Bruno D’AnDreA
Una stele inedita da El Kef/Sicca Veneria*
Il presente contributo è dedicato alla presentazione
di una stele inedita deposta accanto all’ingresso
principale della kasbah che domina la città di El Kef,
in Tunisia centro-occidentale.
il sito
L’odierna città di El Kef, capoluogo dell’omonimo
distretto amministrativo, è collocata circa 150 km
a sud-ovest di Tunisi, su una collina (circa 700 m
sul livello del mare) che si estende a sud del djebel
Dyr e domina la piana di Kef. Il sito antico, la cui
conoscenza è fortemente pregiudicata dall’ininterrotta
urbanizzazione dell’area, si sviluppava soprattutto nella
parte alta della collina, corrispondente alla zona della
kasbah e in passato delimitata dall’oued Smedo 1.
La posizione strategica della città, in altura, non
lontano dall’oued Mellègue e lungo importanti vie
di comunicazione 2, è un elemento fondamentale per
comprenderne l’importanza storica: sicuramente parte
dei domini punici nel corso del III secolo a.C. 3, essa
fu annessa ai territori numidi nel 201 a.C. 4 e a quelli
romani a partire dal 46 a.C. 5. Già colonia attorno al
30 a.C. 6, la Colonia Iulia Veneria Cirta Nova Sicca 7
fu in età romana una città importante che controllava
una vasta pertica delimitata a sud dal corso dell’oued
Zerga, un afluente dell’oued Mellègue, e a nord-est
dalla colonia di Musti 8. Per spiegare l’appellativo
Nova Cirta sono state fatte diverse ipotesi 9, Veneria
costituisce invece certamente un riferimento alla dea
Venus Erycina, interpretatio romana dell’Afrodite greca
e dell’Astarte fenicia 10. L’importanza di questa divinità
5.
6.
7.
8.
* Desidero ringraziare H. Ben Younès ed Ah. Ferjaoui
per avermi dato il permesso di pubblicare questa stele,
i Prof. M. G. Amadasi Guzzo, M. Ghaki e L. Nigro per
l’incoraggiamento e i consigli indispensabili che mi
hanno fornito nel corso della stesura del presente articolo.
Nella descrizione della stele e del suo apparato illustrativo
l’autore ha scelto di utilizzare «sinistra» e «destra» in
rapporto alla loro collocazione oggettiva e non, come di
consueto, alla visione dell’osservatore.
1. AAT, tav. XLIV, n. 145.
2. Sicca Veneria era un importante punto di passaggio lungo
la strada romana che da Cartagine conduceva a Tébessa/
Theveste.
3. Nel 241 a.C., alla ine della Prima Guerra Punica (264241 a.C.), il generale cartaginese Amilcare Barca vi invia
i mercenari che avevano combattuto in Sicilia ed erano in
attesa del loro compenso: Polibio, Storie 1, 66.
4. Come parte del trattato tra Cartagine e Roma che
conclude la Seconda Guerra Punica (218-202 a.C.), nel
quale si prevedeva la restituzione al re numida Massinissa
di tutti quei territori “case, terre e città” cartaginesi che
erano appartenuti agli antenati del re: Tito Livio, Storia
Doi: 10.1484/J.SEC.1.103051
9.
10.
romana 30, 8-9; Polibio 14, 8-9. Sallustio colloca a Sicca
Veneria un episodio della guerra di Giugurta contro i
Romani (111-105 a.C.): Sallustio, Guerra giugurtina 56.
Dopo la costituzione della provincia dell’Africa Nova
susseguente alla vittoria di Cesare a Tapso contro i
Pompeiani e i re numidi Giuba I e Massinissa II: vedi
Bullo 2002, pp. 8-9.
Come lascia supporre l’assenza di Augusta nel suo nome:
lepelley 1981, p. 156.
Nome attestato da una serie di iscrizioni (CIL VIII, 1632;
16258; 16367; 27568) che confermano quanto affermato
da Plinio il Vecchio (Plinio, Storia naturale 5, 22).
BesCHAouCH 1981; AounAllAH 2010, pp. 82-91. Questi
limiti sono stati identiicati grazie a due cippi miliari
iscritti.
È stato ipotizzato che Sicca Veneria e Cirta (odierna
Costantina, Algeria) avessero rapporti molto stretti e che
la prima fosse stata sottoposta alla seconda; che Sicca
avesse rimpiazzato Cirta come capitale della Numidia
dopo la formazione dell’Africa Nova; che Sicca abbia
assunto questa titolatura soltanto in età tarda come
atto di emulazione locale teso a magniicare la città.
S. Aounallah ha recentemente proposto che Sicca sia stata
considerata la nuova Cirta proprio perché speculare ad
essa da un punto di vista giuridico-amministrativo. Per
quest’ultima ipotesi e una messa a punto delle precedenti
vedi AounAllAH 2010, pp. 82-84. Sicca e Cirta hanno
anche altri elementi di storia municipale in comune come
il fatto di essere entrambe coloniae Iuliae, di essere
iscritte alla tribu Quirina e di essere a capo di una pertica.
Il culto della Venus Erycina è testimoniato, a partire
dal V secolo a.C. e ino al II secolo d.C., in Arcadia, a
Cagliari, Herculanum, Potenza, Pozzuoli e Roma, in
Italia, Announa/Thibilis, Cartagine, Cirta, Mdaourouch/
Madaure e Sicca Veneria, in Nord Africa. Per tali
attestazioni vedi lipiński 1995, pp. 144-146; CADotte
2007, pp. 201-215. Per Venere vedi sCHilling 1954 (in
seM ClAs 5 2012 • p. 119-138
120
Bruno D’Andrea
a Sicca è testimoniata da alcune iscrizioni latine, una
delle quali testimonia l’esistenza di un tempio ad essa
dedicato 11, da una statua 12 e dalle notizie fornite dagli
autori antichi: Ateneo di Naucrati e Claudio Eliano
scrivono che ogni anno la dea partiva dal suo tempio
di Erice (in Sicilia, vicino Trapani) 13 alla volta di
Sicca Veneria scortata da colombe, le quali sparivano
nove giorni per poi fare ritorno ad Erice insieme
alla divinità; da ciò le feste annuali dell’ “imbarco”
(Αναγώγια) e del “ritorno” (Καταγώγια) 14. Solino
fa di Sicca una fondazione siciliana 15, probabilmente
proprio allo scopo di “fondare” il rapporto tra i due
santuari 16; Valerio Massimo aggiunge che nel tempio
di Sicca le donne puniche praticavano la prostituzione
sacra 17, quest’ultima strettamente collegata ad Astarte/
Afrodite 18.
L’ininterrotta urbanizzazione dell’area e la mancanza di scavi sistematici 19 spiegano la modestia dei
ritrovamenti archeologici. Non è possibile precisare la
data di fondazione della città né dire se essa sia ascrivibile
a elementi indigeni o direttamente a Cartagine. Per la
fase punica e tardo punica 20 le nostre conoscenze sono
molto limitate: tombe dolmeniche contenenti ceramica
di tradizione punica 21; alcuni elementi architettonici 22;
due iscrizioni libiche 23; numerose stele e qualche
iscrizione votiva tardo punica 24; un bassorilievo di
20.
21.
22.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
particolare, per la Venere Ericina, le pp. 236-262); per
Afrodite vedi pirenne-DelForge 1994; per Astarte vedi
FAntAr 1973; lipiński 1995; Bonnet 1996. Per l’Astarte
Ericina e i culti ad essa dedicati vedi anche MosCAti
1968; zuCCA 1989; riBiCHini 2004 (secondo S. Moscati il
culto di Astarte Ericina sarebbe “rientrato” in Nord Africa
dalla Sicilia nel III secolo a.C.).
CIL VIII, 15881 (= CADotte 2007, pp. 578-579).
Dedica onoriica di un personaggio che ringrazia per
aver recuperato una statua di Venere derubata dopo la
distruzione del recinto del tempio. Il nome della divinità
è attestato anche in CIL VIII, 15879; 15894; 15946;
27580. La Ven(eris) ser(ua) di CIL VIII, 15946 potrebbe
essere, come propone A. Cadotte, una prostituta sacra che
prestava servizio nel tempio: CADotte 2007, p. 209.
FAntAr 1973, pp. 22-23; Bonnet 1996, p. 107.
Il tempio del monte Erice era originariamente dedicato
a una dea locale che un’iscrizione osca trovata ad
Herculanum chiama Herentas Erucina: lipiński 1995,
pp. 144-145.
Ateneo 9, 394; Eliano, Sulla natura degli animali 4, 2;
Storie varie 1, 15.
Solino, Raccolta di cose memorabili 27, 5-8.
Bonnet 1996, p. 118.
Valerio Massimo, Fatti e detti memorabili 2, 6, 15. Per
la “prostituzione sacra” vedi lipiński 1995, pp. 486-489;
riBiCHini 2004. Vedi anche la nota 11.
Stando alle fonti antiche, archeologiche ed epigraiche,
la prostituzione sacra sarebbe stata praticata ad Afqā,
Baalbek, Biblo, Cartagine, Cipro (almeno ad Amatunte,
Kition e Paphos, forse anche a Salamina), Erice, Sicca
Veneria, forse Bulla Regia e, secondo Erodoto, Babilonia;
vedi in proposito lipiński 1995, pp. 486-489.
Le rovine del sito furono ampiamente visitate e descritte
già nel corso dell’800 da parte, ad es., di R. Cagnat,
V. Guérin, H. Saladin (sAlADin 1887) e Ch. Tissot. In una
serie di comunicazioni edite nei BCTH degli anni ’30’40 del secolo scorso, L. Poinssot (vedi ad es. poinssot
1925; 1933), in qualche caso assieme a R. Lantier (ad
23.
24.
es. lAntier, poinssot 1924), offre un resoconto di una
serie di scoperte effettuate ad El Kef, soprattutto nelle
necropoli d’età romana.
Per fase tardo punica si intende nel presente lavoro
quella cronologicamente compresa tra la distruzione di
Cartagine e la romanizzazione della regione numida; essa
può essere genericamente posta tra la seconda metà del
II secolo a.C. e la seconda metà del I secolo d.C.
lAntier, poinssot 1924, pp. 211-213; tHéBert 1992,
p. 410.
