ISSN 1123-5055
Pubblicazione trimestrale
Anno XL
1/2024
Contratto e impresa
Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale
RIVISTA FONDATA DA FRANCESCO GALGANO
Estratto
Contratto e impresa n. 1/2024
Domenico Fauceglia
La dilazione innova o nova
il rapporto obbligatorio?
WOLTERS KLUWER
DOMENICO FAUCEGLIA
LA DILAZIONE INNOVA O NOVA IL RAPPORTO
OBBLIGATORIO?
SOMMARIO: 1. Il significato di “dilazione” nel codice civile e nelle leggi speciali. – 2. La
dilazione del termine come “rinvio”. L’insussistente distinzione tra dilazione e proroga
del termine. Nostra interpretazione dell’art. 1244 c.c. – 3. La dilazione quale effetto di
un contratto modificativo del rapporto obbligatorio. – 4. La dilazione contrattuale tra
effetti modificativi e novativi. – 5. (segue) La dilazione tra novazione e modificazione: il
problema del “mutuo solutorio”. Critica al recente orientamento giurisprudenziale.
1. – Il codice civile, pur riferendosi alla “dilazione” in diversi articoli
(artt. 488, comma 2; 1111, 1168, comma 4, 1244, 1502, comma 2; 1519,
comma 1; 1732, comma 2; 1744; 2210, comma 2; 2364, comma 2), non ne
offre una specifica definizione. Innanzi al silenzio, ci si appaga nel leggere i
più prestigiosi dizionari della lingua italiana che attribuiscono al termine il
significato di «proroga, rinvio» (1).
Differire significa, dunque, “rinviare una scadenza”. Per tali ragioni la
dilazione (da dilatio) attiene specificamente alla postergazione di un termine (2).
Ebbene, proprio a tale specifico significato fa riferimento il codice nel
disciplinare il potere degli amministratori di “prorogare” il termine di
convocazione dell’assemblea (art. 2364, comma 2) o il potere dell’autorità
giudiziaria di disporre lo scioglimento della comunione (art. 1111).
Si fa riferimento alla dilazione, nel suo significato di “rinvio”, anche
nell’art. 1244 c.c. laddove, in tema di compensazione, è espressamente
disposto che «la dilazione concessa gratuitamente dal creditore non è di
ostacolo alla compensazione». Sicché, il creditore, che abbia concesso
gratuitamente la dilazione, potrà opporre in compensazione il proprio
(1) Il Vocabolario della lingua italiana “Devoto Oli” attribuisce al termine in esame il
significato di «proroga, rinvio» e indica nel latino dilatio, da dilatus (participio passato di
differre), l’etimo del sostantivo in esame. Il verbo differre, a sua volta, assume due differenti
significati, quali: dilatare e rinviare.
(2) Come ben si rintraccia, peraltro, nelle fonti giustinianee: «Temporales atque dilatoriae sunt quae ad tempus nocent et temporis dilationem tribuunt» (I. 4.13.8-9).
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credito ancorché non sia decorso il termine di scadenza e sia, dunque,
inesigibile.
Con riguardo alle obbligazioni pecuniarie, poi, il termine “dilazione” si
riferisce al pagamento. Ogniqualvolta si fa riferimento alla “dilazione di
pagamento”, l’espressione si carica di un ulteriore significato che non si
arresta alla sola postergazione del termine finale, ma anche alla possibilità
di dividere (o “diluire”) una determinata e specifica prestazione in diverse
porzioni.
Sebbene anche l’espressione “dilazione di pagamento” si riferisca solo
alla postergazione di un termine finale, esso, come spesso accade nella
pratica, viene anche adoperato per indicare una particolare modalità di
esecuzione di un’unica prestazione che avviene in più parti (da eseguire,
spesso, a cadenza periodica) sino alla data della nuova scadenza.
A questo ulteriore significato complesso, che contiene la facoltà di
diluire un’unica prestazione sino al nuovo termine di scadenza, fa riferimento il codice civile nel regolare la vendita a rate, ossia fatta con «dilazione per
il pagamento del prezzo» (arg. ex art. 1519 c.c.), e nel disciplinare i poteri di
determinati rappresentanti di concedere dilazioni di pagamento o sconti (3).
Il significato di dilazione, intesa come differimento temporale di un
termine e possibilità di diluire una prestazione in singole porzioni, inoltre,
(3) Sicché, nel rapporto di commissione, il commissario può concedere dilazioni di
pagamento ai contraenti terzi, qualora non vi sia divieto espresso del committente o quando
“non sia autorizzato dagli usi” (art. 1732 c.c.); ancora, nel rapporto di agenzia, l’agente,
qualora abbia la facoltà di riscuotere i crediti del proponente, «non può concedere [a terzi]
sconti o dilazioni senza speciale autorizzazione» (art. 1744 c.c.); allo stesso modo, i commessi dell’imprenditore non possono concedere dilazioni o sconti, salvo che siano a ciò
espressamente autorizzati (2210 c.c.). Negli articoli appena menzionati, la dilazione, pur
riferita alle obbligazioni pecuniarie (ricorre, infatti, il termine “dilazione di pagamento”),
assume il significato, oltre che di differimento di un termine, anche di parcellizzazione
temporale di un’unica prestazione, qui la prestazione è diluita nel tempo. Non a caso, dalla
semplice lettura degli articoli citati, il termine «dilazione» (differimento del termine e
pagamento a rate di un’unica prestazione) è spesso accompagnato anche dal termine «sconto» (inteso come remissione parziale del credito). Fa riferimento a tale significato anche la
giurisprudenza di merito. Sicché, nell’ambito di un rapporto di vendita di merce, l’acquirente che aveva contratto con un determinato agente, veniva citato in giudizio dal preponente per il pagamento di una intera somma di Euro 7.194,75. L’acquirente convenuto si
costituiva in giudizio sostenendo di aver accordato con l’agente di zona una dilazione di
pagamento e di aver quindi provveduto, nel contempo, a consegnargli quattro assegni
bancari dell’importo di Euro 1.798,70 ciascuno per un totale di Euro 7.194,75 (il caso è
stato deciso dal Trib. Monza, sez. I, sent., 28 ottobre 2008, n. 2883, inedita). Ancora, alla
“dilazione di pagamento” intesa come rinvio del termine di scadenza del pagamento e
possibilità di rateizzazione del prezzo e/o corrispettivo, fa riferimento anche il termine della
“dilazione di pagamento” presente nella Raccolta Provinciale degli Usi (ex art. 9 delle
preleggi) della Camera di Commercio di Roma.
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trova conferma anche nella legislazione settoriale, in particolare nell’art. 38
d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Testo Unico sulle successioni e donazioni) (4) e nell’art. 121, comma 1, lett. d), d.lgs. del 1˚ settembre 1993 n. 385
(Testo unico Bancario) (5).
In ogni caso, come anche ritenuto dalla giurisprudenza (6), la dilazione,
indipendentemente dalle ipotesi in cui possa o meno operare anche la
diluizione di un’unica prestazione, attiene esclusivamente al fenomeno
(4) Il riferimento è, innanzitutto, all’art. 38 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Testo Unico
sulle successioni e donazioni) rubricato non a caso “dilazione del pagamento” laddove, al
primo comma, è disposto che «il contribuente può eseguire il pagamento nella misura non
inferiore al venti per cento dell’imposta liquidata (…), nel termine di sessanta giorni da
quello in cui è stato notificato l’avviso di liquidazione, e per il rimanente importo in un
numero di otto rate trimestrali, ovvero, per importi superiori a ventimila euro, in un numero
massimo di dodici rate trimestrali. La dilazione non è ammessa per importi inferiori a mille
euro». È chiaro che, in tale ipotesi, la dilazione attiene, oltre che al differimento del termine,
anche alla rateizzazione di un’unica prestazione dovuta (la somma indicata nell’avviso di
liquidazione notificato). Come afferma CARDARELLI, voce Tributi successori, in Enc. dir., vol.
XLV, Milano, 1992, p. 153 ss., «il contribuente ha diritto alla dilazione, per l’importo
richiesto, e la discrezionalità dell’ufficio riguarda solo la durata della dilazione e (ma in
tal caso si tratta di discrezionalità tecnica) la determinazione del valore dei beni offerti in
garanzia» (p. 203). A tal riguardo, il Giudice di pace Milano, sez. II, sent. 16 aprile 2019, n.
4399 (inedita), ha ritenuto che l’agente della riscossione è obbligato ex lege a concedere la
dilazione di pagamento richiesta dal contribuente e, in presenza di una rateazione in corso, è
impossibilitato ad inviare qualsiasi atto interruttivo della prescrizione. In tal caso il termine
di prescrizione deve ritenersi interrotto dalla stessa richiesta di rateizzo.
