Alessandro Merlo
Il castello di Sorana
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Quaderni di Rilievo Urbano
ricerca
Il castello di Sorana
A. Merlo
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Edizioni ETS
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Quaderni di Rilievo Urbano
Direttore
Alessandro Merlo
Comitato scientifico
Stefano Bertocci, Marco Bini, Emma Mandelli, Francisco Juan Vidal
Comitato di redazione
Cristina Boido, Gaia Lavoratti, Francesco Maglioccola, Alessandro Merlo,
Uliva Velo, Giorgio Verdiani
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Quaderni di Rilievo Urbano
Alessandro Merlo, Il castello di Sorana, 2010, pp. 246
Aa.Vv., Il castello di Aramo, in preparazione
Gaia Lavoratti, Pescia insediamento bipolare, in preparazione
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Il castello di Sorana
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Dipartimento di Architettura
Disegno Storia Progetto
Ricerca finanziata con i fondi per la ricerca scientifica di Ateneo (ex quota 60%),
progetto “Rilievo e documentazione dei centri minori della Svizzera Pesciatina:
gestione informatizzata del patrimonio architettonico e ambientale”,
responsabile Prof. Alessandro Merlo e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio
di Pistoia e Pescia per il progetto “Rilievo e documentazione dei nuclei insediativi minori
della Svizzera Pesciatina (centro di Sorana)”.
In copertina
ASLU, Offizio sopra le differenze dei Confini n. 571, mappa n. 130 (n. 469 nuova segnatura).
L’acquerello raffigura i castelli soggetti a Firenze ed a Lucca, siti sulle sponde della Pescia di Pontito.
Nella parte alta della composizione sono rappresentati Stiappa, Pontito, San Quirico, Castelvecchio
ed il Battifolle; al centro compare il mulino di Sorana lungo il corso della Pescia, mentre il comune
omonimo è collocato sul margine destro del dipinto. In basso sono riportati invece la gora ed il mulino di San Quirico.
© Copyright 2010
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
[email protected]
www.edizioniets.com
Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]
ISBN 978-884672780-0
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Il castello di Sorana
La natura di questa ricerca ha richiesto la partecipazione di un nutrito gruppo di studiosi di discipline diverse, i cui apporti hanno consentito di delineare, grazie ad un continuo scambio di informazioni tra gli stessi operatori, un quadro quanto più esaustivo possibile della struttura urbana di
Sorana e delle sue vicende edilizie.
A seguito di questa impostazione, lo scrivente, oltre ad aver coordinato le diverse fasi dello studio,
si è cimentato nella rielaborazione dei testi scritti dai collaboratori (i cui originali sono riportati integralmente nel DVD) con il duplice scopo di: “armonizzare” tra loro in un unico saggio parti alcune
volte troppo specialistiche o, in altri casi, ripetitive e ridondanti, che avrebbero reso la consultazione del libro faticosa, costringendo il lettore a continui salti da un contributo all’altro per poter delineare un profilo coerente della storia materiale del castello; assecondare le esigenze editoriali e tipografiche che impongono il rispetto delle caratteristiche proprie della collana (l’apparato di note, ad
esempio, è stato fortemente ridotto e le singole bibliografie sono confluite in un unico elenco generale). Molti scritti, pertanto, hanno perso la loro “individualità” per sostanziare tesi più complesse
formulate all’interno del volume, mentre altri, proprio per la loro specificità, hanno mantenuto l’aspetto conferito loro dai singoli autori.
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Gruppo di ricerca
Coordinatore scientifico
Alessandro Merlo
Campagna di rilievo e acquisizione dati
Restituzioni grafiche ed elaborazioni dati
Documentazione storica
Elisa Bechelli
Elaborati grafici CAD
Elisabetta Del Grande, Giulia Galeotti,
Erica Ganghereti, Francesca Grillotti,
Gaia Lavoratti, Alessandro Merlo
Documentazione fotografica
Elisabetta Del Grande, Cinzia Jelencovich,
Antonino Meo, Giorgio Verdiani
Rilievo diretto (responsabili)
Sara D’Amico, Giulia Galeotti, Erica Ganghereti,
Francesca Grillotti, Gaia Lavoratti, Alessandro Merlo
Rilievo diretto (collaboratori)
Michela Achilli, Chiara Bardelli, Marco Bennati,
Enrica Bini, Simone Braccagni,
Valentina Ceccarelli, Damiano Cerami,
Kessy Dongiovanni, Giacomo Fabbri,
Valentina Fantini, Giulia Giuntini,
Marianella Stillavato
Data base nuvola dei punti
Giorgio Verdiani, Massimo Zucconi
Rilievo topografico
Francesco Tioli
Analisi del paesaggio
Ilaria Agostini, Sara D’Amico
Rilievo laserscan
Alessandro Peruzzi (Area 3D - Livorno),
Giorgio Verdiani
Analisi UME e UMU
Duccio Troiano, Massimo Zucconi
Rilievo archeologico
Federico Andreazzoli, Antonino Meo
Rilievo del paesaggio
Ilaria Agostini, Sara D’Amico
Schedatura UME e UMU (responsabili)
Duccio Troiano, Massimo Zucconi
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Elaborazione nuvola dei punti
Sara D’Amico, Giulia Galeotti, Erica Ganghereti,
Francesca Grillotti, Gaia Lavoratti,
Alessandro Merlo, Giorgio Verdiani,
Massimo Zucconi
Schedatura UME e UMU (collaboratori)
Michela Achilli, Chiara Bardelli, Marco Bennati,
Enrica Bini, Simone Braccagni,
Valentina Ceccarelli, Damiano Cerami,
Kessy Dongiovanni, Giacomo Fabbri,
Valentina Fantini, Giulia Giuntini,
Marianella Stillavato
Elaborazioni 3D
Massimo Gasperini, Elisabetta Del Grande
Schedatura - Data base tessiture murarie
Federico Andreazzoli, Antonino Meo
Schedatura iconologica - Data base
stemmi e simboli
Cinzia Jelencovich
Analisi iconografica
Emanuele Pellegrini
Relazione geologica
Serena Di Grazia
Sezione Architettura e Disegno (Firenze)
http://www3.unifi.it/dpprar
Dottorato di Ricerca in Rilievo e Rappresentazione
dell’Architettura e dell’Ambiente (Firenze)
Laboratorio di Topografia- Dipartimento di
Architettura: Disegno-Storia-Progetto (Firenze)
Scansioni laser: Area 3D (Livorno)
JRC 3D Reconstructor - Gexcel s.r.l. (Brescia)
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Abbiamo in sorte di vivere in un territorio costellato di bellezze talora quasi invisibili, molteplici e diverse, spesso celate allo sguardo dei più: questione di temperie, di storia, o anche
solo di morfologia. Gli insediamenti della Svizzera Pesciatina – toponimo che parla chiaro già
da solo – rappresentano uno dei tesori nascosti della provincia pistoiese. Abitanti e abitazioni delle “castella” della Valleriana sono gioielli da trattare con cura e attenzione, specie in anni
come questi, che li stanno portando alla doverosa attenzione di curiosi italiani ed europei, fortunatamente strappandoli, almeno per il momento, alle speculazioni del circuito del turismo
massiccio (che poco può aggiungere al carattere e alla storia di un luogo e anzi a volte rischia
di snaturarli).
Questi grappoli di case sparsi sulle colline, con le loro chiese, talora veri capolavori, hanno
avuto la possibilità e la dignità di essere studiati e scandagliati a fondo, nel loro insieme e nei
particolari. Il progetto editoriale dei “Quaderni di rilievo urbano” è coronamento e tappa
intermedia di un lungo lavoro teorico e tecnico portato avanti dal team del prof. Alessandro
Merlo: un vademecum per i vicoli di Sorana che si è preso la briga di osservare, studiare e raccontare ogni pietra, ogni simbolo, ogni vicenda dissimulata nelle pieghe di scale e stradicciole. La peculiarità di questa ricerca è che ha scelto di non essere la sede per mettere un’ultima, definitiva parola in merito; al contrario, si configura come un utile strumento che ha i tratti del laboratorio didattico aperto, a beneficio di chi vorrà proseguire sulla scorta di questo
studio, impiegando la sintesi esposta in questo volume e il materiale digitale che ne accompagna l’uscita.
Un progetto che la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia ha accolto e sostenuto ben volentieri, per il suo valore scientifico e per la passione che lo sottende. Crediamo
che opere come questa possano concretamente, e nel tempo, contribuire attivamente alla
conoscenza e alla salvaguardia del patrimonio storico e culturale del nostro territorio.
Ivano Paci
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia
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Sommario
Presentazioni
Emma Mandelli
Amleto Spicciani
Premessa per la conoscenza delle dieci castella
Alessandro Merlo
Terra fra le due acque, uomini fra Lignana incombente e Montecarlo lontano…
Giovanni Benvenuti
Capitolo I - La Valleriana
Processi di antropizzazione
Ritratto di una valle appenninica
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Capitolo II - Il castello di Sorana
Il rilievo di Sorana
Aspetti geologici
Il disegno della maglia agraria
Note storiche
Fasi di formazione e sviluppo
Il progetto dell’accrescimento trecentesco
La Rocca Sovrana
La chiesa dei SS. Pietro e Paolo
L’oratorio di San Giuseppe
La fontana pubblica
I metati
L’immagine descritta
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi
L’ambiente urbano
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157
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171
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati
Il rilievo integrato: metodi e strumenti
La rappresentazione del castello
Il database delle qualità edilizie e urbane
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211
APPENDICE
Cronologia
Indice delle schede iconologiche
215
223
ABSTRACT
BIBLIOGRAFIA
INDICE DEI RICERCATORI
INDICE DEI CONTENUTI DEL DVD
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241
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Abbreviazioni nel testo
ASFI
Archivio di Stato di Firenze
ASLU
Archivio di Stato di Lucca
ASPI
Archivio di Stato di Pisa
SASPE
Sezione d’Archivio di Stato di Pescia
AAL
Archivio Arcivescovile di Lucca
Appe
Archivio delle parrocchie di Pescia
APS
Archivio della Parrocchia di Sorana
AVPE
Archivio Vescovile di Pescia
BComPE
Biblioteca Comunale di Pescia
GFS
Gabinetto Fotografico della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico
e Etnoantropologico per le province di Firenze Pistoia e Prato
KHI
Kunsthistorisches Institut in Florenz
Autorizzazioni
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Il presente volume contiene riproduzioni di documenti posseduti:
– dalla Regione Toscana, foto aerea di Sorana. Immagine aerea da ripresa a bassa quota realizzata dal
Servizio Geografico della Regione Toscana nell’ambito di periodiche campagne di rilevamento –
AereoFototeca dell’Archivio Cartografico Regionale.
– dalla Sezione d’Archivio di Stato di Pescia (SASPE), conservati nel fondo Archivio del Comune di
Vellano. La pubblicazione delle fotoriproduzioni è soggetta all’autorizzazione numero: protocollo
3/IX-4-1 del 04/01/2010, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
– dall’Archivio di Stato di Lucca (ASLU), conservati nel fondo Offizio sopra le differenze dei Confini,
nel registro numero 571. La pubblicazione delle mappe è soggetta all’autorizzazione numero 4771
del 30/12/2009, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
– dall’Archivio di Stato di Firenze (ASFI), conservati nel fondo Capitani di Parte Guelfa, nel registro
numero 942 e nel fondo Piante dei Capitani di Guelfa numero 152. La pubblicazione delle fotoriproduzioni è soggetta all’autorizzazione numero: protocollo 239 del 04/01/2010, su concessione del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
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Presentazione
Presentare un lavoro scientifico è sempre un impegno, ma se questo lavoro è il primo di
una collana di Quaderni su argomenti di ricerca legati in un preciso progetto, è cosa ben più
complessa.
Per quanto è di mia competenza, considero questa iniziativa di notevole interesse anche
per il futuro, e perciò ritengo utile e produttivo puntualizzare le origini dei problemi che tratterà e il tipo di ricerca che, grazie a questi Quaderni, avrà la possibilità di essere conosciuta
tanto da altri docenti che dagli studenti.
Questo primo numero pubblica i lavori di una équipe di studiosi della quale fanno parte
alcuni dottori di ricerca e ricercatori dell’area fiorentina del disegno, compreso Alessandro
Merlo, direttore della collana, autore e coordinatore di questo numero, affiancato da un comitato scientifico formato da professori della Sezione Architettura e Disegno. Occorre precisare
che non si tratta del lancio editoriale di una rivista, ma di una proposta di divulgazione tecnica e scientifica che intende diffondere i risultati di alcuni studi, in grado di originare un confronto e dar luogo ad un loro conseguente sviluppo, come si conviene al livello dei suoi contenuti.
Questa collana di Quaderni, partendo dall’usuale titolo di Rilievo Urbano, intende ampliare il campo d’interesse a studi rivolti alla rilevazione dell’architettura non solo nella sua singolarità, ma nel suo essere parte di un sistema, aggregato e contestualizzato in un ambito
definito urbano. Oggi è possibile constatare come in questi ultimi anni la ricerca intorno all’argomento sia cresciuta dalle proprie radici scientifiche ed abbia generato un interessante dibattito nazionale ed internazionale, ma soprattutto nuovi e concreti segnali di attenzione verso
più complessi problemi del territorio antropizzato e naturale da parte degli organi istituzionali afferenti al settore.
In particolare, attraverso incontri e seminari allargati, le esperienze didattiche e di ricerca
legate all’insegnamento del Rilievo Urbano hanno offerto spunti di riflessione, chiarendo
metodologie espressive che sono state d’aiuto per suscitare l’attenzione degli studiosi sulla
necessità di ben impostare l’esame del costruito storicizzato mediante passaggi continui dell’indagine dal territorio all’architettura e viceversa. Argomento questo di grande interesse e
attualità, essendo sotto gli occhi di tutti la crisi della cultura della pianificazione tanto di iniziativa pubblica quanto privata (ma sempre controllata dalle istituzioni pubbliche preposte) e
della generale caduta della qualità della progettazione sul territorio.
Da considerazioni e dibattiti interni riguardo a questi temi è nata la decisione di avviare in
maniera semplice, ma scientificamente verificata, una Collana di Quaderni con l’intento di
testimoniare, con saggi e campioni adeguati, lo “stato dell’arte” nel quale si trovano oggi la
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Il castello di Sorana
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ricerca e la didattica, proponendo un importante riscontro delle modalità (messe a punto con
l’applicazione alla ricerca teorica e sul “campo”), degli strumenti dell’ambito critico di analisi
e, non certo ultimo per importanza, del processo metodologico completo applicato alla rilevazione integrata in questo settore così delicato e importante anche in campo sociale ed economico-amministrativo, soprattutto locale.
La prima ricerca pubblicata in questa collana Quaderni di Rilievo Urbano reca il titolo “Il
castello di Sorana”, impostata, coordinata e sviluppata da Alessandro Merlo. Il volume tratta
dello studio di un particolare centro fortificato facente parte dell’area delle “Castella della
Valleriana” nel territorio toscano del pesciatino.
La pubblicazione e la discussione riguardo a questo insediamento, consistono nell’esito di
un articolato insieme di ricerche sul territorio della Val di Nievole, su Pescia e sulla “Svizzera
Pesciatina” che Alessandro Merlo ha coordinato e approfondito nel tempo indirizzando il lavoro di alcuni gruppi di ricerca interdisciplinare collegati, per la parte operativa e strumentale,
alla Sezione Architettura e Disegno, in particolare al dottorato fiorentino di Rilievo e
Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente.
Teoria e metodi di rilevazione e analisi urbana sono qui adottati non come esercizio di possibili repertori e raffigurazioni, ma come occasione per rendere scientifico un processo di conoscenza che si propone di rileggere la complessità delle sedimentazioni storiche, fortemente
influenzate non solo dalle esigenze materiali dell’architettura, ma in modo specifico dagli
scopi sociali, economici, politici e religiosi della comunità che a suo tempo ne volle l’edificazione. Definire le interazioni agenti fra la morfologia del costruito così come lo possiamo
osservare nello stato in cui oggi si trova e la consistenza dei condizionamenti causati dal fattore umano e dalla configurazione topo-geografica dei luoghi, determina il peso di ogni fase
specifica della rilevazione.
La conseguenza è una conoscenza allargata che non pone limiti artificiosi al tessuto urbano, alle emergenze monumentali del costruito, al contesto territoriale del paesaggio.
Conoscenza che nella sua fase di acquisizione dei dati e del loro naturale incremento ha fatto
tesoro dell’aiuto interdisciplinare del quale ha potuto usufruire per il conseguimento degli
obiettivi prefissati.
La nozione scientifica di sistema come convergenza di molteplici competenze raccolte e
utilizzate per un unico obiettivo, è il filo conduttore degli apporti critici e tecnici che puntualmente ritroviamo in questa pubblicazione. L’unità sistemica, verificata nel corso del passaggio
da semplice aggregato a sistema, è ciò che prima di tutto fa di una conoscenza comune una
scienza e permette alla notevole quantità dei dati raccolti di diventare informazioni con contenuti specifici che si appoggiano ad un’analisi di base non indifferenziata.
Questa prospettiva, largamente indagata negli ultimi trent’anni di ricerche e attenti confronti in seno alla comunità scientifica, è gradualmente diventata un ambito di interesse precipuo intorno anche alle distinzioni terminologiche – dai concetti di bene culturale alle definizioni allargate di beni ambientali fino all’introduzione del concetto di paesaggio – alle quali
definizioni si legano la scelta inequivocabile della dimensione e scala dei comparti, o porzioni di territorio e paesaggio, che sono oggetto di ricerca al fine di scegliere e formare strumenti
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Presentazione
più efficaci per una conoscenza integrata: dalla raccolta dei dati alla loro gestione ultima.
In questo campo scientifico e didattico, a mio avviso, la rappresentazione assume il ruolo
fondamentale che gli compete di nodo strategico da sciogliere. Da quella cartografica a quella degli elementi di analisi della forma urbis, la figurazione deve poter lasciare individuare con
immediatezza e precisione, e raccontare con efficacia, lo stato di fatto nelle giuste dimensioni, evidenziando i fondamentali elementi costitutivi mediante l’uso appropriato del disegno.
Circoscrivere con esattezza gli ambiti di studio e le scale della rilevazione evitando di far coincidere la storia con la conoscenza rappresentata della città e del suo territorio, significa poter
attribuire alla capacità di verifica la lettura critica allargata ai settori della ricerca. Il problema,
come in altri campi delle attività umane, è dato dalla esatta individuazione delle peculiarità
sulle quali impostare un metodo scientifico senza porre, previamente agli obiettivi indicati,
classificazioni precostituite. Se il fatto più evidente consiste nella rilevazione della complessità,
ossia della conoscenza dei molti contenuti oltre che della forma, il processo metodologico da
seguire è fondamentale.
Volendo sintetizzare i passaggi del procedimento che è stato attivato dal gruppo di lavoro
coordinato da Alessandro Merlo nelle ricerche condotte fino ad oggi, dove la rilevazione integrata è fondamentale – e parimenti in questa sui castelli della Valleriana che oggi sono posti
all’attenzione in questa pubblicazione – sarebbe necessario entrare nelle situazioni peculiari
di ciascuno. Nel lavoro oggi pubblicato è leggibile con chiarezza la sequenza dei punti principali: l’analisi dello stato di fatto, l’integrazione scientifica, la presa dei dati, l’elaborazione per
la tolleranza, ammissibilità e resa di compatibilità dei dati raccolti, la rappresentazione, la
conservazione e la trasmissione adeguata delle informazioni. In questa successione operativa eminentemente metodologico-pratica, si innesta produttivamente la lettura critica dei dati
acquisiti e, in ultimo, l’analisi scientifica finalizzata.
Importanza a parte rivestono i procedimenti tecnici della rappresentazione, informatici o
cartacei che siano, a loro volta frutto di strumenti diversi che richiedono lunghe elaborazioni
spesso molto vantaggiose per la possibilità di analisi comparate che sono in grado di produrre come obiettivo secondario, e di sintesi adeguate che da essi si possono ricavare. I rilievi
nella loro fase di presa non costituiscono un documento probante, ma un insieme di dati ancora da scegliere, verificare e coniugare nel riconoscimento della forma geometrica degli oggetti rilevati necessaria per la sua trasformazione in rappresentazione, che si evolve, dunque, in
un fatto non univoco sia per i codici attuali in discussione sia per le possibilità tipologiche. Si
possono produrre disegni grafici cartacei applicando le regole della geometria descrittiva, o
creare disegni virtuali, bidimensionali oppure tridimensionali dai quali trarre, al momento in
cui servono, i riferimenti necessari di misura e forma. Si possono avere elaborati grafici o analitici in sintonia e in parallelo per il confronto.
Per concludere, a mio giudizio, l’aspetto peculiare del libro consiste nell’avere creato un
percorso di lettura a più livelli nel quale il tema del Castello di Sorana pone all’attenzione del
lettore aspetti ed argomenti che si dipanano e si sostanziano, per la presenza di approfondimenti critici, come in un avvincente racconto.
Gestiti con sicurezza e competenza in un coordinamento mirato, le analisi interpretative e
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gli ambiti dei rilevamenti prendono corpo scientifico consistente, poiché rivelano con chiarezza di essere appoggiati a conoscenze specifiche conquistate proprio nel corso di quello stesso processo di rilevazione. Sviluppo operativo che dimostra di saper raccogliere tutti gli elementi di riferimento necessari per la lettura critica e per la costruzione dei riferimenti tematici che saranno poi indispensabili sussidi nella progettazione in ambito di salvaguardia, restauro o immissione di nuovi inserimenti.
Una considerazione ultima è rivolta alla popolazione di quel territorio, che potrà riconoscere la propria identità e usufruire con diritto di questa specifica ricerca. Lo studio nel suo
complesso ha infatti dotato gli abitanti e gli operatori del luogo di una chiave di “conoscenza” del loro patrimonio. Conoscenza che, determinando una consapevolezza diffusa, è preludio imprescindibile del senso di valore e appartenenza, unica via sicura per capire, amare e
perciò vivere responsabilmente la conservazione e il rinnovamento delle nostre città storiche
e dei territori antropizzati che le contornano.
L’augurio finale che intendo porgere a questo Quaderno, e agli altri della collana che
vedranno la luce, è che questa iniziativa abbia seguito e possa costituire nel tempo uno strumento valido di divulgazione e dibattito, in particolare fra i giovani ricercatori, verso obiettivi
scientifici avanzati nel campo specifico delle discipline trattate dagli studiosi della cultura
architettonica.
Firenze, settembre 2010
Emma Mandelli
Professore Ordinario, docente di Rilievo dell’Architettura
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Presentazione
Viene dato alle stampe, con questo libro, un accuratissimo lavoro di rilievo urbano, corredato da altri interventi specifici di ricerca storica e archeologica, insieme con interessanti
osservazioni di costume e di religione. Ce ne dobbiamo rallegrare, tra l’altro anche per l’audacia dell’iniziativa e per il coraggio scientifico dimostrato dal gruppo di ricerca coordinato
dall’amico prof. Alessandro Merlo. Infatti, se il rilievo architettonico è assunto come “strumento prioritario” per la lettura e l’interpretazione della realtà urbana di Sorana, è anche vero
– come afferma lo stesso Alessandro Merlo nella sua introduzione – che “occorre leggerne i
segni nascosti e interpretare le relazioni tra misura e storia”. Ma appunto – e qui sta l’audacia – la storia di Sorana, che è un paese dell’alta Valdinievole oggi denominata Valleriana, non
si conosce, oppure diciamo che la possiamo intuire solo “supponendo” che esista un possibile riflesso locale dei grandi avvenimenti della Tuscia medioevale e della Toscana moderna e
contemporanea. A tale proposito anch’io sono imputabile di meritoria leggerezza scientifica
per aver curato la pubblicazione di due volumi di archeologia e di storia medievale della
Valleriana, i quali ampiamente dimostrano il vuoto storiografico in cui ci muoviamo nell’intento di comprendere la realtà umana e le vicende dei tempi di questa terra. Alludo al libro di
Quirós Castillo, La Valdinievole nel medioevo e a quello da me direttamente curato con il titolo Viaggio in Valleriana, che ambedue sono qui ampiamente citati.
Quello che sappiamo dalla storia della Valleriana di cui Sorana fa parte, è presto detto.
Guardando le cose da Lucca, la Valleriana appare come la parte orientale dell’antico “comitatus” lucchese e della sua diocesi, qui confinante con Pistoia. L’unità territoriale della valle
appare suddivisa in due grandi giurisdizioni plebane, che dettero vita e sostanza a due vallecole distinte, la Valleriana propriamente detta con la pieve di San Tommaso “de Arriana” a
occidente e la Valle avellanita con la pieve di San Martino di Avellano a oriente; Sorana faceva parte della pievania ariana, ma a oriente, verso San Martino avellanita. E non bisogna mai
dimenticare, studiando questo territorio, una caratteristica geografica importante: la Valleriana
propriamente detta ha dietro di sé il precipizio quasi impraticabile della valle della Lima, mentre all’opposto la vallecola avellanita è, ed è stata, una comoda e frequentata via di accesso
agli Appennini e ai suoi valichi.
Nel febbraio del 1339 queste due valli, grosso modo, furono politicamente separate dalla conquista fiorentina della parte avellanita (comprendendo anche Sorana) e rimasero distinte – come
terre di confine politico – fino all’ottobre del 1847 quando anche Lucca entrò a far parte del granducato toscano. L’unità diocesana lucchese – naturalmente non alterata dalla frantumazione politica – finì invece nel 1519, con la erezione della diocesi di Pescia nel vecchio territorio lucchese –
oggi denominato Valdinievole – passato nel 1339 sotto la dominazione fiorentina.
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Il castello di Sorana
La Valleriana – in senso ampio, come oggi la intendiamo – fu dunque divisa in due parti
da un confine politico lungo il quale anche oggi corre la distinzione tra le terre della diocesi
di Lucca e quelle di Pescia. Ma quali furono le conseguenze storiche di questa situazione prima
solo politica e poi anche diocesana? Quali i riflessi locali storici e religiosi di questi avvenimenti? Ho letto in questo libro un simpatico esempio, del 1761, a proposito di un argomento che giustificò la spesa di installazione di un orologio pubblico sul campanile di Sorana.
L’orologio dunque fu installato “considerato l’infelicità del loro castello, che non sente alcun
orologio se non quello di San Quirico nello Stato di Lucca, che andando all’italiana, in cambio
di essere di giovamento resta di qualche pregiudizio, confondendo ben spesso le sacre funzioni” (cfr. p. 108). A San Quirico dunque, che è un paese di faccia a Sorana anche oggi sul
versante ecclesiastico lucchese, le ore del giorno erano ancora scandite “all’italiana”, cioè
facendole cominciare non già dalla mezzanotte (sistema fisso, alla francese), ma dal suono
vespertino della campana mezz’ora dopo il tramonto. Il suono della campana, secondo un preciso prospetto, variava naturalmente – e varia anche oggi – con il cambiare delle stagioni,
determinando cambiamenti nella scansione delle ore. Le ore “all’italiana” non sono mai, se
non per brevi periodi, alla stessa ora; praticamente il grande orologio era il sole: ho conosciuto anziani che facevano ancora così e sapevano l’ora anche a cielo torbato.
Chi abita da queste parti, con un po’ di attenzione si rende conto di cos’è stata nel passato la presenza di un confine politico e oggi di quello diocesano. Intanto si avverte una forte
diversità dei modi di dire e della stessa parlata (lucchese ad occidente e fiorentinizzata ad
oriente); poi c’è qualcosa di diverso nelle devozioni, nelle usanze, nella mentalità e nelle abitudini. Insomma, per metà della Valleriana ancora oggi Lucca è il vescovo e la tradizione, mentre per l’altra metà Lucca è soltanto Lucca. Tuttavia permane anche oggi una visibile unità territoriale, che soprattutto si manifesta – a mio parere – nella quasi totale assenza di abitazioni sparse, poiché la popolazione – sia lucchese che fiorentinizzata – vive accentrata nei paesi.
Paesi in questo libro sempre denominati “castelli”, creando in tal modo equivoci e fraintendimenti, per una sottintesa realtà “militare”, presumibile, ma ancora da dimostrare. Non del
tutto adeguata – almeno ai miei orecchi – anche se purtroppo consolidata nella tradizione
comune, la denominazione sismondiana di “Svizzera pesciatina”, che ignora la storia e soprattutto mortifica la radicata lucchesità di gran parte di questo mondo montanino.
Detto questo, voglio però concludere ripetendo i miei iniziali rallegramenti. Siccome è
impossibile – per più ragioni – organizzare e sostenere una ricerca storica sistematica della
Valleriana (ma è lo stesso anche per la più ampia Valdinievole), ben vengano dunque anche
lavori storicamente pionieristici. Intuire i problemi dell’esistenza e suscitare curiosità storiche
– come questo libro sa fare – sono infatti due modi importanti non solo per auspicare, ma
addirittura per porre le necessarie premesse di ulteriori proficui lavori storici.
Pescia, 7 luglio 2010
Amleto Spicciani
Canonico, ricercatore in Storia Medievale
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Premessa per la conoscenza delle dieci castella
Con questo volume si inaugura la collana Quaderni di Rilievo Urbano, che ospiterà i
risultati delle ricerche operate nello specifico ambito della città e del territorio utilizzando il
rilievo come strumento prioritario per la lettura e l’interpretazione delle diverse realtà indagate. Nel loro piano generale i quaderni si compongono di una sezione principale – nella
quale saranno pubblicati, in numeri monografici gli esiti di ricerche, convenzioni o tesi di laurea con particolare valore scientifico – e di un settore rivolto agli Strumenti per la Didattica.
Il primo numero dei Quaderni, Il castello di Sorana, fa parte della ricerca sulle castella della Valleriana (Pontito, Stiappa, Castelvecchio, San Quirico, Vellano, Sorana, Aramo,
Fibbialla, Medicina e Pietrabuona), che analizza gli insediamenti alto-medievali presenti
nella zona montana della Pescia Maggiore, nell’ambito del progetto “Rilievo e documentazione dei centri minori della Svizzera Pesciatina: gestione informatizzata del patrimonio
architettonico e ambientale”.
La scelta di operare in Valleriana è legata alla forte identità di questo territorio conferita, in primo luogo, dalle peculiari caratteristiche orografiche delle sue strette valli – le
cui arterie stradali hanno consentito per secoli il passaggio di persone e beni tra la
Toscana e il modenese – e, secondariamente, dalla presenza dei dieci borghi che le costellano, i quali, sorti in base a presumibili logiche militari, hanno vissuto momenti di fasto,
sia politico che economico, con indubbie ripercussioni sulle loro architetture. Gli ultimi
sessanta anni hanno visto il progressivo abbandono di questi centri che sono andati gradualmente impoverendosi di uomini e mezzi; solo ultimamente il loro declino sembra
arrestato grazie al rinnovato interesse – in prevalenza turistico – che stranieri facoltosi e
italiani desiderosi di ritrovare le proprie radici mostrano verso queste realtà, oggi marginali, di indubbio valore storico, paesaggistico ed urbano. È diventato pertanto impellente
mettere in atto delle strategie per proteggere questo patrimonio, il che non significa
imporre tout court un ferreo regime vincolistico, bensì guidare consapevolmente le dinamiche di sviluppo all’interno di un esaustivo quadro conoscitivo.
Per poterlo realizzare non è però sufficiente – come affermato da Italo Calvino nel racconto della città immaginaria di Zaira fatto da Marco Polo al Gran Khan – contare i gradini delle strade o descrivere i materiali di cui sono fatti i tetti, ma occorre leggerne i segni
nascosti e interpretare le relazioni tra misura e storia. Questa riflessione è oggi di estre-
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Il castello di Sorana
ma attualità per tutti coloro che si interessano di rilevamento urbano, in quanto la rivoluzione tecnologica, che ha interessato tale disciplina negli ultimi anni, ha concesso la
possibilità di rappresentare la geometria di ampi contesti costruiti con estrema facilità ed
elevata precisione. Siffatta accuratezza dimensionale non ha tuttavia un valore in sé e
deve essere di volta in volta arricchita di quei significati e di quelle conoscenze che solamente un approccio pluridisciplinare è in grado di offrire.
La ricerca sul castello di Sorana è stata condotta cercando da un lato di implementare l’integrazione tra gli eterogenei ambiti scientifici coinvolti nel progetto (storia, archeologia, architettura, geologia, iconologia) attraverso un costante confronto tra i membri
dell’équipe, dall’altro di rendere disponibili i frutti degli studi in un formato editabile; il
materiale raccolto e quello elaborato sono stati infatti riuniti all’interno di un DVD – a corredo del presente volume, ma a tutti gli effetti una pubblicazione a sé stante – che racchiude, oltre ai singoli contributi in forma estesa, gli apparati che, per ragione di spazio,
non sono potuti confluire nell’opera cartacea (trascrizioni dei documenti storici, schede su
“simboli, epigrafi e segni dei lapicidi”, dati delle campagne di rilevamento, database delle
qualità edilizie ed urbane, archivio fotografico, modelli 3D dell’abitato e rilievi sia dell’intero insediamento che delle singole emergenze architettoniche).
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Il volume è articolato in tre capitoli, a loro volta suddivisi in paragrafi tematici. Il capitolo I è volto ad un progressivo avvicinamento del lettore alla conoscenza di Sorana partendo dallo studio della sua valle di appartenenza, secondo tre distinte prospettive: storica, geomorfologica e paesaggistica.
Il paragrafo Processi di antropizzazione offre in forma succinta un quadro generale
delle principali fasi di trasformazione di quest’area montana. Il carattere propedeutico del
testo non ha richiesto nuove indagini archivistiche, focalizzando l’attenzione sul materiale edito esistente. La bibliografia esaminata ripercorre, infatti, circa un secolo di documentazione architettonica, storica ed archeologica sulla Valleriana consentendo di delineare un quadro organico dei fenomeni insediativi di quest’area.
I caratteri geomorfologici e paesaggistici del territorio sono stati indagati e descritti in
Ritratto di una valle appenninica, che fornisce una vivida immagine dei pochi frammenti
superstiti del paesaggio agrario storico, ormai quasi irrimediabilmente perduto.
Il capitolo II affronta nello specifico l’insediamento di Sorana, iniziando con l’analisi
dei principali Aspetti geologici del territorio che, ineluttabilmente, hanno condizionato i
tratti distintivi del castello e della sua area di pertinenza. Particolare attenzione è stata
posta nello studio degli affioramenti più significativi che sono stati interpretati al fine di
stabilire i caratteri strutturali e sedimentologici delle pietre con cui è stato edificato gran
parte del paese.
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Il territorio “di pertinenza” dell’insediamento – l’area extra moenia dalla quale, fino agli
inizi del XX secolo, la popolazione di Sorana traeva il suo principale sostentamento – è
approfondito nel paragrafo Il disegno della maglia agraria. Lo studio prende in esame la
situazione al 1825, così come riportata nel Catasto Leopoldino, restituendo informazioni
circa l’uso del suolo, l’aspetto morfologico delle particelle e la proprietà delle stesse; indicatori, questi, utili a comprendere rispettivamente il sistema produttivo in vigore, il “disegno” impresso dall’uomo al territorio e il tipo di compagine sociale che lo abitava.
Data la mole e la rilevanza del materiale documentario inedito raccolto, che consente
di riscrivere alcuni capitoli della storia medioevale di Sorana e della Valdinievole, è stato
deciso di enunciare in forma narrativa, in un paragrafo a sé (Note storiche), gli essenziali eventi politico-sociali accorsi al castello tra il X ed il XX secolo.
La comprensione di Sorana passa attraverso l’analisi delle successive trasformazioni
dell’insediamento, in costante relazione alle circostanze storiche e ai resti materiali ascrivibili alle diverse epoche. L’archeologia dell’architettura ha consentito di redigere – malgrado la mancanza di scavi stratigrafici abbia costituito un limite alla ricerca sulla fase
medievale – sia per i secoli XI-XVI, sia per le epoche successive, una cronologia delle
strutture architettoniche, di proporre alcune datazioni assolute e di trarre delle considerazioni di carattere economico, sociale e politico. Il paragrafo Fasi di formazione e sviluppo tratta infatti dell’edilizia del castello, dove per “edilizia” si intende tutto ciò che l’uomo ha costruito nei secoli con finalità inerenti al semplice abitare (edilizia di base) e al
vivere sociale, spirituale e produttivo (edilizia speciale). Il primo tipo, rappresentante la
parte più ampia del patrimonio costruito, è quello maggiormente contraddistinto dalla
ricorrenza di caratteri, o di serie di attributi (uso di materiali, distribuzione interna degli
ambienti del vivere, dimensione e posizione delle aperture), che facevano parte della cultura tramandata e stratificata nelle coscienze degli operatori; parallelamente a questo
troviamo anche manufatti che hanno dato luogo a delle “emergenze”, ovvero a costruzioni che si distinguono dal tessuto di base per funzione, dimensione e qualità costruttiva. Tali edifici sono La chiesa dei SS. Pietro e Paolo, L’oratorio di San Giuseppe, La fonte
pubblica, I metati e le fortificazioni militari atte a proteggere il castello in caso di eventi
bellici: il cassero (del quale oggi si conservano le mura perimetrali) e la torre appartenenti
a La Rocca Sovrana (antico insediamento signorile medievale), e la cerchia muraria trecentesca, in parte inserita nel tessuto edilizio, con le relative porte.
L’accurata analisi delle testimonianze artistiche presenti in Sorana, tratteggiata nel
paragrafo L’immagine descritta, documenta – quale elemento di novità nel panorama
delle conoscenze fino ad oggi acquisite – una vivace attività artistico-artigianale locale
che, allacciando legami con i centri maggiori (quali Pescia, Pistoia e la stessa Firenze), ha
prodotto tra il XIV ed il XVIII secolo alcune opere di assoluto interesse.
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Il castello di Sorana
Forme artistiche “minori”, ma non per questo di secondaria importanza, Simboli, epigrafi e segni dei lapicidi comprovano a loro volta (e non soltanto per l’elevato numero
riscontrato) la presenza in Sorana di una comunità in grado di comprendere la valenza di
queste figurazioni – sia di quelle imposte dalle dominanti, sia di quelle legate all’erudizione del tempo – ed a sua volta riutilizzarli come monito verso le comunità limitrofe o
come segni augurali. Il riconoscimento e la loro lettura in relazione alla collocazione nell’ambiente urbano, hanno consentito inoltre di ascrivere alcuni manufatti ad un determinato periodo storico piuttosto che ad un altro.
Le informazioni raccolte a livello materiale hanno permesso di avanzare alcune ipotesi sull’esistenza di un progetto alla base dell’accrescimento edilizio trecentesco e del circuito murario che lo racchiude (Il progetto dell’accrescimento trecentesco), sul particolare orientamento delle due porte urbiche di questa stessa cinta (Le porte urbiche: allineamenti astronomici con funzione calendariale) e sugli schemi geometrico-mensori che
regolano l’impianto planimetrico e gli alzati della chiesa dei SS. Pietro e Paolo (L’edificio
trecentesco: ipotesi ricostruttive) e dell’oratorio di San Giuseppe (La lettura del rilievo).
Chiude questo capitolo il paragrafo L’ambiente urbano, nel quale è contenuta la
descrizione dei principali caratteri che connotano, nel presente, lo spazio pubblico: paramenti murari, pavimentazioni e aperture, desunti da una schedatura realizzata in loco e
confluita in un database informatizzato.
Il terzo ed ultimo capitolo ospita tre diversi contributi che affrontano nel dettaglio gli
aspetti legati alle metodologie ed alle apparecchiature utilizzate nella ricerca, inerenti
nello specifico Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati. Il precipuo ambito
disciplinare all’interno del quale è stato promosso questo studio ha fatto sì che gli strumenti del disegno fossero utilizzati non soltanto per redigere gli elaborati grafici “base”
(in grado di descrivere correttamente e compiutamente le geometrie degli edifici, dell’ambiente urbano e del territorio che li ospita), ma come sistema prediletto – attraverso
i modelli geometrici “informatizzati” 3D – per veicolare le conoscenze acquisite.
Conclude l’opera una corposa Appendice nella quale sono confluiti una tabella sinottica degli eventi storici più rilevanti – in grado di agevolare gli studiosi nell’operazione,
spesso gravosa, di collocare gli avvenimenti nel giusto contesto temporale – e l’indice
delle schede iconologiche, necessario per poter comprendere quali siano i simboli, le epigrafi ed i segni dei lapicidi indagati; seguono, infine, le indicazioni bibliografiche dei testi
consultati e l’indice degli autori che hanno contribuito alla stesura del presente volume.
Alessandro Merlo
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Ricercatore confermato, docente
di Rilievo Urbano e Ambientale
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Terra fra le due acque, uomini fra Lignana
incombente e Montecarlo lontano…
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Il panorama di Sorana e del suo territorio visto dalla Croce d’Aramo fa somigliare il
paese a un cespo di capperi abbarbicato alle pendici scoscese del grande cono verde di
Lignana (il Mazzalucchio). Come i capperi, il centro storico, cresciuto con lentezza e parsimonia nei secoli intorno alla Rocca Sovrana, guarda a mezzogiorno, ben saldo alle rocce
affioranti del Petritulo, il nome del colle avamposto del promontorio fra i due bracci della
Pescia Maggiore, acque ancora prossime alle sorgenti di Calamecca e di Pontito. La prospettiva che si apre dallo stretto passaggio della bassa Val di Forfora, qua e là, dalle finestre come dalle terrazze e dagli spiazzi panoramici, prodotti dall’erosione aggraziata dei
tempi lunghi della storia vissuta in un insediamento millenario piuttosto che dalla natura, lascia vedere il profilo di Montecarlo, limite occidentale della Val di Nievole, il piano
coronato di colli che sfuma nel Padule, verso cui dopo la corsa fra queste giogaie scivolano anche i torrenti del Ponte di Sorana. La possente poggiata di Vellano serra verso
oriente l’orizzonte, offrendo scorci di paesaggio ben presto troppo familiari per poter
compensare la mancanza di un vero orizzonte aperto, ma proprio per questo rassicuranti, protettivi. L’unico vero orizzonte, visto però quasi dal buco della serratura, è
Montecarlo. A occidente, esposto alla tramontana di Croce a Veglia, c’è uno squarcio fatto
di tanti scorci di dolce campagna attraversata dall’unica strada rotabile d’accesso al
paese, tracciata e aperta meno di sessant’anni fa. Due chilometri scarsi per Ponte di
Castelvecchio, Ortochiaro, i ghiareti, la Pescia (di Pontito), dove quelli della mia generazione hanno imparato a nuotare. Queste terre basse di Sorana sono il cuore e il fondo
ridente della Valleriana, della “valle protetta”, come l’ha chiamata Giuliana Sansoni,
autrice di libri di favole, di novelle, di drammi bucolici, ispirati a questa terra dove è nata
e cresciuta. “Valle protetta” dal ponte di Sorana, ricostruito dopo la guerra proprio lì
dov’era sempre stato, e perciò con un accesso a misura di barroccio, stretto fra gli edifici
della minuscola borgata, che ha reso impossibili il traffico pesante e capannoni industriali
nei ghiareti in tempi in cui il lavoro nell’industria era priorità assoluta. Anche su questo
versante l’orizzonte è vicino ma mosso dalle quinte dei profili di San Quirico, di
Castelvecchio con la sua pieve monumentale, di Stiappa.
Mi domando se orizzonti tanto prossimi al punto di osservazione meritino quel nome,
o se non siano piuttosto confini severi, che rendono difficile partire e ancor più tornare
per chi se ne è andato altrove. Sorana, in misura più appariscente rispetto agli altri inse-
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diamenti storici della valle, presenta vuoti e soluzioni di continuità nel tessuto della fabbrica urbana. Penso che questa caratteristica sia strettamente correlata al carattere
distintivo dell’umanità del borgo, modellato da vicende più o meno remote singolari
rispetto al resto del comprensorio, a cui anche il paesaggio e la geomorfologia che ho
cercato di evocare sembrano alludere. Sorana è luogo di anime pronte a partire, ad evadere, o a restare felicemente segregate poiché ciò che è prossimo può essere vissuto
come inaccessibile anche alle minacce e alle inquietudini. Della comunità capace di fornire un’identità condivisa c’è ovviamente qualcosa, ma non il molto che il “forestiero”
si aspetterebbe.
Tutto ritengo sia cominciato con l’evento-chiave delle sua storia: la fusione con la
comunità di Lignana, castello – secondo le fonti edite – smantellato da Firenze negli anni
Sessanta del secolo XIV. Tale evento, accentuando l’insufficienza delle risorse agrarie e
anche presumibilmente i dissapori fra pastori e contadini, divenne fattore dinamico per
orientare verso arti, mestieri, commerci che spinsero piccole avanguardie, col tempo destinate a crescere, oltre i monti e le valli delle consuetudini ataviche, oppure a restare ma
indipendenti, con le radici dell’edera, che non può mai sovrastare ciò a cui si abbarbica,
a meno che non sia altra edera. Leggendo le Memorie Istoriche antiche e moderne del
castello di Sorana, un manoscritto datato 1704 conservato nella biblioteca di Pescia, dell’agostiniano soranese padre Andrea Sansoni, del paese nei “tempi moderni”, quelli del
Granducato mediceo e della Controriforma, emerge un vivace profilo, ricco di rimpianti
quando l’autore volge l’attenzione al suo presente. Sorana terra di maestri e di maestranze, di pionieri di nuove fonti di reddito, nuove prospettive di vita (l’allevamento dei
bachi da seta, per esempio, la costruzione e conduzione di molini ma anche l’arruola-
Veduta del colle di Sorana e delle valli del Pescia di Calamecca e del Pescia di Pontito
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Il castello di Sorana
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Il contesto territoriale
mento nella marina granducale), tanto che padre Andrea
azzarda qualche decennio
prima di Montesquieu una versione improntata all’amor di
campanile della teoria dei climi:
è l’aria fra le due Pesce che
rende i soranesi più ingegnosi e
intraprendenti. O meglio: era
stata la natura benigna dei luoghi a favorire le virtù, finché
tanti, troppi, questi luoghi non
li hanno abbandonati, curandosi poco di sviluppare i loro
talenti fra rughe, aie e rocca,
preferendo rincorrere un salario
sicuro, un posto fisso nei pubblici uffici di basso rango,
oppure per valorizzarli nella
metropoli, come il pittore cavaliere Fioravante Sansoni, o
come uno stuolo di ecclesiastici, compreso l’autore delle
Memorie. L’esito di queste
dinamiche sociologiche alla
fine del Seicento moltiplica gli
edifici abbandonati e in rovina.
Il ritorno alle consuetudini dell’equilibrio di povertà non ha
più i tratti bucolici di un passato mitizzato, genera solo miserie e miserabili, guerre fra poveri e prevaricazioni dei meno
poveri, invidie, rancori e risentimenti, mentalità ottuse e cattiverie futili. Non c’era più niente
di “notabile” nel borgo dove
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padre Andrea era nato e di cui andava tanto orgoglioso, al punto da dedicare tempo,
denaro ed intelligenza ad una tanto impegnativa ricerca. La modernità recepita ma non
metabolizzata lascia a Sorana più macerie che altrove.
Quel materiale di risulta di un’epoca di relativa prosperità (dagli ultimi decenni del
Cinquecento agli anni Sessanta del Seicento, quando fu costruita la nuova chiesa) forse
fra ventesimo e ventunesimo secolo ha trovato una destinazione progettuale qui dove si
era prodotto. Si può riprendere il filo del cammino interrotto descritto da padre Andrea
nei tempi nostri in cui tutto è altrove. Il cespo di capperi può rifiorire in faccia al mondo
divenuto a portata di mano. Negli orizzonti virtuali dei nostri giorni quella fra Lignana
incombente e Montecarlo lontano non è più una contesa lacerante le esistenze, a cominciare da quella della comunità. L’individualismo anarcoide capace di caparbia disciplina
nel sacro fuoco di una passione, il genius loci che ha reso Sorana “comunità improbabile”, può essere l’atout per un futuro sorprendente, almeno quanto il passato, che rifermenta nei suoi significati solo adesso decifrabili con i mezzi d’avanguardia della ricerca
sul campo. Dalle rifermentazioni possiamo aspettarci qualcosa di spumeggiante senza
adulterazioni. La planimetria dell’insediamento rammenta una testuggine, di cui la rocca
e le due terrazze curve murate verso oriente e verso Sud sono il tronco e la testa, e i quattro piccoli borghi parte integrante del centro storico (Paradiso, Aia, Borgo, Piazza, procedendo in senso orario da Sud a Nord-Est) le zampe. Sorana è una lenta e longeva tartaruga, il cui corpo segnato da profonde cicatrici lascia immaginare una vita di clan omogenei come componenti di una comunità eterogenea, con ridottissime possibilità di
espansione dell’abitato in un unico borgo esposto a Sud, come è accaduto per gli altri
centri della valle. Modellata dalle necessità del momento, senza una strategia di sviluppo
tale da mobilitare e quindi fondere in una identità forte e condivisa famiglie allargate e
clan, forse Sorana oggi può arrivare davvero da qualche parte semplicemente restando
fedele a se stessa.
Giovanni Benvenuti
Docente di Storia e Filosofia
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Capitolo I - La Valleriana
Processi di antropizzazione*
Il toponimo Valleriana, oggi utilizzato indistintamente per designare le due valli del
torrente Pescia di Pescia, ha indicato invece, sin dall’alto Medioevo, la sola vallata occidentale attraversata dal torrente Pescia di Pontito, in riferimento al piviere di San
Tommaso “de Arriano” (Castelvecchio), mentre quella orientale, percorsa dal torrente
Pescia di Calamecca (poi di Vellano nel ramo più a valle), costituiva la valle Avellanita in
relazione, a sua volta, al piviere di San Martino di Avellano (Vellano)1.
La progressiva antropizzazione della Valdinievole (“organismo” territoriale definito da
limiti orografici e/o idrografici facilmente identificabili, le cui caratteristiche erano in grado di garantire la sopravvivenza dei gruppi demici appartenenti ad un medesimo ceppo
etnico) da parte di civiltà stanziali avvenne nel tempo secondo quattro fasi: di impianto,
di consolidamento, di recupero dell’impianto e di ristrutturazione2.
La fase “di impianto” vide l’uomo passare da una condizione di nomadismo (con sussistenza basata sul raccolto dei frutti spontanei della natura), ad un periodo di maggiore
permanenza caratterizzato dallo sfruttamento delle risorse naturali mediante l’agricoltura e la pastorizia. In questo passaggio, che si concluse con la formazione dei primi nuclei
protourbani, l’uomo prese coscienza del territorio percorrendolo inizialmente sui sentieri
di crinale3 principale ed in seguito su quelli di crinale secondario, più a bassa quota, alle
estremità dei quali si strutturarono (in generale là dove la presenza di sorgive garantiva
la disponibilità di acqua) le primitive forme di insediamento. Sempre in questa fase di alta e media valle, che è possibile circoscrivere tra il Neolitico ed il IV secolo a.C., i nuclei
abitati cominciarono ad avere rapporti di scambio reciproco, consentendo il formarsi, a
quota inferiore, di una viabilità di mezzacosta sostitutiva degli antichi percorsi (fig. 1).
Nella fase “di consolidamento” (IV secolo a.C. - III secolo d.C.), le strutture nate nel
periodo precedente vennero rigerarchizzate e integrate in un nuovo quadro strutturale
caratterizzato da un maggior interesse da parte dell’uomo per le aree di fondovalle e di
pianura. Nei territori della Valdinievole4 le prime informazioni storiche risalgono al II sec.
a.C., periodo in cui i Romani costrinsero alcune tribù di Liguri friniati a rifugiarsi nelle zone più impervie dell’Appennino modenese5. La penetrazione dei Romani in Valdinievole
fu lenta a causa della presenza di terreni paludosi e fu proprio in quegli anni che si co-
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Capitolo I - La Valleriana
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struì il prolungamento della via Cassia tra Lucca e Pistoia6 per collegare Roma con Luni
attraverso Firenze. Dalla Cassia Clodia, che tagliava la Valdinievole in direzione Est-Ovest
percorrendo quella fascia di terreno solido e pianeggiante situato ai piedi dei costoni appenninici ed ai margini dell’antica zona impaludata, dipartiva una strada che attraversava la Valleriana per raggiungere e oltrepassare l’Appennino (fig. 2). Questo percorso correva parallelamente alla riva destra della Pescia Maggiore e all’altezza di Pietrabuona si
divideva in due rami: il primo attraversava la val di Forfora e si dirigeva verso Lanciole
per valicare l’Appennino pistoiese; il secondo, percorrendo la val di Torbola, giungeva in
val di Lima7 (su questo secondo tracciato venne eretta la pieve di San Tommaso, la più
antica di tutta la valle8). Il diverticolo tra la Cassia Clodia e questa viabilità di valico
montano, indicato sulla tabula Peutingeriana come Ad Martis e collocato dagli storici
presso la località Alberghi (immediatamente a Sud dell’attuale Pescia), aveva un valore
sociale e istituzionale molto importante in quanto rappresentava un luogo di sosta,
scambio e rifornimento.
Ritrovamenti di reperti romani presso Medicina, Pian dell’Ara (in prossimità del monte Battifolle), Sant’Allucio, Pescia e nelle vicinanze dell’antica pieve di S. Piero in Campo
testimoniano come il territorio pesciatino avesse cominciato a popolarsi di centri lungo i
tracciati viari e le valli dei fiumi fin dalla prima età imperiale9. Questo fenomeno di antropizzazione si concretizzava “con uno spostamento delle popolazioni dall’altura alla
pianura, dinamica che contribuì a un più razionale sfruttamento delle zone paludose.
Probabilmente fu in questo momento che anche l’area dove sorge l’odierna Pescia cominciò ad assumere caratteri di centro demico, ancorché di piccola entità”10.
La fase “di recupero dell’impianto” vide, a seguito delle conseguenze della caduta
dell’impero romano, il riutilizzo dei percorsi e degli insediamenti del primo periodo, protraendosi fino XIII secolo. Con le invasioni barbariche e lo smembramento dell’impero si
assistette, infatti, anche alla disgregazione della provincia della Tuscia; le terre della
Valdinievole furono percorse, come riporta la storiografia locale, da bande armate dei
Goti. L’unità politica della penisola italiana fu poi ristabilita da Giustiniano nel 555 in
venti anni di dure battaglie contro Vandali e Ostrogoti; essa ebbe però vita breve: nel
568 infatti i Longobardi attraversarono le Alpi al comando del re Alboino e fondarono in
Italia un impero, con capitale a Pavia, che divise nuovamente la penisola. Lucca fu occupata nel 572 circa: qui fu posto un duca che, probabilmente già all’inizio del VI secolo,
mosse verso la conquista della Tuscia settentrionale facendo rientrare nell’egemonia della città del Volto Santo l’intera Valdinievole. Il confine tra i territori occupati dai Bizantini
e dai Longobardi era rappresentato da un limes fortificato con i castelli di Serravalle,
Verruca e Castelvecchio in mano ai primi, e quelli di Montecatini e Buggiano in mano ai
secondi11.
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Processi di antropizzazione
5 km
Fig. 1 - Fenomeni di antropizzazione
in Valdinievole, carta di studio
(fase di impianto)
5 km
Fig. 2 - Fenomeni di antropizzazione
in Valdinievole, carta di studio
(fase di consolidamento)
Gli eventi sopra descritti danno la misura dell’instabilità politica e militare che a quel
tempo doveva interessare tutta la Vadinievole e in particolare quelle aree di pianura attraversate dalla Cassia Clodia che veniva utilizzata non solo per gli scambi locali, ma anche
per gli spostamenti degli eserciti, fenomeno al quale si connettevano evidenti problemi di
sicurezza. Tale situazione comportò un ulteriore spopolamento della pianura, fenomeno
avviato già a partire dal III secolo d.C., ed una conseguente riappropriazione della montagna che è testimoniata dal sorgere di alcuni insediamenti oltre i 300 m di altezza come
Obaca, Puntallo, Fontanacce di Medicina, Petano e Pian dei Galli (fig. 3). I ritrovamenti archeologici presso queste località permettono di ipotizzare degli stanziamenti molto poveri
composti probabilmente da strutture lignee12. La popolazione poteva essere allora composta da una fusione tra Longobardi invasori, Romani e stirpi locali di origine preromana13.
Non è da escludere che in Valleriana, a partire dalla fine del IV secolo, si manifestassero forme elementari di aggregazione14 attorno a centri di amministrazione territoriale
sorti in sostituzione degli antichi pagi romani15. Con la successiva cristianizzazione di
queste aree, a tale maglia andò a sovrapporsi quella delle pievi alto-medievali16, come
testimoniato dalla fondazione della pieve di S. Tommaso de Arriano (menzionata in un
documento dell’anno 87917, ma di edificazione quasi sicuramente anteriore) e della pieve di S. Piero in Campo (ricordata dall’anno 84618).
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Capitolo I - La Valleriana
A partire dalla fine del X secolo si assistette in
tutta la Valdinievole alla nascita e al lento sviluppo del sistema feudale, con il passaggio da una ristretta economia agricola, di cui la curtis longobarda era ancora frequente espressione tipica, alla
concentrazione dei beni fondiari nelle mani di
grandi proprietari terrieri o degli enti ecclesiastici. I
castelli nati in questo secolo nell’area in studio furono solamente due: Pietrabuona (fondato dal vescovo di Lucca Pietro II e menzionato per la prima
volta nei documenti nel 914) e Castellione (l’odierna Castelvecchio, documentato all’anno 988)
che, con molta probabilità, ebbero scarsa influenza sull’organizzazione del territorio. Circa le caratteristiche materiali di queste cittadelle non si diFig. 3 - Fenomeni di antropizzazione
spone di dati archeologici, ma si può supporre un
in Valdinievole, carta di studio
apparato difensivo molto semplice.
(fase di recupero dell’impianto)
La costruzione di un numero consistente di
castelli in Valleriana è ascrivibile ai secoli XI e
XII19. I principali fondatori di castra per questo periodo sembrano essere le famiglie comitali20 che mediante tali manufatti intesero intraprendere una strategia di controllo delle vie di comunicazione e di messa a coltura di terre prima boschive. Si può inoltre collocare al secolo XI la sostituzione dell’architettura in legno con quella di pietra, con la diffusione di nuove tecniche costruttive che richiesero maestranze specializzate21.
Nel 1100 i castelli edificati il secolo precedente acquistarono importanza politica diventando sedi di signorie22. Gli insediamenti fortificati di nuova costruzione non furono
molti, ma quelli esistenti subirono delle sostanziali modifiche: venne potenziato il sistema difensivo, furono rinnovate le strutture abitative e religiose, comparvero aree di
esclusivo uso signorile adatte al carattere residenziale dei ceti dirigenti23 e, infine, si svilupparono numerosi borghi situati all’esterno degli stessi.
Le sedi delle signorie ridefinirono inoltre i quadri di riferimento territoriale: nacquero i
distretti castellani e anche l’ordinamento altomedioevale delle pievi si modificò con la
nascita di chiese parrocchiali in prossimità dei centri fortificati o al loro interno. Per
quanto riguarda gli attori di questo processo, l’estinzione della famiglia comitale dei
Cadolingi (1113) permise al vescovo di Lucca di diventare il maggior signore della
Valdinievole24 e alle aristocrazie laiche di acquisire lentamente diritti giurisdizionali sul
territorio.
30
5 km
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Processi di antropizzazione
Nel corso del secolo XIII, e specialmente dopo la morte di Federico II, Lucca ristabilì il
proprio dominio su tutto il territorio e si assistette al consolidamento dei comuni rurali
che, in alcuni casi, furono diretti promotori, alla pari dei comuni urbani, di nuovi fenomeni di incastellamento25. Comparvero inoltre le prime rocche residenziali di fondazione,
che si configurarono come vere e proprie dimore signorili e non come villaggi fortificati
(tale fenomeno si inserì nella rifeudalizzazione del territorio da parte di gruppi aristocratici cittadini). In Valdinievole i castelli di questo genere non furono in grado, comunque,
di generare tipi insediativi duraturi (si ricordano ad esempio, nelle prossimità di Pescia, i
Fig. 4 - I castelli della Valleriana con ipotesi di viabilità medioevale
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Capitolo I - La Valleriana
siti archeologici dei castelli di Sorico e Cerreto).
Nei secoli XIV e XV, a causa dei cruenti scontri armati tra Lucca, Pisa e Firenze – la
quale finì per stabilire il dominio su tutta la regione fatta esclusione per alcune zone della Valleriana, che divenne dunque terra di confine – furono edificate nuove piazzeforti ed
ulteriormente rinforzate, là dove necessario, le strutture esistenti.
L’ultima fase, “di ristrutturazione”, vide la progressiva riutilizzazione delle strutture di
fondovalle in aderenza alle dinamiche di circa un millennio prima e la definitiva antropizzazione delle zone di pianura, bonificate e rese adatte all’agricoltura o, in taluni casi, alla
fondazione di nuove città. In Valleriana, a seguito della pacificazione promossa dal governo fiorentino, il fenomeno, ascrivibile principalmente a ragioni di ordine economico, si tradusse nel progressivo potenziamento del principale centro demico di fondovalle (Pescia) a
scapito degli insediamenti alto-collinari posti alle sue spalle. Tale processo ebbe inizialmente favorevoli ripercussioni negli abitati d’altura (come testimoniato dai processi di ristrutturazione urbana) che, ormai “dipendenti” da Pescia, trassero beneficio, nel corso del
XVII secolo, dal rilancio economico seguito all’affermazione dell’industria della seta.
A partire dal Settecento e per tutto l’Ottocento, il declino dell’attività serica provocò il
sostanziale calo nella richiesta delle foglie di gelso, sulla cui coltivazione si fondava principalmente l’economia dei paesi della Valleriana. La progressiva esclusione di Pescia, infine,
dai circuiti mercantili regionali e nazionali (eccezion fatta per l’industria cartiera attiva nel
fondovalle), contribuì al suo tracollo ed a quello delle castella ad esso ancora legate, che
videro in tal modo definitivamente segnato il loro destino (fig. 4).
32
NOTE
* Dal contributo originario di Alessandro Merlo e Duccio Troiano.
1 Cfr. A. Spicciani, Valle Arriana e Valle Avellana. La realtà storica di un territorio separato, politicamente ora unito nella provincia di Pistoia, in Il progetto nel contesto storicizzato. Esempi a confronto,
a cura di A. Merlo - G. Lavoratti, Firenze 2009, p. 27.
2 Sulla base della letteratura inerente la Valdinievole, ed in particolare le due valli menzionate, è
possibile asserire che l’antropizzazione di queste terre sia avvenuta secondo la logica processuale
enunciata da Saverio Muratori (di Saverio Muratori, Modena 1910 - Roma 1973, cfr. S. Muratori, Civiltà
e territorio, Roma 1967) negli anni Sessanta e ripresa successivamente da Gianfranco Caniggia (di
Gianfranco Caniggia, Roma 1933-1987, cfr. G. Caniggia, G. L. Maffei, Lettura dell’edilizia di base,
Venezia 1969, pp. 203-249) e Giancarlo Cataldi (di Giancarlo Cataldi cfr. G. Cataldi, Per una scienza del
Territorio: studi e note, Firenze 1977).
3 Questi garantivano infatti un’ottima visibilità e potevano essere percorsi agilmente senza il problema di dover guadare i corsi d’acqua.
4 La Valdinievole, organismo territoriale che include la Valleriana, è composto dall’insieme dei bacini idrografici di tutti i corsi d’acqua che si riversano nel padule di Fucecchio e da qui, attraverso il canale Usciana, nell’Arno.
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Processi di antropizzazione
5 Prima dei Romani, tra il V e il II sec a.C., la Valdinievole meridionale fu occupata da popolazioni
etrusche di origine pisana e volterrana, interessate allo sfruttamento delle vie fluviali per i commerci
con l’area lucchese e pisana. Intorno al 250 a.C. penetrarono nella valle anche i Liguri apuani, la cui
economia si basava su un’agricoltura di sussistenza e sullo sfruttamento delle aree boschive. Questi occuparono prevalentemente zone di alta e media montagna. Il territorio pesciatino rimase quasi totalmente escluso da insediamenti di tipo stabile e funzionò come una sorta di cerniera tra gli stanziamenti
liguri ed etruschi (cfr. A. Puglia, Pescia dall’antichità al medioevo, in Pescia, città tra confini in terra di
Toscana, a cura di A. Spicciani, Milano 2006).
