Aldo Rizza
DECADENZA
Non si può addomesticare una tigre e, forse, neppure un gatto
Una malattia grave, il cui sintomo più evidente sta in una decadenza, forse irrimediabile,
caratterizza la vicenda europea. L’hanno capito persino gli economisti. Infatti, Padoa
Schioppa, in un suo recente libro, acutamente osserva che l’Europa ha i conti in regola – dal
punto di vista economico, industriale, della ricerca e dell’innovazione non ha infatti, nulla da
invidiare agli Stati Uniti, alla Cina e all’India (e questo non soltanto potenzialmente, ma di
fatto, attualmente) – ma è come se fosse bloccata, ripiegata su se stessa, malinconica. La
diagnosi è perfetta, anche se il termine “malinconia” non è adatto a descrivere il malessere
dell’Europa. Infatti, Kant nel descrivere il tipo melanconico dice:
“Egli considera con indifferenza il cangiar delle mode, e con disprezzo il loro luccichio.
Sublime è l'amicizia, e perciò essa si addice al suo sentire; egli può forse perdere un
amico incostante, ma questi non perderà lui tanto presto: persino il ricordo di un
amicizia spenta rimane onorevole per lui. La loquacità è bella, la riservatezza pensosa è
sublime: quest'uomo sarà buon custode dei segreti propri ed altrui. Sublime è la veracità,
ed egli ha in odio il mentire o il dissimulare. Egli ha un alto sentimento della dignità
della natura umana: apprezza se stesso, e ritiene ogni uomo creatura degna di rispetto.
Non sopporta nessuna abietta ossequiosità, e libertà spira nel suo nobile petto: tutte le
catene a partire da quelle dorate che si portano a corte, sino al pesante ferro del galeotto, sono per lui detestabili. È severo giudice di se stesso e degli altri, e non di rado ha
fastidio di sé come del mondo.”.
Se stanno così le cose, allora l’uomo europeo del terzo millennio non è certo un tipo
melanconico.
Non è neppure nostalgico poiché oggi possiamo scorgere, diffuso, un caratteristico disprezzo
per il passato, una dimenticanza che la moltiplicazione impazzita delle “giornate della
memoria” non soccorre. Se fosse veramente nostalgico sarebbe anche, in un certo senso,
reazionario. Ma non si vede in Europa la volontà di tornare violentemente indietro verso
un’epoca eletta a modello eterno.
Ė dunque rivoluzionario? Si protende con coraggio ed impeto verso un mondo nuovo, sperato e
sognato? Un mondo utopico? Direi proprio di no. C’è infatti un’indifferenza profonda per il
futuro: si vive con l’idea che apres nous, le deluge. Il tramonto delle ideologie rivoluzionarie
ne è il sintomo più evidente.
Ma cerchiamo di chiarirci la fisionomia dell’uomo europeo. Egli non è melanconico né
nostalgico, né rivoluzionario. E allora?
Ora, nel grande e complesso movimento della restaurazione europea, dopo la lunga crisi
rivoluzionaria e bonapartista, abbiamo visto prevalere, in genere, due correnti principali:
quella rivoluzionaria, che continuò cercando le nuove strade dei nazionalismi e dei socialismi
e quella della reazione, intesa come sforzo di ricostituire l'ordine perduto riproponendo
mentalità ed istituzioni del passato. Entrambe queste correnti furono e sono – là dove ancora
proseguono – caratterizzate da una forte componente utopica. Ma oltre queste vie, ne
possiamo scorgere una terza, tutta italiana, e che chiameremo quella del Risorgimento1. Il
concetto di Risorgimento appare intimamente legato a quello di Tradizione.
Per «Tradizione» si intende: ciò che si trasmette, ciò che viene consegnato. E' chiaro che non
si può far dipendere il valore dalla tradizione; una cosa non ha necessariamente valore sol
perchè venga trasmessa2. Ad esempio, in quella societas latronum che è la mafia, vi è bensì
la trasmissione, ma ciò che si trasmette è tutt'altro che un valore.
Ora, è bene che un valore si trasmetta, si consegni di generazione in generazione: e ciò
avviene comunque, perchè il bene è diffusivo di sé. Ma, appunto, la trasmissione non basta a
rendere valore ciò che non è tale. E' il valore che fonda la tradizione e non viceversa.
Che cosa significa allora valore tradizionale? Esistono dei valori assoluti, sovrastorici, che
proprio per questo vanno consegnati alle generazioni successive. Non si tratta di oggetti,
anche se noi custodiamo alcuni oggetti con venerazione; ma gli oggetti possono essere segni
di qualcosa che li trascende e, nello stesso tempo, li fonda. A volte, anzi, dietro la minuziosa
cura e salvaguardia dei monumenti del passato, delle opere d’arte e perfino di intere città, si
nasconde un’impotenza della creatività (in questo senso sono molto illuminanti le
considerazioni di Nietzsche nelle Considerazioni inattuali sulla Storia).
C'è tradizione dove una comunità crede in un ordine immutabile voluto da Dio e che Dio
stesso rispetta. La sua autorità - e in ciò consiste il vero senso del termine autorità distinto da
quello di potere - non è, infatti, imposizione repressiva. Non può trattarsi di un'imposizione
repressiva perchè si tratta di un ordine increato, oggetto di una comprensione non sensibile,
anche se ha bisogno di segni sensibili. All'autorità3 di una tradizione si può offrire, o no, il
proprio libero consenso; mentre il potere si può semplicemente subire o combattere.
La rivoluzione e la reazione dal canto loro, ragionano ultimamente in termini di potere
poiché intendono imporre utopisticamente un ordine sperato o rimpianto, e quindi, entrambe
non sono in consonanza con l'autorità di una tradizione. I reazionari (anche se si dicono
tradizionalisti) pensano di difendere la tradizione, ma non tengono alcun conto del libero
consenso; essi risolvono con l'imposizione ciò che deve maturare lentamente nei cuori e nelle
menti.
Del Noce opponeva alla mentalità rivoluzionaria e a quella
reazionaria, l’atteggiamento risorgimentale che i nostri pensatori
degli inizi dell’800 avevano delineato. Dirà il Gioberti:
“Il carattere proprio del cattolicesimo non è l'autorità, ma la
tradizione. Il protestantesimo si fonda sulla Scrittura. Il
cattolicesimo gesuitico all'autorità individuale di uno o di
pochi. Il razionalismo sulla ragione individuale di tutti... La
1
Il prof. Riconda ci ha dato sul Risorgimento un bel saggio, la cui lettura mostra la posizione di Del Noce
riguardo al Risorgimento (A. Del Noce e l’idea del risorgimento, in Quaderni della fondazione Del Noce 20052006, Morcelliana, Brescia). Per un approfondimento ulteriore del concetto in sede storica, mi permetto di
consigliare il mio libro “Per un’interpretazione del Risorgimento italiano e del fascismo.” L’ARCA, Torino
2001. Dove anche si insiste sulla ispirazione giobertiana delle pagine di Del Noce. Forse è qui uno dei tanti
luoghi nei quali Del Noce trova un rapporto non trascurabile con G. Gentile. Con Riconda organizzammo
proprio nel un bel convegno a Savigliano sul tema del Risorgimento.
2 Ne il Gattopardo il principe Salina morente, fatto venire il sacerdote dice: “Ciò che si deve fare deve essere
fatto.” Espressione che può essere interpretata in vari modi, anche in quello di una religione civile secondo la
celebre tripartizione varroniana di religione dei filosofi, dei poeti e della città o politica (l’obbligo di osservanza
di quest’ultima si fa ascendere ad Anassimene). Tutti, in quest’ultimo caso, anche coloro che non credono, sono
tenuti per dovere civico ad osservare il culto tradizionale. In nome di questa religione civile, accusandoli di
empietà, i pagani non ebbero esitazione a perseguitare i cristiani. In una parola ecco gli “atei devoti”. Tutto ciò
non ha niente a che fare con l’adesione libera ad una Tradizione viva. A meno che, naturalmente, quella degli
atei devoti non sia una posizione transitoria, un passo verso una conversione autentica.
3 Su Autorità e potere, l’Associazione A. Del Noce ha celebrato un convegno nel 2000 e ritengo che la nostra
rivista farebbe bene a pubblicarne le relazioni.
tradizione è l'anima del cattolicesimo. Parola viva non morta. Progressiva non
istintiva. L'autorità cattolica non è valida, se non in quanto esprime la tradizione. Da
lei trae la sua forza. Non è l'autorità che determini e autorizzi la
Augusto Del Noce
tradizione, ma la tradizione che legittima l'autorità.”
All'idea di Risorgimento si accompagna allora quella di «restaurazione» di un ordine ideale
ed eterno che sarebbe stato violato (quando, come?). È essenziale rispondere a queste
domande nell’atto stesso di porsi come compito quello di riprendere un cammino interrotto,
quando con simpatia ci si ponga come sforzo la ripresa dei valori tradizionali. Il
Risorgimento non nega il passato (come fa invece la mentalità rivoluzionaria), neppure si
spinge ad un violento ritorno nel passato (come al contrario si prefigge la reazione). La
prima è empia, mentre la seconda “sembra voler escludere che l'eternità dei principi
consenta la novità dei problemi”.