(5) Anche nel d.lgs. 1˚ settembre 1993, n. 385 (Testo unico Bancario), la “dilazione di
pagamento”, con riferimento ai contratti di credito ai consumatori, è considerata come
contratto di finanziamento (art. 121, comma 1, lett. d) col quale il finanziatore concede al
consumatore la possibilità di usufruire di modalità agevolate di rimborso di un prestito
preesistente, mediante il rinvio del termine di scadenza. Sul punto, si veda CARRIERO, Il
credito al consumo, in Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale della Banca d’Italia,
numero 48, ottobre 1998, p. 28-30, il quale evidenzia che: «la nozione di credito al consumo
prescelta dal legislatore italiano insiste (art. 121, comma 1, T.U.) sulla “concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di
pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una
persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (consumatore)”. Prescindendo dal lessico vagamente pubblicistico, “concessione” di credito, da un lato, e vendita a rate (dilazione di pagamento) dall’altro, rappresentano gli elementi identificativi della fattispecie legale (…). Il ventaglio di ipotesi
negoziali direttamente o indirettamente riconducibili alla riportata fattispecie legale “credito
al consumo” appare, sul piano oggettivo, ampio e variegato. A questa, invero, appartengono
tanto la più elementare e risalente figura della specie, rappresentata dalla vendita a rate con
riserva della proprietà (sussumibile nel “credito sotto forma di dilazione di pagamento”)
quanto ogni contratto di credito avente causa di finanziamento per l’acquisto di beni o la
prestazione di servizi di consumo (…)».
(6) Si veda, tra le altre decisioni, Cass., sez. VI – 2, ord. 8 giugno 2020, n. 10846, in
Studium juris, 2021, 2, 223; Cass., sez. I, sent. 3 luglio 2019, n. 17834, in Fallimento, 2,
2020, p. 215, nota di Rolfi.
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del rinvio di un termine, ossia alla sua postergazione. Solo ed esclusivamente a quest’ultimo fenomeno si concentrerà il saggio.
2. – Alla luce dei diversi riferimenti codicistici in tema di dilazione, la
dottrina, pur considerando i negozi coi quali si regolava una dilazione del
termine di adempimento, non ha offerto specifici studi sull’argomento, ma
solo poche considerazioni in opere peraltro destinate alla teoria generale
delle obbligazioni (7) o del negozio giuridico (8).
Solo sul finire degli anni Sessanta dello scorso secolo (9), sono stati
pubblicati i lavori di due autorevoli civilisti (10) i quali, prendendo spunto
da alcuni casi offerti dalla giurisprudenza, si soffermavano entrambi, in
relazione all’aspetto cronologico del rapporto obbligatorio, sull’istituto
della dilazione (11).
La prima tesi (12), maggiormente condivisibile, nel considerare i mutamenti accessori (di cui all’art. 1231 c.c.) non costituenti novazione (1230
c.c.), qualifica la dilazione come una vicenda modificativa del regolamento
del rapporto, incidendo sulle modalità relative all’esecuzione dell’obbligazione preesistente senza alterarne l’oggetto o il titolo. In particolare, questa
tesi afferma che la dilazione, riguardando un termine, incida su un ele-
(7) In particolare, BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, III, L’attuazione, Milano, 1964, p. 62.
(8) BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. Vassalli, Torino, 1960,
p. 548.
(9) Prima ancora si registrano contributi importanti come quelli di MOSCHELLA, voce
Pactum de non petendo, in Diz. prat. dir. priv., 1939, p. 18; LA TORRE, Concessione di
dilazione e rinunzia al potere risolutivo, in Foro it., 1952, I, c. 822 ss.; SARGENTI, «Pactum
de non petendo» e remissione del debito, in Foro pad., 1959, I, p. 299 ss.; GALLO, Sulla
asserita sopravvivenza del “pactum de non petendo” nel diritto civile italiano, in Foro it., 1960,
V, c. 129 ss.
(10) P. PERLINGIERI, La dilazione come vicenda modificativa della disciplina del rapporto,
in Dir. giur., 1969, p. 699 ss., ora in ID., Il diritto dei contratti fra persona e mercato, Napoli,
2003, p. 577 ss.; G. GABRIELLI, Dilazione del termine per l’adempimento di un contratto
preliminare e sopravvenuta infermità mentale di una delle parti, in Dir. giur., 1972, p. 258 ss.
(11) A partire da questi lavori, diversi sono stati i contributi che si sono susseguiti nel
tempo: RUSCELLO, «Pactum de non petendo» e vicenda modificativa del rapporto obbligatorio,
in Riv. dir. civ., 1976, II, p. 196 ss.; ID., Dilazione gratuita, inesigibilità del credito e modificazione del rapporto obbligatorio. Brevi riflessioni a margine di un «vecchio» lavoro, in Rass.
dir. civ., 2011, 2, 546 ss.; DE CRISTOFARO, Il pactum de non petendo nelle esperienze giuridiche
tedesca e italiana, in Riv. dir. civ., 1996, I, p. 367 ss.; ORLANDI, Pactum de non petendo e
inesigibilità, Milano, 2000; RECINTO, I patti di inesigibilità del credito, Napoli, 2004, p. 95,
sino ai più recenti lavori di MOROTTI, La modificazione del contenuto del rapporto obbligatorio, Napoli, 2022; ID., Il concetto tecnico di dilazione, in Annali Sisdic, 2022, 8, p. 1 ss.;
D’ONOFRIO, Il pactum de non petendo: struttura e disciplina, Napoli, 2021.
(12) P. PERLINGIERI, La dilazione, cit., p. 699 ss.
saggi
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mento accessorio del contratto e che il suo mutamento, non comportando
l’alterazione della natura del rapporto (ininfluente quindi sulla sua identità), postula la conservazione (e non l’estinzione come avviene nella novazione) del rapporto medesimo (idem debitum), il quale subisce tuttavia una
modificazione, più o meno rilevante, della sua disciplina.
Questo primo lavoro poneva, però, un dubbio: «particolare difficoltà
offre l’individuazione della relazione, d’identità o no, tra proroga e dilazione».
Il secondo lavoro (13) è destinato a chiarire proprio tale dubbio. Quest’ultima tesi, nel prendere in esame il citato articolo 1244 c.c. in tema di
compensazione, considerando che fra i requisiti della compensazione legale
vi è l’esigibilità dei due crediti e poiché l’esigibilità implica appunto che il
termine per l’adempimento sia già scaduto, afferma che la dilazione ha per
effetto la sostituzione di un nuovo termine ad un termine già scaduto (14).
In particolare, quest’ultima tesi, nel distinguere la proroga dalla dilazione, sostiene che la prima riguarderebbe la postergazione di un termine
non ancora scaduto, dunque atterrebbe ad un credito ancora inesigibile, la
dilazione, invece, dovrebbe riguardare un termine già scaduto e, dunque,
attiene ad un credito esigibile, senza il quale la compensazione non potrebbe operare (15). In questi termini, il credito dilazionato, in quanto
esigibile, potrebbe essere opposto in compensazione.
Privare, però, la dilazione dell’effetto di rendere inesigibile un credito,
significherebbe parlare di un negozio senza causa alcuna e affermare l’estrema neutralità della dilazione. Invero, la distinzione operata da quest’ultima
tesi si appunta esclusivamente su un’analisi storica calata in un contesto
differente da quello attuale (16). Si sostiene che la concessione gratuita della
dilazione era equiparata al “termine di grazia” assegnato dal giudice, e
poiché da quest’ultimo non si reputava conseguisse una modificazione del
regolamento contrattuale, analogo effetto doveva essere collegato alla dilazione gratuita concessa dal creditore. In quest’ottica, per questa tesi, la
dilazione gratuita non opererebbe come modifica del rapporto, consistendo
invece in una mera tolleranza dell’altrui inadempimento (17).
(13) G. GABRIELLI, Dilazione del termine per l’adempimento, cit., p. 258 ss.
(14) G. GABRIELLI, Dilazione del termine, p. 259.
(15) Distinzione ripresa da MOROTTI, Il concetto tecnico di dilazione, cit., p. 3.
(16) Tesi cosı̀ criticata da RUSCELLO, Dilazione gratuita, inesigibilità del credito e modificazione, cit., pp. 551-552.
(17) In questi termini anche SICCHIERO, voce Tolleranza, in Dig. dir. priv., sez. civ., vol.
XIX, Torino, 1999, p. 371 ss., laddove – con riferimento alla tolleranza degli inadempimenti
– afferma che «il pactum de non petendo è l’accordo con il quale i creditori si obbligano a
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Nell’attuale codice, però, oltre che mancare riferimenti al “termine di
grazia”, non si rintracciano poteri di concessione di “termini di grazia”
espressamente attribuiti ai privati; sicché non sembrerebbe convincere la
distinzione tra proroga e dilazione, in termini di esigibilità o inesigibilità
del credito.
Innanzitutto, dal codice non risulta una particolare distinzione tra
dilazione e proroga, anzi i due termini, spesso, vengono adoperati indistintamente (come nell’art. 2364, comma 2, c.c.) (18). Non può infatti dirsi
che la proroga riguardi un termine non ancora scaduto se, tra l’altro, il
codice civile attribuisce ai privati la possibilità di prorogare i rapporti solo
alla scadenza dei termini originariamente pattuiti (come nel caso della
proroga dei contratti a termine ex art. 1535 c.c.; o come nel caso della
proroga del contratto di assicurazione ex art. 1889, comma 2, c.c.; o come
nel caso di proroga tacita della società ex art. 2273 c.c.). La distinzione tra
dilazione e proroga non può quindi poggiare sulla avvenuta scadenza o
meno di un termine, posto che in diverse disposizioni il codice civile, nel
disciplinare la proroga, presuppone proprio la scadenza di un termine
precedente. Oltretutto, anche nel BGB al § 190 – non a caso rubricato
proroga del termine (Fristverlängerung) – si presuppone l’avvenuta scadenza del termine: «Im Falle der Verlängerung einer Frist wird die neue
Frist von dem Ablauf der vorigen Frist an berechnet».