6 Maria Pia Puccinelli data la costruzione del prolungamento della Cassia in un arco temporale
che va dal 187 al 180 a.C. e, citando le Historiae di Tito Livio, scrive di una battaglia fra il console
Quinto Marzio ed i Liguri apuani presso Pescia (località Marzalla) in data 186 a.C. (cfr. M.P. Puccinelli,
La Valdinievole: studio di geografia umana, in «Memorie della Società Geografica Italiana», n. 29
(1970), p. 49).
7 Puccinelli, op. cit., p. 47.
8 Ibid., p. 51.
9 Cfr. Puglia, Pescia dall’antichità, cit., p. 27.
10 Ibid.
11 Cfr. N. Rauty, Il limes bizantino in Valdinievole, in Atti del convegno “I castelli in Valdinievole”
(Buggiano Castello, giugno 1989), Bologna 1990, p. 30.
12 Puglia, Pescia dall’antichità, cit., p. 27.
13 Cfr. G. Benvenuti, Divagazioni su una terra millenaria battezzata nel XIX Svizzera Pesciatina, in
Pescia. La Storia, l’Arte e il Costume, a cura di A. Spicciani, Pisa 2001, p. 50.
14 Puglia, Pescia dall’antichità, cit., pp. 23-42.
15 Puccinelli, op. cit., p. 51.
16 Alla fine del IX secolo il territorio della Valleriana e dell’attuale piana pesciatina aveva sicuramente un sistema ecclesiastico fondato sulle pievi di S. Piero in Campo (a 3 km a Sud di Pescia, in corrispondenza della Cassia) e San Tommaso (sulla viabilità di valico per la val di Lima). I primi documenti
che ne fanno cenno risalgono all’anno 846 per la prima e all’879 per la seconda.
17 Cfr. A. Spicciani, Le origini della Pieve di S. Maria di Pescia, una questione aperta, in Atti del
convegno sulla organizzazione ecclesiastica in Valdinievole (Buggiano Castello, giugno 1986),
Buggiano 1987, p. 32.
18 Ibid.
19 Cfr. J. A. Quirós Castillo, La Valdinievole nel medioevo. Incastellamento e archeologia del potere
nei secoli X-XII, Pisa 1999, pp. 59-105. È importante sottolineare che con il termine “castello” l’archeologo spagnolo fa in questo caso riferimento alla fortificazione, signorile o vescovile, di villaggi preesistenti.
20 Ad esempio i conti Cadolingi di Fucecchio fondarono il castello di Bareglia a Pescia, i Guidi i castelli di Larciano e Vinci, i Da Maona il castello di Montecatini.
21 Cfr. Quirós Castillo, op. cit., p. 171.
22 Le signorie, tenute a freno dal potere marchionale, si svilupparono allo scadere del XI secolo e
nel XII secolo.
23 A Buggiano venne ad esempio ricostruito un recinto fortificato con torri angolari e mastio centrale. Nel castello nuovo di Montecatini fu realizzato un cassero composto da una torre 6x6 m disposta
su un basamento di dimensioni maggiori che probabilmente era adibito a dimora dei gruppi dirigenti
locali.
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Capitolo I - La Valleriana
24 Controllava di fatto i castelli di Pescia, Fucecchio e Montecatini. Il vescovo Ottone, inoltre, ricostruì il castello di Pietrabuona su una curtis donatagli da un certo Trasmodino di Pescia.
25 Cfr. Quirós Castillo, op. cit., pp. 185-188.
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Veduta panoramica del castello di Sorana
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Ritratto di una valle appenninica*
Le forme del rilievo
La figura orografica della valle della Pescia Maggiore1 è determinata dalla sostanziale
omogeneità del suo substrato geologico (fig. 1). L’arenaria macigno costituisce, in questo
settore appenninico, l’ossatura della poderosa spalliera in cui il fiume incide il proprio
corso dando vita ad un profilo vallivo che lascia poco spazio ai piani di fondovalle; alcuni
affioramenti di argille scagliose e di scisti policromi (entrambi appellati con il termine generico di “galestri o calastrini, come piace chiamarli ai campagnuoli della valle”2) interrompono un orizzonte litologico uniforme che lascia solo percepire, a Nord, nei calcari
“straordinariamente contorti” del monte Lischeta, l’emergenza mesozoica della val di
Lima la cui vista è tuttavia impedita dal crinale principale3. Impedimento che l’Ansaldi riteneva giovare alla piacevolezza dei luoghi: “e nemmeno verso tramontana ti attristano
le nude vette dei monti […]. Per quanto tu aguzzi l’occhio verso quella plaga, non ti è
dato vedere i ghiacci eterni delle somme Alpi, ché la natura cercò di nasconderli agli
sguardi dei nostri valligiani, per farli sempre lieti della vista deliziosa del loro paese”4.
Dal crinale che ne forma la testata, il bacino idrografico della Pescia si allunga verso meridione: il “delizioso Teatro”5 delle giogaie arenacee ha un’altezza che passa senza notevoli discontinuità da una quota di poco superiore ai 1000 m ai circa 450 dei contrafforti
che stringono la città di Pescia e che, repentinamente, si immergono nella vasta colmata
di sedimenti quaternari della bassa Valdinievole. L’uniformità delle quote nelle fasce
sommitali, e quindi dei profili che fanno da quinta alla valle, segnatamente nei settori da
Nord ad Est, è la testimonianza di quanto resta di un’antica superficie dalle forme “mature” sottoposta ad un lungo ciclo erosivo: i ripiani residuali della Macchia Antonini-La
Marginetta (m 980-1000 ca.), di Femminamorta (m 860 ca.) e di Panicagliora (m 800
ca.), che rappresentano il prolungamento dei rilievi delle contigue Pizzorne (m 1103), sono oggi coperti da faggete o da castagneti improvvidamente invasi da sciami di villette,
frutto di una mancata pianificazione dei decenni passati. Gli “altopiani” offrono paesaggi dai rilievi morbidi e dalla linea di spartiacque incerta6 e, nelle lacune prodotte dal taglio del bosco, ampi panorami sulla regione sottostante (fig. 2).
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Capitolo I - La Valleriana
In seguito ai sollevamenti plio-quaternari della regione, il rilievo ha subìto, nell’area di studio,
un lungo processo di ringiovanimento: i fiumi,
acquistata maggior energia a causa dell’innalzamento rispetto al livello di base, hanno sottoposto le valli ad una nuova modellazione; i terrazzi
che oggi interrompono la pendenza dei versanti
indicano il profilo vallivo assunto in una precedente fase di quiescenza. Ne è un chiaro esempio il ripiano su cui poggia il castello di San
Quirico, in corrispondenza di un affioramento di
argille scagliose posto nel seno della grande piega (sinclinale) dove si impostava, prima della sua
deviazione, il corso del braccio occidentale della
Pescia, detto di Pontito7. La Pescia di Vellano, che
si unisce alla Pescia di Pontito al Ponte di
Sorana, incide invece una serie di strati di macigno a giacitura inclinata omogenea (monoclinale), immergentisi verso Nord-Ovest8, situazione
Fig. 1 - La Pescia Maggiore incide il proprio corso
che ha favorito la formazione di una valle dissimnella poderosa spalliera arenacea dell’Appennino
metrica, in cui il versante a reggipoggio, che moPistoiese; a oriente, le valli della Nievole e dei torrenti
stra le testate degli strati, ha pendenza maggioBorra e Cessana; a Ovest, la stretta vallata della Pescia
re. Tale asimmetria, che influisce fortemente sulla
di Collodi; a Nord, oltre gli affioramenti calcarei
distribuzione dell’insediamento (il meno ripido
del monte Lischeta e della Penna di Lucchio, la valle
fronte a franapoggio è sede privilegiata di paesi
del torrente Lima, confluente nel Serchio
e coltivi), informa lo sperone che separa i due
(rielaborazione da IGM, fogli n. 97, San Marcello
Pistoiese, e n. 104, Lucca, scala 1:100.000)
confluenti (monte Lignana, 863 m, alle spalle del
castello di Sorana), ed è ancor più evidente nell’affusolato promontorio di Aramo che divide il
corso della Pescia di Pescia dalla valle pensile della Torbola (monte Tràssero, 320 m).
Questa valletta in riva destra della Pescia è il testimone della cattura fluviale operata dalla Pescia di Vellano a spese del ramo di Pontito: la Pescia di Pontito avrebbe infatti, in
origine, percorso una valle longitudinale di direzione Nord-Sud – coincidente nel suo
tratto inferiore con il corso odierno della Torbola e parallela all’attuale corso della Pescia
di Pescia – lasciandosi il poggio su cui siede Aramo a sinistra, per immettersi infine nel
ramo che discende da Calamecca, in corrispondenza del castello di Pietrabuona. Il fenomeno di cattura fluviale, che vede l’asta di minore energia – la Pescia di Pontito – con36
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Ritratto di una valle appenninica
Fig. 2 - Rielaborazione dalla Carta Geologica Italiana, fogli n. 97, San Marcello Pistoiese, e n. 104,
Lucca, scala 1:100.000. A Sud del quadro, la pianura alluvionale (in bianco, giallo e verde chiaro:
sedimenti quaternari del pedecolle e alluvioni recenti della bassa Valdinievole). In giallo ocra:
arenaria macigno oligo-miocenica. A Nord, l’affioramento mesozoico della val di Lima (in verde:
maiolica; in azzurro: calcari selciferi, marnosi e ammonitici; in azzurro scuro: calcare massiccio;
in rosa: calcare cavernoso). In verde-grigio, le argille scagliose
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Capitolo I - La Valleriana
Fig. 3 - Nello schema geomorfologico della valle
della Pescia Maggiore (da Saggini, Evoluzione
geomorfologica della Val di Pescia cit., rielaborato)
è evidenziato il fenomeno della cattura idrografica
(a tratteggio il corso della Pescia di Pontito e l’antica confluenza dei due affluenti a valle di Pietrabuona)
e le forme terrazzate con l’indicazione ipotetica
delle quote nella fase della loro formazione
(a linea continua i terrazzi che mantengono una parte cospicua del ripiano originario; a tratteggio, i più erosi)
38
fluire nella sottostante Pescia di Vellano, è avvenuto per erosione di testata (o “regressiva”)
di un tributario di quest’ultima che scorreva in
corrispondenza della stretta incisione fluviale,
dalla tipica curvatura a gomito, posta tra
Sorana ed Aramo9; la contigua sella del promontorio della Croce di Aramo (363 m), costituisce un relitto morfologico della configurazione anteriore al cambiamento di direzione
del drenaggio delle acque10 (fig. 3).
La figura idrografica si è poi successivamente evoluta verso le forme attuali. Il ramo della
Pescia di Vellano, a causa della sua impostazione sulla monoclinale inclinata, erode i versanti
boscati Nord-occidentali e sposta il proprio letto verso Nord-Ovest a scapito della serra di
Lignana; sia in questa valle, che nella relitta
valletta della Torbola, l’erosione è riattivata dal
ringiovanimento generale verificatosi in seguito
ad ulteriori movimenti isostatici prodottisi nel
Quaternario antico. Merita, infine, soffermarsi
sul più complesso modellamento della valle
della Pescia di Pontito, per i riflessi che ha avuto sulla distribuzione delle sedi umane: il torrente, a causa della rinnovata energia dovuta
anche alla cattura, forma il suo nuovo letto in
un vallone fortemente inciso e si sposta progressivamente verso Est creando in riva destra
vari terrazzi morfologici la cui quota delinea il
profilo del vecchio thalweg. La scarpata dei terrazzi, nel suo valore massimo, raggiunge i 170180 m sul livello del corso d’acqua. Stiappa,
Castelvecchio, San Quirico e le rispettive corone
agricole occupano ciò che resta delle forme terrazzate, mentre il bosco è confinato nei ripidi
versanti, spesso quasi inaccessibili, smantellati
dall’azione demolitrice dell’acqua11.
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Ritratto di una valle appenninica
Il paesaggio umano
La valle mostra una successione di tipi di paesaggio corrispondenti a specifiche forme
di civiltà agraria: la “civiltà del castagno” sfuma, dai monti selvosi, nella policoltura della
mezzadria poderale. Intorno alle castella più montane – Pontito, Stiappa – le corone
agricole si presentano nette, ritagliate nelle selve a castagni; scendendo di quota, intorno a Sorana, Vellano, Medicina, le aree dei coltivi si allargano e i loro confini si sfrangiano a detrimento dei boschi. Nei fondovalle, stretti ed ombrosi, è relegata l’orticoltura e
l’arte molitoria.
Il carattere morfologico che accomuna, nella loro varietà, i paesaggi umani della valle
è la fitta successione di terrazzamenti – i “replicati cigli” – che ne modellano i versanti. “I
colli delle vallecole – si legge nella Valdinievole illustrata – sebbene non molto elevati,
sono tuttavia assai ripidi, per cui la cultura della vite e dell’olivo si pratica in essi mediante piani o scaglioni orizzontali, simmetricamente disposti e sostenuti da ciglioni di terra o
da muriccie a secco, con fossette alla parte inferiore, per dare alle acque uno scolo opportuno. Queste aree irregolari, limitate per lo più da linee curveggianti, sono ora più grandi
ed ora più piccole a seconda del declivio più o meno risentito, o della giacitura di esse sul
dorso o sulla cima del colle”12. La costruzione dei ciglioni, i cui metodi sono descritti dall’esule Sismondi nel Tableau de l’agriculture toscane13, coinvolge l’intero territorio, fino ai
crinali delle diramazioni principali, laddove il castagno è coltura esclusiva: è qui che, oggi
meno visibili per effetto della vegetazione che li ricopre ormai diffusamente, i “ripari” erano costruiti nei castagneti con il duplice scopo di trattenere il terreno e i frutti dell’“albero
del pane”: tale disposizione si osserva, scrive ancora l’Ansaldi, “sui monti più alti, coltivati
a castagni, ove i contadini più diligenti hanno il costume di fare i cosidetti ripari, i quali
consistono nel collocare attorno alle ceppe dei castagni alcune piote per impedire che le
acque piovane portin via la terra delle selve e con questa il terriccio. A poco a poco queste acciglionature crescendo, formano attorno ai castagni tante aree orizzontali che somigliano quelle degli oliveti, i quali io [...] penso che in origine pigliassero quella disposizione orizzontale col mezzo delle piote che vi apposero in tanti anni” (fig. 4).
In tutta la valle l’impronta paesistica della coltivazione del castagno è molto rilevante: all’interno dell’orizzonte di diffusione, la “non interrotta antica selva di castagni” cede tuttavia il passo, in specie sui più dirupati versanti a bacìo, a boschi misti con presenza cospicua di cerri, carpini neri e delle esotiche robinie e, nelle aree che più risentono
degli influssi umidi marini, al pino marittimo; sui contrafforti più alti, mediamente intorno agli 800-900 m (ma il trapasso si relaziona alla localizzazione e all’esposizione del
terreno), le faggete si sostituiscono gradualmente ai castagneti. “Trovasi il castagno –
scrive il corografo Attilio Zuccagni-Orlandini – nei monti e in molte colline, essendo tenu-
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Fig. 4 - Pontito in una foto di fine Ottocento. Intorno al castello, sui versanti sistemati a ciglioni,
il paesaggio agrario è caratterizzato dal seminativo e dall’assenza di alberi (da Valdinievole.
Un itinerario ottocentesco, a cura di G. Magnani, Firenze, Alinari, 2004)
40
to a palina ove il clima è più dolce, ed a bosco fruttifero ove è più rigido”14. Il paesaggio
originario del castagneto da frutto – oggi pressoché dismesso nella valle – prevede una
densità di alberi che Sismondi indica essere, mediamente, intorno ai sessanta esemplari
per coltra15: si tratta quindi di un manto arboreo rado (le foto aeree del 1954 sono
espressive in tal senso) ai piedi del quale è assente il sottobosco e dove, anzi, il tappeto
erboso è costantemente pulito, e tenuto basso dal morso delle pecore. Ancora il
Sismondi offre un’efficace descrizione della selva, visitata dalle greggi transumanti che
“tornano verso la metà di maggio e vanno nelle zone interne dei monti dove l’erba si
mantiene fresca ma corta sotto l’ombra dei castagni; i primi marroni che maturano nel
mese di ottobre li avvertono che è giunta l’ora di ripartire per la Maremma, altrimenti le
pecore li divorerebbero tutti; ma alcune greggi al momento di partire si fermano sulle
colline e vengono lasciate pascolare negli oliveti affinché bruchino l’erba quanto più
possibile, facilitando in tal modo la raccolta delle olive”16 (fig. 5).
Nelle castella più interne, oltre la metà delle terre è, fino al XIX secolo, ripartita tra
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Ritratto di una valle appenninica
pochi proprietari, privati o pubblici17; molti sono invece i piccoli e piccolissimi proprietari, i
cui fondi sono generalmente incapaci di assicurarne la sussistenza per l’intero arco dell’anno. I proprietari coltivatori trovano compensazione ai magri rendimenti agricoli con l’esercizio dei diritti di uso civico gravanti sui terreni
sia pubblici che privati, di cui tutti i terrazzani
godono: diritto di legnatico, di pascolo (la vaine pâture), di semina negli arbusteti o all’ “alpe”, e di ruspo nei castagneti dopo la raccolta.
Nei villaggi montani di Pontito, Lanciole,
Calamecca, i “rocchi” dei terrazzi sono seminati a grano; poche sono le vigne, assenti gli
olivi, rare (se non inesistenti) le case sparse su
podere. Scendendo verso la città di Pescia, allo
sbocco della valle, il panorama insediativo di
marca schiettamente montana passa gradatamente alla scena più classica della coltura promiscua e delle abitazioni poderali disseminate
tra i coltivi. Se, infatti, la piccola proprietà contadina della montagna si accompagna all’inseFig. 5 - Il lungo e affilato sperone del monte Trassero
diamento concentrato di tipo appenninico, la (319 m), in destra idrografica della Pescia di Pescia,
mezzadria si segnala con la presenza delle ca- separa la stretta valle a monte di Pietrabuona
se su podere; tuttavia il passaggio, lo si è det- dalla valletta pensile della Torbola.
to, è graduale e anzi, in tutta la media valle, i Il profilo asimmetrico del promontorio è messo
caratteri montani si intrecciano a quelli classi- in evidenza dal diverso uso del suolo: coltivi sui versanti
co-mezzadrili che non sono mai pienamente a franapoggio, con pendenza minore, bosco sui versanti
compiuti, sia per l’asprezza del rilievo (la pre- più ripidi esposti a mattino
senza di “isole” poderali all’interno del bosco,
sulle pendici con esposizione più infelice e con maggiori pendenze, è la testimonianza di
un difficile processo di appoderamento), sia per la vicinanza col territorio lucchese che, è
noto, non fu àmbito di affermazione del contratto a mezzadria. Lineamenti, dunque, propri di una terra di confine, rimarcati anche da Targioni Tozzetti quando, in viaggio verso
le Garfagnane, scriveva che le pendici della valle della Pescia Maggiore – lavorate “coll’ultima esattezza” – sono “coltivate a Poderi all’uso Fiorentino, e ad Uliveti all’uso
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Pisano”18; alla consueta promiscuità tra olivi, viti e cereale, caratterizzante il paesaggio
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fiorentino, si alterna in valle la presenza di uliveti in coltura specializzata, in cui si possono contare da 400 a 600 e più piante di olivo per ettaro19. Nei “boschi d’ulivi” la pianta
copre “tutta l’area del suolo, e più o meno regolarmente cuopr[e] coi suoi rami ed ombreggi[a] tutta la superficie formando così l’esclusiva cultura locale”20.
Anche sulle colline – così son definite, malgrado le pendenze accentuate, le propaggini meridionali delle diramazioni che concludono la valle – le coltivazioni sono disposte
“a cigliottoli, o arginelli, gli uni al di sopra degli altri, [che] rappresentano altrettanti
giardini repartiti a gradinate”, descrive nel suo Atlante Zuccagni-Orlandini, che prosegue: “l’area del campicello in cui biondeggiano le messi è recinta da spalliere di viti appoggiate a fragili canne, onde non lussureggiano soverchiamente, ed il ciglio che serve
loro di sostegno verdeggia utilmente di erbe prative. Qualche frutto di varia specie trovasi di tratto in tratto in adattate località sicché non restino troppo ombreggiate le biade e
le vigne. Le acque hanno libero sfogo in fossette interposte agli arginelli, e presso queste
ordinariamente educasi il gelso. Alla qual pianta utilissima non permettesi già lo elevarsi
e il distendersi con rami arborei, ma rimondasi annualmente a capitozza; così la prima
foglia dei virgulti che spuntano dopo la prima potatura serve di strame al bestiame, e la
seconda viene riserbata nell’anno successivo ad alimento dei filugelli. [...] Quindi osservansi in adattate località alternate le vigne da folte olivete, ed il terreno esposto a più rigida esposizione tutto ingombro di castagneti e di boschi cedui”21.
La vite, importante capitolo di questo ritratto dei caratteri paesaggistici della valle, è
per lo più coltivata a sostegno morto e a pergola, sistema, quest’ultimo, oggi meno frequente di qualche decennio fa. Tale coltura è più diffusamente sorretta dai pali di castagno forniti in abbondanza dai castagneti cedui dell’area, costituenti uno dei maggiori
prodotti di esportazione della media valle22; il Sismondi ricorda che in collina “viene
sempre piantata nei terreni dissodati, nella parte anteriore dei terrazzamenti, vicino ai cigli erbosi e sul margine del declivio”23, dove si appoggia su “palature” di castagno alternato a canne, la cui coltivazione tanto meravigliava il ginevrino da ipotizzarne l’esportazione in terra patria. “In collina – prosegue l’autore del Tableau – la vite non è sostenuta dagli alberi ma da appositi pali o canne. Per quanto è possibile i primi si scelgono
di legno di castagno a cui viene tolta la scorza perché si conservi meglio e devono essere
alti da sei a otto piedi da terra [...]. In secondo luogo si adopera, per lo stesso uso, un’alta canna coltivata proprio a questo scopo, l’Arundo Donax di Linneo che gli Italiani chiamano canna; la tagliano ogni inverno raso terra e nel corso dell’estate mette nuovi steli
da quindici a venti piedi con una circonferenza da cinque a dieci linee. Questa canna
meriterebbe di essere coltivata anche in Francia”. Alle canne, sottolinea, “sono riservati il
margine dei ruscelli, gli argini e i terrapieni che costeggiano i fiumi ed i terreni a fondo
umido”. Diversamente, le viti a pergola, costituirebbero – secondo l’ autore – un’innova-
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Ritratto di una valle appenninica
zione importata nella “Svizzera Pesciatina”
dalle plaghe terrazzate prospicienti la riva settentrionale del lago Lemano: “nel clima della
Toscana tutti i sentieri che attraversano i campi
possono essere coperti da pergole, tuttavia –
stigmatizza Sismondi – spesso, per pigrizia, i
contadini ne tengono solamente una molto
piccola vicino a casa”. La costruzione della
pergola, come è stato verificato nei pochi brandelli di paesaggio agrario storico ancora presenti sui versanti pesciatini, avviene piantando
“in terra dei pali biforcuti, che chiamano colonne, e su questa specie di forche appoggiano
grossi pali o pertiche, le une per largo e le altre
per traverso, che si intersecano in modo da formare maglie quadrate di un piede o di un piede e mezzo”24.
Sui “rocchi”, i campicelli che “spesso raggiungono appena la larghezza di un metro, e
la [cui] superficie talvolta scende ad appena 67 mq ed anche meno”25, si alternavano originariamente in rotazione le semine dei cereali Fig. 6 - Il gomito fluviale, a monte della confluenza
consociate alla coltura degli olivi e della vite. della Pescia di Pontito con quella di Vellano, è un esempio
La rotazione praticata più diffusamente nell’a- classico di cattura idrografica. A guardia della stretta
rea, almeno fino alla metà del secolo scorso, è incisione, i castelli di Sorana (a Nord) e Aramo (a Sud).
la biennale26: in termini paesaggistici, il dato Si noti l’allineamento, in direzione approssimativamente
Nord-Sud, del ramo di Pontito con il torrente Torbola
mostra un quadro ambientale in cui il grano è
presente, fino a mietitura, sulla metà dei coltivi. Nel delineare il ritratto della valle, Targioni Tozzetti, nel 1743 insisteva sull’importanza
figurativa della coltivazione “antica quanto in alcun’altra parte della Toscana” dei gelsi
bianchi, la cui foglia è indispensabile per il nutrimento dei filugelli e dunque per la produzione della seta, nonché sulla diffusione dei fichi che lo Statuto di Pescia del 1340 obbligava a piantare nell’ordine di “otto pedali [...] per Coltra di terra, perché ve ne sia abbondanza”27.
Negli esigui pianetti di fondovalle, gli orti irrigui – i “ghiareti” “che forniscono ottime
biade, fra le quali vanno famosi i fagioli”28 – si contendono il terreno con gli opifici mossi ad acqua. Come è frequente, infatti, nelle valli appenniniche le aree prossime al corso
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Capitolo I - La Valleriana
d’acqua hanno assunto, già in epoca storica, un carattere prettamente industriale. Dalla
Pescia di Pescia e, qualche chilometro a monte del Ponte di Sorana, anche dai due affluenti principali, si dipartono i canali di derivazione delle acque “per mettere in moto
macini da mulini, pistoni per cartiere, ruote e rocchetti per valichi [da seta], magli per
ferriere”29. I manufatti per la canalizzazione dell’acqua, quali pescaie, gore e bottacci,
insieme ai mulini e ai grandi edifici delle cartiere, hanno un ruolo non minore nel paesaggio della valle; e anzi, nel Dizionario geografico, Emanuele Repetti riconosceva proprio al fiume di Pescia con le sue derivazioni il carattere precipuo dell’operosità valligiana, tanto da poter esso stesso assurgere a entità mitica, “meritando quasi di rappresentare la favola di Mida, che convertiva in oro tutto ciò che toccava”30 (fig. 6).
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NOTE
* Dal contributo originario di Ilaria Agostini.
1 L’idronimo storico Pescia Maggiore indica il reticolo idrografico costituito dal ramo della Pescia
di Pontito e da quello della Pescia di Calamecca, che dopo l’immissione del torrente Lanciolana prende
il nome di Pescia di Vellano, confluenti in corrispondenza del Ponte di Sorana nella “fiumana” della
Pescia di Pescia (cfr. la voce “Pescia Maggiore – Piscia Major – ossia Pescia di Pescia” in E. Repetti,
Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del
Granducato, Ducato di Lucca, Garfagnana e Lunigiana, Firenze 1835-1846).
2 G. Ansaldi, La Valdinievole illustrata nella storia naturale, civile ed ecclesiastica dell’agricoltura,
delle industrie e delle arti belle, Pescia, Pescia 1879 [rist. anast. Bologna 1977], vol. I, p. 57.
3 Il bacino della Pescia Maggiore è cartografato nei fogli n. 97 (S. Marcello Pistoiese) e n. 105
(Lucca) della Carta Geologica d’Italia, scala 1:100.000.
4 Ansaldi, La Valdinievole illustrata, cit., vol. I, p. 59.
5 P. O. Baldasseroni, Istoria della città di Pescia e della Valdinievole scritta da P.O.B., Pescia 1784,
p. 10.
6 Cfr. J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1886), Milano 1983, p. 122.
7 Si noti che l’affioramento argillitico prosegue in direzione Nord-Sud, in asse quindi col precedente corso della Pescia di Pontito che, in ambito arenaceo, aveva insistito sulle più tenere argille scagliose.
8 In prossimità della confluenza delle due Pescia, gli strati hanno direzione antiappenninica (NordEst/Sud-Ovest) e si immergono verso Nord-Ovest con inclinazione di circa 30° (cfr. R. Mazzanti,
Geologia, morfologia e idrologia, in Dossier candidatura Unesco [http://www.svizzera-pesciatina.com/
it/dossier.asp], a cura di S. Tischer, p. 16). Risalendo il corso arcuato del ramo di Vellano gli strati tendono a piegare in direzione appenninica e si immergono verso Nord-Est: l’andamento “colla convessità a
Nord-Ovest, della Pescia di Calamecca, che asseconda la direzione del macigno, è un motivo idrografico
in armonia colla struttura geologica”, T. Taramelli, Condizioni geologiche del bacino idrografico del fiume Pescia e proposte per aumentare la portata di magra di questo fiume. Pubblicato a cura di alcuni
Industriali di Pescia, Pavia 1887, p. 13.
9 Il fenomeno è avvenuto secondo lo schema classico della cattura trasversale: “cioè per un recul
de tête di un ripido affluentello di destra [della Pescia di Vellano, n.d.r.], trasformato poi dalla forte erosione del torrente catturato nella profonda gola tra Sorana e Aramo”, F. Saggini, Evoluzione geomorfologica della Val di Pescia (Antiappennino Pistoiese), in «Atti della Società Toscana di Scienze Naturali»,
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Ritratto di una valle appenninica
serie A n. 70, Pisa 1963, p. 5.
10 “È interessante notare come il Torbole e la Torbola si dipartano dagli stessi versanti di una sella
medesima, alta 335 m, presso la Croce di Aramo, la quale pare oggi quasi che rappresenti un antico decorso della Pescia di Pontito, prima che se ne determinasse la confluenza colla Pescia di Vellano”
(Taramelli, op. cit., p. 9).
11 Affascinante la tesi di Taramelli, che individuava, forse con eccessiva enfasi, la localizzazione di
ciascun castello in corrispondenza di un terrazzo fluviale (cfr. Taramelli, op. cit., p. 13).
12 Ansaldi, La Valdinievole illustrata, cit., vol. I, p. 310.
13 Si veda il capitolo Sol, défrichement et coupe des collines in J. C. L. S. Sismondi, Tableau de l’agriculture toscane, Par J.C.L. Simonde de Genève, M.C. de l’Académie Royale des Georgofiles de Florence,
Genève 1801 [trad. it. Quadro dell’agricoltura toscana, a cura di G. Rossi, Pisa 1995], pp. 69-71.
14 A. Zuccagni Orlandini, Atlante geografico, fisico e storico del Granducato di Toscana, di Attilio
Zuccagni-Orlandini Segretario attuale delle Corrispondenze dell’Imp. e Reale Accademia economicoagraria dei Georgofili di Firenze, Firenze 1832, tav. XII (Tavola geografica, fisica e storica della Val-diNievole e delle adiacenze).
15 La coltra pistoiese corrisponde a circa mezzo ettaro (0,5060 ha), cfr. N. Rauty, Appunti di metrologia pistoiese, in «Bollettino Storico Pistoiese», n. 77 (1975), pp. 3-47.
16 Sismondi, Tableau de l’agriculture toscane, cit., pp. 140-142.
17 F. Mineccia, L’economia del castagno nell’Appennino pistoiese e in Valdinievole, in Pluriattività e
mercati in Valdinievole (XVI-XIX secolo), Atti del Convegno (Buggiano Castello, 27 giugno 1992),
Buggiano 1993, pp. 67-90.
18 G. Targioni Tozzetti, Relazione del Viaggio fatto dal Dottor Giovanni Targioni Tozzetti
Nell’Autunno dell’Anno MDCCXLIII per le Alpi di Barga e Pietra Pania. E per il Capitanato di
Pietrasanta, Parte Prima, Che comprende il Viaggio da Firenze a Barga, in G. Targioni Tozzetti, Relazioni
d’alcuni Viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le Produzioni naturali, e gli antichi
Monumenti di Essa, Firenze 1768-1779, tomo V, p. 227.
19 G. Puccini, Le rotazioni ed i foraggi nei poderi di collina della Valdinievole, Pescia 1947, p. 4.
20 C. Ridolfi, Lezioni orali di Agraria date in Empoli dal March. Cosimo Ridolfi raccolte stenograficamente e pubblicate ad utilità dei campagnoli ascoltatori delle medesime per cura dell’Accademia
Empolese di Scienze economiche, Firenze 1858, cit. in C. Pazzagli, L’Agricoltura toscana nella prima
metà dell’800. Tecniche di produzione e rapporti mezzadrili, Firenze 1973, p. 257.
21 Dalla descrizione che affianca la tav. XII di Zuccagni Orlandini, Atlante geografico, fisico e storico del Granducato di Toscana, cit.
22 Cfr. R. Pazzagli, Luoghi e funzioni di un sistema locale: Pescia e la Valdinievole tra XVI e XIX secolo, in Pescia e la Valdinievole. La costruzione di un’identità territoriale, a cura di A. M. Pult Quaglia,
Firenze 2006, pp. 149-172.
23 Sismondi, Tableau de l’agriculture toscane, cit., p. 80.
24 Ibid., p. 85.
25 Puccini, op. cit., p. 4.
26 Ibid.
27 Cioè di sedici piante per ettaro. Targioni Tozzetti, op. cit., tomo V, p. 276.
28 Ansaldi, La Valdinievole illustrata, cit., vol. II, p. 163.
29 Repetti, op. cit., ad vocem “Pescia Città (Piscia) in Val-di-Nievole”.
30 Ibid., ad vocem “Pescia Maggiore (Piscia Major) ossia Pescia di Pescia”.
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Capitolo II - Il castello di Sorana
Il rilievo di Sorana
Indispensabile premessa
per le analisi condotte sull’abitato di Sorana è stata il rilievo dell’ambiente urbano e
di alcuni manufatti edilizi di
particolare interesse.
Uno degli esiti della rilevazione integrata è stato infatti la restituzione bidimensionale dei prospetti e delle
piante dei piani terra. Questi
elaborati “base” forniscono
una versione geometricamente corretta delle architetture esaminate, mediante
il sistema mongiano delle
proiezioni ortogonali, arricchita da una descrizione materica sia dei fronti che della
pavimentazione stradale.
La scelta di “Vagnettiana” memoria di redigere una
Pianta dei piani terra con indicate le pavimentazioni stradali
pianta dei piani terra degli
edifici, attraverso il consueto
sistema del riammagliamento delle planimetrie catastali in scala 1:200, ha permesso non
solo di avere un’idea immediata della distribuzione interna delle singole costruzioni (utile
per una classificazione tipologica delle stesse), ma di supporre ragionevolmente – specie
nei tessuti edilizi storici – i loro primitivi assetti. Utilizzare infatti le note teorie della per47
manenza dei percorsi (le strutture portanti sono quelle che in genere non cambiano nel
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Capitolo II - Il castello di Sorana
corso dei secoli, poiché prospettano sui percorsi e dividono
una proprietà dall’altra) e della economicità nel riuso delle
fondazioni esistenti (spostare dei muri “maestri” significa creare nuove fondazioni), consente di analizzare lo sviluppo dei
fabbricati, di evincere i loro criteri di aggregazione e di ipotizzare i processi di trasformazione.
A loro volta, le sezioni “ambientali” dell’intero paese hanno agevolato lo studio dei rapporti che intercorrono tra le fabricae e tra queste e la configurazione orografica del sito che
le accoglie, facilitando le ricerche nell’ambito specifico della
morfologia urbana.
Sezione B-B’
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Sezione A-A’
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Il rilievo di Sorana
Veduta panoramica del castello di Sorana
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Capitolo II - Il castello di Sorana
Sezione C-C’
Foto aerea del castello di Sorana
Sezione D-D’
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Sezione F-F’
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Aspetti geologici*
Entrando nel paese di Sorana si percepisce immediatamente la presenza e l’importanza della roccia, sia come solido appoggio per le opere murarie, che come elemento per
costruire e fortificare.
La struttura urbana ed il suo sviluppo nel tempo sono in stretta relazione con la geologia e la geomorfologia del luogo. L’abitato di Sorana sorge sulla sommità di un’altura
ad una quota di poco superiore ai 400 metri sul livello del mare. Si tratta di un rilievo a
struttura monoclinale1 caratterizzato da un versante ripido a “reggipoggio” (versante
Sud-Est) ed un versante Nord-Ovest con pendenza più dolce detto “a franapoggio”; tale
struttura è la diretta conseguenza della giacitura degli strati che immergono verso NordOvest con inclinazione di circa 35-40° (fig. 1). Nella Carta Tecnica Regionale2 per il versante a reggipoggio sottostante il paese sono riportati toponimi estremamente significativi quali Pietraia e il Balzo, dovuti molto probabilmente alla facilità nel recuperare pietre
in quell’area e alla forte pendenza che nei tempi passati causava crolli e ribaltamenti
nella roccia alterata e fratturata. È infatti verosimile che nei secoli scorsi non fosse presente la rigogliosa vegetazione che attualmente ricopre i declivi, tenuti “puliti” anche
per mantenere una buona visibilità e quindi un maggior controllo dell’area.
Corpi di paleofrane sui fianchi del rilievo di Sorana sono stati rilevati anche nella Carta
Geologica Regionale3; nel versante a reggipoggio, generalmente il più stabile in virtù della sua conformazione, sono presenti corpi stretti e allungati di spessore esiguo con movimenti probabilmente composti da crollo e scivolamento. Situazione diversa si trova a
Nord-Ovest (versante a franapoggio) dove larghi corpi di frana si accavallano dando luogo ad una spessa coltre detritica che caratterizza il territorio poco a Nord dell’insediamento. La modesta pendenza e la natura del terreno rendono il versante di Nord-Ovest
predisposto per un uso agricolo. Si può asserire pertanto che la posizione dell’abitato offriva benessere e sicurezza garantendo una buona posizione per l’avvistamento e la difesa, la vicinanza a corsi d’acqua e la presenza di terreni facilmente coltivabili.
Il rilievo su cui sorge il castello è costituito dalla formazione del Macigno4 a seguito dei
depositi torbiditici (più eventi deposti l’uno sull’altro), datati nell’Oligocene-Miocene inferiore (tra i 25 Ma ed i 15 Ma circa), sedimentati nell’antico oceano Ligure-Piemontese,
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Capitolo II - Il castello di Sorana
ramo dell’oceano Tetide che al tempo separava la
placca Africana da quella Europea (dal tardo
Giurassico alla sua chiusura, coincisa con
l’Orogenesi Appenninica, è stato il bacino di deposizione delle formazioni costituenti le Unità
Liguridi, Epiliguri e della serie Toscana)5.
L’arenaria del Macigno è più famosa con il
nome di “pietra serena” e si ritrova passeggiando per il paese di Sorana in conci per la costruzione degli edifici (fig. 6) o lavorata in lastre per
la pavimentazione delle strade. Si può supporre
che sin dai tempi più antichi fossero state aperte
cave di piccole dimensioni – tese a soddisfare
esclusivamente il fabbisogno locale – nel versante a reggipoggio dove affioravano le testate degli
strati. Cave attualmente abbandonate sono inoltre presenti ai piedi del versante, in prossimità
della riva del torrente6.
Questo modus operandi ha fatto sì che in
Sorana sia ancora percepibile una forte integrazione tra i prodotti dell’uomo ed il paesaggio naturale.
Durante la costruzione del paese in tutte
Fig. 1 - Mappa dei punti di osservazione
le
sue
componenti
gli abitanti hanno di volta in
e delle caratteristiche strutturali dell’area
volta valutato la possibilità di modellare o meno
il rilievo; affioramenti rocciosi sono presenti all’interno delle murature (fig. 2), talvolta sagomati per il livellamento o l’allargamento di
un piano, oppure per consentire il passaggio di una strada.
Gli affioramenti
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Le fondazioni degli edifici del paese poggiano direttamente sulla roccia che frequentemente emerge in affioramenti, di dimensioni ridotte o con sviluppo sufficiente a mostrare in modo chiaro le strutture sedimentarie ed i passaggi di facies (i punti di osservazione sono indicati in fig. 1).
Entrando a Sorana da Nord-Est, subito dopo l’antica porta Balda, un affioramento
roccioso corre lungo il fianco destro della strada per alcune decine di metri (p1 in fig.1).
Alla base si trovano arenarie grigie in cui si riconosce una “gradazione normale” che, ri-
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Aspetti geologici
Fig. 2 - Affioramento roccioso inserito in muratura.
Alla base la parte sommitale (Tc) di un evento
torbiditico su cui si poggia il successivo
con uno strato di arenaria privo di strutture interne (Ta)
Fig. 3 - Zona fratturata. Si nota come le laminazioni
presenti nelle arenarie e le superfici strutturali conferiscano alla roccia l’aspetto di una muratura
salendo verso il tetto dello strato, passa gradualmente a livelli di sabbia fine con “struttura a convolute”7 e siltiti laminate. Sopra questi ultimi si poggia in discordanza la base
del successivo evento di torbida costituito da uno strato di arenaria grigia grossolana in
cui non si ravvisa una gradazione interna (fig. 2). Poco più avanti si trova una zona fratturata (p2 in fig. 1 – si veda anche fig. 3) in cui si individuano una serie di piani di faglia
subverticali. Proseguendo verso la chiesa, il blocco arenaceo che caratterizza l’affioramento, risulta costituito da materiale grossolano privo di gradazione interna.
Scendendo poco a valle per un dislivello di circa 2 metri si trova un altro affioramento
(p3 in fig. 1) in cui si passa gradualmente dalla facies grossolana alla facies fine nella
quale sono ben visibili le strutture a “convolute” (fig. 4) con silt a laminazione piano-parallela al tetto della serie.
Continuando verso il sentiero che porta a Ponte di Sorana, con un altro intervallo ver-
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Capitolo II - Il castello di Sorana
Fig. 4 - Strutture a convolute
ticale di circa 2 metri, si ha un terzo affioramento
(p4 in fig. 1) in cui, anche in questo caso, si registra il passaggio tra sabbie grossolane e medie e
sabbie fini e silt. La particolarità in questo sito è
dovuta al taglio che mostra lo strato arenaceo
con una rientranza di origine antropica (fig. 5).
Tale squadratura è probabilmente riconducibile
all’estrazione di roccia; si tratterebbe quindi di
una cava di dimensioni molto piccole, come sostenuto da Publio Biagini8.
Tutti gli affioramenti corrispondono alle testate degli strati del versante a reggipoggio; la loro
ritmicità è data dal susseguirsi degli eventi di torbida, per ciascuna delle quali si può stimare uno
spessore medio intorno ai 2 metri.
Gli eventi sismici storici
Informazioni riguardo a terremoti avvenuti
nell’area della Svizzera Pesciatina si ricavano dalla cartografia pubblicata dalla Provincia di
Pistoia9. Qui sono indicati approssimativamente
gli epicentri dei terremoti registrati nell’area a
partire dall’anno 1000: il sisma più importante si
ebbe intorno al 1630 con epicentro a pochi chilometri a Sud dell’abitato di Sorana. In base ai
Fig. 5 - Probabile punto di estrazione di materiale
da costruzione
danni prodotti da questo evento, è stato stimato
un grado VIII della scala Mercalli: una scossa di
tipo “distruttivo” che provocò il crollo parziale degli edifici. Altri terremoti di intensità
minore, in cui sono state registrate lesioni agli edifici e crolli dei camini, sono avvenuti
nel 1891, nel 1908 e nel 192010.
Altre fonti11 riportano nel 1414 un terremoto di forte entità che avrebbe colpito le
città di Firenze, Lucca e Pisa; non si hanno comunque indicazioni in merito all’intensità
con cui si sarebbe manifestato nella zona di Pescia.
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Aspetti geologici
NOTE
* Dal contributo originario di Serena Di Grazia.
1 Si definisce valle “monoclinale” o “isoclinale” quando ha un andamento perpendicolare all’immersione degli strati.
2 Carta Tecnica Regionale, scala 1:10.000, Regione Toscana
3 Carta Geologica Regionale, scala 1:10.000, Foglio 262010.
4 Il nome della roccia “Macigno” deriva dalla sua particolare predisposizione per la costruzione
delle macine.
5 Il deposito torbiditico altro non è che una sedimentazione gravitativa in mare profondo. La descrizione completa di un evento deposizionale di torbida è riportato dalla sequenza di Bouma (cfr. A. H.
Bouma - C.D. Hollister, Deep ocean basin sedimentation, in Turbidites and Deep-Water Sedimentation,
Society of Economic Paleontologists and Mineralogists, Pacific Section, 1973, pp. 79-118).
6 P. Biagini, Il duro pane. Cave, cavatori e scalpellini in Valleriana e dintorni, Vellano 2008.
7 Le “convolute” sono strutture dovute alla fuoriuscita di acqua dai sedimenti ancora sciolti e disposti in lamine.
8 Cave e pietra, a cura di P. Biagini, pubblicato sul sito: www.svizzera-pesciatina.com/it/pdf/
Cave%20e%20pietra.pdf.
9 R. Nardi - A. Puccinelli - M. Verani, Carta geologica e geomorfologica (con indicazioni di stabilità) della Provincia di Pistoia, scala 1:25.000, Firenze 1981, Foglio n. 4.
10 Dati ottenuti da Nardi - Puccinelli - Verani, op. cit.
11 G. Flores, Il terremoto, Milano 1981, pp. 128.
Fig. 6 - Impiego della pietra locale nel tessuto residenziale di Sorana
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Il disegno della maglia agraria*
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Il Catasto Lorenese può considerarsi, anche per quanto attiene il territorio di Sorana,
una vera e propria carta dell’uso del suolo riferito al 1825: in essa si disegna, infatti, un
reticolo fondiario1 al quale viene associata la corrispondente destinazione agricola, filtrabile dalle registrazioni della Tavola Indicativa allegata.
Risulta palese, anzitutto, come la suddivisione particellare si conformi in modo naturale ai segni strutturali del paesaggio fisico. Ciò appare nella relativa coincidenza tra la
direzione delle linee confinarie e l’andamento del rilievo, ad esempio lungo il fianco
orientale che, rispetto all’opposto, è evidentemente più ripido; ed ancora, si può riconoscere una certa variabilità dell’ampiezza dei fondi al mutare delle pendenze (fig. 1). Se si
prende a riferimento il cotonificio affacciato sulla Pescia di Vellano, possiamo osservare
che la linea di compluvio, solcata dal rispettivo fosso di alimentazione, separa due dei
contrafforti, diversamente modellati, che delineano il colle di Sorana: quello orientale,
più ampio e disteso, accoglie fondi tendenzialmente maggiori degli altri ad Ovest, disposti invece lungo una superficie stretta e serrata. D’altro lato, è pur vero che se volessimo
ricercare, in questa distribuzione dei possedimenti, una qualche “formula” compositiva,
dovremmo riconoscervi quantomeno la presenza di due temi formali preminenti: le grandi particelle dal profilo decisamente irregolare e le isole di campi relativamente piccoli e
regolari che le intervallano (fatta esclusione della corona agricola attorno al borgo, congruente con gli schemi fondiari tipici degli abitati su promontorio, fig. 2). Ciò nonostante, dai caratteri appena tratteggiati non sembrano derivare significative differenziazioni
al programma colturale, almeno quello interno alla nostra figura catastale: in altre parole, nel periodo in esame il declivio mappato è – ferma restando la necessità di allinearsi
con l’andamento dei suoli, il tracciato idrografico ed i percorsi, al di là della scansione
più o meno omogenea degli appezzamenti – totalmente produttivo. In effetti, a parte la
presenza a Sud-Est di Sorana, lungo la Pescia di Vellano, di una frangia di castagneto e
bosco ceduo2 – determinanti nell’economia dei paesi montani3 – l’attività agricola borghigiana del primo Ottocento qui si è diffusa nei termini della coltura promiscua, con l’olivo che predomina a riscontro di condizioni climatiche e di orientamento certamente favorevoli (fig. 3). Dobbiamo immaginarci questo versante collinare totalmente vestito di
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Il disegno della maglia agraria
Fig. 1 - L’immagine descrive le trasformazioni della maglia fondiaria dalla rilevazione catastale granducale
(ASPE, Catasto Lorenese, Comunità di Vellano, Sezione B di Sorana, Foglio IV, 1825, scala originale 1:1.250)
ad oggi (Catasto urbano, Comune di Pescia, fg. 32, scala originale 1:1.250). Il confronto diretto tra le
due mappe sovrapposte evidenzia che, di fatto, il disegno complessivo è rimasto sostanzialmente invariato
laddove, a fronte di alcuni accorpamenti, sono riscontrabili anche più recenti suddivisioni particellari
coltivi alberati4, chiusi lungo la Pescia da alcuni lembi di seminativo nudo, pastura e bosco5: per circa un terzo oliveti, la cui distribuzione si distende alternata a superfici di “lavorativo vitato olivato” non meno rilevanti. La nota che si evince dalla mappa catastale
lorenese, dunque, dichiara la consuetudine, presso questi luoghi, di ottimizzare lo sfruttamento dei suoli coniugando la coltivazione dell’olivo con quella della vite6; anche il
“lavorativo vitato olivato” riveste obiettivamente una significativa percentuale della costa meridionale di Sorana, fino a toccare il perimetro più esterno dell’abitato stesso.
Rimarrebbero da indagare le corrispondenti modalità di piantumazione ma, data l’acclività, è presumibile che nei ciglioni gli alberi fossero frammisti alle viti, piuttosto che precipuamente allineati; ancora più probabile un ordito colturale in cui singoli filari di vite
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Capitolo II - Il castello di Sorana
Fig. 2 - L’elaborato raffigura l’uso del suolo
derivato dalle registrazioni della Tavola
Indicativa allegata al Catasto Leopoldino,
in particolare riferito alla corona agricola
del borgo. Il perimetro esterno Sud-orientale
è lambito essenzialmente da olivi e viti,
riconoscibili nel “lavorativo vitato”
e nel “lavorativo vitato olivato”, mentre
dal lato settentrionale si inoltra all’interno
dell’abitato stesso ancora la coltivazione
della vite. La trama più minuta è quella
delle pertinenze dei vari edifici, su cui si
distribuiscono gli orti variamente organizzati
58
vanno a bordare le prese olivate. Tale caratteristica d’impianto, d’altronde, ripeterebbe
quanto realizzato sistematicamente nelle aree collinari della Val di Nievole già nel corso
del XVIII secolo, tanto da essere considerata vero e proprio tratto identitario di una tradizione agraria7. Oliveti e vigne specializzati, nonché le relative consociazioni (si noti anche l’indicazione di un “lavorativo vitato fruttato”), con un’area sommativa di oltre il
65%, corroborano quella tesi che sostiene, per l’intera zona di Pescia, la “progressiva
specializzazione colturale, con una scelta in direzione della produzione di vino e di
olio”8. Non è un caso allora scoprire come vite e ulivo arrivino ad abbracciare il borgo,
sia nella forma di vigneto (si legga “lavorativo vitato”)9 concentrato essenzialmente nel
settore Nord-occidentale, che promiscuamente all’ulivo, insinuandosi in quella trama a
maglie piccole e regolari che sono gli orti interni all’abitato stesso. A tale riguardo, si sottolinea l’esistenza di una porzione non trascurabile di particelle a “orto fruttato”, segno
dell’uso a coltivazioni frutticole10 e, sicuramente, del ruolo determinante che esse hanno
avuto nell’autosostentamento della famiglia contadina.
L’esame del Catasto Leopoldino può condurre ad un altro genere di riflessioni laddo-
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Il disegno della maglia agraria
ve, andando a distinguere le tipologie di proprietà11 più ricorrenti, concorre a prefigurare
almeno sommariamente la struttura sociale del paese. Tre sono i principali gruppi di riferimento: i possessi della pieve locale, quelli di altri enti religiosi e quelli dei privati.
Nonostante prevalga la proprietà pievana (afferente a “Pieri Prete Giovan Battista come
Pievano di Sorana”) su quella di istituti religiosi differenti (la Cappella della Madonna
delle Grazie oppure la Cappella di San Michele Arcangelo)12, la quasi totalità degli ap-
Fig. 3 - L’elaborato raffigura l’uso del suolo derivato dalle registrazioni della Tavola Indicativa allegata
al Catasto Leopoldino, in particolare riferito ai versanti collinari di Sorana. Si nota la netta prevalenza
dei seminativi arborati, con l’associazione promiscua di vite e olivo. Non mancano aree boschive
(a castagneto e bosco ceduo), soprattutto sulle pendici orientali della collina, e qualche fondo
lasciato a sodo o pastura, laddove lambisce il locale tratto della Pescia di Pontito
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Capitolo II - Il castello di Sorana
pezzamenti considerati è da ascrivere ai privati. Quanto appena emerso si inserisce in
una cornice ben più ampia, se si pensa che il campione catastale della Valdinievole fotografa, nel 1780, una situazione in cui, nuovamente, la maggioranza delle terre coltivate
afferisce ai privati13. L’aver distinto, poi, alcune delle famiglie residenti ha portato alla luce un’altra collimazione possibile tra i lineamenti della comunità rurale di Sorana al
1825 e della Valdinievole di fine Settecento: sebbene alcuni individui posseggano una
discreta entità dell’intera superficie coltivata14, prepondera comunque la tendenza a
possedimenti spezzati15. In questa constatazione è riassunto l’ultimo elemento strutturale del paesaggio agrario descritto, cioè la difficoltà di organizzare unità poderali, tanto
meno fattorie. Il quadro territoriale di Sorana, per le sue stesse caratteristiche morfologiche, si aggrega in un mosaico di fondi dai confini sostanzialmente irregolari, dove poche
sono le possibilità di comporre veri poderi, se non guadagnando campi relativamente
grandi ai boschi contermini16: la miglior prova di quanto asserito risiede nel paesaggio
odierno, che pur manifestando la perdita di molti dei tratti fin qui descritti, conserva brani di quelle “isole” poderali già raccontate17.
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NOTE
* Contributo di Sara D’Amico.
1 SASPE, Catasto Lorenese, Comunità di Vellano, Sezione B di Sorana, Foglio IV (il rilievo dell’area
rappresentata fu terminato il 10 giugno 1825 e riprodotto in scala 1:1.250). Le considerazioni susseguenti sono riferite alla sola mappa citata, in quanto ritenuta sufficiente nella definizione di un quadro
paesaggistico sostanzialmente omogeneo.
2 Le aree boschive produttive – a ceduo e castagneto – si estendono sul 21% dell’area in esame,
con il castagneto che ne assorbe la quota predominante (circa il 18%), persino superiore a quella del
“lavorativo vitato” (12,62%) e paragonabile a quella del “lavorativo vitato olivato” (19,5%). Tali quantità rimandano a quella “civiltà del castagno” così chiaramente riconoscibile nei caratteri di questi paesaggi (cfr. par. Ritratto di una valle appenninica).
3 Il ruolo economico delle aree boschive, d’altro canto, è ravvisabile anche nelle innumerevoli testimonianze documentali pervenute, dove frequenti sono i riferimenti a vendite di legname dei boschi
della comunità (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 36r; SASPE, Archivio del Comune
di Vellano n. 341, c. 137v).
4 Ancora dalla tabella succitata, si ricava che i seminativi arborati impegnano oltre il 66% del territorio considerato.
5 Da quanto già scritto (cfr. par. Ritratto di una valle appenninica), esistono usi civici sui suoli sia
pubblici che privati, che si traducono in diritti di legnatico, pascolo e ruspo. Possono, forse, rimandarsi
anche a tale costume le ripetute denunce di danni (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 340,
c. 2v).
6 È ormai acquisito che nella Toscana granducale – nelle terre dei seminativi arborati – si prediligessero piantagioni di olivi arricchite da viti maritate (cfr. C. Pazzagli, op. cit., p. 257-260).
7 Cfr. L. Conte, Proprietà fondiaria e forze produttive in Val di Nievole alla fine del XVIII secolo, in
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Una politica per le Terme: Montecatini e la Val di Nievole nelle riforme di Pietro Leopoldo, Atti del
Convegno di Studi (Montecatini Terme, 25-27 ottobre 1984), Siena 1985, p. 71.
8 La studiosa Judith Brown ha documentato questa tendenza dal XV secolo, quando comincia a
palesarsi la diffusione della produzione olearia e viticola in ambito collinare, contemporaneamente ad
una limitazione di quella cerealicola alle zone di piano e, soprattutto, di colmata: ne darebbe riscontro
anche il fatto stesso che il grano consumato a Pescia – ancora nel XV e XVI secolo – sia prevalentemente di importazione.
9 La formula “lavorativo vitato” riferisce dell’associazione colturale seminativo-vite. È opportuno
rammentare come il Catasto Leopoldino assegni questa stessa destinazione alla particella attualmente
occupata dall’oratorio di S. Giuseppe, che si pensa però anche possibile ubicazione del nuovo cimitero
(cfr. par. Fasi di formazione e sviluppo).
10 Seppur di difficile quantificazione, è accertato l’uso alla coltivazione di meli, sia in collina che nei
piani asciutti, unitamente alla preponderante coltura del gelso. Per il caso specifico di Sorana è utile ricordare quanto segnalato nel documento datato 1 ottobre 1571 (SASPE, Archivio del Comune di
Vellano n. 325, cc. 37rv, c. 38r) a proposito di lavori di risarcimento di terreni e gelsi, annotazione dimostrativa del valore di tale coltura nella sussistenza della locale società contadina.
11 È necessario dare debitamente rilievo ad un aspetto della Tavola Indicativa menzionata. La seconda voce di classificazione, infatti, recita “Cognome e nome del proprietario e nome del padre di esso”: non si specifica, successivamente, il reale rapporto giuridico tra assegnatario e particelle corrispettive. Ciò si rammenti poiché, almeno inizialmente, molte delle terre e degli immobili, facenti parte dell’antico borgo di Sorana, furono ceduti a livello (cfr. par. La Rocca Sovrana), condizione che, nel tempo,
portò a rivendicazioni della proprietà da parte dei soggetti concessionari. Queste sono, pertanto, le considerazioni che motivano la definizione delle tre categorie utilizzate nell’analisi in oggetto.
12 La superficie complessiva assegnata alla pievanía locale corrisponde a circa il 5% di quella totale, mentre gli altri enti religiosi arrivano a possedere meno della metà della quota su scritta.
13 Il campione catastale della Valdinievole del 1780 è analizzato in Conte, op. cit., in particolare si
vedano p. 74 e segg.
14 Ad esempio il nominativo “Pacini Luigi di Pacino e famiglia” registra il 15% circa dei fondi mappati; segue la famiglia Burlini con oltre l’8%.
15 Cfr. Conte, op. cit., p. 79.
16 Le particelle 1800, 1854, 1864 e 1869 annoverano case o capanne. Più esattamente, nella
1800 è appuntato “Casa e terreni” e si consideri che la parcella adiacente – la 1801 – appartiene allo
stesso individuo, lasciandoci così riconoscere, anche presso Sorana, la presenza di case sparse.
17 Cfr. par. Ritratto di una valle appenninica.
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Note storiche*
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“Questa roccha era assai bella et alta, con li suoi merli in cima, fabbricata tutta di
pietre quadre con gran maestria e per la sua bellezza, in progresso di tempo, dalli abitatori, nel primo ricetto di detta roccha, vi fu fatta la chiesa parrocchiale”1. Così padre
Andrea Maria Sansoni descriveva l’antico borgo natale di Sorana, sorto in prossimità di
un’altura “alquanto scoscesa e sassosa”2 conosciuta nell’alto Medioevo con il nome di
monte Petritulo3. Il centro di Sorana, dalla figura quasi “circolare e rotonda”4, ha infatti
origine antichissima. Alcuni storici ritengono addirittura che la sua genesi possa risalire
al periodo di Roma imperiale, quando i superstiti dell’esercito di Catilina, ormai sconfitti,
si sarebbero rifugiati fra le alture della Valleriana fondando alcuni castelli5.
Alla luce della documentazione superstite, tuttavia, le prime fasi storiche di Sorana
paiono indissolubilmente legate alla fitta rete di rapporti instaurati anche dal vescovato
di Lucca con le aristocrazie locali della Valdinievole ed i ceti egemonici della città del
Volto Santo che, a partire dall’ultimo trentennio del IX secolo, influenzarono e determinarono l’assetto politico, territoriale e demografico di tutta la Valleriana ed in particolare
del piviere di San Tommaso de Arriana, a cui Sorana sarà soggetta. La prima attestazione
documentaria di quest’ultima risale infatti al 7 marzo 938, quando il vescovo Corrado
permutò con il chierico Gundolfo, figlio del fu Martino prete, beni appartenenti alla pieve
di San Tommaso6 ed alla chiesa di San Frediano di Lucca. Quest’ultima possedeva “in loco et finibus ubi dicitur Sorano” beni massaricii costituiti da una casa “cum fondamento” e pertinenze, orto, vigne, selve e quercete per una superficie totale di otto moggia. Si
trattava di un’unità poderale massaricia completa gestita da massarii, cioè contadini dipendenti, che abitavano e lavoravano nei possedimenti della chiesa lucchese, come appunto accadeva per Appualdo ed i suoi consorti, residenti nel manso di Sorana.
Il lavorativo, insieme ai beni del piviere di San Tommaso, entrò a far parte dei possessi
del chierico Gundolfo, figura di notevole importanza all’interno della Valleriana, come dimostrato dal suo rilevante patrimonio fondiario dislocato sia nella valle che in prossimità
di Lucca e Pisa. Il documento del 938 è il primo di un dossier di sei carte, che dal primo
trentennio del X secolo fino agli anni Venti dell’XI secolo, conserva informazioni su
Sorana. In questo lasso di tempo il manso di Sorana compare fra le proprietà fondiarie
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del vescovato lucchese, sia come bene della chiesa cittadina di San Frediano di Lucca
che, dal 975, fra i possessi fondiari della pieve di San Tommaso de Arriano. I presuli lucchesi, succedutisi alla guida del vescovato, utilizzarono ripetutamente queste proprietà
fondiarie per determinare il nuovo assetto territoriale dell’ampia valle montana della
Valleriana. Ciò fu possibile affidando la creazione di unità poderali alle nascenti forze
aristocratiche locali, legate a vari livelli alla chiesa lucchese, come i Da Maona, membri
attivi della vita cittadina lucchese.
Verosimilmente il manso di Sorana gestito dal chierico Gundolfo confluì nei beni dei
Da Maona. Quest’ultimi, infatti, rogando permute e contratti di livello con autorità ecclesiastiche e probabilmente anche con proprietari fondiari laici (di tali atti non è però sopravvissuta documentazione alcuna), compattarono i propri beni immobili accentrandoli
attorno al “monte e pogio Petritulo”.
Fig. 1 - Particolare del comune di Sorana
(ASLU, Offizio sopra le differenze dei Confini n. 571, mappa n. 138)
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Capitolo II - Il castello di Sorana
La prima fase del progetto di fusione territoriale ebbe inizio nel marzo del 975 quando il giudice imperiale Ildebrando ed i suoi fratelli Pietro
e Giovanni figli del fu Gottifredo, anch’esso giudice regio e personaggio di notevole rilievo nella
Lucca altomedioevale, oltre che capostipite della
signoria dei Da Maona, permutarono alcuni beni
con il vescovo Adalongo. Nella commutatio7
Ildebrando ed i fratelli cedettero al prelato lucchese due unità massaricie a Colle e tre appezzamenti di terreno presso Aiblo (proprietà distanti
da Sorana) ottenendo in cambio l’intero possesso
del colle Petritulo, stimato in sei moggia di terreno circondato da oliveti, vigne e selve (sull’altura
era presente inoltre una casa retta da un contadino dipendente di nome Prando). L’atto permise
al casato di ampliare i possedimenti nella valle,
eleggendo il colle Petritulo a residenza di primaria importanza per la famiglia.
A distanza di soli cinque anni, mediante un atto di livello, i Da Maona ottennero da Giovanni,
rettore del piviere di San Tommaso, il possesso
Fig. 2 - Frontespizio del manoscritto di padre
delle terre che la pieve aveva a Sorana e la chiesa
Andrea Sansoni redatto nel 1704 (Sansoni A.,
pievana8. I figli di Gottifredo avevano così ottenuMemorie Istoriche antiche e moderne del castello
di Sorana, diligentemente e fedelmente raccolte
to la proprietà del colle ed il possesso dell’area di
da diverse scritture antiche autentiche da diversi
Sorana, in una continua ascesa sociale sancita
luoghi, BComPE, Manoscritti 1.B.10, 1704)
nuovamente da una charta livelli del 988.