In particolare capitelli ionici e corinzi, per i quali
vedi sAlADin 1887; Du CouDrAy De lA BlAnCHère,
gAuCKler 1897, pp. 35-36, nn. 3 e 7.
RiL 17; gHAKi 1986. Anche la RIL 16 fu rinvenuta nei
pressi di El Kef.
Sette stele votive, alcune tardo puniche altre romane,
furono descritte da H. Saladin di ritorno dal suo viaggio
in Nord Africa degli anni 1882-1883 (sAlADin 1887,
pp. 203-223, igg. 362-365); esse erano deposte presso
l’antico museo della città, oggi non più esistente, ma
furono poi portate presso l’odierno museo del Bardo di
Tunisi, dove tuttora dovrebbero essere conservate (tali
stele igurano difatti nei cataloghi di questo museo: Du
CouDrAy De lA BlAnCHère, gAuCKler 1897, pp. 6670, tavv. XXI-XXII; C. G. piCArD 1954, p. 273). Due
stele votive con iscrizione tardo punica dedicata a Baʿal
Hammon sono conservate presso il Museo nazionale di
archeologia di Leida e sono state pubblicate da J. Hoftijzer
come provenienti da El Kef e dintorni (HoFtijzer 1963,
pp. 93-94, nn. 8-9, tav. XXIX, 1-2; vedi anche Ben
younès-KrAnDel 2002, p. 206). Tre stele votive tardo
puniche sono state trovate, reimpiegate in muri moderni,
nel corso di lavori effettuati presso la kasbah: la prima
(gHAKi 2002, pp. 1676-1677, stele 2, ig. 8) è una lastra
frammentaria che reca un simbolo di Tanit schematico
posto tra due caducei e sormontato apparentemente da
un triangolo incavato; appena sotto il simbolo c’è un
cartiglio rettangolare in cui si conserva un’iscrizione
neopunica incompleta di tre linee della quale si riconosce
l’invocazione divina iniziale a Baʿal Hammon e la
formula di benedizione inale. La seconda (gHAKi 2002,
pp. 1676-1677 = jongeling 2008, p. 161, El Kef N1) è
solo un piccolo frammento di una stele votiva che reca
un’iscrizione neopunica di tre linee di cui risultano
mancanti le prime lettere di ogni linea; quest’ultima è
caratterizzata da una formula di datazione particolare,
BŠT ŠNM LMLKʾ DRʿP ʾMMLKT “nell’anno due della
regalità di DRʿP, il re”. Della terza stele (gHAKi 2002,
pp. 1677-1678, ig. 9 = jongeling 2008, pp. 161-162,
El Kef N2) restano due simboli, un crescente lunare
e un triangolo incavato, collocati sopra a un cartiglio
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Una stele inedita da El Kef/Sicca Veneria
calcare con uomo armato di mazza che colpisce un
toro 25. All’età romana risalgono iscrizioni latine di
varia tipologia 26 ed alcune necropoli 27 e strutture architettoniche 28, mentre potrebbero provenire da El Kef
sette stele del tipo romano dedicato a Saturno databili
al II-III secolo d.C., edite da M. Leglay e conservate
presso il Museo nazionale delle antichità di Leida con
l’indicazione “provenienti dalla regione di Beja e di
Kef” 29.
Vari studiosi hanno proposto che il tempio di Venere/
Astarte Ericina possa trovarsi nell’area dell’attuale
kasbah 30; tale ipotesi poggia fondamentalmente su
tre elementi: il fatto che da lì proviene la statua della
divinità 31; la notizia, fornita da H. Saladin, dell’esistenza
a quel tempo, proprio vicino alla kasbah, di una piccola
moschea in cui venivano offerte come ex voto delle
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.
che recava un’iscrizione della quale non è attualmente
leggibile alcun segno. Altre stele votive tardo puniche,
inedite, sono conservate presso la cosiddetta Basilica; a
livello formale e stilistico-iconograico esse sono molto
simili alle stele di Maktar e alle stele dette de “La Ghorfa”
(per le quali vedi nota 39; due delle stele conservate presso
la cosiddetta Basilica sono state effettivamente pubblicate
da A. Limam come provenienti da Maghraoua: liMAM
2004). Ho affrontato lo studio delle stele votive di El Kef,
le quali suggeriscono l’esistenza di un tofet, nella tesi di
dottorato: I tofet del Nord Africa dall’età arcaica alla
prima età romana (VIII secolo a.C.-II secolo d.C.): studi
archeologici e cultuali (pubblicazione in preparazione),
Dottorato di Vicino Oriente Antico, IX Ciclo Nuova
Serie, Università degli Studi di Napoli – L’Orientale,
anno accademico 2010-2011.
Du CouDrAy De lA BlAnCHère, gAuCKler 1897, p. 60,
tav. XVI, n. 104.
Epitafi funerari, dediche onoriiche, costruzioni o
restauri di ediici pubblici, etc.: lepelley 1981. Vedi
anche la nota 11 per le iscrizioni che menzionano
Venere; CADotte 2007, pp. 578-583, nn. 294-301c per
le iscrizioni che menzionano divinità diverse (Caelestis,
Iuno Caelestis e Sol).
Per le quali vedi ad es. poinssot, lAntier 1924, pp. 211213; poinssot 1925; iD. 1933.
Tra le quali ricordiamo: il tempio delle acque, vasto
complesso termale databile alla metà del III secolo
d.C. comprendente terme, cisterne e ninfeo; il piccolo
anfiteatro che si vede in fondazione presso la kasbah;
un teatro, individuato da un capitello ancora in situ e un
battistero costituito da una sala ottagonale; la cosiddetta
Basilica e la Chiesa di San Pietro, entrambe risalenti
probabilmente al IV secolo d.C.
leglAy 1961, pp. 291-293, nn. 1-7, tav. VII.
sAlADin 1887, p. 213; FAntAr 1973, pp. 22-23; zuCCA
1989, p. 774; Bonnet 1996, p. 107. Tale santuario
verrebbe a trovarsi alla stessa altitudine, circa 700 m sul
livello del mare, dei templi di Erice e Cagliari (vedi in
proposito zuCCA 1989, p. 774).
Vedi nota 12.
121
colombe 32, animali strettamente collegati al culto della
dea 33; la provenienza, ancora dalla kasbah, di una stele
d’età romana con personaggio togato che tiene un
grappolo d’uva nella mano destra e una colomba nella
sinistra 34.
lA stele, DesCrizione AnAlitiCA
La stele (igure 1-3) 35 è attualmente innalzata dinanzi al muro che chiude la kasbah ad ovest - sudovest, appena qualche metro ad ovest dell’ingresso
principale 36.
Analisi tipologico-formale (igure 1-2)
Lastra rettangolare di calcare (faccia principale:
alt. max. 1,78 m; largh. max. 0,85 m; faccia laterale
sinistra: alt. max. 1,43 m; largh. max. 0,46 m; faccia
laterale destra: alt. max. 1,80 m; largh. max. 0,52 m)
con lati lunghi paralleli tra loro e sommità originariamente caratterizzata da un piccolo frontone triangolare
(alt. circa 0,25 m). Essa è rotta appena sotto la scena
principale dell’apparato illustrativo, ne manca proba-
32. sAlADin 1887, pp. 216-217; CAgnAt, sAlADin 1894,
p. 205.
33. La colomba è già un attributo dell’Astarte levantina:
FAntAr 1973, p. 21. Alcune monete di Erice di
V-IV secolo a.C. mostrano la dea assisa con una colomba
sulla mano: lipiński 1995, p. 146. Per la colomba come
attributo di Afrodite vedi pirenne-DelForge 1994,
p. 415; come attributo di Venere Ericina vedi sCHilling
1954, pp. 233-237.
34. Du CouDrAy De lA BlAnCHère, gAuCKler 1897, pp. 6667, n. 826 = sAlADin 1887, pp. 216-217, fig. 365.
35. Ho fotografato ed analizzato la stele nel corso di due
soggiorni ad El Kef, il primo nel luglio 2007 e il secondo
nel novembre 2009.
36. Non sono riuscito, purtroppo, a reperire informazioni
sulla sua provenienza, è anche possibile, pertanto, che
non provenga da El Kef ma da un sito vicino; certo, le
dimensioni della lastra suggeriscono che non sia stata
rinvenuta molto lontano dal luogo in cui si trova oggi.
Sulla parte alta della faccia laterale sinistra reca un
numero d’inventario, 659.05; ad esso è stato aggiunto,
in un momento diverso, il numero 15. È ipotizzabile che
05 indichi l’anno, 2005, in cui la stele è stata ritrovata;
in effetti, il fatto che una stele tanto interessante sia
rimasta finora inedita e che essa non sia mai visibile sulle
foto, antiche e moderne (per le quali vedi ad es. www.
imagesdetunisie.com; www.elkef.info), dell’ingresso alla
kasbah, può indicare che sia stata rinvenuta recentemente
oppure che fino a pochi anni fa fosse conservata in un
luogo diverso.
122
Bruno D’Andrea
Figura 1 - El Kef/Sicca Veneria, faccia anteriore e particolari dell’apparato illustrativo della stele in esame
(foto dell’autore, novembre 2009).
bilmente buona parte del terzo inferiore 37. La parte
superiore della faccia principale è interessata da
varie rotture e scheggiature della pietra che ne
renderebbero incerta la ricostruzione della sommità;
l’esistenza del frontone triangolare è tuttavia sicura
poiché la parte superiore della faccia laterale destra
37. Costituito dalla base e, probabilmente, da un’area dedicata
all’incisione di un’iscrizione. L’altezza originaria della
lastra dovrebbe essere compresa tra 2,20 e 2,50 m.
rientra obliquamente verso l’interno, assottigliandosi
progressivamente, a partire da 1,56 m di altezza. Altre
scheggiature interessano tutto il lato destro e, ancor più,
il lato sinistro della faccia principale.
