TE M I E T E S T I
132
IL DESIDERIO
NEL MEDIOEVO
a cura di
ALESSANDRO PALAZZO
ROMA 2014
EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA
Prima edizione: dicembre 2014
ISBN 978-88-6372-709-8
eISBN 978-88-6372-710-4
Il volume è stato pubblicato grazie al contributo
del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trento
È vietata la copia, anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuata
Ogni riproduzione che eviti l’acquisto di un libro minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza
Tutti i diritti riservati
EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA
00165 Roma - via delle Fornaci, 24
Tel. 06.39.67.03.07 - Fax 06.39.67.12.50
e-mail:
[email protected]
www.storiaeletteratura.it
INDICE DEL VOLUME
Osservazioni introduttive: il desiderio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
VII
IL DESIDERIO DI DIO
ARMANDO BISOGNO, Desiderio e conoscenza della verità
nei dialoghi di Agostino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
GIULIO D’ONOFRIO, «Vegno del loco ove tornar disio».
Perfezione di natura e desiderio di Dio in Dante. . . . . . . . . . . . . . .
27
GUIDO ALLINEY, Speranza e desiderio di Dio nel pensiero
di Giovanni Duns Scoto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
55
IL DESIDERIO E LA NATURA
ALESSANDRO PALAZZO, «Sub metaphora mulieris adulterae»:
la materia e la forma in Meister Eckhart . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
75
ANTONELLA SANNINO, «Desiderium animae operantis»:
adfectiones, passiones, apprehensiones et opera magica . . . . . . . . . . . .
97
STEFANO PERFETTI, Nelle gabbie del fissismo etologico:
complessità del desiderio umano e monotonia dell’appetito
animale in Tommaso d’Aquino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
111
IL DESIDERIO E L’UOMO
IRENE ZAVATTERO, La njǙǧǕǑǝǓǜ nella psicologia
dell’agire morale della prima metà del XIII secolo. . . . . . . . . . . . . .
133
VI
INDICE DEL VOLUME
SILVANA VECCHIO, «Desiderium vel concupiscentia»:
il desiderio nel sistema delle passioni di Tommaso d’Aquino . . . . . . . .
151
ANDREA COLLI, Dalla creatura nobilissima al vir desideriorum.
Aristotele e la definizione di uomo nel Commento alle Sentenze
di Bonaventura da Bagnoregio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
165
IL DESIDERIO DI SAPERE
LUISA VALENTE, Il desiderio di filosofia
nel pensiero filosofico e teologico di Pietro Abelardo . . . . . . . . . . . .
185
FABRIZIO AMERINI, Tommaso d’Aquino, il desiderium e la logica.
Alcune note sul rapporto tra logica e desiderio nel Medioevo. . . . . . . .
207
I DESIDERI MONDANI
MARIA T. BETTETINI, «Sed dispar desiderium» (En. Ps. 42).
Le declinazioni del desiderio d’amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
225
THOMAS RICKLIN, «Vaghissimo fu e d’onore e di pompa»:
il desiderio di fama negoziato fra Boccaccio, Petrarca e Dante . . . . . . .
243
Indice dei nomi a cura di Francesca Bonini . . . . . . . . . . . . . . . . . .
257
OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE: IL DESIDERIO
La voce «desiderio» della Stanford Encyclopaedia of Philosophy è piuttosto lunga. Tim Schroeder, che ne è l’autore, tratta nell’ordine delle teorie del
desiderio, delle sue diverse specie e delle questioni al centro del dibattito
scientifico. La prospettiva da lui adottata, evidente sin dalla prima frase –
«to desire is to be in a particular state of mind» –, è quella della filosofia
della mente, ma il fatto che egli esamini più teorie e che ricostruisca alcune
controversie prova che in questo ambito del pensiero il desiderio è oggetto
di costante interesse e che fatica a trovare una sistemazione soddisfacente
entro un unico modello di analisi1.
Il desiderio è tema privilegiato non solo della filosofia della mente, ma di
ampi segmenti della filosofia contemporanea. Il punto di svolta nel Novecento è rappresentato dalla psicoanalisi freudiana, di cui sono stati obbligati
a tenere conto tutti coloro che in seguito si sono occupati dell’argomento.
Ponendo al centro del proprio discorso nozioni come pulsioni, libido, repressione, etc., Sigmund Freud pone le premesse del discorso sul desiderio
che orienterà parte del dibattito contemporaneo: si pensi solo a Georges
Bataille, Herbert Marcuse, Jacques Lacan, che si sono tutti confrontati con
le teorizzazioni freudiane, pervenendo a esiti assai distinti.
