Quaderni di Rilievo Urbano
Direttore
Alessandro Merlo
Comitato scientifico
Stefano Bertocci, Marco Bini, Emma Mandelli, Francisco Juan Vidal
Comitato di redazione
Cristina Boido, Gaia Lavoratti, Francesco Maglioccola, Alessandro Merlo,
Uliva Velo, Giorgio Verdiani
Quaderni di Rilievo Urbano
Alessandro Merlo, Il castello di Sorana, 2010, pp. 246
Alessandro Merlo, Il castello di Pietrabuona, 2012, pp. 246
Aa.Vv., Il castello di Aramo, in preparazione
Gaia Lavoratti, Pescia insediamento bipolare, in preparazione
La collana Quaderni di Rilievo Urbano ospita i risultati delle ricerche operate nello specifico ambito della città e del
territorio, utilizzando il rilievo come strumento prioritario per la lettura e l’interpretazione delle diverse realtà indagate. Nel loro piano generale i Quaderni si compongono di una sezione principale – nella quale saranno pubblicati,
in numeri monografici a loro volta raccolti in sezioni tematiche, gli esiti di ricerche, convenzioni o tesi di laurea, con
particolare valore scientifico – e di un settore rivolto agli Strumenti per la Didattica. Ciascun volume è corredato di
un DVD (Materiali per la Ricerca) nel quale viene raccolta la documentazione che è stata utilizzata e gli esiti della
ricerca stessa, in formato editabile, consentendo così a coloro che intendessero proseguire nello studio, di disporre di
un insieme di dati ancora troppo spesso non reperibile od ottenibile con tempi eccessivamente lunghi.
Alessandro Merlo
Il castello di Pietrabuona
Edizioni ETS
Dipartimento di Architettura
Disegno Storia Progetto
Lions Club
Pescia
Il presente studio è stato finanziato con i fondi per la Ricerca Scientifica di Ateneo (ex quota 60%) –
titolo del progetto “Rilievo e documentazione del borgo murato di Pietrabuona“,
(rif. n. 1.12.03 SDISMERLATEN10), responsabile Prof. Alessandro Merlo – e con il contributo
della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia (rif. n. FA 1.03.12.02 MERLCRPP10),
della Banca di Pescia (rif. n. 1.03.12.02 SDIS.MERLPUBBLI) e
del Lions Club Pescia (rif. n. 1.03.08 SDIS.MERLIONSPI)
In copertina
ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36 (particolare), realizzato dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni. L’acquerello, che raffigura il castello di Pietrabuona, rientra in una sperimentazione del Catasto Pietroleopoldino avviata su alcune comunità del Pistoiese e del Senese nella
seconda metà del Settecento ed interrotta nel 1785. Al centro l’abitato di Pietrabuona con le vestigia delle mura castellane, al tempo ancora integre. Copyright dell’Archivio di Stato di Firenze; su
concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Sono vietate ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo.
© Copyright 2012
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
[email protected]
www.edizioniets.com
Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]
ISBN 978-884673435-8
Il castello di Pietrabuona
La natura di questa ricerca ha richiesto la partecipazione di un nutrito gruppo di studiosi di discipline diverse, i cui
apporti hanno consentito di delineare un quadro quanto più esaustivo possibile della struttura urbana di Pietrabuona
e delle sue vicende edilizie. A seguito di questa impostazione, lo scrivente, oltre ad aver coordinato le diverse fasi dello
studio, si è cimentato nella rielaborazione dei testi scritti dai collaboratori (i cui originali sono riportati integralmente
nel DVD) con il duplice scopo di: “armonizzare” tra loro in un unico saggio parti alcune volte troppo specialistiche o,
in altri casi, ripetitive e ridondanti, che avrebbero reso la consultazione del libro faticosa, costringendo il lettore a continui salti da un contributo all’altro per poter delineare un profilo coerente della storia materiale del castello; assecondare le esigenze editoriali e tipografiche che impongono il rispetto delle caratteristiche proprie della collana (l’apparato di note, ad esempio, è stato fortemente ridotto e le singole bibliografie sono confluite in un unico elenco generale). Molti scritti, pertanto, hanno perso la loro “individualità” a sostegno di tesi più complesse.
Gruppo di ricerca
Responsabile scientifico
Alessandro Merlo
Coordinatori
Alessandro Merlo, Giorgio Verdiani,
Gaia Lavoratti, Pablo Rodriguez Navarro
(per il gruppo spagnolo)
Campagna di rilievo ed acquisizione dati
Restituzioni grafiche ed elaborazioni dati
Documentazione storica
Elisa Bechelli
Elaborati grafici CAD
Laura Aiello, Silvia Bertacchi, Erica Ganghereti,
Gaia Lavoratti, Alessandro Merlo, Uliva Velo
Documentazione fotografica
Cinzia Jelencovich, Antonino Meo, Giorgio Verdiani
Rilievo diretto
Laura Aiello, Matteo Bargellini, Silvia Bertacchi,
Erica Ganghereti, Stefano Giannini, Francesca
Grillotti, Gaia Lavoratti, Alessandro Merlo,
Sabino Pellegrino, Nevena Radojevic, Uliva Velo
Rilievo topografico
Gaia Lavoratti, Alessandro Merlo, Francesco Tioli
6
Elaborazione nuvola dei punti
Laura Aiello, Silvia Bertacchi, Sara D’Amico,
Erica Ganghereti, Francesca Grillotti,
Gaia Lavoratti, Alessandro Merlo, Uliva Velo,
Giorgio Verdiani
Database nuvola dei punti
Alessandro Merlo, Giorgio Verdiani
Elaborazioni 3D
Andrea Aliperta, Filippo Fantini, Luca Dalcò
Rilievo laserscan
Alessandro Peruzzi (Area 3D - Livorno)
Schedatura - Database tessiture murarie
Antonino Meo
Rilievo archeologico
Federico Andreazzoli, Antonino Meo
Analisi del paesaggio
Emanuela Morelli
Rilievo del paesaggio
Sara D’Amico, Emanuela Morelli
Analisi UME e UMU
Duccio Troiano
Schedatura UME e UMU
Duccio Troiano
Schedatura iconologica Database stemmi e simboli
Cinzia Jelencovich
Collaboratori
Marco Bennati, Giacomo Fabbri,
Francesca Fantasia, Valentina Fantini,
Mattia Genuini, Stefano Giusti, Sofia Laghi,
Giulia Minutti, Giuseppe Monterisi,
Riccardo Montuori, Giulio Moriani,
Massimiliano Napoli, Marinella Stillavato
Analisi iconografica
Elisa Maccioni
Relazione geologica
Serena Di Grazia
Non poteva mancare in apertura del volume un richiamo esplicito alla Fondazione Caripit,
che più di ogni altro ha sostenuto la ricerca che viene data alle stampe con questo libro.
Purtroppo i molteplici impegni del suo Presidente, il prof. Ivano Paci, ed il ritardo con il quale
gli ho sottoposto il lavoro affinché potesse scrivere di suo pugno una breve presentazione
non gli hanno consentito di redigerla in tempo utile per essere pubblicata. Ne faccio pubblica ammenda, sentendomi ancor più in dovere di colmare questa pagina rimasta bianca fino
all’istante prima di andare in stampa. Sono note le attività della Fondazione e la dedizione
con la quale sostiene numerosi progetti i cui esiti hanno una ricaduta sul territorio di Pistoia
e della sua provincia, ma forse pochi sono a conoscenza della fiducia che i membri del consiglio hanno riposto nel corso degli ultimi dieci anni nelle iniziative coordinate da chi scrive
assieme al Dipartimento di Architettura: DSP di Firenze. Iniziative che concernono la
Valleriana e gli insediamenti che vi fanno parte e che vedono numerosi ricercatori di ambiti
disciplinari diversi collaborare assieme per uno scopo comune: avviare un processo virtuoso
di conoscenze affinché il patrimonio culturale rappresentato da queste realtà possa essere
preservato ed adeguatamente valorizzato. Non c’è mai stata occasione di parlarne direttamente con il Presidente, confesso che non ci siamo mai incontrati, ma sono sicuro che nutriamo la stessa aspirazione di rendere migliore il territorio in cui viviamo. Ed è così che tra mille
difficoltà alimentate in parte dal periodo di austerity in cui ci troviamo escono, dopo quelli di
Sorana, questo secondo volume su Il Castello di Pietrabuona e il DVD Materiali per la
Ricerca: il castello di Pietrabuona, resi possibili grazie all’interessamento di molti ed al finanziamento proveniente, in larga parte, dalla suddetta Fondazione.
prof. Alessandro Merlo
7
L’obiettivo di una Banca di Credito Cooperativo è quello di produrre utilità e vantaggi di
natura economica, sociale e culturale a beneficio di tutta la collettività; ciò avviene grazie
all’attività creditizia e mediante la donazione di una parte degli utili al fine di promuovere lo
sviluppo del territorio.
La Banca di Pescia quest’anno, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua fondazione, si è fatta promotrice di numerosi interventi anche in ambito extra economico, impiegando le risorse finanziarie a vantaggio del territorio in cui opera e le raccoglie.
Conoscere per preservare e valorizzare realtà a torto ritenute marginali e di indubbio valore storico come i centri della Svizzera Pesciatina è stata la motivazione che ha condotto la
Banca di Pescia ad accogliere l’ampio progetto che ha dato come frutto questo importante
studio diretto dal professor Alessandro Merlo.
Lo studio di ampio respiro, raccolto in questa pubblicazione sul castello di Pietrabuona,
grazie al rilievo integrato ed allo sviluppo di un sistema di archiviazione potrà soddisfare
anche necessità di tipo urbanistico-amministrativo.
Non possiamo però non rilevare che il riportare alla memoria le caratteristiche di uno dei
dieci borghi che costituiscono questo tesoro naturalistico ha anche lo scopo di far conoscere
l’importanza di quello che fu un fiorente centro ed il graduale processo di abbondano cui fu
destinato.
Ripercorrere l’esistenza degli antichi edifici, dei quali si conservano oggi soltanto alcuni
residui murari, come quelli appartenenti all’originaria chiesa di San Matteo, ci dà la misura di
ciò che eravamo e la consapevolezza che solo attraverso la conoscenza del passato possiamo
guardare al futuro con maggior responsabilità e cognizione.
Un’opera, dunque, piena di passione e rigore scientifico, che saprà costituire, nel tempo,
un valido strumento di discussione, divulgazione e interesse.
dott. Franco Papini
Presidente Banca di Pescia
8
Il Lions Club Pescia ha aderito con grande piacere all’iniziativa del prof. Alessandro Merlo
per lo studio degli insediamenti medievali della montagna pesciatina. Sono ben dieci le castella
della Svizzera Pesciatina, così definita per la conformazione e la bellezza del territorio.
L’abbandono progressivo dei paesi di montagna, associato al declino di un’economia caratterizzata nell’Ottocento dalla coltivazione del gelso e dalla fabbricazione della carta, ha comportato minori interventi pubblici a tutela dell’ambiente ed il conseguente deterioramento
delle costruzioni esistenti.
È auspicabile lo sviluppo di una politica adeguata a mantenere e tutelare il patrimonio edilizio e culturale, interpretando anche il rinnovato interesse degli stessi italiani e stranieri verso
quest’area di indubbio valore storico e paesaggistico.
La salvaguardia e la valorizzazione del territorio hanno guidato il progetto condotto con rigore scientifico dal gruppo di ricerca pluridisciplinare coordinato dal prof. Merlo, comprendente
architetti, ingegneri, archeologi, storici e geologi, che hanno prodotto una documentazione
accurata, corredata peraltro degli elaborati tecnici, a disposizione sia degli studiosi che della
stessa amministrazione pubblica. Gli studi iniziati con i castelli di Aramo e Sorana sono continuati con l’analisi del castello di Pietrabuona i cui esiti vengono presentati in questo volume.
I Lions, da sempre interessati nello spirito dell’associazione a promuovere il bene civico,
sociale e culturale della comunità, hanno sostenuto molto volentieri il progetto, apprezzando
la professionalità del prof. Merlo e dei suoi collaboratori, convinti del valore di queste iniziative volte alla conservazione e recupero delle tante ricchezze del nostro patrimonio artistico e
culturale che sta a cuore di tutti i cittadini.
“Viviamo per il presente, sogniamo per l’avvenire, impariamo dal passato”
ing. Alessandro Taddei
Presidente Lions Club Pescia
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Abbreviazioni nel testo
AALU
Archivio Arcivescovile di Lucca
ACLU
Archivio Capitolare di Lucca
ASFI
Archivio di Stato di Firenze
ASLU
Archivio di Stato di Lucca
AVPE
Archivio Vescovile di Pescia
AVSM
Archivio Vescovile di San Miniato
BSLU
Biblioteca Statale di Lucca
SASPE
Sezione d’Archivio di Stato di Pescia
Autorizzazioni
Il presente volume contiene riproduzioni di documenti posseduti:
– dalla Regione Toscana: foto aerea di Pietrabuona (str. 47 fot. 70; data del volo 31/03/1998).
Autorizzazione S.M.A. alla divulgazione n° 22-175 del 08/06/1998.
– dalla Sezione d’Archivio di Stato di Pescia: SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825. Autorizzazione alla
pubblicazione rilasciata dalla Sezione di Archivio di Stato di Pescia, con protocollo n. 593/X.1.1 del
25/09/2012.
– dall’Archivio di Stato di Firenze (ASFI), conservati nei fondi Segreteria di Gabinetto e Piante dei
Capitani di Parte Guelfa, Cartoni e piante sciolte. La pubblicazione delle fotoriproduzioni è soggetta
all’autorizzazione: protocollo 5820 class. 28.28.01/487 del 13/09/2012, copyright dell’Archivio di
Stato di Firenze, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Sono vietate ulteriori
riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo.
– dall’Istituto Geografico Militare (IGM): Carta idrografica del Regno d’Italia – F. 105. Dai documenti
originali archiviati presso le conservatorie storiche dell’Istituto Geografico Militare (autorizzazione n.
6691 in data 09/08/2012). Sono vietate ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo.
– della Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze. Su gentile concessione del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali. Riproduzioni fotografiche della chiesa parrocchiale: 88674; degli edifici
lungo la via del castello: 102351, 102354, 104112, 104121, 104122; della chiesa di San Michele:
102362, 104124; della Rocca: 88583, 88588, 88591, 88593.
– della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico e Artistico ed Etnoantropologico (SSPSAE) e
per il Polo Museale della città di Firenze - Gabinetto Fotografico. Riproduzioni fotografiche: 167678,
167683, 167685, 167687, 167688, 168183, 211490, 290922, 290929, 290950, 291096, 291178.
– Nulla-osta dell’Agenzia del Territorio, Ufficio Provinciale di Pistoia, prot. n° 5186 del 25 ottobre 2012.
Sommario
Presentazioni
Emma Mandelli
Amleto Spicciani
Introduzione di Alessandro Merlo
Il significato dei nomi di Rodolfo Vanni
12
14
16
20
Capitolo I – Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore
Il quadro d’insieme
Evoluzione geologica del paesaggio
Le strade
Il sistema produttivo
27
33
37
40
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Il rilievo
Aspetti geologici e geomorfologici
Note storiche
Indagine archeologica sulle architetture
Fasi di formazione e sviluppo
La Rocca
L’oratorio di San Michele Arcangelo
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
Il palazzo pubblico
L’ospedale di San Matteo
La fontana pubblica
Le cartiere “San Rocco”
L’immagine descritta
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi
L’ambiente urbano
45
50
53
59
79
92
103
115
136
144
146
149
160
173
186
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
Il rilevamento digitale
Il database delle qualità edilizie e urbane
La rappresentazione del castello
195
201
204
APPENDICE
Indice della toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona di Rodolfo Vanni
Indice delle schede iconologiche di Cinzia Jelencovich
215
218
ABSTRACT
BIBLIOGRAFIA
INDICE DEI RICERCATORI
INDICE DEI CONTENUTI DEL DVD
225
229
241
243
11
Presentazione
12
Nel presentare il numero 0, primo volume della collana titolata Quaderni di Rilievo Urbano,
mi ero dilungata cercando di illustrare ed accompagnare disciplinarmente gli intendimenti del
progetto che tale collana sottintendeva e si proponeva di svolgere nel tempo. Personalmente
mi ero augurata che tale impegno si potesse realizzare puntualmente, con la partecipazione
degli studiosi coinvolti e degli enti sostenitori, per ottenere un risultato pari a quello del primo
testo pubblicato.
Oggi, a distanza di due anni, esce il secondo volume sull’incastellamento di Pietrabuona,
insediamento, come quello di Sorana, facente parte dei borghi situati in Valleriana. I contenuti del libro sono concepiti in linea con il primo studio; gli apporti pluridisciplinari, infatti, seguono e raccolgono non solo la metodologia già sperimentata, ma sembrano averne affinato il
taglio critico nei vari campi affrontati. Constatazione, questa, che non solo fa capire al lettore la volontà e l’impegno del coordinatore e del gruppo di ricerca – autori coinvolti nell’esame faticoso e lungo della rilevazione e dei dati raccolti –, ma come conseguenza mostra e
rende inequivocabile l’apprezzamento per il risultato raggiunto.
A memoria di chi ha interesse per questa pubblicazione mi sembra opportuno ricordare che
la Valleriana, indicazione attuale di due valli distinte nel Pesciatino, ospita, su un territorio
abbastanza omogeneo, dieci centri medioevali assai diversi nella loro storia sociale ed edificatoria, che formano un vero sistema paesaggistico e caratterizzano oggi quel territorio dal
punto di vista ambientale. Il loro passato apparentemente simile, ma viceversa contrassegnato da vicende storiche, economiche e politiche diversificate, ha lasciato segni materiali
inconfondibili, che adeguatamente conosciuti e interpretati forniscono non solo notizie concrete (quantitative e qualitative) sui resti visibili, ma anche indicazioni sulla popolazione e
sugli avvicendamenti sociali che l’hanno coinvolta. L’osservazione mira a sottolineare che lo
studio di ciascun borgo, di ciascun complesso religioso o militare, apparentemente analoghi
fra loro, è sempre cosa nuova e differente e la ricerca che si intraprende, pur nella metodologia ripetuta, proprio attraverso la possibilità del confronto, determina una conoscenza scientifica più penetrante e tende a scoprirne individualmente la vera identità. Questo è l’obiettivo
pensato e raggiunto nel continuare con perseveranza lo studio dei castelli della Valleriana al
fine di documentarne, oltre la consistenza dello stato di fatto, tutti gli aspetti possibili.
La meticolosità scientifica dei rilievi e l’uso dei sistemi più attuali nelle prese dei dati, nella
restituzione e nella loro conservazione e consultazione, sono il primo risultato notevole conseguito dal gruppo di ricerca, che ha al suo interno gli esperti del caso, molti dei quali si erano
già cimentati nella rilevazione di Sorana.
Al primo si somma il secondo esito, con gli approfondimenti storici, documentari, archeologici ecc. realizzati da studiosi esperti; analisi accurate e precise che allargano la visione delle
peculiarità dei resti e delle memorie testimoni di un lungo percorso attraverso i secoli.
Presentazione
Il terzo aspetto descritto è la lettura critica dei dati, che relaziona il contesto urbano e territoriale di competenza strutturando una metodologia sperimentata e dimostrabile nei passaggi di scala necessari dall’architettura al paesaggio, dalla configurazione urbana al particolare architettonico.
Le strumentazioni delle quali oggi possiamo disporre permettono la raccolta di numerosissimi dati e contribuiscono a determinare il sistema pluridisciplinare di acquisizione. Materiale
che ha necessità di essere intrepretato sia nelle rappresentazioni figurative, sia nelle risposte
che possono essere tratte al fine di discernere le ragioni delle matrici del paesaggio e dell’architettura, rivelando gli elementi costitutivi strutturanti spesso celati tra intenzioni e trasformazioni avvenute nel tempo.
Le ricerche perseguite dalla pubblicazione dei volumi della collana confermano perciò un
duplice obiettivo. In primo luogo realizzare un percorso scientifico che apporti un contributo
metodologico nel difficile ambito dello studio delle strutture urbane e del contesto che le circonda, prendendo in esame anche le reti relazionali complesse che individuano e sostanziano
quel territorio. Lo studio su Pietrabuona, come il precedente su Sorana, offre i risultati dell’indagine svolta sul campo e contribuisce a formare un panorama del territorio di interesse per
gli studiosi nel campo del rilievo urbano, continuando con coerenza e capacità l’approfondimento dei sistemi edilizi complessi, come personalmente avevo augurato nel presentare il
primo testo della collana. Il lavoro in oggetto si pone in maniera adeguata in questo filone di
studi, che sempre più nella globalizzazione attuale riveste un’importanza vitale per la ricerca
ed elaborazione dei dati indispensabili per la conservazione dei beni culturali.
Secondariamente, fornire agli enti preposti e alla comunità quanto è necessario conoscere
con i mezzi adeguati per affrontare i problemi pratici della conservazione dell’esistente e la
eventuale pianificazione e progettazione per la rivitalizzazione di questi luoghi che, negli
andamenti altalenanti delle fortune economiche e dell’abbandono degli abitanti, si sono
avviati verso un destino di degrado generale. Certo è che da un’attenta tutela del patrimonio
culturale e dalla promozione di iniziative di buon livello tese a valorizzare quanto è ancora vivo
non solo nel borgo studiato, ma nella interrelazione sociale e culturale delle dieci castella presenti lungo le valli del fiume Pescia, possono nascere suggerimenti utili a interpretare anche
in modo partecipato questo tipo di riqualificazione di un paesaggio unitario. Il tutto a beneficio degli abitanti e per sostenere l’auspicabile sopravvenire di un turismo di qualità. Questa
ricerca nella sua interezza non suggerisce ipotesi di trasformazione progettuale, ma si attiene
ad un percorso di “rilevazione integrata” necessario per capire gli elementi vocazionali dei
luoghi e diventare il riferimento di base per qualsivoglia intervento.
Mi auguro che il prossimo anno sia dato alle stampe un ulteriore studio (iniziato nel 2007
ed in attesa di fondi per poter essere completato) che ha come oggetto il castello di Aramo,
corredato come questo di tutti gli argomenti necessari, che persegua il fine di aggiungere un
altro valido tassello alla lettura della Valleriana, mantenendo fede ad una finalità scientifica
aperta nelle metodologie di indagine e nei mezzi innovativi di supporto, ma specializzata nella
scelta dei luoghi da indagare, conoscere e comunicare.
Firenze, settembre 2012
Emma Mandelli
13
Presentazione
14
Una tesi di laurea su Aramo, un libro come questo su Sorana, e infine Pietrabuona, che è,
per così dire, la porta di accesso a due valli, polmoni dell’attuale Pescia. La Valleriana ad
Occidente, ancora quasi tutta lucchese, e la valle Avellana ad Oriente, fiorentina dal 1339. Si
comincia dunque a studiare questa parte montana della Valdinievole pesciatina, e me ne rallegro con l’amico prof. Alessandro Merlo, che con attenta generosità ha così risposto ad un
mio invito di dare uno sguardo agli impianti urbani dei paesi, ora spopolati e rinsecchiti, della
Valleriana. Per fissare un solido punto di partenza, la necessaria premessa materiale di una
storia tutta da pensare e da scrivere, ora che tutto pare sia finito.
Se per lungo tempo da questi luoghi alti della montagna la gente scendeva verso il piano
e ritornava lassù portando con sé la ricchezza della vitalità economica e delle relazioni umane,
oggi ne è discesa per vivere altrove. L’arco di questi antichi paesi, di Fibbialla, Medicina,
Pietrabuona, San Quirico, Aramo, Castelvecchio con Sorana, Stiappa e Pontito, forma un bel
disegno quasi naturale, nel verde dei boschi inselvatichiti, con le antiche case, con le chiese e
i campanili, a testimonianza di un passato esuberante, nel silenzio del presente.
Pietrabuona mi pare che patisca questo immiserimento più di tutti gli altri paesi della
Valleriana perché, insieme con tutto il resto, subisce anche la chiusura e l’abbandono – lungo
il corso del torrente Pescia, che scorre ai suoi piedi – delle cartiere, un antico innesto manifatturiero nel suo territorio agricolo-pastorale. Questa zona infatti possedeva – e inutilmente
possiede ancora – due elementi naturali assolutamente necessari nella fabbricazione della
carta, della seta e del cuoio: l’acqua in discesa, che mette in moto le macchine, e il vento della
gola montana, che asciuga la produzione. Due elementi della natura oggi facilmente sostituibili in altro luogo, più comodo per un efficace impianto industriale, rispetto a Pietrabuona che
è luogo di difficile accesso. Ma nel passato bisognava collocare le manifatture dove fosse stato
possibile organizzare al meglio la produzione. Cosicché dal secolo XV a tutto il XIX, la zona di
Pietrabuona fu sede di importanti industrie, nate per iniziativa di uomini audaci, venuti anche
da lontano. Da costoro nacque poi la ricca e colta aristocrazia pesciatina, che troviamo al servizio della corte medicea e di quella di Roma, a cui più tardi successe una nuova generazione
risorgimentale, di una altrettanto aristocratica borghesia.
Con le sue cartiere, Pietrabuona entrò nella grande storia, almeno nella storia economica
dell’industrializzazione e dei commerci a grande distanza. E di riflesso entrò anche nella storia ecclesiastica, poiché forse non a caso, dall’inizio del secolo XVI, il parroco di Pietrabuona,
fino quasi all’epoca risorgimentale, fu di diritto il canonico tesoriere della prepositura di Santa
Maria di Pescia, espressione ecclesiastica, tra XVI e XVIII secolo, della potente aristocrazia cartaia pesciatina. Un altro interessante riflesso mi parrebbe anche che sia la strana e stonata
Presentazione
edificazione della nuova enorme chiesa parrocchiale, con la piazza e le abitazioni tutto intorno, come nuovo insediamento costruito subito fuori dell’antico paese: quasi con uno spirito,
direi, cittadino. La nuova chiesa fu inaugurata il 3 giugno 1849, come a dire negli anni del
maggiore successo produttivo delle cartiere di Pietrabuona, nel clima anche di rinnovamento
politico, in quel momento represso, ma di cui la ricca borghesia industriale pesciatina sarà protagonista. Se dunque la nuova chiesa ottocentesca, con le sue forme architettoniche sproporzionate ed estranee alla realtà del paese, non fu una stramberia del progettista, precorritrice
dei nostri tempi, bisogna pensare che abbia avuto un senso. Altrimenti dove erano il parroco,
il vescovo e la gente del luogo? Allora anche la chiesa nuova ottocentesca sarebbe un sintomo importante del processo storico locale, come lo sono certamente anche i precedenti ben
documentati spostamenti della chiesa locale. È infatti ben noto, per gli storici medioevisti, il
processo di spostamento del luogo di culto dall’esterno all’interno delle mura castellane, di cui
i diversi contributi di questo libro forniscono ampie e precise attestazioni. Secondo una tipologia del tutto comune, anche all’inizio di questa storia è testimoniata la presenza di un modesto oratorio, dedicato a San Michele, all’interno della cerchia muraria, e la presenza di una
cappella, dipendente dalla chiesa battesimale di Santa Maria di Pescia, al di fuori delle mura,
in modo da consentire l’accesso a tutta la popolazione del territorio. Sappiamo poi che nel
secolo XIV questa cappella esterna fu abbandonata (e trasformata in fortilizio) e l’ufficiatura
spostata nell’oratorio interno di San Michele, trasformato in una nuova chiesa di più grandi
dimensioni. Fatto che a me parrebbe indicativo della nascita di una parrocchia autonoma, o
almeno premessa pastorale per l’ottenimento del fonte battesimale. Era nato evidentemente
anche un comune rurale. In tal modo i vari spostamenti del luogo di culto con le necessarie
modifiche strutturali e architettoniche, mi pare dunque che potrebbero essere assunti come
importanti indici di evoluzione storica della comunità umana che là abitava.
Ma cosa è successo quando nel mondo agricolo del secolo XV si innestò la manifattura? E
nei secoli seguenti si distinse forse il modo di vivere e di pensare di chi abitava nel castello di
Pietrabuona (contadini e pastori) da chi invece abitava nel nuovo borgo nato ai piedi del colle
(lavoratori cartai)? E chi furono i parroci o i rettori e amministratori civici? L’ambito grande delle
manifatture come si rapportò all’ambito ristretto del paese? Di per sé non vediamo nessun nesso
organico tra agricoltura, pastorizia e manifattura della carta. I due ambiti assumono infatti un
senso non se confrontati, ma se riferiti al proprio più ampio contesto di ciascuno dei due.
Sono però molto contento di presentare al grande pubblico dei lettori questo libro: non è
ancora un libro di storia, anche se contiene contributi storici, ma è senz’altro una premessa assai
stimolante per la storia. Il rilievo urbano, che è l’oggetto scientificamente proprio di questo libro,
ci porta come in un viaggio all’indietro, attraverso i segni architettonici lasciati dal tempo. Ma
appunto per questo il lettore è invogliato a saperne di più: per curiosità, se si è fatto plasmare
dalla temperie culturale in cui oggi viviamo; per una meditazione sapienziale, se sente ancora nel
suo animo lo stupore per il mistero dell’avventura umana. Anche quella di un modesto mondo
paesano come Pietrabuona, di cui chi legge vuol sapere il senso, che ancora non gli appare.
Pescia, settembre 2012
Amleto Spicciani
15
Introduzione
16
A distanza di due anni dall’uscita del libro sul castello di Sorana, vede la luce il secondo volume della collana Quaderni di Rilievo Urbano, sezione Le castella della Valleriana,
che ha per oggetto l’insediamento di Pietrabuona. Ventiquattro mesi sono un tempo adeguato per analizzare un nucleo urbano di limitate dimensioni, come lo sono la maggior
parte dei dieci centri alto-medievali presenti nella cosiddetta Svizzera Pesciatina, secondo
le finalità stabilite all’inizio della ricerca: documentare le fasi di formazione e trasformazione dell’abitato.
Il metodo adottato è stato quello del confronto pluridisciplinare tra ricercatori appartenenti ad ambiti scientifici diversi: al fianco dagli architetti rilevatori hanno operato il
paesaggista, gli archeologici, il medievista, il geologo e lo storico dell’arte. Non sempre il
dialogo è stato semplice, talvolta sono nate delle incomprensioni che hanno spinto i singoli studiosi, ciascuno forte delle proprie certezze, ad arroccarsi su posizioni distinte, ma
la predisposizione all’ascolto ha in genere prevalso; quando non è stato possibile raggiungere una convinzione unanime, si è preferito mantenere le divergenti opinioni, rendendole manifeste all’interno del singolo articolo scritto da ciascun ricercatore, confluito
in forma integrale nel DVD. Indubbio rimane comunque il valore di questa formula; le perplessità dell’uno hanno trovato spesso risposta nell’altro in un crescendo di informazioni
apparentemente scollegate tra loro che, proprio grazie alle molteplici competenze presenti nel gruppo di lavoro, è stato possibile riunire all’interno di un puzzle di non facile
composizione, conferendo loro nuovi e più densi significati.
Dal punto di vista redazionale, il libro mantiene la stessa impostazione conferita a
quello su Sorana. È sembrato infatti opportuno, al fine di agevolare una eventuale lettura incrociata delle due opere, lasciare inalterata la suddivisione dei capitoli e la ripartizione dei paragrafi. Vorrei qui ricordare che il presente volume cartaceo ha uno scopo eminentemente divulgativo, ma non per questo scientificamente meno probante, e che dietro la veste del testo monografico di “agevole” lettura vi sono in realtà dei contributi di
ricerca di ben altro tenore, rivolti specificatamente ad un pubblico di esperti, che qui sono
stati sintetizzati ed armonizzati per conferire organicità a quello che vuole essere, nelle
intenzione di chi scrive, un compendio della storia urbana di Pietrabuona.
Il testo non si prefigge di esaurire tutti i possibili interrogativi che riguardano le vicende storico-architettoniche del paese; è vero semmai il contrario: il volume potrebbe infat-
Introduzione
ti generare nuovi dubbi, dare adito ad ulteriori ipotesi che qui non sono state formulate
o spingere verso inediti filoni di indagine. Saremmo fieri se anche solo una di queste tre
ipotesi si inverasse, poiché avremmo, come ricercatori, dato il nostro apporto affinché l’interesse verso lo studio e l’analisi dei centri storici possa proseguire nel tempo con sempre maggior vigore, nella convinzione che solo un’approfondita conoscenza delle dinamiche del passato possa consentire una corretta pianificazione degli interventi futuri.
A tale proposito il DVD allegato al volume, ma a tutti gli effetti una pubblicazione a
sé stante, racchiude, oltre agli articoli di ciascun ricercatore, gli apparati che, per ragione
di spazio, non sono potuti confluire nell’opera cartacea (trascrizioni dei documenti storici, schede sui “simboli, epigrafi e segni dei lapicidi”, raffronti tra le opere realizzate dagli
architetti Bernardini, dati delle campagne di rilevamento, database delle qualità edilizie
ed urbane, archivio fotografico, modelli 3D dell’abitato e rilievi sia dell’intero insediamento che delle singole emergenze architettoniche). Questo insieme di documenti – salvati nel formato nativo e, pertanto, editabili –, che va sotto il nome di Materiali per la
Ricerca, dovrebbe facilitare tutti coloro che sono interessati a continuare gli studi intrapresi sui centri della Valleriana. L’equipe fa vanto anche di questo, rimanendo un unicum
in un panorama nazionale, nel quale ancora troppo spesso i ricercatori custodiscono i loro
prodotti con inaccettabile gelosia.
Il volume è articolato in tre capitoli, a loro volta suddivisi in paragrafi sottotematici. Il
capitolo I ha come oggetto il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore; la lettura del
paesaggio, quale disciplina di sintesi, offre infatti la possibilità di mettere in rapporto le
diverse informazioni provenienti dagli studi realizzati su di una determinata parte di territorio e di andare così a cogliere quelle relazioni che si instaurano tra le componenti che
lo costituiscono, desumendone Il quadro d’insieme: si è fatto riferimento, nello specifico,
alla struttura geologica (Evoluzione geologica del paesaggio), al sistema idrografico e alla
rete dei percorsi (Le strade) e al sistema produttivo (Il sistema produttivo), indissolubilmente legato alle risorse naturali presenti nel territorio.
Non è stato ritenuto opportuno, in questa sede, fornire nuovamente un riepilogo delle
principali fasi insediative di quest’area montana, essendo già state trattate nel volume su
Sorana, al quale si rimanda.
Il capitolo II affronta nello specifico il castello di Pietrabuona. Il paragrafo, Aspetti geologici e geomorfologici, contribuisce a chiarire la genesi della forma dei luoghi, siano essi
naturali (in particolare legati all’orografia del territorio ed ai litotipi presenti) o artificiali
(per ciò che concerne i materiali lapidei con i quali è stato costruito il castello). In un paragrafo a sé (Note storiche) sono stati riportati i principali eventi politico-sociali accorsi al
borgo tra il X ed il XX secolo. Nonostante i numerosi documenti inediti rintracciati negli
archivi consultati, dalla loro lettura non è emerso nessun dato significativo in grado di far
17
Il castello di Pietrabuona
18
progredire la conoscenza degli avvenimenti storici, mentre si sono rivelati di fondamentale importanza nella ricostruzione delle vicende legate alla struttura urbana ed ai suoi
principali edifici.
La sinergia tra archeologi dell’architettura e architetti ha consentito di associare a un
rilievo accurato una lettura critica delle evidenze materiali, confluita nel paragrafo
Indagine archeologica sulle architetture, permettendo di fatto di ampliare, grazie anche
all’importante contributo degli altri studiosi, la conoscenza storica del centro rurale.
Il paragrafo Fasi di formazione e sviluppo tratta infatti delle dinamiche urbane ed edilizie avvenute in seno al castello, dove per “edilizia” si intende tutto ciò che l’uomo ha
costruito nei secoli con finalità inerenti al semplice abitare (edilizia di base) e al vivere
sociale, spirituale e produttivo (edilizia speciale). Questi ultimi edifici: La Rocca, L’oratorio
di San Michele Arcangelo, La chiesa dei Santi Matteo e Colombano, Il palazzo pubblico,
L’ospedale di San Matteo, La fontana pubblica e Le cartiere “San Rocco”, oltre al trecentesco sistema di costruzioni militari atte a proteggere il castello, sono stati oggetto di
uno studio minuzioso, confluito ciascuno in un paragrafo, nel quale, a lato del rilievo, vengono analizzati i caratteri costruttivi e stilistici dell’edificio e descritte le vicende che gli
sono accorse nel tempo.
Ma le architetture “speciali” presenti nel centro abitato sono anche i luoghi deputati
ad ospitare le opere d’arte che nell’arco dei secoli sono state realizzate in ambito locale
o importate dai centri maggiori. Le testimonianze artistiche presenti a Pietrabuona,
oggetto del paragrafo L’immagine descritta, pongono il borgo in una posizione culturale
tutt’altro che marginale nel panorama artistico toscano tra Trecento e Seicento, nella
quale è possibile ravvisare una vivacità sempre pronta a far propri gli elementi elaborati
nelle botteghe dei più importanti maestri di allora.
Testimoni silenziosi del grado di erudizione di una comunità, le raffigurazioni impresse nella pietra dall’evidente valore simbolico, le epigrafi e i disegni lasciati dai lapicidi sui
manufatti da loro realizzati, una volta riconosciuti e interpretati in relazione alla rispettiva collocazione in seno alla città, consentono di ascrivere un’opera ad un’epoca piuttosto che ad un’altra.
La lettura del rilievo ha consentito, infine, di avanzare alcune ipotesi sull’esistenza di
un progetto alla base della realizzazione del circuito murario trecentesco (La cerchia delle
mura) e sul significato ascrivibile al particolare orientamento della porta Bolognese
appartenente a questa stessa cinta (Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali).
Il paragrafo L’ambiente urbano posto a chiusura di questo capitolo contiene la descrizione dei caratteri che connotano oggi gli spazi pubblici del castello: tipologia e stato di
degrado delle pavimentazioni, dei paramenti murari, degli infissi esterni, dell’impiantisti-
Introduzione
ca pubblica, del sistema di smaltimento delle acque piovane e di quanto altro contribuisce a formare l’immagine di un luogo. Informazioni che sono state desunte mediante una
schedatura realizzata in loco durante la campagna di rilevamento e confluita in un database informatizzato.
Il terzo ed ultimo capitolo ospita tre diversi contributi che affrontano nel dettaglio gli
aspetti legati ai metodi ed agli strumenti utilizzati nel rilevamento del centro abitato e
nella successiva fase di restituzione grafica dei dati. In particolare, nel paragrafo La rappresentazione del castello sono riportati i primi esiti di un progetto nel quale si è tentato
di mettere in relazione, grazie all’impiego dei software dedicati al game engine, il database contenente le informazioni sulle qualità edilizie e urbane di Pietrabuona con il suo
modello 3D, realizzato utilizzando procedure di reverse modeling, retopology e baking.
Conclude l’opera una corposa Appendice nella quale sono confluiti un elenco dei
toponimi che ricorrono nella tradizione orale, con il relativo significato, e l’indice delle
schede iconologiche, necessario per poter comprendere quali sono stati i simboli, le epigrafi ed i segni dei lapicidi indagati. Seguono, infine, le indicazioni bibliografiche dei testi
consultati e l’indice degli autori che hanno preso parte alla ricerca.
Alessandro Merlo
Ricercatore confermato
docente di Rilievo Urbano e Ambientale
19
Il significato dei nomi
20
Pietrabuona è il primo paese della montagna che si incontra risalendo verso Nord la
strada Mammianese lungo la sponda destra del torrente Pescia. L’attuale insediamento è
costituito principalmente da tre nuclei abitati: Castello, La Croce e San Giovanni.
Castello1 (o Bicciuccolo) sorge su uno sprone di roccia a metri 186 sul livello del mare.
Il primitivo insediamento era situato più a Nord dell’attuale paese, nel luogo denominato Santo Vecchio, e probabilmente da lì spostato in seguito delle incursioni degli Ungheri.
Dall’altura era possibile dominare il corso dei torrenti Pescia, Torbola e San Rocco e controllare l’accesso alla retrostante montagna e, conseguentemente, i percorsi che attraverso la val di Lima e il passo di Boscolungo (Abetone) raggiungevano la valle del Po.
La Croce2 e San Giovanni3, sono borghi generati dalla viabilità di lungo fiume.
La Croce è situato lungo il tracciato del percorso che va da Pescia al Ponte di Sorana
(risalente al 1808, è stato ricalcato parzialmente dalla Regia Strada Mammianese4 fino
al luogo detto Le Due Vie), nel punto in cui gli antichi cammini si dividevano, presso il
ponte sul rio di San Rocco, per salire al Castello e alla montagna. Fanno parte di questo
borgo le località denominate Terrasanta5, Rimigliari6 e Le Carte7.
San Giovanni si trova lungo la via Mammianese Nord. Sono sue appendici i nuclei de
La Pettorina8, del Ponte di Gemolano9, de L’Inferno, de La Fabbrichina di Sotto, di Santa
Caterina, de La Ferriera10 e di Chievi (o di Pilucco)11.
Appartenente al vicariato di Pescia, fino alle riforme leopoldine del 1772, Pietrabuona
ebbe un proprio statuto comunitativo; dal 1775 fu unita alla comunità di Vellano, mantenendo in loco uffici e magistrature, come si disse allora “per la comodità degli abitanti”. Questa situazione rimase inalterata sino al 1844 quando, con la costruzione della
Regia Strada Mammianese, il paese di Vellano rivendicò la sede comunale. La modifica
della giurisdizione amministrativa, a seguito dell’unione dei due territori, ebbe come inevitabile conseguenza la variazione dei confini e con essa lo scadere del senso di appartenenza alla comunità: dall’andamento dei limiti amministrativi, infatti, dipendeva a quel
tempo la disponibilità di spazio per le coltivazioni, per i boschi e per gli opifici, in sostanza la qualità stessa della vita di un paese12.
Pietrabuona possiede oggi un territorio limitato, forse il più piccolo fra le frazioni del
comune di Pescia, che va dal limite con la comunità di Vellano, fino alla località detta Al
Monte, sulle pendici settentrionali del monte Cupola13, attraversando da Est ad Ovest la
Il significato dei nomi
Toponomastica dei luoghi: 3. In fondo all’Arco; 11. Callone; 13. Campone; 16. Dietro il Canto; 20.
Cartiera del Magnanini; 22. Case di San Rocco; 26. Sotto la Chiesa; 27. Alla Chiesa vecchia; 30. Cimitero;
31. Dietro il Cimitero; 32. Cipresseta del Magnani; 34. Al Circolo; 40. La Croce; 41. Prato della Croce;
46. A mezzo all’Erta; 47. In fondo all’Erta; 49. Ponte della Fabbrichetta; 52. Porta Fiorentina; 53. Fontana
sulla Piazza; 57. In fondo alla via delle Fontanelle; 59. Frantoio delle Carte; 68. Da Guazzino; 75. via della
Madonnina; 79. strada di Medicina; 82. Molino delle Carte; 83. Alla curva del Molino; 86. Porta della
Montagna; 87. Al Monumento; 89. via dell’Ortola; 92. Nel Pantano; 93. Parco della Rimembranza; 96.
Nelle Piagge; 100. Piazza; 101. In fondo alla Piazza; 103. Ponte della Croce; 104. Sulla Porta; 105. Nel
Pratino; 112. Alle Case nel Rio; 113. Al Ponte di San Rocco; 114. Sulla Ruga; 118. Al ponte di San
Giovanni; 119. Case di San Rocco; 127. via del Santo Vecchio; 130 In cima allo Scorcione; 131. Alle
Scuole; 137. Al Teatro; 151. Villa Galeotti; 153. Prato della Villa; 154. Sulla Villa (cfr. par. Indice della toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona, in questo stesso volume).
21
Il castello di Pietrabuona
valle della Pescia Maggiore e le contigue vallecole del rio Torbola (o Torbolino) e del rio
del Cerreto (o di San Rocco).
I contadini mezzadri vivevano nei poderi, in case sparse sui poggi di Zano, del Santo
Vecchio, Salvareggi e Vallebuia in Vallemagnola, Pianizzori e Le Carderelle14, collegati fra
loro fino a tempi recenti da mulattiere ora sostituite da più comode rotabili. I percorsi
principali dipartivano dal luogo detto In Fondo alla piazza, presso l’Arco della Vecchia
Dogana, costruita là dove La Selletta, situata fra il poggio del Santo Vecchio e Castello,
costituiva un passaggio obbligatorio per coloro che volevano recarsi da Pescia verso i
paesi della montagna. Nel 1808, dopo l’apertura della strada che passava dalla via di
Cima al Prato della Croce, superava il ponte e scendeva in riva sinistra della Pescia, per
poi risalire sulla riva destra fino a San Giovanni15, la dogana fu spostata in fondo all’Erta
di San Rocco.
La popolazione, con riferimento alle attività esercitate, si suddivideva fin da tempi
remoti in almeno quattro gruppi: possidenti (numericamente piccolo, ma economicamente importante), contadini e mezzadri (il più numeroso, ma finanziariamente debole), cartai, artigiani e commercianti (cospicuo e dotato di risorse economiche) e scalpellini16
(assai nutrito ma, salvo poche eccezioni, poco agiato).
Rodolfo Vanni
NOTE
22
1 La forma attuale del castello è definita dal circuito di ronda dal quale dipartono le tre vie della
Porta, dell’Ospedale e di Sotto al Campanile, che convergono nella piazzetta davanti alla chiesa vecchia.
2 Denominazione dovuta ad un croce posta lungo la strada da Pescia al Ponte di Sorana, davanti
alle scuole (ora Museo della Carta).
3 Il nome deriva dalla chiesa che si trova sul lato Ovest della via Mammianese e che fu il famedio
delle più note famiglie interessate all’attività cartaria.
4 Ha inizio nel luogo detto Porto di Altopascio, dove terminava il fosso Imperiale che drenava il lago
di Bientina fino all’Arno e, dopo aver risalito i poggi di Vellano fino a Macchino, proseguiva lungo lo spartiacque della Nievole, dell’Ombrone e del Reno per scendere per la via di Prataccio dalla chiesa di
Prunetta nella vallecola della Verdiana alle Ferriere di Mammiano, dove si ricongiunge, nel luogo detto
L’Indicatore, con la Regia Strada Nazionale Giardini Ximenes (da Pistoia a Boscolungo, Pievepelago a
Modena) ora SS. n° 66.
5 Luogo di un antico cimitero risalente alla peste del 1330 di boccaccesca memoria.
6 Situato a circa due miglia da Pescia. A 100 metri dal ponte si trova il cippo del terzo chilometro,
che corrisponde alla distanza di 2 miglia (circa metri 3.200). Il prefisso Ri- indica il rivo che scorreva presso quella pietra miliare.
7 Sede di una delle più antiche cartiere della zona, ora parte del Centro per la Documentazione e
Museo della Carta, denominata anche Largo Reale.
Il significato dei nomi
8
Nucleo abitato sorto lungo la strada, dove esisteva un’antica cartiera di proprietà della famiglia Bini.
Ponte che collega la sponda destra con quella sinistra della Pescia presso l’omonima cartiera, già
Magnani, ora Bocci, che era specializzata nella produzione di cartone per uso industriale.
10 Nomi di cartiere, ormai quasi tutte dismesse, sulla sponda destra della Pescia, eccetto La Ferriera
che si trova sulla sponda sinistra.
11 Attuale cartiera funzionante della famiglia Carrara (Carma). Fu distrutta dalla piena della Pescia
del 21 settembre 1868, ricordata come la piena di San Matteo.
12 Descrizione del confine comunicativo prima della riforma Leopoldina del 1772: da Nord-Est, in
senso antiorario, a Nord il confine è segnato dal rio del Cerreto (C.T.R. Cerreta, ma su carta I.G.M. rio
Framigno), che discende dal poggio delle Tregiaie e versa in riva sinistra nella Pescia, risalendo controcorrente fino alle Case Begliomini presso la cartiera di Sant’Ilario, poi si sposta in riva destra nel luogo
ove esisteva la cartiera detta di Pilucco (ora stabilimento Carma) e risale verso Ovest la ripida costa del
colle di Chievi, attraverso il bosco ricordato come dei Frati Neri (congregazione religiosa dipendente
dall’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, insediati a Pescia davanti alla chiesa di Sant’Antonio in
via Sant’Antonio, ora parte del complesso ospedaliero di Pescia). Giunge fino al luogo detto Il Confino
d’Aramo, da dove scende lungo la forra di Vallemagnola nel torrente Torbola e lo attraversa nella località Molino del Galluzzi, dove è segnato per un breve tratto dal rio del Maleto (confine con Fibbialla) fino
al cippo confinario fra lo Stato di Lucca a Nord ed il Granducato di Toscana a Sud; continua poi verso
Sud-Ovest risalendo la costa nel luogo detto Salvareggi e Vallebuia per raggiungere colle Moroni (confine con Medicina) a Nord del Santo Vecchio. Discende nella valle del rio del Cerreto (o di San Rocco),
passando dal luogo detto Al Termine, presso la casa del podere omonimo, per un cippo confinario (il
cippo è collocato in un ripiano al di sotto dell’attuale strada rotabile comunale che da Pietrabuona va a
Medicina) attraversa il torrente a Nord del ponticello di Castagnaia (o di Beppe), che costituiva l’attraversamento del settecentesco acquedotto granducale che raccoglieva le acque della sorgente per condurla con una tubazione di coccio alla fontana pubblica collocata all’inizio della via delle Cartiere, ora
denominata via del Cimitero. Risaliva poi la costa lungo la mulattiera che conduce ai ruderi del Molino
di Fobbia (o dei Medicini). Subito dopo aver attraversato il ponticello di Castagnola esiste, se non asportato, un cippo confinario fra lo Stato di Lucca ed il Granducato di Toscana. Dalla località detta Il Metato
dei Colletti si discende nel rio di Fobbia (che scaturisce alla fontanina di Sant’Anna sotto il pianoro di
Culmine, dove permangono i ruderi del romitorio) e che, dopo averlo attraversato, risale il fosso di Lame
(o delle Gilete per i Pietrabuonini), lungo la parte Nord del poggio delle Gilete; quindi percorre il crinale a confine con Villa Basilica fino al poggio della Romita. Percorre poi in discesa per un breve tratto il
fosso di Spareti, da dove si sposta sulle pendici settentrionali del monte Cupola per scendere verso Nord
e raggiungere la località detta In Cima alla Salita di San Lorenzo (o delle Macine; in questo luogo fino
agli anni Cinquanta del XX secolo esisteva una fontana con abbeveratoio), scende nella Pescia e percorre controcorrente l’alveo fino allo sbocco del rio dell’Asino, che risale fino alla località Pian dei Pruni,
dove esiste una delle più importanti sorgenti dell’acquedotto che alimenta, insieme a quelle di
Castagnaia, un serbatoio di ricarica molto grande, costruito negli anni ‘60 del secolo XX all’inizio della via
del Santo Vecchio, poco al di sopra della villa Galeotti. L’acquedotto alimenta tutta la rete idrica del paese
per caduta (l’acqua raggiunge a pieno carico l’altezza del campanile). A questo punto il confine si riuniva
nei boschi delle Carde (Carderelle, C.T.R.), dopo aver attraversato le pinete nella valletta del rio Framigno
(o Cerreta, C.T.R. al di sopra del ponte omonimo e seguiva il confine con la comunità vellanese.
13 Le rogazioni maggiori andavano verso i confini della diocesi, raggiungendo processionalmente i
luoghi de La Croce fino al confine con Santa Margherita, presso la fontanina di San Lorenzo, le Case
9
23
Il castello di Pietrabuona
24
Pianizzori (o da Brenciolo) ed il podere di Bonello nelle Carde. Un’altra risaliva il colle della Magia, percorreva la mulattiera per Aramo ed arrivava fino al Confin d’Aramo sull’ultimo colle di Chievi; discendeva poi in Vallemagnola e qui al ponte del Galluzzi sul rio del Maleto presso il Molino del Galluzzi, percorreva la via di Torbola per ritornare alla chiesa. Altri luoghi visitati erano quelli che risalivano la via del
Santo Vecchio fino al luogo detto Al Termine per discendere poi al ponticello di Beppe ed andare al cippo
confinario di Castagnaia con Medicina. La più lunga e più faticosa era quella che risaliva il colle di Zano
e raggiungeva il luogo detto Al Monte, al confine con il comune di Villa Basilica. Le processioni, invece,
generalmente si svolgevano fra la piazza, il Castello dentro il Canto, La Villa, via della Madonnina e rientro sulla piazza dalla via dell’Ortola. Solo nelle rare occasioni di processioni speciali o pluriannuali queste, dopo essere salite in Castello, compiendo il giro delle mura tornavano sulla piazza, scendevano l’Erta
di San Rocco, passavano il ponte omonimo fino al luogo detto Alla Cabina e di qui entravano sulla provinciale che percorrevano fino a San Giovanni dove, nel luogo detto Alla Cooperativa, ritornavano lungo
la strada da San Giovanni alla chiesa, dove si concludevano i riti religiosi. Processione tradizionale con
luminaria era quella di San Matteo (ordinata dagli statuti della Compagnia) la sera del 20 settembre che,
uscita di chiesa saliva in Castello, percorreva la Ruga, andava alla chiesa vecchia per poi scendere la salita della Porta e rientrare sulla piazza alla chiesa parrocchiale. Altre erano quella annuale del Corpus
Domini e quella delle feste quinquennali della Madonna (la prima domenica dopo il 15 di agosto, e quella del 21 settembre di San Matteo quando la festa era decennale). La Regina del Rosario ha la particolarità di essere vestita, nonostante le disposizioni del concilio tridentino; fino all’ultima festa solenne con
processione del 1972 disponeva di un corredo di abiti che ogni cinque anni erano sostituiti; questi abiti
erano di colore bianco, giallo, azzurro e rosa. Altre feste religiose erano quelle di San Colombano, compatrono della chiesa, detta la festa dei contadini, il 26 novembre, e quella assai più solenne di Santa
Caterina d’Alessandria, il 25 novembre. Tra i devoti di quest’ultima i cartai e tutti coloro che avevano ed
hanno la ruota fra gli strumenti di lavoro.
14 Dove esistono abitazioni rurali e annessi per le lavorazioni.
15 La Croce e San Giovanni sono due borghi di strada che si consolidarono dopo il 1808 con la
costruzione della “barrocciabile” Pescia-Ponte di Sorana. Prima di allora la strada più importante proveniva da Pescia, passava il ponte di San Rocco, saliva l’erta e, nel luogo detto In fondo alla piazza, si divideva in diversi rami che andavano verso i paesi della montagna e ai confini occidentali della giurisdizione fiorentina in Valdinievole. Le strade che collegavano i diversi luoghi del territorio paesano erano denominate: La Salita, fra La piazza e La Porta del Castello; la Ruga o anche via del Fondaccio, antico percorso di ronda delle mura castellane ancora intatto; la strada del Pantano, dal Fondo della piazza a San
Giovanni, che era parte della strada proveniente da Pescia, nel tratto fra La Croce e La piazza denominata l’Erta di San Rocco; la via delle Cartiere, ora denominata via del Cimitero, da La piazza alla località
Le Carte; la strada della Porta Fiorentina, dall’omonima porta a Mezzogiorno del castello (ora quasi completamente distrutta, rimangono i resti di uno stipite appoggiato alla rupe), incrocia la via della Cartiere
e, avvolgendo le coste del poggio, scende al ponte di San Rocco; la strada del Rio o de La Fabbrichetta,
o dell’Orticaia, la strada detta del Poggio di Zano, la strada lungo la riva destra del rio di San Rocco che
dal ponte della via del Poggio collega tutti i poderi sulla riva destra del rio di San Rocco e, nel luogo
detto Alla Capanna di Maggino, sale lungo la mulattiera della Rivolta fino alle località dette Al Monte e
Pian dell’Eremita o Case Romita sul monte Telegrafo; una strada per il Poggio di Zano iniziava anche
dalla via Mammianese, a Sud de La Croce in località via Canina, nel tempo corso Reale, ora Giacomo
Matteotti, risaliva lungo la sponda sinistra del rio del Rimigliari passando per la località A Mata, saliva
fino alla località Il Monte, al confine con la comunità lucchese di Villa Basilica, dove incontrava la stra-
Il significato dei nomi
da del crinale che collegava Pescia con la montagna; la via del Santo Vecchio, dal luogo detto In fondo
alla piazza a Medicina attraversando i luoghi detti Case del Santo Vecchio, Il Colletto, Al Termine (dove
sorge un cippo confinario fra la repubblica Lucchese e lo stato Fiorentino), colle Moroni, Le Case della
Cornia (anche Quornia), Le Pillottore, Campiano; la strada di Aramo e della montagna per la val di
Torbola si staccava a mezza costa dalla strada del Pantano, passava dietro le case Davanzati di Meino,
scendeva al ponte sulla Torbola e risaliva il poggio della Magia verso Nord, attraverso le località Piante
Vignole, Il Trasserro, Vallemagnola, percorreva poi il crinale del colle di Chievi, raggiungendo il luogo
detto il Confino d’Aramo. I nuclei di Terrasanta, La Croce, San Giovanni, La Pettorina, Gemolano,
L’Inferno, Santa Caterina, La Ferriera e Chievi si trovano lungo il torrente Pescia e furono collegati fra loro
fin dal 1808 dalla prima strada barrocciabile della valle da Pescia al Ponte di Sorana, copiata per lungo
tratto dal 1841, fino alla località detta Le Due Vie dalla Strada Provinciale Mammianese. Questa strada,
attraverso mulattiere, collegava col fondo della valle i paesi di Vellano, Serra Pistoiese, Calamecca,
Crespole, Lanciole, Pontito, Stiappa, Castelevecchio e San Quirico di Valleriana.
16 Gli scalpellini di Pietrabuona e Vellano vantavano un’antichissima tradizione: cavavano l’arenaria
dalle viscere della montagna e la riducevano in lastrico per strade, cordoli, soglie, stipiti, portali di palazzi, ghiere da pozzo, acquai, pile, bozze per le arcate dei ponti (una delle ultime opere in pietra realizzate da queste maestranze nella zona fu la ricostruzione del ponte del duomo a Pescia, distrutto dai tedeschi in ritirata nel 1944 con tutti gli altri ponti della strada Mammianese), molazze da cartiera ed altre
parti utili all’attività industriale ed edilizia. L’attività di questi operai era ben conosciuta in Toscana e nelle
città vicine, dove inviavano talvolta i manufatti o dove andavano a prestare la loro attività (per esempio
fornirono il materiale per la lastricatura della città di Livorno e lavorarono alla preparazione dei materiali per la stazione monumentale di Montecatini Terme).
25
Capitolo I - Il paesaggio
dell’alta valle del Pescia Maggiore
Il quadro d’insieme*
Percorrendo la via Mammianese1, che
da Pescia raggiunge i rilievi dell’Appennino, dopo aver superato in destra del fiume Pescia l’imbocco della valle stretto tra
versanti ripidi e boscati, si giunge in prossimità di una curva, dalla quale è possibile
abbracciare percettivamente “un quadro
unitario” che ha come soggetto il fiume ed
il castello di Pietrabuona (fig. 1), sentinella
della porta di accesso alla Valleriana posta
a controllo della viabilità principale e dell’ingresso alla valle stessa2.
Dal punto di vista morfologico si tratta
di una sezione di valle relativamente aperFig. 1 - Il castello di Pietrabuona e il suo paesaggio visto
ta rispetto al resto del territorio situata su- dalla via Mammianese
bito dopo la strozzatura posta a Meridione
che la separa dalla pianura della città di
Pescia, prima che a Nord la valle stessa cominci a salire verso il piano montano, dove si
trovano le altre nove castella della cosiddetta Svizzera Pesciatina3. Poco a Sud del paese
il corso d’acqua, che raccoglie i due bracci della Pescia e alcuni rii minori, compie un’ansa, in prossimità della quale la sezione del fiume fu ampliata nel 1864, modificando un
tratto della strada Mammianese, per evitare i pericoli dovuti alle esondazioni durante i
momenti di piena.
Pietrabuona sorge su di un “gradino-crinale”4 posto alla confluenza delle due valli interne (la val di Forfora e la Val di Torbola) e caratterizzato geologicamente dal macigno,
che ha fornito gran parte delle pietre utilizzate fino a poco più di un secolo fa per realizzare abitazioni, chiese, selciati, fonti, muri e strade.