Lo sforzo di riprendere i valori della tradizione, può fare apparire il Risorgimento come
un’azione rivoluzionaria, ma non è così. Esso, fu, infatti, un vasto movimento destinato ad
abbattere un sistema globale non più riformabile. Ma, mentre il rivoluzionario concepisce la
propria azione come liberazione politica da un ordine sociale, che produce necessariamente
alienazione, il Risorgimento riprende l'antica tematica della renovatio, del ritorno ai principi:
non "parto" come spera la rivoluzione, ma "resurrezione" dell’Italia, dell’Europa, del mondo.
Risorgimento sta, quindi, ad indicare che i popoli possono risollevarsi e liberarsi
dall'oppressione domestica o straniera, soltanto riscoprendo ed approfondendo le proprie
tradizioni. E mentre la reazione difende disperatamente il passato (una vera e propria
paleomania) e volge le spalle al presente e al futuro, il Risorgimento, che intende ritornare
alla tradizione, si muove dal punto di vista dell'eterno.
L'eterno e non esclusivamente il passato o l'avvenire4. L’idea di Risorgimento è dunque
inclusiva, non esclude, abbraccia, poiché non rinuncia all’orizzonte della verità. Rinuncia che
spiega il nichilismo dell’attuale mentalità europea: la ricerca, cioè di una libertà senza verità5.
Una neomania eccitata
Luigi Giussani
Ma questa spinta dinamica al ritorno, a ciò che è eterno, sembra essere
del tutto assente nell’attuale vicenda europea. Anzi trionfa l’ansia del
nuovo; una neomania eccitata, non certo entusiasta; e quindi vuota.
Non, quindi, malinconia, nostalgia, reazione, rivoluzione o passione
per la tradizione e l’eterno. Quest’umanità d’Europa vuole, nella sua
eccitazione (che pure non riesce a nascondere la mancanza del
desiderio di una vita autentica), semplicemente “durare”, vuol essere
lasciata tranquilla.
L’esatto contrario dell’uomo descritto da Sant’Agostino: “Il mio cuore
è inquieto fin che non riposi in te.” La conseguenza di
quell’inquietudine fu la ricostruzione cristiana dell’Europa dopo il
In ciò mi pare emergere la linea Platone - Gioberti – Mazzantini (l’identico sempre diverso e la lotta per
l’evidenza di Mazzantini, spiegano il percorso di Del Noce in questo platonismo che non rinuncia certo ad
Aristotele, non confonde cristianamente intelligibile e soprannaturale, conservando ferma la dottrina della
distinzione fede e ragione formulata dal platonico-aristotelico San Tommaso) che caratterizza il nucleo più vero
del pensiero di Del Noce, come del resto egli mi diceva e scriveva.
5 Bene ha detto Rocco Buttiglione in Senato, nel corso del dibattito sul discorso di Benedetto XVI a Ratisbona:
“L’occidente sembra essersi arroccato su una difesa della libertà senza verità, mentre l’Islam vuole imporre
una verità senza libertà.” Più autorevolmente ancora Benedetto XVI all’inaugurazione dell’anno accademico
dell’Università Lateranense.
4
disastro della caduta di Roma6. La caduta dell’Europa sembra, invece senza rimedio. Era
l’augurio che ci faceva don Giussani: “Siate inquieti!”
C’è una decadenza senza reazione, un ripiegamento inarrestabile, senza spinta verso il futuro e
nessun desiderio di riscoperta dell’eterno (non di ciò che è vecchio, ma dell’antico). Non si
tratta, infatti di amare ciò che è vecchio, ma di cercare ciò che è eterno.
In sostanza sembra che il tipo d’uomo della decadenza attuale dell’Europa non abbia alcuna
caratteristica riconducibile ad una delle categorie che fino a non molto tempo fa, ancora,
parevano offrire la possibilità di comprensione della società e della sua storia. Semplicemente il
vuoto sembra caratterizzare la fisionomia dell’uomo europeo del terzo millennio. La nostra
sembra una decadenza dalle caratteristiche nettamente dissolutorie.7
Sarebbe tuttavia ingenuo pensare ad una malattia dell’Europa e ad un suo tramonto definitivo
scorgendone le cause in avvenimenti, in scelte recenti. Il processo è iniziato molto tempo fa e,
forse, deve percorrere l’intero suo corso. Forse, addirittura, l’Europa è morta da tempo e gli
europei, le classi dirigenti e i popoli d’Europa ancora non se ne sono accorti.
Del resto l’assenza dell’Europa – non certo compensata dal permanere sulla scena dei vecchi
Stati nazionali e di alcune delle loro velleità – è il fatto sintomatico che caratterizza l’attuale
scena mondiale.
In realtà l’Europa, che si è suicidata – dopo una lunga malattia – nella prima guerra mondiale e
nel suo prolungamento successivo dal 1939 al 1945, non soltanto non è più il centro del
mondo, ma il disagio profondo, lo svuotamento che avvertiva da molti secoli ha trovato nella
tragedia ultima il suo necessario sbocco.
Dobbiamo dare atto a Nietzsche di aver chiaramente avvertito che “il deserto cresce” e che
questo stesso deserto ha il suo cuore in Europa.
Se poi solo pensiamo al fatto che a partire dal 1500 – la spinta europea verso occidente (nelle
Americhe) e l’oriente (in Asia)8 – l’Europa è divenuta la forma del mondo, proprio mentre si
divideva (la riforma, la modernità, la crisi e la fine della sua unità spirituale, ma anche prima
con la lotta insensata tra Chiesa ed Impero) e, quindi, la sua malattia si è diffusa sulla terra
intera, allora cominceremo a comprendere che la sua decadenza attuale investe
necessariamente il mondo intero. A questa decadenza, oggi, l’Islam cerca disperatamente di
reagire, ma nella sua stessa disperazione si possono scorgere le stigmate dello stesso male che
ci ha fatto concludere nel deserto di cui parlava Nietzsche. Con questo si vuole dire che se
l’Europa non è più, politicamente ed economicamente il centro del mondo, il suo problema
spirituale e culturale è centrale per il destino del mondo intero.
Il nazionalsocialismo come cura
Ora proprio nel nostro continente, a partire da Nietzsche, si è sviluppata
una mentalità che nella disperazione dell’ora pensò di ribaltare il
cammino di decadenza, di debolezza estenuata.
La memoria di questa mentalità reattiva, ma non reazionaria (nel senso
che essa rappresentò un’unilateralizzazione della modernità e non un
tentativo reazionario) viene oggi semplicemente “rimossa” senza
6
In un libro, che vorrei ripubblicare, di p. Ceslao Pera o.p., La via di Dio secondo i Padri, ci sono pagine che
illustrano il luminoso cammino e la sintesi che ha condotto alla fondazione dell’Europa. Utili per dare un
fondamento sicuro alla discussione sulle radici cristiane, greche e romane dell’Europa stessa.
7 Esito nichilistico che Nietzsche (ma anche molti altri tra i quali Dostoievskji) avevano visto e mostrato. Con la
differenza che per Nietzsche il Cristianesimo sarebbe l’origine di questa malattia, per noi l’unica via possibile di
guarigione.
8 Consiglio lo splendido saggio di Vittorio Mathieu, L’avventura, spirito dell’Europa (Guida, 1989).
riflettere sulla sua tragica dinamica e fine che ha coinvolto il mondo moderno mostrando, con
l’errore e l’orrore, le radici oscure della malattia.
Per comprendere come la rimozione di un problema autentico giochi un ruolo
straordinariamente importante nell’attuale vicenda europea, si deve quindi porre mano ad una
rivisitazione della tragedia che ha condotto, con l’esito catastrofico della seconda guerra
mondiale, alla scomparsa dell’Europa dalla scena mondiale.
Il problema è rappresentato dalla decadenza (forse meglio adatta alla nostra comprensione
rispetto a quella di tramonto9) che sembra essere la cifra per scorgere le vere dimensioni e i
possibili esiti della vicenda europea. Ma anche per opporsi e reagire a ciò che sta avvenendo
sotto i nostri occhi10.
Allora, tra i tentativi di risposta all’autentico problema rappresentato dalla decadenza
dell’Europa, meglio di altri momenti ed eventi storici, il nazionalsocialismo (che Günter
Grass descrive come enigma), può servirci nel percorso intorno alla crisi11 dell’epoca nostra;
percorso che intendiamo iniziare da questo numero della nostra rivista.
Queste pagine nascono dalla convinzione che i tentativi di sottrarre Nietzsche al dibattito
storico sul nazionalsocialismo siano destinati al fallimento, ma che, nello stesso tempo,
rappresentino la permanenza di un equivoco destinato a condurci alla ripetizione di ulteriori
errori sulla stessa strada.