La faccia laterale destra, pur con varie scheggiature
che interessano soprattutto l’attacco con quella posteriore, è la più utile a restituirne il proilo, la faccia laterale
sinistra è invece ampiamente rovinata da scheggiature,
abrasioni e rotture della pietra, in particolar modo nella
parte di raccordo con quella anteriore. Al di là dello stato
di conservazione, la fattura della lastra appare buona
se messa in rapporto, in maniera generale, a quella
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Una stele inedita da El Kef/Sicca Veneria
faccia anteriore
faccia laterale sinistra
123
faccia laterale destra
Figura 2 - El Kef/Sicca Veneria, forma e proilo della stele in esame (disegno dell’autore).
delle stele votive puniche e tardo puniche: ben tagliata
e sbozzata, essa è lisciata su tutta la faccia principale
esclusa la parete di fondo della cella ricavata nella
parte centrale; una linea di separazione divide, nella
parte bassa della faccia anteriore, la scena principale
dell’apparato illustrativo, in alto, da un’area ben
lisciata, in basso, che potrebbe pertanto aver ospitato
un’iscrizione.
Analisi dell’apparato iconograico e degli elementi
decorativi (igura 3)
L’apparato illustrativo, che copre praticamente
tutta la faccia principale della lastra, è scolpito con
un bassorilievo quasi piatto, con le immagini che
emergono appena dalla supericie di fondo; queste
ultime risultano abbastanza chiare, anche se le abrasioni
e le scheggiature che interessano la faccia principale
della lastra pregiudicano la visibilità e la comprensione
di alcuni motivi illustrativi.
Al centro è ricavata una nicchia rettangolare abbastanza profonda (alt. 0,46 m; largh. base 0,30 m;
profondità 0,07 m) delimitata lateralmente da due
colonne e superiormente da un frontone triangolare. Il
perimetro del frontone (largh. 0,50 m; alt. 0,46 m) è
circoscritto da una cornice rilevata (0,03 m), mentre il
timpano reca un crescente lunare sul quale è “poggiato”
un disco solare, quest’ultimo ricavato in negativo dalla
superficie della lastra.
Le due colonne laterali, ben rilevate perché ricavate
da un taglio più profondo della pietra ma molto stilizzate
nella resa, sono diverse fra loro. Quella di destra, in
buono stato di conservazione, ha un fusto liscio, è
posta apparentemente su una base quadrangolare ed è
caratterizzata da un capitello di tradizione ionica ma
di tipo tardo punico: i due steli, separati tra loro da un
triangolo con vertice in basso, nascono in alto e scendono
verticalmente fino ad attorcigliarsi verso l’interno in
due volute. Sopra la colonna è probabilmente posto, ma
se ne riconosce appena il profilo, un abaco rettangolare.
La colonna di sinistra è in uno stato di conservazione
molto peggiore e si vede poco sia del fusto, liscio, sia
della base; quest’ultima sembrerebbe di tipo attico,
stilizzata, con due tori separati da una scozia, mentre il
capitello è eolico ma di tipo insolito: i due steli nascono
in basso sullo stesso piano e si innalzano verticalmente,
assottigliandosi e arrotolandosi infine in due piccole
volute; fra di esse, un riempitivo rettangolare. Sul
capitello è posto un abaco che si incurva leggermente
verso l’alto sui due lati e che sembra caratterizzato
124
Bruno D’Andrea
Figura 3 - El Kef/Sicca Veneria, apparato illustrativo della stele in esame (disegno dell’autore).
da un’emergenza verticale nella parte centrale. Dal
vertice superiore del frontone emergono, sviluppandosi
rispettivamente sui due lati, due elementi vegetali:
quello di destra è sicuramente un melograno, quello di
sinistra, visibile solo per metà, dovrebbe esserlo.
La scena principale dell’apparato illustrativo, una
scena di banchetto fra due personaggi seduti, si sviluppa
nella parte bassa della faccia anteriore, appena sotto la
nicchia centrale. Al centro della scena figura un tavolino
a profilo rettangolare con tre gambe curve terminanti
con zampe di leone; un piccolo asse rettangolare
collega la gamba destra del tavolo con quella sinistra.
Su di esso sono poggiati tre oggetti: al centro un
grosso cratere su alto piede con anse rese in maniera
estremamente stilizzata; sul lato sinistro un piatto
contenente un melograno, sul destro un piatto su alto
piede contenente anch’esso un melograno. Alla destra
del tavolino un personaggio, apparentemente maschile,
è seduto su un seggio/sgabello sorretto da due gambe
formate da un’asta verticale che termina in alto con un
globetto circolare; appena sotto tale globetto un’asta
orizzontale; una seconda asta delle stesse dimensioni al
centro della gamba. Il seggio ha un profilo rettangolare
stretto e lungo ed è caratterizzato da una serie di segni
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Una stele inedita da El Kef/Sicca Veneria
obliqui incisi a distanze regolari, sopra di esso è posto
una sorta di cuscino su cui è seduto il personaggio,
il quale all’estremità posteriore si conclude con un
pomello simile a quello con cui termina la gamba che
sorregge lo sgabello; i due pomelli sembrano incastrati
fra loro allo scopo di assicurare l’attacco tra la gamba
e il seggio.
Il personaggio, di profilo, è reso in maniera estremamente stilizzata: la capigliatura è formata da un
grappolo d’uva che “fiorisce” da un racemo; del volto
è soltanto accennato il profilo del naso e della bocca;
il corpo è caratterizzato dal profilo curvilineo della
schiena, che nella parte alta ha una sorta di gobba; i
piedi calzano apparentemente dei sandali a punta. Tale
personaggio è vestito con una tunica che arriva fin sopra
le caviglie e tiene due oggetti nelle mani, queste ultime
rese in modo abbastanza particolareggiato; le braccia
protese in avanti fanno pensare che esso sia nel ruolo
dell’ “offerente”. Nella mano sinistra regge un oggetto
di forma trapezoidale che si conclude superiormente
con tre gobbette ondulate; potrebbe trattarsi di un
alimento, di un fiore o di un contenitore di frutti. Nella
mano destra si vede un oggetto con base e sommità
piatte raccordate da pareti oblique che si estroflettono
verso l’alto; potrebbe trattarsi di una coppetta collegata
alla scena di banchetto. Un’ipotesi alternativa, e a
ben vedere più plausibile, è che si tratti di un volatile
stilizzato, probabilmente una colomba, poggiato sulla
mano del personaggio: una partizione della parte alta
del lato sinistro indicherebbe le ali, due piccoli segni sul
lato destro gli occhi, due piccoli tratti verticali attaccati
alla base, obliqua, le zampe.
Tra il piede destro del tavolino e il piede sinistro
del personaggio figura un racemo che si sviluppa verso
l’alto con varie ondulazioni e curvature fin quasi a
toccare il melograno. Da tale racemo “fioriscono”
una serie di elementi decorativi, dal basso verso
l’alto: il grappolo d’uva che abbiamo visto fungere da
capigliatura al personaggio maschile; un elemento che
potrebbe interpretarsi ancora come un grappolo d’uva
ma che sembra piuttosto una cornucopia; un fiore, visto
di profilo, con tre petali a sommità arrotondata; un altro
elemento tipo cornucopia. A questo punto il racemo si
divide in tre rametti più piccoli ma la rappresentazione
è poco leggibile a causa delle abrasioni superficiali e
delle scheggiature che hanno interessato la pietra in
questo punto: al rametto sinistro sembra essere attaccato
del fogliame; quello centrale si conclude superiormente
con un fiore, uguale al precedente, proteso verso il
melograno che spunta dal frontone; del rametto destro,
forse caratterizzato anch’esso da fogliame, non si vede
quasi più nulla.
Sul lato sinistro del tavolino si vede un personaggio
femminile seduto su un trono a spalliera. Il seggio del
trono, purtroppo non totalmente ricostruibile a causa
125
delle scheggiature della pietra, sembra essere uguale
allo sgabello su cui è seduto il primo personaggio,
l’unica differenza è che una delle due gambe, quella
anteriore, non termina con un globetto circolare ma con
un elemento lanceolato. Sul seggio s’imposta un’alta
spalliera che sale obliquamente verso l’alto e termina
con un ampio poggiatesta arrotondato.
Del personaggio, di profilo nella parte superiore ma
un po’ ruotato verso l’osservatore in quella inferiore, si
riconoscono bene l’occhio, il naso e la bocca; i capelli
sono raccolti all’indietro ed arrivano all’altezza delle
spalle; il profilo del corpo e dei seni è reso in maniera
abbastanza elegante; le braccia protese in avanti e le
mani aperte fanno pensare che esso sia nel ruolo di
“ricevente”. Non è chiaro il suo vestiario: dalla spalla
sinistra, apparentemente coperta, come il braccio, da un
mantello, cade un drappo che scende obliquamente sul
corpo e arriva, bipartendosi all’altezza del bacino, quasi
fino ai piedi; a tale drappo se ne collega, all’altezza del
ginocchio destro, un secondo. Sopra le caviglie si vede
una linea orizzontale che sembra la fascia terminale di
una veste tipo tunica, tuttavia appena sopra di essa si
vede, in trasparenza, la gamba sinistra.
L’intreccio di questi elementi nella rappresentazione
della parte inferiore del personaggio può dipendere da
un errore di lavorazione, è possibile che inizialmente si
volesse rappresentare anche il personaggio femminile,
come quello maschile, totalmente di profilo: le linee
del drappo “inferiore” e, dalla vita in giù, di quello
“superiore” seguono difatti il profilo “reale” del
personaggio; tale modalità di rappresentazione fu probabilmente abbandonata a causa della mancanza di spazio
dovuta alla presenza del tavolino. Nella seconda fase
della lavorazione si procedette allora all’adeguamento
spaziale di tutta la parte inferiore del personaggio, la
quale dovette allora essere resa con una prospettiva
leggermente ruotata verso l’osservatore: i due drappi,
opportunamente rilevati e prolungati, andarono a
coprire le incisioni che nella prima fase indicavano il
profilo del personaggio, si procedette poi all’aggiunta
del mantello dietro le spalle, dei piedi, di parte della
gamba sinistra e delle fasce che nella parte bassa
delimitano il profilo della tunica. Non è possibile dire
se nella concezione originaria il personaggio dovesse
essere nudo oppure vestito con una lunga tunica. Esso
tiene ai piedi dei sandali che hanno apparentemente una
punta tripartita, a tre dita.