Probabilmente, invece, la distinzione tra proroga e dilazione attiene al
carattere attribuito ad un determinato termine. Sicché si fa riferimento alla
prorogabilità o meno di un termine se quest’ultimo sia suscettibile o meno
di proroga (a tale carattere fa riferimento, appunto, l’art. 2892 c.c.). Ancora si fa riferimento alla proroga nel calcolo dei termini, cosı̀ ai sensi del
comma 3 dell’art. 2963 c.c., «se il termine scade in giorno festivo, è
prorogato di diritto al giorno seguente non festivo».
Per le suddette ragioni, la possibilità di opporre in compensazione un
credito gratuitamente dilazionato (ex art. 1244 c.c.) non può risolversi in
ragione di una insussistente distinzione tra proroga e dilazione in termini
di esigibilità o inesigibilità del credito.
non chiedere il pagamento prima di una data concordata e si differenzia dalle semplici
dilazioni che costituirebbero una dichiarazione unilaterale, esplicita o implicita, con cui si
esterna una tolleranza del creditore e che non facendo sorgere alcun diritto per il debitore,
consentirebbe al creditore di esigere il pagamento ed al tribunale di dichiarare d’ufficio il
fallimento dell’insolvente». Chi scrive non condivide tale impostazione per le ragioni che
verranno chiarite nel prosieguo dello scritto.
(18) Lo si evince anche in M. LIPARI, voce Proroga, in Enc. dir., Vol. XXXVII, Milano,
1988, p. 400 ss. e in part. p. 404 ss.
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Quanto detto non esclude l’eccezionalità della norma di cui all’art.
1244 c.c., posto che la stessa permette di compensare un credito inesigibile
(ancorché la dilazione sia stata concessa gratuitamente) ad un credito
esigibile.
Invero, per comprendere la portata dell’art. 1244 c.c. occorrerebbe
riflettere sulla funzione della dilazione.
Come si è accennato – anche alla luce dell’art. 121, comma 1, lett. d)
del d.lgs. del 1˚ settembre 1993 n. 385 (Testo unico Bancario) – la “dilazione” assume la funzione di finanziamento, essa consisterebbe nella possibilità per il debitore di usufruire di modalità agevolate di adempimento,
mediante il rinvio del termine di scadenza (19).
La dilazione intesa come effetto di un contratto con causa di finanziamento troverebbe, poi, esplicita qualificazione anche alla luce della disciplina del finanziamento dei soci di cui all’art. 2467 c.c. laddove la causa del
finanziamento si rinviene anche nella postergazione del rimborso. In tale
ipotesi, la dilazione di pagamento rileva proprio come una forma di finanziamento da parte dei soci alle società sottocapitalizzate. Risulta piuttosto
chiaro che anche la semplice dilazione di pagamento può essere intesa
come un finanziamento del socio alla società: si tratta, infatti, di uno
strumento attraverso il quale il socio può concedere sine die liquidità alla
società rimanendone, al tempo stesso, creditore (20).
In quest’ottica, nella maggior parte dei casi, siccome le dilazioni consentono al debitore di adempiere la prestazione con maggiore facilità, le
dilazioni di pagamento vengono concesse dai creditori dietro ulteriori
prestazioni del debitore. Senza scadere nell’ovvio, un conto è ottenere
per l’intero una prestazione in un termine determinato (es. 6 settembre
2024), altro conto è postergare il termine finale (per es. al 6 settembre
2027) concedendo al debitore maggior tempo per poter reperire le risorse
necessarie ed estinguere la propria obbligazione. Dunque, normalmente la
(19) Sul punto, si veda anche FRAGALI, voce Mutuo (dir. priv.), in Enc. dir., XXVII,
Milano, 1977, 450 ss., spec. p. 605, nt. 59.
(20) In dottrina: M. MAUGERI, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio
nelle società di capitali, Milano, 2005, p. 151 s.; BALP, I finanziamenti dei soci «sostitutivi» del
capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. soc., 2007,
399; BRIOLINI, Appunti sugli autori e sui destinatari delle sovvenzioni ex art. 2467 c.c., in
Banca borsa tit. cred., 2018, p. 726 ss.; M. CAMPOBASSO, La postergazione dei finanziamenti
dei soci, in S.r.l. Commentario dedicato a G.B. Portale, Milano, 2011, p. 245. Contra RUBINO
DE RITIS, sub art. 2467, in Delle società – dell’azienda – della concorrenza, a cura di Santosuosso, in Comm. cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015, p. 280. In giurisprudenza:
Trib. Pescara, 22 settembre 2016, in De Jure; Trib. Treviso, 12 marzo 2019, ivi; Trib.
Vicenza, 11 luglio 2019, in Foroplus.
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dilazione viene concessa o pattuita non senza sacrifici per il creditore, il
quale dovrà rinunciare temporaneamente alla prestazione dovuta e, venuta
meno la convinzione di reperire risorse alla scadenza originaria, riprogrammare le proprie attività. Per tali ragioni, a fronte del sacrificio del creditore, la dilazione dovrà essere giustificata da ulteriori prestazioni accessorie
a quella principale che il debitore si assumerà (es. il pagamento degli
interessi pecuniari ex art. 1282 c.c.).
Ogni qualvolta il creditore conceda una dilazione, e quindi un nuovo
termine, di regola, pretenderà anche l’adempimento di ulteriori prestazioni.
A fronte del sacrificio del creditore, potrebbe dirsi che la dilazione si
sostanzia in un contratto naturalmente oneroso, modificativo di un precedente rapporto, col quale il creditore, concedendo una agevolazione finanziaria al debitore (sottoforma di differimento del termine), pretenderà
ulteriori prestazioni nei confronti del debitore.
Il problema della funzione della dilazione, impone di rivisitare il concetto di finanziamento che, come ben noto, integra la causa del contratto di
mutuo. Il finanziamento non ricomprende esclusivamente le ipotesi classiche
di versamento di una determinata somma, ma anche quella, frequente nella
prassi commerciale, di dilazione di un pagamento immediatamente esigibile.
Quest’ultima ipotesi non è distante a quella del mutuo, posto che, a fronte
di un debito altrimenti esigibile, sorge per il debitore un obbligo restitutorio
dilazionato nel tempo. Ebbene, la causa del finanziamento può rinvenirsi
anche nella dilazione del pagamento altrimenti dovuto.
In conclusione, la dilazione, proprio perché assume frequentemente lo
scopo di finanziamento, va considerata come contratto naturalmente oneroso, il che, però, non esclude la possibilità, per il creditore, di concedere la
dilazione gratuitamente, ossia senza alcuna controprestazione. Sicché, mentre la dilazione onerosa muterà quantitativamente l’oggetto dell’obbligazione
(poiché il creditore alla scadenza del nuovo termine otterrà una prestazione
maggiore rispetto a quella che avrebbe ottenuto alla scadenza del termine
originario), nell’ipotesi di dilazione gratuita, invece, il creditore non otterrà
alcuna prestazione ulteriore (egli ciò che avrebbe ricevuto alla scadenza del
termine originario, lo otterrà anche alla scadenza del nuovo termine) (21).
(21) Che la dilazione a titolo gratuito costituisca un negozio a vantaggio del debitore
rileva dalla sentenza della S.C. di Cass., sez. III, 18 ottobre 2011, n. 21503 (in Rep. for. it.
2011, Revocatoria (azione), n. 17). Quest’ultima, con riferimento alla lunga dilazione di
pagamento, senza interessi, per oltre la metà del prezzo di una compravendita, ha affermato
la particolare convenienza dell’affare per l’acquirente (debitore). In particolare, il pagamento
di oltre la metà del prezzo della vendita (circa cinquanta milioni) fosse stata “spalmata” in
cinque rate annuali, senza alcun riconoscimento di interessi. Circostanza, questa, valutata
saggi
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In questi termini, a tutela del creditore, l’art. 1244 c.c. dispone che «la
dilazione concessa gratuitamente dal creditore non è di ostacolo alla compensazione». In tale ipotesi, sussistendo reciproci rapporti di debito e credito, a fronte della richiesta di pagamento da parte del proprio debitore, il
creditore che abbia concesso gratuitamente la dilazione, quindi senza alcun
corrispettivo a fronte del proprio sacrificio, potrà opporre in compensazione
il proprio credito ancorché il credito sia del tutto inesigibile.
L’art. 1244 c.c., peraltro, ben si adatta all’art. 1371 c.c. che impone di
intendere il contratto a titolo gratuito «nel senso meno gravoso per l’obbligato» e come tale dovrebbe operare nel modo meno sacrificante per il
creditore. Non vi è dubbio che la norma in esame si pone come strumento
a tutela del creditore.
In conclusione, si afferma l’eccezionalità dell’art. 1244 c.c. che, proprio con riferimento ad un credito non esigibile, ha cura di specificare che
lo stesso può essere opposto in compensazione se gratuitamente dilazionato dal creditore. Non va taciuto, infatti, che questa norma eccezionale
adopera una prosa molto precisa: «la dilazione... non è di ostacolo», sicché
il legislatore ha voluto proprio sottolineare che la dilazione comporta
l’inesigibilità del credito e che, solo eccezionalmente, il credito inesigibile,
derivante da una dilazione gratuitamente concessa dal creditore, non può
costituire un ostacolo alla compensazione.