Il nazionalsocialismo si fondò sull’idea che la decadenza fosse rappresentata da due minacce.
Una esterna e l’altra interna all’Europa e alla Germania.
Quella interna spiegava la debolezza nell’affrontare quella esterna. Ma chi minacciava,
minandola dall’interno, dal suo stesso spirito, la centralità dell’Europa e, in questa centralità
stessa, del suo cuore, cioè i popoli di stirpe germanica? A noi qui interessa soltanto quel
nemico interno, che Hitler pensava di aver individuato come il principale responsabile della
decadenza del popolo germanico e dell’Europa. Ed è proprio qui che incontriamo Nietzsche.
Così come l’estremizzazione delle tesi del Rousseau si incontrano in Robespierre, la lettura di
Nietzsche spiega la determinazione disperata di Hitler. Terrore in Robespierre, lotta e sterminio
in Hitler. Ce n’è abbastanza per giustificare l’affermazione di Pio XII, secondo cui l’epoca
moderna sarebbe barbara e selvaggia.
L’idea che il nazionalsocialismo – idea diffusa nella vulgata marxista comunista del periodo tra
le due guerre e dopo il secondo conflitto mondiale – sia stato un movimento reazionario al
servizio del grande capitalismo, contrasta con due realtà: la prima è che il capitalismo è parte
della mentalità rivoluzionaria (forse ne è il cuore); la seconda è che il nazionalsocialismo si
servì della borghesia capitalistica, non la servì. Entrambe – mentalità borghese e
nazionalsocialismo – appartengono alla modernità12.
9
In una sua celebre risposta ad Ugo Spirito, Augusto Del Noce preferì parlare di eclissi piuttosto che tramonto
della tradizione e, quindi, dell’Europa. Dal mio punto di vista preferisco il termine decadenza e dissoluzione,
nel senso di un processo che potrebbe non avere un termine, ma che anche può risolversi in una ripresa. Una
volta p. Sorge SJ mi disse: “Siamo giunti al fondo e… lo stiamo esplorandolo.”, nel senso di una dissoluzione
che sembra non trovare rimedio.
10 Maurizio Blondet, in un suo libro molto discusso, Gli Adelphi della dissoluzione, strategie del potere
iniziatico, mostra come una certa mentalità abbia stretto, in un progetto comune, punte avanzate della cultura
europea ed italiana, nella convinzione della necessità di rinunciare a reagire contro ogni elemento di
dissoluzione e di porre ogni sforzo nella lotta contro la Chiesa, che invece rappresenterebbe un baluardo di
resistenza alla deriva.
11 Intendiamoci crisi è un termine ambivalente, nel senso che esso evoca da un lato una perdita, dall’altro, però
anche un’opportunità. Anche se non in tutti i sensi, almeno in quello di una caduta di elementi non necessari; di
uno spogliarsi e semplificarsi delle mentalità.
12 Non intendo qui riferirmi alla strepitoso sviluppo scientifico e tecnico di cui fu capace la Germania
nazionalsocialista – sviluppo accompagnato da successi che destano ancora oggi stupore – ma soprattutto a
quelle disposizioni legislative in tema razziale che, lungi dall’appartenere al passato, sono l’esito della
L’idea del “Tramonto”
Nella seconda metà dell'Ottocento si diffonde la convinzione che l’Europa stia avanzando
irresistibilmente verso il progresso: le scoperte della scienza e le invenzioni della tecnica
producono benessere e sicurezza crescenti per strati sempre più vasti della popolazione e il
dominio coloniale porta alla crescita di un senso di superiorità razziale che alimenta gruppi
movimenti ed intellettuali soprattutto francesi e inglesi. I maggiori teorici del razzismo
sorgono appunto nelle grandi potenze imperiali quali la Francia e l’Inghilterra (oltre che negli
Stati Uniti13). A ciò si accompagnano alcuni fenomeni, spesso interpretati anch'essi come
segno di modernità progressiva: la diffusione dell'istruzione pubblica, una legislazione
sociale volta a proteggere anche i ceti più deboli, l'estensione crescente del diritto di voto,
auspicato anche per le donne.
Di fronte a questi processi alcuni riflettono in senso contrario, scorgendovi il segno di
un’inevitabile decadenza, verso il baratro di una dissoluzione inevitabile. In questo quadro
comincia a essere posta la domanda se ciò rappresenti un reale progresso oppure sia solo lo
stadio terminale di una malattia che ha colpito l'Europa. Chi più radicalmente si pose questo
interrogativo fu appunto Nietzsche. Con il trascorrere degli anni la sensazione di un pericolo
imminente si fece più acuta. Questa idea di una dissoluzione della civiltà europea alla fine del
XIX secolo e nel Novecento – soprattutto dopo la prima guerra mondiale – era dunque molto
diffusa.
Certo tra tutti gli autori che in qualche modo la segnalarono, spicca Oswald Spengler con la sua
prognosi della storia.
“Noi uomini del secolo ventesimo, percorriamo visibilmente un cammino
in discesa.”
Oswald Spengler
Questa la percezione che egli ebbe della nostra Europa (nella quale egli,
come del resto Hitler, comprendeva anche gli Stati Uniti). Infatti, riteneva
che nella vita degli individui e in quella della storia umana sia dato
individuare gli stadi che devono essere attraversati. Una civiltà nasce,
raggiunge la sua piena forma e… muore:
modernità positivistica. Ad esempio la legge del 1933 per la prevenzione dei difetti ereditari, era esplicitamente
fondata sul modello statunitense di Harry Laughlin - al quale il governo del Reich nel 1936, concesse la laurea
ad honorem dell’Università di Heidelberg.
Del resto la prima legge di sterilizzazione di “criminali, imbecilli, idioti e stupratori” fu adottata sempre negli
Stati Uniti (Indiana) nel 1907 e poi in vari modi estesa ad altri Stati dell’Unione (ben 30) e dichiarata
costituzionale dalla Corte Suprema nel 1927. Si sa che solo negli anni ’30 negli States vennero sterilizzate circa
60.000 persone. Nel 1916 era inoltre comparso un libro significativo di questo processo di accentuazione della
modernità, di un intimo amico del presidente Thoedore Roosevelt, Madison Grant dal titolo: “Il passaggio della
grande razza.” Libro che Hitler stesso elogiò e del quale si congratulò con lo stesso autore. Autore che di questo
elogio si lusingò assai. Ricordo tra l’altro l’introduzione dell’eutanasia e simili. Dirà Hitler nel suo testamento –
redatto nel febbraio-Aprile del 1945 – che: “noi non ci siamo voltati indietro a guardare con nostalgia un
passato ormai respinto.” Dichiarazione, questa, molto “moderna” e rivoluzionaria.
13 Gli studi di Raimondo Luraghi sulla guerra civile americana hanno ben messo in rilievo come la società
schiavista del Sud non fosse razzista, al contrario il razzismo sarebbe emerso dopo la guerra e la sconfitta fra gli
strati inferiori della popolazione bianca del Sud e nelle grandi città del Nord, che isolarono i neri negli
sterminati ghetti delle grandi città industriali.
“Giacché ogni civiltà ha una sua civilizzazione. […] La civilizzazione è l’inevitabile
destino di una civiltà. […] le civilizzazioni sono gli stadi più esteriori ed artificiali di cui
una specie umana superiore è capace. Esse rappresentano una fine, sono il divenuto che
succede al divenire, la morte che segue alla vita, la fissità che segue all’evoluzione;
vengono dopo il naturale ambiente e la fanciullezza dell’anima […] Esse rappresentano
un termine: sempre raggiunto secondo una necessità interna da qualsiasi civiltà.14”
Dinamica, creativa, espansiva e profonda, la civiltà si tramuta in civilizzazione allorché venga
meno questa vitalità e si giunga ad una mera espansione di un modello, attraverso il dominio
della tecnica e il trionfo di una visione esclusivamente pratica (organizzazione innanzitutto e
tecnica).
“La civilizzazione pura come processo storico consiste in una utilizzazione metodica di
forme divenute inorganiche e morte.15”
Saremmo, dunque al capolinea. Qui, un’epoca di ferro si apre e sorgono uomini forti i quali,
tuttavia, non sono il sintomo di una rinascita, ma quello di una fine imminente. Essi sorgono
nell’ultimo intento di arrestare i processi che sempre si legano al tramonto o se ne pongano a
capo cavalcandone le dinamiche. In tale ultimo periodo il mondo si oscura e la vita sembra
essere assorbita dalle grandi metropoli. Invece di un popolo formato, legato alla terra, ecco un
nuovo nomade, un parassita.
