Academia.eduAcademia.edu

Silvio Pellico Francesca da Rimini

Edizione a cura di Cristina Contilli

SILVIO PELLICO FRANCESCA DA RIMINI A cura di Cristina Contilli Lulu.com 3101 Hillsborough Street Raleigh, NC 27607 USA Printed in 2013. Images free by copyright, from Wikimedia commoms and other links indicated in the final bibliography. IL TESTO RIPRODUCE L’EDIZIONE BAUDRY DEL 1840 CON UN’INTRODUZIONE SULLE MODALITA’ DI COMPOSIZIONE DELLA TRAGEDIA Per comprare la versione cartacea con le illustrazioni a colori: http://www.lulu.com/shop/silvio-pellico/francesca-da-rimini-edizione-con-le-illustrazioni-a-colori/paperback/product-21160119.html Per comprare la versione cartacea con le illustrazioni in bianco e nero: http://www.lulu.com/shop/silvio-pellico/francesca-da-rimini/paperback/product-21175096.html Per scaricare l’e-book: http://www.lulu.com/shop/silvio-pellico/francesca-da-rimini-tragedia-nuova-edizione-a-cura-di-cristina-contilli/ebook/product-21194681.html INTRODUZIONE LETTERARIA La tragedia di Pellico inserisce rispetto al testo dantesco un elemento nuovo ed originale: Francesca è convinta di odiare Paolo che in guerra ha ucciso suo fratello, ma, quando lo rivede, dopo diversi anni di lontananza, scopre di amarlo. Nella realtà storica Francesca aveva, invece, conosciuto Paolo prima di incontrare Gianciotto, perché Paolo era stato inviato dal fratello per sposare Francesca per procura. Paolo era un bel giovane a differenza del fratello Gianciotto che era zoppo. L'elemento della bruttezza di Gianciotto non viene mai ricordato però nella tragedia di Pellico. Lo stesso amore di Francesca sembra nascere in modo molto rapido e non sufficientemente motivato perché l’autore, pur anticipando nella tematica medievale il teatro romantico, mantiene le tre unità classiche di tempo, luogo e azione. La tragedia di Pellico è dunque innovativa per l’argomento trattato e per il tipo di sentimento che unisce i due protagonisti (un amore colpevole, ma delicato e che li condanna, ma li nobilita nello stesso tempo), mentre l’impianto del testo mantiene una struttura tradizionale. INTRODUZIONE STORICA Descrizione completa Descrizione parziale Cercando di rintracciare tutte le edizioni dell’epistolario di Silvio Pellico, comprese le pubblicazioni d’occasione e gli atti dei convegni, mi passò sotto mano, all’epoca del dottorato, un bigliettino privo di data, inviato dal Pellico ad una misteriosa Emilia, misteriosa perché non citata in nessuna biografia dello scrittore e neppure identificata da colui che aveva rintracciato e pubblicato l’autografo. m. brignoli, Lettere inedite di Silvio Pellico in Saluzzo e Silvio Pellico nel 150. de “Le mie prigioni”. Atti del Convegno di studio: Saluzzo, 30 ottobre 1983, a cura di A. Mola, Torino, Centro di studi piemontesi, 1984, pp. 43-73. (Contiene ventuno lettere indirizzate a Giuseppina Pellico, sorella di Silvio, scritte tra il 1844 e il 1853; nove lettere indirizzate a Giulio Caponago, scritte tra il 1836 e il 1851; una lettera indirizzata al conte E. De Seguins-Vassieux, datata 19 settembre 1832; una lettera indirizzata al critico letterario dell’Antologia Giuseppe Montani, datata 19 febbraio 1833; una lettera indirizzata al conte torinese Cesare Balbo, datata 8 giugno 1833; una lettera indirizzata al padre domenicano Raimondo Feraudi, priva di data; una lettera indirizzata a mons. Filippo Artico, vescovo di Asti, datata 14 agosto 1843; una lettera indirizzata al conte Vincenzo Piccolomini, datata 20 dicembre 1844; una lettera indirizzata a J. A. Martigny, datata 25 giugno 1845; una lettera indirizzata a Roberto Parenti, console del Re a Livorno, datata 1° gennaio 1848; una lettera indirizzata ad Emilia, priva di data). Proseguendo nel lavoro di ricerca su Pellico, i suoi amici e i suoi amori, non avevo trovato altre tracce della misteriosa Emilia a cui il Pellico dichiara di essere più fedele come amico di quanto lo sarebbe stato se ne fosse stato l’amante, ma la curiosità restava e credo di essere finalmente riuscita a ipotizzare un’identificazione realistica di questa donna sfuggente. Nell’edizione digitale dell’epistolario del Foscolo http://www.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit001295/bibit001295.xml&chunk.id=d112e426&toc.depth=1&toc.id=&brand=default&query=emilia#3 In particolare mi sembra interessante questa lettera che riporto quasi integralmente: “A ODOARDO BRICHE e a SILVIO PELLICO – Milano. [Venezia] 25 Gennaio 1812. Odoardo mio, e tu Pellico amicissimo – Siate benedetti da me, e ricompensati dal cielo per l'amore che mi portate, e per la consolazione che mi avete mandata co' vostri caratteri. Sappiate ch'io vi scrivo da letto dove un raffreddore mi tiene da tre giorni e tre notti, e ne' primi due giorni ebbi la febbre; ora ho soltanto la tosse. Vorrei pure scrivere alla gentile, ed amorosa, ed affettuosissima Emilia: so ch'ella è d'inferma salute e d'animo poco lieto. Le parti son pari, e noi siamo due poveri e sensibilissimi disgraziati, ma mentr'ella mi ha dato tanto sollievo con la sua lettera, io se pigliassi la penna per lei, non saprei scriverle che tristissime geremiate; ed accrescere co' miei i suoi guai. Davvero io vivo in mezzo a' guai, ed afflitto sempre, e talvolta infastidito, ed imparo, ciò che non aveva imparato mai, la cabala de' forensi. Ma cos'è la teoria, Emilia mia dolce, senza la pratica? ed io non sono nato che a teorizzare su l'umane perfidie, e a tollerarle sovente con mio danno, senza poterle praticar mai per utile mio.” ho trovato citata più volte, infatti, Emilia Vignali Briche, madre di Odoardo Briche, il bambino di cui Pellico è stato precettore tra il 1812 e il 1816, prima di entrare a lavorare in casa del conte Luigi Porro. Foscolo nel suo epistolario definisce scherzosamente il marito di Emilia “un orso” “Se l'Emilia e l'orso domestico di suo marito te lo lasciassero potresti condurre teco Odoardo. Oh facesse il cielo! mi pare ch'io guarirei. Vieni e conducilo per carità; ma se non puoi condurlo, vieni tu: tra tutti e due il viaggio e il ritorno e ogni cosa vi costerebbe dieci luigi: tu solo spenderesti meno: vieni dunque: – consegna l'annesso biglietto a Briche; forse si risolverà. – Tu vedi d'indurre la Madre; parmi che meco quel ragazzo profitterebbe; ed io starei molto meglio. Ma mi duole di te che lo perderesti. – Ah! perch'io non sono men povero! – Ad ogni modo rispondi; e vieni almen tu. – Allora ti condurrò a vedere i manoscritti e la libreria dell'Alfieri. La Contessa ha pigliato a volermi assai bene: abita poco lontana da me; va anch'ella a letto alle 10; onde la sera vo a ciarlare tra que' pochi che frequentano la sua casa.” (Lettera di Ugo Foscolo a Silvio Pellico del 4 ottobre 1812, la contessa di cui Foscolo frequentava a Firenze il salotto era la contessa D’Albany) e Pellico nelle lettere al fratello ci informa anche del fatto che era tirchio visto che lo pagava solo 50 lire al mese e non sempre gliele pagava regolarmente, tanto da spingere Pellico a cercare lavoro presso una famiglia nobile più generosa, nonostante il suo grande affetto per Odoardo che in una lettera sempre al fratello Luigi definirà “il mio unico vero amico dei primi anni milanesi.” S. Pellico, Lettere milanesi (1815-1821), a cura di M. Scotti, Torino, Loescher - Chiantore, 1963. Proprio mentre lavorava in casa Briche, Pellico scrisse alcune tragedie, due rimaste inedite e pubblicate dopo la sua morte erano di argomento classico e si intitolavano “Turno” e “Laodamia”, i. rinieri, Della vita e delle opere di Silvio Pellico : da lettere e documenti inediti, Torino, Libreria di Renzo Streglio,1898-1899, 3 voll. Il terzo volume contiene tre tragedie inedite del Pellico, due risalenti al periodo 1813-1814, il “Turno” e la “Loadamia” e una, il “Boezio”, composta nel 1831. ma una che fu poi più volte corretta e finalmente nel 1815 rappresentata era la tragedia più famosa e apprezzata del Pellico, la “Francesca da Rimini”. All’epoca il modello tragico era Vittorio Alfieri con i suoi testi di argomento biblico oppure classico, eppure Pellico, nonostante la sua passione per Alfieri, sceglie un’ambientazione medievale per la sua tragedia, anticipando il gusto romantico e andando contro i consigli del Foscolo a cui infatti la “Francesca” non