Con tale rogito, il vescovo Isalfredo riconfermò ai Da Maona il livello, già ottenuto dal pievano, della terra posta vicino al poggio
di Petritulo (ormai proprietà della famiglia) e concesse a Ildebrando, Giovanni e Pietro i
terreni, i beni e le rendite della pieve di S. Tommaso derivati dalla riscossione delle decime delle trentatre villae dislocate sul territorio pievano. Unico vincolo imposto dal prelato fu il pagamento di un censo annuo di quarantacinque soldi d’argento, da versare al
vescovado di Lucca9.
Nell’arco di tredici anni, attraverso atti di permuta e concessioni livellarie, il territorio
identificato dal macrotoponimo Sorana entrò pertanto a far parte dei beni stabili dei Da
Maona, garantendo loro una consistente base fondiaria10. Gestire e sfruttare al massimo
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le risorse intrinseche al manso significava sviluppare sia demograficamente che economicamente quest’area della Valleriana, garantendo
rendite sostanziali che avrebbero accresciuto il
rilievo della villa e dei suoi signori.
Il 22 novembre 998, di fatto il vescovo
Gherardo II, dopo la morte del giudice
Ildebrando, rinnovò ai fratelli Pietro e Giovanni
il livello di due terzi della pieve di San
Tommaso, comprendenti l’unità poderale di
Sorana11. Quest’ultima, assieme alle altre ville
del piviere, divenne uno dei possessi a titolo livellario dei Da Maona, che progressivamente
avevano consolidato il loro potere ed i loro legami con il vescovato12.
La presenza sul territorio di Sorana di un
manso, posto sotto il controllo di questo potente casato, verosimilmente incentivò l’antropizzazione dell’area, fungendo da fattore calamitante per la popolazione.
Riconducibile ai secoli altomedioevali è anche la costituzione di un ospedale dedicato a Fig. 3 - Albero genealogico della famiglia Sansoni, uno fra
San Pietro, collocabile non sul colle bensì nei i casati di maggior rilievo di Sorana (Sansoni A., Memorie
pressi del Ponte di Sorana, punto di partenza Istoriche antiche e moderne del castello di Sorana,
di una fitta rete di strade e sentieri percorsi da diligentemente e fedelmente raccolte da diverse scritture
viandanti e pellegrini che, oltre a collegare i antiche autentiche da diversi luoghi, BComPE, Manoscritti
1.B.10, 1704)
centri presenti nella valle, permetteva di valica13
re la catena appenninica .
A partire dal primo ventennio dell’XI secolo i Da Maona conferirono alla loro dominazione il carattere di una signoria territoriale, forti della nuova concessione livellaria del
vescovo Grimizo. Con la cartula del 20 marzo 1019, Giovanni del fu Gottifredo ed i discendenti dei suoi fratelli ottennero nuovamente in livello la pieve di San Tommaso e la
chiesa di San Quirico con i beni e le rendite ad essa collegati, comprese le proprietà poste a Sorana14. Quest’ultima, attestata quale fulcro del potere signorile e probabile residenza dei Da Maona, data la posizione privilegiata dell’altura allo sbocco delle vallate
formate dai due rami della Pescia, nelle fonti non compare mai in qualità di castello.
La documentazione superstite altomedioevale menziona esclusivamente la presenza
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di un manso con casa e pertinenze e successivamente di una villa: centro demico di notevole rilievo privo di strutture murarie difensive, che nel
corso dei secoli, sotto l’influenza delle signorie
territoriali, modificò la propria morfologia insediativa per far fronte a nuove esigenze di ordine
politico-militare. Ed è proprio in quest’azione di
accentramento fondiario che si ritrova uno degli
elementi fondamentali che portò alla formazione
del centro abitato di Sorana.
Tra il XII e XIII secolo Sorana, come tutta la
Valdinievole e la Valleriana, subì l’influenza degli
imperatori svevi intenti, con Federico Barbarossa
e Federico II, a riaffermare la propria autorità sulla penisola. Ciò significò godere di maggiore autonomia decisionale nei confronti di Lucca, ma al
contempo subire l’ingerenza sempre più marcata
dei poteri nobiliari locali ed affrontare le scorribande armate degli eserciti rivali (in particolare
di quello pistoiese) impegnati ad ampliare i propri confini comunali. Testimonianza ne è l’atto
Fig. 4 - Frontespizio del libro delle entrate ed uscite
emanato dal legato imperiale per la Toscana nel
della comunità di Sorana dall’anno 1613 all’anno 1629
1230, che obbligò il comune di Pistoia a pagare
(SASPE, Comune di Vellano n. 333, c. n.n.)
duecento libbre a Sorana ed alle altre comunità
della Valleriana, danneggiate dagli scontri con
Lucca avvenuti nei tre anni precedenti il risarcimento15.
La morte dello svevo, avvenuta nel 1250, pose Sorana sotto la travagliata dominazione lucchese, che a partire dal XIV secolo condusse il borgo in un periodo di forte instabilità, lasciandolo alla mercé delle potenze rivali, come Firenze e Pisa.
Assoggettato al dominio di Lucca, il piccolo comune rurale di Sorana, attestato già
dal 128116 e contraddistinto da uno stemma recante una stella in campo argento (cfr.
par. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi), formò con altri tredici borghi montani la vicaria
della Valle Arriana e del piviere di Villa17. L’amministrazione del paese fu affidata ad un
podestà, con un salario di ventidue lire, sette soldi e sei denari, deputato anche alla gestione di Lignana18, del cui operato purtroppo non rimangono tracce.
Parsimoniosa di informazioni è pure la documentazione scritta e grafica, riguardante
sia la rocca che il borgo stesso19. Tracce del suo antico prestigio trapelano però da un re66
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gistro, conservato nello Statuto di Lucca del
1308, meglio conosciuto con il nome di Rubrica
di Santa Croce. In occasione della festa omonima, infatti, il borgo di Sorana era tenuto a recare
in processione un candelum fiorito del valore di
dieci libbre. Si trattava di una donazione di una
certa consistenza, elargita solamente da altri tre
comuni: Boveglio, Pariana e Villa Basilica, a simboleggiare sia la loro floridezza economica che il
ruolo centrale da essi ricoperto all’interno del
territorio vicariale lucchese.
Diversi notai di origine soranese operarono
infatti per tutto il Trecento sia nel centro del potere cittadino che nel contado lucchese, spingendosi oltre i suoi stessi confini per raggiungere
Pisa. Notevole rilievo sociale rivestirono Ser
Conforto da Sorana20 ed il suo discendente
Michele di Ser Conforto, dediti entrambi alla
professione notarile ed operanti in qualità di li- Fig. 5 - Spese fatte dalla comunità di Sorana
beri professionisti in Lucca21 e di notai pubblici nel terrapieno della porta Fredda, in data 30 gennaio
1614 (SASPE, Comune di Vellano n. 333, c. 13v)
del comune di Collodi22. La tradizione notarile
soranese non si esaurì nella stirpe di Ser
Conforto, bensì nel 1397 la documentazione riporta il notaio Antonio Coli da Sorana, figura di notevole rilievo operante anche nel territorio pisano, dove rappresenterà gli interessi di un certo Ser Antonio di San Cassiano di Pisa23.
Con il XIV secolo per Sorana e la Valleriana ebbe inizio un lungo periodo di instabilità
ed incertezza politico-giurisdizionale, resa ancor più opprimente dai repentini e mutevoli
passaggi all’interno delle opposte dominazioni lucchese, pisana e fiorentina, che si protrassero in modo più o meno marcato sino al definitivo ingresso del borgo nel
Granducato fiorentino alla fine del XVI secolo, quando le autorità centrali garantirono un
lungo periodo di pace. Secondo la ricostruzione storica operata da frate Andrea Maria
Sansoni, al momento non supportata da documentazione archivistica di prima mano e
quindi passibile di errori o inesattezze (come più volte rilevato dall’analisi del manoscritto), i primi venti di guerra ad interessare Sorana si manifestarono in occasione degli
scontri tra il ghibellino Uguccione della Faggiola, tiranno di Lucca e Pisa, e la guelfa
Firenze. Sorana, alleatasi con quest’ultima, prese parte con dodici uomini alla disastrosa
battaglia di Montecatini del 1315, ma l’esito sfavorevole dello scontro si tradusse nel ri67
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torno del paese sotto l’egemonia lucchese24. Padre Sansoni riporta come nel successivo
periodo castrucciano il paese vide rafforzare ed accrescere la propria rocca, mentre nei
pressi del Ponte di Sorana fu costruita una torretta di guardia, da cui derivò il toponimo
“la Torricella”25. Ciò che possiamo affermare con certezza è che, dalla morte di
Castruccio Castracani, avvenuta nel 1328, per incapacità dei suoi figli, il controllo sulle
terre dominate in precedenza dal padre venne meno, rinvigorendo nei fiorentini il desiderio di espandere il loro dominio su quell’area montana così strategica.
A pochi mesi dalla dipartita di Castruccio, la Valleriana divenne una fra le vicarie di
confine più ambite, teatro di incessanti scontri che videro contrapporsi Lucca e Pisa contro Pistoia e Firenze. Sin dal 1329 quest’ultima, grazie all’aiuto dei ghibellini pistoiesi,
strinse importanti relazioni con i centri della Valdinievole, spingendoli a sottoscrivere un
trattato di pace le cui clausole la favorivano notevolmente26. Tuttavia, a meno di un mese dall’accordo, le forze ghibelline guidate da Gherardino Spinola invasero la
Valdinievole riconducendola sotto l’egemonia lucchese. La politica espansionistica fiorentina non subì però alcuna battuta d’arresto; nell’arco di dieci anni, dal 1330 al 1340,
Firenze riuscì a sottomettere numerosi centri della Valdinievole e Valleriana, fra cui
Sorana stessa. Già nel 1334 nell’arcis et cassero (fortezza e cassero) di Sorana era presente un castellano nominato dal podestà e dal consiglio del comune di Firenze27. La carica, con durata trimestrale ed un salario di quindici scudi, fu affidata a Padovino di Ser
Raireno del Foreste, affiancato nell’espletamento delle sue funzioni organizzative e militari, da sei peditibus (soldati a piedi privi di cavallo)28.
Dagli anni Quaranta del XIV secolo il piccolo centro montano risentì del clima di forte
instabilità diffusosi in tutta la Toscana a causa delle mire espansionistiche di Firenze,
Pisa e Verona sulla regione. Ciò si ripercosse sulla gestione pratica del cassero stesso.
Dal marzo 1340 e per l’intero anno, i registri del comune fiorentino riportano un vorticoso alternarsi di castellani alla guida del fortilizio. Molti di essi come Lorenzo Melgli
Fagiuoli e Mone Neri Aldobrandini29 rinunciarono immediatamente alla carica affidata
loro, mentre altri abbandonarono tale mansione prima della scadenza ufficiale dell’incarico. Ne sono un esempio Iacopo di Lippo Pallei degli Adimari, castellano di Sorana per
soli dieci giorni e non “pro tribus mensibus”, o Epilglato di Rimero Veclani30, dimessosi
dopo appena una settimana dalla sua nomina. Dal dicembre dello stesso anno, i Libri
Fabarum del comune di Firenze non riportano estrazioni di castellani da assegnare alla
detta fortezza per il successivo biennio 1341-134231. Queste ripresero solo dal primo
febbraio 1343, quando Sorana, passata sotto la dominazione pisana in occasione degli
scontri fra Pisa e Firenze per il controllo di Lucca32, fu recuperata dai fiorentini che affidarono la fortezza al castellano Giovanni di Ser Lapo Arnolfi33.
Negli anni immediatamente successivi l’accordo di San Miniato34, il possesso giuridi-
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co di Sorana diventa incerto e complesso, in particolare alla luce delle informazioni contenute in un documento pisano del 136135. Questo ci informa infatti di una petizione
inoltrata dai Visconti (signori di Milano), verosimilmente in occasione della pace di
Pietrasanta dell’anno 134536, con cui essi ottennero Sorana, togliendola dalla sfera d’interesse pisana e fiorentina. Sulla base della documentazione finora ritrovata il protettorato milanese su Sorana pare puramente nominale, una sorta di escamotage architettato
ad arte tra i vertici di Milano e Firenze al fine di annullare ogni tentativo di intromissione
ed attacco bellico pisano ai danni della fortezza, la cui posizione strategica, lungo il confine fra le due dominazioni antagoniste, la rendeva un’appetibile bersaglio. Nella lettera
leggiamo infatti che i Visconti “rimaseno della dicta terra in pace et concordia collo comune di Fiorenza”, consentendo ai fiorentini di esercitare il proprio controllo sul territorio di Sorana, mentre “lo comune di Pisa non s’impaccia ne à podere”37.
Il volutamente labile protettorato milanese non impedì di fatto un progressivo inquadramento del borgo sotto il potere della città gigliata. Dal punto di vista giurisdizionale,
contemporaneamente alla pace pisano-viscontea del 1345, Sorana entrò a far parte del
nascente vicariato della Valdinievole e Valleriana38.
Fig. 6 - Particolare settecentesco della piazzetta della rocca di Sorana e della rocca stessa
(ASFI, Capitani di Parte Guelfa n. 942, c. n.n.)
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Per quanto concerne l’ambito militare-difensivo, l’anno seguente (1346) l’esigenza
fiorentina di assicurare una celere trasmissione di informazioni a carattere bellico tra i
centri della valle ed in particolare tra gli avamposti strategicamente più rilevanti (come
Castelvecchio e Vellano) fece sì che anche a Sorana, presunto stato cuscinetto milanese
tra dominazioni avversarie, fosse imposto il rispetto di un ferreo codice di segnalazione
diurna e notturna. I segnali prescritti, differenti da quelli in uso in Valdinievole, prevedevano l’alternanza di fuochi, bandiere e suono di campane39.
Infine, in campo amministrativo il borgo fu sottoposto al regime fiscale della dominante, la cui gravosità scatenò, nel 1352, la rivolta della popolazione soranese40.
Nel maggio dello stesso anno, come riporta la Cronica di Matteo e Filippo Villani, l’esercito pisano, coadiuvato dalle truppe e dall’esperienza di Francesco Castracani, infranse la pace conclusa precedentemente con Firenze e si impossessò di Sorana, senza destare le ire fiorentine41. I gigliati lasciarono il castello in balia degli eventi, memori del
patronato visconteo sotto cui Sorana vigeva e di cui tutti erano a conoscenza. La permanenza del fortilizio sotto il dominio pisano fu solo temporanea tanto che, come citato dal
Villani, ritornò libero già nel 1355.
Il successivo quinquennio fu caratterizzato da un clima di forte tensione che pervase
tutta la Valleriana. Negli anni Sessanta del XIV secolo si registrarono appunto gravi
misfatti42, fra cui l’assassinio di tre cittadini di Aramo (distretto di Pisa) preludio del ben più
aspro conflitto pisano-fiorentino, che scoppierà nella valle a breve distanza. Le epistole di
Gaddo Gallo, vicario del Cerruglio, inviate nel 1361 ai Savi del comune di Pisa riportano
l’accaduto43. Il 21 gennaio, in occasione dei tumulti, guidati da facinorosi di Vellano e
Castelvecchio (castra del dominio fiorentino) ai danni di Lignana nel distretto pisano, alcuni
homines dei detti castelli, uccisero Quadretto, Cappelleto e Paolino, “suppositos Pisae et
Luce” originari del castello lucchese di Aramo44. L’omicidio, seguito al furto del vino e delle
dieci bestie impiegate per il trasporto della merce verso Pontito, la cui “derobbatione” fu
“conducta in Castroveteri”, avvenne “in territorio Sorane”45, nominalmente estraneo alla
sfera di competenza delle due dominazioni interessate dall’evento. Palese fu infatti l’imbarazzo e l’impreparazione, reale o voluta, del vicario pesciatino chiamato a deliberare sull’accaduto. Questo, non riuscendo più a temporeggiare di fronte alle pressanti richieste di
chiarimenti da parte delle autorità pisane, si impegnò nella restituzione del maltolto affermando candidamente che, in base alla vigente pace tra i comuni di Pisa e Firenze, i sudditi
della città gigliata potevano “occidere et derrobare” chiunque attraversasse le terre di
Sorana46. Ai cittadini pisani e lucchesi era quindi permesso il transito, con o senza merci,
per le dette zone, ma era loro proibito dare “favorem” et “auxilium” ai soranesi47.
In ragione degli eventi sopracitati il crescendo delle violenze nella valle potrebbe inserirsi in un più ampio piano bellico fiorentino volto a stuzzicare le ire pisane e condurre
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l’avversaria all’agognato scontro48. A meno di un
anno di distanza dai fatti di sangue, infatti, i contrasti per il controllo di Pietrabuona diedero inizio
agli scontri. La guerra pisano-fiorentina imperversò nella valle per circa due anni (1362-1364) permettendo all’esercito di Pisa, sebbene impegnato
anche su altri fronti dall’astuta Firenze49, di occupare alcuni avamposti nemici.
Almeno dal novembre 1363 Sorana fu posta
sotto il controllo di Pisa. In tale occasione i Savi
stabilirono i compensi da corrispondere ai circa
quarantacinque terrigeni e forestieri decretati alla custodia della detta terra50. La gestione della
rocca fu affidata a numerosi ghibellini fra i quali
compariva Fortinello di Mone, castellanus del fortilizio, con un salario mensile di quindici libbre di
denari lucchesi51.
Il 30 agosto 1364 le due rivali sottoscrissero
la pace di Pescia, con cui Pisa si impegnava a restituire ai fiorentini Sorana e le altre roccaforti
acquisite durante il conflitto52. Informazioni di
prima mano sui mesi immediatamente successivi
alla tregua e sulle condizioni post-belliche del
borgo ci vengono fornite dalle lettere inviate a
Fig. 7 - Ordine dei Capitani di Parte Guelfa di affiggere
Iacopo degli Alberti dai Priori delle Arti di Firenze, in Sorana l’editto di pubblico incanto di alcuni beni
con cui istruiscono il vicario sui tempi e sulle pro- presenti nel suddetto comune e nel diruto castello di
cedure di restituzione delle terre53. Il 19 settem- Lignana (ASFI, Capitani di Parte Guelfa n. 942, c. n.n.)
bre il commissario pisano avrebbe riconsegnato
le terre soranesi nelle mani del vicario pesciatino, che immediatamente avrebbe provveduto ad inviare una brigata di soldati54, capitanati da un caporale guelfo55, a guardia e
difesa della rocca. I priori raccomandavano inoltre “che le terre siene bene guardate fino
a tanto che noi proveggiamo di castellano o dalque ufficiale” consigliando a Iacopo degli Alberti una scelta oculata dei soldati e la redazione, da parte dei notai vicariali, di resoconti ben precisi da inviare a Firenze56. L’analisi delle lettere delinea inoltre un quadro
ben diverso da quello dipinto da padre Sansoni nella sua opera, dove il borgo compariva
in gran parte distrutto e devastato dalla furia pisana57. Nelle parole dei priori non com71
paiono mai accenni a tale rovina, il tono pacato delle missive e il celere invio di soldate-
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sche ben preparate ed affidabili a controllo del fortilizio fanno ipotizzare una situazione
del tutto estranea all’apocalisse narrata nelle pagine sansoniane. È ipotizzabile infatti
che le strutture del borgo fossero ancora efficienti ed in buon ordine, tanto da necessitare di immediata sorveglianza armata.
Rientrata stabilmente sotto il dominio fiorentino nel 137158, anno della formale sottomissione alla dominante del popolo soranese, il castello attraversò un periodo di relativa
tranquillità59 e di notevole sviluppo urbano. Dal 1375 infatti i documenti della cancelleria
vescovile lucchese riportano notizie circa la costruzione della chiesetta di San Pietro (cfr.
par. La chiesa dei SS. Pietro e Paolo)60, collocata esternamente alle mura della rocca.
L’anno successivo (1376) Sorana ampliò la propria superficie abitativa al di fuori del nucleo fortificato. Le pagine del Sansoni riportano puntualmente l’edificazione del borgo
Paradiso destinato ad ospitare buona parte della popolazione del castello di Lignana distrutto, secondo tradizione, dall’esercito pisano61. La storiografia riguardante Lignana è infatti concorde nell’accusare le truppe pisane della distruzione del detto castello. Alla luce
del materiale archivistico fin ora rintracciato, però, la tesi della distruzione pisana dell’avamposto pare inverosimile (le carte dell’Archivio di Stato di Pisa, in particolare il carteggio tra il vicario del Cerruglio e quello di Pescia, assieme alle delibere del comune pisano,
ci informano che Lignana già dal 1361 era passata sotto il controllo pisano).
Il periodo di relativa tranquillità goduto dal borgo alla fine del 1300 venne bruscamente interrotto nel secolo successivo, con il riaccendersi delle lotte per il controllo della
valle tra Lucca e Firenze. A conclusione dei continui scontri tra i due eserciti rivali, che videro impegnato anche il capitano Niccolò Piccinino62, Lucca ottenne da Firenze, oltre ad
una pace cinquantennale, la restituzione di numerose terre e castelli della Valleriana. Il
27 marzo 1442 i commissari fiorentini Giuliano Davanzati e Alessandro Ugone Alessandri consegnarono al comune lucchese i borghi della valle tra cui Sorana63. Quest’ultima
rimase sotto la giurisdizione di Lucca per circa quarantuno anni, rientrando nei domini
fiorentini dal 1483, quando gli Anziani del comune lucchese ed il vicario della
Valdinievole dovettero placare le discordie nate fra Sorana, territorio fiorentino, e
Pontito, distretto di Lucca, circa alcune selve soranesi prese in affitto da questi ultimi64.
Alle soglie dell’età moderna Sorana si accingeva ad entrare stabilmente nel granducato
fiorentino, ma la tanto agognata tranquillità tardava ad arrivare. Dal 1530 al 1554 il paese
subì infatti il passaggio delle truppe di Francesco Ferrucci65, partecipò agli scontri sorti tra il
castello di Lanciole e quello di Pontito66 ed infine ospitò Brancaccio Rucellai vicario di
Pescia allontanatosi dalla città occupata dalle truppe di Pietro Strozzi67. Solo dalla metà del
XVI secolo, all’interno dello stato regionale mediceo, il piccolo comune rurale ottenne la
stabilità necessaria al suo sviluppo urbanistico ed istituzionale. In quest’ultimo campo si riscontra anche un incremento della documentazione superstite, in particolare dei registri di
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deliberazioni68, che delineano la struttura organizzativa del paese per gli anni futuri. La facoltà di decidere sui vari aspetti del vivere collettivo era affidata ai tre ufficiali maggiori69,
rappresentanti la comunità di Sorana per sei mesi, ed al pubblico e generale parlamento,
composto dai capo famiglia residenti nel borgo70. Le adunanze, precedute dal consueto
suono di campana, che richiamava i partecipanti all’evento, si tenevano solitamente nella
casa del comune71 o, in caso di impraticabilità di quest’ultima, nella piazza del paese72. Dal
punto di vista amministrativo il denaro pubblico era gestito dai ragionieri e dal camarlingo
del comune, carica quest’ultima annualmente posta all’incanto da assegnare “a chi mancho lo fa”73. Le entrate dell’erario comunale erano rappresentate dai dazi imposti alla popolazione, da una quota delle multe arrecate ai “dannificatori” di beni mobili ed immobili74
ed in gran parte dagli incanti della gabella del comune, della panetteria, del macello, dell’osteria75, oltre che dai proventi del depositario dei pegni76, del canoviere del sale77, del proventuario del mulino78 e del frantoio79. I resoconti delle entrate e delle uscite venivano apposti nei libri dei saldi con sbrigativa annotazione sia delle somme incamerate che delle
spese finanziate nel corso dell’anno80. La vita sociale, economica e giuridica del borgo era
regolata dalle norme contenute nei capitoli degli statuti redatti, secondo sansoniana memoria, da dodici savi nel 1545, ma in realtà molto più antichi, poiché la loro prima attestazione documentaria risale al 20 gennaio 149281. Il controllo del territorio di Sorana, identificato con il Poggio e la campagna circostante, era affidato alla guardia del danno dato ed
al suo compagno, incaricati di vigilare sul rispetto dei divieti imposti e di denunciare coloro
che li infrangevano82. Un’attenzione particolare fu rivolta alla delimitazione e conservazione dei confini giurisdizionali che separavano Sorana dagli altri centri della valle. Sin dal
1488 e per tutto il XVIII secolo, la documentazione riporta i resoconti delle visite fatte periodicamente da commissari nominati dalle singole comunità o da ispettori inviati dal ducato fiorentino ai termini di Sorana. L’analisi di tali fascicoli testimonia come i continui litigi
tra Sorana e le realtà montane confinanti non avessero di fatto apportato notevoli modifiche ai limiti di demarcazione delle terre soranesi. Con Pontito tali limiti erano costituiti dal
monte Bordone, in un “formicolaio sempre apparente”, e dal corso del rio Magno “che comincia dalla cima di detto monte e sgorga nel fiume Pescia”. Quest’ultimo corso d’acqua
separava inoltre Sorana da Aramo, da Vellano e, sino alla fossa chiamata Doccia Rialta, anche dal comune pistoiese di Lanciole83. La fossa di Casarozza ed il colle della Rave delimitavano infine l’area soranese da quella di Castelvecchio. Parallelamente all’organizzazione
dell’istituzione comunale, tra Cinque e Seicento Sorana divenne un cantiere a cielo aperto.
Né il terremoto del 1630 né tanto meno la peste diffusasi nelle terre di Sorana per i tre
anni successivi arrestarono gli “acconcimi” pubblici. Le fonti analizzate non citano danni
arrecati dal sisma agli edifici pubblici e privati, e solo cinque anni più tardi si registrano lavori di riparazione al tetto della chiesa84. Negli stessi anni le delibere del comune sorane-
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se riportano solamente i provvedimenti presi dal consiglio pubblico per evitare la diffusione del morbo mortale, introdotto nel paese, secondo il Sansoni, da Giovanni di Luca
Manfredi, pastore di ritorno dalla transumanza in Maremma85. In tale occasione fu deliberato “che nel lor castello di Sorana si facessero le due porte che si aprono et serrano, dove si fanno le guardie per la sanità. Et una che sta sempre serrata et in detto servizio si
sieno spese lire 156, soldi 12, denari 4 o altra più vera somma”86 da pagarsi a “maestro
Bartolozzo d’Ulivieri di Bartolozzo da Sorana”87 costruttore dei suddetti portoni.
Il vorticoso sviluppo seicentesco del borgo cela però una notevole instabilità e debolezza economica di fondo, dovuta ad una concatenazione di congiunzioni negative legate ad
una gestione mal oculata delle risorse finanziarie disponibili, connessa ad un sistema produttivo limitato, incentrato sullo sfruttamento di risorse agricole88 e silvo89-pastorali poco
redditizie, che costringevano gran parte della popolazione90 ad uno stato di povertà. Sin
dal 1599 si attestano infatti continui provvedimenti, protrattisi per tutto il secolo successivo, di suddivisione dei territori comunali deteriorati dall’incuria o ancora da dissodare tra gli
abitanti del borgo, per assicurare loro maggiori entrate91. Le richieste di finanziamento inoltrate dai rappresentanti della comunità di Sorana, dilatarono costantemente il debito accumulato dal borgo con il Monte di Pietà fiorentino, attestato al 1622 in 1300 scudi92. La situazione sembrò precipitare dagli anni settanta del 160093, quando il sostentamento delle
famiglie bisognose dipese quasi esclusivamente dalle assegnazioni del potere centrale di
consistenza tale che, nel 1770, il comune ne doveva ancora riscuotere una buona parte per
saldare gli insoluti con Firenze94. La congiuntura economica negativa non sembrò arrestarsi
nemmeno nel XVIII secolo, sebbene vi fosse la volontà di superare ciò sfruttando le risorse
naturali disponibili, come il corso della Pescia, per costruire la stanza per un “arruotino”95.
A varie opere di edilizia pubblica, finanziate sia dagli organi comunali che dalle autorità fiorentine, si alternarono ingenti prestiti per l’acquisto delle “grascie”96 o l’incanto di vaste
aree boschive comunali per assicurare gettiti immediati all’erario97. Gli interventi più marcati riguardarono ripetuti restauri alle campane ed al campanile98, dotato nel 1762 di un
orologio99, il risarcimento delle mura100, l’ampliamento della rete stradale interna al borgo,
volta ad impiegare “tutti i poveri del paese” e la ristrutturazione della canonica101. Mentre
il castello sprofondava sempre più nel suo declino economico-demografico, pressato dalle
continue richieste dell’autorità centrale di saldare i debiti contratti non ancora estinti, nel
1775 l’istituzione comunale soranese venne posta sotto la giurisdizione della comunità di
Vellano, formata dai centri di Vellano, Sorana, Pietrabuona e Castelvecchio102. I rappresentanti della comunità soranese continuarono però ad essere nominati103 e gli organi di rappresentanza soranesi all’interno della nuova comunità entrarono a far parte della magistratura del gonfalone e priori104. Il borgo rimase, per i secoli successivi, sotto la competenza di
Vellano sino al 1928 anno in cui Sorana fu incorporata nel comune di Pescia.
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NOTE
* Dal contributo originario di Elisa Bechelli.
1 A. Sansoni, Memorie Istoriche antiche e moderne del castello di Sorana, diligentemente e fedelmente raccolte da diverse scritture antiche autentiche da diversi luoghi, BComPE, Manoscritti, 1.B.10,
1704, c. 7r. Il manoscritto fu composto nel 1704 da padre Andrea Maria Sansoni Fioravante, al secolo
Rocco di Rocco di Rocco Sansoni.
2 Sansoni, op. cit., pp. 5-6.
3 Il toponimo Petritulo compare per la prima volta in un documento redatto dal vescovo lucchese
Adalongo il primo marzo 975. Il testo riporta la dicitura “terra et monte illo in loco et finibus Petritulo
prope Sorana, quod est inter terra adque aqua que vocitatur Piscia majore et Obascisce”, indicando il
territorio compreso nelle più ampie terre conosciute con il macrotoponimo di Sorana, entro cui sorgerà
il futuro borgo, racchiuso fra il corso dei fiumi della Pescia Maggiore e dell’Obacisce. A distanza di cinque anni, il termine ricompare nuovamente in un’altra charta livelli della cancelleria vescovile di Lucca,
accompagnato però dalla dicitura “monte e pogio”, o come troveremo in altra documentazione “monte e pojio”, a sottolineare la presenza sull’altura di un centro demico di qualche rilevanza strategica per
il controllo dell’intero territorio del piviere ed in particolare della fascia orientale della diocesi. Le attestazioni documentarie del vocabolo non si esauriscono nei due esempi sopra riportati. La loro presenza
è testimoniata ancora per tutto l’ultimo ventennio del X secolo, quando il termine Petritulo, sebbene
presente negli atti in più varianti, compare in due documenti ascrivibili agli ultimi decenni del X secolo
(988 e 998). Per quanto concerne la tipologia scrittoria del termine, possiamo segnalare che: dalla primaria forma di Petritulo (957 e 998), passa a quella di Petretulo (980) ed infine a Retritulo (988). Da
segnalare è inoltre il fatto che dalla menzione del 980 compaia in modo continuativo la correlazione fra
il termine pogio e Petritulo, (cfr. D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’Istoria del Ducato
di Lucca, Lucca 1971, vol. V, parte III, pp. 345, 386, 520, 608).
4 Sansoni, op. cit., c. 6r.
5 L’ipotesi che i castelli della valle fossero stati edificati in epoca romana si era diffusa in larga
parte del mondo erudito e dell’opinione pubblica, tanto da comparire sia nella tradizione orale che nella documentazione scritta (cfr. Sansoni, op. cit., c. 6r; ASFI, Capitani di Parte Guelfa n. 942, fascicolo
88, cc. n.n.; B. Gerini - F. Salvi, La provincia di Pistoia, Pistoia 1987).
6 La permuta del 938 includeva anche beni di pertinenza della pieve di San Tommaso di Arriana,
siti in Valle Scarina, Subirza, e Bucuniano.
7 La commutatio era una permuta di beni tra due o più parti.
8 Barsocchini, op. cit., vol. III, n. 1503, pp. 385-387.
9 Barsocchini, op. cit., vol. III, n. 1639, pp. 520-521. Il documento contiene un elemento di notevole rilievo, attestando la concessione vescovile della chiesa pievana ai tre livellari che vennero investiti
dell’obbligo di curare l’officiatura da tenersi nella stessa.
10 La concessione livellaria dei patrimoni pievani era ormai prassi consolidata all’interno del mondo ecclesiastico e ciò permise alle autorità vescovili un attento e capillare controllo militare ed amministrativo dei loro patrimoni fondiari. Inoltre consentì loro di regolare i rapporti di forza tra le varie realtà
sociali presenti nel territorio, costituite sia da semplici contadini dipendenti che da famiglie nobiliari minori, talvolta soggette ai feudatari vescovili. In particolare l’attenzione dei prelati lucchesi si focalizzò
sulle aree di maggior importanza commerciale e strategica, come appunto Sorana e la Valleriana, che
divennero buona merce di scambio per intelaiare relazioni stabili con nobili laici di comprovata lealtà
come i Da Maona, capaci di ottenere livelli sempre più vantaggiosi e rendite sostanziali che li avrebbero
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collocati in una posizione dominante, permettendo loro di costituire una potente signoria fondiaria.
11 Barsocchini, op. cit., vol. III, n. 1737, pp. 608-609.
12 La gestione dei beni ottenuti a titolo di livello da parte dei prelati lucchesi aveva impegnato i Da
Maona su più fronti: dalla riscossione delle decime, alla raccolta delle offerte, all’amministrazione della
giustizia, fino a ricoprire il fondamentale ruolo di braccio armato dei metropoliti.
13 AAL, Visite pastorali n. 9, c. 231v. L’attestazione documentaria dell’ospedale risale al 4 maggio
1467, quando l’edificio doveva aver ormai perso il ruolo centrale ricoperto nei secoli precedenti. Il resoconto della visita non riporta né l’ubicazione della struttura né tanto meno una descrizione di essa, ma
ci informa solamente delle pessime condizioni in cui versava lo xenodochio.
14 Archivio Arcivescovile di Lucca. Carte del secolo XI dal 1018 al 1031, a cura di G. Ghilarducci,
Lucca 1990, n. 21, pp. 61-64.
15 L’atto riporta, oltre a Sorana, i paesi di Pontito, Stiappa, Lignana, Terrazzana, Castelvecchio,
Crasciana, Casabasciana ed il castello di San Quirico. Nella documentazione analizzata e riportata nel
DVD, Sorana compare come “arcis et casseri”: fortezza e cassero solo nel 1334, in occasione della nomina da parte delle autorità fiorentine del castellano incaricato della gestione della struttura militare,
sebbene non sia stato possibile ritrovare il momento preciso di tale fondazione. Gli atti analizzati riportano una terminologia che varia da “arcis”, a “cassero”, a “castro” ed infine a “rocche” (cfr. Quirós
Castillo, op. cit., p. 60). L’atto è riportato in regesto in: G. Santoli, Liber Censuum Comunis Pistorii,
Pistoia 1906-1915, n. 282, pp. 196-197.
16 La prima citazione documentaria della presenza di un’istituzione comunale a Sorana risale al 25
settembre 1281, in occasione della pace tra il comune di Sorana e quello di Vellano. L’atto riporta l’elenco degli uomini di Sorana firmatari del trattato; tra i diciotto terrigeni compaiono Foreo e Meliacto di
Salomone i cui patronimici di origine tipicamente ebraica potrebbero suggerire la presenza di un enclave giudaica nel borgo. Questo infatti già nel XIII secolo registra una certa consistenza demografica
quantificabile in circa venti unità familiari corrispondenti a poco meno della metà delle famiglie di
Vellano. Un documento redatto dalla cancelleria vescovile lucchese l’anno seguente (1282), ci informa
inoltre sull’identità del sindaco del comune, un certo “Giunta Maynecti de Sorana”, che oltre a ricoprire
la suddetta carica rivestiva anche quella di rettore della chiesa paesana insieme a “Lupardus Moselli”,
entrambi laici (cfr. ASLU, Archivio dei Notari, Notaio Bonaccorso, cc. 209r-213r; AAL, Libri antichi di
Cancelleria n. 3, c. 12r).
17 La Vicaria della Valle Arriana e del Piviere di Villa era composta da quattordici comuni: Sorana,
Lignana, San Quirico, Aramo, Medicina, Pariana, Villa Basilica, Castel Vecchio, Schiappa, Colognora,
Pontito, Boveglio, Veneri e Collodi.
18 ASLU, Statuti del Comune di Lucca n. 1, pp. 65, 75.
19 L’unica descrizione della rocca presente nella documentazione fino ad ora conosciuta è quella riportata dal Sansoni (cfr. Sansoni, op. cit., pp. 7-9).
20 ASLU, Diplomatico, Serviti n. 373, 19 settembre 1330.
21 ASLU, Diplomatico, San Nicolao n. 381, 6 settembre 1332.
22 ASLU, Diplomatico, Santa Maria Corteolrlandini n. 363, 25 febbraio 1328.
23 ASLU, Diplomatico, San Ponziano n. 534, 12 gennaio 1397.
24 La battaglia di Montecatini svoltasi il 29 agosto 1315 si trasformò in un cocente smacco per le
truppe fiorentine ed i suoi alleati come riportato da più autorevoli storici. La contestazione recata alle
affermazioni del Sansoni, citate nel testo in qualità di fonte indiretta degli avvenimenti storici che interessarono Sorana, riguarda la partecipazione di una delegazione militare soranese allo scontro di
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Montecatini, fatto non supportato da materiale archivistico né da altra storiografia. Le inesattezze storiche notate in più occasioni nel corso della narrazione sansoniana sono da attribuirsi ad una sorta di
“campanilismo paesano” volto ad elevare le vicende talvolta poco esaltanti e nobilitanti del paese natio, sebbene frequentemente l’autore stesso certifichi l’autenticità della narrazione affermando di aver
condotto una precisa ed attenta ricerca d’archivio. Altro elemento da tenere in considerazione è rappresentato dai quattrocento anni che separano il cronista dai fatti narrati nella sua opera, ed anche il lasso
di tempo che divide la contemporaneità dal passato con la probabile distruzione di informazioni precedentemente fruibili (cfr. Sansoni, op. cit.).
25 Cfr. Sansoni, op. cit. Il toponimo Torricella è tuttora presente nel territorio di Sorana ed è possibile anche delineare grossolanamente l’area che identifica. Sul luogo sono presenti alcuni ruderi della
passata torricella quantificabili nel basamento a forma rettangolare ascrivibile non propriamente ad
una struttura difensiva d’avvistamento quanto piuttosto ad una marginetta votiva, come emerso dal sopralluogo archeologico.
26 Nel giugno del 1329 i centri della Valdinievole e Valleriana oltre a promettere obbedienza alla
chiesa di Roma ed al Papa, accordarono libero accesso nella valle a Firenze e ai suoi alleati. Inoltre promisero di rispettare il libero passaggio di merci e persone attraverso il loro territorio, e di fornire truppe
alla città dell’Arno in cambio di pagamenti prestabiliti.
27 ASFI, Libri Fabarum n. 16, c. 43v.
28 ASFI, Libri Fabarum n. 16, c. 43v, 15 maggio 1334; c. 69v, 3 ottobre 1334; c. 94v, 23 febbraio
1335; c. 99r, 22 marzo 1335. ASFI, Libri Fabarum n. 17, c. 7v, 28 aprile 1338; c. 55v, 31 agosto 1338;
c. 108r, 12 marzo 1339. ASFI, Libri Fabarum n. 18, c. 179v, 11 dicembre 1339; c. 216v, 9 marzo 1340;
c. 221r, 16 marzo 1340. ASFI, Libri Fabarum n.19, c. 9r, 10 aprile 1340; c. 46v, 8 luglio 1340; c. 51r, 28
luglio 1340; c. 61v, 20 agosto 1340; c. 109v, 6 dicembre 1340; c.115r, 24 dicembre 1340; c. 62v, 1
febbraio 1343.
29 ASFI, Libri Fabarum n. 18, cc. 221rv.
30 ASFI, Libri Fabarum n. 19, c. 46v; c. 109v.
31 ASFI, Libri Fabarum nn. 19, 20, 21.
32 Le tensioni fra Pisa e Firenze ebbero inizio il 12 agosto 1341 in seguito alla cessione di Lucca ai
fiorentini da parte di Mastino della Scala. Lo scaligero infatti aveva preso accordi sia con Pisa che
Firenze per la compravendita della città del Volto Santo, ma di fronte all’offerta di duecentocinquantamila fiorini d’oro fatta da Firenze, Mastino preferì cederla a questi ultimi in modo non del tutto limpido
nei confronti degli altri papabili acquirenti. Nel corso del conflitto Pisa, oltre a conquistare Lucca, sottrasse all’avversaria numerose terre e castelli della Valdinievole e Valleriana fra cui verosimilmente anche Sorana.
33 ASFI, Libri Fabarum n. 22, c. 62v.
34 Sorana rientrò sotto il dominio fiorentino con la pace stipulata tra Pisa, Lucca e Firenze il 9 ottobre 1342. L’accordo fu successivamente ratificato il 15 novembre 1343 a San Miniato, dove alcune clausole del precedente trattato furono modificate. Pisani e lucchesi si impegnavano così a non immischiarsi
per nessun motivo nelle vicende di Valdinievole e Valleriana, ritornate sotto il controllo fiorentino.
35 ASPI, Comune A n. 206, c. 68r. Il documento, oggetto di studi e ricerche archivistiche ancora in
corso, fu redatto in data 14 aprile 1361 ed è conservato nei registri del comune di Pisa. Con molta probabilità si tratta di una lettera a carattere confidenziale, inserita verosimilmente in un più ampio carteggio, redatta dal vicario del Cerruglio ed inviata probabilmente al vicario di Pescia. Il destinatario della
missiva infatti non è esplicitamente citato nel testo, ma la sua identità è dedotta da alcune frasi presen-
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ti nella lettera: “all’altra parte della vostra dimanda […] vi rispondo parlando con voi amichevilmente
che della dicta domanda mi meraviglio molto. Però che essendo voi così facto citadino, infacti come voi
siete, voi dovete ben sapere”. Dal carattere informale dell’epistola e dalle parole utilizzate dal vicario
pisano trapela come il protettorato milanese su Sorana fosse cosa ben nota agli esponenti più vicini alle
alte sfere del potere, ma paradossalmente l’informazione doveva tenersi celata ed essere divulgata in
via eccezionale solo a pochi “privilegiati”.
36 La missiva del 14 aprile 1361 non riporta il momento preciso in cui i Visconti chiesero ed ottennero questa sorta di protettorato su Sorana. Ripercorrendo le vicende storiche che videro come protagonisti Firenze, Milano e Pisa, dopo la pace di San Miniato del 1343, con la quale Sorana rientrava nel
dominio fiorentino, veniamo a conoscenza di un breve scontro tra Luchino Visconti e Pisa, avvenuto nello stesso anno degli accordi tra le due città dell’Arno. Il casus belli fu l’inosservanza da parte di Pisa
delle clausole del trattato di pace stipulato con Firenze. Il conflitto ebbe termine il 17 maggio 1345 occasione in cui i Visconti potrebbero aver richiesto il passaggio di Sorana sotto la propria autorità. Il borgo rimase sotto il protettorato milanese sino al 1364 quando i fiorentini, dopo l’ennesima guerra contro i pisani che l’avevano occupato nel 1363, riconquistarono il fortilizio.
37 ASPI, Comune A n. 206, c. 68r. Le due citazioni rafforzano l’ipotesi del puro protettorato nominale di Milano su Sorana, ribadendo l’estraneità del comune di Pisa su ogni decisione ed azione da intraprendersi sul territorio soranese. La “pace et concordia” dei fiorentini con i Visconti paiono al contrario una sorta di alleanza nascosta, camuffata con l’intento milanese di creare un’entità neutrale fra due
eterne rivali. Ciò non impedirà comunque ai fiorentini di organizzare e gestire il territorio di Sorana che,
oltre ad essere inserito nella Vicaria di Valdinievole e Valleriana, sarà soggetto ad altri provvedimenti.
Firenze manterrà un atteggiamento neutrale, quasi scostante ed incurante, solo nelle vicende giuridiche
che riguarderanno in prima persona Sorana dovute ad atti malavitosi o ad attriti con i paesi limitrofi.
38 Il Vicariato di Valdinievole e Valleriana, con sede a Pescia, fu istituito stabilmente dal 1345 e
comprese le comunità valdienievoline di Montecatini, Monsummano, Montevettolini, Buggiano, Uzzano,
Massa e Cozzile, ed i centri montani della Valleriana come Castelvecchio, Vellano ed appunto Sorana
(cfr. ASFI, Capitoli del Comune di Firenze, inventario e regesto n. 2, a cura di A. Gherardi, Firenze 1893,
pp. 619-620 e ss.; ASFI, Giudice degli appelli e delle nullità n. 89, cc. 6rv).
39 ASFI, Giudice degli appelli e delle nullità n. 89, c. 6r.
40 ASFI, Giudice degli appelli e delle nullità n. 90, n. 4, cc. 95vr. I soranesi esasperati da nuove imposizioni fiscali, non riportate nel documento, insorgono contro la dominazione fiorentina e la totalità
del paese è in tumulto. Dal medesimo registro veniamo a conoscenza che nello stesso anno anche
Vellano e Pescia furono scosse da sommosse interne antifiorentine, mentre agitazioni simili si riscontrano due anni dopo (1354) a Castelvecchio. La tempistica della ribellione popolare soranese e della successiva acquisizione del castello da parte di Pisa, fanno supporre un’istigazione pisana al tumulto, che
avrebbe consentito loro la presa di Sorana e probabilmente anche degli altri centri della valle. Le autorità fiorentine temevano infatti che le continue sommosse, le ripetute sollevazioni anche di più castelli,
le scorribande dei briganti che avevano reso la Valleriana una zona calda ed imprevedibile fossero fomentate dalle potenze nemiche, quali Pisa, al fine di destabilizzare il territorio, impegnare così le soldatesche presenti in loco per placare i tumulti semplificando l’accesso dei nemici nella valle. Per questo
nei momenti di massima tensione l’autorità vicariale imponeva ai gestori delle osterie di comunicare
giornalmente l’elenco dei forestieri che alloggiavano presso di loro, temendo l’ingresso di agitatori sociali stranieri (cfr. ASFI, Giudice degli appelli e delle nullità n. 89, n. 3, c. 3v).
41 Cfr. G.-M.-F. Villani, Cronica, Firenze 1364, cap. XII, p. 83; F. Galeotti, Memorie di Pescia 1659,
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Pescia 1999, p. 69. L’immobilismo fiorentino sostiene l’ipotesi del patronato nominale visconteo a favore delle autorità cittadine di Firenze, permettendo loro di agire indisturbate sul territorio controllato direttamente da queste ultime. Una risposta fiorentina all’irruzione pisana avrebbe reso manifesto il tacito accordo ricoprendo di ignominia le due parti coinvolte.
42 ASPI, Comune A n. 65, cc. 7v-8r. In data 20 febbraio 1361, il vicario del Cerruglio Gaddo Gallo
inviò ai Savi del comune di Pisa un resoconto dei fatti accaduti nei domini pisani della Valleriana, chiedendo loro di esprimere un proprio parere sugli eventi narratigli. Il vicario raccontò che il 21 gennaio
del presente anno, un centinaio di uomini, rifugiatisi poi nei castelli di Vellano e Castelvecchio, dominio
fiorentino, avevano fatto irruzione nel territorio di Lignana, dominio lucchese, contro i sudditi pisani e
lucchesi. La lettera unita ad altra corrispondenza intercorsa tra il vicario del Cerruglio ed il vicario di
Pescia, crea un unico epistolario, inviato a sua volta ai Savi di Pisa, contenente un ricco excursus di
scontri, ruberie ed omicidi commessi durante l’attacco di Lignana del 21 gennaio o nei giorni immediatamente successivi. In occasione dell’assalto del sopracitato castello, Bettorello Zei di Crespoli distretto
di Pistoia, assieme alla sua banda uccise tre uomini del detto castello razziando anche otto bestie cariche di vino. Alcune settimane più tardi il vicario pesciatino informò il rappresentante pisano di stanza al
Cerruglio di mettere al sicuro le sue terre ed avvertire i castellani a lui dipendenti di nuovi imminenti attacchi diretti verso i loro possedimenti. Dall’epistolario trapela infatti il desiderio fiorentino di attaccare
i centri della valle non tanto per placare i tumulti, ma probabilmente per dar inizio alla conquista delle
terre pisane. I castellani di tali insediamenti, timorosi di ciò, cercarono di frenare il suo slancio bellico
optando per un accordo diplomatico. Ripercorrendo i fatti storici precedenti ai sommovimenti sopra
trattati è lecito supporre che le sollevazioni degli uomini di Vellano e Castelvecchio, correlate alle incursioni delle bande pistoiesi, siano state spronate da Firenze stessa per creare nella valle un clima instabile ed infuocato al pari dei tumulti del passato decennio (1352) manovrati verosimilmente da Pisa.
43 ASPI, Comune A n. 65, cc. 7v-8r; c. 13r; c. 16v; c. 17r.
44 ASPI, Comune A n. 65, cc. 7v-8r.
45 ASPI, Comune A n. 65, c. 16v.
46 ASPI, Comune A n. 65, c. 16v.
47 ASPI, Comune A n. 65, c. 17r.
48 Negli anni precedenti la guerra pisano-fiorentina del 1361, Firenze aveva attuato una pressante e
fruttifera azione di ampliamento dei suoi confini. In tale ottica i fiorentini sicuramente prevedevano una
riduzione della potenza pisana mediante un iniziale smembramento del suo dominio per giungere poi ad
un suo definitivo annientamento e relativo passaggio sotto l’autorità fiorentina. Ciò che ai fiorentini
mancava era un “casus belli” tale da giustificare un loro attacco ai danni di Pisa, sebbene i motivi di attrito, alimentati anche dalla politica espansionistica fiorentina degli anni Sessanta del XIV secolo, non
mancavano. Sin dal 1356 l’annullamento dei privilegi sull’utilizzo del porto di Pisa ai mercanti fiorentini e
la conseguente imposizione di pesanti dazi sul transito mercantile, avevano ulteriormente incrinato i rapporti fra le due città. Firenze reagì spostando il porto nella senese Talamone, che divenne il centro dei
traffici marittimi della città ed in seguito si impegnò ad ampliare il proprio dominio incamerando uno dopo l’altro diversi castelli. Il 6 gennaio 1360, dopo cinque mesi d’assedio, le milizie fiorentine occuparono
Bibbiena; parallelamente furono acquisiti i castelli di San Nicola e di Sonci e strappati a Tacco degli
Alberti i “castra” di Vivagni e Carelli ed ai Tarlati quello di Serra. L’espansione fiorentina non si era ancora arrestata; così sul finire del secolo la città del giglio si impossessò dei fortilizi di Gemoli e Coloreto.
49 Il conflitto, secondo i piani di Firenze, non si esaurì alla sola Valleriana ma l’esercito fiorentino
guidato da Bonifazio Lupo di Parma dilagò anche nel territorio pisano. Attaccando così il nemico su più
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fronti, reso debole dagli scontri in Valdinievole, Firenze saccheggiò la Val d’Elsa ed espugnò Ghiazzano.
Al comando delle truppe fiorentine successe Rodolfo di Varano che si spinse fino a Cascina depredandola ed espugnando il castello di Peccioli. Approfittando della debolezza dell’avversaria i fiorentini si
impadronirono anche dell’isola del Giglio ed assaltarono il porto pisano. I fatti di guerra del 1362, ben
architettati da Firenze per schiacciare ed annullare la potenza nemica pisana, decretarono il lento e
progressivo decadimento della città.
50 ASPI, Comune A n. 139, cc. 4v-7r.
51 ASPI, Comune A n. 139, c. 5r.
52 Il 30 agosto 1364 Firenze da una parte e Pisa con Lucca dall’altra sottoscrissero a Pescia gli accordi di pace. La città del giglio si impegnava a restituire a Pisa e Lucca le terre sottratte durante il conflitto, mentre queste ultime due avrebbero riconsegnato a Firenze Castelvecchio, Sorana, Lignana,
Pietrabuona ed Altopascio, un tempo poste sotto la dominazione lucchese. Anche Antonio Pucci nel settimo cantare della guerra pisana afferma: “e diedero i pisan, se ‘ldir non erra, a’fiorentini Castelvecchio
e Lignana, e Pietrabuona, per cui fu la guerra, e Altopascio e la rocca Sovrana”. Cfr. A. Pucci, Delle poesie di Antonio Pucci celebre versificatore fiorentino del MCCC e prima della Cronica di Giovanni Villani,
ridotta in terza rima, pubblicate, e di osservazioni accresciute da frate Ildefonso di San Luigi carmelitano scalzo, Voll. I-IV, VII Cantari della guerra di Pisa, Firenze 1772-1775.
53 ASFI, Signori Missive I Cancelleria n. 13, pp. 4, 5, 8, 9. L’epistolario datato 3 settembre 1364 - 6
settembre 1364, è diretto al vicario pesciatino Iacopo di Ser Lamberto e ripercorre le tappe fondamentali della restituzione delle terre fiorentine tolte a questi ultimi dai pisani. Il vicario investito della carica
di “loco tenente” riceverà dal commissario di Pisa Tommaso de’ Chocchi “agli octo dì di questo mese la
fortezza di Petrabuona, dando a 9 dì Ghiazzano et a 19 dì Sourana e Lignana, e a 20 dì dobbiamo rendere Pecciole”.
54 ASFI, Signori Missive I Cancelleria n. 13, pp. 8-9.
55 ASFI, Signori Missive I Cancelleria n. 13, p. 5.
56 ASFI, Signori Missive I Cancelleria n. 13, p. 5.
57 Sansoni, op. cit., pp. 31-35.
58 Gli abitanti di Sorana si sottomisero formalmente alla dominante nel 1371, impegnandosi ad inviare in occasione della festa di S. Giovanni un cero del valore di otto libbre, ed in caso di guerra a
mantenere un uomo a cavallo armato di tutto punto.
59 Dal 1370 ultimo anno in cui si attestano fatti di sangue, la documentazione non presenta altri
atti di violenza ai danni di soranesi o compiuti nel suo territorio.
60 La riedificazione della chiesa all’esterno delle mura della rocca comportò anche una nuova dedicazione. La titolatura a San Pietro rimase immutata negli anni (San Pietro era già titolare della chiesa
nel 1285 circa), mentre quella di Santa Cristina fu tolta per lasciare spazio a San Valentino.
61 Padre Sansoni afferma che “finito che hebbero i nimici di saccheggiare Sorana se ne passorno
con l’istessa furia all’assalto di Lignana, assai debole allora di presidio per essere solo guardato da’ terrazzani. Onde vi entrorno dentro con poca resistenza e dopo haverlo saccheggiato e tolto gran quantità
di bestiame lo rovinorno la maggior parte” (Sansoni, op. cit., p. 35).
62 ASLU, Carteggio degli Anziani n. 67, c. 24r.
63 ASLU, Diplomatico, Tarpea n. 586.
64 ASLU, Carteggio degli Anziani n. 40, c. 156v.
65 Sansoni, op. cit., p. 58.
66 Galeotti, op. cit., n. 265, p. 202.
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Sansoni, op. cit., pp. 60-61.
Dalla metà del XVI secolo il materiale archivistico conservatosi aumenta notevolmente. La documentazione amministrativa più antica è rappresentata dalla serie dei saldi (1566-1713), resoconti di
entrata ed uscita del comune, redatti annualmente dal camarlingo in carica. Seguono poi i registri delle
delibere del comune soranese, che abbracciano un arco temporale che dal 3 novembre 1596 giunge al
24 aprile 1775, per giungere poi al volumetto del danno dato (12 settembre 1685 - 29 luglio 1749).
Quest’ultimo contiene di fatto le sentenze e le relative pene inflitte ai terrigeni e forestieri di Sorana,
accusati dalle due guardie incaricate della sorveglianza del borgo e delle terre di Sorana, per i reati
commessi ai beni pubblici e privati del comune.
69 Gli ufficiali maggiori con carica semestrale venivano tratti a sorte dalla borsa degli spicciolanti o le
polizze contenenti i nomi dei possibili ufficiali venivano sistemate “alla confusa in un cappello” ed estratte.
70 Il “consiglio et huomini di Sorana” esercitavano il proprio potere legislativo-decisionale su un
ampio ventaglio di situazioni: dallo stanziamento di denaro per finanziare lavori pubblici volti al mantenimento delle strutture del borgo, alla nomina del rettore della chiesa, del cappellano in periodo di quaresima, del cerusico e del maestro di scuola. Al loro parere era sottoposta l’imposizione dei divieti ed
anche la nomina degli ufficiali comunali, del camarlingo, dei ragionieri, delle guardie del danno dato,
dei conduttori delle gabelle. Ogni deliberazione riceveva una doppia approvazione: prima dal partito
della comunità ed in seguito dalla magistratura dei signori nove che rilasciava la propria “licentia” (cfr.
SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 335, cc. 2r-5r; SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 335,
c. 47v; SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 335, cc. 28v-29r).
71 La prima attestazione documentaria della casa del comune citata anche come stanza del comune o “in luogo di solita residentia” o “nel luogo solito”, risale al 1571-1572 in un documento amministrativo del camarlingo di Sorana in occasione dei restauri apportati a tale edificio. Le pessime condizioni strutturali in cui versava l’edificio, che necessitò del completo rifacimento del tetto e delle imposte,
fanno ipotizzare una sede di antica costruzione, bisognosa di costante manutenzione. La documentazione infatti riporta innumerevoli altri interventi alla struttura che minacciava rovina anche nei secoli
successivi. Nella casa del comune era conservato l’armadio con la cassa con le borse degli squittinanti
contenenti le polizze ed i brevi utilizzati per la tratta degli ufficiali pubblici. Una delibera del 30 giugno
1760 riporta un fatto curioso: il giorno deputato alla nomina degli officiali all’apertura della detta borsa
al posto dei brevi trovarono solo carta.
72 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, cc. 179v-180r. La delibera sotto riportata ci informa della proposta, poi bocciata dall’assemblea comunale per 19 voti favorevoli contro 27 contrari, di
costruire sotto la sagrestia una stanza da adibirsi a scuola ed aula delle adunanze tenutesi ora nella
pubblica piazza. Il luogo prescelto però non pare adatto a tale funzione vista la presenza di estranei
che possono riportare all’esterno le decisioni prese dai soranesi.
73 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325, c. 168v. Ottenuta la carica annuale, il camarlingo
si presentava personalmente davanti ai rappresentanti della comunità di Sorana per prestare il suo giuramento e accettare la detta nomina. Prometteva inoltre di “bene e fedelemente esercitare a’ detto suo
rischio e schiena con risguotere quanto gli sarà dato in assegnamento ed alla fine dell’anno render
puntualmente conto della sua amministrazione, che sotto l’obligo di se stesso, suoi eredi e beni de’ suoi
eredi, perdere enfine in ogni” (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. n.n.).
74 ASFI, Statuti delle comunità autonome e soggette n. 861, c. 93r. La prassi affermava che una
parte dei denari delle multe dovesse andare al comune e l’altra al dannificato.
75 Dal 1616 gli statuti vietano agli osti del borgo di “potere dare bere e mangiare a nessuna per68
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sona di detto comune o quivi habitante ne fare biscazze o giuochi di alcuna sorte prohibiti per le leggi
di sua altezza serenissima” per “il gran danno che apporta alle povere famiglie del detto castello” (cfr.
ASFI, Statuti delle comunità autonome e soggette n. 861, c. 56r).
76 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 335, c. 15v.
77 Il canoviere del sale, carica prima annuale trasformatasi dal 1759 in triennale, giurava “di bene e
fedelmente esercitare il suo impiego e di rifinire il sale assegnato anno per anno a sua schiena, siccome
ancora d’adempire in tutto e per tutto alle leggi et ordini ed a’ patti contratti per detto impiego et obbligando perciò se stesso, suoi beni, eredi e beni de’ suoi eredi”, nominando due mallevadori che garantivano per lui il pagamento del suo provento (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 133r).
78 I mulini, quello di sopra e quello di sotto, rappresentavano un bene importantissimo per la comunità di Sorana, tanto da rappresentare la massima entrata del comune. Gli statuti del 1557 riportano
che il mulino ed il frantoio furono acquistati dal comune da Giovanni di Riccardo, da Nardo di Giorgio
Redi di Luca e da Redi di Carlo di Nanni. L’incanto del mulino veniva liberato annualmente, di solito negli ultimi giorni di dicembre o nei primi di gennaio, al maggiore offerente, che non poteva a sua volta
incantarlo ad altri o far concorrere ad altri incanti suoi familiari con i quali viva “insieme e in comune”.
79 La conduzione del frantoio, data sempre per mezzo di pubblico incanto, veniva concessa al miglior offerente che oltre a pagare nei tempi debiti la somma offerta durante l’asta, si impegnava ad osservare determinate convenzioni.
80 Tali libri detti “Saldi” contenevano le registrazioni delle entrate e delle uscite con annessa breve
descrizione della destinazione sia dei pagamenti, che delle entrate (cfr. SASPE, Archivio del Comune di
Vellano n. 333, cc. n.n.).
81 ASFI, Statuti delle comunità autonome e soggette n. 861, c. 1r. La prima attestazione archivistica degli statuti del comune di Sorana risale al 20 gennaio 1492, per proseguire poi sino al 25 luglio
1759. Il registro non contiene infatti gli statuti integrali del paese, ma le richieste inviate dagli ufficiali
maggiori di Sorana ai signori del consiglio e pratica segreta (cfr. ASFI, Statuti delle comunità autonome
e soggette n. 861, cc. 91r-94v).
82 Sino al 1662 la guardia era eletta dai soli rappresentanti della comunità, mentre da quella data
in poi gli statuti stabilirono che fosse “eletta e vinta per legittimo partito di tutto il parlamento” (cfr.
SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 335, c. 23v; ASFI, Statuti delle comunità autonome e soggette n. 861, c. 92r).
83 I confini sono desunti dalle numerose visite dei termini o dalle sentenze di confinazione rogate
dagli ufficiali fiorentini o lucchesi inviati in loco per sedare le continue e mai sopite tensioni riguardanti
proprio i limiti delle comunità limitrofe. La documentazione abbraccia un arco temporale che dal 1488
giunge al 1763 quando in occasione del rifacimento dell’estimo, gli atti di confine del 1749 vennero
esaminati e ribaditi.
84 Appe, Sorana n. 53, cc. 32rv; c. 33r.
85 Sansoni, op. cit., pp. 114-124.
86 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 109, c. 9r.
87 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 333, c. n.n.
88 L’economia agricola soranese si basava in particolare sulla raccolta delle castagne e delle olive.
Numerose sono infatti le delibere che proibiscono ai terrazzani di tenere “majale da frutto che arrecano
non poco pregiudizio ad i castagni, olivi” responsabili assieme alle “bestie pecorine” di “gettare all’aria
e guastare” le selve ed “i ripari che vengano fatti a’ dette selve”. Era interdetto anche il pascolo dei
bestiami negli uliveti o la raccolta delle olive con la pertica nel mese di gennaio. Inoltre per proteggere
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la macchia “devastata di per essere stati tagliati cerri et altri legniami”fu vietato “tagliare ontani, castagni né cerri, né querce, né fare bracina né carbone”. Era possibile “tagliare solamente le scope e ginestre” (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 11r; c. 8r; c. 141v; c.144r; c. 26v).
89 ASFI, Statuti delle comunità soggette n. 861, cc. 57rv. Il capitolo dello statuto del 1616 vieta il
“tagliarsi legne d’ alcuna sorte verdi nei boschi comunali, […] havendo la infradetta comunità un suo
assai bello e gran paese montuoso , boscato […] e sarebbe un vero rimedio di conservare quel bosco”.