Anche stavolta un racemo si sviluppa verso l’alto,
tra il personaggio e il tavolino, con varie ondulazioni
e curvature; esso è tuttavia molto meno conservato del
primo a causa della maggiore ampiezza delle scheggiature su questo lato. Dopo aver curvato, quasi a
poggiarsi sulla mano sinistra del personaggio femminile, esso si sviluppa in obliquo fino a terminare
superiormente, dopo essersi diviso in due rametti,
126
Bruno D’Andrea
con un fiore identico a quelli che adornavano il primo
racemo; il secondo rametto non è più visibile a causa
della scheggiatura della pietra, è tuttavia possibile che
si congiungesse con un elemento, anche in questo caso
non completo, posto poco più sopra, un grappolo d’uva
o una cornucopia. Più in alto, a sinistra del frontone,
gran parte della lastra è scheggiata, vi si vedono
soltanto due elementi decorativi che tuttavia non sono
riconoscibili.
CArAtteri e ConFronti
Forma e tipologia
Un primo elemento di interesse è costituito dalle
dimensioni della lastra, soprattutto il suo sviluppo
in altezza non trova confronti fra le stele puniche e
tardo puniche; sia le prime 38 che le seconde (vedi
ad es. figure 4d-e) 39 non superano difatti in genere
1,80 m di altezza mentre abbiamo visto che la stele
in esame potrebbe raggiungere 2,50 m. Soltanto tra
le stele libiche si trovano esemplari che raggiungono
queste dimensioni: due stele di Chimtou superano, ad
esempio, i 3,00 m 40 mentre una stele di Aïn Khanga
supera addirittura i 4,00 m 41; hanno un’altezza simile
a quella della nostra stele alcune stele romane dedicate
a Saturno 42.
Per ciò che concerne la forma, le stele con frontone
triangolare si affermano a Cartagine già nel corso
38. Ci riferiamo a un cippo trono alto con bruciaprofumi ai
lati (alt. 1,80 m; largh. 0,60 m; spess. 0,60 m) proveniente
dal tofet di Tharros: MosCAti, uBerti 1985, p. 123,
tavv. LIX-LXIV, n. 149. Sono simili per dimensioni altri
due cippi trono alti, ancora dal tofet di Tharros (nn. 148 e
150 del catalogo di S. Moscati e M. L. Uberti).
39. Ci riferiamo ad alcune delle stele dette de “La Ghorfa”,
ex voto di I-II secolo d.C. provenienti probabilmente da
Maghraoua/Macota (M’CHAreK 1988), sito non lontano
da El Kef (circa 50 km ad est - sud-est); la più alta del lotto
arriva a 1,75 m (igura 4d): C. G. piCArD 1954, pp. 266267, tav. CIII, Cb 966. Un cippo votivo con edicola distila
punica da Hr. Kasbat/Thuburbo Maius, II-I secolo a.C.,
raggiunge 1,68 m di altezza: vedi lézine 1960, pp. 7-26,
igg. 1-13; C. G. piCArD 1954, tav. CXXVII, Cb 1082.
40. Chimtou si trova circa 35 km a nord - nord-ovest di
El Kef. Le stele, caratterizzate da un’iscrizione libica,
sono attualmente esposte presso il museo del sito.
41. lAnCel 2003, p. 44. La cosiddetta stele dell’aguellid di
Kerfala ha grossomodo la stessa altezza della nostra stele
(circa 2,50 m): ibid., p. 57.
42. Provenienti, per fare qualche es., da Djemila/Cuicul,
Sillégue, Sétif/Sitifis, Zana/Diana Veteranorum, etc. Vedi
in proposito leglAy 1961; iD. 1966.
della prima metà del IV secolo a.C. 43 e le ritroviamo,
grossomodo nello stesso periodo, anche nei tofet di
Sousse 44 e di Sulcis 45; si tratta della tipologia formale
dominante in fase tardo punica 46. Anche l’inquadramento della nicchia centrale, tra due colonne e con
frontone triangolare, trova ampi confronti tanto in
fase punica quanto in fase tardo punica 47; se in questi
casi tuttavia la nicchia, poco profonda 48, è in genere
occupata dal dedicante, nella stele di El Kef è vuota e
profondamente incavata. Essa potrebbe aver ospitato
reperti mobili come offerte votive, oggetti cultuali
oppure la rappresentazione, iconica o aniconica, della
divinità. Nel repertorio lapideo punico e tardo punico
non è comune trovare nicchie di questo tipo: dal tofet
di Mozia provengono due cippi cappella con nicchia
vuota e fortemente incavata (figura 4a) 49 in una delle
quali sono ancora infisse le gambe di una statuetta
stante di calcare lavorata a tuttotondo 50. Da Thuburbo
Maius proviene un cippo votivo di II-I secolo a.C. con
edicola distila punica e nicchia, vuota, profondamente
incavata 51. Se in due dei tre esempi appena citati la
profondità della cella sembra servire allo stesso scopo
che abbiamo proposto per la stele in esame, cioè
l’inserimento di reperti mobili, in altri casi, pensiamo
alle stele tardo puniche di Marsala/Lilibeo, la parete di
fondo della cella era utilizzata per dipingervi scene di
vario tipo, in questo caso banchetti funerari 52.
43.
44.
45.
46.
47.
48.
49.
50.
51.
52.
BéniCHou-sAFAr 2004, pp. 140-141.
Vedi in proposito CintAs 1947.
Vedi MosCAti 1986.
Vedi le stele tardo puniche analizzate in C. G. piCArD
1954; Bisi 1967; Ben younès-KrAnDel 2002;
MenDleson 2003. Ho analizzato gran parte delle stele
votive tardo puniche nominate nel presente lavoro nella
mia tesi di dottorato (vedi nota 24).
A Cartagine, Dougga, El Kénissia, Mozia, Sousse, Sulcis,
etc.: per la bibliograia vedi nota precedente. Talvolta, ad
esempio nelle stele di Maghraoua, l’inquadramento architettonico è reso più complesso e composito attraverso
l’aggiunta di modanature di vario tipo sulla cornice
e di cassettoni, proiezione in piano del sofitto, sotto
l’architrave (igure 4d-e; vedi in proposito gHeDini 1990,
pp. 233-235). Un inquadramento di questo tipo denuncia
già una forte inluenza romana, assente nella nostra stele.
Spesso essa è resa semplicemente attraverso gli elementi
architettonici, colonne e frontone, che la inquadrano.
MosCAti, uBerti 1981, pp. 133-134, tav. XLIX, 316;
p. 256, tav. CLXXXIII, 990.
Ibid., p. 256, tav. CLXXXIII, 990.
Vedi nota 39.
Per tali stele, databili tra la ine del III secolo a.C. e il
I secolo d.C., vedi Vento 2000.
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Una stele inedita da El Kef/Sicca Veneria
Apparato iconograico ed elementi decorativi
La coppia disco solare-crescente lunare con apici
in alto figura nelle stele cartaginesi a partire dal IIIII secolo a.C.; fino a quel momento, difatti, il crescente
è reso sempre con gli apici in basso (figura 4a) 53. Tale
coppia di simboli si ritrova poi di frequente sulle stele
tardo puniche ma raramente è scolpita sul timpano
del frontone: confronti di questo tipo, databili tra i
secoli I a.C. e I d.C., provengono ad es. da Bir Tlelsa,
Hr. el-Okseiba ed Hr. Thibar/Thibaris 54.
La colonna di sinistra ha una base di tipo attico
apparentemente priva di plinto, come accade in genere
in Nord Africa a partire dall’età ellenistica 55; basi di
questo tipo si trovano su alcune delle stele tardo puniche
di Maghraoua (figure 4d-e) 56. Il capitello eolico, di
tradizione greco-orientale ma di tipo insolito, trova
uno stretto confronto in un bassorilievo frammentario
proveniente da Karkemish, databile al VII secolo a.C.,
il quale sembra avere inoltre la stessa conformazione
dell’abaco (figura 4b) 57; capitelli simili si trovano su
alcune stele puniche di Monte Sirai 58 e, ancora una
volta, su quelle tardo puniche di Maghraoua 59.
La colonna di destra ha un capitello di tradizione
ionica ma di tipo tardo punico, il quale trova stretti
confronti in alcuni capitelli a tuttotondo provenienti da
Maktar e databili tra la fine del II secolo a.C. e la fine del
I secolo d.C. (figura 4c) 60. La base formata da un unico
blocco quadrangolare non è comune e trova confronto
ancora in alcune stele tardo puniche di Maktar, queste
ultime databili tra i secoli I e II d.C. 61.
53. C. piCArD 1976, p. 79; iD. 1978, pp. 20-24. Anche nel
repertorio tardo punico di Costantina/Cirta (III-I secolo
a.C.) il crescente è quasi sempre rappresentato con gli
apici in basso: BertrAnDy, sznyCer 1987.
54. Per Bir Tlelsa: poinssot 1927, p. 32, ig. 1; per Ksiba
Mraou: leglAy 1961, pp. 424-430, tav. XVI; per
Thibaris: toutAin 1905, pp. 119-120, tav. IX, 4.
55. Per l’attestazione di basi attiche nel mondo punico e
tardo punico vedi lézine 1960, pp. 93-96, ig. 50.
56. Vedi la nota 39. Per tali stele, deposte per lo più al Museo
del Bardo e al British Museum, vedi C. G. piCArD 1954,
pp. 262-273, tavv. CII-CVIII, Cb 963-974; Bisi 1978;
gHeDini 1990; MenDleson 2003. Per qualche esempio
di basi “attiche”: C. G. piCArD 1954, tavv. CIV-CVII,
Cb 968-973.
57. CiAsCA 1962, p. 18, tav. III, 1.
58. Vedi in generale BonDì 1972 (IV-II secolo a.C.).
59. Ad es. Bisi 1978, pp. 34-35, ig. 13 = MenDleson 2003,
p. 43, NPu 33; C. G. piCArD 1954, tavv. CIII, Cb 966;
CIV, Cb 967-968.
60. C. G. piCArD 1954, pp. 13-14, tav. V, A 11; lézine 1960,
igg. 43 e 86.
61. C. G. piCArD 1954, tav. CX, Cb 984. Sulle stele di
Maktar (per le quali vedi ibid., pp. 273-292, tavv. CVIII-
127
Tra i motivi decorativi presenti nell’apparato icongrafico figurano melograni, grappoli d’uva, cornucopie,
fiori e semplice fogliame; essi servono sicuramente ad
“ambientare” la scena principale ma al tempo stesso
possono serbare in sé un significato simbolico ad essa
connesso.