piacque, mentre aveva apprezzato la “Laodamia”. La mia ipotesi è, dunque, che Pellico abbia tirato fuori un argomento medievale, lontano dal gusto letterario in voga nel 1813 (la polemica classico /romantica è del 1816, perciò, è come se Pellico fosse tre anni in anticipo con la sua tragedia) per ragioni non stilistiche, ma personali ossia il suo amore infelice per Emilia Vignali Briche. Sembra strano, infatti, che ad ispirare il personaggio di una donna sposata che si accorge di amare un uomo diverso dal marito possa essere stata, come racconta il primo biografo di Pellico, lo scrittore torinese Giorgio Briano, il primo amore del Pellico, quella Carlottina, morta a soli 15 anni di cui parla anche Maroncelli nelle Addizioni a Le mie prigioni. P. Maroncelli, Addizioni alle mie prigioni di Silvio Pellico, in S. Pellico, Le mie prigioni, Milano, Rizzoli, 1987, pp. 27-28: “Tra i fanciulli e le fanciulle che recitavano con lui, ei scoprì un core verso cui si sentia attratto con più veemenza; amò una Carlottina che di là a poco morì: avea quattordici anni.” G. Briano, Silvio Pellico, Torino, Unione Tipografico-editrice, 1861, pp. 12-13. Sono andata a rileggere il passo della biografia di Briano e ho notato che nonostante nella cantica Le passioni Pellico parli solo di due donne del suo passato e per di più di un passato lontano perché all’epoca in cui è stata composta questa cantica intorno al 1835-1836 erano già morte entrambe Briano che conosceva anche un’altra storia del Pellico scrive nel suo libro che Pellico ha ricordato in questo componimento le tre donne della sua vita. La terza è a mio parere l’attrice Gegia Marchionni che viveva a Torino e che si sapeva essere stato un amore del Pellico prima del suo arresto, dato che la vicenda era stata raccontata nel 1859 in uno dei volumi del libro Ai miei tempi di Angelo Brofferio. Nella tragedia di Pellico a morire saranno i due amanti, nonostante tra loro non ci sia stato nient’altro che un bacio. A morire nella realtà storica sarà, invece, Odoardo che si suiciderà nell’ottobre del 1818 a soli sedici anni, probabilmente a causa di contrasti col padre e il fratello, ma anche suggestionato dalla lettura delle Ultime lettere di Jacopo Ortis del Foscolo che lo stesso Pellico gli aveva prestato, pensando che fosse ormai abbastanza maturo per poterle leggere. Pellico aveva letto il libro del Foscolo più o meno alla stessa età del suo ex allievo (Silvio aveva lasciato, infatti, casa Briche nel 1816 perché, nonostante il grande affetto per Odoardo, la situazione economica difficile della propria famiglia lo obbligava a cercare un lavoro pagato meglio e più stabile), ma la sua natura riflessiva e malinconica lo aveva aiutato a “metabolizzare” il libro meglio di quanto non fece Odoardo, pur restando fermo che non basta un libro a spingere un adolescente a suicidarsi, se non c’è dietro una disperazione reale e profonda. “Il governo napoleonico era caduto. La famiglia di Silvio era tornata a Torino ove il signor Onorato era stato chiamato a dirigere una delle sessioni del ministero della guerra. Il solo Silvio rimase a Milano ospitato con ogni riguardo di stima e d’amore in casa del conte Briche ove imprese ad educare un giovinetto di care speranze per nome Odoardo che egli amò qual figlio. Poscia passò in casa Porro per formare il core e l’intelligenza de suoi due fanciulli Mimino e Giulio. Un dì Odoardo venne a vederlo, era mesto e più che mesto era cupo. Gli chiese un libro e parea che avesse altra cosa a dirgli. Silvio avea gente da cui non potè liberarsi e rispose ad Odoardo: “Va in biblioteca e prendilo: vuoi altro?” Odoardo replicò: “No.” Parte va ad una casa di campagna di suo padre in Loreto che è subito fuori di Milano, fa sembiante di voler cacciare, chiede un fucile e s’uccide. Silvio ed il padre accorsi il dì appresso lo trovarono immerso nel suo sangue! Odoardo fu bello come un angiolo. Questo evento va segnalo tra que solenni che più funestarono la vita di Silvio.” (Piero Maroncelli, Addizioni alle Mie Prigioni, il testo è citato secondo la prima edizione pubblicata a Parigi nel 1833) Silvio per rispetto probabilmente nei confronti dei familiari di Odoardo che avevano fatto passare la sua morte per un incidente scrisse invece ne Le mie prigioni: “Tre anni prima, in ottobre, s'era involontariamente ucciso con uno schioppo Odoardo Briche, giovinetto ch'io amava quasi fosse stato mio figlio.” Sicuramente Pellico sapeva di dover fare i conti con la censura piemontese molto più severa di quella parigina, io credo, però, che qui non abbia agito il timore della censura, ma la volontà di lasciare intatta la memoria di una persona a cui aveva voluto molto bene, si intuisce, infatti, da una lettera di Pellico al fratello dell’ottobre 1818 che egli avrebbe desiderato che si fosse davvero trattato di un incidente e non di un suicidio: “È accaduta in casa Briche la più terribile fra le disgrazie. Il mio Odoardo s'è ucciso sabato, 17 — a Lorentecchio — credesi inavvertitamente. Tu sai che il primogenito di Briche è un cuore insipidissimo. Odoardo invece era idolatrato ogni giorno più per la sua bontà e delicatezza di sentire. L'altro jeri sono stato a Lorentecchio a rendere gli ultimi uffici a quell'infelice ragazzo.” Come dimostra una lettera di Pellico al padre di Odoardo venuta fuori di recente sul mercato antiquario Pellico collaborò alla stesura dell’epitaffio di Odoardo che ebbe un funerale religioso perché tutti finsero per pietà che si fosse trattato di un incidente. Aldo Mola nella sua biografia del Pellico scrive che Odoardo si era sentito tradito dal fatto che Silvio impegnato nella nascita della rivista Il Conciliatore lo avesse messo in secondo piano: “Odoardo si sentì privato del suo affetto. Capì che Pellico aveva il figlio atteso da sempre: una rivista, una battaglia di libertà, la lotta per innovare... Si sentì improvvisamente orfano del padre spirituale, cui teneva più che a quello naturale.” (a. a. mola, Silvio Pellico. Carbonaro, cristiano e profeta della nuova Europa, Milano, Bompiani, 2005). Nel frattempo la Francesca era andata in scena nell’agosto del 1815 “Venerdì, 18 agosto Amico mio e della mia Francesca Spero che tutta la famiglia Borsieri vorrà onorare della sua presenza la recita di questa sera. Se non tremo gran fatto lo deggio più che alla mia coscienza al suffragio che voi e tu specialmente mio Piero già m accordaste. Scusa se io stesso non ti porto la chiave del palco. La Carlotta Marchionni mi ha jeri sera pregato d’essere stamane alle prove. Questa attrice m affida moltissimo; a mio parere è un angelo, Lancillotto mi par bravo davvero. Il padre tolta la voce un po fioca che pur non disdice a vecchio ha l’azione nobile e l’espressione patetica, Paolo non è abbastanza bell’uomo, ma è pieno di buona volontà, è inoltre Ariminese e l’amor patrio l’impegna. Mi lusingo che nessuno di loro meriterà di fischiate Ed io? Vedremo.” (La lettera venne pubblicata nel 1856 nella prima edizione dell’Epistolario di Silvio Pellico, priva di data, ma dal contenuto è chiaramente databile al 1815, l’anno della prima rappresentazione della Francesca da Rimini) grazie al fatto che Silvio era diventato, dopo l’esilio di Foscolo, amico dell’abate e scrittore Ludovico Di Breme che aveva apprezzato il suo testo, lo aveva aiutato a correggerlo e, infine, aveva convinto l’attrice Carlotta Marchionni di cui era l’amante a rappresentarla. Carlotta Marchionni fu dunque come racconta Maroncelli nelle sue Addizioni l’ispiratrice dell’ultima e definitiva stesura della Francesca risalente all’estate del 1815 Il fatto è confermato anche da una lettera di Sigismondo Trechi ad Ugo Foscolo: “Ho rimesso immediatamente a Silvio Pellico la tua lettera a lui diretta, la chiave, e le istruzioni che mi hai incaricato di comunicargli. Egli per altro avrà differito ad eseguire la tua commissione, atteso la gita che ha fatto a Mantova coll'abate di Breme per assistere alla prima rappresentazione d'una Tragedia in prosa del suddetto Abate, e della sua Francesca da Rimini, ch'egli ha nuovamente corretta. Ambedue queste produzioni drammatiche sono confidate all'abilità non comune della giovane attrice Carolina Marchionni. Essa si distingue per un organo di voce sonora e soave, e soprattutto per una grande mobilità di fisionomia, che si presta con somma facilità alla vera espressione d'ogni sorta d'affetti, e nelle loro più piccole degradazioni. La sua pronuncia è buona; ma accostumata essa pure alla solita cantilena, non si cura punto di vincerla, e quindi s'aggirerà mai sempre intorno alla mediocrità.” (Da una lettera del barone milanese Sigismondo Trechi ad Ugo Foscolo del 24 novembre 1815, tratta da: http://www.