Academia.edu no longer supports Internet Explorer.
To browse Academia.edu and the wider internet faster and more securely, please take a few seconds to upgrade your browser.
2024, Federalismi 20.03
…
5 pages
1 file
Premessa: ripartire da Mounier Giustamente il titolo mette insieme cittadinanza e differenza. L'affermazione, pur giusta della differenza, sotto sotto, specie in ambito ecclesiale, porta spesso con sé la riaffermazione di disuguaglianze, quasi che esse fossero naturali. Bisogna rileggere sempre le pagine di Emmanuel Mounier nel "Manifesto al servizio del personalismo comunitario" per evitare questa deviazione: "Se c'è nell'universo umano un principio femminile, complementare o antagonista di quello maschile, è necessaria ancora una lunga esperienza perché esso sia liberato dalle sue sovrastrutture storiche...occorrerà...certe volte scommettere contro ciò che si chiama la 'natura' per vedere dove si arresta la vera natura" (p. 177). Era il 1936 ma siamo in parte lì, specie nella Chiesa e anche rispetto a culture altre. Verso le quali lo spirito di apertura deve incontrare questo limite rigoroso.
Segni e comprensione, 1999
Per quanto concerne la cittadinanza femminile, preferisco parlare di difficile cittadinanza, piuttosto che di cittadinanza incompiuta. L'incompiutezza evoca la possibilità di introdurre correttivi nel tempo e di orchestrare meccanismi che possono portare alla piena compiutezza, al miglioramento del sistema, in direzione di un progresso da compiersi nel medesimo. Non è questione di progresso e di completamento, come se la immissione della cittadinanza delle donne fosse qualcosa che aspetta provvedimenti e correttivi dall'alto. Pesa sulla cittadinanza femminile la questione stessa che è all'origine della cittadinanza, che ha informato di sé il concetto e la prassi di cittadinanza, senza che la differenza sessuale diventasse significante, ma, anzi, dove la differenza spariva per essere assorbita in un universo di indistinzione. L'in-differenza della politica non è senza colpe. La politica della cittadinanza nasce nel quadro della cultura democratica greca, nasce con il grande progetto che si autodefinisce di isonomia (isos= la stessa, nomos= legge) per tutti i cittadini. In realtà, nell'antica Grecia, non tutti gli uomini godono dell'isonomia, perché essa è riservata, come lo sarà in seguito, ai maschi adulti che abitano la polis. Ma non tutti gli uomini che abitano la polis appartengono alla polis, gli schiavi, che pure sono uomini, non sono considerati umani, e le donne, che non solo, è evidente, non sono uomini, non appartengono, di fatto, alla categoria politica dell'umano, perché quel progetto di isonomia non le comprende assolutamente. La cittadinanza politica assumerà grande valore e significato nella Roma imperiale, dove, nel quadro della giurisprudenza romana, la cittadinanza viene concessa come protezione. La protezione, assicurata dallo ius romano, si fonda e si struttura sulla universalità della sua lex; essa viene impartita e concessa come beneficio e corrispettivo della sottomissione. Le terre conquistate dalla Roma imperiale hanno come premio la possibilità di fruire della lex romana. L'impero chiede in cambio "solo" la sottomissione e il riconoscimento di quella legge che, per quanto articolata e razionale, di fatto, spesso contrasta con le differenti leggi locali. Anche qui, l'in-differenza della legge, non è proprio senza colpa. Sa quello che vuole, nuove terre da annettere e dominare, terre che contribuiranno in maniera primaria al sostentamento dell'impero, colonie che forniranno il suo nutrimento, e persegue il proposito con intenti manifesti. Nel Medioevo la cittadinanza politica, si confonde almeno fino al XII secolo, con una generica cittadinanza escatologica. La civitas rimane essenzialmente la civitas Dei, mentre la connotazione dell'umano si confonde con la connotazione del cristiano. Cittadinanza è una generica appartenenza religiosa, suggel
PASSATO E PRESENTE, 2008
Il libro curato da Nadia Filippini e Anna Scattigno 1 trae origine da un convegno organizzato a Venezia nel 2006 dalla Società Italiana delle Storiche per riflettere sul tema della cittadinanza delle donne a sessant'anni dal voto. L'intento, come viene chiarito nell'introduzione, non voleva essere celebrativo, bensì di cogliere l'occasione per una messa a punto dello stato della ricerca e per stimolare una riflessione che, sull'onda lunga del percorso accidentato della cittadinanza delle donne in Italia, contribuisse ad analizzare la situazione italiana contemporanea che, come sottolineano le due curatrici, si distingue per un panorama piuttosto desolante da più punti di vista. La sparuta presenza delle donne a livello parlamentare è, infatti, solo la punta dell'iceberg di un deficit di partecipazione femminile nei luoghi decisionali che, seppure con situazioni articolate, si ritrova anche in altri contesti, da quello sociale a quello economico e industriale.
