei quali sono stati introdotti, sen- dell’accesso principale za un’apparente logica formale e strutturale, blocchi verticali di probabile reimpiego in sostituzione di pietre angolari dimensionate con i filari del paramento –, ma soprattutto per quanto riguarda i conci d’imposta. Infatti, mentre sul prospetto laterale i due blocchi identici risultano appositamente sagomati per ammorsarsi nella muratura ed accennare l’imposta dell’arco, sul fronte principale ad una bozza rettangolare sommariamente scalpellata sullo stipite destro si contrappone un concio modanato7, evidentemente reimpiegato, sul sinistro (fig. 2). Fig. 3 - Aperture del primo livello coronate La pratica del ricollocamento di alcune pie- da archi ogivali crescenti tre, nel palazzo pubblico così come nell’abitato, non interessa esclusivamente le bucature, ma l’intero paramento in muratura pseudoisodoma, nel quale ai blocchi squadrati e sbozzati si alternano pezzi dalla forma articolata e con differente trattamento superficiale. Sebbene ciò rappresenti la testimonianza di 137 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 138 Fig. 4a - Il rilievo integrato del palazzo pubblico - piante (elaborati a cura di Gaia Lavoratti e del gruppo spagnolo coordinato da Pablo Rodriguez Navarro) Il palazzo pubblico Fig. 4b - Il rilievo integrato del palazzo pubblico - prospetti (elaborati a cura di Gaia Lavoratti e del gruppo spagnolo coordinato da Pablo Rodriguez Navarro) un continuo processo di evoluzione e trasformazione dell’edificio nei secoli, al contempo rende difficoltosa una corretta lettura dell’impianto originario, fino a compromettere un’ipotetica datazione del fronte basata sui caratteri costruttivi impiegati. Un ulteriore accesso al palazzo è oggi garantito da un’apertura più piccola su via del Campanile, realizzata con stipiti monolitici sormontati da un architrave recante l’incisione della data 1542 (o 1572)8, che si colloca sulla sinistra dell’arco tamponato, in posizione decisamente eccentrica rispetto alla composizione del fronte. Al primo livello le quattro aperture (due per fronte) sono chiuse da archi ogivali crescenti realizzati con conci di dimensione differente e talvolta mancanti di chiave (fig. 3), mentre al piano ancora superiore le bucature si semplificano ulteriormente, divenendo semplici finestre rettangolari aperte a strappo su porzioni di muratura pesantemente rimaneggiate9. Modifiche e risarcimenti della struttura sono documentati a partire dal XVI secolo10. Sebbene le fonti d’archivio non forniscano una descrizione dettagliata degli ambienti che componevano l’edificio, esse consentono comunque di valutare l’entità degli interventi 139 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona subiti dal corpo di fabbrica nel corso dei secoli. La maggior parte delle opere riguardava la periodica manutenzione e riparazione del tetto11, benché nel 1718 si siano resi necessari alcuni lavori di carattere strutturale “per risarcire una cantonata e mezza facciata della casa suddetta della comunità dove si è osservato che sarà necessaria mettervi una catena di ferro”12. Gli ambienti interni (fig. 4), anch’essi oggetto di numerosi interventi nel corso dei secoli, sono stati riadattati per accogliere la funzione residenziale, ma lasciano ancora intravedere alcuni paramenti e spessori murari dell’impianto primitivo. Al piano terreno le due 140 Fig. 5 - Ipotesi di organizzazione interna del primitivo organismo architettonico. Il rilievo integrato del palazzo pubblico consente di stabilire alcuni rapporti dimensionali tra le parti dell’edificio. Lo spazio disponibile al piano terra era occupato per metà dalla loggia (A) dalla quale, attraverso la scala posta a Nord, era possibile accedere al livello superiore. L’altra metà era a sua volta suddivisa in due ambienti (B e C), uno dei quali oggi è collegato con la torre ad Est (D) Il palazzo pubblico arcate in pietra consentivano l’ingresso ad un vano rettangolare – probabilmente in origine uno spazio aperto, ma al contempo riparato e protetto – sul quale si aprivano gli altri locali di dimensioni inferiori, illuminati da bucature molto piccole e non sempre coeve dell’organismo architettonico. La presenza delle due aperture archivoltate induce a considerare l’ambiente a cui danno accesso come una loggia, elemento caratterizzante alcuni dei palazzi comunali del periodo presenti sul territorio13. Tale spazio, direttamente affacciato sulla piazzetta del Bicciuccolo, consentiva infatti lo svolgimento di numerose funzioni pubbliche che prevedevano la partecipazione della comunità, oltre ad assicurare il collegamento ai piani superiori mediante una scala interna14 (fig. 5). Sebbene le modifiche introdotte per migliorare l’abitabilità degli ambienti15 abbiano sicuramente alterato la distribuzione originaria dell’interno, in pianta è ancora ben leggi- Fig. 6 - Prospetto su via della Ruga bile la forma quadrangolare del palazzo, al quale si addossa un secondo volume di dimensioni inferiori16. Tale profilo è ancora più evidente al piano superiore, dove la demolizione di alcuni tramezzi ha consentito di ricavare un’unica ampia sala affacciata su via del Campanile17 e la piazzetta del Bicciuccolo. Il secondo blocco, leggermente più basso di quello principale, è invece ben identificabile da via della Ruga, sulla quale affaccia con un prospetto in pietra nel quale si collocano tre finestrine quadrangolari – una per piano – aperte in fasi differenti e pertanto eterogenee anche per quanto concerne i materiali impiegati ed il linguaggio formale adottato (fig. 6). In assenza di fonti d’archivio attendibili, è possibile soltanto ipotizzare che il volume in considerazione, caratterizzato da una muratura spessa con netta prevalenza dei pieni sui vuoti, fosse originariamente una torre difensiva, annessa ai locali del palazzo pubblico al momento della sua costruzione. Il comune di Pietrabuona rimase indipendente fino al 1775 quando, in seguito alla riforma Leopoldina, venne accorpato a Vellano, per poi passare sotto Pescia nel 188318. È probabile pertanto che l’edificio abbia ospitato le funzioni pubbliche fino a tale data19, per poi venir convertito in residenza privata. 141 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 142 NOTE * Dal contributo originario “Il palazzo pubblico” di Gaia Lavoratti e Pablo Rodriguez Navarro nel DVD allegato al volume. 1 Salvagnini, op. cit., p. 18. 2 ASLU, Statuti del Comune di Lucca n. 1, cc.41-65-75-95, 1308. 3 Palamidessi, op. cit., p. 23. 4 Cfr. par. Toponomastica popolare di Pietrabuona, in questo stesso volume. 5 BF = Braccio Fiorentino = 0,583626 m. (cfr. Martini, op. cit., p. 206). 6 L’apertura lungo via del Campanile, seppur tamponata con bozze irregolari, è ancora leggibile sia sul prospetto esterno che all’interno del vano di ingresso del piano terra, dove in corrispondenza dell’originario accesso è stata conservata una nicchia archivoltata. Tale arcata è posta esattamente al centro della larghezza della facciata. 7 La modanatura del concio, composta dall’alternanza di listelli, tori e scozie, è analoga a quella impiegata nella decorazione di blocchi ricollocati sui paramenti di altri importanti edifici di Pietrabuona, tra i quali la Rocca e la chiesa di San Matteo e Colombano al centro del paese. 8 Cfr. par. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi, in questo stesso volume. 9 L’ultimo livello è caratterizzato da una forte presenza di laterizio inserito a tamponamento di lacune e strappi del paramento in pietra e dall’utilizzo di abbondante malta cementizia per legare pietre non squadrate inserite in fasi successive. 10 “Meo di Simone altro del numero di decto consiglio consigliando disse che atteso che ogni anno in la casa del comune si batto grani et altro et si guasta tutto il solaio, et a ciò volendo rimediare disse che per virtù della presente provisione s’intenda prohibito et vietato a ciascuno che per l’addivenire non possa come che sopra battere in detta casa. Et contro facendo ciascuno et per ciascuna volta caschi in pena di lire 25 et ciascuno ne sia accusato. Et li uffitiali che per e tempi saranno sieno obligati sotto la medesima pena publicare ei delinquenti et darli a riscuotere al vicario di Pescia, al quale vicario s’intenta aplichato il terzo di detta pena, il terzo al comune di Pietra Buona et il terzo accusatore. Il che fu vinto come di sopra (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 312, c. 59r, 13 dicembre 1559). 11 “Adunato le rappresentanti e consiglio nella solita cancelleria per trattare. Atteso esser che nella casa del comune vi piove come fori mediante che il tetto è tutto rovinato con essere rotto tegoli e embrici e qualche pezzo di tavola e che è necessario quello rassettare acciò li habbia a fare, perciò considerate le spese essere scudi 3. Ancora considerato in tutte le cancellerie e case del comune vi sia un incavo con la Madonna i soldi accordati dal comune e che […] per ciò fu proposto di fare un quadro dove trovi la Madonna Sunta a Matteo e S. Colombano protettori del comune. Considerata la spesa, di rasettare tutti come e di far fare detto d’Andrea, di scudi 8 che messo a’ partito vinto per fave numero 9 per il si salvo.” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c., 26 gennaio 1649). “Atteso e considerato che la casa del comune e cancelleria è mezza rovinata con esser guasto il solaio e che si è rotto dua legnetti e per ciò è di bisognio di rimettere detti legni et circa 140 pianelle, si come 50 embrici perciò considerata la spesa fu proposto di stantiare scudi 35 e messo il partito fu vinto per il si.” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c.78v., 19 marzo 1651). “Adunati, considerato che il tetto della casa del comune ha bisogno di restaurazione e di incornicciato tutto e fatto vedere a’ genti e sentito volerci una spesa di scudi 3 in tutto perciò ne fecero lo stantiamento suddetti scudi 3. Per loro partito vinto per voti numero 11 favorevoli e 1 assente, salvo.” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 71v., 16 febbraio 1666). “Item di restaurare la casa del comune: tetto, solaio et uscii. Stanziorno scudi 2 e mandatone il partito vinto per voti numero 12 favorevoli e nessuno in contrario, salvo.” (SASPE, Archivio del Comune di Il palazzo pubblico Vellano n. 308, c. 83v., 15 luglio 1668). “Coadunati li offitiali maggiori con il generale consiglio, rappresentanti la comunità di Pietra Buona in numero di 10 servatis, servandis. Con loro legittimo partito di voti 10 favorevoli nessuno in contrario stanziorno scudi 3 per rimettersi prontamente l’acque della fonte e riconoscersi i condotti si come resarcire il banco della casa del comune, rivedere il tetto et armadio et altre cose necessarie per detta cancelleria si come resarcire la strada del Castello et altri mali passi di dette strade pubbliche et elessero per sopracciò a’ detti lavori il sergente Alfredo Cesare Poschi e tutto salvo sempre l’approvazione del magistrato de’ signori nove da ottenersi dietro al solito termine di un mese e tutto mandato.” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 152v., 24 agosto 1710). “Item con loro partito di voti favorevoli 10 stanzino scudi 6 per resarcire il tetto della casa della comunità che serve per udienza della cancelleria e residenza del consiglio, qual tetto è restato tutto scoperto dall’ultimi venti ultimamente impetuosi venuti, et pure per sistemare il tetto del ponte a Cembolano rovinato dai suddetti venti, rimediare l’acqua alla fonte et accomodare alcuni cattivi passi. Item per loro voti favorevoli 10 stanziorono scudi 3 per resarcire il tetto e pavimento della chiesa bisognando del medesimo.” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, cc. 172v-173r., 16 marzo 1714). 12 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 202r., 10 luglio 1718. 13 Sebbene il linguaggio formale impiegato ed i rapporti proporzionali tra pieno e vuoto adottati non corrispondano, è possibile trovare una relazione tipologica e compositiva, ad esempio, con il palazzo del Capitano di Uzzano (XIV secolo), al quale l’edificio pubblico di Pietrabuona può essere accomunato per forma, distribuzione dei vani, presenza di una loggia al piano terreno e rapporto con la piazza su cui si affaccia. 14 A. Merlo, La loggia nella città medioevale. Genesi, rilievo e ricostruzione dei processi di trasformazione: l’esempio di Pescia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, Dottorato di Ricerca in Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente, Aprile 2002. 15 Oltre ad una generale ridistribuzione interna, negli anni sono state aperte finestre di dimensioni differenti per illuminare ed aerare i locali, intaccando cosi l’originaria composizione di facciata, decisamente più lineare ed omogenea. 16 Al quadrangolo costituito dai vani A, B, C si addossa un secondo blocco più piccolo (D). L’arcata tra gli ambienti D e C è stata probabilmente aperta nella seconda metà del secolo scorso, dal momento che nel catasto del 1940 era ancora presente una muratura di spessore comparabile alle pareti perimetrali. 17 Le due finestre su via del Campanile, seppur formalmente analoghe alle due aperte sulla piazzetta, non compaiono sul catasto del 1940, così come non c’è traccia, al piano terra, del secondo arco, anch’esso su via del Campanile. Tale rappresentazione, più che indicare un’improbabile apertura novecentesca, sta plausibilmente a significare che in tale data le bucature fossero completamente tamponate, come peraltro indicato negli elaborati grafici di un progetto di restauro presentato nel 2007 alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Firenze, Pistoia e Prato. 18 Salvagnini, op. cit., p. 21. 19 I documenti del XVIII secolo dimostrano come la sede fosse ancora utilizzata per le assemblee “Codunati nella solita stanza del comune gli ufficiali maggiori e consiglieri del pubblico e generale parlamento della comunità di Pietra Bona in sufficiente numero di 9 servatis.” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 229v., 1° aprile 1723). 143 L’ospedale di San Matteo* La carta redatta nel 1783 dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni1 permette di posizionare anche l’ospedale quattrocentesco (particella 80) che all’epoca della stesura del documento corrispondeva alla sede della Compagnia del Corpus Domini. La presenza di un “hospitale” all’interno della comunità di Pietrabuona è documentata per la prima volta nella visita pastorale del 14502; la sua fondazione deve essere di poco anteriore a quella data, considerato che nel documento viene attribuita al vescovo Baldassarre3. I documenti inerenti l’ospedale testimoniano che nel 1557 fu confermato ospedaliero Meo di Pellegrino da Fibbialla4 e che nel 1643 la struttura era stata affidata a vita a Benedetto Paccini, che però aveva l’obbligo ogni anno di predisporre la festa di Santa Caterina e di dare due fiaccole, una a San Matteo e l’altra a San Colombano, oltre a tenere sempre pronto “un letto con pagliericcio, lenzuole e coperte in detto spedale per uso de’ poveri”5. I locali adibiti ad ospedale e successivamente ad oratorio, individuati al nuovo catasto con la particella 333 del foglio 65, sono rimasti di proprietà dell’Opera dei Santissimi Matteo e Colombano di Pietrabuona fino al 1990, anno in cui, a differenza della chiesa, sono stati sventuratamente alienati a dei privati. NOTE * Dal contributo originario “La chiesa di San Matteo e Colombano, ex oratorio di San Michele a Pietrabuona” di Erica Ganghereti nel DVD allegato al volume. 1 ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36. 2 AALU, Visite Pastorali n. 5, cc. 57v-58r. 3 Se il vescovo a cui si riferisce il cronista è, come probabile, Baldassarre Manni, egli fu eletto vescovo il 3 gennaio 1441 e rimase in carica fino alla morte, avvenuta il 18 gennaio 1448. La fondazione dell’ospedale non può quindi che essere circoscritta a questo lasso di tempo. 4 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 328, c. 31r. 5 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 33r. 144 L’ospedale di San Matteo Fig. 1 - L’ospedale di San Matteo. Foto conservata all’archivio fotografico della Soprintendenza (Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze, riproduzione fotografica n. 104112. Su gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) 145 La fontana pubblica* 146 Fig. 1 - Estratto della carta redatta nel 1783 dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni (ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36) Pietrabuona, come numerosi altri centri di crinale, ha sofferto del problema dell’approvvigionamento idrico. Spesso, infatti, la sorgiva si trova ad una quota inferiore rispetto alla sommità del colle dove era in genere posta la rocca. Da un cartiglio del 19 agosto 1509 si apprende dell’intento “di condurre l’acqua della fontana di Rineti per onsino alla rocha di Pietrabuona che è a’ pie’ di detta rocha”1. Proposito che dovette trovare compimento se il 5 settembre 1634, con una votazione favorevole di tre fave e nessun lupino, si registra “cose da farsi e state che nel cardine della fontana e mura di essa oltre alli scudi 15 stantiati […] è stato necessario di spendere lire 32 del detto stanziamento […] per lavori et opere che resteno havere”2. Alla luce di quanto detto possiamo ipotizzare che tale fonte sia la stessa rappresentata nella carta del 17833, in cui è presente un fontanile pubblico vicino al luogo oggi occupato dalla ottocentesca chiesa dei Santi Matteo e Colombano (fig. 1). La scelta di realizzare, nel corso del XVI secolo, una fonte ai piedi della Rocca, portandovi l’acqua da una presa esistente (la cosiddetta fontana di Rineti), oltre a sugge- La fontana pubblica rire la presenza di un sobborgo al di fuori del centro fortificato, fa dubitare che ve ne fosse una all’interno del circuito murario. A tal proposito il Registro delle Partite Campione del centro storico riporta, nell’area prospiciente la vecchia chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele), l’esistenza di una “pozza a comune” non meglio specificata. Oggi il lotto è occluso da una muratura in pietra che tampona un antico arco, ma la conformazione lascia ipotizzare l’esistenza di un portico che avrebbe potuto accogliere la presa d’acqua da un pozzo o da una vasca di deposito, da cui la dicitura “pozza” (fig. 2). Nel XVIII secolo i numerosi stanziamenti di fondi per la manutenzione della fontana raccontano di una struttura di difficile gestione, di cui negli anni si arrivò anche a perdere la traccia delle sue condutture4. In effetti il disagio è ben spiegato nel documento del 17085 in cui si propone di “farsi i cannoni o cannelle dentro il muro e non come adesso i cannoni che sono sulla nuda terra, ma farsi buone e stabile forme che l’acqua corre per tutte le conche più spesso”. Con buona lungimiranza la commissione stabilì, all’epoca, che data la portata dei lavori si sarebbe dovuto frazionare l’opera in più anni per permettere ai bilanci comunali di poter sostenere la spesa. Tuttavia solo due anni dopo6 si Fig. 2 - Dettaglio dell’arcata prospiciente la piazzetta della chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele) 147 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 3 - Fontana ottocentesca in piazza di Castello continuarono a registrare opere di manutenzione localizzate per “risarcire i condotti della fontana alla quale manca l’acqua da molto mesi”7. Con alterne vicende si giunse al 1771, anno in cui l’illustrissimo signor cavaliere priore Sebastiano Flori si offrì di fare “a propre spese i risarcimenti della fonte”8, secondo quanto già concordato nel documento di luglio9. Dovettero comunque passare altri cinquant’anni affinché il problema di un approvvigionamento idrico efficiente trovasse una definitiva soluzione grazie alla costruzione, nel 1822, dell’odierna fontana (fig. 3). NOTE * Dal contributo originario “Sulla via dell’acqua” di Laura Aiello nel DVD allegato al volume. 1 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325, cc. 87rv., 19 agosto 1509. 2 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 12v., 5 settembre 1634. 3 ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36. 4 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 17r., 16 luglio 1662. 5 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, cc. 136v-137r., 29 luglio 1708. 6 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 152v., 24 agosto 1710. 7 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 187v., 26 gennaio 1715. 8 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 345, c. 59v., 22 settembre 1771. 9 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 345, cc. 56v-57r., 10 luglio 1771. 148 Le cartiere “San Rocco”* Alle pendici del poggio ove sorge il castello di Pietrabuona, lungo il rio di San Rocco, si trovano due cartiere di proprietà della famiglia Bocci1. L’edificio più grande, caratterizzato dal colore giallo dell’intonaco e dalle grandi aperture della parte prospiciente la via pubblica, si trova in corrispondenza del ponte di San Rocco; la cartiera è stata attiva fino al 31 dicembre 2011. L’edificio minore (conosciuto come “La Fabbrichetta”) è posto a monte del primo, lungo la riva sinistra del rio di San Rocco, poco dopo il ponte della Fabbrichetta e appena oltrepassata l’immissione del rio Zano. L’opificio ha terminato la propria attività all’inizio del secolo scorso; da allora i locali al piano terra sono stati utilizzati a supporto della cartiera grande ed i piani superiori come abitazione (fig. 1). Nel catasto settecentesco2, nella parte bassa di Pietrabuona tra la Pescia e il ponte di San Rocco, è riportato un solo edificio; la costruzione delle due cartiere deve pertanto essere posteriore alla realizzazione della carta stessa. Un documento d’archivio del 18213 testimonia la costruzione della cartiera Grande: “Il signor Francesco Baroni ha costruito una cartiera di 3 pille sul Rio detto di S. Rocco e che si doveva procedere alla sua stima” ed il medesimo Baroni risulta proprietario dell’immobile anche nei Registri del Catasto Leopoldino del 1825. Nelle mappe di quest’ultimo4 le due fabbriche, così come le gore che le alimentano, sono chiaramente individuabili. Il Registro di riferimento conferma in entrambi i casi la destinazione a “cartiera” dei nuclei più antichi dei due opifici: il maggiore è denominato “Cartiera Rio San Rocco”, mentre il minore “Cartiera San Rocco”5. Nella sezione che interessa il territorio di Lucca, entro cui si trova Pietrabuona, della Carta Idrografica d’Italia (redatta a cavallo tra XIX e XX secolo sotto la giurisdizione del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, in scala 1:100.000)6, l’edificio grande è identificato con il numero 1233 (“cartiera San Rocco” con quattro pile e con acqua fornita da una gora di lunghezza 210 metri, dislivello 1,3 metri e derivazione a “diga murata”) e l’edificio piccolo con il numero 1232 (“cartiera Necciari” con tre pile, un maglio e carta di paglia, con acqua fornita da una gora di lunghezza 130 metri, dislivello 1 metro e derivazione a “diga murata”)7. 