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000457/bibit000457.xml&chunk.id=d43e3563&toc.depth=1&toc.id=&brand=default&query=trechi#11 è interessante sia il fatto che Trechi scriva Carolina invece di Carlotta dimostrando che non era ancora un’attrice così conosciuta). Mentre non esistono prove che Pellico conoscesse già dal 1813, data della prima stesura della Francesca, Carlotta Marchionni perché Pellico la ringrazia sempre nelle sue lettere per il modo in cui recitando la Francesca l’ha portata al successo, ma non accena mai al fatto che sia stata Carlotta ad ispirarlo. Carlotta appare quindi come colei che ha dato spessore al suo personaggio, portandolo concretamente sulla scena, non come colei che l’ha ispirato. D’altra parte le notizie date da Maroncelli nelle sue Addizioni sono difficili da valutare come attendibilità perché alcuni risultano confermate in pieno da altre fonti, mentre altre sono palesemente errate (per esempio Maroncelli data al 1819-1820 l’anno di vita del Conciliatore, mentre in realtà Il Conciliatore era nato nell’ottobre del 1818 e morto 14 mesi dopo a causa della censura oppure scrive che tutta la famiglia Pellico, tranne Silvio aveva lasciato Milano nel 1814, mentre da una lettera di Michele Leoni ad Ugo Foscolo viene fuori un’altra verità, ossia che Silvio era rimasto a vivere in casa Briche dove lavorava come precettore di Odoardo già da tre anni, mentre suo fratello Luigi era stato ospitato dallo stesso Leoni in casa sua, finché non aveva trovato nel febbraio del 1815 un impiego a Genova). e l’amore di Ludovico per lei probabilmente influì sulle correzioni apportate, “Qualche anno dopo Carlotta ricomparve a Milano adulta e già salutata come massima nell’arte sua. Era al teatro re Silvio Pellico e Lodovico Breme la conobbero e l’abbandonata Francesca che giaceva polverosa nel forziere dell’autore fu tratta in luce rappresentata da Carlotta, ripetuta a Napoli a Firenze su tutti i teatri d Italia e sempre con esito crescente.” (Piero Maroncelli, Addizioni, cit.) anche se non si può dire come scrissero nel corso dell’800 molti biografi, soprattutto francesi, del Pellico, che Carlotta sia stata l’ispiratrice della tragedia. a.marchini, Ludovico Di Breme Arborio Gattinara (1780-1820) Grande letterato, poeta romantico e patriota, Genova, KC Edizioni, 2010. Si tratta della biografia più recente relativa a Ludovico Di Breme, l’autore però considerando che Ludovico usava nelle proprie lettere la parola amore non solo parlando di Carlotta, ma anche di Silvio Pellico, ritiene che quello di Ludovico per Carlotta possa essere stato soltanto un amore platonico. D’altra parte io credo che si possa prendere in considerazione anche l’ipotesi opposta ossia che Ludovico provasse per Silvio un sentimento molto forte al limite tra amicizia ed amore. A conferma dell’ipotesi che la donna che ha ispirato il personaggio di Francesca sia Emilia Vignali Briche ho rintracciato tra i manoscritti conservati nella Biblioteca Nazionale di Parigi una lettera dell’otto novembre 1835, indirizzata da Pellico proprio alla Briche che è interessante per due motivi, Pellico le dà del tu, una cosa insolita, considerando che era stata la sua “datrice di lavoro” in quanto madre del bambino di cui Pellico era precettore e che quindi sarebbe stato più consono ai rispettivi ruoli se le avesse dato del voi e in più Pellico, dopo aver descritto alla Briche la sua vita successiva alla liberazione dal carcere, una vita relativamente tranquilla, dedita alla religione e alla scrittura, insieme ai genitori ormai anziani, scrive questa frase che mi sembrata allusiva al suo amore passato: “Arrossisco delle stoltezze della mia gioventù, e trovo un’indicibile dolcezza nella religione. Le anime nostre sono fatte per amore, ma non possono essere felici, se non amando Dio.” http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b6000272v/f83.image.r=Silvio%20Pellico.langFR  Immagine tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Paoloefrancesca.jpg FRANCESCA DA RIMINI TRAGEDIA. Noi leggevamo un giorno per diletto, Di Lancillotto come amor lo strinse, Soli eravamo e senza alcun sospetto. Per più fiate gli occhi ci sospinse Quella lettura e scolorocci il viso. Ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disïato riso, Esser baciato da cotanto amante, Questi, che mai da me non fia diviso, La bocca mi baciò tutto tremante. PERSONAGGI. LANCIOTTO, signor di Rimini. PAOLO, suo fratello. GUIDO, signore di Ravenna. FRANCESCA, sua figlia e moglie di Lanciotto. UN PAGGIO. GUARDIE. La scena è in Rimini nel palazzo signorile. FRANCESCA DA RIMINI. ATTO PRIMO. SCENA PRIMA. Esce LANCIOTTO dalle sue stanze per andare all'incontro di GUIDO, il quale giunge. Si abbracciano affettuosamente. GUIDO. Vedermi dunque ella chiedea? Ravenna Tosto lasciai; men della figlia caro Sariami il trono della terra. LANCIOTTO. Oh Guido! Come diverso tu rivedi questo Palagio mio dal dì che sposo io fui! Di Rimini le vie più non son liete Di canti e danze; più non odi alcuno Che di me dica: Non v'ha rege al mondo Felice al pari di Lanciotto. Invidia Avean di me tutti d'Italia i prenci: Or degno son di lor pietà. Francesca Soavemente commoveva a un tempo Colla bellezza i cuori, e con quel tenue Vel di malinconia che più celeste Fea il suo sembiante. L'apponeva ognuno All'abbandono delle patrie case E al pudor di santissima fanciulla, Che ad imene ed al trono ed agli applausi Ritrosa ha l'alma. - Il tempo ir diradando Parve alfin quel dolor. Meno dimessi Gli occhi Francesca al suo sposo volgea; Più non cercava ognor d'esser solinga; Pietosa cura in lei nascea d'udire Degl'infelici le querele, e spesso Me le recava; e mi diceva.... Io t'amo. Perchè sei giusto e con clemenza regni. GUIDO. Mi sforzi al pianto. - Pargoletta, ell'era Tutta sorriso, tutta gioja, ai fiori Parea in mezzo volar nel più felice Sentiero della vita; il suo vivace Sguardo in chi la mirava, infondea tutto Il gajo spirto de' suoi giovani anni. Chi presagir potealo? Ecco ad un tratto Di tanta gioja estinto il raggio, estinto Al primo assalto del dolor! La guerra, Ahimè, un fratel teneramente amato Rapiale!... Oh infausta rimembranza!.. Il cielo Con preghiere continue ella stancava Pel guerreggiante suo caro fratello... LANCIOTTO. Inconsolabil del fratel perduto Vive, e n'abborre l'uccisor; quell'alma Sì pia, sì dolce, mortalmente abborre! Invan le dico: I nostri padri guerra Moveansi; Paolo, il fratel mio, t'uccise Un fratello, ma in guerra; assai dorragli L'averlo ucciso; egli ha leggiadri, umani, Di generoso cavaliero i sensi. Di Paolo il nome la conturba. Io gemo Però che sento del fratel lontano Tenero amore. Avviso ebbi ch'ei riede In patria, il core men balzò di gioja; Alla mia sposa supplicando il dissi, Onde benigna l'accogliesse. Un grido A tal annunzio mise. Egli ritorna! Sclamò tremando, e semiviva cadde. Dirtelo deggio? Ahi l'ho creduta estinta, E furente giurai che la sua morte Io vendicato avrei... nel fratel mio. GUIDO. Lasso! e potevi?... LANCIOTTO. Il ciel disperda l'empio Giuramento! L'udì ripeter ella, Ed orror n'ebbe, e a me le man stendendo: Giura, sclamò, giura d'amarlo: ei solo, Quand'io più non sarò, pietoso amico Ti rimarrà... Ch'io l'ami impone, e l'odia, La disumana! E andar chiede a Ravenna Nel suo natio palagio, onde gli sguardi Non sostener dell'uccisor del suo Germano. GUIDO. Appena ebbi il tuo scritto, inferma Temei foss'ella. Ah, quanto io l'ami, il sai! Che troppo io viva... tu mi intendi... io sempre Tremo. LANCIOTTO. Oh, non dirlo!.. Io pur, quando sopita La guardo... e chiuse le palpebre e il bianco Volto segno non dan quasi di vita, Con orrenda ansietà pongo il mio labbro Sovra il suo labbro per sentir se spiri: E del tremor tuo tremo. - In feste e giochi Tenerla volli, e sen tediò: di gemme Dovizïosa e d'oro e di