Segni e comprensione, 2004
Una cittadinanza d'altro genere è il titolo dell'ultimo lavoro di Marisa Forcina (Angeli, Milano 2003, pp. 220). Il sottotitolo, Discorso su un'idea politica e la sua storia, introduce alla forma attraverso la quale, nel testo, viene attraversato il concetto di cittadinanza riferito al genere femminile a partire da quanto/come, tale concetto, abbia/non abbia abitato le teorie politiche e le storie che ha contribuito a tessere all'interno del percorso della politica moderna. Fondamentale la chiarificazione da cui il discorso prende corpo: non una disamina di "errori" attraverso cui dimostrare il senso di esclusioni e subalternità del genere femminile dall'universo dei saperi filosofici quanto, piuttosto, una serrata riflessione sulle connessioni che intimamente legano le concettualizzazioni filosofiche delle idee e delle rappresentazioni del femminile alla storia delle teorie politiche. La ricerca-dunque-verte su quelle idee, pratiche, meccanismi, visioni che fondano (non sempre nominati) i contenuti dell'organizzazione politica così come l'abbiamo conosciuta nella cultura occidentale. Il disordine femminile temuto da Aristotele, il silenzio nella comunità voluto da Paolo, per le donne, la necessità di tenere lontane le donne (in epoca moderna) dai luoghi della politica, narrano una modalità attuata dal pensiero e dai corpi maschili di costruire, intendere, volere lo spazio della politica inteso come spazio di controllo del cambiamento e luogo di formazione della propria autorità (autorità maschile). L'elaborazione del concetto di cittadinanza, così come è giunto a noi, svela molto delle dinamiche sottese ai modi attraverso cui si sono andati costruendo i contenuti della mascolinità nei diversi contesti storico-sociali dell'occidente europeo mentre, un filo rosso, attraversa la continuità delle misure che hanno contribuito alla definizione storica del percorso teorizzato ed agito intorno alla parola libertà. La libertà è, nella sua essenza, agita all'interno dello spazio della politica, essa è lontana ed è altro dall'affanno riconosciuto alla vita quotidiana: affrancarsi dai luoghi della quotidianità è il passaggio fondamentale che ha sostanziato il senso e la teorizzazione del poter accedere allo spazio, ai luoghi della politica. Quotidianità ed ozio hanno rappresentato ciò che allontana dalla possibilità di essere nella propria libertà, quotidianità ed ozio hanno indicato ciò che è altrove rispetto ai luoghi del potere, della politica. L'aver lavorato esclusivamente a fissare i contorni dell'identità maschile/femminile ha cancellato, per secoli, il valore di ciò che diviene, il valore di un simbolico non inscrivibile nelle tensioni alle continue nascite di sé a sé, di sé al mondo, di sé all'altro/a che 122
Dai nostri corpi sotto attacco. Aborto e politica. a cura di Ilaria Boiano e Caterina Botti , 2019