Al contrario, se si dovesse sposare la tesi della neutralità della dilazione
e, quindi, ritenere che il credito dilazionato sia comunque esigibile, alcun
significato avrebbe assunto l’art. 1244 c.c. poiché avrebbe nuovamente
ripetuto che un credito esigibile, ancorché dilazionato, si sarebbe potuto
opporre in compensazione. Comunque, anche leggendo l’art. 1244 c.c. alla
luce di quest’ultima tesi, residua il dubbio dell’uso dell’espressione “non è
di ostacolo” spesso riferita ad ipotesi in cui alcuni istituti del diritto privato
operano nonostante ricorrano situazioni che, se non espressamente enunciate dal legislatore, ne impedirebbero l’operatività. Valga da esempio la
formulazione dell’art. 1426 c.c. laddove, da un lato, è disposto che «il
contratto non è annullabile, se il minore ha con raggiri occultato la sua
minore età», dall’altro lato, invece, si specifica che «la semplice dichiara-
dalla S.C. di Cassazione per ricavarne la sussistenza della consapevolezza in capo all’acquirente ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. In definitiva, la
Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che la lunga rateizzazione senza interessi costituisce uno degli elementi da cui ragionevolmente dedurre che l’acquirente aveva sufficienti
ragioni per rappresentarsi che l’atto traslativo era idoneo ad arrecare pregiudizio agli eventuali creditori del venditore.
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contratto e impresa 1/2024
zione da lui fatta di essere maggiorenne non è di ostacolo all’impugnazione
del contratto». È piuttosto pacifico, dunque, che l’espressione «non è di
ostacolo» è adoperata dal codice civile proprio per sottolineare l’eccezionalità della norma che prevede l’operatività di un istituto anche in presenza di condizioni avverse o dubbie.
In conclusione, si afferma che la dilazione comporta una temporanea
inesigibilità del credito, il che però non osta all’estinzione dell’obbligazione. Un credito inesigibile, infatti, può estinguersi con la remissione, con
l’impossibilità sopravvenuta, con la confusione, con la novazione ed eccezionalmente, solo se il credito sia stato gratuitamente dilazionato, può
estinguersi per compensazione.
Ma il credito non esigibile può estinguersi anche con l’adempimento,
in tale ipotesi il pagamento non dovuto e compiuto prima della scadenza
del termine comporta l’irripetibilità della prestazione eseguita (art. 1185
c.c.), sicché il creditore, sebbene privo del potere di esigere, acquista
definitivamente la proprietà delle cose prestate dal debitore.
In questi termini, il pagamento effettuato anzi termine estingue una
obbligazione già sorta – sicché il soggetto che effettua la prestazione
adempie un debito che, seppur inesigibile, è senz’altro esistente (22) –
ma dall’inadempimento anzi termine non discenderebbe alcuna conseguenza. Si tratterebbe, insomma, di una vicenda “riduttiva” del rapporto
obbligatorio, ove per riduzione s’intende una diversa rilevanza che assume
l’inadempimento all’interno della fattispecie obbligatoria: il rapporto rimarrebbe in piedi come causa retinendi dell’attribuzione patrimoniale nel
caso dell’adempimento (art. 1185 c.c.), ma verrebbe meno la responsabilità che normalmente sorge dall’inadempimento (23).
3. – Come si è anticipato, è maggiormente condivisibile la tesi che
qualifica la dilazione alla stregua di una vicenda modificativa del rapporto
negoziale. La questione, però, pone problematiche sui negozi modificativi
di obbligazioni esistenti.
A differenza del codice tedesco, laddove viene espressamente codificato, al § 305 BGB, l’Änderungsvertrag, ossia il contratto modificativo (24),
(22) ROMANO, Interessi del debitore e adempimento, Napoli, 1995, p. 373.
(23) La riduzione del rapporto obbligatorio induce ad osservare quei rapporti caratterizzati da un credito senza pretesa e un debito senza obbligo, cosı̀ ORLANDI, Pactum de non
petendo e inesigibilità, cit., p. 134 ss.; ID., La categoria dell’obbligazione ridotta, in Giust. civ.,
2019, p. 447 ss.
(24) Il BGB disciplina il contratto modificativo del rapporto obbligatorio a riprova del
fatto che per la modifica di un obbligo esistente, sia esso di natura legale o convenzionale,
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il codice civile italiano – nel seguire la tradizione francese (25) – riserva al
contratto modificativo del rapporto obbligatorio lo stesso trattamento che
destina alla dilazione, infatti manca nel codice un espresso riferimento al
contratto modificativo di una obbligazione.
Nonostante vi sia una evidente differenza tra il codice civile italiano e
quello tedesco, i due codici presentano una curiosa lacuna: nel BGB
manca una disciplina sulla novazione, mentre nel codice civile italiano è
presente una analitica disciplina in tema di novazione.
Ciò nonostante, è diffusa tra i tedeschi la convinzione che la novazione
possa essere liberamente pattuita ogniqualvolta la stessa risponda agli
interessi delle parti meglio di quanto possa rispondere un contratto modificativo del rapporto obbligatorio (26) cosı̀ come è diffusa tra i giuristi
italiani la convinzione di poter concludere contratti modificativi di un
preesistente rapporto obbligatorio (27).
Il codice civile, però, non ignora del tutto i contratti coi quali modificare i rapporti obbligatori e, cosı̀, con riferimento al mutamento quantitativo della prestazione, disciplina l’adempimento parziale dell’obbligazione (art. 1181), con riferimento al mutamento qualitativo della prestazione,
disciplina la prestazione in luogo dell’adempimento (art. 1197) (28), e,
infine, con riferimento alle modalità temporali dell’esecuzione della pre-
richiede un contratto, per cui solo in casi eccezionali si può presumere un diritto unilaterale
di modifica (cosı̀ GRÜNEBERG, Änderungsvertrag, § 311, in Bürgerliches Gesetzbuch, Comm.
Beck, Monaco, 2022, p. 490 ss.)
(25) Infatti il codice civile del 1865, nel seguire il Code Napoléon, disciplinava, da un
lato, la novazione oggettiva e, dall’altro, le ipotesi di cessione del credito e successione nel
debito. In particolare, emergevano ipotesi di novazione soggettiva passiva, cioè di sostituzione del debitore, e non anche ipotesi di novazione soggettiva attiva (nella Relazione al
Codice, al n. 584, si legge infatti che una disciplina della novazione soggettiva attiva non è
stata prevista soltanto perché il mutamento del soggetto attivo del rapporto si realizza,
normalmente, per la via diretta della cessione del credito). La novazione soggettiva passiva,
intesa come sostituzione del debitore, è resa palese dall’art. 1235 c.c. La delegazione,
l’espromissione e l’accollo, come regolati negli art. 1266 c.c. ss., dovrebbero, cioè, rappresentare gli unici istituti idonei a realizzare la sostituzione del soggetto passivo del rapporto.
(26) GERNHUBER, Die Erfüllung und ihre Surrogate, Tubinga, 1983, p. 372. La dottrina
tedesca distingue la modifica del contratto dalla novazione in base alle circostanze del
singolo caso, risultando decisiva la volontà delle parti, ma tenendo in considerazione anche
il significato economico della modificazione in rapporto alla struttura del contratto e alla
generale considerazione del traffico giuridico: ad ogni modo, si ritiene che in caso di dubbio
si presume che si tratti di accordo di modifica.
(27) Particolari spunti nel recente MOROTTI, La modificazione del contenuto del rapporto
obbligatorio, Napoli 2022, p. 19 s.
(28) La prestazione in luogo dell’adempimento è stata ricondotta ad un contratto
modificativo dell’oggetto del rapporto originario, cosı̀ ZACCARIA, La prestazione in luogo
dell’adempimento, fra novazione e negozio modificativo del rapporto, Milano, 1987, p. 21
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stazione, nonché di altra modificazione accessoria, considera anche i contratti modificativi che non importano la novazione (art. 1231).
I tre istituti citati si riferiscono a mutamenti, oggettivi e temporali,
delle modalità di esecuzione della prestazione e presuppongono la conclusione di un contratto; sicché, il creditore può accettare l’adempimento
parziale offerto dal debitore (1181 c.c.), cosı̀ come può accettare di ricevere una prestazione diversa da quella dovuta (1197 c.c.), cosı̀ come può
accettare di apporre un nuovo termine per l’esecuzione della prestazione
(1231 c.c.).
In particolare, il nostro codice, pur non disciplinando espressamente il
contratto modificativo di un rapporto obbligatorio (come invece opera il §
305 BGB), nel disciplinare diversi istituti fa proprio riferimento alla modificazione oggettiva e temporale dell’obbligazione. In particolare, ne fa
espresso riferimento proprio per distinguerla dalla novazione laddove –
all’art. 1231 c.c. – si esprime nei termini di «modificazione accessoria
dell’obbligazione [che] non produce novazione». Come si dirà, tra le
modifiche accessorie cui fa riferimento l’art. 1231 c.c., rileva proprio
«l’apposizione o l’eliminazione di un termine».
La considerazione della dilazione in termini di contratto modificativo,
potrebbe cozzare con la formulazione dell’art. 1244 c.c., laddove si fa
riferimento alla dilazione concessa dal creditore.