possanza Farla, e fu grata ma non lieta. Al cielo Devota è assai: novelle are costrussi. Cento vergini e cento alzano ognora Preci per lei, che le protegge ed ama. Ella s'avvede ch'ogni studio adopro Onde piacerle, e me lo dice, e piange. Talor mi sorge un reo pensier... Avessi Qualche rivale? O ciel! ma se da tutta La sua persona le traluce il core Candidissimo e puro!... Eccola. SCENA II. FRANCESCA E DETTI. GUIDO. Figlia, Abbracciami. Son io... FRANCESCA. Padre... ah, la destra ch'io ti copra di baci! GUIDO. Al seno mio, Qui... qui confondi i tuoi palpiti a' miei Vieni, prence. Ambidue siete miei figli: Ambidue qui... Vi benedica il cielo! Così vi strinsi ambi quel dì che sposi Vi nomaste. FRANCESCA. Ah, quel dì!... fosti felice, O padre. LANCIOTTO. E che? forse dir vuoi che il padre Felice, e te misera festi? FRANCESCA. Io vero Presagio avea, che male avrei lo sposo Mio rimertato con perenne pianto, E te lo dissi, o genitor: chiamata Alle nozze io non era. Il vel ti chiesi; Tu mi dicesti che felice il mio Imen sol ti farebbe... io t'obbedii. GUIDO. Ingrata, il vel chieder potevi a un padre A cui viva restavi unica prole? Negar potevi a un genitor canuto D'avere un dì sulle ginocchia un figlio Della sua figlia? FRANCESCA. Non per me mi pento. Iddio m'ha posto un incredibil peso D'angoscia sovra il core, e a sopportarlo Rassegnata son io. Gli anni miei tutti Di lagrime incessanti abbeverato Avrei del pari in solitaria cella Come nel mondo. Ma di me dolente Niuno avrei fatto!... liberi dal seno Sariano usciti i miei gemiti a Dio, Onde guardasse con pietà la sua Creatura infelice, e la togliesse Da questa valle di dolor!... Non posso Nè bramar pure di morir: te affliggo, O generoso sposo mio, vivendo: T'affliggerei più, s'io morissi. LANCIOTTO. O pia E in un crudele! Affliggimi, cospargi Di velen tutte l'ore mie, ma vivi. FRANCESCA. Troppo tu m'ami. E temo ognor che in odio Cangiar tu debba l'amor tuo... punirmi... Di colpa ch'io non ho... d'involontaria Colpa almeno.... LANCIOTTO. Qual colpa? FRANCESCA. Io... debolmente Amor t'esprimo... LANCIOTTO. E il senti? Ah, dirti cosa Mai non volea ch'ora dal cor mi fugge! Vorresti, e amarmi, oh ciel! nol puoi... FRANCESCA. Che pensi? LANCIOTTO. Rea non ti tengo... involontarii sono Spesso gli affetti... FRANCESCA. Che? LANCIOTTO. Perdona. Rea Io non ti tengo, tel ridico, o donna: Ma il tuo dolor... sarebbe mai... di forte Alma in conflitto con biasmato... amore? FRANCESCA. (Gettandosi nelle braccia di Guido.) Ah, padre, salva la mia fama. Digli, E giuramento abbine tu, che giorni Incolpabili io trassi al fianco tuo, E che al suo fianco io non credea che un'ombra Pur di sospetto mai data gli avessi. LANCIOTTO. Perdona: amore è di sospetti fabbro. - Io fra me spesso ben dicea: Se pure, Fanciulla ancor, d'immacolato amore Si fosse accesa, e or tacita serbasse Il sovvenir d'un mio rival, cui certo Ella antepone il suo dover, qual dritto Di esacerbar la cruda piaga avrei, Indagando l'arcano? Eterno giaccia Nel suo innocente cor, s'ella ha un arcano! Ma dirlo deggio? Il dubbio mio s'accrebbe Un dì che al fratel tuo lodi tessendo, Io m'accingeva a consolarti. Invasa Da trasporto invincibile, sclamasti: Dove, o segreto amico mio del cuore, Dove n'andasti? Perchè mai non torni, Sì che pria di morire io ti riveggia? FRANCESCA. Io dissi? LANCIOTTO. Nè a fratel volti que' detti Parean. FRANCESCA. Fin nel delirio, agl'infelici Scrutar vuolsi il pensier? Sono infelici, Nè basta: infami anch'esser denno. Ognuno Contro l'afflitto spirto lor congiura; Ognun... pietà di lor fingendo... gli odia; Non pietà no, la tomba chieggon... Quando Più sopportarmi non potrai, la tomba Aprimi sì; discenderovvi io lieta: Lieta pur ch'io... da ogn'uom fugga! GUIDO. Vaneggi? Figlia... LANCIOTTO. Quai su di me vibri tremendi Sguardi! Che li fec'io? FRANCESCA. Di mie sciagure La cagion non sei tu?... Perchè strapparmi Dal suol che le materne ossa racchiude? Là calmato avria il tempo il dolor mio; Qui tutto il desta, e lo rinnova ognora... Passo non fo ch'io non rimembri... - Oh insana! Fuor di me son. Non creder, no... LANCIOTTO. A Ravenna, Francesca, sì, col genitor n'andrai. GUIDO. Prence, t'arresta. LANCIOTTO. Oh, a'dritti miei rinunzio. Dalla tua patria non verrò a ritorti: Chi orror t'ispira, ed è tuo sposo, e t'ama Pur tanto, più non rivedrai... se forse Pentita un giorno e a pietà mossa, al tuo Misero sposo non ritorni... E forse, Dall'angosce cangiato, ah, ravvisarmi Più non saprai! Ben io, ben io nel core La tua presenza sentirò: al tuo seno Volerò perdonandoti. FRANCESCA. Lanciotto, Tu piangi? GUIDO. Ah figlia! FRANCESCA. Padre mio! Vedesti Figlia più rea, più ingrata moglie? iniqui Detti mi sfuggon nel dolor, ma il labbro Sol li pronuncia. GUIDO. Ah, di tuo padre i giorni Non accorciar, nè del marito vane Far le virtù per cui degna e adorata Consorte il ciel gli concedea! Più lieve Sarà la terra sovra il mio sepolcro, Se un dì, toccando, giurerai che lieto Di prole festi e del tuo amor lo sposo. FRANCESCA. Io accorcerei del padre mio la vita? No. Figlia e moglie esser vogl'io: men doni Lo forza il ciel. Meco il pregate! GUIDO. Rendi A mia figlia la pace! LANCIOTTO. ... Alla mia sposa! SCENA III. UN PAGGIO E DETTI. PAGGIO. L'ingresso chiede un cavalier. FRANCESCA. (A Guido.) Tu d'uopo Hai di riposo: alle tue stanze, o padre, Vieni. (Parte con Guido.) SCENA IV. LANCIOTTO E IL PAGGIO. LANCIOTTO. Il suo nome? PAGGIO. Il nome suo tacea: Supporlo io posso. Entrò negli atrii, e forte Commozïone l'agitò: con gioja Guardava l'armi de' tuoi avi appese Alle pareti: di tuo padre l'asta E lo scudo conobbe. LANCIOTTO. Oh Paolo! Oh mio Fratello! PAGGIO. Ecco a te viene. SCENA V. PAOLO E LANCIOTTO si corrono incontro e restano lungamente abbracciati LANCIOTTO. Ah, tu sei desso, Fratel! PAOLO. Lanciotto! mio fratello! - Oh sfogo Di dolcissime lacrime! LANCIOTTO. L'amico, L'unico amico de' miei teneri anni Da te diviso, oh, come a lungo io stetti. PAOLO. Qui t'abbracciai l'ultima volta... Teco Un altr'uomo io abbracciava: ei pur piangea... Più rivederlo io non doveva? LANCIOTTO. Oh padre! PAOLO. Tu gli chiudesti i moribondi lumi. Nulla ti disse del suo Paolo? LANCIOTTO. Il suo Figliuol lontano egli moria chiamando. PAOLO. Me benedisse? - Egli dal ciel ci guarda, Ci vede uniti e ne gioisce. Uniti Sempre saremo d'ora innanzi. Stanco Son d'ogni vana ombra di gloria. Ho sparso Di Bizanzio pel trono il sangue mio, Debellando città ch'io non odiava, E fama ebbi di grande, e d'onor colmo Fui dal clemente imperador: dispetto In me facean gli universali applausi. Per chi di stragi si macchiò il mio brando? Per lo straniero. E non ho patria forse Cui sacro sia de' cittadini il sangue? Per te, per te, che cittadini hai prodi, Italia mia, combatterò; se oltraggio Ti moverà la invidia. E il più gentile Terren non sei di quanti scalda il sole? D'ogni bell'arte non sei madre, o Italia? Polve d'eroi non è la polve tua? Agli avi miei tu valor desti e seggio, E tutto quanto ho di più caro alberghi! LANCIOTTO. Vederti, udirti, e non amarti... umana Cosa non è. - Sien grazie al cielo, odiarti Ella, no, non potrà. PAOLO. Chi? LANCIOTTO. Tu non sai: Manca alla mia felicità qui un altro Tenero pegno. PAOLO. Ami tu forse? LANCIOTTO. Oh se amo! La più angelica donna amo... e la donna Più sventurata. PAOLO. Io pur amo; a vicenda Le nostre pene confidiamci. LANCIOTTO. Il padre Pria di morire un imeneo m'impose, Onde stabile a noi pace venisse. Il comando eseguii. PAOLO. Sposa t'è dunque La donna tua? nè lieto sei? Chi è dessa? Non t'ama? LANCIOTTO. Ingiusto accusator, non posso Dir che non m'ami. Ella così te amasse! Ma tu un fratello le uccidesti in guerra, Orror le fai, vederti niega. PAOLO. Parla, Chi è dessa? chi? LANCIOTTO. Tu la vedesti allora Che alla corte di Guido... PAOLO. Essa... (Reprimendo la sua orribile agitazione.) LANCIOTTO. La figlia Di Guido. PAOLO. E t'ama! Ed è tua sposa? - È vero; Un fratello... le uccisi... LANCIOTTO. Ed incessante Duolo ne serba. Poichè udì che in patria Tu ritornavi, desolata abborre Questo tetto. PAOLO. (Reprimendosi sempre.) Vedermi, anco vedermi Niega? - Felice io mi credeva accanto Al mio fratel. - Ripartirò... in eterno Vivrò lontano dal mio patrio tetto. LANCIOTTO. Fausto ad ambi ugualmente