È possibile riconoscere tre importanti fasi storiche che hanno portato all’attuale configurazione dell’impianto urbano di Pietrabuona:
27
Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore
– il castello medievale, che sorge a solatio
su di un “gradino” morfologico e presenta
la tipica struttura “avvolgente” del periodo,
seguendo l’andamento morfologico del rilievo, con la rocca posta nel punto più elevato. La presenza dei sottostanti versanti,
un tempo riccamente terrazzati e coltivati,
doveva accentuare il carattere difensivo delle mura, oggi in parte distrutte o inserite all’interno di altri edifici, e creare una cortina
inaccessibile. Dalla strada che cinge l’antico
nucleo, ricalcando l’andamento del circuito
murario, è possibile godere di ampie viste in
Fig. 2 - Borgo San Giovanni
direzione del paesaggio circostante, mentre
all’interno del borgo si ritrovano strette vie
rivestite in pietra.
– l’espansione sette-ottocentesca che si distende sul crinale a monte (denominato
Poggio della Romita) ed è collegata all’antico nucleo da una ampia piazza. Posta su di
una “sella” relativamente pianeggiante,
questo tipico spazio di cerniera, dal quale si
beneficia di ampie e aperte visuali, ospita
l’ottocentesca chiesa dei Santi Matteo e
Colombano, un parcheggio, il monumento
ai caduti e tre esili palme (Trachycarpus fortunei), configurandosi oggi come il principale spazio collettivo del centro abitato.
– le espansioni otto-novecentesche, comuFig. 3 - Borgo La Croce
nemente chiamate sobborgo di San
Giovanni (fig. 2) e de La Croce (fig. 3). Il primo, che deve il suo nome alla stretta relazione con le attività delle cartiere nate in prossimità del fiume5, ha la tipica forma del borgo lineare lungo strada (fig. 4), sviluppatosi ai
piedi del castello medievale. Il secondo è posto nelle immediate vicinanze di uno slargo
sulla via Mammianese, a lato del Museo della Carta ed è caratterizzato da un breve filare
di platani, due gelsi, il ponticello di San Rocco e altri elementi di arredo “minore”. Infine,
la strada Mammianese, scorrendo nel fondovalle parallela al corso del fiume, offre a sua
28
Il quadro d’insieme
volta inediti affacci sulla Pescia e sui versanti delle valli circostanti (fig. 5).
Tornando al “quadro di insieme”, sono
proprio i versanti delle valli a formare le
quinte del castello ed i crinali a limitare lo
spazio visivo. Le aree boscate dominano invece lo sfondo, presentando un’alternanza
di boschi di cerro e roverella, castagneti e
ampie zone a pino marittimo, robineti6 e
qua e là qualche cipresso, oltre ad un sistema insediativo storico-rurale sparso, costituito in prevalenza da poderi e da numerose aree terrazzate a ciglioni, coltivate prevalentemente ad olivo, con qualche vigneto Fig. 4 - La via Mammianese
disposto sul margine del declivio. I ciglionamenti presentano la tipica trama a “girapoggio” di forma rettangolare e si fanno
più consistenti in prossimità del centro abitato (fig. 6).
Nello specifico, il crinale che culmina con
il Poggio della Romita e con il nucleo medievale presenta un’estesa area coltivata ad
oliveto, mentre le aree boscate vanno a
concentrarsi nella parte inferiore del pendio.
Lungo la Pescia è presente la tipica vegetazione ripariale costituita da salici e ontani, alla quale si associano processi di colonizzazione di robinia; il corso d’acqua riunisce intorno a sé anche le attività umane più
Fig. 5 - La Pescia, il borgo otto-novecentesco de La Croce
vivaci, come le già citate cartiere, le aree e il castello medievale
sportive (il campo da calcio) ed alcuni orti.
Ciascuna di queste parti brevemente descritte7 è costituta da segni che si legano strettamente gli uni agli altri (fig. 7): la strada
e i borghi otto-novecenteschi sono un tutt’uno e percorrono insieme l’andamento del
fiume. I terrazzamenti, le stesse aree boscate e l’impianto medievale seguono la morfologia dei luoghi, non alterando né causando discontinuità; anche gli edifici delle cartiere,
fuori scala rispetto alle dimensioni delle architetture del borgo, sono collocate secondo
29
Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore
Fig. 6 - I versanti della valle modellati dai ciglionamenti
30
logiche insediative che nascono dal luogo stesso e dalla sua forma. Ogni elemento nel
“quadro di insieme” sembra essere in simbiosi con ciò che lo circonda.
Dal confronto della situazione attuale con il volo GAI del 1954 si evince che la struttura del paesaggio di Pietrabuona è ancora sostanzialmente integra e non ha subito particolari alterazioni: il centro abitato, seppure il più vicino alla città di Pescia8 rispetto alle
altre castella, non è stato investito dalle espansioni contemporanee, spesso prive di forma e realizzate con tipologie architettoniche decontestualizzate, consentendo ancora di
leggere gli impianti storici che lo costituiscono. I ciglionamenti, per quanto in fase di abbandono, non mostrano particolari problemi di cedimento rispetto ad altre strutture
idraulico-agrarie presenti in Toscana.
L’abbandono o la presenza stagionale, la mancanza di una popolazione stanziale sia
nel centro abitato, sia negli spazi agricoli posti a corona intorno ad esso, possono però
comportare un aumento consistente del bosco9, la chiusura definitiva delle isole poderali, il crollo dei ciglionamenti e il degrado delle architetture rurali, modificando gradualmente il carattere sia storico-culturale, sia ecologico-naturalistico della valle.
Il quadro d’insieme
Fig. 7 - Il disegno del paesaggio di Pietrabuona
31
Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore
NOTE
* Dal contributo originario “Una lettura di sintesi per il paesaggio del castello di Pietrabuona” di
Emanuela Morelli nel DVD allegato al volume.
1 La via Mammianese da Pescia attraversa longitudinalmente la valle, raggiunge la località di
Mammiano per poi immettersi nel Modenese (Strada Regia Modenese/Strada Ximeniana PistoiaModena). Antica viabilità, posta centralmente tra Pistoia e Lucca, permetteva i collegamenti della
Valdinievole con la Pianura Padana, superando i rilievi dell’Appennino. Nel 1838, così come molte altre
strade appenniniche, Leopoldo II di Lorena ne promosse un progetto di ammodernamento.
2 La lettura del paesaggio, quale disciplina di sintesi, offre la possibilità di mettere in rapporto le
diverse informazioni provenienti dai molteplici studi effettuati su di una determinata parte di territorio,
andando così a cogliere quelle relazioni che si instaurano tra le diverse componenti che lo costituiscono: il paesaggio infatti, sia che lo si voglia affrontare sotto il profilo visivo e percettivo, sia ecologico,
naturalistico, storico o come fatto culturale, è innanzitutto “relazione”. Il “disegno” del paesaggio, inteso come l’insieme di segni impressi al territorio nel corso dei secoli, sia dall’azione dell’uomo che della
natura, è a sua volta un efficace strumento, anche se ovviamente non l’unico, di lettura e rappresentazione. I segni, pertanto intesi in questo caso come le “forme disegnate” sul territorio da eventi naturali
o antropici, portano con sé una “indeterminata” quantità di informazione; la loro collocazione spaziale
e le modalità con cui si aggregano gli uni con gli altri determinano significato e ruolo, ciò che comunemente negli atti di pianificazione e di progettazione è riconosciuto come “valore” o oggetto di degrado
e alterazione.
3 La Svizzera Pesciatina viene spesso fatta coincidere con il territorio della Valleriana. Il toponimo
Valleriana, oggi utilizzato indistintamente per designare le due valli del torrente Pescia di Pescia, ha indicato invece, sin dall’alto Medioevo, la sola vallata occidentale, attraversata dal torrente Pescia di
Pontito, in riferimento al piviere di San Tommaso “de Arriano” (Castelvecchio), mentre quella orientale,
percorsa dal torrente Pescia di Calamecca (poi di Vellano nel ramo più a valle), costituiva quella che dovrebbe più correttamente essere chiamata valle Avellana (o Avellanita) in rispondenza, a sua volta, al
piviere di San Martino di Avellano (Vellano). Cfr. A. Merlo - D. Troiano, Processi di antropizzazione, in Il
castello di Sorana, di A. Merlo, Pisa 2010.
4 Si definisce “gradino” un tratto di versante con pendenza inferiore ai tratti sovrastante e sottostante, modellato nella roccia.
5 San Giovanni, al pari di Santa Caterina di Alessandria, è infatti considerato il protettore dei librai, cartai, rilegatori, stampatori ed editori.
6 La Robinia pseudoacacia, originaria degli Stati Uniti ed introdotta in Europa nel XVII secolo, è
una specie alloctona e invasiva che tende a colonizzare con boschi monospecifici i boschi di querce, cedui di castagno e terreni agricoli incolti. I castagneti, che storicamente hanno caratterizzato il paesaggio forestale della valle, sono concentrati soprattutto nella fascia altimetrica compresa tra i 500 e gli
800 metri. Talvolta, per beneficiare del loro legname e dei loro frutti, sono stati impiantati anche a quote più basse in prossimità dei centri abitati o dei poderi.
7 Per le quali si rimanda agli specifici contributi presenti in questo libro.
8 Pietrabuona, trovandosi più vicino alla città di Pescia, ha sofferto in misura minore la fase di
spopolamento che ha caratterizzato le altre “castella”.
9 Già peraltro rilevabile dal confronto della foto aerea del volo GAI.
32
Evoluzione geologica del paesaggio*
La struttura geologica stabilisce lo schema, la bozza su cui i processi geomorfologici
hanno modellato e tutt’oggi continuano a forgiare le forme del paesaggio; vi è poi l’intervento dell’uomo, che prende parte a questi processi con azioni (consolidazione, estrazione, accumulo) dettate dalle esigenze del momento.
Per affrontare una trattazione esaustiva e comprensibile sulla struttura e la genesi
delle rocce è necessario ricostruire brevemente le tappe dell’evoluzione geologica dell’area a partire dalla Pangea, considerando come motore delle trasformazioni della crosta
terrestre la deriva dei continenti1.
Nel periodo che va dal Triassico Superiore al Giurassico (200-150 Ma2 circa) il supercontinente Pangea iniziò a dividersi nell’area dove attualmente si trova la Toscana, con
la creazione di un oceano di forma allungata chiamato Tetide, che separava il blocco europeo da quello africano. Nei fondali della Tetide si depositarono sedimenti carbonatici
di mare poco profondo e fanghi calcarei e silicei a maggiori profondità. Durante il
Cretaceo fino all’Eocene (145-55 Ma) avvenne un cambiamento nella dinamica tra le
placche3. Con l’apertura dell’oceano Atlantico meridionale la placca africana iniziò a
spingere verso il blocco europeo, provocando la progressiva chiusura della Tetide
(Oligocene-Miocene inf. 35-20 Ma). Cominciò così una fase deformativa compressiva
con la creazione di un “prisma di accrezione”4, struttura in cui si ha l’accavallamento dei
sedimenti oceanici in falde che si impilano le une sulle altre, l’ultima delle quali è la
Falda Toscana5, di cui fa parte la formazione che costituisce la collina di Pietrabuona. A
partire dal Miocene superiore (circa 11 Ma) l’Appennino settentrionale si staccò dal massiccio Corso-Sardo e iniziò un movimento rotatorio verso Est. In questo contesto dinamico si ebbe l’emersione dall’acqua dell’Appennino e l’inizio di una fase distensiva registrata dalla comparsa di faglie dirette6 e la formazione di depressioni tettoniche (tra le
quali anche il bacino di Firenze-Pistoia).
Nell’area della Svizzera Pesciatina, la struttura a falde ha dato vita a monoclinali con
un versante ripido “a reggipoggio”, in cui affiora la testata degli strati, ed uno a “franapoggio”, in cui il versante segue l’immersione degli strati. Tali monoclinali messi in posto
durante la fase compressiva hanno creste allungate in direzione Nord/Nord-Ovest,
33
Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore
Sud/Sud-Ovest. I movimenti distensivi
iniziati nel Miocene hanno segnato il
territorio con faglie in direzione NordOvest/Sud-Est7 che, essendo lineazioni
di maggior debolezza e quindi erodibilità, hanno localmente condizionato il sistema
idrografico.
Durante
il
Quaternario i fenomeni di erosione e
deposizione da parte dei corsi d’acqua
sono stati i protagonisti delle ultime
modifiche, ancora in atto, al territorio.
Pietrabuona si sviluppa sulla parte
terminale di una cresta variabile degradante verso Sud-Ovest, delimitata da
due torrenti affluenti di destra del torrente Pescia di Pescia (il fosso di Cerreto
ad Ovest ed il torrente Torbolino ad Est)
che corrono quasi paralleli e con la stessa direzione delle lineazioni dell’ultima
fase tettonica. La presenza di una sella
nella cresta all’altezza dell’attuale piazza di Castello evidenzia il cocuzzolo, anch’esso a struttura monoclinale, su cui è
stata edificata la parte più antica dell’insediamento.
Fig. 1 - Strati metrici di arenaria in affioramento
Il poggio è costituito da rocce apparai piedi del versante Sud
tenenti alla Formazione del Macigno facente parte della porzione sommitale della Falda Toscana. La giacitura degli strati pressoché omogenea, con immersione verso Nord-Ovest e circa 35-45° di inclinazione, conferma
l’assetto strutturale presente nell’Appennino settentrionale8. Le rocce del Macigno vengono descritte come “arenarie torbiditiche quarzoso-feldspatiche grigie o grigio-verdi, da medio fini a grossolane, in strati da spessi a molto spessi, talvolta amalgamati, a cui si intercalano strati sottili di arenarie fini, siltiti, argilliti e argilliti siltose; nella parte superiore localmente prevale una litofacies pelitico-arenacea con strati da sottili a spessi; a vari livelli, la
formazione è caratterizza inoltre dalla presenza di rare torbiditi calcaree a base calcarenitica, talvolta ricca di bioclasti”9 il cui spessore massimo è di circa 3000 m con la frazione
grossolana dominante alla base ed un aumento della frazione fine man mano che si
34
Evoluzione geologica del paesaggio
risale la formazione10. Si tratta di sedimenti depositati nell’antico Oceano
Ligure Piemontese, un ramo dell’Oceano
Tetide11, tra i 25 Ma ed i 15 Ma circa
(Oligocene-Miocene inferiore) quando la
fase compressiva era già in atto12.
Nella successione13 che in parte affiora lungo il versante Sud del rilievo su
cui sorge il paese sono presenti strati
metrici di sabbia grossolana (Ta) di colore marrone chiaro fortemente alterati in
cui non si distingue alcuna gradazione
verticale (fig. 1); salendo la successione
si ha una diminuzione nella competenza
degli strati di sabbia grossolana, fino ad
arrivare agli affioramenti presenti nella
parte alta del paese, nella cantina di
un’abitazione della piazza di Castello
(fig. 2) e l’affioramento sotto la Rocca,
dove gli strati arenacei hanno uno spessore decimetrico. Nell’area rimane costante la presenza di numerosi cristalli
di mica individuabili con una analisi con
lente all’interno degli strati con granulometria grossolana.
Fig. 2 - Strati decimetrici dell'affioramento in piazza di Castello
NOTE
* Dal contributo originario “Studio dell’evoluzione geologica nel paese di Pietrabuona con considerazioni in merito ad un’attività estrattiva all’interno della cinta muraria” di Serena Di Grazia nel DVD
allegato al volume.
1 A. Bosellini, Tettonica delle placche e geologia, Ferrara 1978.
2 Ma= milioni di anni.
3 G. Ciarapica - L. Passeri, The Tuscan Nappe in northern Appennines: data, doubts, hypotheses,
in «Memorie Società Geologica Italiana», n. 48 (1994).
4 Associazioni di sovrascorrimenti e pieghe che impilano e deformano rocce delle placche che partecipano alla subduzione. Il prisma di accrezione è costituito principalmente dei sedimenti depositati sul
fondo oceanico della placca in subduzione impilati in falde a ridosso della placca sovrastante.
35
Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore
5 F. Baldacci - P. Elter - E. Giannini - G. Giglia - A. Lazzarotto - R. Nardi & M. Tongiorgi, Nuove osservazioni sul problema della Falda Toscana e sulla interpretazione dei Flysch arenacei di tipo
“Macigno” dell’Appennino settentrionale, in «Memorie Società Geologica Italiana», n. 6 (1967), pp.
213-244.
6 Nelle faglie si distingue il “tetto” come l’area al di sopra del piano di faglia e viene definita “letto” la parte sottostante. Un faglia è distensiva quando durante il movimento il “tetto” si abbassa rispetto al “letto”.
7 R. Nardi - A. Puccinelli - M. Verani, Carta geologica e geomorfologica, con indicazioni di stabilità, scala 1:25.000- Foglio 4, Provincia di Pistoia, Firenze 1981; Trattato di geologia, morfologia ed
idrogeologia, a cura di R. Mazzanti, pubblicato sul sito: www.svizzera-pesciatina.com/it/pdf/geologiamorfologia-idrologia.pdf.
8 S. Conti - R. Gelmini, Miocene-Pliocene tectonic phases and migration of foredeep-thrust belt
system in the Northern Apennines, in «Memorie Società Geologica Italiana», n. 48 (1994).
9 Regione Toscana, Programma VEL. Valutazione degli effetti locali, 2007, vol. 2, p. 11.
10 P. Bruni - E. Pandeli - M. Nebbiai, Petrographic analysis in regional geology interpretation: Case
history of the Macigno (northern Apennines), Geological Society of America Special Paper, 420, Boulder
2007, pp. 95-105.
11 Dal tardo Giurassico alla sua chiusura, coincisa con l’orogenesi appenninica, è stato il bacino di
deposizione delle Formazioni costituenti le Unità Liguridi, Epiliguri e della serie Toscana.
12 Il deposito torbiditico altro non è che una sedimentazione gravitativa in mare profondo, un movimento denominato “corrente di torbida” che attualmente si innesca sulla piattaforma carbonatica e
scivola sul fondo oceanico creando un corpo sedimentario a forma di lobo, in cui la maggior parte dei
sedimenti vengono depositati nell’arco di poche ore. La dissipazione dell’energia durante il movimento
della torbidite è registrato dalla sequenza sedimentaria che ne risulta: le particelle più pesanti sono le
prime a precipitare e, man mano che la corrente perde energia, diminuisce il diametro delle particelle
che riesce a trasportare, dando origine ad una “gradazione normale”; dato che i materiali più fini sono
portati in sospensione per distanze maggiori, oltre che alla gradazione lungo la verticale si ha una gradazione orizzontale, con materiali più grossolani vicino al punto di origine e via via più sottili procedendo verso le aree distali. Nella fase iniziale della corrente di torbida il movimento delle particelle è di tipo
turbolento, man mano che l’energia diminuisce le particelle seguono sempre di più un moto di tipo laminare, permettendo così la formazione di strutture quali laminazione incrociata, lamine ondulate e
piano-parallele.
13 La descrizione completa di un evento deposizionale di torbida è riportato dalla sequenza di
Bouma che, partendo dalla base, è costituita da uno strato di sabbia da fine a grossolana, massiccia o
gradata (indicata con Ta); sabbia fine-media a laminazione piano-parallela (Tb); sabbia finissima a laminazione ondulata, incrociate e a convolute (Tc); silt a laminazione piano-parallela (Td); pelite omogenea
priva di strutture (Te). Dagli affioramenti rilevati intorno all’abitato di Pietrabuona, la sequenza caratteristica è rappresentata da Tabcd che passano verticalmente l’una all’altra in continuità di sedimentazione. La sedimentazione della pelite negli affioramenti presi in considerazione non è presente; se uno
strato di pelite (Te) veniva depositato non aveva molto probabilmente uno spessore sufficiente a resistere all’erosione legata alla turbolenza dell’evento torbiditico successivo. Gli spessori degli strati variano
in dipendenza dell’entità della corrente di torbida che li ha generati.
36
Le strade*
Il periodo di instabilità politica e sociale seguito alla caduta dell’Impero Romano ed
alle successive scorrerie da parte delle popolazioni nordeuropee indussero gli abitanti
della Tuscia settentrionale a ritirarsi nelle aree collinari e montane dell’entroterra appenninico, in genere più facilmente difendibili, ed a preferire ai percorsi di fondovalle le vie
della transumanza ed i sentieri di crinale, meno battuti e più familiari alle genti indigene.
Fig. 1 - Il territorio della montagna pistoiese
37
Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore
Fig. 2 - La Dogana dell’Arco Vecchio
(particella n° 70 della tavola indicativa
del 1825, sezione K foglio I)
Fig. 3 - La Dogana nel Borgo La Croce
(particella n° 572 della tavola indicativa
del 1825, sezione K foglio I)
38
Nel territorio in analisi il crinale dell’Appennino tosco-emiliano si sviluppa a quota pressoché costante dal passo della
Cisa fino alle Torri di Popiglio (Lucca), consentendo il passaggio da una regione all’altra. Da qui, superando il fiume Lima,
è possibile accedere alla montagna pistoiese ed in
Valdinievole (fig. 1).
A valle delle Torri, infatti, sono attualmente presenti tre attraversamenti: a Nord-Est vi è il ponte della Lima da cui, percorrendo la via del Granduca, è possibile raggiungere agilmente San Marcello Pistoiese e quindi Pistoia; ad Ovest, ai piedi di
una cava di pietra in località La Tana, è situato un moderno
ponte, che consente di accedere alla storica Rocca di Lucchio1
e da questa, proseguendo verso Sud, al sistema delle castella
della Svizzera Pesciatina2; tra i primi due attraversamenti si
trova ancora oggi il ponte matildeo di Castruccio Castracani3,
signore di Lucca tra il 1316 ed il 1328. Dal ponte di Castruccio
Castracani le direzioni possibili sono quindi due: la prima verso Pistoia, passando sempre da San Marcello Pistoiese o da
Piteglio; la seconda verso la Valdinievole, puntando in direzione del crinale della penna di Lucchio. Questa seconda direzione, percorrendo la linea di crinale, passa dalla chiesa della
Madonna del Tamburino e permette di giungere fino alle spalle di Medicina e quindi a Pietrabuona.
Una volta arrivati in prossimità del castello percorrendo la
strada vicinale, per poter accedere alla viabilità di fondovalle
era necessario attraversare, in prossimità della piazza alta,
una delle due dogane che vi erano a Pietrabuona. L’edificio,
indicato con la particella n° 70 nella tavola indicativa del
1825 (sezione K foglio I), si trovava in prossimità dell’accesso
Nord-Est di detta piazza, ed era destinata al controllo del
traffico merci da e per la montagna (fig. 2).
Una seconda dogana (particella n° 572 della tavola indicativa del 1825, sezione K foglio I) venne eretta agli inizi
dell’Ottocento, in sostituzione di quella precedente, alle pendici del paese (fig. 3), a controllo della nuova strada di fondovalle che, attraversato il ponte di San Rocco, proseguiva diramandosi verso Aramo o Vellano. Oggi tale struttura risulta di-
Le strade
Fig. 4 - SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825, sezione K, foglio I. Individuazione delle due dogane
slocata rispetto alla viabilità principale a seguito della costruzione, in tempi recenti, di
una moderna bretella di collegamento che esclude il piccolo agglomerato urbano de La
Croce: la sede dell’antica strada risulta oggi coincidente con la piazzetta antistante il
Museo della Carta.
In un quadro così definito, appare evidente la funzione di controllo svolta da
Pietrabuona sul traffico di merci in transito fra montagna e pianura (fig. 4).
NOTE
* Dal contributo originario “Sulla via dell’acqua” di Laura Aiello nel DVD allegato al volume.
1 I primi documenti certi di questa fortezza risalgono al XIV secolo, ma la fondazione risale probabilmente agli inizi del XI-XII secolo (cfr. B. Cherubini, I Bagni di Lucca, Lucca 1981).
2 Il percorso si conclude a Pontito, innestandosi sulla viabilità di mezzacosta che collega le castella.
3 Da qui, una volta superato il fiume Lima in direzione Sud, si passa obbligatoriamente in mezzo a
due capo-ponti detti “le due dogane”, i quali dovevano evidentemente controllare il traffico di merci e
persone tra Lucca e Pistoia.
39
Il sistema produttivo*
I numerosi opifici del fondovalle rivelano la stretta connessione che vi era
tra la peculiare vocazione produttiva
dell’area e l’acqua e, conseguentemente, con le strutture idrauliche in grado di
trarre il massimo profitto dal suo utilizzo, sia come forza motrice1, sia come
miscela liquida particolarmente “pura”
adatta per scopi industriali e alimentari.
Il territorio di Pietrabuona – censito
al Catasto Toscano Preunitario2 alla sezione K, fogli I e II, comunità di Vellano
– risulta delimitato ad Ovest dalla
sponda destra del fiume Pescia che lo
separa dal territorio di Vellano (sezione
V, foglio II), a Nord e ad Est dal confine
Fig. 1 - La cartiera della Pettorina
con la provincia di Lucca e a Sud dal
rio di Rimigliari che lo divide dalla comunità di Pescia.
La prassi di appuntare sulla carta d’unione, oltre al nome della località, anche la denominazione dei poderi e delle strutture produttive più importanti, consente oggi di conferire a queste ultime la valenza di enti urbani storicamente consolidati (figg. 1-2-3)3.
All’inizio del XIX secolo, il territorio di Pietrabuona sembra essere un’enclave produttiva ben equilibrata: alle pendici del paese vi erano una fabbrica, la cartiera di San
Lorenzo, un frantoio ed un mulino, oltre ad un bottaccio (part. n° 100) ancora oggi munito delle caratteristiche pietre scanalate sulle quali venivano sfregati i panni mentre, distanti dall’abitato, si trovavano la macelleria e l’uccelliera, in area di campagna per evitare che i cattivi odori del guano e delle carcasse macellate potessero inficiare la salubrità del paese.
40
Per la lavorazione delle castagne, dalle quali si ricavava la farina che costituiva uno
Il sistema produttivo
degli alimenti base della dieta degli abitanti di questa zona, vi erano due metati, un mulino da castagne ed un seccatoio, tutti situati ad Ovest di Pietrabuona e disposti sul territorio nel modo più consono per poter sfruttare al meglio l’elemento naturale necessario
al loro funzionamento: l’acqua per il mulino che si colloca a valle, l’aria per il seccatoio
che è posto in cima al poggio ed il terreno boschivo per i metati.
L’industria della carta, attestata in questa area sin dal XV-XVI secolo4, ha rappresentato per decenni la principale attività lavorativa a cui si dedicavano gran parte degli abitanti. Dalla ricognizione iniziata nel 1893 dal Ministero di Agricoltura, Industria e
Fig. 2 - Le cartiere del territorio di Pietrabuona nel Catasto Toscano Preunitario
(SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825, sezione K, foglio I, comunità di Vellano)
41
Capitolo I - Il paesaggio dell’alta valle del Pescia Maggiore
Fig. 3 - La cartiera di San Giovanni
Commercio e sintetizzata nella Carta Idrografica di Italia5, si desume come alla fine del
XIX secolo vi sia stato un netto incremento del numero di queste manifatture, in quegli
anni al vertice della parabola produttiva. Seppur minato e indebolito dalle moderne logiche industriali, questo simbolo di una tradizione imprenditoriale consolidata ha saputo
in alcuni casi rinnovarsi e svilupparsi. Un certo numero di cartiere hanno infatti aumentato esponenzialmente la produzione grazie all’utilizzo di nuovi e più efficienti macchinari,
riuscendo a rimanere competitive anche in ambito internazionale.
42
NOTE
* Dal contributo originario “Sulla via dell’acqua” di Laura Aiello nel DVD allegato al volume.
1 L’uso della ruota idraulica, iniziato nel Medioevo, ha dato un notevole impulso alla tecnica produttiva in generale; tuttavia l’utilizzo per la produzione di alimenti e quello per la lavorazione industriale (tessuti, carta) ha dato esiti differenti: nel primo caso si è mantenuto l’aspetto “rurale” delle strutture
e della loro organizzazione, nel secondo invece si è sviluppata una vera rete, complessa, in cui si intrecciano relazioni ed economie che si spingono ben oltre il livello locale. L’energia meccanica che attiva i
macchinari si ottiene dalla regimentazione dell’acqua, attraverso la derivazione della stessa con dighe
murate, in sassi e in pietrami, o la creazione di canali di fuga (gore) con presa diretta dalla via d’acqua
principale. La potenza della forza motrice dipende dalla portata del fiume, dal dislivello creato per la caduta dell’acqua e dal tipo di canalizzazione della caduta stessa.
Il sistema produttivo
2 Tale sistema censuario è costituito da una sezione grafica denominata “Tavola Indicativa” e da
un “Registro delle Partite Campione” all’interno del quale veniva annotata “la descrizione delle partite
dei beni intestate, sul territorio della comunità cui si riferiscono, a ciascun singolo possessore (persone,
enti, società, etc.)”. Per Pietrabuona, i registri e le relative piante del cosiddetto Catasto di Impianto, redatto tra il 1825 ed il 1826, sono conservate presso l’Archivio di Stato di Pistoia, sezione distaccata di
Pescia.
3 Da Nord a Sud è possibile localizzare i seguenti opifici: La Ferriera, la cartiera di Santa Caterina,
la cartiera de L’Inferno, la cartiera Gemolano sull’omonimo ponte, la cartiera de La Pettorina, la cartiera di
San Giovanni (Foglio I); un molino da castagne all’incrocio tra il rio di Rimigliari e il rio di Spareti (Foglio
II). Dalla lettura del registro delle partite campione, invece, si evincono numerose altre strutture produttive: due fabbriche (part. n° 87 ai piedi del centro urbano, part. n° 210 corrispondente alla cartiera di
Santa Caterina); un frantoio (part. n° 93 porzione dell’attuale cartiera di San Lorenzo Cerreto, ad oggi in
ristrutturazione); due metati (dislocati nella campagna a Nord-Ovest del centro: part. n° 469 ad oggi
non più esistente, part. n°473 esterna alle due tavole analizzate); quattro molini (part. n° 99 adiacente
al frantoio alle pendici del paese, part. n° 657 e part. n° 658 corrispondente all’anzidetto molino da castagne, part. n° 697 e part. n° 698 collocate all’estremo Ovest della del foglio II, ma non individuate);
una fornace con aia (part. n° 508 oggi demolita); una macelleria (all’interno del terreno corrispondente
alla part. n° 431); due uccelliere (la prima a fianco della macelleria all’interno della part. n° 431 ed una
seconda uccelliera, part. n° 198, esterna alle due tavole indicative e comunque posta ad Est del centro); sei cartiere (part. n° 102 cartiera di San Lorenzo Cerreto; part. n° 170 cartiera di Gemolano; part.
n° 207 cartiera di Santa Caterina; part. n° 439 cartiera a monte del rio di San Rocco; part. n° 563 e
part. n° 568 cartiera a valle del rio di San Rocco; part. n° 598 e part. n° 600 cartiera sul rio di
Rimigliari). Assai singolare appare invece che le due cartiere de La Pettorina (part. n° 148 e part. n°
149) e di San Giovanni (part. nn° 129-131-279-126) individuate sulla tavola indicativa non risultino registrate come tali.
4 L’attività cartaria è testimoniata sul territorio a partire dalla fine del Quattrocento, sebbene in un
primo momento non rivestisse l’importanza che assunse in seguito (cfr. C. Cresti, Itinerario museale della carta in Val di Pescia, Siena 1988, pp. 63-69).
5 IGM, foglio 105.
43
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Il rilievo
La rappresentazione convenzionale del castello (pianta, prospetti
e sezioni) realizzata a seguito di
una campagna di rilevamento condotta con strumentazioni a scansione laser ed un’unità topografica di
appoggio1, oltre che con i consueti
sistemi di rilevamento diretto, ha
costituito sia l’imprescindibile supporto bidimensionale sul quale riportare con estrema attendibilità
gli esiti delle analisi svolte nei vari
ambiti coinvolti nella ricerca, sia
l’oggetto precipuo degli studi geometrici e dimensionali in grado di
svelare, laddove esistenti, le regole
compositive con le quali l’abitato si
è andato conformando nel corso
dei secoli.
Nel primo caso le sezioni ambientali e la pianta realizzata alla
quota dei piani terra degli edifici,
restituite in scala 1:200, sono stati
utilizzate come “basi” dimensionalmente corrette (l’errore è stato tenuto all’interno dei 3 cm)2 per poter
redigere ulteriori elaborati grafici in
grado di raffigurare con chiarezza
alcuni temi oggetto della ricerca.
Fig. 1 - Pianta dei piani terra con indicate
le pavimentazioni stradali
45
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 2 - Veduta panoramica del castello di Pietrabuona
46
Fig. 3 - Schema con indicazione delle sezioni ambientali
Nel secondo, dalle sezioni ambientali è stato possibile evincere
le relazioni esistenti tra gli edifici e
l’orografia della collina sui quali si
attestano, così come i rapporti che
intercorrono tra gli edifici stessi
presenti lungo un percorso (fronte
edilizio) o tra quelli contrapposti su
di una medesima “unità di vicinato”. La pianta dei piani terra, palesando la disposizione delle murature portanti, dei vani e dei corpi scala, ha consentito di definire i caratteri precipui delle diverse tipologie
edilizie presenti nel tessuto. Gli allineamenti dei corpi di fabbrica e
delle pareti, così come le superfici
dei lotti sulle quali insistono i fabbricati, sono stati in grado di sug-
Il rilievo
gerire, a loro volta, antichi assetti oggi non più percepibili in conseguenza di calamità
naturali o a seguito di sopravvenuti bisogni che hanno reso necessario apportare modifiche sostanziali alle singole costruzioni o ad interi comparti edilizi3. L’operazione
che ha permesso la redazione della suddetta pianta prende il nome di “riammagliamento” e prevede il ridisegno delle singole planimetrie catastali degli immobili urbani
e la loro rototraslazione all’interno della pianta generale del castello (desunta dal rilievo digitale) costituita dai soli fili degli edifici prospettanti gli spazi pubblici; le bucature
(porte e finestre) rappresentate in entrambi gli elaborati (pianta generale e pianta delle unità edilizie) consentono di giustapporli tra loro4. Il limite di tale operazione è purtroppo costituito dalla scarsa precisione con la quale, ancora oggi, le unità edilizie
vengono rappresentate nelle planimetrie catastali, documenti il cui valore cresce in
modo inversamente proporzionale alla disponibilità degli abitanti a far misurare le
proprie abitazioni.
Gli edifici pubblici, che hanno rivestito un ruolo importante nella vita politica e religiosa della comunità, sono stati rilevati nel dettaglio, permettendo un più accurato studio degli aspetti costruttivi e stilistici dei manufatti. Tra questi rientrano la Rocca, la chiesa ottocentesca dei Santi Matteo e Colombano, l’oratorio di San Michele Arcangelo, il
palazzo pubblico e le porte urbiche, oltre ad alcune abitazioni che hanno consentito di
documentare i caratteri architettonici dell’edilizia di base5.
47
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
48
Il rilievo
Fig. 4 - Sezioni ambientali
NOTE
1
Cfr. par. Il rilevamento digitale, in questo stesso volume.
La precisione, in questo caso, deve essere riferita alla configurazione dello strumento adottato (i
parametri di lavoro del laserscan in uso sono stati settati per misurare, alla distanza di 10 metri, un punto ogni 8 mm), alla scala di restituzione impiegata ed alle finalità perseguite in questo tipo di rilievo.
3 Si fa in questo caso riferimento alle note teorie della “permanenza dei percorsi” e del “riuso
delle fondazioni esistenti”, elaborate e magistralmente espresse da Luigi Vagnetti in alcuni suoi saggi
(Cfr. L. Vagnetti, Genova Strada Nuova. [Presentazione di Luigi Vagnetti], Genova 1967).
4 L’operazione di riammagliamento delle planimetrie delle unità immobiliari urbane di
Pietrabuona è stata resa possibile grazie all’interessamento del dott. Luigi Maria Romeo Caraglio, direttore dell’Ufficio Provinciale di Pistoia dell’Agenzia del Territorio.
5 Si ringrazia a tale proposito la Curia di Pescia, nella persona del suo vescovo Monsignor
Giovanni De Vivo e dell’addetto al Nuovo Ufficio Amministrativo, Benedetto Bonazzi. Un ulteriore ringraziamento va ad Arianna Soccini, che ha consentito di rilevare il palazzo pubblico, oggi residenza privata, ed alla locale Proloco (in particolare ad Alessio Biondi ed Alessio Giusti).
2
49
Aspetti geologici e geomorfologici*
50
Il rilievo digitale di Pietrabuona ha consentito di documentare con precisione l’andamento delle superfici del piano di campagna del paese e, conseguentemente, di riconoscere all’interno della points cloud le linee che si vengono a determinare laddove vi è
una concentrazione di punti appartenenti ad uno stesso piano (“lineazioni”).
La lettura in chiave geologica e geomorfologica di tali “lineazioni”, assieme ad una
valutazione qualitativa sul litotipo affiorante, ha permesso di stabilire quali superfici di
edificazione all’interno di Pietrabuona siano di origine naturale e quali di origine antropica, anche quando non siano presenti tagli di cava o documenti scritti che localizzino i
punti di estrazione.
Dal punto di vista geologico il poggio è costituito da rocce appartenenti alla
Formazione del Macigno e la giacitura degli strati rilevata è pressoché omogenea, con
immersione verso Nord-Ovest e circa 35-45° di inclinazione1.
Geomorfologicamente, nel versante Ovest della collina l’erosione dovuta al fosso di
Cerreto (rio di San Rocco) ha inciso la valle dove attualmente scorre, creando dei ripiani
in corrispondenza degli strati più resistenti e scavando i livelli più erodibili; l’inclinazione
dei fianchi si aggira attorno ai 30°2. Il torrente Torbolino e la Pescia di Pescia hanno a loro volta creato le scarpate che delimitano il paese ad Est e a Sud. Queste risultano più ripide della precedente, con pendenze di circa 40° in virtù dell’assenza dei ripiani strutturali degli strati. La sella presente sul crinale sembra avere un’origine gravitativa, probabilmente legata all’erosione al piede del versante operata dal torrente Torbolino.
Per ciò che concerne l’estrazione della pietra a fini edificatori, la bibliografia esistente
parla di piccole cave poste in prossimità dell’abitato. Nel 1841 Emanuele Repetti scriveva: “pietra serena, di cui veggonsi aperte alcune cave nel poggio alla sinistra della Pescia
sopra la riva del fiume dirimpetto al castello di Pietra Buona”3. In una recente pubblicazione Publio Biagini4 ipotizza che gli abitanti della Svizzera Pesciatina si servissero di cave di modesta entità aperte nei versanti collinari, adesso nascoste dalla vegetazione.
In questa sede invece è stata presa in considerazione l’ipotesi che la pietra utilizzata
per la costruzione degli edifici più antichi di Pietrabuona, derivi da cave aperte nella porzione a valle del versante Sud e, in maggior misura, dai lavori di spianamento del terreno
Aspetti geologici e geomorfologici
per la realizzazione della piazza di Castello. Gli strati di
arenarie che affiorano nella scarpata (con inclinazione
di circa 40°) sotto la Rocca presentano infatti caratteristiche compatibili con quelle dei conci utilizzati per la
costruzione degli edifici del paese.
Nella sottostante tabella sono state riportate le unità
relative ai due cicli rilevabili nell’affioramento di Macigno
sotto la Rocca (fig. 1), partendo dal più giovane.
Nella successione stratigrafica rilevata sotto la
Rocca, lo strato Ta presenta caratteristiche adatte ad un Fig. 1 - Affioramento sotto la rocca
utilizzo come pietra da costruzione, sia per la facilità
nell’estrazione, sia per le qualità geomeccaniche. La roccia infatti, dove non alterata, può essere rotta con un
unico deciso colpo di martello, ma non può essere scalfita con il coltello.
La particolarità estetica dello strato grossolano, data
dalla presenza di numerosi cristalli di mica bianca (piccoli fogli pseudoesagonali che riflettono al sole di luce
metallica) orientati con il piano di sfaldatura posto perpendicolarmente al piano originario di deposizione (caratteristico dei fillosilicati), che si nota sulla maggior
parte dei conci utilizzati per la costruzione degli edifici Fig. 2 - Struttura a convolute
(compresi quelli della Rocca), pur non consentendo di
individuare il punto di estrazione delle rocce, contribuisce anch’essa ad avallare tale ipotesi. Considerando l’assetto strutturale dell’area in prossimità della sella, l’estrazione
CICLO
SPESSORE5
>10 cm
BOUMA
Tb
25 cm
Ta
10 cm
Td
Tc
2
200 cm
1
> 50 cm
Tb
DESCRIZIONE
Sabbia medio-fine in lamine pianoparallele di colore marrone chiaroavana.
Sabbia grossolana di colore grigio-marrone dove il colore marrone
aumenta con l'aumentare del grado di alterazione, priva di
gradazione interna. Presenza di abbondanti miche chiare.
Sabbia medio-fine in lamine pianoparallele di colore grigio scuro.
Strato di sabbie da medie a fini a lamine pianoparallele di colore
grigio chiaro-avana. All'interno dello strato è presente un livello di
circa 10 cm con struttura a convolute (fig. 2).
Sabbia medio-fine in lamine pianoparallele di colore marrone chiaro.
51
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 3 - Ricostruzione della morfologia della collina
della pietra, avvenuta seguendo l’andamento degli strati, ha consentito inoltre di ampliare agevolmente il ripiano, permettendo nel tempo la realizzazione dell’attuale piazza.
Il risultato dell’analisi viene presentato in figura 3, dove sono state tracciate due linee:
una in giallo che approssima il profilo del versante, ed una in rosso che schematizza i due
ripiani suborizzontali (la sella su cui si imposta la piazza e la sommità del crinale dove si
sviluppa la parte alta del paese, compresa la Rocca) e le due superfici inclinate del versante Sud (dovuto all’azione erosiva del torrente Pescia) e della scarpata sottostante la
Rocca. Quest’ultima si sviluppa in altezza per circa 8 metri ed immerge in direzione opposta allo sviluppo del crinale. Anche se la presenza nella zona di faglie dirette potrebbe
aver creato piani inclinati, gli affioramenti dell’area non mostrano zone di frattura e nelle
rocce che affiorano nella scarpata non si rilevano segni caratterizzanti il piano di faglia.
Per questo motivo si ritiene molto probabile che la scarpata rappresenti il limite di un
punto di estrazione da cui attingevano le pietre per la costruzione dei fabbricati.
52
NOTE
* Dal contributo originario “Studio dell’evoluzione geologica nel paese di Pietrabuona con considerazioni in merito ad un’attività estrattiva all’interno della cinta muraria” di Serena Di Grazia nel DVD
allegato al volume.
1 Cfr. par. Evoluzione geologica del paesaggio, in questo stesso volume.
2 Tale inclinazione è di poco inferiore a quella dell’immersione degli strati.
3 E. Repetti, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i
luoghi del Granducato, Ducato di Lucca, Garfagnana e Lunigiana, Firenze 1835-1846, vol. IV, p. 207.
4 P. Biagini, Cave e pietra, pubblicato sul sito: www.svizzera-pesciatina.com/it/pdf/Cave%20e%
20pietra.pdf.
5 Tenendo conto che tra le varie unità del ciclo di Bouma il passaggio è graduale, gli spessori sopra riportati sono approssimati, anche in considerazione della variabilità laterale che possono presentare tali unità.
Note storiche
Un documento del 798 attesta che l’area dove oggi è posto l’abitato di Pietrabuona
era già indicata col toponimo “Bovulo”. Si parla infatti dell’esistenza di una chiesa intitolata a San Gregorio, “quae est aedificata in loco Piscia, ubi vocabulum est Bovulo”1, la
quale sarebbe poi rovinata agli inizi del X secolo ed infine abbandonata2 e di un
Pertualdo presbitero che era “de loco Piscia ubi vocabulum est Bovulo”, confermando l’esistenza del toponimo. Sul significato del termine “Bovulo” e sull’etimologia della parola
Pietrabuona gli studiosi si sono a lungo confrontati; la definizione a cui si fa qui riferimento è quella fornita dall’Arcamone3, che li mette in relazione con la voce “bova”, termine
geografico di area settentrionale che significa “frana”. “Bovulum” designerebbe pertanto
un’area di smottamenti identificabile con il vasto greto alla sinistra del torrente Pescia
(uno slargo pianeggiante oggi detto Cerreto) e “Petra Bovula” starebbe ad indicare la vicinanza del poggio (uno sperone roccioso) con il luogo allora detto “Bovulo”.
La fondazione del castello di Pietrabuona è ascrivibile al periodo in cui Pietro II (896933) resse la cattedra lucchese. Fu quella un’epoca in cui il patrimonio diocesano venne
riorganizzato, parallelamente al consolidamento delle clientele aristocratiche presenti nel
territorio della diocesi stessa4. Pietro II fu, infatti, promotore della fondazione di tre castra, consistenti in insediamenti accentrati presumibilmente racchiusi da una struttura difensiva e posti sotto la sua autorità. Un fatto raro questo, reso necessario da esigenze legate al controllo del territorio che imposero l’erezione dei castelli nelle aree poste al
confine della diocesi. Nel giro di pochi anni furono fondati Santa Maria a Monte (906),
Pietrabuona (914) e Moriano (915); il castello di San Gervasio, più tardo, risale al 9305.
La procedura con la quale vennero costruiti i castra non fu identica, ma per certi versi
simile: il vescovo procedeva ad una lottizzazione dei terreni sui quali sarebbe dovuto sorgere il castello e ad una loro cessione, tramite carte di livello, ad alcuni proprietari del
luogo, i quali materialmente avrebbero dovuto costruire il castrum. Nel caso di Pietra
Bovula6 sono giunti a noi solo tre documenti, ma è assai probabile che fossero molti di
più, se non altro per sostanziare una struttura insediativa che, seppur limitata, doveva
essere formata da un certo numero di abitazioni. I tre contratti, redatti tra il 4 ed il 5
maggio del 914, fanno riferimento a sette case distribuite in due gruppi di due e cinque
53
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
54
unita abitative7. I concessionari, proprietari locali dotati di patrimoni terrieri anche in altre zone della diocesi, dopo aver eretto una casa “cum fundamento” la cedevano alla
chiesa lucchese di San Frediano (dipendente dal vescovo), che a sua volta la riaffittava
loro. Oltre alla casa posta all’interno (“infra”) del castello, ai concessionari veniva allivellato anche un terreno all’esterno, di cui “un lato confinava da una parte con la via che
dal castello attraversava il monte fino ad incontrare il Pescia ed il torrente Viti, dall’altra
con lo stesso torrente Pescia, e da un lato ancora con il torrente Viti” 8.
Era prevista la possibilità che la casa fosse ulteriormente concessa dai livellari locali,
che non avevano l’obbligo di risiedervi, ad altri homines che la abitassero e lavorassero
le terre per conto dei concessionari. Questi ultimi pagavano direttamente al vescovo il
censo (da 3 a 6 soldi a seconda del contratto) e si sarebbero dovuti recare su richiesta
del presule a Lucca, “ad iustitiam faciendam”9.
Oltre alle motivazioni di ordine squisitamente politico, legate al tentativo di legare a
sé il potentato del luogo, la fondazione del castello ebbe anche un’indubbia valenza militare. In un contesto di repentini passaggi di potere nel regno italico e, conseguentemente, di scontri tra fazioni locali, il castello rappresentò un punto difensivo a controllo
degli importanti percorsi che dai passi appenninici conducevano alla zona collinare. Una
vera e propria frontiera a difesa del passaggio dal Nord Italia alla diocesi di Lucca.
Pietrabuona fu l’unico dei castelli voluti da Pietro II che venne abbandonato appena
dopo quattro decenni. Il fallimento dell’iniziativa fu tale che il suo successore Corrado
(935-964) decise di disfarsi della proprietà e di permutare il “colle et sterpeto, ubi jam
fuit castello in loco et finibus Piscia maiore, ubi dicitur Petrabona” con altri beni di proprietà di Vitterado, figlio di Giovanni10. Probabilmente le ragioni di tale rovescio vanno ricercate sia nella mancanza di una base demografica consistente, sia nel mancato interesse da parte dei proprietari, che disponevano di altri beni nella diocesi, di investire in
una località così decentrata. Degno di nota rimane il fatto che nel documento sia stata
utilizzata la tipica formula altomedievale “in loco et finibus”, dimostrando che, nonostante l’iniziativa non avesse avuto l’esito sperato, si era verificata una certa territorializzazione, seppur probabilmente esigua, intorno a questo primo nucleo insediativo.
Nell’anno 1139, Trasmondino da Pescia del fu Guglielmo, considerato un fidelis del
vescovo Ottone (1138-1146), donò al vescovo tutti i beni che possedeva nella curtis di
Pietrabuona, consentendo così a quest’ultimo di rientrare in possesso del colle e di dare
avvio ad un nuovo processo di incastellamento11, ossia di passare dall’organizzazione incentrata sulla curtis a quella imperniata sul castrum. Pochi anni dopo la donazione, nel
1164, lo stesso imperatore Federico I, confermò al vescovo di Lucca il possesso di tutti i
suoi beni, che includevano “portionem de castro Petraboguli et eorum usibus similiter ad
iustitiam faciendam”12. Il diploma venne confermato in maniera identica, per la parte
Note storiche
che qui interessa, anche da Enrico VI (1194) e Ottone IV (1209)13.
Agli inizi del Duecento Pietrabuona si costituì in libero comune14, rimanendo per
quanto riguarda la giurisdizione ecclesiastica sotto il controllo della diocesi di Lucca.
Poco ci è stato tramandato sul ruolo politico e militare del castello durante le guerre
fra Pisa, Lucca e Firenze, che in Toscana videro per anni contrapposte le fazioni dei Guelfi
e dei Ghibellini, così come nulla è dato sapere sulle sorti del castello durante la distruzione di Pescia nel 1281 da parte della Lega Guelfa.
Nel 1308 Pietrabuona compare nelle pagine dello Statuto Lucchese come comune rurale inserito nella Vicaria “Vallis Nebule”. Il governo cittadino avrebbe inviato a
Pietrabuona “unus potestas comuni PetraBone” con un salario di 28 lire15.
Le successive attestazioni che riguardano Pietrabuona sono del 1328, anno in cui i
comuni della Valdinievole, dopo la morte di Castruccio Castracani (1281-1328) e la fuga
dell’imperatore Ludovico il Bavaro (1281-1347), decisero di allearsi con Firenze sottoscrivendo la Lega dei castelli della Valdinievole16. A seguito di questo patto, Pietrabuona
divenne, assieme a Castelvecchio, l’unico centro della città gigliata sulla sponda destra
del fiume, che in buona misura costituiva il confine con Lucca, assumendosi così il ruolo
di sentinella avanzata della fiorentina Pescia.
Nel 1331 però, mentre gran parte della Valdinievole restava fedele a questa alleanza,
Pietrabuona, assieme a Pescia, tornò a giurare fedeltà a Lucca. Nel 1339 si ebbe il passaggio, sotto Mastino della Scala – l’ultimo dominatore di parte lucchese della
Valdinievole –, a Firenze di Pescia e di parte del suo territorio. Pietrabuona ed altri castelli della Valleriana restarono però inclusi nel territorio lucchese, controllato dai Pisani,
dominatori di Lucca dal 1342.
Le vicende storiche che interessano Pietrabuona nell’arco di tempo che va dal 1361
fino al 1364 sono segnate dagli sviluppi del conflitto tra Pisani e Fiorentini che si contesero aspramente il borgo (fig. 1). È rimasto famoso nelle cronache l’assedio di
Pietrabuona del 1362 da parte dei Pisani, a seguito dell’improvvida occupazione da parte dei Fiorentini l’anno precedente, e la sua successiva espugnazione avvenuta sotto gli
occhi dei Fiorentini stessi che nulla poterono fare per difenderla17.
La guerra fra Pisani e Fiorentini si concluse dopo la battaglia della Badia di Sansavino,
con la pace dell’agosto 1364. Con l’atto di sottomissione del 29 marzo 1371 Pietrabuona
entrò a far parte del dominio fiorentino, beneficiando di un periodo di relativa tranquillità
fino al 1529. Rientrati i Fiorentini in possesso del castello di Pietrabuona, si preoccuparono di riorganizzare le strutture difensive del borgo danneggiate durante il conflitto.
A cavallo tra il ‘300 ed il ‘400, anche Pietrabuona, come del resto tutta la
Valdinievole, fu vittima di una gravissima crisi demografica, da cui solo nel secolo
successivo cominciò lentamente a riprendersi.
55
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 1 - Giovanni Sercambi, Le croniche, conquista del castello di Pietrabuona, 1362. Le illustrazioni
del Sercambi raffigurano con un buon livello di attendibilità i diversi sistemi fortificati presenti
nel territorio lucchese alla fine del XIV secolo, differenziando tra "Torre", "Castello" o "Castro",
"Fortezza" o "Rocca" e infine "Villa". Se per la definizione di Torre e Villa non vi sono problemi
interpretativi, per Castello o Castro si deve intendere un insediamento fortificato riconducibile ad una
struttura signorile che rafforza, controlla e difende un abitato ad essa collegato, mentre per Rocca o
Fortezza egli sembra riferirsi a realtà prettamente o preminentemente di tipo militare. Dall'immagine
relativa a Pietrabuona si evince che il castello possedeva due cerchie di mura identificate
dalla merlatura e confermate dalla presenza di castellani a guardia delle stesse. Il fatto che non vi sia
alcun riferimento a edifici-porta fa ritenere che il cronachista abbia classificato l’insediamento come
una Rocca o Fortezza. Il fulcro dell’apparato difensivo è costituito da una struttura cubica e turriforme
56
Nel 1447 furono editi gli Statuti del Comune e depositati a Firenze, che poi, a più riprese, ebbero aggiunte ed integrazioni, fino a tutto il 1540.
Nel 1529, al tempo dell’ultima Repubblica Fiorentina, il sindaco ed i rappresentanti di
Pietrabuona si incontrarono a Pescia con quelli degli altri castelli della Valdinievole, alla
presenza di un commissario fiorentino, per eleggere quattro ambasciatori che avrebbero
dovuto recarsi dal Papa Clemente VII per cercare di scongiurare un’invasione da parte
delle truppe imperiali spagnole, che si stavano battendo con quelle francesi per conquistare il predominio sugli stati della penisola.
Nel 1554, il castello fu per l’ultima volta protagonista di un importante fatto d’armi,
quando fu occupato dai soldati francesi, alleati dei Senesi che erano in guerra contro il
Granducato mediceo.
Alla fine del Cinquecento il castello di Pietrabuona, per quanto modesto, venne divi-
Note storiche
so, per ragioni di ordine sanitario
(le vie del castello erano sempre
colme di immondizie), in quartieri. Vennero pertanto nominati tre
responsabili della nettezza urbana, a ciascuno dei quali venne
assegnato un terzo del castello (il
quarto quartiere era forse relativo al nascente borgo fuori le mura?). Questa divisione descritta
negli Statuti fornisce alcune
informazioni sulla struttura dell’insediamento: il primo quartiere
andava “dalla Porta fiorentina alla Porta che risponde verso la
piazza fino alla cantonata della
Rocca unita a detta Porta, con la
strada chiamata Fondaccio”, il
secondo quartiere andava “dallo Fig. 2 - Divisione in quartieri dell'abitato cinquecentesco
spedale del Comune fino al
Canto di sotto al Cimitero verso la Canonica vecchia della chiesa, compreso la Strada
per dinanzi alla casa di Lorenzo di Bastiano”, il terzo “dal Cimitero alla strada di dietro
verso mezzogiorno”18 (fig. 2).
L’indipendenza comunale di Pietrabuona continuò fino alla riforma leopoldina del
1775, quando il paese cessò di essere autonomo e passò sotto il comune di Vellano, rimanendo nella sua giurisdizione fino al 1883, quando entrò a far parte del comune di
Pescia, di cui ancora oggi costituisce una frazione.
NOTE
1 AALU, Diplomatico, *O.18 (cfr. D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del
ducati di Lucca, Lucca 1816-1841, tomo V, parte II, documento CCLXVII, p. 156).
2 Sulla chiesa di San Gregorio, cfr. A. Spicciani, Benefici, livelli, feudi. Intrecci di rapporti tra chierici
e laici nella Tuscia medioevale. La creazione di una società politica, Pisa 1996, pp. 235 e 249-252.
Alcuni storici locali asseriscono, a seguito di alcuni ritrovamenti avvenuti a fine Ottocento, che la chiesa
si trovasse sul promontorio del Santo Vecchio (cfr. R. Vanni, Il castello di Pietrabuona, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 3 (1982), pp. 23-30).
3 M.G. Arcamone, La toponomastica fra e intorno alle due Péscie , in I guadi della Cassia. Terre di
confine tra Lucca ed il granducato di Toscana, a cura di A. Spicciani, Pisa 2004, pp. 30-32.
57
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
58
4 In quegli stessi anni era marchese della marca di Toscana Adalberto II (884-915), che a sua volta riuniva attorno a sé vaste clientele laiche ed ecclesiastiche e controllava grandi patrimoni, soprattutto
nella Lucchesia.
5 Cfr. R. Pescaglini Monti, Toscana medievale. Pievi, signori, castelli, monasteri (secoli X-XIV), Pisa
2012, p. 355.
6 Per una descrizione dettagliata delle vicende altomedievali del castello di Pietrabuona, cfr.
Spicciani, Benefici, livelli, feudi, cit., pp. 223-280; A. Puglia, Pescia dall’antichità al medioevo. Potere,
insediamento e società in una Terra del contado lucchese, in Pescia città tra confini in terra di Toscana,
a cura di A. Spicciani, Milano 2006, p. 43-46.
7 AALU, Diplomatico, +P.7 (cfr. D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del
ducati di Lucca, Lucca 1816-1841, tomo V, parte III, documento MCXLIX, pp. 74-75); AALU,
Diplomatico, +A.54 (cfr. D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del ducati di
Lucca, Lucca 1816-1841, tomo V, parte III, documento MCL, p. 75); AALU, Diplomatico, +F.63 (cfr. D.
Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del ducati di Lucca, Lucca 1816-1841, tomo V,
parte III, documento MCL, p. 75).
8 Con il termine castello si deve intendere un insieme di case delimitato “castello insimul amembrato” (negli stessi atti di livello) da una qualche struttura – non necessariamente in muratura – in grado da garantirne la difesa. Occorre infatti tenere presente che il termine castello, nel latino delle fonti,
compare indifferentemente in questo periodo sia come castrum che come castellum, ed individua così
una grande varietà di manufatti: dalla fortezza con specifiche funzioni militari all’abitazione fortificata,
dal semplice recinto ove si ricoveravano in caso di pericolo uomini e bestie al centro abitato fortificato
più o meno ampio e organizzato.
9 A questo proposito la iustitia farebbe riferimento ad interventi di tipo fiscale ed amministrativo da
parte del vescovo, non essendo accertato un sistema strutturato di esercizio del potere giurisdizionale da
parte di quest’ultimo (cfr. Pescia città tra confini in terra di Toscana, a cura di A. Spicciani, cit., p. 46).
10 La permuta risale al 951 (AALU, Diplomatico, *F.78; cfr. D. Barsocchini, Memorie e documenti per
servire all’istoria del ducati di Lucca, Lucca 1816-1841, tomo V, parte III, documento MCCCXLI, p. 236).
11 Il documento fa semplicemente menzione della curtis di Pietrabuona, non fornendo informazioni
riguardo alla sua struttura organizzativa. È comunque presumibile che si trattasse di un insieme di terreni e case destinati alla produzione agricola (AALU, Diplomatico, +D.20)
12 Monumenta Germaniae Historica, Friderici I. Diplomata, II, 1979, n. 430, p.324.
13 Cfr. Spicciani, Benefici, livelli, feudi, cit., p. 270.
14 Le fonti edite non chiariscono in realtà quale sia la data di costituzione del comune rurale. Ad oggi l’unico riferimento certo è il 1308, data in cui il comune di Pietrabuona è indicato nelle pagine dello
Statuto di Lucca come facente parte della Vicaria Vallis Nebule (ASLU, Statuti, n.1, cc. 41-65-75-95).
15 ASLU, Statuti, n.1, cc. 41-65-75-95.
16 ASFI, Capitoli, n.32, c. 15 (cfr. M. Cecchi - E. Coturri, Pescia ed il suo territorio nella storia nell’arte nelle famiglie, Pistoia 1961, pp. 107-108).
17 Cfr. P. Anzillotti, Storia della Valdinievole dall’origine di Pescia fino all’anno 1818, Pistoia 1846;
P.O. Baldasseroni, Istoria della città di Pescia e della Valdinievole, Pescia 1784; A. Torrigiani, Le castella
della Valdinievole. Studi storici del canonico Antonio Torrigiani, Firenze 1867; G.-M.-F. Villani, Cronica
di Matteo e Filippo Villani con le Vite d’uomini illustri fiorentini di Filippo e la Cronica di Dino
Compagni, Firenze 1364 [rist. anast. Milano, 1834].