La dilazione, invero, è l’effetto di un contratto e non anche di un atto
unilaterale del creditore (29). Ciò rileva, innanzitutto, alla luce degli interessi in gioco e, infatti, la dilazione – anche se comunemente disposta a
vantaggio del debitore – non sempre soddisfa esclusivamente l’interesse
del debitore, il quale potrebbe avere la necessità di liberarsi quanto prima
dal vincolo, e non sempre è posta a svantaggio del creditore, il quale
potrebbe preferire la postergazione dell’adempimento perché impossibilitato a ricevere la prestazione in un dato momento. In ragione degli eventuali interessi tra loro confliggenti e, comunque, in ragione del fatto che la
dilazione comporti una modifica delle pretese e delle sfere giuridico-patrimoniali del creditore e del debitore (quali inesigibilità, maggior rischio
di perimento dei beni, maggiori costi della custodia dei beni ecc.) è necessario che vi sia un accordo tra debitore e creditore.
ss.; BISCONTINI, Adempimento parziale e datio in solutum, in Rass. dir. civ., 1984, p. 630
e 631;
(29) A tal riguardo si respinge la tesi di CALONI, Dilazioni di pagamento e finanziamento:
categorie civilistiche nella riqualificazione fiscale, in Giur. comm., 2022, 3, p. 678 s., laddove
considera la “dilazione di pagamento” alla stregua di un atto unilaterale.
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Ciò considerato, preme intendere come il creditore, stando all’art.
1244 c.c., possa concedere gratuitamente la dilazione.
Ebbene la dilazione a cui fa riferimento l’art. 1244 c.c. è una dilazione
gratuita concessa dal creditore nell’esclusivo vantaggio e beneficio del
debitore e, quindi, solo in questa ipotesi, trattandosi di un contratto con
impegni per il solo creditore, tale contratto potrà concludersi ai sensi
dell’art. 1333 c.c. In quest’ultima ipotesi, ben può dirsi che la dilazione
sia stata concessa gratuitamente dal creditore a beneficio, e senza alcun
sacrificio, del debitore.
Qualora, invece, l’offerta di dilazione, proposta dal creditore, comporti anche sacrifici per il debitore, quest’ultimo potrà opporsi e, quindi,
rifiutare la relativa proposta.
Proprio alla natura contrattuale, infatti, fanno riferimento i negozi che
comportano la dilazione dei pagamenti: il patto di moratoria, il pactum de
non petendo ad tempus (30), la convenzione di moratoria, gli accordi di
ristrutturazione dei debiti, i concordati (31) e le transazioni conservative.
In particolare, alcuni contratti come il patto di moratoria, il pactum de
non petendo ad tempus e la convenzione di moratoria non avrebbero causa
alcuna, quindi sarebbero nulli, se non regolassero la dilazione di un termine per l’adempimento. E, infatti, la funzione della convenzione di moratoria (di cui all’art. 62 del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza)
è proprio quella di agevolare il debitore (in special modo l’imprenditore in
crisi) con una dilazione delle scadenze dei crediti e quindi concedere una
temporanea inesigibilità dei crediti (i creditori peraltro rinunceranno ad
intentare azioni esecutive e conservative) (32).
(30) ll pactum de non petendo col quale il creditore si assume l’impegno di non esigere
l’adempimento dell’obbligazione per un certo tempo o in perpetuo, con conseguente facoltà
del debitore di paralizzare l’eventuale pretesa giudiziale con un’eccezione (exceptio pacti), si
distingue in patto ad tempus e patto in perpetuum in ragione del limite temporale apposto
alla facoltà del debitore di difendersi eccependo per l’appunto il patto; in altre parole, se il
patto è ad tempus il debitore avrà la facoltà di contrastare la pretesa del creditore solo in un
ambito temporale limitato; scaduto il termine, verrà meno quella difesa o quell’argine a
tutela del debitore, con la conseguenza che le pretese del creditore potranno dilagare o
meglio ancora il debitore non potrà più fare nulla per contrastarle; salvo ancora il decorso
del termine di prescrizione a far data peraltro dalla scadenza originaria.
(31) Mentre la convenzione di moratoria si caratterizza per la dilazione dei pagamenti,
senza la quale il contratto non risponderebbe alla sua funzione tipica, gli altri negozi di
gestione della crisi, oltre alla eventuale dilazione dei pagamenti, si caratterizzano anche per
altri effetti come la rinuncia (totale e/o parziale) di alcuni crediti, pagamento dei crediti con
altri beni o con altre risorse, prosecuzione dell’attività, esdebitazione e altro.
(32) La convenzione di moratoria costituisce una particolare tipologia degli accordi di
ristrutturazione avente ad oggetto proprio la dilazione dei pagamenti e la rinuncia o la
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La convenzione di moratoria costituisce il c.d. patto di moratoria (o il
pactum de non petendo ad tempus) (33) operante nel diritto della crisi di
impresa o, meglio, nel diritto delle ristrutturazioni dei debiti atta ad evitare
la dichiarazione di liquidazione giudiziale.
Infatti, come ritenuto dalla Suprema Corte di Cassazione (34), la moratoria dei pagamenti intervenuto tra un debitore e i creditori, nel prevedere una postergazione delle scadenze, è diretta ad evitare la dichiarazione
di liquidazione giudiziale ed è diretta a pervenire ad una definizione stragiudiziale delle pendenze debitorie.
4. – Come si è anticipato, l’effetto modificativo che il contratto possa
produrre ad una obbligazione preesistente (1231 c.c.) si apprezza solo in
sospensione delle azioni esecutive e conservative da parte dei creditori. Il contenuto fondamentale del contratto è, dunque, la dilazione dei pagamenti, in tale ipotesi si ristruttura il
debito per ristrutturare anche l’impresa attraverso la moratoria dei pagamenti. In particolare, «il contenuto della convenzione non risulta tipizzato, in linea con la generale configurazione legislativa delle soluzioni c.dd. “paraconcorsuali” della crisi d’impresa; ragion per
cui, si potrebbe descrivere il profilo sostanziale della convenzione di moratoria in termini di
accordo finalizzato alla concessione di una temporanea dilazione nella scadenza delle obbligazioni finanziarie, a vantaggio dell’impresa debitrice, come, tipicamente, nell’ipotesi di
sospensione del rimborso della quota capitale di un mutuo in corso di ammortamento» cosı̀
G.B. FAUCEGLIA, La convenzione di moratoria: novità e conferme nel «codice della crisi
d’impresa e dell’insolvenza», in Banca, borsa e tit. cred., 2020, 4, p. 573 ss.
(33) Secondo RECINTO, I patti di inesigibilità del credito, Napoli 2004, p. 95, il pactum de
non petendo ad tempus, la cui peculiarità principale consiste nella limitazione degli effetti del
patto per un certo periodo di tempo, integrerebbe gli estremi di un vero e proprio patto di
moratoria, in virtù del quale le parti si accorderebbero circa la fissazione di un nuovo
termine dell’adempimento. Dall’altro lato, GALLO, voce Pactum de non petendo, in Dig.
disc. priv., sez. civ., online, 2020, p. 1-19 distingue il patto di moratoria dal pactum de
non petendo ad tempus. In particolare, quest’ultimo A. afferma che «il pactum de non
petendo in perpetuum si distingue rispetto alla remissione del debito, parimenti il pactum
de non petendo ad tempus si distingue rispetto al vero e proprio accordo di moratoria,
modificativo di un aspetto accidentale del rapporto, con conseguente fissazione di un nuovo
termine per l’adempimento, con tutte le conseguenze che ne possono derivare in termini di
scadenza, inadempimento, interessi moratori, prescrizione e cosı̀ via. Si consideri ancora che
cosı̀ come le parti possono liberamente scegliere tra remissione del debito e pactum de non
petendo in perpetuum, parimenti occorre ritenere che sia del tutto libera la scelta tra vero e
proprio accordo di moratoria e pactum de non petendo ad tempus; caso per caso occorrerà
pertanto valutare se le parti hanno inteso concludere un vero e proprio accordo di moratoria, con conseguente modifica di un aspetto accessorio del rapporto e fissazione di un
nuovo termine per l’adempimento o se viceversa si sono limitate ad attribuire al debitore
una difesa temporanea, impregiudicata la consistenza del credito e dei suoi accessori, con
tutte le conseguenze che questo può comportare in tema di accessori del credito, interessi
moratori, prescrizione e cosı̀ via. Una cosa è infatti modificare il rapporto, ancorché con
riferimento ad un aspetto accessorio, vale a dire il tempo dell’adempimento, un’altra cosa è
attribuire al debitore una difesa limitata nel tempo».
(34) Cass., sez. I, sent. 8 febbraio 1989, n. 795 in Società, 1989, nota di MELI.
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via residuale e al cospetto di un eventuale effetto novativo che possa
assumere il contratto. E, difatti, si modifica un precedente rapporto obbligatorio solo se tali modifiche non comportino una novazione, ossia una
sostituzione dell’obbligazione originaria con una nuova obbligazione avente oggetto o titolo diverso (1230 c.c.). Sicché, mentre la novazione, produttiva di un effetto sostitutivo dei rapporti, comporta l’estinzione della
precedente obbligazione, sı̀ da operare nell’ambito di una dualità di rapporti (quello originario da estinguere e quello nuovo da costituire), la
modificazione, invece, conserva il rapporto obbligatorio, qui non si ha
una dualità di rapporti ma il rapporto resta unico.