il patrio tetto Sarà. Non fia che tu mi lasci. PAOLO. In pace Vivi; a una sposa l'uom tutto pospone. Amala... - Ah, prendi questo brando, il tuo Mi dona! rimembranza abbilo eterna Del tuo Paolo. (Eseguisce con dolce violenza questo cambio.) LANCIOTTO. Fratel... PAOLO. Se un giorno mai Ci rivedrem, s'io pur vivrò... più freddo Batterà allora il nostro cuor... il tempo Che tutto estingue, estinto avrà... in Francesca L'odio... e fratel mi chiamerà. LANCIOTTO. Tu piangi. PAOLO. Io pure amai! Fanciulla unica al mondo Era quella al mio sguardo.... ah, non m'odiava, No; non m'odiava. LANCIOTTO. E la perdesti? PAOLO. Il cielo Me l'ha rapita! LANCIOTTO. D'un fratel l'amore Ti sia conforto. Alla tua vista, a' modi Tuoi generosi placherassi il core Di Francesca medesma... Or vieni... PAOLO. Dove?... A lei dinanzi... non fia mai ch'io venga! FINE DELL'ATTO PRIMO. Immagine tratta da: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Inf._06_Joseph_Anton_Koch,_Paolo_e_Francesca_sorpresi_da_Gianciotto,_1805-10c..jpg?uselang=it ATTO SECONDO. SCENA PRIMA. GUIDO E FRANCESCA. FRANCESCA. Qui... più libera è l'aura. GUIDO. Ove t'aggiri Dubitando così? FRANCESCA. Non ti parea La voce udir... di... Paolo? GUIDO. Timore Or di vederlo non ti prenda. Innanzi Non ti verrà, se tu nol brami. FRANCESCA. Alcuno Gli disse ch'io... l'abborro? glien duol forse? GUIDO. Assai glien duol. Volea partir; Lanciotto Ne lo trattenne. FRANCESCA. Egli partir volea? GUIDO. Or più quieto hai lo spirto. Oggi Lanciotto Spera che del fratel suo la presenza Tu sosterrai. FRANCESCA. Padre, mio padre! Ah, senti... Questo arrivo... deh, senti, come forti Palpiti desta nel mio sen! - Deserta Rimini mi parea; muta, funebre Mi parea questa casa; ora... Deh, padre, Mai non lasciarmi, deh, mai più! Sol teco Giubilar oso e piangere; nemico Tu non mi sei... Pietà di me tu avresti, Se... GUIDO. Che? FRANCESCA. Se tu sapessi... - Oh, quanto amaro M'è il vivere solinga! Ah, tu pietoso Consolator mi sei!... Fuorchè te, o padre, Non evvi alcun dinanzi a cui non tremi, Dinanzi a cui tutti del core i moti Io non debba reprimere... Nascosto Non tengo il cor; facil s'allegra e piange: E mostrar mai nè l'allegria nè il pianto Lecito m'è. Tradirmi posso; guai, Guai se con altri un detto mi sfuggisse!... Tu... più benigno guarderesti i mali Della tua figlia... E se in periglio fosse... Ne la trarresti con benigna mano. GUIDO. No, il cor nascosto tu non tieni... I tuoi Pensier segreti... più non son segreti, Quando col tuo tenero padre stai. FRANCESCA. Tutto... svelarti bramerei... Che dico? Ove mi celo? Oh terra, apriti, cela La mia vergogna! GUIDO. Parla; il ciel t'ispira. Abbi fiducia. Il fingere è supplizio Per te... FRANCESCA. Dovere è il fingere, dovere Il tacer, colpa il dimandar conforto; Colpa il narrar sì reo delitto a un padre, Che il miglior degli sposi alla sua figlia Diede... e felice non la fe'! GUIDO. Me lasso! Il carnefice tuo dunque son io? FRANCESCA. Oh buon padre! nol sei... - Vacillar sento La mia debol virtù. - Tremendo sforzo, Ma necessario! Salvami, sostienmi! Lunga battaglia fin ad ora io vinsi; Ma questi di mia vita ultimi giorni Tremarmi fanno... Aita, o padre, ond'io Santamente li chiuda. - Ah, sì! Lanciotto Ben sospettò, ma rea non son! fedele Moglie a lui son, fedel moglie esser chieggo!.. - Padre... sudar la tua fronte vegg'io... Da me torci gli sguardi... inorridisci... GUIDO. Nulla, figlia, raccontami... FRANCESCA. Ti manca Lo spirto. Oh ciel! GUIDO. Nulla, mia figlia. - Un breve Disordin qui... qui nella mente... - Ah, dolce A vecchio padre è l'appoggiar le inferme Membra su figli non ingrati! FRANCESCA. Oh, è vero! Giusta è la tua rampogna; ingrata figlia, Ingrata io son: puniscimi. GUIDO. Qual empio Di sacrilega fiamma il cor t'accese? FRANCESCA. Empio ei non è, non sa, non sa ch'io l'amo; Egli non m'ama. GUIDO. Ov'è? Per rivederlo Forse a Ravenna ritornar volevi? FRANCESCA. Per fuggirlo, mio padre! GUIDO. Ov'è colui? Rispondi; ov'è? FRANCESCA. Pietà mi promettesti; Non adirarti. È in Rimini... GUIDO. Chi giunge! SCENA II. LANCIOTTO E DETTI. LANCIOTTO. Turbati siete?... Eri placata or dianzi. GUIDO. Diman, Francesca, partirem. LANCIOTTO. Che dici? GUIDO. Francesca il vuol. FRANCESCA. Padre! GUIDO. Oseresti?... (Parte guardandola minacciosamente.) SCENA III. LANCIOTTO E FRANCESCA. FRANCESCA. Ahi, crudo Più di tutti è mio padre! LANCIOTTO. Abbandonarmi Più non volevi; io ti credea commossa Dal dolor mio. Per fuggir Paolo, d'uopo Che tu parta non è; partir vuol egli. FRANCESCA. Partir? LANCIOTTO. Funesta gli parria la vita Ne' suoi penati, ove abborrito ei fosse. FRANCESCA. Tanto gl'incresce? LANCIOTTO. Invan distornel volli; Di ripartir fe' giuramento. FRANCESCA. Ei molto Te ama... LANCIOTTO. Soave e generoso ha il core. Debole amor (pari m'è in ciò) non sente... E pari a me, d'amor vittima ei vive! FRANCESCA. D'amor vittima? LANCIOTTO. Sì. Non reggerebbe Il tuo medesmo cuor, se tu l'udissi... FRANCESCA. Or perchè viene a queste piagge adunque? Cred'ei che m'abbia alcun altro fratello Onde rapirmel?... Per mio solo danno, Certo, ei qui venne. LANCIOTTO. Ingiusta donna! Ei prega, Pria di partir, che un sol istante l'oda, Che un solo istante tu lo veggia. - Ah, pensa Ch'ei t'è cognato; che novelli imprende Lunghi viaggi; che più forse mai Nol rivedrem! Religion ti parli. Se un nemico avess'io, che l'oceàno In procinto a varcar, la destra in pria A porgermi venisse... io quella destra Con tenerezza stringerei, sì dolce È il perdonar. FRANCESCA. Deh, cessa!.. Oh mia vergogna! LANCIOTTO. Chi sa, direi, se quel vasto oceàno, Fin che viviam, frapposto ognor non fia Tra quel mortale e me? Sol dopo morte, In cielo... E tutti noi là ci vedremo... Là non potremo esser divisi. Oh donna, Il fratello abborrir là non potrai! FRANCESCA. Sposo, deh, sappi... Ah, mi perdona! LANCIOTTO. Vieni, Fratello! FRANCESCA. Oh Dio! (Si getta nelle braccia di Lanciotto.) SCENA IV. PAOLO E DETTI. PAOLO. Francesca!... eccola... dessa! LANCIOTTO. Paolo, t'avanza. PAOLO. E che dirò? - Tu dessa? - Ma s'ella niega di vedermi, udirmi Consentirà? Meglio è ch'io parta, in odio Le sarò men. - Fratel, dille che al suo Odio perdono, e che nol merto. Un caro German le uccisi; io nol volea. Feroce Ei che perdenti avea le schiere, ei stesso S'avventò sul mio brando; io di mia vita Salvo a costo l'avria. FRANCESCA. (Sempre abbracciata al marito, senza osar di levar la faccia.) Sposo, è partito? Partito è Paolo?.. Alcuno odo che piange; Chi è? PAOLO. Francesca io piango; io de' mortali Sono il più sventurato! Anche la pace De' lari miei non m'è concessa. Il core Assai non era lacerato? assai Non era il perder... l'adorata donna? Anche il fratello, anche la patria io perdo! FRANCESCA. Cagion mai non sarò ch'un fratel l'altro Debba fuggir. Partir vogl'io; tu resta, Uopo ha Lanciotto d'un amico. PAOLO. Oh! l'ami?... A ragion l'ami. Io pur l'amo... E pugnando In remote contrade... e quando i vinti E le spose e le vergini io salvava Dal furor delle mie turbe vincenti, E d'ogni parte m'acclamavan tutti Fortissimo guerrier, ma guerrier pio... Dolce memoria del fratello amato Mi ricorreva, e mi parea che un giorno Mi rivedrebbe con gentile orgoglio... E tutta Italia e sue leggiadre donne Avrian proferto amabilmente il nome Dell'incolpabil cavaliero. - Ah, infausti M'erano que' trionfi! il valor mio Infausto m'era! FRANCESCA. Dunque tu in remote Contrade combattendo... ai vinti usavi Spesso pietà? Le vergini e le spose Salvavi? Là colei forse vedesti Che nell'anima tua regna. - Che parlo? Oh insana. - Vanne. Io t'odio, sì! PAOLO. (Risolutamente.) Lanciotto, Addio. - Francesca!... FRANCESCA. (Udendo ch'egli parte, gli getta involontariamente uno sguardo.) PAOLO. (Vorrebbe parlare; è in una convulsione terribile, e temendo di tradirsi fugge.) LANCIOTTO. Paolo: deh, ti ferma! SCENA V. LANCIOTTO E FRANCESCA. FRANCESCA. Paolo... Misera me! LANCIOTTO. Pietà di lui Senti, barbara, o fingi? A che ti stempri In lagrime or, se noi tutti infelici Render vuoi tu? Favella; io ragion chieggo De' tuoi strani pensieri; alfin son stanco Di sofferirli. FRANCESCA. E sono pure io stanca Di tue ingiuste rampogne; ed avrò pace Sol quando fia ch'io più non veggia... il mondo! FINE DELL'ATTO SECONDO. ATTO TERZO. SCENA