FILOLOGIA E LETTERATURA ITALIANE
Studi e testi
Collana diretta da
Theodore J. CaChey Jr., Fabio danelon, donaTo Pirovano
14
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che ne attesta la validità scientifica.
Forme dell’epistolarità
nella letteratura e nello spettacolo
dall’Ottocento a oggi
Atti del Convegno dottorale di Pavia,
22-23 giugno 2023
a cura di
Luca Ballati, Susanna Bandi e Francesco Cerulo
Edizioni dell’Orso
Alessandria
Pubblicato con il contributo del «Fondo Ricerca Giovani» del Dipartimento di Studi Umanistici
dell’Università degli Studi di Pavia.
© 2024
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n. 633 del 22.04.41
ISSN 2723-9926
ISBN 978-88-3613-479-3
Indice
luCa ballaTi, SuSanna bandi, FranCeSCo Cerulo, Premessa
Corrado viola, La lettera intrusa. Appunti per una ricerca
VII
1
FederiCa MaSSia, Forme e funzioni del modello epistolare nella prosa foscoliana. Gli
scritti polemici del 1810-1811
17
ilaria Muoio, Postverismo e sperimentazione autodiegetica: sulla tipologia della novella epistolare
31
CeCilia Gibellini, Lettere dal convento. Rita, Gertrude e le altre
45
eMMa de PaSquale, «Le carte sono piene di enigmi»: il rapporto tra scrittura epistolare e romanzo in Rinascimento privato di Maria Bellonci
61
PieTro orlandi, «Era due volte una lettera, e due volte era una lettera bianca». Strategie criptico-visionarie negli inserti epistolari de Il porto di Toledo di Anna Maria
Ortese
77
aleSSia Guidi, Cyberspace, opacità identitaria e vertigine multimediale in Evil
Live di Daniele Del Giudice
93
lorenzo barToloni, Epistolarità ed evasione nei Versi militari di Saba
111
luCa ballaTi, «Sui nostri dialoghi muti». Interferenze epistolari nella poesia italiana
del Novecento
129
aliCe daCarro, Niccolò di Vittorio Sereni. Un colloquio in absentia
145
luCa berToloni, Tracce di epistolarità nella canzone d’autore italiana. Contaminazioni tra scrittura verbale e intermedialità
157
Silvia quaSiModo, «La carta canta»? Le lettere nell’opera comica del primo Ottocento
177
eva Corbari, Agire l’assenza. La scrittura epistolare si fa gesto performativo nella
ricerca di Marco d’Agostin
191
VI
Indice
SuSanna bandi, Lo stile epistolare nel medium cinematografico. Un caso emblematico:
My Home, in Libya (2018) di Martina Melilli
205
MaTTeo berardini, La neoepistolarità tecnologica al tempo della narrazione transmediale: il caso SKAM Italia
221
Indice dei nomi
235
aliCe daCarro
Niccolò di Vittorio Sereni
Un colloquio in absentia
NICCOLÒ
Quattro settembre, muore
oggi un mio caro e con lui cortesia
una volta di più e questa forse per sempre.
Ero con altri un’ultima volta in mare
stupefatto che su tanti spettri chiari non posasse
a pieno cielo una nuvola immensa,
definitiva, ma solo un vago di vapori
si ponesse tra noi, pulviscolo
lasciato indietro dall’estate
(dovunque, si sentiva, in terra e in mare era là
affaticato a raggiungerci, a rompere
lo sbiancante diaframma).
Non servirà cercarti sulle spiagge ulteriori
lungo tutta la costiera spingendoci a quella
detta dei Morti per sapere che non verrai.
Adesso
che di te si svuota il mondo e il tu
falsovero dei poeti si ricolma di te
adesso so chi mancava nell’alone amaranto
che cosa e chi disertava le acque
di un dieci giorni fa
già in sospetto di settembre. Sospesa ogni ricerca,
i nomi si ritirano dietro le cose
e dicono no dicono no gli oleandri
mossi dal venticello.
E poi rieccoci
alla sfera del celeste, ma non è
la solita endiadi di cielo e mare?
Resta dunque con me, qui ti piace,
e ascoltami, come sai.
1971
146
Alice Dacarro
Nei versi di Sereni l’evocazione di un destinatario preciso è cosa rara e sempre cifrata.
Nessuna poesia in forma di lettera, e ben poche dediche: una in Frontiera (in un titolodedica alla maniera ‘tradizionale’,1 A M.L. sorvolando in rapido la sua città), due nel Diario
d’Algeria (Belgrado e Dimitrios),2 una negli Strumenti umani (I ricongiunti),3 due in Stella variabile
(Toronto sabato sera e Festival) – queste ultime entrambe aggiunte post mortem dei destinatari.4
È dunque sorprendente il Niccolò dell’ultimo libro (al centro della terza sezione), in cui il
nome proprio a titolo – un hapax nella poesia di Sereni, come rilevato da Fortini –5 apre
subito a una dimensione amicale di prossimità e «cortesia» (v. 2), avvertendo di «non dare
troppa importanza al cognome»6 che fu di Niccolò Gallo, critico e consulente editoriale
per Mondadori insieme a Sereni, venuto a mancare nel «1971», come indicato in calce. E
sarà significativo, infatti, che si tratti di una poesia in morte: col che si spiega, lo diciamo
subito, il ricorso a una serie di ‘contromisure’, della scrittura e della testualità, volte a trattenere un assente se non a ripristinare un colloquio in praesentia (giusta le considerazioni
emerse anche in questa sede7 sui ‘destinatari defunti’). Questo è quanto distingue il testo,
per convocare un caso pure avvicinabile della produzione ultima, da A Parma con A.B.8
(sezione V), di qualche anno più tardo e dall’autore definito privato «più di quanto può
1
Cfr. P.v. MenGaldo, Titoli poetici novecenteschi, in id., La tradizione del Novecento. Terza serie, Torino, Einaudi, 1991, pp. 3-5. Le iniziali sono quelle della moglie, Maria Luisa Bonfanti, originaria di Felino (Parma).