Il melograno è un simbolo d’origine orientale
collegato all’abbondanza e alla fertilità; esso compare,
isolato o sopra colonne ioniche 62, sulle stele votive
cartaginesi a partire dalla fine del III secolo a.C. 63, per
poi svilupparsi ampiamente sulle stele tardo puniche
come motivo decorativo 64, spesso in coppia con il
grappolo d’uva (figure 4d-e) 65.
Quest’ultimo, già ampiamente attestato a partire dal
V secolo a.C. nel mondo greco e della Magna Grecia,
sulle monete come sulla ceramica figurata, compare
62.
63.
64.
65.
CXXIII, Cb 976-1049; Bisi 1967, pp. 119-123) la base di
colonna è più spesso resa con due blocchi quadrangolari
sovrapposti.
Nel libro dei Re (I Re 7, 13-22) si afferma che dei
melograni erano posti sui capitelli del Tempio di Salomone
a Gerusalemme.
C. piCArD 1976, pp. 112-113; iD. 1978, p. 54, tav. XI, 11.
È attestato nelle stele di Annaba (I secolo a.C. - I secolo
d.C.; vedi in particolare leglAy 1961, p. 438, tav. XVII,
3), Althiburos (I-II secolo d.C.; vedi ad es. C. G. piCArD
1954, tav. CXXV, Cb 1067 e 1069), Khamissa/Thubursicu
Numidarum (I secolo a.C. - II secolo d.C.; leglAy 1961,
p. 375, plan A), Maktar (C. G. piCArD 1954, tavv. CIX,
Cb 980; CX, Cb 982; CXV, Cb 1004-1005; CXVI, Cb
1006; CXVII, Cb 1010 e 1013; CXVIII, Cb 1016; CXX,
Cb 1024; CXXII, Cb 1030; CXXIII, Cb 1034-1035),
Portus Magnus (I secolo a.C. - I secolo d.C.; vedi ad es.
DouBlet 1893, p. 64, tav. III, 3), Sabratha (II secolo a.C.
- I secolo d.C.; tABorelli 1992), Téboursouk/Thubursicu
Bure (I secolo a.C. - I secolo d.C.; FAntAr 1974) e Tiddis
(I-II secolo d.C.; leglAy 1966, p. 38). Il simbolo è
attestato anche, ma con minore frequenza, nelle stele di
tipo romano dedicate a Saturno, per le quali vedi leglAy
1961; iD. 1966.
A Maghraoua (vedi nota 56; igure 4d-e) e Thigibba
(C. G. piCArD 1954, pp. 297-298, tav. CXXV, Cb 10721073; M’CHAreK 2006, pp. 190-192, igg. 1-2) esso è
quasi sempre accoppiato al grappolo d’uva. Il più delle
volte i due simboli fuoriescono da cornucopie tenute in
mano da un personaggio semiantropomorfo, una sorta di
genio della fecondità, interpretato in genere come Tinnit
(ad es. Bisi 1978; C. G. piCArD 1954; liMAM 2004). In
queste stele i due elementi vegetali appaiono comunque
quasi sempre connessi ai due personaggi divini che
si trovano appena sotto, Dioniso/Liber Pater sotto il
grappolo d’uva e Venere sotto il melograno (igure 4d-e).
La coppia melograno-grappolo d’uva è testimoniata
anche a Ksiba Mraou (leglAy 1961, p. 424), mentre nelle
stele dipinte di Marsala/Lilibeo il melograno è in genere
accoppiato ad una mela cotogna, solo in due casi anche
al grappolo d’uva (Vento 2000, p. 162).
128
Bruno D’Andrea
a
d
e
senza scala
c
b
Figura 4a - Mozia: cippo cappella con nicchia vuota e profonda, ultimo quarto VI - primo quarto V secolo a.C.
(MosCAti, uBerti 1981, pp. 133-134, tav. XLIX, 316);
4b - Karkemish: rilievo frammentario con rappresentazione di un capitello eolico di tipo particolare
(CiAsCA 1962, p. 18, tav. III, 1);
4c - Maktar: capitello a tuttotondo, seconda metà II secolo a.C. - I secolo d.C.
(C. G. piCArD 1954, p. 13, tav. V, A 11);
4d-e - Maghraoua (?): stele dette de “La Ghorfa”, Cb 966 e Cb 972, I-II secolo d.C.
(Museo del Bardo, foto dell’autore, luglio 2007).
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Una stele inedita da El Kef/Sicca Veneria
sulle stele cartaginesi a partire dal IV secolo a.C. 66 ed
è poi tipico delle stele tardo puniche 67; è un simbolo
dionisiaco 68, emblema d’immortalità e beatitudine
eterna. Il fatto che un grappolo d’uva sia utilizzato per
fare da capigliatura al personaggio maschile potrebbe
in qualche modo “qualificarlo”, nello specifico come
divinità tipo Dioniso/Liber Pater (figura 4d) 69.
La cornucopia, corno dell’abbondanza, è un simbolo
di origine greca; assente nelle stele cartaginesi e, più in
generale, in quelle puniche; essa si trova tuttavia con
una certa frequenza proprio nelle stele tardo puniche
della regione di El Kef (figure 4d-e) 70.
66. C. piCArD 1976, p. 131; iD. 1978, p. 85. Vedi ad es.
C. G. piCArD 1954, tav. LXXXII, Cb 678.
67. Oltre a quelle in cui è associato al melograno (nota 65),
il grappolo d’uva si trova in stele provenienti dalla stessa
El Kef (nota 34), da Annaba (leglAy 1961, pp. 440450, tavv. XVII-XVIII), Aïn Nechma/Thabarbusis
(ibid., pp. 406-411, tavv. XV-XVI), Cherchell/Caesarea
(I secolo d.C.; iD. 1966, pp. 318-319, tav. XL, 2),
Guelma/Calama (II secolo a.C. - I secolo d.C.; DouBlet,
gAuCKler 1893, pp. 81-82, tav. III, 1), Ksar Lemsa/
Limisa (secoli I a.C. - I d.C.; FéVrier 1966, pp. 225228, ig. 3), Maktar (piCArD1954, tav. CXVII, p. 284, Cb
1012-1013), Sidi Ahmed el-Hacheni (prima metà I secolo
d.C.; M’CHAreK 1995, p. 250, tav. I, 3), Téboursouk
(vedi nota 64) e Tiddis (leglAy 1966, p. 39, tav. XX,
6). Il simbolo è sovente utilizzato anche nelle stele d’età
romana dedicate a Saturno (iD. 1961; iD. 1966).
68. Nelle stele di Maghraoua è difatti associato a Liber
Pater, dio italico della fecondità ed interpretatio di
Dioniso/Bacco. Per la igura divina di Liber Pater,
la sua importanza nell’Africa neopunico-romana e
l’associazione con i simboli del grappolo d’uva e del
melograno vedi BruHl 1953; lipiński 1995, pp. 384-390;
CADotte 2007, pp. 253-281.
69. Essendo l’uva un emblema dionisiaco che in Nord Africa
è collegato direttamente alla igura divina di Dioniso/
Liber Pater. Il culto di Dioniso/Bacco, poi Liber Pater,
fu introdotto in Nord Africa, probabilmente insieme a
quello di Demetra e Kore, nel corso del IV secolo a.C.;
a partire da questa data si trovano a Cartagine emblemi
bacchici come la foglia di edera, il kantharos e il grappolo
d’uva: vedi lipiński 1995, pp. 384-385. Al posto della
corona di foglie di edera e pampini, che richiama la
coltura della vite ed è in genere utilizzata, ad esempio
nelle stele di Maghraoua (igura 4e), per caratterizzare la
testa della divinità, in questo caso sarebbe stato utilizzato
direttamente un grappolo d’uva; tale scelta potrebbe
spiegarsi con il fatto che nelle rafigurazioni greche
Dioniso porta spesso dei capelli lunghi e ricci (per l’età
classica vedi ad es. CHArBonneAux, MArtin, VillArD
1999a, igg. 346, 348, 352, 377-378; per l’età ellenistica
vedi ad es. CHArBonneAux, MArtin, VillArD 1999b,
igg. 147-148, 262).
70. A Maghraoua e Thigibba, dove abbiamo già visto
(nota 65) che la cornucopia è tenuta in mano da un idolo
semiantropomofo, Maktar, dove è sostenuta dal cosiddetto
129
Fiori di vario tipo figurano già dal III secolo a.C. sulle
stele cartaginesi 71, successivamente anche su quelle tardo
puniche 72. Il fiore, se è tale, tenuto nella mano sinistra
dal personaggio maschile potrebbe essere un fiore di
loto molto stilizzato 73, oppure, tenendo presente che
potrebbe trattarsi di un’offerta al personaggio femminile
che gli sta di fronte, una rosa o un alimento (figura 5a) 74.
Potrebbe anche trattarsi tuttavia di un cesto di frutti, come
suggerito dal confronto con un rilievo greco di V secolo
a.C. proveniente da Akasakal/Daskyléion, in Turchia, nel
quale un inserviente tiene in mano un oggetto simile e
lo sta per porgere a uno dei banchettanti 75. Gli altri tre
fiori che sbocciano dai due racemi sono apparentemente
un po’ diversi da quello tenuto in mano dal personaggio
maschile; potrebbero essere fiori di loto 76 ma non si
71.
72.
73.
74.
75.
76.
simbolo di Tanit (C. G. piCArD 1954, tavv. CIX, Cb
978; CXIX, Cb 1018), Althiburos, Thala (I-II secolo
d.C.; leglAy 1961, pp. 302-303) e Thibaris (Ben
younès-KrAnDel 1990), dove è associata al melograno
(C. G. piCArD 1954, pp. 295-296, tav. CXXV, Cb 1067).
C. piCArD 1976, pp. 110-112; iD. 1978, pp. 51-53.
Vedi in generale Bisi 1967; C. G. piCArD 1954.