PRIMA. PAOLO. Vederla... sì, l'ultima volta. Amore Mi fa sordo al dover. Sacro dovere Saria il partir, più non vederla mai!... Nol posso. Oh! come mi guardò! Più bella La fa il dolor: più bella, sì, mi parve; Più sovrumana! E la perdei? Lanciotto Me l'ha rapita? oh rabbia! oh!.. il fratel mio Non amo? Egli è felice... ei lungamente Lo sia... Ma che? per farsi egli felice Squarciar doveva ei d'un fratello il core? SCENA II. FRANCESCA s'avanza senza veder PAOLO. FRANCESCA. Ov'è mio padre? almen da lui sapessi Se ancor qui alberga... il mio... cognato! - Io queste Mura avrò care sempre...Ah, sì, lo spirto Esalerò su questo sacro suolo Ch'egli asperse di pianto!... Empia, discaccia Sì rei pensieri: io son moglie!... PAOLO. Favella Seco medesma, e geme. FRANCESCA. Ah, questo loco Lasciar io deggio: di lui pieno è troppo! Al domestico altar ritrarmi io deggio... E giorno e notte innanzi a Dio prostrata Chieder mercè de' falli miei; che tutta Non m'abbandoni, degli afflitti cuori Refugio unico, Iddio. (Per partire.) PAOLO. (Avanzandosi.) Francesca... FRANCESCA. Oh vista! - Signor... che vuoi? PAOLO. Parlarti ancor. FRANCESCA. Parlarmi? - Ahi, sola io son!... Sola mi lasci, o padre? Padre, ove sei? la tua figlia soccorri! - Di fuggir forza avrò. PAOLO. Dove? FRANCESCA. Signore... Deh, non seguirmi! il voler mio rispetta; Al domestico altar qui mi ritraggo: Del cielo han d'uopo gl'infelici. PAOLO. A' piedi De' miei paterni altar teco verronne. Chi di me più infelice? Ivi frammisti I sospir nostri s'alzeranno. Oh donna! Tu invocherai la morte mia, la morte Dell'uom che abborri... io pregherò che il cielo Tuoi voti ascolti e all'odio tuo perdoni, E letizia t'infonda, e lunga serbi Giovinezza e beltà sul tuo sembiante, E a te dia tutto che desiri!... tutto!... Anche... l'amor del tuo consorte... e figli Da lui beati! FRANCESCA. Paolo, deh! - Che dico? - Deh, non pianger. La tua morte non chieggo. PAOLO. Pur tu m'abborri... FRANCESCA. E che ten cal, s'io deggio Abborrirti?... La tua vita non turbo. Diman io qui più non sarò. Pietosa Al tuo germano compagnia farai. Della perdita mia tu lo consola: Piangerà ei certo... Ah, in Rimini, egli solo Piangerà, quando gli fia noto!... - Ascolta. Per or, non digliel. Ma tu, sappi... ch'io Non tornerò più in Rimini: il cordoglio M'ucciderà. Quando al mio sposo noto Ciò fia, tu lo consola: e tu... per lui... Tu pur versa una lagrima. PAOLO. Francesca, Se tu m'abborri che mi cale? e il chiedi? E l'odio tuo la mia vita non turba? E questi tuoi detti funesti?... - Bella Come un angiol, che Dio crea nel più ardente Suo trasporto d'amor... cara ad ognuno... Sposa felice... e osi parlar di morte? A me s'aspetta, che per vani onori Fui strascinato da mia patria lunge, E perdei... - Lasso! un genitor perdei. Rïabbracciarlo ognor sperava. Ei fatto Non m'avrebbe infelice, ove il mio cuore Discoperto gli avessi... e colei data M'avria... colei, che per sempre ho perduta. FRANCESCA. Che vuoi tu dir? Della tua donna parli... E senza lei sì misero tu vivi? Sì prepotente è nel tuo petto amore? Unica fiamma esser non dee nel petto Di valoroso cavaliere, amore. Caro gli è il brando e la sua fama; egregi Affetti son. Tu seguili; non fia Che t'avvilisca amor. PAOLO. Quai detti? Avresti Di me pietà? Cessar d'odiarmi alquanto Potresti, se col brando io m'acquistassi Fama maggior? Un tuo comando basta. Prescrivi il luogo e gli anni. A' più remoti Lidi mi recherò; quanto più gravi E perigliose troverò le imprese, Vie più dolci mi fien, poichè Francesca Imposte me l'avrà. L'onore assai E l'ardimento mi fan prode il braccio; Più il farà prode il tuo adorato nome. Contaminate non saran mie glorie Da tirannico intento. Altra corona, Fuorchè d'alloro, ma da te intrecciata, Non bramerò, solo un tuo applauso,un detto, Un sorriso, uno sguardo... FRANCESCA. Eterno Iddio! Che è questo mai? PAOLO. T'amo, Francesca, t'amo, E disperato è l'amor mio! FRANCESCA. Che intendo? Deliro io forse? che dicesti? PAOLO. Io t'amo! FRANCESCA. Che ardisci? Ah taci! Udir potrian... Tu m'ami! Sì repentina è la tua fiamma? Ignori Che tua cognata io son? Porre in obblio Sì tosto puoi la tua perduta amante?... Misera me! questa mia man, deh, lascia! Delitto sono i baci tuoi! PAOLO. Repente Non è, non è la fiamma mia. Perduta Ho una donna, e sei tu; di te parlava Di te piangea; te amava; te sempre amo; Te amerò sino all'ultim'ora! e s'anco Dell'empio amor soffrir dovessi eterno Il castigo sotterra, eternamente Più e più sempre t'amerò! FRANCESCA. Fia vero? M'amavi? PAOLO. Il giorno che a Ravenna io giunsi Ambasciator del padre mio, ti vidi Varcare un atrio col feral corteggio Di meste donne, ed arrestarti a' piedi D'un recente sepolcro, e ossequïosa Ivi prostrarti, e le man giunte al cielo Alzar con muto ma dirotto pianto. Chi è colei? dissi a talun. - La figlia Di Guido, mi rispose. - E quel sepolcro? - Di sua madre il sepolcro. - Oh, quanta al core Pietà sentii di quell'afflitta figlia! Oh qual confuso palpitar!... Velata Eri, o Francesca: gli occhi tuoi non vidi Quel giorno, ma t'amai fin da quel giorno. FRANCESCA. Tu... deh, cessa!... m'amavi? PAOLO. Io questa fiamma Alcun tempo celai, ma un dì mi parve Che tu nel cor letto m'avessi. Il piede Dalle virginee tue stanze volgevi Al secreto giardino. E presso al lago In mezzo ai fior prosteso, io sospirando Le tue stanze guardava: e al venir tuo Tremando sorsi. - Sopra un libro attenti Non mi vedeano gli occhi tuoi; sul libro Ti cadeva una lagrima... Commosso Mi t'accostai. Perplessi eran miei detti, Perplessi pure erano i tuoi. Quel libro Mi porgesti e leggemmo. Insiem leggemmo "Di Lancillotto come amor lo strinse. "Soli eravamo e senza alcun sospetto... Gli sguardi nostri s'incontraro... il viso Mio scolorossi... tu tremavi... e ratta Ti dileguasti. FRANCESCA. Oh giorno! A te quel libro Restava. PAOLO. Ei posa sul mio cuor. Felice Nella mia lontananza egli mi fea. Ecco: vedi le carte che leggemmo. Ecco: vedi, la lagrima qui cadde Dagli occhi tuoi quel dì. FRANCESCA. Va' ti scongiuro, Altra memoria conservar non debbo Che del trafitto mio fratel. PAOLO. Quel sangue Ancor versato io non aveva. Oh patrie Guerre funeste! Quel versato sangue Ardir mi tolse. La tua man non chiesi: E in Asia trassi a militar. Sperava Rieder tosto, e placata indi trovarti, Ed ottenerti. Ah, d'ottenerti speme Nutria, il confesso. FRANCESCA. Ohimè! ten prego, vanne: Il doler mio, la mia virtù rispetta. - Chi mi da forza, ond'io resista? PAOLO. Ah, stretta Hai la mia destra? Oh gioja! dimmi: stretta Perchè hai la destra mia? FRANCESCA. Paolo! PAOLO. Non m'odii? Non m'odii tu? FRANCESCA. Convien ch'io t'odii. PAOLO. E il puoi? FRANCESCA. Nol posso. PAOLO. Oh detto! ah, mel ripeti! Donna, Non m'odii tu? FRANCESCA. Troppo ti dissi. Ah crudo! Non ti basta? Va', lasciami. PAOLO. Finisci. Non ti lascio, se in pria tutto non dici. FRANCESCA. E non tel dissi... ch'io t'amo. - Ah, dal labbro M'uscì l'empia parola!.. io t'amo, io muojo D'amor per te... Morir bramo innocente: Abbi pietà! PAOLO. Tu m'ami? tu?... L'orrendo Mio affanno vedi. Disperato io sono: Ma la gioja che in me scorre fra questo Disperato furor, tale e sì grande Gioja è, che dirla non poss'io. Fia vero Che tu m'amassi?... E ti perdei! FRANCESCA. Tu stesso M'abbandonasti, o Paolo. Io da te amata Creder non mi potea. - Vanne: sia questa L'ultima volta... PAOLO. Ch'io mai t'abbandoni Possibile non è. Vederci almeno Ogni giorno!... FRANCESCA. E tradirci? e nel mio sposo Destar sospetti ingiuriosi? e macchia Al nome mio recar? Paolo, se m'ami, Fuggimi. PAOLO. Oh sorte irreparabil! Macchia Al tuo nome io recar? No! - Sposa d'altri Tu sei. Morir degg'io. La rimembranza Di me scancella dal tuo seno: in pace Vivi. Io turbai la pace tua: perdona. - Deh, no, non pianger! non amarmi! - Ah, lasso! Che dico? Amami, si: piangi sul mio Precoce fato... - Odo Lanciotto. Oh cielo, Dammi tu forza! - (Chiamando.) A me, fratel! SCENA III. LANCIOTTO, GUIDO E DETTI. PAOLO. L'estremo Amplesso or dammi. LANCIOTTO. E invan... PAOLO. Nè un detto solo A' miei voleri oppor. Funesti augurii Qui meco trassi: guai s'io!... LANCIOTTO. Che favelli? Sdegno ti sta sul ciglio! PAOLO. Ah! non di noi... Del destino è la colpa. - Addio, Francesca. FRANCESCA. (Quasi fuor di se con grido convulsivo.) Paolo... Ferma! LANCIOTTO. Qual voce! GUIDO. (Reggendo la figlia.) Oimè le manca Il respiro. PAOLO. (In atto di partire.) Francesca... FRANCESCA. Ei parte... io muojo. (Sviene nelle braccia di Guido.) PAOLO. Francesca... oh vista... si soccorra. GUIDO. Figlia... (Francesca è recata nelle sue stanze.) SCENA IV. LANCIOTTO E PAOLO. LANCIOTTO. Paolo... Che intendo?... Orrendo lampo scorre Sugli occhi miei. PAOLO. Barbaro! godi: è spenta... Morir mi lascia: fuggimi. (Parte.) SCENA V. LANCIOTTO. Fia vero? Essa amarlo? E fingea!...No: dall'inferno Questo pensier mi vien... pur... - Dalla reggia L'uscire a Paolo s'interdica: a forza Gli s'interdica. - Oh truce vel! si squarci. FINE DELL'ATTO TERZO.  