Secondo questa direttrice, dunque, «la distinzione tra novazione e modifica dell’obbligazione riposerebbe esclusivamente sul tipo di mutamento
apportato, per via negoziale, all’obbligazione originaria: se le parti, intervenendo sul rapporto, investano quei profili in cui si compendia l’essenziale
struttura oggettiva o soggettiva dell’obbligazione, lı̀ si avrebbe necessariamente novazione; se, invece, l’iniziativa negoziale non si spinga sino a quel
punto, si avrebbe semplice modificazione» (35). E, infatti, «la modifica dell’obbligazione costituirebbe, dunque, secondo la previsione risultante dalla
combinazione degli artt. 1230, primo comma, e 1231 c.c., una vicenda
derivante da un atto di disposizione attinente ai profili inessenziali dell’obbligazione preesistente, e che, per ciò, determina variazioni di carattere
accessorio dell’obbligazione originaria» (36). Diversamente, «la vicenda novativa è, in altri termini, connotata dall’estinzione dell’obbligazione originaria, dalla costituzione di una “nuova” obbligazione e dal nesso relazionale, in
cui, per cosı̀ dire, risiede la “sostituzione”, tra l’estinzione del rapporto
originario e la costituzione del nuovo rapporto» (37).
La distinzione tra modificazione e novazione assume particolare rilevanza, posto che solo nella novazione la nuova obbligazione, che ha pur
sempre fonte nel negozio novativo, presenta sempre un elemento di novità
rispetto al precedente rapporto. Ciò vuol dire che, ad esempio, il creditore
perderà le garanzie reali e personali che assistevano il credito e che non
potrà avvalersi dei privilegi che assistevano il credito precedente, allo
stesso modo il debitore non potrà beneficiare dell’eccezione di prescrizione maturata per la precedente obbligazione e non sarà tenuto a corrispondere gli interessi originariamente pattuiti in mancanza di una loro ricon-
(35) DORIA, La novazione dell’obbligazione, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-MessineoMengoni, continuato da Schlesinger, Milano 2012, p. 35.
(36) DORIA, op. cit., p. 34.
(37) DORIA, op. cit., p. 38-39.
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ferma scritta. Diversamente, nell’ipotesi di modificazione, la fonte del
rapporto non muta e le parti mantengono le proprie pretese, seppure
mutate a seguito di accordi modificativi.
Non è, però, cosı̀ agevole distinguere le fattispecie novative da quelle
modificative del rapporto obbligatorio. Sul punto si è infatti osservato che,
al di là di queste distinzioni di fondo, «possano comunque darsi modificazioni di rilievo tali da comportare necessariamente novazione» (38). E,
infatti, non possono essere ignorate le «ipotesi in cui l’entità della modifica
sia tale da alterare l’identità dell’obbligazione, per forza di cose la novazione non potrebbe essere evitata» (39).
In ragione di tale problematica, si è sostenuto che – da un punto di
vista oggettivo – l’art. 1231 c.c. elenca modifiche apportate al contenuto
dell’obbligazione le cui entità non potrebbero produrre una novazione (40).
In particolare – oltre all’ipotesi del «rilascio del documento o la sua
rinnovazione» (art. 1231 c.c.) (41) – la dottrina (42) e la giurisprudenza,
(38) ZACCARIA, La prestazione in luogo dell’adempimento, cit., p. 195.
(39) ZACCARIA, ult. op. cit., p. 185. P. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione, cit., alle pagg.
109 ss. avverte, infatti, che se la dilazione comunemente costituisce una mera vicenda
modificativa del regolamento del rapporto, non si escludono casi in cui la modifica del
termine possa incidere proprio sull’identità del regolamento, «cosı̀ ad esempio all’obbligazione, il cui adempimento consiste nell’eseguire prestazioni periodiche, si può sostituire
un’obbligazione il cui adempimento consiste nell’esecuzione di prestazioni continuative o
persino nell’esecuzione di un’unica prestazione istantanea, laddove il tempo della prestazione può incidere sul contenuto della stessa e comunque mutare la sostanza, l’identità dell’assetto di interessi in cui quell’obbligazione consiste e dal quale trae la sua giustificazione
causale» (pp. 110-111).
(40) ZACCARIA, voce Novazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1995, p. 286;
RESCIGNO, voce Novazione, in Noviss. Dig. it., XI, Torino, 1968, p. 431 ss.
(41) Non si verifica novazione del rapporto obbligatorio in caso di rilascio di un
documento ovvero di rinnovazione di quest’ultimo: invero, tali atti – per loro stessa natura
– possono non essere ispirati da alcun animus novandi, risultando piuttosto espressione
dell’intento di confermare il rapporto originario, non già di novarlo. Particolare rilevanza
assume l’ipotesi dell’emissione e della trasmissione di un titolo di credito: l’orientamento
assolutamente prevalente (MAGAZZÙ, voce Novazione, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p.
812) esclude che tali atti possano, in sé, considerarsi novativi del rapporto obbligatorio cui
gli stessi si riferiscono, dal momento che la semplice emissione o trasmissione del titolo di
credito non determina alcuna modificazione oggettiva del sottostante rapporto obbligatorio,
il quale rimane assolutamente immutato (MAGAZZÙ, cit., 812, nt. 163. In giurisprudenza si
veda: App. Cagliari 12 maggio 1989; Trib. Napoli 21 novembre 1992; Trib. Avezzano 21
marzo 1990; Trib. Milano 15 giugno 1989 tutte in Foroplus).
(42) Sul punto si vedano: P. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi
dall’adempimento, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1230-1259, Bologna-Roma, 1975. P.
105; DI PRISCO, Novazione, in Tratt. dir. priv. Rescigno, 9, I, 2a ed., Torino, 1999, p. 350;
MAGAZZÙ, cit., p. 812; LAMBRINI, La novazione, in Burdese, Moscati (a cura di), I modi di
estinzione, III, in Tratt. obbligazioni diretto da Garofalo, Talamanca, Padova, 2008, p. 484.
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hanno ritenuto non novative le seguenti modificazioni: a) la fissazione di
modalità relative all’esecuzione dell’obbligazione e, in particolare, la previsione di un diverso termine di pagamento (43); b) il rafforzamento dell’obbligazione originaria mediante la costituzione di una garanzia reale o
personale; c) la modifica contrattuale del canone di locazione e del prezzo
della vendita (44); d) la proroga del contratto di locazione; e) la sostituzione
della res fungibile oggetto della prestazione originaria con altra appartenente allo stesso genere; f) la precisazione del corrispettivo dovuto per
l’assegnazione di alloggio; g) l’apposizione o la modificazione di clausole
relative al tasso di interessi, ovvero alle garanzie; h) il trasferimento di un
conto corrente bancario da una filiale e all’altra di un medesimo istituto di
credito (45); i) l’emissione di cambiali e assegni.
In quest’ottica, l’accordo col quale si disponga la dilazione (il c.d.
pactum de non petendo ad tempus), non elimina certamente l’originaria
fisionomia del rapporto obbligatorio. Il termine consiste in un elemento
accessorio del contratto e il suo mutamento, non comportando l’alterazione della natura del rapporto (ininfluente quindi sulla sua identità), postula
la conservazione (e non l’estinzione come avviene nella novazione) del
rapporto medesimo (idem debitum), il quale subisce tuttavia una modificazione, più o meno rilevante, della sua disciplina (46).
(43) Cass., sez. II, sent. 20 marzo 2007, n. 6550, in Nuova giur. civ., 2007, 1, 12, p.
1412, nota di GELLI.
(44) Anche con riferimento ai contratti di locazione, è stato chiarito che «affinché vi sia
novazione del contratto di locazione non è sufficiente la variazione della misura del canone,
trattandosi di modificazioni accessorie, giacché la novazione oggettiva del rapporto obbligatorio postula il mutamento dell’oggetto e del titolo della prestazione, ex art. 1230 c.c.,
mentre la stessa non è ricollegabile alle mere modificazioni accessorie, ai sensi dell’art. 1231
c.c.» (Trib. Rossano, sent. 6 febbraio 2013, inedita). Tale decisione trova conferma anche
nella pronuncia della S.C. Cass., sez. III, sent. 13 ottobre 2020, n. 22126 (in Studium juris,
2021, 5, p. 643) che – con riguardo alla pattuizione di modifiche soltanto accessorie di un
precedente contratto di locazione, consistenti nella previsione della risoluzione in caso di
ritardato pagamento, nel prolungamento della durata del rapporto e nella misura dell’aggiornamento del canone – ha ritenuto che non è sufficiente ad integrare novazione del
contratto la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di
modificazioni accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell’oggetto o del
titolo della prestazione, che ricorrano gli elementi dell’animus e della causa novandi.
(45) Cass., sez. III, sent. 30 marzo 2001, n. 4730, in Nuova giur. civ., 2002 nota di
PETTARIN, Cacciaguerra. La giurisprudenza ha anche ritenuto che, in relazione ai rapporti di
lavoro, il mutamento della sede, la creazione di una struttura autonoma o ancora le modifiche relative all’ammontare della retribuzione, trattandosi di elementi accessori del rapporto
obbligatorio, vanno qualificati come mere modificazioni accessorie di cui all’art. 1231 c.c.
(Cass., sez. lavoro, sent. 29 ottobre 2018, n. 27390, in onelegale).
(46) P. PERLINGIERI, La dilazione, cit., p. 699 ss. Tale tesi, che considera la dilazione
quale vicenda modificativa di un rapporto obbligatorio, riscuote tutt’oggi credito nella
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contratto e impresa 1/2024
L’introduzione o la modifica di un termine per l’adempimento, non
manifesta infatti alcuna intenzione di novare il rapporto, ma solo l’intento
di modificare la modalità di esecuzione della prestazione già stabilita nel
titolo.