2
Rispettivamente «a Giosue Bonfanti» e «a mia figlia».
3
«a Ninetto»; il testo viene inserito soltanto nella seconda edizione del libro, nel 1975 (cfr. v. Sereni,
Poesie, edizione critica a cura di D. Isella, Milano, Mondadori, 1995, p. 648).
4
Toronto è dedicata «a Niccolò», Festival è «in memoria di L.S.» (Leonardo Sinisgalli). Informa Isella,
su Festival, che «La dedica […], mancante in tutti i testimoni elencati, è stata aggiunta dopo il 31 gennaio
1981, giorno della morte per infarto dell’amico poeta» (ivi, p. 722); ma consultando l’apparato critico di
Toronto sabato sera, scritta «di getto» nel ’68, come si evince da una lettera a Fortini (cfr. ivi, p. 663), si può
intuire una situazione analoga, mancando la dedica in tutti i testimoni anteriori al 1971, anno in cui morì
Niccolò Gallo (ivi, pp. 668-669).
5
Oltre al citato Dimitrios, di tutt’altra intenzionalità (F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, in Omaggio a Gianfranco Folena, vol. 3, Padova, Programma, p. 2170).
6
Ibidem.
7
Mi riferisco, in particolare, al contributo di Luca Ballati incluso in questo volume.
8
Scandito in quattro movimenti contrassegnati da numero ordinale; questo il testo: «Verde vapore albero / al margine di una città. / Un verde vaporoso. Che altro? / Vorrei essere altro. Vorrei essere te. / Per
tanto tempo tanto tempo fa / avrei voluto essere come te / il poeta di questa città. / Con infuocate allora
ragioni. / Allora incorrisposte (tu / che senza vedermi passi). / Non altro dire oggi sapendo / quel tuffo
di verde / dolore fisso si fa. // Se dico finestra illuminata / se dico viale inzuppato di pioggia / è niente, nemmeno una canzone. / Avrebbe avuto voce se fossi te / anche per me una mia sera a Parma / e
non / accovacciato nella mente / un motivo odoroso di polvere e pioggia / tra primavera e estate. / E se
fosse una porta in vista di altre porte / fino a quella là in fondo murata / che prima o poi si aprirà? / Altro dolore. A fitte. // In dormiveglia di là da quella porta. / Succede. Qualche volta. / Che a me un altro
di me parli / fin dentro di me. / Scendeva la vecchia tranvia / da Marzolara a Parma / fischiava a lungo
rasente i Baccanelli / salutando te assente / diceva la certezza l’orrore della fine / ne faceva convinto quel
gran cielo d’estate. // Torna a quest’ombra l’orrore / di quel vuoto. // Divino egoista, lo so che non
serve / chiedere aiuto a te / so che ti schermiresti. // Abbitela cara – dice – quest’ombra / verde e questo
male. Evasivo / scostandosi lo copre con una / sua foglia di gaggìa – / biglietto / d’invito a una festa che
ci si prepara / vaga come una nuvola / in groppa all’Appennino.».
Niccolò di Vittorio Sereni
147
esserlo una lettera»:9 sebbene non si tratti di un testo in morte ma, come noto, di lontananza, anch’esso rimanda a una seconda persona determinata10 per instaurare un contatto
che rimane nel campo dell’inattuabilità;11 anche dal punto di vista stilistico-compositivo il
tu è, come in Niccolò, motivo ‘necessario’ alla testualità in quanto unico fattore di coesione,
che tiene insieme le poesie dall’inizio alla fine in uno svolgimento ellittico e antilineare,
complessivamente improntato all’eterogeneità discorsiva. Ma la poesia per Bertolucci denuncia un’intenzionalità diversa fin dal titolo-dedica;12 con le sole iniziali del destinatario
a suggerire un pathos trattenuto e quasi castigato, ribadito nel testo in allocuzioni dirette
che in verità escludono l’altro dai circuiti comunicativi: «Che altro? / Vorrei essere altro.
Vorrei essere te»; «Con infuocate allora ragioni. / Allora incorrisposte (tu / che senza
vedermi passi)»; «Avrebbe avuto voce se fossi te / anche per me una mia sera a Parma»;
«Divino egoista, lo so che non serve/chiedere aiuto a te/so che ti schermiresti». L’io pone
dunque, rispetto a sé, il tu non come partecipante di un’interazione bensì come innesto o
appoggio all’andamento discorsivo-narrativo del testo nel suo complesso, in quadri conchiusi e relativamente autonomi, tra memoria, anelito e ambigue proiezioni del soggetto. Il
vincolo prossemico con l’interlocutore è decisamente più stretto in Niccolò; diversi anche i
presupposti: se «col defunto, in termini di prossemica, la distanza è all’infinito e quindi le
forme del colloquio in absentia possono essere diverse da quelle col vivo».13 Il tu, assente,
non è convocato come alterità ma come motivo di pienezza enunciativa – «adesso / che
di te si svuota il mondo e il tu / falsovero dei poeti si ricolma di te»: l’assenza è radicale e
l’intenzione di convertirla, secondo le leggi di un «sistema di vasi comunicanti tra “mondo” e “poesia”»14 (Fortini), si attua nello spazio del testo, esempio di quell’«interferenza
tra il livello poetico e il livello pragmatico»15 che Nencioni ricorda essere sempre possibile.