18 G. Salvagnini, Pietrabuona castello di Valdinievole. Appunti di storia urbana, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 3 (1982), pp. 17-22.
Indagine archeologica sulle architetture*
Dal fallimento del primo incastellamento all’accrescimento bassomedievale
Il castrum costruito a Pietrabuona nella prima metà del X secolo è attestato esclusivamente su base documentaria da un interessante gruppo di livelli con i quali il vescovo di Lucca, Pietro II, legò a sé un gruppo di personaggi appartenenti molto probabilmente alla media aristocrazia lucchese1.
Data la natura effimera degli insediamenti fortificati altomedievali, nulla è ormai visibile del primo incastellamento2. Possiamo solo immaginare strutture in legno, o al massimo edifici con zoccolo in muratura e alzato in materiale deperibile3. Nel corso del X secolo, nel territorio in esame così come in tutto l’Occidente, le conoscenze tecniche del
costruire erano infatti assai rudimentali. L’estrazione di grossi blocchi da cava, così come
la squadratura dei conci, era sostanzialmente assente nel processo produttivo edilizio. La
costruzione era basata soprattutto sul legno e gli elementi litici, quando presenti, erano
posti in opera senza lavorazione, o al massimo in seguito allo spacco della faccia a vista
da maestranze scarsamente specializzate. Il legante più diffuso era l’argilla o comunque
una malta a base di terra. Non mancano tuttavia casi di impiego di malta di grassello di
calce, la quale presuppone l’attivazione di un ciclo produttivo specializzato che va dal reperimento del calcare, alla sua cottura in apposite fornaci, al trasporto a piè d’opera e
alla lavorazione attraverso il miscelamento con acqua e aggregato fine come sabbia o
roccia frantumata4.
Alla metà del X secolo il sito sembra essere stato abbandonato. È probabile che effettivamente l’incastellamento non sia riuscito a produrre un reale controllo su uomini e
territorio e sia fallito per una scarsa consistenza demografica e quindi, soprattutto, un’esigua rendita economica5.
Il centro appare nuovamente incastellato nel corso del XII secolo. Le fonti a tal proposito sono costituite soprattutto da pochi documenti che mostrano l’inserimento del castello all’interno dell’orbita lucchese. Dal punto di vista architettonico, l’evidenza principale attribuibile alla “rinascita” demografica ed economica di Pietrabuona è rappresentata dalla chiesa di San Matteo. L’edificio, oggi allo stato di rudere, si trova immediata-
59
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
mente a destra dell’attuale ingresso al castello, alle spalle
della nuova chiesa dedicata ai
Santi Matteo e Colombano costruita nel XIX secolo nella piazza principale (fig. 1.1).
La struttura, databile anteriormente alla nuova fortificazione dell’insediamento avvenuta intorno alla prima metà
del XIV secolo per la presenza
di una torre al suo interno, è
collocabile, per tecnica costruttiva e stile architettonico, con
buona approssimazione nel XII
secolo. Essa venne realizzata
interamente in pietra squadrata
su uno sperone roccioso al
margine settentrionale dell’insediamento e doveva suscitare
nei contemporanei un forte impatto scenografico, ancor più di
quanto non accada oggi. A
causa del crollo della parte
Nord-occidentale della roccia
Fig. 1 - Pianta preliminare e schematica del castello di Pietrabuona
con indicazione degli edifici citati nel testo e cronologia proposta
sottostante, i fronti Nord ed
Ovest e una buona porzione
del lato Sud della chiesa sono
andati irrimediabilmente perduti. Non siamo in grado, quindi, di comprendere se l’accesso alla cappella avvenisse esclusivamente dal fianco meridionale, dove è ancora visibile una porta, o se la conformazione dello sperone roccioso permettesse di entrare
dalla facciata6.
La tecnica costruttiva prevede l’impiego esclusivo di blocchi in arenaria grigia perfettamente squadrati con uno strumento a punta singola, posti in opera su filari orizzontali
pseudo-isodomi (fig. 2). Per realizzare l’edificio di culto vennero quindi sicuramente impiegate maestranze altamente specializzate, probabilmente le medesime che lavorarono
alle contemporanee chiese sorte nel territorio, quali San Lorenzo al Cerreto (PT), la cui
60
Indagine archeologica sulle architetture
tecnica è stata datata archeologicamente grazie ad
uno scavo condotto nei primi anni Novanta7, o ancora Santa Margherita a Pescia. L’edificio di culto si
inserisce quindi nel fenomeno della diffusione della
pietra squadrata e del Romanico in Lucchesia nel
corso del XII secolo, il quale si dovette probabilmente alla circolazione di taglie lombarde richiamate
dalla potente committenza del vescovado
lucchese8.
Ascrivibile probabilmente allo stesso periodo è la
parte inferiore del campanile di San Matteo inframuraneo ed un edificio posto immediatamente alle
sue spalle, di cui è stato possibile identificare esclusivamente il cantonale Nord-orientale.
La torre (figg. 1.2-3), misurante circa tre metri
per quattro, è realizzata in bozzette di arenaria di
medie e medio-piccole dimensioni con faccia a vista
di forma tendenzialmente rettangolare, sebbene
non manchino elementi trapezoidali o quadrangolari. La spianatura è stata eseguita talvolta a spacco,
talvolta con strumenti a punta portati con diverse
angolazioni, senza mai l’impiego di nastrini. I blocchi sono posti su filari sub-orizzontali con ampio Fig. 2 - Lato meridionale della chiesa di San Matteo
impiego di malta di grassello di calce utilizzata anche per colmare le irregolarità e conferire una superficie liscia al paramento. Sul lato meridionale è visibile una piccola apertura priva di
davanzale costituita da due piedritti e da un architrave in arenaria squadrati in maniera
grossolana. Nonostante l’erosione, è ancora possibile notare la traccia del nastrino, realizzato con un’incisione lungo il perimetro tendente approssimativamente al rettangolo,
e i segni dello strumento a punta impiegato per la spianatura.
Difficile stabilire qualcosa sull’edificio adiacente (figg. 1.3-4). L’ipotesi preliminare è
che si trattasse di una struttura quadrangolare, forse un palatium, per collocazione topografica, ma a causa dell’esiguità dei dati a disposizione è arduo supportare l’ipotesi, o
ancora azzardare un termine cronologico.
Di particolare interesse sono i resti delle strutture medievali di ambito civile, le quali
mostrano, per un periodo generalmente ascrivibile tra il XII e il XIII secolo, una significativa differenziazione sociale all’interno dell’insediamento. A famiglie appartenenti sicura61
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 3 - Parte inferiore del campanile di San Matteo
62
Fig. 4 - Sulla sinistra la parete settentrionale
dell’ospedale quattrocentesco
mente all’aristocrazia minore sono da attribuire alcuni edifici ancora visibili sul limite
Sud-orientale dell’insediamento.
Il primo corpo di fabbrica, meglio conservato, ha una pianta a forma pentagonale
piuttosto ampia, misurando circa sette metri per dieci (figg. 1.4-5). La parete meglio leggibile, quella orientale, mostra una facciata quasi priva di aperture, assai simile ad una
cortina muraria. Le uniche luci sono infatti rappresentate da strette finestre in arenaria
macigno con architravi e piedritti monolitici squadrati. L’accesso avveniva invece dal piano terra attraverso un portale di cui rimane lo stipite sinistro, composto da tre grandi
conci in arenaria disposti alternatamente in verticale e in orizzontale.
Il paramento è costituito da bozzette in arenaria di medie e medio-piccole dimensioni
con faccia a vista generalmente spianata a punta e tendente al rettangolo, sebbene non
manchino elementi arrotondati. I filari sono orizzontali e paralleli, mentre il legante sembra essere una buona malta di grassello di calce. Il tipo edilizio, pur non essendo pretta-
Indagine archeologica sulle architetture
mente una torre, data la larghezza della pianta, è comunque ascrivibile all’architettura
civile di committenza aristocratica (e quindi guerresca) che, nel costruirsi una residenza
fortificata, trovava un modo efficace di rappresentazione del proprio status.
Alla stessa tipologia sembrerebbero appartenere gli edifici posti immediatamente a
Nord di quello descritto, i quali mostrano la stessa tecnica costruttiva e le medesime rare
aperture.
A ceti sociali inferiori, seppure di tenore elevato, sono da attribuire inoltre un numero
discreto di edifici caratterizzati da uno sviluppo verticale minore. La tecnica costruttiva è
sempre quella del filaretto. L’accesso al pian terreno avviene tramite porte costituite da
piedritti composti generalmente da tre conci variamente squadrati sostenenti architravi
monolitici. Talvolta le finestre sono realizzate ad arco, come è attestato dalla parete occidentale del palazzo pubblico trecentesco, dove è possibile notare uno stipite preesistente
connesso a tre cunei di un arco (figg. 1.5-6). Di particolare interesse è, in questo caso,
l’impiego di arenaria giallastra, che sembra scomparire nelle fasi successive.
Un terzo tipo edilizio, attestato in maniera esclusiva, è rappresentato da un edificio
affacciato sulla strada posta lungo l’asse centrale dell’abitato sommitale (fig. 1.6). Si
Fig. 5 - Edificio medievale sul lato orientale di Pietrabuona
63
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 6 - Particolare del lato orientale del palazzo
comunale trecentesco. Si noti a destra
il preesistente arco in arenaria
tratta di due pilastri in arenaria sbozzata o riquadrata di medie e medio-grandi dimensioni facenti in origine parte di una costruzione aperta sull’esterno secondo la tipologia della casa-torre pisana. Il prospetto, come di consueto, era chiuso da apparati lignei
che, ai piani superiori, potevano sporgere sulla strada
aumentando così la superficie interna abitabile. La tipologia in questione, ampiamente diffusa a Pisa,
venne adottata precocemente in aree di forte influenza pisana9, a Lucca e in maniera assai sporadica
a Firenze. Nel caso della Valdinievole, dove il tipo
sembra essere arrivato attraverso la mediazione lucchese, le attestazioni sono rare e probabilmente
ascrivibili al XIII-XIV secolo10.
L’architettura civile mostra, in sintesi, come l’abitato di Pietrabuona, dopo un primo fallimento, sia
riuscito ad affermarsi pienamente come villaggio dotato di una buona base demica e di una evidente differenziazione sociale, data la presenza, accanto a
strutture povere, che pure dovevano esistere, di edifici denotanti l’alto tenore di vita dei suoi committenti.
Non sorprende, quindi, come alla fine del secolo XIII,
Pietrabuona, insieme a Buggiano, Vellano e Pescia,
abbia cercato di svincolarsi dalla dominazione lucchese cercando l’appoggio imperiale11.
Le trasformazioni trecentesche
64
Nel corso del Trecento, contestualmente al clima di forte conflittualità che contrassegnò l’intero territorio, Pietrabuona subì numerose trasformazioni che ne cambiarono radicalmente l’aspetto e, in parte, la localizzazione dei poli del potere.
L’evento principale fu rappresentato dalla realizzazione di una nuova cinta difensiva,
ancora in parte conservata. La cortina muraria andò a cingere la parte sommitale del colle, intersecando la vecchia chiesa di S. Matteo, la quale venne convertita in “roccam et
fortilitium”12 (fig. 1.8). In corrispondenza del catino absidale venne realizzata infatti una
possente torre quadrangolare dotata di arciere, posta evidentemente a protezione dell’accesso al castello. La tecnica muraria impiegata è quella del tipico filaretto trecente-
Indagine archeologica sulle architetture
sco, ben attestato sul territorio, nel
quale vengono impiegate bozze di medie dimensioni con facce spianate tendenti al rettangolo, poste in opera su filari orizzontali con malta di grassello di
calce (figg. 7-8).
Sempre allo stesso programma edilizio sembra da imputare la costruzione
di un nuovo edificio di culto13, posto
questa volta nel cuore dell’abitato, in
adiacenza alla sede del vecchio potere
“laico” (figg. 1.9-9). Qui sarebbe stato
costruito un edificio orientato in senso Fig. 7 - Particolare della tecnica costruttiva della cinta
Nord-Sud, addossato alla torre preesistente convertita in campanile. La tecnica costruttiva mostra, rispetto ad altri
contesti coevi, uno scarso impegno economico. Se, infatti, nel caso di Sorana la
facciata venne realizzata con conci
squadrati relegando le bozzette ai lati
secondari, a Pietrabuona non vi è una
caratterizzazione della facciata, sulla
quale l’elemento di monumentalità era
dato da un alto portale sormontato da
un tettuccio a spioventi in legno, di cui
rimangono oggi visibili gli alloggiamenti per i travetti. Il portale si inserisce
nella tradizione appenninica coeva, in
cui l’architrave è sormontato da un arco
poggiante su mensole modanate.
Dell’abside, fortemente rimaneggiata nei secoli successivi, rimane oggi solo una labile traccia sul lato meridionale
della struttura, per cui non è possibile
ipotizzarne la pianta e l’estensione.
In un documento datato 22 novem- Fig. 8 - Particolare della torre costruita
bre 1354 l’attuale chiesa posta all’in- all’interno della chiesa di San Matteo
65
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 9 - Facciata dell’oratorio di S. Michele
66
Fig. 10 - Palazzo pubblico
terno dell’abitato viene descritta come “ben governata e
fatta in podio soppidaneo contra quella vecchia. La chiesa è nuova e non consacrata perché era un oratorio e la
chiesa antica fuit conducta in roccam et fortilitium”14. Si
preferisce leggere nel termine “contra” un’indicazione di
contrarietà piuttosto che di un rapporto fisico tra i due
edifici di culto. Nel secondo caso, infatti, dovremmo supporre un’ulteriore chiesa convivente con quella costruita
nel XII secolo e con l’oratorio descritto dal documento. Lo
spazio a disposizione permetterebbe di ipotizzare però un
edificio di culto di dimensioni minori rispetto al suo stesso oratorio, anche se la presenza di due chiese in un insediamento così piccolo sarebbe assai singolare. Pur non
escludendo del tutto tale ipotesi, è plausibile identificare
le strutture visibili come parte del cassero signorile e la
“chiesa antica” con la chiesa di XII secolo sopra descritta
che, come si vedrà successivamente, venne effettivamente
convertita in struttura militare nel corso del Trecento.
All’interno del medesimo piano di trasformazione urbana è forse da ascrivere la realizzazione della sede del
nuovo comune rurale15, posto di fronte alla facciata della
nuova chiesa16 (figg. 1.10-10). L’edificio mostra le caratteristiche planimetriche e formali tipiche dei palazzotti
sorti in ambiente urbano e rurale nel corso del Trecento
come sede funzionale del nuovo potere comunitario sul
modello, sempre ricco di fascino, dell’antica residenza signorile17. Si tratta di una struttura a pianta quadrangolare sviluppata su tre piani, con loggia al pian terreno e
piano nobile al livello superiore, connessa, probabilmente, ad una torre sul lato occidentale. Gli aspetti formali,
così come le caratteristiche planimetriche18, mostrano i
chiari legami della taglia esecutrice dell’opera con l’ambiente tecnico fiorentino. Le ampie aperture sormontate
da archi potenziati al pian terreno che sul lato principale,
in dialogo con la chiesa, poggiano su mensole modanate
in arenaria, trovano infatti confronti puntuali nelle case
mercantili urbane con loggia al pian terreno. Ugualmente
Indagine archeologica sulle architetture
ben attestate in ambiente fiorentino sono le due finestre poste su ciascun lato del piano superiore, caratterizzate sempre
da archi potenziati in arenaria e
da stipiti in conci perfettamente
spianati. La perizia degli scalpellini si rende evidente nell’impiego di un elemento a L sul lato
destro della facciata, dove l’espediente porta ad ammorsare
in maniera ottimale l’arco della
loggia con la muratura. La probabile torre, di cui è visibile il
fronte occidentale, mostra al Fig. 11 - Lato occidentale del palazzo pubblico
primo piano una piccola finestra
costituita da davanzale, stipiti squadrati monolitici e architrave poggiante su mensole
con semplice modanatura curvilinea interna alla luce dell’apertura. Al piano superiore
doveva aprirsi una finestra di dimensioni maggiori, probabilmente non allineata a quella
sottostante, composta da conci squadrati e forse sormontata da un arco. Il paramento
dell’edificio mostra un’accurata tecnica a filaretto, mentre i cantonali sono costituiti da
conci lavorati accuratamente e spianati a punta singola.
Il tipo edilizio con loggia al pian terreno, cui fa riferimento il palazzo pubblico, è attestato nel castello sul lato occidentale della piazza, dove un primo impianto, dotato di un fornice con mensole modanate, sembra essere stato ampliato verso Nord con la realizzazione di
un’ulteriore apertura, questa volta più ampia e priva delle usuali mensole (figg. 1.11-11).
Ascrivibili sempre al Trecento o al secolo successivo sono l’edificio immediatamente ad
Ovest della chiesa, di fronte al campanile, ed uno posto lungo la via principale che dall’accesso settentrionale porta all’edificio di culto. Si tratta di corpi di fabbrica costruiti con grossolane bozze poste su filari, ma che mostrano nelle aperture il prezioso impiego di laterizi
negli archi con bandella che conferiscono al prospetto una maggiore vivacità cromatica.
L’uso di materiale fittile, diffuso massicciamente in area appenninica solo a partire dal
XVII-XVIII secolo, trova comunque attestazione nel Trecento, pur limitata a piccoli interventi, in diversi centri della Valdinievole a segnale della loro vitalità economica19.
Ascrivibili all’edilizia due-trecentesca sembrano essere alcune strutture poste a Nord
dell’insediamento, nel principale polo di espansione poco più a valle del villaggio. Qui,
riutilizzate da strutture di età moderna, sono presenti porzioni di muratura a filaretto che
67
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
testimoniano già da questa fase
il progressivo consolidamento
del borgo esterno e quindi, ancora una volta, la tenuta demografica ed economica dell’insediamento20 (figg. 1.12-12).
Le architetture trecentesche
mostrano, in sintesi, un centro
piuttosto vitale, dove sono giustificati importanti investimenti
economici, come la realizzazione di una nuova cinta, di una
nuova chiesa e di diversi edifici
di ambito privato e pubblico.
La costruzione di una cinta,
Fig. 12 - Edificio medievale nel borgo settentrionale
la demolizione dell’antica chiesa e la costruzione di un nuovo edificio di culto in una posizione più vicina all’abitato, richiamano in maniera evidente quanto avvenne negli stessi anni a Sorana, centro posto
poco più a Nord di Pietrabuona, sempre in Valleriana21.
La costruzione di una fortificazione sui ruderi della vecchia chiesa (emblema locale
del potere vescovile), di un palazzo comunale e di una chiesa, in costante dialogo con
esso, sembra non escludere un preciso atto simbolico di manifestazione politica22.
Lo sviluppo tardo medievale
68
Agli inizi del XV secolo23 si colloca la costruzione di un ospedale immediatamente alle spalle dell’abside della chiesa castellana per volontà del presule lucchese Baldassarre
Manni24 (fig. 1.13). La struttura ricettiva, dedicata come l’edificio di culto a San Matteo,
è collocabile con certezza per mezzo della cartografia storica ed identificabile con alcune
strutture superstiti grazie ai rapporti di cronologia relativa, alla tecnica costruttiva e alle
caratteristiche planimetriche25. Il corpo di fabbrica, infatti, ha come ante quem il nuovo
portale di ingresso datato da un’iscrizione al 158626 e mostra una tecnica a bozzette in
arenaria poste in opera con numerosi pareggiamenti (fig. 3). Sul lato occidentale l’edificio presenta alcune finestre archivoltate con cunei mostranti un leggero bugnato (fig.
13). Assai significativo è l’aspetto planimetrico: la struttura, caratterizzata da un solo
piano avente una superfice di poco superiore a 50 metri quadrati, si presta bene a svolgere la funzione di accoglienza dalla quale, però, alla metà del Cinquecento, lo spitaliere
Indagine archeologica sulle architetture
preposto poteva ricavare, pare, una ben
scarsa rendita27.
Probabilmente lo stesso gruppo di
maestranze impiegate per l’ospedale venne utilizzata per la costruzione di un nuovo edificio sul lato opposto della strada
(fig. 1.14). Scendendo lungo via della
Scaletta verso valle, lasciandosi alle spalle
la chiesa, è possibile notare sul lato sinistro la porzione occidentale di una struttura di cui rimane l’arco di accesso in connessione con il cantonale. I blocchi, tutti in
arenaria macigno ben squadrata, mostra- Fig. 13 - Particolare di un arco sul lato occidentale
no anche qui un leggero bugnato spianato dell’ospedale
a punta singola, che non sembra lasciare
dubbi sull’identità della taglia, forse proveniente da Lucca.
A maestranze di diversa formazione è
invece da attribuire l’edificio sorto, probabilmente nel giro di pochi decenni, nell’angolo Nord-occidentale del centro fortificato. La facciata, oggi in parte intonacata, è
dominata in basso da un portale con arco
a pieno centro in arenaria macigno, recante, sul concio di chiave, lo stemma nobiliare fiorentino dei Salviati, con le caratteristiche tre bande doppiomerlate28 (figg. Fig. 14 - Concio di chiave con stemma nobiliare dei Salviati
1.15-14). Ai lati è possibile apprezzare i
cantonali ben spianati e parte del paramento in blocchi riquadrati spianati a punta singola. Ai piani superiori dovevano trovarsi due serie di finestre di cui rimangono leggibili
soltanto gli stipiti ammorsati alle pietre angolari della facciata.
Mentre nel caso della residenza commissionata dai Salviati le maestranze si riallacciano alla tradizione stereotomica bassomedievale di influsso fiorentino, ben attestata, negli
stessi anni, a Pietrabuona e Vellano29, nel caso dell’edificio fatto costruire dal presule di
Lucca le taglie impiegate mostrano un legame con la tradizione più prettamente lombardo-lucchese. Si tratta di edifici di committenza alta, la cui attestazione mostra come, ancora nel Quattrocento, la pluralità degli interessi per il controllo della valle potesse trovare
69
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
un riscontro e, forse, una modalità di espressione alternativa nella commissione di un cantiere edilizio.
La prima età moderna
Il Cinquecento segna per Pietrabuona, così come
per l’intera vallata, un forte incremento edilizio dovuto probabilmente a nuovi investimenti economici
e ad un aumento della popolazione. L’edilizia si contraddistingue per l’impiego di portali a cornice architravati in arenaria macigno, talvolta recanti la data
incisa, come nel caso di un corpo di fabbrica posto
sulla strada che collega l’accesso principale al castello con la chiesa interna. Qui l’architrave, riportante la data 1542, è connesso ad un soprastante
piccolo occhio lucifero sempre in arenaria, che testimonia, insieme al portale, l’alta committenza del
corpo di fabbrica (figg. 1.6-15). La tecnica edilizia,
così come notato per Sorana, mostra segni di attardamento nella lavorazione e nella posa in opera dei
pezzi30. Quando ormai in aree urbane la tecnica impiegata è quella caotica “alla moderna”, in cui lo
Fig. 15 - Sulla destra, edificio medievale con portale scalpellino, figura principale dell’edilizia medievale,
inserito a strappo datato al 1542
scende in secondo piano rispetto al muratore in un
ciclo produttivo che abbatte i costi della lavorazione,
a Pietrabuona si continuano a porre in opera bozzette, se pure meno accuratamente lavorate rispetto ai secoli precedenti.
Gli interventi cinquecenteschi sono localizzati in tutte le aree del castello e vanno a
colmare probabili spazi vuoti o, più verosimilmente, nel cuore dell’abitato a rimpiazzare
strutture preesistenti non più riutilizzabili per degrado o impiego di materiale deperibile.
Casi esemplari sono rappresentati da un edificio ben conservato posto nella parte Sudorientale dell’insediamento o ancora da un corpo di fabbrica collocato sul fronte più
orientale del castello. Quest’ultima struttura, assai rimaneggiata nel secolo scorso e difficilmente leggibile, mostra, in associazione con la tecnica a bozzette cinquecentesca e
l’usuale portale a cornice, un secondo stemma dei Salviati che oggi appare ricollocato,
ma che può ragionevolmente essere associato all’impianto originario (figg. 1.16-16).
L’attestazione di un ulteriore edificio commissionato dalla famiglia fiorentina appare as70
Indagine archeologica sulle architetture
sai significativa sul ruolo che essa dovette avere alle
soglie dell’età moderna nel centro. Pur non disponendo di dati documentari a riguardo, è probabile
che i Salviati abbiano acquisito una consistente base fondiaria nel territorio di Pietrabuona, tale da
giustificare la realizzazione di edifici di residenza e/o
di controllo e prelievo delle rendite agricole.
Tra lo scorcio del secolo XVI e gli inizi di quello
successivo, quando ormai la valle è pacificata sotto il
controllo del florido stato regionale costruito da
Firenze, si colloca l’intervento di restauro e ammodernamento del complesso della chiesa di San
Matteo, nata come oratorio e poi assurta a rango di
chiesa consacrata nel corso del Trecento. Siamo informati dell’andamento dei lavori da alcune fonti documentarie e, soprattutto, da eccezionali date incise sui
paramenti, testimonianti le principali tappe del cantiere edilizio. Si trattò di un intervento poco invasivo,
mirato all’installazione di nuovi portali, confacenti al
gusto del tempo, e al rifacimento del campanile.
Il primo edificio a cui si mise mano fu l’ospedale
del XV secolo, nel quale venne inserito un ricco portale asportando probabilmente il precedente sulla Fig. 16 - Portale cinquecentesco sovrastato dallo
parete settentrionale31 (figg. 1.13-17). Si tratta di stemma nobiliare dei Salviati ricollocato
un’apertura trilitica con caratteristica cornice modanata soprastante sormontata da una lunetta in laterizi, che doveva probabilmente accogliere una decorazione ad affresco. Sull’architrave è incisa entro un cartiglio la data
1586, intramezzata dal trigramma IHS con croce sul tratto trasversale della H32. La chiesa venne rialzata e risistemata nella parte sommitale, forse in relazione al rifacimento del
tetto, mentre l’abside, probabilmente rovinata a seguito di un cedimento, venne ricostruita cambiandone in parte la forma planimetrica33 (fig. 1.9). Nuovi portali vennero installati sul lato orientale, dove è riportata la data A(nno) D(omini) M(ense) S 1599, e sull’entrata principale in facciata, al di sotto della lunetta legata all’antico impianto medievale (fig. 9). Si tratta di portali architravati con stipiti composti da diversi grandi conci
squadrati di arenaria macigno terminanti con due mensole a stampella con modanatura
aggettante verso l’interno dell’apertura (fig. 18). L’ingresso secondario mostra stipiti privi
di base ed una semplice modanatura curvilinea, mentre l’accesso principale, più accura71
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
tamente lavorato, presenta due basi tronco-piramidali
e una modanatura fitomorfa assai stilizzata (fig. 9). La
scalpellatura sui conci orizzontali dei portali della
chiesa indica come, nel Cinquecento, essa sia stata
coperta da uno strato di intonaco in cui gli unici elementi visibili dovevano essere gli elementi architettonici. Il campanile, infine, dove campeggia su un concio del cantonale la data 1611, venne rialzato con la
costruzione di una cella campanaria34.
Il modello dei nuovi portali di ingresso della chiesa
venne adottato probabilmente poco tempo dopo da
maestranze locali in un edificio posto sul lato orientale
dell’abitato. Qui infatti è possibile notare un corpo di
fabbrica, assai compromesso nella lettura da un recente restauro, che mostra un portale e due finestre architravati in arenaria macigno composti da conci grossolanamente squadrati (fig. 1.13). L’esempio ecclesiastico viene riproposto in forme più semplici, unendo le
mensole all’architrave per farne un unico elemento. La
forma a stampella degli elementi laterali viene mantenuta, mentre si perde l’aggetto della modanatura e
quindi l’aspetto squadrato che assume la luce dell’apertura nel modello originario. La scarsa perizia della
Fig. 17 - Nuovo portale dell’ospedale
di San Matteo datato 1586
taglia, ben evidente nella finitura quasi rudimentale
dei pezzi che talvolta presentano un bugnato derivante più dalla volontà di non spianare la faccia a vista che da motivi di carattere estetico, ha
comportato l’impiego di un laterizio nella posa in opera dello stipite destro di una delle finestre, evidentemente motivato da un calcolo errato da parte degli scalpellini al momento
del taglio dei pezzi e da una correzione effettuata dal muratore al momento della loro posa in opera (fig. 19).
Scarse sono le attestazioni dei portali a bugnato rustico rigato, che invece caratterizzano nel Seicento un numero considerevole di edifici a Sorana35. L’elemento architettonico compare al di fuori del castello, nel borgo meridionale e in rifacimenti di strutture
preesistenti. Probabilmente il comune, contrariamente a quello di Sorana, in questi anni
subì una fase di forte recesso economico e forse demografico, di cui è difficile al momento ricostruire i tempi e soprattutto le cause.
Il XVIII secolo segna l’ingresso, a livello edilizio, dell’impiego, seppure non esclusivo,
72
Indagine archeologica sulle architetture
del laterizio. I mattoni vengono utilizzati nella posa
in opera del materiale, ormai esclusivamente in mano ai maestri muratori, e, nei casi di maggiore investimento edilizio, nelle aperture archivoltate, così come attestano due esempi rispettivamente all’interno
dell’abitato, di fronte al lato occidentale del campanile, e nel borgo, sul fronte settentrionale della piazza (fig. 20). Nella maggior parte dei casi, invece, le
aperture vennero realizzate, secondo la prassi del
tempo, reimpiegando le lastre in arenaria preesistenti ruotandole lungo l’asse longitudinale di 90°
in modo tale da avere la superficie lavorata sul lato
interno dello stipite o del davanzale e la faccia scabra in facciata, dove sarebbe stata interamente coperta dall’intonaco. Frequente è la realizzazione di
rudimentali archetti o piattabande al di sopra dell’architrave, funzionali probabilmente alla protezione, seppure sommaria, degli elementi orizzontali. I
segni di maggiore investimento economico si colgono principalmente nel borgo settentrionale dove, accanto ai rifacimenti sopra descritti, venne realizzata
una grande residenza patronale e numerosi edifici
rurali ben databili al periodo per iscrizioni, caratteristiche tecniche ed esame incrociato dei catasti di
XVIII e XIX secolo.
Fig. 18 - Portale laterale della chiesa di San Matteo
e Colombano (ex oratorio di San Michele)
datato 1599
Fig. 19 - Portale principale della chiesa (a sinistra) e finestra di una casa dell’abitato (a destra)
73
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
La prima occupa il margine settentrionale del borgo.
L’edificio, scarsamente leggibile a causa dei restauri e
dell’intonaco, reca sulla facciata meridionale un portale
architravato di pregevole fattura in arenaria macigno
recante la data 17. . (figg. 1.18).
Nei secondi, spesso ben leggibili, venne impiegata
l’usuale tecnica costruttiva “alla moderna” con numerosi frammenti di laterizio, mentre le aperture vennero realizzate in mattoni o con gli stessi conci impiegati nei
cantonali. Il tipo edilizio più diffuso, ben attestato nell’espansione sul lato occidentale della piazza principale del
borgo (figg. 1.21-21), è rappresentato da un edificio a
tre piani con un portale architravato al primo, strette finestre al secondo e grandi aperture costituite da pilastri
più o meno larghi che sorreggono il tetto al piano superiore. Le ridotte dimensioni delle aperture mostrano
chiaramente la volontà di non disperdere il calore interno a discapito dell’ingresso della luce solare che, evidentemente, passava in secondo piano rispetto alle attività rurali praticate dai fruitori della struttura. Tutto cambiava
invece nel sottotetto, dove le grandi finestre gaFig. 20 - Edificio datato 1769
rantivano una maggiore luminosità ed areazione funzionale alla buona conservazione della copertura così come, forse, alla conservazione/lavorazione di alcune derrate.
Nel corso dell’Ottocento il centro continuò ad essere interessato da diversi restauri e
ricostruzioni che non alterarono sostanzialmente il quadro insediativo venutosi a creare
nei secoli precedenti. Il laterizio continuò ad essere impiegato insieme alla pietra senza
mai però sostituirla del tutto. I mattoni vennero talvolta alternati, negli angoli degli edifici, ai cantonali in pietra, mentre trovarono ampia applicazione nelle aperture e, più in
generale, come zeppe e pareggiamenti.
Ai primi anni del XIX secolo risale la ricostruzione della fontana pubblica36 nella piazza inferiore dell’abitato, all’esterno della cinta castellana. Si tratta di un muro entro il
quale si apre una nicchia sormontata da un arco a pieno centro, sulla cui chiave compare uno stemma recante un giglio e la datazione al 1822 (fig. 1.19). Di notevole interesse
è la spianatura dei cunei, per la quale si applicò un’inedita lavorazione con uno strumento a punta portato con un angolo di impatto inferiore ai 45°, in modo tale da creare dei
solchi paralleli e perpendicolari ai raggi dell’arco.
74
Indagine archeologica sulle architetture
Sempre allo stesso secolo appartiene la costruzione di un nuovo edificio di culto a
pianta centrale37 posto immediatamente alle spalle della fontana e poco sotto l’antica
chiesa castellana (fig. 1.20). La struttura, che mostra dimensioni considerevoli, di certo
ben superiori a quelle necessarie per ospitare la sola comunità locale, presenta l’ingresso
sul lato settentrionale, dove si apre un portale architravato inquadrato da due grandi lesene. Gli archi di protezione delle aperture sono realizzati in laterizi, mentre i cantonali e
le bozze del paramento sono in arenaria legata da malta di grassello di calce.
Gli interventi edilizi inquadrabili tra la fine dell’Ottocento e, soprattutto, la prima
metà del secolo successivo si caratterizzarono per l’impiego della tecnica listata, secondo
una prassi ben attestata in tutta l’area appenninica e oltre. Si trattò principalmente di risarcimenti dovuti a forti terremoti che scossero l’area nel periodo in questione e, probabilmente, ai bombardamenti subiti durante il secondo conflitto mondiale. La localizzazione della tecnica muraria, che vide l’impiego di gruppi di filari di laterizi alternati a bancate in pietra, mostra come i maggiori danni vennero subiti dai fronti paralleli ai salti di
quota38 (fig. 22). I portali tipici collegati alla tecnica “anti-sismica” sono costituiti da
Fig. 21 - Edifici del borgo settentrionale
75
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 22 - Edificio medievale con ripresa
post-terremoto
76
sottili piedritti, in arenaria o in cemento imitante la pietra, impostati
su plinti parallelepipedi sorreggenti
un architrave su cui si apre una finestra rettangolare, generalmente protetta da una grata.
Lo spopolamento e il conseguente abbandono di numerosi edifici
nella seconda metà del XX secolo
sta oggi lentamente lasciando il posto ad una progressiva rioccupazione degli spazi che, dismessa la funzione di edifici prettamente rurali,
assurgono a residenze secondarie di
cittadini che in esse cercano un modo di evasione dai rumorosi e inquinati centri urbani. Gli interventi, a livello esterno, si limitano frequentemente alla ristilatura dei giunti, alla
realizzazione di nuove finestre, legate evidentemente ad una rinnovata
ripartizione degli interni, e all’inserimento di nuovi serramenti39.
NOTE
* Dal contributo originario “Il castello di Pietrabuona: vicende architettoniche dal Medioevo alla
prima età moderna” di Antonino Meo nel DVD allegato al volume. L’indagine archeologica sulle architetture di Pietrabuona è stata effettuata con il coordinamento di Antonino Meo e di Federico
Andreazzoli.
1 Sulla figura di Pietro II e sulla sua attività di riorganizzazione della diocesi cfr. A. Spicciani, Un
vescovo tutore del patrimonio ecclesiastico: Pietro II di Lucca (896-933), in San Pietro in Campo a
Montecarlo. Archeologia di una “plebs baptismalis” del territorio di Lucca, a cura di G. Ciampoltrini,
Lucca 2007, pp. 107-136.
2 Il presente paragrafo si inserisce nella scia degli studi di archeologia dell’architettura condotti
tra gli anni Ottanta e Novanta principalmente da Juan Antonio Quirós Castillo e Fabio Redi per la
Valdinievole e, più recentemente, limitatamente a Sorana, da Antonino Meo e Federico Andreazzoli.
3 Per rimanere in Valdinievole, un’idea di come doveva presentarsi nel X secolo il castello può derivare dal confronto con quanto emerso a Terrazzana, cfr. M. Milanese - J.A. Quirós Castillo,
Indagine archeologica sulle architetture
L’archeologia medievale e post-medievale della Valdinievole, in Atti del Convegno su Archeologia della
Valdinievole (Buggiano castello, 29 giugno 1996), Buggiano 1997, pp. 99-161.
4 Come ad esempio a Scarlino.
5 Dati interessanti a tal proposito potrebbero derivare da un’indagine di scavo, che potrebbe mettere in evidenza caratteri materiali ed economici del primo incastellamento e cause del suo immediato
fallimento.
6 Cfr. par. La Rocca, in questo stesso volume.
7 Cfr. J.A. Quirós Castillo, Storia e archeologia di una chiesa rurale nella diocesi medievale di
Lucca: San Lorenzo a Cerreto (Pescia, PT), in «Archeologia Medievale», n. 23 (1996), pp. 401-448.
8 Le maestranze comacine sono attestate a Lucca grazie ad una serie di documenti affrontati in:
G. Concioni, San Martino di Lucca. La cattedrale medioevale, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 1 (2004); P. Guidi, Di alcuni maestri lombardi a Lucca nel secolo XIII (Appunti d’archivio per la
loro biografia e per la storia dell’arte), in «Archivio Storico Italiano», s.7, XII, pp. 209-231; G. Volpe,
Toscana medievale. Massa Marittima, Volterra, Sarzana, Firenze 1964; Quirós Castillo, Storia e archeologia di una chiesa rurale, cit., pp. 401-448.
9 Cfr. Campiglia Marittima. Un castello e il suo territorio. Ricerca archeologica, a cura di G.
Bianchi, Firenze 2004.
10 Cfr. A. Meo, Fasi di formazione e sviluppo, in Il castello di Sorana, di A. Merlo, cit., pp. 85-96.
Sulla casa-torre pisana cfr. F. Redi, Pisa com’era, Pisa 1991.
11 Cfr. par. Note storiche, in questo stesso volume.
12 AALU, Libri Antichi n. 66, c.52, 22 novembre 1354.
13 Cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume.
14 Cfr. AALU, Libri Antichi n. 66, c.52, 22 novembre 1354.
15 Cfr. par. Il palazzo pubblico, in questo stesso volume.
16 Il comune rurale è attestato per la prima volta nello Statuto lucchese del 1308 fra quelli appartenenti alla vicaria Vallis Nebule (ASLU, Statuti del Comune di Lucca n. 1, cc.41-65-75-95, 1308).
17 F. Redi, Edilizia civile in Valdinievole nel Medioevo: primi risultati di un censimento, in Atti del
convegno su Architettura in Valdinievole (dal X al XX secolo) (Buggiano castello, 26 giugno 1993),
Buggiano 1994, pp. 87-102.
18 Sull’unità di misura impiegata cfr. par. Fasi di formazione e sviluppo, in questo stesso volume.
L’area prospicente la torre su via della Ruga è ricordata nella tradizione orale come Le Finestracce, a ricordo delle antiche aperture di un vano adibito a carcere.
19 Non a caso essi sono attestati nei centri principali: Pescia, Uzzano, Montecarlo, Cecina di
Larciano, Serravalle, Pistoiese, Larciano castello, Uzzano, Buggiano, Colle a Buggiano. Cfr. J.A. Quirós
Castillo, Produzione di laterizi nella provincia di Pistoia e nella Toscana medievale e postmedievale, in
«Archeologia dell’Architettura», n. 1 (1996), pp. 41-51.
20 Il medesimo fenomeno è attestato negli stessi anni a Sorana, dove si sviluppò il cosiddetto
“Borgo Paradiso” (cfr. Meo, op. cit., pp. 85-96).
21 Ibid. Nel lavoro su Sorana il grande intervento edilizio trecentesco era stato imputato a Firenze.
Nel caso di Pietrabuona il documento del 1354, più volte citato, mostra come l’operazione di smantellamento dei vecchi simboli del potere e la creazione di nuovi sia avvenuta prima della conquista fiorentina, databile dopo il 1362.
22 La questione meriterebbe di essere approfondita ulteriormente da studi documentari e, soprattutto, attraverso l’ampliamento dell’analisi sulle architetture degli altri centri della Valleriana al fine di
77
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
comprendere ulteriori eventuali casi di “importazione” del modello e/o possibili varianti.
23 Cfr. par. Note storiche, in questo stesso volume.
24 AALU, Visite Pastorali n.5, cc.57 v-58 r., 15 aprile 1450.
25 Cfr. par. L’ospedale di San Matteo, in questo stesso volume.
26 Cfr. par. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi, in questo stesso volume.
27 SASPE, Comune di Vellano n. 328, c. 31r., 19 luglio 1557.
28 Cfr. par. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi, in questo stesso volume.
29 Su Sorana cfr. Meo, op. cit., pp. 85-96. Sull’esempio di Vellano, cfr. J.A. Quirós Castillo, La
Valdinievole nel medioevo. “Incastellamento” e archeologia del potere nei secoli X-XII, Pisa 1999, p. 234.
30 F. Andreazzoli, Fasi di formazione e sviluppo, in Il castello di Sorana, di A. Merlo, cit., pp. 96-109.
31 Ibid.
32 Il portale, privo della connessione con la lunetta soprastante, è inserito nella tabella cronotipologica redatta da Quirós Castillo nel 1992: J.A. Quirós Castillo, Cronotipologia dei portali nell’alta
Valdinievole: la montagna pesciatina (PT), in «Archeologia Medievale», n. 19 (1992), pp. 729-737.
33 Cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume.
34 I lavori per la torre campanaria sembrano potersi identificare con quelli iniziati nel 1604: SASPE,
Compagnie Soppresse n. 1029, cc.23rv., 22 maggio 1604.
35 Andreazzoli, op. cit., pp. 96-109.
36 Cfr. par. La fontana pubblica, in questo stesso volume.
37 Cfr. par. La chiesa dei Santi Matteo e Colombano, in questo stesso volume.
38 Tra gli edifici intaccati è da inserire l’abside della chiesa di culto infra-muranea. Lo stesso fenomeno è stato attestato a Sorana. Cfr. Andreazzoli, op. cit., pp. 96-109.
39 Cfr. par. L’ambiente urbano, in questo stesso volume.
78
Fasi di formazione e sviluppo
Per cercare di comprendere quale sia stato il processo di formazione del castello di
Pietrabuona è necessario affrontare una complessa operazione di lettura delle relazioni
che intercorrono tra l’insediamento ed il territorio circostante, tra la forma urbana e le
sue componenti edilizie (di base e speciali), in relazione al ruolo politico-economico rivestito dall’urbs nel corso di un millennio.
Per ciò che concerne i nessi tra organismo urbano e struttura territoriale, Pietrabuona si
presenta come un tipico insediamento di “testata di crinale”, collegato ad un percorso che
discende dal castello di Medicina (di analoga tipologia), a sua volta derivato dal crinale che
da Nord a Sud interessa il monte Mitola, il monte Telegrafo, il colle Termineto fino alle colline di Marsalla, che funge da spartiacque tra la valle del Pescia di Pescia e la valle del
Pescia di Collodi.
Le caratteristiche orografiche del sito sono tali da conferire all’originario nucleo insediativo una serie di vantaggi in termini di salubrità, di protezione dalle eventuali esondazioni del fiume Pescia, di facilità di difesa e, soprattutto, di controllo di una delle principali vie di comunicazione dal Valdarno verso l’Emilia, rendendolo di fatto una postazione
strategica per la gestione politico-militare di tutto l’organismo territoriale alle spalle della citta di Pescia.
Il primo incastellamento
Nell’anno 914 Pietrabuona è segnalata come castello del vescovo di Lucca. Non è dato sapere, allo stato attuale delle ricerche, quali fossero i reali intenti di Pietro II, ma al di
là delle motivazioni espresse nei precedenti paragrafi, sembra ragionevole ipotizzare che
l’insediamento fosse, fin dall’origine, il presidio1 della città del Volto Santo in un territorio “a confine” tra egemonie in perenne discordia tra loro. In quest’ultimo senso, le dinamiche evolutive di Pietrabuona hanno seguito da vicino le mutazioni del quadro politico
ed economico regionale, subendo una sorta di “letargo” nel momento in cui Firenze ne
ha assunto il pieno controllo.
79
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Le ricerche storiche e le indagini
archeologiche rivelano un susseguirsi
di fasi di crescita e di regresso all’interno della cerchia muraria trecentesca. Del primitivo impianto non rimangono tracce materiali se non in alcuni
allineamenti dei fronti delle case ad
oggi esistenti. La lettura metrico-dimensionale dell’abitato, appoggiata a
schemi progettuali noti e ad alcuni indizi presenti nel tessuto edilizio, consentono comunque di avanzare alcune
ipotesi circa le prime fasi dello sviluppo dell’organismo urbano (fig. 1).
In generale, come accade in tutti i
centri posti sulla testata di un percorso
di crinale, il principale elemento condizionante la struttura urbana è la suFig. 1 - Il primo incastellamento (c: chiasso)
perficie pianeggiante a disposizione
dell’abitato. La necessità di onerose operazioni di “livellamento” mediante movimentazione di terra e/o rimozione e riposizionamento di rocce, avrebbero infatti fatto propendere
per un’altura diversa (fig. 2). L’estensione di tale area doveva pertanto già essere sufficiente per poter tracciare a terra l’impianto dell’erigendo castello ed è presumibile che anche
qui, come già documentato altrove2, questo avvenisse sulla base di uno schema pensato a
tavolino, nel quale la dimensione e la disposizione dei lotti, delle strutture difensive e dei
percorsi, fossero già stati previsti. Ad avallare tale ipotesi i numerosi studi che hanno dimostrato quanto fossero importanti, durante l’età Media, l’organizzazione del cantiere in
relazione, soprattutto, al calcolo delle spese necessarie per la realizzazione di un progetto
a scala urbana, edilizia o architettonica che sia, l’esatta determinazione della proprietà in
funzione della definizione dei titoli di possesso e, infine, la valenza simbolica attribuita a
determinate direzioni cardinali ed a particolari forme geometriche od organiche3.
Altri fattori non secondari dovevano contribuire alla redazione di tale schema; tra
questi sono da ricordare le esigenze di ordine strategico-militare offensivo e difensivo,
quelle legate ai sistemi di comunicazione con gli altri centri e, non ultima, la facilità di
tracciamento dello stesso impianto mediante l’impiego delle semplici regole desunte dalla geometria piana, che ben si conciliavano con gli strumenti in possesso delle maestranze di allora4.
80
Fasi di formazione e sviluppo
Attraverso un’attenta lettura dell’andamento dei percorsi, dei moduli dimensionali
delle strutture edilizie e della caratterizzazione tipologico-strutturale delle stesse, è possibile riconoscere la presenza di un recinto originario di 30x60 braccia lucchesi, in grado di
ospitare su due fronti contrapposti 10 lotti larghi 6 braccia ciascuno. Questa ipotesi è
suggerita dalla disposizione delle odierne unità edilizie lungo il lato occidentale della
probabile, ma non documentata, cinta muraria del primitivo castello (i versanti molto
scoscesi assicuravano di per sé un’ottima difesa anche in assenza di particolari opere
murarie). Tale allineamento, situato in corrispondenza di un salto di quota di 4 metri, è
ulteriormente marcato da un “chiasso” (oggi in parte ostruito, fig. 3) largo 85 cm, che
separa il muro tergale della stecca di case aventi il fronte su via del Campanile da quelle
prospicienti l’odierna via della Ruga.
Sul lato orientale non vi sono lacerti murari che testimonino la presenza della stecca parallela e contrapposta a quella appena descritta, ma tale porzione di tessuto, se mai edificata, deve essere stata sacrificata durante il Trecento per l’inserimento degli edifici pubblici
rappresentativi della comunità che, nel frattempo, si era costituita in libero comune.
L’accesso al castello doveva avvenire da Nord, sul naturale proseguimento del percor-
Fig. 2 - Sezione ambientale. L’elaborato mostra il sedime degli edifici sulla sommità del colle e la diversa
quota del piano di campagna dei fabbricati prospettanti su via del Campanile e su via della Ruga
81
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 3 - Il “chiasso” che separa i muri tergali egli edifici che si affacciano su via del Campanile e via
della Ruga. Lo stipite presente nell’immagine centrale fa parte della muratura appartenente
al fabbricato che prospetta su via della Ruga, mentre la bucatura nell’immagine a destra è inserita
nel paramento della costruzione che si apre su via del Campanile
so di crinale, matrice stesso dell’insediamento, mentre è solo ipotizzabile che l’eventuale
struttura gastaldile si trovasse nell’estremità meridionale, con annessa una torre (l’attuale campanile) ed una cappella antesignana dell’oratorio di San Michele.
Il secondo incastellamento
82
Le vicende del castello nei sui primi anni di vita fanno supporre che l’impianto urbano
non venne mai completato nelle sue strutture, tanto che al momento del secondo tentativo di inurbare il castrum è ipotizzabile che l’impianto stesso abbia subito ulteriori modifiche (l’originario nucleo, infatti, fu abbandonato prematuramente appena quarant’anni dopo essere stato pianificato).
A questa fase di sviluppo può corrispondere probabilmente la realizzazione della cosiddetta “Rocca”, ovvero della primitiva chiesa di San Matteo, appena fuori del perimetro
murario del castello ed in prossimità del suo accesso5. Di questa fabbrica, di assoluto rilievo nel panorama degli edifici chiesastici della Valleriana per le sue peculiari caratteristiche
stilistiche e costruttive, non si hanno notizie certe relative alla sua fondazione, né tantomeno sulla sua funzione originaria, che doveva andare ben al di là dell’abituale cura delle anime ed essere piuttosto relazionata con il ruolo di presidio militare svolto dal castello. Fatto
Fasi di formazione e sviluppo
questo che giustificherebbe sia l’assenza di una chiesa interna al
castrum, sia l’aspetto severo e robusto della chiesa di San Matteo,
che possiede una struttura architettonica tale da poter essere utilizzata anche come avamposto fortificato in caso di assedio.
Della prima delle due cinte murarie nominate dal Villani6 non
vi sono evidenze materiali, ma è presumibile che in un insediamento di dimensioni limitate come Pietrabuona la loro funzione
fosse assolta dalle stesse murature degli edifici costruiti lungo il
perimetro del castello.
L’ampliamento trecentesco
Un diverso e ben più consistente stadio si ebbe durante il XIV
ed il XV secolo quando, a causa del nuovo corso politico seguito
al definitivo passaggio sotto la Repubblica Fiorentina (1364), fu
necessario non solo ampliare il nucleo originario con ulteriori residenze (fig. 6), ma anche dotarlo di un moderno circuito murato
in grado di assicurare la difesa del paese e dei principali edifici
pubblici, politici e religiosi, utili alla sua conduzione. Le nuove
fabbriche furono edificate a cintura del primitivo abitato, su di
uno “scalino”, in parte naturale ed in parte artificiale, posto ad
una quota altimetrica considerevolmente più bassa (tra i 4 ed i 5
metri, fig. 2) rispetto a quella dell’abitato originario che, oltre a
comprendere le nuove unità edilizie a schiera aggregate serialmente, ospitava un percorso anulare (in prossimità dell’isoipsa +
175 metri) corrispondente all’attuale via della Ruga. Le diverse
condizioni orografiche del terreno ad Ovest e ad Est del paese
devono però aver suggerito l’utilizzo di soluzioni tipologiche differenti: in entrambi i casi non si tratta di vere e proprie case a
schiera, ma di una variante dello stesso tipo: quelle sui versanti
occidentale e meridionale, di dimensioni 3,5 x 7,5 m, presentavano una parete cieca sul fronte tergale e tre piani fuori terra su
quello principale, con il portone di accesso posto sulla nuova viabilità (fig. 4), mentre le abitazioni sul lato orientale, di uguale
estensione, non dovendosi addossare alle strutture murarie preesistenti, hanno dato luogo ad unità abitative con due fronti di affaccio e con l’accesso sul percorso principale dell’abitato (fig. 5).
Fig. 4 - Abitazioni che prospettano sul
tratto occidentale di via della Ruga
Fig. 5 - Edifici che prospettano
sul tratto orientale di via della Ruga;
ai piani inferiori non sono presenti
gli accessi agli edifici
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 6 - L’ampliamento trecentesco dell’abitato. Le nuove stecche di edifici (in rosso ed arancione)
presentano una profondità pari a 14 braccia fiorentine (8,17 metri), ma una diversa tipologia edilizia.
In blu la direzione delle murature portanti degli edifici presumibilmente costruiti a completamento
del primitivo nucleo fortificato
La cerchia delle mura
84
Il rinnovato organismo urbano, ormai in una fase di formazione “matura”, in quanto
sostanzialmente simile a quella attuale, venne quindi dotato di una nuova e più ampia
cerchia di mura, il cui tracciato è facilmente riconoscibile ancora oggi, oltre che sulla carta settecentesca redatta dall’ingegner Mazzoni, essendo pervenute fino ai nostri giorni
gran parte delle antiche strutture difensive7 (fig. 7). Questa cinta era dotata di due porte:
la porta settentrionale, detta “Bolognese” o “della Rocca” (fig. 8) e quella meridionale,
conosciuta come “Fiorentina” (fig. 9) poiché in direzione di detta città. Di quest’ultima
Fasi di formazione e sviluppo
rimane solo la spalla sinistra per chi sale dal borgo La Croce, mentre della porta prospettante il castello di Medicina si è conservato l’intero fornice. Data la sua prossimità alla
Rocca, la porta Bolognese non doveva presentare particolari strutture protettive, se non
un massiccio portone a doppio battente; dalle feritoie presenti nell’abside, infatti, sarebbe stato possibile difendere efficacemente l’accesso. Utilizzando parte dei resti dell’antica chiesa di S. Matteo la nuova dominante realizzò, inoltre, una torre a base quadrangolare addossando tre delle sue quattro pareti all’edificio esistente, ingrossandole fino a
portarle allo spessore di tre braccia fiorentine.
È possibile che all’interno del tessuto edilizio si trovasse più di una torre; oltre a quella sopracitata e a quella adibita nel corso del Trecento a campanile della chiesa in
Bicciuccolo, è ancora riconoscibile la torre posta a fianco del palazzo pubblico ed oggi
accorpata ad altri edifici con funzione residenziale.
Fig. 7 - Il circuito murario rappresentato nella mappa catastale redatta dall’ing. Mazzoni nel 1783
85
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 8 - Porta Bolognese
(rilievo di Sabino Pellegrino)
86
Fig. 9 - Porta Fiorentina
Il circuito murario trecentesco mostra alcune peculiarità di notevole interesse nel panorama delle strutture difensive ascrivibili alla seconda metà
del XIV secolo. L’analisi del fronte occidentale, infatti, rivela non solo un’attenta progettazione dell’opera, ma anche, presumibilmente, un intento formale volto più ad intimidire il nemico
piuttosto che essere funzionale alla difensiva. L’ignoto ideatore dell’opera
assunse infatti una condotta diversa
nella realizzazione della cerchia orientale rispetto a quella dei lati Nord,
Ovest ed Est; nel primo caso il suo andamento sembra semplicemente assecondare l’orografia del terreno, mentre
negli altri un disegno dalla geometria
Fasi di formazione e sviluppo
ben definita integra la preesistente Rocca, la torre difensiva costruita al suo interno e le due
nuove porte urbiche (fig. 10). In
questo sistema, volutamente simmetrico, la Rocca, posta sullo spigolo Nord-Ovest, doveva svolgere
la funzione di “puntone”8 a protezione della porta Bolognese, il
principale varco di accesso al castello. Una seconda porta in direzione di Firenze si apriva sul lato
Sud-Ovest, a presidio della quale
non sembra esservi alcuna struttura offensiva. Non è da escludere, inoltre, che sull’asse di simmetria di questo complesso fortificato vi fosse un’ulteriore torre, di
cui oggi sono forse ravvisabili alcuni resti all’interno di un giardino privato, tangente alla muratura o a cavaliere di essa, che
avrebbe consentito di impostare
una difesa cosiddetta “ficcante”. Fig. 10 - Il progetto del fronte occidentale del circuito murario
La scelta dell’architetto di pri- (PB: porta Bolognese, PF: porta Fiorentina, T: Torre trecentesca;
vilegiare nel suo progetto i tre R: Rocca; C: campanile della chiesa di San Michele, ex torre gastaldile)
versanti sopracitati è legato, oltre alle naturali condizioni di difesa offerte al lato orientale, alla viabilità: da
Settentrione infatti giungeva il percorso di crinale da Medicina, mentre da Occidente
saliva la strada di mezzacosta da Pescia; e proprio da questi due cammini era possibile
percepire la fortificazione, il cui aspetto severo doveva essere già di per sé un monito
per i viandanti9.
Niente è possibile dire sulla tipologia della merlatura e sulla presenza o meno della
scarpa. In alcuni tratti oggi raggiungibili, là dove le mura svolgono anche la funzione di
struttura di contenimento del terreno, quest’ultima è infatti presente.
Con il dovuto riserbo ed in attesa di ulteriori riscontri, è comunque verosimile ravvisare
nel progetto dei tre fronti principali un’anticipazione dei disegni dei circuiti murari che
87
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
verranno realizzati nei due secoli successivi dai noti architetti ed ingegneri militari al servizio del Granducato Fiorentino.
Gli edifici pubblici
Allo sviluppo dell’impianto urbano e all’ampliamento delle fortificazioni, che avevano
nel complesso Rocca-Porta un efficace baluardo, corrispose una completa revisione delle
polarità urbane con l’introduzione, presumibilmente al posto del tessuto edilizio preesisten-
88
Fig. 11 - Il progetto della piazza pubblica: a) le geometrie della piazza; b) i rapporti dimensionali
presenti nel palazzo pubblico e nell’ex oratorio di San Michele Arcangelo; c) l’angolo vuoto nel quale
si incontrano a 90° il fronte principale del palazzo pubblico e quello laterale della chiesa; d) l’asse
di spina del paese sul quale giace il campanile
Fasi di formazione e sviluppo
te, del palazzo pubblico10, di poco posteriore alla costruzione della chiesa11. A differenza di
quello che è accaduto in altre castella, i simboli del potere politico e di quello ecclesiastico
non vennero edificati in prossimità del primitivo nucleo, ma al centro dello stesso, divenendo la loro costruzione motivo per una ristrutturazione sostanziale dell’intero insediamento.
In assenza di ulteriore documentazione è per il momento solo ipotizzabile che per fare posto ai due edifici sia stato necessario demolire una parte del tessuto originario.
Le dimensioni sia della chiesa che del palazzo comunale sono esprimibili in braccia
fiorentine, palesando il fatto che la loro costruzione deve essere avvenuta dopo la conquista da parte della città gigliata. Le relazioni metriche e geometriche che vi sono tra i
due edifici e la piazza stessa mostrano una intenzionalità progettuale non comune per
un insediamento considerato, fino a questo momento, secondario nel territorio pesciatino. Gli elementi salienti relativi a questo spazio urbano sono (fig. 11):
– la presenza di un’unica piazza geometricamente definita ma asimmetrica, punto d’incrocio di tutte le visuali, che ospita gli edifici necessari alla vita pubblica;
– la scelta della visione di spigolo in funzione dell’approfondimento della visuale: i singoli elementi della composizione si dispongono secondo precise leggi di accentuazione della profondità. Uno dei temi spaziali presenti, ad esempio, è dato dall’angolo
vuoto nel quale si incontrano a 90° il fronte principale del palazzo comunale e quello
laterale della chiesa;
– il disassamento delle due fabbriche in modo da consentire la vista di parte del fronte
della chiesa direttamente dalla via principale.
– l’alterazione della profondità interna dell’edificio religioso mediante accorgimenti correttivi: la pianta dell’edificio viene deformata da rettangolare in trapezoidale, operazione che ha come risultato il raddrizzamento della fuga delle pareti e quindi un avvicinamento dell’abside;
– l’uso del campanile come asse verticale della composizione: anch’esso trapezoidale, è
posto sul fianco destro della chiesa sull’asse di spina del paese.
Tali artifici, tesi comunque ad agevolare la vista della fabbrica religiosa rispetto a
quella laica, sottolineano, in questo caso, la preminenza della prima rispetto alla seconda. Se è vero che gli edifici pubblici rispecchiano, grazie alla gestione sapiente dei volumi
e degli stilemi formali, l’importanza delle istituzioni che ospitano, bisogna desumere che
Firenze riconoscesse ancora in quest’epoca la supremazia della Chiesa lucchese, presumibilmente legata, almeno in parte, all’estensione dei possedimenti che quest’ultima deteneva all’interno dei confini comunitari.