149 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Le proprietà dei due manufatti rimasero distinte fino al 1890, quando i detentori dell’opificio grande (Casimiro, Silvano e Angelo Calamari) acquistarono anche la fabbrica piccola da Franco Sainati. Da questo momento in poi le vicende dei due edifici sono sempre state legate ad un’unica proprietà, anche se mutata nel corso dei decenni8. Cartiera grande9 Il nucleo originario dell’opificio (fig. 2) è il volume denominato nel catasto ottocentesco “cartiera”, arretrato rispetto alla linea stradale e diviso dalla “casa con resede” dei 150 Fig. 1 - Planimetria catastale attuale con posizione in relazione a Pietrabuona delle due cartiere lungo il rio San Rocco e del Museo della Carta Le cartiere “San Rocco” medesimi proprietari10. A quella data per la cartiera erano censite 104 braccia quadre (Bq) corrispondenti, presumibilmente, all’ambiente denominato 1, che costituisce la parte più vecchia dell’intero complesso (fig. 3); qui tutt’ora arriva l’acqua che serviva per attivare una ruota a pale metalliche, a cui è ancora collegata una turbina Pelton della metà degli anni Cinquanta. Le tre pile11 si trovavano nell’ambiente 2 (di cui non è noto il periodo di costruzione), mentre nel vano 3 vi era il maglio, la cui pietra a terra è ancora visibile (il legno del martello è stato riutilizzato per altri scopi dopo che questo macchinario, intorno al 1960, è stato definitivamente dismesso). Le fasi di ampliamento della fabbrica sono riconoscibili analizzando le palesi discontinuità presenti nel paramento murario. Una fotografia del 1935 (fig. 4), scattata a seguito del rialzamento della stanza 3 per accogliere lo spanditoio12, testimonia la presenza di ulteriori spazi adibiti a forno, aia ed orto, tesi a soddisfare le esigenze quotidiane della famiglia che ne deteneva la proprietà. Un’altra importante fase costruttiva è documentata tra il 1946 ed il 1949, periodo in cui venne realizzato un nuovo e più ampio spanditoio (fig. 5). Nella parte inferiore dell’a- Fig. 2 - Cartiera grande Bocci 151 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 3 - Schema dei corpi di fabbrica della cartiera grande Bocci bitazione prospiciente la strada erano presenti, oltre ad un androne che dava accesso alla residenza, dei locali di lavoro ed i magazzini per lo stoccaggio e l’imballaggio della carta; la porzione terminale verso Nord era più piccola e non allineata con il resto della costruzione. Venne deciso di demolire questa parte di fabbricato e di riallinearla rispetto all’edi- 152 Fig. 4 - Fotografia del nuovo spanditoio costruito nel 1935 sopra la “bottega” Fig. 5 - La porzione novecentesca dell’edificio: prospetto orientale e meridionale Le cartiere “San Rocco” ficio principale, realizzando al di sopra dei due corpi di fabbrica il nuovo spanditoio. Anche in questo caso le variazioni apportate si leggono in maniera chiara nella muratura perimetrale, sia sul lato fronte strada, sia su quello interno che, ormai privo di intonaco, mostra i cantonali del primitivo edificio, e sulla struttura in cemento del nuovo solaio. La via dell’acqua che dipartiva dalla collina metteva in moto alcune ruote; la prima era situata nella “bottega” vecchia e le seconde al piano terra dell’edificio su strada (due ruote con una piccola pila e una piccola olandese). Tra il 1961 e il 1987 vennero apportati ulteriori modiche al complesso: furono ampliate sia le abitazioni nella parte a monte, sia la fabbrica lungo la strada, con la costruzione di un nuovo capannone in grado di ospitare la macchina a rulli per l’arrotolamento ed il taglio della carta13; venne sostituita la seconda coppia di ruote con due vasche per accogliere l’impasto che doveva passare nella nuova macchina a rulli e fu realizzato un nuovo deposito/magazzino con annessa pesa. Nel 1961 la cartiera era capace di produrre venticinque quintali al giorno di carta, usufruendo dei circa 200 KW a disposizione. La potenza aumentò grazie all’aggiunta, nel 1956, di una nuova presa d’acqua dal rio San Rocco, posta circa 400 m a monte della presa ottocentesca e con una chiusa per la regimentazione dell’afflusso, che poteva arrivare a 1/3 della portata Fig. 6 - Prese d’acqua delle due cartiere segnate complessiva del rio (fig. 6)14. Contestual- sulla cartografia del Nuovo Catasto Terreni (1953) 153 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona mente il bottaccio veniva dismesso per fare posto alle peschiere più piccole, ancora oggi presenti e piene, per la raccolta dell’acqua pulita di risciacquo (fig. 7). Attualmente la cartiera è inattiva; la macchina a rullo più recente per tagliare ed arrotolare la carta è stata smantellata nel giugno 2012 per essere trasportata in Tunisia. La parte residenziale del complesso continua ad essere utilizzata dai proprietari della cartiera stessa. Fig. 7 - Le peschiere Cartiera piccola (La Fabbrichetta)15 L’edificio (fig. 8) è costituito da tre piani, due fuori terra ed uno seminterrato (addossato al pendio sul lato settentrionale e su quello occidentale), coperti da un tetto a due falde con manto in coppi e tegole. Sul fronte Ovest una scala esterna consente di raggiungere l’ultimo livello. La muratura è in pietre dalla pezzatura irregolare, eccetto i cantonali, tenute assieme da malta. Gli architravi delle aperture sono anch’essi, salvo alcune eccezioni, in pietra; i solai presentano un’orditura lignea ed uno scempiato in cotto, ad esclusione di una porzione tra il piano terra ed il primo Fig. 8 - Cartiera piccola Bocci piano realizzata in ferro e tavelloni. Le pareti interne del piano terreno, tutte con funzione portante, sono in pietrame a faccia vista, mentre quelle degli altri piani sono intonacate. All’ultimo livello il crollo di una parte di controsoffitto rivela le capriate lignee che sostengono le due falde del tetto. Esternamente l’edificio è intonacato e tinteggiato su tre fronti, mentre il prospetto lungo fiume è sprovvisto di rivestimento, consentendo di leggere le discontinuità delle murature. Nel 1825 la cartiera era costituita da un corpo ad L formato dalla parte meridionale del fabbricato odierno, comprendente i due vani comunicanti, e da un corpo annesso 154 sul lato orientale di cui oggi sono visibili solo alcuni lacerti, per un totale – nel 1875 – Le cartiere “San Rocco” di otto vani distribuiti su tre piani16. Una conduttura con presa a monte della cartiera consentiva di trasportare l’acqua in prossimità dell’edificio, dove una chiusa in pietra (di cui sono visibili i resti) regimentava la portata idrica prima che il flusso passasse attraverso l’opificio ortogonalmente al rio, entrando vicino all’attuale scala di accesso al secondo piano e proseguendo all’interno di una canalizzazione in cotto ancora oggi presente nel pavimento dell’ambiente più piccolo al piano terra (fig. 9). La cartiera era fornita di bottaccio il quale, una volta terminata la produzione della carta, è Fig. 9 - La canalizzazione in cotto stato utilizzato come deposito d’acqua per la cartiera maggiore. La portata della gora era capace di far muovere una ruota verticale di media dimensione (diametro 1,5 metri). Sul muro di confine tra i locali comunicanti del piano terra si trovano poste, in alto una sopra l’altra, due lastre in pietra con iscrizione: la targa superiore riporta “LA 1809”, che potrebbe indicare la data di costruzione del fabbricato, in quella sottostante vi è incisa la scritta “F.C.c 1889”; la data coincide con quella del censimento degli opifici che venne condotto per la redazione della Carta Idrografica, le lettere invece richiamano le iniziali di uno dei proprietari (Calamari Casimiro, Silvano e Angelo) a cui Fig. 10 - Le due pietre scolpite potrebbe attribuirsi un iniziale fecit (fig. 10). In un arroto del 1890 legato al catasto leopoldino17 è registrato un cambiamento nella particella che però non ha riscontro nella morfologia dell’edificio, il quale rimase a forma di L. Solo nella raffigurazione della fabbrica riportata nel Nuovo Catasto Terreni del 1953 la configurazione planimetrica del manufatto cambia, assumendo quella attuale. Tra le due date, quindi, la cartiera è stata ampliata verso Nord con l’aggiunta di un nuovo volume, come si evince dall’analisi del paramento murario, che mostra una evidente discontinuità nel punto di attacco tra la parte antica e quella moderna. Le 280 Bq indicate nel 1825 sono presumibilmente riferite ad una porzione dell’am- 155 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona biente 1 (fino alla prima finestra sul fronte fiume) e gli ambienti 2 e 3 (fig. 11). Il fulcro della lavorazione avveniva nella stanza centrale, nella quale vi erano tre pile di stracci che venivano battuti e impastati da un maglio “a burrattino” (cioè a doppia leva) di cui è rimasta in loco la pietra a terra. I martelli in ferro erano mossi dalla ruota verticale “a colpo” sostenuta da un albero in legno posto sul lato Ovest della stanza e a sua volta incastrato in appositi vani nella muratura. La ruota era azionata dall’acqua che discendeva attraverso una tromba, ovvero una canalizzazione ad imbuto, che serviva per aumentarne la potenza. Sul muro verso la collina si notano, inoltre, le tracce di una ca- 156 Fig. 11 - Rilievo integrato de La Fabbrichetta (elaborazione a cura di Uliva Velo) Le cartiere “San Rocco” Fig. 12 - Disegno tratto dal documento ASFI, Segreteria di Gabinetto, Regolamento dell’arte della carta all’uso di Toscana e dei suoi rispettivi scandagli tratti dagli usi antichi e moderni soliti praticarsi negli edifizi di Pescia in Toscana e nello Stato di Genova 165, 42; nel testo si fa riferimento al suddetto disegno quando viene descritta una fabbrica-tipo della carta: “Per un edifizio con un sol tino vi vogliono almeno sei pile di pietra, cioè tre dette a cenci, due dette a ripesto e una da sfiorato, così come la grandezza della fabbrica va per ordinario di lunghezza braccia 40, di larghezza B. 12 e di altezza B. 25”. Segue la descrizione degli ambienti riportati nella legenda del disegno nalizzazione e le chiazze lasciate dall’acqua che cadeva lungo tutta la lunghezza della parete stessa, al fine di lubrificare e raffreddare l’albero di trasmissione. Una scala interna in legno univa il piano primo con lo spanditoio. La cartiera è rimasta attiva fino all’inizio del XX secolo; negli anni Trenta del Novecento vi aveva stabilito la sua bottega un lattaino che vi fondeva il bronzo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale lo spanditoio è stato convertito in abitazione con accesso indipendente dall’esterno dell’edificio, mediante l’attuale scala in pietra. Ulteriori lavori di ristrutturazione sono stati condotti negli anni Cinquanta per realizzare tre appartamenti (due al piano primo e uno al piano secondo) facendo assumere all’edifico l’attuale configurazione; a questo stesso periodo risale la costruzione al primo 157 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona piano del piccolo volume esterno che accoglie il bagno. Da alcuni anni l’edificio è in stato di abbandono. Il documento d’archivio “Regolamento dell’arte della carta all’uso di Toscana e dei suoi rispettivi scandagli tratti dagli usi antichi e moderni soliti praticarsi negli edifizi di Pescia in Toscana e nello Stato di Genova”, già pubblicato in altri testi, oltre a prescrizioni di vario genere, riporta anche le dimensioni ed il relativo disegno di un prototipo di cartiera18 (fig. 12). Il documento è interessante per comprendere se i manufatti rispondessero o meno alla regolamentazione di tali opifici redatta negli anni Venti dell’Ottocento. Le cartiere qui analizzate19 sono di dimensioni minori rispetto a quelle del tipo riportato nel “Regolamento” sia per il numero di pile (tre al posto delle sei del “tipo”) sia, di conseguenza, per le misure effettive degli edifici20. L’organizzazione dell’uso degli spazi rispecchia quella indicata nel testo e nel disegno, con tre stanze di lavorazione del prodotto grezzo; la scala invece è posta in posizione diversa: centrale all’interno della stecca nel “tipo”, in fondo ad una delle stanze nella cartiera grande ed esternamente nella cartiera piccola. La scala portava al piano superiore adibito al deposito del materiale ne La Fabbrichetta, mentre nella cartiera più grande tali funzioni erano previste in altri spazi del complesso. Il piano più alto era usato in entrambi per asciugare la carta. Si può notare che la stanza delle pile della cartiera grande (n. 2) è la metà di quella del “tipo” in lunghezza (le pile sono la metà di numero) e la medesima in profondità e che i muri hanno tutti lo spessore di 1 braccio fiorentino. Le numerose modifiche, variazioni e sistemazione apportate alle costruzioni analizzate non permettono di fare ulteriori approfondimenti. 158 NOTE * Dal contributo originario “Due cartiere dismesse a Pietrabuona” di Uliva Velo nel DVD allegato al volume. 1 A tal proposito si ringrazia il sig. Alessandro Bocci, attuale proprietario dei due manufatti, e la sua famiglia per aver concesso di accedere agli opifici e per aver fornito preziose indicazioni sulla loro storia. 2 ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36 (riva sinistra del rio di San Rocco) e ASFI, Capitani di Parte Guelfa Carte sciolte, n. 64H (riva destra del rio di San Rocco). Le carte sono del 1783 e sono state redatte dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni. 3 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 380, c. 202r. 4 SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825. 5 Risulta difficile attribuire la proprietà delle due cartiere su un elenco di edifici “a carta” a Pietrabuona nel 1826 perché in esso l’unica indicata sul rio di San Rocco riporta come proprietario Francesco Masoni, che non compare fra quelli indicati nei registri catastali. Giuseppe Gherardi, proprietario della cartiera più piccola nel 1825, è indicato in questo elenco in relazione ad una cartiera con tre pile in luogo Tremignani (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 54). 6 IGM, Carta Idrografica d’Italia, Foglio 105. La carta è accompagnata da relazioni divise per regioni in cui per ogni provincia viene descritto lo stato delle irrigazioni accompagnato dall’elenco diviso Le cartiere “San Rocco” per comunità dei corsi d’acqua irrigui e dei corsi d’acqua industriali; su quest’ultimo ogni opificio catalogato è segnato sulla porzione di carta corrispondente. 7 Si suppone infatti che l’opificio numero 1234, catalogato come “molino San Rocco” e costruito su derivazione “dal canale di fuga”, sia il Mulino di Pietrabuona, detto di Pellegro, costruito a metà del XIX secolo e attivo fino al 1946 (cfr. P. Biagini, Mulini e frantoi a nord di Pescia (storia-leggenda-realtà attuale), Vellano 2010, p. 105). La localizzazione dei due edifici è stata effettuata rispetto ai corsi d’acqua e incrociando nell’elenco la denominazione “San Rocco” – già utilizzata nel 1825 – con la destinazione d’uso. 8 Le proprietà si snodano nel tempo secondo un ordine pubblicato in Cresti, op. cit., pp 120-121. 9 Per il manufatto di dimensioni maggiori è stato effettuato il rilievo fotografico e topografico dei soli fronti stradali con la redazione finale di fotopiani ed un rilievo planimetrico della parte più antica. Il rilievo è stato realizzato nell’ambito delle relazioni tra il Dipartimento di Architettura DSP dell’Università degli Studi di Firenze e la Escuela Técnica Superior de Ingeniería de Edificación de la Universidad Politecnica di Valencia (Spagna), responsabile: Pablo Rodriguez Navarro, rilievo topografico: Maria Teresa Gil Piqueras, con la partecipazione degli studenti Vicente Celda Cerdán, Rubén García Lozano, Antonio Ramírez Rentero, Marta Renau Guerra, María Jesús Sánchez Mora, Alejandro Tomás Mascarell. 10 Si sono considerate rispettivamente la particella 568 (“cartiera”), attraverso cui si vede passare la linea d’acqua, e la particella 567 (“casa con resede”). 11 La pila è un grande recipiente nel quale vengono triturati e ridotti in pasta gli stracci. 12 Lo spanditoio è il luogo dove venivano stesi i fogli di carta ad asciugare. 13 Sul muro a retta dietro il nuovo capannone e sul muro di confine tra quest’ultimo e la parte più antica del complesso dove si trovano attualmente le vasche per l’impasto, vi è l’iscrizione “A.S. 1.4.961” che indica la data in cui furono effettuare tali opere e il nome del maestro muratore che le realizzò: Andrea Salvatori. 14 Tale tubazione è oggi in parte interrata, mentre in corrispondenza de La Fabbrichetta è tutt’ora a vista. 15 Per La Fabbrichetta è stato realizzato, da Uliva Velo, Gaia Lavoratti e Alessandro Merlo, un rilievo diretto e topografico dell’interno opificio. 16 Tutt’ora il catasto riporta nell’unica particella 146 una costruzione comprensiva della parte crollata negli anni Quaranta del Novecento e ormai diruta. 17 SASPE, Arroto n. 45, Foglio 50. 18 Il manoscritto si trova all’Archivio di Stato di Firenze (ASFI, Segreteria di Gabinetto 165, 42). Non presenta una propria datazione, ma gli altri inserti del pezzo sono datati tra il 1813 e il 1827. Il “Regolamento” è quasi interamente trascritto nel testo Cresti, op. cit., pp. 55-60, seppure la forcella temporale degli altri inserti riportata nel volume non coincida con quelle qui esposte. Il disegno, pur citato, è stato deliberatamente tralasciato perché ritenuto di scarsa importanza per la trattazione del testo stesso; in effetti gli autori in quel caso hanno tracciato un percorso con tappe in sedi macroscopiche della rete delle cartiere della valle della Pescia senza soffermarsi sulla grande quantità di opifici secondari. Nel presente caso, invece, proprio l’indagine portata avanti su manufatti di piccole dimensioni, rapportabili a quelle del disegno-prototipo, rendono interessante questo documento grafico per operare un confronto. 19 Per la cartiera grande si considera la parte più antica. 20 Le dimensioni del disegno del “tipo” sono in braccia fiorentine (b.f. = 0,583626 m cfr. Martini, op. cit.). La cartiera grande ha le seguenti dimensioni in pianta in b.f.: lunghezza totale 31, larghezze varie (non è stato rilevato lo spessore dei muri verso la collina). La cartiera piccola rilevata ha le seguenti dimensioni in pianta in b.f.: lunghezza totale 34, larghezza sul fronte Nord 8, sul fronte Sud 9, larghezza considerando il vano centrale sporgente 13. 159 L’immagine descritta* 160 “L’antichissima chiesa di questo forte castello è stata distrutta e ne rimangono poche ruine”1. Con queste parole il compilatore ottocentesco, incaricato di redigere la relazione storico-artistica su Pietrabuona per volontà di Maria Luisa di Borbone-Parma, duchessa di Lucca, descriveva l’evidente stato di decadenza della primitiva chiesa di San Matteo2. L’inizio dell’interesse storico-artistico nei riguardi del nuovo edificio sacro (eretto alla metà del XIV secolo nella parte sommitale dell’insediamento)3 ove la comunità volle che fossero custoditi delle vere e proprie opere d’arte4, deve essere ascritto al periodo di pacificazione che seguì il passaggio di tutta la Valdinievole sotto il controllo politico di Firenze5. I manufatti artistici che ricoprono un certo interesse storico, oltre che devozionale, risalgono infatti alla seconda metà del XIV secolo, quando la chiesa iniziò ad arricchirsi di pregevoli esemplari di oreficeria sacra. Il Trecento rappresenta di fatto il secolo d’oro per la produzione di oggetti legati alla liturgia, in particolare per quelle aree della Toscana che guardavano alla potenza di Siena, centro di una rete estremamente stimolante di relazioni politiche, economiche e culturali strette non solo con le altre città italiane, ma anche con l’Europa. È noto agli studiosi di arti minori come Lucca – e quindi anche il contado lucchese, di cui la Valleriana faceva parte – abbia subìto il fascino dell’arte senese, intessendo contatti e favorendo intensi scambi di oggetti di piccole dimensioni, quali avori e miniature, che all’epoca circolavano diffusamente in virtù degli spostamenti di viaggiatori, mercanti e degli stessi artisti6. Sicuramente l’arte senese venne anche riletta alla luce delle opere lasciate da questi ultimi nella vicina Pisa, nei tesori delle chiese più importanti, dove gli apparati liturgici erano quindi aggiornati sul gusto tardogotico. Basti pensare a come l’introduzione della tecnica dello smalto traslucido – attribuita all’orafo senese Guccio di Mannaia, autore del famoso calice di Niccolò IV, oggi nel Museo del Tesoro della Basilica di San Francesco ad Assisi – applicato sulle superfici metalliche dei manufatti abbia rivoluzionato completamente il senso del colore e della raffinatezza nell’oreficeria. Essa consentiva di raggiungere risultati pittorici straordinariamente sottili nelle raffigurazioni, creando immagini che potevano ben gareggiare in bellezza con quelle dei pittori e dei miniatori del tempo, adottando caratteri stilistici ed espressivi di chiara fonte francese7. Smalti traslucidi che sicuramente dovevano caratterizzare i personaggi L’immagine descritta presenti sul recto e sul verso della croce astile in rame di Pietrabuona, purtroppo saltati (fig. 1). Ricordato anche nella già citata relazione ottocentesca, il manufatto presenta, al centro, il Cristo a tutto tondo e alle estremità i quattro medaglioni nei quali sono raffigurati la Vergine, San Giovanni e il Golgota con il teschio di Adamo8. Nella parte retrostante compaiono, al termine dei quattro bracci, gli evangelisti in vesti zoomorfe e, al centro, una pietra, probabilmente un cristallo di rocca, che per la sua trasparenza e luminosità rimandava alla figura di Gesù, riletta tramite le parole del profeta Isaia all’inizio del primo capitolo del libro a lui riferito: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”9. La resa essenziale delle raffigurazioni, caratterizzate da una intensa espressività, e una certa morbidezza nei tratti dei due dolenti, fanno pensare ad espliciti riferimenti alla pittura di Lippo Memmi o alla decorazione miniata di codici liturgici, come quella eseguita dal cosiddetto Maestro dei Corali di Massa Marittima o dal Maestro dello Statuto del 1337. Fig. 1 - Orafo di ambito pisano, Croce astile, prima metà In particolare, i personaggi dipinti da quest’ultidel XIV secolo, Pietrabuona, chiesa dei Santi Matteo e mo artista appaiono vicini a quelli rappresentati Colombano (Soprintendenza Speciale per il Patrimonio nelle placchette smaltate di un’altra croce, con- Storico e Artistico ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per servata al Museo Nazionale del Bargello a il Polo Museale della città di Firenze - Gabinetto Firenze, entrambi contraddistinti da un disegno Fotografico. Riproduzione fotografica n. 167688) tagliente e dalla gestualità accentuata10. È plausibile derivare stilisticamente la croce di Pietrabuona all’ambito di questo orafo, riconosciuto generalmente dalla critica come di provenienza pisana, ma in stretto contatto con la produzione senese. Ad egli ricondurrebbe anche la chiara derivazione, per la figura del Cristo, dalla scultura di Andrea Pisano, in particolare nell’esecuzione delle braccia magre e tese dal dolore e del busto troncoconico, così come nella definizione del volto per molti versi affine a quella proposta nei personaggi presenti nelle formelle del campanile di Giotto a Firenze11. 