Il passo sottolinea infatti l’importanza economica ed alimentare delle selve per tutto il paese, legato alla raccolta delle castagne, dei prodotti del sottobosco ed alla caccia.
90 Al momento non conosciamo dati demografici di lungo periodo, le uniche informazioni reperibili
provengono saltuariamente dalle visite pastorali tra la dine del 1500 ed il primo quarantennio del
1700. In questo arco temporale la popolazione soranese oscilla tra le 400 e le 430 anime, con un picco
massimo di 650 abitanti nel 1696.
91 La consistenza numerica delle delibere comunali di questo genere è considerevole e spazia dalla
fine del 1500 a tutto il 1600 (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 109, c. 120v; SASPE,
Archivio del Comune di Vellano n. 335, c. 83v; c. 100r; cc. 11rv).
92 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 335, cc. 154rv.
93 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 335, c. 23v. In data 16 maggio 1675 gli uomini di
Sorana inviano un ricorso al serenissimo Gran Duca per avere in prestito dal vicario di Pescia 50 scudi.
Tale somma sarebbe stata suddivisa tra i più bisognosi del paese, dando loro una cratia al giorno.
94 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 335, cc. 61rv.
95 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 38r.
96 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, cc. 165v-166r, cc. 171v-172r; cc. 172v-173r; cc.
173r-177r.
97 Dal 1735 sino al 1779 il comune di Sorana pose all’incanto il taglio delle macchie che circondavano il centro abitato, lottizzando in numerose partite le aree date in appalto.
98 Nel 1723 si attestano i primi lavori di “refonditura”della campana minore della chiesa parrocchiale di San Pietro, “inclinata e rotta” da ben sette anni (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341,
c. 195rv; c. 195v). Dal 1736 le delibere comunali riportano invece stanziamenti per il restauro del campanile che “minaccia rovina (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. n.n.; c. 130r; c. 131r).
99 Nel 1761 “considerato l’infelicità del loro castello che non sente alcun orologio se non se quello
di S. Quirico nello stato di Lucca, che andando all’italiana, in cambio d’esser di giovamento resta di
qualche pregiudizio confondendo ben spesso le sacre funzioni” fu proposta la fabbricazione di un orologio pubblico da porsi nel campanile, con un costo di 15 scudi, dilazionati in tre anni, compreso il
mantenimento di questo per 10 anni, da parte del produttore (cfr. SASPE, Archivio del Comune di
Vellano n. 341, c.144r; c. 147v; c. 158r e ss.).
100 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, cc. 150v-151r.
101 Vista l’esosità delle incessanti spese di ristrutturazione, il comune di Sorana decise nel 1742 di
vendere la casa canonicale per mezzo di pubblico incanto ed acquistarne una nuova (cfr. SASPE,
Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 67v; cc. 71rv; c. 72v; c. 73r; c. 62v).
102 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 21r. Già nel 1773 la cancelleria di Vellano era stata soppressa e le incombenze del medesimo erano state traslate al cancelliere di Uzzano, mentre l’archivio
presente a Vellano era stato spostato a Pescia (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 13v).
103 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 62v.
104 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. n.n.
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A.S.L., Offizio sopra le differenze dei Confini, n. 571, mappa n. 134 (n. 472 nuova segnatura).
Il cartone, realizzato da Gianfranco Giannetti il 17 maggio 1735, rivela l’andamento delle gore
della Gualtiera e del mulino di San Quirico. La mappa riporta la deviazione delle acque della suddetta
gora ad opera dagli uomini di Sorana. L’opera fu realizzata utilizzando alberi e gelsi piantati
nel territorio di San Quirico, ottenendo così l’acqua necessaria ad irrigare i loro beni seminativi.
Aut. n. 4771, su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
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Fasi di formazione e sviluppo
Il Medioevo*
Allo stato attuale delle ricerche, la nostra conoscenza sull’assetto insediativo del loco
de Sorana e del monte Petritulo nei secoli a cavallo tra alto e basso Medioevo è assai lacunosa. La mancanza di dati deriva sia da una sostanziale laconicità delle fonti documentarie, che offrono pochi solidi appigli allo storico, sia dal parziale utilizzo della fonte
archeologica che, in mancanza di scavi stratigrafici, risulta limitata.
L’indagine dell’insediamento, condotta esclusivamente sulle strutture murarie “a vista” del centro di Sorana secondo i metodi dell’Archeologia dell’Architettura1, non ha
messo in luce nessun edificio ascrivibile in maniera sicura ad un ambito cronologico anteriore al XIII secolo. Tale mancanza, se da un lato potrebbe essere spiegata con l’assenza di un vero e proprio castello inteso come villaggio accentrato e fortificato prima di
quel secolo, dall’altra potrebbe derivare dall’azione di eventuali fattori antropici (demolizioni e ristrutturazioni) e naturali (terremoti e disfacimenti in caso di materiali deperibili).
Come hanno infatti mostrato per la Valdinievole gli scavi archeologici di Pescia, di
Castelvecchio o ancora di Terrazzana, la prevalenza dell’edilizia civile tra X e XII secolo
doveva essere costituita da strutture impostate su palificazioni lignee che, per ovvi motivi, non ha lasciato alcuna traccia rilevabile2. È probabile infatti che la casa attestata dalle fonti documentarie “in loco et finibus ubi dicitur Sorano” agli inizi del X secolo fosse
costituita da perimetrali in materiale deperibile rendendo di fatto impossibile formulare
delle ipotesi riguardo le sue caratteristiche.
Le evidenze materiali più antiche riferibili ad un insediamento in pietra sono state individuate nella parte sommitale e in quella meridionale del sito. Si tratta di pochi lacerti
murari, per lo più difficili da interpretare da un punto di vista planimetrico e funzionale a
causa del cattivo stato di conservazione e dello scarso grado di visibilità e di leggibilità,
che tuttavia permettono di tratteggiare a grandi linee un insediamento composto da abitazioni di diversa tipologia sviluppatosi ai lati e ai piedi di un edificio di culto3.
I resti della chiesa, documentata almeno dal 12604, sono stati individuati all’interno
di un’area privata presente nella parte orientale della zona della “Rocca” (figg. 1 e 2). Si
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Fig. 1 - Pianta periodizzata del castello di Sorana con indicazione dei corpi di fabbrica citati nel testo
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tratta del cantonale e delle porzioni dei rispettivi paramenti perpendicolari di un edificio
con pareti spesse circa 50 cm costituite da conci medio-grandi di arenaria perfettamente
quadrata e posti in opera su filari orizzontali. Dato lo scarso grado di conservazione e di
leggibilità delle evidenze non è possibile stabilire con chiarezza l’icnografia del corpo di
fabbrica, per il quale si suppone tuttavia una pianta allungata in senso Nord-Est/SudOvest. Alla struttura sembra essere associata un’ulteriore muratura individuata nella parte Nord dell’odierno recinto e interpretabile in maniera preliminare come il muro di contenimento dello spazio occupato dalla chiesa. Il paramento è caratterizzato da elementi
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riquadrati e sbozzati posti in opera su filari orizzontali ma frequentemente interrotti e sdoppiati.
L’ipotesi di identificazione della prima evidenza
con l’edificio di culto citato nelle fonti documentarie si basa sulle caratteristiche formali della
murature e sul rapporto di cronologia relativa (di
anteriorità) rispetto alle strutture trecentesche e,
soprattutto, sulla notizia fornita da una fonte documentaria del 1375 che mostra come da quarant’anni l’edificio di culto fosse stato convertito
“ad usum Rocche”5. L’impiego di grandi conci in
arenaria perfettamente squadrati per la prima
struttura sembra infatti trovare riscontri nei contemporanei edifici palaziali costruiti nei siti incastellati della Valdinievole, così come dell’intera
Tuscia settentrionale, dove le residenze signorili
rurali raggiunsero negli elevati una valenza for- Fig. 2 - Particolare del paramento della chiesa attestata
dal XIII secolo. Si notino le tracce di sbozzatura
male di un certo pregio.
Per quanto riguarda l’edilizia civile duecente- a subbia e l’accuratezza della spianatura superficiale
sca i dati non sono quantitativamente elevati, ma
risultano assai significativi in riferimento all’articolazione spaziale e sociale dell’insediamento. Le
prime evidenze sono visibili nel tratto di muratura che delimita l’area sommitale del castello di
Sorana ergendosi sul fianco destro della strada
che collega porta Balda all’edificio di culto dedicato ai SS. Pietro e Paolo. La lettura stratigrafica
di tale parete, che risulta essere l’esito di una
lunga serie di interventi edilizi, accorpamenti e
demolizioni, ha permesso di individuare due porzioni di muratura riferibili ad altrettanti edifici af- Fig. 3 - Resti di abitazioni medievali nel tratto
fiancati (con sviluppo planimetrico Nord-Sud) dei murario che costeggia l’attuale via della chiesa
quali avrebbero costituito i perimetrali meridionali (figg. 1, 2, 3).
La prima struttura (a Ovest; edificio 1) si caratterizza per l’impiego di blocchi riquadrati in arenaria di medio-grandi dimensioni legati con una malta a base di grassello di
calce (tale legante verrà sostituito solo nel corso del XIX secolo a seguito dell’introduzio87
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ne nel mercato del cemento Portland) e posti in
opera su filari di altezza omogenea, continui e
orizzontali. La seconda struttura (a Est; edificio 2)
è stata realizzata invece con bozze di medie dimensioni poste sempre su filari di altezza costante, continui e orizzontali. Motivi di carattere statico stanno alla base della scelta di dotare la parte
inferiore della struttura di una scarpa costituita
da sei filari progressivamente rientranti. La mancata conservazione dei cantonali, rispettivamente
sul lato occidentale e orientale, non permette di
definire con sicurezza la lunghezza dei manufatti,
i quali sembrano interpretabili in maniera preliminare come edifici residenziali caratterizzati da
uno scarso sviluppo verticale. L’assenza di aperture sulle pareti, oltre che l’appoggio tra i due
edifici posti in prossimità del salto di quota che
divide la parte sommitale dal resto del colle,
sembra suggerire l’ipotesi che il fronte di case
potesse svolgere la funzione di muro di cinta dell’abitato posto nella zona alta dell’insediamento.
Dentro l’area sommitale è stato individuato un
muro
interpretabile come il perimetrale orientale
Fig. 4 - Turris con feritoie (CF5) individuata
nella parte meridionale dell’insediamento
di una struttura residenziale, per il resto ormai
perduta, che sembrerebbe riferirsi ad un’ulteriore
casa. La tecnica impiegata mostra l’utilizzo di bozze regolari di medie dimensioni di arenaria poste in opera su filari orizzontali con lo sporadico uso di pareggiamenti.
Gli altri resti dell’abitato duecentesco si ritrovano nell’area meridionale dell’insediamento dove, contrariamente a quanto pare verificarsi nella parte alta, compaiono anche
tipologie edilizie assimilabili alle turres.
L’esempio più leggibile è rappresentato dall’edificio 5, il quale nel XIII secolo doveva
configurarsi come una costruzione turriforme con murature continue su tre lati e aperta a
Nord-Est, dove verosimilmente era presente una parete lignea con ballatoi (fig. 4)6. Sul lato meridionale l’edificio era dotato di una serie di lunghe feritoie aventi probabilmente sia
una funzione lucifera che, seppure forse minoritaria, militare. La tecnica costruttiva si caratterizza per l’impiego di conci squadrati e spianati sommariamente a punta nei cantonali e negli elementi architettonici, e di bozze lavorate grossolanamente poste in opera su
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filari spesso sdoppiati con l’impiego frequente di zeppe e di pareggiamenti.
Immediatamente a Est rispetto all’edificio 5 è visibile un’ulteriore struttura caratterizzata da una serie
di nicchie quadrangolari e da un ordine di buche di
sostegno che suggeriscono di interpretare l’evidenza
come il paramento interno del perimetrale settentrionale di un corpo di fabbrica evidentemente distrutto
sul lato meridionale (CF7). La tecnica costruttiva è
sempre della tipologia “a filaretto” con pietre sbozzate poste in opera su filari continui, mentre la tipologia edilizia pare essere riferibile a quella della casa.
Altra struttura in “filaretto”, ma ascrivibile alla tipologia della turris, è stata individuata immediata- Fig. 5 - Campanile della chiesa dei SS. Pietro e Paolo.
mente a Nord-Est rispetto a questo gruppo di edifici In evidenza i resti del XIV secolo
(fig. 1, edificio 8), ma essa risulta difficile da interpretare per problemi di visibilità legati alla vegetazione e alla morfologia del pendio sottostante.
L’insediamento dovette subire consistenti interventi edilizi nel corso della prima metà del Trecento
in concomitanza con il clima di forte instabilità venutasi a creare in quegli anni nel contesto dell’aspro
conflitto tra Lucca, Pisa, Pistoia e Firenze7.
Le fonti documentarie attestano dal 1334 una
serie di castellani fiorentini a Sorana8 e non sarebbe
da escludere che proprio in questi anni il centro abbia subito una nuova organizzazione da parte di
quel comune attraverso l’espulsione dell’edificio di
culto dalla parte sommitale, la costruzione di un cassero, di una cinta esterna e di una nuova chiesa all’interno di essa. Stando al già citato documento del
13759, la chiesa di Sorana risulterebbe in quegli anni già defunzionalizzata; avendo subito una modifica
alla sua destinazione d’uso (da religioso a militare),
contrariamente a quanto affermato dal Sansoni, secondo il quale la chiesetta fu distrutta dall’esercito Fig. 6 - Facciata della chiesa dei SS. Pietro
pisano. Le evidenze architettoniche mostrano effetti- e Paolo
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vamente una ripresa delle murature dell’edificio di culto e la realizzazione di una vera e
propria cortina a difesa di tutta l’area sommitale attraverso l’impiego di bozze, prevalentemente allungate e di medie dimensioni, poste in opera su filari continui e orizzontali talvolta con l’ausilio di pareggiamenti.
Sebbene non sia possibile stabilirlo con
certezza, è probabile che sul lato orientale la
cinta si innestasse ad una torre difensiva che,
con l’edificazione della nuova chiesa immediatamente all’esterno, venne adibita a camFig. 7 - Resti della cinta del XIV secolo (H) individuata
panile, assolvendo la doppia funzione religionella parte occidentale dell’abitato
sa e militare. Si tratta di una struttura imponente a pianta quadrata sostanzialmente priva di aperture e di decorazioni architettoniche secondo il tipo edilizio maggiormente diffuso nel contesto pistoiese (fig. 5).
All’ultimo piano, divenuto il penultimo a seguito del rialzamento di XVIII secolo, la
cella campanaria doveva essere dotata di grandi aperture delle quali oggi risultano leggibili solo i pilastri che, verosimilmente, sorreggevano in origine degli archi. La tecnica
costruttiva prevede l’impiego di conci squadrati in arenaria di medio-grandi dimensioni
nei cantonali e di blocchi squadrati in arenaria di medie dimensioni probabilmente di
reimpiego insieme a elementi sbozzati prevalentemente allungati e spianati grossolanamente in superficie nei paramenti. A causa della lieve disomogeneità del materiale sono
frequenti sdoppiamenti e interruzioni di filari oltre che le regolarizzazioni attraverso zeppe e pareggiamenti.
La nuova chiesa, evidentemente in via di completamento nel 1375, venne realizzata
con una pianta a navata unica orientata in senso Nord/Est-Sud/Ovest (probabilmente
parallela alla chiesa originaria) con catino absidale sul lato Sud-orientale. Interventi di
ampliamento successivi hanno portato alla demolizione del lato sinistro rispetto alla porta di ingresso sulla parete Nord-occidentale (conservatasi per circa 3 metri) (fig. 6), all’asportazione del cantonale sul lato Nord-orientale (mantenuta in parte) e all’abbattimento completo dei lati Sud-occidentale e Sud-orientale. La facciata venne realizzata in conci
quadrati di arenaria alti circa 20 cm e posti in opera con tecnica pseudo-isodoma.
L’ingresso era costituito da un portale con architrave monolitico sorretto da due mensole
modanate e protetto da un arco a ferro di cavallo. La parete di rinfianco era invece realizzata in bozze spianate di medie dimensioni poste in opera su filari orizzontali e conti90
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nui senza l’ausilio di zeppe o di pareggiamenti (cfr.
par. La chiesa dei SS. Pietro e Paolo).
Oltre al cassero e alla nuova chiesa, venne eretta
una cinta a protezione dell’abitato sottostante, la
quale fu affidata alle stesse maestranze impiegate
nella costruzione del ridotto fortificato (fig. 7). Le
tracce del circuito murario si seguono solo in parte,
a causa delle demolizioni attuate nei secoli successivi, ma è possibile supporre le integrazioni con un ragionevole grado di approssimazione (fig. 1). I tratti
sicuri della cinta sono costituiti a Nord-Est e a NordOvest rispettivamente dalla porta Balda e dalla porta Fredda, oltre che da tratti di cortina nella parte
Sud-orientale e, in maniera assai discontinua, nella
parte meridionale. La tecnica costruttiva, così come
quella del cassero, ha previsto l’impiego di bozze allungate e quadrangolari poste su filari continui nei
paramenti e l’utilizzo di conci quadrati e sagomati
per le porte di accesso al castello, le quali si differenziano l’una dall’altra per l’elemento orizzontale
adottato: un architrave monolitico per la porta
Balda e un arco per la porta Fredda. Di particolare Fig. 8 - Porta fredda. Si noti sullo stipite sinistro
interesse è la presenza di una decorazione scultorea la presenza di un segno lapidario
presente sullo stipite orientale della porta Fredda
(fig. 8) raffigurante un astro a sette raggi inscritto in
uno a quattordici realizzato verosimilmente dalla stessa maestranza esecutrice dei cunei
e dei conci dell’arco di accesso probabilmente con funzioni di marca di taglia sebbene
non possano escludersi altri significati (cfr. par. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi). Le
caratteristiche formali della tecnica edilizia del muro di rinfianco della chiesa (TM8), così
come quella della cinta (TM10 variante a; TM10 variante b), messe a confronto con le
tecniche murarie caratterizzanti l’abitato trecentesco, lasciano supporre che nei grandi
cantieri dell’edificio religioso e del circuito difensivo, dovettero lavorare, al fianco di maestranze specializzate quasi certamente allogene (impiegate nella facciata della chiesa e
nelle porte di accesso al castello), scalpellini (sbozzatori) e muratori locali che operarono
riferendosi più o meno consapevolmente ad un medesimo tipo edilizio (fig. 9).
Negli anni successivi al nuovo incastellamento (tra il 1364, quando Sorana tornò fiorentina e il 1376, con l’ultimazione del borgo Paradiso), il sito dovette aumentare le pro91
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Fig. 9 - Tecniche costruttive medievali dell’abitato di Sorana
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prie dimensioni, giungendo ad estendersi anche al di là dell’area protetta dalla cinta, a testimonianza del successo dell’iniziativa comunale. Secondo Juan Antonio Quirós Castillo
in Valdinievole gli interventi di potenziamento e di consolidamento militare dei castelli da
parte dei comuni nel corso del Trecento non avrebbero generato delle forti trasformazioni
sul territorio circostante, così come avrebbero fatto le cosiddette “terre nuove” del
Valdarno o della Versilia. Nel caso di Sorana però non è improbabile che la costruzione di
opere di fortificazione e di una chiesa possano essere letti come strumenti impiegati da
parte dell’ente promotore – verosimilmente il comune di Firenze – al fine di concentrarvi
il maggior numero di uomini possibile.
L’edilizia civile di questo periodo si connota per la diffusione della tipologia “a casamento”, cioè di una casa a muratura continua caratterizzata da una o più grandi aperture centinate al piano terra e da uno sviluppo generalmente orizzontale (edifici 10-14). La
tecnica costruttiva prevede l’impiego di conci squadrati e spianati grossolanamente a
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Fig. 10 - Tipologie edilizie dell’abitato trecentesco di Sorana
punta singola e di bozze generalmente quadrangolari. Gli archi si caratterizzano sempre
per una ghiera “potenziata” composta da cunei spianati e da imposte costituite da grandi mensole modanate.
L’indagine archeologica sugli elevati ha permesso di riconoscere alcune tracce riferibili
a diversi esempi di edilizia civile ascrivibili a tale periodo grazie ai rapporti di cronologia
relativa e/o al confronto cronotipologico con altri esempi di Sorana o più in generale della Valdinievole10.
Si tratta di edifici caratterizzati da uno sviluppo orizzontale e da una tecnica edilizia
che prevede l’impiego di elementi grossolanamente sbozzati con spianatura superficiale
a subbia posti in opera su filari per lo più continui e orizzontali (con episodico utilizzo di
pareggiamenti e di zeppe); mentre i cantonali e gli stipiti sono realizzati in blocchi riquadrati e spianati a punta singola.
Sono stati individuati tre soli esempi di edificio con accesso architravato; in due casi
l’apertura costituisce l’unica entrata conservata mentre in un altro essa è affiancata ad
un portale centinato.
I primi due edifici sono posti rispettivamente a Sud della rocca (CF10) e uno nel borgo Paradiso (CF16). Gli stipiti sono composti da blocchi riquadrati e spianati a subbia di
dimensioni variabili (per lo più medio-grandi) e solo nel secondo esempio mostrano la
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Fig. 12 - Edificio civile con grande portale
di accesso (XV sec.?)
presenza di una mensola modanata a quarto di cerchio rivolta verso l’interno della luce dell’apertura
(fig. 10).
Il corpo di fabbrica 12, posto immediatamente
Fig. 11 - Pietrabuona. Edificio con probabile
ad Est rispetto al CF10 (fig. 1), presenta due apertubottega al piano terra. Si notino le mensole
re sulla stessa parete di cui una architravata e una
modanate alla base dei grandi archi di accesso
centinata con mensole modanate e con stipiti costituiti prevalentemente da grandi blocchi riquadrati
posti di coltello.
Altra tipologia edilizia è rappresentata da edifici con grandi portali di accesso al piano terra, i quali sono posti sia nella parte occidentale del castello (CF14, in appoggio alla cinta muraria)11, sia nella parte meridionale (CF9), sia nel Borgo Paradiso (CF15).
Nel primo e nel terzo caso è stato possibile individuare anche i resti delle finestre al
primo piano, le quali si caratterizzano per dimensioni essenzialmente ridotte e, nel caso
di CF14, per la presenza di un grande architrave come elemento orizzontale.
Il portale con arco si caratterizza inoltre per la presenza di grandi mensole modanate
secondo una tipologia che, nelle sue piccole varianti, ha trovato grandissima fortuna nell’architettura domestica medievale della Valleriana e più in generale di tutta la
Valdinievole (fig. 11).
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Fig. 13 - Periodizzazione degli edifici dal XVI al XX secolo
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Allo stato attuale delle indagini, il Quattrocento sembra essere stato un momento di sostanziale stasi dal
punto di vista costruttivo. L’unico intervento ascrivibile a
questo periodo è rappresentato da un edificio posto in
prossimità della porta Fredda (fig. 1, CF17; fig. 12), costituito da un corpo di fabbrica con prospetto principale
rivolto verso l’accesso al castello e caratterizzato al pian
terreno da una grande apertura centinata con mensole
modanate e da una finestra architravata immediatamente alla sua sinistra. Rispetto agli edifici prima descritti, la
struttura si differenzia per l’impiego di blocchi di pietra
serena riquadrati e spianati accuratamente a punta singola posti in opera su filari continui e orizzontali. Si tratterebbe probabilmente dell’esempio più tardo della tipologia edilizia attestata nel XIV secolo a Sorana che, come testimonia l’esempio di Vellano datato su base epigrafica al 1448, avrebbe avuto una larga fortuna nella
valle fino ad almeno il XV secolo12.
Fig. 14 - Particolare di cantonale del XVI secolo:
pietre d'angolo ben squadrate con segni
evidenti di scalpello e tessuto murario
in bozzette ben ordinate
Il Cinquecento**
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Scorrendo la documentazione scritta quattrocentesca risulta evidente come, passato
ormai un secolo, non sembrassero ancora essersi attenuati i frenetici passaggi di proprietà del castello tra Pisa, Lucca e Firenze. Come infatti il Trecento era stato caratterizzato dai successivi spostamenti di confine tra il comune di Pisa e quello di Firenze, così nel
XV secolo la Valdinievole si ritrovò nell’occhio del ciclone dei contrasti tra gli interessi
delle maggiori città del centro-Nord Italia, avviate a diventare stati regionali. Fino alla
pace del 1442, quindi, tutta l’area della Valleriana appare instabile politicamente e predata a più riprese dagli eserciti che vi si contrapposero.
Bisognerà aspettare almeno fino al definitivo stabilizzarsi del potere mediceo sulla
Toscana, alla metà del XVI secolo, perchè Sorana e tutto il territorio circostante passino
dalla precedente, e poco sicura, posizione di confine a quella di “provincia” interna di un
ormai pacificato stato regionale: alla morte di Cosimo I (1574) Sorana, infatti, era com-
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presa nel distretto fiorentino, poco distante
dalla tranquilla e inoffensiva repubblica di
Lucca.
Risalgono proprio a questo periodo i primi
resoconti di lavori pubblici effettuati nel paese; la documentazione scritta restituisce in
modo abbastanza chiaro il vivace clima costruttivo della fine del Cinquecento, costellato
di frequenti piccoli cantieri per la realizzazione di alcune strade e della fontana, e di un
paio di “grandi opere”: la chiesa e il ponte
alla Coscia13. In questa felice congiuntura per Fig. 15 - Elemento atipico di portale seicentesco,
le maestranze esecutrici non stupisce, quindi, uno dei pochissimi utilizzi di laterizi in questo periodo
trovare nel 1579 addirittura un milanese, in un contesto privato
maestro Antonio, dimorante stabilmente a
Sorana14.
È in questo contesto che furono realizzate
le prime residenze private che andarono ad
occupare i pianori immediatamente esterni
alla seconda cinta muraria.
La struttura urbana all’interno del castello
rimase – fatta eccezione per l’importante riordinamento dell’area della nuova chiesa, che
andò ad occupare uno spazio notevolmente
maggiore, obliterando così parti dell’abitato
delle quali non rimane alcuna traccia materiale – identica ai secoli precedenti. Nella zona
Fig. 16 - Particolare di cantonale del XVII secolo:
sommitale le evidenze archeologiche testimopietre d'angolo di dimensioni medio-grandi, stondate,
niano la presenza di abitazioni in prossimità con tessuto murario in blocchetti medio-piccoli
della prima cinta, mentre l’area interna era
probabilmente impiegata a piazza o ad orti.
Esternamente alle mura e al borgo Paradiso, non è stato possibile individuare nessuna traccia di murature anteriori al XVI secolo: solo con il Cinquecento vengono costruiti
caseggiati di ampie dimensioni nei luoghi che assumeranno i significativi toponimi di
“borgo”, quali appunto aree esterne al recinto fortificato.
Lo spazio insediato è in prossimità di quella che diventerà piazza San Pietro, già all’epoca incrocio di viabilità sublocali (direttrice di crinale per Lignana e percorso di controcri97
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Fig. 17 - Abaco delle
aperture del XVII secolo
nale per Vellano), e lungo un asse stradale localizzato nel salto di quota immediatamente
al di sotto della piazza, definito nell’Ottocento via Maestra, che collega Sorana col ponte
di Castelvecchio e il mulino adiacente.
Gli edifici costruiti nel Cinquecento sono caratterizzati da una pianta quadrata (o rettangolare poco allungata) e tutti i lati delle abitazioni sono accessibili dalla viabilità circostante, peculiarità, quest’ultima, che conferisce all’insediamento di questo periodo un
aspetto di case sparse attorno al
nucleo più antico, dove il tessuto
urbano è a maglie molto più strette.
La ricerca archeologica di superficie non consente di individuare tipi di abitazioni in materiale
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Fig. 18 - Particolare di cantonale
del XVIII secolo: pietre d'angolo
di differente natura, squadrate
e riutilizzate, con tracce di scalpello
allungate e parallele; tessuto murario
con elementi spaccati di laterizio
e pietre a pareggiare i filari
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deperibile, oppure di stabilire se, al di sotto delle
abitazioni più recenti, vi possano essere ancora
resti di strutture più antiche, che renderebbero
l’abitato di quest’epoca molto più fitto di quanto
ora non si percepisca.
La precisazione è d’obbligo in quanto tutti gli
edifici risalenti a tale periodo possiedono caratteristiche costruttive che li collocano in una fascia
di utenza abbastanza elevata, sia per dimensioni
sia per dettagli architettonico-costruttivi; è lecito,
quindi, supporre che assieme a questi “palazzi”
l’abitato abbia avuto un tessuto connettivo di case di minor pregio, rimpiazzate nei secoli successivi dalle attuali.
Il corpo di fabbrica posto in località L’Aia ha
in particolare alcuni elementi di pregio che, assieme allo stemma mediceo collocato “in chiave” sul portale, lo qualificano come probabile
sede dei rappresentanti della Signoria a Sorana.
Fanno propendere per questa interpretazione sia
l’impiego dell’arco, a tutt’oggi l’unico nel contesto rinascimentale soranese, sia una cornice
marcapiano conservatasi unicamente sul pro- Fig. 19 - Particolare di sovrapposizione di due tipologie
spetto laterale, che collega tipologicamente l’e- di finestre, di differente periodo: la finestra più antica,
a telaio in arenaria con tracce di scalpello allungate
dificio alle residenze urbane piuttosto che al- e parallele, e quella più moderna, settecentesca,
l’ambito rurale.
con finto archetto di laterizi
L’aspetto delle singole abitazioni superstiti
consente di definire una vera e propria tipologia
delle facciate, ricorrente in maniera non casuale. Lo sviluppo dell’edificato, in altezza, è
già abbastanza significativo: la totalità del campione considerato restituisce abitazioni a
tre piani con accessi a quote differenti, adattate all’andamento naturale del pendio. Le
aperture per ogni facciata sono organizzate su due allineamenti verticali paralleli, di tre
finestre ciascuno, il cui aspetto formale-costruttivo consente di riconoscere una gerarchia
degli spazi nei corrispondenti ambienti interni.
I piani terra e primo, infatti, hanno spesso una tipologia di aperture con telaio semplificato rispetto a quelle dei piani superiori, dove il davanzale viene distinto da una sottile modanatura a gola semplice che non troviamo negli altri casi.
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Entrambi i tipi di finestre sono realizzati con
conci monolitici di arenaria, squadrati e spianati a martellina semplice, rifiniti a scalpello a
punta che lascia tracce lineari a breve distanza
una dall’altra, perpendicolari alla lunghezza del
concio.
Troppo pochi sono gli accessi che si sono
conservati di quest’epoca per poter fare una valutazione attendibile; restano infatti solamente
due portali della seconda metà del Cinquecento
ancora in situ (piazza San Pietro, lotto catastale
51 e località L’Aia, lotto catastale 104). Il primo
è realizzato con un telaio in arenaria costituito
da tre blocchi monolitici, squadrati e spianati accuratamente a martellina dentata fine, con impatti fitti; il secondo è invece archivoltato ma è
assimilabile all’altro per litotecnica e posa in
opera. La modalità di lavorazione della pietra e
la presenza, su entrambi, di elementi decorativi
e/o araldici fanno pensare ad un’opera di scalpellini maggiormente specializzati rispetto a
quelli che realizzarono le finestre o i cantonali
Fig. 20 - Particolare di una finestra settecentesca
delle abitazioni.
con il “ribaltamento” dei piedritti del telaio seicentesco
La tecnica muraria contestuale a questi elementi architettonici conserva alcuni aspetti tipicamente medievali, quali l’accuratezza nella lavorazione delle bozze di pietra e l’attenzione alla loro disposizione su allineamenti orizzontali (o filari) nella posa in opera.
Queste peculiarità sembrano testimoniare un attardamento dei modi di costruire di
Sorana rispetto alle aree della pianura e agli ambienti cittadini dove, in questo periodo,
era in auge una tecnica edilizia molto più semplificata che ha, come criteri di distinzione,
l’impiego contestuale e caotico di pietra spaccata e laterizi.
È da sottolineare inoltre la presenza in Sorana di maestranze di buon livello che, presumibilmente, trasferirono ai manovali locali, durante la frequentazione dei numerosi
cantieri aperti in paese, abilità e competenze non comuni.
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Il Seicento**
Il vero e proprio boom edilizio a Sorana si colloca nel XVII secolo ed è da porre in relazione
con il rilancio economico legato alla produzione
della seta, di cui godette tutta l’area della
Valdinievole.
L’attività di allevamento dei bachi e il trasporto del materiale grezzo verso i centri di trasformazione e lavorazione sono documentati sul territorio dal toponimo “via dei Gelsi” nella zona
immediatamente al di sotto della porta Fredda,
denominazione, questa, divenuta già fossile agli
inizi dell’Ottocento quando, stando al Catasto
Leopoldino, l’area era invece coltivata a vite, ulivo e alberi da frutto15.
Ancora il Sansoni, tuttavia, ricorda alla fine
del Seicento un fatto di cronaca nera nel quale
ebbe a figurare, come luogo di un agguato, un
albero di gelso16.
Con l’inizio del XVIII secolo e con il progressivo abbandono a Sorana di questa attività produttiva, prenderà avvio quel lento processo di ri- Fig. 21 - Tipologia di metato-essiccatoio
stagno economico che ebbe significative riper- della seconda metà dell’Ottocento
cussioni anche in campo edilizio e che condurrà
al degrado di interi comparti edificati.
Come è possibile osservare dalla planimetria periodizzata (fig. 13) in quest’epoca assistiamo a due importanti fenomeni insediativi: l’occupazione, o rioccupazione, della parte centrale del pianoro della rocca e la nascita di un nuovo polo aggregativo, la piazza
San Pietro, in parte antagonista all’asse viario del Cinquecento anch’esso comunque
parzialmente potenziato.
Le modalità di accrescimento delle abitazioni del secolo precedente comprendono sia
l’appoggio semplice di nuovi corpi di fabbrica seguendo l’andamento della viabilità oppure, in percentuale minore, la creazione di strutture “ad elle” con l’aggiunta di un edificio sviluppato perpendicolarmente a quello più antico.
In alcune situazioni si trova impiegato per la prima volta il sistema delle “leghe” sui
cantonali, singoli conci che fuoriescono in direzione opposta allo sviluppo della muratu-
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Fig. 22 - Ricostruzione di un'ampia area urbana
a seguito del terremoto della prima metà del XX secolo
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Fig. 23 - Sistema delle “leghe” su cantonale nel centro
storico di Sorana
ra, predisposti per potervi ammorsare il nuovo fabbricato. È interessante notare che, se
spesso la predisposizione venne effettivamente utilizzata, non sono tuttavia insolite situazioni nelle quali la pianta dell’edificio prese diverse e insolite direzioni.
Le tipologie edilizie associate a questa nuova stagione costruttiva sono caratterizzate
da edifici in genere di minore sviluppo e maggiore standardizzazione planimetrica: frequenti sono le abitazioni a pianta quadrata, di ridotte dimensioni, a singoli vani sovrapposti; meno diffuse, ma significativamente concentrate nella nuova area di sviluppo di
piazza San Pietro, sono le case a pianta rettangolare e tetto a doppio spiovente, verosimilmente suddivise in due vani per piano (doppia cellula).
Nell’area dell’abitato medievale la stratificazione è maggiormente articolata, in quanto le nuove case dovettero farsi posto nel tessuto insediativo più antico già molto fitto.
Nell’area della rocca la strategia fu quella di colmare lo spazio interno “ad elle” formato
dai fronti interni delle abitazioni appoggiate alla cinta. Grazie alle incisioni di date, poste
con una certa frequenza sulle facciate di questo periodo, è stato possibile ricostruire nel
dettaglio l’andamento di questa operazione che prese il via dagli estremi settentrionale
e meridionale, determinando un impianto “ad U”.
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Alcuni fabbricati di piccola entità sorsero anche nel pianoro al di sotto della porta Fredda,
nelle immediate adiacenze del “palazzo” mediceo.
La tecnica muraria in questo periodo è sensibilmente diversa da quella cinquecentesca: si osserva, infatti, la progressiva scomparsa della disposizione delle pietre su filari a favore di un’apparecchiatura più complessa, dove l’irregolarità
delle bozze di pietra viene compensata dall’introduzione di sottili lastre di argilloscisti a pareggiare le bancate (risulta fondamentale in questa tecnica edilizia l’impiego di malta abbondante e di
ottima qualità che mantenga ben compaginata
la tessitura muraria).
Il nuovo aspetto dei muri di Sorana può essere
letto, dal punto di vista sociale, come significativo
cambiamento dei cicli produttivi e avvicendamento di nuove figure professionali nel panorama delle maestranze: le competenze apprese dai “manovali” di Sorana del Cinquecento produssero un
gruppo di muratori locali, mediamente specializzati, in grado essi stessi di sbozzare e regolarizzare Fig. 24 - Particolare di finestra della seconda metà
del XIX secolo, inizi del XX
le pietre da costruzione, ma soprattutto esperti
nella loro posa in opera; la presenza di scalpellini
maggiormente esperti, d’altra parte, è implicitamente attestata dall’impiego di pezzi squadrati, limitati ai cantonali e agli elementi architettonici accuratamente lavorati.
La tipologia dei portali, quindi, rispecchia una certa differenziazione tra le strategie di
promozione sociale delle famiglie del borgo, dal momento che alcune poterono permettersi prodotti provenienti direttamente dai centri urbani, o ad essi molto vicini come fattura, ed altre si accontentarono di far replicare da artigiani meno esperti quegli oggetti
che solo riecheggiano la perizia dei primi.
Lo scarto tra i due manufatti è evidente confrontandone due esemplari, localizzati in
due aree distinte dell’insediamento che, per le loro vicende storiche, possono essere qualificate ad un diverso grado di prestigio. Il modello tipologicamente prossimo a quelli urbani è posto nell’area della rocca, alla quota della chiesa: i piedritti consistono in blocchi
monolitici, con la superficie a bugnato accuratamente spianato a martellina dentata;
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l’arco, a punta in chiave nell’estradosso, è
simmetrico e lavorato in superficie allo
stesso modo. Le tre “copie” prese come
campione hanno un aspetto formale complessivo del tutto simile, ma nei dettagli e
nelle modalità esecutive presentano
profonde differenze. Gli elementi che cambiano, infatti, sono in relazione al montaggio del portale o alle variabili di lavorazione delle superfici: la caratteristica più complessa da replicare era, infatti, la simmetria
dell’arco a punta ed è per questo che gli
scalpellini locali, pur riproducendo accuratamente la spianatura delle superfici, hanno spostato in posizione asimmetrica il
concio che contiene la punta, ottenendo
una curva composta da più elementi disomogenei per forma e dimensione. La stessa
strategia è stata messa in campo per realizzare i piedritti, a blocchi multipli sovrapposti. L’altra variabile considerata è il graFig. 25 - Aree fatiscenti alla metà del XVII secolo
do di lavorazione: alcuni di questi portali
presentano la superficie trattata allo stesso
modo del modello coevo di apertura architravata, con bugnato rustico, e sono localizzati
nelle aree più marginali dell’insediamento.
La distribuzione topografica della “copia modello” e delle “copie della copia” restituisce una gerarchia degli spazi che ha all’estremo alto la Sorana cinta dalle mura medievali, a quello intermedio gli edifici prossimi alla piazza San Pietro e in basso i borghi
più esterni: borgo di Sotto e borgo Paradiso.
L’impulso edilizio del XVII secolo non venne meno neppure dopo i tragici eventi del
1630, quando la peste e il terremoto scossero contemporaneamente Sorana; è solamente verso la fine del secolo e l’inizio del Settecento che la solidità materiale del borgo subisce una netta frattura col passato.
Sansoni, che scrive le sue Memorie Istoriche proprio all’inizio del secolo dei Lumi, testimonia di prima mano lo stato di fatiscente degrado di ampie porzioni del paese, localizzate nella fascia altimetrica al di sotto della chiesa:
“Ricordo come nel sopradetto anno 1667 comiciorno a rovinare et esser disfatte le
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case, che sono dentro la porta nella strada, per andare in Paradiso verso ponente. Poiché
fino al suddetto anno erano in Sorana tutte le case in piedi piene di gente, che l’abitavano essendo il popolo numeroso di circa 500 anime, in più prosperità assai che non è ora
e se cadeva qualche casa era subito rifatta. Ma nel sopraddetto anno, minacciando rovinare la sopradetta casa, che era al lato a quella che abita ora Niccolao Nanneschi, fu
comprata da Lorenzo suo padre e poi disfatta. E l’anno 1668 la casa lì appresso, che era
di Giovanni Nanneschi detto il Moro, fu disfatta da Giovanni suo figliolo, detto il
Moretto. E l’anno 1674, minacciando rovina l’altra appresso, fu pure disfatta, che era
posseduta parte dal predetto Giovanni Nanneschi. // [152] Molte altre case dal suddetto
anno in qua da quella parte di ponente, si vedono o rovinate o che minacciano rovina,
senza essere mai state riparate ne rifatte, come pure per il castello e fuori sono molte altre case rovinate e disfatte, che a quel tempo erano in piedi, abitate dalle famiglie”17.
L’area descritta dal Sansoni corrisponde all’intero isolato tra la porta Fredda e le prime case di borgo Paradiso, attualmente zona ad orti e giardini e già accatastata con la
medesima destinazione d’uso dal Catasto Leopoldino.
Se la vivacità edilizia di Sorana, riflessa in una notevole densità di abitazioni, superò
senza troppi danni i due eventi traumatici ricordati sopra, quale poté essere la causa di
maggior peso che ne produsse il declino? Questo il Sansoni non lo ricorda, tuttavia possiamo ipotizzare che, allo stesso modo in cui una favorevole congiuntura economica
portò il piccolo centro ad una insperata vicinanza al benessere e all’assetto esterno urbano, così lo spostamento degli assi commerciali e la riorganizzazione dei cicli produttivi, primo tra tutti quello della seta, furono la causa del suo decadimento.
Il Settecento**
Nel Settecento a Sorana si ebbe una limitata e quasi nulla attività edilizia; pochissime, infatti, furono le case costruite ex-novo, quasi sempre addossate ai corpi di fabbrica
più antichi e in prosecuzione degli assi stradali del borgo di Sotto e di piazza San Pietro.
Altrettanto esiguo fu il numero di abitazioni rialzate di un piano, anch’esse localizzate
nei medesimi nodi viari.
L’unico fenomeno di capillare diffusione che, nel XVIII secolo, interessò quasi tutte le
abitazioni di Sorana fu la modifica della tipologia delle aperture, grazie ad un sistematico riutilizzo dei telai di porte e finestre seicentesche.
La tecnica muraria di questo periodo non è macroscopicamente differente da quella
del secolo precedente: rimase inalterata la variabile della lavorazione, spaccatura o sbozzatura, e della posa in opera, a bancate successive con pareggiamento degli allineamenti. Ciò che di innovativo entrò nella concezione tecnica di questo tipo di muratura è l’im-
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piego, sempre più frequente, dei frammenti di laterizi in sostituzione delle lastre di argilloscisti. Con i mattoni vennero pure rimaneggiate le aperture, al di sopra dell’architrave,
posizionando due o più laterizi a formare una finta piattabanda o uno pseudo archetto di
scarico. In effetti è decisamente dubbio il reale funzionamento di questo dispositivo che,
molto frequentemente, scarica all’interno dell’architrave e non sui piedritti o sulla muratura circostante il telaio. Quest’ultimo è interessato da un fenomeno di ammodernamento
del gusto estetico, per cui le larghe lastre in arenaria, collegate alle tipologie ancora rinascimentali e movimentate dall’introduzione del finto bugnato rustico, vennero sostituite
da sottili telai dai piedritti slanciati. Tale operazione per Sorana fu condotta quasi “a costo
zero”, semplicemente ruotando di 90° i conci delle finestre e ponendo in faccia a vista il
lato che prima era nello spessore. La medesima inversione fu attuata per davanzale e architrave, aggiungendo a quest’ultimo la piattabanda di scarico per evitare che il limitato
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Fig. 26 - Abaco delle tessiture murarie
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spessore del concio potesse cedere sotto il peso della muratura soprastante18.
Non stupisce ritrovare la documentazione di ulteriori lavori alla chiesa anche nel XVIII
secolo; il pievano Pieretti, esponente di una di quelle famiglie emergenti già nel secolo
precedente, si occupò di ristrutturare il campanile che già dal settembre 1736 minacciava rovina nella parte sommitale19. Sempre agli stessi anni risale lo spostamento della canonica, in pessimo stato di conservazione20, dalla posizione antica, davanti alla chiesa, a
dove si trova ancora attualmente, dietro di essa21.
Il percorso di nobilitazione dell’edificio sacro terminò, sempre col pievano Pieretti,
con il conferimento del titolo, ormai vuoto di significato, di pievania alla chiesa dei SS.
Pietro e Paolo.
L’Ottocento e il Novecento**
L’immagine del Catasto Leopoldino restituisce una buona fotografia dell’entità urbana del castello all’inizio del XIX secolo.
A distanza di cinquant’anni, sotto il neonato regno italiano, venne poi redatto un catasto specifico per i fabbricati che è utile per documentare il cambiamento dei corpi di
fabbrica tra inizio e fine secolo.
L’isolato sotto la chiesa, che il Sansoni dice già in degrado alla fine del Seicento, è accatastato dal governo lorenese come orti e frutteti, mentre le abitazioni verso il borgo
Paradiso sono qualificate come capanne o dirute. All’estremo opposto, in aderenza alla
cinta muraria medievale, rimane l’unico edificio ancora in piedi e di discreta consistenza
materiale.
Altri corpi di fabbrica degradati sono attestati in borgo Paradiso e sul versante Sudorientale dell’insediamento, in località Le Corti: la situazione di abitato fatiscente è confermata, alla fine del secolo, da un carteggio tra la comunità di Sorana e il municipio di
Vellano, di essa responsabile. Alcuni rappresentanti del paese fanno presente che ci sono
abitazioni talmente malridotte da costituire un pericolo per gli abitanti e per i forestieri,
tanto più che una di esse era precipitata al suolo la notte del 13 dicembre 187222.
Il quadro, insomma, della Sorana ottocentesca riflette la fine del tratto discendente
della parabola edilizia iniziata tra Cinquecento e Seicento.
Anche in questo secolo, infatti, sono poche le nuove costruzioni, tutte nelle aree marginali dei borghi più esterni, rare anche le risistemazioni delle facciate e significativa la
localizzazione, in prossimità del centro storico, di strutture di servizio di tipo rurale: seccatoi e metati.
Il Catasto Leopoldino riporta inoltre con frequenza l’attribuzione a “casa colonica”
con annessi rurali anche nell’area della rocca; solamente un edificio residenziale, della
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Capitolo II - Il castello di Sorana
famiglia Pieretti, ha il rango di “casa padronale”.
I corpi di fabbrica qualificati come “case” sono quelli di maggiore consistenza materiale, sorti per successive aggregazioni tra Cinquecento e Settecento e localizzati nell’area compresa tra la piazza San Pietro e via del borgo di Sotto, e numerosi edifici di piccole e medie dimensioni in prossimità della chiesa e nel versante tra le quote media e inferiore del lato Sud-orientale dell’abitato.
Una netta ripresa dell’attività edilizia si può collocare tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, sulla quale incisero pesantemente il terremoto degli anni Venti e
i bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale. La rapida sequenza tra i due non permette di distinguere, a livello materiale, quale siano le zone dell’abitato riparate in un
caso e nell’altro, tanto più che la tecnica costruttiva impiegata per i risarcimenti fu la
stessa.
L’estensione della distruzione causata da tali calamità fu senz’altro molto ampia e interessò tutta Sorana, colpendo maggiormente i setti murari paralleli all’andamento delle
curve di livello. L’impatto della forza distruttiva dei due episodi fu ancora più forte in
quanto lo stato di conservazione dell’abitato era già molto compromesso23.
Le ricostruzioni avvennero con un massiccio impiego di laterizi non solo per gli elementi architettonici, come già accadeva dall’Ottocento, ma soprattutto per le murature
portanti: la nuova tecnica costruttiva, infatti, ampiamente attestata nelle aree appenniniche limitrofe (Garfagnana e Lunigiana), utilizzava fasce in pietra alternate a ricorsi doppi
o multipli di laterizio. Il legante impiegato è ancora la malta di grassello di calce, pur essendo già ampiamente diffuso a quest’epoca il cemento Portland. Tale tecnica muraria si
trova attestata sia in episodi ricostruttivi sia nella fabbricazione ex-novo di piccoli corpi
di fabbrica.
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NOTE
* Dal contributo originario di Antonino Meo.
** Dal contributo originario di Federico Andreazzoli.
1 L’Archeologia dell’Architettura è un ramo sviluppatosi in Italia intorno agli anni Settanta del
‘900 in seno alla nascente Archeologia Medievale ed è basata sull’applicazione del metodo stratigrafico
alla lettura degli elevati. Sebbene si tratti di una disciplina autonoma dotata di propri strumenti diagnostici, in mancanza di scavi stratigrafici e/o di elementi di cronologia assoluta, le emergenze architettoniche medievali possono essere descritte in maniera preliminare ed essere comunque impiegate per elaborare una prima seriazione cronotipologica delle tipologie edilizie e delle tecniche costruttive e per
trarre alcune conclusioni di carattere economico, sociale e politico.
2 Per Pescia, piazza S. Romualdo, cfr. M. Milanese - J. A. Quirós Castillo, L’archeologia medievale e
postmedievale della Valdinievole, Atti del Convegno Archeologia della Valdinievole, Buggiano 1997,
p. 104 e per Castelvecchio cfr. Ibid. p. 114. Strutture in legno dovevano caratterizzare anche il sito di
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Terrazzana, il quale nell’alto Medioevo doveva essere cinto da una muratura in pietra e in legno (Ibid.,
p. 117).
3 La datazione al XIII secolo, in mancanza di dati stratigrafici, si basa sui rapporti di cronologia relativa e sugli aspetti tecnologici e formali delle singole architetture.
4 AAL, Libri Antichi di Cancelleria n. 32, c. 71r.
5 AAL, Libri antichi di Cancelleria n. 32, c. 71, 1375: “In auctorem salutis vestris petitionis inclinati
tenore petitum aucti et honorem [?] ut de ecclesiam sancti Petri de Sorana quam dicitis fuisse a XL anis
et citra prout modo est ad usum Rocche et in qua dictum officium [?] non celebratur vel potest celebrari
duo altaria in eadem ecclesia erecta facere removeri destrui et ipsa in ecclesia sancti Petri nuper edificata in eadem terra facere adportari” (trascrizione Federico Andreazzoli).
6 La tipologia edilizia trova confronti nel vicino castello di Uzzano (cfr. F. Redi, Edilizia civile in
Valdinievole nel Medioevo: primi risultati di un censimento, in Atti del convegno su architettura in
Valdinievole dal X al XX secolo, Buggiano Castello, 26 giugno 1993, Buggiano 1994, pp. 87-102; tav.
3, p. 95).
7 Sugli scontri di questi anni cfr. Quirós Castillo, op. cit., p.191. La cinta della sommità del castello
di Montecatini si data alla seconda metà del XIV secolo (cfr. Milanese - Quirós Castillo, op. cit., p. 114).
8 I Consigli della Repubblica fiorentina: Libri fabarum XVII (1338-1340), a cura di F. Klein, Roma
1995.
9 AAL, Libri antichi di Cancelleria 32, c.71, 1375.
10 Non è stato possibile stabilire in maniera esatta le dimensioni delle case a causa del loro stato
di conservazione o ancora per problemi di visibilità/leggibilità così come pochi dati si sono potuti raccogliere riguardo alle finestre e più in generale alla distribuzione delle aperture rispetto ai prospetti, per
cui la descrizione degli edifici si baserà principalmente sulle caratteristiche dei portali di accesso.
11 L’edificio viene ascritto al gruppo in via ipotetica dato che manca lo stipite destro del portale.
12 Quirós Castillo, op. cit., p. 234.
13 ASFI, Capitani di parte guelfa n. 738, fascicolo 139.9.
14 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325, cc. n.n.
15 Cfr. par. Il disegno della maglia agraria.
16 Sansoni, op. cit.
17 Ibid.
18 Tale operazione venne effettuata su finestre e portali senza variazioni significative del modus
operandi.
19 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. n.n.
20 La condizione è tale come si desume dalla posa all’incanto dell’immobile più e più volte prima
che se ne trovi un acquirente (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, cc. 71r-72v; SASPE,
Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 62v).
21 Appe, Sorana n. 53, c. 133r.
22 ASLU, Prefettura n. 342, anno 1873.
23 Sovrapponendo la consistenza edilizia di Sorana del Catasto Leopoldino e quella attuale è possibile osservare non poche discrepanze; la più vistosa delle quali è la costruzione ex-novo dell’oratorio di
San Giuseppe, alle pendici Nord-occidentali del rilievo della rocca.
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Il progetto dell’accrescimento trecentesco*
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Il primitivo abitato murato denominato La Rocca (FASE 1), orientato in direzione
Nord/Est-Sud/Ovest, era caratterizzato dalla presenza dalla torre t1 posta a guardia dell’accesso pR (porta della Rocca) e da un percorso, matrice dell’abitato, al fondo del quale
vi era il ridotto fortificato R. Un ulteriore passaggio, ortogonale a quello matrice, conduceva presumibilmente ad una postierla pP – della quale non rimane né traccia materiale
né documentazione di alcun genere – posta sulla cortina Nord-Ovest, che consentiva di
raggiungere il cimitero extra moenia collocato nella rimanente area libera del colle, nei
pressi della torre (cfr. par. La Rocca Sovrana). Le direzioni (in blu) delle pareti portanti degli edifici ancora presenti, in particolare di quelle che mostrano evidenti tracce di tecniche
costruttive medievali, lasciano presumere la presenza di un tessuto iso-orientato sviluppatosi a partire dall’estremità meridionale del circuito murato (cfr. par. Il Medioevo).
L’ipotesi ricostruttiva dell’accrescimento trecentesco (FASE 2) ha inizio dalla rocca e si
basa sulla lettura della discontinuità f che divide la cortina in due tratti disomogenei (per
la diversa dimensione dei conci, la differente apparecchiatura dei filari e l’eterogeneo
stato di degrado): da un lato quello Nord-Ovest (presumibilmente originario, in verde),
dall’altro quello Nord-Est (c1, ad esso successivo, in magenta) che vi si annette secondo
una nuova direzione. L’angolo in f potrebbe infatti indicare un crollo avvenuto nel muro
settentrionale della rocca che venne ricostruito secondo un diverso allineamento, di poco
inclinato rispetto all’anteriore e coincidente con il punto di alba nel solstizio d’inverno
(cfr. par. Le porte urbiche: gli allineamenti astronomici con funzione calendariale), riutilizzando in buona parte le fondamenta originarie della rocca stessa.
Facendo centro nella discontinuità f è possibile estendere le pareti dell’area signorile
fino a raggiungere le 40 braccia, determinando i vertici 1 e 2. Dal primo diparte la direzione della cortina occidentale c2 (in ciano, determinata sull’allineamento del punto di
tramonto del sole nel solstizio d’inverno); dal secondo uno degli assi direttori del tessuto
edilizio orientale (d1 - in rosso), che corre parallelo alla isoipsa + 410 m.
La porta Balda e la porta Fredda vennero posizionate rispettivamente sulle due direzioni c1 e c2, esattamente ad una distanza pari a 72 braccia e 1/2 dalla postierla pP, risultando tra loro allineate.
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Il progetto dell’accrescimento trecentesco
Fig. 1 - Ipotesi di progetto dell’accrescimento trecentesco
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Capitolo II - Il castello di Sorana
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Fig. 2 - Possibile evoluzione di Sorana e del tracciato delle mura trecentesche: in verde la rocca,
in blu il probabile andamento del primo circolo murario, in magenta le mura trecentesche (che seguono
l’andamento delle curve di livello e coincidono con il “taglio” dei lotti), tratteggiate le strade di accesso
all’insediamento e la viabilità interna. È presumibile che la doppia viabilità, via della Piazzetta
(a quota inferiore) e via delle Corti (a quota superiore), sia ascrivibile al momento in cui venne
creato un varco nella cortina c3 per consentire l’unione dell’abitato preesistente con il borgo Paradiso
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Il progetto dell’accrescimento trecentesco
Il vertice 3 dista 22 braccia e
dalla mezzeria della porta
Fredda pF e 130 braccia da 1;
mentre l’angolo 4 della cortina
Nord-Est dista dalla mezzeria della porta Balda pB 17 braccia e 1/2
(FASE 3).
Dall’angolo occidentale 3 (FASE
4) ha origine, ortogonalmente alla
cortina c2, il tratto di mura c3.
La direzione d2, che si viene a
stabilire staccando dal vertice 4
una parallela alla direzione d1, diverrà a sua volta un limite del tessuto edilizio orientale (in rosso).
Fig. 3 - Fronte Sud-orientale del castello di Sorana, dove i resti materiali
Il lato Sud-Est della cinta mu- della cinta muraria trecentesca risultano più scarsi
raria è quello di cui più scarsi sono i resti materiali visibili in superficie. Non si dovrebbe incorrere in errore portando a
giustificazione di questo fatto la considerevole pendenza del versante orientale e la natura stessa del terreno (cfr. par. Aspetti geologici), che dovettero aver recato non poco
pregiudizio alla stabilità della muraglia. Alcune osservazioni (FASE 5) possono però essere effettuate prendendo in considerazione la torre t2 che, oltre alla funzione di avvistamento e difesa (forse di un’ulteriore postierla), potrebbe aver svolto il ruolo di rompitratta della lunga cortina c4, la cui direzione di progetto doveva presumibilmente essere parallela alle direzioni d1 e d2. La distanza di quest’ultima dal vertice 4 (presa lungo la direzione della cortina c1) è pari a 20 braccia. È però plausibile che in fase di realizzazione
si sia preferito assecondare, come spesso accadeva, la conformazione orografica del terreno, facendo così assumere alle mura un andamento curvilineo.
La FASE 6 mostra, infine, le linee direttrici lungo le quali si sono sviluppati i diversi
tessuti edilizi e la maglia pressoché costante della lottizzazione orientale (in rosso).
1/
2
NOTE
* Contributo di Alessandro Merlo.
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La Rocca Sovrana*
“Quello che si puol dire per cogniettura è che i primi abitatori di Sorana eleggessero quel sito
sul colle per essere luogho migliore e più atto a difendersi dalli insulti nimici e che fabbricassero le
prime loro case in quel luogo che ora si chiama in Roccha e che lo circondassero e fortificassero di
muraglia, havendo da ponente la Piastra per fortificazione, su’ massi della quale si vedano ancora
le vestigie delle mura antiche, rese la Piastra inespugniabili, che giravano verso ponente dove è
ora il campanile e terminavano in quel luogo appunto dove ancor oggi si dice sul Portone e che
quivi fosse allora l’unica porta per entrare nel
piccolo castello, e seguitando il giro verso levante sino dove ora si dice sopra il Pianello perfezionavano il circolo nella roccha che se si considera questo luogo è quasi inespugnabile”1.
114
Fig. 1 - La porta della Rocca e la torre-campanile
L’antica rocca di Sorana (Rocca Sovrana)
fu costruita su un colle a controllo del ponte di Sorana, in posizione strategica per la
difesa del territorio (fig. 1). Sebbene alcune
notizie relative alla nascita e all’iniziale sviluppo di tale insediamento siano ricavabili
da alcune fonti medievali, la maggior parte
dei documenti che consentono di desumere informazioni significative relative alla
rocca sono databili al XVII secolo e riguardano in particolar modo beni, terreni ed intere porzioni di tessuto urbano che a partire dal XVI secolo vennero ceduti a livello a
quei privati che ne avevano fatto richiesta.
Nei fascicoli dei Capitani di Parte Guelfa
è documentato come parte del terreno su
cui era costruita la rocca, da sempre “al
possesso [di] detto uffizio”2, a partire dal
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1500 venne dato a censo, senza soluzione di continuità, a privati facenti parte della
Comunità di Sorana. Allivellare beni immobili e antiche fortificazioni, pratica molto diffusa nell’arco temporale considerato, spesso costituiva per le amministrazioni locali l’unica
possibilità per conservare questi stessi manufatti in mancanza di fondi da destinare alle
ingenti spese di manutenzione. Allo stesso tempo, però, il canone periodicamente versato legittimava i locatari ad operare modifiche sostanziali all’organismo edilizio (in genere
consistenti nell’apertura di porte e finestre) per adattarlo alle singole esigenze personali,
con la conseguente alterazione dei caratteri originari dell’edificio. Nel caso del cassero3
di Sorana il prolungato allivellamento dei beni portò ad una situazione di fatto in cui gli
stessi affittuari finirono per recriminare la proprietà dei fondi concessi loro a censo, come
Fig. 2 - Ipotesi di posizionamento planimetrico del cassero e dei principali edifici all’interno
del primo circuito murario della Rocca: sovrapposizione dalla pianta dei Capitani di Parte Guelfa
(ASFI, Capitani di Parte Guelfa Numeri Neri n. 942, fascicolo 88) con lo stato attuale
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risulta evidente nella testimonianza di Giovanni Domenico Burlini, secondo cui “detto
pezzo di terra [il cassero, n.d.r.], fino nell’anno 1640, era di proprietà di Pellegrino di
Giovanni Marchi, da cui nel 1646 passò ne’ suoi figli eredi e da questi nel 1707 passò in
Pellegrino di Piero Marchi loro nepote, indi da detto Pellegrino passò nel 1720 in
Lazzero Mariani e da questo Mariani passò nel comparente in vigor di permuta”4.
L’errata interpretazione dei diritti e dei doveri dei successivi locatari diede luogo ad
una controversia che si protrasse per decenni finché, a seguito di una richiesta avanzata
nel 1762 da Bartolomeo Longhi “acciò si degniasse concederli in vendita o a livello l’antica rocca di Sorana già demolita e l’antico fortilizio di Ligniana situato nella somità del
Monte del Castello di Sorana”5, tali strutture vennero messe al pubblico incanto il 31
agosto 17636. Le pratiche relative all’asta – sospese per una protesta mossa dalla
Comunità di Sorana – contengono una sommaria descrizione dei principali manufatti architettonici compresi all’interno del primo circuito murario e raccolgono una preziosa documentazione dello stato di fatto della rocca, ed in particolare del suo cassero “dall’ingiuria del tempo demolito e disfatto”7. La relazione redatta in tale occasione dal provveditore di Pescia Simone Pesenti in seguito ad un sopralluogo del 14 luglio 1763, in particolare, oltre a fornire puntuali riferimenti dimensionali delle strutture prese in esame,
riporta in calce uno schema planimetrico dell’area del cassero (cfr. par. Note storiche, fig.
6), sulla base del quale è possibile ricostruire gli antichi perimetri degli edifici descritti8. Il
disegno attribuisce le grandezze in pertiche e braccia “a misura di Pescia”9 riferendosi al
perimetro esterno delle fortificazioni, sebbene queste ultime fossero “in maggior parte
disfatte”10. La sovrapposizione con l’attuale impianto planimetrico ottenuto dal riammagliamento catastale evidenzia come il cassero occupasse l’intero settore Nord-orientale
all’interno del primo circuito murario e ad esso si accedesse tramite una piazza quadrangolare, sulla quale si affacciavano altri fabbricati (tra i quali nel 1763 è attestata la casa
di Giovanni Domenico Burlini) andati perduti o, come testimoniano le date incise sugli
elementi lapidei dell’odierno paramento, in gran parte rimaneggiati (fig. 2).
Una descrizione più approfondita del sistema fortificato è contenuta nelle memorie
raccolte nel 1704 dal Sansoni11 in cui l’insediamento è illustrato menzionando e delineando gli elementi fondamentali che inizialmente lo componevano (il cassero, la chiesa parrocchiale, il cimitero, le residenze, la torre-campanile e la porta), sebbene con
ogni probabilità gran parte dei manufatti architettonici ricordati costituissero già allora
ricostruzioni in situ di fabbricati più antichi, demoliti o, più semplicemente, crollati per
incuria.