89
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
La nascita del borgo
Nel corso del XVII secolo avvenne il
definitivo spostamento del baricentro
dell’organismo urbano verso la parte
settentrionale del paese, in corrispondenza dell’area pianeggiante fuori della
Porta Bolognese, dove la presenza di vestigia del vecchio cimitero è documentata in alcuni manoscritti del XVI e del XIX
secolo. Qui si concentrarono con il tempo alcune delle funzioni specialistiche a
servizio del nucleo abitato (come il macello) ed è presumibile che vi si svolgesse anche il mercato, dato che nella documentazione consultata non vi è notizia
di un altro luogo adibito a questo uso. A
metà Ottocento troverà posto in questa
area anche la nuova chiesa, la cui costruzione ha avuto ripercussioni sia sulla
morfologia dell’abitato, snaturando soprattutto la primitiva percezione del castello, sia sulle dinamiche insediative.
L’analisi dell’organismo urbano attuata attraverso la lettura delle unità stratigrafiche murarie12 degli edifici esistenti
consente, infine, di mettere in evidenza
due ulteriori fenomeni degni di nota: il
primo è relativo all’elevatissimo numero
di corpi di fabbrica ricostruiti a seguito
dei terremoti che a più riprese hanno
colpito l’abitato, facilmente riconoscibili
dalle listature in laterizio presenti nelle
Fig. 12 - Il versante orientale della piazza di Castello
cortine dei fronti edilizi; il secondo si riferisce alla differenziazione gerarchica degli edifici, in particolare tra il XVI ed il XVII secolo, come è avvenuto nei castelli limitrofi. Quest’ultima constatazione è sintomatica del
fatto che Pietrabuona sembra essere stata in grado di beneficiare delle fortune economi90
Fasi di formazione e sviluppo
che che hanno investito la Valleriana a seguito del successo dell’industria serica prima e
cartaria poi. Nel tessuto edilizio sia infra che extra-moenia sono documentati, infatti, alcuni casi in cui dalle originarie case a schiera si è passati ad edifici con caratteristiche di
palazzo, segnale indiscutibile di un processo di valorizzazione della proprietà.
NOTE
1
Cfr. par. Le strade, in questo stesso volume.
Cfr. Merlo, Il castello di Sorana, cit., pp. 110-113.
3 Cfr. M.T. Bartoli, Un laboratorio dell’architettura gotica: Firenze, la città, le mura, il palazzo, in
Città e Architettura, le matrici di Arnolfo, a cura di M.T. Bartoli - S. Bertocci, Firenze 2003, pp. 17-53.
4 Gli strumenti topografici in uso dal X al XIV secolo, per quanto è possibile osservare dalle relazioni intercorrenti, ad esempio, tra torri appartenenti a insediamenti lontani tra loro, consentivano di
compiere misurazioni indirette anche a grandi distanze, con una precisione molto elevata (cfr. M.J.T.
Lewis, Surveying instruments of Greece and Rome, Cambridge 2001).
5 Cfr. par. La Rocca, in questo stesso volume.
6 G.-M.-F. Villani, Cronica di Matteo e Filippo Villani con le Vite d’uomini illustri fiorentini di
Filippo e la Cronica di Dino Compagni, Firenze 1364 [rist. anast. Milano, 1834].
7 La fitta boscaglia che circonda il paese sul versante orientale ha impedito di rilevare la cinta muraria. Per poter procedere ad una valutazione dei caratteri geometrico-dimensionali del circuito si è fatto riferimento alle indicazioni presenti nella mappa catastale redatta dall’ingegner Mazzoni nel 1783,
avendo preventivamente verificato in due punti distinti, mediante strumentazione topografica, la correttezza delle misurazioni settecentesche.
8 Con il termine puntone si intende una torre sporgente dal filo delle mura, per lo più poligonale,
considerata un’opera di transizione tra la torre ed il baluardo. Nel XV secolo ebbe già i caratteri del bastione (cfr. M. Naldini - D. Taddei, Torri Castelli Rocche Fortezze. Guida a mille anni di architettura fortificata in Toscana, Firenze 2003, p. 190).
9 A quell’epoca non esisteva alcun percorso di fondovalle che cingesse sul lato orientale il colle su
cui giace Pietrabuona (cfr. mappa catastale dell’ingegner Mazzoni).
10 Cfr. par. Il palazzo pubblico, in questo stesso volume.
11 Cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume.
12 Cfr. par. Indagine archeologica sulle architetture, in questo stesso volume.
2
91
La Rocca*
Dell’antico edificio posto “nel luogo detto la rocca”1 – strategicamente posizionato a
conclusione del percorso di crinale che, scendendo da Medicina e passando per il Santo
Vecchio, conduce ad una delle due porte trecentesche del castello di Pietrabuona – si
conservano oggi soltanto alcuni lacerti murari appartenenti alla primitiva chiesa di San
Matteo2 e le vestigia di una torre difensiva costruita al suo interno in seguito agli scontri
del XIV secolo (fig. 1). Nonostante l’attuale stato di degrado ed abbandono dell’organismo architettonico, le due strutture costituiscono la testimonianza materiale di un graduale processo storico che ha progressivamente fatto perdere alla fabrica la funzione re-
92
Fig. 1 - Sistema Rocca-porta visto dalla via Mammianese
La Rocca
ligiosa per la quale era stata concepita e realizzata per assumerne una prettamente difensiva.
Sebbene la fondazione della chiesa venga
tradizionalmente fatta risalire ad un lasso di
tempo compreso tra il X e l’XI secolo, a seguito della seconda fondazione del castello,
le prime notizie documentarie che ne attestino la presenza sono le pergamene
dell’Archivio Capitolare di Lucca3 e gli Estimi
della Diocesi di Lucca4 degli anni compresi
tra il 1260 e il 1303, che la riportano come
“Ecclesia S. Mathei de Petrabona”5, dipendente dalla “Plebes de Piscia”6. Sicuramente
presente, con il suo cimitero annesso7, durante i feroci scontri del 1281, l’edificio conservò
probabilmente la sua funzione religiosa fino
alla metà del secolo successivo8, quando i repentini sconvolgimenti politici e le ripetute
battaglie combattute sul territorio imposero
delle modifiche radicali al corpo di fabbrica
(fig. 2). Dalle cronache del tempo si evince
come nel 1354 la chiesa risultasse pesante- Fig. 2 - Abside e fianco Nord-Ovest della Rocca
mente danneggiata, tanto da spingere gli
abitanti del castello ad abbandonarla e a trasferire le normali funzioni religiose all’interno dell’oratorio9, dove il rettore della chiesa di
Medicina venne autorizzato da Berengario vescovo di Lucca ad officiare le funzioni10.
Sebbene non sia possibile escludere a priori un valore difensivo dell’edificio anche a
cavallo tra XIII e XIV secolo, è probabile che il cambiamento definitivo di ruolo sia coinciso proprio con il passaggio del castello sotto la sfera di influenza fiorentina11. Sui resti
dell’antica chiesa, sfruttando dove possibile le murature rimaste indenni, la nuova dominante realizzò una torre a controllo della porta addossata alla base dell’abside. Alla fine
del Trecento il sistema Rocca-porta divenne pertanto un nodo fondamentale dell’ultima
cinta muraria12 – della quale la torre ed i lacerti dell’antica chiesa divennero parte integrante – ma, al pari delle altre strutture militari, anch’esso vide gradualmente decrescere
la sua importanza man mano che le mutate condizioni socio-politiche imposero un differente assetto difensivo, e conobbe una progressiva fase di declino.
93
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
La prima vera descrizione del manufatto architettonico risale al XVI secolo quando Lorenzo
Pagni, ad una prima lettera indirizzata ai
Capitani di Parte Guelfa nella quale richiedeva il
passaggio di proprietà della Rocca13, fece seguire una seconda istanza in cui, oltre a rinnovare la
domanda, identificava la struttura “lontana dalla
terra di Pescia circa due miglia verso la montagna al suo sito è lungo circa braccia 25 et largo
braccia 18 dove esser una bella torre et dentro vi
sono certi archibusi antiqui da muraglia et serve
per rifugio di quel castello ne’ tempi di guerra et
non ha beni di sorte alchuna intorno se non le ripe che per essere sul masso non si potrebbero
condurre a’ cultura”14.
L’area fu sottoposta a livello anche nei secoli
Fig. 3 - Il crollo della Rocca. Foto conservata all’archivio successivi15, finché nel 1815 Carlo Poschi ottenfotografico della Soprintendenza (Soprintendenza per
ne l’affrancatura della torre e delle terre ad essa
i Beni Architettonici di Firenze, riproduzione fotografica
annesse16. L’organismo architettonico non trovò
n. 88593. Su gentile concessione del Ministero per
però una concreta possibilità di rifunzionalizzai Beni e le Attività Culturali)
zione e subì un graduale processo di abbandono,
aggravato dal degrado delle strutture soggette ai fenomeni atmosferici, tanto che nel
1832 Bonaventura Poschi ne chiese la parziale demolizione17. Il progressivo deterioramento fu aggravato anche dall’edificazione di un fabbricato eccessivamente vicino al
fronte Sud-Est e da una lunga serie di crolli, fino all’ultimo, degli anni Settanta del XX
secolo (fig. 3), che impose la realizzazione delle murature in cemento armato a contenimento del terreno ed a protezione dei setti murari rimasti.
Indagine metrica della fabrica lucchese
94
L’edificio non segue strettamente un canonico orientamento Est-Ovest, ma risulta ruotato di circa 60° rispetto ad esso (fig. 4). Le ragioni di tale inclinazione possono essere
rintracciate nella volontà di conferire un determinato allineamento dell’aula rispetto al sole in particolari giorni dell’anno18 e, soprattutto, nella necessità di un miglior sfruttamento
del ridotto spazio disponibile sullo sperone roccioso. Tale motivazione potrebbe aver determinato anche la presenza del portale principale di accesso (A) sul lato Sud-Est, in direzione dell’abitato19. Benché il crollo quasi totale della parete Sud-Ovest non consenta di
La Rocca
Fig. 4a - Rilievo integrato dei lacerti della Rocca - pianta (elaborazione a cura di Gaia Lavoratti
e Andrea Aliperta)
Fig. 4b - Rilievo integrato dei lacerti della Rocca - sezione AA’ (elaborazione a cura di Gaia Lavoratti
e Andrea Aliperta)
95
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 4c - Rilievo integrato dei lacerti della Rocca sezione BB’ (elaborazione a cura di Gaia Lavoratti
e Andrea Aliperta)
96
negare l’esistenza di un ulteriore accesso su quest’ultimo, le dimensioni e la finitura del varco A e
le proporzioni della navata20 tendono a far escludere questa eventualità.
Un’indagine più specifica riguardante il dimensionamento della fabrica consente di avvalorarne l’origine lucchese e, contemporaneamente,
di formulare alcune considerazioni in merito al
progetto del manufatto architettonico21.
Il perimetro esterno dell’edificio si imposta su
un rettangolo aureo – in cui, pertanto, i lati minori (Nord-Est e Sud-Ovest) risultano essere la
sezione aurea dei lati maggiori (Nord-Ovest e
Sud-Est) lunghi 26 BL22 – all’interno del quale
sono stati impostati gli spessori murari delle pareti (11/4 BL per le pareti laterali e tergale, 11/2
BL per la parete Sud-Ovest).
Fig. 5 - Proporzionamento dell’aula. Il perimetro
esterno è un rettangolo aureo con il lato
maggiore lungo 26 BL. L’abside è posizionata in
asse con la navata suddividendo il lato minore
interno in quattro parti
Fig. 6 - Proporzionamento dell’abside
e delle aperture. I rapporti geometrici individuati
tra i pieni ed i vuoti indicano una precisa volontà
progettuale nel dimensionamento degli elementi
principali dell’aula
La Rocca
Su tale impianto l’ampiezza dell’abside, perfettamente centrata nella parete Nord-Est,
si imposta esattamente suddividendo in quattro parti uguali il lato stesso (fig. 5).
L’apertura così determinata costituisce lo spigolo maggiore del rettangolo (i cui lati sono
tra loro in rapporto di 7:423) che inscrive l’abside a ferro di cavallo.
L’asse dell’accesso principale alla navata (A), infine, si trova, rispetto al vertice orientale esterno dell’edificio, ad una misura pari alla sezione aurea dell’intero lato Sud-Est
(pertanto corrispondente alla misura dei lati Nord-Est e Sud-Ovest) e dista dall’asse dell’altro accesso (B) 11 BL24 (fig. 6).
Confronti stilistici e formali
Se il dimensionamento conferma un progetto di impianto maturato in ambito lucchese, i caratteri stilistici denotano un preciso riferimento all’architettura romanica pistoiese
– ed in particolare alle chiese appenniniche – già a partire dagli aspetti salienti dell’edificio: la navata unica, l’abside a ferro di cavallo, il coronamento a mensole con modanatura e la totale assenza di bicromia25. Tale corrispondenza potrebbe essere giustificata
dalla prossimità dell’abitato alla via publica di collegamento con la valle della Lima ed
alla relativa vicinanza alla via Francigena, importanti luoghi di transito di uomini e mezzi
in grado forse di influenzare le scelte espressive operate per la chiesa di Pietrabuona26.
L’edificio presenta una muratura a sacco (fig. 7) con paramento esterno ed interno in
blocchi lapidei squadrati su filari orizzontali e continui di altezza omogenea.
L’accuratezza nell’esecuzione si manifesta non soltanto nell’impiego della tecnica pseudo-isodoma, ma anche nella meticolosità della finitura superficiale delle bozze ben spianate e riquadrate.
L’abside a ferro di cavallo27 (fig. 8) poggia su un basamento a gradoni che consente
di superare il salto di quota tra la soglia della porta urbica ed il piano di calpestio della
navata. All’esterno risultano totalmente assenti gli archetti pensili che decorano numerose chiese contemporanee nelle vicinanze28; la cornice aggettante è retta da mensole modanate simili a quelle della chiesa di San Silvestro di Santomoro, della badia di San
Tommaso di Santomato e della chiesa di San Frediano di Fabrica. All’interno la medesima cornice è riproposta all’imposta del catino absidale29 chiuso da un arcone in pietra,
mentre le due aperture rettangolari, disallineate e sicuramente successive all’iniziale impianto, lasciano intravedere la traccia di un’ipotetica monofora originale, di dimensioni
contenute e posizionata al centro del ferro di cavallo (fig. 9).
Il portale principale d’accesso (A) presenta un architrave liscio privo di mensole, al di
sopra del quale sono stati ricollocati frammenti di cornice modanata. Della lunetta rimane
soltanto la parte esterna ed orientale dell’arco fino alle reni, della quale è possibile ap-
97
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 7 - Muratura a sacco che caratterizza l’intera
fabrica lucchese
Fig. 8 - Abside a ferro di cavallo della chiesa
di San Matteo
Fig. 9 - Catino absidale realizzato con buona cura
stereotomica
Fig. 10 - Particolare del portale di accesso principale (A)
98
prezzare la cornice modanata dell’estradosso e l’omogeneità nella suddivisione radiale dei
conci (fig. 10). Il secondo accesso sul lato Sud-Est (B), posto in area presbiteriale a ridosso
dell’abside, presenta uno stipite30 costituito da un’unica pietra poggiante su una soglia
modanata, al di sopra del quale si imposta un architrave liscio sorretto da una mensola
(fig. 11) decorata con tema floreale simile a quello dell’architrave in facciata della chiesa
di San Iacopo e Martino di Uzzano ed una spigatura a bassorilievo presente anche sul portale della chiesa di San Michelino in Pescia. Sebbene nell’impianto decorativo manchino, o
siano andati persi, elementi figurativi strettamente legati alla rappresentazione alto-medievale di figure zoomorfe ed antropomorfe, la volutina della mensola (fig. 12), oggi semiincastonata nel muro edificato a ridosso dell’edificio religioso, richiama, per forma e dimensione, alcuni dei capitelli della cripta della badia di San Salvatore in Agna, ed in gene-
La Rocca
Fig. 11 - Mensola a sostegno dell’architrave
dell’accesso (B)
Fig. 12 - Voluta della mensola dell’accesso (B)
semi-incastonata nella successiva muratura
Fig. 13 - Architrave e lunetta dell’accesso (B)
Fig. 14 - Una delle due monofore sul fianco Sud-Est
rale alcuni manufatti di pregio realizzati dalle principali maestranze operanti in zona31. La
lunetta a tutto sesto con mensole modanate mostra nell’intradosso il sacco della muratura
e sul concio di chiave i resti di una decorazione in laterizio andata perduta (fig. 13).
Le due monofore che si aprono sul lato Sud-Est, infine, sono realizzate con un archetto intagliato in un’unica pietra sorretto da mensole modanate montate su stipiti monolitici, soluzione questa impiegata anche nelle vicine chiese di San Niccolò di
Monsummano Alto e San Piero in Campo. Del davanzale aggettante, a causa della prolungata esposizione agli agenti atmosferici, non è più possibile distinguere il sistema di
modanature che lo ornava, così come non è più visibile la decorazione interna delle
aperture in quanto ad esse è stata addossato il paramento murario al momento della costruzione della torre nell’aula ormai interdetta al culto (fig. 14).
99
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Da chiesa a Rocca
L’edificazione della torre fiorentina
Fig. 15 - Dimensionamento della torre
100
Fig. 16 - Resti della torre fiorentina all’interno
della navata della chiesa di San Matteo
Gli ingenti danni subiti dalle strutture della
chiesa di San Matteo durante i conflitti del XIV
secolo e gli sconvolgimenti politici legati al
passaggio del castello sotto Firenze indussero
probabilmente i nuovi signori ad intervenire in
modo rapido e consistente per rendere nuovamente fruibile l’edificio come struttura militare,
provvedendo alle necessarie riparazioni.
Risale verosimilmente a questa fase storica
del castello l’erezione della torre quadrangolare,
i cui lacerti sono ancora ben visibili all’interno
della navata dell’antica chiesa.
La nuova struttura venne realizzata addossando tre delle sue quattro pareti ai resti dell’edificio esistente, ingrossandole fino a portarle allo spessore di 3 BF32, e posizionando il
muro Sud-Ovest, anch’esso spesso 3 BF, ad
una distanza di 71/2 BF dal parallelo Nord-Est
(fig. 15). Il diverso momento storico di realizzazione della torre rispetto alla preesistente
struttura religiosa si esplica non soltanto nell’unità di misura impiegata, ma anche nelle
tecniche costruttive utilizzate e nella tipologia
di paramento murario, a bozze più piccole e irregolari (fig. 16).
Sulle ragioni dell’edificazione di una struttura
difensiva proprio in quella posizione, infine, è
possibile ipotizzare che il controllo dell’imbocco
della val di Torbola e della val di Forfora ed il
contatto visivo con il vicino castello di Medicina
possano aver giocato un ruolo fondamentale,
così come di primaria importanza dovette essere
la difesa della porta urbica edificata ai piedi della Rocca.
La Rocca
NOTE
* Dal contributo originario “La Rocca. Da luogo di culto a presidio difensivo” di Gaia Lavoratti nel
DVD allegato al volume.
1 G. Palamidessi, Pietrabona. Ricerche storiche, Pescia 1930, p. 15.
2 Dell’originaria chiesa restano gran parte della parete Sud-Est fino alla cornice, l’intera parete
Nord-Est contenente l’abside e la traccia a terra di una porzione della parete Sud-Ovest. La parete NordOvest è andata completamente perduta in seguito a ripetuti crolli causati dal cedimento del terreno.
3 ACLU, Pergamene, T 15, 1209.
4 BSLU, Libellus extimi Lucanae dyocesis MCCLX, ms.135.
5 Riguardo alla titolazione della chiesa gli storici locali discordano tra San Matteo (cfr.
Palamidessi, op. cit., p. 15; Repetti, op. cit., pp. 206-207) e Santi Matteo e Colombano (cfr. G.
Salvagnini, Pietrabuona castello di Valdinievole. Appunti di storia urbana, in «Rivista di archeologia,
storia, costume», n. 3 (1982), pp. 17-22).
6 F. Redi, Chiese medievali del Pistoiese, Pistoia 1991, pp. 218-220.
7 Nel 1595 venne respinta un’istanza di allivellamento delle carbonaie a Nord del castello perché
in quel luogo erano ancora presenti “vestigia di cimitero di vecchia chiesa rovinata” (cfr. Salvagnini, op.
cit., pp. 17-22). Sebbene dai documenti l’area non possa essere localizzata univocamente, è possibile
che la chiesa ottocentesca sorga proprio sul medesimo suolo consacrato.
8 L’avvenuto passaggio di funzione da chiesa a Rocca è testimoniato soltanto in un documento
del 1354 relativo ad una visita alla nuova chiesa di San Matteo e Colombano dal quale si evince che
“La chiesa [all’interno del paese, ndr] è nuova e non consacrata perché era un oratorio e la chiesa antica fuit conducta in roccam et fortilitium” (AALU, Libri antichi, 66 c.52, 22 novembre 1354).
9 Cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume.
10 AALU, Libri antichi di cancelleria 24 c. 1, 1364.
11 La pace tra Firenze e Pisa-Lucca fu firmata il 17 agosto 1364 nella chiesa di Santo Stefano in
Pescia. Tale accordo sanciva il definitivo passaggio del castello sotto la dominazione fiorentina.
12 Cfr. par. Fasi di formazione e sviluppo, in questo stesso volume.
13 ASFI, Capitani di Parte Guelfa 715, n. 2, 17 luglio 1563.
14 ASFI, Capitani di Parte Guelfa 715, n. 3, 26 agosto 1563.
15 Nel 1612, ad esempio, l’intera area venne ceduta a livello al pesciatino Stefano Martini (cfr.
Salvagnini, op. cit., pp. 17-22).
16 SASPE, Comune Vellano 380, cc. 24rv., 7 maggio 1815.
17 SASPE, Comune Vellano 380, cc., 2 ottobre 1832.
18 Cfr. par. Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali, in
questo stesso volume.
19 Il ricorso all’accesso laterale, sebbene non particolarmente comune, è presente in alcuni edifici religiosi nei quali le condizioni orografiche del sito su cui sorgono impediscano un’entrata canonica dal lato
minore della fabrica. La chiesa di San Biagio a Montorgiali, ad esempio, presenta una soluzione simile a
quella impiegata nella realizzazione del San Matteo di Pietrabuona, trovandosi al limite di uno sperone di
roccia, senza la possibilità di un accesso frontale con una pertinenza sufficientemente ampia.
20 Esaminando i lacerti della parete Sud-Ovest è evidente come nel paramento superstite non si ritrovino tracce di aperture. Un eventuale portale di accesso, di dimensioni almeno pari all’accesso di Sud
Est, pertanto, sarebbe dovuto essere posizionato più a Nord, risultando così assolutamente decentrato
rispetto alla navata. Tali considerazioni tendono a far escludere la presenza di un ingresso, non menzionata nemmeno dal Palamidessi nel 1930 (cfr. Palamidessi, op. cit., pp. 16-17), sebbene i crolli avvenuti
101
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
e l’assenza di una più mirata documentazione storica non consentano di negarla definitivamente.
21 Nonostante il crollo di buona parte delle pareti Nord-Ovest e Sud-Ovest abbia irrimediabilmente
fatto perdere traccia dell’angolo Ovest del fabbricato, la posizione di quest’ultimo è stata ricavata all’intersezione delle direzioni determinate dai lacerti dei muri Nord-Ovest e Sud-Ovest.
22 BL = Braccio Lucchese = 0,590500 m. (cfr. A. Martini, Manuale di metrologia, ossia misure, pesi
e monete in uso attualmente e anticamente presso tutti i popoli, Torino 1883, p. 308).
23 Il rettangolo così generato è l’approssimazione del rettangolo dinamico mediante il quale è possibile individuare la √3. Il lato maggiore risulta infatti essere L√3, dove L, misura del lato minore, corrisponde alla profondità dell’abside.
24 Dell’apertura B rimane soltanto lo stipite orientale; ipotizzando lo stipite occidentale simmetrico
al precedente rispetto all’asse della lunetta posta al di sopra dell’architrave è possibile verificare come
esso dovesse trovarsi alla distanza di 4 BL dallo spigolo orientale della navata.
25 In particolare l’assenza di bicromia, archetti ciechi o losanghe tende ad allontanare l’architettura
dai canoni compositivi più strettamente pisani e lucchesi, mentre la contemporanea mancanza di archetti pensili di coronamento non consente di collocare in situ le stesse maestranze di derivazione lombarda che hanno operato nella realizzazione di altre architetture contemporanee della stessa area (cfr.
Redi, Chiese medievali del Pistoiese, cit., pp. 64-78).
26 La particolare posizione, a controllo di un’importante via di comunicazione e sullo storico confine
tra i territori lucchesi e fiorentini, ha sicuramente influenzato le scelte formali e stilistiche operate per la
chiesa di San Matteo. Sebbene siano innegabili i riferimenti all’architettura religiosa dell’Appennino pistoiese, la perizia esecutiva, la pulizia formale e l’impiego di alcune bozze finemente decorate differenziano la fabrica dalla maggior parte delle cappelle rurali della zona. Il consistente spessore murario, la posizione su uno sperone roccioso a ridosso del sistema difensivo trecentesco, la scarsità di aperture e l’entrata laterale la accomunano piuttosto alle chiese-fortezza diffuse nel medesimo periodo in tutta Europa. Gli
esempi toscani sono rari, ma non marginali, dislocati in aree storicamente di frontiera o sulle isole.
27 In pianta la geometria dell’abside supera di circa 16° la semicirconferenza. Tale caratteristica,
seppur poco accentuata, colloca stilisticamente il manufatto nell’ambito delle chiese romaniche
dell’Appennino pistoiese.
28 Un esempio su tutti può essere considerata la chiesa di San Michelino di Pescia.
29 L’intradosso della volta, conservatosi interamente nonostante alcune lesioni, mostra una cura ed
una precisione nella stereotomia dei conci che non trova uguali nella maggior parte degli esempi limitrofi comparabili per forma e dimensione (il catino absidale della pieve di San Leonardo di Artimino,
della badia di San Giusto al Monte Albano o della più vicina chiesa di San Michelino di Pescia).
30 Lo stipite occidentale è invece andato perso e ad oggi l’accesso è stato parzialmente rimodellato per far fronte a successive esigenze nell’utilizzo dei vani interni inserendo un archetto in muratura a
contenimento del sacco della parete.
31 Redi, Chiese medievali del Pistoiese, cit., pp. 142-152.
32 BF = Braccio Fiorentino = 0,583626 m. (cfr. Martini, op. cit., p. 206).
102
L’oratorio di San Michele Arcangelo*
La struttura architettonica
L’oratorio di San Michele (poi divenuto chiesa di San Matteo e
Colombano) è posto al centro dell’antico insediamento in Bicciuccolo1, affacciandosi sulla piazzetta
più alta del castello di fronte al palazzo pubblico.
L’edificio (fig. 1), ad aula unica di
forma trapezoidale, termina con
un’abside “a ferro di cavallo” coperta da un catino a sesto ribassato; la
copertura “a capanna” del corpo di
fabbrica è sostenuta da capriate lignee di recente fattura.
Un gradino che corre per tutta la
larghezza della chiesa consente di
differenziare la quota del piano di
calpestio dell’area presbiteriale rispetto a quella dell’aula. La particolare morfologia della pianta (fig. 2)
e la notevole estensione dell’abside,
il cui rapporto con le dimensioni della navata non trova corrispettivi in
altri edifici chiesastici della zona,
fanno sì che lo spazio si dilati in
prossimità dell’altare. L’innesto tra Fig. 1 - Fotopiano del fronte principale dell’oratorio
questi due volumi avviene attraver- di San Michele Arcangelo
103
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
so un’apertura quadrangolare, con architrave stuccato in finto marmo, in sostituzione di un precedente arcone costruttivamente e morfologicamente più consono alla tipologia della fabbrica2.
La pavimentazione è realizzata con
elementi di cotto di vari formati, messi in
opera a spina di pesce all’interno di una
fascia perimetrale.
Le aperture lucifere presenti sulla facciata, sui fianchi e nell’abside, tutte di
epoca più tarda rispetto all’impianto primitivo, rendono l’interno dell’edificio sufficientemente luminoso.
Sulla parete destra si trova la sacrestia, ricavata all’interno della torre campanaria (fig. 3), alla quale si accede, una
volta superati due gradini in pietra locale, mediante una piccola porta con stipiti
ed architrave, anch’essi in macigno.
Sempre sul fianco destro si trova una
cappella con altare dedicato alla
Madonna, ricavata all’interno di una nicchia sporgente rispetto alla parete perimetrale della chiesa e ornata con un ciclo di pitture databili al XVII secolo.
L’altare maggiore “alla romana” è di
modesta
fattura e decorato con stucchi
Fig. 2 - Pianta dell’oratorio di San Michele Arcangelo
che simulano marmi policromi. Nei suoi
(sezione a 1,70 m da terra). La pianta, con le indicazioni
della pavimentazione, descrive la sacrestia e, solo in parte,
fianchi sono presenti due piccoli vani rile scale che conducono alla torre campanaria
vestiti in metallo lavorato: quello sulla sinistra, di forma trilobata, doveva contenere gli oli santi, mentre quello sulla destra era presumibilmente utilizzato come tabernacolo. Sopra la mensa, i resti di un “dossale” in legno fanno presumibilmente parte di
un intervento di ristrutturazione a cui è stata sottoposta la chiesa nei primi decenni del
XIX secolo per aggiornarla ai mutati gusti del tempo.
Sul fianco sinistro dell’aula si trovano la seconda porta di accesso, caratterizzata an104
L’oratorio di San Michele Arcangelo
Fig. 3 - Sezione trasversale verso l’altare maggiore.
L’elaborato, sezionando la sacrestia al centro del
vano, dà indicazione della sequenza degli ambienti
che costituiscono la torre campanaria
Fig. 4 - Fotografia dell’interno della chiesa, gia in stato di
abbandono, conservata all’Archivio Fotografico della
Soprintendenza (Soprintendenza per i Beni Architettonici
di Firenze, riproduzione fotografica n.102362. Su gentile
concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)
ch’essa da un portale in pietra ascrivibile al XVI secolo, e il fonte battesimale, posto all’interno di una nicchia ricavata nella muratura e decorata con l’immagine del Battesimo
di Cristo3.
Infine, nella controfacciata, è situata la cantoria, realizzata presumibilmente nella terza
decade dell’Ottocento con elementi lignei stuccati e dipinti, che ospitava un organo4.
Nell’insieme l’interno della chiesa, non più utilizzata da tempo ma mai sconsacrata,
versa oggi in uno stato di avanzato degrado (fig. 4), di cui soffrono in particolare le decorazioni pittoriche presenti sulle pareti.
Vicende costruttive
Il trasferimento del culto dalla primitiva chiesa di San Matteo, all’oratorio di San
Michele, come conferma un documento del 1354, non avvenne a seguito della distruzione della Rocca da parte dei Fiorentini nel periodo compreso tra il 1361 ed il 1364, ma
circa un decennio prima. Nella Visita Pastorale del 22 novembre 1354 si legge infatti:
105
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
“La chiesa è nuova e non consacrata perché era oratorio e la chiesa antica fuit conduca
in roccam et fortilitium”. E ancora: “la chiesa ha un altare della Santa Croce e in detta
chiesa c’è unam fenestram cum clausura bona et idonea”5.
La guerra contro i Fiorentini danneggiò comunque anche la nuova chiesa, che nel
1381 si trovava “in malum statum per la guerra e diminuita nelle sue facoltà”, come del
resto lo era quella di Cerreto, rimasta, tra l’altro, senza rettore6.
I documenti d’archivio non consentono di risalire alla data di costruzione del fabbricato. L’apparecchiatura muraria in bozze di pietra del fianco Est e del fronte principale7,
così come alcuni degli elementi architettonici che caratterizzano il portale principale8 sono certamente ascrivibili al periodo romanico. L’architrave sormontato da un arco a tutto
sesto con imposte rialzate, in particolare, è uno degli elementi tipici del romanico pisano-lucchese, il cui riverbero giunse anche in Valdinievole9 e nel territorio pistoiese10.
Non è stato possibile stabilire se le parti più antiche di muratura siano coeve alla costruzione dell’oratorio o se siano appartenute a costruzioni preesistenti. La presenza inusuale di una torre annessa ad un oratorio, infatti, induce ad ipotizzare che nel luogo occupato da quest’ultimo vi fosse in precedenza un palazzo con torre, modificato nel corso
del XII-XIII secolo per inserirvi la nuova funzione; cambiamento purtroppo non registrato
nei documenti superstiti.
Sempre dalla Visita del 1354 si evince che la chiesa era già provvista di canonica, anche se non se ne conosce l’esatta ubicazione. La presenza del fonte battesimale viene
106
Fig. 5 - Sezioni longitudinale e trasversale del corpo principale della chiesa.
Da questi elaborati sono ben evidenti i cambiamenti di quota che caratterizzano questa costruzione
L’oratorio di San Michele Arcangelo
menzionata, invece, solo a partire dalla Visita Pastorale del 145011.
Il primo documento che riporta delle notizie più estese sulla chiesa in Bicciuccolo è la
Visita Pastorale del 25 aprile 146712, dalla quale si evince che “è consacrata con l’altare
maggiore […] è battesimale e prende l’acqua e il Santissimo dalla pieve di Pescia. Ha
l’opera e il suo operaio è Blaxio di Antonio”13, il quale entro l’anno avrebbe dovuto riparare la canonica. Di quest’ultima sappiamo inoltre, da un documento più tardo (1575),
che “è piccola e parva e non molto comoda per un rettore”14.
Non è stato possibile accertare se, al momento della trasformazione funzionale da
oratorio a chiesa, la fabbrica abbia subito delle modifiche; è però ipotizzabile che l’oratorio fosse, in origine, sprovvisto di abside.
Alcuni interventi importanti all’edificio furono realizzati all’inizio del XVI secolo. Nel
documento del 26 febbraio 1512 si legge infatti: “peragli et paressi decta comunità di
volere fare una agiunta alla chiesa di S. Matteo e Colombano in dicto Castello di
Pietrabuona posto et quella fare riconciliare et ogni cosa a buon fare”15. È presumibile
che le opere a cui si fa cenno nel documento siano quelle necessarie alla costruzione
della prima abside; lavori che dovettero durare più di due anni, se in un documento del
20 febbraio 1516 “Francesco di Giunta, Francesco di Mencio et Giovanni di Antonio
Filaferro et chiamati dal presente consiglio et uomini di Pietrabuona a spendere ducato
30 in raccrescere la chiesa di San Matteo e Colombano nel Castello di Pietrabuona et
quella riconciliare et decti ducati si habbiano a cavare dal guadagno”16 (fig. 5).
Una seconda serie di opere deve essere stata realizzata agli inizi del XVII secolo. In un
documento del 3 maggio 1615 si chiese di: “concedere a detta comunità di poter accrescere la lor chiesa sendo per l’incapacità di essa con scomodo grandissimo per il popolo e
fare alli due offitiali e insieme voglia restar servita a fare accomodare tal conto a’ detta comunità”17. Le opere a cui si fa riferimento sono presumibilmente quelle necessarie alla costruzione della cappella con altare sporgente sul fianco Ovest della chiesa, con le quali
venne data una degna sede alla Compagnia della Madonna e del Corpus Domini18, se nel
documento del 26 febbraio 1628 si legge che i membri della Compagnia del Corpus
Domini “dovessero sopra ciò a far dipingere la nicchia della nostra compagnia et allora
fosse lecito trovare il pittore farli far la poliza e tenere conto di tutta la spesa”19. A questa
data, infatti, i lavori iniziati nel 1615 dovevano essere stati conclusi e la Compagnia si prestava a decorare il nuovo “ambiente” con pitture proprie dell’epoca.
La compagnia del Corpus Domini fu molto attiva in Pietrabuona, facendosi carico costantemente dei lavori necessari al mantenimento della chiesa. In un documento del
1611, ad esempio, si legge che “Lorenzo di Bastiano […] come governatore ringò e disse
che essendo lui uno de’ sopra ciò alla fabbrica del campanile della chiesa di San Matteo e
Colombano di Pietrabuona, per il quale essendo mancato in denaro per fornire detta fab-
107
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
brica e per non lasciare detto campanile imperfetto solo per non poter suonare le campane come ancora per non
venire al peggio il qual che rovina di
pioggia o per il campanile o per la
chiesa e più occasioni risoluti in tutto
e per tutto di fornire la detta fabbrica
[…] risoluti di domandare alla
Compagnia del Corpus Domini di
Pietrabuona se si contenta di prestare
all’opera quel poco e quell’assai che
di denari oggi si ritrova”20. Data l’importanza attribuita a tali opere è molto probabile che queste riguardassero
non solo il rifacimento della parte
sommitale del campanile (come sembrerebbe confermato dalla targa apposta), ma anche quelli alla base dello
stesso. Fino a quel momento, con molta probabilità, l’accesso alla torre
Fig. 6 - Particolare della porta d’ingresso della chiesa. Foto conservata
campanaria avveniva al piano terreno
all’archivio fotografico della Soprintendenza (Soprintendenza per i
attraverso una porta che prospettava
Beni Architettonici di Firenze, riproduzione fotografica n. 102354.
sulla via pubblica, richiusa al momenSu gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)
to della costruzione della cappella della Madonna e visibile ancora oggi all’interno dell’attuale sacrestia21. Si può presupporre che proprio in questa occasione il
piano terreno della torre fosse adibito a sacrestia, creando un accesso diretto alla chiesa e
costruendo un solaio in volta reale. Questi interventi privarono però la torre campanaria
del suo ingresso alla quota della strada, rendendo pertanto necessaria la realizzazione, sul
fianco Ovest, di una scala, inizialmente in materiale deperibile, che ne permettesse l’accesso dal piano soprastante la sacrestia.
Dalla Visita Pastorale del 1629 sappiamo che all’interno della chiesa erano presenti il
fonte battesimale e due altari: l’altare maggiore e l’altare della Vergine dove si riuniva
“l’oratorio di San Rocco”, retto da Bartolomeo Rungai22. La visita riguardò anche la sacrestia e la Compagnia del Corpus Domini, che nel frattempo doveva avere spostato la
sua sede dalla chiesa ai locali a questa adiacenti, sul lato Est, dove per circa un secolo era
esistito un ospedale23.
108
L’oratorio di San Michele Arcangelo
Una terza fase di lavori che comportò delle trasformazioni alla struttura della fabbrica
venne condotta tra il 1666 ed il 1668. Anche in questo caso i documenti parlano genericamente di “necessità di accrescimento dietro l’altare maggiore per la moltitudine del
popolo cresciuto”24, ed è ipotizzabile che si tratti nuovamente della parte absidale, forse
ulteriormente accresciuta fino a raggiungere le dimensioni e la forma possedute anche
da quella attuale25.
Nel 1684 vennero aperte le due finestre nell’abside della chiesa. Dai documenti di
questo anno si desume anche che il coro era provvisto di un cancello e che l’altare venne
modificato, o forse semplicemente spostato in avanti, consentendo di aumentare lo spazio retrostante. Fu inoltre sostituita la porta che dalla chiesa immetteva in sacrestia e fu
fornita di serramento la finestra che vi si apriva. Quattro anni più tardi (1688)26 vennero
deliberati nuovi lavori ai solai del campanile ed al tetto sopra l’altare della Madonna (nei
documenti sono ricorrenti le richieste di riparazione alle coperture, essendo una delle parti
degli edifici maggiormente soggette ad un rapido deterioramento, fig. 6).
La carta redatta nel 178327 dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni (fig. 7),
incaricato in quegli anni di aggiornare la cartografia dei territori granducali, consente di
fare alcune riflessioni sui caratteri dell’edificio a fine Settecento. La chiesa è raffigurata
dalla particella n° 74 e la sacrestia e la soprastante torre campanaria dalla particella n°
75. A differenza delle altre costruzioni la chiesa, così come la Rocca, è rappresentata me-
Fig. 7 - Raffronto tra la carta redatta dal Mazzoni nel 1783 ed il Catasto Leopoldino redatto
nel 1825 (SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825). La situazione, per quanto concerne la chiesa,
è pressoché immutata
109
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
110
diante la sua pianta (compresi gli spessori murari), che riporta in modo accurato: le due
porte di accesso, i gradini in facciata di forma semicircolare e quelli rettangolari sul fianco, le spallette in muratura che definiscono la cappella della Madonna con il secondo altare e, infine, le scale esterne di accesso alla torre campanaria, segno che a questa data
erano indubbiamente realizzate in muratura28.
Con il nuovo secolo, a seguito probabilmente dell’incremento del numero di abitanti,
i documenti rivelano il desiderio da parte della comunità di ampliare la chiesa o di costruirne una ex novo. L’occasione si presentò allorché il Granduca di Toscana istituì la
“Commissione per il restauro delle chiese parrocchiali” con il compito di promuovere e
sostenere i lavori necessari a rinnovare questi edifici.
Il 29 febbraio 1836 venne redatta una prima perizia riguardante lo stato della chiesa
e le opere che occorrevano per il suo miglioramento. Il 2 ottobre del 1837 la suddetta
Commissione deliberò “lire 80 perché siano eseguite le riparazioni alla chiesa e canonica
dei Santi Matteo e Colombano a Pietra Buona non avendo creduto di dare luogo all’attualità delle circostanze al progetto d’ingrandimento o nuova costruzione della chiesa
stessa, volendo che il parroco supplisca al trascurato mantenimento e che siano eccitati
tutti i solleciti provvedimenti per la costruzione del campo santo chiudendo le attuali sepolture affine di rendere più sana quella chiesa”29.
Le aspettative dei parrocchiani di vedere almeno accresciuta la loro chiesa vennero
pertanto deluse, ma si gettarono le basi per risolvere uno degli annosi problemi che affliggevano l’edificio: quello relativo alle sepolture. Tale questione era infatti particolarmente urgente, sia per il cattivo odore che emanavano i cadaveri, sia perché vi era il divieto di inumare all’interno delle chiese. Una volta abbandonato il primitivo cimitero situato nei terreni dove oggi sorge l’ottocentesca chiesa parrocchiale30, il camposanto
venne infatti realizzato dietro l’oratorio di San Michele, nei lotti confinanti con l’ospedale
e indicati nella cartografia settecentesca con le particelle nn° 81 e 82. Della sua presenza si ha conferma, tra l’altro, nei numerosi documenti in cui è riportata la necessità di
“conciare” il cimitero o di prolungare i muri di recinzione, in parte prosecuzione dei muri
stessi della chiesa, affinché le bestie non vi entrassero31 (fig. 8).
I soldi ottenuti per il restauro della chiesa bastarono in realtà soltanto per apportare
alcune lievi migliorie, come si evince dalla lettera che il 1° marzo 1839 il rettore
Giovanni Tonini scrisse al Granduca di Toscana Leopoldo II: “le 80 lire […] accordate per
i restauri di questa chiesa e canonica sono bastate per fare apribili alla chiesa due finestre grandi e una finestra in sacrestia (restando sempre fisse al muro altre tre piccole finestre in chiesa). È stato pure fatto un uscio che corrisponde in coro (che era totalmente
interdetto) da dove si scende in un piccolo orticino che resta fuori accanto il coro medesimo e che quest’uscio alle volte si tiene aperto per fare entrare un po’ d’aria in chiesa e
L’oratorio di San Michele Arcangelo
Fig. 8 - Immagini relative alla parte absidale della chiesa. In particolare, i terreni cinti da mura
sono con molta probabilità quelli su cui un tempo sorgeva l’antico cimitero. Foto conservata all’archivio
fotografico della Soprintendenza (Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze, riproduzioni
fotografiche nn. 104121, 104122. Su gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)
specialmente un po’ d’aria fresca nell’estate perché la chiesa resta da tutte le parti ristretta e rinserrata dalle case e lì vi è un piccolo punto aperto […] così le lire 80 sono
state del tutto consumate”32. Si noti che di questo varco, citato anche in un successivo
documento (“il coro nella tribuna dietro l’altare maggiore [ha] un uscio a sinistra nel
muro di tergo si comunica con una stanza a tetto e mattonata alla quale evvi una stanza
buia ed inaccessibile sterrata che serve per spurgo delle fosse sepolcrali”33) oggi non vi
è traccia; potrebbe essere stato tamponato nel momento in cui i terreni retrostanti la
chiesa sono stati alienati a privati.
La lettera prosegue descrivendo i lavori che sarebbe stato ancora necessario realizzare: “Adesso vi sarebbe il coro che è tutto rattoppato e non è possibile accomodarlo
diversamente perché volendoci mettere le mani andrebbe tutto a monte […] Le mura
interne della chiesa e specialmente il tetto pure interno hanno scrostata quasi tutta
l’imbiancatura […] in canonica pure vi manca per fino il luogo comodo […] oltre all’esservi dei solai spaccati e usci mezzi interdetti”34. La Commissione, a sua volta, fece
stilare negli stessi anni una perizia35 all’ingegner Maurizio Zanetti, responsabile del circondario di Pescia, concernente lo stato della chiesa ed i lavori necessari al suo completo recupero. In tale relazione è descritto il campanile “costruito a foggia di torre quadrata e divisa in tre piani che il primo in volta formante il coperto della detta sacrestia e
111
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
gli altri due di legname cui si giunge con scale di legno e con uscio esterno” e viene
per la prima volta menzionata la cantoria in legno sopra la porta, possibile indice della
sua recente realizzazione.
A seguito della costruzione della nuova chiesa in piazza di Castello, la fabbrica più
antica, pur rimanendo di proprietà della curia di Pescia, è stata inizialmente data in uso
alla Compagnia del Santissimo Sacramento e San Matteo36 affinché la utilizzasse come
sede e poi, una volta cessata tale funzione, abbandonata all’incuria.
Analisi geometrico dimensionale della fabbrica
112
Il rilievo dell’edificio ha consentito di analizzare minuziosamente i caratteri geometrici
e compositivi della fabbrica, comparandoli con l’unità di misura su cui è impostata (il
braccio fiorentino). La facciata, larga 12
braccia, raggiunge in gronda37 la medesima
quota (fig. 9). Il quadrato di base è poi spartito in 9 parti uguali; il portale di ingresso,
posto al centro della facciata, è 1/3 della
misura totale. Seppur in presenza di notevoli
manomissioni, risulta di particolare interesse
l’analisi geometrica di quest’ultimo: tracciando infatti la circonferenza che descrive
l’intradosso dell’arco in pietra si osserva che
tale misura definisce sia l’altezza, compresi i
gradini, del portale (pari a 2d, dove con d si
intende il diametro della circonferenza), che
la soluzione adottata per definire gli elementi architettonici che rialzano l’arco stesso. La sua imposta è rialzata mediante alcune cornici fino a raggiungere una quota tale
per cui la distanza tra l’intradosso e la fine
dell’apertura risulta pari a d. La ghiera dell’arco, realizzata con conci di pietre irregolari il cui taglio non permette di evidenziare
alcuna regola geometrica che abbia guidato
Fig. 9 - Fronte principale con indicazione dei
il lavoro degli scalpellini, è calcolata in moprincipi proporzionali generatori della
do che risulti a spessore variabile.
composizione del prospetto stesso
L’oratorio di San Michele Arcangelo
Questi aspetti compositivi, propri dell’architettura romanica della Toscana Nord occidentale, così come descritti sia dal Redi38 che dal Tigler39, si trovano chiaramente espressi anche nella realizzazione di questa architettura periferica ed evidenziano un legame
culturale con i centri maggiori (Pisa, Lucca e Pistoia). Quindi, nonostante questa chiesa
risponda alle unità di misura introdotte dalla dominazione fiorentina, tipologicamente
resta ancorata alla lezione delle scuole Lucchese e Pistoiese.
NOTE
* Dal contributo originario “La chiesa di San Matteo e Colombano, ex oratorio di San Michele a
Pietrabuona” di Erica Ganghereti nel DVD allegato al volume.
1 Il Bicciuccolo è la parte più alta ed antica dell’insediamento di Pietrabuona (cfr. par. Indice della
toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona, in questo stesso volume.).
2 Tale intervento deve essere fatto risalire al consolidamento post-terremoto realizzato nel 1928
(cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona
Narciso Pagni, Fascicolo n° 23, nel quale si legge: “Chiesa di San Michele […] Gravemente lesionata
specialmente nella parte dell’abside per il terremoto del 1920, fu restaurata con la demolizione e riedificazione totale dell’abside l’anno 1928 con un contributo governativo”).
3 Per questo specifico argomento e più in generale per quanto riguarda le opere d’arte presenti
nella chiesa cfr. par. L’immagine descritta, in questo stesso volume.
4 ASFI, Relazione n. 19, Ingegnere Maurizio Zanetti.
5 AALU, Libri Antichi n. 66, c. 52, 22 novembre 1354.
6 AALU, Libri Antichi n. 34, c. 12r., 27 maggio 1381. Il documento sottolinea la volontà da parte
dei parrocchiani della chiesa di San Lorenzo di Cerreto di essere uniti alla chiesa di Pietrabuona che,
pur in pessimo stato, ha come rettore il presbitero Pietro che, visto il momento di difficoltà di entrambe,
avrebbe amministrato sia i beni spirituali che materiali di entrambe le chiese.
7 Per approfondimenti in merito alla datazione degli apparati murari cfr. par. Indagine archeologica sulle architetture, in questo stesso volume.
8 Nonostante il caratteristico impianto romanico, le volute dei capitelli, realizzate in foglie d’acanto dalle forme semplificate, sono presumibilmente ascrivibili alla fine del XV inizio del XVI secolo. La
presenza di caratteri riferibili a periodi diversi è indice di come il portale principale sia stato più volte
modificato nel corso dei secoli.
9 Facciate di questo tipo si ritrovano nelle chiese di Monsummano Alto (documentata dal 1260),
Buggiano (ricostruita in forme romaniche nel XII secolo e poi ampliata e trasformata a più riprese tra il
XV e il XVI secolo) e Serravalle (XIII secolo).
10 Cfr. Redi, Chiese medievali del pistoiese, cit.
11 AALU, Visita Pastorale n. 5, cc. 57v.-58r., 15 aprile 1450.
12 AALU, Visita Pastorale n. 8, c. 222v., 25 aprile 1467.
13 Ibid.
14 Cfr. AVPE, Visita Apostolica n° 1, s.12, cc. 209r., 1575.
15 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325.
16 Ibid.
17 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 328, c.nn.
113
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
18
La compagnia del Santissimo Rosario non ebbe altra sede all’infuori di questo altare. Solo dopo
la costruzione della chiesa ottocentesca la compagnia trovò ubicazione all’interno della nuova canonica
(“Congregazione di Maria del Santissimo Rosario […] Fu eretta da tempo immemore nella chiesa parrocchiale, non ha sede propria ed usufruisce della canonica”, cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di
Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23).
19 SASPE, Compagnie Soppresse n. 1029, c. 69r.
20 SASPE, Compagnie Soppresse n. 1029, c. 50v.-51r., 5 novembre 1611.
21 Resta comunque il dubbio sull’esistenza e l’eventuale collocazione di una precedente sacrestia.
22 ACVPE, Propositura, Visite Pastorali n. 1, cc. 666v.-667r., 20 novembre 1629.
23 Cfr. par. L’ospedale di San Matteo, in questo stesso volume.
24 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 73r.
25 Soprattutto nel pistoiese le absidi venivano rese più profonde introducendo una parte rettilinea
prima della semicirconferenza. Non sono documentati però casi in cui la circonferenza superi l’ampiezza dell’arco absidale in maniera evidente ed irregolare come in quello in analisi.
26 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 102v., 9 agosto 1688.
27 ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36.
28 La sacrestia ha invece una forma più irregolare dell’attuale; questa differenza, quasi certamente,
è da imputarsi ad una errata rappresentazione della stessa.
29 ASFI, Commissione per il recupero delle chiese parrocchiali n. 64, fascicolo non numerato.
30 Cfr. par. La chiesa dei Santi Matteo e Colombano, in questo stesso volume.
31 AALU, Visite Pastorali n.5, c. 58r., 15 aprile 1450.
32 ASFI,Commissione per il restauro delle chiese parrocchiali n. 64, fascicolo non numerato, 1 marzo 1839.
33 ASFI, Relazione n. 19, Ingegnere Maurizio Zanetti.
34 ASFI, Commissione per il recupero delle chiese parrocchiali n. 64, fascicolo non numerato.
35 ASFI, Relazione n. 19, Ingegnere Maurizio Zanetti.
36 Si veda la descrizione delle Istituzioni Religiose di Pietrabuona contenuta in: AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni,
Fascicolo n° 23.
37 Questa considerazione può essere assunta con sufficiente attendibilità vista la continuità dei
cantonali.
38 Cfr. Redi, Chiese medievali del pistoiese, cit.
39 Cfr. G. Tigler, Toscana Romanica, Milano 2006.
114
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano*
La struttura architettonica
La chiesa di Pietrabuona dedicata ai Santi Matteo e Colombano1 venne edificata extramoenia, tra il 1846 ed il 1848, nella parte meridionale dell’odierna piazza di Castello
(fig. 1). L’imponente mole dell’edificio rivaleggia con il nucleo abitato, marcando in modo incisivo il profilo dell’intero paese. L’attuale aspetto del fabbricato (fig. 2) è pressoché
Fig. 1 - La chiesa dei Santi Matteo e Colombano è ubicata all’esterno dell’antico borgo fortificato,
nei pressi dei resti della Rocca
115
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
116
Fig. 2 - Elaborati grafici della facciata principale e della sezione trasversale della chiesa
dei Santi Matteo e Colombano
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
quello originario, a meno di lievi cambiamenti negli arredi interni e di alcune
modifiche alle coperture resesi necessarie a seguito dei bombardamenti occorsi
durante il secondo conflitto mondiale.
L’architetto Bernardino Bernardini2,
originario di Pescia, probabile autore del
progetto risalente al 18453, aveva disegnato un edificio a croce greca, con
quattro bracci poco profondi orientati
secondo i punti cardinali e con l’entrata
principale rivolta a Settentrione4. Questa
scelta, presumibilmente legata al gusto
eclettico dell’epoca5, può tuttavia essere
stata determinata anche dalla sagoma
stessa del lotto.
Dal punto di vista formale l’edificio
non presenta qualità rilevanti, tanto che
negli anni Trenta del XX secolo il suo stile
veniva duramente criticato e definito dal
sacerdote Pagni un “pessimo barocco”6.
Le pareti della chiesa sono libere su
ogni lato, con l’eccezione del fianco SudOvest, al quale si affianca il corpo della
sagrestia, saturando lo spazio compreso
tra le due ali (fig. 3).
La facciata principale (fig. 4), di semplice fattura, è priva di ornamenti decorativi. A terra vi è uno zoccolo aggettante cinque centimetri, che cinge tutta la
chiesa (nel braccio occidentale forma
una scarpa leggermente inclinata). In
alto, una fascia marcapiano in mattoni
sottolinea il livello su cui si imposta l’apertura lucifera di forma semicircolare,
che è presente anche al termine di ogni
braccio della chiesa per garantire l’illu-
Fig. 3 - La sacrestia addossata alla parete Sud-Ovest dell’edificio con il piccolo campanile a ventola
Fig. 4 - La facciata principale della chiesa
(foto di Giovanni Anzani)
117
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
minazione interna7. Un “portale”
in rilievo delimita la specchiatura
nella quale è inserito, al centro
della facciata, il portone di accesso, a sua volta incorniciato da architrave e stipiti in pietra assicurati
alla muratura da graffe in
metallo8. A destra della porta, la
parete è interrotta da un taglio
netto dall’andamento inclinato, ripristinato con materiale laterizio,
in corrispondenza delle scale interne che conducono al livello dell’organo, probabile risarcitura del paFig. 5 - I due accessi della chiesa, il portale principale e quello laterale
ramento a seguito dell’inserimento
sinistro (foto di Giovanni Anzani)
dello stesso corpo scale.
Un solo scalino, anch’esso in
pietra, garantisce l’accesso allo
spazio di culto. Il portale laterale,
di dimensioni inferiori e sempre in
pietra, è posto nella facciata Nord
del braccio orientale della chiesa e
costituisce l’unica altra entrata di
cui è dotato l’edificio (fig. 5). Nella
parete interna dell’ala destra è
presente un vano simmetrico a
questa porta, che non si manifesta
invece sull’esterno.
Il prospetto Est non mostra decorazioni e l’unica apertura esiFig. 6 - Prospetti Est ed Ovest della chiesa
stente è la finestra semicircolare.
(foto di Giovanni Anzani)
Nel prospetto occidentale, inserito
in una breccia, è presente il volume
sporgente di un’edicola poco profonda, realizzata con elementi in laterizio poggianti su
due mensole in pietra e coperta in coppi (fig. 6). Al suo interno conserva in una vetrina la
statua della Madonna del Rosario.
118
A Meridione la chiesa si addossa al pendio che conduce alla Rocca, separato dall’edifi-
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
cio religioso da uno scannafosso che
provvede alla raccolta delle precipitazioni e all’allontanamento delle acque
di scolo del declivio stesso9.
La copertura di ogni braccio dell’edificio è costituita da un tetto a doppia falda, con colmo e gronda costanti che si intersecano in quattro compluvi10. Il manto è composto da coppi
e tegole in laterizio. Ogni facciata è
conclusa da un timpano triangolare,
sottolineato da una cornice modanata11 (fig. 7). I fronti presentano ad intervalli regolari le buche pontaie utiFig. 7 - La copertura a falde dell’edificio, protetta da un manto
lizzate per la costruzione, oltre a due di elementi laterizi
tiranti metallici inseriti nelle pareti durante le opere di consolidamento di
fine anni Novanta.
Il paramento murario è abbastanza regolare, ma non di pregio. Il pietrame utilizzato risulta infatti soltanto
sbozzato, non mostrando superfici di
taglio se non nei cantonali, che sono
invece regolari ed ammorsati. I filari,
in generale, non sono isodomi e le
pietre utilizzate, di diversa pezzatura
e differenti per qualità e colorazione,
provengono presumibilmente dal vicino fiume Pescia o da “scampoli” di
cava12. L’edificio, come in altri proget- Fig. 8 - I bracci laterali dell’edificio, coperti con volte a botte
ti dei Bernardini13, era verosimilmente e colorati nei toni del rosa, e l’area centrale voltata a vela
destinato ad essere intonacato anche e dipinta in giallo (foto di Giovanni Anzani)
esternamente; la cura nella scelta e
nella posa dei materiali era perciò ritenuta superflua14. L’utilizzo del mattone è limitato
alle sole ghiere degli archi a tutto sesto delle finestrature e degli archetti ribassati di scarico sopra i due accessi, oltre al già citato intervento di ricucitura in facciata.
Lo spazio interno della chiesa si articola nei quattro bracci della croce, voltati con
119
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
botti a tutto sesto impostate su una
cornice sporgente, che dipartono da
un unico ampio vano, coperto da una
volta a vela (fig. 8). Sopra l’ingresso
una poco profonda cantoria, ornata
con cornici in stucco e sorretta da
due colonne dipinte a finto marmo,
sostiene l’organo. Il livello è raggiungibile mediante la scala in pietra alloggiata in parte nello spessore della
parete di facciata, con accesso a destra del portale di ingresso (fig. 9).
La pavimentazione, di recente posa, è composta da mattonelle quadraFig. 9 - La cantoria sorretta da colonne con l’organo
te di cotto a superficie rustica, di dimensioni di 20x20 cm, messe in opera a 45 gradi e delimitate da un nastro di elementi posti parallelamente
alla parete15. L’area absidale, similmente lastricata, è sopraelevata di un
unico gradino in pietra. La decorazione è molto sobria e sia le pareti che
le volte sono semplicemente intonacate. Nell’ultimo restauro16 l’interno è
stato ritinteggiato con colori nei toni
del rosa e del giallo, patinati a spugna, che differenziano la struttura
voltata della copertura e sottolineano
le cornici e le membrature architettoniche17. Originariamente l’interno
Fig. 10 - L’altare principale e la mensa per l’ufficio delle funzioni
dell’edificio era invece dipinto in verreligiose (foto di Giovanni Anzani)
de chiaro, con le cornici in rilievo di
colore bianco18.
19
Gli altari , realizzati in mattoni, sono intonacati e dipinti ad imitazione del marmo.
L’altare maggiore è situato nella zona meridionale, in posizione frontale per chi accede
all’edificio. Di forme abbastanza semplici, presenta un doppio livello di mensole terminanti in due volute laterali ed un rivestimento ligneo sul fronte dove sono inserite le se120
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
dute per gli officianti. Il ciborio, di marmo bardiglio bianco, presenta uno sportello di legno dorato (fig. 10). Alle sue spalle un dipinto di grandi dimensioni raffigurante San
Matteo occupa quasi completamente la parete20; davanti si trova una mensa in pietra
per l’officio delle funzioni.