161 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Leggermente più tarda, perché databile intorno agli anni venti del Quattrocento, è una seconda croce astile, in lamina di rame argentato e dorato, che gli antichi inventari riguardanti Pietrabuona indicavano come propria dell’oratorio di San Michele (fig. 2). Tutto in quest’opera parla delle novità che stavano lentamente mutando il gusto nell’oreficeria sacra toscana, sin dalla sua paternità, ricondotta stavolta non più ad un ambito pisano o senese, ma a quello fiorentino. L’attribuzione alla mano di un artista afferente ad una città toscana piuttosto che ad un’altra deve essere interpretata nel caso di Pietrabuona come di notevole rilevanza: dopo circa un secolo di dominazione fiorentina all’interno dell’area pesciatina e della Valleriana – dominazione solo politica, visto che la giurisdizione ecclesiastica restava comunque lucchese –, gli elementi stilistici e compositivi vengono reinterpretati secondo un gusto nuovo e aggiornato, in linea con le scoperte del pre-umanesimo e dell’umanesimo operate a Firenze da Lorenzo Ghiberti, in scultura e oreficeria, e, in pittura, da Gherardo Starnina e Lorenzo Monaco. Ed è qui Fig. 2 - Orafo di ambito fiorentino (bottega che tale croce si colloca: rispetto alla precedente del Ghiberti?), Croce astile, secondo decennio vengono introdotti alcuni piccoli elementi che del XV secolo, Pietrabuona, chiesa dei Santi Matteo e denotano una chiara dipendenza da modelli fioColombano (Soprintendenza Speciale per il Patrimonio rentini. A prima vista l’impostazione dell’oggetStorico e Artistico ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per to rimane la medesima se confrontata con l’eil Polo Museale della città di Firenze - Gabinetto Fotografico. Riproduzione fotografica n.167687) semplare precedente; in realtà, essa è caratterizzata, in corrispondenza della testa e del bacino del Cristo, da formelle mistilinee di chiara ascendenza ghibertiana, il cui profilo diventa più marcato e definito. Le placchette ospitano – oltre ai due dolenti, l’Eterno benedicente e il simbolo cristologico del pellicano – sul verso le raffigurazioni dei quattro evangelisti in veste umana e di San Colombano, mentre al centro campeggia l’immagine dell’agnello mistico. Indubbia è la capacità tecnica del maestro orafo cui fu affidata la realizzazione dell’opera, particolarmente evidente laddove la superficie a smalto è saltata: il 162 L’immagine descritta volto di ciascun evangelista e quello del santo monaco è caratterizzato puntualmente nei tratti fisionomici, mentre l’uso della colorazione delle lamine con smalti blu cobalto, verde brillante, giallo oro e violetto sfumato ci riportano alle coeve opere di oreficeria fiorentina. Appare inoltre tale la dipendenza stilistica di questo esemplare dal crocifisso eseguito dallo stesso Ghiberti per la porta Nord del Battistero di Firenze, da far pensare ad una personalità all’interno dell’entourage di quest’ultimo12. Di pari passo, l’apertura culturale verso le novità senesi e fiorentine si affaccia anche nella produzione scultorea locale, in particolare in quella lignea, di cui rimane testimonianza nei numerosi esemplari diffusi un po’ ovunque nel territorio pesciatino e nella Valleriana. Dopo aver accolto e ripetuto, talvolta stancamente, le forme, i volumi, i moduli compositivi dell’arte di Nino Pisano fino almeno all’ultimo quarto del XIV secolo, a partire dalla fine degli anni Novanta si registra un lento ma progressivo mutamento di stile, in concomitanza con la presenza di opere di artisti di rilievo, quali il già ricordato Ghiberti e il senese Francesco di Valdambrino. Vale la pena ricordare che entrambi gli scultori si formarono in ambiti diversi – orafo il primo, scultoreo il secondo –, in due città toscane ben aggiornate sulla lezione tardogotica d’oltralpe: a Firenze, dove era già aperto il cantiere della Porta della Mandorla nella fiancata settentrionale del duomo, e a Lucca, nella quale lavoravano personalità come Spinello Aretino e il miniatore Martino di Bartolomeo, autore della decorazione di cinque corali per la cattedrale. È necessario poi aggiungere che sia Ghiberti che Valdambrino parteciparono, nel 1401, al celebre concorso per la porta Nord del battistero fiorentino, vinto poi dal primo; dopo tale data, la loro arte guardò a moduli che spesso trovano dei punti di tangenza, soprattutto nell’elegante gestualità e dinamismo delle figure, nonché nell’attenzione verso la natura. La tradizione tardo-trecentesca iniziava cioè a divergere in direzione di un linguaggio più moderno, nel quale assumeva valore soprattutto la gestualità affettuosa, sottolineata da intensi scambi di sguardi e dall’elegante posizione ad hanchement assunta dalle figure13. Ed è proprio in questo volgersi al XV secolo che va collocata la statua lignea del San Matteo di Pietrabuona, purtroppo posta in una infelice condizione di fruibilità e ricoperta da uno strato policromo sicuramente non originale, contraddistinta da toni bruni e riccamente decorata da numerosi ex voto metallici a forma di cuore nella parte inferiore della veste (fig. 3). Il santo è rappresentato stante e in posizione rigidamente frontale, vestito con un abito dallo scollo molto ampio e dalle maniche larghe, con un mantello caratterizzato da fitte pieghe che scaturiscono dalla spalla sinistra e corrono lungo tutto il corpo, fino al fianco opposto. Le pieghe a canna della veste sono disposte a raggiera sulla parte bassa del ventre, sulle gambe e sulla manica a partire dalla piega del gomito destro. Piega che si fonde con l’orlo del manto togato, presentante un grande risvolto che dona ai panneggi sinuosità ed eleganza. Le braccia, che rivelano una corporatura esile ed una 163 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona postura rigida, sono strette e aderenti al corpo, mentre il volto, realizzato sulla base di uno schema semplice e di volumi elementari, è fisso ed immobile, contornato da una folta barba e da una capigliatura geometrica ed equilibrata. Il santo è sicuramente opera di un maestro locale, probabilmente legato alla sola area pesciatina: si tratta di una personalità che dimostra una aderenza totale ai moduli trecenteschi pisani, maturati però alla luce delle prime ricerche di Francesco di Valdambrino. Nonostante la sua forzata rigidità, infatti, quest’opera appare addolcita nelle forme; la resa delle ciocche dei capelli e della barba, così morbidamente appoggiate al volto, guarda certo al naturalismo dell’artista senese che molto lavorò a Lucca e nel suo contado14. Al medesimo artista, ben riconoscibile dal modo particolare di drappeggiare le forme con festoni e pieghe a canna, devono riferirsi anche un paio di statue lignee, una rappresentante un Giovane santo non ancora identificato – conservata al Museo civico di Pescia Fig. 3 - Scultore di ambito lucchese, San Matteo, –, l’altra un San Martino, oggi nella chiesa parrocprimo decennio del XV secolo, Pietrabuona, chiesa chiale di Vellano. Esse sono il portavoce del percordei Santi Matteo e Colombano (Soprintendenza so di maturazione che l’anonimo scultore ha comSpeciale per il Patrimonio Storico e Artistico piuto tra la fine del Trecento e gli inizi del ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per il Polo Quattrocento; percorso nel quale il San Matteo di Museale della città di Firenze - Gabinetto Fotografico. Riproduzione fotografica n. 167685) Pietrabuona va a collocarsi centralmente, apparendo come il manufatto più pregevole a lui attribuito. Il rapporto che legava il paese di Pietrabuona all’ambito pesciatino e, tramite quest’ultimo, a quello fiorentino e lucchese, si mantenne certamente immutato e costante per tutto il XV ed il XVI secolo. È il momento in cui la nobiltà di Pescia, sicura di una crescente disponibilità finanziaria costruita su una fortuna economica guadagnata in diversi settori manifatturieri (gelso, seta e carta), creò relazioni strette, soprattutto per via matrimoniale, con il patriziato fiorentino. La ricchezza e l’importanza di alcune commissioni, prime fra tutte quelle patrocinate dalle famiglie Cardini, Cecchi e Turini, quindi, si inseriscono in un ambiente mecenatizio che mantenne vive le proprie peculiarità culturali, aggiornandosi di volta in volta su quanto veniva proposto nei più significativi dibattiti figurativi del tempo15. Proprio per questa vivacità intellettuale e creativa della città pesciati164 L’immagine descritta na appare ancor più stridente il vuoto creatosi per il borgo di Pietrabuona nei confronti delle testimonianze artistiche attribuibili al Quattrocento o al Cinquecento, in particolare quelle pittoriche16. Siamo già alle soglie del Concilio di Trento ma, prima che il linguaggio artistico inizi a subire i mutamenti voluti dalla Chiesa cattolica in favore della chiarezza compositiva e del decoro, continuano ad esistere forme d’arte in linea con il predominante gusto manierista, in particolar modo negli arredi liturgici. È il caso del tabernacolo eucaristico di Pietrabuona, fino agli anni Ottanta del Novecento ospitato nell’oratorio della confraternita, recentemente collocato nella sacrestia della chiesa parrocchiale del paese (fig. 4). Intagliato nel legno, poi dipinto e dorato, esso è ascrivibile al nono decennio del Cinquecento sia Fig. 4 - Scultore di ambito toscano, Tabernacolo per la tradizionale presenza del motivo a eucaristico, nono decennio del XVI secolo, Pietrabuona, ex grottesche, sia per la novità dell’inserimen- Oratorio di San Michele, oggi to delle volute a ricciolo che incorniciano la sacrestia della chiesa parrocchiale (Soprintendenza Speciale sede dell’eucaristia. L’utilizzo della grotte- per il Patrimonio Storico e Artistico ed Etnoantropologico sca rientra in quella tipologia di decorazio- (SSPSAE) e per il Polo Museale della città di Firenze ne che si diffuse ampiamente a partire dal- Gabinetto Fotografico. Riproduzione fotografica n. 290922) la fine del XV secolo, e che deve la propria origine ai dipinti parietali riscoperti a Roma negli ambienti della Domus Aurea neroniana. Dopo una prima fase, il cui momento più importante è rappresentato dagli affreschi della Libreria Piccolomini nel duomo di Siena, opera del Pinturicchio, essa conobbe un’ulteriore diffusione grazie all’acquisizione di tale genere da parte di Raffaello e della sua bottega, soprattutto nella persona di Giovanni da Udine, nelle imprese decorative dei palazzi vaticani a partire dal 1516. Appunto a quest’ultimo momento si ispira colui che intagliò il tardo esemplare di Pietrabuona che, seppur nella sua qualità artistica non proprio eccellente, lungo le finte paraste ai lati della nicchia preposta ad ospitare il sacramento, ripropone in forme ieratiche e semplificate le figure di genietti miste a motivi a palmetta o a foglia d’acanto, conosciute grazie alle riproduzioni che all’epoca compari165 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 166 vano su repertori a stampa. Con l’avvento del clima spirituale determinato dalla riforma luterana, che aveva generato forti tensioni religiose e morali e che la Chiesa di Roma aveva tentato di arginare e controllare promuovendo un programma di rinnovamento, la maggior parte degli arredi sacri rispondenti allo stile manierista andarono incontro alla distruzione, oppure a trasferimenti in cappelle e oratori minori, affinché gli edifici di culto maggiori si dotassero di nuova suppellettile, aggiornata secondo le nuove disposizioni conciliari. Fu probabilmente quanto accadde al tabernacolo di Pietrabuona, che si ipotizza fosse stato trasferito già agli inizi del Seicento nel locale dell’oratorio della confraternita, perché ritenuto ormai non più aggiornato secondo il gusto del tempo17. A seguito del Concilio di Trento, svoltosi a più riprese tra il 1545 ed il 1563, furono elaborate direttive precise in cui venivano additati e censurati tutti gli eccessi e i virtuosismi del periodo precedente, affinché le arti fossero indirizzate verso un fine educativo e verso la riedificazione, il restauro e l’abbellimento degli edifici ecclesiastici. La Chiesa cattolica dette quindi inizio a un processo di epurazione dell’immenso patrimonio iconografico della tradizione cristiana, bandendo i soggetti che si prestavano a interpretazioni profane. Vennero privilegiati i temi adatti alla meditazione e alla penitenza, come i momenti più drammatici della passione di Cristo e gli episodi più edificanti di virtù cristiane. A Firenze l’adeguamento del linguaggio artistico agli ideali tridentini di convenienza e verosimiglianza seguì due filoni principali: il primo si ricollegava ad esempi relativamente recenti – e mai dimenticati – di inizio secolo, cioè al classicismo devoto di Fra’ Bartolomeo e al patetismo affidabile di Andrea del Sarto, di cui si faceva “portavoce” Santi di Tito. Il secondo filone, invece, orientava la scelta delle politiche figurative verso una visione più naturalistica dell’arte, in concomitanza con la riscoperta dell’importanza del colore e della luce, prerogativa della pittura veneta, recentemente rivalutata da alcuni pittori, quali Passignano e Cigoli18. Forse per la sua provenienza e formazione veronese, una volta giunto a Firenze nel 1578, anche Jacopo Ligozzi si inserisce in quest’ultimo ambito, ottenendo incarichi di notevole prestigio, sia da parte della famiglia granducale che da committenze religiose. Di lui dovette forse colpire la vena poetica, la serenità espressiva, la predisposizione al naturale, che sfociava nella minuta attenzione per i dettagli. Egli lavorò, sul finire del secolo, anche nella città di Lucca e da qui, nel 1593, si trasferì a Pescia, dove dipinse per la chiesa di San Francesco il Martirio di Santa Dorotea. L’opera fu definita “stupenda” dall’erudito settecentesco Luigi Lanzi, nel suo volume Storia pittorica dell’Italia: “Il palco, il carnefice, il prefetto che stando a cavallo gli dà ordine di ferire, la gran turba dei circostanti in varie sembianze ed effetti, tutto l’apparato di un supplicio pubblico ferma e incanta ugualmente chi sa in pittura e chi non sa”19. Non sappiamo se in occasione dell’esecuzione della tela posta nella chiesa francescana di Pescia, Jacopo Ligozzi dipinse anche il Cristo L’immagine descritta Bambino redentore, vero e proprio gioiello nascosto nella chiesa dei Santi Matteo e Colombano di Pietrabuona (fig. 5). Chiaramente ispirato alla tradizione iconografica del putto con il teschio inteso come memento mori, il fanciullo riassume su di sé l’allegoria della redenzione e della vittoria sul peccato e sulla morte attraverso la risurrezione. Disposto frontalmente, indossa una ricca veste rossa su cui scende uno scapolare recante i simboli della passione. Il capo leggermente inclinato poggia sul dorso della mano in attitudine meditativa, mentre il gomito poggia su un teschio; nella mano sinistra, però, stringe il grande vessillo crociato del Cristo risorto e sotto i piedi schiaccia il drago, simbolo del demonio e della morte. Nonostante il tema raffigurato sulla tela possa indurre a pensare che tale soggetto potesse essere piuttosto singolare nella produzione pittorica del tempo, esso aveva al contrario ampia circolazione all’epoca: lo ritroviamo trattato anche in una Fig. 5 - Jacopo Ligozzi, Cristo Bambino redentore, 1595 ca., rara acquaforte di Jacques Callot cui il Pietrabuona, chiesa dei Santi Matteo e Colombano (Soprintendenza dipinto è molto prossimo in quasi tutti Speciale per il Patrimonio Storico e Artistico ed Etnoantropologico i particolari. L’attribuzione al Ligozzi è (SSPSAE) e per il Polo Museale della città di Firenze - Gabinetto comunemente accettata dalla critica, Fotografico. Riproduzione fotografica n. 290950) non soltanto per la presenza dell’artista a Pescia e a Lucca durante gli ultimi anni del Cinquecento e i primi del Seicento, ma soprattutto perché sono presenti nella tela talune peculiarità tipiche del repertorio ligozziano, come il vaso di fiori ed il teschio20. Pur rappresentando certamente un unicum nel paese di Pietrabuona, l’arrivo del quadro del pittore veneto fu il raffinatissimo punto di partenza di quella fase di aggiornamento stilistico in chiave controriformata che, per la chiesa di San Matteo e Colombano, come 167 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona per tutte le parrocchie della praepositura nullius pesciatina, durò almeno fino al quarto decennio del Seicento. La lenticolare attenzione al dato naturale, fin nei dettagli, specialmente nella resa delle vesti e dei gioielli che spesso connota la pittura di Jacopo Ligozzi, la ritroviamo reinterpretata in chiave personalissima nella pala d’altare raffigurante l’Incoronazione della Vergine, oggi nei depositi della Soprintendenza fiorentina in attesa di restauro (fig. 6). Firmata dal pittore pesciatino Ippolito Brunetti, la tela si inserisce stilisticamente e cronologicamente nelle ricerche pittoriche immediatamente successive alla permanenza del Ligozzi nell’area tra Pescia e Lucca. Tipica del Brunetti è una pittura piuttosto dura e tagliente, soprattutto nella resa marcata e rigida delle membra dei personaggi, dei profili dei volti, dei gesti e dei panneggi, in linea con quanto venne eseguito dallo stesso autore, per esempio, nella Sacra conversazione dipinta per il refettorio delle monache del convento di San Fig. 6 - Ippolito Brunetti, Incoronazione della Vergine, Fine del XVI-inizi del XVII secolo, Pietrabuona, chiesa dei Santi Michele. Originario di Firenze, Ippolito si traMatteo e Colombano (in restauro presso la Soprintendenza sferì forse a Pescia con l’obiettivo di trovarvi dei Beni Artistici di Firenze) (Soprintendenza Speciale per il un ambiente fecondo e ricco di committenze Patrimonio Storico e Artistico ed Etnoantropologico che invece la città granducale non forniva più. (SSPSAE) e per il Polo Museale della città di Firenze Fino al primo decennio del Seicento, infatti, Gabinetto Fotografico. Riproduzione fotografica n. 167683) egli lavorò costantemente per la Chiesa e la nobiltà pesciatina, lasciando i propri quadri anche nelle zone limitrofe: La Costa, Uzzano e, in Valleriana, San Quirico21. Cronologicamente afferente a questo periodo è anche un crocifisso ligneo, intagliato secondo moduli stilistici vicini all’opera di Pietro Tacca, e riprodotto dagli artigiani locali anche per gli altri castelli della Valleriana (fig. 7). L’ampia diffusione di oggetti di questo tipo, tutti dipendenti dallo stesso modello, conferma l’ipotesi secondo la quale doveva esistere una attiva committenza locale che, non potendosi permettere di richiamare artisti di grande rilievo, si rivolgeva ad una produzione autoctona, consapevole delle più aggiornate formule artistiche del tempo. La figura del Cristo, infatti, per le sue forme così 168 L’immagine descritta robuste e compatte si avvicina a quella di un altro esemplare, oggi conservato nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Sorana, che denuncia chiaramente una ripresa della plastica tacchiana nella sua monumentalità dei volumi, nei tratti fisionomici ben definiti del volto di Gesù, nell’effetto dinamico ottenuto dalle pieghe del perizoma. La presenza di crocifissi attribuibili a Pietro Tacca, documentati nell’area pistoiese intorno al primo decennio del XVII secolo, fa ipotizzare che le maestranze attive nella Valleriana avessero conosciuto e studiato tali opere per poi reinterpretarle una volta tornati nei loro luoghi di origine22. La bella testa del crocifisso di Pietrabuona, affondata nella curva creata dalle braccia, non fa pensare alla morte, ma ad un sonno pesante di un corpo ancora vivo; non c’è sofferenza nell’uomo appeso alla croce, ma la speranza serena della promessa Fig. 7 - Scultore di ambito toscano (da Pietro Tacca), della risurrezione23. Dipinta da un anonimo pittore toscano, ma Crocifisso, primo decennio del XVII secolo, riferibile a modelli certamente non fiorentini, in- Pietrabuona, chiesa dei Santi Matteo e Colombano (Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico e vece, è la tela raffigurante la Sacra famiglia, Artistico ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per il Polo conservata nella canonica della chiesa parroc- Museale della città di Firenze - Gabinetto Fotografico. chiale di Pietrabuona e databile intorno alla se- Riproduzione fotografica n. 290929) conda metà del Seicento (fig. 8). Il dipinto costituisce una delle più belle e letterali rielaborazioni offerte dagli artisti seicenteschi di un tema prettamente raffaellesco, quello della Madonna della cesta, la cui copia più celebre è di mano del Correggio. Tuttavia è il bolognese Annibale Carracci, cui la tela si ispira, a costituire il diretto riferimento, derivante in particolare da questo olio su rame, oggi alla National Gallery di Londra24. Si devono notare in esso la pienezza di sensi con cui quel modello viene restituito, calandolo entro una dimensione di affetti domestici e quotidiani. Interessanti sono anche gli scorci paesaggistici rivelati nello sfondo: paesaggi caldi, sfumati, di sapore estivo, che testimoniano l’alta qualità dell’invenzione paesistica in ogni singolo particolare25. La riproposizione di composizioni d’ispirazione carraccesca, tuttavia, non deve risultare eccezionale per questi luoghi. Anzitutto perché non si deve mai sottovalutare l’importanza del ruolo rivestito dalla circolazione di stampe nell’area pesciatina, che sappiamo ricca di raffigurazioni realizzate con tale 169 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 8 - Artista di ambito toscano, Sacra famiglia, seconda metà del XVII secolo, Pietrabuona, canonica (Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico e Artistico ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per il Polo Museale della città di Firenze - Gabinetto Fotografico. Riproduzione fotografica n. 168183) 170 tecnica26; in seconda istanza per la centralità dell’area della Valleriana come territorio di passaggio non solo tra Firenze e Lucca, ma anche come valico da e verso l’Appennino emiliano. Infine dobbiamo aggiungere come motivazione anche la grande fortuna che la pittura di Annibale e dei suoi allievi ebbe presso i contemporanei per tutto l’arco del XVII secolo; fortuna di cui è testimone in Valleriana anche un’altra opera, rappresentante l’Assunzione della Vergine, posta nell’abside della chiesa di Santa Maria Assunta di Stiappa, eseguita da un ignoto pittore lucchese che ha riletto con grande capacità alcuni moduli della pittura di Annibale Carracci e di Guido Reni. Con quest’ultimo quadro si chiude l’analisi delle superstiti testimonianze artistiche presenti a Pietrabuona; testimonianze che pongono questo paese della Svizzera Pesciatina in una posizione culturale tutt’altro che marginale nel panorama artistico tra Trecento e Seicento. Opere di raffinata levatura come la croce astile attribuibile alla bottega del Ghiberti o il Cristo Bambino redentore di Jacopo Ligozzi restano purtroppo vertici di una produzione mai più raggiunta27. NOTE * Dal contributo originario “L’immagine descritta” di Elisa Maccioni nel DVD allegato al volume. 1 ASLU, Commissione d’Incoraggiamento delle Belle Arti, in Inventari manoscritti, vol. XV, I, busta n. 8, fascicoli 1-7 (serie “bacchette”). 2 Per un quadro riassuntivo concernente la Commissione d’Incoraggiamento delle Belle Arti, voluta dalla duchessa Maria Luisa di Borbone, cfr. E. Maccioni, Commissione d’Incoraggiamento delle Belle Arti, in Viaggio in Valleriana, di A. Spicciani, Pisa 2008, pp. 177-197. 3 Cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume. 4 Una esaustiva analisi storica dei territori di Pescia e della Valleriana in epoca medievale è stata condotta da A. Puglia e da L. Bernardini in Pescia. Città tra confini in terra di Toscana, a cura di A. Spicciani, Milano 2006, pp. 17-84 e pp. 85-101. Per la bibliografia a riguardo si veda, nello stesso volume, F. Mari, Apparati, pp. 290-302. L’immagine descritta 5 Forte è stata la dipendenza – sia politica che artistica – del paese di Pietrabuona dalla vicina città di Pescia, fecondo centro d’arte dalla fine del XV secolo e sede di una praepositura nullius a partire dal 1519. Non si deve dimenticare, infatti, come a Pescia fossero presenti, nella chiesa propositurale di Santa Maria, la celeberrima Madonna del Baldacchino di Raffaello Sanzio, nonché i monumenti funebri scolpiti da Raffaello da Montelupo e Pierino da Vinci. Ma gli artisti di spicco che lavorarono sulla scena pesciatina furono molteplici: Francesco di Valdambrino, Giovanni della Robbia, Benedetto Pagni, Aurelio Lomi, Giovan Battista Paggi, Jacopo Ligozzi, Domenico Passignano, cui andava ad affiancarsi tutta una serie di figure “minori”, che tuttavia risultavano perfettamente capaci di reinterpretare personalmente le tendenze stilistiche e compositive del momento, di sicuro effetto sulla committenza locale. Alcuni di essi, per il piccolo borgo della Valleriana, donarono opere di grande vivacità, veri e propri testimoni di un ricercato aggiornamento artistico da parte della comunità del luogo in linea con quanto veniva prodotto nei centri toscani di maggiore respiro (cfr. E. Pellegrini, Da Raffaello a Maratti. Artisti e committenti in Valdinievole, Pisa 2007, pp. 23-33). 6 Cfr. C. Baracchini, Oreficeria sacra a Lucca: dal XIII al XV secolo, Firenze 1993, pp. 13-25, oppure cfr. A. Capitanio, Da Limoges a Lucca: modelli iconografici per l’oreficeria sacra, in Conosco un ottimo storico dell’arte: per Enrico Castelnuovo: scritti di allievi e amici pisani, a cura di M.M. Donato - M. Ferretti, Pisa 2012, pp. 69-75. 7 Per la figura di Guccio di Mannaia si veda il saggio di E. Cioni, Guccio di Mannaia e l’esperienza del gotico transalpino, in Il gotico europeo in Italia, a cura di V. Pace - M. Bagnoli, Napoli 1994, pp. 311-323. 8 Cfr. Maccioni, op. cit., p. 196. La croce appare criticamente analizzata soltanto dall’ormai datata schedatura della Soprintendenza fiorentina, scritta da M. Ciatti in Montevecchi - Papaldo, op. cit., vol. 1, n. 102230, p. 344. 9 Si veda, per quanto riguarda la simbologia delle gemme nel medioevo, il saggio di M. Collareta, Il cristallo nella liturgia religiosa e civile, in Cristalli e gemme: realtà, fisica e immaginario, simbologia, tecniche e arte, a cura di B. Zanettin, Venezia 2003, pp. 495-512. Per la bibliografia a riguardo cfr. L. Dolcini, La fortuna del cristallo di rocca nel medioevo: guida alla consultazione della bibliografia, Ravello 1989, pp. 341-368. 10 Cfr. A. Labriola, Simone Martini e la pittura gotica a Siena, Firenze 2008, pp. 223-225. 11 Cfr. M. Burresi, Dal 1330 al 1400: l’irradiarsi della cultura di Andrea e Nino Pisano in Toscana e nella penisola, in Niveo de marmore: l’uso artistico del marmo di Carrara dall’XI al XV secolo, a cura di E. Castelnuovo, Genova 1992, pp. 216-220. 12 Si veda la scheda di catalogo di B. Scantamburlo, Oreficeria sacra in Toscana. Gli argenti della Cattedrale di Pescia, Pisa 2010, n. 8, pp. 66-68. Per un confronto con la Crocifissione della porta Nord del battistero di Firenze, cfr. A. Galli, Lorenzo Ghiberti, Roma 2005, p. 121. 13 Cfr. G. Marangoni, Nascoste sugli altari. Argomenti di scultura lignea medievale nella Valdinievole lucchese, Pisa 2006, pp. 21-48. 14 Marangoni attribuisce a Francesco di Valdambrino alcune opere conservate nelle varie chiese parrocchiali della Valleriana, collocandole cronologicamente ad un periodo giovanile dell’artista, immediatamente precedente al celebre concorso della porta Nord del battistero di Firenze. Per la scheda dell’opera cfr. Marangoni, op. cit., scheda n. 7, pp. 71-74. Si veda anche M. Campigli, Su Nino Pisano e sul suo seguito in Toscana: due Madonne lignee della Fondazione Giorgio Cini, in «Saggi e memorie di storia dell’arte», n. 27 (2003-2004), pp. 35-56. 15 Cfr. E. Pellegrini, Storia di immagini e immagini di una storia, in Pescia. Città tra confini in terra 171 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona di Toscana, a cura di A. Spicciani, cit., pp. 174-196. 16 Al contrario, gli altri paesi delle dieci castella, come Aramo, Castelvecchio, Sorana e Pontito, offrono interessanti opere d’arte, anche di un certo riguardo, che si inseriscono pienamente nel filone fortunatissimo delle Sacre conversazioni e delle Madonne col Bambino. Basti ricordare, tra tutti gli esemplari, la Madonna col Bambino della pieve di Castelvecchio, chiara citazione della celeberrima Madonna del Baldacchino di Raffaello per l’inserto degli angioletti in alto che sorreggono la corona sopra la Vergine, e la tavola raffigurante l’Adorazione dei pastori di Pontito, attribuita alla bottega di Sebastiano Vini, in cui tutta la composizione ruota attorno al gesto del pastore in primo piano colto nell’atto di togliersi il cappello rosso, punto di forza di tutto il dipinto (cfr. E. Pellegrini, Frammenti di pittura: viatico per un territorio dimenticato, in Viaggio in Valleriana, di A. Spicciani, cit., pp. 142-144). 