Non solo nel Novecento, però, ma lungo tutto il corso del pensiero occidentale, filosofi, teologi e intellettuali, appartenenti a contesti differenti e da
diverse prospettive, hanno teorizzato, ciascuno a suo modo, sul desiderio, al
punto che Camille Dumoulié, autore di un pregevole volume («Le désir»),
arriva a sostenere che «[…] è la stessa storia della filosofia a dimostrare che
il problema del desiderio è stato il suo problema per eccellenza». Anche se
nel volume il concetto di desiderio è largo e assume connotazioni metafisiche, questa è probabilmente un’esagerazione. Dall’altro lato l’affermazione
secondo la quale «[…] la filosofia deve la sua fortuna e la sua grandezza proT. Schroeder, Desire, in Stanford Encyclopaedia of Philosophy, http://plato.stanford.
edu/entries/desire/
1
VIII
IL DESIDERIO NEL MEDIOEVO
prio al fatto che, riprendendo instancabilmente la questione del desiderio,
non lo ha ridotto a un concetto univoco, a una verità»2, se spogliata del suo
eccesso retorico, è condivisibile, perché il desiderio, come ermgerà anche
da questo volume, non è una realtà unitaria, ma una costellazione di motivi,
temi, dottrine, spesso tra loro molto diversi, a seconda dei vari autori, dei
diversi ambiti disciplinari e culturali, delle diverse epoche.
La storia della filosofia, quindi, ci restituisce la fluidità di questo concetto, contrapponendo le correnti filosofiche contemporanee (fenomenologia,
esistenzialismo, psicoanalisi, filosofia analitica, scienze cognitive, etc.) tra
loro e alle filosofie del passato, ad esempio alle solide costruzioni teoriche
dei grandi autori del pensiero moderno, propensi a caratterizzare il desiderio come una passione. Cartesio, ad esempio, lo definisce un’eccitazione
causata dagli spiriti vitali, attraverso la quale l’anima è determinata a volere
nel futuro cose che si rappresenta come piacevoli3, mentre secondo Spinoza
è un appetito consapevole di se stesso4.
Diverse sono anche le strade percorse dagli autori antichi, strade che
inevitabilmente conducono a esiti diversi. Due saggi all’interno di questo
volume illustrano, almeno parzialmente, cosa hanno pensato Platone e Aristotele del desiderio. Maria Bettetini mette in luce una delle valenze primarie
del desiderio («epithymia») negli scritti platonici, cioè il desiderio erotico,
lo slancio positivo verso l’oggetto amato, dove erotico va inteso nel senso
dell’Eros del Simposio come aspirazione al Bello-in sé. Desideroso è il filosofo «avido di sapienza» di Repubblica 475b. Irene Zavattero analizza, a partire dall’Ethica a Nicomaco, i problemi terminologici, concettuali e dottrinali
connessi alla nozione di njǙǧǕǑǝǓǜ, desiderio del fine, intorno alla quale ruota
l’analisi aristotelica dell’azione. Gli esempi di Platone e Aristotele configurano due specie peculiari di desiderio, tecnicamente connotate, due distinti
oggetti riservati all’indagine del filosofo.
E il Medioevo? Anche i pensatori e le tradizioni dei vari medioevi – non
solo quello latino-cristiano e non solo quello che scrive in latino – si sono
confrontati con il desiderio.
2
C. Dumoulié, Il desiderio. Storia e analisi di un concetto, Torino, Einaudi, 2002 (tit.
orig. Le désir), p. XIII.
3
Descartes, Les passions de l’ame, in Œuvres de Decartes, publiées par Ch. Adam – P.
Tannery, IX, 1622- (repr. Paris, Vrin, 1996), II 86, p. 392,23-25.
4
Spinoza, Ethica ordine geometrico demonstrata, in Spinoza Opera. Im Auftrag der
Heidelberger Akademie der Wissenschften, hrsg. v. C. Gebhardt, 4 voll., Heidelberg, C.
Winters Universitätsbuchhandlung, 1924, (rist. 1972), vol. II, III, prop. 9, p. 148 «cupiditas
est appetitus eiusdem conscientia».
OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE: IL DESIDERIO
IX
Secondo uno stereotipo tenace e molto diffuso in ambiti non specialistici,
gli uomini medievali hanno orientato le loro aspirazioni non ai beni di quaggiù, ma solo a Dio e alla patria celeste, alla quale agognavano di tornare al
più presto. Il monaco, asceta che nel lavoro e nella preghiera si consuma in
attesa del ricongiungimento con l’eterno, rappresenterebbe il modello antropologico medievale per eccellenza.