Ma Niccolò è una lirica tarda, e non è propriamente l’unica di occasione luttuosa
nella produzione sereniana. L’indagine sull’assenza, nel percorso di Sereni, è soggetta
a uno sviluppo che d’altra parte – lo si anticipa – non vale tout court per ogni poesia
9
v. Sereni, Poesie, cit., p. 834.
Quella, naturalmente, di Attilio Bertolucci. Sereni tiene a precisare che l’occasione del testo non
è luttuosa: «Rendere pubblico un fatto privato costa sempre qualcosa e spiega il mio imbarazzo di ora.
Ma soprattutto vi prego di tenere ben ferma la premessa che questa poesia non è stata scritta per questa
occasione, del resto non prevista né prevedibile allora» (cfr. ibidem).
11
Oltre al fatto che si può scorgere un contatto intertestuale con Niccolò nell’immagine finale, della
«festa che ci si prepara / vaga come una nuvola / in groppa all’Appennino», forse in dialogo con la «nuvola immensa, / definitiva» e il «vago di vapori» del testo dedicato a Gallo (se ne è accorto anche, prima di
me, Fabio Magro in Lettura di A Parma con A.B., in Vittorio Sereni, un altro compleanno, a cura di E. Esposito,
Milano, Ledizioni, 2014, pp. 205-224). Queste sarebbero inoltre le uniche occorrenze, nella poesia sereniana, del lemma “nuvola” al singolare – le altre, non molte, sono tutte al plurale e soprattutto non sembrano
trattenere la stessa connotazione sovradeterminata che si trova in Niccolò e A Parma, valendo più da dato
atmosferico e paesistico che ‘psicologico’.
12
Analogo al coevo A Venezia con Biasion (sezione II del libro), puramente tematico, denotativo.
13
G. nenCioni, Antropologia poetica?, in id., Tra grammatica e retorica, Torino, Einaudi, 1983, p. 173.
14
F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., p. 2172.
15
G. nenCioni, Antropologia poetica?, cit., pp. 173-174.
10
148
Alice Dacarro
dedicata a un defunto. Già in Frontiera (1941), raccolta d’esordio, 3 dicembre allude alla
morte di Antonia Pozzi, mai nominata esplicitamente. Di seguito il testo:
All’ultimo tumulto dei binari
hai la tua pace, dove la città
in un volo di ponti e di viali
si getta alla campagna
e chi passa non sa
di te come tu non sai
degli echi delle cacce che ti sfiorano.
Pace forse è davvero la tua
e gli occhi che noi richiudemmo
per sempre ora riaperti
stupiscono
che ancora per noi
tu muoia un poco ogni anno
in questo giorno.
Ma 3 dicembre è testo in memoriam più che in mortem, resta cioè nell’ambito dell’elegiaco,
non sconfina in quello del recupero, del riscatto, e nemmeno dell’indagine problematica.
Sereni delinea qui una poesia situazionale, incentrata, come annuncia il titolo, sull’evento,
sull’occasione, non sul ‘tu’ assente – emblematico l’explicit, che ritorna ad anello sul motivo della ricorrenza: «tu muoia un poco ogni anno / in questo giorno». Circolarità e simmetria
governano infatti integralmente la testualità, a differenza che in Niccolò (e in A Parma
con A.B.) coesissima e conchiusa: le due strofe isometriche si risolvono in variazioni sul
tema, per un effetto complessivamente statico, antinarrativo, col forte legame strutturale
assicurato dal richiamo a distanza «hai la tua pace» – «pace è forse davvero la tua», e in
generale da figure di ripetizione, rispettivamente nel primo e nel secondo movimento: «e
chi passa non sa / di te come tu non sai / degli echi…», «gli occhi che noi richiudemmo / per
sempre ora riaperti / stupiscono / che ancora per noi…» (che forse spingono già verso una
direzione stilistica che si realizzerà appieno negli anni Sessanta).
Dunque in 3 dicembre il ‘tu’ e relativo appello sono elementi che in qualche modo si
limitano, per così dire, a inserirsi in un’occasione, pur taciuta o meglio non dichiarata, che
si esaurisce tutta nella memoria del lutto, nel compianto funebre. Tutt’altra vocazione
in Niccolò – a partire dalla testualità. Percorrendone la struttura, è rilevante anzitutto che
s’incardini intorno a tre interruzioni, vuoti tipografici (il secondo e il terzo marcati inoltre
da gradino) che inceppano il discorso e consentono uno scarto tonale, vale a dire una
diversa forza illocutiva con cui l’enunciazione riparte. I primi tre versi dicono l’evento,
singolativo per eccellenza: si ancorano al presente ‘pervasivo’ del lutto, quello che determina la percezione lineare del tempo, col più di sovradeterminazione del topos cortese16 per
Cfr. F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., p. 2171, ma anche v. Sereni, Il grande amico. Poesie 1935-1981,
a cura di L. Lenzini, Milano, Rizzoli, 1990, p. 265.