17 Di quest’opera possediamo soltanto una schedatura critica ad opera della Soprintendenza fiorentina, a cura di M. Ciatti, in Montevecchi - Papaldo, op. cit., scheda n. 102279, pp. 349. 18 Cfr. F. Moro, Viaggio nel Seicento toscano, Mantova 2006, pp. 64-83. Si consultino anche i saggi di M. Gregori e C. D’Afflitto, in Storia delle arti in Toscana, Il Seicento, di M. Gregori, Firenze 2001, pp. 9-20 e pp. 81-98. 19 L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia (1809), [edizione a cura di M. Capucci, Firenze 1968-1974], p. 253. 20 Pellegrini, Frammenti di pittura, cit., pp. 145-146. Cfr. anche A. Menzione, Celesti immagini. Aspetti della religiosità in Valdinievole nell’età moderna, in Pescia e la Valdinievole. La costruzione di una identità territoriale, a cura di A.M. Pult Quaglia, Firenze 2006, pp. 107-108. Il quadro è stato pubblicato, con la relativa scheda, anche in R. Ciardi, Lucca a Roma v7s Lucca e Roma. Intersezioni tra cultura locale e grandi modelli figurativi, in La pittura a Lucca nel primo Seicento, catalogo della mostra a cura di M.T. Filieri, Lucca 1994, pp. 19-43. 21 Pellegrini, Frammenti di pittura, cit., pp. 144-145. Per la figura del Brunetti si veda anche Pellegrini, Da Raffaello a Maratti, cit., pp. 234-235. 22 Cfr. V. Montigiani, Considerazioni sulla scultura di Pietro Tacca nella chiesa della Madonna dell’Umiltà a Pistoia, in Pietro Tacca: Carrara, la Toscana, le grandi corti europee, di F. Falletti, Firenze 2007, pp. 195-199. 23 Si legga il contributo di E. Pellegrini, L’immagine descritta, in Il castello di Sorana, di A. Merlo, cit. 24 Si veda la scheda sull’opera del Carracci in D. Benati - E. Riccomini, Annibale Carracci, catalogo della mostra, Milano 2006, pp. 284-285. 25 Cfr. Menzione, op. cit., p. 104. 26 Si veda, ad esempio, il volume La “commodità delle stampe”: Roma nella collezione Buonvicini della Capitolare di Pescia, a cura di M. Bini, Pisa 2006. 27 La storiografia e la critica dell’Ottocento decretarono la marginalità dei borghi collari delle dieci castella, relegandoli in una posizione di second’ordine culturale o addirittura dimenticando di menzionarli nelle guide del tempo. Anche Pietrabuona subì la stessa sorte: non ne compare notizia, ad esempio, nella Descrizione delle sculture, pitture et architetture della città, e dei sobborghi di Pescia nella Toscana dell’Ansaldi. Nemmeno il Repetti, pur delineando un breve quadro storico del castello, menziona le opere d’arte presenti all’interno della chiesa parrocchiale. Per una visione critica della guida dell’Ansaldi si veda il volume I. Ansaldi - L. Crespi, Descrizione delle sculture, pitture et architetture della città, e sobborghi di Pescia nella Toscana, Bologna 1772 - Pescia 1816, edizione critica a cura di E. Pellegrini, Pisa 2001. 172 Simboli, epigrafi e segni di lapicidi* I simboli e le iscrizioni all’interno di un centro storico necessitano di essere posti in relazione con i manufatti che, nei secoli, hanno determinato la forma e l’identità dell’abitato. Da un lato, infatti, il luogo in cui sono collocati fa assumere loro un peculiare significato, dall’altro essi stessi danno un fondamentale contributo alla decodificazione delle architetture: icone ed epigrafi fungono in molti casi da marcatori temporali, facilitando la comprensione delle dinamiche urbane. In qualità di riconoscibili evidenze iconografiche correlate a definite valenze iconologiche1, contribuiscono infine a decifrare i rapporti tra costruzioni e, a scala territoriale, tra insediamenti2. In un borgo murato quale Pietrabuona, la cui strategica posizione geografica ha determinato la necessità di un sistema di fortificazioni a difesa dell’abitato posto su di un’altalenante linea di confine, il circuito murario, anche dal punto di vista morfologico, concorre a qualificare l’insediamento nel quadro dei poteri politici e religiosi extra-moenia, mentre gli edifici speciali palesano questo gioco di forze all’interno dell’insediamento stesso. In entrambi i casi, mura, rocca, porte urbiche, palazzi pubblici, chiese e oratori costituiscono i luoghi privilegiati per la dislocazione di simboli. Il generoso ritrovamento di reperti lapidei utili all’analisi iconologica contribuisce efficacemente alla conoscenza del borgo: nell’inanellamento dei due livelli fortificati, fino all’espansione dell’abitato attorno all’area sottostante la rocca, sono stati rinvenuti complessivamente 314 elementi, catalogati nelle sezioni tematiche: simboli del potere politico, simboli religiosi, simboli solari, epigrafi e iscrizioni, segni di lapicidi3. I simboli del potere politico Nella definizione dell’organizzazione gerarchica delle architetture entro l’abitato, i simboli correlati al potere, nella valenza politica o religiosa4, svolgono un ruolo rilevante. A Pietrabuona il giglio della repubblica di Firenze5 è raffigurato a rilievo in uno scudo a testa di cavallo a otto angoli in pietra serena6 nel concio in chiave dell’archivolto della fonte pubblica in piazza di Castello (fig. 1). L’iconografia dello stemma segue quella del 173 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Fig. 1 - Simboli del potere. Da sinistra: stemmi familiari doppiomerlati in via della Ruga; giglio bottonato della repubblica di Firenze sull’archivolto della fonte pubblica in piazza di Castello giglio bottonato fiorentino – sovente affisso sulle facciate delle architetture e sulle porte dei circuiti murari quale segno di egemonia politica7, nello specifico caso come sigillo del potere sugli interventi pubblici nel borgo – con sbocciatura a cinque petali superiori (tre principali e due stami minori) e tre ramificazioni inferiori simmetriche. All’interno dello scudo è iscritta, a incisione con scalpello, la data 1822, a caratteri regolari entro un campo epigrafico riquadrato a rilievo (fig. 1). Lo stemma scolpito in bassorilievo sul concio in chiave dell’arco di un portale, in un edificio nel braccio occidentale di via della Ruga (fig. 1) laddove volge verso la porta castellana, rappresenta un’arma familiare: le caratteristiche araldiche definiscono uno scudo bandato doppiomerlato8. Stesso blasone, con due bande doppiomerlate, è scolpito in altorilievo su una lastra lapidea apposta al di sopra dell’architrave di un portale in pietra serena, lungo la medesima via della Ruga (fig. 1), sul lato Sud-occidentale del borgo. Un ulteriore scudo a testa di cavallo, a nove angoli, appare scolpito a rilievo sull’architrave in pietra serena di un portale in piazza di Castello: lo scudo è lasciato privo dello stemma gentilizio. I blasoni familiari e gli stemmi civici rinvenuti a Pietrabuona confermano la presenza nel paese, durante il corso dei secoli, di influenze politiche fiorentine, lucchesi, pistoiesi e pisane. 174 Simboli, epigrafi e segni di lapicidi I simboli religiosi In ambito religioso i simboli sono principalmente associati ai canonici contenuti catechetici correlati a personaggi ed eventi evangelici, sebbene il loro significato possa assumere diversificate interpretazioni in relazione alla peculiare collocazione. Le icone religiose vengono utilizzate anche con funzioni civili: le edicole votive e le croci penitenziali, qualora trovino sistemazione lungo il tracciato murario e presso le porte urbiche, possono assumere un’aggiuntiva finalità apotropaica. Tabernacoli e nicchie, dedicati principalmente alla devozione mariana e al culto dei santi, sono estesamente dislocati in tutta Pietrabuona, sia nel castello, sia nell’abitato a ridosso della via Mammianese: in prevalenza sono immagini – in terracotta, smaltate, in gesso, o a pittura – della Madonna (via della Scaletta, via della Ruga, via del Campanile, piazza di Castello, via di Santo Vecchio, strada provinciale Mammianese). Presenti in numero rilevante lungo il circuito di via della Ruga, determinato dall’affiancamento serrato degli edifici ad ulteriore protezione dell’abitato, è presumibile che siano stati eretti come ex voto e correlati alla tradizione liturgica processionale, assumendo anche una funzione apotropaica. Tra le statue eccelle quella in terracotta raffigurante San Rocco collocata ai piedi della strada omonima (Erta di San Rocco) che si inerpica dal fondo valle del Pescia verso l’altura del borgo. Quale eminente simbolo cristiano, la croce caratterizza i luoghi sacri del paese – l’ex oratorio di San Michele, la chiesa dei Santi Matteo e Colombano –, ma anche le strade pubbliche, sotto forma di iscrizioni e graffiti sul selciato in pietra dei viottoli e presso la porta castellana. Una croce patente, dunque a braccia allargate, è iscritta sulla parte postica dell’ex oratorio di San Michele, nell’area absidale esterna (fig. 2); altra croce è incisa su un concio della facciata di un edificio prospettante sul sagrato della chiesa stessa (fig. 2). Nelle sedi ecclesiastiche trovano luogo, oltre alle raffigurazioni dei salienti episodi evangelici (una pittura a tempera del secolo XVIII raffigurante il Battesimo di Cristo nell’ex oratorio di San Michele e una tela della fine del secolo XVI con l’Incoronazione di Maria nella chiesa ottocentesca) e alle statue lignee di San Matteo e San Colombano, ulteriori icone per la venerazione mariana e dei santi. Tra gli arredi liturgici vi sono esemplari di croce patente astile, correlata ai rituali processionali9. L’icona del Corpus Domini, con il trigramma di Cristo IHS e il sole raggiato10, è raffigurata sugli altari nel presbiterio e su un portale del 1848 lungo la strada Mammianese (fig. 2). Di lavorazione dell’artigianato toscano è il catino lapideo con protome antropomorfa del Seicento, ricollocato nella sacrestia della chiesa dei Santi Matteo e Colombano. Da segnalare, infine, per il valore simbolico che rivestono, sono i cavalletti d’appoggio 175 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 176 Fig. 2 - Simboli religiosi. Dall’alto, da sinistra: croce patente nell’area postica dell’ex oratorio di San Michele; croce patente su un prospetto sul sagrato dell’ex oratorio di San Michele; trigramma di San Bernardino lungo la strada Mammianese; decorazioni scultoree su due catini nella chiesa di San Matteo e Colombano; croce sull’altare della chiesa di San Matteo e Colombano; apparato decorativo dei cavalletti d’appoggio alle catene delle capriate nella chiesa di San Matteo e Colombano Simboli, epigrafi e segni di lapicidi alle catene delle capriate lignee nell’ex oratorio di San Michele: due tratteggiano infatti le sembianze di un uomo e di un leone, icone degli evangelisti Matteo e Marco11; le fattezze degli altri peducci non sono identificabili a causa del degrado (fig. 2). I simboli solari L’architrave della mostra di una finestra su via della Ruga, dove il selciato si immette nella via della Scaletta (già via degli Scogli), presenta due simboli scolpiti a rilievo su pietra serena: una rosetta a sei petali ed un giglio (fig. 3). Per la posizione, decentrata ma equilibrata, dei due glifi si ipotizza un’originaria composizione tripartita, probabilmente del secolo XVI e coeva ad analoghi manufatti rinvenuti nei castelli della Valleriana. Tali raffigurazioni sono correlabili a contenuti solari: ruota, rosetta, disco solare raggiato, stella a otto punte e giglio fanno parte dei miti solari connessi alle processioni montane nei solstizi, oltre ad avere funzione benaugurante. La rosetta a sei petali12, determinata dalla costruzione geometrica di sei mandorle derivanti dalla rotazione di circonferenze, è riferita alla generazione della vita cosmica e strettamente associata all’iconologia della ruota: come quella perpetua la ciclicità dei suoi raggi in movimento, amplificando la scansione temporale del ripetersi circolare delle stagioni. Una fondamentale corrispondenza è stabilita anche con l’orientamento cardinale: gli assi si allineano con i punti di alba e tramonto nei solstizi (d’estate e d’inverno) e negli equinozi (di primavera e d’autunno)13, in una sorta di computazione calendariale. Fig. 3 - Simboli solari. Da sinistra: rosetta a sei petali e giglio su un architrave in via della Ruga; protome antropomorfa in piazza di Castello 177 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona Alla stessa tipologia di simboli è riconducibile il giglio, affiancato sull’architrave alla rosetta a sei petali. Sebbene esso, entro un determinato ambito culturale, rappresenti abitualmente la repubblica di Firenze, quando associato a glifi solari assume il significato di singolo raggio di sole, in particolare correlato ai contenuti del primo e dell’ultimo raggio nei solstizi e negli equinozi. Ciò contribuisce a determinare la presenza a Pietrabuona di porte solstiziali, o equinoziali, imperniate sulla funzione della scansione del tempo, essenziale nella cultura agreste medievale: allineamenti astronomici peculiari sono stati verificati per l’orientamento della Rocca in rapporto al tramonto solare nel solstizio d’inverno e, di conseguenza, al sorgere del sole nel solstizio d’estate14. Le epigrafi e le iscrizioni 178 Nello studio delle architetture storiche, congiuntamente all’indagine archeologica, l’analisi di epigrafi e di iscrizioni permette di intraprendere un parallelo percorso di conoscenza e di datazione dei manufatti: la valutazione delle tecniche di lavorazione del supporto lapideo e degli strumenti utilizzati, l’esame delle caratteristiche del campo epigrafico e del livello di degrado materico fungono da marcatori temporali degli edifici nell’analisi stratigrafica degli alzati15. A Pietrabuona sono state identificate epigrafi – con caratteristiche di incisione a caratteri capitali, sebbene talvolta ad allineamento irregolare – aventi una funzione prevalentemente commemorativa e documentaria (fig. 4). Di una certa rilevanza per la conoscenza delle architetture “speciali” del borgo, quali le strutture chiesastiche e le sedi religiose, sono le iscrizioni presenti nella chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele), riconducibili al secolo XVI: sullo stipite destro dell’ingresso laterale, su un concio in pietra serena, è iscritta la data 1599 a cifre arabe irregolari in campo epigrafico decentrato e asimmetrico (fig. 4); all’interno dello stesso oratorio, sul concio in chiave dell’arco della nicchia dell’altare laterale (fig. 4), è iscritta la data 1547; sull’architrave del portale dell’ospedale di San Matteo16 si trova un’ulteriore iscrizione cinquecentesca a caratteri regolari, con utilizzo di marcatori di interpunzione, campo epigrafico incassato e bordato a cartiglio, con l’iconografia del trigramma IHS e con la datazione 1586 (fig. 4). Sulla facciata del palatium pubblico, sull’architrave del portale d’ingresso in via della Rocca, è iscritta centralmente a cifre arabe la data 1542 (o 1572, fig. 4)17, che contribuisce a collocare cronologicamente la tipologia dei portali lapidei della struttura. Ulteriori iscrizioni, da correlare alla cronologia degli interventi architettonici sui manufatti, sono censite nel borgo esterno al castello posto ai piedi della Rocca: sul cantonale Simboli, epigrafi e segni di lapicidi Fig. 4 - Epigrafi ed iscrizioni. Dall’alto, da sinistra: iscrizione sulla facciata laterale dell’ex oratorio di San Michele; iscrizione sul palazzo pubblico; epigrafe sul portale dell’ospedale di San Matteo; iscrizione sull’archivolto della nicchia laterale nella chiesa di San Matteo e Colombano; iscrizione sulla cella campanaria; iscrizione a Villa Flori; iscrizione in via San Rocco; epigrafe in via San Rocco; iscrizione in piazza di Castello 179 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona settecentesco18 del manufatto tra via San Rocco e la mulattiera per i lavatoi pubblici, è inserito un concio con iscrizione regolare eseguita a scalpello riportante la data 1769 (fig. 4); sul blocco edilizio che prospetta sulla vecchia fonte pubblica settecentesca, poi sostituita con quella con archivolto in piazza di Castello, è collocata un’epigrafe a caratteri capitali e cifre arabe, con modulo regolare per rigo e simmetria del campo epigrafico e segni di interpunzione, che riporta la datazione 1810 (fig. 4). Un’iscrizione con modulo regolare e bordatura su concio in pietra serena, situata sull’esterno della cella campanaria presso la chiesa di San Matteo e Colombano, attesta la datazione del 1611 per lavori eseguiti al campanile (fig. 4). Lapidi marmoree, steli e basamenti di cippi, di manifattura risalente ai secoli XVIII-XX sono collocati nelle strutture chiesastiche e nelle pertinenze della piazza di Castello. I segni dei lapicidi Attraverso l’analisi dei cantonali dei manufatti architettonici, si riscontra a Pietrabuona un’attività qualificata di scalpellini e cavatori: la presenza di tecniche di posatura e di trattamento superficiale dei conci attesta una saltuaria attività di maestranze semi-specializzate. Le tecniche di lavorazione della pietra denotano l’utilizzo da parte dei lapicidi di strumenti quali lo scalpello, la subbia, il piccone. Tra tali opere scultoree si annovera una protome antropomorfa scolpita su un elemento lapideo aggettante collocato sulla facciata di un edificio d’angolo d’accesso alla piazza di Castello (fig. 3). Di rilievo sono anche i glifi solari in via della Ruga, gli stemmi gentilizi e le decorazioni architettoniche della Rocca. Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali 180 Sulla base del rilievo condotto a Pietrabuona, mediante l’utilizzo di strumentazioni in grado di mettere in relazione la dimensione dei manufatti con le relative aperture angolari rispetto agli allineamenti astrali, sono state impostate delle procedure di calcolo19 per verificare l’esistenza o meno di riferimenti celesti nelle architetture del paese. La presenza di simboli solari a Pietrabuona, e diffusamente nella Valleriana20, ha contribuito a circoscrivere l’area della ricerca entro i momenti salienti del ciclo annuale solare: il tramonto e l’alba nei solstizi invernale ed estivo. L’affiancamento del glifo di un giglio (correlato al primo e all’ultimo raggio di sole) con quello di una rosetta a sei petali21 (connessa ai solstizi) ha supportato l’analisi degli allineamenti astrali rispetto alle architetture medievali. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi Nella cultura medievale non era infatti inconsueto edificare manufatti architettonici orientati verso peculiari punti di riferimento nel movimento solare. Il solstizio invernale costituiva il climax del ciclo annuale e della vita: se il sole rappresentava la fonte della vita cosmica e il principio ordinatore dell’universo, definire il suo movimento in relazione alle stagioni significava, simbolicamente, avere un controllo sul tempo e sulle ritualità quotidiane della vita agreste. L’orientamento delle architetture, spesso relazionato a contenuti religiosi in quanto perlopiù relativo a strutture chiesastiche22, risultava inoltre funzionale al computo del tempo (attraverso il rapporto tra luce, ombra e architettura), sia che ci si riferisse a sistemi di ore con origine mobile ma durata costante (come le ore italiche, nel cui conteggio l’inizio della giornata coincideva con il tramonto), sia che si considerassero le ore temporarie della giornata, con origine fissa ma durata variabile23. La scansione delle ore canoniche, oltre che per la liturgia, fungeva infatti da partizione temporale della giornata sulla quale si imbastiva l’organizzazio- Fig. 5 - Parte absidale della Rocca di Pietrabuona e porta urbica ne del lavoro: i momenti di alba e di tramonto rappresentavano pertanto, assieme alla culminazione solare, dei salienti riferimenti giornalieri. Analizzando i manufatti di fondazione romanica di Pietrabuona24, è stato verificato un allineamento tra la Rocca (fig. 5) e gli elementi astrali, in una congiuntura peculiare: ab occasu solis nel giorno del solstizio d’inverno. Il solstizio invernale rappresenta il giorno nel quale il sole inizia a tramontare più tardi, allungando la durata diurna delle giornate: solis statio è infatti il punto di fermata del sole nell’inversione di moto nella declinazione e rappresenta dunque il sorgere di un nuovo ciclo, la nascita di un nuovo 181 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona sole25. Questo “capodanno solare” ricopriva un ruolo importante nella cultura medievale, poiché rappresentava il superamento della stagione oscura e la rinascita della vita, e veniva celebrato con processioni luminose, soprattutto nei luoghi montani, in una sovrapposizione di tradizioni popolari e di liturgie cristiane, eredi delle cerimonie pagane romane del Sol Invictus. In base alle effemeridi relative all’anno considerato26, mediante procedimenti di calcolo si giunge alla valutazione degli allineamenti astrali nel luogo di latitudine, longitudine e altitudine definiti (latitudine L = 43,930755°, longitudine l = 10,693238°, quota altimetrica Q = 117m s.l.m.). Il valore computato dell’azimut del sole – al suo tramonto (altezza sole a = 0° 00’ 00’’) nel solstizio d’inverno (declinazione Sole d = -23° 27’ = -23,45°) – determinato rispetto al Sud con andamento orario, risulta Az = 59,8575° (fig. 6). L’angolo ottenuto (30,1425° antiorari rispetto all’Ovest) coincide con quello che l’asse longitudinale della Rocca definisce con l’Ovest (30° antiorari) determinato dal rilievo digitale, con oscillazioni in eccesso di alcuni primi dovute a tollerabili irregolarità per il deterioramento materico del manufatto. La Rocca appare dunque orientata longitudinalmente verso il punto di tramonto del sole nel solstizio invernale. 182 Fig. 6 - Vista panoramica, orientamento della Rocca in relazione all’abitato di Pietrabuona Simboli, epigrafi e segni di lapicidi Fig. 7 - Grafico delle traiettorie del percorso del sole nel solstizio d’inverno e in quello d’estate nel secolo X: radialmente sono riportati i riferimenti agli angoli azimutali e concentricamente quelli relativi all’altezza sulla linea dell’orizzonte. Sulla planimetria di Pietrabuona è evidenziato l’orientamento longitudinale della Rocca, allineato con il punto di calata del sole nel solstizio invernale (e di alzata in quello estivo) NOTE * Dai contributi originari “Simboli, epigrafi e segni di lapicidi a Pietrabuona: l’analisi iconologica nella conoscenza dei manufatti architettonici” e “Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali di Pietrabuona” di Cinzia Jelencovich nel DVD allegato al volume. 1 L’iconografia fonda la sua analisi sul riconoscimento descrittivo delle immagini, l’iconologia sottende ad un atto interpretativo dei contenuti; in merito al significato del concetto del simbolo, sull’iconografia e sull’iconologia nella storia dell’arte e dell’architettura, cfr. E. Panofsky, Studi di iconologia. I temi umanistici nell’arte, Torino 1975; H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Milano 1991; G. Cairo, Dizionario ragionato dei simboli, Milano 1967; N. Cecchini, Dizionario sinottico di iconologia, Bologna 1982; J. Chevalier, Dizionario dei simboli, Milano 1986; J.E. Cirolt, Dizionario dei simboli, Milano 1985;. J.C. Cooper, Enciclopedia illustrata dei simboli, Padova 1987; V. Herder, Simboli (Herder lexikon. Simbole), Casale Monferrato 1993. 2 La presenza diffusa di simboli solari in molteplici borghi della Valleriana (tra cui Pietrabuona, Sorana, Pontito) determina la necessità di un’analisi trasversale sul territorio. Inoltre, eventuali persistenze progettuali negli atti di fondazione di insediamenti limitrofi e dei loro circuiti murari possono essere riconosciute anche attraverso l’analisi dell’assetto interno e del suo peculiare orientamento. 3 Il regesto dei simboli, degli stemmi, delle iscrizioni e dei segni dei lapicidi a Pietrabuona è stato 183 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 184 condotto tra il marzo ed il luglio 2011; per la schedatura completa degli elementi rinvenuti cfr. par. Analisi iconologica ed epigrafica a Pietrabuona. La schedatura dei simboli, delle epigrafi, delle marche lapidarie, nel DVD allegato al presente volume. 4 Sui concetti della disposizione di stemmi e armi sulle facciate dei palazzi di potere o sulle porte urbiche e sul diverso livello – urbano e territoriale – della loro lettura e del loro significato, cfr. C. Jelencovich, Il castello di Sorana. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi, in Il castello di Sorana, di A. Merlo, cit., pp. 171-185. 5 La dominante è presente nel paese a partire dalla seconda metà del Trecento (cfr. par. Note storiche, in questo stesso volume). 