Domina la scena del tramonto un uomo pratico, senza tradizione, ripreso in una massa informe
e fluttuante: l’uomo irreligioso, intelligente, irrimediabilmente infecondo. La metropoli
significa, per Spengler, il cosmopolitismo in luogo della patria, il freddo senso pratico in luogo
del rispetto per ciò che è tradizionale e innato, l’irreligiosità scientista come dissoluzione del
precedente fervore religioso. In questo clima ciò che è organico finisce col soggiacere
all’organizzazione che sempre più si diffonde nelle epoche di civilizzazione. Un mondo
artificiale pervade e avvelena il mondo naturale16.
Illuminanti, per la comprensione della estensione mondiale, globale, della tecnica e del
modello di cui Spengler parla nel 1931, sono le pagine di un romanzo celebre: Il padrone del
mondo scritto nel 1907 dall’inglese Benson17, dove l’organizzazione globale dell’umanità
conduce al suo spegnimento. E’ vero che questo mondo – che era per Del Noce il mondo
dell’irreligione e, quindi, il mondo finale che ha cancellato ogni residuo, pur utopico, di
religione – potrebbe riuscire vittorioso sul Cristianesimo, estendendo alle masse la notizia
della morte di Dio di cui Nietzsche parla ne La Gaia Scienza, ma questa vittoria sarà anche la
sua fine. L’organizzazione raggiunge il suo culmine come organizzazione della morte.
Quindi senz’altro ha ragione E. Severino quando afferma:
“Nella situazione attuale della cultura, l’unico pericolo per il Cristianesimo è che
l’invenzione scientifica riesca effettivamente a produrre un regno dove l’uomo si sia
liberato alla morte, dal dolore, dal rimorso, dall’infelicità, dalla bruttezza e abbia
raggiunto la gioia”,
O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, Longanesi, Milano 1957 p. 77.
Ibidem, p. 78.
16 L’organizzazione e la tecnica diventano la religione dei tempi ultimi di una civilizzazione: “la fede nella
tecnica diviene una religione materialistica: essa è eterna come il Padre, redime l’umanità come il Figlio, ci
illumina come lo Spirito Santo.” (Spengler in Ascesa e declino della civiltà delle macchine, 1931).
17 Pubblicato in Italia da Jaca Book. La linea di Benson viene riproposta successivamente dall’autore di 2001
Odissea nello spazio, che nel suo efficace romanzo Le guide del tramonto, ha il vantaggio di fare i conti con
l’esperienza degli sviluppi sconcertanti e terribili della tecnica dopo il primo e secondo conflitto mondiale.
14
15
cioè abbia perduto la propria umanità e raggiunto più la noia che la gioia. Ciò significa che la
lotta ultima sarà contro il dominio che la mentalità scientista, tecnocratica ed economicistica
estesa al mondo intero; cioè contro il positivismo. D’altra parte l’organizzazione diviene
necessaria allorquando lo spegnimento di ogni valore getti nel disorientamento e nel caos
(non c’è più alcuna gerarchia o senso nelle cose): l’organizzazione, la smania di organizzare
(razionalizzare) ogni aspetto della vita, compresa la morte (testamenti biologici, eutanasia,
etc.), denuncia la crescente preoccupazione per il caos che cresce. Ma l’organizzazione
diviene organizzazione del caos, non ristabilimento di un cosmo.
A partire da tutto ciò è inevitabile che tutte le questioni divengano “questioni di denaro”. La
politica rinuncia a guidare e passa la mano all’economia. La quantità trionfa sulla qualità. E in
politica la democrazia su tutte le altre forme di governo. Una democrazia che diviene subito
assoluta, la forma più violenta di tirannide. I grandi uomini forti del tramonto sono tutti
democratici: fascismo, nazismo, comunismo, tecnocrazia, sono tutte democrazie, cercano
l’assoluta democrazia come forma ultima di governo non delle masse, ma della massa.
Tentativi ultimi di governare processi irreversibili. Nell’uomo di una civiltà la forza è rivolta
all’interno, in quello di una civilizzazione è rivolto all’esterno.
Il passaggio alla civilizzazione, l’Europa moderna, l’avrebbe compiuto – sempre secondo
Spengler – nel XIX secolo quando si pensava che “l’espansione è tutto18”. Stati Uniti e Unione
Sovietica sono per Spengler (ma anche per Heidegger) le punte avanzate di questo processo di
discesa:
“E tanto negli Stati Uniti quanto nella Russia bolscevica stessa dittatura dell’opinione
pubblica che, imposta dal partito o dalla società, abbraccia tutto quel che in occidente
viene rimesso alla volontà del singolo: amoreggiamento e pratica confessionale, scarpe e
cosmetici, balli e romanzi di moda, pensieri e cibi e divertimenti. Tutto uguale per tutti.
Esiste un tipo – maschile, e sopra tutto femminile – di americano standard, normalizzato
nei tratti psico-somatici e nel modo di vestire. Chi si ribella a questi moduli fissi, chi osa
criticarli apertamente, incorre nella disistima generale, a New York come a Mosca.
Infine vi si incontra un modello quasi russo del socialismo di Stato o del capitalismo di
Stato, rappresentato dalla massa dei trusts, i quali in modo analogo alle dirigenze
dell’economia in Russia, pianificano produzione e consumo fin nei dettagli. […] È la
faustiana volontà di potenza, ma tradotta dal dominio di una crescita organica a quello
di uno sviluppo meccanico e disanimato.19”
Non deve stupire il fatto che Hitler leggesse la decadenza come un fenomeno mondiale, come
pericolo mortale che in Francia, Russia e nelle democrazie in genere (o socialiste o
rappresentative, non ha importanza) aveva raggiunto uno stadio forse irreversibile. Processo
di decadenza che ai suoi occhi si apprestava a colpire il cuore dell’Europa: la Germania. Ma
in Germania esso gli sembrava assumere forme estreme, dal momento che essa si era formata
come baluardo della tradizione e della modernità insieme, soggetto di una rigenerazione
mondiale che sarebbe dovuta passare appunto, attraverso l’elemento germanico.
Come dice espressamente lo stesso Spengler, i suoi maestri sono stati Goethe e Nietzsche. Dal
primo deriverebbe la sua concezione della natura fino alla sua estensione alla storia delle
civiltà. Da Nietzsche deriverebbe il suo modo di impostare i problemi. In un’epoca di tramonto
all’uomo viene indicato un solo imperativo: quello biologico, di realizzare ciò che corrisponde
alla fase ciclica in cui si trova a vivere. O non esser nulla, o essere ciò che un dato periodo
18 Affermazione questa di Cecil Rhodes. Del resto non si vive nella tensione continua e maniacale
dell’espansione ad ogni costo? Questo espansionismo è sempre micidiale: è essenzialmente guerra, estensione
di un modello che chiuso nel suo ambito originario non è più vitale. E questo anche se si parla di “espansione
economica” e si ragiona di politica soltanto nei termini di PIL.
19 O.Spengler, Anni della decisione; le guerre mondiali e le potenze mondiali.
storico esige, in ogni dominio, sotto specie di un destino. Restano uomini di un tempo, di un
luogo, di una razza, di una tempra personale che vince o soccombe nella lotta.
Direi che questa lezione Hitler l’ha appresa pienamente, tranne per un particolare. Egli, come
Mussolini (che pure le interpretò da un altro punto di vista), apprezzò le tesi spengleriane, ma
ritenne fosse possibile arrestare il tramonto, con un ritorno all’originario biologico. E come
dice lo stesso Spengler l’uomo è naturalmente un predatore. Vale per lui l’unica regola che lo
distingue da una preda, l’aggressività ferina, l’assalto. Impostare così i problemi voleva dire
riconoscere a Nietzsche la funzione di maestro. Ma maestro, in un certo senso fu anche di
Hitler.
Nietzsche e l’origine del nazionalsocialismo
Dunque, Nietzsche maestro! Secondo Augusto Del Noce
nell’interpretazione della dialettica hegeliana di schiavo-padrone, Marx
avrebbe scelto lo schiavo, Nietzsche il padrone. Per Hegel, ciascun
individuo, in quanto autocosciente, vuol farsi riconoscere dall’altro come
assoluto. Di qui la lotta che non ha scopi di utilità materiale, bensì di pura
affermazione di sé:
“… [le opposte autocoscienze] devono affrontare la lotta per elevare a
verità la loro certezza di essere per sé. E soltanto mettendo in gioco la vita
Adolf Hitler
si conserva la libertà.”
Questo tipo di lotta – sostiene Hegel – giunta all’estremo, quando è in gioco la vita, costringe il
vinto a darsi schiavo nelle mani del vincitore. Il darsi schiavo vuol dire, allora, riconoscere fuori
di sé il principio dell’autocoscienza, trasferendo così la propria personalità a un altro,
abbassandosi a cosa di proprietà del vincitore-padrone. A poco a poco, tuttavia, la situazione si
rovescerà. Quindi, mentre per Hegel lo schiavo è destinato a divenir padrone e il padrone
schiavo, per poi ricominciare il ciclo, in Marx (distruzione della borghesia, dei padroni) e in
Nietzsche (distruzione dei superflui, degli schiavi) si concepisce la possibilità che uno dei due
termini possa essere cancellato, annientato, ponendo fine alla circolarità ascendente verso l’intero
di Hegel.