Mentre l’ubicazione del cassero risulta sufficientemente documentata all’interno dei
fascicoli dei Capitani di Parte Guelfa e pertanto piuttosto certa, sull’originaria posizione
della chiesetta e del relativo cimitero è possibile soltanto formulare alcune ipotesi relati-
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ve alla loro disposizione all’interno del primo circuito murario. Descrivendo l’andamento
delle antiche strutture difensive il Sansoni nelle sue Memorie fa un esplicito riferimento
ai due luoghi di sepoltura presenti a Sorana riportando che “le mura vecchie dall’angolo
di Bartolomeo Topponi, detto alle Pilli, addrizzavano verso ponente e serravano solo la
casa di Alberto Burlini con tutte
l’altre case rovinate verso ponente,
facendo poi perfetta cantonata nella casa che è ora di Nicolao
Nanneschi, dove è la seconda porta
e di lì seguitavano a tramontana
col serrar dentro la canonica et il
cimiterio nuovo e vecchio sopra la
Piastra, col finire il suo giro nella
roccha da me descritta di sopra”12.
Più di due secoli dopo il Nucci ripercorre rapidamente le vicende relative alla distruzione della chiesa e
individua il relativo cimitero ai piedi
dell’attuale torre campanaria13,
permettendo così, mediante la sovrapposizione delle due ricostruzioni storiche, di collocare tale spazio
nella fascia compresa tra il tratto
occidentale del primo sistema difensivo e l’attuale oratorio di S.
Giuseppe (fig. 2).
La disposizione della chiesa parrocchiale risulta ad oggi assolutamente incerta a causa della perdita
degli ultimi resti della costruzione,
ma dalle testimonianze a disposizione appare sicura la sua localizzazione all’interno del perimetro della
rocca. Un documento del 1375, infatti, testimoniando lo spostamento
dei due altari dall’edificio religioso
originario intitolato ai SS. Pietro e Fig. 3 - Rilievo integrato del campanile: pianta dei tre livelli
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Cristina a quello intitolato ai SS. Pietro e Valentino (poi ampliato e dedicato ai SS. Pietro e
Paolo) da poco eretto ai piedi della prima cerchia muraria, dimostra come la primitiva
chiesa, compresa nel circuito fortificato più antico, risultasse inabile al culto da oltre quarant’anni in quanto destinata essa stessa “ad usum Rocche”14.
Informazioni più specifiche, sebbene
più tarde, riguardano la torre del primo
sistema difensivo, in seguito divenuta,
analogamente a quanto avvenuto in numerose castella vicine, il campanile della
chiesa del paese. La struttura, vertice occidentale della più antica cortina muraria, si presenta oggi come il risultato di
reiterati interventi di ristrutturazione ed
adeguamento che hanno gradualmente
modificato ed ingentilito le sue linee in
relazione ad un significativo cambiamento di destinazione d’uso (cfr. par. Il
Medioevo).
A conferma dell’origine militare del
manufatto rimane, sul prospetto Nordorientale in posizione decentrata, un archetto appartenente ad una piccola
apertura tamponata, corrispondente
con ogni probabilità al primitivo accesso
rialzato alla torre. L’ipotesi di un’entrata
diversa dall’attuale, posta ad una quota
elevata ed utilizzabile unicamente dall’interno del primo circuito, trova molteplici riscontri non soltanto nelle comuni
logiche costruttive dell’epoca, fortemente influenzate da esigenze militari di difesa, ma anche nell’analisi più specifica
della tessitura muraria. In particolare
dai tagli nell’orditura del prospetto Sudorientale risulta evidente come l’attuale
ingresso al campanile costituisca un’a- Fig. 4 - Rilievo integrato del campanile: sezione
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pertura successiva alla realizzazione della torre, probabilmente introdotta insieme alle
scale in pietra (semplicemente addossate alla parete e non ammorsate ad essa) per facilitare l’utilizzo della struttura a torre campanaria (figg. 3-5).
Gran parte dei documenti relativi al manufatto architettonico riferiscono di continue
opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, che troppo spesso si tradussero in un
temporaneo arginamento di problemi strutturali ben più gravi15. Nel 1736 l’intera torre
minacciava di crollare sulla sottostante chiesa dei SS. Pietro e Paolo. La precaria condizione del campanile, che “necessita di restauro perché minaccia rovina e rovinate sono anche le campane che devono essere rinnovate”16, già denunciata in una visita pastorale del 1730, venne affrontata pubblicamente in una riunione tenutasi il 16 settembre 1736 a cui erano presenti gli ufficiali
maggiori rappresentanti della Comunità di
Sorana e la comunità stessa17. Le decisioni
prese in tale circostanza diedero avvio ad
una sequenza di interventi, prolungatisi per
circa un ventennio, promossi dal pievano
Francesco Maria Pieretti, il quale destinò una
quota significativa dei fondi a sua disposizione per il “risarcimento” delle fondamenta
(1745-1748)18 e dell’intera struttura del
campanile (1758)19.
I lavori – durante i quali la gente di
Sorana si rese colpevole della demolizione
non autorizzata di quanto era rimasto del
cassero per utilizzare i materiali nelle riparazioni20 – si conclusero nel 1759 e furono sostenuti dal connubio tra magistrature civili
ed ecclesiastiche, le prime delle quali stanziarono un considerevole capitale (50 scudi)
Fig. 5 - Rilievo integrato del campanile:
prospetto Sud-Est
per finanziare il cantiere condotto dal pieva-
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Fig. 6 - Il versante settentrionale delle mura del Cassero
no stesso che, a lavori finiti, appose un’epigrafe memoriale sull’ultimo livello del campanile21.
Nel 1761, “considerato l’infelicità del loro castello che non sente alcun orologio se
non se quello di S. Quirico nello stato di Lucca, che andando all’italiana, in cambio d’esser di giovamento resta di qualche pregiudizio confondendo ben spesso le sacre funzioni”22, sul prospetto Nord-occidentale del campanile venne istallato un orologio pubblico.
Tale intervento richiese alcune opere di adeguamento interno della torre, al fine di ricavare un apposito locale in grado di ospitare gli ingranaggi e consentire la periodica manutenzione dei meccanismi23.
Le successive opere di restauro documentate riguardano lavori di scarsa entità, resi
necessari dall’esposizione agli agenti atmosferici (1862)24, dai danni subiti durante la
Seconda Guerra Mondiale (1954)25 e da un fulmine che colpì direttamente il campanile
(7 ottobre 1960)26.
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NOTE
* Dal contributo originario di Gaia Lavoratti.
1 Sansoni, op. cit., p. 7.
2 ASFI, Capitani di Parte Guelfa n. 942, fascicolo 88.
3 Nei fascicoli dei Capitani di Parte Guelfa e nei documenti successivi con il termine “rocca” viene
spesso indicato il solo ridotto fortificato del cassero, situato nella parte settentrionale del primitivo insediamento di Sorana.
4 ASFI, Capitani di Parte Guelfa n. 850, cc. 194rv.
5 Ibid.
6 Ibid. Circa le dispute fra la comunità di Sorana e la magistratura dei nove, per il possesso della
rocca omonima e del fortilizio di Lignana, si veda anche: SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341,
c. 157r.
7 ASFI, Capitani di Parte Guelfa n. 942, fascicolo 88.
8 Ibid. “Per quello che appartiene alla quantità della terra, che rinchiudersi dentro la rocca di
Sorana, a cui per la parte di mezzogiorno v’è appoggiata la casa di Giovanni Domenico Burlini, è di misura scale 4 e pertiche 2 compresavi la grossezza delle sue mura in maggior parte disfatte. […] La piazzetta di avanti alla detta rocca [cassero, n.d.r.] che serve ancora per l’ingresso della casa del sudetto
Burlini, è di misura scale 1 e pertiche 2”.
9 Ibid.
10 Ibid.
11 Sansoni, op. cit., pp. 7-12.
12 Ibid., p. 9.
13 E. Nucci, In Valleriana. Il castello di Sorana, Pescia 1935, pp. 12-13.
14 AAL, Libri Antichi di Cancelleria n. 32, c. 71, 1375.
15 Appe, Sorana n. 53, c. 32rv.
16 AVPE, Vescovado n. 1, 26 giugno 1730.
17 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. n.n.
18 Appe, Sorana n. 53, c. 133r.
19 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, cc. 130r-131r.
20 ASFI, Capitani di Parte Guelfa n. 942, fascicolo 88.
21 Appe, Sorana n. 53, c.124r.
22 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, cc. 146v-147r.
23 Ibid., c. 158r.
24 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 17, p. 11, 2 giugno 1862.
25 AVPE, Vescovado n. 36, c. n.n., 2 aprile 1954. Le riparazioni, documentate da Don Arturo
Carmignani pievano di Sorana, si limitarono a: “rifacimento della terrazza, riparazioni alla travatura delle campane, scale di legno, pavimenti, porta di ingresso e ritingitura generale”.
26 AVPE, Vescovado n. 36, c. n.n., 6 novembre 1960 e 19 novembre 1960.
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La Chiesa dei SS. Pietro e Paolo
Descrizione dello stato di fatto*
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L’aspetto attuale della chiesa dei SS. Pietro e Paolo è ascrivibile ad un ampliamento
della preesistente fabbrica romanica voluto nell’anno 1589 dal rettore di Sorana
Domenico Pieri di Vellano1. All’esterno l’edificio appare come un compatto parallelepipedo costituito da blocchi di pietra serena a facciavista; il piccolo sagrato sul quale prospetta (posto tra via delle Scalette della chiesa e via di S. Paolo2) fiancheggia una lunga
e ripida scalinata che, correndo parallela al fronte stesso, conduce alla porta Fredda. Due
costruzioni poste al di sotto del piano di campagna della piazzetta si trovano parzialmente addossate all’edificio sul lato Sud-Ovest, lasciando libera la parte sommitale della
parete che si affaccia sulla vallata. A Sud-Est vi sono la sacrestia e la canonica, mentre
sul fianco Nord-Est passa il percorso di mezzacosta (via di S. Paolo) che cinge il primo
abitato.
La facciata, con al centro il portale d’ingresso, conserva nella muratura l’entrata della
chiesa trecentesca (portale oggi tamponato e decentrato verso sinistra rispetto all’asse
dell’odierno impianto planimetrico) e parte della coeva parete realizzata in conci quadrati di arenaria, alti circa 20 cm e posti in opera con tecnica pseudo-isodoma. A sostegno
dell’architrave monolitico del primitivo accesso, sormontato da un arco cieco a ferro di
cavallo formato anch’esso da conci di pietra dalla stereotomia ben definita, è rimasta la
mensola modanata sinistra (fig. 1).
Più tarda è la croce commemorativa marmorea posta al centro dell’antica porta, al di
sotto della quale, negli ultimi anni del XIX secolo, è stata aggiunta un’epigrafe3 voluta
dall’allora vescovo di Pescia monsignor Giovanni Benini. Sulla parte alta della facciata vi
è un’apertura squadrata, strombata verso l’interno e in asse con l’attuale accesso all’aula; tale bucatura è oggi tamponata da una muratura intonacata sulla cui superficie sono
visibili i resti di un affresco raffigurante i santi a cui è titolata la chiesa.
L’interno dell’edificio è ad un’unica navata scandita da quattro coppie di paraste con i
rispettivi arconi, che sorreggono una volta a botte lunettata. Le unghie, che si aprono in
corrispondenza di ciascun settore delimitato da paraste, presentano sul fronte una curva
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La Chiesa dei SS. Pietro e Paolo
policentrica; tre delle cinque lunette presenti su entrambi i lati – alternate ai sottostanti
altari laterali – ospitano delle finestre rettangolari che consentono l’illuminazione dell’aula (figg. 2 e 6).
In asse all’ingresso, sul lato opposto della chiesa, si trova l’abside a pianta semicircolare coperta da una volta a catino. In questo spazio è posta, alle spalle dell’altare maggiore, una tavola lignea raffigurante la Vergine con il Bambino nell’atto di porgere un
anello a S. Caterina attorniata dai SS. Michele, Pietro e Paolo4. La superficie del catino
absidale, come quella del resto della chiesa, non è affrescata ma semplicemente tinteggiata in bianco e decorata con cornici e lesene di colore grigio5. L’abside si trova nel terzo medio della parete tergale, ma questa regolarità di dimensione e forma non concorda
con una singolare “curvatura” del profilo della parete Est, in corrispondenza dell’ultimo
settore racchiuso da lesene.
Fig. 1 - Facciata principale della chiesa dei SS. Pietro e Paolo
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Capitolo II - Il castello di Sorana
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Per ciò che concerne la pavimentazione, dei recenti saggi hanno riportato alla luce
due livelli d’impiantito posti a quote notevolmente inferiori a quella dell’ultimo piano di
calpestio. Il primo di essi, a differenza di quello attuale, è disposto su un unico livello,
senza alcuna distinzione altimetrica tra area absidale e aula. Lo strato rinvenuto, formato
da elementi in cotto di pezzatura quadrata di dimensione 24x24 cm, è risultato avvallato
in più punti a causa di un probabile cedimento del sottofondo composto da terra battuta,
ciottoli e pietra. Nella zona con un minor cedimento (nei pressi del fonte battesimale) lo
scavo ha fatto emergere una pavimentazione ancora più antica formata da elementi in
cotto di forma rettangolare che delimitano chiaramente il perimetro dell’aula trecentesca
e mettono in evidenza una cresta di rasatura facente parte dell’originaria muratura perimetrale. Quest’ultima, infatti, era costituita da una parete a “sacco” della quale furono
asportati parte del riempimento e il “rivestimento” interno, riducendone notevolmente lo
spessore. L’innalzamento, avvenuto nei secoli, del livello della pavimentazione di circa
quaranta centimetri ha fatto sì che la parte inferiore degli altari – formati da due alti basamenti sormontati da colonne pseudo-ioniche che sostengono una trabeazione con timpano interrotto al centro da uno scudo6 – rimanesse incorporata nel piano di calpestio7.
A differenza delle lesene parietali che rispettano i canoni del dorico, l’ordine degli altari non è assimilabile a nessuno degli “schemi architettonici” descritti nella trattatistica
del XVI secolo8.
L’altare di S. Michele Arcangelo, spesso citato nelle visite pastorali e in alcuni documenti del ‘600, appartenne alla stessa compagnia che partecipò alle vicende costruttive
della chiesa di Sorana9. A tale congregazione sarebbe legata la vicenda dell’apertura, alla metà del XVII secolo, di quattro finestre poste sul lato Sud-Ovest al fine di illuminare
l’omonimo altare10. Proprio di fronte alla mensa di S. Michele Arcangelo si trova l’altare
voluto nell’anno 166711 dalla famiglia Pieretti, sul quale è conservata una statua in terracotta dipinta risalente al XVI secolo e raffigurante la Vergine con il Bambino (cfr. par.
L’immagine descritta).
Le altre due edicole, titolate alla compagnia del S.S. Crocifisso e a S. Michele, fiancheggiano l’altare maggiore e sono caratterizzate dalla presenza al loro interno rispettivamente di una crocifissione lignea e di una statua di S. Antonio.
Il fonte battesimale si trova alla sinistra dell’ingresso principale ed è racchiuso da una
cancellata metallica. La vasca in pietra con coperchio ligneo è posta al centro di una piccola nicchia12 sormontata da una trabeazione sorretta da due semicolonne pseudo-ioniche poco aggettanti rispetto alla parete. Un’incisione presente sulla vasca consente di
datare il fonte all’anno 165013 (fig. 5).
Il pulpito venne descritto in maniera minuziosa dal Sansoni che ne attribuì la paternità a Tommaso da Pescia, intagliatore di pietra che lo realizzò tra il 1667 e il 1668:
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La Chiesa dei SS. Pietro e Paolo
“consideratosi dalla comunità di Sorana la vecchiezza del pulpito di legno che era posto
dalla parte di ponente in mezzo tra l’altare della Madonna e quello di S. Michele e che
era cosa indecente tenere un tal pulpito in una chiesa da una comunità che si era mostrata sempre magnanima e generosa nelle sue passate cose, fu risoluto che si facesse il
pulpito nuovo di pietra serena e si collocasse dirimpetto al vecchio e che si facesse con
tutte le perfezioni senza guardare a spesa”14 (fig. 3).
Fig. 2 - Sezione longitudinale e pianta con indicazione degli altari: 1. Altare di S. Michele Arcangelo;
2. Altare di S. Michele; 3. Altare maggiore; 4. Altare della Compagnia del S.S. Crocifisso; 5. Altare
della famiglia Pieretti
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Capitolo II - Il castello di Sorana
L’altare maggiore, posto centralmente alla zona absidale, fu realizzato nel 1879 in
forme semplici utilizzando marmi policromi (fig. 4).
All’ingresso dell’aula, un palco sorretto da due colonne con capitelli lignei dorati in
stile corinzio, oltre a schermare l’ingresso al luogo di culto (che avviene attraverso una
“bussola”), ospita un piccolo organo raggiungibile da una scaletta posta sul lato Ovest
della navata.
Fanno parte della chiesa di SS. Pietro e Paolo la sacrestia e la canonica. Quest’ultima,
raggiungibile da un’apertura posta sulla parete absidale proprio al di sotto della tavola
lignea raffigurante S. Caterina, è formata da una serie di stanze poste a piani diversi; la
sacrestia, invece, si trova alla destra dell’altare maggiore. Da alcuni saggi che sono stati
eseguiti sulle murature si è potuto osservare che, sopra la porta che conduce in quest’ultimo ambiente, l’intonaco celava il disegno di una trabeazione.
Vicende storico-costruttive della fabbrica**
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I primi documenti che testimoniano l’esistenza a Sorana di una chiesa intitolata a S.
Pietro risalgono al XIII secolo. La chiesa è infatti menzionata nell’Estimo della Diocesi di
Lucca dell’anno 1260 e nelle Decime del 1266-1267, del 1275-1276 e del 1302130315. In questi testi si fa però riferimento al primitivo edificio ubicato all’interno della
rocca entro la prima cerchia di mura.
La nuova chiesa, in via di completamento nel 1375, venne realizzata dagli abitanti
del luogo16 di dimensioni piuttosto esigue – come del resto indicherebbero i resti
tutt’oggi visibili in facciata –, con un impianto semplice e un carattere austero, come si
riscontra sovente nelle chiese romaniche rurali. Nel 1381 l’edificio sacro titolato a S.
Pietro e S. Valentino ricevette l’autorizzazione alla celebrazione dei sacramenti e fu posto
sotto la rettoria del reverendo Domenico Ferrandi di Castelfiorentino17. La chiesa ospitò
inoltre due altari rimossi dal precedente luogo di culto posto all’interno dell’insediamento alto-medievale18.
Il Sansoni, in un passo in cui descrive le nuove mura costruite per l’espansione del
paese, precisa che queste “seguitavano a tramontana col serrar dentro la canonica e il
cimitero nuovo e vecchio sopra la piastra”19. Questo passo permette di affermare che il
nucleo religioso costruito nella seconda metà del Trecento (chiesa, canonica e cimitero)
venne edificato nei pressi del vecchio camposanto, in quella stretta fascia di terreno in
prossimità delle antiche mura e della parte di paese detta “la piastra” per la sua particolare conformazione geo-morfologica.
Le dimensioni dell’attuale chiesa vennero raggiunte solo nel 1589, come si evince dalla lapide a memoria dell’evento posta sul fianco Nord-Ovest della costruzione20. Alcune
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La Chiesa dei SS. Pietro e Paolo
fonti differiscono sulla consistenza degli interventi: mentre il Coturri
nel catalogo storico descrittivo de Il patrimonio artistico di Pistoia e
del suo territorio21 parla di “totale rifacimento”, per il Sansoni si tratta invece di un ampliamento della fabbrica esistente: “essendo rettore di Sorana il reverendo prete Domenico Pieri di Vellano, il comune
di Sorana accresce la chiesa e si scorge anche di dentro benissimo il
suo accrescimento cioè il luogo del sancta sanctorum da quel cordone in su che è tra l’altare di S. Michele e quello della cappella, si puol
credere che vi fosse prima qualche casa contigua e che dal comune
fosse comprata per fare questo accrescimento alla chiesa”22. Pur non
essendo immediato individuare il punto esatto a cui si riferisce il
Sansoni e soprattutto cosa intenda per “cappella”23, è facilmente verificabile come alcune parti della fabbrica siano ancora quelle originali e che, quindi, il termine “totale rifacimento” utilizzato dal Coturri Fig. 3 - Pulpito attribuito a
non debba essere inteso in senso letterale24. A conferma di ciò le Tommaso da Pescia (1667-1668)
fonti archivistiche (in particolare i documenti che vanno dal 1574 al
1616) parlano chiaramente dell’acquisto di materiali per lavori alla chiesa e di rifacimento
della viabilità che conduce alla rocca lungo il lato Nord-Ovest del fabbricato.
Gli scritti risalenti al 1577 descrivono l’acquisto di materiale senza però specificare la
consistenza dei lavori che dovevano essere fatti; è solo in un documento del 1589 redatto dal Camerlengo Ambrogio di Matteo di Iacopo da Sorana che si parla esplicitamente
di opere “per coprir la detta chiesa et accrescimento di essa”25. Questo lungo lasso di
tempo può far ipotizzare che l’ampliamento dell’edificio non avesse implicato nell’imme-
Fig. 4 - Altare maggiore (1879)
Fig. 5 - Fonte battesimale (1650)
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diato la demolizione del corpo di fabbrica trecentesco, ma che il cantiere fosse stato organizzato in modo da privare per il minor tempo possibile la comunità religiosa del proprio luogo di culto26.
È probabile che, trattandosi di un unico cantiere che doveva affrontare due situazioni
molto diverse tra loro (il riadattamento di un edificio preesistente e la costruzione di una
sua parte ex-novo), sia stato ritenuto opportuno suddividere anche temporalmente la sequenza delle opere, portando quindi avanti su più fronti la sua fabbricazione (negli anni
‘80, ad esempio, troviamo alcune note di spesa inerenti la copertura del tetto e l’imbiancatura, assieme ad altre che sono compatibili più con l’edificazione che con le rifiniture)27.
Le note di spesa dei camerlenghi restituiscono un quadro piuttosto accurato, ma discontinuo e disomogeneo; sappiamo infatti la composizione della squadra di lavoro, la
provenienza dei materiali edilizi e l’entità del gruppo dei lavoratori non specializzati che
presero parte alla costruzione, tuttavia le notizie conservate si riferiscono a brevi periodi
di tempo, intramezzati da lunghi silenzi. Al cantiere parteciparono tre maestri muratori28,
Francesco di maestro Giovanni Foresi, Lorenzo di Iacopo e Renzo, i primi due più anziani
ed esperti del terzo, che ricevette per questo un salario ridotto (11 denari al giorno a fronte di 1 lira e 5 soldi dei colleghi). Francesco Lorenzo e Renzo non sembrano essere di
Sorana, in quanto tra i loro pagamenti risultano anche le spese di vitto ed alloggio, a 10
denari il giorno, alla distribuzione delle quali era addetto un abitante del castello che aveva funzioni di camerlengo.
Affiancati ad essi troviamo numerosi manovali che erano presenti sul cantiere da un
massimo di dodici ad un minimo di una giornata lavorativa; nella massa degli operatori
occasionali ritroviamo la ricorrente presenza di tre o quattro manovali che possiamo ipotizzare stabili aiutanti, forse addirittura apprendisti, dei muratori.
Le identità dei soranesi coinvolti nel cantiere della chiesa erano spesso le medesime
di quelle dei manovali presenti nei lavori alla fontana e alla viabilità assicurando, in questo modo, per alcuni di loro una lunga frequentazione con le maestranze specializzate
presenti in paese.
Tra la dettagliata lista di spese per acquisto e trasporto di materiali edilizi, in questo
caso è ricordata anche la provenienza di sabbia e calce dalla Pescia, mentre non si trovano accenni a saldi per acquisto di pietre; altrettanto significativa è l’assenza di scalpellini
o di saldi per l’affilatura di strumenti (come invece vi era nel caso della costruzione della
fontana, cfr. par. La fontana pubblica).
La tecnica costruttiva adottata è caratterizzata dall’impiego di elementi solamente
sbozzati e rifiniti rapidamente a subbia o a scalpello a punta singola, a differenza delle residue parti medievali dove sono state documentate sezioni realizzate in pietra squadrata
di buona fattura. Gli stessi cantonali dell’ampliamento cinquecentesco differiscono da
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Fig. 6 - Interno della chiesa dei SS. Pietro e Paolo durante le operazioni di rilievo
quelli trecenteschi per disomogeneità di dimensione e poca accuratezza nella spianatura
superficiale. Della chiesa più antica rimase in piedi solamente l’angolo Nord-Ovest della
facciata con alcuni elementi del portale d’ingresso e parte della fiancata settentrionale.
Sul prospetto opposto, realizzato ex-novo, si intravedono, dal terrazzo accanto al presbiterio, una serie di allineamenti verticali nella muratura cinquecentesca, successivamente tamponati, che giustificherebbero l’originaria presenza di almeno tre finestre di
forma rettangolare allungata29.
Anche se la lapide che ricorda la conclusione dei lavori indica la data 1595, ulteriori
opere, soprattutto alle coperture, sono documentate (nei ricordi del Sansoni e del rettore
Mauro Pacini30) a più riprese dal 1616 al 1666. Nell’ottica di un cantiere con periodi di
forte operosità intervallati a momenti di stallo e probabili cambiamenti delle maestranze
è ipotizzabile, ancora una volta, che i lavori non siano ascrivibili a semplici opere di manutenzione bensì a successivi stadi di trasformazione dell’edificio. È infatti plausibile che
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la chiesa tardo cinquecentesca fosse coperta con capriate lignee, che le aperture risultassero per numero e dimensioni inferiori a quelle attuali e che solamente dopo la metà del
XVII secolo sia stata realizzata una nuova copertura a volta a botte con lunette – per l’apertura di grandi finestre – sorretta da arconi portanti in muratura.
Sono degli anni ‘20 del Seicento i documenti d’archivio che ricordano notevoli acquisti di laterizi (due distinte mandate commissionate al medesimo fornaciaio); contestualmente compaiono nei registri dei camerlinghi pagamenti per giornate di lavoro destinate
alla riparazione degli elementi lignei delle capriate del tetto.
Dai saggi effettuati nel recente cantiere di risanamento interno dell’edificio è stato
possibile osservare un consistente impiego di materiale laterizio, per la pavimentazione e
la posa in opera delle lesene, databile proprio a questo periodo.
Sempre ai decenni centrali del Seicento risalgono gli altari, gli altri arredi liturgici, il
pulpito e il fonte battesimale (stando alla datazione apposta sugli stessi elementi architettonici)31. La benevolenza della famiglia Pieretti permise di rimuovere l’altare in legno
della Madonna e rimpiazzarlo con uno in pietra, mentre il vecchio pulpito di legno posto
tra il detto altare e quello di San Michele fu tolto32. La nuova cattedra fu collocata sulla
parete opposta alla precedente, subendo l’anno seguente restauri e modifiche33.
L’attenzione rivolta all’edificio sacro rispecchia di fatto la profonda religiosità dei soranesi, particolarmente devoti al culto della Madonna34. Tutti questi manufatti sono realizzati
in pietra serena, con differenti gradi di accuratezza nell’esecuzione. Con un certo margine di incertezza si può anche in questo caso ipotizzare la presenza di un fenomeno simile a quello osservato per i portali (cfr. par. Il Seicento): una prima emulazione esterna all’ambiente tecnico degli artigiani di Sorana e, quasi a cascata, successive imitazioni autoreferenziali della prima copia.
La costruzione della nuova fabbrica comportò non solo la demolizione di parte della
vecchia, ma anche di tutti quegli annessi che vi erano addossati nella zona absidale e sul
lato Sud-Ovest tra cui il cimitero e “la sagrestia vecchia che tornava appunto allora dreto
all’altare maggiore vecchio e di poi fu trasferita sotto le stanze del molto reverendo signor
rettore Giuseppe Marchi a terreno dalla parte di mezzogiorno, dove si vede anche al presente”35. Sembra quindi che la vecchia sacrestia si trovasse dietro l’altare maggiore e che
la nuova venisse ricostruita addossata al fianco Sud-Ovest della chiesa; ma l’edificio che il
Sansoni descrive nel resto del testo non è quello oggi visibile: si parla infatti di ambienti a
piano terra e, considerando la conformazione del terreno in quel punto, è plausibile che si
riferisse a locali costruiti a quota più bassa e non direttamente collegati con la chiesa.
Di apporti di maestranze esterne al paese siamo informati sempre grazie alle Memorie
Istoriche del Sansoni; egli ricorda, ad esempio, che il nuovo pulpito in pietra36, venne
commissionato ad un maestro scalpellino di Pescia, Tommaso, che iniziò l’opera in cava
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(la medesima da cui provenivano anche gli altri al0,5905 cm
tari) e poi ne ordinò il trasporto nella chiesa dove
0,5905 cm
venne aggiustato e rifinito.
Le committenze degli altari e degli altri arredi
liturgici possono essere suddivise in due ambiti: il
pubblico e le grandi famiglie private. Sin dalla più
antica attestazione d’archivio37 riguardante la
chiesa di S. Pietro, infatti, vediamo quanto il comune di Sorana abbia titolo e ingerenza nella ge- Fig. 7 - Unità di misura impiegata nell’ampliamento
stione diretta dell’edificio se non proprio dell’en- della chiesa (braccio lucchese = 0,5905 metri)
te: è ancora la rappresentanza civile del castello a
finanziare nel XVI secolo l’ampliamento dell’edificio sacro38 ed è per questo che anche lo stemma
del comune figura all’interno della chiesa39 assieme a quelli di alcune tra le famiglie più rilevanti40.
Gli stemmi dei Pieretti, che daranno anche un
famoso rettore alla chiesa nel XVIII secolo, e dei
Pacini, popolano i basamenti degli altari e i nominativi dei loro membri compaiono frequentemente sulle epigrafi dedicatorie. Dell’interesse dei
Verreschi, famiglia altrettanto importante, per gli
arredi della chiesa sappiamo in modo indiretto;
grazie alle memorie del Sansoni, infatti, apprendiamo che a Sante Verreschi era attribuita la realizzazione del primo altare sulla sinistra, accanto
al fonte battesimale, sul quale, attualmente, si
trova l’arme dei Pacini41.
L’impianto dell’aula subì una successiva e radicale trasformazione alla fine del XVII secolo, “ma
di poi a nostri tempi, cioè circa l’anno 1690 vedendosi che la chiesa minacciava rovina in quella
parte che fu accresciuta cioè nella fianchata di Fig. 8 - Particolare della parete Nord-Ovest
verso ponente, fu stimato bene dalla comunità e
dall’opera con la provatione del molto reverendo
signor Santi Mariani rettore pro tempore di tirare su una casetta posseduta da Stefano
Nardini con le cui muraglie si veniva a darli di morza alla sopradetta fianchata della chiesa che minacciava et assicurorla del tutto si come poi fu fatto restando a Stefano le stan131
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ze nuove di sotto e della stanza di sopra che tornava al pari del piano della chiesa ne fu
fatto una nuova sagrestia assi più comoda e vaga dell’altra vecchia”42. Fu pertanto sopraelevato l’edificato che affiancava la chiesa sul lato in cui il terreno scende ripidamente
a valle, in modo da fungere anche da contrafforte per la muratura longitudinale della
chiesa stessa che, pur essendo di recente costruzione, dava continui problemi di stabilità.
Grazie poi al passaggio di proprietà fu possibile collegare l’aula ai nuovi ambienti destinati a sacrestia.
Di poco successivi sono gli eventi che riguardarono le trasformazioni della canonica,
mai esplicitamente menzionata dal Sansoni43 se non nel capitolo inerente l’incendio del
1673 che riguardò la casa di Domenico Burlini: “vedendo gli uomini più maturi di
Sorana, si applicorno a volere salvare la canonica dalla voracità delle fiamme. Onde
maestro Roccho Sansoni e maestro Piero Verreschi, detto il zoppo dal Piano, e
Bartolomeo Bartolozzi detto zampino, si esibirno come legnaioli con una sega per uno
andare a segare i travi del tetto della canonica, che erano attacchati al tetto di
Fondino”44. Questo brano permette di collocare la prima canonica in uno dei fabbricati
che fronteggiano la chiesa lungo la strada che conduce a porta Balda. Solo a metà del
XVIII secolo l’abitazione parrocchiale, attraverso una serie di passaggi di proprietà, fu
posta a fianco dell’edificio religioso e poi ampliata e trasformata fino ad assumere la
connotazione attuale.
Dopo questi eventi e per tutto l’Ottocento il complesso della chiesa dei SS. Pietro e
Paolo rimase invariato fino agli interventi di ristrutturazione che seguirono la seconda
guerra mondiale, ben descritti nel “diario” di Don Arturo Carmignani45 nel quale il religioso racconta le disastrose condizioni in cui trovò Sorana nel 1944 e le grandi opere di
ricostruzione che caratterizzarono il suo mandato pastorale. Per ciò che concerne la chiesa, la sacrestia e la canonica, il Carmignani, dopo averne ripercorso brevemente le vicende storiche affidandosi al testo del Sansoni, descrive lo stato in cui esse vertevano al suo
tempo. Fino al 13 settembre del 1945, giorno in cui una cannonata colpì la canonica distruggendone il tetto, e ai bombardamenti dei giorni successivi che provocarono il crollo
di una parte della volta della chiesa soprastante l’altare della Madonna, gli immobili dovevano presentare solo segni diffusi di degrado dovuti alla vetustà se il prelato si sofferma unicamente sullo stato di deterioramento della pavimentazione della chiesa e degli
intonaci, pavimenti e infissi degli altri ambienti comunque privi, come egli sottolinea, degli occorrenti arredi. L’opera di ricostruzione iniziò nel 1949 grazie all’impegno di tutti gli
abitanti di Sorana e ai contributi dello Stato46. I lavori furono occasione per riedificare le
parti distrutte ma anche per ridare vita ad ambienti in stato di semiabbandono (furono rifatte le pavimentazioni, alcuni solai, i serramenti, parti di intonaco e imbiancate tutte le
murature).
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Nel gennaio 2010 la chiesa è stata oggetto di restauri e studi condotti dalla
Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici
per le province di Firenze, Prato e Pistoia.
L’edificio trecentesco: ipotesi ricostruttive*/**
Per poter formulare un’ipotesi sulla conformazione del primitivo impianto è necessario premettere che le unità di misura diffuse sul territorio pesciatino (fig. 7) durante il
Medioevo e il Rinascimento erano quelle in auge nella città di Lucca; in particolare per
l’architettura il braccio lucchese pari a 0,5905 metri47.
Le parti che permettono di ipotizzare la geometria della primigenia chiesa sono l’attuale facciata, in cui è ancora visibile il portale del primo impianto, e il fianco Nord-occidentale dell’edificio, in parte originale (fig. 8). Da questi
due elementi è possibile ricavare, sulla base di una presunta simmetria del fronte, la larghezza della chiesa trecentesca pari a 7 braccia e 16 soldi. Altri dati, da ricercarsi
nella muratura interna48, sono forniti dal tracciato a terra
della vecchia parete perimetrale (più spessa dell’attuale di
circa 40 centimetri), dal suo attacco alla contro-facciata e
dalla presenza di murature poste ortogonalmente rispetto
al fronte laterale (fig. 9), che consentono di ipotizzare la
fine della chiesa trecentesca in prossimità dell’attuale
porta laterale, ottenendo una lunghezza totale del corpo
di fabbrica pari a 17 braccia.
Dalla sovrapposizione dell’ipotetico impianto originario col rilievo dell’esistente, si evince chiaramente la volontà della committenza cinquecentesca di raddoppiare la
costruzione (fig. 10).
La lunghezza esterna complessiva dell’attuale chiesa
risulta essere 37 braccia, suddivise in 33 braccia per il
corpo principale e 4 per la parte absidale49 (fig. 11).
Ipotizzando per la larghezza un raddoppio della misura
originale, essa risulta pari a 15 braccia e 12 soldi, mentre
nella realtà è di 15 braccia e 4 soldi. Anche la larghezza
interna, che una volta considerato lo spessore murario di
1 braccio dovrebbe essere pari a 13 braccia e 12 soldi, ri- Fig. 9 - Ipotesi ricostruttiva della chiesa
trecentesca
sulta invece di 13 braccia e 4 soldi.
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Fig. 10 - Ipotesi di raddoppio della chiesa
trecentesca
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Fig. 11 - Schema della parte absidale
Fig. 12 - Ripartizione delle campate dell’aula
Questo scarto di 8 soldi non è presente
nella parete absidale che misura correttamente (nella parte interna) 13 braccia e 12
soldi. Analizzando la suddivisione della lunghezza della fabbrica (scegliendo per tale
lettura il fianco Sud-Ovest in quanto quello
opposto non risulta perfettamente lineare) si
nota che le 31 braccia interne sono ripartite
in campate che, seppur diverse tra loro, hanno dimensioni non casuali. Partendo dall’abside e considerando la misura delle lesene
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pari a 16 soldi ciascuna, risulta in successione: prima
campata pari a 4 braccia; seconda, terza e quarta campata 5 braccia e 16 soldi; quinta campata 5 braccia e 2
volte 16 soldi (fig. 12). Se, altresì, queste misure vengono lette considerando gli assi delle lesene, risulta evidente l’intento del progettista di avere un interasse di 5
braccia e 2 moduli da 16 soldi. Si noti inoltre che nella
campata finale vi era probabilmente la volontà di realizzare due lesene angolari che avrebbero permesso una
più corretta lettura dello spazio (la sola campata che
sembra non seguire la regola progettuale è quella in
prossimità dell’abside50).
Per ciò che concerne il fronte principale, gli scavi interni hanno portato alla luce una soglia in corrispondenza del portale trecentesco, che ne conferma la posizione (fig. 13), e di una parte di pavimentazione a quota più bassa (-43,5 centimetri) rispetto al piano di campagna attuale. I resti presenti sulla facciata consentono
di ipotizzare il suo primitivo aspetto. Il portale scandisce il prospetto in tre parti: quella centrale risulta di 2
braccia e 16 soldi mentre le due laterali misurano 2
braccia e mezzo (fig. 14); l’altezza della porta è pari a
3 volte la sua larghezza (ossia 6 braccia e 3 volte 16
soldi). Le dimensioni dei restanti elementi che costituiscono il portale sono in rapporto con le misure sopra
citate: l’architrave comprensivo di mensole risulta essere, ad esempio, 1 braccio esatto di altezza mentre la
ghiera dell’arco è pari a 16 soldi.
Per ipotizzare l’altezza totale del fronte, non essendovi nessun indizio nel paramento murario cinquecen- Fig. 13 - Lavori eseguiti in prossimità
tesco, è necessario procedere per confronto con altre dell’accesso della chiesa
realtà similari51 ed in particolare con la chiesa di S.
Jacopo a Lignana. Di questa si ha una descrizione in un documento redatto dai Capitani
di Parte Guelfa, datato 1763, in cui la chiesa, misurata e restituita graficamente, viene
così descritta: “La chiesa indicata in pianta è tutta in essere fabbricata in pietre quadre
lunga braccia 17 1/2, larga braccia 9, e alta braccia 7 1/2 con sua tribuna pitturata con
buoni travamenti ed intavolato di castagno ricoperto con lastre di pietra”. Tali misure
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sono tutt’oggi verificabili e hanno permesso, una volta accertate, di elaborare un’ipotesi
valida anche per la chiesa dei SS. Pietro e Paolo. Essendo in questo caso l’altezza totale
4 volte la larghezza della porta è plausibile che questa proporzione fosse applicata anche nella chiesa di Sorana. Seguendo questo principio l’altezza della prima chiesa risulterebbe pari a 4 L equivalenti a 8 braccia e 4 volte 16 soldi, ossia 11 braccia e 4 soldi.
Supponendo che il cantiere sia stato impostato in modo da realizzare l’accrescimento
senza dover demolire il vecchio edificio – garantendo così la possibilità di ufficiare le
funzioni religiose in attesa del completamento della nuova chiesa –, la costruzione cinquecentesca deve essere stata avviata erigendo quelle parti non direttamente collegate
all’esistente.
Prendendo in considerazione la curvatura presente nella muratura Nord-Ovest dell’ultima campata, è possibile ipotizzare la sequenza delle operazioni di cantiere. È plausibile
infatti che le maestranze cinquecentesche siano partite dalla costruzione del fronte principale, compiendo un errore di 8 soldi nel calcolare il suo raddoppio (L+L). Dall’angolo B
fu poi realizzato il lato BC e, dal cantonale C, ortogonalmente al fronte Sud-Est, eretta la
parete CD di lunghezza pari a 2L. L’errore di 8 soldi presente sul fronte Sud-Ovest venne
probabilmente scoperto solo al momento del prolungamento della parete Nord-Ovest:
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Fig. 14 - Schema della facciata principale
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supponendo infatti che questa sia stata realizzata a
partire dal vertice E, una volta in prossimità dell’angolo D fu chiaro che proseguendo linearmente la
muratura preesistente, questa avrebbe sovrastato il
lato absidale di 8 soldi. Due le possibilità che si presentarono alle maestranze ed alla committenza per
ovviare a tale imprecisione: ridurre di 8 soldi la porzione sinistra della parete NE, decentrando così l’abside rispetto alla muratura che lo ospitava, oppure
mantenere tale simmetria incurvando il muro NO in
corrispondenza dell’ultima campata. Presumibilmente, per motivazioni principalmente legate all’aspetto
economico, si optò per la seconda soluzione (figg.
15 e 16).
Da un’attenta analisi della muratura, le lesene risultano realizzate successivamente52 all’impianto
cinquecentesco. È pertanto plausibile che la scelta di
utilizzare una misura d’interasse uguale per tutte le
campate eccetto per quella di fianco all’abside, sia
dovuta alla volontà di “mimetizzare”, per quanto
possibile, l’andamento della muratura. La prima lesena messa in opera risulterebbe quella prossima al-
Fig. 16 - Ipotesi di raddoppio della chiesa trecentesca
Fig. 15 - Ipotesi di raddoppio della
chiesa trecentesca
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l’altare, dopo di che è verosimile che la lunghezza restante sia stata divisa nelle parti desiderate.
Infine furono posizionati gli altari che risultano coevi o successivi a tale operazione
(questi sono perfettamente al centro degli spazi ricavati e hanno lo stesso piano di appoggio delle lesene).
Per poter determinare l’altezza complessiva dell’aula si
è ricorso all’analisi dell’ordine
delle lesene. Prendendo a riferimento le indicazioni riportate dal Vignola sugli ordini
architettonici classici, nel caso in analisi quello dorico, è
possibile verificare come sia
le dimensioni del capitello
che l’altezza del fusto corrispondano perfettamente a
quelle desumibili nel trattato
(altezza del fusto pari a 8 volte la sua larghezza, fig. 17).
Secondo questa stessa logica
Fig. 17 - Analisi dell’ordine
si è potuta determinare la posizione del pavimento cinquecentesco dimensionando l’altezza della base pari a 1/3
dell’altezza della colonna: il
piano cinquecentesco è risultato così a -34 cm dall’attuale. Grazie a tale quota è possibile leggere lo schema compositivo generale: la parte
dell’ordine (da terra fino alla
cornice) misura 8 moduli da
16 soldi mentre la parte che
ospita la copertura 7 moduli
da 16 soldi. Gli arconi che
suddividono la volta (aventi
Fig. 18 - Dimensionamento degli arconi
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funzione portante) hanno
un rapporto larghezza/altezza di 5 a 2 con uno scarto
di 8 soldi (fig. 18). Il senso
di tale misura va però ricercato sul fronte principale, in
quanto l’altezza in colmo è
finalizzata a realizzare una
facciata inscrivibile in un
quadrato (fig. 19).
Fig. 19 - Schema della facciata principale
NOTE
* Dal contributo originario di Francesca Grillotti.
** Dal contributo originario di Erica Ganghereti.
1 La data 1589 è ricordata nella lapide posta sul fianco Nord-Ovest della chiesa, mentre il Coturri
attesta l’evento al 1595 (cfr. AA.VV., Il patrimonio artistico di Pistoia e del suo territorio, Catalogo storico descrittivo, Pistoia 1967).
2 Sulla planimetria catastale del 1824 con via delle Scalette della chiesa era indicato sia il tratto
dell’attuale via di S. Paolo, che quello oggi conosciuto come via delle Scalette della chiesa (o via della
Scalinata).
3 L’epigrafe, eretta per celebrare il Giubileo Sacerdotale del 1887 e le missioni ad gentes da parte
di predicatori esterni la comunità di Sorana, riporta: “Evviva Gesù Giuseppe Maria”; “Con questa croce
i figli del popolo / ricordano ai tardi nipoti / il Giubileo universale di Leone XIII P. M. / e la parola trionfatrice / predicata nelle santissime missioni / dal pievano di Stignano Domizio Pallini / per tanto benefizio / il parroco di questa chiesa / don Giovanni Perniconi / colle oblazioni pubbliche / per gratitudine viva / Q. P. M. 1887”.
4 Cfr. par. L’immagine descritta.
5 Grazie ai recenti saggi sulla muratura realizzati in vista di un imminente restauro sono state rinvenute nel catino absidale delle campiture di colore con partizioni geometriche, mentre sulle pareti laterali sono emerse tracce di affreschi raffiguranti degli ordini architettonici.
6 Gli altari si distinguono tra di loro, oltre che per i diversi elementi di arredo sacro, proprio per la
presenza di questi scudi, di solito posti al di sotto della mensa o sul basamento delle colonne, contenenti gli stemmi appartenuti alle famiglie più facoltose di Sorana.
7 Negli anni Sessanta del XX secolo, gli altari sono stati sottoposti ad un intervento di restauro
che ha quasi cancellato la presenza del finto marmo dipinto sulle colonne in pietra serena.
8 Iacopo Barozzi da Vignola, gli ordini di architettura civile, a cura di F. Reycend, Torino 1970.
9 SASPE, Compagnie soppresse, Compagnia di S. Michele Arcangelo n. 995, c.10v.
10 Pare che nel 1715 i fratelli di S. Michele Arcangelo avessero da tempo abbandonato il piccolo
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borgo, lasciando disabitata la casa “d’avanti la chiesa”. L’allora rettore Pieretti chiese ai confratelli della
compagnia la vendita della casa per poterla sistemare e non arrecar danno alla chiesa volendo poi rivenderla al signor Antonio Giovanni Matteo Franceschi, possessore della casa confinante. I fratelli della compagnia accettarono la richiesta ponendo una condizione: il rettore, con i soldi che avrebbe ricevuto dalla
vendita (12 scudi), avrebbe dovuto far costruire due o quattro finestre nella chiesa che permettessero l’illuminazione dell’altare della compagnia. Delle quattro finestre pattuite ne furono realizzate soltanto tre,
chiuse da vetrate realizzate nel XX secolo e raffiguranti i santi titolari della chiesa (SASPE, Compagnie
soppresse Compagnia di S. Michele Arcangelo n. 995, c. 10v).
11 Iscrizione incisa di lato alla base dell’altare.
12 Nella nicchia, al di sopra del catino, vi è un affresco raffigurante il Battesimo di Gesù.
13 “La pilla del S. Battesimo fu eseguita in pietra nel 1656 a cura del Rettore Lazzaro Marchi e dell’operaio Giuliano di Marsilio Manfredi” (cfr. Nucci, In Valleriana, cit., p. 17).
14 Sansoni, op. cit., p. 88.
15 In tali documenti è menzionata come “Ecclesia S. Petri de Sorano”.
16 Sansoni, op. cit.
17 AAL, Libri Antichi di Cancelleria n. 34, c. 22r. Nel 1381 la chiesa di Sorana dipendeva dal piviere
di Castelvecchio, sede battesimale per gli abitanti di Sorana privi del loro fonte. Da sottolineare è la presenza di un rettore di origine fiorentina a significare il ferreo controllo sul borgo esercitato dalla dominante anche in campo religioso e non solo politico.
18 AAL, Libri Antichi di Cancelleria n. 32, c. 71r.
19 Sansoni, op. cit., p. 10.
20 L’edificio sacro era ius-patronato (cfr. AVPE, Propositura n. 7, cc. 202v-205r) del comune di
Sorana, che si fece carico degli aspetti economici legati ai lavori di accrescimento o restauro del fabbricato (cfr. SASPE, Archivio del comune di Vellano n. 325, c. 123v.; c. 153v), vista la costante impossibilità
dell’Opera dei SS. Pietro e Paolo “di poter fare spese di alcuna importanza”.
21 Aa.Vv., Il patrimonio artistico di Pistoia, cit.
22 Sansoni, op. cit., p. 77.
23 Non è possibile capire, in quanto non vi sono testimonianze in merito, se con tale termine si considerasse una vera e propria cappella a sé stante, ad oggi completamente distrutta, o più semplicemente
un altare.
24 Gli interventi di ampliamento hanno infatti portato alla demolizione completa dei lati Nord-orientale e Sud-orientale.
25 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325, cc. 32v-34v.
26 Non vi sono documenti che attestano un trasferimento temporaneo della celebrazione delle messe e del culto in altro luogo.
27 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325, cc. 32v-34v.
28 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325, cc. 84v-88v.
29 Sul lato opposto non sono state individuate tracce di simili aperture che potrebbero essere state
completamente asportate in conseguenza della realizzazione delle finestre attuali.
30 Appe, Sorana n. 53, c. 1333r.
31 Anche se è molto probabile che la posizione e l’assetto attuali siano il risultato di rimaneggiamenti successivi.
32 Sansoni, op. cit., cc. 80-82.
33 Sansoni, op. cit., pp. 87-88; SASPE, Archivio del comune di Vellano n. 109, c. 124r; SASPE,
Archivio del comune di Vellano n. 333, c. 23r.
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La Chiesa dei SS. Pietro e Paolo
34 Grande era la devozione dei soranesi al culto della Madonna. Più di una volta infatti il popolo
aveva chiesto ed ottenuto il suo aiuto di fronte all’imperversare della peste nel triennio 1630-1633 ed in
occasione dell’incendio divampato una mattina d’aprile del 1673, mettendo in pericolo gli abitanti di tutto il borgo.
35 Sansoni, op. cit., p. 78.
36 Sansoni, op. cit., p. 88: “Fu dunque datone di ciò l’assunto a’ maestro Tomaso scarpellino di
Pescia, il quale dopo che l’hebbe perfezionato, ne fu ordinato il traino dal luogo detto alla grotta dove si
sono cavate tutte le pietre delli altri altari”.
37 AAL, Libri antichi di Cancelleria 28, c. 10, 1281: il prelato lucchese convoca due rappresentanti
del Comune di Sorana per affari riguardanti la chiesa di S. Pietro e S. Cristina.
38 Come testimoniato dall’epigrafe sul prospetto settentrionale della chiesa dei SS. Pietro e Paolo,
cfr. par. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi.
39 Cfr. par. Simboli, epigrafi e segni di lapicidi.
40 Le medesime famiglie proprietarie degli altari della chiesa dei SS. Pietro e Paolo sono quelle che
figurano nel Catasto Leopoldino di due secoli dopo come maggiori possidenti di beni, terreni e immobili,
nel paese di Sorana.
41 Sansoni, op. cit., p. 86: “Segue poi sull’istessa mano l’altare di Santi Verreschi, detto comunemente l’altare di Santino, essendo stato da lui nuovamente fabbricato di pietra, circa l’anno 1664”.
42 Sansoni, op. cit., pp. 78-79.
43 Un’ipotesi che giustificherebbe tale omissione è quella che per il Sansoni i locali della sacrestia e
della canonica erano già disposti come oggi.
44 Sansoni, op. cit., p. 141.
45 Don Arturo Carmignani pievano a Sorana. La memoria di una presenza. Diario personale 19441959, a cura di C. Bocci - C. Pellegrini, Borgo a Buggiano 2009.
46 A tal proposito nei documenti d’archivio è possibile leggere le relazioni redatte dal Carmignani
nel 1957 e inoltrate al Genio Civile di Pistoia per la richiesta di risarcimento.
47 Il braccio lucchese, come quello fiorentino, ha vari sottomultipli: 1 braccio corrisponde a 20 soldi,
4/5 di braccio, ossia 16 soldi sono equivalenti a 0,472 metri. A conferma dell’uso di queste unità di misura è il fatto che la larghezza delle lesene della chiesa cinquecentesca corrisponde esattamente a 16 soldi
(ossia 4/5 di braccio).
48 Riportata alla luce grazie al cantiere di restauro del gennaio 2010.
49 È da precisare che queste misure non considerano lo spessore murario dell’abside in quanto attualmente inserito nelle costruzioni retrostanti.
50 Le campate sono “numerate” a partire dall’abside, seguendo la sequenza delle probabili fasi costruttive.
51 Cfr. schede del DVD allegato al presente volume.
52 Probabilmente coeve alla scelta di realizzare una diversa tipologia di copertura.
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L’oratorio di San Giuseppe*
Il primo documento che attesta l’esistenza dell’oratorio di San Giuseppe in Sorana è
una visita pastorale del 1890, nella quale l’edificio religioso è ricordato come sede della
confraternita del SS. Crocifisso1. Prima di questa data non vi è, allo stato attuale delle ricerche, nessuna notizia sul manufatto, né sulle opere di sistemazione del lotto in cui è
stato innalzato (che presumibilmente aveva una conformazione orografica diversa rispetto a quella attuale)2; fatto inconsueto questo, dato che la costruzione dell’oratorio fu il
più importante cantiere urbano attivo a Sorana nel corso del XIX secolo (fig. 1).
Alcune utili informazioni si possono evincere dalla documentazione catastale; nella
raffigurazione del castello presente nel Catasto Leopoldino “di impianto” del 1824 l’edificio non appare e la particella di terreno sul quale è stato edificato è contraddistinta
Fig. 1 - Prospetto laterale verso la Piastra
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Fig. 2 - Rilievo integrato: prospetto laterale, prospetto frontale e prospetto tergale
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L’oratorio di San Giuseppe
dal n.16723. Nel 1873 risulta che tale particella misurava 1261 braccia quadre (ovvero
mq 439) e che era interamente costituita da terreno lavorativo vitato, di proprietà della
cappella della Madonna delle Grazie; nel 1875 l’edificio non doveva essere stato ancora
eretto, in quanto non compare tra i beni del catasto fabbricati. Un passaggio significativo si verifica poi nel 1901, quando ritroviamo la particella frazionata in due parti, di cui
la minore (di superficie pari a 105 braccia quadre) venne acquistata dalla congregazione
del SS. Crocifisso4.
Il periodo di costruzione dell’edificio si può circoscrivere ulteriormente avvalendosi del
già citato documento redatto in loco nel 18905, che riguarda “l’unica confraternita” pre-
Fig. 3 - Rilievo integrato: pianta e sezione longitudinale
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sente a Sorana in quegli anni; nello stesso atto si elencano i compiti a cui dovevano assolvere i confratelli, tra i quali vi è la disposizione di “mantenere l’altare del SS.
Crocifisso e del SS. Sacramento [entrambi nella chiesa parrocchiale] e l’oratorio di San
Giuseppe”, che quindi doveva essere già presente nell’ultimo decennio del XIX secolo.
Anche il Carmignani6 avalla questa tesi, citando la “chiesina nuova di san Giuseppe”, diventata sede “a metà dell’800” della già esistente compagnia. L’oratorio poi compare
costantemente nella documentazione dell’inizio del XX secolo, nella quale si ricorda come vi si celebrassero le messe qualora la chiesa principale fosse interdetta; una visita pastorale7 rammenta inoltre che nell’oratorio fu apposta una “splendida croce” per volere
del vescovo mons. Angelo Simonetti che lo visitò nel 1913, come ricordo dell’anno giubilare costantiniano8. L’assenza dell’impiego della tecnica muraria mista (a laterizi e pietra), caratteristica della metà del XX secolo, conferma comunque come l’edificazione sia
anteriore al 1920.
La struttura architettonica
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A differenza delle numerose compagnie laiche e religiose9 (come la confraternita di
San Michele10 e del Santissimo Rosario11) e degli altri oratori già presenti sul territorio di
Sorana (Casa Rozza, Ortochiaro e San Francesco dei Forti)12, che furono eretti in posizione periferica (antipolare) rispetto al centro urbano, quello di San Giuseppe si colloca in
prossimità dell’accesso alla rocca, centralmente rispetto all’edificato ottocentesco ed in
luogo ben visibile dal versante orientale della valle della Pescia di Pontito. Ciò è giustificabile con il diverso contesto storico in cui i primi vennero costruiti, che vide fiorire nel
corso del XVII secolo una molteplicità di luoghi devozionali legati al culto dei santi, preferibilmente in luoghi isolati. Nella seconda metà del XIX secolo si assistette invece ad
una rinnovata concezione dell’associazionismo, che fece di San Giuseppe una vera e propria domus ecclesiae “cittadina”.
L’oratorio sorge alle pendici Nord-occidentali del rilievo della rocca, con orientamento
Nord-Est/Sud-Ovest, parallelo al percorso principale – posto a quota superiore – del primo nucleo insediato (corrispondente all’attuale via della Rocca) e ortogonale rispetto all’asse della chiesa. La costruzione nasce come edificio esente e in costante rapporto visivo
con il campanile e la chiesa stessa (figg. 2-3). Il prospetto laterale che si affaccia sulla vallata fronteggia la via di Nocetta-via della Chiesa; in questo punto la parete esterna dell’edificio funge anche da muro di contenimento del “pianoro” sul quale si adagia (seguendo
forse il tracciato delle antiche mura), caratterizzando tale fronte – immediatamente visibile arrivando a Sorana dalla strada carrabile – per verticalità e forza. L’attacco a terra avviene direttamente sulla roccia, spesso affiorante in tutto il centro urbano. Il medesimo
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materiale lapideo va a costituire l’intero paramento murario, sotto forma di blocchi dalla
pezzatura varia che presentano un andamento non perfettamente orizzontale, soprattutto
nella fascia al di sopra della cornice marcapiano in arenaria. Stesso materiale da costruzione contraddistingue gli altri fronti, che presentano anch’essi una tecnica muraria omogenea, basata in prevalenza sull’impiego di arenaria semplicemente spaccata in bozze di
varie dimensioni, poste in opera con abbondante malta eccedente su allineamenti irregolari organizzati a partire dai conci dei cantonali (le uniche parti in pietra squadrata del
complesso architettonico). Questi ultimi, che devono assolvere anche ad una funzione
d’irrigidimento della struttura, si distinguono per la maggiore dimensione (liste regolari di
calcare più compatto), che presentano localmente i segni delle lavorazioni superficiali, e
per una posa in opera più accurata con giunti di malta di migliore qualità.
Una lettura delle discontinuità del paramento murario permette di individuare una
sorta di “tripartizione” orizzontale dei fronti (nel prospetto laterale Nord-Est vi è un’ulteriore zona in prossimità dell’attacco a terra dell’edificio). Le tre fasce, che presentano
un’altezza simile, corrispondono probabilmente ai diversi momenti di lavorazione del
cantiere. La parte basamentale13 si caratterizza per una maggiore consistenza strutturale e materica, essendo costituita da pietrame di dimensione maggiore rispetto ai blocchi
medio-piccoli utilizzati superiormente, spesso commisti ad elementi di laterizio e dispo-
Fig. 4 - Indagine metrologica: pianta
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Fig. 5 - Indagine metrologica:
prospetto frontale, particolare della sezione
longitudinale e sezione trasversale
sti in maniera sempre più irregolare (nella fascia “mediana” sono presenti, in corrispondenza del piano di calpestio interno, delle buche pontaie). La porzione di paramento murario in prossimità del tetto presenta un’ulteriore discontinuità di lavorazione, mostrando pietre più grandi rispetto alla fascia immediatamente sottostante: ciò fa presumere che siano
stati effettuati dei lavori alla copertura in epoca posteriore alla realizzazione dell’edificio. In
generale, l’irregolarità degli elementi edilizi
comportò l’utilizzo frequente di piccole lastre
di argilloscisti per il pareggiamento dei piani
di posa.
Nel timpano di facciata, inoltre, la minor
presenza lapidea lascia contestualmente posto
ad una maggiore quantità di malta. Sempre
nel prospetto principale vi sono localmente liste e listoni di arenaria ed elementi di riuso.
L’analisi del paramento murario dell’abside
mette in luce un’apertura, successivamente
tamponata, che corrisponde alla nicchia nella
muratura visibile dall’interno.
Strutturalmente l’oratorio è costituito da pareti perimetrali portanti in pietrame di spessore
variabile: circa 47 cm nella zona dell’abside, 58
cm per quanto riguarda la muratura che delimita i “lati lunghi” e 72 cm nel fronte principale,
così come in corrispondenza dei due cantonali
presso l’abside. Su tali murature poggia la
struttura voltata (luce libera di 5,40 m) e, al di
sopra di questa, la copertura esterna costituita
da un tetto “a capanna” in coppi ed embrici
che ricopre l’intera aula. Uno spiovente impostato su di un semicerchio, più basso rispetto
alla quota di quest’ultima ed anch’esso in elementi in cotto, copre l’area absidale.
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La lettura del rilievo
La struttura dell’oratorio è riconducibile – per aspetti costruttivi, materiali utilizzati
(gli stessi impiegati per la messa in opera dell’intero abitato) e caratteristiche dimensionali – al filone tipologico dell’edilizia “di base”. L’edificio presenta un tipo di impianto
monodirezionale a sviluppo longitudinale; lo spazio interno è costituito da un’aula rettangolare mono-absidata che conserva i rapporti dimensionali della doppia cellula elementare, di cui mantiene il rapporto di circa 2:1 e le dimensioni di base di 6x12 m.
Una lettura comparata delle evidenze materiali (stratigrafia muraria e dati forniti dal
rilievo) denota come la costruzione sia frutto di un unico progetto improntato sul braccio
fiorentino14.
L’oratorio si imposta su un’area che
misura complessivamente, abside e muri perimetrali compresi, 15,07x 6,50 m,
che corrispondono a 26x11 braccia.
Queste dimensioni riconducono al rapporto di 2:1, se si esclude la zona absidale che misura 2,33 m, ovvero 4 brac-
CHIESA
ORATORIO
Fig. 6 - Confronto metrologico tra l’oratorio di S. Giuseppe e la chiesa dei SS. Pietro e Paolo
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cia. Lo stesso si può affermare analizzando l’interno del corpo di fabbrica: il doppio della
misura dell’ampiezza dell’aula individua la zona presbiteriale in corrispondenza dell’altare (il solo in tutta la chiesa, su un basamento costituito da due scalini in arenaria), che a
sua volta è profondo 2 braccia; segue la piccola abside retrostante che all’interno misura
3 braccia (fig. 4).
Il fronte principale ospita l’unico accesso all’oratorio che avviene attraverso un portale
architravato in arenaria con cordone interno appena accennato, di gusto cinquecentesco,
contenuto da un archetto a sesto ribassato a doppia ghiera con imposte rilevate e sporgenti, realizzato con laterizi posti per coltello e per testa. L’uso del cotto è attestato anche per gli altri elementi di corredo architettonico, quali il timpano e la nicchia archivoltata in asse con l’apertura. Quest’ultima presenta una lunetta affrescata con un’immagine
di San Giuseppe con il Bambino (estesamente ridipinta) e probabilmente coeva alla costruzione dell’oratorio o di poco posteriore, potendosi datare tra la metà del XIX secolo e
gli inizi del XX. Il fronte inoltre, comprensivo della parte del timpano, si va ad inscrivere in
un quadrato con il lato 6,50 m, equivalenti ad 11 braccia (fig. 5).
Lo spazio interno si sviluppa lungo l’asse longitudinale, scandendosi modularmente in
tre campate ritmate da arconi e sormontate da una volta a botte lunettata con intradosso intonacato; chiude la composizione il catino absidale affrescato. Il rilievo mette in luce
come le tre campate non siano esattamente uguali: quella verso l’abside ha un’ampiezza
di 5 braccia (1 pertica), mentre la mediana e quella in prossimità del portale differiscono
rispettivamente di 1/3 e di 1/2 di braccio. Le analisi metriche condotte sulle sezioni evidenziano inoltre come gli alzati interni, che misurano 5,89 metri (10 braccia), siano ripartiti
in due fasce delimitate da una cornice continua posta all’altezza dei capitelli, che individua l’imposta delle finestre. Le due fasce stanno in rapporto reciproco di 3:2 (6 braccia
dal pavimento alla cornice sopra il capitello, 4 braccia da lì all’intradosso della volta, fig.