16
Niccolò di Vittorio Sereni
149
cui alla scomparsa della persona cara consegue quella della virtù («e questa forse per
sempre», v. 3), con un senso di ineluttabilità così rincarato, in un’apertura di testo che
ha valenza di epilogo. Sembra dunque ‘tradire’ queste premesse autoconclusive all’insegna della perdita l’imperfetto narrativo, di segno opposto, che inaugura il secondo
movimento, «Ero con altri un’ultima volta in mare»,17 con un forte effetto di staccato
che il bianco tipografico accentua – l’«ultima volta» è infatti l’ultima della stagione, sul
finire della villeggiatura estiva presso Bocca di Magra, col senso ciclico di un’azione
reiterata e abituale fra un gruppo di sodali. Nello sviluppo della lassa il locutore indugia poi sul dato ambientale, tramite privilegiato del contatto fra trapassati e vivi sin
dai tempi di Frontiera; ma, si noti, la connotazione è diversa: rispetto al «gemito che
va tra le foglie» di Strada di Zenna, o all’«animazione delle foglie» che accompagna «la
bufera» de Il muro, elementi che turbano il paesaggio stagliandosi su un quadro di più
‘neutro’ realismo, qui non vige confine così netto tra ciò che è spettrale, che porta segni
dall’oltrevita, e ciò che non lo è. Gli «spettri chiari»18 sono infatti, ambiguamente, le
parvenze del reale appartenenti al mondo dei vivi,19 così come – ed è l’io lirico stesso,
evidentemente abituato ad altri ‘messaggi’, a stupirsene – non c’è nessuna «nuvola immensa, / definitiva»20 a comunicare la morte, ma solo un incerto e labile ostacolo («un
17
L’«andante narrativo», commenta Fortini parafrasando come segue i versi della seconda lassa: «Per
l’ultima volta nella stagione di vacanze ero al mare, insieme ad altri, stupito che sulle parvenze luminose
e fantomatiche della costa non sovrastasse da tutto il cielo una nuvola grandiosa, conclusiva nella sua imponenza; e che invece fra noi e lui Niccolò – che in quel punto moriva o era già morto – si interponesse
soltanto una indefinita apparenza di vapori, una bruma, quasi l’estate che stava per finire lasciasse dietro
di sé quella nebbia di pulviscolo» (ibidem).
18
Segnalo Diario d’Algeria, Spesso per viottoli tortuosi: «Ride una larva chiara / dov’era la sentinella / e la
collina / dei nostri spiriti assenti / deserta e immemorabile si vela».
19
Occorre tornare a Fortini: «Ma il sostantivo spettri (anche nel senso di decomposizione dei raggi
solari) tramuta il paesaggio. Come Dante sapeva, il demoniaco che sempre s’accompagna alla morte può
alterare l’atmosfera.» (F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., p. 2171).
20
Immagine forse derivante da quella che chiude il secondo momento della serie Sarcofaghi, da Ossi di
seppia (Ora sia il tuo passo…): «Sopra il tetto s’affaccia / una nuvola grandiosa», con la medesima inarcatura
fra predicato e soggetto, e affinità di contesto (tema mortuario). Col che si rafforzerebbe la lettura per
cui la sereniana «nuvola» davvero è un messaggio inequivocabile del lutto oltreché ‘definitiva’ barriera: ma
l’ostacolo, con tutto stupore del soggetto, non c’è, sostituito da un confine apparentemente permeabile,
che dà per contro l’illusione (iniziale e intermittente) di un contatto. Di diverso avviso Fortini, per cui nei
vv. 5-6 è «una tipica negazione apparente ossia affermazione, confermata da quel stupefatto, che meglio si
addice all’effetto di una visione attuale piuttosto che a quello di una visione mancata (com’era già stato,
in altra poesia di Sereni, il viandante stupefatto). La nuvola immensa e definitiva (aggettivo di echi francesi
e di specie, in Sereni, insolita) è davanti o al di là dello sbiancante diaframma; come al di là di tutto sarà il
celeste degli ultimi versi» (F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., pp. 2171-2172). Aggiungiamo soltanto che una
certa influenza del Montale degli Ossi sarà poi forse ravvisabile, per quanto riguarda più genericamente
la ‘situazione’ lirica, se si convoca Il canneto rispunta i suoi cimelli…, ultima quartina: «Assente, come manchi in
questa plaga / che ti presente e senza te consuma: sei lontana e però tutto divaga / dal suo solco, dirupa, spare
in bruma», dove il vocativo diretto a un assente (Annetta, lontana ma «stando alla costruzione “mitica”
montaliana, morta», cfr. e. MonTale, Ossi di seppia, a cura di P. Cataldi e F. d’Amely, Milano, Mondadori,
2016, p. 92), riverberato nei successivi deittici di persona, si lega a un quadro di ambientazione marina,
con indugio sul dato paesistico e atmosferico, inserendovisi senza soluzione di continuità («Sale un’ora
150
Alice Dacarro
vago di vapori»),21 che si precisa prima nel dato atmosferico del «pulviscolo / lasciato
indietro dall’estate», quindi, definitivamente, nel metaforico «sbiancante diaframma»,
con un progressivo processo di astrazione e soggettivazione (si veda anche il passo
parallelo di Autostrada della Cisa, in cui si dice, a proposito del defunto padre, e sempre
in un ‘a parte’ isolato dalla parentetica: «(con malagrazia fu calato giù / e un banco di