Di che cosa parliamo quando parliamo di lavoro, oggi? Parliamo di nuove soggettività e di un cambio di paradigma produttivo che ha nella conoscenza, intesa come general intellect, uno dei suoi aspetti peculiari. Parliamo delle caratteristiche trasversali assunte dal lavoro cognitivo nell'economia contemporanea e della ricostruzione di un nuovo protagonismo sociale, a partire dalle difficoltà implicite nella precarietà e nella frammentazione, che esaspera l'attitudine a investire tutto di se stessi nella prestazione lavorativa. A contenimento delle forze produttive vengono inoltre introdotte sempre più variegate forme di controllo, veicolate attraverso l'informazione, la cultura divulgativa, la stampa popolare che arriva martellante dentro le nostre case, attraverso i giornali e la televisione. La pubblicistica manageriale vale a dire il capitalismo cognitivo contemporaneo -va individuando nuovi modelli organizzativi, e in tale modellizzazione aziendale viene stabilita la necessità applicarsi a "ricercare l'anima" dentro le imprese. Che accentua la domanda di intelligenza condivisa, circuiti relazionali, differenze distintive. E sollecita il fatto che le persone sia disponibili a nvestire su sé stesse, sul proprio "capitale personale" 1 Produttività e fedeltà agli obiettivi comuni "dovrebbero stare alla base di un contratto di interscambio tra dipendente e datore di lavoro" 2 : il dipendente impara a essere più produttivo, conseguendo i migliori risultati in minor tempo e allora tiene per sé e per la propria vita il tempo risparmiato mentre, dall'altro lato, il datore di lavoro vede "crescere tra i dipendenti morale, motivazioni e 1 E. Rullani 2 Si può prendere ad esempio un manuale pensato per il grande pubblico, Esci prima dall'ufficio: come fare di più in meno tempo. Ne è autrice Laura Stack, una consulente americana che fa formazione per le grandi multinazionali Usa, dove insegna "tecniche di gestione ottimale del tempo". Secondo Stack, "l'azienda identifica all'interno del proprio organico i dipendenti che offrono prestazioni di livello superiore alla media".
2019
Abstract: The contemporary feminist debate is characterized by the outburst of different feminist theories and movements often in conflict with each other. This plurality is a challenge for women’s political subjectivity, especially since strong conservative movements are targeting women’s freedom and non-normative gender identities. The essay retraces the contemporary feminist debate, focusing on the relationship between equality, women’s freedom and the law. Interpreting the law as a social practice, it suggests to take stock of all the knowledge, experiences and resistances that were developed by different feminist traditions. Such differences cannot be obliterated, but they should not prevent us from preserving and enriching the toolbox we need in order to reinforce the resistance against neoliberal governamentality. Keywords : feminism, gender, women’s freedom, women’s human rights, neoliberalism.
Il tema di questo paper gioca, come è possibile intuire dal titolo, su un doppio piano interpretativo: l’analisi delle condizioni di benessere e di malessere vissute specificatamente dalle donne migranti, confrontate con altre due tipologie di stati dell’essere: lo stare là (ovvero nel paese di origine) e lo stare qua (ovvero nel paese di accoglienza). Stati che, nella persona migrante rimangono indissolubili in quanto coesistono contemporaneamente, e che portano a considerare quello che il sociologo algerino Abdelmalek Sayad aveva definito “la doppia assenza".