6 Lo scudo a testa di cavallo è tra i fondi più antichi usati in Italia; presenta solitamente due angoli sul capo, ulteriori due per ciascun lato destro e sinistro, uno sulla punta; a Pietrabuona lo troviamo nella variante barocca a otto angoli (due sulla punta). 7 A Sorana lo troviamo incastonato sulla facciata di un edificio in borgo Paradiso; a Pietrabuona è presente un ulteriore emblema di Firenze, ma di fattura moderna: il marzocco fiorentino, collocato alla cancellata d’ingresso del palazzo sull’Erta di San Rocco. 8 Lo stemma gentilizio è equiparabile a quello di alcune casate storicamente correlate con il Pistoiese, Pescia e Firenze: i Salviati, i Sodogi, gli Arferuoli (cfr. par. Indagine archeologica sulle architetture, in questo stesso volume), Sull’argomento vi veda: G. Degli Azzi - G. Cecchini, Codice nobiliare araldico, Firenze 1928; G. Di Crollalanza, Enciclopedia araldico cavalleresca, Pisa 1876; P. Guelfi Camajani, Dizionario araldico, Milano 1940; O. Neubecker, Araldica. Origini, simboli, significato, Milano 1980; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, vol. I-VII, Milano 1928. 9 Cfr. par. L’immagine descritta, in questo stesso volume. 10 Il trigramma di Cristo IHS entro l’emblema del sole raggiato, ideato da San Bernardino da Siena quale mezzo vivificante per la sua predicazione, sottende alla simbologia cristiana correlata al numero dodici dei suoi raggi che vengono a sovrapporsi con il numero degli apostoli e con gli articoli del Credo. 11 I quattro evangelisti sono rispettivamente identificati con un simbolo, riconducibile agli eventi narrati all’inizio di ciascun vangelo: Marco con il leone, Luca con il bue, Matteo con l’uomo, Giovanni con l’aquila; tali simboli vengono di consuetudine raffigurati sulle facciate e nelle navate delle chiese, con funzione catechetica; in Toscana ne sono esempio le decorazioni dell’apparato scultoreo della facciata del duomo di San Cerbone a Massa Marittima; cfr. C. Jelencovich, Regesto e schedatura dei simboli, delle iscrizioni e delle marche lapidarie a Massa Marittima, in Le mura di Massa Marittima, una doppia città fortificata, a cura di E. Mandelli, Pisa 2009, pp. 152-158. 12 Il nome della rosetta può variare a seconda dell’ambito culturale che l’ha prodotta: seme della vita, germe della vita, stella delle alpi, stella a sei punte, rosa celtica, rosa dei pastori, rosa carolingia, sesto giorno della genesi, anche se il più diffuso e universale è quello di fiore della vita. 13 Il simbolo della ruota amplifica il suo significato in associazione al numero dei suoi raggi; se la ruota a quattro raggi sottende all’espansione nelle quattro direzioni dello spazio dei punti cardinali (ma anche al ritmo quaternario delle stagioni, della luna e della giornata), quella a otto raggi evoca la suddivisione dello spazio terreno e celeste in un doppio quaternario: quattro raggi a croce ortogonale per la posizione dei punti cardinali negli equinozi (sole ad Est all’alba e ad Ovest al tramonto, oltre al Settentrione e al Meridione) e quattro raggi a croce diagonale per il posizionamento dei punti di alba e tramonto del sole ai solstizi d’estate e d’inverno. 14 Per i calcoli inerenti l’orientamento delle architetture medievali su allineamenti astrali, cfr. par. C. Jelencovich, Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali di Simboli, epigrafi e segni di lapicidi Pietrabuona, nel DVD allegato al presente volume. 15 Il campo epigrafico è caratterizzato dall’aspetto dimensionale e materico del supporto utilizzato, dalla tipologia di scrittura contenente o meno elementi tachigrafici e forme scrittorie di abbreviazione, dalla tecnica di scrittura, dalla forma grafica, dagli strumenti usati, dalla presenza di elementi ornamentali; il quadro di analisi viene integrato da indicazioni sullo stato di conservazione del bene in base all’osservazione autoptica ed alla contestualizzazione dei contenuti storici. 16 Cfr. par. L’ospedale di San Matteo, in questo stesso volume. 17 L’iscrizione presenta lacune a causa del degrado per esfoliazione del supporto lapideo. 18 Cantonale di equivalente lavorazione ed apparecchiatura muraria si ritrova sul tratto di mura fiorentine tra la Rocca e il cimitero. 19 Cfr. E. Proverbio, Archeoastronomia, Milano 1989; G. Romano, Archeoastronomia italiana, Padova 1992. 20 Simboli solari sono documentati in tutta la Valleriana: fanno parte di tale famiglia la ruota, la rosetta, il disco solare raggiato, la stella a otto punte e il giglio, rinvenuti a Pietrabuona, Sorana, Pontito. 21 La rosetta a sei petali, assimilata alla generazione della vita e all’infinito perfetto movimento rotatorio, risulta spesso raffigurata in composizioni tripartite su architravi affiancata dal sole e dal giglio e si sovrappone alla ruota a sei raggi nell’individuazione delle porte solstiziali. Fa parte dei simboli solari correlati all’esapartitura. 22 L’orientamento canonico delle chiese prevedeva il posizionamento ad Oriente dell’abside, affinché la preghiera fosse rivolta al sole nascente del mattino, perfettamente ad Est nell’equinozio; troviamo descrizioni della preghiera ad orientem nei testi di Eusebio di Alessandria, di Sant’Agostino, di San Basilio, nel Didascalion, nelle Costituzioni Apostoliche. Non era però inconsueto l’orientamento in base alla posizione degli astri nelle festività religiose, in particolare quelle connesse con il culto del santo cui era titolata la struttura chiesastica. A Pietrabuona la titolazione della chiesa primigenia è rivolta a San Matteo Evangelista, celebrato il 21 settembre, in connessione con l’equinozio d’autunno. Anche la chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele) presenta peculiari parallelismi con allineamenti correlati all’architrave su cui sono scolpiti i glifi solari. 23 Le ore di durata costante erano un ventiquattresimo della giornata, ma la metodologia del loro conteggio variava nel corso dell’anno in quanto iniziavano dal tramonto, che rappresentava un momento basilare per la gestione delle attività lavorative – in prevalenza agresti – che si svolgevano all’aperto. Le ore temporarie avevano di contro un’origine fissa, ma la loro durata risultava variabile: il tempo del dì e della notte veniva suddiviso rispettivamente in dodici ore. Ne derivava che d’inverno, quando l’arco diurnale era più corto, anche le ore del dì avevano durata minore rispetto a quelle della notte, mentre d’estate si verificava l’opposto. 24 Paritetico studio è stato condotto sulle architetture medievali di Sorana, con la scoperta dell’allineamento delle porte urbiche con il punto di tramonto del sole nel solstizio d’inverno e quello di alba in quello d’estate; cfr. C. Jelencovich, Allineamenti astronomici nell’architettura medievale per il computo del tempo: le porte urbiche di Sorana, in Il castello di Sorana, di A. Merlo, cit. 25 Il Dies Natalis Solis Invictus coincideva, per molte religioni antiche, con il giorno di nascita della divinità: i natali di Horus, di Mitra, di Gesù Cristo, cadevano tra il 21 ed il 25 dicembre. 26 La datazione del manufatto è stata determinata attraverso i documenti storici e la tipologia costruttiva (cfr. par. Indagine archeologica sulle architetture, in questo stesso volume). 185 L’ambiente urbano* 186 I movimenti demografici da monte a valle, dai castelli arroccati sui crinali montani alle pianure coltivate e viceversa, in ragione di contingenze storiche ed impulsi economici hanno plasmato la Valleriana, e più in generale il territorio pesciatino, con un ritmo ciclico che interessa secoli di storia, dal Neolitico al ventunesimo secolo. L’ambiente costruito, formato a monte da un sistema di dieci castella (tra cui Pietrabuona, il più prossimo alla pianura) e a valle dalla città di Pescia, ha risentito nel corso dei secoli di questi spostamenti demografici che hanno vitalizzato ora la montagna, ora la pianura, secondo la lucida teoria muratoriana1 sull’antropizzazione del territorio. Non è questa la sede per delineare dettagliatamente le tappe di tale processo2, basti ricordare che oggi il territorio pesciatino sta attraversando una fase di cosiddetta “ristrutturazione” del fondovalle, con il progressivo ed apparentemente inesorabile abbandono delle costruzioni montane, caratterizzate da un’economia ormai in declino. Le castella della Valleriana, caratterizzate fino all’Ottocento da un sistema produttivo basato sulla coltivazione del gelso e sulla fabbricazione della carta, si stanno lentamente spopolando a favore della pianura. Pietrabuona non è estranea a questo fenomeno e si presenta oggi come una realtà contraddistinta da una presenza demografica decisamente bassa3 e, conseguentemente, da un generale decadimento delle qualità ambientali. Una città “vuota” comporta infatti la diminuzione delle attività sociali in seno ad essa, l’annullamento dei legami umani che si concretizzano nelle strutture che ospitano i “servizi” o, più semplicemente, l’assenza di negozi ed attività commerciali4. Alla mancanza di vita sociale fanno da contrappunto almeno altri due fattori: il primo riguarda la sfera privata, ed in particolare la modalità con la quale il cittadino utilizza le abitazioni di esclusiva proprietà; il secondo quella pubblica, e concerne invece la qualità e la quantità delle azioni che le amministrazioni e gli enti preposti alla tutela mettono in atto per qualificare l’ambiente, inteso come tessuto connettivo della città. La mancanza di una viva componente privata, infatti, svilisce il contesto costruito per ovvie e naturali ragioni: le case disabitate appaiono spesso trascurate, presentano finiture degradate generando, nel peggiore dei casi, situazioni di grave deterioramento che può giungere fino al crollo5. L’ambiente urbano Il secondo aspetto, cioè quello relativo alla funzione pubblica di controllo ambientale, è intimamente legato al primo e risponde al paradigma secondo il quale laddove vi è una bassa presenza demografica cala parallelamente l’interesse per l’ambiente urbano da parte delle istituzioni. Se nel primo caso sono le quinte edilizie a risentirne, nel secondo sono le strade, l’arredo pubblico, la qualità ed il decoro dei servizi in genere (illuminazione, regimentazione delle acque piovane, fognatura, etc.)6. Lo status di Pietrabuona oggi è dunque quello di un paese scarsamente abitato e che per questo motivo presenta varie problematiche legate alla qualità degli spazi pubblici. C’è però da fare una distinzione, e in questo ritorna nuovamente in aiuto la teoria muratoriana, la quale può essere applicata sia a livello territoriale che a livello locale (circostanziato cioè al più ristretto ambiente urbano): la parte alta del castello, cioè quella interna alle mura antiche, che in passato ha rappresentato il centro della vita sociale, ha perso questo ruolo a favore dell’espansione ottocentesca al di fuori della porta della Rocca. Qui la presenza di un numero maggiore di residenti e di spazi urbani di dimensioni più consone alle esigenze di vita contemporanee, contribuiscono paradossalmente a mantenere in vita un ambiente di maggior decoro7. L’analisi delle qualità urbane ed edilizie rilevate durante la campagna del marzo 2011 e confluite nell’omonimo database8, ha permesso di redigere un’accurata descrizione degli spazi pubblici di Pietrabuona, realizzata immaginando di percorrere l’insediamento così come potrebbe fare un attento turista. Questo tracciato parte da piazza di Castello (sulla quale domina la mole della chiesa ottocentesca) verso l’antica chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele) ed il palazzo pubblico, nella parte di Pietrabuona più alta ed antica (Bicciuccolo). Da qui si ha la possibilità di scendere nuovamente verso il basso, per tornare nella piazza extra-moenia, attraverso due cammini distinti: con il primo si visita via della Scaletta ed il settore orientale di via della Ruga; con il secondo invece si attraversa la via del Campanile per scendere nuovamente in via della Ruga, percorrendone il settore occidentale9 (fig. 1). La piazza di Castello La piazza di Castello si raggiunge oggi in macchina percorrendo la via di Pietrabuona Castello, una diramazione della strada provinciale Mammianese che si inerpica con vari tornanti sul versante occidentale del promontorio che separa la val di Torbola dalla val di Forfora. Giunti nella piazza, se ne apprezzano la grande dimensione (circa 800 mq) e le notevoli qualità paesaggistiche, che derivano dall’essere di fatto aperta ad Oriente sulla val di Torbola, caratterizzata da densi boschi di castagno e dalla presenza dei due centri di Medicina e Fibbialla. Edificio saliente della piazza è la chiesa ottocentesca dei Santi 187 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona 188 Fig. 1 - Planimetria catastale di Pietrabuona (indicate con numero blu le unità urbane schedate). A: Sede della Proloco; B: Chiesa dei Santi Matteo e Colombano; C: Resti della Rocca; D: Ex palazzo pubblico; E: Chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele Arcangelo); F: Cimitero; 1: Piazza di Castello; 2: Via della Rocca; 3: Piazzetta della Rocca; 4: Piazzetta del Comune; 5: Via del Campanile; 6: Via della Scaletta; 7: Via della Ruga; 8: Strada provinciale Mammianese L’ambiente urbano Matteo e Colombano, per la cui trattazione di dettaglio si rimanda allo specifico paragrafo di questo volume10. Si nota comunque in questa sede l’eccessiva dimensione del manufatto, non in linea con il tessuto storico del castello. Per quanto concerne invece l’edilizia di base11, le case che prospettano sulla piazza sono le più recenti di tutto il paese ed appartengono all’ultima espansione del medesimo12. La quasi totalità delle dimore, ad esclusione dell’unità minima 290, sembrano abitate in modo continuativo e si ha l’impressione generale di un luogo vivo ed animato (da riscontrare come dato negativo la presenza massiccia di autovetture). Sul versante orientale della piazza si attesta anche la sede della Proloco che, dal punto di vista sociale, svolge un’importante funzione aggregativa. Per ciò che concerne i materiali, alcuni non risultano consoni alle tecniche costruttive storiche dei castelli della Valleriana. In particolare si riscontrano fronti caratterizzati dalla presenza di persiane in alluminio o basculanti di garage in acciaio zincato; altri fronti hanno invece finestre con reti anti insetto in alluminio anodizzato o pluviali in PVC. In generale, tuttavia, questi fattori non alterano le caratteristiche globali della piazza, le cui qualità ambientali sembrano conservare, pur con qualche eccezione, il respiro dei secoli. Sempre per quanto riguarda l’edilizia, si riscontra la netta prevalenza di edifici in muratura faccia a vista (su quattordici fronti rilevati, solo quattro hanno finitura ad intonaco): le apparecchiature murarie, costituite in pietra arenaria locale probabilmente cavata in situ, sono generalmente realizzate con conci dalla pezzatura disomogenea posati in modo irregolare. In termini di degrado, le uniche situazioni da segnalare sono proprio relative all’intonaco di alcuni edifici, tra cui quello della Proloco, che presenta fenomeni di caduta avanzata, tanto da far apparire in ampie zone la sottostante apparecchiatura13. La piazza è pavimentata in masselli autobloccanti in calcestruzzo di recente posa e sono presenti, in alcuni settori, tracce della vecchia pavimentazione in pietra arenaria squadrata, ormai resa liscia dall’usura. L’arredo urbano è costituito da una fontana, un monumento ai caduti ed alcune panchine; l’illuminazione è garantita da lampioni in ghisa di buona fattura e da lampade a sbraccio apposte sui fronti edilizi14. La “piazzetta della Rocca” Percorrendo piazza di Castello da Nord verso Sud, in prossimità della chiesa la viabilità si articola in due percorsi tangenti alla chiesa stessa: via del Cimitero, ad Occidente, è uno stradello di mezzacosta dotato di un innegabile valore paesaggistico, che reca al cimitero, posto in posizione defilata rispetto al nucleo abitato; sul versante opposto, il primo tratto di via della Ruga, tortuoso ed in forte pendenza, conduce alla parte più alta ed antica del castello. Percorrendo questa seconda strada, la visuale è nel primo tratto 189 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona dominata dalla chiesa ottocentesca dei Santi Matteo e Colombano, mentre nel secondo si apre verso i resti dell’antica Rocca, posti ad Occidente sulla sommità di uno sperone roccioso, e sulla val di Forfora ad Oriente. I massetti di calcestruzzo lasciano il posto ad una pavimentazione più antica in pietra arenaria di colore grigio, resa liscia dal tempo, che conduce alla vecchia porta urbica ai piedi della Rocca15. Lasciata alle spalle la porta, ed ormai all’interno delle mura trecentesche, si giunge ad una piccola piazza in prossimità della Rocca stessa, amministrativamente priva di nome specifico ed identificata come settore terminale di via del Campanile. Qui si verifica un forte abbassamento della qualità urbana, soprattutto per quanto riguarda l’edilizia, dato dalla presenza di un edificio caratterizzato da evidenti superfetazioni e di una costruzione in forte stato di degrado (ne sono un esempio gli infissi consumati, i vetri rotti, le puntellature a sostegno di architravi lesionati), compensato solo in parte dall’aprirsi di una nuova visuale sulla val di Torbola. Sul versante settentrionale una muratura in pietra faccia a vista impedisce l’accesso alla Rocca, che resta di fatto irraggiungibile se non inerpicandosi lungo il pendio roccioso alle spalle della chiesa dei Santi Matteo e Colombano. La pavimentazione, dissestata e in larga parte intervallata da erbacce, contribuisce anch’essa ad abbassare la percezione della qualità di questo spazio. L’abbassamento delle qualità edilizie può essere ascritto alla perdita del primitivo ruolo urbano della piazza, presumibilmente l’originario sagrato dell’antica chiesa di San Matteo. Dalla “piazzetta della Rocca” al palazzo pubblico 190 Dalla piazzetta della Rocca, proseguendo su via del Campanile, si giunge ad uno slargo caratterizzato dalla presenza di due emergenze architettoniche: la chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele) ed il palazzo pubblico. Tipico percorso matrice, la strada fa da cerniera tra due poli urbani ed ha un tracciato rettilineo e pianeggiante adagiato sul crinale, che con molta probabilità vide nascere il primo sviluppo edilizio del castello (come testimoniano gli ingressi alle abitazioni che ancora oggi insistono su questa via). L’altezza degli edifici impedisce la visuale verso i sistemi vallivi e gli aspetti qualitativi sono pertanto riferibili sono all’ambiente costruito. Qui, a differenza della “piazzetta della Rocca”, il sagrato della chiesa (coincidente con l’area di rispetto del palazzo pubblico), ha mantenuto la sua funzione di polo, anche se solo a livello percettivo, essendo la chiesa in stato di abbandono e non svolgendo più il palazzo nessuna funzione civile (oggi è una residenza privata). Dallo svuotamento di significato di queste costruzioni è derivato un abbassamento globale della qualità ambientale: gli edifici di via del Campanile appaiono perlopiù disabitati o abitati in modo saltuario, e non è infre- L’ambiente urbano quente l’uso di materiali impropri nelle finiture, indice di scarsa attenzione verso la conservazione delle qualità dei fronti edilizi. Sono presenti anche delle situazioni di forte degrado strutturale, con crolli in corso che pregiudicano addirittura la sicurezza dell’ambiente pubblico16. Lo spazio comune antistante alla chiesa e quello sul lato orientale sono impropriamente utilizzati da alcuni abitanti come fossero un’estensione privata delle rispettive abitazioni; atteggiamento questo che, se pur deprecabile, è teso a colmare l’assenza di un arredo pubblico adeguato. La via della Ruga Dalla chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele) la via del Campanile si divide in due percorsi tangenti alla chiesa stessa e conducenti entrambi in via Della Ruga, anello che racchiude tutto l’edificato della zona più antica del castello (un ulteriore passaggio per giungere nella suddetta via si doveva aprire, in tempi remoti, in prossimità del fianco destro del palazzo pubblico). Il primo è via della Scaletta, sul versante occidentale della chiesa, il secondo porta ancora il nome di via del Campanile e conduce al settore orientale di via della Ruga. Si tratta di due percorsi di collegamento che compiono un considerevole salto di quota verso il basso, superato a mezzo di scale che “tagliano” l’edificato. Nel sottopassaggio di via della Scaletta fa bella mostra di sé un angolo di un vecchio edificio con adiacente porta ad arco tamponata, di sicuro interesse archeologico. Scendendo ancora, le murature degli edifici sono rinforzate da listature in laterizio, che indicano una ricostruzione probabilmente avvenuta in seguito al terremoto del 1920. La pavimentazione molto dissestata, nel primo tratto composta in pietra arenaria di pezzatura Fig. 2 - Il tratto orientale di via della Ruga (via del Fondaccio) 191 Capitolo II - Il castello di Pietrabuona disomogenea, diventa più in basso in cemento, indice di un frettoloso restauro. Anche il secondo percorso che conduce in via della Ruga, che passa in prossimità del campanile della chiesa, presenta edifici con murature listate in laterizio e pavimentazioni in pietra e cemento. Da notare in entrambi i casi l’assenza di un sistema di raccolta per le acque piovane, che contribuisce a degradare le pavimentazioni disgregando le fughe delle pietre e favorendo la crescita di vegetazione infestante tra i giunti. I settori orientale ed occidentale di via della Ruga sono di fatto due percorsi panoramici, affacciandosi il primo sulla val di Torbola ed il secondo su quella di Forfora. I fronti edificati che vi prospettano mostrano invece significative differenze: a causa dalla morfologia del terreno, sul versante occidentale una fascia di case a pseudo-schiera è stata addossata a quelle preesistenti che si aprono su via del Campanile, mentre sul versante orientale il notevole salto di quota ha reso impossibile questa operazione. Qui, pertanto, vi sono solo i fronti tergali, tutti in pietra faccia a vista, degli edifici che insistono su via del Campanile, costruiti su di uno sperone roccioso, come indica l’assenza di aperture del tratto inferiore delle murature17. Alcuni crolli sono sintomatici di una scarsa Fig. 3 - Il tratto settentrionale di via del Campanile attenzione verso il patrimonio storico. A differenza del settore orientale di via della Ruga, funzionale esclusivamente al transito, quello occidentale consente di accedere alle abitazioni, che qui appaiono più curate rispetto a quelle di via del Campanile. Molte case sono state infatti recentemente ristrutturate, presentando fronti intonacati in ottimo stato di conservazione e qualità delle finiture, pur con qualche eccezione, di buon livello. 192 L’ambiente urbano NOTE * Dal contributo originario “Il rilievo delle qualità ambientali di Pietrabuona” di Duccio Troiano nel DVD allegato al volume. 1 Cfr. S. Muratori, Civiltà e territorio, Roma 1967. La logica processuale dei cicli di antropizzazione è stata successivamente al centro degli studi di Gianfranco Caniggia (cfr. G. Caniggia - G.L. Maffei, Lettura dell’edilizia di base, Venezia 1969) e Giancarlo Cataldi (cfr. G. Cataldi, Per una scienza del Territorio: studi e note, Firenze 1977). 2 Per la descrizione dettagliata dei cicli di antropizzazione, cfr. A. Merlo, Il castello di Sorana, cit., pp. 27-34. 3 La schedatura qualitativa ha mostrato un’alta incidenza di edifici abbandonati e in fase di crollo. Molte sono poi le case abitate in modo saltuario. 4 In dettaglio, le uniche strutture in qualche modo attive e di riferimento in Pietrabuona sono la chiesa ottocentesca dei Santi Matteo e Colombano e l’associazione Proloco, con sede in piazza di Castello. Sono invece del tutto assenti negozi o bar, che insistono più a valle sulla via provinciale Mammianese. 5 A tal proposito molte abitazioni di Pietrabuona, specialmente quelle interne alle antiche mura, risentono di questi problemi. 6 Nella parte alta del castello si trovano strade dissestate o prive di illuminazione, mentre le linee impiantistiche si propagano senza un preciso progetto, invadendo i fronti costruiti. 7 Questo fenomeno di svilimento delle qualità ambientali ricorre in molti altri castelli della Valleriana e della Valdinievole. Le strutture più antiche e legate ai centri di potere medievale degradano progressivamente a favore delle espansioni esterne alle cerchie fortificate: a Castelvecchio la rocca è un rudere e il vero cuore del castello è rappresentato dalla piccola piazza che sorge più in basso; stessa cosa per Sorana; il fenomeno si riscontra anche in altri castelli della Valdinievole, come Uzzano e Montecatini. 8 Cfr. par. Il database delle qualità edilizie e urbane, in questo stesso volume. 9 Per i nomi delle strade e delle piazze si faccia riferimento alla planimetria. 