Passando dal cliché alla ricerca storiografica, ci si rende conto che le
cose non sono state poi troppo diverse. L’unica voce dell’area semantica
del desiderio di cui le enciclopedie filosofiche specializzate nel Medioevo o
generaliste non sono mai prive è quella di «desiderium naturale». Si tratta
di quel desiderio che i filosofi antichi e tardo antichi e i padri vedono connaturato, seppur in forme e modi diversi, negli uomini e che è orientato ora
verso il bene, ora verso la felicità, ora verso il sapere. Tale idea viene riformulata dagli autori medievali, secondo i quali il naturale desiderio umano
si indirizza a Dio e non può essere frustrato5. È bene sottolineare però che
l’insistenza sul concetto di «desiderium naturale» si regge su basi ideologiche nemmeno troppo nascoste perché presuppone che un Medioevo,
quello cristiano, sia superiore agli altri, e una forma di sapere, la teologia,
sia superiore alle altre. In ciò sarebbe consistita pertanto la peculiarità del
Medioevo rispetto all’Antichità e ai secoli posteriori, nel fatto che il desiderio degli uomini si sarebbe rivolto verso la Realtà ultramondana. In passato, inoltre, in accordo ad una tendenza riduzionista maturata nel quadro
di un clima complessivamente neotomista, gli studiosi hanno privilegiato
la dottrina del desiderio naturale della contemplazione divina di Tommaso
d’Aquino.
Accanto al desiderio di Dio, un altro aspetto dell’attività volitiva dell’uomo ha attratto anche l’attenzione degli studiosi: il torbido attaccamento alla
carne, la concupiscenza che nella concezione agostiniana è posta alla base di
ogni peccato e in stretta connessione con il peccato originale6.
Ma il tema del desiderio nel Medioevo a questo si riduce? Alla questione
tommasiana se l’uomo possa naturalmente appagare il suo desiderio di contemplare Dio e alle formulazioni diverse dello stesso problema da parte di
5
Valga per tutte la voce curata da P. Engelhardt, Desiderium naturale, in Historisches
Wörterbuch der Philosophie, hrsg. v. J. Ritter, Bd. 2 D-F, Basel – Stuttgart, Schwabe & co
Verlag, 1972, pp. 118-130.
6
La dottrina del peccato in Agostino e la ricezione medievale è ricostruita con perizia
nel documentato studio di L. Cova, Peccato originale. Agostino e il Medioevo, Bologna, Il
Mulino, 2014. Sulla «concupiscentia» agostiniana, vd. anche il contributo di Silvana Vecchio nel presente volume, pp. 151-164.
X
IL DESIDERIO NEL MEDIOEVO
autori coevi o più tardi? Al problema della concupiscenza agostiniana, della
carne, del peccato? O questi non sono piuttosto solo due tra i tanti temi che
si svilupparono intorno al concetto di desiderio nel Medioevo?7
Questo volume, che raccoglie contributi di un simposio tenutosi il 4 e
il 5 ottobre 2013 a Trento, va in questa seconda direzione, perché da esso
il desiderio emerge come una realtà complessa e proteiforme, irriducibile
a definizioni univoche e catalogazioni sommarie. Il volume presenta infatti
una struttura asistematica e un approccio multiprospettico: entrambe le
caratteristiche rispecchiano l’ampia gamma di significati del termine «desiderio» nella cultura medievale. I singoli saggi affrontano la questione da
molteplici punti di vista, si muovono all’interno di vari ambiti disciplinari,
adottano soluzioni metodologiche differenti, si confrontano con autori e
periodi differenti. Dalla somma di questi saggi scaturisce una vera e propria semantica del desiderio, che include, sì, dottrine tradizionali (desiderio di Dio e analisi dei meccanismi psico-fisiologici del desiderio), ma
si apre ad ambiti originali o poco frequentati (desiderio in ambito fisico,
desiderio del mago, desideri mondani dell’amore, della gloria, desiderio di
sapere, desiderio in ambito logico, desiderio degli animali, ecc.).