Il popolo di Signori (Herrenvolk) di Hitler sarebbe, allora, un tentativo di attualizzazione
integrale del pensiero nietzschiano; un passaggio dalla diagnosi alla cura, fino allo stermino degli
schiavi.
Una lettura legittima
Non è certamente questa l’unica lettura possibile dell’opera del filosofo tedesco, ma certo una
lettura legittima. Legittima poiché si fonda sull’autentica mentalità dello stesso Nietzsche nella
volontà di potenza; nella sua idea che, alla fine, non si dovesse attenuare la spinta originaria della
volontà, come pensava Schopenhauer, ma semplicemente ci si dovesse spingere ad attraversarla
per condurla così alle estreme sue conseguenze.
Mi rendo conto che l’interpretazione dell’opera filosofo tedesco merita ben altra visione delle
cose. È evidente, che egli scrisse seguendo un unico intendimento e che ogni scomposizione,
frammentazione delle sue opere ed anche accaparramento del suo nome in epoche diverse per
cause diverse, non è dare piena giustizia ai suoi sforzi ed anche alle sue sofferenze. Tuttavia,
credo giusto pormi qui dal punto di vista storico. Far scorgere come il suo pensiero abbia fatto
maturare in alcuni la consapevolezza – forse tragicamente errata – che fosse possibile attuare il
suo pensiero. Non sappiamo se gli avrebbe fatto piacere, anche se resta un ragionevole sospetto
che sì gli avrebbe fatto piacere.
E questo va detto in netto contrasto con i tentativi di parte del pensiero contemporaneo, di
“salvare” Nietzsche separandolo dal nazionalsocialismo. In sostanza un Hitler pazzo avrebbe
conquistato il potere in modo fraudolento, ingannato il popolo tedesco e trascinato il mondo nel
gorgo di una spaventosa catastrofe. Morto Hitler, suicida nel suo bunker della Cancelleria del
Reich, finito il nazionalsocialismo, terminato l’incubo, si potrebbe oggi tornare a un Nietzsche
addomesticato, pronto per essere accaparrato da quelle accademie dalle quali e contro le quali
egli si era staccato polemicamente nella sua randagia esperienza spirituale. Ma addomesticare il
pensiero di Nietzsche sarebbe come pretendere di riconoscere nella vera tigre quella che,
saltando il cerchio di fuoco al comando del suo ammaestratore, si mostra docile e servile, una
diligente esecutrice di ordini, e non invece quella sempre pronta a ritrovare la propria natura
selvaggia ed aggressiva. Alla fine una tigre non può essere addomesticata (e forse neppure un
gatto può esserlo).
Questa la tesi che vorrei mostrare così come mi pare di rilevare negli scritti nietzschiani: prima di
soccombere ogni animale si batte. L’Europa, animale ferito e indebolito, pensò di trovare in
Nietzsche, attraverso Hitler, l’ultima disperata energia vitale per cercare la vita oltre l’abisso
della decadenza e della dissoluzione20. Si deve cioè superare la banalizzazione del
nazionalsocialismo che passa attraverso la dichiarazione della pazzia del suo fondatore, per
intraprendere un cammino a partire dall’idea espressa da Ernst Nolte: c’è un nucleo nel
nazionalsocialismo che si può comprendere razionalmente. Una ricognizione intorno alle sue
radici culturali ci può dare informazioni preziose sullo stato attuale della malattia europea.
Questa allora, forse potrebbe rivelarsi una possibile chiave di lettura per uscire dall’assurda
spiegazione del nazionalsocialismo come frutto della pazzia di Hitler. Infatti, mentre è possibile
dire che il fascismo venne creato in gran parte da Mussolini, Hitler non soltanto non inventò il
partito nazionalsocialista, ma vi aderì21. Salì su un treno in corsa non soltanto politicamente, ma
soprattutto ideologicamente. E la locomotiva di questo treno è senz’altro rappresentata da
Nietzsche. Anche l’incontro di Hitler con il darwinismo si comprende solo attraverso lui22. In
sostanza penso che se ci si pone la domanda: se il dopo Nietzsche debba essere caratterizzato
anche dalla formazione di forze che diano al superuomo un senso che esso ancora non ha? si
possa legittimamente concludere che Hitler ci abbia provato.
Hitler aveva visto con i propri occhi, e dall’interno e non dal punto di vista della vecchia e
stanca aristocrazia asburgica o della borghesia ricca e pasciuta (l’aveva vissuta nei suoi anni di
miseria randagia – aggiunge Fest), questa decadenza nella Vienna dell’anteguerra prima della
crisi del 1914; e l’aveva vista nella Monaco del dopoguerra. Questa debolezza esausta si
incanalava allora nel marxismo e nell’utopia, ma mostrava gli inconfondibili sintomi della
decomposizione del tessuto familiare e sociale. Nel suo Mein Kampf23, egli afferma di essere
stato profondamente impressionato dal clima di dissoluzione che ristagnava su Vienna e dal
movimento marxista che impregnava la città nei suoi ambienti sociali elevati e borghesi, tanto da
esclamare:
20
Ovviamente, in queste pagine, ci concentreremo sul rapporto Nietzsche-Hitler, senza trascurare gli apporti
che al nazismo giunsero da Spengler, Heidegger e da tutta una tradizione che nella filosofia trovò i propri esiti
necessari negli interstizi dei quali è pur sempre aperto lo spazio per una certa libertà. Libertà magari minima,
ma sempre tale da consentire un giudizio.
21 Infatti Mussolini fonda i fasci di combattimento e senza di lui non avrebbe senso parlare di fascismo, Hitler
aderisce al partito della svastica quando esso è già un soggetto politico nella Monaco degli anni ’20.
22 Sarebbe un errore trascurare l’influenza che il positivismo e la scienza positivista esercitarono su Nietzsche.
Anche le sue polemiche nei riguardi del positivismo stesso, e del positivismo tedesco in particolare, non devono
oscurare la sua entusiasta adesione.
23 Dato per scontato che Hitler fosse pazzo, si trascura la lettura del Mein Kampf. Joachim Fest afferma che il
Mein Kampf fu uno dei libri più venduti e diffusi nel mondo, ma che quasi nessuno lo lesse.
“La dottrina semita del marxismo rifiuta il principio aristocratico della natura, e pone al
posto dell’eterno diritto della forza e della potenza il numero , col suo morto peso. Essa
rinnega nell’uomo il valore della persona, mette in dubbio l’importanza del popolo e
della razza, togliendo così all’umanità le premesse della sua conservazione e della sua
cultura.”24
E ancora nel suo testamento nel Febbraio 1945:
“Grazie alla religione marxista [i Russi] hanno tutto ciò che occorre per renderli pazienti. È
stata loro promessa la felicità su questa terra (una caratteristica che distingue il marxismo
dalla religione cristiana)… ma in avvenire. L’ebreo Mardocheo Marx, da quel buon israelita
che era, aspettava la venuta del Messia. Egli inquadrò la concezione del Messia nel
materialismo storico, asserendo che la felicità sulla terra è uno dei fattori di un processo
evolutivo quasi senza fine […] l’umanità si lascia sempre ingannare da speciosi inganni di
questo genere […] Il marxismo è una forza potentissima. Ma come giudicheremo il
Cristianesimo, quest’altro rampollo del Giudaismo, il quale non vuole impegnarsi più in là
della promessa della felicità ai credenti in un altro mondo? Credetemi, è incomparabilmente
più forte.”25
L’idea, cioè, di Marx come ultimo profeta ebreo, con il quale, più efficacemente che mai, il
Giudaismo cercava il dominio del mondo. Un Giudaismo liberatosi di Dio che, analogamente
al capitalismo – ormai saldamente nelle sue mani – poteva esercitare il proprio dominio
estendendolo alle masse.
L’ideale nietzschiano di un Europa infine unita nel segno di una nuova gerarchia alla cui guida
avrebbe dovuto essere chiamata una nuova aristocrazia (non certo l’antica!), condusse Hitler
all’odio verso coloro che dovevano considerarsi gli agenti della
dissoluzione. Quelli che per Nietzsche erano gli “scarti” che si ha
il dovere di distruggere senza pietà.26
“Perché quando una generazione soffre di errori che riconosce e
ammette, e tuttavia, come avviene nell’odierno mondo borghese,
si contenta di dichiarare che non c’è nulla da fare per ripararli,
è segno che una società così fatta è destinata a perire. Ma è
caratteristica del nostro mondo borghese appunto questo, che
non può negare la propria fragilità. Esso deve ammettere che
molte cose sono putride e cattive, ma non sa ancora risolversi
ad insorgere contro il male, ad adunare con aspra energia la
Karl Marx
forza di un popolo e a stornare così il pericolo.”27
Questo mondo decadente della borghesia europea sarebbe dunque pronto alla schiavitù, e
contro tutto ciò egli dirà che si deve lottare senza alcuna pietà.