Affinché possa trattarsi di novazione è necessario un aliquid novi (art.
1230 c.c.) che presenti un carattere di novità in relazione all’oggetto (c.d.
novazione reale) ovvero al titolo (c.d. novazione causale).
Mentre la diversità dell’oggetto ha riguardo alla prestazione, la diversità
del titolo attiene alla causa dell’obbligazione (cioè alla sua fonte): la nuova
obbligazione avrà quindi un titolo diverso qualora la causa del contratto
novativo non dovesse essere riconducibile a quella del precedente rapporto.
Quanto alla novazione reale, l’obbligazione può considerarsi diversa
da quella originaria soltanto qualora la nuova obbligazione dovesse presentare mutamenti di natura qualitativa e non quantitativa, deve trattarsi di
una prestazione avente natura differente a quella originaria. Come si è
notato, infatti, i mutamenti di natura quantitativa comportano esclusivamente una modificazione del rapporto obbligatorio.
Un particolare criterio distintivo tra modificazione e novazione del rapporto è rintracciabile in quell’orientamento giurisprudenziale che si è occupato della distinzione tra transazione novativa e transazione conservativa
(c.d. semplice). Pur trattandosi di un contratto diretto a comporre una lite
(e non a modificare o novare un rapporto obbligatorio) (47), esso potrebbe
comportare l’estinzione del precedente rapporto sostituendolo integralmente col nuovo rapporto contrattuale (l’effetto novativo in tal caso si spiega in
ragione di una oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello
giurisprudenza di legittimità e nella giurisprudenza di merito. E, infatti, proprio di recente,
la Corte di Appello di Milano (App. Milano, sez. III, sent. del 25 maggio 2023 n. 1696,
inedita), con riferimento ad un secondo contratto (rispetto all’originario contratto di finanziamento) col quale la Banca concedeva al cliente un nuovo termine per la restituzione della
somma finanziata e a fronte della deduzione del cliente di considerare il secondo contratto
nei termini di novazione oggettiva, ha chiarito che «sul tema occorre fare riferimento alla
disciplina degli articoli 1230 e 1231 c.c., secondo cui l’obbligazione si estingue quando le
parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo
diverso, la volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non
equivoco», sicché «l’apposizione o l’eliminazione di un termine e ogni altra modificazione
accessoria dell’obbligazione non producono novazione».
(47) La lite, quale presupposto della transazione, esprime uno stato di contrasto, una
contesa, tra divergenti richieste, e non, invece, una situazione di insoddisfazione legata
all’inattività del soggetto passivo del rapporto obbligatorio. Sulla base di questa premessa,
costante è la posizione assunta dalla giurisprudenza circa la non configurabilità di una “lite
da pretesa insoddisfatta”, fattispecie nella quale l’incertezza della realizzazione della propria
istanza sia determinata da un mero inadempimento.
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dell’accordo transattivo) (48) oppure potrebbe comportare solo qualche modifica (spesso quantitativa) ad una situazione già in atto e regolare il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni, consistenti anche in una
reciproca riduzione delle opposte pretese, in modo da realizzare un rapporto che esprima un quid medium tra le pretese iniziali. Ebbene, anche con
riferimento alla transazione, la giurisprudenza ha costantemente affermato
che essa assume un effetto esclusivamente conservativo se sia diretta ad
apportare modifiche quantitativa ad una situazione già in atto.
Inoltre, va chiarito che la distinzione tra modificazione e novazione
non può risolversi in una mera indagine sulla ricorrenza tra un aliquid
novandi o un aliquid mutandi dell’originario rapporto obbligatorio, essendo necessario – oltre che la causa novandi- anche l’animus novandi, difatti
«la volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo
non equivoco» (art. 1230, comma 2, c.c.). Proprio l’animus novandi rappresenta l’elemento idoneo a distinguere la novazione oggettiva dalla semplice modificazione del rapporto obbligatorio: si è infatti rilevato che – in
assenza dell’elemento soggettivo in discorso – il solo mutamento dell’oggetto ovvero del titolo dell’obbligazione potrà determinare una mera modificazione dello stesso dello stesso rapporto, ma mai l’estinzione della
precedente obbligazione e la sostituzione con la nuova (49).
Resta da chiedersi, però, se sia sufficiente l’espresso animus novandi per risolvere il problema discretivo tra modificazione e novazione dell’obbligazione.
A ben vedere, chi scrive riserverebbe dubbi sulla qualificazione di un
contratto col quale le parti, abbiano sı̀ espresso la volontà di novare, ma
abbiano stabilito solo una dilazione del termine dell’adempimento. In tale
ipotesi, ci si chiede se l’animus novandi sia di per sé sufficiente a considerare tale contratto come una vera e propria novazione del precedente
(48) Benché, come si è osservato nella precedente nota, nonostante i presupposti della
novazione e quelli della transazione novativa siano differenti, non si esclude che la novazione
dell’obbligazione possa essere anche stipulata in funzione transattiva, ossia può rientrare
nello schema di una reciproca concessione tra le parti al fine di comporre o prevenire una
controversia. In tal caso il contratto è una transazione, e la novazione dell’obbligazione. La
disciplina applicabile sarà pertanto quella della transazione e, in quanto compatibile, quella
della novazione. In questi termini, le norme della novazione applicabili sono quelle relative
alla volontà non equivoca di estinguere l’obbligazione (1230 c.c.), alle modalità che non
importano novazione (1231 c.c.), all’estinzione delle garanzie (1232 c.c.).
(49) ZACCARIA, voce Novazione, cit., pag. 285. Si è ritenuto che, pertanto, qualora
dovesse mutare l’oggetto dell’obbligazione, dovrà ravvisarsi – in assenza del necessario
animus novandi – un’ipotesi di mera surrogazione oggettiva della prestazione. Cosı̀ BIANCA,
L’obbligazione, in Diritto Civile, 4, rist. 2019, p. 448-449.
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rapporto obbligatorio e non come una semplice modifica. Diverse possono
essere le ragioni, nella pratica commerciale, che possano indurre i contraenti a considerare il contratto come novazione e non come modificazione (mera dilazione), una delle tante ragioni potrebbe essere quella di
ingannare i creditori, i quali, a fronte delle richieste o concessioni di
dilazioni (attuate senza il ricorso agli strumenti negoziali di gestione della
crisi), potrebbero ragionevolmente sospettare lo stato di difficoltà economica o finanziaria del debitore, sospetti che non sarebbero cosı̀ accentuati
nelle ipotesi in cui il debitore e i creditori decidano, di comune accordo, di
estinguere la precedente obbligazione e costituirne una nuova.
Proprio per tali ragioni, deve ammettersi che, pur in presenza di un
animus novandi, non potrà considerarsi novazione una mera modifica del
rapporto obbligatorio. Infatti, mancherebbe, l’aliquid novi ogniqualvolta le
parti si siano limitate a semplici modifiche del precedente rapporto obbligatorio.
Non è un caso che il legislatore, senza compiere alcun riferimento
all’eventuale animus novandi o ad un eventuale animus modificandi, si
sia limitato ad indicare le «modalità che non importano novazione»
(1231 c.c.), comprendendo tra queste le modifiche accessorie (tra le quali
la modifica del termine dell’adempimento) e, in tal modo, sembra aver
voluto fissare la regola secondo cui, in presenza di una modificazione
accessoria, la volontà delle parti non è sufficiente a comportare una novazione. In altri termini, l’art. 1231 c.c. pone, con riguardo all’entità delle
modifiche apportate al contenuto dell’obbligazione, un limite al di sotto
del quale l’autonomia privata non è in grado di determinare la novazione.
5. – La funzione della dilazione, quale effetto di moratoria, è stata di
recente attenzionata dalla giurisprudenza in tema di mutui solutori, ossia
di quei contratti di finanziamento concessi da istituti bancari e diretti ad
estinguere i debiti che il mutuatario ha nei confronti del mutuante.
Questi mutui, essendo destinati a ripianare debiti pregressi, spesso si
concludono senza la dazione (fisica e materiale) della somma di denaro
sostanziandosi in una mera operazione di natura contabile che opera in
una coppia di poste del conto corrente (una di “dare” e l’altra di
“avere”) (50).
(50) Diverso è, ovviamente, il caso in cui il finanziamento abbia ad oggetto una somma
di denaro superiore al debito del cliente in essere sul conto, ebbene la parte del finanziamento eccedente il debito dovrà essere oggetto di una dazione in favore del mutuante,
affinché possa considerarsi perfezionato il mutuo.
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La prassi bancaria, dunque, ha posto l’attenzione sulla nullità dei
mutui solutori che si concludono senza la datio rei. La questione della
nullità di siffatti mutui è stata di recente risolta dalla giurisprudenza che
ha affermato la validità del mutuo solutorio, perché il ripianamento delle
passività costituisce una delle modalità di impiego dell’importo finanziato (51). Sotto questo aspetto si è inteso che tale tipologia di ricorso al
credito realizzi uno degli strumenti di ristrutturazione dei debiti pregressi
(con possibilità di estinguerli e/o riprogrammarli) (52).
In particolare, per la validità e l’efficacia del contratto di mutuo, non è
necessaria una dazione fisica delle somme, essendo sufficiente anche solo
una dazione giuridica delle stesse, con la conseguenza che anche l’accredito in conto corrente sia sufficiente a questo fine. Siccome il patrimonio
di ogni soggetto di diritto si compone anche di crediti e debiti, non vi è
dubbio che chi usa il denaro ricevuto a mutuo per estinguere un debito
verso il mutuante purga il proprio patrimonio d’una posta negativa: dunque la consistenza del patrimonio del mutuatario cambia e, siccome cambia, non può escludersi che vi sia stato uno spostamento di denaro.
