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Niccolò di Sereni. Un dialogo in absentia - Dacarro

2024

Niccolò (da Stella variabile, 1981) è insieme un caso esemplare e un’eccezione nel percorso sereniano: statuto peculiare che il testo deve tanto all’ideale dialogo retrospettivo con un tema cardine del poeta, il rapporto con i trapassati, di cui sembra essere una variazione estrema, quanto alla messa in risalto della sua singolare occasione-spinta in esiti inediti, che trasfigurano la scomparsa dell’amico Niccolò Gallo in un’indagine di ampia portata e complessità sull’assenza. L’intervento si propone di studiare come queste coordinate entrino in risonanza con le strategie compositive della poesia – oltreché con la sua storia genetica –, sulla falsariga delle ‘intermittenze’ epistolari ravvisabili a una lettura pragmatica della testualità, volta a trattenere un assente se non a ripristinare, tramite determinate ‘contromisure’, un colloquio in praesentia.

FILOLOGIA E LETTERATURA ITALIANE Studi e testi Collana diretta da Theodore J. CaChey Jr., Fabio danelon, donaTo Pirovano 14 Direzione Theodore J. Cachey Jr. (Notre Dame - Indiana) Fabio Danelon (Verona) Donato Pirovano (Torino) Comitato scientifico Clara Allasia (Torino) Franco Arato (Torino) Anna Maria Cabrini (Milano) Loredana Chines (Bologna) Giovanna Frosini (Siena Stranieri) Simon Gilson (Oxford) Roberto Rea (Roma Tor Vergata) Giuseppe Sangirardi (Nancy) Justin Steinberg (Chicago) Corrado Viola (Verona) Comitato di redazione Attilio Cicchella (Torino) Maddalena Rasera (Verona) I volumi pubblicati nella Collana sono sottoposti a un processo di peer review che ne attesta la validità scientifica. Forme dell’epistolarità nella letteratura e nello spettacolo dall’Ottocento a oggi Atti del Convegno dottorale di Pavia, 22-23 giugno 2023 a cura di Luca Ballati, Susanna Bandi e Francesco Cerulo Edizioni dell’Orso Alessandria Pubblicato con il contributo del «Fondo Ricerca Giovani» del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Pavia. © 2024 Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l. Sede legale: via Legnano, 46 15121 Alessandria Sede operativa e amministrativa: viale Industria, 14/A 15067 Novi Ligure (AL) tel. e fax 0143.513575 e-mail: [email protected] http://www.ediorso.it Redazione informatica e impaginazione a cura di Francesca Cattina ([email protected]) Grafica della copertina a cura di Paolo Ferrero ([email protected]) È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41 ISSN 2723-9926 ISBN 978-88-3613-479-3 Indice luCa ballaTi, SuSanna bandi, FranCeSCo Cerulo, Premessa Corrado viola, La lettera intrusa. Appunti per una ricerca VII 1 FederiCa MaSSia, Forme e funzioni del modello epistolare nella prosa foscoliana. Gli scritti polemici del 1810-1811 17 ilaria Muoio, Postverismo e sperimentazione autodiegetica: sulla tipologia della novella epistolare 31 CeCilia Gibellini, Lettere dal convento. Rita, Gertrude e le altre 45 eMMa de PaSquale, «Le carte sono piene di enigmi»: il rapporto tra scrittura epistolare e romanzo in Rinascimento privato di Maria Bellonci 61 PieTro orlandi, «Era due volte una lettera, e due volte era una lettera bianca». Strategie criptico-visionarie negli inserti epistolari de Il porto di Toledo di Anna Maria Ortese 77 aleSSia Guidi, Cyberspace, opacità identitaria e vertigine multimediale in Evil Live di Daniele Del Giudice 93 lorenzo barToloni, Epistolarità ed evasione nei Versi militari di Saba 111 luCa ballaTi, «Sui nostri dialoghi muti». Interferenze epistolari nella poesia italiana del Novecento 129 aliCe daCarro, Niccolò di Vittorio Sereni. Un colloquio in absentia 145 luCa berToloni, Tracce di epistolarità nella canzone d’autore italiana. Contaminazioni tra scrittura verbale e intermedialità 157 Silvia quaSiModo, «La carta canta»? Le lettere nell’opera comica del primo Ottocento 177 eva Corbari, Agire l’assenza. La scrittura epistolare si fa gesto performativo nella ricerca di Marco d’Agostin 191 VI Indice SuSanna bandi, Lo stile epistolare nel medium cinematografico. Un caso emblematico: My Home, in Libya (2018) di Martina Melilli 205 MaTTeo berardini, La neoepistolarità tecnologica al tempo della narrazione transmediale: il caso SKAM Italia 221 Indice dei nomi 235 aliCe daCarro Niccolò di Vittorio Sereni Un colloquio in absentia NICCOLÒ Quattro settembre, muore oggi un mio caro e con lui cortesia una volta di più e questa forse per sempre. Ero con altri un’ultima volta in mare stupefatto che su tanti spettri chiari non posasse a pieno cielo una nuvola immensa, definitiva, ma solo un vago di vapori si ponesse tra noi, pulviscolo lasciato indietro dall’estate (dovunque, si sentiva, in terra e in mare era là affaticato a raggiungerci, a rompere lo sbiancante diaframma). Non servirà cercarti sulle spiagge ulteriori lungo tutta la costiera spingendoci a quella detta dei Morti per sapere che non verrai. Adesso che di te si svuota il mondo e il tu falsovero dei poeti si ricolma di te adesso so chi mancava nell’alone amaranto che cosa e chi disertava le acque di un dieci giorni fa già in sospetto di settembre. Sospesa ogni ricerca, i nomi si ritirano dietro le cose e dicono no dicono no gli oleandri mossi dal venticello. E poi rieccoci alla sfera del celeste, ma non è