Nel momento in cui deve comporre i contributi in un volume, ogni editore si trova di solito di fronte all’alternativa se ordinarli cronologicamente
o tematicamente. In questo caso l’ordine cronologico avrebbe avuto poco
senso perché alcuni saggi ricostruiscono l’evoluzione di un tema o di un dibattito e non possono quindi essere catalogati dal punto di vista temporale;
avrebbe avuto poco senso soprattutto perché scopo del volume non è illustrare ciò che i singoli autori nel corso del millennio medievale, l’uno dopo
l’altro, hanno detto sul desiderio, ma far emergere l’ampiezza semantica del
concetto di desiderio. Per questa ragione si è preferita un’organizzazione
tematica in sezioni (Il desiderio di Dio, Il desiderio e la natura, Il desiderio
e l’uomo, Il desiderio di sapere, I desideri mondani). Tali sezioni sono da
intendere piuttosto come percorsi di lettura che come sentieri obbligati, perché i nessi e le relazioni trasversali tra loro sono tante e tali da consentire a
ciascuno di costruire il proprio personale itinerario del ‘desiderio’ coerente
con la mappa dei propri interessi.
Non è senza significato segnalare che accanto a chi semplifica il panorama articolato
dei discorsi medievali vi è chi nega l’esistenza di quei discorsi. Un esempio di questa tendenza lo offre C. Dumoulié, Il desiderio, che dedica meno di 2 pagine delle oltre 300 del
suo volume, al Medioevo nella figura di Tommaso, oltre alle 10 concesse ad Agostino, che è
un autore di transito dalla Tardo-Antichità al Medioevo ma, come noto, non propriamente
un medievale.
7
OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE: IL DESIDERIO
XI
I risultati principali del volume, che in qualche modo si possono già intravvedere nell’elenco delle sezioni e saranno chiaramente apprezzabili in
sede di presentazione dei singoli contributi, mi sembrano due. In primo
luogo è posta in debita evidenza la varietà dei significati, degli usi, degli ambiti, delle teorie del desiderio, al punto che sarebbe più corretto parlare di
«desideri». Il Medioevo è un evo di desideri, e questo dato, che contraddice
la mentalità corrente, ha un fondamento ontologico. L’universo medievale,
infatti, è strutturato gerarchicamente e ciascun essere collocato ad ogni livello del reale (dalla materia alla natura, dagli animali alle facoltà sensibili
umane, dall’uomo come soggetto conoscente all’uomo desideroso di piaceri
mondani, fino a Dio) persegue, «desidera», la propria perfezione: in altri
termini, ad ogni aspetto dell’essere corrisponde una specifica tendenza, uno
specifico desiderio. In secondo luogo viene riservata grande attenzione ai
desideri poco o affatto studiati finora dal punto di vista storico-filosofico
(il desiderio di fama, il desiderio erotico, ecc.). Si tratta, si badi bene, di un
elenco per difetto, perché molte altre originali forme di desiderio il Medioevo ha conosciuto, ma per svariate ragioni non hanno potuto trovare spazio
in questo volume: si pensi al desiderio di difendere la propria fede e convertire gli infedeli, a quello di tradurre i tesori della filosofia e scienza grecoaraba, al desiderio di immortalità8, ecc. D’altro canto temi tradizionali sono
stati trattati in questo volume in maniera innovativa. Il desiderio di sapere,
ampiamente sviscerato dalla letteratura critica in relazione alla questione
della contemplazione filosofica, è stato esaminato da prospettive inusuali,
mentre le pagine sul desiderio di Dio offrono risultati di notevole interesse
e di carattere originale.
Al desiderio di Dio sono dedicati per la precisione tre saggi. Nel primo (Desiderio e conoscenza della verità nei dialoghi di Agostino) Armando
Bisogno ripercorre attraverso le opere di Agostino il tormentato itinerario
dell’uomo desiderante, dalle prime voluntates instintive e naturali alla brama
del philosophiae portum, nella perenne ricerca della Verità, itinerario costellato di contraddizioni, di successi e fallimenti. Lungo questo percorso l’uomo non è solo perché Dio lo attrae a sé, supportandolo con la rivelazione
e nascoste adominitiones. Armando Bisogno illustra questa vicenda attraverso la puntuale lettura di testi tratti da alcune delle opere fondamentali
A questo proposito cfr. C. Crisciani, Premesse e promesse di lunga vita: tra teologia e
pratica terapeutica (secolo XIII), in Vita Longa e durata della vita nella tradizione medica e
aristotelica antica e medievale. Atti del Convegno internazionale (Torino, 13-14 giugno 2008), a
cura di C. Crisciani – L. Repici – P. B. Rossi, Firenze, Sismel – Edizioni del Galluzzo, 2009
(Micrologus’ Library, XXXIII), pp. 61-86.