Nell’arte igurativa fenicia e punica il iore di loto è in
genere tenuto dal defunto nella sua mano sinistra; il
personaggio è seduto e tiene una coppa nell’altra mano: si
vedano come esempi il sarcofago di Ahiram, dove il iore
è aflosciato (XI-X secolo a.C.; guBel 1987, pp. 37-38,
tav. I), due placchette d’avorio provenienti da Megiddo
(XIII-XII secolo a.C.; ibid., p. 51, igg. 3 e 52), un
coperchio di scatola d’avorio da Tell el-Far’a-Sud (XIVXIII secolo a.C.; ibid., ig. 27), una coppa di bronzo da
Olimpia (VIII secolo a.C.; MArKoe 1985, g 3), un’altra
coppa da Idalion (metà IX - metà VIII secolo a.C.; ibid.,
Cy 3). Va comunque precisato che per la fase tardo
punica, alla quale la stele in esame appartiene, non sono
testimoniate rappresentazioni di questo tipo.
La rosa è associata direttamente al culto di Venere
Ericina, come afferma esplicitamente Ovidio nei Fasti:
Ovidio, Fasti 4, 135-138; vedi anche sCHilling 1954,
pp. 236-237. Secondo Claudio Eliano (Eliano, Sulla
natura degli animali 10, 50) il santuario di Erice aveva un
altare a cielo aperto nel quale tutte le tracce dei sacriici
compiuti per la divinità sparivano durante la notte, mentre
la mattina esso era coperto di erbe fresche e rose. Per il
collegamento della rosa all’Afrodite greca vedi pirenneDelForge 1994, pp. 412-414. Il iore della nostra stele
è molto simile a quello tenuto nella mano sinistra da un
personaggio femminile, interpretato come Astarte, in
un rilievo di calcare proveniente da Burg esh-Shamali
databile al VI-V secolo a.C. (= igura 5a; guBel 1987,
p. 104, ig. 44; Bonnet 1996, pp. 42-43, tav. VI).
Dentzer 1982, p. 576, igg. 334-335, R 69.
Se accettiamo l’interpretazione come tali dei iori che
fanno da mani del cosiddetto simbolo di Tanit in due
stele proveniente da Dougga e databili tra i secoli I a.C.
e I d.C.: lAntier, poinssot 1942, p. 232, n. 154; Bisi
1967, ig. 90. Per altre stele puniche e tardo puniche
caratterizzate da iori interpretati come iori di loto vedi
130
Bruno D’Andrea
b
a
c
senza scala
Figura 5a - Burg esh-Shamali: rilievo di calcare frammentario con rappresentazione di Astarte in trono, VI-V secolo a.C.
(guBel 1987, p. 104, ig. 44);
5b - Maghraoua (?): particolare di una stele de “La Ghorfa”, NPu 19, I-II secolo d.C.
(British Museum, MenDleson 2003, p. 40, NPu 19);
5c - Provenienza sconosciuta: scarabeo di diaspro verde montato su un anello d’oro
(guBel 1987, ig. 115).
può escludere che riproducano dei pampini, che dunque
configurerebbero i due racemi come tralci di vite, o
piuttosto fiori di melograno.
Al centro della scena di banchetto figura un tavolino
a tre zampe leonine su cui sono collocati un cratere, il
quale conteneva evidentemente del vino, e due piatti
contenenti melograni. La stessa composizione e gli
stessi elementi si trovano in fase tardo punica in due
stele votive: la prima è una stele dipinta con dedica a
Baʿal Hammon proveniente probabilmente da El Jem/
Thysdrus, comunque dal Sahel tunisino, al centro della
quale è raffigurato però un vero e proprio kantharos 77.
La seconda, più stilizzata, è una stele proveniente da
Maghraoua nella quale si vede un tavolino di cui sono
rappresentate solo due gambe e su cui sono poggiate tre
coppe caliciformi, la centrale più grande delle laterali
ad es. C. G. piCArD 1954, tavv. LXXXVII, Cb 704;
LXXXVIII, Cb 714-715; LXXXIX, Cb 718 e 801; XC,
Cb 803; XCIII, Cb 842 (Cartagine); Bisi 1967, igg. 35,
49, 53, 132; tABorelli 1992, p. 95, tav. X, 3 (Sabratha).
Fiori molto simili si trovano anche nelle stele romane
dedicate a Saturno: vedi ad es. leglAy 1966, pp. 149151, tav. XXVIII, 6 (III secolo d.C., Timgad/Thamugadi).
77. Tale stele è stata presentata da A. Ferjaoui nel suo
intervento (“Le culte de Tanit et de Baʿal Hammon à
travers les inscriptions”) al VII e congrès international
des études phéniciennes et puniques (Hammamet, 1014 novembre 2009). Essa può essere datata al I secolo a.C.
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Una stele inedita da El Kef/Sicca Veneria
131
d
e
Figura 5d - Cartagine: stele votiva Cb 917, III-II secolo a.C.
(Vento 2000, tav. LXXXIII);
5e - Biblo: placchetta di terracotta con scena di adorazione di una divinità in trono, V secolo a.C.
(Bonnet 1996, p. 29, tav. III, 1).
(figura 5b); anch’essa reca parte di una dedica votiva
indirizzata quasi sicuramente a Baʿal Hammon 78.
Il tavolo a zampe leonine ha una lunghissima tradizione nel Vicino Oriente e in Egitto. Il tipo fenicio è
caratterizzato dal profilo curvilineo delle gambe, ad
“S”; esso è attestato sia nell’arte figurativa 79 che, a
78. Bisi 1978, pp. 42-43, ig. 21 = MenDleson 2003, p. 40,
NPu 19.
79. Tavoli di questo tipo igurano in quasi tutte le rappresentazioni elencate alla nota 73. Altri esempi sono costituiti
da una brocca dipinta da Ugarit, nella quale il personaggio
seduto dovrebbe essere il dio El (XIV-XIII secolo a.C.;
guBel 1987, ig. 51; rAtHje 1991, pp. 1165-1166),
un rilievo da Karatepe (VIII secolo a.C.; guBel 1987,
ig. 15), una placca d’avorio da Nimrud (VIII secolo a.C.;
ibid., ig. 55), due coppe provenienti rispettivamente da
tuttotondo, come elemento di mobilio 80. Vari esempi
di tavoli di questo tipo si trovano sia nell’arte etrusca
che in quella greco-romana 81, mentre nell’Occidente
punico le attestazioni si limitano a due stele di IIIII secolo a.C. provenienti da Cartagine e caratterizzate
da una scena di banchetto funebre con tavola tripodica
(figura 5d) 82. I tavoli più simili, per tipologia e cronologia, a quello della nostra stele sono quelli dipinti
Salamina e Kourion (VIII secolo a.C.; MArKoe 1985,
Cy 5-6), etc. Per altri esempi e per lo studio di questa
tipologia di tavoli vedi guBel 1987, pp. 250-261.
80. guBel 1987, pp. 250-261.
81. Vedi Dentzer 1982; zACCAriA ruggiu 2003.
82. Bisi 1967, igg. 47-48 = Vento 2000, pp. 151-152,
tav. LXXXIII; C. G. piCArD 1954, p. 246, tav. XCVI,
Cb 917.
132
Bruno D’Andrea
sulle stele tardo puniche di Marsala/Lilibeo 83, anch’essi
dotati di un asse che collega il piede destro a quello
posteriore sinistro 84.
Per i due piatti contenenti melograni l’unico confronto che siamo riusciti a reperire è quello della stele
di El Jem 85. La presenza dei melograni sul tavolo del
banchetto è significativa: un melograno è tenuto in
mano da Venere in una stele tardo punica proveniente
da Maktar 86; un frutto molto simile al melograno è
collocato sui tavoli raffigurati, all’interno di scene di
banchetto, su alcune situle provenienti dal Luristan e
databili ai primi secoli del primo millennio a.C. 87.
Il cratere al centro del tavolo non trova confronti
precisi né nel mondo vicino orientale né in quello
occidentale, comprendendo anche la cultura figurativa
etrusca e greco-romana. Dato il suo uso di contenitore
per il vino, esso dovrebbe assolvere qui la funzione
che nelle scene di banchetto è propria del kantharos;
effettivamente anche nelle due stele tardo puniche
di El Jem e Maghraoua il kantharos non è riprodotto
nella maniera classica 88. Non c’è bisogno di ricordare
il rapporto del kantharos con Dioniso/Liber Pater, il
quale in genere ne tiene uno in mano (figura 4e).
Per il personaggio maschile seduto alla destra del
tavolo non esistono confronti; né nel vestiario né nella
modalità di rappresentazione vi sono elementi che lo
caratterizzino in qualche modo, soltanto il grappolo
d’uva utilizzato come capigliatura può avere, come
abbiamo visto, una caratterizzazione simbolica che
mette il nostro personaggio in rapporto con Dioniso/
Liber Pater (igura 4d) 89 o, forse, con la sua condizione
di defunto. A favore di quest’ultima possibilità
depongono due elementi diversi: il grappolo d’uva può
83. Vedi nota 52. Bisogna tuttavia precisare che su queste
stele il tavolino è rotondo, come accade in genere in età
ellenistico-romana: Vento 2000, pp. 141-142.
84. Vedi ad es. Vento 2000, tavv. X-XI, XXVIII-XXIX,
XXXIV, LXIII, LXIX.
85. Vedi nota 77.
86. C. G. piCArD 1954, p. 284, tav. XCVI, Cb 1012.
87. Dentzer 1982, pp. 46-48, igg. 63-72.
88. Nella prima esso è rafigurato, in maniera molto stilizzata,
come una coppa su alto piede dotata di grandi anse “ad
orecchie”, nella seconda il ruolo di kantharos dovrebbe
essere svolto dalla coppa a calice centrale, più grande
delle altre, della quale non si vedono tuttavia neppure le
anse (igura 5b).
89. Vedi le note 68-69. Talvolta nelle stele di Maghraoua il
grappolo d’uva che si trova sopra al dio gli fa quasi da
capigliatura: C. G. piCArD 1954, tavv. CIII, Cb 966; CV,
Cb 969; CVI, Cb 970; Bisi 1978, ig. 24. Va detto, però,
che proprio nelle stele di Maghraoua il dio ha una serie di
attributi, variamente mescolati nei singoli esemplari, che
non troviamo invece nella stele in esame: la clamide, la
corona di foglie e pampini e il tirso (figure 4d-e).
essere collegato al banchetto funerario, esso si trova
ad esempio nelle stele dipinte di Marsala/Lilibeo dove
è associato al melograno 90; il personaggio seduto con
iore di loto nella mano sinistra rappresenta in genere,
nell’arte igurativa vicino orientale 91, il defunto 92. In
ogni caso, che si tratti di un defunto o di un personaggio
divino, esso è nell’atteggiamento di offerente nei
confronti del personaggio femminile che gli sta di
fronte, il quale ha difatti le braccia in avanti e le mani
aperte in attesa dell’offerta. Quest’ultima consiste solo
probabilmente nel iore 93, sicuramente nella colomba
che abbiamo visto essere intimamente connessa al culto
di Astarte Ericina (igura 5e) 94.