5). Le finestre si inseriscono nelle lunette semicircolari poste in corrispondenza della mezzeria di ogni campata; solo quelle sul lato sinistro sono vere e proprie aperture, mentre
quelle poste sul fronte opposto sono cieche e gli infissi sono ricreati pittoricamente. Dal
punto di vista morfologico tali lunette ricordano quella cieca posta in facciata, risultando
strombate verso l’interno e dimensionate sul rapporto di 3:2 (larghezza di 3 braccia ed
altezza in chiave 2 braccia). L’estrema semplicità dell’impianto e del paramento murario
si riflette sull’apparato decorativo dell’aula: l’altare consiste in un modesto manufatto artigianale di metà XIX secolo (quindi coevo alla costruzione), affiancato su entrambi i lati
da due nicchie ricavate nella muratura e collocate in mezzeria dell’ultima campata, dentro le quali si trovano le statue in terracotta di Gesù e della Madonna. Altra statua, raffigurante il santo a cui è titolato l’oratorio, è posta nel tabernacolo in corrispondenza dell’abside, dietro all’altare ed in posizione frontale per chi accede all’edificio sacro (fig. 5).
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Fig. 7 - Interno dell’oratorio di S. Giuseppe: altare e controfacciata
NOTE
* Dal contributo originario di Giulia Galeotti.
1 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 622, cc. sciolte, 29 gennaio 1890. Anticamente si trovavano a Sorana tre compagnie dedicate a San Michele Arcangelo, al SS. Sacramento e, quella più tarda, a Sant’Ignazio e Francesco Xaverio. La confraternita di San Michele, che è stata la prima ad essere
attiva sul territorio, deteneva tra tutte i maggiori possedimenti, tra i quali l’oratorio di Casa Rozza. Non
si conosce la data di istituzione di queste antiche compagnie, che a Sorana sono documentate nelle visite pastorali del XVII-XVIII secolo e descritte anche dal Sansoni; tuttavia si può affermare che generalmente tali confraternite ebbero origine nel Medioevo e nacquero innanzi tutto per esercitare beneficienza e carità. Si può pensare quindi che, anche per quanto riguarda Sorana, questo tipo di associazionismo abbia avuto origine tra il XIII ed il XV secolo, periodo che ha rappresentato per tutta la Valleriana
un momento di grande vitalità che si è ripercossa nella moltitudine di opere e luoghi di culto. Le antiche
confraternite vennero sciolte in Toscana dai granduchi Pietro Leopoldo di Lorena e Ferdinando III, nel
quadro di una politica volta ad abolire ogni associazione religiosa, confiscando allo stesso tempo i loro
patrimoni ed istituendo in loro vece in ogni parrocchia le compagnie di carità. Le confraternite si ricostituirono dopo la morte di Ferdinando III, o più generalmente in epoca post-napoleonica. A Sorana ritro-
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viamo la confraternita del SS. Crocifisso e SS. Sacramento già nel 1796, anno della ri-fondazione della
compagnia stessa. Quest’ultima, retta dal governatore insieme al camarlingo, approvò i nuovi capitoli
solo nel 1815. La confraternita non aveva patrimoni fuorché il proprio oratorio, ovvero la “chiesina
nuova di San Giuseppe”.
2 Alla costruzione dell’edificio religioso si accompagna l’intera sistemazione del lotto, che prima
dell’intervento doveva presentarsi come un terreno in pendenza che digradava dalla rocca, posta sull’altura sovrastante. Si può ipotizzare che tale terreno fosse già precedentemente consacrato, in quanto
proprio lì doveva trovarsi il cimitero “nuovo” di Sorana, nell’area immediatamente sottostante a quello
“vecchio” (e come espansione di quest’ultimo) che è presumibile si trovasse nella zona della rocca. La
presenza in loco di un’area cimiteriale, secondo la concezione dell’epoca, non entra in contraddizione
col fatto che nei primi catasti il lotto sia sempre stato segnalato come “vitato”, né presuppone la necessità di un livellamento del terreno. Pertanto è presumibile che la sistemazione dell’intera area sia
stata coeva proprio alla costruzione dell’oratorio; operazione questa che deve aver presupposto anche
tutta una serie di onerosi interventi strutturali, atti in primo luogo a tagliare il banco roccioso e poi a
contenere il terreno, creando allo stesso tempo gli orti sovrastanti che sono costituiti, come si può
tutt’ora osservare, da un’ingente quantità di materiale di riporto. Proprio per questo è stato realizzato il
muro “a retta” presente sul fianco destro dell’oratorio, “muro adiacente al campanile” che ritroviamo
segnalato in un’unica delibera del 1952 relativa ad una richiesta di finanziamenti per garantirne il rifacimento (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 1, p. 176). Tale muro, che fiancheggia interamente l’oratorio, presenta la struttura originaria (blocchi regolari dalle dimensioni più consistenti) solo
in corrispondenza dell’abside.
3 Compravendite e frazionamenti, unici dati che ci conferiscono utili informazioni sulla particella,
sono stati ricercati nella sezione catastale presente all’Archivio di Stato di Pescia. Qui sono state consultate anche le deliberazioni della giunta del comune di Vellano dal 1825 al 1927 (quando Sorana
passa al comune di Pescia). Tale ricerca non ha prodotto nessun risultato, non essendo stato trovato alcun riferimento riguardante l’oratorio, che mai risulta nominato tra le pur molteplici menzioni di lavori
pubblici (rifacimenti di strade, piazze e lastrici) e in nessun’altra opera eseguita in quel lasso temporale.
È presumibile infatti che tali lavori fossero totalmente a carico di altre istituzioni diverse dal comune, le
quali non avevano obblighi di registrazione e conservazione degli eventuali atti.
4 La particella nel 1870 passò al demanio, che nello stesso anno la vendette alla signora
Marianna Nardi senza subire variazioni di misura né di classe. Successivamente, il 29 aprile 1873, il terreno passò a Mariani Lazzero: si trattava sempre di un seminativo vitato di 1261 braccia quadre. La situazione restò poi invariata fino al 1901 (cfr. p. 1828) quando la particella, pur continuando a mantenere lo stesso proprietario, venne suddivisa in due: di queste la più grande mantenne l’originario numero 1672, mentre la nuova porzione fu identificata col numero 3794 e disegnata nell’arroto n. 66. La
particella 3974 venne comperata in data 31 agosto 1901 dalla congregazione del SS. Crocifisso; il numero 3974 fu poi depennato e sostituito con il numero 2557. La stessa data contrassegna un altro atto
riportato nel catasto di Vellano (alla p. 8511) che conferma che la particella (anche qui indicata come
seminativo vitato) venne acquisita dalla congregazione del SS. Crocifisso. La sotto-particella numero
2557, che per la posizione che occupava nel lotto (attigua alla strada) è ricollegabile direttamente all’attuale collocazione dell’oratorio, presenta tuttavia una superficie equivalente a 35,70 mq., che è
quindi troppo esigua rispetto all’area dell’intero edificio religioso. 105 braccia quadre corrispondono infatti a poco più di 35 mq, mentre l’oratorio, al netto delle murature, ne misura circa 93; la particella
corrisponderebbe quindi a poco più di un terzo della superficie dello stesso. Si può quindi ipotizzare che
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si tratti di un ulteriore acquisto di terreno da parte della confraternita che aveva già costruito l’oratorio
prima del 1890. L’altra particella, la 1672, rimase a Mariani Lazzero e passò poi per successione a
Mariani Teresa di Lazzero (cfr. pagina 11124 del catasto) sempre come terreno lavorativo vitato. Nel
1932 la particella numero 1672 passò a Mariani Emilio, Angelina del fu Lazzero ed altri (cfr. pagina
16319) sempre come terreno vitato.
5 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 622, cc. sciolte, Sorana, 29 gennaio 1890.
6 “Accanto alla chiesa c’erano due locali, già fatiscenti e poi colpiti dal cannoneggiamento bellico.
Uno era la sede dell’antica compagnia, prima che fosse eretta la nuova sede a metà ’800 nella chiesina
nuova di S. Giuseppe”, cfr. Don Arturo Carmignani, cit., p. 67.
7 APS, Cronache religiose, c. nn., 26 novembre 1913.
8 APS, Cronache religiose, c. nn., 26 novembre 1913. Il Vescovo era all’epoca mons. Angelo
Simonetti; cfr. Cinquant’anni di vita diocesana: mons. Angelo Simonetti vescovo di Pescia dal 1908 al
1950, a cura di A. Spicciani, Pisa 2007.
9 Sin dal 1575 (dalla visita pastorale alle castella) a Sorana erano attive due società, delle quali
non conosciamo la data di fondazione, cioè la compagnia del Corpo di Dio, composta da 20 uomini e la
confraternita della Beata Vergine Maria che contava ben 70 donne, entrambe prive di capitoli. Della
congrega femminile non si riscontrano altre testimonianze al contrario della società maschile, detta nel
1686 (Visita pastorale n. 4) del Santissimo Corpo di Cristo (cfr. SASPE, Archivio del Comune di Vellano
n. 622, cc. sciolte; AVPE, Vescovado amministrazione del Beneficio n. 36, cc. n.n.).
10 Nel corso dei secoli il paese ospitò altre compagnie fra cui la confraternita religiosa di San
Michele, detta dal 1749 di San Michele Arcangelo, della quale si conservano ancora i capitoli nella sezione d’Archivio di Stato di Pescia (cfr. anche AVPE, Vescovado n. 6, c. n.n.).
11 L’altra compagnia soranese era quella del Santissimo Rosario attestata nelle visite pastorali dal
1686. La confraternita era amministrata dal rettore pro tempore della chiesa paesana ed aveva l’obbligo di far celebrare 20 messe nell’altare omonimo della rettoria e 3 messe in suffragio dei confratelli defunti. Da una visita del 1749 veniamo a conoscenza che il reddito della suddetta compagnia fu aggregato a quello dell’opera che prese il nome di opera dei Santi Pietro e Paolo e del Santissimo Rosario.
12 Dei tre oratori non si sa quale fosse l’ubicazione esatta, né le vicende legate alla loro edificazione (se non quella, che per altro pare molto “romanzata”, sul San Francesco dei Forti), ma si trovano nominati spesso nelle visite pastorali già dal XVI secolo, e più ampiamente descritti poi dal Sansoni (cfr.
Sansoni, op. cit., pp. 97-111).
13 Questa fascia, dall’attacco a terra fino alla cornice marcapiano, presenta un’altezza che varia seguendo la pendenza della strada. Qui il paramento murario, che si caratterizza per una maggiore regolarità dei filari, assume anche una colorazione più “rossastra” rispetto al paramento sovrastante: questo è dovuto probabilmente alle diverse condizioni esogene del basamento; è possibile inoltre che la
leggera differenza cromatica della pietra sia dovuta ad una differente acidità del medesimo materiale litico, estratto non tutto dalla stessa cava.
14 La costruzione, che può anche risalire, come ipotizzato, alla seconda metà del XIX secolo, è stata
realizzata utilizzando le antiche unità di misura fiorentine (il braccio per le misure lineari e il braccio
quadro per le misure di superficie).
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La fontana pubblica*
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Ignota resta per il momento la collocazione della primitiva fontana e poco si evince,
dalla documentazione scritta, sulla sua entità materiale, se non che la struttura era probabilmente in pietre legate da malta, con alcune parti in pietre lavorate/squadrate, e il
canale che l’approvvigionava era semplicemente scavato nella terra, con una conduttura
forse in materiale deperibile, per la realizzazione del quale erano stati espiantati e risarciti alcuni alberi di gelso. È forse per questa caratteristica della fabrica che la fontana ebbe necessità di restauri o modifiche (“acconcimini”), già pochi anni dopo la sua costruzione.
Il cantiere della fontana risale al 1570-711 e si protrasse, con successive modifiche, fino al 1574: i documenti che ne riportano le registrazioni di pagamento sono però solamente del periodo che va dal luglio al novembre del 1571.
Anche se non è stato possibile integrare i dati d’archivio con la documentazione materiale, il manufatto permette – attraverso l’analisi delle ricevute fiscali pervenute fino a
noi – di comprendere meglio l’organizzazione del cantiere e l’identità delle maestranze
che operavano a Sorana in quegli anni (la produzione dei documenti a cui si è fatto ricorso risale al lavoro dei camerlinghi del comune di Sorana e alla loro necessità di registrare le ricevute dei saldi effettuati a maestranze e venditori di materiali)2.
L’oggetto delle spese elencate viene ricordato grazie ad una rubrica sintetica “Spese
fatte per la fabbricazione della fontana” senza specificare, come in altre situazioni, gli
estremi della delibera di autorizzazione o i limiti di spesa imposti al comune dalla magistratura fiorentina dei Nove. La suddivisione professionale delle maestranze riprende la
consolidata struttura produttiva medievale che vede al vertice del cantiere il capo maestro, sotto cui operano muratori e manovali a diverso grado di specializzazione: il capomastro rimane implicito nella documentazione del camerlingo, così che sono arrivate a
noi le identità delle figure più marginali della costruzione della fontana ma non quella
del maggior responsabile dell’opera. Al di sotto dell’anonimo capomastro compaiono i
pagamenti per almeno due maestranze specializzate: si tratta di due muratori,
Giampiero milanese e Antonio di Baldassarre che presero parte al cantiere rispettivamente 10 e 20 giornate di lavoro; accanto a loro compare un altro maestro, uno scalpel-
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La fontana pubblica
lino, Antonio Baldi, che venne pagato a cottimo, come normalmente avveniva per questi
operatori. La presenza di un muratore milanese nel Cinquecento a Sorana non è affatto
inusuale dato che è ormai documentata con certezza l’alta mobilità di questo tipo di
maestranze e, nello specifico, di quelle originarie della Lombardia.
Molto più numerose sono poi le ricevute di pagamento per i manovali: osservando il
numero delle giornate e le “opere” per le quali i manovali stessi vengono retribuiti, si
nota una limitata estensione temporale dei lavori ed una scarsa ricorsività dei nominativi. Questo fatto restituisce un quadro ricostruttivo di un cantiere popolato da aiutanti
occasionali, probabilmente gli stessi abitanti di Sorana, che si dedicavano alla costruzione della fontana o perchè coatti o per arrotondare le loro entrate. L’unico manovale che
segue per venti giorni i lavori è Germano di Giorgio, che possiamo ritenere apprendista
del maestro Antonio di Baldassarri, assieme al quale riceve il pagamento. Santi di Alessio
e Domenico di Antonio, gli stessi che presero parte ai lavori della chiesa alla fine del
Cinquecento, assistono il cantiere per più di tre giornate, a differenza di tutti gli altri otto
nominativi. La squadra di lavoro è completata poi dagli addetti ai trasporti, che in alcuni
casi si confondono coi produttori degli stessi materiali da costruzione: nessun pagamento riportato riguarda le pietre o i laterizi, per cui è lecito supporre che quelli non avessero costi di trasporto documentabili e provenissero, di conseguenza, dalle aree limitrofe al
rilievo dove sorge Sorana.
Sabbia e calce, invece, ricorrono più volte nell’elenco dei pagamenti con un rapporto
quantitativo, calcolato in staia, di 1:2 tra loro, a favore della calce. Le identità dei trasportatori sono assolutamente disomogenee e non ricorsive, indizio di una condotta opportunistica nella gestione di questo aspetto del lavoro, agevolata plausibilmente dall’elevata disponibilità di mezzi di trasporto privati nel paese senza ricorrere a specifici addetti.
Nella lista delle spese per i restauri del 1574 compaiono inusitati riferimenti a materiali laterizi, sia mattoni sia tubature, con i quali si pensava di porre rimedio ai limiti funzionali della fonte da poco edificata. I mattoni, calcolati a numero e a some, provengono
sia da Pescia sia da San Quirico mentre, come nei cantieri già descritti, le piastre di pietra
sono cavate in zona, non avendo eccessive spese di trasporto (cfr. par. Aspetti geologici).
Tra le maestranze attive in questo cantiere troviamo muratori e scalpellini differenti
da quelli del 1571, ad ulteriore testimonianza del frequente transito di operatori edilizi
non stanziali in questa zona. I manovali, invece, rimangono i medesimi che ricompaiono
con una certa frequenza anche nei numerosi altri cantieri pubblici che interessarono
Sorana nell’ultimo venticinquennio del Cinquecento inerenti: la posa in opera o la riqualificazione del manto stradale della viabilità interna ed esterna all’insediamento (la gestione dei lavori alle strade differisce nei registri dei camerlinghi comunali in quanto, in
questo caso, figurano tra le maestranze anche muratori di provenienza valligiana: nel
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1561-633 operarono alla sistemazione delle strade artigiani di Vellano e di Pontito con i
medesimi manovali reclutati tra la popolazione di Sorana), la ricostruzione del ponte alla
Coscia e la radicale modifica della trecentesca chiesa dei SS. Pietro e Paolo.
Fig. 1 - Fontana pubblica ottocentesca (1861)
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NOTE
* Dal contributo originario di Federico Andreazzoli.
1 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325, cc. 37r-38r.
2 Questi fondi archivistici non eccellono né per accuratezza descrittiva né per sistematicità di registrazione, dipendendo entrambe dallo scrupolo del singolo camerlingo e dalle vicende della conservazione o dispersione di questi registri. Quello che si ottiene, quindi, dalla loro disamina è una serie di dati interessanti e spesso assertivi, in modo implicito, di una realtà ben più complessa e impossibile da ricostruire completamente.
3 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 325, cc. n.n.; SASPE, Archivio del Comune di Vellano
n. 325, c. 119r.
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I Metati*
L’abbondanza dei metati che furono costruiti a Sorana tra la metà dell’Ottocento e la
metà del Novecento (fig. 1) – una decina gli esemplari riconosciuti – fa supporre che l’economia e l’alimentazione degli abitanti del castello nel periodo considerato sia dipesa
in modo significativo dallo sfruttamento del castagno.
Fig. 1 - Pianta e prospetto di un metato “tipo” presente in Sorana
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Fig. 2 - Spaccato assonometrico del metato. L’immagine mostra la partizione interna del fabbricato
e la diversa tecnologia del solaio del piano principale (a livello strada) da quello del vano sottotetto.
In questo caso infatti le asserelle di legno costituiscono il supporto sul quale sono poste le castagne.
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I Metati
Sparsi nell’abitato, sia nel tessuto più antico che nei borghi esterni, tali organismi elementari monocellulari avevano un’estensione tra i 20 e i 25 mq, erano dotati di una sola
apertura e coperti da una singola falda o da un tetto a capanna. Si trattava di costruzioni a pianta quadrangolare, sviluppate su un unico piano oltre il terreno e, nei casi in cui
fossero realizzate su pendio, esse avevano un accesso a ciascuna quota.
La loro funzione principale era l’essiccamento delle castagne sistemate sul tavolato del
primo solaio, grazie al fumo che, dal fuoco acceso al piano inferiore, riempiva il locale.
Lo spazio del seccatoio era sempre diviso in due parti, una superiore alla quale si accedeva tramite un’apertura all’esterno oppure per mezzo di una scala interna, e una sottostante in cui veniva acceso il fuoco. I due livelli erano separati da una fitta serie di assi
di castagno, sostenuti da travi, che formavano un piano sul quale venivano disposti i
frutti freschi.
Le falde del tetto erano in alcuni casi molto sporgenti in modo tale da proteggere la
finestrella di carico delle castagne e, là dove presente, il sottostante gradino in pietra che
fungeva generalmente da panca di via.
Nel corso del tempo, al semplice edificio si sono spesso giustapposti altri manufatti
che hanno dato vita a strutture particolari, come il forno-seccatoio e la legnaia-seccatoio, presente frequentemente laddove il dislivello del terreno permetteva di inserire, al
di sotto del piano del fuoco, alcuni spazi destinati a legnaia o rimessa. In altri casi, attraverso successivi raddoppi in pianta, dalla cellula elementare si è passati ad organismi
edilizi bicellulari in grado di soddisfare anche le funzioni abitative.
Ai metati sono da ricondurre infine i mulini, diffusi lungo le rive del torrente Pescia di
Pontito e del torrente Pescia di Vellano perché indispensabili per la trasformazione delle
castagne in farina. In Sorana, ad esempio, il mulino “di sopra” e quello “di sotto”, rappresentarono nel XVI secolo un bene importantissimo per la comunità in grado di garantire ingenti entrate nelle casse del comune.
NOTE
* Dal contributo di Alessandro Merlo.
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L’immagine descritta*
“Se è difficile rassegnare completamente le pitture, le sculture e le architetture di una città capitale, i cui materiali riboccano nelle tante vite dei pittori, negli abbecedari, nelle guide, nei cataloghi
delle gallerie e negli scritti vari di belle arti, è difficilissimo compilare quelle di una valle come la nostra, i cui castelletti e le cui borgate non furono quasi mai ricordati dagli scrittori. […] Ecco la ragione per cui i castellucci e le borgate mancano di antichi e moderni illustratori: ecco perché tali luoghi
possiedono opere d’arte che non sanno di possedere, o di cui almeno ignorano il merito e l’autore”.
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Con queste parole Giuseppe Ansaldi introduce i suoi lettori nella parte seconda del
volume La Valdinievole Illustrata, dedicata alla descrizione degli aspetti storico-artistici
delle diverse “vallecole” della Valdinievole1. Al di là del topos letterario, propriamente
utilizzato dall’autore per sottolineare l’impegno meritorio del suo lavoro di ricognizione
e raccolta di materiale documentario, l’Ansaldi sembra riflettere con questa affermazione
su una problematica comune a molte realtà territoriali periferiche che, nonostante il loro
indubbio interesse e valore culturale, proprio a causa della loro marginalità sono spesso
destinate alla generale dimenticanza.
La generica considerazione dell’Ansaldi sulla mancanza di antichi e moderni “illustratori” per i diversi centri e “castellucci” montani della Valdinievole, può restringersi e applicarsi nel nostro caso specifico alla singola condizione del “sassoso colle” di Sorana,
del quale, in effetti, poche risultano le testimonianze letterarie e figurative giunte fino a
noi. La perifericità di questa comunità e la sua economia prevalentemente agricola, distante dai più ampi circuiti commerciali cittadini, devono aver giocato infatti un ruolo
decisivo nella scarsa rappresentazione per imago di questo come degli altri borghi della
montagna pesciatina. Eppure, soprattutto nei secoli XVII-XIX, alcuni scrittori (e tra questi
lo stesso Giuseppe Ansaldi) si sono avvicinati – da prospettive diverse ma con analogo
interesse – a queste regioni, permettendo di conoscere più da vicino la storia, tutt’altro
che marginale, e l’industriosa attività artistico-artigianale di questo territorio.
L’immagine di una città, in assenza di fonti visive, può tramandarsi con vivezza anche
attraverso la sua documentazione scritta. Così, vere testimoni dell’antico aspetto della
montagna pesciatina e dello stesso castello di Sorana sono le esigue (e piuttosto brevi)
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L’immagine descritta
ma significative memorie consegnateci da alcuni osservatori d’eccellenza, artisti ed eruditi che, legati per varie ragioni a queste comunità, hanno lasciato di esse un fondamentale contributo descrittivo e “illustrativo”.
Tra questi personaggi va sicuramente menzionato per primo, non tanto per una mera
questione cronologica quanto per l’importanza rivestita dal suo originale lavoro di ricerca, l’agostiniano Padre Andrea Maria Sansoni (1663-?).
Quest’ultimo, nativo di Sorana e appartenente ad una famiglia che vantava tra i suoi
membri anche personaggi dediti all’arte della pittura (come l’avo Fioravante Sansoni),
dopo l’ingresso in convento a Firenze fu ordinato sacerdote in questa città, e qui ricoprì
la funzione di confessore della famiglia Medici e, a fine secolo, la carica di segretario del
Sinodo diocesano. Proprio grazie alla sua favorevole posizione Sansoni ottenne dal
Granduca de’ Medici il libero accesso agli archivi fiorentini dai quali trasse una quantità
ragguardevole di materiale documentario inerente le vicende storiche della sua comunità
d’origine, che raccolse e ordinò nelle Memorie Istoriche di Sorana2. L’encomiabile lavoro
del Sansoni, pur fondandosi unicamente su narrazioni di vicende storiche, non manca di
offrirci alcuni interessanti spunti di riflessione sulla vita economica e, in parte, artistica,
del proprio paese natio. Sottolinea infatti in più occasioni il Padre come all’inizio del XVII
secolo “in così piccolo castello vi fossero tante arti e tante maestranze”; e ancora, come
in Sorana esistesse un “singolare ascendente in produrre uomini industriosi e d’ingegno
nelle arti e nelle maestranze”3.
Non sembrerebbe dunque errato poter leggere tra queste righe anche una velata allusione a quel mercato artistico che agli inizi del secolo XVII sappiamo esser stato sollecitato in primo luogo dai membri della sua stessa famiglia, e in particolare da Fioravante
Sansoni chiamato per la sua abilità pittorica a lavorare per la città di Pescia.
Minori informazioni su Sorana e sulle abilità tecniche e artistiche dei suoi cittadini ci
giungono dalle descrizioni del pittore ed erudito pesciatino Innocenzo Ansaldi, prozio di
Giuseppe. Nella prima edizione della sua Descrizione delle pitture, sculture et architetture
della diocesi di Pescia e i suoi sobborghi4, l’Ansaldi non fece infatti alcuna menzione della
montagna valdinievolina e solo nella seconda edizione del suo volume, pubblicata dopo la
morte, è possibile rintracciare un unico riferimento ai paesi di Vellano e Castelvecchio, privilegiati su tutti gli altri per palesi legami autobiografici5.
L’omissione di Innocenzo Ansaldi, pittore-conoscitore e erudito locale, rende vieppiù
interessante l’intervento di qualche decennio seguente di uno storico e intellettuale del
calibro di Sismondi nei confronti di quella che comunemente è definita la “Svizzera
Pesciatina”6.
Pur accostandosi a queste terre da una prospettiva unicamente storica e pur non facendo diretto riferimento al singolo borgo di Sorana, ma piuttosto alle vicine castella di
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Pontito, Schiappa e Vellano, nella descrizione del Sismondi si delinea con efficacia l’idea
del villaggio montano che sorge improvvisamente dalle “rimote valli degli Appennini”,
accomunato agli altri villaggi circostanti in quanto “formati unicamente di case di pietra,
fabbricate col cemento, alzate a più piani e leggiadramente architettate”, e i cui “templi
sono tali da recare ornamento alle più grandi città”. Simbolo residuo di un’età dell’oro
scomparsa, questi borghi arroccati sembrano ormai appartenere per Sismondi ad un’altra, leggendaria e immutata, epoca.
Non altrettanto evocative, ma sicuramente puntuali nel suo genere ad un tempo sintetico e rigoroso, sono invece le informazioni riportate da Emanuele Repetti nel suo
Dizionario geografico, al quale affiderà il compito di illustrare brevemente tutti i paesi della Svizzera Pesciatina, compresa Sorana, corredandolo con essenziali nozioni sulla storia
della città e l’indicazione della presenza della chiesa dedicata ai SS. Pietro e Paolo7.
Sarà tuttavia il solo Giuseppe Ansaldi ad entrare nel merito della materia storico-artistica di questo paese e ad offrirci il primo, e più consistente, resoconto del patrimonio
conservato a Sorana, concentrando la propria attenzione sull’edificio che da sempre aveva caratterizzato il fulcro della vita comunitaria paesana e che custodiva le sue opere più
antiche e preziose: la chiesa pievana dei SS. Pietro e Paolo.
Afferma l’Ansaldi in apertura alla descrizione della chiesa: “poche sono le opere d’arte di Sorana”. L’incipit non è certo dei più promettenti, ma pur dichiarando questo e
preavvisando il lettore di come l’antichissima chiesa dei SS. Pietro e Paolo fosse stata in
più tempi riadattata e manomessa, e dunque non conservasse molto della sua originaria
struttura (cfr. par. La chiesa dei SS. Pietro e Paolo), l’Ansaldi finisce col dedicare un discreto spazio alla descrizione delle opere in essa contenute.
Se pochi potevano infatti apparire al tempo dell’Ansaldi gli oggetti d’arte presenti in
chiesa, certo il livello qualitativo di alcuni di essi non doveva essere considerato dallo
studioso di basso profilo.
Del resto anche attraverso una semplice rassegna degli oggetti d’arte ancora in uso
all’interno dell’edificio è possibile farci un’idea delle scelte operate dalla comunità soranese: in questo piccolo contesto sacro troviamo infatti tra gli strumenti indispensabili per
lo svolgimento delle funzioni liturgiche un piccolo ma pregevole gruppo di oggetti costituito da messali risalenti ai secoli XVII-XVIII, da croci astili in bronzo dello stesso
periodo8, e da un notevole calice della seconda metà del Quattrocento, non a caso notato dagli stessi funzionari della Commissione di Incoraggiamento delle Belle Arti di Lucca,
all’epoca unico organo competente sul territorio in materia di salvaguardia dei “monumenti antichi”, che intorno al 1860 compilarono la schedatura delle opere d’arte delle
comunità di Villa Basilica e Vellano, mostrando particolare interesse nella chiesa di
Sorana per quel calice “di bella forma antica con bottone adorno di cesellature”9.
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L’immagine descritta
Anche in una situazione di marginalità geografica è dunque presente a Sorana un’attiva
committenza comunitaria che sembra servirsi tanto del lavoro di artisti locali, come di quello di artefici provenienti da fuori e mediatori di diversi linguaggi figurativi. L’attività artistica
nel castello, come è lecito immaginarsi, dovette fare infatti principale affidamento sulle risorse interne e la committenza comunitaria rivolgersi in via preferenziale – per evidenti ragioni economiche – alla produzione autoctona. Tuttavia è da tener sempre ben presente
che gli stessi artigiani che lavorarono per il paese non furono mai estranei a ciò che veniva
prodotto nei centri più grandi e, al contrario, intrattennero sicuri rapporti anche con città
confinanti come Pescia, Pistoia e Lucca10. Basti pensare ai membri della già citata dinastia
Sansoni, la quale modellò il proprio lavoro sulle richieste della committenza pesciatina, riproponendo evidentemente nella propria città natia (e dunque diffondendo anche negli altri borghi della montagna) formule artistiche nuove e più aggiornate.
L’attività di maestri locali o provenienti da centri montani limitrofi è suggerita dallo
stesso Giuseppe Ansaldi che fa il nome di Annibale da Pontito per l’affresco sopra la pila
del fonte battesimale della chiesa raffigurante il Battesimo di Gesù; mentre di provenienza pesciatina sembra essere l’autore del pulpito in pietra serena, lo scalpellino Tommaso
da Pescia11. Ignoto, ma giudicato debole dallo
stesso Ansaldi, è l’artefice del quadro con San
Francesco e Santa Maddalena ai piedi della
Croce, un tempo collocato nel primo altare a
destra dell’edificio sacro. Riferibili con tutta
probabilità al lavoro di maestranze locali sono
anche le seicentesche mostre in pietra serena
degli altari laterali della chiesa (molte delle
quali riportanti nell’architrave in alto la data
esatta della loro esecuzione) e i loro stemmi
scolpiti, di una manifattura piuttosto rozza12.
A fianco a questi esempi di artigianato locale
sono però da collocare altre opere, la cui paternità rimane ancora celata e difficile da definire
ma il cui valore è sicuramente degno di nota.
Nel primo altare entrando a destra, nel luogo dove la vide anche Giuseppe Ansaldi, si trova una scultura tra le più interessanti e poco Fig. 1 - Ignoto artista fiorentino,
note del territorio. Si tratta di una Madonna col Madonna col Bambino
Bambino (fig. 1) in terracotta policroma un (detta Madonna del Rosario), secolo XVI,
tempo inserita entro una coperta seicentesca Sorana, chiesa dei SS. Pietro e Paolo
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che le faceva da cornice, oggi dispersa, raffigurante in alto la Santissima Concezione e ai
lati San Domenico e Santa Caterina da Siena13. La scultura, citata da Giuseppe Ansaldi
(e da alcune fonti successive) come opera di Matteo Civitali, venne al contrario avvicinata dalla Commissione lucchese per l’Incoraggiamento delle Belle Arti alla grazia e al disegno raffaelleschi. Se la paternità al Civitali può certo scartarsi per l’evidente appartenenza della scultura ad un periodo successivo rispetto a quello in cui fu attivo l’artista
lucchese, e se l’altisonante modello raffaellesco sembra forse da valutare con maggiore
attenzione (anche per le implicazioni e le diverse emulazioni che un’opera d’arte come la
Madonna del baldacchino di Raffaello, conservata a Pescia dai primi decenni del
Cinquecento fino al tardo Seicento, ha suscitato per decenni sul territorio pistoiese), certo il suo valore qualitativo giustifica in parte queste “solenni” attribuzioni. L’impianto
compositivo del gruppo, composto dalla Vergine seduta con le gambe poste su livelli diversi, la testa reclinata sul fianco destro, il movimento di torsione a sinistra del busto, accompagnato dal braccio destro che si posa sul petto, e dal florido e ricciuto Bambino
adagiato sulla gamba sollevata della Vergine, è indicativo, da una parte del lavoro di un
artista maturo e consapevole dei propri mezzi, dall’altra dell’appropriazione da parte di
questo artefice di alcuni moduli diffusi nell’ambiente fiorentino e qui riprodotti non con
stanchezza, bensì con una sicurezza e grazia tali da rendere questa scultura un esempio
pregevole di plastica di primo Cinquecento.
I molti restauri e le ridipinture che la statua ha subito in tempi pregressi, dovuti alla
continua e documentata usura causata dalla periodica esposizione in occasione di processioni e cortei, devono aver inficiato non poco il reale aspetto decorativo e pittorico
della terracotta14, e forse oggi può sembrare azzardato formulare ipotesi cronologiche o
attributive sull’opera prima di un suo accurato restauro. Tuttavia, è possibile stimare con
interesse le connessioni che tutta una serie di opere diffuse sul territorio pesciatino e pistoiese sembrano instaurare con questa scultura. La devozione rivolta alla Madonna nella sua veste di Vergine protettrice e salvifica, particolarmente sentita nella montagna pesciatina, trova infatti nella proliferazione di gruppi plastici di Madonne col Bambino un
equivalente scultoreo alla parallela diffusione in questi territori, soprattutto nei secoli XVI
e XVII, di dipinti raffiguranti Madonne in trono e Sacre Conversazioni15.
La Vergine col Bambino in terracotta policroma degli inizi del XVI secolo oggi conservata nella chiesa di San Leonardo a Serra Pistoiese (Marliana) può ad esempio rappresentare una possibile derivazione della terracotta soranese16. Allo stesso modo la cinquecentesca Madonna col Bambino in terracotta invetriata della chiesa di San Niccolao,
ancora nella località di Marliana, ripropone alcune caratteristiche d’impianto analoghe a
quelle del gruppo scultoreo di Sorana17.
Ma il referente principale per la scultura soranese è probabilmente la Madonna col
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L’immagine descritta
Fig. 2 - Ignoto artista, Crocifisso, secolo XVII,
Sorana, chiesa dei SS. Pietro e Paolo
Fig. 3 - Ignoto artista, Crocifisso, secolo XVI,
Sorana, chiesa dei SS. Pietro e Paolo
Bambino in terracotta policroma della chiesa di San Niccolao di Buggiano, già attribuita
in tempi passati all’ambito di Jacopo Sansovino18. Alla particolare resa stilistica delle piccole palpebre abbassate e della minuta bocca socchiusa della Vergine di Sorana sembra
infatti corrispondere l’estrema finezza dei tratti di questa elegante Madonna buggianese. In entrambi i casi si nota la ripresa di un comune schema compositivo accostabile all’ambito fiorentino sansovinesco che, nel caso della Madonna di Buggiano, pare giustificarsi col rapporto privilegiato che univa questa chiesa alla Badia di Firenze.
Il rapporto che lega Sorana ai più vasti contesti cittadini, pesciatino e pistoiese e, per
il loro tramite, anche a quello fiorentino, pare mantenersi costante dal Cinquecento fino
a tutto il secolo seguente. A dimostrazione di ciò basta prendere in esame ancora due
opere d’arte, due crocifissi lignei, presenti nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo. Il primo
Crocifisso (fig. 2), in legno policromo e dalle forme sode e monumentali, è collocato nel
secondo altare a destra della chiesa, e può presumibilmente risalire al secolo XVII per i
tratti fisiognomici marcati del barbuto Cristo e per la forma mossa e ondeggiante del
suo tornito perizoma. L’Ansaldi sembra riferirsi a questo manufatto quando parla di un
restauro condotto sull’opera nel 1860 dal lucchese Giuseppe Pisani, intervento che potrebbe fare nuova luce su quest’oggetto certamente rimarchevole (e difficilmente attri-
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buibile a maestranze locali) ma che al momento non risulta documentato negli atti delle
commissioni conservatrici operanti sul territorio in questo periodo.
Più interessante risulta l’altro Crocifisso ligneo (fig. 3) conservato nella sagrestia della
chiesa. Si tratta di una scultura risalente probabilmente agli inizi del XVI secolo, pesantemente occultata da una deturpante tinta scura che la ricopre interamente. Nonostante il
suo pessimo stato conservativo e la difficoltà di un’analisi dettagliata del manufatto, pare indubbio l’alto livello qualitativo di questo oggetto, stilisticamente affine per proporzioni, postura e tratti fisiognomici al Crocifisso ligneo dell’altare maggiore della chiesa di
Santa Maria Maggiore a Firenze, attribuito da Alessandro Parronchi a Jacopo
Sansovino19. Se ne giudichi, ad esempio, i lineamenti delicati e allungati del volto e delle
membra del Cristo, la testa reclinata e le ciocche di capelli cadenti sulle spalle.
La relazione di questo Crocifisso con l’opera del Sansovino, al cui nome era stata associata anche la Madonna col Bambino in terracotta di Buggiano, suggerisce ancora una
volta come la devozione popolare sia riuscita a dare corpo ad una committenza comunitaria che, per quanto periferica e dotata di pochi mezzi, si è dimostrata in alcuni casi
molto attenta nelle proprie scelte, ricercando il “meglio” in ciò che poteva avere un
qualche legame col contesto fiorentino o conservare di esso taluni retaggi. Forse, un
punto di indagine ancora da sviluppare potrebbe essere proprio il contributo apportato,
in occasione di queste richieste, da parte di alcuni personaggi vicini all’ambiente fiorentino ma collegati per varie ragioni a Sorana, come lo stesso padre Andrea Sansoni, cittadino fiorentino d’adozione, la cui fortunata carriera clericale gli aveva permesso di entrare
in stretto contatto perfino con la famiglia Medici. Solo attraverso il coinvolgimento di
questi potenziali mecenati, mediatori di contesti artistici dominanti come quello fiorentino, possono infatti spiegarsi a Sorana commissioni di rilievo come la tela recentemente
recuperata con la Madonna col Bambino e santi (fig. 4), in precarie condizioni, la quale
sembrerebbe identificarsi proprio con quel dipinto “creduto da alcuni di Matteo Rosselli”
che Giuseppe Ansaldi descrive con attenzione nel secondo altare a sinistra della chiesa
dei SS. Pietro e Paolo20. L’erudito pesciatino individua come soggetto della pala una
Vergine delle Grazie che sorregge un Bambino Gesù intento a giocare con San
Giovannino inginocchiato, accompagnata in basso dai santi Giuseppe, Michele e Marco
e tutt’intorno da angeli festanti che spargono fiori. Tutti elementi che corrispondono perfettamente con l’impianto compositivo e iconografico del dipinto da poco rinvenuto. È
auspicabile un pronto restauro che permetta così di precisare meglio il possibile autore
di un’opera che appare già ora di qualità molto elevata, certo da ricercare nei maestri attivi a Firenze alla metà del Seicento.
Non appartenente all’ambito fiorentino è invece “l’antica e bella tavola”21 dell’altare
maggiore della chiesa di Sorana, collocabile cronologicamente intorno ai primi decenni del
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L’immagine descritta
Cinquecento e raffigurante una Sacra Conversazione coi santi
Michele, Caterina, Pietro e Paolo (fig. 5).
Oltre ai santi protettori di Sorana, Pietro e Paolo, questa
Sacra Conversazione ambientata in un esterno che si apre
sulla destra in uno sfondo di paesaggio non meglio identificato, vede presenziare ai lati della Vergine la figura di san
Michele, santo titolare della più antica compagnia di Sorana,
e quella di santa Caterina d’Alessandria, che riceve l’anello
del matrimonio mistico dal Bambino Gesù. La presenza di
quest’ultima figura religiosa deve collegarsi al culto tributatole nella vicina comunità di Lignana, popolazione fusa a
quella di Sorana al tempo della riconquista della Valleriana
pesciatina da parte dei fiorentini nel 1364. Il dipinto, concentrando in un’unica raffigurazione i santi di entrambi i castelli,
celebra dunque la felice e, da quanto è dato sapere, fruttuosa unione di questi due paesi22.
I santi Pietro e Paolo sono stati visibilmente aggiunti
sulla tavola in epoca di poco successiva alla data di realizzazione del dipinto e forse la loro rapida e più scarsa esecuzione ha influito sul giudizio complessivamente negativo
espresso per quest’opera dalla Commissione lucchese per
l’Incoraggiamento delle Belle Arti che la definì “alquanto
rozza” e di “mediocre artefice”23. Al contrario, visto lo
standard generale del territorio della montagna pesciatina
– che si assesta su un livello qualitativo medio-basso24 –,
questo dipinto pare costituirne un momento più alto di produzione pittorica. Il valore dell’opera è infatti denunciato da
tutta una serie di motivi stilistici che vanno dai lineamenti
affilati ma dolcissimi dei volti della Vergine e di Santa
Caterina, ai loro nasi appuntiti, al sorridente taglio degli occhi, fino all’impostazione frontale del san Michele dallo
sguardo severo, e ai contorni minuti e raffinati delle bocche
dei personaggi del gruppo centrale. Tuttavia, non è ancora
facile stabilire se questa tavola appartenga alla produzione
locale, pistoiese in primis, e più in generale toscana, oppure
provenga da contesti esterni. Questa seconda alternativa è
in effetti suggerita, oltre che dall’analisi stilistica del dipin-
Fig. 4 - Madonna col Bambino e santi
Giuseppe Michele e Marco (?)
(detta Vergine delle Grazie), secolo XVII,
Sorana, chiesa dei SS. Pietro e Paolo
Fig. 5 - Ignoto artista emiliano,
Sacra Conversazione coi santi Michele,
Caterina, Pietro e Paolo, secolo XVI,
prima metà del secolo XVI, Sorana,
chiesa dei SS. Pietro e Paolo
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to, anche da quella di un suo particolare iconografico e decorativo che lo pone sensibilmente in relazione con altri contesti regionali come quello emiliano. Si tratta di quella fascia verticale di paliotto in seta dorata e broccata che, posta al centro della composizione, scende dritta dietro le spalle della Vergine. Una soluzione di rappresentazione del
trono che, sebbene diffusa anche nel contesto pistoiese grazie ad una declinazione particolare data nella cerchia dei seguaci di Fra’ Paolino alla formula del baldacchino di raffaellesca memoria (pensiamo alle sole opere del fratello del frate domenicano, Leonardo
di Bernardino del Signoraccio)25, non sembra però pienamente accostabile a quest’ultima per la sua resa estremamente decorativa e luminosissima della piatta e monolitica
campitura del tessuto appeso. Più appropriato pare allora un confronto con la tela, da
poco restaurata, raffigurante la Madonna di Loreto con l’Arcangelo Raffaele e Tobiolo e
le Sante Scolastica e Giustina conservata nel conservatorio di San Michele a Pescia, recentemente attribuita da Massimo Ferretti al ferrarese Domenico Panetti, e che probabilmente si lega ad un contesto lucchese26. Anche in quest’opera corre, dietro la figura
stante della Madonna col figlio in braccio, un parato tessile dall’ornato analogo, appeso
ad una canna di pergolato lungo la quale si avvolge un tralcio di vite. Sebbene quest’opera debba considerarsi di un pregio sicuramente superiore rispetto al dipinto soranese e
forse di qualche anno più tarda, questo peculiare uso del paliotto decorato sembrerebbe
avvicinare le due opere e dunque far confluire la tavola di Sorana verso un comune ambito di riferimento, che potrebbe per l’appunto individuarsi in quello emiliano e, nella
fattispecie, ferrarese. Potrebbe dunque trattarsi di un artista straniero, oppure, anche se
toscano, informato dei moduli di composizione elaborati al di là dell’Appennino. Del resto non sarebbe difficile immaginarsi un’influenza artistica da parte di questi territori,
non poi così lontani dalla montagna pesciatina e raggiungibili proprio attraverso tutta
una serie di percorsi montani.
Dal quadro appena delineato sulle superstiti testimonianze artistiche di Sorana emergono con evidenza due aspetti: da una parte, l’intraprendenza di un borgo che, nonostante la sua marginalità, è comunque riuscito a produrre cultura sia dando vita ad una
vivace attività artistico-artigianale locale che allacciando legami con i centri maggiori
(quali Pescia, Pistoia e la stessa Firenze), dai cui canali sono pervenute alcune opere di
assoluto interesse; dall’altro, quanto quella che viene normalmente definita “perifericità” non sia da valutarsi nei termini riduttivi di “isolamento”. Non si deve infatti mai dimenticare quanto l’idea di distanza geografica sia sempre relativa e ingannevole se valutata alla luce delle possibili alternative viarie che la montagna poteva offrire attraverso
percorsi, valichi e passi oggi scomparsi, ma un tempo utili al passaggio, allo scambio e al
collegamento tra vari centri. Il castello di Sorana ha così mantenuto nel tempo le sue
specifiche caratteristiche di villaggio montano pur ricevendo nel proprio tessuto urbano
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L’immagine descritta
impulsi artistici provenienti da diversi e ben più sviluppati contesti territoriali, e dando in
questo modo ragione a quella tradizione storiografica che la vede una tra le realtà più
operose e “industriose” della montagna pesciatina.
NOTE
* Dal contributo originario di Emanuele Pellegrini.
1 Ansaldi, La Valdinievole illustrata, cit., vol. II, p. 7.
2 Sansoni, op. cit.
3 Sansoni, op. cit., pp. 74-75.
4 I. Ansaldi - L. Crespi, Descrizione delle pitture, sculture et architetture della città, e sobborghi di
Pescia nella Toscana, Bologna 1772-1816 [edizione critica a cura di E. Pellegrini, Pisa 2001], pp. 110,
145-146.
5 Vellano aveva infatti dato i natali al maestro dell’Ansaldi, Alberico Clemente Carlini, mentre a
Castelvecchio era nato Domenico Moreni, canonico di San Lorenzo a Firenze, corrispondente
dell’Ansaldi e autore della sua biografia. Cfr. E. Pellegrini, Frammenti di pittura: viatico per un territorio
dimenticato, in Viaggio in Valleriana. Vie, ospedali, pievi e cappelle della vecchia Lucchesia, a cura di A.
Spicciani, Pisa 2008, p. 136.
6 J.C.L.S. Sismondi, Histoire des républiques italiennes du moyen âge, Paris 1840, vol. VII, pp. 327329 [trad. it. Storia delle repubbliche italiane de’ secoli di mezzo, Lugano 1838, vol. II, pp. 383-384].
7 Repetti, op. cit., ad vocem.
8 GFS, Pistoia, Pescia, frazione di Sorana, negativi nn. 291062, 291091. Importanti indicazioni
sulle opere conservate nella chiesa nel Seicento ci giungono da Appe, Sorana n. 53, c. 133r in particolare: “1662 si fece la croce del clero argentata; […]1669 si fece la croce per l’altare maggiore; […] 1670
si fece un’altra croce dorata […]”.
9 ASLU, Commissione di Incoraggiamento delle Belle Arti, fascicolo 8, n. 5; la schedatura è riportata e commentata in E. Maccioni, Commissione di Incoraggiamento delle Belle Arti. Schedatura di
opere d’arte delle comunità di Villa Basilica e di Vellano, in Viaggio in Valleriana. Vie, ospedali, pievi e
cappelle della vecchia Lucchesia, a cura di A. Spicciani, Pisa 2008, p. 194-195.
10 E. Pellegrini, Il Cinquecento ed il Seicento: documenti e qualche ipotesi su pittori pesciatini poco
conosciuti, in «Valdinievole. Studi storici», n. 2 (2000), pp. 7-47.
11 SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 333, c. 23r: “A maestro Tommaso e maestro Carlo
scalpellini lire settanta per la fattura in resarcire il pulpito nella chiesa di San Piero di Sorana, in virtù
del partito 11 marzo 1668. Lire 70”.
12 Durante la campagna di schedature effettuata a Sorana negli anni 1976-77 da Antonio Paolucci,
impegnato nello stesso periodo nel censimento della montagna pistoiese (Repertorio dei beni culturali delle Province di Firenze e Pistoia, vol. I, La Montagna Pistoiese. Il patrimonio artistico negli edifici di culto, a
cura di A. Paolucci, Soprintendenza ai Beni artistici e storici per le Province di Firenze e Pistoia, Firenze
1976), furono fotografati particolari interessanti della chiesa (cfr. GFS, Pistoia, Pescia, frazione di Sorana,
in particolare i negativi nn. 291087, 291035, 291101, 291099, 291093, 291095, 291084, 291111).
13 Forse andata dispersa nel 1946, al momento della nuova sistemazione dell’altare della “Vergine
del Rosario”: “1946, ottobre: sistemazione dell’urna della Madonna del Rosario. La Madonna appariva
da un ristretto quadro di tela e l’urna era stata creata insufficiente. Fu ampliata l’urna e fatta la cornice
con vetro come sta attualmente” (cfr. Appe, Sorana n. 56, c. n.n.).
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14 L’Ansaldi dice la scultura “poco felicemente restaurata, e dipinta alla foggia degli stucchini da
un lucchese giramondo” (cfr. Ansaldi, La Valdinievole illustrata, cit., vol. II, p. 166); la Commissione per
l’Incoraggiamento delle Belle Arti ricorda come “questo bel simulacro viene in occasione di festa tolto
dall’altare e recato in processione pel paese, il che atteso il gravissimo peso e la malagevolezza delle
strade, rende provabilissimo che una volta o l’altra esso venga spezzarsi cadendo” (cfr. ASLU,
Commissione di Incoraggiamento delle Belle Arti, fascicolo 8, n. 5); in tempi più recenti il Biagi, che riprende pedissequamente le parole dell’Ansaldi, sembra trovare questo manufatto “disgraziatamente
molto male restaurato” (cfr. G. Biagi, In Val di Nievole. Guida illustrata, Firenze 1913, p. 231).
15 Per una prima rassegna delle opere pittoriche della montagna pesciatina vedi Pellegrini,
Frammenti di pittura, cit., pp. 135-175.
16 KHI, Fototeca n. 457, Serra Pistoiese (Marliana, Pistoia), San Leonardo. Da alcune annotazioni
sulla foto si evince che l’opera è stata restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure e che nella Compagnia
del Santissimo Sacramento di Serra Pistoiese si conserva un’altra scultura ad essa analoga, ma di dimensioni più ridotte e molto ridipinta.
17 Schedata in Repertorio dei beni culturali delle Province di Firenze e Pistoia, a cura di A. Paolucci
A., vol. I, La Montagna Pistoiese. Il patrimonio artistico negli edifici di culto, Soprintendenza ai Beni artistici e storici per le Province di Firenze e Pistoia, Firenze 1976, p. 115.
18 Sull’opera si veda la scheda di Claudio Pizzoruzzo che attribuisce la scultura ad artista toscano
attorno al 1530, in A. Cecchi - A. Natali - C. Sisi, L’Officina della maniera. Varietà e fierezza nell’arte
fiorentina del cinquecento fra le due repubbliche 1494-1530, Catalogo della Mostra (Firenze, 28 settembre 1996 - 6 gennaio 1997), Venezia 1996, pp. 342-343.
19 A. Parronchi, Il giovanile Crocifisso ligneo di Jacopo Sansovino, in Capolavori di Passaggio. Simone
Martini, Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta e un Crocifisso sansoviniano, Prato 1999, pp. 17-25.
20 L’opera fu rimossa dall’altare indicativamente tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni
Ottanta del Novecento, come testimoniano Gerini - Salvi, op. cit., vol. VI, p. 1434.
21 Ansaldi, La Valdinievole illustrata, cit., vol. II, p. 167.
22 Benvenuti, Vita, morte e qualche miracolo in Sorana ai margini di un Granducato, in Memorie e
documenti. Contributi di storia locale, a cura di M. Stanghellini Bernardi, Pescia 1995, pp. 106-107;
Pellegrini, Frammenti di pittura, cit., p. 142.
23 Maccioni, op. cit., p. 194.
24 Pellegrini, Frammenti di pittura, cit., pp. 135-175.
25 L’Età di Savonarola. Fra Paolino e la pittura a Pistoia nel Primo ‘500, a cura di C. D’Afflitto - F.
Falletti - A. Muzzi, Venezia 1996, pp. 141-142.
26 M. Ferretti, Un Panetti, non lontano da Lucca, in Il più dolce lavorare che sia: melanges en
l’honneur de Mauro Natale, a cura di F. Elsig - N. Etienne - G. Extermann, Cinisello Balsamo 2009, pp.
59-67; la tavola era già stata oggetto di un approfondito studio da parte di G. De Simone, Percorsi lauretani a Pescia e in Toscana: a proposito della Madonna di Loreto con l’arcangelo Raffaele e Tobiolo e
le sante Scolastica e Giustina del monastero di San Michele, in San Michele a Pescia: il monastero, il
conservatorio, il luogo, Atti della Giornata di Studio (29 novembre 2003), a cura di G. Magnani - A. M.
Pult Quaglia, Firenze 2006, pp. 105-132, il quale ne aveva sottolineato la particolare e precoce iconografia collegata al culto lauretano di origine marchigiana.
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Simboli epigrafi e segni di lapicidi*
In ambito architettonico e urbano il simbolo1 acquisisce valenza non solo in quanto
elemento in sé contenente un significato, ma soprattutto in relazione alla sua collocazione nello spazio2. La lettura della forma di un insediamento, ed in particolare di un abitato storico, consiste nell’analisi della stratificazione dei manufatti che si sono andati strutturando nel tempo, oltre che sulla base delle caratteristiche geomorfologiche dell’area,
sull’organizzazione sociale imperniata sulla dialettica potere politico-potere religioso.
I rapporti tra le diverse componenti urbane all’interno dell’iconografia dell’abitato divengono “simbolo” della comunità che vi ha dimorato e che li ha definiti attraverso il disegno di strade, piazze, varchi, scorci prospettici e mura.
Nel caso del castello di Sorana la presenza del circuito fortificato con le relative porte
urbiche concorre a rafforzare la connotazione identitaria della comunità, grazie alla contrapposizione tra la dimensione intra moenia e il paesaggio esterno, diventando a sua
volta un luogo privilegiato per l’assunzione di significati simbolici3.
Nella cultura medievale, che maggiormente ha palesato la dimensione allegorica che
la permeava, il simbolismo era pervaso da una costante ricerca d’epifania di un mondo
che appariva occultato e la comunicazione avveniva prevalentemente per immagini, rappresentando i concetti e le figure secondo modelli ripetuti e riconoscibili4. Le emergenze
architettoniche e gli edifici speciali sono i luoghi privilegiati per l’individuazione di simboli entro un abitato; non è inconsueto rinvenire stemmi e icone su strutture chiesastiche, su mura e porte urbiche e sulle facciate dei palazzi del potere.
A Sorana la distribuzione di simboli ed epigrafi in forma diffusa nell’abitato (oltre che
nei luoghi preposti) rende il paese fecondo di evidenze iconografiche, i cui significati iconologici, spesso desunti dallo studio delle relazioni che intercorrono tra loro, devono essere ricercati all’interno della cultura del tempo in cui sono stati realizzati5 (fig. 1).
Nel nucleo antico della rocca, entro l’originario perimetro murario trecentesco, nel
borgo Paradiso e nel tessuto compreso tra via degli Archi e via di Borgo, sono stati identificati complessivamente duecentotrentasei elementi, catalogabili in sezioni tematiche:
simboli del potere politico, simboli religiosi, simboli solari, epigrafi ed iscrizioni, segni di
lapicidi6.
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Fig. 1 - Collocazione dei simboli analizzati
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Simboli epigrafi e segni di lapicidi
I simboli del potere politico
Nello studio strutturato delle icone di ascrizione storica presenti in Sorana, si rilevano
evidenti relazioni tra luoghi e simboli di entrambi i preminenti settori di gestione e controllo territoriale: quello politico e quello religioso (fig. 2).
In ambito politico la disposizione di stemmi sulle facciate dei palazzi del potere nel
centro murato assume una manifesta dichiarazione di autorità e dominio entro l’abitato;
la collocazione invece di equivalenti emblemi lungo il percorso murario e sulle porte urbiche proietta tale significato sul territorio circostante.
A Sorana si legge, nella dislocazione dei simboli, una sovrapposizione di tali enunciati: stemmi e scudi delle dominanti che si sono succedute nel tempo sono collocati entro
e fuori il tracciato delle antiche mura, su edifici pubblici e nelle strutture chiesastiche,
contribuendo così a decodificare le stratigrafie territoriali dell’insediamento e degli ambiti sociali della comunità in rapporto all’evoluzione dell’urbe.
Sorana è stata sede comunale dal XIII al XVIII secolo7, adottando lo stemma della
stella ad otto punte in campo d’argento (scheda 7). Tale emblema, raffigurato entro la
lunetta del portale con arco ribassato in piazza San Pietro8, ha influenzato anche gli elementi dell’apparato decorativo delle strutture chiesastiche: nell’oratorio di San Giuseppe
l’iconografia della stella imperniata sull’ottoade caratterizza le pitture della mensa eucaristica9, nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo viene ripetuta negli stucchi parietali e in bas-
Fig. 2 - Simboli del potere. Da sinistra: simbolo dell’antico comune di Sorana
(d’argento, alla stella a otto punte) sul pulpito nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo; giglio bottonato
della repubblica di Firenze nel borgo Paradiso; arma dei Medici in via della Madonnina
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sorilievo sul pulpito in pietra serena; quest’ultimo, scolpito dal maestro scalpellino
Tommaso da Pescia nel 1667 e perfezionato l’anno successivo come documentato dall’iscrizione sul pulpito stesso, venne infatti realizzato con i finanziamenti della comunità di
Sorana.
Simbolo del potere politico a Sorana è il giglio della repubblica di Firenze: uno scudo
perale in pietra serena con giglio bottonato è incastonato sulla parte alta di una facciata
nel borgo Paradiso, a ridosso del tracciato trecentesco delle mura sul versante di ingresso al paese10. Il giglio bottonato (che si differenzia dal giglio naturale per la sbocciatura
a cinque petali, di cui tre principali e due stami minori bocciolati, e ramificazioni inferiori
simmetriche) veniva affisso sui palazzi dei territori controllati da Firenze quale segno di
egemonia politica.
Sul concio in chiave dell’arco del portale cinquecentesco di un edificio in via della
Madonnina, si identifica un ulteriore stemma del potere fiorentino: uno scudo a testa di
cavallo (tra i fondi araldici più antichi), con datazione al XVI secolo11, su cui sono visibili
le tracce di sei palle (di cui una ancora in loco) è il blasone riferibile alla famiglia dei
Medici, che aveva probabilmente in questo edificio la sede del potere locale della
Signoria.
Le armi familiari (fig. 3) scolpite sulle strutture in pietra serena degli altari in SS.
Pietro e Paolo hanno costituito un valido supporto per la datazione e la ricostruzione
cronologica dei lavori svolti nei secoli entro la chiesa plebana (schede 115-116, 121,
130-131)12.
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Fig. 3 - Armi araldiche. Da sinistra: arma della famiglia Pacini, arma della famiglia Mariani,
arma delle famiglie Pieri-Pieretti, scolpite sugli altari nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo
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Simboli epigrafi e segni di lapicidi
I simboli religiosi
Anche in ambito religioso le icone assumono un significato non solo in relazione agli
episodi e ai soggetti raffigurati, ma in funzione della loro distintiva collocazione. Oltre alle immagini figurate su facciate e paramenti murari degli edifici chiesastici correlate ad
una finalità prettamente catechetica, si riscontra l’utilizzo dei simboli religiosi anche in
ambito civile: le croci penitenziali, le edicole e le cappelle, erette come forme devozionali, se apposte lungo il perimetro delle mura difensive rivestivano anche una funzione intimidatoria e apotropaica rispetto ad esterni invasori (fig. 4).
Nicchie e tabernacoli votivi sono assai diffusi a Sorana, principalmente nel borgo
Paradiso, ma anche in via di Nocetta, via della Madonnina, via della Piazzetta, via dei
Gelsi, via delle Scalette della Chiesa (schede 42-52, 67-68, 99-101); risultano correlati al
culto mariano, alla liturgia del Corpus Domini, al rito processionale e venivano edificati
come ex voto in seguito a pestilenze, carestie ed altri eventi infausti.
La devozione religiosa popolare emerge anche nella presenza di lapidi e croci delle
predicazioni ad gentes delle missioni: frequenti nel dopoguerra, servivano quale strumento di catechesi, monito e rimembranza ai fedeli. Le troviamo sulle facciate della chiesa dei SS. Pietro e Paolo e dell’oratorio di San Giuseppe, sulla base della torre campanaria, in sovrapposizione alle epigrafi sulle indulgenze giubilari (schede 35-36, 39, 73).
Simbolo religioso per eccellenza, la croce connota gli spazi sacri del paese (schede
65-67, 72, 111, 127, 136, 149, 154, 184-186), rafforzata dalla presenza del culto dei
santi (in special modo i SS. Pietro e Paolo, San Giuseppe, Sant’Antonio, San Michele;
Fig. 4 - Simboli religiosi. Da sinistra: bassorilievo in via di Borgo; croce patente astile sulla facciata della
chiesa dei SS. Pietro e Paolo; trigramma di S. Bernardino in via dei Gelsi
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schede 34, 71, 101, 110, 114, 123-124, 128-129, 140) e dall’iconografia della conchiglia e dello Spirito Santo nelle sedi ecclesiastiche (schede 104, 109, 138-139, 151-152).
Una croce patente astile decora in bassorilievo l’architrave in facciata della chiesa dei SS.
Pietro e Paolo, appartenente alle decorazioni scultoree dell’originaria facciata trecentesca (scheda 6). La croce, simbolo cosmico correlato all’orientamento secondo gli assi cardinali e definita patente quando presenta le quattro braccia allargate, nella religione cristiana incarna la simbologia cristologica della salvezza, attraverso la passione e resurrezione di Gesù. La croce patente astile risulta molto diffusa in epoca medievale, poiché legata alla liturgia processionale; la raffigurazione sull’architrave di un edificio sacro amplifica il significato di tale simbolo, facendogli assumere ulteriori connotazioni in rapporto alla dimensione architettonica in cui risulta collocato: se il portale e l’architrave di una
struttura chiesastica indicano la soglia tra la quotidianità e la dimensione sacra, la croce
viene ad incarnare il simbolo della salvezza cui si può giungere varcando la soglia.
Di qualificata lavorazione tecnica, il simbolo in pietra serena scolpito sul concio in
chiave di un portale settecentesco in via dei Gelsi (scheda 24), rappresenta l’icona del
Corpus Domini che irradia l’amore cristiano: il trigramma di Cristo IHS entro l’emblema
del sole raggiato, ideato da San Bernardino da Siena quale mezzo vivificante per la sua
predicazione, sottende ad una simbologia cristiana correlata al numero dodici dei raggi
che vengono a sovrapporsi al numero degli apostoli e degli articoli del Credo13.