la solita endiadi di cielo e mare? Resta dunque con me, qui ti piace, e ascoltami, come sai. 1971 146 Alice Dacarro Nei versi di Sereni l’evocazione di un destinatario preciso è cosa rara e sempre cifrata. Nessuna poesia in forma di lettera, e ben poche dediche: una in Frontiera (in un titolodedica alla maniera ‘tradizionale’,1 A M.L. sorvolando in rapido la sua città), due nel Diario d’Algeria (Belgrado e Dimitrios),2 una negli Strumenti umani (I ricongiunti),3 due in Stella variabile (Toronto sabato sera e Festival) – queste ultime entrambe aggiunte post mortem dei destinatari.4 È dunque sorprendente il Niccolò dell’ultimo libro (al centro della terza sezione), in cui il nome proprio a titolo – un hapax nella poesia di Sereni, come rilevato da Fortini –5 apre subito a una dimensione amicale di prossimità e «cortesia» (v. 2), avvertendo di «non dare troppa importanza al cognome»6 che fu di Niccolò Gallo, critico e consulente editoriale per Mondadori insieme a Sereni, venuto a mancare nel «1971», come indicato in calce. E sarà significativo, infatti, che si tratti di una poesia in morte: col che si spiega, lo diciamo subito, il ricorso a una serie di ‘contromisure’, della scrittura e della testualità, volte a trattenere un assente se non a ripristinare un colloquio in praesentia (giusta le considerazioni emerse anche in questa sede7 sui ‘destinatari defunti’). Questo è quanto distingue il testo, per convocare un caso pure avvicinabile della produzione ultima, da A Parma con A.B.8 (sezione V), di qualche anno più tardo e dall’autore definito privato «più di quanto può 1 Cfr. P.v. MenGaldo, Titoli poetici novecenteschi, in id., La tradizione del Novecento. Terza serie, Torino, Einaudi, 1991, pp. 3-5. Le iniziali sono quelle della moglie, Maria Luisa Bonfanti, originaria di Felino (Parma). 2 Rispettivamente «a Giosue Bonfanti» e «a mia figlia». 3 «a Ninetto»; il testo viene inserito soltanto nella seconda edizione del libro, nel 1975 (cfr. v. Sereni, Poesie, edizione critica a cura di D. Isella, Milano, Mondadori, 1995, p. 648). 4 Toronto è dedicata «a Niccolò», Festival è «in memoria di L.S.» (Leonardo Sinisgalli). Informa Isella, su Festival, che «La dedica […], mancante in tutti i testimoni elencati, è stata aggiunta dopo il 31 gennaio 1981, giorno della morte per infarto dell’amico poeta» (ivi, p. 722); ma consultando l’apparato critico di Toronto sabato sera, scritta «di getto» nel ’68, come si evince da una lettera a Fortini (cfr. ivi, p. 663), si può intuire una situazione analoga, mancando la dedica in tutti i testimoni anteriori al 1971, anno in cui morì Niccolò Gallo (ivi, pp. 668-669). 5 Oltre al citato Dimitrios, di tutt’altra intenzionalità (F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, in Omaggio a Gianfranco Folena, vol. 3, Padova, Programma, p. 2170). 6 Ibidem. 7 Mi riferisco, in particolare, al contributo di Luca Ballati incluso in questo volume. 8 Scandito in quattro movimenti contrassegnati da numero ordinale; questo il testo: «Verde vapore albero / al margine di una città. / Un verde vaporoso. Che altro? / Vorrei essere altro. Vorrei essere te. / Per tanto tempo tanto tempo fa / avrei voluto essere come te / il poeta di questa città. / Con infuocate allora ragioni. / Allora incorrisposte (tu / che senza vedermi passi). / Non altro dire oggi sapendo / quel tuffo di verde / dolore fisso si fa. // Se dico finestra illuminata / se dico viale inzuppato di pioggia / è niente, nemmeno una canzone. / Avrebbe avuto voce se fossi te / anche per me una mia sera a Parma / e non / accovacciato nella mente / un motivo odoroso di polvere e pioggia / tra primavera e estate. / E se fosse una porta in vista di altre porte / fino a quella là in fondo murata / che prima o poi si aprirà? / Altro dolore. A fitte. // In dormiveglia di là da quella porta. / Succede. Qualche volta. / Che a me un altro di me parli / fin dentro di me. / Scendeva la vecchia tranvia / da Marzolara a Parma / fischiava a lungo rasente i Baccanelli / salutando te assente / diceva la certezza l’orrore della fine / ne faceva convinto quel gran cielo d’estate. // Torna a quest’ombra l’orrore / di quel vuoto. // Divino egoista, lo so che non serve / chiedere aiuto a te / so che ti schermiresti. // Abbitela cara – dice – quest’ombra / verde e questo male. Evasivo / scostandosi lo copre con una / sua foglia di gaggìa – / biglietto / d’invito a una festa che ci si prepara / vaga come una nuvola / in groppa all’Appennino.». Niccolò di Vittorio Sereni 147 esserlo una lettera»:9 sebbene non si tratti di un testo in morte ma, come noto, di lontananza, anch’esso rimanda a una seconda persona determinata10 per instaurare un contatto che rimane nel campo dell’inattuabilità;11 anche dal punto di vista stilistico-compositivo il tu è, come in Niccolò, motivo ‘necessario’ alla testualità in quanto unico fattore di coesione, che tiene insieme le poesie dall’inizio alla fine in uno svolgimento ellittico e antilineare, complessivamente improntato all’eterogeneità discorsiva. Ma la poesia per Bertolucci denuncia un’intenzionalità diversa fin dal titolo-dedica;12 con le sole iniziali del destinatario a suggerire un pathos trattenuto e quasi castigato, ribadito nel testo in allocuzioni dirette che in verità escludono l’altro