8
XII
IL DESIDERIO NEL MEDIOEVO
dell’Ipponate, dalle Confessiones al Contra Academicos, dal De beata vita al
De ordine, dai Soliloquia al De immortalitate animae e al De libero arbitrio.
Bisogna distogliere il desiderio dai beni mutevoli e indirizzarlo a Dio, servirsene come intermediario nell’ascesa verso la Verità, nella consapevolezza di
non poterla raggiungere con le sole proprie forze, e che il male nasce da un
cattivo orientamento del desiderio verso i beni mutevoli: è questo l’esito cui
Agostino giunge nei Soliloquia.
Con il suo contributo («Vegno del loco ove tornar disio». Perfezione di
natura e desiderio di Dio in Dante) Giulio d’Onofrio interviene con esiti originali nel vivace dibattito che negli ultimi anni interessa la ‘filosofia’ di Dante
e in particolare il concetto di desiderio in relazione a Dio e al sapere9. L’amore divino è il principio e il motore dell’universo, muove («volge») il desiderio
e il volere delle creature. A partire da questo presupposto d’Onofrio illustra,
alla luce di numerosi luoghi della Commedia e del Convivio, la dinamica del
desiderio amoroso. L’amore è sempre la causa motrice che attiva il desiderio portandone in atto la potenzialità. All’attualizzazione dell’inclinazione
desiderante fa seguito l’esecuzione dell’operazione da parte della volontà.
Coessenziale ad ogni creatura, l’amore reca gioia e requie solo se è naturale
e orientato al sommo bene. Da naturale che è, può però anche deviare verso
il male per libera scelta della creatura dando luogo alla cupidigia, che è all’origine di un desiderio ‘dis-torto’ e di una volontà iniqua. L’amore ha anche
una funzione redentrice perché è all’origine dell’ansia di salvezza di Dante
e del desiderio di Beatrice di ricongiungersi, insieme a Dante, anima ormai
redenta, agli altri beati del Cielo Empireo.
D’Onofrio ritiene inoltre di rinvenire le fonti del discorso dantesco sull’amore nelle letteratura mistica sull’amore del XII secolo e nelle metafisiche
alto-medioevali di tradizione neoplatonica (lo pseudo-Dionigi Areopagita e
Scoto Eriugena).
Il contributo di Guido Alliney (Speranza e desiderio di Dio nel pensiero di Giovanni Duns Scoto) solleva la complessa questione del rapporto e
dell’armonizzazione tra la psicologia filosofica di matrice aristotelica e la teologia morale, tra un’antropologia naturale e un’idea di uomo inserita in
una prospettiva di economia della salvezza. Tale problema emerge anche su
una questione apparentemente di dettaglio quale la definizione della natura
della speranza, virtù la cui peculiarità consiste nell’essere da un lato parte
Basti citare P. Falzone, Desiderio della scienza e desiderio di Dio nel Convivio di Dante,
Bologna, Il Mulino, 2010 (Istituto Italiano per gli studi filosofici); L. Bianchi, “Noli comedere panem philosophorum inutiliter” Dante Alighieri and John of Jandun on Philosophical
‘Bread’, «Tijdschrift voor Filosofie», LXXV (2013), pp. 335-355.
9
OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE: IL DESIDERIO
XIII
dello schema aristotelico delle virtù e dall’altro una delle tre virtù teologali.
Si tratta della stessa virtù o di due virtù distinte? Quali sono gli oggetti e gli
atti propri? Quali sono i rapporti con le altre virtù? A questi e altri quesiti i
teologi scolastici cercano di dare soluzione. Muovendo da una serrata critica
a Enrico di Gand, Duns Scoto definisce la speranza una virtù il cui atto è
il desiderio di Dio infinito o, più precisamente, una virtù che perfeziona la
volontà nel suo atto di desiderio concupiscente («affectio commodi» che è
un concetto mutuato da Anselmo da Aosta) di Dio.
In virtù di un accostamento non casuale, nei tre saggi della seconda
sezione il discorso passa dalle eteree altezze ultraterrene alla solida realtà
della natura. Nel primo contributo («Sub metaphora mulieris adulterae»:
la materia e la forma in Meister Eckhart) si prende in esame addirittura il
grado più basso nella scala del reale, la materia nella sua relazione con la
forma. Il saggio ricostruisce le concezioni di Eckhart circa alcune questioni
al centro del dibattito a lui coevo (l’esistenza della materia senza forma, la
sua potenzialità, l’unicità della forma sostanziale), mettendo in evidenza
quale ruolo abbia giocato il concetto di ‘desiderio’ in questo ricco complesso dottrinale. Dall’analisi risulta che in Eckhart la relazione materia-forma
trascende il piano meramente fisico-metafisico, rimandando ad un livello
superiore: l’appetito che la materia ha della forma è infatti parte del generale desiderio che ogni ente ha dell’Essere, cioè di Dio; l’unità della forma
sostanziale e l’immediatezza del suo rapporto con la materia rientrano in
un più generale schema (‘nuditas’-unione immediata) che si manifesta a
vari livelli della realtà e sotto vari aspetti, ma raggiunge la perfezione solo
nel punto più perfetto dell’essere, nel fondo in cui Dio e l’anima spogliata
di tutto sono una cosa sola.