2019
Il diritto, comunque inteso, con le sue norme e istituzioni, ma anche con il suo potente valore simbolico, ha da sempre occupato uno spazio di discussione rilevante nell'ambito degli studi di genere, in particolare degli studi giuridici femministi, e non solo. * Questo testo è frutto di un lavoro condiviso. Tuttavia, la stesura definitiva dell'introduzione e dei parr. 2, 3 e 4 è da attribuirsi a Isabel Fanlo Cortés; quella dei parr. 1, 5 e 6 a Francesca Poggi. II superamento delle diseguaglianze di genere e al sovvertimento dei modelli patriarcali ancora imperanti nelle nostre società. Una riflessione oggi resa ancora più urgente dall'amplificarsi di spinte conservatrici che assumono la libertà femminile, così come le identità di genere e gli orientamenti sessuali "non conformi", quali bersagli privilegiati di politiche che segnano una battuta di arresto rispetto a conquiste considerate ormai acquisite. In questa cornice, il fenomeno giuridico si ripropone come oggetto di analisi carico di ambivalenze. In quanto fenomeno sociale strettamente legato ad altri fatti di cultura, si sottolinea come esso abbia storicamente contribuito a riprodurre e legittimare, se non istituire, i rapporti gerarchizzati tra i generi definiti dal potere maschile. Anche se colto in una dimensione più benevola-quella veicolata dall'influente tradizione liberale delle dichiarazioni dei diritti e dei codici ottocenteschi-il diritto viene comunque considerato responsabile di aver conferito carattere di (falsa) imparzialità e neutralità a precise opzioni ideologiche e politiche (Loretoni 2002, 408). D'altro canto, è opinione diffusa che il suo ruolo cruciale nell'allocazione di risorse politiche ed economiche lo renda un'arma potente, un interlocutore necessario anche quando in gioco vi sia il miglioramento delle condizioni di vita delle donne e di tutte quelle soggettività che sfuggono al modello antropologico del c.d. individualismo possessivo (maschio, adulto, bianco, eterosessuale, "normoabile", indipendente etc.) che tanto ha permeato le strutture giuridiche c.d. occidentali (MacPherson 1967). 1. Femminismi e diritto: un rapporto ambivalente Il carattere ambivalente del diritto-il suo essere sia strumento di riproduzione delle ineguaglianze ed oppressioni sociali sia mezzo di riforma e tutela-si rispecchia nello stesso rapporto che i vari femminismi intrattengono con esso. Se un'area molto ampia, ed eterogenea, del movimento femminista vede nel diritto uno strumento indispensabile per combattere le discriminazioni di genere e realizzare una piena eguaglianza, un'altra parte, altrettanto cospicua, guarda con diffidenza o aperta ostilità agli strumenti giuridici. Storicamente, la prima posizione, quella riformista, è stata rivendicata dal femminismo dell'eguaglianza o femminismo della prima ondata: ancora oggi essa rappresenta, però, la corrente dominante, ben radicata sia all'interno del c.d. "femminismo globale"-si III pensi ad autrici come Catharine MacKinnon, Martha A. Fineman e Martha Nussbaumsia nell'ambito del nuovo femminismo c.d. post-moderno (Re 2017). La seconda posizione, quella scettica nei confronti del diritto o propugnatrice di una vera e propria «fuga dal diritto e dalla legislazione» (Taramundi 2004), s'identifica per lo più con il femminismo della differenza, affermatosi a partire dagli anni '80 del secolo scorso: anche se nel panorama contemporaneo non appare più rivestire un ruolo preminente, essa non può comunque ritenersi archiviata. Si noti che entrambe le visioni sul rapporto tra femminismo e diritto condividono l'idea secondo cui il c.d. soggetto unico di diritto, che si suppone sia stato realizzato a partire dall'Illuminismo, sia in realtà una finzione: una maschera dietro la quale si cela il maschio, bianco, eterosessuale, normo-abile e possidente di cui già si accennava nell'introduzione. Queste posizioni, invece, divergono rispetto alla possibilità di mutare tale situazione, di riformare il diritto, e/o