dai circuiti comunicativi: «Che altro? / Vorrei essere altro. Vorrei essere te»; «Con infuocate allora ragioni. / Allora incorrisposte (tu / che senza vedermi passi)»; «Avrebbe avuto voce se fossi te / anche per me una mia sera a Parma»; «Divino egoista, lo so che non serve/chiedere aiuto a te/so che ti schermiresti». L’io pone dunque, rispetto a sé, il tu non come partecipante di un’interazione bensì come innesto o appoggio all’andamento discorsivo-narrativo del testo nel suo complesso, in quadri conchiusi e relativamente autonomi, tra memoria, anelito e ambigue proiezioni del soggetto. Il vincolo prossemico con l’interlocutore è decisamente più stretto in Niccolò; diversi anche i presupposti: se «col defunto, in termini di prossemica, la distanza è all’infinito e quindi le forme del colloquio in absentia possono essere diverse da quelle col vivo».13 Il tu, assente, non è convocato come alterità ma come motivo di pienezza enunciativa – «adesso / che di te si svuota il mondo e il tu / falsovero dei poeti si ricolma di te»: l’assenza è radicale e l’intenzione di convertirla, secondo le leggi di un «sistema di vasi comunicanti tra “mondo” e “poesia”»14 (Fortini), si attua nello spazio del testo, esempio di quell’«interferenza tra il livello poetico e il livello pragmatico»15 che Nencioni ricorda essere sempre possibile. Ma Niccolò è una lirica tarda, e non è propriamente l’unica di occasione luttuosa nella produzione sereniana. L’indagine sull’assenza, nel percorso di Sereni, è soggetta a uno sviluppo che d’altra parte – lo si anticipa – non vale tout court per ogni poesia 9 v. Sereni, Poesie, cit., p. 834. Quella, naturalmente, di Attilio Bertolucci. Sereni tiene a precisare che l’occasione del testo non è luttuosa: «Rendere pubblico un fatto privato costa sempre qualcosa e spiega il mio imbarazzo di ora. Ma soprattutto vi prego di tenere ben ferma la premessa che questa poesia non è stata scritta per questa occasione, del resto non prevista né prevedibile allora» (cfr. ibidem). 11 Oltre al fatto che si può scorgere un contatto intertestuale con Niccolò nell’immagine finale, della «festa che ci si prepara / vaga come una nuvola / in groppa all’Appennino», forse in dialogo con la «nuvola immensa, / definitiva» e il «vago di vapori» del testo dedicato a Gallo (se ne è accorto anche, prima di me, Fabio Magro in Lettura di A Parma con A.B., in Vittorio Sereni, un altro compleanno, a cura di E. Esposito, Milano, Ledizioni, 2014, pp. 205-224). Queste sarebbero inoltre le uniche occorrenze, nella poesia sereniana, del lemma “nuvola” al singolare – le altre, non molte, sono tutte al plurale e soprattutto non sembrano trattenere la stessa connotazione sovradeterminata che si trova in Niccolò e A Parma, valendo più da dato atmosferico e paesistico che ‘psicologico’. 12 Analogo al coevo A Venezia con Biasion (sezione II del libro), puramente tematico, denotativo. 13 G. nenCioni, Antropologia poetica?, in id., Tra grammatica e retorica, Torino, Einaudi, 1983, p. 173. 14 F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., p. 2172. 15 G. nenCioni, Antropologia poetica?, cit., pp. 173-174. 10 148 Alice Dacarro dedicata a un defunto. Già in Frontiera (1941), raccolta d’esordio, 3 dicembre allude alla morte di Antonia Pozzi, mai nominata esplicitamente. Di seguito il testo: All’ultimo tumulto dei binari hai la tua pace, dove la città in un volo di ponti e di viali si getta alla campagna e chi passa non sa di te come tu non sai degli echi delle cacce che ti sfiorano. Pace forse è davvero la tua e gli occhi che noi richiudemmo per sempre ora riaperti stupiscono che ancora per noi tu muoia un poco ogni anno in questo giorno. Ma 3 dicembre è testo in memoriam più che in mortem, resta cioè nell’ambito dell’elegiaco, non sconfina in quello del recupero, del riscatto, e nemmeno dell’indagine problematica. Sereni delinea qui una poesia situazionale, incentrata, come annuncia il titolo, sull’evento, sull’occasione, non sul ‘tu’ assente – emblematico l’explicit, che ritorna ad anello sul motivo della ricorrenza: «tu muoia un poco ogni anno / in questo giorno». Circolarità e simmetria governano infatti integralmente la testualità, a differenza che in Niccolò (e in A Parma con A.B.) coesissima e conchiusa: le due strofe isometriche si risolvono in variazioni sul tema, per un effetto complessivamente statico, antinarrativo, col forte legame strutturale assicurato dal richiamo a distanza «hai la tua pace» – «pace è forse davvero la tua», e in generale da figure di ripetizione, rispettivamente nel primo e nel secondo movimento: «e chi passa non sa / di te come tu non sai / degli echi…», «gli occhi che noi richiudemmo / per sempre ora riaperti / stupiscono / che ancora per noi…» (che forse spingono già verso una direzione stilistica che si realizzerà appieno negli anni Sessanta). Dunque in 3 dicembre il ‘tu’ e relativo appello sono elementi che in qualche modo si limitano, per così dire, a inserirsi in un’occasione, pur taciuta o meglio non dichiarata, che si esaurisce tutta nella memoria del lutto, nel compianto funebre. Tutt’altra vocazione in Niccolò – a partire dalla testualità. Percorrendone la struttura, è rilevante anzitutto che s’incardini intorno a tre interruzioni, vuoti tipografici (il secondo e il terzo marcati inoltre da gradino) che inceppano il discorso e consentono uno scarto tonale, vale a dire una diversa forza illocutiva con cui l’enunciazione riparte. I primi tre versi dicono l’evento, singolativo per eccellenza: si ancorano al presente ‘pervasivo’ del lutto, quello che determina la percezione lineare del tempo, col più di sovradeterminazione del topos cortese16 per Cfr. F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., p. 2171, ma anche v. Sereni, Il grande amico. Poesie 1935-1981, a cura di L. Lenzini, Milano, Rizzoli, 1990, p. 265. 