10 Cfr. par. La chiesa dei Santi Matteo e Colombano, in questo stesso volume. 11 Il termine edilizia di base ha qui il significato attribuitogli da Gianfranco Caniggia, cioè di edilizia con funzione abitativa. Cfr. Caniggia - Maffei, op. cit. 12 A tal proposito l’unità catastale 288 è sicuramente posteriore al 1825, anno di stesura del Catasto Leopoldino, nel quale non è riportata. 13 Questo fenomeno si presenta per le UME n. 284, n. 285 e n. 287. 14 L’illuminazione urbana appare, se confrontata con quella di Aramo o Sorana, molto curata. In questi due castelli sono infatti presenti lampioni economici, in tubo d’acciaio verniciato in grigio ed altamente ossidato. 15 L’unico elemento di disturbo è rappresentato dalla presenza di quadri elettrici a colonna situati a ridosso della chiesa. 16 Ci si riferisce all’edificio catastalmente identificato dalla particella n. 307, che presenta il tetto in avanzata fase di crollo. 17 I fronti edilizi sono su questo versante molto più alti e raggiungono punte di circa 15 metri. 193 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione Il rilevamento digitale* Con il termine “rilevamento integrato” si indica comunemente, nell’ambito delle discipline legate ai beni culturali, l’insieme delle operazioni di documentazione – in primo luogo quelle legate alla misurazione dei manufatti – attuato attraverso strumentazioni che utilizzano tecnologie diverse. Il rilevamento tradizionale, prima della sua evoluzione digitale, richiedeva una scrupolosa pianificazione delle campagne di misurazione, tesa a discretizzare preliminarmente le geometrie dei manufatti (con inevitabili semplificazioni), per poter acquisire il reale mediante procedure “elementari”, ma estese nel tempo. Le attuali tecnologie, invece, permettono di trasporre l’esistente in un modello 3D controllabile, visualizzabile e interrogabile in tempi relativamente brevi1. La trasposizione del reale in un ambiente virtuale informatizzato realizzata semi-automaticamente attraverso dei sensori tridimensionali (attivi o passivi), in quanto acritica, deve però essere intesa come operazione preliminare al rilevamento vero e proprio dei manufatti, che avviene solo successivamente alla presa dei dati. La continua evoluzione degli strumenti utilizzati per realizzare i rilievi digitali, fa sì che le informazioni raccolte debbano essere, nella maggior parte dei casi, elaborate, analizzate e rappresentate mediante mezzi e tecniche presi a prestito da altri campi disciplinari, non esistendo, ad oggi, soluzioni “ad hoc” per il rilievo e la rappresentazione del patrimonio tangibile. Caratteristiche della strumentazione utilizzata Per il rilevamento dell’ambiente urbano di Pietrabuona è stata utilizzato un laserscan Faro Photon 120 (fig. 1), un’apparecchiatura panoramica capace di misurare qualunque elemento presente nel suo intorno secondo un angolo giro sull’orizzontale e un angolo di trecentoventi gradi sulla verticale, con portata fino a ottanta metri. Questo strumento è basato su tecnologia “a variazione di fase” (phase shift technology): il laser è, infatti, continuamente acceso ed emette un segnale che, raggiunto un ostacolo, viene riflesso verso la sua sorgente (lo scanner stesso); dal confronto tra il segnale di ritorno e quello 195 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione emesso (nello specifico, la variazione tra la fase del segnale emesso e quello riflesso) viene calcola la distanza di ciascun punto2. Il valore dell’angolo orizzontale e di quello verticale permettono allo scanner di collocare immediatamente in uno spazio tridimensionale i punti raggiunti3. Il processo è estremamente rapido: il sistema impiegato consente di misurare anche un milione di punti al secondo con un’accuratezza che, a dieci metri di distanza, si aggira attorno ai due millimetri (un errore maggiore si ha all’aumentare della distanza, rimanendo però sempre entro i cinque millimetri). Dai valori impostati dall’operatore dipendono il livello di accuratezza (la precisione con cui ogni singolo punto raggiunto dal segnale del laser viene Fig. 1 - Scanner laser Faro Photon 120 misurato) e la portata dello strumento (la distanza massima che il segnale del laser può raggiungere), che sono scelti in base alla finalità del rilievo e alle caratteristiche dei manufatti. Le condizioni operative di Pietrabuona hanno fatto ritenere opportuna la scelta di una griglia di scansione (ovvero di una densità dei punti) settata in maniera costante, ma che permettesse di ottenere al tempo stesso un elevato livello di dettaglio ed un ragionevole contenimento della quantità di dati raccolti, evitando così un eccesso di misurazioni che avrebbe reso difficoltosa sia la gestione del progetto di rilievo, sia le procedure di trattamento del dato. La maggior parte dell’abitato è stato rilevato con un passo di scansione di 1/8, con valori di maggior densità nelle aree immediatamente prossime alla posizione dell’unità laserscan. Nel modello tridimensionale digitale – creato mano a mano che il segnale del laserscan entra in contatto con degli “ostacoli” (oggetti di vario genere) – le entità rappresentate sono costituite da grandi insiemi di punti (points cloud), identificati da una terna di coordinate e caratterizzati da un valore cromatico dovuto alla quantità di segnale riflesso misurato (valore di riflettanza). Ogni singola scansione ha, pertanto, una propria 196 Il rilevamento digitale autonomia: un centro ed un orientamento definito da una terna cartesiana con lo zero posto nell’unità laserscan. Questo fatto pone ovviamente il problema di come ricomporre in maniera organica tutte le scansioni tra di loro e per superarlo è necessario operare sia durante il rilevamento, che nella successiva fase di “messa a registro” dei dati. Al momento della misurazione, infatti, vengono applicati nell’area di scansione degli elementi di misura nota e di indubbia riconoscibilità, detti comunemente target (bersagli), in numero sufficiente a permettere successivamente la corretta “collimazione” delle nuvole. Nel caso di rilievi provvisti di appoggio topografico, come quello in oggetto4, per ogni scansione eseguita è stato necessario disporre sulla “scena” un numero minimo di tre target comuni Fig. 2 - Stazione totale Leica TPS di tipo no prism con quelli rilevati mediante strumentazione topografica5. La rete di punti “rada” è stata realizzata impiegando l’unità topografica Leica TPS di tipo no prism (fig. 2) in dotazione al Dipartimento di Architettura DSP di Firenze. Nonostante vi siano casi in cui è possibile realizzare un corretto rilevamento senza “allineare” le nuvole ad una rete topografica, il suo utilizzo, senza ombra di dubbio, presenta il non trascurabile vantaggio di rendere il riconoscimento dei punti omologhi rapido e sicuro, costituendo un utile riferimento anche per gli altri sistemi di rilevamento adottati. Trattamento del dato Successivamente alla campagna di rilevamento laserscan sono state avviate le procedure di “messa a registro” delle singole scansioni6. Di ciascun file originale FLS è stata prodotta una versione in formato PTX7, accettato da tutte le applicazioni che gestiscono points cloud e utile per l’archiviazione a lungo termine del dato raccolto8. I file PTX sono 197 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione Fig. 3 - Vista assonometrica del modello “a nuvola di punti” in toni di grigio del versante orientale stati importati in Leica Cyclone, dove le singole nuvole sono state allineate tra loro (fig. 3). Il dato acquisito ammonta complessivamente a circa 1.054 milioni di punti, una quantità ingente di informazioni ottenute da 117 postazioni nell’arco di due sole giornate, con una copertura elevatissima di tutti gli edifici presenti (fig. 4). PIETRABUONA Parametri di acquisizione Strumento impiegato: Risoluzione: Qualitá: Distanza media tra strumento ed oggetto: Numero di scansioni: Tempo impiegato: Riprese fotografiche: Modello a nuvola di punti Numero di punti totale: accuratezza complessiva del modello messo a registro: Dimensione del file .imp: 198 Scanner laser Faro Photon 120 1/8 4x 10 m 117 14 h no 1054x106 pt 5 mm 20384 Mbyte Come è naturale nelle procedure di scansione laser, il valore di riflettanza di ogni punto rilevato ha attribuito una parvenza “da fotografia in bianco e nero” al modello costituito dalla nuvola di punti. Il rilevamento digitale Fig. 4 - Disposizione delle stazioni della rete topografica e delle unità laserscan all’interno dell’abitato 199 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione Per una più agile gestione dei file al momento della redazione delle sezioni ambientali, il modello è stato diviso in più parti, corrispondenti alle porzioni di abitato oggetto della specifica vista ortografica. La prima finalità del progetto è stata quella di redigere degli elaborati tradizionali (piante, prospetti e sezioni) in grado di definire esattamente la geometria dei manufatti e la loro posizione reciproca nello spazio, consentendo così una lettura geometricamente e dimensionalmente corretta dell’ambiente urbano. Secondariamente, è stato realizzato un modello mesh high poly, interrogabile e misurabile in tempo reale, degli edifici prospettanti su via del Campanile. NOTE * Dal contributo originario “Il rilevamento digitale” di Alessandro Merlo e Giorgio Verdiani nel DVD allegato al volume. 1 Il rilevamento di un manufatto, a qualunque scala esso appartenga, e la restituzione (digitale o cartacea) delle sue caratteristiche geometrico-dimensionali, morfologiche e materiche, secondo parametri codificati e condivisi, costituiscono di fatto la conditio sine qua non per comprendere l’oggetto stesso alla luce delle conoscenze acquisite in uno specifico momento storico. 2 Il segnale del laserscan Faro, operando nel campo dell’infrarosso, è invisibile anche in condizioni di scarsa luminosità. 3 Per un maggior approfondimento sulle tecnologie di scansione laser per l’architettura, cfr. G. Guidi - M. Russo - J.A. Beraldin, Acquisizione 3D e modellazione poligonale, Milano 2009; Il ritorno all’immagine, nuove procedure image based per il Cultural Heritage”, a cura di G. Verdiani, Lulu.com 2011. 4 Le singole scansioni eseguite sono state ricomposte tra loro utilizzando i target apposti sui manufatti, rilevati sia dall’unità laserscan che dalla stazione topografica. 5 Il numero indicato di tre target è da intendersi, ovviamente, come valore minimo per ottenere l’allineamento di due elementi tridimensionali; un numero maggiore di mire è comunque auspicabile, in modo da evitare che la presenza di un errore, anche minimo, delle coordinate di questi importanti punti di riferimento, porti ad un’errata rototraslazione di una parte del modello. 6 Le operazioni di filtraggio dei dati e successiva esportazione delle nuvole di punti in formato PTX sono state eseguite con il software Faro Scene LT. 7 Il formato PTX è un formato testuale che esprime ogni singolo punto di una nuvola secondo una terna di coordinate XYZ. Per ognuno di questi punti viene salvato anche un valore cromatico, espresso anch’esso con dati numerici secondo la codifica della sintesi additiva RGB (Red, Green, Blu). Oltre a queste informazioni, nella parte iniziale del file PTX vi è una matrice di rototraslazione; il file è espresso in forma testuale e quindi facilmente importabile da una qualunque applicazione. 8 Si ritiene che il salvataggio del patrimonio di informazioni raccolte, per aver maggior possibilità di essere trasmesso nel tempo, debba essere archiviato non solo nei formati “proprietari” dei singoli programmi utilizzati – che presentano forti rischi di obsolescenza – ma anche in formati “di scambio” a “bassa complessità”, in modo da poter aver accesso al dato anche dopo tempi molto lunghi (oltre i vent’anni dall’archiviazione) anche nel caso di mancato aggiornamento della versione dell’archivio originale. 200 Il database delle qualità edilizie e urbane* Il rilievo delle odierne qualità ambientali di Pietrabuona è stato condotto analizzando il castello nelle sue componenti edilizie ed urbane, ed identificando unità minime di schedatura omogenee (UME unità minime edilizie, UMU unità minime urbane)1. Sono stati rilevati, mediante schedatura, i caratteri relativi ai fronti edilizi (tipologia delle aperture e delle murature, degli infissi e dei sistemi di oscuramento, degli intonaci, etc) ed ai percorsi (materiali delle pavimentazioni, arredo, illuminazione e verde urbano, qualità paesaggistiche)2. Le schedature sono state successivamente tradotte in due database realizzati con Microsoft Access, le cui strutture gerarchiche sono riportate in figg. 1 e 23. Per ogni elemento è stato rilevato anche il degrado, indicando i principali fenomeni che ne sono alla Fig. 1 - Database delle Unità Minime Edilizie (U.M.E): schema relazionale delle tabelle 201 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione Fig. 2 - Database delle Unità Minime Urbane (U.M.U): schema relazionale delle tabelle base4. I dati così ottenuti, filtrati e organizzati in categorie omogenee, hanno reso possibile quantificare ed evidenziare i temi caratterizzanti e ricorrenti dell’ambiente costruito di Pietrabuona, come ad esempio la tipologia delle murature o la dimensione e forma delle aperture. Parallelamente sono state evidenziate anche le qualità eccezionali dell’ambiente costruito, sia in senso positivo (ad esempio edifici con un livello consono di manutenzione o luoghi urbani dotati di particolare pregio) che negativo (cattiva qualità degli edifici, situazioni di degrado delle pavimentazioni urbane, etc.). I dati della schedature sono stati tradotti graficamente in planimetrie tematiche attraverso l’uso di AutoCad Map 3d. Il software consente infatti, interrogando il database Access, di ottenere degli elaborati grafici nei quali la risposta alla query impostata viene data sotto forma di campiture di diverso colore su di una base cartografica predefinita5. Nella schedatura delle qualità ambientali di Pietrabuona, diversamente da quanto avvenuto per Sorana e Aramo, sono state inserite anche una serie di valutazioni sintetiche in forma discorsiva. Queste riguardano vari aspetti, tra i quali lo stato generale di conservazione degli edifici, la presenza di materiali incongrui rispetto a quelli codificati dalla tradizione e l’esistenza di superfetazioni. Nel loro complesso queste valutazioni hanno arricchito la qualità dei dati archiviati, affiancando al metodo della risposta chiusa quello della valutazione espressiva mediata dall’esperienza dei rilevatori. Sono stati inseriti, infine, dei campi relativi allo stato di occupazione degli immobili (abitati in modo stabile, utilizzati come casa per vacanze o disabitati), compilati interrogando gli abitanti del castello. 202 Il database delle qualità edilizie e urbane NOTE * Dal contributo originario “Il rilievo delle qualità ambientali di Pietrabuona” di Duccio Troiano nel DVD allegato al volume. 1 Cfr. Merlo, Il castello di Sorana, cit., pp. 186-193. 2 Più in particolare, si è suddiviso l’ambiente costruito in UME (unità minime edilizie) coincidenti con le particelle catastali ed UMU (unità minime urbane, coincidenti con percorsi e piazze). Le unità minime edilizie, le più complesse da un punto di vista di analisi, sono state divise in fronti di indagine, coincidenti con le facciate dell’edificio in esame. 3 Per una descrizione dettagliata dell’impianto organizzativo del database, accompagnato da una descrizione tecnica del sistema di relazioni che lo regolano, si confronti Merlo, Il castello di Sorana, cit., pp. 211-213. 4 Il rilievo è stato organizzato mediante il riconoscimento della patologia di degrado dell’elemento in analisi, accompagnato da una valutazione sul grado di diffusione (alto, medio, basso) sull’elemento stesso. 5 Questo si realizza tecnicamente associando ad entità grafiche bidimensionali (polilinee chiuse o testo) elementi chiave identificative di tabelle o query redatte in access o direttamente in autocad map 3d. 203 La rappresentazione del castello* Il rilievo del castello di Pietrabuona ha offerto la possibilità di testare su una porzione significativa del nucleo insediativo (fig. 1) l’efficacia di alcune procedure di modellazione (a partire dai dati ottenuti da scansioni laser) e di mappatura dei modelli digitali, finalizzati ad essere gestiti interattivamente. La ricerca rientra nell’ambito dei cosiddetti Sistemi Informativi Urbani 3D1, uno strumento attualmente assente dal mercato, almeno nei modi descritti in questo paragrafo, ma sempre più necessario per chi si occupa di cultural heritage, in particolare per coloro a cui è demandata la pianificazione delle politiche di sviluppo e conservazione della città e del territorio2. Agli esperti di rilevamento e rappresentazione è affidato il compito di controllare e “certificare” le procedure che consentono la conversione del dato grezzo (nuvola di punti) in un modello ottimizzato, che sia nel contempo funzionale all’esplorazione interattiva, in grado di consentire operazioni di misurazione in ambiente virtuale e capace, infine, di rappresentare dei temi desunti dall’analisi dell’ambiente urbano3. 204 Fig. 1 - Porzione del modello a nuvola di punti di Pietrabuona La rappresentazione del castello I problemi insiti in questa operazione sono essenzialmente di due ordini: da un lato vi è un rilievo esteso ed estremamente dettagliato contenente una serie di informazioni (tra le quali quelle geometrico-dimensionali) che è necessario preservare, dall’altro c’è la necessità di ottimizzare il rilievo stesso in modo da fornire una descrizione percettivamente adeguata dell’intero insediamento. Le soluzioni passano inderogabilmente attraverso la comprensione delle potenzialità e dei limiti insiti nei metodi di conversione dei modelli discreti (formati da punti ottenuti mediante campionamento) in modelli continui costituiti da superfici (poligonali oppure patch NURBS) 4. Tecniche di computergrafica per la restituzione da scanner laser La metodologia di seguito illustrata è basata sull’uso estensivo di tecniche denominate render to texture o più comunemente baking (cottura), seguendo il gergo tipico dei programmi di modellazione per l’entertainment. Il baking è una procedura che offre l’opportunità di ottimizzare i modelli calcolando solo una volta un determinato aspetto particolarmente oneroso per il computer, sia che si tratti della simulazione del rapporto luce-materia (ambient occlusion o global illumination), sia che si tratti di simulare l’ombreggiatura di un elevato numero di poligoni, convertendolo in una bitmap, che verrà successivamente applicata al modello5. Modelli “a superfici” high-poly, infatti, non si sposano con l’interattività; ma abbassare il dettaglio geometrico, anche attraverso algoritmi di decimazione evoluti, comporta spesso il rischio di perdere una serie di dati importanti dal punto di vista della conservazione e della descrizione morfologica dei manufatti. Per tale motivo, il settore della grafica digitale ha sviluppato delle tecniche finalizzate al “ricalco” di modelli complessi (retopology)6, utilizzando le procedure di baking per trasferire “informazioni” geometriche da un modello high-poly ad uno low-poly. Attraverso l’uso del baking è pertanto possibile ottenere una serie di immagini (mappe, fig. 2) che influenzano l’apparenza del modello geometrico low-poly sotto il profilo: – dell’ombreggiatura (mappe di normali applicate a modelli mesh a basso dettaglio), – dei contorni apparenti (mappe di scostamento in formato OpenEXR applicate a superfici di suddivisione), – del colore (camera resectioning per la mappatura del colore apparente su mesh e superfici di suddivisione). Nel primo caso il dettaglio è reintegrato in modo illusorio, dato che le mappe di normali influenzano unicamente l’ombreggiatura (shading) dei modelli, ma non apportano alcun miglioramento alla forma geometrica vera e propria, che di fatto rimane fortemen- 205 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione Fig. 2 - Le tre tecniche di Image Based Geometric Processing che permettono in modo diverso di migliorare la percezione di modelli semplificati grazie all’impiego di texture te semplificata7. Le mappe di scostamento applicate a modelli a superfici di suddivisione8 ristabiliscono realmente la forma geometrica di partenza (cioè quella del modello high-poly), tuttavia, pur presentando numerosi pregi, richiedono un processo di modellazione più attento, nonché un maggior impegno per scheda grafica e processore. Con il termine camera resectioning si intende una particolare operazione, tipica del settore del rilevamento fotogrammetrico, che consiste nel trovare il vettore che descrive posizione, rotazione e distanza focale di una fotocamera rispetto all’oggetto fotografato. L’individuazione di questi parametri consente di proiettare su di un modello (mesh semplificata, o displaced subdivision surface) una fotografia e quindi di mappare quest’ultimo con una texture del colore apparente che, congiuntamente a mappe di normali o di scostamento, permette di arricchire la visualizzazione di un oggetto, avvicinandone la percezione a quella che si avrebbe nel mondo reale. Su queste strategie si fonda il cosiddetto Image Based Geometric Processing9 (IBGP) che ha come obiettivo quello di ottimizzare i modelli “da nuvola di punti” al fine di renderli gestibili in svariate applicazioni sia dedicate al rendering, che alla produzione di applicazioni real-time. 206 La rappresentazione del castello Operazioni di modellazione e texturing del castello di Pietrabuona Per realizzare il modello di una porzione dell’abitato di Pietrabuona è stato necessario preliminarmente pianificare la scomposizione del modello “a nuvola di punti”, di per sé indifferenziato e privo di una gerarchia fra le parti, al fine di esportare (in formato .PTS) piccole porzioni, corrispondenti alle unità catastali, della nuvola completa da Leica Cyclone verso Inus Technology Rapidform XOR (fig. 3)10. Ogni mesh ad alta risoluzione è stata corretta dagli eventuali errori topologici che in larga misura sono stati eliminati grazie a comandi di remeshing automatico (fig. 4). Tali comandi hanno permesso di ottenere una maglia di triangoli isotropa nella quale la misura media dei bordi dei triangoli del modello sottoposto a remeshing corrisponde al passo medio del campionamento. Nel caso delle facciate delle singole unità catastali si è optato per una dimensione media dei bordi compresa fra i 5 e gli 8 mm in modo da poter effettuare valutazioni sulla stratigrafia muraria, così come sulle possibili alterazioni causate da patologie a livello superficiale. Fig. 3 - Data l’estrema pesantezza della mole di dati acquisita con la campagna di rilevamento scanner laser si è deciso si suddividere il modello a nuvola di punti in varie “fence” che, esportate separatamente, permettono un maggiore controllo della fase di costruzione delle mesh ad alta risoluzione 207 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione Fig. 4 - Per correggere eventuali errori topologici si ricorre a comandi di remeshing; tali strumenti vanno impiegati con attenzione in modo da evitare di cancellare informazioni utili per le successive fasi di modellazione e texturing 208 Una volta ottenuto il modello ad alta risoluzione della singola facciata si è passati ad una fase di valutazione del dettaglio da conferire alla restituzione attraverso il modello semplificato; in altre parole si è trattato di stabilire una soglia dimensionale minima del bordo da costruire attraverso gli strumenti di adding modeling. La valutazione del “bordo più piccolo” è stata eseguita attraverso lo strumento mesh deviation presente in Rapidform, che consente di misurare le distanze che intercorrono fra due mesh e di individuare la misura dello scostamento massimo in valore assoluto11 (fig. 5). Vista la regolarità geometrica della maggioranza delle facciate degli edifici presi in esame è stato deciso di eseguire la valutazione dello Fig. 5 - (a) static mesh importata nell’applicativo per la retopology; (b) sovrapposizione fra un piano verticale e la facciata; (c) valutazione della distanza che intercorre fra il piano e la mesh per comprendere il dettaglio geometrico da conferire al modello semplificato La rappresentazione del castello scostamento fra un piano verticale appartenente all’apparecchio murario e la maglia ad alta densità; il massimo scarto è risultato di ±15 cm, mentre la maggioranza della muratura era separata dal piano medio di ±2,5 cm. Ottenuti questi risultati è stato facile intervenire sulla pianificazione dei successivi passaggi di modellazione e texturing: il bordo minimo da realizzare attraverso retopology12 doveva essere nell’ordine di grandezza dei 10-15 cm, mentre il dettaglio geometrico della superficie muraria è stato demandato alle mappe di normali che hanno fornito alla mesh semplificata un’apparenza pressoché identica rispetto al modello high-poly13 (figg. 6-7-8). Terminato il