Immagine tratta da: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Figueiredo-rimini-MNBA.jpg?uselang=it ATTO QUARTO. SCENA PRIMA. LANCIOTTO E PAGGIO. LANCIOTTO. Che? Guido affretta il suo partir? Vederla Voglio, veder voglio Francesca. Innanzi Anche colui mi venga... Paolo. PAGGIO. Il tuo Fratello? LANCIOTTO. Il mio... fratello. SCENA II. LANCIOTTO. Il mio fratello! Fratello m'è: più orribile è il delitto. - Essa l'odiava! ah menzognera! Io pure A quell'odio credei. La lontananza Di lui, cagione di sue lagrime era. A rieder forse in Rimini Francesca Secretamente l'invitò. - Ti frena, O pensier mio; feroce mi consigli La mandi porre ahi! su quest'elsa...io tremo! SCENA III. GUIDO E LANCIOTTO. LANCIOTTO. Fuggirmi forse è di tua figlia intento? Senza ch'io'l sappia spera ella fuggirmi! E tu a sue brame... GUIDO. È necessario! LANCIOTTO. Ah, rea Dunque è tua figlia! GUIDO. No: tremendo fato Noi tutti danna a interminabil pianto! LANCIOTTO. Rea non la chiami, e d'esecrando foco Arde? GUIDO. Ma forte duol ne sente, e implora Di fuggir da colui. - Ripigliò appena I sensi, e pieno io di vergogna e d'ira Dagli occhi tuoi la trassi: ed obbliando Quasi d'esserle padre, a' piè d'un santo Simulacro prostratala, snudai Sul suo capo l'acciaro, ahi, minacciando Di trucidarla e in un di maledirla, Se il ver taceva. Fra singhiozzi orrendi Favellò l'infelice. LANCIOTTO. E che ti disse? GUIDO. M'affoga il pianto. Ella è mia figlia... - Porse La sua gola all'acciaro, e lagrimosi Figgeva gli occhi negli asciutti miei. - Sei tu colpevol? (le gridai) rispondi, Sei tu colpevol?... pronunciar parola Non poteva ella dall'angoscia... A forza Mi si commosse il cor. Per non vederla Torsi gli sguardi, e mi sentii le piante Abbracciare, e lei, prono a terra il volto, Sclamar con voce moribonda: Padre, Sono innocente. - Giuralo. - Tel giuro!... Ed io in silenzio m'asciugava il ciglio. - Sono innocente, replicò tre volte... Gettai l'acciar, l'alzai: la strinsi al seno... Padre infelice e offeso son, ma padre. LANCIOTTO. Oh rabbia! L'ama ed innocenza vanta? Lunge dagli occhi miei, più allegro amore Con Paolo spera; ah, sen lusinga in vano! Di seguirla a Ravenna ei le promette... Oh traditor!.. Siete in mie mani ancora. GUIDO. Queste canute mie chiome rispetta. Salvarla io deggio... tu, più non vederla. (Parte.) SCENA IV. LANCIOTTO E PAOLO. LANCIOTTO. Sciagurato, t'avanza. PAOLO. Uso non sono Ad ascoltar sì acerbi modi: in altri Rintuzzarli saprei. Ma in te del padre L'autorità con sofferenza onoro. - Parli a fratello o a suddito? LANCIOTTO. ...A fratello. - Rispondi, Paolo. Se tua sposa fosse Colei; se alcuno a te il suo cor rapisse, E se quei fosse il tuo più dolce amico... Un uom che, mentre ti tradia, stringevi Come più che fratello al seno tuo... Che faresti di lui? - Pensavi. PAOLO. Io sento Quanto ti costa l'esser mite. LANCIOTTO. Il senti? Fratello, il senti quanto costa? - Il nostro Padre nomasti. Ei mite era co' figli, Anche se rei credevali. PAOLO. Tu solo Succedergli mertavi. E che mai dirti? Oh, come atterri la baldanza mia! Anch'io talor magnanimo mi credo: Al par di te nol son. LANCIOTTO. Di': se tua sposa Fosse? PAOLO. Francesca? Ah, d'un rival pur l'ombra Non soffrirei. LANCIOTTO. Se un tuo fratello amarla Osasse? PAOLO. Più non mi saria fratello. Guai a colui! Lo sbranerei col mio Pugnal, chiunque il traditor si fosse. LANCIOTTO. Me pure assal questo desio feroce, E trattengo la man che al brando corre: Credilo, a stento la trattengo. Ed osi Del tuo delitto convenir? Sedurre La sposa altrui, del tuo fratel la sposa! PAOLO. Meno crudel saresti, or se col brando Tu mi svenassi. Un vil non son. Sedurre Io quel purissimo angiolo del cielo? Non fora mai. Chi di Francesca è amante Un vil non è: lo foss'ei stato pria, Più nol sarebbe amandola: sublime Fassi ogni cor, dacchè v'è impressa quella Sublime donna. Io perchè l'amo, ambisco D'esser uman, religioso e prode: E perch'io l'amo, assai più forse il sono Ch'esser non usan nè guerrier nè prenci. LANCIOTTO. E inverecondo più d'ogn'uom tu sei. Vantarmi ardisci l'amor tuo? PAOLO. Se iniquo Fosse il mio amor, tacer saprei, ma puro È quanto immenso l'amor mio. Morire Mille volte saprei pria che macchiarlo. - Nondimen... veggio di partir la forte Necessità. - Per la tua donna al tuo Fratel rinuncia... ed in eterno! LANCIOTTO. Iniquo Non è il tuo amore? E misero in eterno Tu non mi rendi?... Obblierò ch'io m'ebbi Un fratel caro: ma potrò dal core Di Francesca strapparlo? E il cor di lei Non porterai teco dovunque? Odiato Vivrò al suo fianco. Nol dirà, pietosa, Non mel dirà, ma ben il sento; ah, m'odia, E tu, fellone, la cagion ne sei. PAOLO. L'amo, il confesso...Ma Francesca, oh cielo Di lei non sospettar. LANCIOTTO. Anco ingannarmi Vorresti? Il pensier tuo scerno. Tu temi Che un giorno in lei mi vendichi, in Francesca, Nella tua amante: e or più desio men prendi Che? d'immolarvi non ho dritto? io regno: Tradito sposo ed oltraggiato prence Son io. Di me narri che vuoi la fama: Di voi dirà: perfidi fur. PAOLO. La fama Dirà: Qual colpa avea, se giovinetto Paolo a Ravenna fu mandato, ed arse Pel più leggiadro de' terrestri spirti? - E tu quai dritti hai su di lei? Veduto Mai non t'avea: sol per ragion di stato La bramasti in isposa. Umani affetti Non diè natura anco de' prenci ai figli? Perchè il suo cor non indagasti pria Di farla tua? LANCIOTTO. Che ardisci? aggiungi insulto A insulto ancor? No, più non reggo. (Mette mano alla spada.) SCENA V. GUIDO, FRANCESCA E DETTI FRANCESCA. (Prima di uscire.) Padre! Stringer l'arme li veggio. GUIDO. (Vuol prima trattener Francesca; quindi si frappone tra Paolo e Lanciotto.) Ferma. - Ah, pace, O esacerbati spiriti fraterni! PAOLO. Più della vita mi togliesti: poco Del mio sangue mi cal, versalo. FRANCESCA. Il mio Sangue versate: io sol v'offesi. GUIDO. Oh figlia! LANCIOTTO. Il sacro aspetto di tuo padre, o iniqua, Per tua ventura ti difende. Statti Fra le sue braccia: guai s'ei t'abbandona! Obblierò che regia fu tua culla: Peggio di schiava tratterotti. Infame È l'amor tuo: più d'una schiava è infame Una moglie infedel... Questa parola Forsennato mi rende. Io tanto amarti, Tanto adorarti, e tu spregiarmi?... Altero Ho il cor, nol sai? tremendamente altero: E oltraggi v'han, che perdonar non posso. Onor mel vieta... Onor? che dissi? noto Questo nome t'è forse? GUIDO. Arresta. LANCIOTTO. Io intendo, Io dell'onor l'onnipossente voce: Nè allorch'ei parla, più altra voce intendo, E vibro il ferro ovunque accenni. FRANCESCA. Ah padre! Ei non m'uccide, uccidimi tu, padre! LANCIOTTO. Vaneggio?... Voi raccapricciate?... - Oh Guido! Quando canute avrò le chiome anch'io, E vivrò nel passato, e freddamente Guarderò i vizi e le virtù mie antiche... Anche allor rimembrando un'adorata Sposa che mi tradia, tutta l'antica Disperata ira sentirò nel petto, Ed imprecando fuggirò col guardo Verso il sepolcro, onde mie angosce asconda. Ma non verrà quel dì. Verso il sepolcro Mi precipita l'empia oggi: del mio Vicin sepolcro già il pensier l'allegra: Di calpestarlo essa godrà... Seco altri, A calpestarlo verrà forse! FRANCESCA. Oh cielo! Dammi tu forza, ond'io risponda. - Io sorda Alle voci d'onor... Se Paolo amai, Vil non era il mio foco: Italo prence, Cavalier prode, altro ei per me non era. Popoli e regi lo lodavan. Tua Sposa io non era... Ah, che favello? Giusto È il tuo furor; dal petto mio non seppi Scancellar mai quel primo amor! E il volli Scancellar pur... Con quell'arcano io morta Sarei, se Paolo or non riedea, tel giuro. PAOLO. Misera donna! FRANCESCA. A lui solo perdona; Non al mio amante, al fratel tuo perdona. LANCIOTTO. Per Paolo preghi? Oh scellerata!...Uscirne Di queste mura ambi credete? Insieme Di riunirvi concertaste. Al padre Di rapirti fors'anco ei ti promise. PAOLO. Oh vil pensier! LANCIOTTO Io vil? - Partirà l'empia Sì; ma più te mai non vedrà. - Di guardie Si circondi costui. Passo ei non muova Fuor della reggia. PAOLO. Tanta ingiuria mai Non soffrirò nel tetto mio paterno. (Vuol difendersi.) LANCIOTTO. Tuo signor sono. Quel ribelle brando Cedi. PAOLO. (Oppresso dalle guardie.) Fratel... tu disarmarmi... Oh come Cangiato sei! FRANCESCA. Pietà!... Paolo! PAOLO. Francesca! LANCIOTTO. Donna... GUIDO. Vieni; sottrati al furor suo. FINE DELL ATTO QUARTO.  