Altri due altari, uguali e posti simmetricamente al termine delle ali laterali, sono dedicati alla Madonna (quello di destra) e al Crocifisso (quello di sinistra) (fig. 11). Entrambi
costruiti in laterizio e rifiniti a stucco, presentano una mensa parallelepipeda rialzata su
uno scalino, ai lati della quale si impostano due paraste con basamento e capitello composito che sorreggono una trabeazione decorata, sormontata a sua volta da un timpano
con croce. Nelle edicole centrali sono poste le effigi del Cristo in Croce21 (a sinistra) e la
statua della Madonna22 (a destra), quest’ultima fiancheggiata da ex-voto appesi alla parete. Nella mensa dell’altare del Crocifisso esiste tutt’oggi uno scudo marmoreo con sei
teste di angioletti in rilievo23.
Ulteriori due altari sono addossati alla parete Sud del transetto, in corrispondenza delle nicchie che conservano le statue dei santi (fig. 12): a sinistra quella di Santa Caterina24
Fig. 11 - L’altare del Crocifisso nella parete sinistra della chiesa;
l’altare dedicato alla Madonna ubicato nella parete destra (foto di Giovanni Anzani)
121
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
e a destra quella di Sant’Antonio da
Padova25. Sul fianco sinistro, addossato alla parete, è presente il pulpito,
datato 1876, come riportato nella targa apposta in basso tra le sue due
mensole26 (fig. 13).
Nella chiesa sono presenti alcune
opere artistiche di valore27, come le
statue lignee raffiguranti i santi titolari, San Matteo Evangelista28 e San
Colombano Abate29, conservate nelle
nicchie più alte della parete meridionale, di scuola toscana e datate all’inizio del XV secolo (fig. 14).
Fig. 12 - Gli altari di Santa Caterina e di Sant’Antonio da Padova
Completano la collezione una ac(foto di Giovanni Anzani)
quasantiera a fusto in marmo scolpito della metà del XVI secolo30, oltre
ad alcuni arredi sacri, calici, pissidi,
ostensori in argento e candelieri in legno dipinto e dorato del XVII secolo.
Nella parete sinistra rispetto all’entrata principale troviamo “Il battesimo di
Gesù”31, copia del Veronese, eseguita
dal pittore fiorentino Arturo Zanieri e
donata alla chiesa da Eugenio Galeotti Flori nel 189932 (fig. 15).
Fa parte del complesso anche la
sagrestia, uno spazio di due piani posto a Sud-Ovest del fabbricato e accessibile dall’interno della chiesa33.
Fig. 13 - Il pulpito con il dettaglio dell’iscrizione
Ogni piano è illuminato unicamente
(foto di Giovanni Anzani)
da una finestra che affaccia sulla via
del Cimitero. Sulla copertura del tetto a falda, nel campanile a ventola, è situata la
campana più piccola proveniente dalla vecchia chiesa di San Matteo e Colombano, suonata a corda per il richiamo dei fedeli34. Il piano terra della sagrestia è riservato alle
operazioni necessarie per il culto, mentre quello superiore viene utilizzato come magazzino per statue ed arredi. Degne di nota sono anche una acquasantiera in pietra scolpi122
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
ta ed un lavabo lapideo, inseriti nella
parete del piano inferiore, entrambi
del secolo XVII35.
Il rilievo dell’edificio36 corrobora le
dimensioni riportate nella relazione di
progetto37 nella quale si afferma che
“la forma della detta chiesa è a croce
greca sviluppata in un quadrato di
braccia 14 per ogni lato e nella lunghezza e larghezza di braccia 35”.
Vicende costruttive
La costruzione dell’edificio si era
Fig. 14 - Le statue dei santi titolari, San Matteo Evangelista
resa necessaria allorché, a causa del e San Colombano Abate (foto di Giovanni Anzani)
progressivo accrescimento della popolazione38, l’antica chiesa del paese
risultò non più sufficiente per accogliere tutti i fedeli. Nell’impossibilità
di ampliare quest’ultima stretta tra le
abitazioni del paese, fu approvata il
18 agosto 184639, per ordine di
Leopoldo II, l’edificazione di una nuova chiesa fuori dall’antico castello.
Assieme all’edificio venne prevista
anche la costruzione di una nuova canonica40, in precedenza situata in un
edificio “ad una certa distanza”41 e
pertanto non di comodo utilizzo.
Per l’ubicazione del nuovo immo- Fig. 15 - Copia de “Il battesimo di Gesù” del Veronese dipinta
bile fu scelto un terreno42 nei pressi dal pittore fiorentino Arturo Zanieri, donata alla chiesa
della porta Bolognese e prospiciente da Eugenio Galeotti Flori nel 1899
la piazza al centro dell’espansione extra-moenia dell’abitato, in cui era presente anche la fonte pubblica.
Dalle mappe catastali di epoca settecentesca si evince che il lotto scelto confinava
con il recinto delle “vestigia delle mura castellane” e con ciò che rimaneva dell’antica
Rocca43. Nello stesso documento è riportato il numero della particella (39), in quel mo123
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
mento non ancora edificata, e la sua dimensione (933 braccia quadrate). Nel catasto del
1825 la stessa particella appare segnata con il numero 43 e frazionata in due parti, con
un’area di dimensioni inferiori di forma quadrangolare, forse con l’intenzione di adibirla
a terreno edificabile, e il resto della particella unita con graffa44. Confrontando le due
documentazioni catastali sembra che il lotto del terreno sia stato ampliato con parte dell’antica particella 41, ancora interna al recinto delle mura e collegata alle adiacenze della Rocca (fig. 16).
In prossimità del lotto su cui venne fondato l’edificio era anticamente presente il cimitero della primitiva chiesa di San Matteo già distrutta al tempo degli eventi bellici trecenteschi e sostituita dalla chiesa sita nel centro del paese45. Dalla documentazione cinquecentesca si evince infatti che a fine secolo vigeva ancora il divieto di concessione delle carbonaie della zona settentrionale del castello, in quanto si riscontrava la presenza di
124
Fig. 16 - Raffronto delle mappe catastali del paese di Pietrabuona. Il lotto su cui è edificata la nuova
chiesa viene rappresentato dalla particella 39 del catasto settecentesco, contigua da un lato al recinto
delle antiche mura e della Rocca. Nel catasto del 1825 la medesima particella risulta frazionata e
segnata con il numero 43 (SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825); successivamente appare l’edificio
con l’ingombro della sagrestia, che attualmente è censito come immobile unico
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
“vestigia di cimitero di vecchia chiesa rovinata”46.
Nonostante l’attribuzione del progetto dell’edificio all’architetto Bernardino
Bernardini47 (secondo quanto riportato nella documentazione)48, un ruolo rilevante nella
costruzione deve averlo avuto il padre, il perito Pietro Bernardini49. Infatti nella perizia
datata 12 luglio 184550 e nella relazione addizionale del 17 dicembre dello stesso anno,
entrambe redatte da Pietro, venivano indicati dettagliatamente i lavori da eseguire e le
dimensioni per l’esecuzione dell’edificio. Nel luglio del 1846, in una lettera indirizzata al
vicario regio del tribunale di Pescia, veniva fornita, sulla base della documentazione sopracitata, una relazione per punti circa i requisiti che dovevano soddisfare la ditta incaricata delle opere ed i materiali da impiegare51. Oltre a richiedere l’affidamento dei lavori
ad un “onesto e capace capo mastro muratore”, da comprovare in “moralità e capacità”
con opportuni certificati, veniva assegnato un termine di quattordici mesi per il completamento del manufatto. L’accollatario doveva impegnarsi a costruire il cornicione con
elementi laterizi (“terre cotte”), intonacandolo “a sagoma”. I materiali da costruzione
dovevano essere procurati in quantità abbondante per poterne permettere una cernita: i
mattoni dovevano essere “cotti a perfezione, sonanti e di buona qualità”; la calcina cotta di recente; la rena proveniente dal fiume Pescia, pulita dalla terra mediante lavaggio;
il legname per il tetto e gli infissi, stagionato e senza nodosità dannose52. Facendo riferimento a quanto scrive il Bani53, altre prescrizioni erano state suggerite dall’ingegnere
del circondario nel rapporto del 17 marzo 184654 e nella relazione del 1 maggio dell’anno seguente. Nel medesimo documento si indicava di costruire nella chiesa tre altari di
carattere provvisorio55. La supervisione della costruzione veniva affidata ad una deputazione, di cui facevano parte quattro membri: il parroco sacerdote Tonini, il presidente
Frateschi56, un rappresentante della Compagnia del Sacramento57 e uno della
Compagnia del Rosario58. Le mansioni della deputazione erano principalmente quelle di
controllare la corretta esecuzione dei lavori, con l’incarico di presiederne la direzione, di
impegnarsi alla raccolta del denaro necessario con l’obbligo di rendicontare le somme
acquisite e di spronare la popolazione ed i fedeli a prestare mano d’opera a titolo gratuito nel cantiere della chiesa stessa59.
I fondi per l’edificazione giunsero in gran parte dalle donazioni della popolazione60
(depositate nella cassa dei Vacanti) e dal sussidio governativo di Lire 6.000, versato in
tre rate uguali negli anni successivi61. Anche il comune concorse alla costruzione con Lire
50062, stornando questo importo da quello destinato alla costruzione del nuovo camposanto della parrocchia (per tale funzione venne deciso di utilizzare la vecchia chiesa trasformandola in sepolcreto)63. Le compagnie del SS. Sacramento e del Rosario avevano
offerto a loro volta la somma di Lire 2.000, da versarsi in cinque anni mediante le rimanenze annuali delle rispettive amministrazioni64.
125
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
126
Nel 1847 le opere per la fabbricazione della nuova chiesa venivano messe all’incanto
dalla cancelleria del regio tribunale della città di Pescia, con procedura da assolversi
pubblicamente il giorno 6 febbraio davanti alla porta principale del palazzo Pretorio65.
L’approvazione “al migliore e minore offerente” fu vinta da Agostino Mazzonini di
Pistoia66, che si accollò gli oneri del cantiere alle condizioni descritte negli atti, e che
avrebbe provveduto alle opere concludendole dopo circa 18 mesi di lavoro67. Una volta
terminato, l’edificio sarebbe stato consegnato all’Opera, che ne deteneva interamente la
proprietà68 (la chiesa non risultava di ius-patronato privato, bensì in libera collazione del
vescovo pro tempore dopo essere rimasta vacante per disposizione di Leopoldo I)69.
La costruzione venne terminata nell’anno 184870, sicuramente prima del mese di settembre, protraendosi per qualche tempo i lavori di ripristino e di sistemazione degli spazi
esterni71. Il vescovo monsignor Pietro Forti benedì la nuova chiesa il giorno 3 giugno del
1849, al fine di renderne possibile l’utilizzo per il culto72.
Dopo pochi anni dall’inaugurazione, l’ingegnere Meacci informava sul fatto che la
chiesa presentava segni di cedimenti dovuti all’assestamento del terreno fondale, che si
presentavano con lesioni non significative nelle murature73.
Agli inizi del Novecento la chiesa conservava il titolo di rettoria74; il territorio di sua
competenza era delimitato dal rio Flaminio e dal rio di Rimigliari, per un totale di 1.500
anime. All’epoca era retta dal sacerdote Camillo Bianucci75, originario delle Spianate e
con oltre trenta anni di sacerdozio. Nella parrocchia veniva celebrata messa nei giorni festivi, senza eccezione alcuna, per cui il numero di offici veniva considerato sufficiente76.
Dei tre altari presenti in chiesa nessuno era di giuspatronato; tutti erano liberi da obblighi di messe, benefici e cappellanie e pertanto le spese per il loro mantenimento ricadevano sull’Opera, che aveva l’obbligo di pagare sia l’olio della lampada, sia le opere di
riparazione eventualmente necessarie per la sagrestia77. L’altare Maggiore godeva di privilegio; vi era poi quello dedicato alla Madonna e quello del Crocifisso78.
Nella visita del 1902 si riscontrava l’assenza di suppellettili, decorazioni, statue, bassorilievi o quadri di valore storico-artistico; inoltre in chiesa non risultava custodita alcuna immagine prodigiosa esposta alla venerazione. Degne di nota, invece, le spoglie di
San Matteo Apostolo, di San Colombano Abate e di Santa Caterina. Le sacre reliquie, dotate di certificato di autenticità, venivano conservate in armadi appositi e mostrate al
pubblico solo in occasione delle feste dei santi titolari. In chiesa era presente un organo,
il sacrario, un “battistero” ornato e chiuso con coperchio di legno79 e un tabernacolo di
marmo, la cui chiave veniva custodita dal sacerdote. Nella sagrestia esisteva un archivio
di libri antichi, databili a partire dal 1600, della cui conservazione era incaricato il parroco stesso. Registri, titoli e carte risultavano ben classificati e catalogati.
Sembra che sulla nuova chiesa non abbia avuto conseguenze evidenti il distruttivo ter-
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
remoto del 1920, che invece lesionò gravemente la chiesa di San Matteo e Colombano.
A metà del 1930 il sacerdote Narciso Pagni informava dell’efficienza della chiesa80,
sufficiente alla popolazione, e della buona condizione di conservazione dell’edificio, che
aveva subito riparazioni straordinarie alla volta sopra l’altare maggiore nell’agosto del
1928 e la sistemazione del tetto nel gennaio dello stesso anno. Della manutenzione, sia
essa ordinaria che straordinaria, si era fatto carico il comune della città di Pescia, nelle
vesti di amministratore dell’Opera dei Santi Matteo e Colombano81. Tra i possedimenti
erano annoverati diversi fondi e appezzamenti di terreno nelle campagne, la cui amministrazione era tenuta dal parroco82. Oltre alle due istituzioni religiose della Compagnia
del Santissimo Sacramento e la Congregazione di Maria del Santissimo Rosario, nella
parrocchia esisteva in quegli anni una nuova confraternita di misericordia, detta della
Santa Immacolata Concezione, istituita a partire dal 23 maggio 1923 con lo scopo di
esercitare opere di carità a sollievo del prossimo83.
Negli anni Quaranta del XX secolo l’edificio subì ulteriori interventi di riparazione ad
opera del Genio Civile per risarcire i danni causati dal secondo conflitto mondiale 84.
Secondo la documentazione degli anni Cinquanta la chiesa era stata riparata completamente nel 1936 con significative variazioni nell’assetto interno. In realtà l’unico intervento citato era l’addossamento dell’altare in marmo dedicato a Santa Caterina alla parete in cui un tempo era situato il “battesimo”85.
Nella visita del 1955 il sacerdote Pagni menzionava tutti gli altari, nessuno dei quali ancora consacrato, per un numero totale di cinque. Già esistenti al momento della fondazione, l’altare Maggiore era dedicato ai titolari Santi Matteo e Colombano; l’altare della
Madonna del Rosario aveva acquisito un privilegio perpetuo per decreto vescovile di
Monsignor Angelo Simonetti in data 8 agosto 1922; in ultimo l’altare del Crocifisso, dotato
di tabernacolo fisso con la porticina chiudibile, era dedicato al Santissimo Sacramento86.
Dei due altari di più recente installazione, probabilmente frutto delle modifiche interne subite a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, quello a destra era dedicato a
Sant’Antonio da Padova87, mentre quello a sinistra è dedicato a Santa Caterina vergine,
a cui corrispondevano le rispettive statue dei santi88. La sagrestia, dotata di chiave, conservava al suo interno un inginocchiatoio, un lavabo e una pila per l’acqua santa. Una
sola campanella di piccole dimensioni serviva per chiamare i fedeli89.
Come ricordato dalla lapide posta nella parete destra della navata, la chiesa parrocchiale venne consacrata il 6 settembre 1992, un secolo e mezzo dopo la conclusione dei
lavori di edificazione, ad opera del vescovo di Pescia Monsignor Giovanni Bianchi e alla
presenza del parroco Don Angelo Stragliotto e della cittadinanza90.
Pochi anni dopo l’edificio fu oggetto di lavori di restauro e risanamento conservativo91, con l’obiettivo di consolidare soffitti e volte92, sostituire gli elementi dell’orditura
127
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
della copertura in pessime condizioni statiche93 e risarcire le lesioni occorse nelle murature perimetrali che in particolar modo interessavano l’angolo Nord-Est del fabbricato,
alla sommità del timpano dell’ala sinistra della chiesa94.
Alla fine degli anni Settanta il crollo di una porzione del fianco settentrionale della
Rocca compromise gravemente la parete Sud dell’edificio religioso, rendendo necessari
ingenti interventi di consolidamento.
128
Fig. 17 - Immagini relative alla parte absidale della chiesa in seguito al crollo della rocca
negli anni Settanta del secolo scorso. Foto conservata all’archivio fotografico della Soprintendenza
(Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze, riproduzione fotografica n. 88674.
Su gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
NOTE
* Dal contributo originario “La chiesa dei Santi Matteo e Colombano in Pietrabuona (Pescia)” di
Silvia Bertacchi nel DVD allegato al volume.
1 La chiesa è dedicata a San Matteo Evangelista e a San Colombano Abate, protettori della terra
di Pietrabuona, il cui culto era particolarmente sentito dagli abitanti del paese fin da epoche remote. Gli
Statuti Comunali, ad esempio, obbligavano tutti gli abitanti del castello, forestieri compresi, a partecipare alla luminaria organizzata nei giorni di ricorrenza dei santi patroni (cfr. Salvagnini, op. cit., pp. 1722). La buona riuscita della festa, indice di profonda venerazione nei confronti dei santi, era imprescindibile. “Ogni abitante di Pietrabuona [era] tenuto et obligato [a] fare luminaria” in modo che le strade
del paese risplendessero durante la sera precedente alla festa. Chi non adempiva all’obbligo veniva
multato e costretto a pagare una somma di due Lire. Nel giorno della festa la merce in vendita veniva
esentata dalle gabelle (ASFI, Statuti delle comunità Soggette n. 576, L. I, r. 82, anno 1555).
2 La famiglia Bernardini è originaria di Montecarlo (Lucca) ed è nota nel XIX secolo per l’abilità
dei suoi membri come maestri stuccatori di scagliola e “onesti e provetti decoratori”, oltre che come
validi progettisti sia di edifici ecclesiastici che di scenografie teatrali. Pietro, capostipite della famiglia,
aveva ricoperto l’incarico di architetto e perito edile in periodo granducale e si era distinto all’epoca anche come costruttore. I figli, Alessandro e Bernardo, erano considerati impresari di rispetto. Il nipote
Giulio (Pescia, 16 agosto 1863 - 3 marzo 1946) a soli tredici anni aveva abbandonato l’istruzione per
partecipare alle attività di cantiere con lo zio Bernardo, divenendo in breve molto esperto di ogni fase
ed aspetto dell’attività edile. La sua formazione era comunque continuata come autodidatta fino al
conseguimento del titolo per l’insegnamento della materia del Disegno nelle Scuole Tecniche. La fama
di Giulio raggiunse l’apice nei primi anni del Novecento, con i progetti delle strutture turistiche, dei parchi e degli stabilimenti termali di Montecatini Terme, oltre ai villini residenziali, di cui l’unico situato nella città di Pisa viene progettato per l’amico Carlo Fedeli, con uno stile sobrio e classicheggiante (cfr. C.
Massi, Villini a Pisa inizio Novecento, esempi di eclettismo in Toscana, in Le dimore di Pisa. L’arte di
abitare i palazzi di una antica Repubblica marinara dal medioevo all’Unità d’Italia, di E. Daniele, Pisa
2010, pp. 119 e segg.; A. Camilletti, Giulio Bernardini. Una biografia dal 1863 al 1914, Pescia 2001,
pp. 16 e segg.).
3 Il sacerdote Narciso Pagni, nella sua visita risalente agli anni Trenta, attribuisce il progetto della
nuova chiesa di Pietrabuona a Bernardo Bernardini (cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia,
Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23). Non ci sono riscontri simili nei documenti ottocenteschi, che invece menzionano solo il padre, Pietro Bernardini,
in qualità di perito incaricato di fornire dimensioni e istruzioni per la costruzione del nuovo edificio religioso.
4 Nella relazione dell’ingegnere Meacci viene descritta dettagliatamente la nuova chiesa, che risulta avere “l’ingresso principale dall’indicata parte di tramontana” (SASPE, Archivio del Comune di
Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855).
5 Cfr. par. Gli edifici religiosi progettati dagli architetti Bernardini nel DVD allegato.
6 AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di
Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23.
7 Le quattro vetrate della chiesa erano inizialmente “tinte a olio, conformate a lunette che le due
laterali con telaio fisso e due sportelli muniti di cristalli in stecche di legno e le altre due con telaio fisso
a raggiera con cristalli” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855).
8 La porta principale della chiesa era originariamente un “uscio di legname di castagno a gramola
129
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
130
in due parti verniciato color verdone, corredato di arpioni, bandelle, braccio di ferro interno, paletto verticale in fondo e con toppa e chiave” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo
1855).
9 Nonostante l’accorgimento di inserire una membrana impermeabile e la presenza di questo spazio tecnico, la chiesa soffre internamente di una significativa risalita capillare delle acque che causano
efflorescenze, muffe ed evidenti danni all’intonaco ed alle tinteggiature.
10 Secondo la relazione del 1855, la copertura originale era “sorretta da archi di mattone e armatura di legname di castagno” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855).
11 L’elemento del timpano triangolare ricorre anche in altri edifici religiosi progettati dagli architetti
Bernardini. Per maggiori approfondimenti cfr. schede Gli edifici religiosi progettati dagli architetti
Bernardini nel DVD allegato.
12 In una relazione del 1846 viene richiesto il vaglio dei materiali da costruzione con lo “scarto di
quelli che non fossero atti alla costruzione di cui si tratta” (SASPE, Comune pre-unitario n. 87, cc.ss., 17
luglio 1846).
13 Cfr. schede Gli edifici religiosi progettati dagli architetti Bernardini nel DVD allegato.
14 In una delle perizie redatte da Pietro Bernardini per la chiesa di San Miniato al Tedesco l’architetto afferma che l’edificio era stato progettato “senza intonaco perché il lavoro sia durevole, e con un
solo bozzato laterale in pietra, cornicione e culmine”, dimostrando invece una scelta stilistica consapevole che privilegia la parete a faccia vista al fine di limitare i lavori di manutenzione (cfr. G.C. Romby,
Dimenticare il Medioevo. Restauri e rinnovamenti nella cattedrale di San Miniato, in La Cattedrale di
San Miniato, a cura di G.C. Romby, Pisa 2004, pp. 9-20; documento originale in AVSM, Restauri del
Duomo vol. II, n. 1547, c. 189r.).
15 Il pavimento originale era in quadroni di terracotta (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n.
365, cc. ss., 12 marzo 1855).
16 Il restauro è stato effettuato nel 1997 (cfr. Relazione tecnica dell’Arch. Lorenzo Niccoli, Lavori di
Restauro e risanamento conservativo alla chiesa dei SS. Matteo e Colombano in Pescia, località
Pietrabuona, Pescia, 6 agosto 1997).
17 Sugli intonaci in malta di calce idraulica e velo sono state applicate tinteggiature a calce con patinatura a pennello e/o spugna (cfr. Relazione tecnica dell’Arch. Lorenzo Niccoli, Lavori di Restauro e risanamento conservativo alla chiesa dei SS. Matteo e Colombano in Pescia, località Pietrabuona, Pescia,
6 agosto 1997, punto 3.3.5).
18 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855.
19 Altare Maggiore, dimensioni 210 x 470 cm (Riferimento 102204). Altare della Madonna dimensioni 900 x 435 cm (Riferimento 102208), presenta una statua raffigurante la Vergine di dimensioni di
circa 120 cm, in legno e gesso adornata di tessuto, datata a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo
(Riferimento 102256). Altare del Crocifisso, dimensioni 900 x 435 cm (Riferimento 102203). Cfr.
Repertorio delle schede di catalogo. Comune di Pescia. Beni Artistici e Storici, a cura di B. Montevecchi
- S. Papaldo, Roma 1986, voll. I, II, III.
20 A metà Ottocento dietro l’altare maggiore era presente “un piccolo armario di legno […] in due
sportelli con toppa e chiave”, oggi non più esistente (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc.
ss., 12 marzo 1855).
21 Un tempo il Crocifisso era ornato con tendaggi (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365,
cc. ss., 12 marzo 1855).
22 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855.
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
23
SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855.
La santa, originaria di Alessandria d’Egitto, fu sottoposta al martirio nel 304. La sua ricorrenza
cade il 25 novembre. L’attributo con cui la santa viene qui rappresentata è la ruota.
25 Sant’Antonio da Padova era un religioso portoghese vissuto nel XIII secolo e canonizzato dalla
Chiesa cattolica. Inizialmente monaco agostiniano, in seguito divenuto frate francescano, Sant’Antonio
è uno dei santi più venerati al mondo per la sua grande sapienza e per i suoi miracoli prodigiosi. La ricorrenza cade il 13 giugno. Secondo la tradizione viene rappresentato in atto di sorreggere il Bambino
Gesù e con il giglio candido in mano.
26 L’iscrizione nella targa riporta: D. O. M./IRENE COMIT. DELLA ROCCA/TAVRINEN. VXOR/VT SVAE PERIVCVNDAE
RVSTICTIONIS/IN PROXIMA FLORIANA VILLA/MNEMOSYNON CVRIALBVS RELINQVERET/SVGGESTVM FACIENDVM CVRAVIT/AN. CHR.
MDCCCLXXVI (cfr. Montevecchi - Papaldo, op. cit., riferimento 102206).
27 La lista degli arredi sacri della chiesa è raccolta in Montevecchi - Papaldo, op. cit., artt. 102202102273.
28 San Matteo Apostolo ed Evangelista visse nel I secolo, esercitando prima della sua chiamata a
Dio il mestiere di esattore delle tasse, da cui deriva la tradizionale raffigurazione con il libro dei conti.
La festività del santo ricorre il 21 di settembre. La statua di San Matteo evangelista (rif. 102264) è in legno intagliato e dipinto, con un’altezza di circa 150 cm, e presenta un mediocre stato di conservazione
(cfr. Montevecchi - Papaldo, op. cit., p. 348).
29 San Colombano era un monaco di origine irlandese vissuto nel VI secolo. Fondò diversi monasteri contribuendo a diffondere il monachesimo irlandese nel mondo. La ricorrenza del santo viene festeggiata il 23 novembre. La statua di San Colombano (rif. 102265) è in legno intagliato e dipinto, con
un’altezza di circa 150 cm, e presenta un mediocre stato di conservazione (cfr. Montevecchi - Papaldo,
op. cit., p. 348).
30 L’acquasantiera si trova oggi a destra dell’entrata principale. Informazioni dimensionali: altezza
130 cm, diametro 72 cm (cfr. Montevecchi - Papaldo, op. cit., rif. 102209).
31 Dipinto a olio su tela, dimensioni 240x170 cm, buono stato di conservazione, incorniciato (cfr.
Montevecchi - Papaldo, op. cit., rif. 102258).
32 L’iscrizione nella targa (in legno dipinto, dim. 40x70 cm) ricorda: IL BATTESIMO DI GESÙ/OPERA
INSIGNE DI PAOLO VERONESE/COPIA FEDELE DELL’AMICO E OSPITE/ARTURO ZANIERI PITTORE FIORENTINO/EUGENIO
GALEOTTI FLORI/A MAGGIOR DECORO DI QUESTA CHIESA/ IL PREGEVOLE DONO DESTINAVA/A. D. MDCCCXCIX.
33 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855.
34 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855.
35 Montevecchi - Papaldo, op. cit., riff. 102217 e 102219.
36 Al rilievo della chiesa hanno partecipato Marco Bennati, Giacomo Fabbri e Valentina Fantini,
coordinati da Matteo Bargellini e Silvia Bertacchi. La messa a registro delle scansioni tridimensionali è
stata realizzata dallo stesso gruppo. Elaborazioni nuvola di punti con il programma Reconstructor:
Matteo Bargellini. Fotografie: Giovanni Anzani. Un ringraziamento al sig. Paolo Bini per le preziose indicazioni in merito all’attività degli architetti Bernardini e agli edifici religiosi da loro progettati.
37 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855.
38 Negli anni della costruzione della nuova chiesa Pietrabuona, insieme alle comunità di
Castelvecchio e Sorana, era soggetta alla comunità di Vellano, in forza della promulgazione del regolamento leopoldino del 23 gennaio 1775. A partire dall’anno 1883 Pietrabuona entrò invece a far parte
del Comune di Pescia. (Cfr. R. Vanni, Il castello di Pietrabuona, in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 3 (1982), pp. 23-30).
24
131
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
39
Carteggio chiesa n. 13, 2 settembre 1846 (cfr. SASPE, Pescia pre-unitario n. 1402, 11 settembre
1846).
132
40 La documentazione successiva fa ulteriori riferimenti alla canonica e alla casa parrocchiale. Nella
visita pastorale del 1902 la casa dove risiedeva il parroco risultava in cattive condizioni di conservazione
(AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss., 4 agosto 1902). Ancora nel 1930 il parroco risiedeva nella casa
parrocchiale, che secondo la documentazione era distante una cinquantina di metri dalla chiesa stessa,
confinava con la casa di Alberto Baldini ed era circondata dalla strada che conduce a Medicina. La casa
canonicale era stata donata alla chiesa da Quirico Fabbretti, mediante contratto rogato da Giuseppe
Orlandi in data 2 maggio 1587, allo scopo di liberarsi da un livello a cui era obbligato nei confronti della
chiesa stessa. L’abitazione, sottoposta ad una tassa locativa di 40 Lire annue, era composta da nove vani sistemati su due piani. Negli anni Trenta del Novecento risultava in buono stato, eccettuate le imposte
esterne delle aperture, che necessitavano la sostituzione insieme alla riparazione delle infiltrazioni di acqua dalla copertura, con spese a carico del parroco pro tempore (AVPE, Visite pastorali n.17, Diocesi di
Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23). L’edificio
era sfruttato come sede dalla congregazione di Maria Santissima del Rosario dal momento che quest’ultima non aveva sede propria. Negli anni Cinquanta la canonica, ancora di proprietà della chiesa, risulta
in pessimo stato e senza arredi (AVPE, Visite Pastorali n. 17, 1955).
41 La documentazione ci dà notizia che l’edificio della canonica si trovava di fronte alla chiesa ad
una distanza maggiore alle 200 braccia, ovvero a più di cento metri, per cui probabilmente l’utilizzo risultava scomodo (AVPE, Carteggio chiesa n. 13).
42 Attualmente la chiesa risulta censita nel foglio di mappa 65 particella A, ed è rappresentata da
un unico immobile con un piccolo terreno di pertinenza sul fronte, confinante sul retro con il terreno
della particella numero 389. In precedenza la sagrestia era numerata a sé, segnata con il riferimento di
particella n° 300.
43 Probabilmente i lavori intrapresi, lo sbancamento del terreno necessario per la costruzione della
chiesa nuova e l’asportazione di parte del pendio roccioso ebbero come effetto l’ulteriore destabilizzazione del muro della Rocca, già al tempo pericolante.
44 Nella mappa ottocentesca appare ancora il nucleo della Rocca, campito con il colore rosso ed
indicato con il numero 42, riconoscibile nelle vicinanze della vecchia porta della Rocca che dà accesso
alla strada denominata dello Scoglio (cfr. SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1852).
45 Per le notizie relative alla primitiva chiesa dei Santi Matteo e Colombano cfr. par. L’oratorio di
San Michele Arcangelo, in questo stesso volume.
46 Notizia riferita da Salvagnini, op. cit., pp. 17-22. Nel suo articolo il Salvagnini cita le fonti inedite
da cui ha tratto le notizie: ASFI, Capitani di Parte F. 765, c. 4, F. 782 c. 53; Statuti dei Comuni Soppressi
n. 576; Disegni dei Capitani di Parte XXVI, 36.
47 Secondo l’opinione del sacerdote Narciso Pagni (cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di
Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23).
48 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Avviso di pubblico incanto delle opere per l’edificazione della nuova chiesa dei SS. Matteo e Colombano di Pietrabuona, emesso dalla cancelleria del regio tribunale di
Pescia in data 26 gennaio 1847.
49 Cfr. nota 3.
50 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Avviso di pubblico incanto delle opere per l’edificazione della nuova chiesa dei SS. Matteo e Colombano di Pietrabuona, emesso dalla cancelleria del regio tribunale di
Pescia in data 26 gennaio 1847.
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
51
SASPE, Comune pre-unitario n. 87, cc. ss., 17 luglio 1846.
Ibid.
53 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera di C. V. Bani datata in Firenze il giorno 2 settembre 1846.
Firmata da C. Petri per copia conforme dal tribunale di Pescia il 10 settembre 1846.
54 SASPE, Comune pre-unitario n. 1402, 11 settembre 1846. Qui si data la relazione all’11 marzo
1846.
55 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera di C. V. Bani datata in Firenze il giorno 2 settembre 1846.
Firmata da C. Petri per copia conforme dal tribunale di Pescia il 10 settembre 1846.
56 Niccola o Natale a seconda dei diversi documenti (cfr. SASPE, Pescia pre-unitario n. 1402, 11
settembre 1846 e AVPE, Carteggio chiesa n. 13).
57 La compagnia del Santissimo Sacramento e San Matteo venne eretta, o meglio rifondata, previo
assenso del parroco e con rescritto del 17 luglio redatto dal segretario del regio diritto, nell’anno 1795
con il nome di una vecchia compagnia non più esistente. Detta compagnia venne confermata tramite
un decreto emesso il 28 luglio dello stesso anno dal vescovo Francesco Vicenti, nella sede del palazzo
Vescovile di Pescia. Il suo obiettivo era il culto di Dio e il trasporto dei defunti, e traeva il suo patrimonio
dai proventi delle tasse dei fratelli e da piccole questue. Inizialmente la compagnia non comprendeva
nel titolo l’altro intestatario della parrocchia locale, San Colombano, tuttavia l’abitudine fece cambiare
nell’uso corrente il nome originale, per cui la compagnia assunse la medesima titolazione della chiesa.
La prima sede era costituita da una stanza adiacente all’antica chiesa di San Michele, denominata per
questo motivo “La compagnia”. Con la costruzione della nuova chiesa, la compagnia acquisì la proprietà del precedente luogo di culto. La concessione della proprietà venne accordata mediante decreto
dell’ordinario il giorno 19 gennaio 1876 (cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario
15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23). In un documento di inizio
Novecento si ricorda che la compagnia, oltre ad intervenire nelle processioni, trasportare i morti e prestare servizio in chiesa tramite un sagrestano, aveva l’obbligo di far celebrare tredici messe per ogni fratello defunto. L’abito della compagnia consisteva in una cappa bianca con cordone rosso. Cfr. AVPE,
Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss.; R. Papini, Momenti di vita associativa nella comunità di Pietrabuona,
in «Rivista di archeologia, storia, costume», n. 3 (1982), pp. 41-54).
58 La congregazione di Maria Santissima del Rosario, eretta a Pietrabuona da tempo immemorabile,
era votata al suffragio delle anime dei defunti. Uno dei compiti annuali era celebrare la festa della
Madonna del Rosario; con cadenza triennale, in maniera più fastosa. La congrega non aveva sede propria,
usufruendo dei locali della canonica per espletare le proprie funzioni (cfr. AVPE, Visite pastorali n. 17,
Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23).
59 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera di C. V. Bani datata in Firenze il giorno 2 settembre 1846.
Firmata da C. Petri per copia conforme dal tribunale di Pescia il 10 settembre 1846.
60 AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di
Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23.
61 AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss.; SASPE, Pescia pre-unitario n. 1402, 11 settembre 1846.
62 In un documento datato 7 dicembre 1846 si rende noto che, tramite dispaccio della regia camera compartimentale, la comunità era stata “invitata a depositare nella cassa dei Vacanti della diogesi la
somma di lire 500” per l’esecuzione dei lavori di costruzione delle fabbriche della nuova chiesa dei
Santi Matteo e Colombano di Pietrabuona (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 2, c. 213 r-v, 7 dicembre 1846).
63 SASPE, Pescia pre-unitario, n. 1402, 11 settembre 1846; SASPE, Archivio del Comune di Vellano
52
133
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
134
n. 365, cc. s, 17 dicembre 1862.
64 SASPE, Pescia pre-unitario n. 1402, 11 settembre 1846.
65 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Avviso di pubblico incanto delle opere per l’edificazione della nuova chiesa dei SS. Matteo e Colombano di Pietrabuona, emesso dalla cancelleria del regio tribunale di
Pescia in data 26 gennaio 1847.
66 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera al signor Dotto Mazzei, 1849 circa.
67 Le spese dovevano venir pagate in tre rate di uguale importo (cfr. SASPE, Pescia pre-unitario n.
1402, 11 settembre 1846).
68 A causa della proprietà dell’Opera il governo non passava alcun supplemento al parroco per le
spese di culto (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss.).
69 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera al signor Dotto Mazzei, 1849 circa.
70 In una visita pastorale del 1902 si afferma che la chiesa sarebbe stata aperta al culto nel 1844,
il che è certamente erroneo vista la documentazione che data l’inizio dei lavori come posteriore alla
metà del 1846 (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss.).
71 In un documento del settembre del 1848 il signor Framerio Orsi di Pietrabuona richiedeva la riapertura del viottolo che dalla piazza posta nel castello di Pietrabuona scendeva alla strada detta
Fiorentina, “serrato in seguito dei lavori per la costruzione della nuova chiesa dei SS. Matteo e
Colombano”, per cui i responsabili incaricati venivano intimati con atti della cancelleria civica di Pescia
a ristabilire la porzione di via pubblica interessata (di lunghezza di braccia 3) riportandola nello stato di
viabilità precedente (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 3, cc. 44v-45v, 28 settembre 1848).
72 AVPE, Carteggio chiesa n. 13, Lettera al signor Dotto Mazzei, 1849 circa.
73 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855.
74 Visita Pastorale del 4 agosto 1902 (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss., 4 agosto 1902). Per
rettoria si intende una chiesa che non svolge funzioni di parrocchia e dipende dalla chiesa parrocchiale
del luogo per quanto riguarda le questioni canoniche e le direttive pastorali.
75 Camillo Bianucci era stato ordinato sacerdote nel 1870 e investito dal reverendo monsignor cavalier Giovanni Benini. Risiedeva nella canonica con la sorella Giusta di 67 anni (AVPE, Visite Pastorali
n. 8, s. 34, cc. ss., 4 agosto 1902).
76 Gli obblighi della chiesa, come le messe dei giorni festivi e quelle soppresse secondo le istruzioni
vescovili, erano registrati in una “vacchetta” riservata allo scopo. La chiesa godeva dell’indulgenza plenaria per la festa dell’Assunzione di Maria e infra octava di ogni anno. La festa di San Matteo veniva organizzata a spese del parroco, mentre le quarant’ore e la divina pastora con i proventi delle elemosine
dei fedeli, di cui teneva l’amministrazione il sacerdote. Le spese in occasione della festa di Maria
Santissima del Rosario, celebrata per concessione la domenica successiva alla solennità dell’Assunzione,
erano invece a carico delle congrega della chiesa (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss.).
77 La sagrestia risultava in buono stato (Visita Pastorale del 4 agosto 1902, AVPE, Visite Pastorali
n. 8, s. 34, cc. ss., 4 agosto 1902).
78 Visita Pastorale del 4 agosto 1902 (AVPE, Visite Pastorali n. 8, s. 34, cc. ss., 4 agosto 1902).
79 Il Battistero doveva trovarsi dalla parte sinistra della chiesa (SASPE, Archivio del Comune Vellano
n. 365, cc. ss., 12 marzo 1855).
80 AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di
Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23.
81 Ibid.
82 L’amministrazione dei beni temporali della chiesa era tenuta dal parroco. Negli anni Trenta il sa-
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
cerdote Pagni si occupava di prendere possesso di un beneficio parrocchiale, che possedeva di fatto ma
non di diritto, del fondo de “La Vigna” lasciato per testamento dal rettore Camillo Bianucci. La chiesa
in realtà aveva perso i diritti sul campo perché non si era interessata della pubblicazione nei sei mesi
seguenti alla morte del testamentario. Nelle memorie di Pietrabuona, n. 16, sono annoverati altri possedimenti della parrocchia: Selva al Monte (25 dicembre 1934); Al Metato (1 febbraio 1935); i due appezzamenti di terreno di Rineti; una casa colonica con terreno annesso (1938), un terreno a Santovecchio
(1953) (cfr. AVPE, Memorie di Pietrabuona n. 16, 11 luglio 1928).
83 AVPE, Visite pastorali n. 17, Diocesi di Pescia, Questionario 15 luglio 1930, canonico di
Pietrabuona Narciso Pagni, Fascicolo n° 23.
84 AVPE, Visite Pastorali n. 17, 1955.
85 Ibid.
86 Ibid.
87 La lapide marmorea posta nella parete presso l’altare ricorda la data del 1917. ALTARE AC SIMULACRUM/ D. ANTONI PATAVINI/CURA ET SUMPTIBUS/RECTORIS ITALI INCERPI ET POPULI/ANNO MCMXVII.
88 AVPE, Visite Pastorali n. 17, 1955.
89 Ibid.
90 La lapide marmorea recita le seguenti parole: D.O.M./QUESTA CHIESA PARROCCHIALE/IN ONORE DEI S. S.
MATTEO EVANGELISTA/ E COLOMBANO ABATE/ COSTRUITA NEL PERIODO 1846-1848/ È STATA SOLENNEMENTE CONSACRATA/
DAL VESCOVO DI PESCIA/ SUA ECC. REV. MONS. GIOVANNI BIANCHI/ IL 6 SETTEMBRE 1992/ CON PARTECIPAZIONE DI POPOLO/
ESSENDO PARROCO IL SACERDOTE/ DON ANGELO STRAGLIOTTO/ DEO GRATIAS.
91 La descrizione dettagliata di tale intervento, compresi i disegni tecnici ed esecutivi di progetto, è
contenuta nella relazione dei “Lavori di Restauro e risanamento conservativo alla chiesa dei SS. Matteo
e Colombano in Pescia” firmata nell’agosto del 1997 dal progettista Arch. Lorenzo Niccoli (cfr.
Relazione tecnica dell’Arch. Lorenzo Niccoli, Lavori di Restauro e risanamento conservativo alla chiesa
dei SS. Matteo e Colombano in Pescia, località Pietrabuona, Pescia, 6 agosto 1997).
92 Cfr. Relazione tecnica dell’Arch. Lorenzo Niccoli, Lavori di Restauro e risanamento conservativo
alla chiesa dei SS. Matteo e Colombano in Pescia, località Pietrabuona, Pescia, 6 agosto 1997, punti
3.3.1 e 3.3.4.
93 Ibid.
94 La relazione riferisce lesioni evidenti le cui tensioni hanno fratturato alcuni degli elementi in cotto che formano la gronda, ripercuotendosi nell’interno con fenomeni di distacco della volta del soffitto
dalla parete perimetrale (cfr. Relazione tecnica dell’Arch. Lorenzo Niccoli, Lavori di Restauro e risanamento conservativo alla chiesa dei SS. Matteo e Colombano in Pescia, località Pietrabuona, Pescia, 6
agosto 1997, punto 3.3.3).
135
Il palazzo pubblico*
136
Fig. 1 - Il palazzo pubblico di Pietrabuona.
Foto conservata all’archivio fotografico della Soprintendenza
(Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze,
riproduzione fotografica n. 102351. Su gentile concessione
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)
Nel corso del XIII secolo, analogamente a quanto accaduto per
molti altri centri della Valleriana,
anche Pietrabuona si costituì come
libero comune1. Nel 1308, come
descritto nello Statuto Lucchese,
faceva parte della vicaria di “Vallis
Nebule”2. I documenti non riportano l’esatta collocazione, all’interno
dell’insediamento, dell’edificio ufficialmente dedicato ad accogliere
tale istituzione, ma gli abitanti del
luogo e gli storici locali3 identificano l’antica sede comunale nel palazzetto in pietra contrapposto all’oratorio di San Michele Arcangelo
e prospiciente la piazzetta centrale
del Bicciuccolo; affermazione che
può essere giustificata dalla particolare posizione assunta dall’edificio all’interno del tessuto insediativo, nonché dai caratteri formali impiegati e dagli elementi decorativi
adottati, che differenziano inequivocabilmente il corpo di fabbrica
dall’edilizia residenziale nella quale
è inserito.
Il palazzo, d’angolo tra l’attuale
via del Campanile e la piazzetta del
Il palazzo pubblico
Bicciuccolo4, è caratterizzato da due fronti in
pietra (larghi 12,5 BF5) che, seppur pesantemente rimaneggiati nel corso dei secoli, conservano alcuni caratteri peculiari degni di nota (fig.
1). Al piano terra, su ciascun lato, l’accesso all’ampio vano interno era garantito da un’apertura6 coronata da un arco crescente a tutto sesto con conci spianati e riquadrati analoghi a
quelli che denunciano i cantonali e le bucature
ai livelli superiori. Tale particolare soluzione si
trova ripetuta su numerosi altri fronti del centro
abitato e della piazzetta stessa, sebbene in molti casi la disposizione dei blocchi lapidei e l’eterogeneità delle soluzioni costruttive adottate indichino interventi di consolidamento, o addirittura di rimontaggio, sicuramente successivi alla
primitiva realizzazione. Le due arcate del palazzo comunale presentano soluzioni singolari non
soltanto per quanto riguarda la conformazione Fig. 2 - Particolare della mensola modanata
dei piedritti – nei quali sono stati introdotti, sen- dell’accesso principale
za un’apparente logica formale e strutturale,
blocchi verticali di probabile reimpiego in sostituzione di pietre angolari dimensionate con i filari del paramento –, ma soprattutto per quanto
riguarda i conci d’imposta. Infatti, mentre sul
prospetto laterale i due blocchi identici risultano
appositamente sagomati per ammorsarsi nella
muratura ed accennare l’imposta dell’arco, sul
fronte principale ad una bozza rettangolare
sommariamente scalpellata sullo stipite destro si
contrappone un concio modanato7, evidentemente reimpiegato, sul sinistro (fig. 2).
Fig. 3 - Aperture del primo livello coronate
La pratica del ricollocamento di alcune pie- da archi ogivali crescenti
tre, nel palazzo pubblico così come nell’abitato,
non interessa esclusivamente le bucature, ma l’intero paramento in muratura pseudoisodoma, nel quale ai blocchi squadrati e sbozzati si alternano pezzi dalla forma articolata e con differente trattamento superficiale. Sebbene ciò rappresenti la testimonianza di
137
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
138
Fig. 4a - Il rilievo integrato del palazzo pubblico - piante
(elaborati a cura di Gaia Lavoratti e del gruppo spagnolo coordinato da Pablo Rodriguez Navarro)
Il palazzo pubblico
Fig. 4b - Il rilievo integrato del palazzo pubblico - prospetti
(elaborati a cura di Gaia Lavoratti e del gruppo spagnolo coordinato da Pablo Rodriguez Navarro)
un continuo processo di evoluzione e trasformazione dell’edificio nei secoli, al contempo
rende difficoltosa una corretta lettura dell’impianto originario, fino a compromettere
un’ipotetica datazione del fronte basata sui caratteri costruttivi impiegati.
Un ulteriore accesso al palazzo è oggi garantito da un’apertura più piccola su via del
Campanile, realizzata con stipiti monolitici sormontati da un architrave recante l’incisione della data 1542 (o 1572)8, che si colloca sulla sinistra dell’arco tamponato, in posizione decisamente eccentrica rispetto alla composizione del fronte.
Al primo livello le quattro aperture (due per fronte) sono chiuse da archi ogivali crescenti realizzati con conci di dimensione differente e talvolta mancanti di chiave (fig. 3), mentre
al piano ancora superiore le bucature si semplificano ulteriormente, divenendo semplici finestre rettangolari aperte a strappo su porzioni di muratura pesantemente rimaneggiate9.
Modifiche e risarcimenti della struttura sono documentati a partire dal XVI secolo10.
Sebbene le fonti d’archivio non forniscano una descrizione dettagliata degli ambienti che
componevano l’edificio, esse consentono comunque di valutare l’entità degli interventi
139
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
subiti dal corpo di fabbrica nel corso dei secoli. La maggior parte delle opere riguardava
la periodica manutenzione e riparazione del tetto11, benché nel 1718 si siano resi necessari alcuni lavori di carattere strutturale “per risarcire una cantonata e mezza facciata
della casa suddetta della comunità dove si è osservato che sarà necessaria mettervi una
catena di ferro”12.
Gli ambienti interni (fig. 4), anch’essi oggetto di numerosi interventi nel corso dei secoli, sono stati riadattati per accogliere la funzione residenziale, ma lasciano ancora intravedere alcuni paramenti e spessori murari dell’impianto primitivo. Al piano terreno le due
140
Fig. 5 - Ipotesi di organizzazione interna del primitivo organismo architettonico. Il rilievo integrato
del palazzo pubblico consente di stabilire alcuni rapporti dimensionali tra le parti dell’edificio.
Lo spazio disponibile al piano terra era occupato per metà dalla loggia (A) dalla quale, attraverso
la scala posta a Nord, era possibile accedere al livello superiore. L’altra metà era a sua volta
suddivisa in due ambienti (B e C), uno dei quali oggi è collegato con la torre ad Est (D)
Il palazzo pubblico
arcate in pietra consentivano l’ingresso ad un
vano rettangolare – probabilmente in origine
uno spazio aperto, ma al contempo riparato e
protetto – sul quale si aprivano gli altri locali
di dimensioni inferiori, illuminati da bucature
molto piccole e non sempre coeve dell’organismo architettonico. La presenza delle due
aperture archivoltate induce a considerare
l’ambiente a cui danno accesso come una loggia, elemento caratterizzante alcuni dei palazzi
comunali del periodo presenti sul territorio13.
Tale spazio, direttamente affacciato sulla piazzetta del Bicciuccolo, consentiva infatti lo svolgimento di numerose funzioni pubbliche che
prevedevano la partecipazione della comunità,
oltre ad assicurare il collegamento ai piani superiori mediante una scala interna14 (fig. 5).
Sebbene le modifiche introdotte per migliorare l’abitabilità degli ambienti15 abbiano
sicuramente alterato la distribuzione originaria dell’interno, in pianta è ancora ben leggi- Fig. 6 - Prospetto su via della Ruga
bile la forma quadrangolare del palazzo, al
quale si addossa un secondo volume di dimensioni inferiori16. Tale profilo è ancora più
evidente al piano superiore, dove la demolizione di alcuni tramezzi ha consentito di ricavare un’unica ampia sala affacciata su via del Campanile17 e la piazzetta del Bicciuccolo.
Il secondo blocco, leggermente più basso di quello principale, è invece ben identificabile da via della Ruga, sulla quale affaccia con un prospetto in pietra nel quale si collocano tre finestrine quadrangolari – una per piano – aperte in fasi differenti e pertanto
eterogenee anche per quanto concerne i materiali impiegati ed il linguaggio formale
adottato (fig. 6). In assenza di fonti d’archivio attendibili, è possibile soltanto ipotizzare
che il volume in considerazione, caratterizzato da una muratura spessa con netta prevalenza dei pieni sui vuoti, fosse originariamente una torre difensiva, annessa ai locali del
palazzo pubblico al momento della sua costruzione.
Il comune di Pietrabuona rimase indipendente fino al 1775 quando, in seguito alla
riforma Leopoldina, venne accorpato a Vellano, per poi passare sotto Pescia nel 188318.
È probabile pertanto che l’edificio abbia ospitato le funzioni pubbliche fino a tale data19,
per poi venir convertito in residenza privata.
141
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
142
NOTE
* Dal contributo originario “Il palazzo pubblico” di Gaia Lavoratti e Pablo Rodriguez Navarro nel
DVD allegato al volume.
1 Salvagnini, op. cit., p. 18.
2 ASLU, Statuti del Comune di Lucca n. 1, cc.41-65-75-95, 1308.
3 Palamidessi, op. cit., p. 23.
4 Cfr. par. Toponomastica popolare di Pietrabuona, in questo stesso volume.
5 BF = Braccio Fiorentino = 0,583626 m. (cfr. Martini, op. cit., p. 206).
6 L’apertura lungo via del Campanile, seppur tamponata con bozze irregolari, è ancora leggibile
sia sul prospetto esterno che all’interno del vano di ingresso del piano terra, dove in corrispondenza
dell’originario accesso è stata conservata una nicchia archivoltata. Tale arcata è posta esattamente al
centro della larghezza della facciata.
7 La modanatura del concio, composta dall’alternanza di listelli, tori e scozie, è analoga a quella
impiegata nella decorazione di blocchi ricollocati sui paramenti di altri importanti edifici di Pietrabuona,
tra i quali la Rocca e la chiesa di San Matteo e Colombano al centro del paese.
8 Cfr. par. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi, in questo stesso volume.
9 L’ultimo livello è caratterizzato da una forte presenza di laterizio inserito a tamponamento di lacune e strappi del paramento in pietra e dall’utilizzo di abbondante malta cementizia per legare pietre
non squadrate inserite in fasi successive.
10 “Meo di Simone altro del numero di decto consiglio consigliando disse che atteso che ogni anno in la casa del comune si batto grani et altro et si guasta tutto il solaio, et a ciò volendo rimediare
disse che per virtù della presente provisione s’intenda prohibito et vietato a ciascuno che per l’addivenire non possa come che sopra battere in detta casa. Et contro facendo ciascuno et per ciascuna volta
caschi in pena di lire 25 et ciascuno ne sia accusato. Et li uffitiali che per e tempi saranno sieno obligati
sotto la medesima pena publicare ei delinquenti et darli a riscuotere al vicario di Pescia, al quale vicario
s’intenta aplichato il terzo di detta pena, il terzo al comune di Pietra Buona et il terzo accusatore. Il che
fu vinto come di sopra (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 312, c. 59r, 13 dicembre 1559).
11 “Adunato le rappresentanti e consiglio nella solita cancelleria per trattare. Atteso esser che nella
casa del comune vi piove come fori mediante che il tetto è tutto rovinato con essere rotto tegoli e embrici e qualche pezzo di tavola e che è necessario quello rassettare acciò li habbia a fare, perciò considerate le spese essere scudi 3. Ancora considerato in tutte le cancellerie e case del comune vi sia un incavo con la Madonna i soldi accordati dal comune e che […] per ciò fu proposto di fare un quadro dove trovi la Madonna Sunta a Matteo e S. Colombano protettori del comune. Considerata la spesa, di rasettare tutti come e di far fare detto d’Andrea, di scudi 8 che messo a’ partito vinto per fave numero 9
per il si salvo.” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c., 26 gennaio 1649).
“Atteso e considerato che la casa del comune e cancelleria è mezza rovinata con esser guasto il solaio e che si è rotto dua legnetti e per ciò è di bisognio di rimettere detti legni et circa 140 pianelle, si
come 50 embrici perciò considerata la spesa fu proposto di stantiare scudi 35 e messo il partito fu vinto
per il si.” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c.78v., 19 marzo 1651).
“Adunati, considerato che il tetto della casa del comune ha bisogno di restaurazione e di incornicciato tutto e fatto vedere a’ genti e sentito volerci una spesa di scudi 3 in tutto perciò ne fecero lo stantiamento suddetti scudi 3. Per loro partito vinto per voti numero 11 favorevoli e 1 assente, salvo.”
(SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 71v., 16 febbraio 1666).
“Item di restaurare la casa del comune: tetto, solaio et uscii. Stanziorno scudi 2 e mandatone il partito vinto per voti numero 12 favorevoli e nessuno in contrario, salvo.” (SASPE, Archivio del Comune di
Il palazzo pubblico
Vellano n. 308, c. 83v., 15 luglio 1668).
“Coadunati li offitiali maggiori con il generale consiglio, rappresentanti la comunità di Pietra Buona
in numero di 10 servatis, servandis. Con loro legittimo partito di voti 10 favorevoli nessuno in contrario
stanziorno scudi 3 per rimettersi prontamente l’acque della fonte e riconoscersi i condotti si come resarcire il banco della casa del comune, rivedere il tetto et armadio et altre cose necessarie per detta
cancelleria si come resarcire la strada del Castello et altri mali passi di dette strade pubbliche et elessero per sopracciò a’ detti lavori il sergente Alfredo Cesare Poschi e tutto salvo sempre l’approvazione del
magistrato de’ signori nove da ottenersi dietro al solito termine di un mese e tutto mandato.” (SASPE,
Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 152v., 24 agosto 1710).
“Item con loro partito di voti favorevoli 10 stanzino scudi 6 per resarcire il tetto della casa della comunità che serve per udienza della cancelleria e residenza del consiglio, qual tetto è restato tutto scoperto dall’ultimi venti ultimamente impetuosi venuti, et pure per sistemare il tetto del ponte a Cembolano
rovinato dai suddetti venti, rimediare l’acqua alla fonte et accomodare alcuni cattivi passi. Item per loro
voti favorevoli 10 stanziorono scudi 3 per resarcire il tetto e pavimento della chiesa bisognando del medesimo.” (SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, cc. 172v-173r., 16 marzo 1714).
12 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 202r., 10 luglio 1718.
13 Sebbene il linguaggio formale impiegato ed i rapporti proporzionali tra pieno e vuoto adottati
non corrispondano, è possibile trovare una relazione tipologica e compositiva, ad esempio, con il palazzo del Capitano di Uzzano (XIV secolo), al quale l’edificio pubblico di Pietrabuona può essere accomunato per forma, distribuzione dei vani, presenza di una loggia al piano terreno e rapporto con la piazza
su cui si affaccia.
14 A. Merlo, La loggia nella città medioevale. Genesi, rilievo e ricostruzione dei processi di trasformazione: l’esempio di Pescia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, Dottorato di Ricerca in
Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente, Aprile 2002.
15 Oltre ad una generale ridistribuzione interna, negli anni sono state aperte finestre di dimensioni
differenti per illuminare ed aerare i locali, intaccando cosi l’originaria composizione di facciata, decisamente più lineare ed omogenea.
16 Al quadrangolo costituito dai vani A, B, C si addossa un secondo blocco più piccolo (D). L’arcata
tra gli ambienti D e C è stata probabilmente aperta nella seconda metà del secolo scorso, dal momento
che nel catasto del 1940 era ancora presente una muratura di spessore comparabile alle pareti perimetrali.
17 Le due finestre su via del Campanile, seppur formalmente analoghe alle due aperte sulla piazzetta, non compaiono sul catasto del 1940, così come non c’è traccia, al piano terra, del secondo arco,
anch’esso su via del Campanile. Tale rappresentazione, più che indicare un’improbabile apertura novecentesca, sta plausibilmente a significare che in tale data le bucature fossero completamente tamponate, come peraltro indicato negli elaborati grafici di un progetto di restauro presentato nel 2007 alla
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Firenze, Pistoia e Prato.
18 Salvagnini, op. cit., p. 21.
19 I documenti del XVIII secolo dimostrano come la sede fosse ancora utilizzata per le assemblee
“Codunati nella solita stanza del comune gli ufficiali maggiori e consiglieri del pubblico e generale parlamento della comunità di Pietra Bona in sufficiente numero di 9 servatis.” (SASPE, Archivio del
Comune di Vellano n. 308, c. 229v., 1° aprile 1723).
143
L’ospedale di San Matteo*
La carta redatta nel 1783 dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni1 permette
di posizionare anche l’ospedale quattrocentesco (particella 80) che all’epoca della stesura del documento corrispondeva alla sede della Compagnia del Corpus Domini. La presenza di un “hospitale” all’interno della comunità di Pietrabuona è documentata per la
prima volta nella visita pastorale del 14502; la sua fondazione deve essere di poco anteriore a quella data, considerato che nel documento viene attribuita al vescovo
Baldassarre3.
I documenti inerenti l’ospedale testimoniano che nel 1557 fu confermato ospedaliero
Meo di Pellegrino da Fibbialla4 e che nel 1643 la struttura era stata affidata a vita a
Benedetto Paccini, che però aveva l’obbligo ogni anno di predisporre la festa di Santa
Caterina e di dare due fiaccole, una a San Matteo e l’altra a San Colombano, oltre a tenere sempre pronto “un letto con pagliericcio, lenzuole e coperte in detto spedale per
uso de’ poveri”5.
I locali adibiti ad ospedale e successivamente ad oratorio, individuati al nuovo catasto
con la particella 333 del foglio 65, sono rimasti di proprietà dell’Opera dei Santissimi
Matteo e Colombano di Pietrabuona fino al 1990, anno in cui, a differenza della chiesa,
sono stati sventuratamente alienati a dei privati.