modello a dominante quadrata (quad dominant), cioè costituito prevalentemente da poligoni a quattro lati, è stato possibile valutarne lo scostamento rispetto al modello denso attraverso gli strumenti di mesh deviation. Tale fase ha fornito anche il valore dello scostamento massimo che è era necessario conoscere per la successiva fase di baking (fig. 9). Conclusa pertanto la modellazione, con la quale si è giunti ad una boundary representation (una rappresentazione costituita da una maglia chiusa priva di errori topologici), si è passati alla mappatura del modello nel sistema di riferimento (u,v). In particolare, per lo specifico fine della presente ricerca, che prevede di convogliare modelli 3D e analisi di vario tipo all’interno di un game engine, il ruolo del sistema (u,v) è particolarmente importante, dato che è servito per l’applicazione di texture che non riguardano unicamente la simulazione realistica dei manufatti, ma anche i tematismi relativi alle singole unità catastali (fig. 10). A questo punto si è passati al baking, che ha generato una mappa di normali in gra- Fig. 6 - (a) immagine di rendering del modello ad alto dettaglio; (b) immagine di rendering della mesh semplificata attraverso decimazione; (c) immagine di rendering del modello ottenuto con retopology e normal map applicata: il risultato è indistinguibile dal modello di partenza 209 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione Fig. 7 - Passaggi della retopology: (a) maglia strutturata ottenuta tramite tecniche di box modeling; (b) proiezione della mesh strutturata sulla maglia ad alto dettaglio; (c) aggiunta di dettagli tramite comandi di estrusione di tipo bevel (molatura) per eseguire le bucature; (d) eliminazione delle parti da eseguire tramite altri comandi di retopology Fig. 8 - Passaggi della retopology: (a) costruzione di fasce di poligoni quadrangolari (quad); (b) unione tramite comando bridge (ponte); (c) e (d) selezione dei bordi e bridge fra le varie parti del modello a basso dettaglio La rappresentazione del castello Fig. 9 - (a) il modello di partenza; (b) il modello ottenuto per retopology; (c) valutazione della deviazione fra i due modelli: il valore della massima misura di scostamento deve rientrare nel range stabilito a priori dall’operatore e verrà impiegato come distanza di baking Fig. 10 - (a) la mappatura in (u,v) del modello semplificato; (b) la texture del colore apparente mappata attraverso operazioni di camera resectioning e baking; (c) la mappa di normali; (d) esempio di lettura stratigrafica mappata sulla base dello stesso sistema di proiezione delle texture 211 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione do di trasferire il dettaglio del modello high-poly di partenza alla sua versione semplificata costituita da poche migliaia di poligoni. Per eseguire il baking è stato necessario generare una texture vuota (blank) che il programma Luxology Modo ha calcolato sulla base del riferimento (u,v) e che è stato impostato con una risoluzione in pixel adeguata a ripristinare il dettaglio geometrico eliminato. Prima di avviare il calcolo, il programma ha chiesto la distanza massima che intercorre fra il modello a basso dettaglio e quello ad alto, ed è stato inserito il valore massimo di scostamento individuato attraverso il comando mesh deviation. La texture del colore apparente è stata applicata nel medesimo riferimento (u,v) della mappa di normali, ma per farlo è stato necessario eseguire il camera resectioning per ciascun fotogramma che è stato scattato al fine di mappare il modello digitale 3D. Sono stati pertanto individuati i punti omologhi fra la maglia ad alta risoluzione ed i fotogrammi, marcando in contemporanea tali punti sul modello high-poly nel programma Inus Technology Rapidform (add reference point) e sulla bitmap corrispondente. I punti omologhi sono stati poi esportati in formato .DXF verso EOS Systems Photomodeler che ha permesso di calcolare il vettore che descrive l’orientamento interno ed esterno della fotocamera. Grazie al formato di interscambio .FBX sono state esportate le fotocamere verso Luxology Modo al fine di utilizzarle quali proiettori per le singole immagini (corrette cromaticamente e geometricamente da distorsioni radiali e tangenziali)14. Una volta proiettate sul modello sono state trasformate nel sistema di riferimento (u,v) grazie ad un baking che in questo caso riguarda un unico modello (bake to render outputs) e che segue procedure leggermente diverse rispetto al calcolo delle normali. Conclusioni e sviluppi futuri 212 Il modello ottimizzato di Pietrabuona è stato ottenuto attraverso procedure standardizzate che permettono di “certificare” l’affidabilità metrica dei modelli semplificati e di utilizzarli, grazie alla compressione ottenuta mediante l’uso delle mappe di normali, all’interno di applicazioni real-time. I vantaggi che un ente, pubblico o privato, impegnato nel controllo, nella tutela e nella promozione del patrimonio culturale può trarre da simili strumenti interattivi sono innumerevoli e riguardano essenzialmente la possibilità di compiere operazioni di rilevamento (inteso sia in senso geometrico-dimensionale che qualitativo) di interi comparti edilizi e di visualizzare direttamente sul modello 3D le informazioni contenute all’interno di una banca dati; operazioni rese oggi possibili grazie alla flessibilità dei game engine, come ad esempio Unity 3D. L’esperienza realizzata su Pietrabuona apre, pertanto, nuovi ambiti di ricerca nei quali La rappresentazione del castello delle equipe interdisciplinari formate da esperti nel settore dell’Information Technology e da architetti rilevatori potranno operare assieme al fine di individuare delle soluzioni atte a rendere fruibili ad un pubblico non esperto i modelli 3D e le banche dati desunte dalle campagne di rilevamento urbano e ambientale. NOTE * Dal contributo originario “La rappresentazione del castello” di Alessandro Merlo e Filippo Fantini nel DVD allegato al volume. 1 Cfr. Merlo - Troiano - Zucconi, Nuove metodologie GIS, cit., pp. 18-23; Merlo, Sistemi e mezzi informatici per il rilievo, cit., pp. 404-409. 2 Si fa riferimento alla necessità, a più riprese evidenziata dall’UNESCO a partire dalla Sessione di Cairns del 2000, di eseguire un piano di gestione (management plan) per armonizzare tutti gli aspetti tecnici, giuridici, economici, turistici di un sito di interesse culturale che pretenda di entrare a far parte della World Heritage List. Si veda a tal proposito il lavoro svolto negli ultimi anni dal MiBAC in I siti italiani nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO: esperienze e potenzialitá, a cura di P. Micoli M.R. Palombi, Atti della prima conferenza nazionale (9-10 Maggio 2003), Noto 2004. 3 Si veda l’esito del progetto PRIN 2007 coordinato dal Prof. Mario Docci pubblicato in Metodologie Integrate per il rilievo, il disegno, la modellazione dell’architettura e della città, a cura di E. Chiavoni - M. Filippa, Roma 2011. In particolare si segnalano i seguenti contributi: M. Gaiani, Metodi di fruizione di modelli 3D digitali dalla scala dell’oggetto a quella della città con dispositivi a differente livello di iconicità e facilità di interazione, pp. 127-128; Merlo, Dal modello della città ai Sistemi Informativi Urbani, cit., pp. 114-117. 4 Ippolito e Borgogni (cfr. A. Ippolito - F. Borgogni, I modelli 3D nei rilievi di architettura, in Metodologie Integrate per il rilievo, il disegno, la modellazione dell’architettura e della città, a cura di E. Chiavoni - M. Filippa, Roma 2011, pp. 71-77) hanno proposto recentemente di distinguere nettamente fra “modelli 3D figurativi” e “modelli 3D a scopo scientifico” nell’ambito del rilievo dell’architettura, sottolineando il fatto che nel primo caso il modello può basarsi su qualsiasi tipo di rilevamento (anche diretto), mentre nel secondo è necessario avvalersi di sensori attivi in grado realizzare dei rilievi estremamente accurati per ottenere modelli mesh che descrivano in modo affidabile la forma del manufatto analizzato. In un caso prevale l’aspetto percettivo (grazie all’uso di texture del colore diffuso ottenute da fotografie), nell’altro invece domina la necessità di descrivere accuratamente la forma e di rispettare i dati dimensionali, relegando in secondo piano, ad esempio, l’aspetto cromatico (il rapporto luce-materia). Benedetti, Gaiani e Remondino (cfr. Modelli digitali 3D in archeologia: il caso di Pompei, a cura di B. Benedetti - M. Gaiani - F. Remondino, Pisa 2010, pp. 236-250) nell’illustrare i problemi di restituzione dei rilevamenti laserscan e fotogrammetrici in ambito archeologico centrano l’attenzione sul problema del livello di dettaglio della restituzione, stabilendo con chiarezza i limiti dimensionali entro i quali affidare alle texture il compito della rappresentazione (con bump, normal map, etc.) e la soglia oltre la quale è necessario ricorrere alla modellazione geometrica vera propria (poligoni o patch NURBS). 5 Queste tecniche hanno preso sempre maggiore importanza nell’ambito dei programmi per l’entertainment perché servono per ottimizzare i personaggi e le scenografie dei videogiochi; tali strumenti sono via via andati maturando anche con il diffondersi delle tecniche di mesh sculpting e di image based sculpting che appartengono al settore della modellazione organica (cfr. programmi come 213 Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione 214 Autodesk Mudbox, o Pixologic Zbrush). 6 Gli strumenti di retopology sono una sorta di caso particolare di adding modeling che permette di ricoprire la mesh ad alto dettaglio formata da triangoli con una maglia di poligoni rettangolari i cui vertici devono presentare tendenzialmente valenza pari a 4 (che significa avere vertici in cui convergono 4 bordi). 7 Sul tema delle mappe di normali si veda: J. Cohen - M. Olano - D. Manocha, Appearance preserving simplification, in SIGGRAPH Conference Proceedings, Annual Conference Series, 1998, pp. 115122. Sull’impiego delle mappe di normali nell’ambito della restituzione di rilievi laser scanner si veda: M. Pucci, Parametrizzazione: le mappe UV, in Verdiani, Il ritorno all’immagine, cit., pp. 73-78; M. Pucci, Il rendering, in Verdiani, Il ritorno all’immagine, cit., pp. 79-84. 8 Pur essendo state implementate con nomi diversi all’interno dei vari applicativi, displaced subdivision surface è il nome che Lee, Moreton ed Hoppe dettero a questa forma di rappresentazione che consente un’altissima compressione dei dati geometrici. Per un approfondimento si rimanda al testo originale: A. Lee - H. Moreton - H. Hoppe, Displaced Subdivision Surfaces, in SIGGRAPH 2000 Conference Proceedings, Annual Conference Series, 2000, pp. 85-94. 9 Come opportunamente definito da Gabriele Guidi in Monumenti poligonali o poligoni monumentali, in Verdiani, Il ritorno all’immagine, cit., p. 7. 10 Avendo suddiviso l’intero modello in file più piccoli è facile generare modelli ad elevata risoluzione, che nel caso specifico si aggirano per ogni unità catastale nell’ordine di grandezza dei 3-4 milioni di poligoni. 11 Per facilitare all’utente la comprensione del risultato di questa misurazione mesh-mesh il programma visualizza una mappa cromatica che evidenzia attraverso varie tonalità i punti di massimo e minimo scostamento. 12 Gli strumenti di retopology che permettono di rivestire la superficie ad alto dettaglio sono numerosi e dipendono dall’applicazione impiegata; nel caso preso in esame si è adottato Luxology Modo 601 che consente di introdurre come static mesh un maglia non modificabile da utilizzare come riferimento per la modellazione. Con tale soluzione è possibile introdurre nel programma una mesh anche molto pesante senza che si generino instabilità e rallentamenti nell’applicazione. Come del resto avviene anche in altri applicativi, come ad esempio Pilgway 3D Coat, in Modo 601 è presente una sezione (Topo) dedicata alla retopology che, oltre a rendere disponibili appositi strumenti di modellazione, fornisce anche una visualizzazione che facilita l’utente nel compito di ricalco delle superfici primarie. 13 Sul tema del dettaglio geometrico massimo che una mappa di normali può integrare su di un modello semplificato si veda: B. Adembri - S. Di Tondo - F. Fantini, Tools for archiving and managing cultural heritage. The finds from Hadrian’s Villa in the territory of Tivoli: The case study of the friezes from the Teatro Marittimo, in Museen der Stadt Wien – Stadtarchäologie, Proceeding of the Workshop 14 – Cultural Heritage and New Technologies, Vienna 2009, pp. 136-141. 14 Si veda sul tema della mappatura del colore apparente: F. Fantini - P. Rodriguez Navarro - S. Di Tondo, Il problema della mappatura del colore nei modelli digitali 3D a displaced subdivision surface da rilevamento laser scanner in ambito archeologico, in Colore e colorimetria, contributi multidisciplinari, a cura di M. Rossi - A. Siniscalco, vol VIII/a, Milano 2012, pp. 31-38. Sull’integrazione di dati provenienti da scansione laser con fotogrammetria si veda: B. Adembri - F. Juan Vidal - I. Martínez-Espejo Zaragoza, Hunting friezes of the Piazza d’Oro at Hadrian’s Villa: new hypothesis for a virtual reconstruction inside an integrated research strategy, in Museen der Stadt Wien – Stadtarchäologie, Proceeding of the Workshop 16 – Cultural Heritage and New Technologies, in corso di pubblicazione. Appendice Indice della toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona di Rodolfo Vanni (presente nel DVD allegato) 1.Annita, al Ponte dell’2.Angiolecche, cantina di3.Angiolecche, casa di4.Aramo, in fondo alla strada d’5.Arco della dogana 6.Arco, in fondo all’7.Asino, rio dell’8. Ballondo, alla casetta di9. Ballondo, da10. Bembere, dal11. Beppe, al ponticello di12. Bonci, alla Pettorina Case13. Cabina, alla14. Callone, al15. Campanile, sotto il16. Campanile, via del17. Campone, nel18. Cancellino, alla curva del19. Canina, via20. Canto, dietro il21. Carde, boschi delle22. Carde, nelle23. Carrara, ponte del24. Cartiera del Magnanini, alla25. Casa di Bonaventura Poschi 26. Casa del Corpata 27. Casa Franchi 28. Casa di Gungu, alla29. Casa di Sofia 30. Case Poschi 31. Case di San Rocco, alle32. Casine, alle33. Cavone, al34. Cavone, alla curva del35. Ceppatello, rio di36. Cerreto, ponte del37. Cerreta, rio di38. Cerreto, rio del39. Chiesa, sotto la40. Chiesa vecchia, alla41. Chiesa vecchia, piazzetta della42. Cice, da43. Cice, al ponticello di44. Cimitero 45. Cimitero, dietro il46. Cipresseta del Magnani, alla47. Cipresseta del Tondo, alla48. Circolo, al49. Colletti, al metato dei50. Colletto di San Giovanni 51. Colletto, alla casa del52. Colletto, il podere del53. Colletto, nel fondo del54. Croce, alla- 215 Appendice 216 55. Croce, prato della56. Crocetta della Magia, alla57. Crocetta del prete, alla58. Deserto, alla sorgente del59. Dottore, alla curva del60. Due vie, alle61. Erta, case in cima all’62. Erta, case di mezzo all’63. Erta, a mezzo all’64. Erta, in fondo all’65. Fabbri, dai66. Fabbrichetta, al ponte della67. Fabbrichetta, alla68. Ferriera, cartiera della69. Finestracce, sotto le70. Fiorentina, alla porta71. Fondaccio, strada del72. Fontana, strada della73. Fontana della piazza, alla74. Fontanelle, alle75. Fontanelle, curva delle76. Fontanelle, in fondo alla via delle77. Fontanina della salita di San Lorenzo, alla78. Frantoio delle Carte, al79. Furbino, alla crocetta di80. Gemolano, cartiera di81. Gemolano, nei boschi di82. Gemolano, ponte di83. Gennaio nel poggio, alla casa di84. Goretta, nel rio alla85. Goretta, case della86. Grillo, alla casa del87. Guazzino, da88. Inferno, bosco dell’89. Inferno, cartiera dell’90. Lecca, il podere della91. Limonaia della Villa, alla92. Macine, salita delle- 93. Madonnina dell’Erta, alla94. Madonnina, via della95. Magia, sulla96. Mata, a97. Mattonata, la98. Medicina, strada di99. Medicina, strada per o del Santo Vecchio 100. Metatino, al101. Metatino, al ponte del102. Molino delle Carte, al103. Molino, alla curva del104. Molino, alle cave del105. Molino, gora del106. Monello, forra107. Montagna, porta della108. Monumento, al109. Nonna, nel fondo110. Orsi, al ponticello dell’111. Ortola, via dell’112. Paese, in fondo al113. Palancole, ponte a114. Pantano, strada del115. Parco della Rimembranza, al116. Pettorina, boschi della117. Pettorina, cartiera della118. Piagge, nelle119. Piagge, sotto le120. Pianizzori, al ponte sul rio di121. Piante Vignole, le122. Piazza 123. Piazza, in fondo alla124. Piazzetta in cima alla salita 125. Pittore, al126. Poggio, via del127. Ponte della Croce, al128. Porta, sulla129. Porta vecchia, via della130. Poschi, orto del prete- Indice della toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona 131. Pratino, nel132. Prete, casa del- (canonica) 133. Prete, podere del134. Quercia della Carte, alla135. Rimigliari, al136. Rimigliari, cartiera del137. Rimigliari, ponte del138. Rimigliari, rio di139. Rio, alla case nel140. Rocca 141. Ruga, sulla142. Salita della Porta, o del Castello 143. Salvareggi, rio di144. Salvareggi, in145. San Giovanni alla piazza, Strada comunale da146. San Giovanni, al ponte di147. San Rocco, case di148. San Rocco, al ponte di149. San Rocco, rio di150. Santa Caterina, alla fabbrichina di151. Santa Caterina, cartiera di152. Santa Caterina, case di153. Santa Caterina, ponte di154. Santo Vecchio, in cima al155. Santo Vecchio, podere del156. Santo Vecchio, sul157. Santo Vecchio, via del- 158. Scalette, in cima alle159. Scogliera, lungo la160. Scorcione, in cima allo161. Scuole, alle162. Sfracassino, forra dello163. Spareti, Poggio di164. Spareti, rio di165. Steccaia, sopra la166. Stroscia, al molino della167.Teatro, al168.Termine, podere del169.Terre rosse, alle- (loc.Tere) 170.Terrasanta, in171.Tondo, al172.Tondo, alla fontanina del173.Torbola, alla fontanina di174.Torbola, alle case di175.Torbola, nei campi della176.Trasserro, casa del177. Uccelliera del Santo Vecchio, all’178. Uccelliera della Magia, all’179.Valleriana, Strada della180.Vignacce, nelle181.Villa Galeotti 182.Villa vecchia, alla183.Villa, prato della184.Villa, sulla- 217 Indice delle schede iconologiche di Cinzia Jelencovich (presenti nel DVD allegato) 218 1. Rosetta a sei petali, Via della Ruga (c. 310) 2. Giglio, Via della Ruga (c. 310) 3. Giglio bottonato, Piazza di Castello (Fonte pubblica) 4. Arma familiare, Via della Ruga (c. 312) 5. Arma familiare, Via della Ruga (c. 320) 6. Protome antropomorfa, Piazza di Castello (c. 275) 7. Epigrafe Oratorio San Michele, Via delle Scalette (c. B) 8. Iscrizione datazione Palazzo del Capitano, Via del Campanile (c. 306) 9. Iscrizione datazione Trigramma cristologico, Via delle Scalette (c. 333) 10. Iscrizione datazione cella campanaria, Via del Campanile (c. B) 11. Iscrizione datazione, Via per Medicina 12. Iscrizione datazione, Via San Rocco (c. 280) 13. Epigrafe datazione, Piazza di Castello (c. 288) 14. Epigrafe datazione, Via di San Rocco (c. 290) 15. Scudo arma, Piazza di Castello (c. 285) 16. Croce patente, Via delle Scalette (c. B) 17. Iscrizione datazione archivolto, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 18. Battesimo di Cristo, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 19. Croce gigliata, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 20. Lapide commemorativa, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 21. Lapide commemorativa, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 22. Lapide commemorativa, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 23. Lapide, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 24. Lapide commemorativa, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 25. Protome antropomorfa cavalletti, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 26. Protome leonina, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 27. Croce gigliata consacrazione, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 28. Colomba, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 29. Decorazioni pittoriche floreali, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 30. Decorazioni pittoriche floreali, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 31. Apparato decorativo Tabernacolo, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 32. Apparato decorativo Tabernacolo, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 33. Iscrizione cartacea, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 34. Iscrizione cartacea, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B) 35. San Matteo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 36. San Colombano, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) Indice delle schede iconologiche 37. Protome antropomorfa, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 38. Catino lavabo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 39. Angelo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 40. Angelo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 41. Arcangelo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 42. Croce patente, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 43. Croce, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 44. Trigramma Cristologico, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 45. Trigramma Cristologico e Digramma Mariano, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 46. Cherubini, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 47. Cherubino, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 48. Iscrizione commemorativa, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 49. Stella a sei punte, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 50. Arca con Croce Arcivescovile, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 51. Zampa Leonina, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 52. Ecce Agnus Dei, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 53. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 54. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 55. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 56. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 57. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 58. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 59. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 60. Battesimo di Cristo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 61. Epigrafe Battesimo di Cristo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 62. Gesù Bambino con Strumenti della Passione, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 63. Sacra Famiglia, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 64. Lapide Commemorativa, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 65. Lapide Commemorativa Consacrazione Chiesa, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 66. Lapide Commemorativa don Pagni, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 67. Colomba, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 68. Madonna in Trono con Bambino, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 69. Sant’Antonio, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 70. Santa Caterina, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 71. Santa Rosa, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 72. Angelo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 73. Angelo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 74. Colomba, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 75. Raffigurazione Rocca Pietrabuona, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 76. Battesimo di Cristo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 77. San Michele, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 78. Trono Eucaristico, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 219 Appendice 220 79. Madonna con Bambino, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 80. Santa Rosa, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 81. San Matteo Evangelista, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 82. Madonna con Bambino Benedicente, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 83. Cristo Benedicente, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 84. San Giuseppe con Bambino, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 85. Sant’Antonio, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 86. Madonna, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 87. Stazioni Via Crucis, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 88. San Matteo, Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A) 89. Croce, Via del Campanile (c. 316) 90. Incisione, Porta della Rocca 91. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 92. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 93. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 94. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 95. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 96. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 97. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 98. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 99. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 100. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 101. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 102. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca) 103. Decorazioni Lapicidi, Via delle Scalette (c. B) 104. Decorazioni Lapicidi, Via delle Scalette (c. B) 105. San Rocco, Via di San Rocco (c. 346) 106. Trigramma Cristologico di San Bernardino, Strada Mammianese 107. Lapide Commemorativa, Via di San Vecchio (c. 258) 108. Stele Commemorativa, Piazza di Castello 109. Lapide Stele Commemorativa, Piazza di Castello 110. Lapide Stele Commemorativa, Piazza di Castello 111. Lapide Stele Commemorativa, Piazza di Castello 112. Lapide Sante Missioni, Piazza di Castello (c. A) 113. Croce con Golgota Missioni, Piazza di Castello (c. A) 114. Croce, Piazza della Croce 115. Croce, Via della Ruga 116. Croce con Golgota, Via del Campanile (Sagrato Oratorio di San Michele) 117. Croce con Golgota, Porta della Rocca 118. Croce con Golgota, Via del Campanile (Sagrato Oratorio di San Michele) 119. Iscrizione Datazione, Via di San Rocco (c. 296) 120. Iscrizione, Strada delle Cartiere 121. Protome antropomorfa, Piazza di Castello (c. 290) 122. Madonna con Bambino, Piazza di Castello (c. 285) 123. Madonna, Via delle Scalette (c. 336) 124. Madonna con Bambino, Via della Ruga (c. 329) 125. Madonna con Bambino, Via della Ruga (c. 326) 126. Madonna con Bambino, Via di San Vecchio (c. 273) 127. Madonna, Piazza di Castello (c. 277) 128. Madonna, Via di San Vecchio (c. 284) 129. Madonna, Piazza di Castello (c. 290) 130. Edicola Votiva, Via del Campanile (c. 304) 131. Madonna con Bambino, Via della Ruga (314) 132. Cristo, Via della Ruga (314) Indice delle schede iconologiche 133. Madonna, Strada Mammianese 134. Madonna, Via di San Vecchio (c. 281) 135. Iscrizione Francescana, Via delle Scalette (c. 310) 136. Sacra Famiglia, Via di San Vecchio (c. 501) 137. Madonna, Via delle Scalette (c. 310) 138. Cherubino, Via delle Scalette (c. 333) 139. Cherubino, Piazza di Castello (c. 290) 140. Croce con Strumenti della Passione, Strada Mammianese 141. Decorazione Lapicidi, Strada Mammianese 142. Croce con Iscrizione, Via della Ruga 143. Croce, Via della Ruga 144. Croce, Via delle Scalette 145. Croce, Porta della Rocca 146. Croce, Porta della Rocca 147. Croce e datazione, Via della Ruga 148. Croce e datazione, Via della Ruga 149. Croce, Via di San Vecchio 150. Decorazione Scultorea, Via della Sacrestia Vecchia 151. Decorazione Scultorea, Via della Sacrestia Vecchia 152. Marzocco, Via di San Rocco (c. 294) 153. Marzocco, Via di San Rocco (c. 294) 154. Iscrizione, Via di San Rocco (c. 296) 155. Decorazioni Lapicidi, Via di San Vecchio (c. 275) 156. Arma familiare, Via per Medicina 157. Epigrafe Cippo, Via per Medicina 158. Arma familiare, Via per Medicina 159. Iscrizione Datazione, Via del Campanile 160. Iscrizione Datazione, Via del Campanile 161. Iscrizione Datazione, Via della Ruga 162. Iscrizione Datazione, Via della Ruga 163. Iscrizione Datazione, Piazza di Castello 164. Iscrizione Datazione, Via del Campanile 165. Iscrizione Datazione, Via del Campanile 166. Iscrizione Datazione, Strada Mammianese 167. Iscrizione, Via di San Rocco 168. Iscrizione Datazione, Via della Sacrestia Vecchia 169. Incisione Antropomorfa, Via della Ruga (c. 310) 170. Iscrizione Rione, Via delle Scalette (c. 333) 171. Alquerque, Via del Campanile (c. B) 172. Alquerque, Piazza di Castello 173. Alquerque, Piazza di Castello 174. Alquerque, Via di San Rocco 175. Alquerque, Via della Ruga 176. Alquerque, Via della Ruga 177. Alquerque, Via della Ruga 178. Alquerque, Via della Ruga 179. Alquerque, Via della Ruga 180. Alquerque, Via della Ruga 181. Alquerque, Via della Ruga 182. Alquerque, Via della Ruga 183. Alquerque, Via della Ruga 184. Alquerque, Via della Ruga 185. Alquerque, Via della Ruga 186. Alquerque, Via del Campanile (sagrato San Michele) 187. Incisione, Porta della Rocca 188. Incisione, Via del Campanile 189. Incisione, Via del Campanile 190. Iscrizione, Via del Campanile (c. 306) 191. Incisione, Via del Campanile (sagrato San Michele) 192. Iscrizione, Via del Campanile (sagrato San Michele) 193. Incisione, Via del Campanile (sagrato San Michele) 194. Iscrizione, Via del Campanile (sagrato San Michele) 195. Incisione, Via delle Scalette 196. Iscrizione, Via delle Scalette 197. Incisione, Via della Ruga 198. Incisione, Via della Ruga 199. Incisione, Via della Ruga 200. Incisione, Via della Ruga 201. Incisione, Via della Ruga 202. Incisione, Via della Ruga 203. Incisione, Via della Ruga 204. Incisione, Via della Ruga 205. Iscrizione, Via della Ruga (c. 337) 206. Incisione, Via della Ruga 207. Incisione, Via della Ruga 208. Incisione, Via della Ruga 209. Incisione, Via della Ruga 210. Incisione, Via della Ruga Oratorio Oratorio Oratorio Oratorio Oratorio 221 Appendice 222 211. Incisione, Via della Ruga 212. Incisione, Via della Ruga 213. Incisione, Via della Ruga 214. Incisione, Via della Ruga 215. Incisione, Via della Ruga 216. Incisione, Via della Ruga 217. Incisione, Via della Ruga 218. Incisione, Via della Ruga 219. Incisione, Via della Ruga 220. Incisione, Via della Ruga 221. Incisione, Via della Ruga 222. Incisione, Via della Ruga 223. Incisione, Via della Ruga 224. Incisione, Via della Ruga 225. Incisione, Via della Ruga 226. Iscrizione, Via della Ruga 227. Iscrizione, Via della Ruga 228. Iscrizione, Via della Ruga 229. Iscrizione, Via della Ruga 230. Iscrizione, Via della Ruga 231. Iscrizione, Via della Ruga 232. Iscrizione, Via della Ruga 233. Croce, Via della Ruga 234. Incisione, Via della Ruga 235. Incisione, Via della Ruga 236. Iscrizione, Via della Ruga 237. Incisione, Via della Ruga 238. Incisione, Via della Ruga 239. Iscrizione, Via della Ruga 240. Iscrizione, Via della Sacrestia Vecchia 241. Iscrizione, Via della Sacrestia Vecchia 242. Iscrizione, Via della Sacrestia Vecchia 243. Iscrizione, Via di San Rocco 244. Iscrizione, Via di San Rocco 245. Iscrizione, Via di San Rocco 246. Iscrizione, Via di San Rocco 247. Iscrizione, Via di San Rocco 248. Iscrizione, Via di San Rocco 249. Iscrizione, Via di San Rocco 250. Iscrizione, Via di San Rocco 251. Iscrizione, Via di San Rocco 252. Iscrizione, Piazza di Castello 253. Iscrizione, Piazza di Castello 254. Iscrizione, Piazza di Castello 255. Iscrizione, Piazza di Castello 256. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 257. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 258. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 259. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 260. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 261. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 262. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 263. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 264. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 265. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 266. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 267. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 268. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 269. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 270. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 271. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 272. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 273. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 274. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 275. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 276. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 277. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 278. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 279. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 280. Icone, Piazza di Castello (c. 287) 281. Iscrizioni, Piazza di Castello (c. 285) 282. Iscrizione, Piazza di Castello 283. Incisione, Piazza di Castello (c. 286) 284. Iscrizione, Piazza di Castello 285. Iscrizione, Piazza di Castello 286. Iscrizione, Piazza di Castello 287. Iscrizione, Piazza di Castello 288. Iscrizione, Piazza di Castello 289. Iscrizione, Piazza di Castello 290. Iscrizione, Piazza di Castello 291. Iscrizione, Piazza di Castello 292. Iscrizione, Via del Campanile 293. Iscrizione, Via del Campanile (c. B) 294. Iscrizione, Via del Campanile Indice delle schede iconologiche 295. Incisione, Via della Ruga 296. Iscrizione, Via di San Vecchio 297. Incisione, Via del Campanile 298. Incisione, Via del Campanile 299. Incisione, Via del Campanile 300. Incisione, Via del Campanile 301. Meridiana, Strada Mammianese 302. Icone, Strada Mammianese 303. Icone, Strada Mammianese 304. Icone, Strada Mammianese 305. Icone, Strada Mammianese 306. Icone, Strada Mammianese 307. Icone, Strada Mammianese 308. Icone, Strada Mammianese 309. Icone, Strada Mammianese 310. Icone, Strada Mammianese 311. Icone, Strada Mammianese 312. Icone, Strada Mammianese 313. Icone, Strada Mammianese 314. Icone, Strada Mammianese 223 Appendice 224 Abstract The second book of the series Quaderni di Rilievo Urbano, section The Valleriana castles, has been published on the subject of Pietrabuona castle two years after the editing of the volume on the Sorana castle. Twenty-four months is an adequate time for the analysis of a limited dimensioned urban unit, as most of the early medieval centers of the Svizzera Pesciatina area are, following the aims of the research indicated since the beginning: the proposal of the documentation of the phases of origin and transformation of the built-up area. The method adopted in the text is a multidisciplinary comparison between researchers belonging to different scientific areas of interest: architectural surveyors, a landscape specialist, an archeologist, a historical medievalist, geologist and an art historian. The dialogue is not clear and in some cases becomes incomprehensible when certain researchers take distinct stands due to their specific knowledge, however the predisposition to the listening has often prevailed. When it isn’t possible to reach a unanimous decision, it is preferred to keep the different opinions distinctively clear in each article written by the various scholars (then integrating each part into the DVD). The value of this editing is undoubtedly high and each scholar discovers a deeper comprehension in the research of others, thus allowing the information to develop in an apparently unconnected way. This integral information, thanks to the different experts present in the research group, has composed a difficult puzzle, giving new and deeper meanings to various topics. On the editorial point of view, the book maintains the same structure of that given to Sorana’s. It seemed convenient in fact to facilitate an eventual cross reading of the two volumes and to leave an unaltered division in chapters and in the paragraph repartition. I recall that this printed volume has a prominent aim, however this does not cause it to become scientifically less evidential. Behind the format of a monographic text of “simple” lectures there are professional works written specifically for an expert audience. It is here that these contributions have been synthesized and harmonized to confer a general and organic overview of the urban history of Pietrabuona following the intentions of the given author. The text doesn’t aim to exhaust all the possible questions about the historical and architectural events of the town, and in fact the opposite is the case. The book could introduce new doubts, provoke other hypotheses that have not been touched, or establish original research methods. The academic community would be pleased even if only one of these hypotheses were proven true because this would mean that our work as scholars has been positive, therefore contributing to furthering the study and the analysis of historical urban sites. We have the conviction that only a deep knowledge of the dynamics of the past can allow a correct planning of future interventions. For this reason the DVD enclosed in the volume, although it is a publication on its own, contains not only the paper of each researcher, but also all those documents that for spatial reasons are not in the paper book (transcriptions of the historical documents, files of “symbols, epigraphs and signs on stones”, comparison between the works realized by the architects Bernardini, data of the survey campaigns, database of the built-in and urban qualities, photographic archive, 3D 225 Il castello di Pietrabuona 226 models of the built-in and survey of the entire town and of the single architectonic main parts). All these documents have been saved in their original format and for this reason are editable. People that are interested in continuing the studies on the Valleriana castles are able to edit under the Research Material. The equipe is proud of it, being an unicum on the national panorama in which too often researchers keep the results of their studies for themselves. The book is structured in three chapters, each divided into thematic paragraphs. The first chapter deals with the landscape of the high part of the Pescia Maggiore River valley. The landscape reading, as a synthetic discipline, offers the possibility to integrate the diverse information from various studies conducted on a well-defined part of the territory and to develop the interrelations between the different components that constitute it, creating a “general picture” (The overall view). We have specifically referenced the geologic structure (Geologic evolution of the landscape), the hydrographic system, the track net (The streets), and the productive system (The productive system). These elements are undoubtedly connected to the natural resources of the territory. It didn’t seem appropriate in this case to provide again a synthesis of the principal growth phases of this area near the mountains, as it is already published in the book regarding Sorana, to which we refer. The second chapter discusses the castle of Pietrabuona. The paragraph Geologic and Geomorphologic Aspects contributes to clarify the genesis of the shape of these spots, together natural (in particular tied up with the geography of the territory and at the litho types present) and artificial (for what concerns the stone materials with which the castle has been built). In a specific paragraph (Historical notes) the main political-social events occurred at the town between the 10th and the 20th Century is reported. Despite the great number of documents unpublished found in the consulted archives, nothing has emerged from the reading that can make progress in the knowledge of historical events, but they have been of fundamental importance for the reconstruction of the events tied-up to the urban structure and to the main buildings. A critical reading of the material evidence has been possible due to the synergy between architectural archaeologists and architects. These elements flow together in the paragraph Archeological Investigation of the Architecture, amplifying the historical knowledge of the rural center. The paragraph Education and Development Phases treats the urban and built dynamics that occurred within the castle. When using the term “built”, we intend to incorporate all things that human beings have constructed through the centuries with the aim to bind the simple action of living (base buildings) and of social, spiritual and productive life (special buildings). These last buildings: The Rocca, The oratory of Saint Michael Arcangelo, The church of the Saints Michael and Colombano, The public palace, The hospital of Saint Rocco, The public fountain and The “Saint Rocco” paper factories, besides to the constructive military system of the 14th Century used to protect the castle, have been the subject of a meticulous study converged each in a paragraph. Here, near to the survey, the constructive and stylistic characters of the buildings are described, as well as the events that happened to them throughout time. The “special” architecture present in the inhabited center are also spaces used to host the artworks that during the centuries have been realized within the local area or imported from more important art centers. The artistic evidence present in Pietrabuona, set out in the paragraph The described image, put Pietrabuona in a cultural position that is not at all marginal in the Tuscan artistic panorama between 14th and 17th Century. It is possible to find permeating vivacity within the elements developed in the art botteghe of the main artists of that time. Abstract Of sure interest for the comprehension of the politic weight held by the settlement from the 10th to the 18th century are the depictions impressed in the stones with an evident symbolic value, the epigraphs and the signs left from the handcrafts workers on stones. Beyond testifying the degree of erudition of a community, their identification and the consequent reading made in relation to their position in the urban environment allow to ascribe a work at a certain age rather than another. The survey ultimately makes some hypotheses regarding the existence of a project at the base of the constructing of the fourteenth-century wall curtain (The circle of wall) and on the meaning attributed at the particular orientation of the Bolognese door belonging to this wall (Astronomic orientation with calendarial function of medieval architectures). The paragraph The Urban Environment at the end of this chapter contains the description of the characters that connote today the public spaces of the castle: typology and deterioration of the pavings, the walls, the external frames, public systems, and the draining of rain water and of all that gives its contribution to form the image of the town. This information has been deduced from a filing realized in loco during the survey campaign and merged in a computerized database. The third and last chapter contains three different papers that all face in detail the aspects tied-up to methods and instruments used during the survey of the entire center and the following phase of graphic restitution of data. In particular, in the paragraph The representation of the castle, the first results of a project in which there have been attempts of established relationships are illustrated using software dedicated to game engine between the database containing the information on urban and built qualities of Pietrabuona with the 3D model realized through procedures of reverse modeling, retopology and baking. The book is completed with a dense Appendix in which there are the list of the toponym that reoccur in the oral tradition with their respective definition and the index of the iconological files necessary to comprehend the symbols, the epigraphs and the signs studied. At last there are the bibliographic indications of the books consulted and the index of the researchers that have participated at the draft of this volume. 227 Bibliografia Aa.Vv., Archivio Storico Italiano, ossia raccolta di opere e documenti finora inediti o divenuti rarissimi riguardanti la storia d’Italia, Firenze 1844 Aa.Vv., Il castello di Pietrabuona in Valdinievole e la vita economica e sociale a Pietrabuona nella storia, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 3 (1982) Aa.Vv., Il patrimonio artistico di Pistoia e del suo territorio, Catalogo storico descrittivo, Pistoia 1967 Adembri B. - Di Tondo S. - Fantini F., Tools for archiving and managing cultural heritage. 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Silvia Bertacchi, dottoranda di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente” presso la Scuola Nazionale di Dottorato in “Scienza della Rappresentazione e del Rilievo”, sede Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze Dott.ssa Serena Di Grazia, geologa, libera professionista Ph.D. Arch. Filippo Fantini, dottore di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente”; borsista di studio “Santiago Grisolia” e “tecnico superior” presso l’”Instituto Universitario de Restauración del Patrimonio” dell’Univerdidad Politecnica de Valencia Ph.D. Arch. Erica Ganghereti, dottore di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze Cinzia Jelencovich, libera professionista Ph.D. Arch. Gaia Lavoratti, dottore di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze Dott.ssa Elisa Maccioni, storica dell’arte, ricercatrice in Storia dell’arte moderna e libera professionista Dott. Antonino Meo, dottorando di ricerca in Discipline Umanistiche (Programma Archeologia) presso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Pisa, specialista in Archeologia tardoantica e medievale Ric. Arch. Alessandro Merlo, ricercatore in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di 241 Il castello di Pietrabuona Architettura - Università degli Studi di Firenze, docente di “Rilievo dell’Architettura” presso la stessa Facoltà, presidente del CISPUT Ph.D. Arch. Emanuela Morelli, architetto e architetto paesaggista, diplomata alla Scuola di Specializzazione “Architettura dei Giardini e Progettazione del Paesaggio” dell’Università di Firenze, dottore di Ricerca in Progettazione Paesistica presso la Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze; docente a contratto presso l’Università degli studi di Firenze, il Politecnico di Milano e l’Università di Bologna e assegnista di ricerca presso il DUPT dell’Università degli studi di Firenze Prof. Pablo Rodriguez Navarro, professore presso l’Escuela Técnica Superior de Ingeniería de Edificación afferente al Departamento de Expresión Gráfica Arquitectónica, docente di “Disegno dell’Architettura” e “Fotogrammetria architettonica” presso la stessa facoltà Arch. Duccio Troiano, dottorando di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente” presso la Scuola Nazionale di Dottorato in “Scienza della Rappresentazione e del Rilievo”, sede Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze Ph.D. Arch. Uliva Velo, dottore di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze Ric. Arch. Giorgio Verdiani, ricercatore in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze, docente di “Disegno Automatico” e “Disegno dell’Architettura” presso la stessa Facoltà, direttore del LIA 242 Indice del DVD IL CASTELLO DI PIETRABUONA ABSTRACT INTRODUZIONE ABBREVIAZIONI NEL TESTO GRUPPO DI RICERCA TESTI Presentazioni Emma Mandelli Amleto Spicciani Introduzione Alessandro Merlo Il significato dei nomi Rodolfo Vanni Una lettura di sintesi per il paesaggio del castello di Pietrabuona Emanuela Morelli Studio dell’evoluzione geologica nel paese di Pietrabuona con considerazioni in merito ad un’attività estrattiva all’interno della cinta muraria Serena Di Grazia Sulla via dell’acqua Laura Aiello Il rilievo di Pietrabuona Alessandro Merlo Note storiche Alessandro Merlo Primi dati dall’analisi archeologica sulle architetture Antonino Meo Fasi di formazione e sviluppo Alessandro Merlo La Rocca. Da luogo di culto a presidio difensivo Gaia Lavoratti La chiesa di San Matteo e Colombano, ex oratorio di San Michele, a Pietrabuona Erica Ganghereti 243 Il castello di Pietrabuona La chiesa dei Santi Matteo e Colombano Silvia Bertacchi Il palazzo pubblico Gaia Lavoratti, Pablo Rodriguez Navarro Due cartiere dismesse a Pietrabuona Uliva Velo L’immagine descritta Elisa Maccioni Simboli, epigrafi e segni di lapicidi a Pietrabuona: l’analisi iconologica nella conoscenza dei manufatti architettonici Cinzia Jelencovich Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali di Pietrabuona Cinzia Jelencovich Il rilievo delle qualità ambientali di Pietrabuona Duccio Troiano Il rilevamento digitale Alessandro Merlo, Giorgio Verdiani I sistemi di ottimizzazione image based per la gestione dei modelli digitali 3D a scala urbana Alessandro Merlo, Filippo Fantini INDICE DELLE SCHEDE ICONOLOGICHE TRASCRIZIONE DOCUMENTI CRONOLOGIA E SCHEDATURE BIBLIOGRAFIA GENERALE INDICE DEI RICERCATORI TRASCRIZIONE DOCUMENTI CRONOLOGIA SCHEDATURE Gli edifici religiosi progettati dagli architetti Bernardini Silvia Bertacchi Analisi iconologica ed epigrafica a Pietrabuona. La schedatura dei simboli, delle epigrafi, delle marche lapidarie Cinzia Jelencovich Toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona Rodolfo Vanni 244 Indice del DVD MATERIALE ICONOGRAFICO Catasti storici Immagini aeree CTR della Valdinievole – Scala 1:10.000 CTR Pietrabuona – Scala 1:2.000 RILIEVO Riammagliamento catastale Sezioni ambientali Le porte urbiche La Rocca La chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele) La chiesa ottocentesca dei Santi Matteo e Colombano Il palazzo pubblico Le cartiere “San Rocco” Il rilievo topografico Carta geologica Database delle qualità edilizie e urbane 245 Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa [email protected] - www.edizioniets.com Finito di stampare nel mese di ottobre 2012