24
A. Hitler, Mein Leben, Bompiani, Milano 1941, pp. 70-71.
A. Hitler, Il testamento, Mondatori, Milano 1961, pp. 121-122.
26 Nei Frammenti postumi di Nietzsche si legge: “Contro lo scarto e il rifiuto della vita c’è un solo dovere,
distruggere, essere qui pietosi, voler qui conservare a tutti i costi, sarebbe la prova suprema dell’immoralità, la
vera e propria contro-natura, la inimicizia mortale contro la vita stessa.” Ed Hitler nel proclama agli uomini
che si apprestavano a lanciarsi all’attacco dell’Unione Sovietica ordina d’essere crudeli e spietati come un
dovere umano, per concludere presto la guerra annientando un nemico mortale.
27 A. Hitler, Mein Kampf, Bompiani, Milano 1941 pp. 46-47.
25
Ma non con una mentalità reazionaria, bensì con un mutamento totale della mentalità passata,
complice nello stesso processo di decadenza. Una nuova fede politica i cui principi fondanti
cercano la loro ispirazione anche, e direi per certi versi sopra tutto, in Nietzsche. Nel senso
che per Hitler il processo dopo Nietzsche deve essere caratterizzato nella storia dalla
formazione di uomini superiori, di un popolo di signori, di forze che diano alla morte di
Dio un senso che essa ancora non aveva, che le potessero conferire una essenza, una
consistenza visibile.
Sarebbe un errore vedere in Hitler un nazionalista tedesco. La razza è un concetto che
supera la nazione; come dice Nolte: il razzismo diluisce la nazione. E il razzismo
nazionalsocialista vede nel Giudaismo (anche se in verità l’obiettivo finale era
l’annientamento del Cristianesimo, verso il quale si doveva procedere a cominciare dal suo
presupposto giudaico) l’antirazza, una minaccia per tutte le razze.
Ora per Nietzsche la decadenza è una vera malattia che ha la sua ben determinata causa.
Infatti, la mentalità dello schiavo viene introdotta nel mondo dal Giudaismo e dal
Cristianesimo con la loro “invenzione”: il peccato28.
“Peccato, come viene sentito oggi ovunque domini o abbia dominato il Cristianesimo,
è un sentimento giudaico, un'invenzione giudaica, e sotto tale riguardo questa seconda
fase della morale cristiana ha tentato di giudaizzare tutto il mondo. Fino a che punto vi
sia riuscita in Europa, si vede con grandissima esattezza considerando quanto
l'antichità greca - un mondo privo del senso del peccato - sia ancor lontana dal nostro
sentire, nonostante tutta la buona volontà di intere generazioni e di uomini di vaglia
per ottenere un avvicinamento e un'assimilazione. «Dio è misericordioso soltanto con
colui che si pente». Una tale frase avrebbe mosso il riso e il dispetto di un greco; egli
direbbe: «questo è un sentire da schiavo».”29
E questa schiavitù coinciderebbe con il rovesciamento di ogni valore vitale ed originario
come sostiene nella Genealogia della morale:
“Gli Ebrei con una formidabile logica hanno osato il rovesciamento di tutti i valori
(buono – nobile – felice - amato da Dio), e hanno con uno spaventevole accanimento
conservato questo rovesciamento provocato dall’odio (l’odio dell’impotenza),
affermando: ‘Soltanto i miserabili sono i buoni; soltanto i poveri, gli impotenti, i piccini
sono buoni; coloro che soffrono, i bisognosi, gli ammalati, i deformi sono gli uomini pii,
gli unici benedetti da Dio, ad essi solamente apparterrà la beatitudine - ed invece voi, che
siete nobili e potenti, sarete per tutta l’eternità i cattivi, i crudeli, gli avidi, gli insaziabili,
gli empi, e in eterno resterete i riprovati, i maledetti, i dannati...’ Si sa bene chi ha
raccolto l’eredità di questa inversione giudaica dei valori [il Cristianesimo, in modo
particolare San Paolo, n.d.r.].”
Ma come agisce lo schiavo, quale la differente mentalità del padrone? Lo chiarisce nel suo Al
di là del bene e del male:
“La morale servile ha sempre e innanzitutto bisogno, per nascere d’un mondo che le sia
opposto ed esteriore, ha bisogno per parlare in termini di fisiologia, d’uno stimolo esterno
per agire, e la sua azione è essenzialmente una reazione. Il contrario avviene quando la
28 L’idea della colpa, del peccato è in realtà presente nella visione della realtà umana fin dai primordi. Nei miti
sumerici delle origini e proprio in quella mentalità che a Nietzsche sembra immune da ogni concezione del
peccato. Infatti nell’Iliade, al cap. VI, fa la sua comparsa la colpa gagliarda e le preghiere inviate da Zeus
all’uomo per porvi rimedio.
29 F. Nietzsche, in La gaia scienza, Mondatori, Milano 1971 p. 130.
valutazione è fatta dai padroni: allora si compie e cresce spontaneamente, non cerca il
suo opposto che per affermare se stessa con gratitudine e gioia ancor maggiore... tutto
pervaso di vita e di passione, tutto positivo, afferma ‘noi nobili, noi buoni, noi felici’”30
Il signore sa della propria superiorità e non vi rinuncia:
“La morale di dominatori è estranea e penosa per il gusto d’oggi nelle severità del suo
principio, secondo cui si hanno doveri soltanto verso i propri uguali, mentre verso
esseri di rango inferiore, verso stranieri di qualsiasi specie, è lecito comportarsi come
si preferisce, o come detta il cuore e, in ogni caso, al di là del bene e del male.”
Un tipo superiore deve opporsi alla decadenza che ha luogo quando domini lo schiavo:
“Questo tipo di superiore valore è già esistito abbastanza spesso: come caso fortunato,
però, come eccezione, mai come qualcosa di voluto. E' stato, anzi, particolarmente
temuto, è stato fino ad oggi quasi la cosa terribile; e, prendendo le mosse dal timore è
stato voluto, allevato, raggiunto il tipo opposto: l'animale domestico, l'animale
d'armento, l'uomo come animale malato - il cristiano”31
Sono stati enfatizzati alcuni passi del pensatore tedesco nei quali gli Ebrei vengono addirittura
esaltati, ma non ci si deve fare illusioni. Qui si può vedere la decisione di Hitler di attuare il
passaggio dal “caso fortunato” a qualcosa di voluto. Ovviamente “organizzando” prima la
Germania, poi il mondo (Heute marschiert in Deutschland, morgens in die Welt!). E tutto il
percorso ha le caratteristiche dell’esplosione di un impeto disperato, che Fest felicemente
connotando il nazionalsocialismo descrive come: “L’organizzazione del caos.” A mio avviso
proprio in ciò sta la dipendenza di Hitler da Nietzsche. Quel che in Spengler è visto come segno
di un’epoca di decadenza (il caos contro l’organico), viene invece esasperato per ripercorrere il
cammino di una rinascita dell’elemento “sano” annientando ciò che è malato e inferiore. Ma
l’organizzazione del caos conserva in caos, anzi è destinata ad estenderlo.
La volontà di potenza
Cristianesimo e Giudaismo (o prosecuzione giudaica del cristianesimo paolino, anche contro
Gesù, visto da Nietzsche come un povero uomo mite ed inoffensivo) vengono visti come
l’origine dell’introduzione della debolezza nel mondo e come responsabili di un’umanità
schiava.
Non sono cose nuove del resto. In Germania la sinistra hegeliana – con Bauer, Feuerbach,
Stirner avevano additato in Dio, nel Dio del Cristianesimo, il responsabile dell’alienazione
umana e Marx aveva visto la religione come oppiaceo per consolare l’umanità alienata dal
processo di produzione: comunque sempre il Cristianesimo come un inganno da smascherare
e far scomparire – Schopenhauer e tanti altri avevano contribuito a spazzare l’orizzonte di
Dio. Tanto che in Nietzsche questo processo di negazione di Dio, questa lotta contro Dio,
viene data per ultimata ne La gaia scienza: Dio è morto ! Ciò introduce in un mondo che vive
valori vuoti nell’inconsapevolezza che la loro origine divina non ha più senso alcuno. Quindi
per Nietzsche il nichilismo non é altro che un'espressione della decadenza che sta investendo
il mondo, una decadenza che ha le sue tragiche conseguenze. Viene a sostituirsi all'esecrabile
morale cristiana, la morale secondo la quale tutto é privo di senso, “tutte le interpretazioni
30
Ibidem
F. Nietzsche, in L’Anticristo, Adelphi, Milano 1977, p. 5. Dal canto mio preferirei più accettabile un titolo
diverso: L’Anticristiano.