NOTE
* Dal contributo originario “La chiesa di San Matteo e Colombano, ex oratorio di San Michele a
Pietrabuona” di Erica Ganghereti nel DVD allegato al volume.
1 ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36.
2 AALU, Visite Pastorali n. 5, cc. 57v-58r.
3 Se il vescovo a cui si riferisce il cronista è, come probabile, Baldassarre Manni, egli fu eletto vescovo il 3 gennaio 1441 e rimase in carica fino alla morte, avvenuta il 18 gennaio 1448. La fondazione
dell’ospedale non può quindi che essere circoscritta a questo lasso di tempo.
4 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 328, c. 31r.
5 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 33r.
144
L’ospedale di San Matteo
Fig. 1 - L’ospedale di San Matteo. Foto conservata all’archivio fotografico della Soprintendenza
(Soprintendenza per i Beni Architettonici di Firenze, riproduzione fotografica n. 104112.
Su gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali)
145
La fontana pubblica*
146
Fig. 1 - Estratto della carta redatta nel 1783
dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni
(ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36)
Pietrabuona, come numerosi altri centri
di crinale, ha sofferto del problema dell’approvvigionamento idrico. Spesso, infatti, la
sorgiva si trova ad una quota inferiore rispetto alla sommità del colle dove era in
genere posta la rocca.
Da un cartiglio del 19 agosto 1509 si
apprende dell’intento “di condurre l’acqua
della fontana di Rineti per onsino alla rocha di Pietrabuona che è a’ pie’ di detta
rocha”1. Proposito che dovette trovare
compimento se il 5 settembre 1634, con
una votazione favorevole di tre fave e nessun lupino, si registra “cose da farsi e state
che nel cardine della fontana e mura di essa oltre alli scudi 15 stantiati […] è stato
necessario di spendere lire 32 del detto
stanziamento […] per lavori et opere che
resteno havere”2.
Alla luce di quanto detto possiamo ipotizzare che tale fonte sia la stessa rappresentata nella carta del 17833, in cui è presente un fontanile pubblico vicino al luogo
oggi occupato dalla ottocentesca chiesa
dei Santi Matteo e Colombano (fig. 1).
La scelta di realizzare, nel corso del XVI
secolo, una fonte ai piedi della Rocca, portandovi l’acqua da una presa esistente (la
cosiddetta fontana di Rineti), oltre a sugge-
La fontana pubblica
rire la presenza di un sobborgo al di fuori del centro fortificato, fa dubitare che ve ne fosse
una all’interno del circuito murario. A tal proposito il Registro delle Partite Campione del
centro storico riporta, nell’area prospiciente la vecchia chiesa di San Matteo e Colombano
(ex oratorio di San Michele), l’esistenza di una “pozza a comune” non meglio specificata.
Oggi il lotto è occluso da una muratura in pietra che tampona un antico arco, ma la
conformazione lascia ipotizzare l’esistenza di un portico che avrebbe potuto accogliere la
presa d’acqua da un pozzo o da una vasca di deposito, da cui la dicitura “pozza” (fig. 2).
Nel XVIII secolo i numerosi stanziamenti di fondi per la manutenzione della fontana
raccontano di una struttura di difficile gestione, di cui negli anni si arrivò anche a perdere la traccia delle sue condutture4. In effetti il disagio è ben spiegato nel documento del
17085 in cui si propone di “farsi i cannoni o cannelle dentro il muro e non come adesso i
cannoni che sono sulla nuda terra, ma farsi buone e stabile forme che l’acqua corre per
tutte le conche più spesso”. Con buona lungimiranza la commissione stabilì, all’epoca,
che data la portata dei lavori si sarebbe dovuto frazionare l’opera in più anni per permettere ai bilanci comunali di poter sostenere la spesa. Tuttavia solo due anni dopo6 si
Fig. 2 - Dettaglio dell’arcata prospiciente la piazzetta della chiesa di San Matteo e Colombano
(ex oratorio di San Michele)
147
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 3 - Fontana ottocentesca in piazza di Castello
continuarono a registrare opere di
manutenzione localizzate per “risarcire i condotti della fontana alla
quale manca l’acqua da molto mesi”7. Con alterne vicende si giunse
al 1771, anno in cui l’illustrissimo
signor cavaliere priore Sebastiano
Flori si offrì di fare “a propre spese
i risarcimenti della fonte”8, secondo quanto già concordato nel documento di luglio9. Dovettero comunque passare altri cinquant’anni
affinché il problema di un approvvigionamento idrico efficiente trovasse una definitiva soluzione grazie
alla costruzione, nel 1822, dell’odierna fontana (fig. 3).
NOTE
* Dal contributo originario “Sulla via dell’acqua” di Laura Aiello nel DVD allegato al volume.
1 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325, cc. 87rv., 19 agosto 1509.
2 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 12v., 5 settembre 1634.
3 ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36.
4 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 17r., 16 luglio 1662.
5 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, cc. 136v-137r., 29 luglio 1708.
6 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 152v., 24 agosto 1710.
7 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 308, c. 187v., 26 gennaio 1715.
8 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 345, c. 59v., 22 settembre 1771.
9 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 345, cc. 56v-57r., 10 luglio 1771.
148
Le cartiere “San Rocco”*
Alle pendici del poggio ove sorge il castello di Pietrabuona, lungo il rio di San Rocco,
si trovano due cartiere di proprietà della famiglia Bocci1.
L’edificio più grande, caratterizzato dal colore giallo dell’intonaco e dalle grandi aperture della parte prospiciente la via pubblica, si trova in corrispondenza del ponte di San
Rocco; la cartiera è stata attiva fino al 31 dicembre 2011.
L’edificio minore (conosciuto come “La Fabbrichetta”) è posto a monte del primo,
lungo la riva sinistra del rio di San Rocco, poco dopo il ponte della Fabbrichetta e appena oltrepassata l’immissione del rio Zano. L’opificio ha terminato la propria attività all’inizio del secolo scorso; da allora i locali al piano terra sono stati utilizzati a supporto della cartiera grande ed i piani superiori come abitazione (fig. 1).
Nel catasto settecentesco2, nella parte bassa di Pietrabuona tra la Pescia e il ponte di
San Rocco, è riportato un solo edificio; la costruzione delle due cartiere deve pertanto
essere posteriore alla realizzazione della carta stessa.
Un documento d’archivio del 18213 testimonia la costruzione della cartiera Grande:
“Il signor Francesco Baroni ha costruito una cartiera di 3 pille sul Rio detto di S. Rocco e
che si doveva procedere alla sua stima” ed il medesimo Baroni risulta proprietario dell’immobile anche nei Registri del Catasto Leopoldino del 1825.
Nelle mappe di quest’ultimo4 le due fabbriche, così come le gore che le alimentano,
sono chiaramente individuabili. Il Registro di riferimento conferma in entrambi i casi la
destinazione a “cartiera” dei nuclei più antichi dei due opifici: il maggiore è denominato
“Cartiera Rio San Rocco”, mentre il minore “Cartiera San Rocco”5.
Nella sezione che interessa il territorio di Lucca, entro cui si trova Pietrabuona, della
Carta Idrografica d’Italia (redatta a cavallo tra XIX e XX secolo sotto la giurisdizione del
Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, in scala 1:100.000)6, l’edificio grande è
identificato con il numero 1233 (“cartiera San Rocco” con quattro pile e con acqua fornita da una gora di lunghezza 210 metri, dislivello 1,3 metri e derivazione a “diga murata”) e l’edificio piccolo con il numero 1232 (“cartiera Necciari” con tre pile, un maglio e
carta di paglia, con acqua fornita da una gora di lunghezza 130 metri, dislivello 1 metro
e derivazione a “diga murata”)7.
149
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Le proprietà dei due manufatti rimasero distinte fino al 1890, quando i detentori dell’opificio grande (Casimiro, Silvano e Angelo Calamari) acquistarono anche la fabbrica
piccola da Franco Sainati. Da questo momento in poi le vicende dei due edifici sono
sempre state legate ad un’unica proprietà, anche se mutata nel corso dei decenni8.
Cartiera grande9
Il nucleo originario dell’opificio (fig. 2) è il volume denominato nel catasto ottocentesco “cartiera”, arretrato rispetto alla linea stradale e diviso dalla “casa con resede” dei
150
Fig. 1 - Planimetria catastale attuale con posizione in relazione a Pietrabuona delle due cartiere lungo
il rio San Rocco e del Museo della Carta
Le cartiere “San Rocco”
medesimi proprietari10. A quella data per la cartiera erano censite 104 braccia quadre
(Bq) corrispondenti, presumibilmente, all’ambiente denominato 1, che costituisce la parte più vecchia dell’intero complesso (fig. 3); qui tutt’ora arriva l’acqua che serviva per attivare una ruota a pale metalliche, a cui è ancora collegata una turbina Pelton della metà
degli anni Cinquanta. Le tre pile11 si trovavano nell’ambiente 2 (di cui non è noto il periodo di costruzione), mentre nel vano 3 vi era il maglio, la cui pietra a terra è ancora visibile (il legno del martello è stato riutilizzato per altri scopi dopo che questo macchinario, intorno al 1960, è stato definitivamente dismesso).
Le fasi di ampliamento della fabbrica sono riconoscibili analizzando le palesi discontinuità presenti nel paramento murario. Una fotografia del 1935 (fig. 4), scattata a seguito
del rialzamento della stanza 3 per accogliere lo spanditoio12, testimonia la presenza di
ulteriori spazi adibiti a forno, aia ed orto, tesi a soddisfare le esigenze quotidiane della
famiglia che ne deteneva la proprietà.
Un’altra importante fase costruttiva è documentata tra il 1946 ed il 1949, periodo in
cui venne realizzato un nuovo e più ampio spanditoio (fig. 5). Nella parte inferiore dell’a-
Fig. 2 - Cartiera grande Bocci
151
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 3 - Schema dei corpi di fabbrica della
cartiera grande Bocci
bitazione prospiciente la strada erano
presenti, oltre ad un androne che dava
accesso alla residenza, dei locali di lavoro ed i magazzini per lo stoccaggio e
l’imballaggio della carta; la porzione terminale verso Nord era più piccola e non
allineata con il resto della costruzione.
Venne deciso di demolire questa parte di
fabbricato e di riallinearla rispetto all’edi-
152
Fig. 4 - Fotografia del nuovo spanditoio costruito
nel 1935 sopra la “bottega”
Fig. 5 - La porzione novecentesca dell’edificio: prospetto orientale e meridionale
Le cartiere “San Rocco”
ficio principale, realizzando al di sopra
dei due corpi di fabbrica il nuovo spanditoio. Anche in questo caso le variazioni
apportate si leggono in maniera chiara
nella muratura perimetrale, sia sul lato
fronte strada, sia su quello interno che,
ormai privo di intonaco, mostra i cantonali del primitivo edificio, e sulla struttura
in cemento del nuovo solaio.
La via dell’acqua che dipartiva dalla
collina metteva in moto alcune ruote; la
prima era situata nella “bottega” vecchia
e le seconde al piano terra dell’edificio su
strada (due ruote con una piccola pila e
una piccola olandese).
Tra il 1961 e il 1987 vennero apportati
ulteriori modiche al complesso: furono
ampliate sia le abitazioni nella parte a
monte, sia la fabbrica lungo la strada, con
la costruzione di un nuovo capannone in
grado di ospitare la macchina a rulli per
l’arrotolamento ed il taglio della carta13;
venne sostituita la seconda coppia di ruote con due vasche per accogliere l’impasto che doveva passare nella nuova macchina a rulli e fu realizzato un nuovo deposito/magazzino con annessa pesa.
Nel 1961 la cartiera era capace di produrre venticinque quintali al giorno di carta, usufruendo dei circa 200 KW a disposizione. La potenza aumentò grazie all’aggiunta, nel 1956, di una nuova presa d’acqua dal rio San Rocco, posta circa 400 m a
monte della presa ottocentesca e con una
chiusa per la regimentazione dell’afflusso,
che poteva arrivare a 1/3 della portata Fig. 6 - Prese d’acqua delle due cartiere segnate
complessiva del rio (fig. 6)14. Contestual- sulla cartografia del Nuovo Catasto Terreni (1953)
153
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
mente il bottaccio veniva dismesso per fare
posto alle peschiere più piccole, ancora oggi presenti e piene, per la raccolta dell’acqua pulita di risciacquo (fig. 7).
Attualmente la cartiera è inattiva; la
macchina a rullo più recente per tagliare
ed arrotolare la carta è stata smantellata
nel giugno 2012 per essere trasportata in
Tunisia. La parte residenziale del complesso continua ad essere utilizzata dai proprietari della cartiera stessa.
Fig. 7 - Le peschiere
Cartiera piccola (La Fabbrichetta)15
L’edificio (fig. 8) è costituito da tre piani, due fuori terra ed uno seminterrato
(addossato al pendio sul lato settentrionale e su quello occidentale), coperti da un
tetto a due falde con manto in coppi e tegole. Sul fronte Ovest una scala esterna
consente di raggiungere l’ultimo livello. La
muratura è in pietre dalla pezzatura irregolare, eccetto i cantonali, tenute assieme
da malta. Gli architravi delle aperture sono
anch’essi, salvo alcune eccezioni, in pietra;
i solai presentano un’orditura lignea ed
uno scempiato in cotto, ad esclusione di
una porzione tra il piano terra ed il primo
Fig. 8 - Cartiera piccola Bocci
piano realizzata in ferro e tavelloni. Le pareti interne del piano terreno, tutte con funzione portante, sono in pietrame a faccia vista,
mentre quelle degli altri piani sono intonacate. All’ultimo livello il crollo di una parte di
controsoffitto rivela le capriate lignee che sostengono le due falde del tetto. Esternamente
l’edificio è intonacato e tinteggiato su tre fronti, mentre il prospetto lungo fiume è sprovvisto di rivestimento, consentendo di leggere le discontinuità delle murature.
Nel 1825 la cartiera era costituita da un corpo ad L formato dalla parte meridionale
del fabbricato odierno, comprendente i due vani comunicanti, e da un corpo annesso
154
sul lato orientale di cui oggi sono visibili solo alcuni lacerti, per un totale – nel 1875 –
Le cartiere “San Rocco”
di otto vani distribuiti su tre piani16.
Una conduttura con presa a monte della cartiera consentiva di trasportare l’acqua in prossimità dell’edificio, dove una chiusa in pietra (di
cui sono visibili i resti) regimentava la portata
idrica prima che il flusso passasse attraverso
l’opificio ortogonalmente al rio, entrando vicino
all’attuale scala di accesso al secondo piano e
proseguendo all’interno di una canalizzazione
in cotto ancora oggi presente nel pavimento
dell’ambiente più piccolo al piano terra (fig. 9).
La cartiera era fornita di bottaccio il quale,
una volta terminata la produzione della carta, è
Fig. 9 - La canalizzazione in cotto
stato utilizzato come deposito d’acqua per la
cartiera maggiore. La portata della gora era capace di far muovere una ruota verticale di media dimensione (diametro 1,5 metri).
Sul muro di confine tra i locali comunicanti
del piano terra si trovano poste, in alto una sopra l’altra, due lastre in pietra con iscrizione: la
targa superiore riporta “LA 1809”, che potrebbe indicare la data di costruzione del fabbricato, in quella sottostante vi è incisa la scritta
“F.C.c 1889”; la data coincide con quella del
censimento degli opifici che venne condotto per
la redazione della Carta Idrografica, le lettere
invece richiamano le iniziali di uno dei proprietari (Calamari Casimiro, Silvano e Angelo) a cui
Fig. 10 - Le due pietre scolpite
potrebbe attribuirsi un iniziale fecit (fig. 10).
In un arroto del 1890 legato al catasto leopoldino17 è registrato un cambiamento
nella particella che però non ha riscontro nella morfologia dell’edificio, il quale rimase a
forma di L. Solo nella raffigurazione della fabbrica riportata nel Nuovo Catasto Terreni
del 1953 la configurazione planimetrica del manufatto cambia, assumendo quella attuale. Tra le due date, quindi, la cartiera è stata ampliata verso Nord con l’aggiunta di un
nuovo volume, come si evince dall’analisi del paramento murario, che mostra una evidente discontinuità nel punto di attacco tra la parte antica e quella moderna.
Le 280 Bq indicate nel 1825 sono presumibilmente riferite ad una porzione dell’am-
155
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
biente 1 (fino alla prima finestra sul fronte fiume) e gli ambienti 2 e 3 (fig. 11).
Il fulcro della lavorazione avveniva nella stanza centrale, nella quale vi erano tre pile
di stracci che venivano battuti e impastati da un maglio “a burrattino” (cioè a doppia leva) di cui è rimasta in loco la pietra a terra. I martelli in ferro erano mossi dalla ruota verticale “a colpo” sostenuta da un albero in legno posto sul lato Ovest della stanza e a
sua volta incastrato in appositi vani nella muratura. La ruota era azionata dall’acqua che
discendeva attraverso una tromba, ovvero una canalizzazione ad imbuto, che serviva per
aumentarne la potenza. Sul muro verso la collina si notano, inoltre, le tracce di una ca-
156
Fig. 11 - Rilievo integrato de La Fabbrichetta (elaborazione a cura di Uliva Velo)
Le cartiere “San Rocco”
Fig. 12 - Disegno tratto dal documento ASFI, Segreteria di Gabinetto, Regolamento dell’arte della carta
all’uso di Toscana e dei suoi rispettivi scandagli tratti dagli usi antichi e moderni soliti praticarsi
negli edifizi di Pescia in Toscana e nello Stato di Genova 165, 42; nel testo si fa riferimento al suddetto
disegno quando viene descritta una fabbrica-tipo della carta: “Per un edifizio con un sol tino
vi vogliono almeno sei pile di pietra, cioè tre dette a cenci, due dette a ripesto e una da sfiorato,
così come la grandezza della fabbrica va per ordinario di lunghezza braccia 40, di larghezza B. 12
e di altezza B. 25”. Segue la descrizione degli ambienti riportati nella legenda del disegno
nalizzazione e le chiazze lasciate dall’acqua che cadeva lungo tutta la lunghezza della
parete stessa, al fine di lubrificare e raffreddare l’albero di trasmissione. Una scala interna in legno univa il piano primo con lo spanditoio.
La cartiera è rimasta attiva fino all’inizio del XX secolo; negli anni Trenta del
Novecento vi aveva stabilito la sua bottega un lattaino che vi fondeva il bronzo. Dopo la
Seconda Guerra Mondiale lo spanditoio è stato convertito in abitazione con accesso indipendente dall’esterno dell’edificio, mediante l’attuale scala in pietra.
Ulteriori lavori di ristrutturazione sono stati condotti negli anni Cinquanta per realizzare tre appartamenti (due al piano primo e uno al piano secondo) facendo assumere all’edifico l’attuale configurazione; a questo stesso periodo risale la costruzione al primo
157
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
piano del piccolo volume esterno che accoglie il bagno. Da alcuni anni l’edificio è in stato di abbandono.
Il documento d’archivio “Regolamento dell’arte della carta all’uso di Toscana e dei
suoi rispettivi scandagli tratti dagli usi antichi e moderni soliti praticarsi negli edifizi di
Pescia in Toscana e nello Stato di Genova”, già pubblicato in altri testi, oltre a prescrizioni
di vario genere, riporta anche le dimensioni ed il relativo disegno di un prototipo di cartiera18 (fig. 12). Il documento è interessante per comprendere se i manufatti rispondessero o
meno alla regolamentazione di tali opifici redatta negli anni Venti dell’Ottocento.
Le cartiere qui analizzate19 sono di dimensioni minori rispetto a quelle del tipo riportato nel “Regolamento” sia per il numero di pile (tre al posto delle sei del “tipo”) sia, di
conseguenza, per le misure effettive degli edifici20. L’organizzazione dell’uso degli spazi
rispecchia quella indicata nel testo e nel disegno, con tre stanze di lavorazione del prodotto grezzo; la scala invece è posta in posizione diversa: centrale all’interno della stecca
nel “tipo”, in fondo ad una delle stanze nella cartiera grande ed esternamente nella cartiera piccola. La scala portava al piano superiore adibito al deposito del materiale ne La
Fabbrichetta, mentre nella cartiera più grande tali funzioni erano previste in altri spazi del
complesso. Il piano più alto era usato in entrambi per asciugare la carta. Si può notare
che la stanza delle pile della cartiera grande (n. 2) è la metà di quella del “tipo” in lunghezza (le pile sono la metà di numero) e la medesima in profondità e che i muri hanno
tutti lo spessore di 1 braccio fiorentino. Le numerose modifiche, variazioni e sistemazione
apportate alle costruzioni analizzate non permettono di fare ulteriori approfondimenti.
158
NOTE
* Dal contributo originario “Due cartiere dismesse a Pietrabuona” di Uliva Velo nel DVD allegato
al volume.
1 A tal proposito si ringrazia il sig. Alessandro Bocci, attuale proprietario dei due manufatti, e la sua
famiglia per aver concesso di accedere agli opifici e per aver fornito preziose indicazioni sulla loro storia.
2 ASFI, Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36 (riva sinistra del rio di San Rocco) e ASFI,
Capitani di Parte Guelfa Carte sciolte, n. 64H (riva destra del rio di San Rocco). Le carte sono del 1783
e sono state redatte dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni.
3 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 380, c. 202r.
4 SASPE, Vecchio Catasto Terreni, 1825.
5 Risulta difficile attribuire la proprietà delle due cartiere su un elenco di edifici “a carta” a
Pietrabuona nel 1826 perché in esso l’unica indicata sul rio di San Rocco riporta come proprietario
Francesco Masoni, che non compare fra quelli indicati nei registri catastali. Giuseppe Gherardi, proprietario della cartiera più piccola nel 1825, è indicato in questo elenco in relazione ad una cartiera con tre
pile in luogo Tremignani (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 54).
6 IGM, Carta Idrografica d’Italia, Foglio 105. La carta è accompagnata da relazioni divise per regioni in cui per ogni provincia viene descritto lo stato delle irrigazioni accompagnato dall’elenco diviso
Le cartiere “San Rocco”
per comunità dei corsi d’acqua irrigui e dei corsi d’acqua industriali; su quest’ultimo ogni opificio catalogato è segnato sulla porzione di carta corrispondente.
7 Si suppone infatti che l’opificio numero 1234, catalogato come “molino San Rocco” e costruito su
derivazione “dal canale di fuga”, sia il Mulino di Pietrabuona, detto di Pellegro, costruito a metà del XIX
secolo e attivo fino al 1946 (cfr. P. Biagini, Mulini e frantoi a nord di Pescia (storia-leggenda-realtà attuale),
Vellano 2010, p. 105). La localizzazione dei due edifici è stata effettuata rispetto ai corsi d’acqua e incrociando nell’elenco la denominazione “San Rocco” – già utilizzata nel 1825 – con la destinazione d’uso.
8 Le proprietà si snodano nel tempo secondo un ordine pubblicato in Cresti, op. cit., pp 120-121.
9 Per il manufatto di dimensioni maggiori è stato effettuato il rilievo fotografico e topografico dei
soli fronti stradali con la redazione finale di fotopiani ed un rilievo planimetrico della parte più antica. Il
rilievo è stato realizzato nell’ambito delle relazioni tra il Dipartimento di Architettura DSP dell’Università
degli Studi di Firenze e la Escuela Técnica Superior de Ingeniería de Edificación de la Universidad
Politecnica di Valencia (Spagna), responsabile: Pablo Rodriguez Navarro, rilievo topografico: Maria
Teresa Gil Piqueras, con la partecipazione degli studenti Vicente Celda Cerdán, Rubén García Lozano,
Antonio Ramírez Rentero, Marta Renau Guerra, María Jesús Sánchez Mora, Alejandro Tomás Mascarell.
10 Si sono considerate rispettivamente la particella 568 (“cartiera”), attraverso cui si vede passare
la linea d’acqua, e la particella 567 (“casa con resede”).
11 La pila è un grande recipiente nel quale vengono triturati e ridotti in pasta gli stracci.
12 Lo spanditoio è il luogo dove venivano stesi i fogli di carta ad asciugare.
13 Sul muro a retta dietro il nuovo capannone e sul muro di confine tra quest’ultimo e la parte più
antica del complesso dove si trovano attualmente le vasche per l’impasto, vi è l’iscrizione “A.S.
1.4.961” che indica la data in cui furono effettuare tali opere e il nome del maestro muratore che le
realizzò: Andrea Salvatori.
14 Tale tubazione è oggi in parte interrata, mentre in corrispondenza de La Fabbrichetta è tutt’ora
a vista.
15 Per La Fabbrichetta è stato realizzato, da Uliva Velo, Gaia Lavoratti e Alessandro Merlo, un rilievo
diretto e topografico dell’interno opificio.
16 Tutt’ora il catasto riporta nell’unica particella 146 una costruzione comprensiva della parte crollata negli anni Quaranta del Novecento e ormai diruta.
17 SASPE, Arroto n. 45, Foglio 50.
18 Il manoscritto si trova all’Archivio di Stato di Firenze (ASFI, Segreteria di Gabinetto 165, 42). Non
presenta una propria datazione, ma gli altri inserti del pezzo sono datati tra il 1813 e il 1827. Il
“Regolamento” è quasi interamente trascritto nel testo Cresti, op. cit., pp. 55-60, seppure la forcella temporale degli altri inserti riportata nel volume non coincida con quelle qui esposte. Il disegno, pur citato, è
stato deliberatamente tralasciato perché ritenuto di scarsa importanza per la trattazione del testo stesso;
in effetti gli autori in quel caso hanno tracciato un percorso con tappe in sedi macroscopiche della rete
delle cartiere della valle della Pescia senza soffermarsi sulla grande quantità di opifici secondari. Nel presente caso, invece, proprio l’indagine portata avanti su manufatti di piccole dimensioni, rapportabili a
quelle del disegno-prototipo, rendono interessante questo documento grafico per operare un confronto.
19 Per la cartiera grande si considera la parte più antica.
20 Le dimensioni del disegno del “tipo” sono in braccia fiorentine (b.f. = 0,583626 m cfr. Martini,
op. cit.). La cartiera grande ha le seguenti dimensioni in pianta in b.f.: lunghezza totale 31, larghezze
varie (non è stato rilevato lo spessore dei muri verso la collina). La cartiera piccola rilevata ha le seguenti dimensioni in pianta in b.f.: lunghezza totale 34, larghezza sul fronte Nord 8, sul fronte Sud 9,
larghezza considerando il vano centrale sporgente 13.
159
L’immagine descritta*
160
“L’antichissima chiesa di questo forte castello è stata distrutta e ne rimangono poche
ruine”1. Con queste parole il compilatore ottocentesco, incaricato di redigere la relazione
storico-artistica su Pietrabuona per volontà di Maria Luisa di Borbone-Parma, duchessa
di Lucca, descriveva l’evidente stato di decadenza della primitiva chiesa di San Matteo2.
L’inizio dell’interesse storico-artistico nei riguardi del nuovo edificio sacro (eretto alla
metà del XIV secolo nella parte sommitale dell’insediamento)3 ove la comunità volle che
fossero custoditi delle vere e proprie opere d’arte4, deve essere ascritto al periodo di pacificazione che seguì il passaggio di tutta la Valdinievole sotto il controllo politico di
Firenze5. I manufatti artistici che ricoprono un certo interesse storico, oltre che devozionale, risalgono infatti alla seconda metà del XIV secolo, quando la chiesa iniziò ad arricchirsi di pregevoli esemplari di oreficeria sacra. Il Trecento rappresenta di fatto il secolo
d’oro per la produzione di oggetti legati alla liturgia, in particolare per quelle aree della
Toscana che guardavano alla potenza di Siena, centro di una rete estremamente stimolante di relazioni politiche, economiche e culturali strette non solo con le altre città italiane, ma anche con l’Europa. È noto agli studiosi di arti minori come Lucca – e quindi anche il contado lucchese, di cui la Valleriana faceva parte – abbia subìto il fascino dell’arte
senese, intessendo contatti e favorendo intensi scambi di oggetti di piccole dimensioni,
quali avori e miniature, che all’epoca circolavano diffusamente in virtù degli spostamenti
di viaggiatori, mercanti e degli stessi artisti6. Sicuramente l’arte senese venne anche riletta alla luce delle opere lasciate da questi ultimi nella vicina Pisa, nei tesori delle chiese
più importanti, dove gli apparati liturgici erano quindi aggiornati sul gusto tardogotico.
Basti pensare a come l’introduzione della tecnica dello smalto traslucido – attribuita all’orafo senese Guccio di Mannaia, autore del famoso calice di Niccolò IV, oggi nel Museo
del Tesoro della Basilica di San Francesco ad Assisi – applicato sulle superfici metalliche
dei manufatti abbia rivoluzionato completamente il senso del colore e della raffinatezza
nell’oreficeria. Essa consentiva di raggiungere risultati pittorici straordinariamente sottili
nelle raffigurazioni, creando immagini che potevano ben gareggiare in bellezza con quelle dei pittori e dei miniatori del tempo, adottando caratteri stilistici ed espressivi di chiara
fonte francese7. Smalti traslucidi che sicuramente dovevano caratterizzare i personaggi
L’immagine descritta
presenti sul recto e sul verso della croce astile in
rame di Pietrabuona, purtroppo saltati (fig. 1).
Ricordato anche nella già citata relazione ottocentesca, il manufatto presenta, al centro, il
Cristo a tutto tondo e alle estremità i quattro
medaglioni nei quali sono raffigurati la Vergine,
San Giovanni e il Golgota con il teschio di
Adamo8. Nella parte retrostante compaiono, al
termine dei quattro bracci, gli evangelisti in vesti
zoomorfe e, al centro, una pietra, probabilmente
un cristallo di rocca, che per la sua trasparenza e
luminosità rimandava alla figura di Gesù, riletta
tramite le parole del profeta Isaia all’inizio del
primo capitolo del libro a lui riferito: “Il popolo
che camminava nelle tenebre vide una grande
luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse”9. La resa essenziale delle raffigurazioni, caratterizzate da una intensa espressività, e una certa morbidezza nei tratti dei due
dolenti, fanno pensare ad espliciti riferimenti alla
pittura di Lippo Memmi o alla decorazione miniata di codici liturgici, come quella eseguita dal
cosiddetto Maestro dei Corali di Massa
Marittima o dal Maestro dello Statuto del 1337.
Fig. 1 - Orafo di ambito pisano, Croce astile, prima metà
In particolare, i personaggi dipinti da quest’ultidel XIV secolo, Pietrabuona, chiesa dei Santi Matteo e
mo artista appaiono vicini a quelli rappresentati Colombano (Soprintendenza Speciale per il Patrimonio
nelle placchette smaltate di un’altra croce, con- Storico e Artistico ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per
servata al Museo Nazionale del Bargello a il Polo Museale della città di Firenze - Gabinetto
Firenze, entrambi contraddistinti da un disegno Fotografico. Riproduzione fotografica n. 167688)
tagliente e dalla gestualità accentuata10. È plausibile derivare stilisticamente la croce di Pietrabuona all’ambito di questo orafo, riconosciuto generalmente dalla critica come di provenienza pisana, ma in stretto contatto con
la produzione senese. Ad egli ricondurrebbe anche la chiara derivazione, per la figura del
Cristo, dalla scultura di Andrea Pisano, in particolare nell’esecuzione delle braccia magre
e tese dal dolore e del busto troncoconico, così come nella definizione del volto per molti
versi affine a quella proposta nei personaggi presenti nelle formelle del campanile di
Giotto a Firenze11.
161
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Leggermente più tarda, perché databile intorno agli anni venti del Quattrocento, è una seconda croce astile, in lamina di rame argentato
e dorato, che gli antichi inventari riguardanti
Pietrabuona indicavano come propria dell’oratorio di San Michele (fig. 2). Tutto in quest’opera
parla delle novità che stavano lentamente mutando il gusto nell’oreficeria sacra toscana, sin
dalla sua paternità, ricondotta stavolta non più
ad un ambito pisano o senese, ma a quello fiorentino. L’attribuzione alla mano di un artista afferente ad una città toscana piuttosto che ad
un’altra deve essere interpretata nel caso di
Pietrabuona come di notevole rilevanza: dopo
circa un secolo di dominazione fiorentina all’interno dell’area pesciatina e della Valleriana –
dominazione solo politica, visto che la giurisdizione ecclesiastica restava comunque lucchese
–, gli elementi stilistici e compositivi vengono
reinterpretati secondo un gusto nuovo e aggiornato, in linea con le scoperte del pre-umanesimo
e dell’umanesimo operate a Firenze da Lorenzo
Ghiberti, in scultura e oreficeria, e, in pittura, da
Gherardo Starnina e Lorenzo Monaco. Ed è qui
Fig. 2 - Orafo di ambito fiorentino (bottega
che tale croce si colloca: rispetto alla precedente
del Ghiberti?), Croce astile, secondo decennio
vengono introdotti alcuni piccoli elementi che
del XV secolo, Pietrabuona, chiesa dei Santi Matteo e
denotano una chiara dipendenza da modelli fioColombano (Soprintendenza Speciale per il Patrimonio
rentini. A prima vista l’impostazione dell’oggetStorico e Artistico ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per
to rimane la medesima se confrontata con l’eil Polo Museale della città di Firenze - Gabinetto
Fotografico. Riproduzione fotografica n.167687)
semplare precedente; in realtà, essa è caratterizzata, in corrispondenza della testa e del bacino
del Cristo, da formelle mistilinee di chiara ascendenza ghibertiana, il cui profilo diventa
più marcato e definito. Le placchette ospitano – oltre ai due dolenti, l’Eterno benedicente e il simbolo cristologico del pellicano – sul verso le raffigurazioni dei quattro evangelisti in veste umana e di San Colombano, mentre al centro campeggia l’immagine dell’agnello mistico. Indubbia è la capacità tecnica del maestro orafo cui fu affidata la realizzazione dell’opera, particolarmente evidente laddove la superficie a smalto è saltata: il
162
L’immagine descritta
volto di ciascun evangelista e quello del santo monaco è caratterizzato puntualmente nei
tratti fisionomici, mentre l’uso della colorazione delle lamine con smalti blu cobalto, verde brillante, giallo oro e violetto sfumato ci riportano alle coeve opere di oreficeria fiorentina. Appare inoltre tale la dipendenza stilistica di questo esemplare dal crocifisso
eseguito dallo stesso Ghiberti per la porta Nord del Battistero di Firenze, da far pensare
ad una personalità all’interno dell’entourage di quest’ultimo12.
Di pari passo, l’apertura culturale verso le novità senesi e fiorentine si affaccia anche
nella produzione scultorea locale, in particolare in quella lignea, di cui rimane testimonianza nei numerosi esemplari diffusi un po’ ovunque nel territorio pesciatino e nella
Valleriana. Dopo aver accolto e ripetuto, talvolta stancamente, le forme, i volumi, i moduli compositivi dell’arte di Nino Pisano fino almeno all’ultimo quarto del XIV secolo, a
partire dalla fine degli anni Novanta si registra un lento ma progressivo mutamento di
stile, in concomitanza con la presenza di opere di artisti di rilievo, quali il già ricordato
Ghiberti e il senese Francesco di Valdambrino. Vale la pena ricordare che entrambi gli
scultori si formarono in ambiti diversi – orafo il primo, scultoreo il secondo –, in due città
toscane ben aggiornate sulla lezione tardogotica d’oltralpe: a Firenze, dove era già aperto il cantiere della Porta della Mandorla nella fiancata settentrionale del duomo, e a
Lucca, nella quale lavoravano personalità come Spinello Aretino e il miniatore Martino di
Bartolomeo, autore della decorazione di cinque corali per la cattedrale. È necessario poi
aggiungere che sia Ghiberti che Valdambrino parteciparono, nel 1401, al celebre concorso per la porta Nord del battistero fiorentino, vinto poi dal primo; dopo tale data, la loro
arte guardò a moduli che spesso trovano dei punti di tangenza, soprattutto nell’elegante
gestualità e dinamismo delle figure, nonché nell’attenzione verso la natura. La tradizione
tardo-trecentesca iniziava cioè a divergere in direzione di un linguaggio più moderno, nel
quale assumeva valore soprattutto la gestualità affettuosa, sottolineata da intensi scambi di sguardi e dall’elegante posizione ad hanchement assunta dalle figure13. Ed è proprio in questo volgersi al XV secolo che va collocata la statua lignea del San Matteo di
Pietrabuona, purtroppo posta in una infelice condizione di fruibilità e ricoperta da uno
strato policromo sicuramente non originale, contraddistinta da toni bruni e riccamente
decorata da numerosi ex voto metallici a forma di cuore nella parte inferiore della veste
(fig. 3). Il santo è rappresentato stante e in posizione rigidamente frontale, vestito con
un abito dallo scollo molto ampio e dalle maniche larghe, con un mantello caratterizzato
da fitte pieghe che scaturiscono dalla spalla sinistra e corrono lungo tutto il corpo, fino
al fianco opposto. Le pieghe a canna della veste sono disposte a raggiera sulla parte
bassa del ventre, sulle gambe e sulla manica a partire dalla piega del gomito destro.
Piega che si fonde con l’orlo del manto togato, presentante un grande risvolto che dona
ai panneggi sinuosità ed eleganza. Le braccia, che rivelano una corporatura esile ed una
163
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
postura rigida, sono strette e aderenti al corpo,
mentre il volto, realizzato sulla base di uno schema
semplice e di volumi elementari, è fisso ed immobile, contornato da una folta barba e da una capigliatura geometrica ed equilibrata. Il santo è sicuramente opera di un maestro locale, probabilmente legato
alla sola area pesciatina: si tratta di una personalità
che dimostra una aderenza totale ai moduli trecenteschi pisani, maturati però alla luce delle prime ricerche di Francesco di Valdambrino. Nonostante la
sua forzata rigidità, infatti, quest’opera appare addolcita nelle forme; la resa delle ciocche dei capelli e
della barba, così morbidamente appoggiate al volto,
guarda certo al naturalismo dell’artista senese che
molto lavorò a Lucca e nel suo contado14. Al medesimo artista, ben riconoscibile dal modo particolare
di drappeggiare le forme con festoni e pieghe a canna, devono riferirsi anche un paio di statue lignee,
una rappresentante un Giovane santo non ancora
identificato – conservata al Museo civico di Pescia
Fig. 3 - Scultore di ambito lucchese, San Matteo,
–, l’altra un San Martino, oggi nella chiesa parrocprimo decennio del XV secolo, Pietrabuona, chiesa
chiale di Vellano. Esse sono il portavoce del percordei Santi Matteo e Colombano (Soprintendenza
so di maturazione che l’anonimo scultore ha comSpeciale per il Patrimonio Storico e Artistico
piuto tra la fine del Trecento e gli inizi del
ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per il Polo
Quattrocento; percorso nel quale il San Matteo di
Museale della città di Firenze - Gabinetto
Fotografico. Riproduzione fotografica n. 167685)
Pietrabuona va a collocarsi centralmente, apparendo come il manufatto più pregevole a lui attribuito.
Il rapporto che legava il paese di Pietrabuona all’ambito pesciatino e, tramite quest’ultimo, a quello fiorentino e lucchese, si mantenne certamente immutato e costante
per tutto il XV ed il XVI secolo. È il momento in cui la nobiltà di Pescia, sicura di una crescente disponibilità finanziaria costruita su una fortuna economica guadagnata in diversi
settori manifatturieri (gelso, seta e carta), creò relazioni strette, soprattutto per via matrimoniale, con il patriziato fiorentino. La ricchezza e l’importanza di alcune commissioni,
prime fra tutte quelle patrocinate dalle famiglie Cardini, Cecchi e Turini, quindi, si inseriscono in un ambiente mecenatizio che mantenne vive le proprie peculiarità culturali, aggiornandosi di volta in volta su quanto veniva proposto nei più significativi dibattiti figurativi del tempo15. Proprio per questa vivacità intellettuale e creativa della città pesciati164
L’immagine descritta
na appare ancor più stridente il vuoto creatosi per il borgo di Pietrabuona nei confronti delle testimonianze artistiche attribuibili al Quattrocento o al Cinquecento, in
particolare quelle pittoriche16.
Siamo già alle soglie del Concilio di
Trento ma, prima che il linguaggio artistico
inizi a subire i mutamenti voluti dalla
Chiesa cattolica in favore della chiarezza
compositiva e del decoro, continuano ad
esistere forme d’arte in linea con il predominante gusto manierista, in particolar modo negli arredi liturgici. È il caso del tabernacolo eucaristico di Pietrabuona, fino agli
anni Ottanta del Novecento ospitato nell’oratorio della confraternita, recentemente
collocato nella sacrestia della chiesa parrocchiale del paese (fig. 4). Intagliato nel
legno, poi dipinto e dorato, esso è ascrivibile al nono decennio del Cinquecento sia
Fig. 4 - Scultore di ambito toscano, Tabernacolo
per la tradizionale presenza del motivo a eucaristico, nono decennio del XVI secolo, Pietrabuona, ex
grottesche, sia per la novità dell’inserimen- Oratorio di San Michele, oggi
to delle volute a ricciolo che incorniciano la sacrestia della chiesa parrocchiale (Soprintendenza Speciale
sede dell’eucaristia. L’utilizzo della grotte- per il Patrimonio Storico e Artistico ed Etnoantropologico
sca rientra in quella tipologia di decorazio- (SSPSAE) e per il Polo Museale della città di Firenze ne che si diffuse ampiamente a partire dal- Gabinetto Fotografico. Riproduzione fotografica n. 290922)
la fine del XV secolo, e che deve la propria
origine ai dipinti parietali riscoperti a Roma negli ambienti della Domus Aurea neroniana. Dopo una prima fase, il cui momento più importante è rappresentato dagli affreschi
della Libreria Piccolomini nel duomo di Siena, opera del Pinturicchio, essa conobbe
un’ulteriore diffusione grazie all’acquisizione di tale genere da parte di Raffaello e della
sua bottega, soprattutto nella persona di Giovanni da Udine, nelle imprese decorative
dei palazzi vaticani a partire dal 1516. Appunto a quest’ultimo momento si ispira colui
che intagliò il tardo esemplare di Pietrabuona che, seppur nella sua qualità artistica non
proprio eccellente, lungo le finte paraste ai lati della nicchia preposta ad ospitare il sacramento, ripropone in forme ieratiche e semplificate le figure di genietti miste a motivi a
palmetta o a foglia d’acanto, conosciute grazie alle riproduzioni che all’epoca compari165
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
166
vano su repertori a stampa. Con l’avvento del clima spirituale determinato dalla riforma
luterana, che aveva generato forti tensioni religiose e morali e che la Chiesa di Roma
aveva tentato di arginare e controllare promuovendo un programma di rinnovamento, la
maggior parte degli arredi sacri rispondenti allo stile manierista andarono incontro alla
distruzione, oppure a trasferimenti in cappelle e oratori minori, affinché gli edifici di culto
maggiori si dotassero di nuova suppellettile, aggiornata secondo le nuove disposizioni
conciliari. Fu probabilmente quanto accadde al tabernacolo di Pietrabuona, che si ipotizza fosse stato trasferito già agli inizi del Seicento nel locale dell’oratorio della confraternita, perché ritenuto ormai non più aggiornato secondo il gusto del tempo17.
A seguito del Concilio di Trento, svoltosi a più riprese tra il 1545 ed il 1563, furono
elaborate direttive precise in cui venivano additati e censurati tutti gli eccessi e i virtuosismi del periodo precedente, affinché le arti fossero indirizzate verso un fine educativo
e verso la riedificazione, il restauro e l’abbellimento degli edifici ecclesiastici. La Chiesa
cattolica dette quindi inizio a un processo di epurazione dell’immenso patrimonio iconografico della tradizione cristiana, bandendo i soggetti che si prestavano a interpretazioni profane. Vennero privilegiati i temi adatti alla meditazione e alla penitenza, come
i momenti più drammatici della passione di Cristo e gli episodi più edificanti di virtù
cristiane. A Firenze l’adeguamento del linguaggio artistico agli ideali tridentini di convenienza e verosimiglianza seguì due filoni principali: il primo si ricollegava ad esempi
relativamente recenti – e mai dimenticati – di inizio secolo, cioè al classicismo devoto
di Fra’ Bartolomeo e al patetismo affidabile di Andrea del Sarto, di cui si faceva “portavoce” Santi di Tito. Il secondo filone, invece, orientava la scelta delle politiche figurative
verso una visione più naturalistica dell’arte, in concomitanza con la riscoperta dell’importanza del colore e della luce, prerogativa della pittura veneta, recentemente rivalutata da alcuni pittori, quali Passignano e Cigoli18. Forse per la sua provenienza e formazione veronese, una volta giunto a Firenze nel 1578, anche Jacopo Ligozzi si inserisce in quest’ultimo ambito, ottenendo incarichi di notevole prestigio, sia da parte della
famiglia granducale che da committenze religiose. Di lui dovette forse colpire la vena
poetica, la serenità espressiva, la predisposizione al naturale, che sfociava nella minuta
attenzione per i dettagli. Egli lavorò, sul finire del secolo, anche nella città di Lucca e
da qui, nel 1593, si trasferì a Pescia, dove dipinse per la chiesa di San Francesco il
Martirio di Santa Dorotea. L’opera fu definita “stupenda” dall’erudito settecentesco
Luigi Lanzi, nel suo volume Storia pittorica dell’Italia: “Il palco, il carnefice, il prefetto
che stando a cavallo gli dà ordine di ferire, la gran turba dei circostanti in varie sembianze ed effetti, tutto l’apparato di un supplicio pubblico ferma e incanta ugualmente
chi sa in pittura e chi non sa”19. Non sappiamo se in occasione dell’esecuzione della
tela posta nella chiesa francescana di Pescia, Jacopo Ligozzi dipinse anche il Cristo
L’immagine descritta
Bambino redentore, vero e proprio
gioiello nascosto nella chiesa dei Santi
Matteo e Colombano di Pietrabuona
(fig. 5). Chiaramente ispirato alla tradizione iconografica del putto con il teschio inteso come memento mori, il
fanciullo riassume su di sé l’allegoria
della redenzione e della vittoria sul
peccato e sulla morte attraverso la risurrezione. Disposto frontalmente, indossa una ricca veste rossa su cui
scende uno scapolare recante i simboli
della passione. Il capo leggermente inclinato poggia sul dorso della mano in
attitudine meditativa, mentre il gomito
poggia su un teschio; nella mano sinistra, però, stringe il grande vessillo
crociato del Cristo risorto e sotto i piedi schiaccia il drago, simbolo del demonio e della morte. Nonostante il tema raffigurato sulla tela possa indurre
a pensare che tale soggetto potesse
essere piuttosto singolare nella produzione pittorica del tempo, esso aveva
al contrario ampia circolazione all’epoca: lo ritroviamo trattato anche in una Fig. 5 - Jacopo Ligozzi, Cristo Bambino redentore, 1595 ca.,
rara acquaforte di Jacques Callot cui il Pietrabuona, chiesa dei Santi Matteo e Colombano (Soprintendenza
dipinto è molto prossimo in quasi tutti Speciale per il Patrimonio Storico e Artistico ed Etnoantropologico
i particolari. L’attribuzione al Ligozzi è (SSPSAE) e per il Polo Museale della città di Firenze - Gabinetto
comunemente accettata dalla critica, Fotografico. Riproduzione fotografica n. 290950)
non soltanto per la presenza dell’artista a Pescia e a Lucca durante gli ultimi anni del Cinquecento e i primi del Seicento, ma
soprattutto perché sono presenti nella tela talune peculiarità tipiche del repertorio ligozziano, come il vaso di fiori ed il teschio20.
Pur rappresentando certamente un unicum nel paese di Pietrabuona, l’arrivo del quadro del pittore veneto fu il raffinatissimo punto di partenza di quella fase di aggiornamento stilistico in chiave controriformata che, per la chiesa di San Matteo e Colombano, come
167
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
per tutte le parrocchie della praepositura nullius pesciatina, durò almeno fino al quarto decennio del Seicento. La lenticolare attenzione
al dato naturale, fin nei dettagli, specialmente
nella resa delle vesti e dei gioielli che spesso
connota la pittura di Jacopo Ligozzi, la ritroviamo reinterpretata in chiave personalissima
nella pala d’altare raffigurante l’Incoronazione della Vergine, oggi nei depositi della
Soprintendenza fiorentina in attesa di restauro
(fig. 6). Firmata dal pittore pesciatino Ippolito
Brunetti, la tela si inserisce stilisticamente e
cronologicamente nelle ricerche pittoriche immediatamente successive alla permanenza del
Ligozzi nell’area tra Pescia e Lucca. Tipica del
Brunetti è una pittura piuttosto dura e tagliente, soprattutto nella resa marcata e rigida delle membra dei personaggi, dei profili dei volti,
dei gesti e dei panneggi, in linea con quanto
venne eseguito dallo stesso autore, per esempio, nella Sacra conversazione dipinta per il refettorio
delle monache del convento di San
Fig. 6 - Ippolito Brunetti, Incoronazione della Vergine, Fine
del XVI-inizi del XVII secolo, Pietrabuona, chiesa dei Santi
Michele. Originario di Firenze, Ippolito si traMatteo e Colombano (in restauro presso la Soprintendenza
sferì forse a Pescia con l’obiettivo di trovarvi
dei Beni Artistici di Firenze) (Soprintendenza Speciale per il
un ambiente fecondo e ricco di committenze
Patrimonio Storico e Artistico ed Etnoantropologico
che invece la città granducale non forniva più.
(SSPSAE) e per il Polo Museale della città di Firenze Fino al primo decennio del Seicento, infatti,
Gabinetto Fotografico. Riproduzione fotografica n. 167683)
egli lavorò costantemente per la Chiesa e la
nobiltà pesciatina, lasciando i propri quadri
anche nelle zone limitrofe: La Costa, Uzzano e, in Valleriana, San Quirico21.
Cronologicamente afferente a questo periodo è anche un crocifisso ligneo, intagliato
secondo moduli stilistici vicini all’opera di Pietro Tacca, e riprodotto dagli artigiani locali
anche per gli altri castelli della Valleriana (fig. 7). L’ampia diffusione di oggetti di questo
tipo, tutti dipendenti dallo stesso modello, conferma l’ipotesi secondo la quale doveva
esistere una attiva committenza locale che, non potendosi permettere di richiamare artisti di grande rilievo, si rivolgeva ad una produzione autoctona, consapevole delle più aggiornate formule artistiche del tempo. La figura del Cristo, infatti, per le sue forme così
168
L’immagine descritta
robuste e compatte si avvicina a quella di un altro esemplare, oggi conservato nella chiesa dei
Santi Pietro e Paolo di Sorana, che denuncia chiaramente una ripresa della plastica tacchiana nella
sua monumentalità dei volumi, nei tratti fisionomici ben definiti del volto di Gesù, nell’effetto dinamico ottenuto dalle pieghe del perizoma. La
presenza di crocifissi attribuibili a Pietro Tacca,
documentati nell’area pistoiese intorno al primo
decennio del XVII secolo, fa ipotizzare che le
maestranze attive nella Valleriana avessero conosciuto e studiato tali opere per poi reinterpretarle
una volta tornati nei loro luoghi di origine22. La
bella testa del crocifisso di Pietrabuona, affondata nella curva creata dalle braccia, non fa pensare
alla morte, ma ad un sonno pesante di un corpo
ancora vivo; non c’è sofferenza nell’uomo appeso
alla croce, ma la speranza serena della promessa
Fig. 7 - Scultore di ambito toscano (da Pietro Tacca),
della risurrezione23.
Dipinta da un anonimo pittore toscano, ma Crocifisso, primo decennio del XVII secolo,
riferibile a modelli certamente non fiorentini, in- Pietrabuona, chiesa dei Santi Matteo e Colombano
(Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico e
vece, è la tela raffigurante la Sacra famiglia, Artistico ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per il Polo
conservata nella canonica della chiesa parroc- Museale della città di Firenze - Gabinetto Fotografico.
chiale di Pietrabuona e databile intorno alla se- Riproduzione fotografica n. 290929)
conda metà del Seicento (fig. 8). Il dipinto costituisce una delle più belle e letterali rielaborazioni offerte dagli artisti seicenteschi di un
tema prettamente raffaellesco, quello della Madonna della cesta, la cui copia più celebre è di mano del Correggio. Tuttavia è il bolognese Annibale Carracci, cui la tela si
ispira, a costituire il diretto riferimento, derivante in particolare da questo olio su rame,
oggi alla National Gallery di Londra24. Si devono notare in esso la pienezza di sensi
con cui quel modello viene restituito, calandolo entro una dimensione di affetti domestici e quotidiani. Interessanti sono anche gli scorci paesaggistici rivelati nello sfondo:
paesaggi caldi, sfumati, di sapore estivo, che testimoniano l’alta qualità dell’invenzione
paesistica in ogni singolo particolare25. La riproposizione di composizioni d’ispirazione
carraccesca, tuttavia, non deve risultare eccezionale per questi luoghi. Anzitutto perché
non si deve mai sottovalutare l’importanza del ruolo rivestito dalla circolazione di
stampe nell’area pesciatina, che sappiamo ricca di raffigurazioni realizzate con tale
169
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 8 - Artista di ambito toscano, Sacra famiglia, seconda metà del XVII secolo, Pietrabuona, canonica
(Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico e
Artistico ed Etnoantropologico (SSPSAE) e per il Polo
Museale della città di Firenze - Gabinetto Fotografico.
Riproduzione fotografica n. 168183)
170
tecnica26; in seconda istanza per la centralità
dell’area della Valleriana come territorio di passaggio non solo tra Firenze e Lucca, ma anche
come valico da e verso l’Appennino emiliano.
Infine dobbiamo aggiungere come motivazione
anche la grande fortuna che la pittura di
Annibale e dei suoi allievi ebbe presso i contemporanei per tutto l’arco del XVII secolo; fortuna di cui è testimone in Valleriana anche
un’altra opera, rappresentante l’Assunzione della Vergine, posta nell’abside della chiesa di
Santa Maria Assunta di Stiappa, eseguita da un
ignoto pittore lucchese che ha riletto con grande capacità alcuni moduli della pittura di
Annibale Carracci e di Guido Reni.
Con quest’ultimo quadro si chiude l’analisi
delle superstiti testimonianze artistiche presenti
a Pietrabuona; testimonianze che pongono questo paese della Svizzera Pesciatina in una posizione culturale tutt’altro che marginale nel panorama artistico tra Trecento e Seicento. Opere di
raffinata levatura come la croce astile attribuibile
alla bottega del Ghiberti o il Cristo Bambino redentore di Jacopo Ligozzi restano purtroppo vertici di una produzione mai più raggiunta27.
NOTE
* Dal contributo originario “L’immagine descritta” di Elisa Maccioni nel DVD allegato al volume.
1 ASLU, Commissione d’Incoraggiamento delle Belle Arti, in Inventari manoscritti, vol. XV, I, busta
n. 8, fascicoli 1-7 (serie “bacchette”).
2 Per un quadro riassuntivo concernente la Commissione d’Incoraggiamento delle Belle Arti, voluta dalla duchessa Maria Luisa di Borbone, cfr. E. Maccioni, Commissione d’Incoraggiamento delle Belle
Arti, in Viaggio in Valleriana, di A. Spicciani, Pisa 2008, pp. 177-197.
3 Cfr. par. L’oratorio di San Michele Arcangelo, in questo stesso volume.
4 Una esaustiva analisi storica dei territori di Pescia e della Valleriana in epoca medievale è stata
condotta da A. Puglia e da L. Bernardini in Pescia. Città tra confini in terra di Toscana, a cura di A.
Spicciani, Milano 2006, pp. 17-84 e pp. 85-101. Per la bibliografia a riguardo si veda, nello stesso volume, F. Mari, Apparati, pp. 290-302.
L’immagine descritta
5 Forte è stata la dipendenza – sia politica che artistica – del paese di Pietrabuona dalla vicina
città di Pescia, fecondo centro d’arte dalla fine del XV secolo e sede di una praepositura nullius a partire dal 1519. Non si deve dimenticare, infatti, come a Pescia fossero presenti, nella chiesa propositurale
di Santa Maria, la celeberrima Madonna del Baldacchino di Raffaello Sanzio, nonché i monumenti funebri scolpiti da Raffaello da Montelupo e Pierino da Vinci. Ma gli artisti di spicco che lavorarono sulla
scena pesciatina furono molteplici: Francesco di Valdambrino, Giovanni della Robbia, Benedetto Pagni,
Aurelio Lomi, Giovan Battista Paggi, Jacopo Ligozzi, Domenico Passignano, cui andava ad affiancarsi
tutta una serie di figure “minori”, che tuttavia risultavano perfettamente capaci di reinterpretare personalmente le tendenze stilistiche e compositive del momento, di sicuro effetto sulla committenza locale.
Alcuni di essi, per il piccolo borgo della Valleriana, donarono opere di grande vivacità, veri e propri testimoni di un ricercato aggiornamento artistico da parte della comunità del luogo in linea con quanto
veniva prodotto nei centri toscani di maggiore respiro (cfr. E. Pellegrini, Da Raffaello a Maratti. Artisti e
committenti in Valdinievole, Pisa 2007, pp. 23-33).
6 Cfr. C. Baracchini, Oreficeria sacra a Lucca: dal XIII al XV secolo, Firenze 1993, pp. 13-25, oppure cfr. A. Capitanio, Da Limoges a Lucca: modelli iconografici per l’oreficeria sacra, in Conosco un ottimo storico dell’arte: per Enrico Castelnuovo: scritti di allievi e amici pisani, a cura di M.M. Donato - M.
Ferretti, Pisa 2012, pp. 69-75.
7 Per la figura di Guccio di Mannaia si veda il saggio di E. Cioni, Guccio di Mannaia e l’esperienza
del gotico transalpino, in Il gotico europeo in Italia, a cura di V. Pace - M. Bagnoli, Napoli 1994, pp.
311-323.
8 Cfr. Maccioni, op. cit., p. 196. La croce appare criticamente analizzata soltanto dall’ormai datata
schedatura della Soprintendenza fiorentina, scritta da M. Ciatti in Montevecchi - Papaldo, op. cit., vol.
1, n. 102230, p. 344.
9 Si veda, per quanto riguarda la simbologia delle gemme nel medioevo, il saggio di M. Collareta,
Il cristallo nella liturgia religiosa e civile, in Cristalli e gemme: realtà, fisica e immaginario, simbologia,
tecniche e arte, a cura di B. Zanettin, Venezia 2003, pp. 495-512. Per la bibliografia a riguardo cfr. L.
Dolcini, La fortuna del cristallo di rocca nel medioevo: guida alla consultazione della bibliografia,
Ravello 1989, pp. 341-368.
10 Cfr. A. Labriola, Simone Martini e la pittura gotica a Siena, Firenze 2008, pp. 223-225.
11 Cfr. M. Burresi, Dal 1330 al 1400: l’irradiarsi della cultura di Andrea e Nino Pisano in Toscana e
nella penisola, in Niveo de marmore: l’uso artistico del marmo di Carrara dall’XI al XV secolo, a cura di
E. Castelnuovo, Genova 1992, pp. 216-220.
12 Si veda la scheda di catalogo di B. Scantamburlo, Oreficeria sacra in Toscana. Gli argenti della
Cattedrale di Pescia, Pisa 2010, n. 8, pp. 66-68. Per un confronto con la Crocifissione della porta Nord
del battistero di Firenze, cfr. A. Galli, Lorenzo Ghiberti, Roma 2005, p. 121.
13 Cfr. G. Marangoni, Nascoste sugli altari. Argomenti di scultura lignea medievale nella
Valdinievole lucchese, Pisa 2006, pp. 21-48.
14 Marangoni attribuisce a Francesco di Valdambrino alcune opere conservate nelle varie chiese
parrocchiali della Valleriana, collocandole cronologicamente ad un periodo giovanile dell’artista, immediatamente precedente al celebre concorso della porta Nord del battistero di Firenze. Per la scheda dell’opera cfr. Marangoni, op. cit., scheda n. 7, pp. 71-74. Si veda anche M. Campigli, Su Nino Pisano e sul
suo seguito in Toscana: due Madonne lignee della Fondazione Giorgio Cini, in «Saggi e memorie di
storia dell’arte», n. 27 (2003-2004), pp. 35-56.
15 Cfr. E. Pellegrini, Storia di immagini e immagini di una storia, in Pescia. Città tra confini in terra
171
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
di Toscana, a cura di A. Spicciani, cit., pp. 174-196.