Antonella Sannino («Desiderium animae operantis»: adfectiones, passiones, apprehensiones et opera magica) si occupa del desiderio in relazione
all’attività del mago alla luce delle dottrine esposte da Cornelio Agrippa di
Nettesheim nel De Occulta philosophia e, prima di lui, da una sua fondamentale, ma poco nota, fonte medievale, il De mirabilibus mundi. Secondo
le concezioni esposte in queste opere solo un desiderio intenso, o adfectio,
di un animo naturalmente disposto, che si congiunga alle intelligenze celesti,
può agire non solo sul proprio corpo ma anche a distanza su un corpo estraneo. Gli atti mirabili di trasformazione della natura non richiedono il ricorso
all’occulto, all’azione dei demoni, ma trovano una spiegazione naturale nella
dottrina avicenniana dell’immaginazione transitiva supportata dal De radiis
di Al-kindi. Viene qui delineata una forma di magia naturale, perché i «mirabilia» non derogano alla legalità fisico-naturale, ma vi sono sottoposti.
Stefano Perfetti (Nelle gabbie del fissismo etologico: complessità del desi-
XIV
IL DESIDERIO NEL MEDIOEVO
derio umano e monotonia dell’appetito animale in Tommaso d’Aquino) si concentra sulla vita animale, la forma di essere più alta nel mondo della natura.
Il suo contributo è una disamina critica delle dottrine di Tommaso d’Aquino
circa l’appetizione animale, ripetitive e ree di minimizzare e banalizzare le
capacità degli animali. Tali dottrine sono sempre illustrate attraverso pochi
esempi standardizzati. Tommaso nega agli animali una qualunque forma di
autonomia della ragione pratica, ritenendoli incapaci di comprensione intellettuale della forma. Le tracce di razionalità ravvisabile nel comportamento
animale vanno lette come l’effetto di una causa razionale, Dio, che si pone
su un piano superiore, proprio come l’orologio funziona perfettamente solo
grazie a una razionalità che gli è stata immessa da un artefice esterno e una
freccia va a bersaglio in quanto indirizzata dall’arciere. Caratteristica delle
spiegazioni tommasiane del comportamento animale è anche l’esasperazione
della connessione deterministica stimolo-risposta. Il sospetto che tali spiegazioni e tali analogie non funzioni di fronte al comportamento di animali
complessi è più che legittimo.
Dalla natura all’uomo il passo è breve se dell’uomo si prendono in esame
le passioni e le potenze inferiori dell’anima, cioè quelle componenti che lo
assimilano agli animali. È ciò che fanno i primi due saggi della terza sezione
dedicata al desiderio e all’uomo. Irene Zavattero (La njǙǧǕǑǝǓǜ nella psicologia dell’agire morale della prima metà del XIII secolo), partendo dall’analisi
aristotelica dell’azione, indaga come il concetto di «njǙǧǕǑǝǓǜ», desiderio che
dà inizio e alimenta l’intero processo psicologico dell’azione, delineato da
Aristotele in Ethica Nicomachea (EN) III, 1-7, muti di significato nella ricezione latina attraverso la mediazione del De fide orthodoxa di Giovanni
Damasceno, presso il quale il termine aveva assunto l’accezione di desiderio
razionale per natura, atto della facoltà della volontà («ǒLJǕǑǝǓǜ»). Tradotta
con «voluntas» da Burgundio da Pisa, la «bulisis» damasceniana viene interpretata dai teologi dell’inizio del Duecento, così come dai primi commentatori dell’EN, come «voluntas deliberativa» o «rationalis». La «njǙǧǕǑǝǓǜ»
aristotelica si è così trasformata in una volizione deliberativa («voluntas cum
consilio») dei mezzi necessari per conseguire il fine ultimo, abbandonando il
significato aristotelico di desiderio del fine così come quello di volizione del
fine («voluntas finis») che il termine aveva nel De fide orthodoxa. L’unico teologo dell’epoca ad interpretare fedelmente la «bulisis» damasceniana fu Alberto Magno nelle questioni sulla volontà e il libero arbitrio del De homine.