nebbia ci divise per sempre)»). Dopo l’«andante narrativo» (Fortini) di questi versi, si
passa perciò, senza più distinzione fra tempo dell’enunciazione e tempo dell’enunciato
(si noti la deissi fantasmatica: «dovunque, si sentiva, in terra e in mare era là»,22 marca
dell’evocazione di un ulteriore mondo possibile nello spazio di per sé fittizio aperto
dal testo), a un’allocuzione diretta23 perentoria nel negare l’attraversabilità dello «sbiancante diaframma» (vv. 13-15). L’interzona tra vita e oltrevita, lungi dall’essere un ponte
fra i due mondi, ha soltanto valore separativo; e che non si danno luoghi ‘non giurisdizionali’ è pronunciato al cospetto del tu assente, in quella che sembra una variazione
al negativo degli assunti della Spiaggia, in cui i morti, gli assenti, erano sì convocati ma
come promessa di futuro («Non servirà cercarti sulle spiagge ulteriori […] per sapere
che non verrai» vs «I morti non è quel che di giorno / in giorno va sprecato, ma […] parleranno»). A seguire, nella terza lassa, staccato dal verso a gradino, con nuova rottura di
timbro e di ritmo e con il circostanziale Adesso ribattuto, «si muove la sintesi»24 fra i due
tempi del testo, quello del ricordo (del narrato o ‘enunciato’) e quello del lutto (cioè,
qui, quello dell’enunciazione): «adesso so chi mancava nell’alone amaranto / che cosa e
chi disertava le acque / di un dieci giorni fa». Ora che, nell’assenza che è la morte, una
funzione poetica istituzionalmente vuota – «il tu / falsovero dei poeti» – è colmata, e
finalmente motivata, l’io locutore, forte di una coerenza, di un’adesione rispetto al proprio dettato poetico che prima non gli era possibile, e ritrovata solo eccezionalmente
nel dolore, in questo dolore, nomina la realtà con altre coordinate. Il lutto agisce anche
sulla memoria del passato: l’assenza ‘contingente’, il mancato appuntamento di «dieci
d’attesa in cielo, vacua, / dal mare che s’ingrigia. / Un albero di nuvole sull’acqua / cresce, poi crolla come
di cinghia.»; questa la quartina che precede).
21
Una precedente lezione riportava «ma solo si ponesse tra noi / una vaghezza di vapori, pulviscolo…» (v. Sereni, Poesie, cit., p. 797): la versione definitiva marca dunque una ancora più decisa predilezione, nella testa del sintagma, per l’elemento astratto, con relativo effetto di ‘sfumato’. È un procedimento
non estraneo all’autore per cui, certo, sarà opportuno convocare il linguaggio del sogno per come lo
definisce S. Agosti nel suo Interpretazione della poesia di Sereni, in La poesia di Vittorio Sereni. Atti del Convegno,
Milano, Librex, 1985, pp. 33-46.
22
L’io lirico o parlante si sposta idealmente nello spazio e nel tempo, nel luogo ideale ricordato, e può
usare am Phantasma i termini deittici (cfr. M.e. ConTe, Condizioni di coerenza. Ricerche di linguistica testuale,
Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999, pp. 61), di cui i topodeittici in particolare creano linguisticamente
la profondità dello spazio esperienziale fittivo (ivi, p. 68).
23
Prosegue E. Testa, sulla scorta di Lévinas (La colpa di chi resta. Poesia e strutture antropologiche, in id.,
Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento, Roma, Bulzoni, 1999, p. 47): «Se “colui
del quale devo rispondere, è colui al quale devo rispondere”, la raffigurazione in poesia del gesto con cui
ci si approssima ad una voce scomparsa diviene ad un tempo una versione estrema di una responsabilità
che chiama costantemente in causa e di una scrittura che guarda a se stessa come ad una forma del dialogo
che “va verso l’altro”».
24
F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., p. 2172.
Niccolò di Vittorio Sereni
151
giorni fa», diventa, a posteriori, presagio di una assenza definitiva e ‘plenaria’.25 In
altre parole: l’appuntamento mancato si chiarisce a posteriori (adesso so) come l’ultima
possibilità, sfumata, di un incontro tra i due amici ancora nel mondo dei vivi, e acquista dunque il senso supplementare di un’anticipazione della perdita e del lutto. Vero
che, con Fortini, «la scomparsa fisica» consente «la conversione integrale del vuoto
del mondo nel pieno della parola»,26 unico risarcimento possibile; ma pur sempre in
un regime precario e intermittente. Lo stesso io locutore non sembra infatti crederci
fino in fondo, e oscilla fra i due poli: detto in altro modo, e nella postura di soggetto
‘riguardante’ che misura sé stesso27 di fronte al paesaggio marino, «i nomi si ritirano
dietro le cose» – fra parole e cose vige lo stesso iato, lo stesso «diaframma» disgiuntivo
che sussiste fra vita e morte. Dopo l’ultima frattura testuale (vv. 24 e ss.), ogni intento
di narrazione sembra poi dissolversi ex abrupto insieme al paesaggio e più latamente al
contesto, non avendo l’«E» coordinante in apertura di lassa in realtà alcuna aderenza
con i versi precedenti, e facendo piuttosto da appiglio a una voce che si mostra negli
ultimi versi unicamente nel suo tentativo, mai così forte e compiuto nel testo,28 di rivolgersi al trapassato interlocutore.