16 Al contrario, gli altri paesi delle dieci castella, come Aramo, Castelvecchio, Sorana e Pontito, offrono interessanti opere d’arte, anche di un certo riguardo, che si inseriscono pienamente nel filone fortunatissimo delle Sacre conversazioni e delle Madonne col Bambino. Basti ricordare, tra tutti gli esemplari, la Madonna col Bambino della pieve di Castelvecchio, chiara citazione della celeberrima Madonna
del Baldacchino di Raffaello per l’inserto degli angioletti in alto che sorreggono la corona sopra la
Vergine, e la tavola raffigurante l’Adorazione dei pastori di Pontito, attribuita alla bottega di Sebastiano
Vini, in cui tutta la composizione ruota attorno al gesto del pastore in primo piano colto nell’atto di togliersi il cappello rosso, punto di forza di tutto il dipinto (cfr. E. Pellegrini, Frammenti di pittura: viatico
per un territorio dimenticato, in Viaggio in Valleriana, di A. Spicciani, cit., pp. 142-144).
17 Di quest’opera possediamo soltanto una schedatura critica ad opera della Soprintendenza fiorentina, a cura di M. Ciatti, in Montevecchi - Papaldo, op. cit., scheda n. 102279, pp. 349.
18 Cfr. F. Moro, Viaggio nel Seicento toscano, Mantova 2006, pp. 64-83. Si consultino anche i saggi
di M. Gregori e C. D’Afflitto, in Storia delle arti in Toscana, Il Seicento, di M. Gregori, Firenze 2001, pp.
9-20 e pp. 81-98.
19 L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia (1809), [edizione a cura di M. Capucci, Firenze 1968-1974],
p. 253.
20 Pellegrini, Frammenti di pittura, cit., pp. 145-146. Cfr. anche A. Menzione, Celesti immagini.
Aspetti della religiosità in Valdinievole nell’età moderna, in Pescia e la Valdinievole. La costruzione di
una identità territoriale, a cura di A.M. Pult Quaglia, Firenze 2006, pp. 107-108. Il quadro è stato pubblicato, con la relativa scheda, anche in R. Ciardi, Lucca a Roma v7s Lucca e Roma. Intersezioni tra cultura locale e grandi modelli figurativi, in La pittura a Lucca nel primo Seicento, catalogo della mostra a
cura di M.T. Filieri, Lucca 1994, pp. 19-43.
21 Pellegrini, Frammenti di pittura, cit., pp. 144-145. Per la figura del Brunetti si veda anche
Pellegrini, Da Raffaello a Maratti, cit., pp. 234-235.
22 Cfr. V. Montigiani, Considerazioni sulla scultura di Pietro Tacca nella chiesa della Madonna
dell’Umiltà a Pistoia, in Pietro Tacca: Carrara, la Toscana, le grandi corti europee, di F. Falletti, Firenze
2007, pp. 195-199.
23 Si legga il contributo di E. Pellegrini, L’immagine descritta, in Il castello di Sorana, di A. Merlo, cit.
24 Si veda la scheda sull’opera del Carracci in D. Benati - E. Riccomini, Annibale Carracci, catalogo
della mostra, Milano 2006, pp. 284-285.
25 Cfr. Menzione, op. cit., p. 104.
26 Si veda, ad esempio, il volume La “commodità delle stampe”: Roma nella collezione Buonvicini
della Capitolare di Pescia, a cura di M. Bini, Pisa 2006.
27 La storiografia e la critica dell’Ottocento decretarono la marginalità dei borghi collari delle dieci
castella, relegandoli in una posizione di second’ordine culturale o addirittura dimenticando di menzionarli nelle guide del tempo. Anche Pietrabuona subì la stessa sorte: non ne compare notizia, ad esempio, nella Descrizione delle sculture, pitture et architetture della città, e dei sobborghi di Pescia nella
Toscana dell’Ansaldi. Nemmeno il Repetti, pur delineando un breve quadro storico del castello, menziona le opere d’arte presenti all’interno della chiesa parrocchiale. Per una visione critica della guida
dell’Ansaldi si veda il volume I. Ansaldi - L. Crespi, Descrizione delle sculture, pitture et architetture della città, e sobborghi di Pescia nella Toscana, Bologna 1772 - Pescia 1816, edizione critica a cura di E.
Pellegrini, Pisa 2001.
172
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi*
I simboli e le iscrizioni all’interno di un centro storico necessitano di essere posti in
relazione con i manufatti che, nei secoli, hanno determinato la forma e l’identità dell’abitato. Da un lato, infatti, il luogo in cui sono collocati fa assumere loro un peculiare significato, dall’altro essi stessi danno un fondamentale contributo alla decodificazione
delle architetture: icone ed epigrafi fungono in molti casi da marcatori temporali, facilitando la comprensione delle dinamiche urbane. In qualità di riconoscibili evidenze iconografiche correlate a definite valenze iconologiche1, contribuiscono infine a decifrare i
rapporti tra costruzioni e, a scala territoriale, tra insediamenti2.
In un borgo murato quale Pietrabuona, la cui strategica posizione geografica ha determinato la necessità di un sistema di fortificazioni a difesa dell’abitato posto su di un’altalenante linea di confine, il circuito murario, anche dal punto di vista morfologico, concorre
a qualificare l’insediamento nel quadro dei poteri politici e religiosi extra-moenia, mentre
gli edifici speciali palesano questo gioco di forze all’interno dell’insediamento stesso. In
entrambi i casi, mura, rocca, porte urbiche, palazzi pubblici, chiese e oratori costituiscono
i luoghi privilegiati per la dislocazione di simboli.
Il generoso ritrovamento di reperti lapidei utili all’analisi iconologica contribuisce efficacemente alla conoscenza del borgo: nell’inanellamento dei due livelli fortificati, fino all’espansione dell’abitato attorno all’area sottostante la rocca, sono stati rinvenuti complessivamente 314 elementi, catalogati nelle sezioni tematiche: simboli del potere politico, simboli religiosi, simboli solari, epigrafi e iscrizioni, segni di lapicidi3.
I simboli del potere politico
Nella definizione dell’organizzazione gerarchica delle architetture entro l’abitato, i
simboli correlati al potere, nella valenza politica o religiosa4, svolgono un ruolo rilevante.
A Pietrabuona il giglio della repubblica di Firenze5 è raffigurato a rilievo in uno scudo a
testa di cavallo a otto angoli in pietra serena6 nel concio in chiave dell’archivolto della
fonte pubblica in piazza di Castello (fig. 1). L’iconografia dello stemma segue quella del
173
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Fig. 1 - Simboli del potere. Da sinistra: stemmi familiari doppiomerlati in via della Ruga; giglio bottonato
della repubblica di Firenze sull’archivolto della fonte pubblica in piazza di Castello
giglio bottonato fiorentino – sovente affisso sulle facciate delle architetture e sulle porte
dei circuiti murari quale segno di egemonia politica7, nello specifico caso come sigillo del
potere sugli interventi pubblici nel borgo – con sbocciatura a cinque petali superiori (tre
principali e due stami minori) e tre ramificazioni inferiori simmetriche. All’interno dello
scudo è iscritta, a incisione con scalpello, la data 1822, a caratteri regolari entro un campo epigrafico riquadrato a rilievo (fig. 1).
Lo stemma scolpito in bassorilievo sul concio in chiave dell’arco di un portale, in un
edificio nel braccio occidentale di via della Ruga (fig. 1) laddove volge verso la porta castellana, rappresenta un’arma familiare: le caratteristiche araldiche definiscono uno scudo bandato doppiomerlato8.
Stesso blasone, con due bande doppiomerlate, è scolpito in altorilievo su una lastra
lapidea apposta al di sopra dell’architrave di un portale in pietra serena, lungo la medesima via della Ruga (fig. 1), sul lato Sud-occidentale del borgo.
Un ulteriore scudo a testa di cavallo, a nove angoli, appare scolpito a rilievo sull’architrave in pietra serena di un portale in piazza di Castello: lo scudo è lasciato privo dello stemma gentilizio.
I blasoni familiari e gli stemmi civici rinvenuti a Pietrabuona confermano la presenza
nel paese, durante il corso dei secoli, di influenze politiche fiorentine, lucchesi, pistoiesi e
pisane.
174
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi
I simboli religiosi
In ambito religioso i simboli sono principalmente associati ai canonici contenuti catechetici correlati a personaggi ed eventi evangelici, sebbene il loro significato possa assumere diversificate interpretazioni in relazione alla peculiare collocazione.
Le icone religiose vengono utilizzate anche con funzioni civili: le edicole votive e le
croci penitenziali, qualora trovino sistemazione lungo il tracciato murario e presso le porte urbiche, possono assumere un’aggiuntiva finalità apotropaica.
Tabernacoli e nicchie, dedicati principalmente alla devozione mariana e al culto dei
santi, sono estesamente dislocati in tutta Pietrabuona, sia nel castello, sia nell’abitato a
ridosso della via Mammianese: in prevalenza sono immagini – in terracotta, smaltate, in
gesso, o a pittura – della Madonna (via della Scaletta, via della Ruga, via del Campanile,
piazza di Castello, via di Santo Vecchio, strada provinciale Mammianese). Presenti in numero rilevante lungo il circuito di via della Ruga, determinato dall’affiancamento serrato
degli edifici ad ulteriore protezione dell’abitato, è presumibile che siano stati eretti come
ex voto e correlati alla tradizione liturgica processionale, assumendo anche una funzione
apotropaica.
Tra le statue eccelle quella in terracotta raffigurante San Rocco collocata ai piedi della
strada omonima (Erta di San Rocco) che si inerpica dal fondo valle del Pescia verso l’altura del borgo.
Quale eminente simbolo cristiano, la croce caratterizza i luoghi sacri del paese – l’ex
oratorio di San Michele, la chiesa dei Santi Matteo e Colombano –, ma anche le strade
pubbliche, sotto forma di iscrizioni e graffiti sul selciato in pietra dei viottoli e presso la
porta castellana. Una croce patente, dunque a braccia allargate, è iscritta sulla parte postica dell’ex oratorio di San Michele, nell’area absidale esterna (fig. 2); altra croce è incisa su
un concio della facciata di un edificio prospettante sul sagrato della chiesa stessa (fig. 2).
Nelle sedi ecclesiastiche trovano luogo, oltre alle raffigurazioni dei salienti episodi
evangelici (una pittura a tempera del secolo XVIII raffigurante il Battesimo di Cristo nell’ex oratorio di San Michele e una tela della fine del secolo XVI con l’Incoronazione di
Maria nella chiesa ottocentesca) e alle statue lignee di San Matteo e San Colombano, ulteriori icone per la venerazione mariana e dei santi. Tra gli arredi liturgici vi sono esemplari di croce patente astile, correlata ai rituali processionali9.
L’icona del Corpus Domini, con il trigramma di Cristo IHS e il sole raggiato10, è raffigurata sugli altari nel presbiterio e su un portale del 1848 lungo la strada Mammianese (fig. 2).
Di lavorazione dell’artigianato toscano è il catino lapideo con protome antropomorfa
del Seicento, ricollocato nella sacrestia della chiesa dei Santi Matteo e Colombano.
Da segnalare, infine, per il valore simbolico che rivestono, sono i cavalletti d’appoggio
175
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
176
Fig. 2 - Simboli religiosi. Dall’alto, da sinistra: croce patente nell’area postica dell’ex oratorio
di San Michele; croce patente su un prospetto sul sagrato dell’ex oratorio di San Michele; trigramma
di San Bernardino lungo la strada Mammianese; decorazioni scultoree su due catini nella chiesa
di San Matteo e Colombano; croce sull’altare della chiesa di San Matteo e Colombano; apparato
decorativo dei cavalletti d’appoggio alle catene delle capriate nella chiesa di San Matteo e Colombano
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi
alle catene delle capriate lignee nell’ex oratorio di San Michele: due tratteggiano infatti
le sembianze di un uomo e di un leone, icone degli evangelisti Matteo e Marco11; le fattezze degli altri peducci non sono identificabili a causa del degrado (fig. 2).
I simboli solari
L’architrave della mostra di una finestra su via della Ruga, dove il selciato si immette
nella via della Scaletta (già via degli Scogli), presenta due simboli scolpiti a rilievo su pietra serena: una rosetta a sei petali ed un giglio (fig. 3). Per la posizione, decentrata ma
equilibrata, dei due glifi si ipotizza un’originaria composizione tripartita, probabilmente
del secolo XVI e coeva ad analoghi manufatti rinvenuti nei castelli della Valleriana. Tali
raffigurazioni sono correlabili a contenuti solari: ruota, rosetta, disco solare raggiato,
stella a otto punte e giglio fanno parte dei miti solari connessi alle processioni montane
nei solstizi, oltre ad avere funzione benaugurante.
La rosetta a sei petali12, determinata dalla costruzione geometrica di sei mandorle derivanti dalla rotazione di circonferenze, è riferita alla generazione della vita cosmica e
strettamente associata all’iconologia della ruota: come quella perpetua la ciclicità dei suoi
raggi in movimento, amplificando la scansione temporale del ripetersi circolare delle stagioni. Una fondamentale corrispondenza è stabilita anche con l’orientamento cardinale:
gli assi si allineano con i punti di alba e tramonto nei solstizi (d’estate e d’inverno) e negli
equinozi (di primavera e d’autunno)13, in una sorta di computazione calendariale.
Fig. 3 - Simboli solari. Da sinistra: rosetta a sei petali e giglio su un architrave in via della Ruga; protome
antropomorfa in piazza di Castello
177
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
Alla stessa tipologia di simboli è riconducibile il giglio, affiancato sull’architrave alla
rosetta a sei petali. Sebbene esso, entro un determinato ambito culturale, rappresenti
abitualmente la repubblica di Firenze, quando associato a glifi solari assume il significato
di singolo raggio di sole, in particolare correlato ai contenuti del primo e dell’ultimo raggio nei solstizi e negli equinozi.
Ciò contribuisce a determinare la presenza a Pietrabuona di porte solstiziali, o equinoziali, imperniate sulla funzione della scansione del tempo, essenziale nella cultura
agreste medievale: allineamenti astronomici peculiari sono stati verificati per l’orientamento della Rocca in rapporto al tramonto solare nel solstizio d’inverno e, di conseguenza, al sorgere del sole nel solstizio d’estate14.
Le epigrafi e le iscrizioni
178
Nello studio delle architetture storiche, congiuntamente all’indagine archeologica, l’analisi di epigrafi e di iscrizioni permette di intraprendere un parallelo percorso di conoscenza e di datazione dei manufatti: la valutazione delle tecniche di lavorazione del supporto lapideo e degli strumenti utilizzati, l’esame delle caratteristiche del campo epigrafico e del livello di degrado materico fungono da marcatori temporali degli edifici nell’analisi stratigrafica degli alzati15.
A Pietrabuona sono state identificate epigrafi – con caratteristiche di incisione a caratteri capitali, sebbene talvolta ad allineamento irregolare – aventi una funzione prevalentemente commemorativa e documentaria (fig. 4).
Di una certa rilevanza per la conoscenza delle architetture “speciali” del borgo, quali
le strutture chiesastiche e le sedi religiose, sono le iscrizioni presenti nella chiesa di San
Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele), riconducibili al secolo XVI: sullo stipite destro dell’ingresso laterale, su un concio in pietra serena, è iscritta la data 1599 a cifre arabe irregolari in campo epigrafico decentrato e asimmetrico (fig. 4); all’interno dello stesso oratorio, sul concio in chiave dell’arco della nicchia dell’altare laterale (fig. 4), è
iscritta la data 1547; sull’architrave del portale dell’ospedale di San Matteo16 si trova
un’ulteriore iscrizione cinquecentesca a caratteri regolari, con utilizzo di marcatori di interpunzione, campo epigrafico incassato e bordato a cartiglio, con l’iconografia del trigramma IHS e con la datazione 1586 (fig. 4).
Sulla facciata del palatium pubblico, sull’architrave del portale d’ingresso in via della
Rocca, è iscritta centralmente a cifre arabe la data 1542 (o 1572, fig. 4)17, che contribuisce a collocare cronologicamente la tipologia dei portali lapidei della struttura.
Ulteriori iscrizioni, da correlare alla cronologia degli interventi architettonici sui manufatti, sono censite nel borgo esterno al castello posto ai piedi della Rocca: sul cantonale
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi
Fig. 4 - Epigrafi ed iscrizioni. Dall’alto, da sinistra: iscrizione sulla facciata laterale dell’ex oratorio
di San Michele; iscrizione sul palazzo pubblico; epigrafe sul portale dell’ospedale di San Matteo;
iscrizione sull’archivolto della nicchia laterale nella chiesa di San Matteo e Colombano; iscrizione
sulla cella campanaria; iscrizione a Villa Flori; iscrizione in via San Rocco; epigrafe in via San Rocco;
iscrizione in piazza di Castello
179
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
settecentesco18 del manufatto tra via San Rocco e la mulattiera per i lavatoi pubblici, è inserito un concio con iscrizione regolare eseguita a scalpello riportante la data 1769 (fig.
4); sul blocco edilizio che prospetta sulla vecchia fonte pubblica settecentesca, poi sostituita con quella con archivolto in piazza di Castello, è collocata un’epigrafe a caratteri capitali e cifre arabe, con modulo regolare per rigo e simmetria del campo epigrafico e segni
di interpunzione, che riporta la datazione 1810 (fig. 4).
Un’iscrizione con modulo regolare e bordatura su concio in pietra serena, situata sull’esterno della cella campanaria presso la chiesa di San Matteo e Colombano, attesta la
datazione del 1611 per lavori eseguiti al campanile (fig. 4).
Lapidi marmoree, steli e basamenti di cippi, di manifattura risalente ai secoli XVIII-XX
sono collocati nelle strutture chiesastiche e nelle pertinenze della piazza di Castello.
I segni dei lapicidi
Attraverso l’analisi dei cantonali dei manufatti architettonici, si riscontra a Pietrabuona
un’attività qualificata di scalpellini e cavatori: la presenza di tecniche di posatura e di trattamento superficiale dei conci attesta una saltuaria attività di maestranze semi-specializzate. Le tecniche di lavorazione della pietra denotano l’utilizzo da parte dei lapicidi di
strumenti quali lo scalpello, la subbia, il piccone.
Tra tali opere scultoree si annovera una protome antropomorfa scolpita su un elemento lapideo aggettante collocato sulla facciata di un edificio d’angolo d’accesso alla
piazza di Castello (fig. 3).
Di rilievo sono anche i glifi solari in via della Ruga, gli stemmi gentilizi e le decorazioni architettoniche della Rocca.
Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali
180
Sulla base del rilievo condotto a Pietrabuona, mediante l’utilizzo di strumentazioni in
grado di mettere in relazione la dimensione dei manufatti con le relative aperture angolari rispetto agli allineamenti astrali, sono state impostate delle procedure di calcolo19
per verificare l’esistenza o meno di riferimenti celesti nelle architetture del paese.
La presenza di simboli solari a Pietrabuona, e diffusamente nella Valleriana20, ha contribuito a circoscrivere l’area della ricerca entro i momenti salienti del ciclo annuale solare: il tramonto e l’alba nei solstizi invernale ed estivo. L’affiancamento del glifo di un giglio (correlato al primo e all’ultimo raggio di sole) con quello di una rosetta a sei petali21
(connessa ai solstizi) ha supportato l’analisi degli allineamenti astrali rispetto alle architetture medievali.
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi
Nella cultura medievale non era infatti
inconsueto edificare manufatti architettonici orientati verso peculiari punti di riferimento nel movimento solare.
Il solstizio invernale costituiva il climax
del ciclo annuale e della vita: se il sole
rappresentava la fonte della vita cosmica
e il principio ordinatore dell’universo, definire il suo movimento in relazione alle
stagioni significava, simbolicamente, avere un controllo sul tempo e sulle ritualità
quotidiane della vita agreste.
L’orientamento delle architetture, spesso relazionato a contenuti religiosi in
quanto perlopiù relativo a strutture chiesastiche22, risultava inoltre funzionale al
computo del tempo (attraverso il rapporto
tra luce, ombra e architettura), sia che ci
si riferisse a sistemi di ore con origine mobile ma durata costante (come le ore italiche, nel cui conteggio l’inizio della giornata coincideva con il tramonto), sia che
si considerassero le ore temporarie della
giornata, con origine fissa ma durata variabile23. La scansione delle ore canoniche, oltre che per la liturgia, fungeva infatti da partizione temporale della giornata sulla quale si imbastiva l’organizzazio- Fig. 5 - Parte absidale della Rocca di Pietrabuona e porta urbica
ne del lavoro: i momenti di alba e di tramonto rappresentavano pertanto, assieme alla culminazione solare, dei salienti riferimenti giornalieri.
Analizzando i manufatti di fondazione romanica di Pietrabuona24, è stato verificato
un allineamento tra la Rocca (fig. 5) e gli elementi astrali, in una congiuntura peculiare:
ab occasu solis nel giorno del solstizio d’inverno. Il solstizio invernale rappresenta il
giorno nel quale il sole inizia a tramontare più tardi, allungando la durata diurna delle
giornate: solis statio è infatti il punto di fermata del sole nell’inversione di moto nella
declinazione e rappresenta dunque il sorgere di un nuovo ciclo, la nascita di un nuovo
181
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
sole25. Questo “capodanno solare” ricopriva un ruolo importante nella cultura medievale, poiché rappresentava il superamento della stagione oscura e la rinascita della vita, e
veniva celebrato con processioni luminose, soprattutto nei luoghi montani, in una sovrapposizione di tradizioni popolari e di liturgie cristiane, eredi delle cerimonie pagane
romane del Sol Invictus.
In base alle effemeridi relative all’anno considerato26, mediante procedimenti di calcolo
si giunge alla valutazione degli allineamenti astrali nel luogo di latitudine, longitudine e altitudine definiti (latitudine L = 43,930755°, longitudine l = 10,693238°, quota altimetrica
Q = 117m s.l.m.). Il valore computato dell’azimut del sole – al suo tramonto (altezza sole a
= 0° 00’ 00’’) nel solstizio d’inverno (declinazione Sole d = -23° 27’ = -23,45°) – determinato rispetto al Sud con andamento orario, risulta Az = 59,8575° (fig. 6).
L’angolo ottenuto (30,1425° antiorari rispetto all’Ovest) coincide con quello che l’asse longitudinale della Rocca definisce con l’Ovest (30° antiorari) determinato dal rilievo
digitale, con oscillazioni in eccesso di alcuni primi dovute a tollerabili irregolarità per il
deterioramento materico del manufatto. La Rocca appare dunque orientata longitudinalmente verso il punto di tramonto del sole nel solstizio invernale.
182
Fig. 6 - Vista panoramica, orientamento della Rocca in relazione all’abitato di Pietrabuona
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi
Fig. 7 - Grafico delle traiettorie del percorso del sole nel solstizio d’inverno e in quello d’estate
nel secolo X: radialmente sono riportati i riferimenti agli angoli azimutali e concentricamente
quelli relativi all’altezza sulla linea dell’orizzonte. Sulla planimetria di Pietrabuona è evidenziato
l’orientamento longitudinale della Rocca, allineato con il punto di calata del sole nel solstizio invernale
(e di alzata in quello estivo)
NOTE
* Dai contributi originari “Simboli, epigrafi e segni di lapicidi a Pietrabuona: l’analisi iconologica
nella conoscenza dei manufatti architettonici” e “Orientamento astronomico con funzione calendariale
delle architetture medievali di Pietrabuona” di Cinzia Jelencovich nel DVD allegato al volume.
1 L’iconografia fonda la sua analisi sul riconoscimento descrittivo delle immagini, l’iconologia sottende ad un atto interpretativo dei contenuti; in merito al significato del concetto del simbolo, sull’iconografia e sull’iconologia nella storia dell’arte e dell’architettura, cfr. E. Panofsky, Studi di iconologia. I
temi umanistici nell’arte, Torino 1975; H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Milano 1991; G. Cairo,
Dizionario ragionato dei simboli, Milano 1967; N. Cecchini, Dizionario sinottico di iconologia, Bologna
1982; J. Chevalier, Dizionario dei simboli, Milano 1986; J.E. Cirolt, Dizionario dei simboli, Milano 1985;.
J.C. Cooper, Enciclopedia illustrata dei simboli, Padova 1987; V. Herder, Simboli (Herder lexikon.
Simbole), Casale Monferrato 1993.
2 La presenza diffusa di simboli solari in molteplici borghi della Valleriana (tra cui Pietrabuona,
Sorana, Pontito) determina la necessità di un’analisi trasversale sul territorio. Inoltre, eventuali persistenze progettuali negli atti di fondazione di insediamenti limitrofi e dei loro circuiti murari possono essere riconosciute anche attraverso l’analisi dell’assetto interno e del suo peculiare orientamento.
3 Il regesto dei simboli, degli stemmi, delle iscrizioni e dei segni dei lapicidi a Pietrabuona è stato
183
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
184
condotto tra il marzo ed il luglio 2011; per la schedatura completa degli elementi rinvenuti cfr. par.
Analisi iconologica ed epigrafica a Pietrabuona. La schedatura dei simboli, delle epigrafi, delle marche
lapidarie, nel DVD allegato al presente volume.
4 Sui concetti della disposizione di stemmi e armi sulle facciate dei palazzi di potere o sulle porte
urbiche e sul diverso livello – urbano e territoriale – della loro lettura e del loro significato, cfr. C.
Jelencovich, Il castello di Sorana. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi, in Il castello di Sorana, di A. Merlo,
cit., pp. 171-185.
5 La dominante è presente nel paese a partire dalla seconda metà del Trecento (cfr. par. Note storiche, in questo stesso volume).
6 Lo scudo a testa di cavallo è tra i fondi più antichi usati in Italia; presenta solitamente due angoli sul capo, ulteriori due per ciascun lato destro e sinistro, uno sulla punta; a Pietrabuona lo troviamo
nella variante barocca a otto angoli (due sulla punta).
7 A Sorana lo troviamo incastonato sulla facciata di un edificio in borgo Paradiso; a Pietrabuona è
presente un ulteriore emblema di Firenze, ma di fattura moderna: il marzocco fiorentino, collocato alla
cancellata d’ingresso del palazzo sull’Erta di San Rocco.
8 Lo stemma gentilizio è equiparabile a quello di alcune casate storicamente correlate con il
Pistoiese, Pescia e Firenze: i Salviati, i Sodogi, gli Arferuoli (cfr. par. Indagine archeologica sulle architetture, in questo stesso volume), Sull’argomento vi veda: G. Degli Azzi - G. Cecchini, Codice nobiliare araldico, Firenze 1928; G. Di Crollalanza, Enciclopedia araldico cavalleresca, Pisa 1876; P. Guelfi Camajani,
Dizionario araldico, Milano 1940; O. Neubecker, Araldica. Origini, simboli, significato, Milano 1980; V.
Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, vol. I-VII, Milano 1928.
9 Cfr. par. L’immagine descritta, in questo stesso volume.
10 Il trigramma di Cristo IHS entro l’emblema del sole raggiato, ideato da San Bernardino da Siena
quale mezzo vivificante per la sua predicazione, sottende alla simbologia cristiana correlata al numero
dodici dei suoi raggi che vengono a sovrapporsi con il numero degli apostoli e con gli articoli del Credo.
11 I quattro evangelisti sono rispettivamente identificati con un simbolo, riconducibile agli eventi
narrati all’inizio di ciascun vangelo: Marco con il leone, Luca con il bue, Matteo con l’uomo, Giovanni
con l’aquila; tali simboli vengono di consuetudine raffigurati sulle facciate e nelle navate delle chiese,
con funzione catechetica; in Toscana ne sono esempio le decorazioni dell’apparato scultoreo della facciata del duomo di San Cerbone a Massa Marittima; cfr. C. Jelencovich, Regesto e schedatura dei simboli, delle iscrizioni e delle marche lapidarie a Massa Marittima, in Le mura di Massa Marittima, una
doppia città fortificata, a cura di E. Mandelli, Pisa 2009, pp. 152-158.
12 Il nome della rosetta può variare a seconda dell’ambito culturale che l’ha prodotta: seme della
vita, germe della vita, stella delle alpi, stella a sei punte, rosa celtica, rosa dei pastori, rosa carolingia,
sesto giorno della genesi, anche se il più diffuso e universale è quello di fiore della vita.
13 Il simbolo della ruota amplifica il suo significato in associazione al numero dei suoi raggi; se la
ruota a quattro raggi sottende all’espansione nelle quattro direzioni dello spazio dei punti cardinali (ma
anche al ritmo quaternario delle stagioni, della luna e della giornata), quella a otto raggi evoca la suddivisione dello spazio terreno e celeste in un doppio quaternario: quattro raggi a croce ortogonale per
la posizione dei punti cardinali negli equinozi (sole ad Est all’alba e ad Ovest al tramonto, oltre al
Settentrione e al Meridione) e quattro raggi a croce diagonale per il posizionamento dei punti di alba e
tramonto del sole ai solstizi d’estate e d’inverno.
14 Per i calcoli inerenti l’orientamento delle architetture medievali su allineamenti astrali, cfr. par. C.
Jelencovich, Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali di
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi
Pietrabuona, nel DVD allegato al presente volume.
15 Il campo epigrafico è caratterizzato dall’aspetto dimensionale e materico del supporto utilizzato,
dalla tipologia di scrittura contenente o meno elementi tachigrafici e forme scrittorie di abbreviazione,
dalla tecnica di scrittura, dalla forma grafica, dagli strumenti usati, dalla presenza di elementi ornamentali; il quadro di analisi viene integrato da indicazioni sullo stato di conservazione del bene in base all’osservazione autoptica ed alla contestualizzazione dei contenuti storici.
16 Cfr. par. L’ospedale di San Matteo, in questo stesso volume.
17 L’iscrizione presenta lacune a causa del degrado per esfoliazione del supporto lapideo.
18 Cantonale di equivalente lavorazione ed apparecchiatura muraria si ritrova sul tratto di mura fiorentine tra la Rocca e il cimitero.
19 Cfr. E. Proverbio, Archeoastronomia, Milano 1989; G. Romano, Archeoastronomia italiana,
Padova 1992.
20 Simboli solari sono documentati in tutta la Valleriana: fanno parte di tale famiglia la ruota, la rosetta, il disco solare raggiato, la stella a otto punte e il giglio, rinvenuti a Pietrabuona, Sorana, Pontito.
21 La rosetta a sei petali, assimilata alla generazione della vita e all’infinito perfetto movimento rotatorio, risulta spesso raffigurata in composizioni tripartite su architravi affiancata dal sole e dal giglio e
si sovrappone alla ruota a sei raggi nell’individuazione delle porte solstiziali. Fa parte dei simboli solari
correlati all’esapartitura.
22 L’orientamento canonico delle chiese prevedeva il posizionamento ad Oriente dell’abside, affinché la preghiera fosse rivolta al sole nascente del mattino, perfettamente ad Est nell’equinozio; troviamo descrizioni della preghiera ad orientem nei testi di Eusebio di Alessandria, di Sant’Agostino, di San
Basilio, nel Didascalion, nelle Costituzioni Apostoliche. Non era però inconsueto l’orientamento in base
alla posizione degli astri nelle festività religiose, in particolare quelle connesse con il culto del santo cui
era titolata la struttura chiesastica. A Pietrabuona la titolazione della chiesa primigenia è rivolta a San
Matteo Evangelista, celebrato il 21 settembre, in connessione con l’equinozio d’autunno. Anche la chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele) presenta peculiari parallelismi con allineamenti correlati all’architrave su cui sono scolpiti i glifi solari.
23 Le ore di durata costante erano un ventiquattresimo della giornata, ma la metodologia del loro
conteggio variava nel corso dell’anno in quanto iniziavano dal tramonto, che rappresentava un momento basilare per la gestione delle attività lavorative – in prevalenza agresti – che si svolgevano all’aperto.
Le ore temporarie avevano di contro un’origine fissa, ma la loro durata risultava variabile: il tempo del
dì e della notte veniva suddiviso rispettivamente in dodici ore. Ne derivava che d’inverno, quando l’arco
diurnale era più corto, anche le ore del dì avevano durata minore rispetto a quelle della notte, mentre
d’estate si verificava l’opposto.
24 Paritetico studio è stato condotto sulle architetture medievali di Sorana, con la scoperta dell’allineamento delle porte urbiche con il punto di tramonto del sole nel solstizio d’inverno e quello di alba in
quello d’estate; cfr. C. Jelencovich, Allineamenti astronomici nell’architettura medievale per il computo
del tempo: le porte urbiche di Sorana, in Il castello di Sorana, di A. Merlo, cit.
25 Il Dies Natalis Solis Invictus coincideva, per molte religioni antiche, con il giorno di nascita della
divinità: i natali di Horus, di Mitra, di Gesù Cristo, cadevano tra il 21 ed il 25 dicembre.
26 La datazione del manufatto è stata determinata attraverso i documenti storici e la tipologia costruttiva (cfr. par. Indagine archeologica sulle architetture, in questo stesso volume).
185
L’ambiente urbano*
186
I movimenti demografici da monte a valle, dai castelli arroccati sui crinali montani alle
pianure coltivate e viceversa, in ragione di contingenze storiche ed impulsi economici
hanno plasmato la Valleriana, e più in generale il territorio pesciatino, con un ritmo ciclico che interessa secoli di storia, dal Neolitico al ventunesimo secolo. L’ambiente costruito, formato a monte da un sistema di dieci castella (tra cui Pietrabuona, il più prossimo
alla pianura) e a valle dalla città di Pescia, ha risentito nel corso dei secoli di questi spostamenti demografici che hanno vitalizzato ora la montagna, ora la pianura, secondo la
lucida teoria muratoriana1 sull’antropizzazione del territorio. Non è questa la sede per
delineare dettagliatamente le tappe di tale processo2, basti ricordare che oggi il territorio
pesciatino sta attraversando una fase di cosiddetta “ristrutturazione” del fondovalle, con
il progressivo ed apparentemente inesorabile abbandono delle costruzioni montane, caratterizzate da un’economia ormai in declino. Le castella della Valleriana, caratterizzate
fino all’Ottocento da un sistema produttivo basato sulla coltivazione del gelso e sulla
fabbricazione della carta, si stanno lentamente spopolando a favore della pianura.
Pietrabuona non è estranea a questo fenomeno e si presenta oggi come una realtà
contraddistinta da una presenza demografica decisamente bassa3 e, conseguentemente,
da un generale decadimento delle qualità ambientali. Una città “vuota” comporta infatti
la diminuzione delle attività sociali in seno ad essa, l’annullamento dei legami umani che
si concretizzano nelle strutture che ospitano i “servizi” o, più semplicemente, l’assenza
di negozi ed attività commerciali4. Alla mancanza di vita sociale fanno da contrappunto
almeno altri due fattori: il primo riguarda la sfera privata, ed in particolare la modalità
con la quale il cittadino utilizza le abitazioni di esclusiva proprietà; il secondo quella
pubblica, e concerne invece la qualità e la quantità delle azioni che le amministrazioni e
gli enti preposti alla tutela mettono in atto per qualificare l’ambiente, inteso come tessuto connettivo della città.
La mancanza di una viva componente privata, infatti, svilisce il contesto costruito per
ovvie e naturali ragioni: le case disabitate appaiono spesso trascurate, presentano finiture degradate generando, nel peggiore dei casi, situazioni di grave deterioramento che
può giungere fino al crollo5.
L’ambiente urbano
Il secondo aspetto, cioè quello relativo alla funzione pubblica di controllo ambientale,
è intimamente legato al primo e risponde al paradigma secondo il quale laddove vi è
una bassa presenza demografica cala parallelamente l’interesse per l’ambiente urbano
da parte delle istituzioni. Se nel primo caso sono le quinte edilizie a risentirne, nel secondo sono le strade, l’arredo pubblico, la qualità ed il decoro dei servizi in genere (illuminazione, regimentazione delle acque piovane, fognatura, etc.)6.
Lo status di Pietrabuona oggi è dunque quello di un paese scarsamente abitato e che
per questo motivo presenta varie problematiche legate alla qualità degli spazi pubblici.
C’è però da fare una distinzione, e in questo ritorna nuovamente in aiuto la teoria muratoriana, la quale può essere applicata sia a livello territoriale che a livello locale (circostanziato cioè al più ristretto ambiente urbano): la parte alta del castello, cioè quella interna alle mura antiche, che in passato ha rappresentato il centro della vita sociale, ha
perso questo ruolo a favore dell’espansione ottocentesca al di fuori della porta della
Rocca. Qui la presenza di un numero maggiore di residenti e di spazi urbani di dimensioni più consone alle esigenze di vita contemporanee, contribuiscono paradossalmente a
mantenere in vita un ambiente di maggior decoro7.
L’analisi delle qualità urbane ed edilizie rilevate durante la campagna del marzo 2011
e confluite nell’omonimo database8, ha permesso di redigere un’accurata descrizione degli spazi pubblici di Pietrabuona, realizzata immaginando di percorrere l’insediamento
così come potrebbe fare un attento turista. Questo tracciato parte da piazza di Castello
(sulla quale domina la mole della chiesa ottocentesca) verso l’antica chiesa di San
Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele) ed il palazzo pubblico, nella parte di
Pietrabuona più alta ed antica (Bicciuccolo). Da qui si ha la possibilità di scendere nuovamente verso il basso, per tornare nella piazza extra-moenia, attraverso due cammini
distinti: con il primo si visita via della Scaletta ed il settore orientale di via della Ruga;
con il secondo invece si attraversa la via del Campanile per scendere nuovamente in via
della Ruga, percorrendone il settore occidentale9 (fig. 1).
La piazza di Castello
La piazza di Castello si raggiunge oggi in macchina percorrendo la via di Pietrabuona
Castello, una diramazione della strada provinciale Mammianese che si inerpica con vari
tornanti sul versante occidentale del promontorio che separa la val di Torbola dalla val di
Forfora. Giunti nella piazza, se ne apprezzano la grande dimensione (circa 800 mq) e le
notevoli qualità paesaggistiche, che derivano dall’essere di fatto aperta ad Oriente sulla
val di Torbola, caratterizzata da densi boschi di castagno e dalla presenza dei due centri
di Medicina e Fibbialla. Edificio saliente della piazza è la chiesa ottocentesca dei Santi
187
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
188
Fig. 1 - Planimetria catastale di Pietrabuona (indicate con numero blu le unità urbane schedate).
A: Sede della Proloco; B: Chiesa dei Santi Matteo e Colombano; C: Resti della Rocca;
D: Ex palazzo pubblico; E: Chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele Arcangelo);
F: Cimitero; 1: Piazza di Castello; 2: Via della Rocca; 3: Piazzetta della Rocca; 4: Piazzetta del Comune;
5: Via del Campanile; 6: Via della Scaletta; 7: Via della Ruga; 8: Strada provinciale Mammianese
L’ambiente urbano
Matteo e Colombano, per la cui trattazione di dettaglio si rimanda allo specifico paragrafo di questo volume10. Si nota comunque in questa sede l’eccessiva dimensione del
manufatto, non in linea con il tessuto storico del castello.
Per quanto concerne invece l’edilizia di base11, le case che prospettano sulla piazza
sono le più recenti di tutto il paese ed appartengono all’ultima espansione del medesimo12. La quasi totalità delle dimore, ad esclusione dell’unità minima 290, sembrano abitate in modo continuativo e si ha l’impressione generale di un luogo vivo ed animato (da
riscontrare come dato negativo la presenza massiccia di autovetture). Sul versante orientale della piazza si attesta anche la sede della Proloco che, dal punto di vista sociale,
svolge un’importante funzione aggregativa.
Per ciò che concerne i materiali, alcuni non risultano consoni alle tecniche costruttive
storiche dei castelli della Valleriana. In particolare si riscontrano fronti caratterizzati dalla
presenza di persiane in alluminio o basculanti di garage in acciaio zincato; altri fronti
hanno invece finestre con reti anti insetto in alluminio anodizzato o pluviali in PVC. In
generale, tuttavia, questi fattori non alterano le caratteristiche globali della piazza, le cui
qualità ambientali sembrano conservare, pur con qualche eccezione, il respiro dei secoli.
Sempre per quanto riguarda l’edilizia, si riscontra la netta prevalenza di edifici in muratura faccia a vista (su quattordici fronti rilevati, solo quattro hanno finitura ad intonaco): le apparecchiature murarie, costituite in pietra arenaria locale probabilmente cavata
in situ, sono generalmente realizzate con conci dalla pezzatura disomogenea posati in
modo irregolare. In termini di degrado, le uniche situazioni da segnalare sono proprio relative all’intonaco di alcuni edifici, tra cui quello della Proloco, che presenta fenomeni di
caduta avanzata, tanto da far apparire in ampie zone la sottostante apparecchiatura13.
La piazza è pavimentata in masselli autobloccanti in calcestruzzo di recente posa e
sono presenti, in alcuni settori, tracce della vecchia pavimentazione in pietra arenaria
squadrata, ormai resa liscia dall’usura. L’arredo urbano è costituito da una fontana, un
monumento ai caduti ed alcune panchine; l’illuminazione è garantita da lampioni in ghisa di buona fattura e da lampade a sbraccio apposte sui fronti edilizi14.
La “piazzetta della Rocca”
Percorrendo piazza di Castello da Nord verso Sud, in prossimità della chiesa la viabilità si articola in due percorsi tangenti alla chiesa stessa: via del Cimitero, ad Occidente,
è uno stradello di mezzacosta dotato di un innegabile valore paesaggistico, che reca al
cimitero, posto in posizione defilata rispetto al nucleo abitato; sul versante opposto, il
primo tratto di via della Ruga, tortuoso ed in forte pendenza, conduce alla parte più alta
ed antica del castello. Percorrendo questa seconda strada, la visuale è nel primo tratto
189
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
dominata dalla chiesa ottocentesca dei Santi Matteo e Colombano, mentre nel secondo
si apre verso i resti dell’antica Rocca, posti ad Occidente sulla sommità di uno sperone
roccioso, e sulla val di Forfora ad Oriente. I massetti di calcestruzzo lasciano il posto ad
una pavimentazione più antica in pietra arenaria di colore grigio, resa liscia dal tempo,
che conduce alla vecchia porta urbica ai piedi della Rocca15. Lasciata alle spalle la porta,
ed ormai all’interno delle mura trecentesche, si giunge ad una piccola piazza in prossimità della Rocca stessa, amministrativamente priva di nome specifico ed identificata come settore terminale di via del Campanile. Qui si verifica un forte abbassamento della
qualità urbana, soprattutto per quanto riguarda l’edilizia, dato dalla presenza di un edificio caratterizzato da evidenti superfetazioni e di una costruzione in forte stato di degrado (ne sono un esempio gli infissi consumati, i vetri rotti, le puntellature a sostegno di
architravi lesionati), compensato solo in parte dall’aprirsi di una nuova visuale sulla val
di Torbola. Sul versante settentrionale una muratura in pietra faccia a vista impedisce
l’accesso alla Rocca, che resta di fatto irraggiungibile se non inerpicandosi lungo il pendio roccioso alle spalle della chiesa dei Santi Matteo e Colombano. La pavimentazione,
dissestata e in larga parte intervallata da erbacce, contribuisce anch’essa ad abbassare
la percezione della qualità di questo spazio.
L’abbassamento delle qualità edilizie può essere ascritto alla perdita del primitivo
ruolo urbano della piazza, presumibilmente l’originario sagrato dell’antica chiesa di San
Matteo.
Dalla “piazzetta della Rocca” al palazzo pubblico
190
Dalla piazzetta della Rocca, proseguendo su via del Campanile, si giunge ad uno slargo caratterizzato dalla presenza di due emergenze architettoniche: la chiesa di San
Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele) ed il palazzo pubblico. Tipico percorso
matrice, la strada fa da cerniera tra due poli urbani ed ha un tracciato rettilineo e pianeggiante adagiato sul crinale, che con molta probabilità vide nascere il primo sviluppo
edilizio del castello (come testimoniano gli ingressi alle abitazioni che ancora oggi insistono su questa via). L’altezza degli edifici impedisce la visuale verso i sistemi vallivi e gli
aspetti qualitativi sono pertanto riferibili sono all’ambiente costruito. Qui, a differenza
della “piazzetta della Rocca”, il sagrato della chiesa (coincidente con l’area di rispetto
del palazzo pubblico), ha mantenuto la sua funzione di polo, anche se solo a livello percettivo, essendo la chiesa in stato di abbandono e non svolgendo più il palazzo nessuna
funzione civile (oggi è una residenza privata). Dallo svuotamento di significato di queste
costruzioni è derivato un abbassamento globale della qualità ambientale: gli edifici di via
del Campanile appaiono perlopiù disabitati o abitati in modo saltuario, e non è infre-
L’ambiente urbano
quente l’uso di materiali impropri nelle finiture, indice di scarsa attenzione verso la conservazione delle qualità dei fronti edilizi. Sono presenti anche delle situazioni di forte degrado strutturale, con crolli in corso che pregiudicano addirittura la sicurezza dell’ambiente pubblico16. Lo spazio comune antistante alla chiesa e quello sul lato orientale sono impropriamente utilizzati da alcuni abitanti come fossero un’estensione privata delle
rispettive abitazioni; atteggiamento questo che, se pur deprecabile, è teso a colmare
l’assenza di un arredo pubblico adeguato.
La via della Ruga
Dalla chiesa di San Matteo e Colombano
(ex oratorio di San Michele) la via del
Campanile si divide in due percorsi tangenti
alla chiesa stessa e conducenti entrambi in
via Della Ruga, anello che racchiude tutto
l’edificato della zona più antica del castello
(un ulteriore passaggio per giungere nella
suddetta via si doveva aprire, in tempi remoti, in prossimità del fianco destro del palazzo
pubblico). Il primo è via della Scaletta, sul
versante occidentale della chiesa, il secondo
porta ancora il nome di via del Campanile e
conduce al settore orientale di via della
Ruga. Si tratta di due percorsi di collegamento che compiono un considerevole salto
di quota verso il basso, superato a mezzo di
scale che “tagliano” l’edificato. Nel sottopassaggio di via della Scaletta fa bella mostra di sé un angolo di un vecchio edificio
con adiacente porta ad arco tamponata, di
sicuro interesse archeologico. Scendendo
ancora, le murature degli edifici sono rinforzate da listature in laterizio, che indicano
una ricostruzione probabilmente avvenuta
in seguito al terremoto del 1920. La pavimentazione molto dissestata, nel primo tratto composta in pietra arenaria di pezzatura
Fig. 2 - Il tratto orientale di via della Ruga
(via del Fondaccio)
191
Capitolo II - Il castello di Pietrabuona
disomogenea, diventa più in basso in cemento, indice di un frettoloso restauro.
Anche il secondo percorso che conduce in
via della Ruga, che passa in prossimità del
campanile della chiesa, presenta edifici con
murature listate in laterizio e pavimentazioni in pietra e cemento. Da notare in entrambi i casi l’assenza di un sistema di raccolta
per le acque piovane, che contribuisce a degradare le pavimentazioni disgregando le
fughe delle pietre e favorendo la crescita di
vegetazione infestante tra i giunti.
I settori orientale ed occidentale di via
della Ruga sono di fatto due percorsi panoramici, affacciandosi il primo sulla val di
Torbola ed il secondo su quella di Forfora. I
fronti edificati che vi prospettano mostrano
invece significative differenze: a causa dalla
morfologia del terreno, sul versante occidentale una fascia di case a pseudo-schiera è
stata addossata a quelle preesistenti che si
aprono su via del Campanile, mentre sul versante orientale il notevole salto di quota ha
reso impossibile questa operazione. Qui, pertanto, vi sono solo i fronti tergali, tutti in pietra faccia a vista, degli edifici che insistono
su via del Campanile, costruiti su di uno sperone roccioso, come indica l’assenza di aperture del tratto inferiore delle murature17.
Alcuni crolli sono sintomatici di una scarsa
Fig. 3 - Il tratto settentrionale di via del Campanile
attenzione verso il patrimonio storico.
A differenza del settore orientale di via della Ruga, funzionale esclusivamente al transito, quello occidentale consente di accedere alle abitazioni, che qui appaiono più curate
rispetto a quelle di via del Campanile. Molte case sono state infatti recentemente ristrutturate, presentando fronti intonacati in ottimo stato di conservazione e qualità delle finiture, pur con qualche eccezione, di buon livello.
192
L’ambiente urbano
NOTE
* Dal contributo originario “Il rilievo delle qualità ambientali di Pietrabuona” di Duccio Troiano nel
DVD allegato al volume.
1 Cfr. S. Muratori, Civiltà e territorio, Roma 1967. La logica processuale dei cicli di antropizzazione
è stata successivamente al centro degli studi di Gianfranco Caniggia (cfr. G. Caniggia - G.L. Maffei,
Lettura dell’edilizia di base, Venezia 1969) e Giancarlo Cataldi (cfr. G. Cataldi, Per una scienza del
Territorio: studi e note, Firenze 1977).
2 Per la descrizione dettagliata dei cicli di antropizzazione, cfr. A. Merlo, Il castello di Sorana, cit.,
pp. 27-34.
3 La schedatura qualitativa ha mostrato un’alta incidenza di edifici abbandonati e in fase di crollo.
Molte sono poi le case abitate in modo saltuario.
4 In dettaglio, le uniche strutture in qualche modo attive e di riferimento in Pietrabuona sono la
chiesa ottocentesca dei Santi Matteo e Colombano e l’associazione Proloco, con sede in piazza di
Castello. Sono invece del tutto assenti negozi o bar, che insistono più a valle sulla via provinciale
Mammianese.
5 A tal proposito molte abitazioni di Pietrabuona, specialmente quelle interne alle antiche mura,
risentono di questi problemi.
6 Nella parte alta del castello si trovano strade dissestate o prive di illuminazione, mentre le linee
impiantistiche si propagano senza un preciso progetto, invadendo i fronti costruiti.
7 Questo fenomeno di svilimento delle qualità ambientali ricorre in molti altri castelli della
Valleriana e della Valdinievole. Le strutture più antiche e legate ai centri di potere medievale degradano
progressivamente a favore delle espansioni esterne alle cerchie fortificate: a Castelvecchio la rocca è un
rudere e il vero cuore del castello è rappresentato dalla piccola piazza che sorge più in basso; stessa cosa per Sorana; il fenomeno si riscontra anche in altri castelli della Valdinievole, come Uzzano e
Montecatini.
8 Cfr. par. Il database delle qualità edilizie e urbane, in questo stesso volume.
9 Per i nomi delle strade e delle piazze si faccia riferimento alla planimetria.
10 Cfr. par. La chiesa dei Santi Matteo e Colombano, in questo stesso volume.
11 Il termine edilizia di base ha qui il significato attribuitogli da Gianfranco Caniggia, cioè di edilizia con funzione abitativa. Cfr. Caniggia - Maffei, op. cit.
12 A tal proposito l’unità catastale 288 è sicuramente posteriore al 1825, anno di stesura del
Catasto Leopoldino, nel quale non è riportata.
13 Questo fenomeno si presenta per le UME n. 284, n. 285 e n. 287.
14 L’illuminazione urbana appare, se confrontata con quella di Aramo o Sorana, molto curata. In
questi due castelli sono infatti presenti lampioni economici, in tubo d’acciaio verniciato in grigio ed altamente ossidato.
15 L’unico elemento di disturbo è rappresentato dalla presenza di quadri elettrici a colonna situati
a ridosso della chiesa.
16 Ci si riferisce all’edificio catastalmente identificato dalla particella n. 307, che presenta il tetto in
avanzata fase di crollo.
17 I fronti edilizi sono su questo versante molto più alti e raggiungono punte di circa 15 metri.
193
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
Il rilevamento digitale*
Con il termine “rilevamento integrato” si indica comunemente, nell’ambito delle discipline legate ai beni culturali, l’insieme delle operazioni di documentazione – in primo
luogo quelle legate alla misurazione dei manufatti – attuato attraverso strumentazioni
che utilizzano tecnologie diverse.
Il rilevamento tradizionale, prima della sua evoluzione digitale, richiedeva una scrupolosa pianificazione delle campagne di misurazione, tesa a discretizzare preliminarmente
le geometrie dei manufatti (con inevitabili semplificazioni), per poter acquisire il reale
mediante procedure “elementari”, ma estese nel tempo. Le attuali tecnologie, invece,
permettono di trasporre l’esistente in un modello 3D controllabile, visualizzabile e interrogabile in tempi relativamente brevi1.
La trasposizione del reale in un ambiente virtuale informatizzato realizzata semi-automaticamente attraverso dei sensori tridimensionali (attivi o passivi), in quanto acritica,
deve però essere intesa come operazione preliminare al rilevamento vero e proprio dei
manufatti, che avviene solo successivamente alla presa dei dati.
La continua evoluzione degli strumenti utilizzati per realizzare i rilievi digitali, fa sì
che le informazioni raccolte debbano essere, nella maggior parte dei casi, elaborate,
analizzate e rappresentate mediante mezzi e tecniche presi a prestito da altri campi disciplinari, non esistendo, ad oggi, soluzioni “ad hoc” per il rilievo e la rappresentazione
del patrimonio tangibile.
Caratteristiche della strumentazione utilizzata
Per il rilevamento dell’ambiente urbano di Pietrabuona è stata utilizzato un laserscan
Faro Photon 120 (fig. 1), un’apparecchiatura panoramica capace di misurare qualunque
elemento presente nel suo intorno secondo un angolo giro sull’orizzontale e un angolo
di trecentoventi gradi sulla verticale, con portata fino a ottanta metri. Questo strumento
è basato su tecnologia “a variazione di fase” (phase shift technology): il laser è, infatti,
continuamente acceso ed emette un segnale che, raggiunto un ostacolo, viene riflesso
verso la sua sorgente (lo scanner stesso); dal confronto tra il segnale di ritorno e quello
195
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
emesso (nello specifico, la variazione tra
la fase del segnale emesso e quello riflesso) viene calcola la distanza di ciascun punto2. Il valore dell’angolo orizzontale e di quello verticale permettono
allo scanner di collocare immediatamente in uno spazio tridimensionale i
punti raggiunti3. Il processo è estremamente rapido: il sistema impiegato consente di misurare anche un milione di
punti al secondo con un’accuratezza
che, a dieci metri di distanza, si aggira
attorno ai due millimetri (un errore
maggiore si ha all’aumentare della distanza, rimanendo però sempre entro i
cinque millimetri).
Dai valori impostati dall’operatore
dipendono il livello di accuratezza (la
precisione con cui ogni singolo punto
raggiunto dal segnale del laser viene
Fig. 1 - Scanner laser Faro Photon 120
misurato) e la portata dello strumento
(la distanza massima che il segnale del
laser può raggiungere), che sono scelti
in base alla finalità del rilievo e alle caratteristiche dei manufatti.
Le condizioni operative di Pietrabuona hanno fatto ritenere opportuna la scelta di
una griglia di scansione (ovvero di una densità dei punti) settata in maniera costante,
ma che permettesse di ottenere al tempo stesso un elevato livello di dettaglio ed un ragionevole contenimento della quantità di dati raccolti, evitando così un eccesso di misurazioni che avrebbe reso difficoltosa sia la gestione del progetto di rilievo, sia le procedure di trattamento del dato. La maggior parte dell’abitato è stato rilevato con un passo di
scansione di 1/8, con valori di maggior densità nelle aree immediatamente prossime alla
posizione dell’unità laserscan.
Nel modello tridimensionale digitale – creato mano a mano che il segnale del laserscan entra in contatto con degli “ostacoli” (oggetti di vario genere) – le entità rappresentate sono costituite da grandi insiemi di punti (points cloud), identificati da una terna
di coordinate e caratterizzati da un valore cromatico dovuto alla quantità di segnale riflesso misurato (valore di riflettanza). Ogni singola scansione ha, pertanto, una propria
196
Il rilevamento digitale
autonomia: un centro ed un orientamento definito da una terna cartesiana
con lo zero posto nell’unità laserscan.
Questo fatto pone ovviamente il problema di come ricomporre in maniera
organica tutte le scansioni tra di loro e
per superarlo è necessario operare sia
durante il rilevamento, che nella successiva fase di “messa a registro” dei dati.
Al momento della misurazione, infatti,
vengono applicati nell’area di scansione degli elementi di misura nota e di indubbia riconoscibilità, detti comunemente target (bersagli), in numero sufficiente a permettere successivamente
la corretta “collimazione” delle nuvole.
Nel caso di rilievi provvisti di appoggio topografico, come quello in oggetto4, per ogni scansione eseguita è stato
necessario disporre sulla “scena” un
numero minimo di tre target comuni Fig. 2 - Stazione totale Leica TPS di tipo no prism
con quelli rilevati mediante strumentazione topografica5. La rete di punti
“rada” è stata realizzata impiegando l’unità topografica Leica TPS di tipo no prism
(fig. 2) in dotazione al Dipartimento di Architettura DSP di Firenze.
Nonostante vi siano casi in cui è possibile realizzare un corretto rilevamento senza
“allineare” le nuvole ad una rete topografica, il suo utilizzo, senza ombra di dubbio, presenta il non trascurabile vantaggio di rendere il riconoscimento dei punti omologhi rapido e sicuro, costituendo un utile riferimento anche per gli altri sistemi di rilevamento
adottati.
Trattamento del dato
Successivamente alla campagna di rilevamento laserscan sono state avviate le procedure di “messa a registro” delle singole scansioni6. Di ciascun file originale FLS è stata prodotta una versione in formato PTX7, accettato da tutte le applicazioni che gestiscono
points cloud e utile per l’archiviazione a lungo termine del dato raccolto8. I file PTX sono
197
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
Fig. 3 - Vista assonometrica del modello “a nuvola di punti” in toni di grigio del versante orientale
stati importati in Leica Cyclone, dove le singole nuvole sono state allineate tra loro (fig. 3).
Il dato acquisito ammonta complessivamente a circa 1.054 milioni di punti, una quantità ingente di informazioni ottenute da 117 postazioni nell’arco di due sole giornate, con
una copertura elevatissima di tutti gli edifici presenti (fig. 4).
PIETRABUONA
Parametri di acquisizione
Strumento impiegato:
Risoluzione:
Qualitá:
Distanza media tra strumento ed oggetto:
Numero di scansioni:
Tempo impiegato:
Riprese fotografiche:
Modello a nuvola di punti
Numero di punti totale:
accuratezza complessiva del modello messo a registro:
Dimensione del file .imp:
198
Scanner laser Faro Photon 120
1/8
4x
10 m
117
14 h
no
1054x106 pt
5 mm
20384 Mbyte
Come è naturale nelle procedure di scansione laser, il valore di riflettanza di ogni
punto rilevato ha attribuito una parvenza “da fotografia in bianco e nero” al modello
costituito dalla nuvola di punti.
Il rilevamento digitale
Fig. 4 - Disposizione delle stazioni della rete topografica e delle unità laserscan all’interno dell’abitato
199
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
Per una più agile gestione dei file al momento della redazione delle sezioni ambientali, il modello è stato diviso in più parti, corrispondenti alle porzioni di abitato oggetto
della specifica vista ortografica.
La prima finalità del progetto è stata quella di redigere degli elaborati tradizionali
(piante, prospetti e sezioni) in grado di definire esattamente la geometria dei manufatti e
la loro posizione reciproca nello spazio, consentendo così una lettura geometricamente e
dimensionalmente corretta dell’ambiente urbano. Secondariamente, è stato realizzato un
modello mesh high poly, interrogabile e misurabile in tempo reale, degli edifici prospettanti su via del Campanile.
NOTE
* Dal contributo originario “Il rilevamento digitale” di Alessandro Merlo e Giorgio Verdiani nel
DVD allegato al volume.
1 Il rilevamento di un manufatto, a qualunque scala esso appartenga, e la restituzione (digitale o
cartacea) delle sue caratteristiche geometrico-dimensionali, morfologiche e materiche, secondo parametri codificati e condivisi, costituiscono di fatto la conditio sine qua non per comprendere l’oggetto stesso alla luce delle conoscenze acquisite in uno specifico momento storico.
2 Il segnale del laserscan Faro, operando nel campo dell’infrarosso, è invisibile anche in condizioni
di scarsa luminosità.
3 Per un maggior approfondimento sulle tecnologie di scansione laser per l’architettura, cfr. G. Guidi
- M. Russo - J.A. Beraldin, Acquisizione 3D e modellazione poligonale, Milano 2009; Il ritorno all’immagine, nuove procedure image based per il Cultural Heritage”, a cura di G. Verdiani, Lulu.com 2011.
4 Le singole scansioni eseguite sono state ricomposte tra loro utilizzando i target apposti sui manufatti, rilevati sia dall’unità laserscan che dalla stazione topografica.
5 Il numero indicato di tre target è da intendersi, ovviamente, come valore minimo per ottenere
l’allineamento di due elementi tridimensionali; un numero maggiore di mire è comunque auspicabile, in
modo da evitare che la presenza di un errore, anche minimo, delle coordinate di questi importanti punti
di riferimento, porti ad un’errata rototraslazione di una parte del modello.
6 Le operazioni di filtraggio dei dati e successiva esportazione delle nuvole di punti in formato
PTX sono state eseguite con il software Faro Scene LT.