31
del mondo sono false”. Il nichilismo, in altre parole, é la conseguenza dell'interpretazione dei
valori dell'esistenza, finora ammessa ed introdotta dal Cristianesimo. Tutti i supremi giudizi
di valore finora ammessi sono riconducibili a "giudizi degli esauriti": si chiamò Dio ciò che
indebolisce e l'"uomo buono" é una forma di auto-decadenza. Proprio a ciò Nietzsche si
oppone con vigore:
“Io insegno a dir no a tutto ciò che rende debole; io insegno a dir sì a tutto ciò che
rafforza, che accumula energia, che giustifica il sentimento della forza”:
il suo é un volersi opporre ai deboli, agli stanchi di vivere, alle masse che seguono la morale
cristiana e socialista (dominate irrimediabilmente dall’"istinto del gregge"). Contro il
socialismo – e non soltanto il socialismo marxista, ma anche quello di ispirazione positivista
– che nell'Ottocento andava sempre più affermandosi, Nietzsche muove un’aspra polemica
individuandone la vocazione di Cristianesimo semplicemente terrestrizzato:
“[il socialismo] che altro é se non una balorda incomprensione di quell' ideale morale
cristiano ?... ci saranno sempre troppi possidenti perchè il socialismo possa significare
altro che un attacco di malattia ; e questi possidenti sono come un uomo di una fede: si
deve possedere qualche cosa per essere qualche cosa . Ma questo é il più vecchio e il
più sano di tutti gli istinti: io aggiungerei: si deve voler avere di più di quanto si ha,
per diventare di più... Nella dottrina del socialismo si nasconde malvagiamente una
volontà di negare la vita...”.
E non é questo che vuole Nietzsche: nello Zarathustra, egli invitava a restare fedeli alla Terra,
non facendosi ingannare da promesse ultraterrene: occorre amare la vita e la terra, proprio
come farà il superuomo (quando sorgerà32). Ed emerge quindi l’ideale dei signori che si
oppongono agli schiavi. Il nichilismo, dunque, non é altro che un’espressione della decadenza
che sta investendo il mondo, una decadenza che ha le sue pesanti conseguenze (lo scetticismo,
il libertinaggio dello spirito, la corruzione dei costumi, i metodi di cura psicologici e morali).
Ma dire che é espressione, non significa dire che ne é causa: esso é solo la "logica" della
decadenza, le cui caratteristiche principali sono la perdita della forza per reagire agli stimoli o
lo scambiare la causa con l'effetto il sentire la vita come base del male. Ora, invece: si tratta di
"aver potere sul bene e sul male", liberandoci dall'obbligo di solidarizzare con gli altri;
responsabili di ostacolare proprio la formazione del super uomo.
La religione secondo lui, è un errore frutto dell’uomo: allo stesso modo in cui ancor oggi esso
ritiene che la collera sia la causa del suo adirarsi o che lo spirito sia la causa del suo pensare,
così in tempi lontanissimi, a un livello ancora più ingenuo, egli spiegò quei medesimi fenomeni
con l'aiuto di entità divine33. L'idea che ogni cosa sia causata da un Dio, non fa che sminuire
l'uomo, che finisce per non essere la causa di nulla34: la conseguenza é che l'uomo non ha osato
attribuire a sé (come era giusto invece fare) ogni avvenimento; ne consegue che per Nietzsche
la religione è:
“il parto mal riuscito di un dubbio sull'unità della persona [...] per cui tutto ciò che
nell'uomo é grande e forte fu concepito dall'uomo come sovraumano, come estraneo; [...]
la religione ha abbassato il concetto di uomo”.
Preferisco super-uomo (non certo nel senso del super-man americano) al tentativo di attenuare l’intenzione di
Nietzsche, chiamandolo oltre-uomo. In questo tipo umano, che dovrà venire a restituire una gerarchia di nuovi
valori, c’è forza, gioia del dominio. Del vero dominio, però, che non è quello sulla natura, ma sull’uomo.
33 Una tesi questa del positivismo.
34 Una visione questa molto legata all’esperienza del protestantesimo e al suo predestinazionismo.
32
La vita esemplare non è, quindi, quella indicata dal Cristianesimo: al contrario (ed é bene
aggiungere "al contrario", visto e considerato l'atteggiamento cristiano nei secoli) si deve
capovolgere la prospettiva. Solo le masse volgari, per Nietzsche, possono aderire al
Cristianesimo il quale cerca di equiparare tutti, di nascondere la superiorità di certi individui su
altri, dietro il paravento dell'uguaglianza nell'altra vita; esso fa leva sui “falliti”, coloro che non
riescono ad affermarsi e hanno bisogno di protezione e di una beatitudine futura:
“L'uomo superiore si distingue dall'inferiore per la sua intrepidezza e la sua sfida alla
sventura; [...] il Cristianesimo con la sua prospettiva di beatitudine é un modo di pensare
tipico di un genere di uomini sofferenti e impoveriti”.
Socrate e Cristo sono i responsabili di un processo che ha condotto alla perdita della
fisionomia originaria e potente dell’uomo. Essi hanno generato quell’ordine morale
responsabile della scomparsa della gioia dal mondo.
"La costante della storia europea dopo Socrate é il tentativo di ricondurre i valori
morali a dominare tutti gli altri valori; e in modo tale che debbano essere guide e
giudici non solo della vita, ma anche della conoscenza, delle arti, delle aspirazioni
politiche e sociali; [...] l'intera morale dell'Europa ha per base ciò che giova al gregge:
[...] quanto più una qualità del gregge appare pericolosa, tanto più sistematicamente
ottiene considerazione".
Ma che senso può avere dire ad uno, secondo i dettami della morale, “devi essere così ?”
“Un uomo quale deve essere: questa frase ci suona tanto sciocca quanto quest'altra: un
albero, quale deve essere.”
“La morale sostiene di sapere qualcosa, cioè che cosa sia buono o cattivo. Questo
significa voler sapere a quale scopo l'uomo esista, conoscerne la meta, la
destinazione.”
Il che non è dato. Si tratta invece di vivere l’istante ebbri di vita. E finalmente Nietzsche
giunge ad una definizione di verità, o almeno, del criterio con cui raggiungerla:
“Il criterio della verità si trova nell'aumento della sensazione di potenza35.”
Credo proprio che qui Hitler si riconobbe pienamente. Con maggiore chiarezza dice Nietzsche:
“I diritti che un uomo si prende sono proporzionali ai doveri che si impone, ai compiti
rispetto a cui si sente all'altezza. La maggioranza degli uomini non ha diritto
all'esistenza, ma costituisce una disgrazia per gli uomini superiori; [...] quando
mancano gli uomini superiori, si rendono semidei o dei i grandi uomini del passato;
[...] la tirannia é un affare da uomini grandi: questi fanno fessi gli uomini dappoco. [...]
in Platone compare la frase: ognuno vorrebbe poter essere il signore di tutti gli uomini,
e magari Dio. Questa mentalità deve tornare ad esistere.[...] La massima elevazione
della consapevolezza della propria forza nell'uomo é ciò che crea il superuomo.”
35
Ne La repubblica di Platone, il sofista Trasimaco interrompe Socrate con irruenza infastidita, affermando
che: è giusto ciò che conviene al più forte. Di qui la simpatia di Nietzsche per i Sofisti re il suo odio per Socrate.
Ed emerge così, ancora una volta, la contrapposizione tra signore e schiavo, contrapposizione
particolarmente cara a Nietzsche. La volontà di potenza alla fine del libro appare così delineata:
“E sapete voi che cosa é per me il mondo? Devo mostrarvelo nel mio specchio? Questo
mondo é un mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e
bronzea, che non diventa né più piccola né più grande, che non si consuma, ma solo si
trasforma, che nella sua totalità é una grandezza invariabile [...] Questo mio mondo
dionisiaco che si crea eternamente, che distrugge eternamente se stesso, questo mondo
misterioso di voluttà ancipiti, questo mio al di là del bene e del male, senza scopo, a
meno che non ci sia uno scopo nella felicità del ciclo senza volontà, a meno che un
anello non dimostri buona volontà verso di sé, per questo mondo volete un nome? Una
soluzione per tutti i suoi enigmi? E una luce anche per voi, i più nascosti, i più forti, i
più impavidi, o uomini della mezzanotte? Questo mondo é la volontà di potenza e
nient'altro! E anche voi siete questa volontà di potenza e nient'altro!”
Nietzsche, è vero, attaccherà Wagner per il suo antisemitismo, ma probabilmente perché non
incluso in una visione complessiva e quindi divenendo responsabile di una ricaduta in ciò
stesso che il musicista credeva combattere. Hitler si lascerà, invece affascinare da Wagner, si
vedrà nelle vesti dell’eroe destinato a porre rimedio alla caduta del mondo. Sentirà il fascino di
Wagner capace a suo avviso di trascinare e sedurre le masse. Cosa questa di cui è convinto
anche Nietzsche, con la differenza che ciò che Hitler ammira in Wagner, per il filosofo rischia
di riproporre la possibilità e necessità di un redentore e quindi rischia di presupporre una colpa
e di ricadere nel Cristianesimo o in una parodia di esso.