La poesia, come si diceva, non segue dunque uno sviluppo lineare: discontinua, apparentemente disgregata, composita, trova la sua coesione non nei rapporti fra le parti,
ma sul piano pragmatico. Risulterà meglio apprezzabile, in questa ottica, un insieme di
elementi testuali segnaletici, acquisti progressivi nell’iter genetico, che sembrano fare
sistema in direzione della dimensione epistolare: 1) l’organizzazione interna del testo,
scandito in iniziale definizione di una cornice indessicale (titolo e vv. 1-3), successivo
movimento narrativo-allocutivo (vv. 4-24a), e congedo (vv. 24b-28 e data in calce);29
2) il richiamarsi speculare delle ‘soglie’ di inizio e fine nel segno di una familiarità di
codici («la solita endiadi») e di una prossimità affettiva («un mio caro» – «Resta dunque
con me… ascoltami»); 3) e il forte dialogismo, che si spinge fino all’interrogativa ‘fatica’ o ‘conativa’ («ma non è / la solita endiadi di cielo e mare?»), fanno infatti pensare a
una traccia che per condurre l’io al tu si innesta, volontariamente o meno, su forme ed
25
«Due sono dunque le gite in mare. La prima, quella dell’alone amaranto, è dell’ultima decade di
agosto, la seconda coincide invece con la morte di Niccolò. Che cosa e chi rendeva deserte le acque. Chi, lo sappiamo, Ma che cosa? Si può tentare una risposta: quel che mancava dieci giorni innanzi era la conversione integrale
del vuoto del mondo nel pieno della parola; conversione che esige la scomparsa fisica.» (ivi, p. 2173; corsivi dell’autore).
26
Ibidem.
27
La propria insufficienza: «[…] ma sospetto è una delle frequenti proiezioni che la psicologia di Sereni
trasferisce da sé alle cose: in sospetto, ossia in difetto, è il soggetto poetante, non il mare» (ibidem).
28
Soltanto in questa zona di congedo il tentativo d’interazione è fine a sé stesso: nei vv. 13-15, come
visto, era un’asserzione (negativa: Non servirà cercarti…), ai vv. 15b-17 una premessa alle conclusioni tratte
dall’io monologante (Adesso che di te… so).
29
Cfr. la testualità ‘tripartita’ della struttura epistolare, scomponibile pragmaticamente in esordio,
discorso, conclusione (F. MaGro, Lettere familiari, in, Storia dell’italiano scritto III. Italiano dell’uso, a cura di G.
Antonelli, M. Motolese e L. Tomasin, Roma, Carocci, 2014, pp. 101-157; G. anTonelli, Tipologia linguistica
del genere epistolare nel primo Ottocento, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2003, pp. 24-88).
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Alice Dacarro
espedienti testuali tipici del fittizio colloquio in absentia che è la lettera. Fittizio poiché,
appunto, «apparentemente in absentia», scrive Nencioni,
ma in verità solo a distanza e per tempi differiti, perché è inserito in una situazione reale
e fortemente condizionato da essa, come dimostrano, ad esempio, l’effettivo sforzo di
adeguamento al presunto o noto codice del destinatario e la conseguente compromissorietà semantica e stilistica, nonché la ridondanza volta ad assicurare la comunicazione: cose che mancano al colloquio poetico in absentia, a meno che non si tratti di corrispondenza metricizzata.30
Alludere lontanamente a una comunicazione ‘epistolare’ risulta dunque un modo
per garantirla: un modo, cioè, del soggetto poetico per garantirsi l’illusione del rituale,
quello per cui, con Fortini, «si può parlare al defunto, muta cenere, solo se si accetta
la miseria dell’illusione».31 E per cui, «in sintesi, la poesia Niccolò è costruita ad estrema
difesa di un mondo che lo evacuerà, che si svuoterà di lui e di noi».32
Vale la pena, seguendo questa linea, di soffermarsi un momento di più su come è costruita la poesia – essendo l’assetto ‘strutturale’, come anticipato, un risultato raggiunto
per successive approssimazioni. La diacronia del testo ci dà infatti la più significativa
conferma che la motivazione della lirica si risolva solo molto parzialmente nell’evento
luttuoso, sottendendo una portata conoscitiva che insieme valorizza e trascende l’occasione: Niccolò nasce, originariamente, come parte “VII” del poemetto Un posto di vacanza, che lo precede nel libro.33 Richiamo esplicito è, oltre al comune ‘sfondo’ di Bocca di
Magra, la «sfera del celeste» alla fine di Niccolò e all’inizio del poemetto,34 nei versi che
ne fanno da prologo, con un effetto, in questo caso, di circolarità, se non di epilogo o
suggello a un intero percorso, di cui la liaison così esposta marca la coesione. Senonché,
in una fase redazionale successiva, l’ordinale “VII” viene cassato, e sostituito con una
postilla autografa che informa che il testo «Farà parte della seconda edizione de Gli
immediati dintorni» (dove effettivamente troverà luogo).35 Solo a questo punto l’autore,
assecondando una tendenza già emersa nello scorporare la poesia dal Posto di vacanza,
decide di non rischiare di far passare il testo in secondo piano, reinserendolo nel suo
quarto libro poetico come momento autonomo: prima, nell’edizione provvisoria,36 subito dopo il poemetto, quindi, nell’indice definitivo, in una collocazione rilevatissima:
G. nenCioni, Antropologia poetica?, cit., p. 170.
F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., p. 2173.
32
Ibidem.
33
Mi rifaccio agli apparati critici in v. Sereni, Poesie, cit., pp. 796-797.
34
«Un giorno a più livelli, d’alta marea / – o nella sola sfera del celeste», I, vv. 1-2.
35
Soltanto, però, dopo la morte del poeta, in un’edizione ricostruita secondo progetti autoriali e
documenti d’archivio da Maria Teresa Sereni, nella stessa collana delle “Silerchie” dell’edizione del ’62: v.
Sereni, Gli immediati dintorni primi e secondi, Milano, il Saggiatore, 1983 (e cfr. v. Sereni, La tentazione della
prosa, a cura di G. Raboni, Milano, Mondadori, 1998).