Silvana Vecchio illustra il ruolo del desiderio nel sistema delle passioni di
Tommaso d’Aquino («Desiderium vel concupiscentia»: il desiderio nel sistema delle passioni di Tommaso d’Aquino). A partire dal XII secolo il desiderio,
un moto dell’anima teso al raggiungimento di un bene amato e per questo
OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE: IL DESIDERIO
XV
collocato, come una sorta di anello di congiunzione, tra l’amore e il piacere,
è oggetto di attente analisi nel quadro del ripensamento delle facoltà e delle
passioni dell’anima a seguito della riscoperta dei modelli psicologici antichi
(platonico e aristotelico). Nel solco di queste indagini si colloca la riflessione
duecentesca di Tommaso d’Aquino, che sottolinea la naturalità del desiderio
e descrive la «concupiscentia» come un appetito naturale, e non come un
peccato o la sua causa. In questo suo sforzo di naturalizzazione dell’appetito
desiderante, Tommaso fa i conti con la pesante eredità dottrinale di Agostino, che aveva dato una connotazione morale alle passioni e, trascinato dalla
sua polemica antipelagiana, aveva identificato la concupiscenza ora con il
peccato originale, ora con il vizio della carne, ora con il disordine sessuale.
Con il consueto penetrante acume, Tommaso non si limita a caratterizzare la
concupiscenza, ma ne definisce le relazioni con altre due forme di desiderio:
il «desiderium» (desiderio di beni spirituali) e la «cupiditas» (desiderio di
piaceri sensibili al di là del necessario).
Con il contributo di Andrea Colli (Dalla creatura nobilissima al vir desideriorum. Aristotele e la definizione di uomo nel Commento alle Sentenze
di Bonaventura da Bagnoregio), invece, il passaggio all’antropologia è ormai
pienamente realizzato. Il saggio ricostruisce infatti lo sviluppo dell’antropologia bonaventuriana alla luce dell’avvicendarsi di due definizioni di uomo:
detto inizialmente creatura nobilissima, in virtù dell’esclusiva relazione iconica con il Creatore (imago et similitudo Dei), sarà in seguito denominato vir
desideriorum, in quanto contraddistinto dall’esigenza di dare costante appagamento ai propri desideri, fino a compiersi nella beatitudo aeterna. Alla
base di questo cambiamento nella concezione antropologica bonaventuriana, pare svolgere un ruolo decisivo la tradizione aristotelica, decisiva tanto
nell’interpretazione del concetto di «nobiltà», quanto nella descrizione della
dinamica appetitiva. Del resto anche la formula «uomo dei desideri» non
rappresenta una cesura netta, ma è l’esito di un processo evolutivo che trae
linfa dal paradigma aristotelico.
Essere conoscente per eccellenza, l’uomo è dotato del desiderio di sapere. I due saggi della sezione sul desiderio di sapere illustano due interessanti
episodi di quella passione per la conoscenza che fu diffusa tra gli autori del
Medioevo.
Luisa Valente (Il desiderio di filosofia nel pensiero filosofico e teologico di
Pietro Abelardo) tratta del desiderio di filosofia in Abelardo. La tesi principale del contributo è che il desiderio di sapere è per Abelardo unico, anche
se espresso in forme diverse. Nel prologo al Sic et non viene esplicitato il
desiderio della filosofia, intesa in senso tecnico, cioè il desiderio della conoscenza, della discussione razionale e dell’interrogazione; nella Theologia
XVI
IL DESIDERIO NEL MEDIOEVO
Christiana Abelardo esprime invece il desiderio della visione di Dio, desiderio che diventa aspirazione dell’uomo al sommo bene o alla felicità nelle
Collationes. Questa varietà di formulazioni dipende dalla concezione abelardiana della filosofia, non solo teoria, ma anche forma di vita improntata
all’amore per la conoscenza, la contemplazione e la giustizia: un tipo di vita
degno di essere desiderato per se stesso da ogni uomo e donna, ma che può
assumere forme diverse a seconda delle diverse persone e della loro appartenenza a diversi popoli o a diverse fasi della storia.
I nessi, a prima vista insospettati, tra la logica e il desiderio sono ricostruiti nel contributo di Fabrizio Amerini (Tommaso d’Aquino, il desiderium
e la logica. Alcune note sul rapporto tra logica e desiderio nel Medioevo).