rispetto alla centralità dello strumento giuridico nelle lotte femministe. Esaminiamo più nel dettaglio queste divergenze, che forniscono la cornice entro cui si collocano i contributi di cui ci occuperemo nei paragrafi successivi. L'atteggiamento scettico nei confronti del diritto si giustifica per diverse ragioni, tra loro connesse. In primo luogo, si sostiene che il diritto sia inesorabilmente maschile-non per i suoi contenuti, che possono sempre essere modificati-ma per la sua stessa struttura, per la sua forma, per i concetti che necessariamente lo caratterizzano. Così, per esempio, secondo le note tesi di Carol Gilligan (1982), la legge generale e astratta, nonché l'etica dei diritti e dell'eguaglianza che tale legge incarna, corrisponderebbero a una moralità prettamente maschile, diversa e antagonista rispetto alla moralità femminile, fondata sull'etica della responsabilità e della cura, su un concetto di giustizia distributiva, che pone al centro la diversità dei bisogni. O, ancora, secondo altri modi di vedere, i concetti giuridici fondamentali, che strutturano il pensiero giuridico, sarebbero espressione di una mentalità patriarcale, perché costruiti intorno a stereotipi maschili. Una seconda critica, affine alla precedente, ritiene che il diritto sia necessariamente di genere (gendered), perché l'appartenenza a un genere rappresenta un attributo essenziale della disciplina giuridica (Allen 1987, 30): anzi, il diritto sarebbe esso stesso una tecnologia di genere, un processo che necessariamente riproduce identità di genere fisse (Frug IV 1992; Smart 1992; Bourdieu 1998). In altri termini, non solo la disciplina giuridica non potrebbe prescindere dalla dicotomia di genere radicata nella società, ma, per sua natura, per la logica binaria "lecito/illecito" che la caratterizza, tenderebbe a produrre nuovi stereotipi di genere o a consolidare quelli già esistenti-"la buona moglie", la "cattiva madre" etc.-con l'esito di opprimere ulteriormente le libertà individuali. Un terzo argomento-che può essere visto come la logica conseguenza dei precedenti, ma può anche prescinderne, non presupponendo che il giuridico sia necessariamente maschile-sottolinea come il diritto, per la sua generalità e il suo ricorrere a categorie fisse, spesso dicotomiche, sia inadeguato alla concretezza delle singole esperienze e, quindi, non possa essere d'aiuto per soggetti reali. Infine, un ultimo argomento, pur non disconoscendo in linea di principio l'utilità di alcune riforme giuridiche, ritiene che la lotta per l'emancipazione debba condursi soprattutto sul piano sociale, o, in ogni caso, a partire dalla specificità della condizione femminile, e non invece all'interno dello spazio politico-giuridico dominato (per necessità o tradizione) dal maschile. La legge, insomma, in quanto espressione di un potere eteronomo, che si produce in un dominio tipicamente maschile, sarebbe incapace di liberare davvero le donne. Tutti gli argomenti precedenti tendono a spingere verso una fuga della lotta femminista dall'ambito delle rivendicazioni politiche e, spesso, sono stati invocati anche a favore della "degiuridificazione" di certi ambiti, quali quelli inerenti alla sessualità, alle scelte procreative e/o alla vita privata (cfr., per esempio, Sturabotti 2015). Contro tali argomenti, si è replicato che il diritto non è maschile per struttura e vocazione, ma solo in quanto prodotto storico elaborato, ancora oggi, in prevalenza da uomini (Stang Dahl 1988). Certo, il diritto è intrinsecamente caratterizzato dalla sua generalità e astrattezza, ma ciò non impedisce che possa introdurre distinzioni in grado di rispondere almeno ad alcune esigenze tipicamente femminili, realizzando così una almeno parziale eguaglianza sostanziale. Inoltre, pur essendo vero che molti concetti giuridici sono maschili, ossia sono stati elaborati da maschi per maschi, questo non pregiudica la possibilità di una loro revisione: anzi, il compito della teoria femminista