Ora, molti pensano che se Nietzsche ha tratto, certo mirabilmente, le conclusioni del suo tempo
(di un caratteristico percorso della filosofia moderna), noi non siamo ancora riusciti ad
ereditare il suo lascito. L’essenza del suo pensiero è ravvisabile nello Zarathustra, ossia è la
trasvalutazione di tutti i valori del Cristianesimo in quanto presupposto della trasvalutazione di
ogni morale e di ogni contenuto culturale. Spesso la filosofia del 900, invece ha cercato di
rintracciare nel suo pensiero le tracce di una sua supposta cristianità: è stato Jaspers nel 1946
ad iniziare il tema del Cristianesimo in Nietzsche, tesi sostenuta poi anche da Nigg, da Tillich,
Biser, Blumenberg ecc. A mio avviso, invece, è stato proprio Hitler ad aver inteso
profondamente l’intenzione che si mostrava nel suo pensiero.
Non a caso, del resto, Jaspers se ne andò in esilio, mentre
Heidegger rimase nella Germania nazionalsocialista. Hitler
comprese il titanismo della sua filosofia e lo abbracciò
incondizionatamente, fino alla fine (tranne per il suo
matrimonio che in effetti fu, anche se si trattava di un
matrimonio “nazionalsocialista, una concessione alla
mentalità borghese).
Stante il fatto che Dio non ci sarebbe più, allora si tratta di
essere autentici, liberi da ogni vincolo nel perseguire la
Hitler nell’Aprile 1945 decora giovanissimi
Combattenti della Hitler Jugend nel cortile
della Cancelleria
massima potenza: il campo è aperto. Hitler era talmente convinto di questo che ancora nel
proprio testamento dove alla data del 26 Febbraio 1945 dice:
“Io sono stato l’ultima speranza dell’Europa. Essa si è dimostrata incapace di
rimodellarsi per mezzo di una riforma volontaria. Si è dimostrata sorda al fascino e
alla persuasione. Per conquistarla ho dovuto ricorrere alla violenza. L’Europa può
essere costruita solo su fondamenta di rovine, Non già rovine materiali, ma di interessi
acquisiti e di coalizioni economiche, di rigidità mentale e di perversi pregiudizi, di
idiosincrasie superate e di ristrettezza mentale.”
Soprattutto la lotta che egli riteneva prioritaria, era quella da ingaggiare contro i facitori di
schiavi, quelli che Nietzsche aveva considerato allo stesso modo, cioè a dire contro coloro che
in un modo o in un altro riproponevano il Giudaismo e i Cristianesimo (magari come parodie):
“Da un lato, - scrive il 21 Febbraio 1945 - esistono gli ebrei e tutti coloro che marciano
al passo con essi [ i marxisti e i cristiani, n.d.r.]. Dall’altro vi sono coloro che adottano
un atteggiamento autentico. [Gli Ebrei e coloro che condividono lo stesso
atteggiamento] promettono un paradiso irrealizzabile e, così facendo, ingannano il
genere umano. Qualunque sia la loro etichetta, si autodefiniscano essi cristiani,
comunisti, umanitari, o si limitino ad essere sinceri ma stupidi o intriganti o cinici,
sono tutti facitori di schiavi.”
Non solo Nietzsche aveva considerato che Dio era stato tolto di mezzo, ma la possibilità stessa
di un oltre questo mondo o la possibilità di un paradiso terreno non dovevano conservare alcun
senso.
Allora un popolo dalla forte volontà di potenza, privato della soddisfazione esteriore, vorrà la
propria distruzione piuttosto che non volere affatto.
Egli era certo che la vita non perdoni la debolezza al contrario di ciò che gli sembrava
l’insegnamento del Cristianesimo che in questo aveva semplicemente disarmato i forti per
consegnare le mani a quella congiura ebraica della quale Nietzsche aveva rivelato i contorni.
Proprio per questo il nazionalsocialismo intendeva prima dividere cristiani e giudei e poi
infliggere il colpo di grazia al Cristianesimo stesso.
Per questa ragione egli diede fiato a uomini come Joachim Hossenfelder e Ludwig Muller nel
loro tentativo di ricostruzione di una Chiesa cristiana marcionita. L’antica eresia marcionita
(da Marcione, il suo ispiratore), nel tentativo di contrastare l’errata tendenza di negare la novità
del Cristianesimo rispetto al Giudaismo, cadde nell’errore opposto. L’Antico Testamento per i
marcioniti sarebbe stato suggerito da un principio malvagio, tanto che Dio, per porre rimedio al
male da esso introdotto, avrebbe inviato suo Figlio per annunciare il Nuovo testamento, la
Novella della liberazione dal giogo dell’Antico. Gli ebrei, dunque, seguaci dell’Antico
Testamento ed avversi al Nuovo, non sarebbero altro che i servitori del male e come tali vanno
combattuti senza tregua.
Ma Hitler non era certo marcionita. Egli si servì di ogni mezzo per apprestarsi alla lotta finale
contro quel nemico interno dall’anima europea e fonte di corruzione e schiavitù, rappresentato,
secondo Nietzsche e lui stesso, dal Cristianesimo.
In sostanza sembra proprio che Hitler abbia assorbito, a suo modo e con una determinazione
ferrea, lo spirito che aleggia nell’opera di Nietzsche. Per rimediare alla decadenza dell’Europa
egli pensò ad un suo totale sradicamento dal Giudaismo e Cristianesimo, precipitando tutto nel
gorgo di una catastrofe il cui esito era la morte del paziente che pensava di dover curare.
Giustamente si osserva che intorno a Hitler aleggia un alone di morte, ma proprio questo
affascina l’uomo della decadenza, sul limitare del baratro36. Proprio come Nietzsche fa dire al
suo Zarathustra:
E’ ciò che grida ai suoi uomini corsi al riparo dal fuoco nemico – secondo una testimonianza di guerra –
l’ufficiale della SS, in piedi sulla trincea: “Cani volete forse vivere in eterno?”
36
“Molti muoiono troppo tardi, e alcuni troppo presto. Ancora suona insolita questa
dottrina: Muori al momento giusto! Muori al momento giusto: Così insegna Zarathustra.
Certo, colui che mai vive al momento giusto, come potrebbe morire al momento giusto?
Non fosse mai nato! - Questo consiglio io do ai superflui. Ma anche i superflui si danno
grande importanza quando muoiono, e anche la più vuota delle noci vuol essere
schiacciata. Per tutti, morire è una cosa importante: ma la morte non è ancora una festa.
Gli uomini non hanno ancora imparato come si consacrano le feste più belle. Io vi
mostro la morte come adempimento, la morte che per i vivi diventa uno stimolo e una
promessa. Colui che adempie la sua vita, morrà la sua morte da vittorioso, circondato
dalla speranza e dalle promesse di altri. Così si dovrebbe imparare a morire: e non vi
dovrebbe essere festa alcuna, senza che un tal morente non consacrasse i giuramenti dei
vivi! Questa è la morte migliore; quindi viene: morire in battaglia e profondere un'anima
grande. Ma la vostra morte ghignante, che si avvicina furtiva come un ladro, e tuttavia
viene come una padrona, - è odiosa tanto al combattente quanto al vincitore. Vi faccio
l'elogio della mia morte, la libera morte, che viene a me, perché io voglio”.
Con ogni probabilità proprio a queste parole pensava Hitler mentre dettava il suo testamento
e del resto non era alla morte che Heidegger dedicava pagine essenziali della sua opera? Ora,
la cura è fallita ed ha aggravato il male. L’Europa continua a precipitare lungo la china
segnata, trascinando con sé il mondo intero: si tratta da parte nostre di cercare quali altre cure
si sono pensate ed attuate per cercare poi nella via maestra del Cristianesimo il luminoso che
pure in un’epoca di tenebre può guidare alla vita. Anche per scorgere l’errore di Severino
quando dice:
“Il mondo, grazie alla cultura scientifica, arriverà a rendersi conto che il divenire delle
cose, il loro uscire e tornare nel nulla, è l’unico dato certo, e dovrà arrivare a negare
definitivamente l’esistenza di ogni immutabile. Il crollo dell’epistéme causerà una
inevitabile modifica di ogni concetto morale, che sarà sostituito da una etica
comportamentale laicamente gestita. Attualmente, nello scontro di contrapposte
volontà di potenza, il Cristianesimo è ancora la forza dominante in quanto condiziona
ancora il comportamento di grandi masse. Ma non sarà sempre così. Accadrà infatti
che l’uomo, a furia di cercare il rimedio contro l’angoscia dell’esistenza, finirà prima
o poi per trovarlo.”
dimostrandogli che l’uomo ha a portata di mano ciò che cerca, nonostante coloro che intendono
nascondergliela.
Aldo Rizza