La colomba è rappresentata sulle stele cartaginesi
a partire dalla seconda metà del III secolo a.C. 95 ed
è poi ampiamente attestata su quelle tardo puniche 96,
comprese due stele provenienti dalla stessa El Kef 97.
90. Vedi nota 65.
91. Vedi nota 73.
92. Va però detto in proposito che a partire dall’età
ellenistica si afferma, in Oriente come in Occidente, una
rappresentazione standardizzata del banchetto funebre,
con “l’uomo coricato su una κλίνη riccamente addobbata
davanti ad un tavolo per lo più imbandito di cibi, mentre
la donna gli siede ai piedi”: Vento 2000, p. 147. È questa
la modalità di rappresentazione che troviamo tanto nelle
due stele puniche di Cartagine quanto nelle stele tardo
puniche di Marsala/Lilibeo. Per questa modalità di
banchetto vedi Dentzer 1982.
93. Se fosse un iore di loto potrebbe difatti servire piuttosto
ad indicare la condizione del personaggio come defunto.
94. Vedi la nota 33. La connessione tra Venere e la colomba
è evidente anche nelle stele di Maghraoua, nelle quali la
testa della dea è talvolta inquadrata da una o più colombe:
vedi ad es. C. G. piCArD 1954, tavv. CIV, Cb 967-968;
CV, 969; CVII, Cb 973; CVIII, Cb 974. La stessa modalità
di rafigurazione si trova su una stele di Maktar: ibid.,
tav. CXVII, Cb 1012.
95. C. piCArD 1976, p. 119; iD. 1978, pp. 67-68. Vedi ad es.
C. G. piCArD 1954, tavv. LXXXIII, Cb 684; LXXXVI,
Cb 701.
96. Ad Annaba (leglAy 1961, p. 445, tav. XVIII, 2), Bir
Tlelsa (poinssot 1927, ig. 1), Ksiba Mraou (leglAy
1961, p. 430, tav. xVi, 8), Maghraoua, Maktar (vedi
ad es. C. G. piCArD 1954, tavv. CVIII, Cb 976; CIX,
Cb 980; CXI, Cb 987-989), Tiddis (leglAy 1966,
p. 49), Thinissut, dove la colomba è tenuta in mano da
un personaggio femminile (I secolo a.C.; C. G. piCArD
1954, pp. 255-256, tav. XCIX, Cb 945), e Tipasa (I secolo
d.C.; DouBlet 1893, p. 67, tav. IV, 2). La colomba è
ampiamente attestata anche nelle stele romane dedicate
a Saturno: leglAy 1961; iD. 1966.
97. Nella prima si vede un personaggio togato che offre
incenso su un altare (sAlADin 1887, p. 212, ig. 363 =
Du CouDrAy De lA BlAnCHère, gAuCKler 1897, p. 66),
della seconda abbiamo già parlato (vedi nota 34).
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Una stele inedita da El Kef/Sicca Veneria
Lo sgabello su cui è assiso il personaggio, basso,
privo di spalliera e con due sole gambe non collegate
fra loro, non trova confronti altrove, neanche a livello
tipologico 98. Lo stesso si può dire per le due gambe che
lo sorreggono, le quali ricordano l’ankh egiziano da cui
però differiscono per l’aggiunta dell’asta orizzontale
centrale. È da considerare in proposito, come possibile
prototipo di questa scelta iconografica, che spesso nelle
rappresentazioni egiziane (o egittizzanti) il simbolo
dell’ankh era raffigurato nella parte bassa dei seggi
o dei troni su cui sedevano le divinità (figura 5c) 99.
L’ankh simboleggia, in generale, la vita; può indicare
la vita eterna del defunto ma spesso è tenuto in mano
da personaggi divini. Il fatto che lo si trovi alla base
di entrambi i seggi su cui sono seduti i personaggi
fa ritenere probabile che serva a caratterizzarli come
divinità.
Il personaggio femminile, come quello maschile,
non trova confronti precisi e puntuali né risulta
caratterizzato in qualche modo nel vestiario, nella
modalità di rappresentazione o nella capigliatura. Per
quanto concerne il vestiario abbiamo visto in precedenza
che la doppia lavorazione di cui il personaggio è stato
oggetto, in particolare dalla vita in giù, impedisce
di accertare come esso fosse stato originariamente
concepito. Comunque, nell’elaborazione finale sembra
trattarsi di una lunga tunica liscia e apparentemente
trasparente; sopra la tunica è drappeggiato un mantello
che copre la spalla sinistra mentre quella destra doveva
rimanere scoperta. Questo tipo di vestiario è tipico
dell’età romana tardo repubblicana 100. Nel provare
ad interpretare la “qualifica” del personaggio bisogna
tenere in mente due elementi fondamentali: che è seduto
su un trono e che sta per ricevere delle offerte. Comunque
si interpreti il personaggio maschile, la scena nel suo
complesso suggerisce che quello femminile sia di rango
divino; l’offerta di una colomba, probabilmente anche di
una rosa, aiutano ad identificarlo con Astarte/Afrodite/
Venere Ericina. Questa divinità, così importante a Sicca,
era venerata in fase tardo punica in tutta la regione
numida e soprattutto nell’Alto Tell tunisino, dove essa
è abitualmente associata a Dioniso/Liber Pater 101: tale
98. Tra le tipologie elaborate da E. Gubel per il mondo fenicio
non igura alcun seggio simile a questo (guBel 1987).
99. Vedi ad es. ibid., igg. 61, 64, 115. In quest’ultimo
(igura 5c), uno scarabeo di diaspro verde montato su un
anello d’oro, l’ankh sembra fornito anche di una seconda
asta orizzontale.
100. gHeDini 1990, p. 236.
101. Divino patrono di Leptis Magna, venerato ad Hr. elFaouar/Belalis Maior, Hr. Harat/Segermes, Ksar Toual
Zammeul, Tripoli/Oea, Sabratha, dio protettore di
Maktar, onorato uficialmente a Djemila/Cuicul, Dougga,
133
coppia divina, attestata nel mondo greco fin dall’età
arcaica 102, è raffigurata sulle stele di Maghraoua
(figure 4d-e) 103 e su tre stele di Maktar 104 ed è venerata
in un tempio di Hr. Mest/Musti 105. Essa costituisce
quasi certamente l’interpretatio di una coppia divina
regionale già esistente in età preromana, composta
dall’Astarte Ericina e, in accordo con E. Lipiński 106, da
una divinità che presiede alla vendemmia e ai raccolti.
Il trono su cui è seduta la divinità femminile
è di un tipo particolare, esso è difatti formato da un
seggio molto simile a quello su cui è seduto l’altro
personaggio, al quale è aggiunto uno schienale con
ampio poggiatesta. Lo sgabello poggia su due gambe
diverse fra loro, quella posteriore apparentemente
uguale a quelle che sorreggono l’altro seggio, quella
anteriore caratterizzata da un simbolo lanceolato che
ricorda una foglia d’edera 107. Il trono vero e proprio,
con alto schienale e poggiatesta arrotondato, privo
di braccioli, non è comune nel repertorio figurativo
fenicio e punico; esso trova vaghi confronti nel tipo
II-d elaborato da E. Gubel per i seggi fenici 108, mentre
non è forse un caso che il trono che più gli assomiglia,
almeno a livello tipologico, sia quello su cui è seduta la
Baalat Gubal, equivalente ad Astarte, in una placchetta
di terracotta proveniente probabilmente da Biblo e
databile al V secolo a.C. (figura 5e) 109.
Gightis, Leptis Minus, Thuburbo Maius, Musti, Sour elGhozlane/Auzia, etc.: lipiński 1995, pp. 384-390.
102. gHeDini 1990, p. 242.
103. Vedi nota 65. Su queste stele Venere, talvolta posta
sopra a un piedistallo e a ianco a un altare, è in genere
completamente nuda e attorniata da una o più colombe; può
avere inoltre una corona d’alloro in mano (igure 4d-e).
104. C. G. piCArD 1954, 284-285, tavv. CXVII-CXVIII, Cb
1012-1014.
105. CIL VIII, 15578. Vedi in proposito CADotte 2007,
pp. 573-574, n. 284.
106. lipiński 1995, pp. 388-390.
107. Motivo decorativo del repertorio ellenistico, la foglia
d’edera è un emblema dionisiaco che evoca la vita eterna
e compare sulle stele cartaginesi a partire dal III-II secolo
a.C.: C. piCArD 1976, p. 110; iD. 1978, pp. 50-51. Tale
simbolo può essere connesso a Bacco/Liber Pater:
lipiński 1995, pp. 384-390.
108. guBel 1987, pp. 109-114, igg. 48-50.
109. La divinità, con bastone nella mano sinistra e colomba
poggiata sulla mano destra, è vestita con una tunica ed
è seduta su un trono con alta spalliera; davanti a lei un
fedele, probabilmente il re, che le porge un’offerta: ibid.,
p. 110, ig. 49; Bonnet 1996, p. 29, tav. III, 1.
134
Bruno D’Andrea
Commento e datazione
La prima osservazione da fare è che la stele in
esame costituisce un unicum nell’Occidente punico e
tardo punico tanto per la tematica quanto per la resa.