36
Uscita per i Cento Amici del Libro nella primavera 1980 (con data 1979), accompagnata da litografie di Ruggiero Savinio.
30
31
Niccolò di Vittorio Sereni
153
sull’‘asse di simmetria’ della raccolta, al centro della sezione terza nella sua partitura
‘esistenziale’ a trittico, aperta e chiusa rispettivamente dal Posto di vacanza e dal breve
Fissità. Correlate a questa graduale emancipazione del testo sono, poi, delle varianti che
definirei di tipo strutturale e pragmatico – le uniche, si può dire, che siano interessate
dal lavorio avantestuale nel suo complesso: nella prima redazione, quella dipendente,
cioè, dal progetto del Posto di vacanza, i primi tre versi («Quattro settembre… per sempre») non figuravano isolati tipograficamente, ma facevano tutt’uno con il prosieguo;
così come non vi erano il gradino e lo stacco intraversali all’altezza di «Adesso / che
di te si svuota il mondo…», momento-chiave della lirica in cui, come visto, si ritorna
al presente e comincia a intensificarsi l’allocuzione diretta al tu, con annessa variazione
ritmica (dovuta, questa, soprattutto alle figure di ripetizione: l’anafora di «Adesso», con
le due occorrenze disposte specularmente l’una rispetto all’altra, e il poliptoto «di te…
il tu… di te»). Mancava dunque l’evidenza strutturale dei tre distinti ‘momenti’ del testo
così come considerati, laddove soprattutto il bianco tipografico tra i primi due versi e i
successivi, riprendendo considerazioni già emerse, conferisce maggiore rilievo e quasi
assolutizza la sfasatura temporale, e dunque indessicale, tra la prima lassa e la seguente.
Gli stacchi tipografici si acquistano proprio a partire dalla seconda redazione, in concomitanza con lo svincolarsi del testo dal poemetto e l’idea di inserirlo negli Immediati
dintorni: nella medesima fase, tale ‘autonomia’ dei primi tre versi doveva iniziare a farsi
sentire, se – in una stesura del testo appartenente ai materiali degli Immediati dintorni – l’autore li trascrive tutti a caratteri maiuscoli a mo’ di epigrafe che «fa da titolo»,37
come precisa una sua postilla a latere. Non solo: sempre quando la poesia era ancora
ricompresa nel Posto di vacanza il verso 13 risultava: «Non servirà cercarti, Niccolò, sulle
spiagge ulteriori», con il vocativo diretto espunto nella fase, seriore, in cui il testo guadagna identità propria e si intitola al nome di Gallo. Quasi che risultasse superfluo ripetere il nome di un interlocutore già attivato a destinatario e presenza-assenza fissa dalla
parte alta del testo; o, con un sintagma tipicamente impiegato per la forma-lettera, dalla
sua soglia d’accesso, composta da titolo più i tre versi iniziali, in cui il nome proprio
è in sinergia tanto con il «mio caro» quanto con il deittico attualizzante (o astanziale)
«oggi» a delineare le coordinate ineludibili del testo tutto, investite di valore pragmatico in quanto fissano il cronotopo e insieme lo trasfigurano a tonalità complessiva.38
Tonalità insieme rimarcata e ribaltata alla fine della poesia, in cui il «qui» («qui ti piace»,
v. 27) sottende il medesimo rimando deittico, ma in questa seconda occorrenza non
nell’accezione di un qui in cui la morte ha agito, bensì di un qui in cui l’io e il tu hanno
potuto – e potrebbero ancora? – sostare insieme.
L’assenza, avviandomi a trarre qualche conclusione, è insomma indagata in modi
ben diversi dall’ultimo Sereni: il tema del rapporto coi trapassati, dagli esordi alla
37
v. Sereni, Poesie, cit., p. 796.
Fortini (“Niccolò” di Sereni, cit, p. 2170) rileva che i tre versi iniziali sono «proposta del tema», «come
di una ‘ballata mezzana’ ma anche una frequentissima figura metrica di Saba. Sereni la introduce sei volte
in Gli strumenti umani e altrettante in Stella variabile. Tuttavia Niccolò è piuttosto una elegia funebre, un threnos, lungo una via che dagli alessandrini va agli epicedi rinascimentali e ai romantici».
38
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Alice Dacarro
produzione matura, dopo la fondamentale tappa degli Strumenti umani, si declina in
un senso sempre più personale: da una persistenza dei morti che si manifesta, vaga e
generica, in segni da decifrare (così già in Strada di Creva: «Questo trepido vivere nei
morti»); alla rappresentazione di un colloquio ‘teatrale’ con ombre-personaggi (emblematica l’ultima sezione di Strumenti umani); all’introiezione di tale problematicità senza
più l’espediente di ‘apparizioni o incontri’, vale a dire l’interrogarsi, con perseveranza e
scacco di pari irriducibilità, sulle assenze, e il chiedersene conto tramite la propria voce
poetica e le sue controfigure mentalizzate (cfr. Lavori in corso I: «non chiederti dove
saranno mai finiti…»), e ancora il ruolo, o la possibilità di ruolo, di parola e linguaggio
(della poesia). Dunque, se ne Il muro era il defunto padre ad avvertire l’io poetante, con
dimessa inesorabilità, che «una sera d’estate è una sera d’estate», e non cela, quindi,
significati altri o messaggi in codice, in Niccolò sono addirittura gli oleandri che «dicono
no dicono no», ossia che, come scrisse Fortini, «non ci sono revenants»,39 con negazione
reduplicata che vuole essere solo pura mimèsi dell’agitazione delle piante mosse dal
vento, a riconferma che, come nel verso subito precedente, «i nomi si ritirano dietro
le cose». È la replica, il rovescio alla dialettica tra il ‘vuoto’ del mondo e il ‘pieno’ della
poesia dichiarata all’inizio della medesima lassa: l’equazione rimane asimmetrica, la
dissipazione è inevitabile.