16 Niccolò di Vittorio Sereni 149 cui alla scomparsa della persona cara consegue quella della virtù («e questa forse per sempre», v. 3), con un senso di ineluttabilità così rincarato, in un’apertura di testo che ha valenza di epilogo. Sembra dunque ‘tradire’ queste premesse autoconclusive all’insegna della perdita l’imperfetto narrativo, di segno opposto, che inaugura il secondo movimento, «Ero con altri un’ultima volta in mare»,17 con un forte effetto di staccato che il bianco tipografico accentua – l’«ultima volta» è infatti l’ultima della stagione, sul finire della villeggiatura estiva presso Bocca di Magra, col senso ciclico di un’azione reiterata e abituale fra un gruppo di sodali. Nello sviluppo della lassa il locutore indugia poi sul dato ambientale, tramite privilegiato del contatto fra trapassati e vivi sin dai tempi di Frontiera; ma, si noti, la connotazione è diversa: rispetto al «gemito che va tra le foglie» di Strada di Zenna, o all’«animazione delle foglie» che accompagna «la bufera» de Il muro, elementi che turbano il paesaggio stagliandosi su un quadro di più ‘neutro’ realismo, qui non vige confine così netto tra ciò che è spettrale, che porta segni dall’oltrevita, e ciò che non lo è. Gli «spettri chiari»18 sono infatti, ambiguamente, le parvenze del reale appartenenti al mondo dei vivi,19 così come – ed è l’io lirico stesso, evidentemente abituato ad altri ‘messaggi’, a stupirsene – non c’è nessuna «nuvola immensa, / definitiva»20 a comunicare la morte, ma solo un incerto e labile ostacolo («un 17 L’«andante narrativo», commenta Fortini parafrasando come segue i versi della seconda lassa: «Per l’ultima volta nella stagione di vacanze ero al mare, insieme ad altri, stupito che sulle parvenze luminose e fantomatiche della costa non sovrastasse da tutto il cielo una nuvola grandiosa, conclusiva nella sua imponenza; e che invece fra noi e lui Niccolò – che in quel punto moriva o era già morto – si interponesse soltanto una indefinita apparenza di vapori, una bruma, quasi l’estate che stava per finire lasciasse dietro di sé quella nebbia di pulviscolo» (ibidem). 18 Segnalo Diario d’Algeria, Spesso per viottoli tortuosi: «Ride una larva chiara / dov’era la sentinella / e la collina / dei nostri spiriti assenti / deserta e immemorabile si vela». 19 Occorre tornare a Fortini: «Ma il sostantivo spettri (anche nel senso di decomposizione dei raggi solari) tramuta il paesaggio. Come Dante sapeva, il demoniaco che sempre s’accompagna alla morte può alterare l’atmosfera.» (F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., p. 2171). 20 Immagine forse derivante da quella che chiude il secondo momento della serie Sarcofaghi, da Ossi di seppia (Ora sia il tuo passo…): «Sopra il tetto s’affaccia / una nuvola grandiosa», con la medesima inarcatura fra predicato e soggetto, e affinità di contesto (tema mortuario). Col che si rafforzerebbe la lettura per cui la sereniana «nuvola» davvero è un messaggio inequivocabile del lutto oltreché ‘definitiva’ barriera: ma l’ostacolo, con tutto stupore del soggetto, non c’è, sostituito da un confine apparentemente permeabile, che dà per contro l’illusione (iniziale e intermittente) di un contatto. Di diverso avviso Fortini, per cui nei vv. 5-6 è «una tipica negazione apparente ossia affermazione, confermata da quel stupefatto, che meglio si addice all’effetto di una visione attuale piuttosto che a quello di una visione mancata (com’era già stato, in altra poesia di Sereni, il viandante stupefatto). La nuvola immensa e definitiva (aggettivo di echi francesi e di specie, in Sereni, insolita) è davanti o al di là dello sbiancante diaframma; come al di là di tutto sarà il celeste degli ultimi versi» (F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., pp. 2171-2172). Aggiungiamo soltanto che una certa influenza del Montale degli Ossi sarà poi forse ravvisabile, per quanto riguarda più genericamente la ‘situazione’ lirica, se si convoca Il canneto rispunta i suoi cimelli…, ultima quartina: «Assente, come manchi in questa plaga / che ti presente e senza te consuma: sei lontana e però tutto divaga / dal suo solco, dirupa, spare in bruma», dove il vocativo diretto a un assente (Annetta, lontana ma «stando alla costruzione “mitica” montaliana, morta», cfr. e. MonTale, Ossi di seppia, a cura di P. Cataldi e F. d’Amely, Milano, Mondadori, 2016, p. 92), riverberato nei successivi deittici di persona, si lega a un quadro di ambientazione marina, con indugio sul dato paesistico e atmosferico, inserendovisi senza soluzione di continuità («Sale un’ora 150 Alice Dacarro vago di vapori»),21 che si precisa prima nel dato atmosferico del «pulviscolo / lasciato indietro dall’estate», quindi, definitivamente, nel