Ancora, al giorno d’oggi, è difficile poter immaginare una datio materiale e fisica delle somme di denaro, posto che l’erogazione, in ragione
delle norme sull’uso del contante, deve avvenire necessariamente con l’accredito in conto corrente (art. 49, comma 1, d.lgs. 21 novembre 2007, n.
231). Sicché, affermare che il mutuo solutorio esuli dal tipo di mutuo
perché si ridurrebbe ad una operazione contabile sarebbe del tutto decontestualizzata dalla realtà delle cose, posto che in un’epoca dove è
frequente il ricorso alla moneta elettronica, tutte le operazioni, di accredito
e pagamento, si riducono a partite contabili. Anche il pagamento eseguito
con carta di credito, carta di debito, carta revolving o Paypal, a ben vedere,
altro non è che un’annotazione contabile (che avviene, frequentemente,
attraverso lo strumento della delegatio solvendi), attesa la progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e del denaro e la loro sostituzione
con annotazioni contabili che ben si confà sia alla normativa antiriciclaggio
e sia alle misure normative tese a limitare l’uso del contante nelle transazioni commerciali che promuovono l’utilizzo di strumenti alternativi al
trasferimento del denaro.
(51) Cass., sez. III, ord. 30 novembre 2021, n. 37654 (in Rep. for. it., 2021, Mutuo,
n. 24).
(52) Cass., sez. I, ord. 22 febbraio 2021, n. 4694 (in Rep. for. it., 2021, Fallimento, n.
328 e in Fallimento 2021, p. 926, con nota di COMMISSO).
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Affermata la validità e l’efficacia del mutuo solutorio, posto che l’accredito in conto corrente delle somme erogate è sufficiente ad integrare la
“datio rei” giuridica propria del mutuo e il loro impiego per l’estinzione
del debito già esistente purga il patrimonio del mutuatario di una posta
negativa, la questione sulla quale la giurisprudenza si è soffermata particolarmente riguarderebbe gli effetti che produrrebbe il mutuo solutorio.
La giurisprudenza si è spesso soffermata sulle garanzie dei mutui
solutori, osservando come la successiva costituzione di ipoteca, nella realtà
dei fatti, finisca per garantire esposizioni debitorie già in essere. Ma al di là
della costituzione delle garanzie, l’effetto più interessante che provoca un
mutuo solutorio è quello di dilatare sostanzialmente le scadenze dei debiti
pregressi.
Proprio in questo effetto dilatorio delle scadenze si avverte la funzione
del finanziamento del mutuo solutorio. Si è già detto, infatti, che il finanziamento non ricomprende esclusivamente le ipotesi classiche (e tipiche) di
versamento di una somma di denaro, ma anche quella, frequente nella
contrattazione bancaria, di dilazione di un pagamento immediatamente
esigibile.
In ragione di questo effetto dilatorio provocato dal mutuo solutorio
rispetto ai debiti pregressi e già scaduti, una condivisibile giurisprudenza
ha affermato che il mutuo solutorio concretizzi, invero, la figura del pactum de non petendo ad tempus (53) che comporterebbe, fissando una nuova
scadenza dei debiti, una mera modificazione accessoria dell’obbligazione
(ex art. 1231 c.c.) e non una novazione (ex art. 1230 c.c.).
Di conseguenza, in pendenza di una liquidazione giudiziale, il solo
mutuo solutorio sarebbe del tutto insufficiente a supportare la domanda
di ammissione al passivo per la restituzione delle somme di danaro, essendo necessario, invece, fare riferimento al titolo che in origine è stato alla
base dell’erogazione delle somme a credito e, quindi, all’iniziale scoperto
di conto corrente.
Un diverso e più recente orientamento giurisprudenziale (54), meno
condivisibile, afferma che il mutuo stipulato per ripianare il debito pre-
(53) Cass., sez. I, ord. 5 agosto 2019, n. 20896 (in Rep. For. it. 2019, Banca, credito e
risparmio, n. 154 e in Riv. dir. risparmio 2020, 1, p. 300, con nota di LUCERI); Cass., sez. I,
sent. 25 gennaio 2021, n. 1517 (in Rep. for. it., 2021, Mutuo, n. 30; in Foro it. 2021, I, c.
1263; in Riv. dir. risparmio 2021, 1, p. 259; in Giur. it. 2021, p. 1883, con nota di Lombardo; in Corriere giur. 2021, p.1330, con nota di Colombo; in Banca, borsa e tit. cred. 2021,
II, p. 808, nota di CAPPAI).
(54) Cass., sez. III, sent. 25 luglio 2022, n. 23149, in Giustiziacivile.com, 2022, 5, nota
di Pezzella.
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gresso del mutuatario verso il mutuante è un contratto autonomo e differente rispetto ai precedenti finanziamenti (55).
A fondamento dell’effetto novativo che deriverebbe dal mutuo solutorio, tale orientamento afferma che frequentemente le condizioni economiche pattuite dalle parti contestualmente al finanziamento si presentano
più favorevoli per il cliente rispetto a quelle contenute nel contratto da cui
ha avuto origine il debito da estinguere; ancora, il nuovo finanziamento
spesso prevede maggiori garanzie concesse dal mutuatario a fronte di un
tasso di interesse più conveniente.
Per la sola ragione di un aliquid mutandi consistente in condizioni
economiche differenti e in un rafforzamento del vincolo derivante da
garanzie reali, la recente giurisprudenza afferma che il mutuo solutorio
non può considerarsi alla stregua di una mera dilazione, perché altrimenti
dovrebbero trovare applicazione le condizioni economiche pattuite nel
contratto da cui ha avuto origine il debito da “dilazionare”, con «conseguente pregiudizio per il mutuatario e mortificazione della libertà negoziale». In altri termini, per questa giurisprudenza, il tasso-soglia cui rapportare l’operazione di mutuo solutorio, ove si aderisca alla tesi del pactum
de non petendo ad tempus, dovrebbe essere quello del primo finanziamento, non estinto ma solo dilazionato dalle parti.
Il recente orientamento non convince affatto. Esso non tiene conto sia
della realtà dei fatti e sia della normativa codicistica, laddove proprio
all’art. 1231 c.c. fa espresso riferimento alla modificazione accessoria dell’obbligazione che, come tale, non produce novazione e tra le diverse
modificazioni non novative di un rapporto obbligatorio sono state annoverate, dalla stessa giurisprudenza già richiamata, l’apposizione di condizioni economiche, la modificazione di clausole relative al tasso di interessi
e l’aggiunta di garanzie.
In particolare, la recente giurisprudenza fa riferimento proprio al mutamento quantitativo (e non qualitativo) delle prestazioni per affermare un
(inesistente) effetto novativo del mutuo solutorio. A bene vedere, con
quest’ultimo contratto alcuna sostituzione dell’oggetto o del titolo si avverte, anzi il rapporto obbligatorio (avente come titolo proprio il contratto
(55) Questo orientamento manifesta una certa intolleranza nel considerare il mutuo
solutorio alla stregua di un patto, ossia alla stregua di un accordo che si limita ad incidere su
uno o alcuni aspetti di un rapporto che le parti avevano già disciplinato nel preesistente
contratto di finanziamento, affermando l’esistenza di un vero e proprio contratto, avente un
più elevato grado di autonomia, che esplichi efficacia novativa rispetto al precedente rapporto.
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di finanziamento e per oggetto la somma di denaro), pur modificato,
conserva la propria identità anche dopo la conclusione di un contratto
solutorio.
Mancherebbe, per qualificare il mutuo solutorio in termini di novazione, sia l’aliquid novi (ossia un nuovo titolo o un nuovo oggetto che
sostituisca quelli precedenti), ma anche l’animus novandi, posto che nei
contratti di mutuo solutorio non si rintraccia alcuna espressa e inequivoca
volontà di estinguere l’obbligazione precedente. La stessa Suprema Corte
di Cassazione, infatti, afferma che generalmente il mutuo solutorio non fa
alcun riferimento né alla destinazione della somma erogata (e, difatti, non
può parlarsi di un mutuo di scopo) e né tantomeno al passivo pregresso
che il mutuatario ha nei confronti del mutuante (56), e, per tale ragione,
non si comprende come il mutuo solutorio possa provocare un effetto
novativo, mancando addirittura riferimenti ai precedenti rapporti.
In questi termini, non può che affermarsi che il mutuo solutorio, cosı̀
come ogni altro patto di moratoria o pactum de non petendo ad tempus,
provochi solo un effetto modificativo di un precedente rapporto obbligatorio.
In conclusione, si nota che, ancora oggi, la tesi che afferma la dilazione
come una mera vicenda modificativa del rapporto obbligatorio (57) è in
grado di sopravvivere allo stress test che la nuova prassi bancaria e commerciale pone. Anzi, la tesi, che qui si condivide, offre ancora le migliori
soluzioni ai problemi attuali.
(56) Cass., sez. I, sent. 25 gennaio 2021, n. 1517, cit.
(57) Si aderisce cosı̀ alla tesi proposta da P. PERLINGIERI, La dilazione come vicenda
modificativa del regolamento del rapporto, cit.