I simboli solari
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L’abitato di Sorana appare soprattutto caratterizzato dalla copiosa presenza di simboli assimilabili a contenuti solari (fig. 5).
Una composizione tripartita cinquecentesca, scolpita sull’architrave in pietra serena
della mostra architettonica di un portale in via di Sorana, accoglie i basilari glifi a contenuto solare, che vediamo rinnovati su ulteriori manufatti del castello: la rosetta a sei petali, la ruota a sei raggi, il disco solare (schede 1-3).
La rosetta a sei petali, definita dalla costruzione geometrica di sei mandorle generate
dalla rotazione di sei circonferenze inscritte in una settima, risulta strettamente correlata
al significato della generazione della vita e dell’infinito perfetto movimento rotatorio. La
sua iconologia si sovrappone difatti a quella della ruota, quale simbolo centrico: da un
punto fisso di origine, che può essere assimilato al sole, si generano e si dipanano i raggi
che ruotano in un perpetuo movimento ciclico il quale ricalca il ripetersi delle stagioni
nella scansione temporale. Il simbolo della ruota amplifica il suo significato in associazione al numero dei suoi raggi; se la ruota a quattro raggi (scheda 61) sottende all’espansione nelle quattro direzioni dello spazio dei punti cardinali (ma anche al ritmo quater-
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Fig. 5 - Simboli solari. Dall’alto, da sinistra: rosetta a sei petali in via di Sorana; sole a otto raggi
in via di Sorana; ruota/rosetta a sei raggi in via di Sorana; sole raggiato su porta Fredda
in via Nocetta; decorazione con spirale e cerchio puntato sulla facciata della chiesa
di SS. Pietro e Paolo; giglio in via della Madonnina; stella a sei punte in via di Borgo; ruota
a otto raggi in via di Borgo; ruota a quattro raggi con croce patente in via delle Scalette della Chiesa
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nario delle stagioni, della luna e della giornata), quella a otto raggi (schede 13-14) evoca la suddivisione dello spazio terreno e celeste in un doppio quaternario: quattro raggi
a croce ortogonale per la posizione dei punti cardinali negli equinozi (sole ad Est all’alba
e ad Ovest al tramonto, oltre al settentrione e al meridione) e quattro raggi a croce diagonale per il posizionamento dei punti di alba e tramonto del sole ai solstizi d’estate e
d’inverno. Anche il sole a otto raggi, inscritto in una circonferenza con suddivisione quadripartita del disco solare (che si scorge sullo stesso architrave in via di Sorana) segue le
equivalenti geometrie e significanze iconologiche dell’ottoade, aggiungendo probabilmente un ulteriore contenuto relazionabile al controllo della scansione del tempo con lo
gnomone.
Affiancati ad altri simboli celesti – il giglio, il disco solare raggiato, la stella a sei o otto
punte – le ruote e le rosette si trovano sovente scolpite sulle facciate di manufatti storici:
fanno parte dei miti solari correlati alle processioni luminose montane nei solstizi d’estate
e d’inverno, oltre ad avere funzione apotropaica e benaugurante (cfr. par. Le porte urbiche: allineamenti astronomici con funzione calendariale).
Alla stessa tipologia di simboli è verosimilmente riconducibile il giglio in bassorilievo
su un architrave in pietra serena in via della Madonnina (scheda 11): è un giglio a cinque petali, di cui tre principali e due secondari senza bocciolature, con un cerchio puntato centrale. La raffigurazione del cerchio puntato è diffusamente associata al disco solare: sebbene il giglio rappresenti il simbolo della repubblica di Firenze, quando è affiancato a simboli solari assume il significato di singolo raggio di sole, correlato in particolare
al primo e all’ultimo raggio nei solstizi e negli equinozi.
A Sorana i simboli solari sono permasi nella cultura locale sin dall’epoca medievale; le
decorazioni scultoree (parzialmente mutile) del concio d’appoggio dell’archetto romanico in facciata alla chiesa dei SS. Pietro e Paolo tratteggiano un soggetto che riunisce due
frammenti iconografici solari: la circonferenza puntata e la spirale (scheda 5). Il cerchio
può essere infatti assimilato ad un punto esteso, del quale assume la perfezione: se il
centro è il principio generatore, stabile e fisso riferimento, il cerchio è l’universo che si
propaga e si distingue dal centro stesso da cui ha origine e il movimento circolare che ne
deriva è perfetto, stabile e infinito; la spirale altresì è il movimento circolare che fuoriesce
dal centro d’origine, espandendo all’infinito il movimento circolatorio e ciclico, divenendo simbolo dei ritmi della vita (anche lunari).
Se correlato all’immagine evocata dal portale di una struttura chiesastica (soglia tra
la quotidianità e la dimensione sacra) il sole, con la sua centralità generatrice e con il
suo movimento infinito e stabile, si sovrappone al Cristo che nella tradizione incarna la
divinità immutabile, l’amore irradiante che si sprigiona da un centro e avvolge il tutto,
l’alfa e l’omega.
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Simboli epigrafi e segni di lapicidi
Le chiese in epoca medievale venivano edificate secondo un orientamento canonico
correlato al punto di levata del sole nell’equinozio, cioè perfettamente ad Est; questo, di
fatto, contribuiva al computo del tempo in base al rapporto tra le ombre e l’architettura,
per la scansione delle ore14.
Le epigrafi e le iscrizioni
Nella catalogazione funzionale delle epigrafi15 rinvenute a Sorana, nonostante uno
stato conservativo talvolta deteriorato da corrosione ed esfoliazione lapidea, si evince
una prevalente vocazione commemorativa, documentaria e celebrativa delle iscrizioni,
principalmente realizzate a incisione con caratteri capitali (fig. 6).
Fig. 6 - Epigrafi. Dall’alto, da sinistra: epigrafe sulla facciata laterale della chiesa dei SS. Pietro e Paolo;
iscrizione nel borgo Paradiso; epigrafe in via della Rocca di Sorana; iscrizione in piazza S. Pietro;
epigrafe nella cella della torre campanaria; iscrizione in via della Rocca di Sorana
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Capitolo II - Il castello di Sorana
Una presenza consistente di iscrizioni di datazioni, da correlarsi ad interventi architettonici, è stata censita nell’area del nucleo della rocca: le epigrafi, sebbene risultino per la
maggior parte ricollocate, sono comunque coeve ai materiali dei manufatti nei quali sono inserite (ai secoli XVII-XVIII risalgono infatti una diffusa riedificazione dell’area entro
il primo cerchio delle mura medievali e interventi in via degli Archi, nel borgo Paradiso, in
piazza San Pietro, in via della Scalinata, in via dei Gelsi, cfr. schede 16-22, 26-29, 32-33,
41, 56-59).
Da evidenziare, tra le epigrafi, il concio in pietra serena inciso con caratteri capitali irregolari posto sulla facciata laterale della chiesa dei SS. Pietro e Paolo (collocato sulla parte
postica prossima ad una discontinuità muraria, documenta l’ampliamento della struttura
avvenuto nell’anno 1589 quando era rettore Don Domenico Pieri da Vellano16, scheda
15); la lapide a caratteri capitali, con modulo regolare per rigo e bordatura, situata entro
la cella campanaria (attestante che, nel periodo in cui Francesco Maria Pieretti fu rettore
della chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Sorana, vennero eseguiti degli interventi architettonici alla torre17, scheda 38); e infine il cantonale mutilo in via della Rocca (scheda 23).
Lapidi marmoree di recente manifattura sono poste in piazza San Pietro18 (schede
30-31), all’interno e all’esterno degli edifici chiesastici (schede 155-157), in memoria ai
caduti delle guerre del Novecento (schede 69-70).
I segni dei lapicidi
A Sorana si riconoscono segni tracciati da lapicidi non strettamente correlabili a marche lapidarie (schede 77-78, 81, 83-84, 88-89). Attraverso la lettura dei cantonali si attesta un’attività qualificata di scalpellini e cavatori (schede 79-80, 82)19: gli edifici, soprattutto nella ripresa edilizia dei secoli XVI-XVIII, sono infatti caratterizzati da cantonali
con conci a bugnato accentuato con bordatura a nastro e conci a tracciati paralleli fitti di
colpi di subbia e spianatura a gradina (trattamento superficiale che si ritrova anche nei
portali e nelle mostre delle finestrature)20.
Tra le opere di decorazione scultorea di scalpellini si annoverano un bassorilievo, collocato sulla porzione alta della facciata del metato posto in via di Borgo, raffigurante
due soggetti di non usuale composizione iconografica (scheda 53) e una protome antropomorfa scolpita su un elemento lapideo aggettante sulla facciata di un manufatto rurale in via di Borgo (scheda 54).
Le porte urbiche: allineamenti astronomici con funzione calendariale
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Del circuito murario medievale trecentesco si sono conservate porta Fredda e porta
Balda che, assieme alla Portaccia nel borgo Paradiso (esterno al centro murato) e alla
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Simboli epigrafi e segni di lapicidi
porta di accesso alla rocca, costituiscono il gruppo di porte urbiche di Sorana.
La presenza distintiva di simboli solari in tutto l’abitato ha costituito la premessa per
la valutazione degli allineamenti astrali di alcune architetture medievali: l’iconografia solare rappresenta sovente un indicatore dell’orientamento dei manufatti in rapporto alle
fasi rilevanti del ciclo del sole, quali gli equinozi (connessi alla stella a otto punte) ed i
solstizi (correlati alla rosetta a sei petali).
Sulla base del rilievo condotto a Sorana sono state effettuate alcune verifiche21 nell’ambito dell’archeoastronomia22 al fine di appurare l’esistenza di rapporti tra l’orientamento delle porte urbiche e gli elementi celesti (fig. 7). Prendendo come riferimento le
coordinate latitudinali, longitudinali e altimetriche di porta Fredda e le effemeridi relative
all’anno 137623 è stato constatato che nel solstizio invernale il punto di calata del sole
risultava allineato con il prospetto esterno della porta, sulla cui mensola dell’arco è collocata un’armilla24. Questa, determinata da una successione concentrica di due rappresentazioni del sole raggiato25 (quella interna a sette raggi, quella esterna a quattordici),
Fig. 7 - Il grafico raffigura le traiettorie del percorso del sole nel solstizio d’inverno e in quello d’estate
del 1376: sono riportati radialmente i riferimenti agli angoli azimutali e concentricamente quelli relativi
all’altezza sulla linea dell’orizzonte. Sulla planimetria di Sorana sono evidenziate le direzioni
dei prospetti esterni della porta Fredda e Balda: i prospetti delle porte risultano allineati
con i punti di alzata e di calata del sole nei solstizi
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Capitolo II - Il castello di Sorana
raffigura la chiusura e l’apertura di un nuovo ciclo solare in associazione alla simbologia
del numero sette.
Nell’allineamento di porta Fredda ci si riferisce ad una congiuntura peculiare: ab occasu solis nel solstizio d’inverno (solis statio è il punto di fermata del sole nell’inversione
di moto nella declinazione) che determina la nascita di un nuovo ciclo26. Questo “capodanno solare” copriva un ruolo importante nel simbolismo medievale, poiché rappresentava il superamento della stagione oscura e la rinascita della vita, e veniva celebrato con
processioni luminose, soprattutto nei luoghi montani, in una sovrapposizione di tradizioni popolari e liturgie cristiane, eredi delle cerimonie pagane romane del Sol Invictus.
Parimenti per il prospetto esterno di porta Balda è stato rilevato un allineamento con
l’azimut del sole in un’ulteriore congiuntura peculiare: ab ortu solis nel giorno del solstizio d’inverno. Gli angoli definiti rispettivamente dai prospetti esterni delle due porte con
l’asse Est-Ovest risultano infatti essere tra loro simmetrici lungo la direzione Nord-Sud27.
In questo modello è verosimile che porta Balda, in origine, possa aver ricevuto il nome di
porta del Sole o porta Calda28. Entrambe le porte urbiche assumono così una funzione
calendariale entro il disegno della forma urbis, che le rende riferimento essenziale per la
scansione del tempo29.
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NOTE
* Dal contributo originario di Cinzia Jelencovich.
1 Il lemma latino symbolum, traslitterazione del greco symbolon (syn-ballein, gettare insieme),
presenta una polisemia al variare dell’ambito culturale e del periodo storico, sebbene sia permasa nei
secoli la primaria funzione della simbologia del rappresentare per emblemi i concetti: come nell’antica
Grecia la tessera hospitalis indicava le due metà del contrassegno spezzato tra famiglie che poteva essere successivamente ricomposto al riconoscimento reciproco dei due frammenti, così nella connotazione odierna il simbolo assume la funzione dell’unire un elemento materiale ad una correlata rappresentazione mentale.
2 C. Jelencovich, Regesto e schedatura dei simboli, delle iscrizioni e delle marche lapidarie a
Massa Marittima, in Le mura di Massa Marittima, una doppia città fortificata, a cura di E. Mandelli, Pisa
2009, pp. 152-158.
3 L’edificazione delle cinte di fortificazione deve essere messa in relazione anche con l’elemento dimensionale della superficie abitabile racchiusa entro il percorso murario: l’ampiezza e l’organizzazione
dell’abitato, se paragonate con quelle di altre città murate finitime, possono infatti far emergere persistenze progettuali nella disposizione degli edifici preminenti rispetto al circolo murario e nella strutturazione degli assetti urbani (cfr. G. Bianchi, Costruire un castello, costruire un monastero. Committenze e
maestranze nell’alta Maremma tra X e XI secolo attraverso l’archeologia dell’architettura, in Monasteri e
castelli tra X e XII secolo. Il caso di San Michele alla Verruca e le altre ricerche storico-archeologiche nella Tuscia occidentale, a cura di S. Gelichi - R. Francovich, Firenze 2003, pp. 143, 152-153).
4 La popolazione non era alfabetizzata e l’immagine svolgeva la funzione didattica dell’insegna-
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Simboli epigrafi e segni di lapicidi
mento; i simboli venivano desunti ordinariamente dalla natura: i lapidari, i florari, gli erbari, i bestiari in
cui li troviamo catalogati ci trasmettono una selezione dei soggetti privilegiati e differentemente adottati a seconda del contesto in cui venivano impiegati e del contenuto che erano chiamati a trasmettere.
5 Se l’iconografia sottende infatti ad un fattore descrittivo delle immagini attraverso il riconoscimento del soggetto, l’iconologia volge ad un atto interpretativo attraverso il riconoscimento dei contenuti espressivi. L’iconografia, mediante la classificazione dei dati oggettivi relativi alle singole icone o
emblemi, fornisce dunque la base fondamentale per la successiva interpretazione del loro significato e
della loro genesi: uno studio iconologico consente di definire la correlazione tra i concetti intelligibili e
la contingente forma simbolica che assumono in un determinato contesto, attraverso l’applicazione di
una metodologia di sintesi e comparazione. Per una corretta interpretazione dei simboli e delle icone
non si può prescindere dalla conoscenza delle fonti letterarie, storiche e culturali cui sono pertinenti.
6 Il regesto dei simboli, degli stemmi, delle iscrizioni, dei segni dei lapicidi a Sorana è stato condotto tra il dicembre 2009 e il febbraio 2010; la schedatura con la descrizione ed interpretazione di
ogni elemento è consultabile in Analisi iconologica ed epigrafica a Sorana. La schedatura dei simboli,
delle epigrafi, delle marche lapidarie, nel DVD allegato al presente volume.
7 Il comune di Sorana, fondato nel secolo XIII, è stato soppresso nel 1775, anno nel quale venne
assorbito dal comune di Vellano; nel 1928 è passato al comune di Pescia.
8 Dipinto dalla Scuola Comunale di Pittura di Pescia nel 2002, vi sono affiancati un drappo con l’iscrizione “Sovrana” – a ricordare l’originario nome di Sorana derivatole dalla sua antica rocca che dominava sulla valle e sui declivi limitrofi – e due puttini reggenti i prodotti dei coltivi locali: i fagioli e le
castagne.
9 La stella richiama la simbologia della luminosità e dell’essere fonte di luce; quella ad otto punte,
correlata ai simboli celesti, ricalca il significato dei simboli basati sull’ottoade, correlati alle otto direzioni dello spazio. L’iconografia cristiana ha sovrapposto tali simbolismi con le figure della Vergine Maria
(chiamata anche “stella del mattino”) e di Cristo (nella raffigurazione del Salvatore), molto usata negli
apparati decorativi degli spazi chiesastici, nella pittura e nelle opere scultoree.
10 Occorre sempre tenere presente che fino al 1950, anno in cui è stata realizzata la strada asfaltata di via di Sorana per impegno dell’allora parroco don Arturo Carmignani, l’accesso al paese avveniva
dalla mulattiera che si inerpicava sul versante Sud-Ovest da Ponte di Sorana. Si hanno annotazioni di
tale sentiero in Sansoni, op. cit.
11 In principio l’arma dei Medici era caratterizzata da undici bisanti che, con Cosimo il Vecchio
(1389-1464) si ridussero a otto; con Piero il Gottoso (1416-1469) scesero ulteriormente a sette (di cui
sei disposti a triangolo ed uno azzurro al centro decorato con i gigli di Francia, concessi da Luigi XI in
cambio di servigi diplomatici); con Lorenzo il Magnifico (1449-1492) vennero ridotti a sei portando
quello azzurro in posizione alta; con Cosimo I (1519-1574) risultano posti in ovale, disposizione nella
quale si manterranno. Questa cronologia morfologica dell’arma ci permette di datare lo scudo raffigurato a non prima del Cinquecento, epoca in cui Sorana era sotto il dominio fiorentino.
12 Si identificano le armi familiari dei Pacini, dei Mariani, dei Pieri-Pieretti.
13 Nella graficizzazione dei raggi si riscontra spesso un’alternanza tra raggi sinuosi e rettilinei.
Generalmente quelli sinuosi sono dodici. Nel caso del simbolo raffigurato a Sorana sono otto. Il simbolo
appare realizzato da lapicidi qualificati; particolare la lavorazione sulla digradazione del concio entro
cui sfuma il livello dei raggi solari rispetto al loro contorno.
14 Simbolo da correlarsi con allineamenti solstiziali è il sole raggiato scolpito su porta Fredda
(scheda 4).
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15 L’analisi epigrafica nella conoscenza “integrata” dei manufatti storici costituisce una fonte documentaria che, attraverso la valutazione della tecnica di lavorazione dei supporti lapidei, degli strumenti usati per l’incisione, delle caratteristiche del campo epigrafico e con il supporto dell’analisi del
degrado, contribuisce alla datazione delle architetture fungendo da marcatore temporale per l’analisi
delle stratigrafie degli alzati.
16 Cfr. par. La chiesa dei SS. Pietro e Paolo.
17 La realizzazione dell’attuale cella campanaria risale al 1759; la datazione dell’epigrafe trova
compimento nel fatto che Francesco Maria Pieretti fu rettore della chiesa dei SS. Pietro e Paolo dal
1749 al 1759, mentre ne assunse il titolo di pievano dal 1759 al 1807 (la chiesa fu elevata infatti a
pieve): ne consegue che, essendo nella lapide riportato il titolo di “rettore”, potrebbe riferirsi agli anni
Cinquanta del Settecento.
18 Un’iscrizione con campo epigrafico a caratteri capitali allineati e centrati a incisione su lastra
marmorea si riferisce al sacrificio dei soldati soranesi nella battaglia di Gavinana dell’agosto del 1530 e
a padre Andrea Maria Sansoni, autore delle Memorie Istoriche antiche e moderne del castello di
Sorana, diligentemente e fedelmente raccolte da diverse scritture antiche autentiche da diversi luoghi.
Una seconda lastra marmorea, ma incorniciata, celebra la realizzazione della conduttura dell’acquedotto che nel 1861 ha portato acqua alla fontana pubblica posta nella piazza San Pietro; i lavori vennero
progettati dall’ingegnere Gherardo Gherardi e realizzati dal capomastro Giovanni Del Tredici.
19 La presenza di tecniche di posatura e trattamento superficiale dei conci conferma un’attività di
maestranze qualificate sia in cava – a Sorana è presente una cava di pietra serena – che in cantiere, su
tutto il territorio della Valleriana.
20 Nella Valleriana si contano circa settanta cave dismesse, rimaste attive fino alla metà del secolo XX.
21 Per i procedimenti di calcolo cfr. Allineamenti astronomici nell’architettura medievale per il computo del tempo: le porte urbiche di Sorana, nel DVD allegato al presente volume.
22 L’archeoastronomia integra le conoscenze trigonometriche dell’astronomia sferica con l’analisi
delle evidenze archeologiche entro il contesto culturale nel quale è stato prodotto il manufatto.
23 Padre Andrea Sansoni data al 1376 circa la fondazione del borgo Paradiso, specificando come
fosse collocato fuori dalle mura edificate da poco a Sorana: tale data può essere dunque assunta quale
terminus ante quem per l’esistenza del circuito murario trecentesco (cfr. Sansoni, op. cit.).
24 La datazione del circuito murario di Sorana, effettuata sulla base della tipologia costruttiva e
delle caratteristiche degli apparati decorativi, contribuisce alla conferma degli allineamenti astrali, in
quanto nei secoli il tempo medio e l’azimut di calata del sole subiscono variazioni in seguito al mutamento dell’obliquità dell’eclittica e alla precessione, viceversa lo studio degli allineamenti astrali può
confermare la datazione del manufatto.
25 Il sole rappresenta la fonte della vita ed incarna il principio ordinatore dell’universo, regolando il
ciclo temporale del calendario e definendo, con il disegno dei suoi fasci luminosi, le dimensioni dello
spazio; il numero sette dei raggi si collega al compimento ciclico e al suo rinnovamento (i sette giorni
della settimana; i sette pianeti conosciuti nel Medioevo). Se in ambito cristiano tale simbolo assunse la
valenza dell’emblema cristologico (Cristo, il sole nuovo, che incarna la verità e la giustizia), in ambito civile divenne supporto per l’identificazione di riferimenti materici correlati al computo del tempo.
26 Il Dies Natalis Solis Invictus coincideva, per molte religioni antiche, con il giorno di nascita della
divinità: i natali di Horus, di Mitra e di Gesù Cristo cadevano tra il 21 ed il 25 dicembre.
27 Eguali riferimenti solari corrispondevano dunque nel solstizio d’estate, con l’allineamento delle
porte invertito per alba e tramonto.
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28 Non appare inconsueta per le porte di accesso ai centri murati la nomenclatura “porta Fredda”,
così come “porta del Sole” (ovvero “porta Calda”). Alcune porte urbiche col nome di porta del Sole si
annoverano a Perugia, ad Amelia (Terni), Montelparo (Fermo), Ortezzano (Ascoli Piceno), Palestrina
(Roma) e, per restare in Toscana, a Volterra (Pisa), a Trequanda e a Torrita (Siena); porta Fredda la troviamo a Laterina (Arezzo), Lu Monferrato (Alessandria); sulle mura castellane di Castiglion Fibocchi si
collocano sia una porta Fredda sia una porta del Sole; tra le dieci castella della Valleriana troviamo una
porta Calda a Vellano.
29 Nel Medioevo l’orientamento degli edifici era utile, attraverso il rapporto tra luce ombra e architettura, nel computo del tempo, sia che ci si riferisse a sistemi di ore con origine mobile ma durata costante (come quelle italiche, date dalla ripartizione del giorno in ventiquattro parti, nel cui conteggio l’inizio della giornata coincideva con il tramonto), sia che si considerassero le ore temporarie con origine
fissa ma durata variabile (il tempo del dì e della notte veniva suddiviso rispettivamente in dodici parti:
ne derivava che d’inverno, quando l’arco diurnale era minore, anche le ore del giorno erano più corte rispetto a quelle delle notte, mentre d’estate si verificava l’opposto). Ne consegue che alba e tramonto
rappresentavano, assieme alla culminazione solare, i momenti salienti dei riferimenti temporali sui quali
si imbastiva l’organizzazione delle attività lavorative.
Fig. 8 - Porta Balda
Fig. 9 - Porta Fredda
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L’ambiente urbano*
Il rilievo delle qualità ambientali della Sorana odierna è stato organizzato analizzando
il castello nelle sue componenti edilizie e urbane mediante un’opera di schedatura realizzata in situ (cfr. par. Il database delle qualità edilizie e urbane). Alla prima fanno capo tutti
gli edifici, sia “speciali” che di “base”; alla seconda fa invece riferimento il sistema dei
percorsi (di impianto, di collegamento, matrice, etc.) e dei luoghi nodali/polari (quali le
piazze). Per ognuna di queste categorie è stata poi riconosciuta l’unità minima che le costituisce1: unità minime edilizie (UME) e unità minime urbane (UMU).
Paramenti murari
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Delle 32 unità minime edilizie schedate2, corrispondenti a 92 fronti, ben 22 hanno rivelato l’uso di pietra a faccia vista3 (fig. 1). Tale materiale è usato in tutto il castello con
funzione strutturale e non come semplice finitura: fanno eccezione solamente l’UME 38,
dove un cantiere di restauro ha mostrato sotto il paramento lapideo l’esistenza di una
struttura in cemento armato tamponato in laterizio, e l’UME 15, per la quale l’analisi dei
fronti mostra finestre con architravi prefabbricati in cemento armato e luci insolitamente
grandi, tali da far supporre ad un’opera di recente costruzione in cui la pietra assolve la
funzione di mero rivestimento. In effetti si tratta, come confermato anche dalla memoria
cittadina, di un intervento databile agli anni Ottanta del secolo scorso, che ha interessato solo il primo piano dell’edificio: al piano terra si registra infatti una muratura dalla
pezzatura più grande, realizzata con elementi squadrati e lavorati a scalpello sulla pelle
esterna in modo da ottenere una superficie perfettamente piana. All’interno di quest’ultima si inserisce anche un portale coronato da un arco a sesto acuto probabilmente trecentesco. L’interrogazione del database (cfr. par. Il database delle qualità edilizie e urbane) ha poi mostrato altri elementi anomali in questo stesso edificio tra i quali preme ricordare la presenza di infissi in alluminio con apertura scorrevole (gli unici in tutta via di
S. Paolo), una porta su strada chiusa da un’inferriata con pannello di PVC estruso trasparente e l’aggetto della falda del tetto composta da tavelle in laterizio non intonacate che
denunciano una copertura in cemento armato.
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L’ambiente urbano
Per quanto riguarda il campo
“materiale”, si rileva in tutta
Sorana l’esclusivo utilizzo di
un’arenaria (per una descrizione
dettagliata del tipo lapideo cfr.
par. Aspetti geologici) di cui sono costituiti anche gli affioramenti rocciosi visibili in via di S.
Paolo ed in altre parti del paese;
è quindi lecito supporre che venisse cavata nelle immediate vicinanze dell’abitato o nel luogo
stesso di edificazione allorché si
procedeva alla regolarizzazione
dei piani di posa delle murature.
La pezzatura e l’apparecchiatura
si presentano quasi sempre disomogenee a seguito dell’estrema diversità dei conci che compongono le murature4. Per ciò
che concerne invece la lavorazione, la pietra è semplicemente
sbozzata (al fine di regolarizzare
i piani di posa) ad eccezione
della faccia “esterna” caratterizzata da un piano uniforme otte- Fig. 1 - Planimetria di Sorana con evidenziati i diversi tipi di paramento
nuto mediante scalpellatura o murario: in rosso le UME con pietra faccia vista e in arancione le UME
subbiatura. L’irregolarità di que- con finitura ad intonaco
ste murature si interrompe sempre in corrispondenza degli angoli dei fabbricati, che sono solitamente realizzati in conci
perfettamente squadrati e di dimensioni maggiori rispetto ai paramenti che ammorsano.
Apparecchiature di qualità superiore a quelle utilizzate per le abitazioni si ritrovano invece
negli edifici speciali: la muratura della chiesa dei SS. Pietro e Paolo, ad esempio, è composta da conci con piani di posa paralleli e disposti in filari uniformi; la muratura perimetrale
dell’antica rocca in via di S. Paolo, sul lato a monte, è anch’essa qualificata da filari regolari come la torre in prossimità della chiesa; la muratura dell’UME 15, infine, presenta una
perfetta squadratura dei conci e un’ottima lavorazione superficiale degli stessi.
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Capitolo II - Il castello di Sorana
Altra informazione di un certo rilievo desunta dalla lettura dei dati archiviati riguarda
le listature in laterizio, che compaiono in solo 4 delle unità analizzate. Ricordando che
questo tipo di listature era spesso utilizzato nelle ricostruzioni successive ai crolli causati
da eventi sismici5, è lecito supporre che molto del patrimonio edilizio sia sopravvissuto a
quelle calamità in virtù della buona qualità di esecuzione delle murature stesse. A tal
proposito basti ricordare che, al contrario, nel vicino castello di Aramo vi sono listature in
laterizio in circa il 60% delle sue murature, a dimostrazione di consistenti ricostruzioni
praticate in seguito a crolli.
L’utilizzo in Sorana degli intonaci è decisamente limitato. Nel campione studiato, essi
compaiono nei fronti delle 10 UME indicate in fig. 1: dalla semplice osservazione della
planimetria si evince come questi edifici si concentrino nei borghi esterni alle cerchie
murarie, alternandosi a edifici in muratura a faccia vista. Al contrario, l’aspetto generale
dell’edilizia interna alla prima cerchia è quasi esclusivamente lapideo, mentre all’interno
della seconda cerchia muraria sono intonacate le UME 9, 16, 18. Tratto comune a queste
superfici è quello di avere una parte basamentale con aspetto scabro (malta semplicemente “schizzata” senza successiva “frattazzatura”) o con scanalature a simulare un paramento lapideo. Sopra questo primo livello colorato in grigio, troviamo invece superfici
intonacate dall’aspetto liscio, pitturate con colori chiari. A livello cromatico si registra
ampia diffusione del bianco (7 UME su 10), ma troviamo anche il giallo (3 UME su 10) e
un rosso sangue nella parte basamentale dell’UME 28. Singolare il caso dell’UME 34,
che presenta delle lesene scanalate grigie e cornici marcapiano, a ricreare un ordine architettonico di respiro neoclassico.
Per ciò che concerne il degrado, le superfici si presentano generalmente in buono stato di conservazione, anche se non mancano alcuni fenomeni di alterazione cromatica diffusa (UME 22 e 9) dovuti ad umidità o semplice invecchiamento della verniciatura e
quadri lesivi di fessurazione e distacco, ma sempre di dimensioni modeste. Questa scarsa
diffusione del degrado (riscontrabile anche nelle murature, che vengono in molti casi
stuccate nei giunti per prevenire infiltrazioni di acqua e disgregazione degli elementi) è
da attribuire al fatto che molti degli edifici di Sorana sembrano abitati in modo stabile o
almeno stagionale6. Diverso è invece lo stato di conservazione degli edifici di culto (chiesa dei SS. Pietro e Paolo con annessa sacrestia e centro parrocchiale, oratorio dei S.
Giuseppe) nonché della torre.
Aperture
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Le aperture contribuiscono, con la loro dimensione e fisionomia, a connotare l’ambiente costruito conferendo ritmo e misura all’edificato: attraverso l’alternanza di “pie-
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L’ambiente urbano
ni” e “vuoti” il disegno dei fronti urbani
acquista consistenza e leggibilità divenendo così contesto architettonico. Porte,
finestre, areazioni ed ogni tipo di discontinuità praticata nella cortina muraria sono state analizzate con una particolare
attenzione alla identificazione delle tipologie ricorrenti nel castello (operazione
condotta leggendo e interpretando i dati
relativi alle 160 aperture schedate)7.
Dalla lettura è emerso che, per quanto
riguarda le finestre dell’edilizia di base, il
rapporto tipico tra altezza e larghezza è
di 3:28, con valori dimensionali piuttosto
limitati (media di larghezza in via di S.
Paolo valutabile attorno ai 75 cm) che
sono ovviamente dettati da ragioni climatiche e rappresentano valori tipici in
tutti i castelli della Valleriana. Strutturalmente, gli stipiti e gli architravi delle finestre sono quasi esclusivamente realizzati in pezzi unici di pietra arenaria locale della stessa varietà utilizzata nelle muFig. 2 - Abaco di riferimento per la schedatura del campo
rature. Gli architravi sono talvolta così “forma apertura”
sottili da rendere necessaria, per motivi
di ordine statico, la realizzazione di archi
di scarico ribassati inclusi nella muratura (cosiddetti sordini, spesso costruiti anche in
forma triangolare in laterizio come in fig. 3). Gli infissi sono solitamente a due battenti
e sono realizzati in legno, anche nei casi in cui si è resa necessaria la loro sostituzione,
il che denota una particolare attenzione all’utilizzo dei materiali tipici dell’edilizia storica da parte degli abitanti di Sorana9.
Nelle porte di accesso alle unità immobiliari la forma dominante è quella rettangolare, ma compaiono anche aperture coronate da archi in pietra realizzati in più conci
(UME 17 e 14, di probabile derivazione medioevale) o in tre pezzi scolpiti (UME 25 e
15, verosimilmente inserimenti in murature preesistenti). La larghezza di queste aperture, come per le finestre, è piuttosto contenuta e raramente supera il metro lineare. Per
quanto riguarda i materiali, i portoni sono quasi esclusivamente in legno, fatta esclusio189
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Capitolo II - Il castello di Sorana
ne per alcune porte secondarie in lamiera di
ferro o alluminio anodizzato con luci in vetro (UME 17).
Pavimentazioni
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Le qualità ambientali10 rilevate analizzando le unità minime urbane interessano
gli aspetti relativi al materiale delle pavimentazioni (con annesse informazioni di degrado), gli elementi di arredo urbano e l’insieme articolato di componenti impiantistiche deducibili dalla presenza di chiusini
stradali o linee aeree.
I dati relativi al manto stradale mostrano
che il campione maggiormente diffuso di pavimentazione è composto da elementi
Fig. 3 - Una finestra dell’unità minima n° 27
lapidei11 di forma rettangolare con pezzatura
estremamente disomogenea (il lato minore
generalmente di 30 cm circa ed il maggiore fortemente variabile12) disposti in filari paralleli
messi in opera ortogonalmente all’asse della strada. I giunti, sfalsati da corso a corso, hanno profilo irregolare a causa dell’usura degli elementi lapidei, e frequentemente in essi si
sviluppano muschi o vegetazione dovuti all’accumulo di terra. In corrispondenza dei chiusini, sempre realizzati in ghisa (fognatura comunale – adduzione acqua – energia elettrica) o
in pietra (vecchi condotti fognari – griglie di scolo per l’acqua piovana13), si registra la presenza di stuccature in malta cementizia, spesso anche impiegata per risolvere situazioni di
dissesto o per prevenire la formazione di erba e vegetazione dove i giunti si fanno più ampi
e profondi. La superficie dei conci è sostanzialmente in buono stato e si presenta priva di
fenomeni estesi di disgregazione o esfoliazione. Il trattamento superficiale di scalpellatura
è ancora ben visibile, ad indicare l’età relativamente giovane della pavimentazione, mentre
frequenti sono le fratture, causate probabilmente dallo spessore limitato dell’apparecchiatura lapidea o da semplici eventi accidentali succedutisi nel tempo. Questo tipo di pavimentazione, che sembra sviluppata sulle basi di un progetto unitario, è presente alle UMU
1, 2, 3, 4 (solo in parte), 6 e 7, che corrispondono a piazza San Pietro, via S. Paolo e via di
Nocetta, cioè i luoghi a maggior frequentazione pubblica.
Per gli altri percorsi, quelli cioè più periferici, la situazione cambia in modo radicale e
si registrano casi molto diversificati il cui dato comune è quello di presentare forti feno-
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L’ambiente urbano
meni di degrado. Ad esempio l’UMU 4, nel tratto in salita verso la porta della rocca, ha
una pavimentazione più antica di quella prima descritta, composta dallo stesso tipo lapideo, ma realizzata in conci di pezzatura disomogenea ed irregolare. Troviamo poi evidenti segni di dissesto ed ampie parti stuccate in malta cementizia, nonché una totale assenza di lavorazione superficiale antiscivolo, consunta dal tempo e dall’uso. L’immagine
di fig. 4 mostra assieme le due pavimentazioni: sulla sinistra quella più recente, geometrica ed in buono stato; sulla destra il tipo più antico e rovinato.
La situazione peggiora poi in via della Rocca (UMU 5), dove troviamo un lastricato
ancora più degradato con conci fratturati ed esfoliati. Sono presenti ampi settori completamente stuccati e in alcune aree la pavimentazione lapidea lascia il posto ad erba o
ad ampie zone esclusivamente in conglomerato cementizio. Situazioni simili a quelle
descritte sono riscontrabili anche alle UMU 8, 14 e 9 (dove la pietra è sostituita da un
manto in asfalto anch’esso in stato di forte degrado).
Fig. 4 - Pavimentazione dell’unità minima urbana n° 4
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Capitolo II - Il castello di Sorana
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Fig. 5 - Paramento in pietra locale
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L’ambiente urbano
NOTE
* Dal contributo originario di Duccio Troiano e Massimo Zucconi.
1 Il criterio identificativo delle unità minime discende di volta in volta dall’analisi dei caratteri propri dell’oggetto in esame. L’individuazione delle unità minime, che non coincide necessariamente con le
particelle catastali, ha richiesto un’analisi preventiva del contesto alla ricerca dei caratteri dominanti
che possano far definire unitaria una determinata porzione edilizia o di strada.
2 Cfr. par. Il database delle qualità edilizie e urbane.
3 Le murature sono state schedate mediante la compilazione dei seguenti campi: “materiale” (per
il quale il rilevatore ha specificato il tipo lapideo utilizzato), “pezzatura” (scelta chiusa tra “omogenea”
e “disomogenea”), “apparecchiatura” (scelta chiusa tra “corsi regolari”, “irregolari” e “disomogenea”), “lavorazione di forma” (scelta chiusa tra “spacco faccia esterna”, “sbozzatura della sola faccia
esterna”, “sbozzatura faccia esterna e piani di posa orizzontali”, “sbozzatura di tutte le facce”, “squadratura completa”) e “lavorazione di superficie” (scelta chiusa tra “nessuna”, “liscia”, “scalpellata”).
4 Per la pezzatura si registra 77,5% disomogenea e 22,5% omogenea. Per l’apparecchiatura
38,46% a corsi irregolari, 48,71% disomogenea, 12,82% a corsi regolari. Il campione fa riferimento all’edilizia di base.
5 Queste avevano il compito di creare, nel contesto di apparecchiature murarie estremamente variegate e disomogenee, piani perfettamente orizzontali e continui al fine di ottenere un’omogenea distribuzione dei carichi e un miglioramento globale del comportamento della muratura in caso di sollecitazioni sismiche.
6 Dai rilievi effettuati circa il 75% delle abitazioni sembra essere utilizzato in modo continuativo.
7 Da un punto di vista tecnico, le qualità rilevate hanno attinenza sia alla forma delle aperture
(schedata nel database secondo le tipologie indicate nell’abaco di fig. 2) sia alla loro struttura, suddivisa in “verticale” (stipiti) e “superiore” (arco, piattabanda, architrave). Sono state analizzate anche le
chiusure, sia trasparenti (infissi con vetro) che opache (porte, persiane, sportelli), descrivendone i materiali impiegati, le qualità cromatiche ed il degrado.
8 Sono state rilevate solamente 8 finestre quadrate (UME 33, 31, 36, 15, e 14).
9 Anche le persiane, presenti in circa il 60% delle aperture rilevate, sono quasi esclusivamente in
legno verniciato in verde scuro.
10 Le informazioni relative alle qualità ambientali dei percorsi urbani di Sorana sono state organizzate in un database separato rispetto a quello delle qualità edilizie finora analizzato. La relazione tra
questi due insiemi avviene mediante quello che in informatica si definisce “collegamento esterno”:
questa divisione risulta quindi solo nella fase operativa di digitalizzazione dei dati registrati su sopporto
cartaceo, mentre nella fase di consultazione dei medesimi è possibile stabilire interrogazioni trasversali
dei due sistemi di informazioni (urbano ed edilizio). Si potrebbe, ad esempio, analizzare lo stato di conservazione dei fronti edilizi su una determinata unità minima urbana e il degrado delle pavimentazioni
della medesima al fine di ottenere un quadro complessivo dello stato dei luoghi.
11 Si tratta di un’arenaria di colore grigio simile a quella delle murature verticali. Si registra anche
l’uso di altri materiali come il laterizio (UMU 2) e il porfido (UMU 3) che sono impiegati in piazzole private connesse alla viabilità pubblica. Presente anche l’asfalto che dalla viabilità extraurbana si insinua
fino in piazza San Pietro.
12 Minimi intorno ai 15 cm e massimi di circa 1 m lineare.
13 Tra le UMU schedate solo la 2-3-6-7 mostrano la presenza di griglie di raccolta acque piovane. Si
tratta di episodi isolati presumibilmente non integrati in una rete di smaltimento delle acque meteoriche.
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione
e la gestione dei dati
Il rilievo integrato: metodi e strumenti*
Il rilevamento di un manufatto, a qualunque scala esso appartenga, e la restituzione
(digitale o cartacea) delle sue caratteristiche geometriche, dimensionali e morfologiche
secondo parametri codificati e condivisi, costituiscono di fatto la conditio sine qua non
per intraprendere tutti quegli studi che hanno come finalità la comprensione di un determinato luogo in uno specifico momento storico.
Mentre il rilievo tradizionale, prima della sua evoluzione digitale, richiedeva una scrupolosa pianificazione delle operazioni di misurazione tesa a discretizzare preliminarmente le geometrie degli oggetti (con inevitabili semplificazioni) per poter acquisire il reale
mediante procedure elementari (talvolta ingegnose) ma inevitabilmente estese nel tempo, le attuali tecnologie permettono di trasporre l’esistente in un modello controllabile,
visualizzabile e interrogabile in tempi molto brevi.
In questi ultimi dieci anni, il significativo progresso nell’ambito delle strumentazioni di
misurazione, infatti, ha posto una sfida concreta, quella cioè di trasferire i vantaggi del processo tradizionale (il “contatto” diretto tra manufatto e operatore che consente a quest’ultimo, in virtù della natura del rilievo effettuato, di comprendere a fondo l’essenza degli oggetti indagati) nelle attuali procedure di rilievo digitale parzialmente automatizzato.
Nel contesto “ampliato” in cui si muove il rilievo digitale, infine, la natura stessa delle
informazioni raccolte induce a sviluppare strumenti “trasversali” di gestione e analisi del
dato (ad oggi non esistono soluzioni “pronte all’uso”) che necessitano a loro volta di
studi e sperimentazioni atte a fare sì che il bene culturale venga gestito prima ancora
che rappresentato.
La struttura del rilievo adottato per Sorana
Con il termine “rilievo integrato” si indica comunemente, nell’ambito delle discipline
legate ai beni culturali, quell’insieme di operazioni di misurazione attuate attraverso
molteplici strumentazioni, diverse nelle tecnologie ma accomunate in prima istanza dallo
stesso scopo di documentare il bene, tanto nelle forme geometriche che nelle dimensioni, cercando, a partire da queste ultime, di dare una risposta alle finalità per le quali l’o-
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati
Fig. 1 - Vista assonometrica del modello “a nuvola di punti” in toni di grigio del versante meridionale
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perazione è stata eseguita.
Nella campagna di rilievo condotta a Sorana sono state impiegate un’unità laserscan
con tecnologia a variazione di fase e una stazione topografica. Le singole scansioni eseguite con la prima apparecchiatura sono state, infatti, ricomposte tra loro sulla base di
una rete topografica, che ha costituito inoltre un valido supporto a tutte le altre forme di
rilevamento, come quello realizzato con metodo “diretto” su alcune parti dell’insediamento (ad esempio gli altari della chiesa dei SS. Pietro e Paolo).
La logica alla base dell’intero processo è relativamente semplice: l’unità laserscan rileva con una procedura semiautomatica ciò che le si trova attorno entro una sfera di ottanta metri di raggio; la qualità e la quantità dei dati – il livello di accuratezza (la precisione con cui ogni singolo punto raggiunto dal segnale del laser viene misurato) e la
portata dello strumento (la distanza massima che il segnale del laser può raggiungere) –
dipendono invece dai valori impostati dall’operatore e sono scelti secondo le caratteristiche tecnologiche dello strumento.
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Il rilievo integrato: metodi e strumenti
Fig. 2 - Vista assonometrica del modello “a nuvola di punti” in toni di grigio del versante orientale
Nel modello tridimensionale digitale – creato mano a mano che il segnale del laserscan entra in contatto con degli “ostacoli” quali pareti, tetti, volte, archi, porte e finestre
– le entità misurate non sono rappresentate da elementi continui, ma descritte da grandi
insiemi di punti (modelli a “nuvola di punti” o pointcloud), identificati da una terna di
coordinate, descritti da un valore cromatico dovuto alla quantità di segnale riflesso misurato (valore di riflettanza) e caratterizzati da un numero di punti che varia in base alle
scelte dell’operatore. Il modello ottenuto da una singola scansione avrà tuttavia una propria autonomia: un centro e un orientamento definito da una terna cartesiana con lo zero posto nell’unità laserscan. Questo fatto pone ovviamente il problema di come ricomporre in maniera organica tutte le scansioni tra di loro e per superarlo è necessario operare sia durante il rilevamento che nella successiva fase di “messa a registro dei dati”. Al
momento della misurazione, infatti, viene applicato nell’area di scansione un certo numero (sufficiente a permettere successivamente la corretta “messa a registro” dei punti)
di elementi di misura nota e di indubbia riconoscibilità, detti comunemente target (ovve-
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati
ro bersagli). Nel caso di un rilievo privo di supporto topografico, per ogni scansione eseguita dovranno essere presenti un numero minimo di tre target comuni con la scansione
successiva e altrettanti con quella precedente; qualora si disponga invece di tale “appoggio” saranno necessari soli tre target per ogni scansione (gli stessi rilevati nella campagna topografica). Questa seconda condizione, ovviamente preferibile alla prima, è stata adottata nel caso di Sorana, al fine di agevolare le successive operazioni di “messa a
registro”. Il numero indicato di tre target è da intendersi, ovviamente, come valore minimo per ottenere l’allineamento di due elementi tridimensionali; un numero maggiore di
mire è comunque auspicabile, in modo da evitare che la presenza di un errore, anche minimo, delle coordinate di questi importanti punti di riferimento, porti ad un’errata rototraslazione di una parte del modello. Soltanto per una scansione è stato necessario posizionare dei target “via software”, basandosi cioè sugli elementi geometrici presenti nella
scansione in oggetto e comuni a quelle già “referenziate” (si trattava, infatti, di una presa eseguita da significativa distanza e in condizioni limite per le caratteristiche della strumentazione impiegata).
Specifiche delle strumentazioni utilizzate
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Il rilievo del castello di Sorana è stato eseguito utilizzando un’unità laserscan Faro
Photon 8080, un’apparecchiatura panoramica capace di misurare qualunque elemento
presente nel suo intorno secondo un angolo giro sull’orizzontale e un angolo di trecentoventi gradi sulla verticale, con portata fino ad ottanta metri. Questo
strumento è basato su tecnologia a
variazione di fase (phase shift technology): il laser è, infatti, continuamente acceso ed emette un segnale
che, raggiunto un ostacolo, viene riflettuto verso la sua sorgente (lo
scanner), la quale confronta quello di
ritorno con quello emesso (nello specifico paragona la variazione tra la
fase del segnale emesso e quello riflesso; sulla base di questa differenza
calcola la distanza del punto individuato). La semplice misura degli anFig. 3 - Scanner laser Faro 8080 implementato
con tecnologia Photon
goli orizzontali e verticali permette
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Il rilievo integrato: metodi e strumenti
allo scanner di collocare immediatamente in uno
spazio tridimensionale il punto raggiunto. Il processo è estremamente rapido: il sistema impiegato
consente di misurare anche un milione di punti al
secondo con un’accuratezza che, a venticinque metri di distanza, si aggira intorno ai due millimetri
(un errore maggiore si ha all’aumentare della distanza, rimanendo però sempre entro i cinque millimetri).
Lo strumento utilizzato per la realizzazione della
rete di punti “rada”, utile a comporre tutte le scansioni tra di loro in un unico modello, è l’unità topografica Leica TPS di tipo no prism in uso presso il
laboratorio di rilievo del Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della Facoltà di
Architettura di Firenze. Anche questa apparecchiatura utilizza un laser per le misurazioni, ma non automatizzato e ben visibile1 per consentire il puntamento manuale che la procedura richiede.
L’estrema accuratezza della stazione totale e la pe- Fig. 4 - Stazione totale Leica TPS di tipo no prism
rizia con cui è stata pianificata e gestita la complessiva campagna topografica hanno permesso di ottenere un modello di elevata precisione, privo di errori degni di nota nella ricomposizione delle singole scansioni.
Specifiche del dato acquisito
Le condizioni operative di Sorana – insediamento che presenta strade strette, edifici
di altezza contenuta e materiali dalle caratteristiche piuttosto omogenee – hanno fatto
ritenere opportuna la scelta di una griglia di scansione (ovvero di una densità dei punti)
settata in maniera costante ma che permettesse di ottenere al tempo stesso un elevato
livello di dettagli ed un ragionevole contenimento della quantità di dati raccolti, evitando
così un eccesso di misurazioni che avrebbe reso più difficoltosa sia la gestione del progetto di rilievo, sia le procedure di trattamento del dato. La maggior parte del castello è
stata rilevata con una maglia di circa un punto per ogni centimetro quadrato di superficie raggiunto dal segnale (il passo di scansione è stato tenuto intorno al valore di 1/5,
talvolta di 1/4), con valori di maggior densità nelle aree immediatamente prossime alla
posizione dell’unità laserscan. Come è naturale nelle procedure di scansione laser, il va-
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati
lore di riflettanza di ogni punto rilevato ha attribuito una parvenza “da fotografia in
bianco e nero” al modello costituito dalla nuvola di punti; pur trattandosi di un dato limitato per la descrizione cromatica del complesso, questo risulta comunque sufficiente
per la lettura e l’interpretazione dei paramenti murari e la comprensione delle parti rilevate, rendendo il modello complessivo di facile consultazione.
Il dato risultante dalle scansioni, per quanto preciso, risente però dei noti limiti di visualizzazione dovuti più ad un fattore percettivo che non ad una concreta esiguità del dato
stesso. Il modello basato su nuvola di punti, infatti, è per sua caratteristica “trasparente”,
in quanto composto da elementi non continui, e si presenta all’utente come una rappresentazione assolutamente corrispondente alle forme geometriche dei manufatti, ma lontana dal reale percepito. Le operazioni per creare un modello tridimensionale che superi questo divario richiedono inevitabilmente una semplificazione delle informazioni, una loro
schematizzazione ed ottimizzazione finalizzata a rendere possibile la trasformazione dalla
“nuvola di punti” alla mesh, maggiormente fruibile e percettivamente più vicina al vero.
Il dato acquisito a Sorana ammonta complessivamente a circa ottocento milioni di
punti, una quantità ingente di informazioni ottenute da settantadue postazioni prevalentemente situate al livello stradale nell’arco di tre sole giornate, con una copertura elevatissima di tutti i fronti degli edifici presenti nel paese.
Struttura del trattamento del dato
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Successivamente alla campagna di rilievo laserscan e a quella di rilievo topografico
dei target sono state avviate le procedure di “messa a registro” delle singole scansioni2.
In questa fase ha avuto luogo un vero e proprio workshop con gli allievi dei corsi di
Rilievo dell’Architettura e Rilievo Urbano e Ambientale che hanno ricevuto interi set di
scansioni per potersi esercitare in questa operazione. Seguendo una serie di lezioni specifiche, i gruppi di lavoro formati dagli studenti coadiuvati da tutors sono riusciti nell’arco di pochi giorni a ricomporre l’intero modello. In questa fase è stata fondamentale la
presenza di una rete topografica di appoggio solida ed affidabile; avendo infatti tutti i
gruppi lo stesso sistema di coordinate a cui dover ascrivere il proprio insieme di scansioni, è stato possibile, di fatto, generare in un unico passaggio il modello complessivo nel
corretto sistema di riferimento. Le successive operazioni di verifica, controllo e integrazione, condotte dal gruppo di ricerca, hanno consolidato la struttura del modello, raffinandolo e risolvendo alcune problematiche che solo la “messa a registro” complessiva
poteva consentire.
Da questa prima versione del modello (FLS) ne sono state sviluppate altre quattro in
formati diversi, pensate per usi e funzioni differenti: per prima cosa è stata prodotta una
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Il rilievo integrato: metodi e strumenti
versione in formato PTX3, fondamentale per le operazioni di importazione verso altre applicazioni di gestione dei dati del rilievo e per l’archiviazione a lungo termine del dato
raccolto4. Successivamente, a partire dai file PTX sono state prodotte le versioni per l’uso
in JRC Reconstructor, Leica Cyclone e Pointools Viewer. Tale scelta è legata all’ottenimento di una più immediata corrispondenza tra le diverse competenze dei vari operatori e
l’ampia gamma di richieste che venivano dai molteplici ambiti coinvolti nella ricerca (architettonico, archeologico, storico, paesaggistico, geologico): per consentire l’integrazione del modello con il database delle informazioni raccolte e realizzare un trattamento
avanzato dei dati di tipo pointcloud è stato scelto JRC Reconstructor; per un approccio di
tipo “convenzionale” più vicino alle procedure CAD tradizionali si è optato per Leica
Cyclone (utilizzato prevalentemente per l’estrazione di elementi bidimensionali e tridimensionali e al loro successivo passaggio verso applicazioni CAD e software di modellazione che utilizzano formati diversi da quello dall’applicazione originale); in ultimo, per
poter disporre di un modello di rapida consultabilità, gestito con un programma liberamente distribuibile e di facile apprendimento anche per utenti non specializzati, è stato
preferito Pointools Viewer.
Risultati ottenuti e prospettive di sviluppo
Il rilievo complessivo del castello di Sorana fornisce un’immagine tridimensionale dell’insediamento al maggio 2009; un documento importante non solo per la completezza
delle informazioni, ma per il valore testimoniale che riveste.
Questa immagine dell’abitato, infatti, potrà essere nel tempo agevolmente messa a
confronto con quella desunta da successive scansioni o nuovi elaborati, anch’essi tridimensionali, al fine di rendere maggiormente efficaci le operazioni di controllo e di monitoraggio che oggi risultano quanto mai necessarie per la tutela dell’abitato e la programmazione di interventi futuri.
La scelta di sviluppare tre modelli gestiti da distinti gruppi di lavoro, orientati a finalità e approcci differenti, ha permesso di conseguire in tempi rapidi risultati diversi: lo
sviluppo del dato in Pointools Viewer ha come scopo principale la visualizzazione e la
presa di misure diretta sul modello 3D, una sorta di soluzione di primo accesso (entry level) che consente di consultare ed utilizzare una versione “portabile” del borgo ad altissima complessità attraverso un visualizzatore gratuito, tecnologicamente evoluto e direttamente scaricabile dalla rete internet; la scelta di lavorare in ambiente Leica Cyclone,
oltre a consentire la realizzazione di un modello point cloud a piena risoluzione (senza
alcuna semplificazione) ha permesso agli operatori esperti nell’uso di questo software di
lavorare direttamente sulle nuvole; l’elaborazione in un programma evoluto come JRC
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati
Reconstructor, strumento chiave dell’intero progetto, è servita per integrare le funzioni di
database proprie del software con la possibilità di gestire visualizzazioni bidimensionali
del castello contenenti dati tridimensionali (forme di metafile evoluto).
La logica di lavoro generale è stata pertanto orientata alla produzione di un sistema
informatizzato, editabile e continuamente aggiornabile, in grado di modellare, rappresentare e soprattutto amministrare il patrimonio edilizio. La struttura “aperta” data all’intera gestione dati consentirà, infatti, un continuo adeguamento dei contenuti del sistema che lega database e modello tridimensionale, che potrà essere condotto con un
insieme di software commerciali meno soggetti alla rapida obsolescenza e passibili di interessanti migliorie nell’ergonomia complessiva del progetto.
NOTE
* Dal contributo originario di Giorgio Verdiani.
1 Il segnale del laserscan Faro, operando nel campo dell’infrarosso, è di fatto invisibile anche in
condizioni di scarsa luminosità.
2 Tutte le operazioni di messa a registro sono state eseguite con il software Cam2 Faro Scene, il
programma propriamente sviluppato per la gestione del laserscan Faro Photon e per le operazioni di
trattamento dei dati da questo derivati.
3 Il formato PTX è un formato testuale che esprime ogni singolo punto di una nuvola secondo una
terna di coordinate XYZ. Per ognuno di questi punti viene salvato anche un valore cromatico, espresso anch’esso con dati numerici secondo la codifica della sintesi additiva RGB (Red, Green, Blu ovvero Rosso,
Verde e Blu). Oltre a queste informazioni nella parte iniziale del file PTX vi è una matrice di rototraslazione; il file è espresso in forma testuale e quindi facilmente importabile da una qualunque applicazione.
4 Si ritiene, infatti, che il salvataggio del patrimonio di informazioni raccolte, per aver maggior possibilità di essere trasmesso nel tempo, debba essere conservato non solo nei formati “proprietari” dei
singoli programmi utilizzati – che presentano forti rischi di obsolescenza – ma anche in formati “di
scambio” a “bassa complessità”, in modo da poter aver accesso al dato anche dopo tempi molto lunghi
(oltre i vent’anni dall’archiviazione) anche nel caso di mancato aggiornamento della versione originale.
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La rappresentazione del castello*
“Non conosco carriera nella quale il disegno non sia utile, se non assolutamente necessario,
per questa semplicissima ragione, che il disegno insegna a vedere giusto, a ricordarsi di quello che
si è visto e a dare un corpo al pensiero”1.
Molte tra le ricerche in atto nell’ambito disciplinare del rilievo e del disegno dell’architettura e del territorio hanno lo scopo di indagare, approfondire e sviluppare le tecniche
per la costruzione di modelli tridimensionali metricamente corretti di luoghi e oggetti. Lo
spazio virtuale diviene non solo elemento di conoscenza della fisicità della città e delle sue
architetture, ma anche un “contenitore” multi-scalare per la loro catalogazione e la classificazione, rivelandosi infine un insostituibile mezzo per la salvaguardia ed il controllo progettuale.
Il modello di Sorana si colloca all’interno di quelle attività sperimentali che si prefiggono lo scopo essenziale di definire, attraverso i più recenti strumenti informatici, dei
protocolli procedurali per il rilievo e la gestione dei dati e di ricercare, nell’ambito della
documentazione dei beni culturali, dei metodi di rappresentazione e di comunicazione
della conoscenza alternativi o complementari a quelli tradizionali.
Sorana 3d e la sua forma
La ricostruzione tridimensionale digitale del borgo di Sorana nasce dalla volontà di
realizzare un modello2 capace di restituire i principali caratteri morfologici e urbano-ambientali dell’insediamento. Creare uno spazio virtuale e dinamico entro cui collocare la fisicità dell’assieme urbano amplia le prospettive della lettura dei processi di trasformazione della città, tradizionalmente eseguita mediante le rappresentazioni planimetriche dei
tessuti urbani, e facilita la comprensione delle regole fondamentali che ne hanno regolato lo sviluppo. Il modello digitale, inoltre, diviene dinamico nella misura in cui manifesta
la massima flessibilità gestionale, ossia la capacità di essere aggiornato, approfondito,
modificato ed ampliato nel tempo da diversi attori attraverso l’apporto di contributi multidisciplinari.
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati
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Precedenti esperienze hanno consentito di sperimentare la possibilità di strutturare
un sistema informativo a scala urbana a partire da un modello virtuale geometricamente
e dimensionalmente affidabile, mediante il quale indagare gli attributi qualitativi e quantitativi degli edifici (“pieni”) e dell’ambiente urbano nel quale sono inseriti (“vuoti”).
Nel caso della riproduzione di “Sorana 3D” prevale l’intenzione di evidenziare attraverso il disegno la sua forma urbis, privilegiando gli aspetti più intimamente legati alla
dimensione dello spazio fisico, alle caratteristiche tipologiche, formali e dimensionali degli edifici, alle relazioni reciproche tra gli elementi monumentali della città, senza rinunciare alla qualità metrica degli stessi, anzi sfruttando la perfezione dei dati acquisiti dal
rilievo integrato e soprattutto di quelli desunti dai laserscan.
Per raggiungere tali obiettivi si è reso necessario definire l’iter operativo, dall’acquisizione dei dati alla loro restituzione 3D e 2D (i disegni bidimensionali estrapolati dal modello costituiscono l’ultimo atto del processo narrativo dell’evoluzione diacronica della
forma urbana), stabilendo vantaggi e limiti di una tale operazione.
Lo sviluppo descrittivo della modellazione si basa sulla stretta correlazione tra rilievo
diretto, topografico e laserscan (i dati dimensionali che derivano da questi ultimi sono
assai precisi se riferiti alle tecniche tradizionali di rilevazione urbana), oltre all’utilizzo dei
materiali cartografici “classici” (CTR 1:2.000, aerofotogrammetrie 1:10.000 e cospicue
campagne fotografiche “da terra” rivolte all’approfondimento di singoli elementi architettonici ed ambientali).
Un’operazione come quella appena descritta comporta almeno due ordini di problemi: da un lato quello relativo ai modi di rappresentazione della complessità del “sistema
città” utilizzando gli appropriati codici grafici della scienza della rappresentazione architettonica e urbana; dall’altro la necessità di riconoscere ed evidenziare la struttura geometrica sottesa alle forme fisiche mediante il disegno.
Lo sviluppo delle tecnologie informatiche nel campo del disegno assistito C.A.A.D.
(Computer Aided Architectural Design), della Computer Graphics e più specificamente
della modellazione tridimensionale e dei G.I.S. (Geographical Information System) rendono possibili forme di rappresentazione e di gestione dei dati alternative a quelle analogiche tradizionali. Tali elaborazioni, se condotte secondo criteri scientifici e con chiare finalità, possono integrare e potenziare le capacità di un “sistema informativo territoriale”
istituendo un nuovo “sistema” che potremmo definire “informativo urbano” in cui il modello tridimensionale diviene l’elemento principale al quale associare ogni informazione
sulla città stessa.
Il modello di Sorana si configura, dunque, come potenziale strumento di catalogazione e classificazione degli elementi costitutivi del castello e diviene un utile palinsesto per
una lettura puntuale della stratificazione urbana a compendio delle tradizionali rappre-
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La rappresentazione del castello
sentazioni planivolumetriche e in continuità con i modelli tridimensionali territoriali già
esistenti.
In Italia esperienze di modellazione digitale urbana condotte con un approccio scientifico3 si sono dimostrate particolarmente efficaci sia in termini di sintesi analitica della
forma che di versatilità comunicativa4.
Differentemente dalla maquette tradizionale il dato digitale si distingue per la sua
precisione geometrica, la dinamicità e l’interattività; esso può inoltre divenire un plastico
fisico attraverso gli ormai raffinati processi meccanici legati alla prototipazione o stampa
tridimensionale.
La lettura della città, in pianta e in alzato, realizza un sistema conoscitivo a “doppio
registro” visivo, rigoroso e ricco di dati accessibili. Nella pianta vengono descritte le caratteristiche strutturali dell’edificato, attraverso la sezione generale al piano terreno; la
rappresentazione assonometrica e/o prospettica indaga, diversamente, i rapporti proporzionali tra gli edifici, le loro differenze tipologiche, rivela le logiche dei rapporti tra spazi
pubblici e privati, analizza le svariate implicazioni percettive, oltre ad evidenziare con
estrema chiarezza i caratteri specialistici delle architetture monumentali.
Il modello 3D di Sorana illustra, in un primo grado di approssimazione, gli edifici nella
loro articolazione volumetrica e analizza la tipologia delle strutture oltre alla geometria
dei vuoti urbani (fig. 1). Il maggiore approfondimento descrittivo – che interessa principalmente le caratteristiche morfologiche e stilistiche delle emergenze monumentali – viene
ricercato mediante gradi di definizione sempre più dettagliati che tendono ad esplicitare
particolari sezioni architettoniche e urbane estratte dalle nuvole di punti (fig. 2).