metaforico «sbiancante diaframma», con un progressivo processo di astrazione e soggettivazione (si veda anche il passo parallelo di Autostrada della Cisa, in cui si dice, a proposito del defunto padre, e sempre in un ‘a parte’ isolato dalla parentetica: «(con malagrazia fu calato giù / e un banco di nebbia ci divise per sempre)»). Dopo l’«andante narrativo» (Fortini) di questi versi, si passa perciò, senza più distinzione fra tempo dell’enunciazione e tempo dell’enunciato (si noti la deissi fantasmatica: «dovunque, si sentiva, in terra e in mare era là»,22 marca dell’evocazione di un ulteriore mondo possibile nello spazio di per sé fittizio aperto dal testo), a un’allocuzione diretta23 perentoria nel negare l’attraversabilità dello «sbiancante diaframma» (vv. 13-15). L’interzona tra vita e oltrevita, lungi dall’essere un ponte fra i due mondi, ha soltanto valore separativo; e che non si danno luoghi ‘non giurisdizionali’ è pronunciato al cospetto del tu assente, in quella che sembra una variazione al negativo degli assunti della Spiaggia, in cui i morti, gli assenti, erano sì convocati ma come promessa di futuro («Non servirà cercarti sulle spiagge ulteriori […] per sapere che non verrai» vs «I morti non è quel che di giorno / in giorno va sprecato, ma […] parleranno»). A seguire, nella terza lassa, staccato dal verso a gradino, con nuova rottura di timbro e di ritmo e con il circostanziale Adesso ribattuto, «si muove la sintesi»24 fra i due tempi del testo, quello del ricordo (del narrato o ‘enunciato’) e quello del lutto (cioè, qui, quello dell’enunciazione): «adesso so chi mancava nell’alone amaranto / che cosa e chi disertava le acque / di un dieci giorni fa». Ora che, nell’assenza che è la morte, una funzione poetica istituzionalmente vuota – «il tu / falsovero dei poeti» – è colmata, e finalmente motivata, l’io locutore, forte di una coerenza, di un’adesione rispetto al proprio dettato poetico che prima non gli era possibile, e ritrovata solo eccezionalmente nel dolore, in questo dolore, nomina la realtà con altre coordinate. Il lutto agisce anche sulla memoria del passato: l’assenza ‘contingente’, il mancato appuntamento di «dieci d’attesa in cielo, vacua, / dal mare che s’ingrigia. / Un albero di nuvole sull’acqua / cresce, poi crolla come di cinghia.»; questa la quartina che precede). 21 Una precedente lezione riportava «ma solo si ponesse tra noi / una vaghezza di vapori, pulviscolo…» (v. Sereni, Poesie, cit., p. 797): la versione definitiva marca dunque una ancora più decisa predilezione, nella testa del sintagma, per l’elemento astratto, con relativo effetto di ‘sfumato’. È un procedimento non estraneo all’autore per cui, certo, sarà opportuno convocare il linguaggio del sogno per come lo definisce S. Agosti nel suo Interpretazione della poesia di Sereni, in La poesia di Vittorio Sereni. Atti del Convegno, Milano, Librex, 1985, pp. 33-46. 22 L’io lirico o parlante si sposta idealmente nello spazio e nel tempo, nel luogo ideale ricordato, e può usare am Phantasma i termini deittici (cfr. M.e. ConTe, Condizioni di coerenza. Ricerche di linguistica testuale, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999, pp. 61), di cui i topodeittici in particolare creano linguisticamente la profondità dello spazio esperienziale fittivo (ivi, p. 68). 23 Prosegue E. Testa, sulla scorta di Lévinas (La colpa di chi resta. Poesia e strutture antropologiche, in id., Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento, Roma, Bulzoni, 1999, p. 47): «Se “colui del quale devo rispondere, è colui al quale devo rispondere”, la raffigurazione in poesia del gesto con cui ci si approssima ad una voce scomparsa diviene ad un tempo una versione estrema di una responsabilità che chiama costantemente in causa e di una scrittura che guarda a se stessa come ad una forma del dialogo che “va verso l’altro”». 24 F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., p. 2172. Niccolò di Vittorio Sereni 151 giorni fa», diventa, a posteriori, presagio di una assenza definitiva e ‘plenaria’.25 In altre parole: l’appuntamento mancato si chiarisce a posteriori (adesso so) come l’ultima possibilità, sfumata, di un incontro tra i due amici ancora nel mondo dei vivi, e acquista dunque il senso supplementare di un’anticipazione della perdita e del lutto. Vero che, con Fortini, «la scomparsa fisica» consente «la conversione integrale del vuoto del mondo nel pieno della parola»,26 unico risarcimento possibile; ma pur sempre in un regime precario e intermittente. Lo stesso io locutore non sembra infatti crederci fino in fondo, e oscilla fra i due poli: detto in altro modo, e nella postura di soggetto ‘riguardante’ che misura sé stesso27 di fronte al paesaggio marino, «i nomi si ritirano dietro le cose» – fra parole e cose vige lo stesso iato, lo stesso «diaframma» disgiuntivo che sussiste fra vita e morte. Dopo l’ultima frattura testuale (vv. 24 e ss.), ogni intento di narrazione sembra poi dissolversi ex abrupto insieme al paesaggio e più latamente al contesto, non avendo l’«E» coordinante in apertura di lassa in realtà alcuna aderenza con i versi precedenti, e facendo piuttosto da appiglio a una voce che si mostra negli ultimi versi unicamente nel suo tentativo, mai così forte e compiuto nel