Eppure non è qui che finisce il testo. Il secondo gradino intraversale media un
ultimo sussulto ritmico-sintattico con cui, non ostante quanto dichiarato sin qui, si
riprende un affettuoso dialogo con il trapassato. Se certo «si può parlare al defunto,
muta cenere, solo se si accetta la miseria dell’illusione», e, ancora con Fortini, «in Sereni
(all’inverso dell’ultimo Montale) le cose vorrebbero prevalere sui nomi»,40 almeno in questo caso l’anti-orfico Sereni, con piena consapevolezza, si concede almeno l’illusione
che sulle cose l’abbiano vinta le parole. Nencioni, ragionando sulla valenza antropologica della poesia come rituale, che emerge soprattutto nel caso del colloquio funebre,
in absentia, sottolinea
la polivalenza e la pluridimensionalità di certe parole che possono impostarsi su piani
antropologicamente più o meno profondi del codice, e quindi esplicare non tanto una
funzione enunciativamente diversa (esecutiva o constatativa) ma impegnare in modo diverso l’ethos dell’emittente. Sarebbe il caso del verbo giurare, la cui accezione profonda
(rituale) e quella superficiale (sinonimica) convivono, come bivalenza virtuale, nel nostro codice pragmatico.41
Ed è anche il caso del Resta su cui si impernia il distico finale di Niccolò, sovradeterminato proprio per l’impegno ‘etico’ che presuppone, in sede di congedo, nell’emittente, e che si manifesta nella solennità della scansione sintattica di questi versi, quasi una
39
40
41
Ivi, p. 2172.
Ivi, p. 2173.
G. nenCioni, Antropologia poetica?, cit., p. 170.
Niccolò di Vittorio Sereni
155
preghiera, in triplice appello (e, come indica Lonardi, non senza il ricordo della «preghiera di restare che i personaggi dell’epica antica rivolgono alle ombre»).42 Nell’invito
a restare, correlato al qui che con deissi forte rimanda, come accennato, al qui-e-ora del
mondo dei vivi ma anche, molto più puntualmente, al ‘qui’ di Bocca di Magra che fece
tante volte da teatro ai dialoghi di Sereni e Gallo, e che viene convocato allusivamente
nella seconda lassa, il rituale riappropriativo della parola scritta tipico del colloquio in
absentia (e della dimensione epistolare) intercetta i motivi antropologici della «poesia
dell’invito»,43 per come la intende Jean Starobinski. L’invito è costitutivamente «rivolto
a un assente. Esso presuppone una distanza, una separazione, e il richiamo tende ad
affrettare la futura presenza che le abolirà».44 Nelle poesie che modulano questo secolare tema, l’invocazione della presenza dell’amico e interlocutore assume un’inflessione
familiare: «Motivo comune a tutte le poesie d’invito, è l’interruzione momentanea della
cura, il ritorno a una sorta di saggezza»45 – laddove la ‘cura’, in diversi casi convocati
da Starobinski, da Orazio a Hölderlin, assume le fattezze di una morte presentita e
prefigurata dall’io lirico, esorcizzata quindi attraverso il richiamo alla comune e consolatoria presenza di emittente e destinatario in luoghi ameni e familiari. Il Resta con
cui si conclude Niccolò assume dunque un’evidenza quasi gestuale, in un’accezione che,
dandosi nei confronti di un interlocutore reale e realmente irrecuperabile, radicalizza
(realizza?) il finale di Anni dopo, poesia degli Strumenti umani dove pure l’esortazione a
restare, in forma allocutiva di ‘invito’ o preghiera, è l’accento su cui si chiude il testo,
qui rivolto all’amicizia stessa, ipostatizzata: «Dunque ti prego non voltarti amore / e tu
resta e difendici amicizia».
Abstract
Niccolò (da Stella variabile, 1981) è insieme un caso esemplare e un’eccezione nel percorso sereniano: statuto peculiare che il testo deve tanto all’ideale dialogo retrospettivo
con un tema cardine del poeta, il rapporto con i trapassati, di cui sembra essere una
variazione estrema, quanto alla messa in risalto della sua singolare occasione-spinta in
esiti inediti, che trasfigurano la scomparsa dell’amico Niccolò Gallo in un’indagine di
ampia portata e complessità sull’assenza. L’intervento si propone di studiare come queste coordinate entrino in risonanza con le strategie compositive della poesia – oltreché
con la sua storia genetica –, sulla falsariga delle ‘intermittenze’ epistolari ravvisabili a
una lettura pragmatica della testualità, volta a trattenere un assente se non a ripristinare,
tramite determinate ‘contromisure’, un colloquio in praesentia.
42
«come Enea quando deve separarsi dall’ombra di Creusa e lei lo lascia multa volentem / dicere, Aen.,
II, 790-791», G. lonardi, Introduzione a v. Sereni, Il grande amico. Poesie 1935-1981, cit., p. 23.
43
Mi rifaccio al testo tradotto: J. STarobinSKi, La poesia dell’invito, Genova, il nuovo melangolo, 2003.
44
Ivi, p. 53.
45
Ivi, p. 56.