Fig. 1 - Modello solido reinterpretato. Vedute di via San Paolo nei pressi della torre campanaria
e della chiesa dei SS. Pietro e Paolo
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati
I modelli digitali di Sorana
La notevole quantità di informazioni acquisite mediante laserscan non consente direttamente la costruzione di un modello
geometrico complessivo e sintetico della
città. Le nuvole di punti, assolutamente aderenti alla geometria delle forme reali, solo
dopo essere state opportunamente filtrate
(discretizzate) servono in prima istanza da
supporto matematico per la generazione
delle superfici dei corpi edilizi e dei piani
stradali. Il processo di conversione dei milioni di punti (point cloud) distribuiti nello spazio virtuale in superfici (mesh oppure
Fig. 2 - Modello solido mappato dell’oratorio di San Giuseppe
NURBS) pone dei problemi insiti in questa
tecnica di rilevamento digitale5. La totalità
degli oggetti indifferenziati rilevati all’interno delle scena urbana rende infatti difficoltosa
una loro selezione e classificazione se non a seguito di un lavoro di scrupolosa interpretazione degli elementi tesa a privilegiare la sostanza architettonica del costruito. Le quinte
edilizie divengono così gli elementi essenziali nella definizione dei pieni dello spazio urbano così come le variegate superfici del terreno risultano determinanti per un corretto ridisegno dell’andamento geometrico del piano d’appoggio della città.
Il passaggio dalla nuvola di punti alla sua rappresentazione sintetica mediata dalla riproduzione virtuale da essa derivata, pone comunque problemi di adesione alla realtà6. La
costruzione del modello digitale, pertanto, deve essere condotta conoscendo a priori quali
sono le finalità dettate dalla ricerca scientifica, in modo da far sì che le rappresentazioni
infografiche si rivelino congeniali alle diverse necessità degli studiosi e degli operatori interessati all’analisi del bene monumentale (architetti, archeologi, storici, geologi, restauratori).
Nel caso di Sorana, tra le possibili modalità di realizzazione del modello sono state indagate due differenti trasformazioni topologiche7 rivolte a diversi possibili utilizzi: in prima
istanza è stato realizzato un “modello a superfici” o “discontinuo” dalla nuvola di punti,
che consente una lettura relativamente rapida, sintetica e totale delle caratteristiche geometriche e metriche delle architetture e del loro contesto ambientale; in secondo luogo è stato
generato un “modello discreto” o “continuo” la cui rappresentazione deriva dalla sintesi
degli elementi compositivi (figg. 3-5). Dal primo si traggono le informazioni dimensionali
con un elevato grado di perfezione e si ha una percezione totale dell’assieme urbano assai
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La rappresentazione del castello
affine alla realtà; dal secondo si ottengono
rappresentazioni classiche (prospetti e sezioni
urbane, assonometrie, prospettive) adatte ad
una lettura dei caratteri morfologici dell’insediamento, utili a descrivere i principali processi
evolutivi dell’organismo urbano. In tal modo è
possibile comunicare e documentare, con un
certo margine di approssimazione, i principali
momenti di trasformazione del borgo, a partire
dalla sua origine.
Proprio in questo secondo caso si ottiene
un dato di grande versatilità nella sua capacità di essere modificato e di divenire l’ele- Fig. 3 - Prove comparate di generazione delle mesh
mento essenziale di una banca dati che docu- del modello digitale di Sorana. Le variabili di infittimento
menti lo stato attuale del sito attraverso un dei vertici delle triangolazioni del modello permettono
nuovo metodo di rappresentazione, adatto ad di verificare il rapporto tra la qualità del dato geometrico
una visione complessiva e significativa dello e complessità del file tridimensionale
spazio costruito entro il quale muoversi ed
agire interattivamente.
Il trasferimento delle informazioni a scala urbana in uno spazio 3D, che relazioni un
Fig. 4 - Proiezione isometrica di una porzione del modello superficiale di Sorana. Tratto di via San Paolo
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati
modello C.A.D. ad un sistema
informativo, implica la “messa a
fuoco” di alcuni elementi della
rappresentazione dei manufatti architettonici reali. Numerosi studi
sono stati compiuti in tale direzione per definire i caratteri di questa
“città virtuale”, ma la molteplicità
dei parametri in gioco rende ancora incerta una formulazione di
standard di rappresentazione e di
modalità operative. In alcuni casi
basta una resa tridimensionale degli edifici, che ne caratterizzi ed
Fig. 5 - Il modello superficiale di Sorana. Veduta da piazza San Pietro
identifichi semplicemente la forma;
in altri è richiesto un maggior grado di accuratezza e realismo, che si può ottenere facilmente con la ricostruzione delle
superfici delle facciate tramite l’uso di poligoni 3D e l’applicazione di textures realistiche
ricavate da una campagna di rilievo fotografica oppure tradotte direttamente dai valori
cromatici acquisiti dai laserscan.
Per rendere fruibile il modello di Sorana ottenuto in ambiente C.A.D.8 è stata necessaria la sua esportazione verso formati “di scambio”. Il crescente sviluppo del formato
XML (eXtensible Markup Language)9 dedicato alla memorizzazione e all’interscambio
dei dati vettoriali sulla rete web ha indotto a realizzare un archivio VRML (Virtual Reality
Modeling Language) capace di descrivere la scena tridimensionale comprensiva di luci,
texture, punti di vista, attraverso un’interfaccia di navigazione interattiva di agevole utilizzo e compatibile con gli Internet Browser più diffusi sul mercato10.
Il castello disegnato
208
Le modifiche strutturali in atto nella realtà e nella cultura hanno investito anche il
campo delle relazioni sociali sulle quali si fonda il nostro concetto di città, oggi quanto
mai in cerca di una nuova definizione e identità: il “vedere giusto” significa appoggiarsi
ai metodi di rappresentazione dell’esistente per poter individuare ed evidenziare le ragioni ed i motivi che hanno portato all’attuale configurazione degli spazi cittadini, a partire dai centri storici, con i loro luoghi-segni (gli edifici speciali, i vuoti urbani, i monumenti e le emergenze) che riportano una concezione dello spazio simbolo dei valori dei
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La rappresentazione del castello
gruppi sociali protagonisti e attori della storia della città. Recuperare la qualità della rappresentazione urbana e promuovere un progetto di nuovo disegno delle città risultano
pertanto passi necessari per riconquistare la qualità dei luoghi dell’abitare.
La visione complessiva della città in un unico colpo d’occhio promuove nuove e diversificate modalità di analisi della scena urbana sollecitando una serie di approfondimenti
tesi a documentare l’insediamento sia nel suo insieme, che nelle sue parti. Nella veduta
generale emergono realtà diverse che è possibile astrarre e mettere in relazione con il
contesto in cui sono inserite, riconoscendo i percorsi storici che le hanno generate, le relazioni tra le connotazioni architettoniche e estraendo informazioni su elementi che sono
assimilabili tra loro poiché rispondenti a criteri di classificazione analoghi.
Nel caso specifico di Sorana la rappresentazione assonometrica simultanea in sezione
planimetrica ed alzato (fig. 6), più di altri grafici, accentua efficacemente la particolare
struttura del castello in cui il solco dei tracciati principali e le piazze rivelano le membra
distintive dell’insediamento, quasi come se la rappresentazione spaziale divenisse una
matrice in grado di svelare la “regola” della città.
Diversamente dalle immagini fotografiche, la veduta complessiva disegnata della città
costituisce un documento che enuclea, classifica, codifica e traspone, mediante un procedimento di sintesi, tutte le componenti che vi sono insite e che il programma graficoanalitico registra e traduce attraverso un diagramma puntuale e omogeneo.
La fase costruttiva del modello 3D diviene quindi un’esperienza conoscitiva insostituibile soprattutto se accompagnata dal disegno planimetrico: si indagano le relazioni tra le
parti, si analizzano i connotati distributivi, compositivi e costruttivi delle unità edilizie e
delle architetture specialistiche, se ne approfondisce la forma e la struttura.
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati
I disegni finali di Sorana 3D permettono una visione astratta ed immediata della complessità della realtà urbana ed offrono l’opportunità di essere utilizzati come compendio
alla lettura del tessuto storico dell’antico castello.
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NOTE
* Dal contributo originario di Massimo Gasperini.
1 E. Viollet Le Duc, Histoire d’un dessinateur; coment on apprend à dessiner, Bruxelles 1978,
pp. 66-71.
2 Tra le molteplici definizioni di “modello”, nel caso in esame pare particolarmente significativo riportare quella data da Riccardo Migliari il quale, enunciando il “Teorema fondamentale del Modello in
architettura”, giunge a definire il modello come la rappresentazione fisica tramite cui possiamo analizzare e comprendere ciò che vediamo: si tratta in realtà di astrarre e semplificare la realtà che percepiamo
idealizzandola, identificandola tra la gamma dei possibili significati tra il reale e l’ideale. Trattando di città
potremmo pensare al modello come allo strumento adatto a riprodurre in miniatura le caratteristiche indicate sia dal disegno urbano che da ciò che percepiamo attraverso la nostra indagine critica degli oggetti che costituiscono l’assieme urbano (spazi vuoti, spazi edificati). Il “Modello” può dunque essere
rappresentato efficacemente da una forma visibile attraverso le sue molteplici manifestazioni, dagli eidotipi alle rappresentazioni digitali (cfr. Disegno come Modello, a cura di R. Migliari, Roma 2004).
3 Nella disamina si tralasciano le molteplici ricostruzioni tridimensionali di città pubblicate sul celebre navigatore interattivo della Google che, seppure apparentemente accattivanti, nella sostanza palesano una approssimazione molto lontana dei criteri propri del rilievo urbano.
4 Il “Nuovo Museo Elettronico della città di Bologna” (N.U.M.E.) e la ricostruzione delle fasi di
trasformazione di piazza dei Miracoli di Pisa appaiono in tal senso dei casi emblematici (cfr.
http://www.storiaeinformatica.it/nume/italiano/nscopo.html; http://piazza.opapisa.it/3D/index.html).
5 I limiti intrinseci del laserscan sono attribuibili in primo luogo all’irraggiungibilità di alcuni punti
dal raggio laser (spazi di occlusione) e alla conseguente impossibilità di arrivare ad una copertura totale
dello spazio urbano con le sole prese a terra. Vi è inoltre l’incapacità dello strumento di selezionare e
classificare gli oggetti da rilevare: vengono messi alla stessa stregua i muri, la vegetazione, l’arredo urbano e gli elementi transitori.
6 La natura puntiforme ed infinitesima del modello, la sua trasparenza e la sua difformità cromatica lo allontanano dalla realtà percepita. Qualsiasi trattamento della nuvola di punti finalizzata alla costruzione di modelli più aderenti alla realtà inevitabilmente produce un allontanamento dall’accuratezza geometrica del dato originale, introducendo progressive semplificazioni ed interpolazioni atte a garantire una ragionevole gestione del dato medesimo. La trasposizione ad un modello continuo solido,
costituito da un numero limitato di poligoni o di superfici triangolarizzate, consente la realizzazione di
immagini statiche (rendering) e dinamiche (walk through) interattive.
7 Per trasformazione topologica si intende una qualunque azione deformante attuata sugli elementi tridimensionali.
8 La modellazione è stata condotta all’interno dei software McNeel Rhinoceros 4.0, Autodesk
Autocad 2009 e Autodesk 3D Studio MAX 2009.
9 L’XML è un linguaggio che offre la possibilità di definire strutture per classi omogenee di documenti.
10 Per la visualizzazione del file .VRML si è scelto il software di libero utilizzo Cortona 3D viewer
ver. 6.0. Precedentemente conosciuto come Cortona VRML Client, funziona come un plug-in VRML su
piattaforma Windows per i browser Internet più diffusi.
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Il database delle qualità edilizie e urbane*
La struttura della schedatura che è servita per compiere il rilievo delle qualità
dell’ambiente urbano è stata progettata
facendo riferimento alle UME ed alle UMU
(cfr. par. L’ambiente urbano): una volta
compilate in loco le schede tipo, i contenuti sono stati inseriti in due database di
Access fisicamente separati ma relazionati
tra loro. La maggior parte delle informazioni fa riferimento alla qualità dei manufatti e al loro stato di conservazione così
come sono percepibili dallo spazio pubblico: si hanno, ad esempio, campi legati al
tipo di paramento murario1, agli infissi o ai
sistemi di oscuramento per il database
edilizio, agli elementi di arredo o alla qualità delle pavimentazioni per quello urbano; tutti questi aspetti vanno a formare,
considerati nel loro insieme, l’immagine
complessiva del paese2. La digitalizzazione
dei dati schedati prevede, inoltre, che questi possano essere filtrati, interrogati e Fig. 1 - Planimetria con identificazione delle unità
suddivisi in categorie omogenee; attraver- minime urbane ed edilizie schedate
so queste operazioni è infatti possibile rintracciare con facilità i motivi ricorrenti e caratteristici che connotano l’ambiente urbano.
Per quanto riguarda l’architettura del database delle unità minime edilizie, si è proceduto ad una divisione degli immobili in fronti3 (piani verticali che delimitano le unità in
analisi), instaurando un rapporto “uno a molti” (one to more) tra unità minima e fronti:
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Capitolo III - Il rilievo, la rappresentazione e la gestione dei dati
Fig. 2 - Il sistema relazionale tra le tabelle del database edilizio
questo significa che ad ogni unità minima si possono associare uno o più fronti (ad
esempio su strade diverse). Ad ogni fronte vengono poi legati, ancora secondo rapporti
“uno a molti”, vari tipi di informazioni riguardanti le aperture, le tipologie di muratura o
di intonaco e l’impiantistica. Ultimo livello di questa struttura gerarchica è rappresentato
dal degrado, da attribuire in forma di risposta chiusa rispetto a un elenco codificato per
ogni elemento in analisi.
Il tipo di catalogazione sopra esposto fa esclusivo riferimento alle qualità urbane così
come appaiono al momento della schedatura delle medesime: non vi è, ad esempio, per
quanto riguarda le murature, niente che abbia attinenza alle unità stratigrafiche murarie,
né tanto meno ad una possibile evoluzione cronologica del costruito. Anche il campo relativo al degrado, con i sottocampi “degrado” e “diffusione”, non ha la pretesa di sostituirsi a studi più approfonditi sui fenomeni patologici dei materiali, ma consente semplicemente una prima valutazione di massima sullo stato di conservazione dei manufatti
che può essere digitalizzato con estrema facilità. Il database delle qualità urbane non
nasce dunque con il fine di esaurire tutte le problematiche legate alle analisi del costruito, ma con l’idea di rappresentare un sistema di base aperto ed implementabile con studi
di dettaglio.
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Il database delle qualità edilizie e urbane
Fig. 3 - Il sistema relazionale tra le tabelle del database urbano
NOTE
* Dal contributo originario di Duccio Troiano e Massimo Zucconi.
1 Per quanto riguarda lo studio delle murature faccia a vista, la schedatura si propone di descrivere i materiali impiegati e il loro tipo di lavorazione.
2 Per la definizione dettagliata di tutti i campi archiviati (sia per le U.M.E che per le U.M.U.) e la
loro organizzazione logica si faccia riferimento alla struttura del database Access delle figg. 2-3 e soprattutto alle schede vergini con istruzioni di compilazione riportate nel DVD allegato al volume. Questi
documenti sono di fondamentale importanza perché forniscono, per ogni campo a risposta chiusa pertinente alla schedatura, un elenco delle possibili alternative in modo da ottenere un sistema di dati omogeneo e facilmente interrogabile.
3 Aver organizzato il database per fronti consente di poter ottenere informazioni sulle cartine murarie che prospettano su determinati percorsi.
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Appendice
Cronologia
PERIODO
7 marzo 938
DOMINAZIONE
Possesso del
Vescovato di Lucca.
Bene della chiesa di
San Frediano
DOCUMENTO
AAL, AD.19. Permuta di beni tra il vescovo Corrado ed il chierico
Gungolfo.
“Silmulque in comutationem dare et tradere videor tibi de pars
ecclesie
nostre S. Fridiani, […] idest casa et res illa in loco et finibus ubi
dicitur Sorano”.
1 marzo 975
Possesso del
Vescovato di Lucca.
Bene della pieve di
San Tommaso di
Arriana
AAL, H. 43. Permuta di beni tra il vescovo Adalongo ed
Ildebrando, Giovanni e Pietro, figli del fu Gottifredo.
“Recepimus ad te in comutationem de pars suprascripte ecclesie
episcopalis vestro S. Martini, idest terra et monte illo in loco et
finibus Petritulo
prope Sorana”.
29 maggio 980
Possesso del
Vescovato di Lucca.
Bene della pieve di
San Tommaso di
Arriana
AAL, B. 53. Contratto di livello tra Giovanni, rettore della pieve di
S. Tommaso, ed Ildebrando,Giovanni e Pietro del fu Gottifredo.
“Rectore adque custode ecclesie S. Johanni Batiste e S. Tome
Apostoli, quod est plebe batismalis sita loco qui dicitur Arriana,
quem ecclesia ipsa que est de subregimine et potestate
suprascripte ecclesie vestro S. Martini, per cartula livelli […] seo
rebus sortis in loco et finibus ubi dicitur Sorana, prope monte et
pogio nostro illo qui dicitur Petritulo”.
31 gennaio 988
Possesso del
Vescovato di Lucca.
Bene della pieve di
San Tommaso di
Arriana
AAL, + L. 55. Contratto di livello tra Isalfredo, vescovo di Lucca,
ed Ildebrando, Giovanni e Pietro del fu Gottifredo.
“Per cartula livelli […] dedisti nobis idest ecclesia illa cui
vocabulum est beati
S. Thome Apostoli et S. Johanni Baptiste […] sita loco et finibus
ubi dicitur Arriana […] quem plebem ipsa esse videtur de
subregimine et potestate ecclesie episcopalis vestro S. Martini.
[…] rebus illis in loco et finibus Sorana prope monte et pogio
nostro illo que dicitur Retritulo”.
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Appendice
22 novembre 998
Possesso del
Vescovato di Lucca.
Bene della pieve di
San Tommaso di
Arriana
AAL, A. 33. Contratto di livello tra Gherardo II, vescovo di Lucca e
Giovanni e Pietro del fu Gottifredo.
“Per cartula et justa nostra convenientia livelli […] dediste nobis
idest duo portionis ex integre de ecclesia illa cui vocabulum est
beati S. Thome Apostoli et S. Johanni Baptiste [..] sito loco et
finibus ubi dicitur Arriana. […] quem plebem ipsa esse videtur de
subregimine et potestate ecclesia episcopalis vestro S. Martini
[…] rebus illis in loco et finibus Sorana prope monte et pogio
nostro illo que dicitur Petritulo”.
20 marzo 1019
Possesso del
Vescovato di Lucca.
Bene della pieve di
San Tommaso di
Arriana
AAL ++ G. 29. Contratto di livello tra Grimizo, vescovo di Lucca e
Giovanni del fu Gottifredo, Ildebrando del fu Ildebrando,
Teugrimo e Rodilando del fu Gottifredo.
“Dedisti nobis idest ecclesia illa cui vocabulum est beati S. Tomei
apostoli et
S. Iohanni Baptista, […] sito loco et finibus ubi dicitur Arriani,
quod est supra Piscia
maiore, quem plebem ipsa esse videtur de supregimine et
potestatem suprascripte
ecclesie episcopali vestro S. Martini, […] et rebus illis in loco et
finibus Sorana prope
monte et poio nostro illo que dicitur Petritulo, pertinentibus
ecclesie episcopatui vestro. […] idest onnem reditum et
dibitionem illam et decimationem illam et offersionem quamtas et
quales simgulishominibus ad pars ipsius ecclesie plebis vestre per
singulos annos comsuetudi vel debiti sunt remdemdi vel inantea
fuerit de villis illis corum nomina vocamtur Sorana”.
Dal XII secolo al
1258
Possesso imperiale
di Federico
Barbarossa e
Federico II di Svevia
Liber Censuum Comunis Pistorii. Il castellano di San Miniato,
delegato imperiale per la Tuscia, impone al comune di Pistoia di
risarcire gli uomini di Sorana, per i danni arrecati nel 1227.
“Domenicus Everardus de Estat castellanus S. Miniatis, delegatus
domini Rainaldi duci Spoleti legati in Tuscia domini Fredici
Romanorum imperatoris […] scilicet de recipienda satisfatione
pro dominis imperatore et duce predictis et fisco et pro se ipso, a
comunis Pistorii, de dannis, injuriis, incendiis sive vastis datis sive
illatis a Pistoriensibus et comunis Pistorii ho minibus et personis
vallis Ariani tam in personis quam rebus et specialiter personis de
[…] Sorana”.
Dal 1250 al 1334
Lucca
(organizzazione
amministrativa)
Firenze
ASLU, Statuti del comune di Lucca n. 1, c. 113r.
“unus potestas in comuni Licnane et Sorane”.
15 maggio 1334
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ASFI, Libri Fabarum n. 16. Elezione castellano di Sorana.
“Item in dicto consilio date fuerunt pallotte pro eligendo
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Cronologia
castellanum arcis et casseri Sorani. Facto partito super
approbando. Padovinum domini Rayrenii del Foreste primo
nominatum placuit CXVIIII, noluerunt XLV. Obtinuit”.
3 ottobre 1334
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 16. Elezione castellano di Sorana.
“In consilio domini potestatis et comunis florentini in palatio
populi florentini more solito congregato, date fuerunt pallotte pro
eligendo castellanum arcis et casseri Sorani cum sex peditibus.
[…] Franciscum Dantis de Maneriis primo nominatum placuit
CXLVI, noluerunt XXXVIIIX. Obtinuit.”
23 febbraio 1335
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 16. Elezione castellano di Sorana.
“Item eligendo castellanum castri Sorani. […] 21Ricardum
dominci domini Ugulini de Tornaquincis secondo nominatum
placuit CXXXI, noluerunt LXXVI. Obtinuit”.
21 marzo 1335
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 16. Elezione castellano di Sorana.
“In dicto consilio domini potestatis et comunis florentini date
fuerunt pallocte pro eligendo castellanum castri Sorani. Facto
partito ad fabas nigras et albas super approbando: Galglardum
domini Spade de bosticis tertio nominatum placuit CLVI,
noluerunt LII. Obtinuit”.
28 aprile 1338
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 17. Elezione castellano di Sorana.
“Item provisionem factam in favorem Iohannis domini Adimari de
Cavalcantibus qui suprastetit in castellanaria Sorani. CXL placuit,
XV noluerunt”.
31 agosto 1338
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 17. Elezione castellano di Sorana.
“Item date fuerunt pallocte pro eligendo castellanum arcis et
casseri Sorani pro III mensibus cum VI peditibus. […] Iacobum
Guidi de Manellis primo nominatum per Bacum Pucii Bencivenis
placuit CXLIII, noluerunt LXII. Obtinuit”.
12 marzo 1339
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 17. Elezione castellano di Sorana.
“Item in dicto consilio dare fuerunt pallocte pro eligendo
castellanum Sorani cum VI peditibus pro III mensibus. Pierum
Salvini Dirittafedis secundo nominatum per Bettum Phylippi
placuit CLIII noluerunt XLVII”.
11 dicembre 1339
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 18. Elezione castellano di Sorana.
“In dicto consilio domini capitanei et populi Florentini, in dicto
palatio populi more solito congregato, per predictum dominum
Monaldum, capitaneum, extracti fuerunt ad offitium
infrascriptarum castellaneriarum infrascriptarum arcium et
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Appendice
fortilitiarum comunis Florentini sorte infrascriptis nobile set
providi viri videlicet: Cantinus Iohannis Calce de Vechiettis,
castellanus Sorani”.
218
9 marzo 1340
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 18. Elezione castellano di Sorana.
“In presentia offitii dominorum priorum artium et vexilliferi iustitie
et offitii duodecim honorum virorum per fratrem Marchum,
camerarium camere armorum, extracti fuerunt infrascripti nobiles
et providi viri ad offitia infrascriptarum castellaneriarum, pro
tribus mensibus et cetera: Laurentius Melgli Fagiuoli castellanus
Sorani. Renumptiavit”.
16 marzo 1340
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 18. Elezione castellano di Sorana.
“In presentia offitii dominorum priorum et vexilliferi iustitie et
offitii duodecim bomorum virorum per fratrem Marchum
conversum monasterii de Septimo, camerarium camere armorum
palatii populi Florentini, extracti fuerunt infrascripti nobiles et
providi viri ad offitia infrascripta videlicet: Mone Neri
Aldobrandini, castellanus Sorani, pro tribus mensibus.
Renumptiavit”.
10 aprile 1340
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 19. Elezione castellano di Sorana.
“In presentia offitii dominorum priorum artium et vexilliferi iustitie
et offitii duodecim honorum virorum per fratrem Marchum,
camerarium camere armorum, extracti fuerunt infrascripti nobiles
et providi viri ad offitia infrascriptarum potestarum
castellaneriarum, pro tribus mensibus videlicet: Puccettus
Biccheriis castellanus Sorani per tribus mensibus”.
18 luglio 1340
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 19. Elezione castellano di Sorana.
“In presentia offitii dominorum priorum et vexilliferi iustitie publici
et comunis florentini per religiosum virum fratrem Lucam
conversum monasterii de Septimo camerarium camere armorum
palatii populi fiorentini extracti fuerunt infrascripti nobile set
providi viri cives fiorentini ad infrascripta offitia pro tribus
mensibus vide licet. Iacobus Lippi Pallei de Adimaribus castellanus
Sorani per tribus mensibus”.
28 luglio 1340
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 19. Elezione castellano di Sorana.
“In presentia offitii dominorum priorum et vexilliferi iustitie per
religiosum virum fratrem Lucam conversum monasterii de
Septimo, camerarium camera armorum palatii populi fiorentini,
extracti fuerunt infrascripti ad infrascripta offitia pro tribus
mensibus, videlicet.
Iohannes domini Spade de Bosticis castellanus Sorani pro tribus
mensibus”.
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Cronologia
20 agosto 1340
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 19. Elezione castellano di Sorana.
“In presentia offitii dominorum priorum et vexilliferi iustitie per
religiosum virum fratrem Lucam conversum monasterii de
Septimo, camerarium camera armorum palatii populi fiorentini,
extracti fuerunt infrascripti providi viri ad infrascriptarum
castellaneriarum pro infrascritis temporibus, videlicet. Sandro
Simonis de Tornaquinas castellanus Sorani pro tribus mensibus”.
16 dicembre 1340
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 19. Elezione castellano di Sorana.
“In presentia offitii dominorum priorum artium et vexilliferi
iustitie, populi et comunis fiorentini per religiosum virum fratrem
Marchum conversum monasteri de Septimo camerarium camere
armorum palatii populi fiorentini, extracti fuerunt infrascripti
nobile set providi viri cives fiorentini ad infrascriptarum
castellaneriarum et capitanarium pro infrascriptis mensibus et
temporibus, videlicet. Epilglatus rimeri veclanii castellanus Sorani
pro tribus mensibus”.
24 dicembre 1340
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 19. Elezione castellano di Sorana.
“In presentia offitii dominorum priorum artium et vexilliferi iustitie
populi et cominis fiorentini extracti fuerunt per fratrem Marcum
camerarium camere armo rum palatii populi fiorentini infrascritti
ad infrascripta offitia et quodlibet earum pro temporis et terminus
infrasripto vide licet. Laurentius Vannis Armati castellanus Sorani
pro tribus mensibus”.
1341-1342
Lucca e Pisa
G. Tommasi, Sommario della Storia di Lucca. Guerra fiorentinapisana.
“Ma i Pisani fuor di misura sdegnati nel vedersi sopraffatti dagli
avversarj, non misero tempo in mezzo. Mentre le negoziazioni dei
Fiorentini andavano per le lunghe […] procacciando soccorsi […]
poterono i Pisani invadere con forze rispettabili il contado”.
9 ottobre 1342
Firenze
G. Tommasi, Sommario della Storia di Lucca. Pace fiorentinapisana.
“Gualtieri duca d’Atene, prescelto a signore dai fiorentini, […]
fece di subito manifesta la sua ripugnanza ad affrontare il
nemico, fermando pace con esso in Pisa il 9 ottobre, a patti
svantaggiosi”.
1 febbraio 1343
Firenze
ASFI, Libri Fabarum n. 22. Elezione castellano di Sorana.
“Super eligendo castellanum rocche Soranis poste cum VI
peditibus cum salario scudi XV. Item facto partito super
approbando.
Iohannem domini Lapi Arnolfi placuit CLXXXVI noluerunt XXXII”.
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Appendice
220
17 maggio 13451361
Protettorato
nominale di Milano
G. Tommasi, Sommario della Storia di Lucca. ASPI, Comune A n.
206, c. 68r.
“Furono in Pietrasanta, il 17 di maggio, composte le vertenze fra
i pisani ed il Visconti”; “Sorana come voi ben sapete fu tolta a’
petitione delli Signori di Melano et rimaseno della dicta terra in
pace et concordia collo Comune di Fiorenza et della dicta terra lo
Comune di Pisa non simpaccia ne à podere”.
1352
Pisa
Matteo Villani, Cronica, III, XII. Pisa conquista Sorana.
“E apresso i detti Pisani feciono con sagacità di grande
tradimento torre a fiorentini, contro a’ patti della pace, la terra di
Sovrana, e rendutala da capo, la ritolsono per indietro e poi in
palese la difesono, non curando i patti della pace”.
1355
Firenze
(Firenze riconquista
Sorana)
Matteo Villani, Cronica, IV, LXXV.
“In questo tempo il comune di Firenze tenea in suo distretto la
Valdinievole”.
20 giugno 1362
Scontri tra Firenze e
Pisa
Matteo Villani, Cronica, XI, II. Guerra fiorentino-pisana.
“Il Comune di Firenze per natura nelle imprese grave è e tardo,
ma nel seguille aveduto e sollicito, poi che deliberato avea di
seguire le inviluppata impresa incominciata contro a’ Pisani per
Pietrabuona, e venia in aperta e palese guerra per vendicare sua
onta. […] all’entrante del mese di giugno MCCCLXII
cominciarono a provedersi intorno alle bisogne della guerra”.
11 novembre 1363
Pisa
ASPI, Comune A n. 139, c. 4v. Salario spettante agli uomini
nominati alla custodia della rocca di Sorana.
“Infrascripti terrigene terre et castri Sorane et forenses ad ipsius
terre custodiam deputati habeant et habere possint et debeant
decetero per eorum provisione seu stipendio singulo mense
quantitates et summas denariorum lucensium”.
30 agosto 1364
Firenze
Matteo Villani, Cronica, XI, CII. Trattato di pace tra Firenze e Pisa.
“Li sturmenti della pace in sustanza contennono prima la
rimissione delle offese, e promettere di non ofendere per
l’avenire. […] Obrigossi il Comune di Pisa […] dare al Comune
Pietrabuona, ch’era stata cagione della guerra, e tutte altre terre
del Comune di Firenze, o a esso Comune acomandate, che ‘l
Comune di Pisa o nella guerra o inanzi la guerra per escitalla, o
direttamente o per indiretto, avesse prese”.
1398
Firenze
(possedimenti
fiorentini)
Giovanni Sercambi, Cronache, c. 230r.
“Le terre e castella che Fiorenza possede di Luccha e alle confine
sono: […] lo castello di Sorana”.
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Cronologia
7 aprile 1431
Lucca
ASLU, Anziani avanti la libertà n. 531, c. 24r. Castelli conquistati.
“Egregie doctor et orator noster homine et dilectissime civis
noster. Da poi che de’ felici progressi et victoriosi acquisti del
nostro magnifico capitano ravisammo hora di nuovo abiamo da
lui ricevute letere con felicissime victorie per le quali
particularmente riscrive in una lista tutte le terre per lui prese et
acquistate. La quale a voi nella presente mandiamo interchiusa,
acciò che insieme con esso noi siate partecipi ala infinita alegreza
a render gratia allo altissimo creatore. Acciò che per sua grazia et
operatione del nostro magnifico capitano vegiamo la rovina de’
nostri presidi adversarii, come speriamo. […] Le terre acquistate
sono queste: […] Sorana”.
27 marzo 1442
Lucca
ASLU, Diplomatico,Tarpea n. 586. Terre cedute da Firenze a
Lucca.
“Actum in terram et castro Ville Basilice. […] Dominus Iulianus
de Davanzatis doctor et Alexander Ugonis de Alexandris, cives
florentium, oratore set comissarii […] tradiderunt et
consegnaverunt et corporalem possessionem dederunt terram
[…] Sorane”.
18 dicembre 1483
Firenze
ASLU, Carteggio degli Anziani n. 40, c. 156v. Controversie di
confine.
“Conforme al desiderio della Signoria di Firenze espone che
essendo differenza di confine tra il comune di Sorana, nella loro
giurisdizione, e quello di Pontito, egli ha commissione plenaria
per comporre la controversia”.
12 gennaio 1557
Firenze
ASFI, Statuti delle comunità soggette n. 861, c. n.n. Modifica
degli statuti.
“Costituiti personalmente innanzi a me, Thomaso notaio publico
infrascripto, et testimoni infrascripti li prudenti homini: Marco di
Giovanni, Mariano di Bernardino et Andrea di Nanni, tutti del
castello di Sorana di Valdriana vicariato di Pescia”.
17 marzo 1602
Firenze
ASFI, Magistrato de’ Nove n. 1373, c. 3r. Richiesta alla
magistratura dei Nove.
“Li rappresentanti la comunità di Sorana supplicano grazia di
poter accrescere dieci scudi l’anno di salario a’ prete Bastiano
Venturini da Caprigliana maestro di scuola di quel comune et
siamo raggiunti per lettere del vicario di Pescia. […] Et al
magistrato parrebbe a proposito compiacerli et se ne rimette a
quello che piacerà a vostra Altezza Serenissima Dio la conservi
felicissima”.
221
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Appendice
222
2 febbraio 1742
Firenze
SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 71r. Delibera.
“In esecuzione di magistrale degl’Illustrissimi Signori Nove,
segnata 18 gennaio decorso adunati li rappresentanti la comunità
di Sorana […]”.
23 gennaio 1775
Firenze
SASPE, Archivio del Comune di Vellano n. 341, c. 21r. Delibera.
“Fu per me loro letto il biglietto della Real Segreteria di Finanza
de’ 6 marzo passato riguardante lo stabilimento del luogo per le
adunanze della nuova comunità di Vellano, che sarà formata da’
comuni di Vellano, Castelvecchio, Sorana e Pietrabuona,
trasmessomi con lettera del carissimo signor segretario
soprascritto”.
1928
Comune di Pescia
Regio Decreto n. 3266 del 20.12.1928.
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Indice delle schede iconologiche
(presenti nel DVD allegato)
1.
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3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
Rosetta a sei petali,
Via di Sorana (c. 51)
Sole a otto raggi,
Via di Sorana (c. 51)
Ruota a sei raggi,
Via di Sorana (c. 51)
Sole raggiato,
Porta Fredda Via Nocetta (c. 123)
Spirale e cerchio puntato,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
Croce patente astile,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
Stemma Comune di Sorana,
Piazza San Pietro (c. 62)
Arma Medici,
Via della Madonnina (c. 104)
Rosetta a sei petali,
Via della Madonnina (c. 104)
Giglio bottonato,
Via Paradiso (c. 208)
Giglio,
Via della Madonnina (c. 100)
Stella a sei punte,
Via di Borgo, (c. 17)
Ruota a otto raggi,
Via Paradiso (c. 208)
Ruota a otto raggi,
Via di Borgo (c. 57)
Epigrafe ampliamento chiesa,
Chiesa SS. Pietro e Paolo, (c. C)
Iscrizione,
Via di Sorana, (c. 61)
Iscrizione data,
Via della Rocca di Sorana (c. 135)
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.
32.
33.
34.
Iscrizione data,
Via della Rocca di Sorana (c. 136-128)
Iscrizione data,
Via della Rocca di Sorana
Iscrizione data,
Via della Rocca di Sorana (c. 128)
Iscrizione,
Via della Rocca di Sorana (c. 128)
Epigrafe,
Via della Rocca di Sorana (c. 128)
Iscrizione,
Via della Rocca di Sorana (c. 126)
Trigramma di San Bernardino,
Via dei Gelsi (c. 161)
Stemma,
Via di Sotto le Corti (c. 185)
Iscrizione datazione,
Via degli Archi (c. 58)
Trigramma di Cristo,
Via Paradiso (c. 208)
Epigrafe,
Via di Borgo (c. 369)
Epigrafe,
Piazza San Pietro (c. 62)
Lapide Padre Andrea Sansoni,
Piazza San Pietro (c. 62)
Lapide realizzazione fontana,
Piazza San Pietro (c. 62)
Iscrizione data,
Via della Scalinata (c. C)
Iscrizione,
Via della Scalinata (c. C)
SS. Pietro e Paolo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
223
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12:29
Pagina 224
Appendice
35.
36.
37.
38.
39.
40.
41.
42.
43.
44.
45.
46.
47.
48.
49.
50.
51.
52.
53.
54.
55.
56.
224
Croce e lapide Giubileo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
Lapide indulgenze,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
Iscrizione datazione,
Via della Scalinata (c. 132)
Epigrafe campanile,
Torre campanaria (c. D)
Croce Lapide Missioni PP. Cappuccini,
Via delle Scalette della Chiesa (c. D)
Incisioni, Torre campanaria (c. D)
Iscrizione,
Via della Piazzetta - Via Paradiso (c. 193)
Madonna,
Via della Piazzetta - Via Paradiso (c. 193)
Madonna,
Via Paradiso (c. 208)
Madonna col Bambino e cherubino,
Via Paradiso (c. 189)
Madonna col Bambino,
Via Paradiso (c. 201)
Scudo con Trigramma di Cristo e Stella
a otto punte,
Via Paradiso (c. 201)
Madonna col Bambino,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 115)
Madonna col Bambino,
Via dei Gelsi (c. 231)
Edicola con Sacro Cuore di Maria,
Piazza San Pietro (c. 76)
Sacro Cuore,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 130)
Madonna,
Via della Piazzetta
Madonna,
Via Nocetta (c. 108)
Bassorilievo,
Via di Borgo (c. 16)
Protome antropomorfa,
Via di Borgo (c. 16)
Stemma portale,
Via di Borgo (c. 365)
Iscrizione,
Via dei Gelsi (c. 121)
57.
58.
59.
60.
61.
62.
63.
64.
65.
66.
67.
68.
69.
70.
71.
72.
73.
74.
75.
76.
77.
78.
Iscrizione,
Via Paradiso (c. 233)
Iscrizione,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 129)
Iscrizione,
Via dei Gelsi (c. 231)
Iscrizione,
Via dei Gelsi (c. 229)
Ruota a otto raggi e Croce patente,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 137)
Sala di Musica,
Via di Gave (c. 42)
Stemma,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 172)
Monogramma cristologico e iscrizione,
Via Scalette della Chiesa (c. 172)
Croce latina e iscrizione,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
Croce latina,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
Croce penitenziale INRI,
Via della Madonnina (c. 67)
Terracotta volto Cristo,
Via della Madonnina (c. 67)
Stele caduti,
Via Nocetta (c. A)
Lapide caduti,
Oratorio San Giuseppe (c. B)
San Giuseppe col Bambino,
Oratorio San Giuseppe (c. B)
Croce,
Oratorio San Giuseppe (c. B)
Lapide missioni PP. Passionisti,
Oratorio San Giuseppe (c. B)
Iscrizione,
Oratorio San Giuseppe (c. B)
Targa assicurazione Incendio,
Piazza San Pietro (c. 79)
Bassorilievo Robin Hood,
Piazza San Pietro (c. 79)
Lapicidi,
Via della Scalinata (c. 123)
Lapicidi,
Via della Scalinata (c. 123)
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Pagina 225
Indice delle schede iconologiche
79. Sbozzatura conci,
Via degli Archi (c. 46)
80. Sbozzatura conci,
Via della Rocca di Sorana
81. Incisione tracciati,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 78)
82. Sbozzatura conci,
Piazza San Pietro (c. 76)
83. Incisione tracciati,
Via di Gave (c. 62)
84. Incisione tracciati,
Via della Madonnina (c. 104)
85. Incisioni, Porta Balda,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 131)
86. Incisioni,
Via della Rocca di Sorana (c. 126)
87. Incisioni,
Via Nocetta
88. Incisioni,
Via di Borgo (c. 57)
89. Incisioni,
Via di Gave (62)
90. Incisioni,
Via della Rocca di Sorana (c. 126)
91. Stemma,
Via degli Archi (c. 67)
92. Iscrizione data,
Via dei Gelsi (c. 121)
93. Iscrizione data,
Via di Sotto le Scalette (c. 185)
94. Iscrizione, reperto erratico,
Via dei Gelsi (presso c. 163)
95. Iscrizione, reperto erratico,
Via dei Gelsi (presso c. 162)
96. Iscrizione Divina Provvidenza,
Via della Piazzetta (c. 166)
97. Iscrizione data,
Via della Piazzetta-Via di Sotto le Corti (c. 166)
98. Iscrizione Divina Provvidenza,
Via di Borgo (c. 18)
99. Madonna di Lourdes e S. Bernadette,
Via di Sorana
100. Madonna col Bambino,
Via degli Archi (c. 49)
101. Sant’Antonio col Bambino,
Via della Madonnina (c. 102)
102. Rosa a sei petali,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
103. Fiordaliso a sette petali,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
104. Acquasantiera a conchiglia,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
105. Madonna del Carmine col Bambino,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
106. Sacro Cuore di Gesù,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
107. Tabernacolo eucaristico Corpus Domini,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
108. Protome di Cherubini,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
109. Colomba,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
110. San Giuseppe col Bambino,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
111. Cristo Crocifisso,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
112. Stella a otto punte,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
113. Protome,
Oratorio di San Giuseppe (c. B)
114. Epigrafe titolatoria,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
115. Arma Pacini,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
116. Arma Pacini,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
117. Iscrizione altare,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
118. Pietà,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
119. Iscrizione altare,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
120. Arma familiare,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
121. Arma Mariani,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
122. Iscrizione Pieretti,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
225
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Appendice
226
123. Sant’Antonio da Padova,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
124. Iscrizione altare,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
125. Protome,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
126. Iscrizione datazione,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
127. Cristo crocifisso,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
128. Iscrizione altare,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
129. Iscrizione altare,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
130. Arma Pieri - Pieretti,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
131. Arma Pieri - Pieretti,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
132. Madonna in maestà col Bambino,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
133. Trigramma cristologico tabernacolo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
134. Iscrizione altare,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
135. Iscrizione data altare,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
136. Croce patente,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
137. Trigramma cristologico tabernacolo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
138. Conchiglia decorazione altare,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
139. Conchiglia decorazione abside,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
140. Tavola Sacra conversazione,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
141. Trigramma San Bernardino e iscrizione,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
142. Iscrizione Fonte battesimale,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
143. Battesimo Gesù,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
144. Epigrafe pulpito,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
145. Stella a otto punte,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
146. Protome pulpito,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
147. Corpus Domini tabernacolo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
148. Conchiglia tabernacolo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
149. Croce biforcata,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
150. Arma Bonvicini,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
151. Conchiglia acquasantiera,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
152. Conchiglia acquasantiera,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
153. Stella a otto punte,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
154. Croce indulgenze Giubileo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
155. Lapide Carmignani pavimentazione,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
156. Lapide Vescovo Simonetti,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
157. Iscrizione,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
158. Iscrizione coro,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
159. Croce papale e tiara,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
160. Chiavi San Pietro,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
161. San Paolo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
162. San Pietro,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
163. Iscrizione,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
164. Fiore a otto petali,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
165. Rosa a otto petali,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
166. San Francesco d’Assisi,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
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Pagina 227
Indice delle schede iconologiche
167. Sant’Antonio da Padova,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
168. San Pietro,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
169. San Paolo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
170. Cristo crocifisso,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
171. Madonna col Bambino,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
172. Stemma Pieri,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
173. Stemma Marchi,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
174. Stemma Pacini,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
175. Stemma Mariani,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
176. Stemma Giampieri - Pieretti,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
177. Stemma Anzilotti,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
178. Stemma Pieri,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
179. Stemma Iacopetti,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
180. Stemma Perniconi,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
181. Stemma Panzani,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
182. Stemma Carmignani,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
183. Sacra conversazione,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
184. Crocifisso ligneo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
185. Crocifisso,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
186. Crocifisso,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
187. Statua Santo,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
188. Madonna col Bambino,
Chiesa SS. Pietro e Paolo (c. C)
189. Iscrizione,
Borgo Paradiso
190. Iscrizione,
Via di Sotto le corti (c. 177)
191. Iscrizione data,
Via Paradiso
192. Iscrizione croce patriarcale,
Via Paradiso
193. Iscrizione croce,
Via Paradiso
194. Iscrizione croce,
Via Paradiso
195. Iscrizioni,
Via Paradiso
196. Iscrizione croce,
Via di Borgo (presso c. 370)
197. Iscrizione croce,
Via di Borgo (presso c. 370)
198. Iscrizione croce,
Via di Borgo (presso c. 370)
199. Iscrizione,
Via della Madonnina (c. 107)
200. Iscrizione,
Via della Madonnina
201. Iscrizione,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 78)
202. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 134)
203. Croce,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 134)
204. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 129)
205. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 129)
206. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 129)
207. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 129)
208. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 129)
209. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 129)
210. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 129)
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Appendice
211. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa (c. 129)
212. Iscrizioni,
Via Paradiso
213. Iscrizioni,
Via Paradiso - Via della Piazzetta
214. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa
215. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa
216. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa
217. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa
218. Iscrizioni,
Via delle Scalette della Chiesa
219. Iscrizioni,
Via della Madonnina - Via di Nocetta
220. Iscrizioni,
Via della Scalinata
221. Iscrizioni,
Via Nocetta
222. Iscrizioni,
Via Nocetta
223. Iscrizioni,
Via Nocetta
228
224. Iscrizioni,
Via Paradiso - Via della Piazzetta
225. Iscrizioni,
Via Paradiso - Via della Piazzetta
226. Iscrizioni,
Via Paradiso - Via della Piazzetta
227. Iscrizioni,
Via Paradiso - Via della Piazzetta
228. Iscrizioni,
Via degli Archi
229. Iscrizioni,
Chiesa SS. Pietro e Paolo - sagrato (c. C)
230. Iscrizioni,
Chiesa SS. Pietro e Paolo - sagrato (c. C)
231. Iscrizioni,
Via degli Archi (c. 58)
232. Iscrizione,
Via Nocetta
233. Iscrizione,
Via dei Gelsi (c. 161)
234. Bassorilievo volto,
Via Paradiso
235. Iscrizione,
Via di Borgo
236. Iscrizione,
Via di Sotto le Scalette della Chiesa
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Abstract
Foreword for the knowledge of the ten Castella
This volume opens the series of “Books of Urban Survey”. The series will contain the results of the
researches made in the specific field of the analysis of towns and territory through the use of survey as
the chief instrument for the lecture and the interpretation of the different’s researched reality.
The general plan of the Books count on a main section – in which monographic numbers for the results of researches, conventions or thesis with special scientific merit gathered in tematic sections will
be published – and a section dedicated to the Instruments for Didactics.
The first number of these Books is part of the section “The castella of the Valleriana territory”; here
studies on the high-medieval settlements in the mountain area in the Pescia Maggiore territory are
grouped. The studies are realized in the “Survey and documentation of the minor centres of the
Svizzera Pesciatina: computerized management of the architecural and environmental heritage” project
field.
The Valleriana is a territory with a strong identity given by on the one hand by the special orographical characteristics of its narrow valleys – streets of which have allowed for centuries the passage of
people and assets between Tuscany and the area of Bologna – and on the other by the presence of the
ten “villages” that are displayed here. These villages arised with strict military logics, went through moments of politic and economic splendour that can be read also on their architecture. In the last sixty
years the centres have been progressively abandoned and consequently impoverished of peolple and
means; just lately this decline seems arrested thanks to a renewed interest for these areas – especially
turistic – of wealthy strangers and italians looking forward to recover thier own roots, areas nowadays
marginal, of an indoubtly historical, landscape and urban value.
It is becoming pressing to set up strategies to perserve this heritage. This does not mean to put a
tight bound regime, but rather to guide consciously the dynamics of urban and territorial development
through a full knowledge frame. To realize this idea it isn’t sufficient to count the steps of the stairs or
to describe the materials with which roofs are made of – as Italo Calvino affirms in the description af
Marco Polo for the Gran Khan of the immaginary town of Zaira –, but it is necessary to read the hidden
signs and to render the relationship between mesure and history. This remark it is very up-to-date for all
those whom have interest in urban survey, as the tecnological renovation of this discipline in the last
years has allowed the possibility to rappresent the geometry of wide build contexts with big ease and
high precision. This dimensional precision it is not itself the value becuase every time it has to be enriched by those meanings and knowledges that only a pluridisciplinar approach is able to offer.
The research has been conducted with the aim of enforcing the integration between the various scientific ambits involved in the project (history, archeology, architecture, geology, iconology) througha
constant comparison between the members of the equipe on the one side, on the other of making
available the results of the studies in ad editable format; the material gathered and worked out are in-
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Il castello di Sorana
fact collected in a DVD, supplied at the present book but in effect a pubblication itself as it containes
the single papers in an extended format and all those documents that could not get in the paper book
for space causes (transcriptions of historical documents, cards on symbols, epigraphs and signs on
stone, data of the survey campaigns, database on buildings and urban quality, photographic georeferenced record, 3D model of the town and surveys of the hole settlement and of the single important architecture).
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The book is articulated in three chapters devided in thematic paragraphs. The first chapter wants to
approach the reader to the knowledge of Sorana starting with the study of its valley under 3 different
points of view: historical, geomorphological and of landscape.
The paragraph “Anthropizing processes” offers in a concise way a general idea of the principal
phases of the transformation of this mountain area. The proparatory character of the text didn’t need
new archivistic investigations, so it focused on the existing edited material. The examined bibliography
traces infact more or less one century of treatise on the architecture, the history and the archeology of
the Valleriana area so that is was possible to outline an organic sight of its installing phenomenons.
The geomorphological and landscape characters of the territory are described in the paragraph
“Portrait of an appenninic valley”. Here it is given an image of the few fragments left of the historical
agricultural landscape, by now irreparably lost.
The second chapter handles in a specific way the Sorana settlement, starting with the analysys of
the principal “Geological aspects” of this territory that inevitably have conditioned the distinctive lines
of the castle and of its pertinence area. A particular attention has been given at the study and interpretation of the more significant outcrops so to establish the structural and left sediment characters of the
stones with which the main part of this village has been raised.
The “pertinence” territory of the settlement – the area extra moenia from which, up to the beginning of the 20th Century the population of Sorana has drawn its sustenance – is elaborated in the
paragraph “The drawing of the agricultural mesh”. The study examines the situation in 1825 as it is described in the Leopoldine Land Register. Giving informations about the use of the soil, the morphological aspect of the cadastral units and their properties. These are indicators useful to comprehend respectively the effective productive system, the “design” impressed by men on the territory and the type of
social condition that inhabited it.
Given that the documental material umpublished is numerous and important, it’s been possible to
write again a few parts of the medieval history of Sorana and of the Valdinievole. This is why it has
been decided to dedicate a paragraph (“Historical notes”) to the essential political and social events
happened in tha village between the 10th and the 20th Century.
The comprehension of the castle of Sorana passes through the analysis of the succesive transformations af this settlement in constant relationship with historical circumstances and with the material remains refered to different periods. The archeology of architecture has permitted to write down for the
11th-16th Centuries and for the following periods a chronology of the architectural structures, to propose some conclusive dating and to obtain considerations on economics, social conditions and politics
– despite the lack of stratigraphical excavations has been a limit for the research on the medieval
phase. The paragraph “Formation and development period” defines the building of the castle; for
“building” it is intended all man has raisen throughout time with the finality of simple housing (base
building) and of social, spiritula and productive life (special building). The first type, the main part of the
heritage established, is the one that is mostly charatcterized, or with a series of attributes (use of mate-
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Abstract
rials, inside distribution of the spaces of living, dimension and position of doors and windows), by the
culture trasmitted and stratified in the awareness of the operators. At the same time it is possible to
find buildings that have formed “emergencies”, that is constructions that distinguish themselves from
the base building thanks to their function, dimension and constructive quality.
These are the Church of Saints Peter and Paul, the Oratory of Saint Joseph, the Public Fountain, the
“Metati” (small buildings for the desiccation of chestnuts) and the military fortifications to protect the
castle during wars: the quarterdeck (of which the perimetral walls are still conserved), the tower belonging to the “Sovereign Fortress” (ancient genteel medieval settlement) and the walls of the 14th
Century, partly inserted in the built-up area, with its gates.
The accurate analysis of the artistic testimony in Sorana, sketched in the paragraph “The described
image”, documents a lively artistic and hand-craft local activity, a new element in the view of the
knowledge acquired up to now. This activity was joint to that of the major centres (Pescia, Pistoia and
Florence) and produces between the 14th and the 18th Century a few works of big interest.
“Minor” art forms not of secondary importance, “Symbols, epigraphs and signs on stone”, prove
(not only for their elevated number) that in Sorana lived a community that was able to comprehend the
value of symbols – those imposed from the overpowered and those linked to the scholarship at that
time – and to use them as warning towards the neighbouring communities or as wish signes. The
recognition and their interpretation in relation to the location in the urban space has allowed to assign
buildings to a specific historical period.
The tangible informations gathered have permitted to expressnan hypothesis on the existance of a
design of the urban incresing of the 14th Century and of the walls that enclosed it (“The design of the
14th Century increse”), on the particular orientation on the two gates of this wall (“The urban gates:
astronomical alignment with the function of calendar”) and on the geometric and mesurement patterns
that correct the planimetric install and the façades of the Church of Saints Peter and Paul (“The 14th
Century building: recontructive hypothesis) and of the oratory of Saint Joseph (“Reading the survey”).
The chapter is closed by the paragraph “The urban environment” in which there is the description
of the principal characters theat nowadys connote the pubblic space in town: mural face, pavements,
windows and doors obtained by a filing realized on the spot and merged in a computerized database.
The third and last chapter contains three different papers that handle in detail the methodology and
the instruments used for the research, and specifically “Survey, rappresentation and management of
data”. The particular disciplinary sphere in which the present research has been brought through has
tried to use the instruments of drawing not only to make base graphic scripts (capable to describe correctly and completely the geometry of the buildings, of the urban environment and of the territory), but
as favourite system with the 3D computerized geometric models to vehicle the acquired knowledges.
The books is completed by a full-bodied “Appendix” in which have meeted a sinoptic table of the
more important historical events (“Chronology”) – to help scholars in the onerous operation of collocatng events in the right temporal context – and the “Index of the iconological files” necessary to comprehend which are the symbols, the epigraphs and the signs on stone that have been studied. Finally
follows the bibliographic indications of the consulted books (“Bibliography”) and the “Index of scholars” that have contributed to the writing of the present book.
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Via delle Scalette della Chiesa o via della Scalinata
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Il castello di Sorana
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Indice dei ricercatori
Arch. Ilaria Agostini, dottore di ricerca in Storia e Critica dell’Architettura, ha insegnato Analisi della
Città e del Territorio e Storia del Paesaggio presso le Università di Firenze, Perugia e Ginevra
Dott. Federico Andreazzoli, dottorando di ricerca in Archeologia presso l’Università di Pisa, specialista di Archeologia medievale, esperto in tecniche costruttive dell’area tirrenica dal Medioevo all’Età
Moderna, collabora con diverse università e con l’Istituto Centrale per la Conservazione e il
Restauro nel cantiere della Torre di Pisa
Dott.ssa Elisa Bechelli, storica medievista, afferente al Dipartimento di Storia della Facoltà di Lettere
e Filosofia - Università di Pisa
Dott. Giovanni Benvenuti, laureato in pedagogia presso l’Università di Firenze, docente di Storia e
Filosofia presso l’Istituto C. Lorenzini di Pescia (PT), collabora con riviste storico-letterarie locali e
nazionali
Dott.ssa Sara D’Amico, dottoranda di ricerca in Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente presso la Scuola Nazionale di Dottorato in Scienza della Rappresentazione e del
Rilievo, sede di Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della
Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze
Dott.ssa Serena Di Grazia, geologa, libera professionista
Arch. Giulia Galeotti, dottoranda di ricerca in Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente presso la Scuola Nazionale di Dottorato in Scienza della Rappresentazione e del
Rilievo, sede di Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della
Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze
Arch. Erica Ganghereti, dottoranda di ricerca in Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente presso la Scuola Nazionale di Dottorato in Scienza della Rappresentazione e del
Rilievo, sede di Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della
Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze
Ph.D. Arch. Massimo Gasperini, dottore di ricerca in Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente presso la Scuola Nazionale di Dottorato in Scienza della Rappresentazione e del
Rilievo, sede di Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della
Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze, professore a contratto di Rappresentazione
della Città, del Territorio e del Paesaggio, presso la stessa Facoltà
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Il castello di Sorana
Arch. Francesca Grillotti, dottoranda di ricerca in Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente presso la Scuola Nazionale di Dottorato in Scienza della Rappresentazione e del
Rilievo, sede di Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della
Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze
Cinzia Jelencovich, libera professionista
Ph.D. Arch. Gaia Lavoratti, dottore di ricerca in Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente presso la Scuola Nazionale di Dottorato in Scienza della Rappresentazione e del
Rilievo, sede di Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della
Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze
Prof. Arch. Emma Mandelli, professore ordinario in Rilievo dell’Architettura; afferente al
Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della Facoltà di Architettura - Università degli
Studi di Firenze, docente di Rilievo dell’Architettura presso la stessa Facoltà, direttore della Scuola
Nazionale di Dottorato in Scienza della Rappresentazione e del Rilievo
Dott. Antonino Meo, dottorando di ricerca in Discipline Umanistiche (Programma Archeologia) presso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Pisa, specialista in Archeologia tardoantica e medievale
Ric. Arch. Alessandro Merlo, ricercatore in Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della Facoltà di
Architettura - Università degli Studi di Firenze, docente di Rilievo Urbano e Ambientale presso la
stessa Facoltà, presidente del CISPUT
Ph.D. Emanuele Pellegrini, dottore di ricerca in Storia delle Arti; ricercatore a tempo determinato
presso il Dipartimento di Storia e Tutela dei Beni Culturali della Facoltà di Lettere e Filosofia Università di Udine
Ric. Amleto Spicciani, canonico, ricercatore in Storia Medievale (in congedo dal 2007), accreditato
per ricerche storiche e sociali presso il Dipartimento di Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia Università di Pisa; presidente dei canonici del capitolo della cattedrale di Pescia
Arch. Duccio Troiano, dottorando di ricerca in Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente presso la Scuola Nazionale di Dottorato in Scienza della Rappresentazione e del
Rilievo, sede di Firenze; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della
Facoltà di Architettura - Università degli Studi di Firenze
Ric. Arch. Giorgio Verdiani, ricercatore in Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e
dell’Ambiente; afferente al Dipartimento di Architettura: Disegno-Storia-Progetto della Facoltà di
Architettura - Università degli Studi di Firenze, docente di Disegno Automatico presso la stessa
Facoltà
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Arch. Massimo Zucconi, libero professionista
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Indice del DVD
IL CASTELLO DI SORANA
ABSTRACT
INTRODUZIONE
TESTI
Presentazioni
Ivano Paci
Emma Mandelli
Amleto Spicciani
Terra fra le due acque, uomini fra Lignana incombente e Montecarlo lontano...
Giovanni Benvenuti
Processi di antropizzazione
Alessandro Merlo, Duccio Troiano
Ritratto di una valle appenninica
Ilaria Agostini
Aspetti geologici
Serena Di Grazia
Il disegno della maglia agraria
Sara D’Amico
Note storiche
Elisa Bechelli
Fasi di formazione e sviluppo
Il Medioevo
Antonino Meo
Dal XVI al XX secolo
Federico Andreazzoli
Il progetto dell’accrescimento trecentesco
Alessandro Merlo
La Rocca Sovrana
Gaia Lavoratti
La chiesa dei SS. Pietro e Paolo
Erica Ganghereti, Francesca Grillotti
L’oratorio di San Giuseppe
Giulia Galeotti
La fontana pubblica
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Il castello di Sorana
Federico Andreazzoli
I metati
Alessandro Merlo
L’immagine descritta
Emanuele Pellegrini
Simboli, epigrafi e segni di lapicidi
Cinzia Jelencovich
L’ambiente urbano
Duccio Troiano, Massimo Zucconi
Il rilievo integrato: metodi e strumenti
Giorgio Verdiani
La rappresentazione del borgo
Massimo Gasperini
Il database delle qualità edilizie e urbane
Duccio Troiano, Massimo Zucconi
BIBLIOGRAFIA GENERALE
GRUPPO DI RICERCA
INDICE DEI RICERCATORI
TRASCRIZIONE DOCUMENTI
CRONOLOGIA
MATERIALE ICONOGRAFICO
Carte storiche
Immagine aerea
Catasto 1824
Catasto attuale
CTR della Valdinievole – Scala 1:10.000
CTR Sorana – Scala 1:2.000
Aerofotogrammetrico – Scala 1:500
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RILIEVO
Riammagliamento catastale
Sezioni ambientali
La torre-campanile della Rocca Sovrana
La chiesa dei SS. Pietro e Paolo
L’oratorio di San Giuseppe
Il rilievo topografico
Point Cloud
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Edizioni ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
[email protected] - www.edizioniets.com
Finito di stampare nel mese di ottobre 2010
Alessandro Merlo, ricercatore di
ruolo nel Settore Scientifico Disciplinare Icar 17, si laurea nel
1996 alla Facoltà di Architettura di Firenze. Nel 1999 entra nel
dottorato di ricerca in “Rilievo
e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente” conseguendo il relativo titolo nel
2002. Dal 1998 è cultore della
materia nei corsi di “Rilievo
dell’Architettura” e dal 2002 è
incaricato del corso di “Rilievo Urbano e Ambientale”,
inizialmente come docente a contratto e dal 2004 come
docente strutturato a seguito della vincita del concorso
ordinario per ricercatore. Dall’anno accademico 2006-07
gli è stato affidato il corso di “Disegno dell’Architettura”.
La sua attività di ricerca è rivolta in particolare alla città,
che egli indaga tramite gli strumenti e le modalità proprie delle discipline del disegno e del rilievo (analisi dei
processi storici di formazione e trasformazione della città
e del territorio; sperimentazione di sistemi integrati di rilevamento alla scala urbana ed edilizia; concept research nell’ambito della gestione dei dati e dei sistemi di
fruizione delle informazioni).
È membro dell’UID, dell’ISUF International, dell’ISUF
Italia e del CISPUT, di cui è presidente dall’ottobre 2007;
dal 2006 fa parte del collegio dei docenti del dottorato in
“Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente” della Facoltà di Architettura di Firenze e dal 2001
è nel comitato di redazione della collana “Studi e Documenti di Architettura”.
Con questo volume si inaugura la collana Quaderni di Rilievo Urbano, che
ospiterà i risultati delle ricerche operate nello specifico ambito della città e
del territorio utilizzando il rilievo come strumento prioritario per la lettura
e l’interpretazione delle diverse realtà indagate. Nel loro piano generale i
quaderni si compongono di una sezione principale – nella quale saranno
pubblicati, in numeri monografici gli esiti di ricerche, convenzioni o tesi
di laurea con particolare valore scientifico – e di un settore rivolto agli
Strumenti per la Didattica.
Il primo numero dei quaderni, Il castello di Sorana, fa parte della ricerca
sulle castella della Valleriana (Pontito, Stiappa, Castelvecchio, San Quirico,
Vellano, Sorana, Aramo, Fibbialla, Medicina e Pietrabuona), che analizza
gli insediamenti alto-medievali presenti nella zona montana della Pescia
Maggiore, nell’ambito del progetto “Rilievo e documentazione dei centri
minori della Svizzera Pesciatina: gestione informatizzata del patrimonio
architettonico e ambientale”.
Allegato il DvD
“Il castello di Sorana:
materiale per la ricerca”
ISBN 978-884672780-0
€ 18,00
Merlo_cover_3.indd 1
9 788846 727800
08/10/10 14.08