testo,28 di rivolgersi al trapassato interlocutore. La poesia, come si diceva, non segue dunque uno sviluppo lineare: discontinua, apparentemente disgregata, composita, trova la sua coesione non nei rapporti fra le parti, ma sul piano pragmatico. Risulterà meglio apprezzabile, in questa ottica, un insieme di elementi testuali segnaletici, acquisti progressivi nell’iter genetico, che sembrano fare sistema in direzione della dimensione epistolare: 1) l’organizzazione interna del testo, scandito in iniziale definizione di una cornice indessicale (titolo e vv. 1-3), successivo movimento narrativo-allocutivo (vv. 4-24a), e congedo (vv. 24b-28 e data in calce);29 2) il richiamarsi speculare delle ‘soglie’ di inizio e fine nel segno di una familiarità di codici («la solita endiadi») e di una prossimità affettiva («un mio caro» – «Resta dunque con me… ascoltami»); 3) e il forte dialogismo, che si spinge fino all’interrogativa ‘fatica’ o ‘conativa’ («ma non è / la solita endiadi di cielo e mare?»), fanno infatti pensare a una traccia che per condurre l’io al tu si innesta, volontariamente o meno, su forme ed 25 «Due sono dunque le gite in mare. La prima, quella dell’alone amaranto, è dell’ultima decade di agosto, la seconda coincide invece con la morte di Niccolò. Che cosa e chi rendeva deserte le acque. Chi, lo sappiamo, Ma che cosa? Si può tentare una risposta: quel che mancava dieci giorni innanzi era la conversione integrale del vuoto del mondo nel pieno della parola; conversione che esige la scomparsa fisica.» (ivi, p. 2173; corsivi dell’autore). 26 Ibidem. 27 La propria insufficienza: «[…] ma sospetto è una delle frequenti proiezioni che la psicologia di Sereni trasferisce da sé alle cose: in sospetto, ossia in difetto, è il soggetto poetante, non il mare» (ibidem). 28 Soltanto in questa zona di congedo il tentativo d’interazione è fine a sé stesso: nei vv. 13-15, come visto, era un’asserzione (negativa: Non servirà cercarti…), ai vv. 15b-17 una premessa alle conclusioni tratte dall’io monologante (Adesso che di te… so). 29 Cfr. la testualità ‘tripartita’ della struttura epistolare, scomponibile pragmaticamente in esordio, discorso, conclusione (F. MaGro, Lettere familiari, in, Storia dell’italiano scritto III. Italiano dell’uso, a cura di G. Antonelli, M. Motolese e L. Tomasin, Roma, Carocci, 2014, pp. 101-157; G. anTonelli, Tipologia linguistica del genere epistolare nel primo Ottocento, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2003, pp. 24-88). 152 Alice Dacarro espedienti testuali tipici del fittizio colloquio in absentia che è la lettera. Fittizio poiché, appunto, «apparentemente in absentia», scrive Nencioni, ma in verità solo a distanza e per tempi differiti, perché è inserito in una situazione reale e fortemente condizionato da essa, come dimostrano, ad esempio, l’effettivo sforzo di adeguamento al presunto o noto codice del destinatario e la conseguente compromissorietà semantica e stilistica, nonché la ridondanza volta ad assicurare la comunicazione: cose che mancano al colloquio poetico in absentia, a meno che non si tratti di corrispondenza metricizzata.30 Alludere lontanamente a una comunicazione ‘epistolare’ risulta dunque un modo per garantirla: un modo, cioè, del soggetto poetico per garantirsi l’illusione del rituale, quello per cui, con Fortini, «si può parlare al defunto, muta cenere, solo se si accetta la miseria dell’illusione».31 E per cui, «in sintesi, la poesia Niccolò è costruita ad estrema difesa di un mondo che lo evacuerà, che si svuoterà di lui e di noi».32 Vale la pena, seguendo questa linea, di soffermarsi un momento di più su come è costruita la poesia – essendo l’assetto ‘strutturale’, come anticipato, un risultato raggiunto per successive approssimazioni. La diacronia del testo ci dà infatti la più significativa conferma che la motivazione della lirica si risolva solo molto parzialmente nell’evento luttuoso, sottendendo una portata conoscitiva che insieme valorizza e trascende l’occasione: Niccolò nasce, originariamente, come parte “VII” del poemetto Un posto di vacanza, che lo precede nel libro.33 Richiamo esplicito è, oltre al comune ‘sfondo’ di Bocca di Magra, la «sfera del celeste» alla fine di Niccolò e all’inizio del poemetto,34 nei versi che ne fanno da prologo, con un effetto, in questo caso, di circolarità, se non di epilogo o suggello a un intero percorso, di cui la liaison così esposta marca la coesione. Senonché, in una fase redazionale successiva, l’ordinale “VII” viene cassato, e sostituito con una postilla autografa che informa che il testo «Farà parte della seconda edizione de Gli immediati dintorni» (dove effettivamente troverà luogo).35 Solo a questo punto l’autore, assecondando una tendenza già emersa nello scorporare la poesia dal Posto di vacanza, decide di non rischiare di far passare il testo in secondo piano, reinserendolo nel suo quarto libro poetico come momento autonomo: prima, nell’edizione provvisoria,36 subito dopo il poemetto, quindi, nell’indice definitivo, in una collocazione rilevatissima: G. nenCioni, Antropologia poetica?, cit., p. 170. F. ForTini, “Niccolò” di Sereni, cit., p. 2173. 32 Ibidem. 33 Mi rifaccio agli apparati critici in v. Sereni, Poesie, cit., pp. 796-797. 