Il tema del banchetto tra due personaggi seduti,
uno maschile e il secondo femminile, non si trova
difatti mai, allo stato attuale delle conoscenze, nell’arte
figurativa punica e tardo punica, nella quale si diffonde
invece a partire dall’età ellenistica, a Cartagine come a
Lilibeo, la rappresentazione del banchetto funerario con
il defunto, eroizzato, steso sulla κλίνη con una donna
seduta ai piedi del letto (figura 5d) 110. Il banchetto con
personaggi seduti esiste nel mondo egiziano e vicino
orientale sin dal III millennio a.C. 111; il motivo si
protrae con successive varianti e si diffonde in tutto il
bacino mediterraneo fino al VII secolo a.C. dopodiché
si rarefa per il progressivo imporsi del banchetto con
personaggi sdraiati 112. Nel mondo greco il banchetto da
seduti esiste sin dai tempi omerici 113, in quello etrusco
esso è testimoniato a partire dai secoli VIII e VII a.C. 114,
in quello fenicio, e più in generale siro-palestinese ed
aramaico del Tardo Bronzo e della Prima età del Ferro,
esso trova probabilmente la sua massima espansione 115;
110. Vedi nota 92. La prima attestazione di un banchetto con
personaggio maschile sdraiato è il rilievo di Assurbanipal
a Ninive (VII secolo a.C.), il motivo si diffonde poi in
tutto il Mediterraneo Occidentale, nel mondo greco
ed etrusco, e trova la sua massima affermazione in età
ellenistica (Dentzer 1982; Vento 2000, pp. 144-152;
zACCAriA riggiu 2003).
111. Dentzer 1982, pp. 21-30, igg. 1-21. Per alcuni es. vedi
AMiet 1994; reADe 1995; MAttHiAe 2000.
112. zACCAriA riggiu 2003; vedi in particolare la monograia
dedicata all’argomento da J.-M. Dentzer: Dentzer 1982.
113. Vedi ad es. il banchetto imbandito da Achille in onore di
Patroclo (Omero, Iliade 23, 29 e seguenti) oppure quello
celebrato in onore di Ettore (Omero, Iliade 24, 801 e
seguenti). A Sparta sono attestati ancora tra i secoli VI e
III a.C. banchetti con personaggio/i (eroi e/o divinità) in
trono: toD, wACe 1968, pp. 102-113, igg. 4-12.
114. zACCAriA riggiu 2003, pp. 141-146. Già dal VI secolo
a.C. prende il sopravvento la rafigurazione del banchetto
con personaggi sdraiati.
115. Per alcuni esempi vedi le note 73 e 79; altri esempi,
come gli avori di Nimrud, si trovano in Dentzer
1982, pp. 30-33. Per quanto riguarda le coppe igurate
fenicie, collegate direttamente al banchetto, il motivo è
presente anche su una coppa d’argento frammentaria da
Cipro (VII a.C.; MArKoe 1985, Cy 19), su una seconda
proveniente dalla tomba Regolini-Galassi di Cerveteri
(inizio VII secolo a.C.; ibid., E 9), e su due coppe di
provenienza sconosciuta (IX-VIII secolo a.C.; ibid., U 6 e
U 8). Vedi anche AMiet 1994; MAttHiAe 1996; iD. 1997.
è attestato, a partire dal II millennio a.C., anche nel
mondo assiro ed anatolico 116.
In ambito orientale il tema del banchetto è in
genere collegato alle sfere alte della società e al mondo
funerario 117, dove è quasi sempre rappresentata la
coppia reale che riceve delle offerte, mentre risultano
caratterizzanti alcuni elementi come la presenza del
calderone, dei bruciaprofumi, dei suonatori, in genere
tre, e dei servitori. Oltreché funerario il banchetto può
però anche essere “cultuale”, votivo, e in questo caso
è collegato al culto dei morti, al culto eroico oppure
a determinate divinità 118. La presenza di divinità
“sedute” a un banchetto, che in genere ricevono offerte
e libagioni, è ampiamente attestata, sia epigraicamente
che nella cultura igurativa, in tutto il mondo vicino
orientale e in Egitto già nel III e nel II millennio a.C. 119,
essa è poi testimoniata nell’area siro-palestinese e in
Fenicia 120, mentre nel mondo greco e romano esistono
banchetti con rappresentazioni di divinità e/o eroi ma
la modalità di rappresentazione è quella con personaggi
sdraiati 121. Va precisato che nel Vicino Oriente le
divinità sedute sono in genere “omaggiate” da uno o più
personaggi, quasi sempre appartenenti alla sfera elevata
della società; non sono molti, al contrario, gli esempi di
banchetto fra due divinità sedute e affrontate.
Secondo quanto proposto inora, il banchetto della
stele in esame dovrebbe svolgersi tra un defunto e una
divinità oppure, ed è l’ipotesi per cui propendiamo, tra
due divinità, la coppia divina “africana” Dioniso/Liber
116. Dentzer 1982, pp. 34-50. Per alcuni esempi vedi
Bittel 1977; AMiet 1994; reADe 1995; MAttHiAe 1997;
iD. 2000.
117. zACCAriA riggiu 2003, pp. 74-75.
118. Dentzer 1982, pp. 8-10.
119. Sono molto interessanti in proposito le placche votive
della Mesopotamia Protodinastica con rappresentazione
di banchetti e di offerte a divinità sedute, in genere
femminili; talvolta esse recano la rappresentazione di
due divinità sedute e affrontate. Vedi ad es. AMiet 1994,
pp. 366-370, igg. 317-337.
120. Come dimostra il testo ugaritico RS 24.258 in cui El
offre un banchetto alle altre divinità (rAtHje 1991); la
rappresentazione igurata di tale testo dovrebbe essere
quella presente sulla brocca che abbiamo visto alla
nota 79, la quale fu effettivamente rinvenuta nella stessa
area di scavo da cui proviene l’iscrizione.
121. Dentzer 1982, pp. 460-512; zACCAriA riggiu 2003,
pp. 85-88. A Roma, in età pre-imperiale, il banchetto
è fortemente legato alla sfera del sacro e le divinità vi
prendono parte. Esistono, in particolare, due cerimonie
connesse a questo tema: le lectisternia, solennità che
prevedono l’uso di letti triclinari per le statue di dei
banchettanti, e le sellisternia, banchetti divini in cui
le divinità femminili sono assise sulla sponda dei letti
triclinari: lAnDolFi 1990, pp. 16-24.
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Una stele inedita da El Kef/Sicca Veneria
135
Pater - Astarte/Venere Ericina. Si tratterebbe, dunque,
di un banchetto “cultuale” tra due personaggi seduti
rappresentato su una stele tardo punica: ciò sorprende
sia per il divario cronologico rispetto ai modelli vicino
orientali che, di conseguenza, per l’apparente ispirazione
a tali prototipi; non è da escludere, naturalmente, che
questa apparente anomalia derivi in gran parte dallo
stato attuale della documentazione. Se così fosse, si
tratterebbe, l’abbiamo appena visto, di una modalità
di rappresentazione del banchetto estremamente
rara; dall’altro verso va però sottolineato che proprio
Dioniso e i cicli dionisiaci in generale trovano ampio
spazio nelle rappresentazioni di banchetti del mondo
greco-ellenistico 122.
Da un punto di vista stilistico e iconograico la
stele è caratterizzata dall’uso “mescolato” di motivi
illustrativi ed elementi decorativi vari, perlopiù di
provenienza fenicio-punica ed ellenistica; questi ultimi,
già recepiti a Cartagine a partire dal III-II secolo a.C.,
sono poi ampiamente attestati nell’Africa tardo punica
e romana. Il tutto è inserito in un’opera da considerarsi
prettamente indigena, databile, tenendo in mente
alcune caratteristiche particolari come il vestiario “preimperiale” del personaggio femminile, tra il I secolo a.C.
e la prima metà del secolo successivo, probabilmente
nel corso della seconda metà del I secolo a.C.
Tale datazione appare confermata dal confronto con
altri lotti lapidei che con la stele in esame hanno degli
stretti rapporti ma nei quali è già penetrata la tradizione
igurativa e la concezione religiosa romana: nelle stele
dipinte di Marsala/Lilibeo, databili tra II secolo a.C. e
I secolo d.C. in uno scenario in cui la romanizzazione
si afferma ben prima che in territorio numida, alcuni
motivi illustrativi punico-ellenistici esistono ancora
(caduceo, crescente lunare, disco solare, grappolo
d’uva, melograno, simbolo detto “di Tanit”) ma sono
oramai relegati in secondo piano, come elementi
decorativi, riempitivi o d’inquadramento, mentre la
modalità di rappresentazione del banchetto funerario
e dei personaggi, l’inquadramento architettonico
delle stele e i simboli utilizzati sono oramai romani.
Le stele della vicina Maghraoua (igure 4d-e),
databili tra i secoli I e II d.C. in uno scenario in cui
la romanizzazione si va affermando proprio in questa
fase, sono invece nel mezzo tra la tradizione tardo
punico-ellenistica e quella romana: la forma delle
lastre è punica, l’inquadramento delle nicchie romano;
il cosiddetto simbolo di Tanit è tipicamente punico ma è
“umanizzato” alla maniera romana; la rappresentazione
del dedicante entro la nicchia è propria delle stele
puniche ma tanto l’inquadramento della nicchia quanto
la resa e il vestiario del dedicante sono già romani.
Anche su di esse è rappresentata la coppia divina
“africana” Liber Pater - Venere ma le due divinità
sono già fornite di quegli attributi “classici” che ne
testimoniano l’avvenuta interpretatio. Sulla stele di
El Kef, al contrario, l’identiicazione della coppia di
divinità locali con Liber Pater e Venere non appare
ancora completa e i loro attributi non sono pertanto
ancora canonizzati; da ciò potrebbe derivare la resa
“mostruosa”, con grappolo d’uva sulla testa, della
divinità maschile, la quale richiama probabilmente
gli attributi della divinità locale poi interpretata come
Liber Pater.
I tre aspetti fondamentali che emergono dallo studio
di questa stele sono: la presenza di elementi e concezioni
di antica origine vicino orientale, senz’altro testimoni
di una forte, e probabilmente lunga, punicizzazione
della regione numida; la probabile attestazione della
coppia divina “regionale” Dioniso/Liber Pater Astarte/Venere Ericina; la conferma dell’importanza di
quest’ultima divinità nella città di El Kef 123.
122. Dentzer 1982, pp. 460-512. I simposi tra divinità, tra
cui spesso igura Dioniso, sono attestati in particolar
modo sulla ceramica a igure rosse: CArpenter 1995.
123. In attesa dell’acquisizione di nuovi elementi e, ci
auguriamo, dell’individuazione del famoso tempio ad
essa dedicato.
[email protected]
Dipartimento di studi asiatici,
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