L’autore si concentra sul problema dell’espressione linguistica, e quindi
dell’eventuale analisi logica, del desiderio e prende in esame i «verba voluntativa» o proairetici (ad es. «volo legere»), cercando di rispondere ad alcune
delle principali questioni dibattute nel Medioevo: queste espressioni sono
concetti o affezioni dell’anima? Se sono affezioni, sono pensate o provate?
Le espressioni desiderative sono identiche o differenti rispetto alle ottative
(‘Utinam legerem’)? I verbi proairetici hanno un contenuto veritativo, cioè
sono veri o falsi? Sono quindi suscettibili di analisi logica? Il dibattito, che
si sviluppa soprattutto nel XII secolo a seguito dell’incontro della tradizione
grammaticale rappresentata dalle Institutiones grammaticae di Prisciano con
il De interpretatione di Aristotele, prosegue nel XIII secolo su altre basi e in
relazione a nuovi problemi. La dottrina di Tommaso riguardo alle espressioni proairetiche è interessante per varie ragioni. Degno di nota è ad esempio il
fatto che secondo lo Stagirita le proposizioni non-enunciative possono avere
forza illocutoria diversa da quella fissata dalla loro forma logica, principio,
questo, che ha evidenti ripercussioni sull’esegesi biblica.
Nell’ultima sezione al centro del discorso è ancora l’uomo in quanto soggetto di desideri. In questo caso, però, non si tratta più del nobile desiderio
della conoscenza, ma di brame più terrene: l’eros e la gloria. Anche di queste
tensioni, ‘umane troppo umane’, si nutre il desiderio dell’uomo del Medioevo.
Maria Bettetini («Sed dispar desiderium» [En. Ps. 42]. Le declinazioni
del desiderio d’amore) tratteggia la storia del desiderio d’amore nel Medioevo. Secondo Agostino l’ordo amoris è la cifra costitutiva dell’essere umano,
perché connette la parte più intima del sé alla sommità del Creatore. L’uomo
ha libertà di svilire l’amore in cupiditas o di elevarlo in caritas. Il desiderio
erotico si inquadra pertanto entro una corretta pedagogia delle passioni. La
lezione agostiniana in materia di amore, per quanto rilevante, non è la sola
che il Medioevo abbia conosciuto. Alla negazione senza appello contenuta
nei testi di spiritualità e ascetica si contrappone, per esempio, il trionfo della
OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE: IL DESIDERIO
XVII
passione che prende corpo nell’amore tutto terreno di Abelardo ed Eloisa.
La lirica cortese, invece, canta una passione amorosa che non è malattia né
peccato, ma è un desiderio che non chiede di essere appagato, è una pratica
ascetica di perfezionamento. Secondo Tommaso l’amore è la prima passione,
è un moto dell’appetito sensitivo verso un bene presente. Chi ama, subisce
una trasformazione – e per questo è oggetto di passio – e poi è mosso dall’attrazione verso l’oggetto amato fino alla pace della conquista. L’amante cerca
di assumere la forma dell’amato. Infine Boccaccio esalta la passione erotica
nel quadro di una vita ricca di sensualità e senza pudori.
Il riferimento a Boccaccio ci porta all’ultimo contributo, quello di Thomas Ricklin («Vaghissimo fu e d’onore e di pompa»: Il desiderio di fama
negoziato fra Boccaccio, Petrarca e Dante), dedicato al desiderio di gloria dei
poeti. Il saggio ricostruisce le complesse strategie letterarie messe in atto da
Dante, Petrarca e Boccaccio per celebrarsi e autocelebrarsi in quanto poeti.
In particolare, Boccaccio nella sua Vita di Dante rende omaggio alla fama del
poeta fiorentino servendosi tacitamente di fonti petrarchesche, specialmente
della Collatio laureationis. Si tratta di un procedimento speculare a quello
adottato da Petrarca che, sempre nella Collatio laureationis, si insignisce da
sé della corona della gloria poetica, ma elimina ogni riferimento al desiderio
d’alloro contenuto nella Commedia di Dante facendo leva su una fonte classica, il Pro Archia poeta di Cicerone, che fornisce un modello per l’ambizione.
Nella Commedia, invece, un ruolo decisivo gioca Stazio di Purg. XXI-XXII,
la cui funzione consiste nel rendere legittimo il desiderio dell’alloro. Dante
ha il coraggio di presentare quest’aspirazione come una speranza non vana
perché l’ardor che anima Stazio (Purg. XXI, 94) è ricompensato con il mirto.