34 «Un giorno a più livelli, d’alta marea / – o nella sola sfera del celeste», I, vv. 1-2. 35 Soltanto, però, dopo la morte del poeta, in un’edizione ricostruita secondo progetti autoriali e documenti d’archivio da Maria Teresa Sereni, nella stessa collana delle “Silerchie” dell’edizione del ’62: v. Sereni, Gli immediati dintorni primi e secondi, Milano, il Saggiatore, 1983 (e cfr. v. Sereni, La tentazione della prosa, a cura di G. Raboni, Milano, Mondadori, 1998). 36 Uscita per i Cento Amici del Libro nella primavera 1980 (con data 1979), accompagnata da litografie di Ruggiero Savinio. 30 31 Niccolò di Vittorio Sereni 153 sull’‘asse di simmetria’ della raccolta, al centro della sezione terza nella sua partitura ‘esistenziale’ a trittico, aperta e chiusa rispettivamente dal Posto di vacanza e dal breve Fissità. Correlate a questa graduale emancipazione del testo sono, poi, delle varianti che definirei di tipo strutturale e pragmatico – le uniche, si può dire, che siano interessate dal lavorio avantestuale nel suo complesso: nella prima redazione, quella dipendente, cioè, dal progetto del Posto di vacanza, i primi tre versi («Quattro settembre… per sempre») non figuravano isolati tipograficamente, ma facevano tutt’uno con il prosieguo; così come non vi erano il gradino e lo stacco intraversali all’altezza di «Adesso / che di te si svuota il mondo…», momento-chiave della lirica in cui, come visto, si ritorna al presente e comincia a intensificarsi l’allocuzione diretta al tu, con annessa variazione ritmica (dovuta, questa, soprattutto alle figure di ripetizione: l’anafora di «Adesso», con le due occorrenze disposte specularmente l’una rispetto all’altra, e il poliptoto «di te… il tu… di te»). Mancava dunque l’evidenza strutturale dei tre distinti ‘momenti’ del testo così come considerati, laddove soprattutto il bianco tipografico tra i primi due versi e i successivi, riprendendo considerazioni già emerse, conferisce maggiore rilievo e quasi assolutizza la sfasatura temporale, e dunque indessicale, tra la prima lassa e la seguente. Gli stacchi tipografici si acquistano proprio a partire dalla seconda redazione, in concomitanza con lo svincolarsi del testo dal poemetto e l’idea di inserirlo negli Immediati dintorni: nella medesima fase, tale ‘autonomia’ dei primi tre versi doveva iniziare a farsi sentire, se – in una stesura del testo appartenente ai materiali degli Immediati dintorni – l’autore li trascrive tutti a caratteri maiuscoli a mo’ di epigrafe che «fa da titolo»,37 come precisa una sua postilla a latere. Non solo: sempre quando la poesia era ancora ricompresa nel Posto di vacanza il verso 13 risultava: «Non servirà cercarti, Niccolò, sulle spiagge ulteriori», con il vocativo diretto espunto nella fase, seriore, in cui il testo guadagna identità propria e si intitola al nome di Gallo. Quasi che risultasse superfluo ripetere il nome di un interlocutore già attivato a destinatario e presenza-assenza fissa dalla parte alta del testo; o, con un sintagma tipicamente impiegato per la forma-lettera, dalla sua soglia d’accesso, composta da titolo più i tre versi iniziali, in cui il nome proprio è in sinergia tanto con il «mio caro» quanto con il deittico attualizzante (o astanziale) «oggi» a delineare le coordinate ineludibili del testo tutto, investite di valore pragmatico in quanto fissano il cronotopo e insieme lo trasfigurano a tonalità complessiva.38 Tonalità insieme rimarcata e ribaltata alla fine della poesia, in cui il «qui» («qui ti piace», v. 27) sottende il medesimo rimando deittico, ma in questa seconda occorrenza non nell’accezione di un qui in cui la morte ha agito, bensì di un qui in cui l’io e il tu hanno potuto – e potrebbero ancora? – sostare insieme. L’assenza, avviandomi a trarre qualche conclusione, è insomma indagata in modi ben diversi dall’ultimo Sereni: il tema del rapporto coi trapassati, dagli esordi alla 37 v. Sereni, Poesie, cit., p. 796. Fortini (“Niccolò” di Sereni, cit, p. 2170) rileva che i tre versi iniziali sono «proposta del tema», «come di una ‘ballata mezzana’ ma anche una frequentissima figura metrica di Saba. Sereni la introduce sei volte in Gli strumenti umani e altrettante in Stella variabile. Tuttavia Niccolò è piuttosto una elegia funebre, un threnos, lungo una via che dagli alessandrini va agli epicedi rinascimentali e ai romantici». 38 154 Alice Dacarro produzione matura, dopo la fondamentale tappa degli Strumenti umani, si declina in un senso sempre più personale: da una persistenza dei morti che si manifesta, vaga e generica, in segni da decifrare (così già in Strada di Creva: «Questo trepido vivere nei morti»); alla rappresentazione di un colloquio ‘teatrale’ con ombre-personaggi (emblematica l’ultima sezione di Strumenti umani); all’introiezione di tale problematicità senza più l’espediente di ‘apparizioni o incontri’, vale a dire l’interrogarsi, con perseveranza e scacco di pari irriducibilità, sulle assenze, e il chiedersene conto tramite la propria voce poetica e le sue controfigure mentalizzate (cfr. Lavori in corso I: «non chiederti dove saranno mai finiti…»), e ancora il ruolo, o la possibilità di ruolo, di parola e linguaggio (della poesia). Dunque, se ne Il muro era il defunto padre ad avvertire l’io poetante, con dimessa inesorabilità, che «una sera d’estate