7 Il formato PTX è un formato testuale che esprime ogni singolo punto di una nuvola secondo una
terna di coordinate XYZ. Per ognuno di questi punti viene salvato anche un valore cromatico, espresso
anch’esso con dati numerici secondo la codifica della sintesi additiva RGB (Red, Green, Blu). Oltre a
queste informazioni, nella parte iniziale del file PTX vi è una matrice di rototraslazione; il file è espresso
in forma testuale e quindi facilmente importabile da una qualunque applicazione.
8 Si ritiene che il salvataggio del patrimonio di informazioni raccolte, per aver maggior possibilità di
essere trasmesso nel tempo, debba essere archiviato non solo nei formati “proprietari” dei singoli programmi utilizzati – che presentano forti rischi di obsolescenza – ma anche in formati “di scambio” a “bassa complessità”, in modo da poter aver accesso al dato anche dopo tempi molto lunghi (oltre i vent’anni
dall’archiviazione) anche nel caso di mancato aggiornamento della versione dell’archivio originale.
200
Il database delle qualità edilizie e urbane*
Il rilievo delle odierne qualità ambientali di Pietrabuona è stato condotto analizzando
il castello nelle sue componenti edilizie ed urbane, ed identificando unità minime di
schedatura omogenee (UME unità minime edilizie, UMU unità minime urbane)1. Sono
stati rilevati, mediante schedatura, i caratteri relativi ai fronti edilizi (tipologia delle aperture e delle murature, degli infissi e dei sistemi di oscuramento, degli intonaci, etc) ed ai
percorsi (materiali delle pavimentazioni, arredo, illuminazione e verde urbano, qualità
paesaggistiche)2.
Le schedature sono state successivamente tradotte in due database realizzati con
Microsoft Access, le cui strutture gerarchiche sono riportate in figg. 1 e 23. Per ogni elemento è stato rilevato anche il degrado, indicando i principali fenomeni che ne sono alla
Fig. 1 - Database delle Unità Minime Edilizie (U.M.E): schema relazionale delle tabelle
201
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
Fig. 2 - Database delle Unità Minime Urbane (U.M.U): schema relazionale delle tabelle
base4. I dati così ottenuti, filtrati e organizzati in categorie omogenee, hanno reso possibile quantificare ed evidenziare i temi caratterizzanti e ricorrenti dell’ambiente costruito
di Pietrabuona, come ad esempio la tipologia delle murature o la dimensione e forma
delle aperture. Parallelamente sono state evidenziate anche le qualità eccezionali dell’ambiente costruito, sia in senso positivo (ad esempio edifici con un livello consono di
manutenzione o luoghi urbani dotati di particolare pregio) che negativo (cattiva qualità
degli edifici, situazioni di degrado delle pavimentazioni urbane, etc.).
I dati della schedature sono stati tradotti graficamente in planimetrie tematiche attraverso l’uso di AutoCad Map 3d. Il software consente infatti, interrogando il database
Access, di ottenere degli elaborati grafici nei quali la risposta alla query impostata viene
data sotto forma di campiture di diverso colore su di una base cartografica predefinita5.
Nella schedatura delle qualità ambientali di Pietrabuona, diversamente da quanto avvenuto per Sorana e Aramo, sono state inserite anche una serie di valutazioni sintetiche
in forma discorsiva. Queste riguardano vari aspetti, tra i quali lo stato generale di conservazione degli edifici, la presenza di materiali incongrui rispetto a quelli codificati dalla
tradizione e l’esistenza di superfetazioni. Nel loro complesso queste valutazioni hanno
arricchito la qualità dei dati archiviati, affiancando al metodo della risposta chiusa quello
della valutazione espressiva mediata dall’esperienza dei rilevatori.
Sono stati inseriti, infine, dei campi relativi allo stato di occupazione degli immobili
(abitati in modo stabile, utilizzati come casa per vacanze o disabitati), compilati interrogando gli abitanti del castello.
202
Il database delle qualità edilizie e urbane
NOTE
* Dal contributo originario “Il rilievo delle qualità ambientali di Pietrabuona” di Duccio Troiano nel
DVD allegato al volume.
1 Cfr. Merlo, Il castello di Sorana, cit., pp. 186-193.
2 Più in particolare, si è suddiviso l’ambiente costruito in UME (unità minime edilizie) coincidenti
con le particelle catastali ed UMU (unità minime urbane, coincidenti con percorsi e piazze). Le unità minime edilizie, le più complesse da un punto di vista di analisi, sono state divise in fronti di indagine, coincidenti con le facciate dell’edificio in esame.
3 Per una descrizione dettagliata dell’impianto organizzativo del database, accompagnato da una
descrizione tecnica del sistema di relazioni che lo regolano, si confronti Merlo, Il castello di Sorana, cit.,
pp. 211-213.
4 Il rilievo è stato organizzato mediante il riconoscimento della patologia di degrado dell’elemento
in analisi, accompagnato da una valutazione sul grado di diffusione (alto, medio, basso) sull’elemento
stesso.
5 Questo si realizza tecnicamente associando ad entità grafiche bidimensionali (polilinee chiuse o testo) elementi chiave identificative di tabelle o query redatte in access o direttamente in autocad map 3d.
203
La rappresentazione del castello*
Il rilievo del castello di Pietrabuona ha offerto la possibilità di testare su una porzione
significativa del nucleo insediativo (fig. 1) l’efficacia di alcune procedure di modellazione
(a partire dai dati ottenuti da scansioni laser) e di mappatura dei modelli digitali, finalizzati ad essere gestiti interattivamente.
La ricerca rientra nell’ambito dei cosiddetti Sistemi Informativi Urbani 3D1, uno strumento attualmente assente dal mercato, almeno nei modi descritti in questo paragrafo,
ma sempre più necessario per chi si occupa di cultural heritage, in particolare per coloro
a cui è demandata la pianificazione delle politiche di sviluppo e conservazione della città
e del territorio2. Agli esperti di rilevamento e rappresentazione è affidato il compito di
controllare e “certificare” le procedure che consentono la conversione del dato grezzo
(nuvola di punti) in un modello ottimizzato, che sia nel contempo funzionale all’esplorazione interattiva, in grado di consentire operazioni di misurazione in ambiente virtuale e
capace, infine, di rappresentare dei temi desunti dall’analisi dell’ambiente urbano3.
204
Fig. 1 - Porzione del modello a nuvola di punti di Pietrabuona
La rappresentazione del castello
I problemi insiti in questa operazione sono essenzialmente di due ordini: da un lato vi
è un rilievo esteso ed estremamente dettagliato contenente una serie di informazioni
(tra le quali quelle geometrico-dimensionali) che è necessario preservare, dall’altro c’è la
necessità di ottimizzare il rilievo stesso in modo da fornire una descrizione percettivamente adeguata dell’intero insediamento.
Le soluzioni passano inderogabilmente attraverso la comprensione delle potenzialità
e dei limiti insiti nei metodi di conversione dei modelli discreti (formati da punti ottenuti
mediante campionamento) in modelli continui costituiti da superfici (poligonali oppure
patch NURBS) 4.
Tecniche di computergrafica per la restituzione da scanner laser
La metodologia di seguito illustrata è basata sull’uso estensivo di tecniche denominate render to texture o più comunemente baking (cottura), seguendo il gergo tipico dei
programmi di modellazione per l’entertainment.
Il baking è una procedura che offre l’opportunità di ottimizzare i modelli calcolando
solo una volta un determinato aspetto particolarmente oneroso per il computer, sia che
si tratti della simulazione del rapporto luce-materia (ambient occlusion o global illumination), sia che si tratti di simulare l’ombreggiatura di un elevato numero di poligoni, convertendolo in una bitmap, che verrà successivamente applicata al modello5.
Modelli “a superfici” high-poly, infatti, non si sposano con l’interattività; ma abbassare il dettaglio geometrico, anche attraverso algoritmi di decimazione evoluti, comporta
spesso il rischio di perdere una serie di dati importanti dal punto di vista della conservazione e della descrizione morfologica dei manufatti. Per tale motivo, il settore della grafica digitale ha sviluppato delle tecniche finalizzate al “ricalco” di modelli complessi (retopology)6, utilizzando le procedure di baking per trasferire “informazioni” geometriche da
un modello high-poly ad uno low-poly.
Attraverso l’uso del baking è pertanto possibile ottenere una serie di immagini (mappe, fig. 2) che influenzano l’apparenza del modello geometrico low-poly sotto il profilo:
– dell’ombreggiatura (mappe di normali applicate a modelli mesh a basso dettaglio),
– dei contorni apparenti (mappe di scostamento in formato OpenEXR applicate a superfici di suddivisione),
– del colore (camera resectioning per la mappatura del colore apparente su mesh e superfici di suddivisione).
Nel primo caso il dettaglio è reintegrato in modo illusorio, dato che le mappe di normali influenzano unicamente l’ombreggiatura (shading) dei modelli, ma non apportano
alcun miglioramento alla forma geometrica vera e propria, che di fatto rimane fortemen-
205
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
Fig. 2 - Le tre tecniche di Image Based Geometric Processing che permettono in modo diverso di migliorare
la percezione di modelli semplificati grazie all’impiego di texture
te semplificata7. Le mappe di scostamento applicate a modelli a superfici di
suddivisione8 ristabiliscono realmente la forma geometrica di partenza (cioè quella del
modello high-poly), tuttavia, pur presentando numerosi pregi, richiedono un processo di
modellazione più attento, nonché un maggior impegno per scheda grafica e processore.
Con il termine camera resectioning si intende una particolare operazione, tipica del settore del rilevamento fotogrammetrico, che consiste nel trovare il vettore che descrive posizione, rotazione e distanza focale di una fotocamera rispetto all’oggetto fotografato.
L’individuazione di questi parametri consente di proiettare su di un modello (mesh semplificata, o displaced subdivision surface) una fotografia e quindi di mappare quest’ultimo con una texture del colore apparente che, congiuntamente a mappe di normali o di
scostamento, permette di arricchire la visualizzazione di un oggetto, avvicinandone la
percezione a quella che si avrebbe nel mondo reale.
Su queste strategie si fonda il cosiddetto Image Based Geometric Processing9 (IBGP)
che ha come obiettivo quello di ottimizzare i modelli “da nuvola di punti” al fine di renderli gestibili in svariate applicazioni sia dedicate al rendering, che alla produzione di applicazioni real-time.
206
La rappresentazione del castello
Operazioni di modellazione e texturing del castello di Pietrabuona
Per realizzare il modello di una porzione dell’abitato di Pietrabuona è stato necessario preliminarmente pianificare la scomposizione del modello “a nuvola di punti”, di per
sé indifferenziato e privo di una gerarchia fra le parti, al fine di esportare (in formato
.PTS) piccole porzioni, corrispondenti alle unità catastali, della nuvola completa da Leica
Cyclone verso Inus Technology Rapidform XOR (fig. 3)10.
Ogni mesh ad alta risoluzione è stata corretta dagli eventuali errori topologici che in
larga misura sono stati eliminati grazie a comandi di remeshing automatico (fig. 4). Tali
comandi hanno permesso di ottenere una maglia di triangoli isotropa nella quale la misura media dei bordi dei triangoli del modello sottoposto a remeshing corrisponde al
passo medio del campionamento. Nel caso delle facciate delle singole unità catastali si è
optato per una dimensione media dei bordi compresa fra i 5 e gli 8 mm in modo da poter effettuare valutazioni sulla stratigrafia muraria, così come sulle possibili alterazioni
causate da patologie a livello superficiale.
Fig. 3 - Data l’estrema pesantezza della mole di dati acquisita con la campagna di rilevamento
scanner laser si è deciso si suddividere il modello a nuvola di punti in varie “fence” che, esportate
separatamente, permettono un maggiore controllo della fase di costruzione delle mesh
ad alta risoluzione
207
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
Fig. 4 - Per correggere eventuali errori topologici si ricorre a comandi
di remeshing; tali strumenti vanno impiegati con attenzione in modo
da evitare di cancellare informazioni utili per le successive fasi
di modellazione e texturing
208
Una volta ottenuto il modello
ad alta risoluzione della singola
facciata si è passati ad una fase
di valutazione del dettaglio da
conferire alla restituzione attraverso il modello semplificato; in
altre parole si è trattato di stabilire una soglia dimensionale minima del bordo da costruire attraverso gli strumenti di adding modeling. La valutazione del “bordo
più piccolo” è stata eseguita attraverso lo strumento mesh deviation presente in Rapidform,
che consente di misurare le distanze che intercorrono fra due
mesh e di individuare la misura
dello scostamento massimo in
valore assoluto11 (fig. 5). Vista la
regolarità geometrica della maggioranza delle facciate degli edifici presi in esame è stato deciso
di eseguire la valutazione dello
Fig. 5 - (a) static mesh importata nell’applicativo per la retopology; (b) sovrapposizione fra un piano
verticale e la facciata; (c) valutazione della distanza che intercorre fra il piano e la mesh
per comprendere il dettaglio geometrico da conferire al modello semplificato
La rappresentazione del castello
scostamento fra un piano verticale appartenente all’apparecchio murario e la maglia ad
alta densità; il massimo scarto è risultato di ±15 cm, mentre la maggioranza della muratura era separata dal piano medio di ±2,5 cm.
Ottenuti questi risultati è stato facile intervenire sulla pianificazione dei successivi
passaggi di modellazione e texturing: il bordo minimo da realizzare attraverso retopology12 doveva essere nell’ordine di grandezza dei 10-15 cm, mentre il dettaglio geometrico della superficie muraria è stato demandato alle mappe di normali che hanno fornito
alla mesh semplificata un’apparenza pressoché identica rispetto al modello high-poly13
(figg. 6-7-8).
Terminato il modello a dominante quadrata (quad dominant), cioè costituito prevalentemente da poligoni a quattro lati, è stato possibile valutarne lo scostamento rispetto
al modello denso attraverso gli strumenti di mesh deviation. Tale fase ha fornito anche il
valore dello scostamento massimo che è era necessario conoscere per la successiva fase
di baking (fig. 9).
Conclusa pertanto la modellazione, con la quale si è giunti ad una boundary representation (una rappresentazione costituita da una maglia chiusa priva di errori topologici), si è passati alla mappatura del modello nel sistema di riferimento (u,v).
In particolare, per lo specifico fine della presente ricerca, che prevede di convogliare
modelli 3D e analisi di vario tipo all’interno di un game engine, il ruolo del sistema (u,v)
è particolarmente importante, dato che è servito per l’applicazione di texture che non riguardano unicamente la simulazione realistica dei manufatti, ma anche i tematismi relativi alle singole unità catastali (fig. 10).
A questo punto si è passati al baking, che ha generato una mappa di normali in gra-
Fig. 6 - (a) immagine di rendering del modello ad alto dettaglio; (b) immagine di rendering della mesh
semplificata attraverso decimazione; (c) immagine di rendering del modello ottenuto con retopology e
normal map applicata: il risultato è indistinguibile dal modello di partenza
209
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
Fig. 7 - Passaggi della retopology:
(a) maglia strutturata ottenuta
tramite tecniche di box modeling;
(b) proiezione della mesh strutturata
sulla maglia ad alto dettaglio;
(c) aggiunta di dettagli tramite
comandi di estrusione di tipo bevel
(molatura) per eseguire le bucature;
(d) eliminazione delle parti da eseguire
tramite altri comandi di retopology
Fig. 8 - Passaggi della retopology:
(a) costruzione di fasce di poligoni
quadrangolari (quad); (b) unione
tramite comando bridge (ponte);
(c) e (d) selezione dei bordi e
bridge fra le varie parti del
modello a basso dettaglio
La rappresentazione del castello
Fig. 9 - (a) il modello di partenza; (b) il modello ottenuto per retopology; (c) valutazione della deviazione
fra i due modelli: il valore della massima misura di scostamento deve rientrare nel range stabilito a priori
dall’operatore e verrà impiegato come distanza di baking
Fig. 10 - (a) la mappatura in (u,v) del modello semplificato; (b) la texture del colore apparente
mappata attraverso operazioni di camera resectioning e baking; (c) la mappa di normali; (d) esempio
di lettura stratigrafica mappata sulla base dello stesso sistema di proiezione delle texture
211
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
do di trasferire il dettaglio del modello high-poly di partenza alla sua versione semplificata costituita da poche migliaia di poligoni. Per eseguire il baking è stato necessario
generare una texture vuota (blank) che il programma Luxology Modo ha calcolato sulla
base del riferimento (u,v) e che è stato impostato con una risoluzione in pixel adeguata
a ripristinare il dettaglio geometrico eliminato. Prima di avviare il calcolo, il programma
ha chiesto la distanza massima che intercorre fra il modello a basso dettaglio e quello ad
alto, ed è stato inserito il valore massimo di scostamento individuato attraverso il comando mesh deviation.
La texture del colore apparente è stata applicata nel medesimo riferimento (u,v) della
mappa di normali, ma per farlo è stato necessario eseguire il camera resectioning per
ciascun fotogramma che è stato scattato al fine di mappare il modello digitale 3D.
Sono stati pertanto individuati i punti omologhi fra la maglia ad alta risoluzione ed i
fotogrammi, marcando in contemporanea tali punti sul modello high-poly nel programma Inus Technology Rapidform (add reference point) e sulla bitmap corrispondente. I
punti omologhi sono stati poi esportati in formato .DXF verso EOS Systems
Photomodeler che ha permesso di calcolare il vettore che descrive l’orientamento interno
ed esterno della fotocamera. Grazie al formato di interscambio .FBX sono state esportate
le fotocamere verso Luxology Modo al fine di utilizzarle quali proiettori per le singole immagini (corrette cromaticamente e geometricamente da distorsioni radiali e tangenziali)14. Una volta proiettate sul modello sono state trasformate nel sistema di riferimento
(u,v) grazie ad un baking che in questo caso riguarda un unico modello (bake to render
outputs) e che segue procedure leggermente diverse rispetto al calcolo delle normali.
Conclusioni e sviluppi futuri
212
Il modello ottimizzato di Pietrabuona è stato ottenuto attraverso procedure standardizzate che permettono di “certificare” l’affidabilità metrica dei modelli semplificati e di
utilizzarli, grazie alla compressione ottenuta mediante l’uso delle mappe di normali, all’interno di applicazioni real-time.
I vantaggi che un ente, pubblico o privato, impegnato nel controllo, nella tutela e nella promozione del patrimonio culturale può trarre da simili strumenti interattivi sono innumerevoli e riguardano essenzialmente la possibilità di compiere operazioni di rilevamento (inteso sia in senso geometrico-dimensionale che qualitativo) di interi comparti
edilizi e di visualizzare direttamente sul modello 3D le informazioni contenute all’interno
di una banca dati; operazioni rese oggi possibili grazie alla flessibilità dei game engine,
come ad esempio Unity 3D.
L’esperienza realizzata su Pietrabuona apre, pertanto, nuovi ambiti di ricerca nei quali
La rappresentazione del castello
delle equipe interdisciplinari formate da esperti nel settore dell’Information Technology e
da architetti rilevatori potranno operare assieme al fine di individuare delle soluzioni atte
a rendere fruibili ad un pubblico non esperto i modelli 3D e le banche dati desunte dalle
campagne di rilevamento urbano e ambientale.
NOTE
* Dal contributo originario “La rappresentazione del castello” di Alessandro Merlo e Filippo
Fantini nel DVD allegato al volume.
1 Cfr. Merlo - Troiano - Zucconi, Nuove metodologie GIS, cit., pp. 18-23; Merlo, Sistemi e mezzi
informatici per il rilievo, cit., pp. 404-409.
2 Si fa riferimento alla necessità, a più riprese evidenziata dall’UNESCO a partire dalla Sessione di
Cairns del 2000, di eseguire un piano di gestione (management plan) per armonizzare tutti gli aspetti
tecnici, giuridici, economici, turistici di un sito di interesse culturale che pretenda di entrare a far parte
della World Heritage List. Si veda a tal proposito il lavoro svolto negli ultimi anni dal MiBAC in I siti italiani nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO: esperienze e potenzialitá, a cura di P. Micoli M.R. Palombi, Atti della prima conferenza nazionale (9-10 Maggio 2003), Noto 2004.
3 Si veda l’esito del progetto PRIN 2007 coordinato dal Prof. Mario Docci pubblicato in
Metodologie Integrate per il rilievo, il disegno, la modellazione dell’architettura e della città, a cura di
E. Chiavoni - M. Filippa, Roma 2011. In particolare si segnalano i seguenti contributi: M. Gaiani, Metodi
di fruizione di modelli 3D digitali dalla scala dell’oggetto a quella della città con dispositivi a differente
livello di iconicità e facilità di interazione, pp. 127-128; Merlo, Dal modello della città ai Sistemi
Informativi Urbani, cit., pp. 114-117.
4 Ippolito e Borgogni (cfr. A. Ippolito - F. Borgogni, I modelli 3D nei rilievi di architettura, in
Metodologie Integrate per il rilievo, il disegno, la modellazione dell’architettura e della città, a cura di E.
Chiavoni - M. Filippa, Roma 2011, pp. 71-77) hanno proposto recentemente di distinguere nettamente
fra “modelli 3D figurativi” e “modelli 3D a scopo scientifico” nell’ambito del rilievo dell’architettura, sottolineando il fatto che nel primo caso il modello può basarsi su qualsiasi tipo di rilevamento (anche diretto), mentre nel secondo è necessario avvalersi di sensori attivi in grado realizzare dei rilievi estremamente accurati per ottenere modelli mesh che descrivano in modo affidabile la forma del manufatto analizzato. In un caso prevale l’aspetto percettivo (grazie all’uso di texture del colore diffuso ottenute da fotografie), nell’altro invece domina la necessità di descrivere accuratamente la forma e di rispettare i dati dimensionali, relegando in secondo piano, ad esempio, l’aspetto cromatico (il rapporto luce-materia).
Benedetti, Gaiani e Remondino (cfr. Modelli digitali 3D in archeologia: il caso di Pompei, a cura di B.
Benedetti - M. Gaiani - F. Remondino, Pisa 2010, pp. 236-250) nell’illustrare i problemi di restituzione dei
rilevamenti laserscan e fotogrammetrici in ambito archeologico centrano l’attenzione sul problema del livello di dettaglio della restituzione, stabilendo con chiarezza i limiti dimensionali entro i quali affidare alle texture il compito della rappresentazione (con bump, normal map, etc.) e la soglia oltre la quale è necessario ricorrere alla modellazione geometrica vera propria (poligoni o patch NURBS).
5 Queste tecniche hanno preso sempre maggiore importanza nell’ambito dei programmi per l’entertainment perché servono per ottimizzare i personaggi e le scenografie dei videogiochi; tali strumenti sono via via andati maturando anche con il diffondersi delle tecniche di mesh sculpting e di image
based sculpting che appartengono al settore della modellazione organica (cfr. programmi come
213
Capitolo III - Il rilievo e la rappresentazione
214
Autodesk Mudbox, o Pixologic Zbrush).
6 Gli strumenti di retopology sono una sorta di caso particolare di adding modeling che permette
di ricoprire la mesh ad alto dettaglio formata da triangoli con una maglia di poligoni rettangolari i cui
vertici devono presentare tendenzialmente valenza pari a 4 (che significa avere vertici in cui convergono 4 bordi).
7 Sul tema delle mappe di normali si veda: J. Cohen - M. Olano - D. Manocha, Appearance preserving simplification, in SIGGRAPH Conference Proceedings, Annual Conference Series, 1998, pp. 115122. Sull’impiego delle mappe di normali nell’ambito della restituzione di rilievi laser scanner si veda:
M. Pucci, Parametrizzazione: le mappe UV, in Verdiani, Il ritorno all’immagine, cit., pp. 73-78; M. Pucci,
Il rendering, in Verdiani, Il ritorno all’immagine, cit., pp. 79-84.
8 Pur essendo state implementate con nomi diversi all’interno dei vari applicativi, displaced subdivision surface è il nome che Lee, Moreton ed Hoppe dettero a questa forma di rappresentazione che
consente un’altissima compressione dei dati geometrici. Per un approfondimento si rimanda al testo
originale: A. Lee - H. Moreton - H. Hoppe, Displaced Subdivision Surfaces, in SIGGRAPH 2000
Conference Proceedings, Annual Conference Series, 2000, pp. 85-94.
9 Come opportunamente definito da Gabriele Guidi in Monumenti poligonali o poligoni monumentali, in Verdiani, Il ritorno all’immagine, cit., p. 7.
10 Avendo suddiviso l’intero modello in file più piccoli è facile generare modelli ad elevata risoluzione, che nel caso specifico si aggirano per ogni unità catastale nell’ordine di grandezza dei 3-4 milioni di poligoni.
11 Per facilitare all’utente la comprensione del risultato di questa misurazione mesh-mesh il programma visualizza una mappa cromatica che evidenzia attraverso varie tonalità i punti di massimo e
minimo scostamento.
12 Gli strumenti di retopology che permettono di rivestire la superficie ad alto dettaglio sono numerosi e dipendono dall’applicazione impiegata; nel caso preso in esame si è adottato Luxology Modo
601 che consente di introdurre come static mesh un maglia non modificabile da utilizzare come riferimento per la modellazione. Con tale soluzione è possibile introdurre nel programma una mesh anche
molto pesante senza che si generino instabilità e rallentamenti nell’applicazione. Come del resto avviene anche in altri applicativi, come ad esempio Pilgway 3D Coat, in Modo 601 è presente una sezione
(Topo) dedicata alla retopology che, oltre a rendere disponibili appositi strumenti di modellazione, fornisce anche una visualizzazione che facilita l’utente nel compito di ricalco delle superfici primarie.
13 Sul tema del dettaglio geometrico massimo che una mappa di normali può integrare su di un
modello semplificato si veda: B. Adembri - S. Di Tondo - F. Fantini, Tools for archiving and managing cultural heritage. The finds from Hadrian’s Villa in the territory of Tivoli: The case study of the friezes from
the Teatro Marittimo, in Museen der Stadt Wien – Stadtarchäologie, Proceeding of the Workshop 14 –
Cultural Heritage and New Technologies, Vienna 2009, pp. 136-141.
14 Si veda sul tema della mappatura del colore apparente: F. Fantini - P. Rodriguez Navarro - S. Di
Tondo, Il problema della mappatura del colore nei modelli digitali 3D a displaced subdivision surface da
rilevamento laser scanner in ambito archeologico, in Colore e colorimetria, contributi multidisciplinari, a
cura di M. Rossi - A. Siniscalco, vol VIII/a, Milano 2012, pp. 31-38. Sull’integrazione di dati provenienti
da scansione laser con fotogrammetria si veda: B. Adembri - F. Juan Vidal - I. Martínez-Espejo Zaragoza,
Hunting friezes of the Piazza d’Oro at Hadrian’s Villa: new hypothesis for a virtual reconstruction inside
an integrated research strategy, in Museen der Stadt Wien – Stadtarchäologie, Proceeding of the
Workshop 16 – Cultural Heritage and New Technologies, in corso di pubblicazione.
Appendice
Indice della toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona
di Rodolfo Vanni
(presente nel DVD allegato)
1.Annita, al Ponte dell’2.Angiolecche, cantina di3.Angiolecche, casa di4.Aramo, in fondo alla strada d’5.Arco della dogana
6.Arco, in fondo all’7.Asino, rio dell’8. Ballondo, alla casetta di9. Ballondo, da10. Bembere, dal11. Beppe, al ponticello di12. Bonci, alla Pettorina Case13. Cabina, alla14. Callone, al15. Campanile, sotto il16. Campanile, via del17. Campone, nel18. Cancellino, alla curva del19. Canina, via20. Canto, dietro il21. Carde, boschi delle22. Carde, nelle23. Carrara, ponte del24. Cartiera del Magnanini, alla25. Casa di Bonaventura Poschi
26. Casa del Corpata
27. Casa Franchi
28. Casa di Gungu, alla29. Casa di Sofia
30. Case Poschi
31. Case di San Rocco, alle32. Casine, alle33. Cavone, al34. Cavone, alla curva del35. Ceppatello, rio di36. Cerreto, ponte del37. Cerreta, rio di38. Cerreto, rio del39. Chiesa, sotto la40. Chiesa vecchia, alla41. Chiesa vecchia, piazzetta della42. Cice, da43. Cice, al ponticello di44. Cimitero
45. Cimitero, dietro il46. Cipresseta del Magnani, alla47. Cipresseta del Tondo, alla48. Circolo, al49. Colletti, al metato dei50. Colletto di San Giovanni
51. Colletto, alla casa del52. Colletto, il podere del53. Colletto, nel fondo del54. Croce, alla-
215
Appendice
216
55. Croce, prato della56. Crocetta della Magia, alla57. Crocetta del prete, alla58. Deserto, alla sorgente del59. Dottore, alla curva del60. Due vie, alle61. Erta, case in cima all’62. Erta, case di mezzo all’63. Erta, a mezzo all’64. Erta, in fondo all’65. Fabbri, dai66. Fabbrichetta, al ponte della67. Fabbrichetta, alla68. Ferriera, cartiera della69. Finestracce, sotto le70. Fiorentina, alla porta71. Fondaccio, strada del72. Fontana, strada della73. Fontana della piazza, alla74. Fontanelle, alle75. Fontanelle, curva delle76. Fontanelle, in fondo alla via delle77. Fontanina della salita di San Lorenzo, alla78. Frantoio delle Carte, al79. Furbino, alla crocetta di80. Gemolano, cartiera di81. Gemolano, nei boschi di82. Gemolano, ponte di83. Gennaio nel poggio, alla casa di84. Goretta, nel rio alla85. Goretta, case della86. Grillo, alla casa del87. Guazzino, da88. Inferno, bosco dell’89. Inferno, cartiera dell’90. Lecca, il podere della91. Limonaia della Villa, alla92. Macine, salita delle-
93. Madonnina dell’Erta, alla94. Madonnina, via della95. Magia, sulla96. Mata, a97. Mattonata, la98. Medicina, strada di99. Medicina, strada per o del Santo Vecchio
100. Metatino, al101. Metatino, al ponte del102. Molino delle Carte, al103. Molino, alla curva del104. Molino, alle cave del105. Molino, gora del106. Monello, forra107. Montagna, porta della108. Monumento, al109. Nonna, nel fondo110. Orsi, al ponticello dell’111. Ortola, via dell’112. Paese, in fondo al113. Palancole, ponte a114. Pantano, strada del115. Parco della Rimembranza, al116. Pettorina, boschi della117. Pettorina, cartiera della118. Piagge, nelle119. Piagge, sotto le120. Pianizzori, al ponte sul rio di121. Piante Vignole, le122. Piazza
123. Piazza, in fondo alla124. Piazzetta in cima alla salita
125. Pittore, al126. Poggio, via del127. Ponte della Croce, al128. Porta, sulla129. Porta vecchia, via della130. Poschi, orto del prete-
Indice della toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona
131. Pratino, nel132. Prete, casa del- (canonica)
133. Prete, podere del134. Quercia della Carte, alla135. Rimigliari, al136. Rimigliari, cartiera del137. Rimigliari, ponte del138. Rimigliari, rio di139. Rio, alla case nel140. Rocca
141. Ruga, sulla142. Salita della Porta, o del Castello
143. Salvareggi, rio di144. Salvareggi, in145. San Giovanni alla piazza, Strada comunale da146. San Giovanni, al ponte di147. San Rocco, case di148. San Rocco, al ponte di149. San Rocco, rio di150. Santa Caterina, alla fabbrichina di151. Santa Caterina, cartiera di152. Santa Caterina, case di153. Santa Caterina, ponte di154. Santo Vecchio, in cima al155. Santo Vecchio, podere del156. Santo Vecchio, sul157. Santo Vecchio, via del-
158. Scalette, in cima alle159. Scogliera, lungo la160. Scorcione, in cima allo161. Scuole, alle162. Sfracassino, forra dello163. Spareti, Poggio di164. Spareti, rio di165. Steccaia, sopra la166. Stroscia, al molino della167.Teatro, al168.Termine, podere del169.Terre rosse, alle- (loc.Tere)
170.Terrasanta, in171.Tondo, al172.Tondo, alla fontanina del173.Torbola, alla fontanina di174.Torbola, alle case di175.Torbola, nei campi della176.Trasserro, casa del177. Uccelliera del Santo Vecchio, all’178. Uccelliera della Magia, all’179.Valleriana, Strada della180.Vignacce, nelle181.Villa Galeotti
182.Villa vecchia, alla183.Villa, prato della184.Villa, sulla-
217
Indice delle schede iconologiche
di Cinzia Jelencovich
(presenti nel DVD allegato)
218
1. Rosetta a sei petali, Via della Ruga (c. 310)
2. Giglio, Via della Ruga (c. 310)
3. Giglio bottonato, Piazza di Castello (Fonte pubblica)
4. Arma familiare, Via della Ruga (c. 312)
5. Arma familiare, Via della Ruga (c. 320)
6. Protome antropomorfa, Piazza di Castello (c. 275)
7. Epigrafe Oratorio San Michele, Via delle Scalette
(c. B)
8. Iscrizione datazione Palazzo del Capitano, Via del
Campanile (c. 306)
9. Iscrizione datazione Trigramma cristologico, Via
delle Scalette (c. 333)
10. Iscrizione datazione cella campanaria, Via del
Campanile (c. B)
11. Iscrizione datazione, Via per Medicina
12. Iscrizione datazione, Via San Rocco (c. 280)
13. Epigrafe datazione, Piazza di Castello (c. 288)
14. Epigrafe datazione, Via di San Rocco (c. 290)
15. Scudo arma, Piazza di Castello (c. 285)
16. Croce patente, Via delle Scalette (c. B)
17. Iscrizione datazione archivolto, Oratorio di San
Michele in Biciucco (c. B)
18. Battesimo di Cristo, Oratorio di San Michele in
Biciucco (c. B)
19. Croce gigliata, Oratorio di San Michele in
Biciucco (c. B)
20. Lapide commemorativa, Oratorio di San Michele
in Biciucco (c. B)
21. Lapide commemorativa, Oratorio di San Michele
in Biciucco (c. B)
22. Lapide commemorativa, Oratorio di San Michele
in Biciucco (c. B)
23. Lapide, Oratorio di San Michele in Biciucco (c. B)
24. Lapide commemorativa, Oratorio di San Michele
in Biciucco (c. B)
25. Protome antropomorfa cavalletti, Oratorio di San
Michele in Biciucco (c. B)
26. Protome leonina, Oratorio di San Michele in
Biciucco (c. B)
27. Croce gigliata consacrazione, Oratorio di San
Michele in Biciucco (c. B)
28. Colomba, Oratorio di San Michele in Biciucco
(c. B)
29. Decorazioni pittoriche floreali, Oratorio di San
Michele in Biciucco (c. B)
30. Decorazioni pittoriche floreali, Oratorio di San
Michele in Biciucco (c. B)
31. Apparato decorativo Tabernacolo, Oratorio di San
Michele in Biciucco (c. B)
32. Apparato decorativo Tabernacolo, Oratorio di San
Michele in Biciucco (c. B)
33. Iscrizione cartacea, Oratorio di San Michele in
Biciucco (c. B)
34. Iscrizione cartacea, Oratorio di San Michele in
Biciucco (c. B)
35. San Matteo, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
36. San Colombano, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
Indice delle schede iconologiche
37. Protome antropomorfa, Chiesa di San Matteo e
San Colombano (c. A)
38. Catino lavabo, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
39. Angelo, Chiesa di San Matteo e San Colombano
(c. A)
40. Angelo, Chiesa di San Matteo e San Colombano
(c. A)
41. Arcangelo, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
42. Croce patente, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
43. Croce, Chiesa di San Matteo e San Colombano
(c. A)
44. Trigramma Cristologico, Chiesa di San Matteo e
San Colombano (c. A)
45. Trigramma Cristologico e Digramma Mariano,
Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A)
46. Cherubini, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
47. Cherubino, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
48. Iscrizione commemorativa, Chiesa di San Matteo
e San Colombano (c. A)
49. Stella a sei punte, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
50. Arca con Croce Arcivescovile, Chiesa di San
Matteo e San Colombano (c. A)
51. Zampa Leonina, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
52. Ecce Agnus Dei, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
53. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
54. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
55. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
56. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
57. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
58. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
59. Cristo Crocifisso, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
60. Battesimo di Cristo, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
61. Epigrafe Battesimo di Cristo, Chiesa di San
Matteo e San Colombano (c. A)
62. Gesù Bambino con Strumenti della Passione,
Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A)
63. Sacra Famiglia, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
64. Lapide Commemorativa, Chiesa di San Matteo e
San Colombano (c. A)
65. Lapide Commemorativa Consacrazione Chiesa,
Chiesa di San Matteo e San Colombano (c. A)
66. Lapide Commemorativa don Pagni, Chiesa di San
Matteo e San Colombano (c. A)
67. Colomba, Chiesa di San Matteo e San Colombano
(c. A)
68. Madonna in Trono con Bambino, Chiesa di San
Matteo e San Colombano (c. A)
69. Sant’Antonio, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
70. Santa Caterina, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
71. Santa Rosa, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
72. Angelo, Chiesa di San Matteo e San Colombano
(c. A)
73. Angelo, Chiesa di San Matteo e San Colombano
(c. A)
74. Colomba, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
75. Raffigurazione Rocca Pietrabuona, Chiesa di San
Matteo e San Colombano (c. A)
76. Battesimo di Cristo, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
77. San Michele, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
78. Trono Eucaristico, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
219
Appendice
220
79. Madonna con Bambino, Chiesa di San Matteo e
San Colombano (c. A)
80. Santa Rosa, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
81. San Matteo Evangelista, Chiesa di San Matteo e
San Colombano (c. A)
82. Madonna con Bambino Benedicente, Chiesa di
San Matteo e San Colombano (c. A)
83. Cristo Benedicente, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
84. San Giuseppe con Bambino, Chiesa di San
Matteo e San Colombano (c. A)
85. Sant’Antonio, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
86. Madonna, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
87. Stazioni Via Crucis, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
88. San Matteo, Chiesa di San Matteo e San
Colombano (c. A)
89. Croce, Via del Campanile (c. 316)
90. Incisione, Porta della Rocca
91. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
92. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
93. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
94. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
95. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
96. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
97. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
98. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
99. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
100. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
101. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
102. Decorazioni Lapicidi, Via del Campanile (c. 458 Rocca)
103. Decorazioni Lapicidi, Via delle Scalette (c. B)
104. Decorazioni Lapicidi, Via delle Scalette (c. B)
105. San Rocco, Via di San Rocco (c. 346)
106. Trigramma Cristologico di San Bernardino, Strada
Mammianese
107. Lapide Commemorativa, Via di San Vecchio (c.
258)
108. Stele Commemorativa, Piazza di Castello
109. Lapide Stele Commemorativa, Piazza di Castello
110. Lapide Stele Commemorativa, Piazza di Castello
111. Lapide Stele Commemorativa, Piazza di Castello
112. Lapide Sante Missioni, Piazza di Castello (c. A)
113. Croce con Golgota Missioni, Piazza di Castello
(c. A)
114. Croce, Piazza della Croce
115. Croce, Via della Ruga
116. Croce con Golgota, Via del Campanile (Sagrato
Oratorio di San Michele)
117. Croce con Golgota, Porta della Rocca
118. Croce con Golgota, Via del Campanile (Sagrato
Oratorio di San Michele)
119. Iscrizione Datazione, Via di San Rocco (c. 296)
120. Iscrizione, Strada delle Cartiere
121. Protome antropomorfa, Piazza di Castello (c.
290)
122. Madonna con Bambino, Piazza di Castello (c.
285)
123. Madonna, Via delle Scalette (c. 336)
124. Madonna con Bambino, Via della Ruga (c. 329)
125. Madonna con Bambino, Via della Ruga (c. 326)
126. Madonna con Bambino, Via di San Vecchio (c.
273)
127. Madonna, Piazza di Castello (c. 277)
128. Madonna, Via di San Vecchio (c. 284)
129. Madonna, Piazza di Castello (c. 290)
130. Edicola Votiva, Via del Campanile (c. 304)
131. Madonna con Bambino, Via della Ruga (314)
132. Cristo, Via della Ruga (314)
Indice delle schede iconologiche
133. Madonna, Strada Mammianese
134. Madonna, Via di San Vecchio (c. 281)
135. Iscrizione Francescana, Via delle Scalette (c. 310)
136. Sacra Famiglia, Via di San Vecchio (c. 501)
137. Madonna, Via delle Scalette (c. 310)
138. Cherubino, Via delle Scalette (c. 333)
139. Cherubino, Piazza di Castello (c. 290)
140. Croce con Strumenti della Passione, Strada Mammianese
141. Decorazione Lapicidi, Strada Mammianese
142. Croce con Iscrizione, Via della Ruga
143. Croce, Via della Ruga
144. Croce, Via delle Scalette
145. Croce, Porta della Rocca
146. Croce, Porta della Rocca
147. Croce e datazione, Via della Ruga
148. Croce e datazione, Via della Ruga
149. Croce, Via di San Vecchio
150. Decorazione Scultorea, Via della Sacrestia Vecchia
151. Decorazione Scultorea, Via della Sacrestia Vecchia
152. Marzocco, Via di San Rocco (c. 294)
153. Marzocco, Via di San Rocco (c. 294)
154. Iscrizione, Via di San Rocco (c. 296)
155. Decorazioni Lapicidi, Via di San Vecchio (c. 275)
156. Arma familiare, Via per Medicina
157. Epigrafe Cippo, Via per Medicina
158. Arma familiare, Via per Medicina
159. Iscrizione Datazione, Via del Campanile
160. Iscrizione Datazione, Via del Campanile
161. Iscrizione Datazione, Via della Ruga
162. Iscrizione Datazione, Via della Ruga
163. Iscrizione Datazione, Piazza di Castello
164. Iscrizione Datazione, Via del Campanile
165. Iscrizione Datazione, Via del Campanile
166. Iscrizione Datazione, Strada Mammianese
167. Iscrizione, Via di San Rocco
168. Iscrizione Datazione, Via della Sacrestia Vecchia
169. Incisione Antropomorfa, Via della Ruga (c. 310)
170. Iscrizione Rione, Via delle Scalette (c. 333)
171. Alquerque, Via del Campanile (c. B)
172. Alquerque, Piazza di Castello
173. Alquerque, Piazza di Castello
174. Alquerque, Via di San Rocco
175. Alquerque, Via della Ruga
176. Alquerque, Via della Ruga
177. Alquerque, Via della Ruga
178. Alquerque, Via della Ruga
179. Alquerque, Via della Ruga
180. Alquerque, Via della Ruga
181. Alquerque, Via della Ruga
182. Alquerque, Via della Ruga
183. Alquerque, Via della Ruga
184. Alquerque, Via della Ruga
185. Alquerque, Via della Ruga
186. Alquerque, Via del Campanile (sagrato
San Michele)
187. Incisione, Porta della Rocca
188. Incisione, Via del Campanile
189. Incisione, Via del Campanile
190. Iscrizione, Via del Campanile (c. 306)
191. Incisione, Via del Campanile (sagrato
San Michele)
192. Iscrizione, Via del Campanile (sagrato
San Michele)
193. Incisione, Via del Campanile (sagrato
San Michele)
194. Iscrizione, Via del Campanile (sagrato
San Michele)
195. Incisione, Via delle Scalette
196. Iscrizione, Via delle Scalette
197. Incisione, Via della Ruga
198. Incisione, Via della Ruga
199. Incisione, Via della Ruga
200. Incisione, Via della Ruga
201. Incisione, Via della Ruga
202. Incisione, Via della Ruga
203. Incisione, Via della Ruga
204. Incisione, Via della Ruga
205. Iscrizione, Via della Ruga (c. 337)
206. Incisione, Via della Ruga
207. Incisione, Via della Ruga
208. Incisione, Via della Ruga
209. Incisione, Via della Ruga
210. Incisione, Via della Ruga
Oratorio
Oratorio
Oratorio
Oratorio
Oratorio
221
Appendice
222
211. Incisione, Via della Ruga
212. Incisione, Via della Ruga
213. Incisione, Via della Ruga
214. Incisione, Via della Ruga
215. Incisione, Via della Ruga
216. Incisione, Via della Ruga
217. Incisione, Via della Ruga
218. Incisione, Via della Ruga
219. Incisione, Via della Ruga
220. Incisione, Via della Ruga
221. Incisione, Via della Ruga
222. Incisione, Via della Ruga
223. Incisione, Via della Ruga
224. Incisione, Via della Ruga
225. Incisione, Via della Ruga
226. Iscrizione, Via della Ruga
227. Iscrizione, Via della Ruga
228. Iscrizione, Via della Ruga
229. Iscrizione, Via della Ruga
230. Iscrizione, Via della Ruga
231. Iscrizione, Via della Ruga
232. Iscrizione, Via della Ruga
233. Croce, Via della Ruga
234. Incisione, Via della Ruga
235. Incisione, Via della Ruga
236. Iscrizione, Via della Ruga
237. Incisione, Via della Ruga
238. Incisione, Via della Ruga
239. Iscrizione, Via della Ruga
240. Iscrizione, Via della Sacrestia Vecchia
241. Iscrizione, Via della Sacrestia Vecchia
242. Iscrizione, Via della Sacrestia Vecchia
243. Iscrizione, Via di San Rocco
244. Iscrizione, Via di San Rocco
245. Iscrizione, Via di San Rocco
246. Iscrizione, Via di San Rocco
247. Iscrizione, Via di San Rocco
248. Iscrizione, Via di San Rocco
249. Iscrizione, Via di San Rocco
250. Iscrizione, Via di San Rocco
251. Iscrizione, Via di San Rocco
252. Iscrizione, Piazza di Castello
253. Iscrizione, Piazza di Castello
254. Iscrizione, Piazza di Castello
255. Iscrizione, Piazza di Castello
256. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
257. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
258. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
259. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
260. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
261. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
262. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
263. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
264. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
265. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
266. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
267. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
268. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
269. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
270. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
271. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
272. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
273. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
274. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
275. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
276. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
277. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
278. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
279. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
280. Icone, Piazza di Castello (c. 287)
281. Iscrizioni, Piazza di Castello (c. 285)
282. Iscrizione, Piazza di Castello
283. Incisione, Piazza di Castello (c. 286)
284. Iscrizione, Piazza di Castello
285. Iscrizione, Piazza di Castello
286. Iscrizione, Piazza di Castello
287. Iscrizione, Piazza di Castello
288. Iscrizione, Piazza di Castello
289. Iscrizione, Piazza di Castello
290. Iscrizione, Piazza di Castello
291. Iscrizione, Piazza di Castello
292. Iscrizione, Via del Campanile
293. Iscrizione, Via del Campanile (c. B)
294. Iscrizione, Via del Campanile
Indice delle schede iconologiche
295. Incisione, Via della Ruga
296. Iscrizione, Via di San Vecchio
297. Incisione, Via del Campanile
298. Incisione, Via del Campanile
299. Incisione, Via del Campanile
300. Incisione, Via del Campanile
301. Meridiana, Strada Mammianese
302. Icone, Strada Mammianese
303. Icone, Strada Mammianese
304. Icone, Strada Mammianese
305. Icone, Strada Mammianese
306. Icone, Strada Mammianese
307. Icone, Strada Mammianese
308. Icone, Strada Mammianese
309. Icone, Strada Mammianese
310. Icone, Strada Mammianese
311. Icone, Strada Mammianese
312. Icone, Strada Mammianese
313. Icone, Strada Mammianese
314. Icone, Strada Mammianese
223
Appendice
224
Abstract
The second book of the series Quaderni di Rilievo Urbano, section The Valleriana castles, has
been published on the subject of Pietrabuona castle two years after the editing of the volume on
the Sorana castle. Twenty-four months is an adequate time for the analysis of a limited dimensioned urban unit, as most of the early medieval centers of the Svizzera Pesciatina area are, following the aims of the research indicated since the beginning: the proposal of the documentation
of the phases of origin and transformation of the built-up area.
The method adopted in the text is a multidisciplinary comparison between researchers belonging to different scientific areas of interest: architectural surveyors, a landscape specialist, an archeologist, a historical medievalist, geologist and an art historian. The dialogue is not clear and in
some cases becomes incomprehensible when certain researchers take distinct stands due to their
specific knowledge, however the predisposition to the listening has often prevailed. When it isn’t
possible to reach a unanimous decision, it is preferred to keep the different opinions distinctively
clear in each article written by the various scholars (then integrating each part into the DVD). The
value of this editing is undoubtedly high and each scholar discovers a deeper comprehension in
the research of others, thus allowing the information to develop in an apparently unconnected
way. This integral information, thanks to the different experts present in the research group, has
composed a difficult puzzle, giving new and deeper meanings to various topics.
On the editorial point of view, the book maintains the same structure of that given to
Sorana’s. It seemed convenient in fact to facilitate an eventual cross reading of the two volumes
and to leave an unaltered division in chapters and in the paragraph repartition. I recall that this
printed volume has a prominent aim, however this does not cause it to become scientifically less
evidential. Behind the format of a monographic text of “simple” lectures there are professional
works written specifically for an expert audience. It is here that these contributions have been synthesized and harmonized to confer a general and organic overview of the urban history of
Pietrabuona following the intentions of the given author.
The text doesn’t aim to exhaust all the possible questions about the historical and architectural events of the town, and in fact the opposite is the case. The book could introduce new doubts,
provoke other hypotheses that have not been touched, or establish original research methods. The
academic community would be pleased even if only one of these hypotheses were proven true because this would mean that our work as scholars has been positive, therefore contributing to furthering the study and the analysis of historical urban sites. We have the conviction that only a
deep knowledge of the dynamics of the past can allow a correct planning of future interventions.
For this reason the DVD enclosed in the volume, although it is a publication on its own, contains not only the paper of each researcher, but also all those documents that for spatial reasons
are not in the paper book (transcriptions of the historical documents, files of “symbols, epigraphs
and signs on stones”, comparison between the works realized by the architects Bernardini, data
of the survey campaigns, database of the built-in and urban qualities, photographic archive, 3D
225
Il castello di Pietrabuona
226
models of the built-in and survey of the entire town and of the single architectonic main parts). All
these documents have been saved in their original format and for this reason are editable. People
that are interested in continuing the studies on the Valleriana castles are able to edit under the
Research Material. The equipe is proud of it, being an unicum on the national panorama in which
too often researchers keep the results of their studies for themselves.
The book is structured in three chapters, each divided into thematic paragraphs. The first chapter deals with the landscape of the high part of the Pescia Maggiore River valley. The landscape
reading, as a synthetic discipline, offers the possibility to integrate the diverse information from various studies conducted on a well-defined part of the territory and to develop the interrelations between the different components that constitute it, creating a “general picture” (The overall view).
We have specifically referenced the geologic structure (Geologic evolution of the landscape), the
hydrographic system, the track net (The streets), and the productive system (The productive system). These elements are undoubtedly connected to the natural resources of the territory.
It didn’t seem appropriate in this case to provide again a synthesis of the principal growth
phases of this area near the mountains, as it is already published in the book regarding Sorana, to
which we refer.
The second chapter discusses the castle of Pietrabuona. The paragraph Geologic and
Geomorphologic Aspects contributes to clarify the genesis of the shape of these spots, together
natural (in particular tied up with the geography of the territory and at the litho types present)
and artificial (for what concerns the stone materials with which the castle has been built). In a
specific paragraph (Historical notes) the main political-social events occurred at the town between
the 10th and the 20th Century is reported. Despite the great number of documents unpublished
found in the consulted archives, nothing has emerged from the reading that can make progress in
the knowledge of historical events, but they have been of fundamental importance for the reconstruction of the events tied-up to the urban structure and to the main buildings.
A critical reading of the material evidence has been possible due to the synergy between architectural archaeologists and architects. These elements flow together in the paragraph Archeological
Investigation of the Architecture, amplifying the historical knowledge of the rural center.
The paragraph Education and Development Phases treats the urban and built dynamics that
occurred within the castle. When using the term “built”, we intend to incorporate all things that
human beings have constructed through the centuries with the aim to bind the simple action of
living (base buildings) and of social, spiritual and productive life (special buildings). These last
buildings: The Rocca, The oratory of Saint Michael Arcangelo, The church of the Saints Michael
and Colombano, The public palace, The hospital of Saint Rocco, The public fountain and The
“Saint Rocco” paper factories, besides to the constructive military system of the 14th Century
used to protect the castle, have been the subject of a meticulous study converged each in a paragraph. Here, near to the survey, the constructive and stylistic characters of the buildings are described, as well as the events that happened to them throughout time.
The “special” architecture present in the inhabited center are also spaces used to host the artworks that during the centuries have been realized within the local area or imported from more
important art centers. The artistic evidence present in Pietrabuona, set out in the paragraph The
described image, put Pietrabuona in a cultural position that is not at all marginal in the Tuscan
artistic panorama between 14th and 17th Century. It is possible to find permeating vivacity within
the elements developed in the art botteghe of the main artists of that time.
Abstract
Of sure interest for the comprehension of the politic weight held by the settlement from the
10th to the 18th century are the depictions impressed in the stones with an evident symbolic
value, the epigraphs and the signs left from the handcrafts workers on stones. Beyond testifying
the degree of erudition of a community, their identification and the consequent reading made in
relation to their position in the urban environment allow to ascribe a work at a certain age rather
than another.
The survey ultimately makes some hypotheses regarding the existence of a project at the base
of the constructing of the fourteenth-century wall curtain (The circle of wall) and on the meaning
attributed at the particular orientation of the Bolognese door belonging to this wall (Astronomic
orientation with calendarial function of medieval architectures).
The paragraph The Urban Environment at the end of this chapter contains the description of
the characters that connote today the public spaces of the castle: typology and deterioration of
the pavings, the walls, the external frames, public systems, and the draining of rain water and of
all that gives its contribution to form the image of the town. This information has been deduced
from a filing realized in loco during the survey campaign and merged in a computerized database.
The third and last chapter contains three different papers that all face in detail the aspects
tied-up to methods and instruments used during the survey of the entire center and the following
phase of graphic restitution of data. In particular, in the paragraph The representation of the castle, the first results of a project in which there have been attempts of established relationships are
illustrated using software dedicated to game engine between the database containing the information on urban and built qualities of Pietrabuona with the 3D model realized through procedures of reverse modeling, retopology and baking.
The book is completed with a dense Appendix in which there are the list of the toponym that
reoccur in the oral tradition with their respective definition and the index of the iconological files
necessary to comprehend the symbols, the epigraphs and the signs studied. At last there are the
bibliographic indications of the books consulted and the index of the researchers that have participated at the draft of this volume.
227
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239
Indice dei ricercatori
Ph.D. Arch. Laura Aiello, dottore di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di
Architettura - Università degli Studi di Firenze
Dott.ssa Elisa Bechelli, storica medievista, afferente al Dipartimento di Storia della Facoltà di Lettere
e Filosofia - Università di Pisa
Arch. Silvia Bertacchi, dottoranda di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente” presso la Scuola Nazionale di Dottorato in “Scienza della Rappresentazione e del
Rilievo”, sede Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della
Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze
Dott.ssa Serena Di Grazia, geologa, libera professionista
Ph.D. Arch. Filippo Fantini, dottore di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente”; borsista di studio “Santiago Grisolia” e “tecnico superior” presso l’”Instituto
Universitario de Restauración del Patrimonio” dell’Univerdidad Politecnica de Valencia
Ph.D. Arch. Erica Ganghereti, dottore di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di
Architettura - Università degli Studi di Firenze
Cinzia Jelencovich, libera professionista
Ph.D. Arch. Gaia Lavoratti, dottore di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di
Architettura - Università degli Studi di Firenze
Dott.ssa Elisa Maccioni, storica dell’arte, ricercatrice in Storia dell’arte moderna e libera professionista
Dott. Antonino Meo, dottorando di ricerca in Discipline Umanistiche (Programma Archeologia) presso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Pisa, specialista in Archeologia tardoantica e medievale
Ric. Arch. Alessandro Merlo, ricercatore in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di
241
Il castello di Pietrabuona
Architettura - Università degli Studi di Firenze, docente di “Rilievo dell’Architettura” presso la stessa
Facoltà, presidente del CISPUT
Ph.D. Arch. Emanuela Morelli, architetto e architetto paesaggista, diplomata alla Scuola di
Specializzazione “Architettura dei Giardini e Progettazione del Paesaggio” dell’Università di Firenze,
dottore di Ricerca in Progettazione Paesistica presso la Facoltà di Architettura - Università degli
Studi di Firenze; docente a contratto presso l’Università degli studi di Firenze, il Politecnico di
Milano e l’Università di Bologna e assegnista di ricerca presso il DUPT dell’Università degli studi di
Firenze
Prof. Pablo Rodriguez Navarro, professore presso l’Escuela Técnica Superior de Ingeniería de
Edificación afferente al Departamento de Expresión Gráfica Arquitectónica, docente di “Disegno
dell’Architettura” e “Fotogrammetria architettonica” presso la stessa facoltà
Arch. Duccio Troiano, dottorando di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente” presso la Scuola Nazionale di Dottorato in “Scienza della Rappresentazione e del
Rilievo”, sede Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della
Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze
Ph.D. Arch. Uliva Velo, dottore di ricerca in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di
Architettura - Università degli Studi di Firenze
Ric. Arch. Giorgio Verdiani, ricercatore in “Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente”; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno, Storia, Progetto della Facoltà di
Architettura - Università degli Studi di Firenze, docente di “Disegno Automatico” e “Disegno
dell’Architettura” presso la stessa Facoltà, direttore del LIA
242
Indice del DVD
IL CASTELLO DI PIETRABUONA
ABSTRACT
INTRODUZIONE
ABBREVIAZIONI NEL TESTO
GRUPPO DI RICERCA
TESTI
Presentazioni
Emma Mandelli
Amleto Spicciani
Introduzione
Alessandro Merlo
Il significato dei nomi
Rodolfo Vanni
Una lettura di sintesi per il paesaggio del castello di Pietrabuona
Emanuela Morelli
Studio dell’evoluzione geologica nel paese di Pietrabuona con considerazioni in merito ad un’attività estrattiva all’interno della cinta muraria
Serena Di Grazia
Sulla via dell’acqua
Laura Aiello
Il rilievo di Pietrabuona
Alessandro Merlo
Note storiche
Alessandro Merlo
Primi dati dall’analisi archeologica sulle architetture
Antonino Meo
Fasi di formazione e sviluppo
Alessandro Merlo
La Rocca. Da luogo di culto a presidio difensivo
Gaia Lavoratti
La chiesa di San Matteo e Colombano, ex oratorio di San Michele, a Pietrabuona
Erica Ganghereti
243
Il castello di Pietrabuona
La chiesa dei Santi Matteo e Colombano
Silvia Bertacchi
Il palazzo pubblico
Gaia Lavoratti, Pablo Rodriguez Navarro
Due cartiere dismesse a Pietrabuona
Uliva Velo
L’immagine descritta
Elisa Maccioni
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi a Pietrabuona: l’analisi iconologica nella conoscenza dei manufatti architettonici
Cinzia Jelencovich
Orientamento astronomico con funzione calendariale delle architetture medievali di Pietrabuona
Cinzia Jelencovich
Il rilievo delle qualità ambientali di Pietrabuona
Duccio Troiano
Il rilevamento digitale
Alessandro Merlo, Giorgio Verdiani
I sistemi di ottimizzazione image based per la gestione dei modelli digitali 3D a scala urbana
Alessandro Merlo, Filippo Fantini
INDICE DELLE SCHEDE ICONOLOGICHE
TRASCRIZIONE DOCUMENTI
CRONOLOGIA E SCHEDATURE
BIBLIOGRAFIA GENERALE
INDICE DEI RICERCATORI
TRASCRIZIONE DOCUMENTI
CRONOLOGIA
SCHEDATURE
Gli edifici religiosi progettati dagli architetti Bernardini
Silvia Bertacchi
Analisi iconologica ed epigrafica a Pietrabuona. La schedatura dei simboli, delle epigrafi, delle marche lapidarie
Cinzia Jelencovich
Toponomastica popolare otto-novecentesca di Pietrabuona
Rodolfo Vanni
244
Indice del DVD
MATERIALE ICONOGRAFICO
Catasti storici
Immagini aeree
CTR della Valdinievole – Scala 1:10.000
CTR Pietrabuona – Scala 1:2.000
RILIEVO
Riammagliamento catastale
Sezioni ambientali
Le porte urbiche
La Rocca
La chiesa di San Matteo e Colombano (ex oratorio di San Michele)
La chiesa ottocentesca dei Santi Matteo e Colombano
Il palazzo pubblico
Le cartiere “San Rocco”
Il rilievo topografico
Carta geologica
Database delle qualità edilizie e urbane
245
Edizioni ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
[email protected] - www.edizioniets.com
Finito di stampare nel mese di ottobre 2012