Immagine tratta da: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Dante_Gabriel_Rossetti_-_Paolo_and_Francesca_da_Rimini_-_Google_Art_Project.jpg?uselang=it ATTO QUINTO; SCENA PRIMA. (La sala è illuminata da una lampada) FRANCESCA E GUIDO. FRANCESCA. Deh, lo placasti? GUIDO. (Venendo dalle stanze di Lanciotto.) Egli mi vide, e sorse Spaventato dal letto. - Oh cielo! è giunta, Sclamò, quest'alba sciagurata. Io debbo Perder Francesca?... Ogni consiglio or cangio: Senza lei viver non poss'io. - Frattanto Lagrime amare gli piovean sul volto: E or te nomando infuriava, or pieno D'amor ti compiangea.Fra le mie braccia Lungamente lo tenni, e con lui piansi, Libero freno al suo dolor lasciando. L'acquetai poscia con soavi detti, E il convinsi che meglio è che tu parta Senza vederlo. Andiam. FRANCESCA. Padre, non fia: S'or nol riveggio, nol vedrò più mai. Rancore ei serba contro di me: secura Del suo perdono esser vogl'io. GUIDO. Ti calma. Perdonato egli t'ha; perdonar Paolo Pur mi promise. FRANCESCA. Oh gioja! Ma, deh, in questo Sacro momento, non nomar, ten prego, Colui che appieno obbliar deggio... e il bramo! Già meno forte egli nel cor mi parla: Già mi riparla la virtù perduta, E il pentimento e la memoria sola Dello sposo fedel che tu mi desti, E ch'io non seppi amar. - Parlargli chieggo Anco una volta. Deh, non adirarti! Questa grazia m'ottieni. I miei rimorsi Per la passata ingratitudin tutti Mostrar gli vo': prostrarmi a' piedi suoi: Di non sprezzarmi scongiurarlo. Vanne: Digli che, s'io non lo riveggio, ahi parmi Del perdono del ciel chiusa ogni speme. GUIDO. A forza il vuoi? Qui il condurrò. SCENA II. FRANCESCA. Per sempre Dunque ti lascio, o Rimini diletta. Addio, città fatale! addio, voi mura Infelici, ma care! amata culla Di... quei prenci... Che dico! - Eterno Iddio, Per questa casa ultima prece io t'offro, Bench'io sia rea, non chiuder, no, l'orecchio. Nulla chieggo per me: per que' fratelli Prego: tua destra onnipossente posi Sul capo lor... Chi veggio? SCENA III. FRANCESCA E PAOLO. PAOLO. (Prorompendo forsennato con una spada alla mano.) Oh sovrumana Gioja! Vederla ancor m'è dato. - Ah, ferma! Se tu fuggì, io t'inseguo. FRANCESCA. Audace! ahi lassa! E come in armi? PAOLO. Sgombre ho le mie guardie Coll'oro. FRANCESCA. Oh ciel! nuovi delitti... PAOLO. Io vengo I delitti a impedir. Paga non fora Contro me, credi, la gelosa rabbia Del fratel mio; te immolar pensa. Orrendo Spavento è quel ch'or qui mi tragge. - Al sonno Chiusi dianzi le ciglia, ed oh qual truce Visïone m'assalse! Immersa io vidi Te nel tuo sangue moribonda: a terra Mi gettai per soccorrerti... il mio nome Proferivi, e spiravi! - Ahi disperato Delirio! Invano mi svegliava, il fero Sogno mi sta dinanzi agli occhi. Mira: Sudor di morte da mie chiome gronda Al rammentarlo. FRANCESCA. Calmati... PAOLO. Furente M'alzai, corruppi i vili sgherri: un brando Strinsi... Ahi, temea di più non rivederti! Qui ti ritrovo: oh me felice!... Imponi: Come del cor, del Braccio mio reina Tu sei: morir per te desìo. FRANCESCA. Rientra, Oh insano, in te. Quell'uom che oltraggi, a noi Già perdonava. Fuggirai. Che speri? PAOLO. Se te col padre tuo salva non veggio Fuor di queste pareti, abbandonarti Non posso. Infausto, orribile presagio Pe' giorni tuoi m'affanna. - Ah, tu non m'ami! Tu rassegnata... FRANCESCA. Esserlo è d'uopo. PAOLO. Or dimmi: Quando, ove mai ci rivedrem? FRANCESCA. Se in terra Fine avrà... l'empio nostro amor... PAOLO. Non mai!... Dunque non mai ci rivedrem! - Francesca, Su questo cor poni la man. Talora Tu questa mano ti porrai sul core E de' palpiti miei ricorderatti: Feroci sono: pochi fien! FRANCESCA. Oh amore! PAOLO. Adorata t'avrei: non fora un giorno Passato mai ch'io non cercato avessi Di farti ognora più e più felice... M'avresti reso (oh incantatrice idea!) Padre di prole a te simile: avrei A' miei figli insegnato ad onorarti. Dopo Dio prima, e come io t'amo amarti! FRANCESCA. Il solo udir questi tuoi detti è colpa. PAOLO. Nè mia giammai!... FRANCESCA. Che parli? Eternamente Quant'io deggia al mio sposo e a' generosi Suoi sacrifici sentirò. Solenne Protesta or odi: - Se l'ingiusto fato Lui seppellisse pria di me, perpetue Conserverò le vedovili bende: Nè coll'amarti mai, fuorchè in silenzio, Offenderò la sua santa memoria. PAOLO. Mal m'intendesti: augurii empii non formo: Viva e m'uccida il fratel mio. Ma lungi Dall'ira sua tu pur, Francesca, ah, vivi: Vivi, e in silenzio amami, sì!... Ne' mesti Tuoi sogni spesso mi vedrai. Beata Ombra dì e notte al fianco tuo starommi Adorandoti ognor. FRANCESCA. Paolo... PAOLO. Tiranni Gli uomini e il cielo fur con noi. FRANCESCA. T'acqueta. Misera me! Non ci perdiamo... Ah, padre! (Chiamando.) PAOLO. Più non ha dritti alla sua prole un padre Che a sue voglie tiranniche l'immola. Chi de' tuoi giovanili anni sepolto Ha il fior nel pianto? Chi questa tremenda Febbre in te mosse onde tutta ardi? All'orlo Chi della tomba li spingeva?... Il padre! FRANCESCA. Empio, che dici?... - Odo fragor. PAOLO. Null'uomo Potrà strapparti da mie braccia. SCENA IV. GUIDO, LANCIOTTO E DETTI. LANCIOTTO. Oh vista! Paolo?... Tradito da mie guardie sono... Oh rabbia! e ad esser testimon di tanta Infamia, o Guido, mi chiamasti? Ad arte Ella a me ti mandò. Fuggire o farsi. Ribelli a me volean: muojano entrambi. (Snuda il ferro e combatte contro Paolo.) FRANCESCA. Oh rio sospetto! GUIDO. Scellerata figlia, A maledirti mi costringi. PAOLO Tutti, O Francesca, t'abborrono: me solo Difensor hai. FRANCESCA. Placatevi, o fratelli: Fra i vostri ferri io mi porrò. La rea Son io... LANCIOTTO. Muori! (La trafigge.) GUIDO. Me misero! LANCIOTTO. E tu, vile, Difenditi. PAOLO. (Getta a terra la spada e si lascia ferire.) Trafiggimi. GUIDO. Che festi? LANCIOTTO. Oh ciel! qual sangue! PAOLO. Deh... Francesca... FRANCESCA. Ah, Padre!... Padre... da te fui maledetta... GUIDO. Figlia, Ti perdono! PAOLO. Francesca... ah!... mi perdona... Io la cagion son di tua morte. FRANCESCA. Eterno... Martir... sotterra... oimè... ci aspetta! PAOLO. Eterno Fia il nostro amore...Ella è spirata... io muojo... LANCIOTTO. Ella è spirata. - Oh Paolo! - Ahi, questo ferro Tu mi donasti! in me si torca. GUIDO. Ferma, Già è tuo quel sangue; e basta, onde tra poco Inorridisca al suo ritorno il sole. FINE DELL'ATTO QUINTO ED ULTIMO.  Immagine tratta da: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Alexandre_Cabanel_001.jpg?uselang=it BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE g. bertero, Rassegna bibliografica di opere di Silvio Pellico (1818-1910), Saluzzo, Assessorato alla cultura del Comune, 1989. m. brignoli, Lettere inedite di Silvio Pellico in Saluzzo e Silvio Pellico nel 150. de “Le mie prigioni”. Atti del Convegno di studio: Saluzzo, 30 ottobre 1983, a cura di A. Mola, Torino, Centro di studi piemontesi, 1984 a.marchini, Ludovico Di Breme Arborio Gattinara (1780-1820) Grande letterato, poeta romantico e patriota, Genova, KC Edizioni, 2010. a. mola, Silvio Pellico. Carbonaro, cristiano e profeta della nuova Europa, Milano, Bompiani, 2005. s. pellico, Francesca da Rimini, Milano, G. Pirotta, 1818. Id., Le mie Prigioni, a cura di S. Spellanzon, Milano, Rizzoli, 1987. Id., Lettere a Giorgio Briano: aggiuntevi alcune lettere ad altri e varie poesie, Firenze, Le Monnier, 1861. Id., Lettere milanesi (1815-1821), a cura di M. Scotti, Torino, Loescher - Chiantore, 1963. I.rinieri, Della vita e delle opere di Silvio Pellico : da lettere e documenti inediti, Torino, Libreria di Renzo Streglio,1898-1899, 3 voll. PAGE \* MERGEFORMAT 3