è una sera d’estate», e non cela, quindi, significati altri o messaggi in codice, in Niccolò sono addirittura gli oleandri che «dicono no dicono no», ossia che, come scrisse Fortini, «non ci sono revenants»,39 con negazione reduplicata che vuole essere solo pura mimèsi dell’agitazione delle piante mosse dal vento, a riconferma che, come nel verso subito precedente, «i nomi si ritirano dietro le cose». È la replica, il rovescio alla dialettica tra il ‘vuoto’ del mondo e il ‘pieno’ della poesia dichiarata all’inizio della medesima lassa: l’equazione rimane asimmetrica, la dissipazione è inevitabile. Eppure non è qui che finisce il testo. Il secondo gradino intraversale media un ultimo sussulto ritmico-sintattico con cui, non ostante quanto dichiarato sin qui, si riprende un affettuoso dialogo con il trapassato. Se certo «si può parlare al defunto, muta cenere, solo se si accetta la miseria dell’illusione», e, ancora con Fortini, «in Sereni (all’inverso dell’ultimo Montale) le cose vorrebbero prevalere sui nomi»,40 almeno in questo caso l’anti-orfico Sereni, con piena consapevolezza, si concede almeno l’illusione che sulle cose l’abbiano vinta le parole. Nencioni, ragionando sulla valenza antropologica della poesia come rituale, che emerge soprattutto nel caso del colloquio funebre, in absentia, sottolinea la polivalenza e la pluridimensionalità di certe parole che possono impostarsi su piani antropologicamente più o meno profondi del codice, e quindi esplicare non tanto una funzione enunciativamente diversa (esecutiva o constatativa) ma impegnare in modo diverso l’ethos dell’emittente. Sarebbe il caso del verbo giurare, la cui accezione profonda (rituale) e quella superficiale (sinonimica) convivono, come bivalenza virtuale, nel nostro codice pragmatico.41 Ed è anche il caso del Resta su cui si impernia il distico finale di Niccolò, sovradeterminato proprio per l’impegno ‘etico’ che presuppone, in sede di congedo, nell’emittente, e che si manifesta nella solennità della scansione sintattica di questi versi, quasi una 39 40 41 Ivi, p. 2172. Ivi, p. 2173. G. nenCioni, Antropologia poetica?, cit., p. 170. Niccolò di Vittorio Sereni 155 preghiera, in triplice appello (e, come indica Lonardi, non senza il ricordo della «preghiera di restare che i personaggi dell’epica antica rivolgono alle ombre»).42 Nell’invito a restare, correlato al qui che con deissi forte rimanda, come accennato, al qui-e-ora del mondo dei vivi ma anche, molto più puntualmente, al ‘qui’ di Bocca di Magra che fece tante volte da teatro ai dialoghi di Sereni e Gallo, e che viene convocato allusivamente nella seconda lassa, il rituale riappropriativo della parola scritta tipico del colloquio in absentia (e della dimensione epistolare) intercetta i motivi antropologici della «poesia dell’invito»,43 per come la intende Jean Starobinski. L’invito è costitutivamente «rivolto a un assente. Esso presuppone una distanza, una separazione, e il richiamo tende ad affrettare la futura presenza che le abolirà».44 Nelle poesie che modulano questo secolare tema, l’invocazione della presenza dell’amico e interlocutore assume un’inflessione familiare: «Motivo comune a tutte le poesie d’invito, è l’interruzione momentanea della cura, il ritorno a una sorta di saggezza»45 – laddove la ‘cura’, in diversi casi convocati da Starobinski, da Orazio a Hölderlin, assume le fattezze di una morte presentita e prefigurata dall’io lirico, esorcizzata quindi attraverso il richiamo alla comune e consolatoria presenza di emittente e destinatario in luoghi ameni e familiari. Il Resta con cui si conclude Niccolò assume dunque un’evidenza quasi gestuale, in un’accezione che, dandosi nei confronti di un interlocutore reale e realmente irrecuperabile, radicalizza (realizza?) il finale di Anni dopo, poesia degli Strumenti umani dove pure l’esortazione a restare, in forma allocutiva di ‘invito’ o preghiera, è l’accento su cui si chiude il testo, qui rivolto all’amicizia stessa, ipostatizzata: «Dunque ti prego non voltarti amore / e tu resta e difendici amicizia». Abstract Niccolò (da Stella variabile, 1981) è insieme un caso esemplare e un’eccezione nel percorso sereniano: statuto peculiare che il testo deve tanto all’ideale dialogo retrospettivo con un tema cardine del poeta, il rapporto con i trapassati, di cui sembra essere una variazione estrema, quanto alla messa in risalto della sua singolare occasione-spinta in esiti inediti, che trasfigurano la scomparsa dell’amico Niccolò Gallo in un’indagine di ampia portata e complessità sull’assenza. L’intervento si propone di studiare come queste coordinate entrino in risonanza con le strategie compositive della poesia – oltreché con la sua storia genetica –, sulla falsariga delle ‘intermittenze’ epistolari ravvisabili a una lettura pragmatica della testualità, volta a trattenere un assente se non a ripristinare, tramite determinate ‘contromisure’, un colloquio in praesentia. 42 «come Enea quando deve separarsi dall’ombra di Creusa e lei lo lascia multa volentem / dicere, Aen., II, 790-791», G. lonardi, Introduzione a v. Sereni, Il grande amico. Poesie 1935-1981, cit., p. 23. 43 Mi rifaccio al testo tradotto: J. STarobinSKi, La poesia dell’invito, Genova, il nuovo melangolo, 2003. 44 Ivi, p. 53. 45 Ivi, p. 56.