dovrebbe essere proprio quello di denunciare il carattere non neutrale, ma ideologico di alcune categorie giuridi-V che (Olsen 1990; Giolo 2015). Ancora, si è evidenziato come le richieste di degiuridificazione di certi ambiti considerati "privati" e dunque tipicamente protetti sotto l'egida della privacy, lungi dall'accrescere la libertà delle donne, ripropongano quella distinzione tipicamente liberale tra pubblico e privato, che non solo è artificiosa, ma si è tradotta in una consolidazione dello status quo patriarcale e in un'assenza di tutela per le donne (MacKinnon 2012). Si tratta, infatti, di ambiti caratterizzati comunque dalla presenza pervasiva di regole informali non scritte, spesso intrise di stereotipi e altrettanto eteroimposte, ma più difficilmente visibili e dunque contestabili rispetto alle norme giuridiche (Pitch 2008, 275). 2. …tra nuove sfide e "vecchie" questioni Il dibattito appena ricordato segna l'intera traiettoria del femminismo moderno ed è ancora di grande attualità (Facchi 2012; Faralli 2012), come emerge anche dal saggio di Lucia Re che apre la sezione (Eguaglianza, differenza e diritto. Uno sguardo al dibattito femminista contemporaneo). In questo contributo, l'attenzione è anzitutto rivolta alle diverse e confliggenti tesi con cui il femminismo contemporaneo tenta di reagire a nuove offensive: da un lato gli attacchi provenienti dai populismi nazionalisti che insistono sul controllo dei confini verso l'esterno e sul controllo della sessualità e della riproduzione all'interno, dall'altro, le strumentalizzazioni, spesso mascherate, ma non per questo meno insidiose, messe in campo dalle forze neoliberali, attraverso politiche che si presentano come progressiste ma, sotto le spoglie di una malintesa idea di agency, rischiano di ridurre la "libertà femminile" alla libertà della scelta consumistica (MacRobbie 2009 e 2011) 1. Sotto quest'ultimo profilo, per esempio, i dissensi all'interno del movimento femminista si riaccendono attorno a uno dei nuovi strumenti di rilevanza...
Questione giustizia, 2017
Il principio di uguaglianza non si è affermato in modo pacifico nella storia perché esso si afferma facilmente solo rispetto a chi è ritenuto simile a sé e non viene applicato automaticamente a chi è percepito come diverso. Il modello di uguaglianza che è stato alla base del discorso costituzionale condotto in occidente negli ultimi due secoli ha avuto una funzione inclusiva e di integrazione ma al tempo stesso ha preteso imperiosamente un adattamento ai modelli culturali dominanti. Ma l’immagine di una comunità omogenea è il frutto di una illusione o se si vuole essere più precisi di una ideologia. Dietro il velo della nostalgia per una società omogenea si trova molto spesso il tema dell’equa ripartizione delle risorse e della povertà e quello del riconoscimento dei diritti. Anche l’argomento dei diritti umani da difendere nel confronto con i Paesi non appartenenti all’Occidente non è al di sopra di ogni sospetto. In particolare quello di voler con essi perpetuare la missione civilizzatrice propria del colonialismo. La regola dell’uguaglianza implica il rispetto della pluralità dei valori che rendono ricca la vita in una società. La Costituzione italiana è esplicita in proposito perché è la Costituzione di una società che vuole essere pluralista. E la prima condizione per procedere in questa direzione è non umiliare l’altro. Nelle pieghe della cultura altrui troviamo anche qualcosa di nostro è la nostra umanità.
Academia Biology, 2023
International Journal of Engineering Research and Technology (IJERT), 2017
Teoría de la Educación. Revista Interuniversitaria
Sociology, 2018
Revista Médica del Uruguay, 2024
HAL (Le Centre pour la Communication Scientifique Directe), 2019
Revista Universitas Humanistica (Universidad Javeriana, Bogotá)), 2012
arXiv: Learning, 2020
Pediatric Critical Care, 2006
Lecture Notes in Computer Science, 2013
The Journal of the Acoustical Society of America, 1994