L’altro ieri presso la municipalità del Vomero - su iniziativa del consigliere Norberto Gallo – abbiamo (Norberto Gallo, Luca Stamati, Mario Coppeto, Marco Taradash, Lucio Iaccarino, Francesco Iacotucci della I municipalità, Giulio Corbo, io) discusso di come poter influire sulle decisioni politiche.
E sulla difficoltà di far valere le ragioni di chi propone e promuove lavoro dal basso o temi o compiti insieme ai cittadini, associati e non, nel campo della politica-politica, lì dove le decisioni si vorrebbero/dovrebbero prendere. Lo sguardo di chi ha parlato è stato inevitabilmente strabico: da un lato cosa cercano di fare i cittadini attivi e dall’altro come si muove e si struttura o de-struttura oggi la politica, “nei palazzi” – come diceva Pasolini. I nessi - faticosi da costruire o mancati - e gli scarti tra politica partecipata e palazzi: questo è stato il campo indagato.
Provocato da una domanda di Norberto Gallo sull’esito del mio tentativo di portare istanze nate fuori dai partiti nel PD, io ho brutalmente confessato che il tentativo è fallito per mancanza del campo che era stato promesso, evidentemente disatteso dalle vicende delle primarie e successive… così io certo non mi iscrivo al PD.
Più in generale ne è uscito un quadro di grande difficoltà di tutti a fare oggi un decoroso uso politico delle istanze di cittadinanza e partecipazione. Soprattutto nella situazione napoletana. E ci si è lasciati con l’impegno di tentare di mettere insieme le associazioni esistenti – e anche i singoli - per confrontarsi per davvero su tale pesante difficoltà. Proveremo.
Ieri sera nella sede di Decidiamo Insieme (ottimi il formaggio procurato da Pirozzi e gli strufoli e il finocchietto fabbricati da sorella di pandora) si è a lungo lavorato su come organizzare un evento sul tema “come contare oggi nella nostra realtà partenopea ?”
… realtà che è anche più radicale che nel resto d’Italia: con una casta paradossalmente tanto fallimentare verso le responsabilità pubbliche quanto durevole e con tante e diverse presenze e pressioni, spesso generose, di gruppi e cittadini – come è stata anche la nostra campagna elettorale – ma che non trovano le vie per poter contare, appunto.
Trovare un format su cui impegnarsi con l’avvio del nuovo anno non è stato semplice. E molte idee di cose diverse da organizzare nel tempo sono pure emerse: ospitare lezioni di alto profilo sulla crisi della democrazia, invitare politici più “sopportabili” a dire cose su come concretamente possono farsi valere i cittadini, ospitare una riflessione non rituale su leggi elettorali e referendum in arrivo ecc. Tanto che mi pare che DI si vada forse gradualmente strutturando come risorsa per la riflessione civile.
E – alé! - alla fine questa volta si è pure deciso. Quanto segue:
1. Partecipare intanto alla due giorni (che si dovrebbe tenere entro metà febbraio) dei cantieri sociali, che il tema del “contare” lo toccano – eccome! – e dalla parte dei più deboli, per una volta.
2. Produrre un video – spero agile, feroce e sobrio - costruito a partire da stringate interviste sul come si conta o non si conta a Napoli, fatte a esponenti delle esperienze che su ciò si sono cimentate nell’ultima stagione. Vedremo nel dettaglio ma l’idea è di includere voci anche molto diverse. Faccio solo degli esempi di possibili voci, per capire: il periodico Monitor, la protesta di Chiaia, l’esperienza stessa di Decidiamo Insieme, i cantieri sociali, il forum Tarsia, palazzo Marigliano, un’associazione molto radicata in un quartiere, ecc. Poche domande. Un buon montaggio.
3. Mostrare questo video come base di un evento pubblico ben propagandato, da tenersi entro febbraio, con dei commentatori/discussant esterni forti, capaci di restituire, in modo sprovincializzato, le nostre tensioni e le difficoltà nel “contare oggi a Napoli”. Si è pensato per questo ruolo a una possibile presenza di due commentatori, tra loro diversi. E di qualche peso tra chi, in Italia, si occupa di queste cose. I nomi si sono anche fatti. Li contatteremo.
E’ una bella ipotesi, anche ambiziosa, su cui lavorare. Una sfida… forse anche augurale.
E allora auguri per il 2008 in arrivo… e, di fronte ai paesaggi desolanti del mondo, come dice una delle tante versioni antiche del delirio utopico di cui, specie nelle ricorrenze, non è bene fare a meno: “si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa” (Isaia 35, 1).
22 dicembre, 2007
15 dicembre, 2007
Nuovo passo d’inizio
Questa volta sarò davvero sintetico. Perché tanti qui e altrove hanno scritto cose su cui sono d’accordo o per le quali sento affinità. Alla cui base c’è la voglia di parlarsi e confrontarsi senza rete, lealmente, sul come creare un qualche decoroso spazio pubblico a Napoli e magari tenerlo in vita e farlo crescere nel tempo. Partire dai temi – tra loro molto diversi ma connessi - del “poter decidere” e “del come influenzare chi governa” mi pare un buon nuovo passo d’inizio.
Veniamo al dunque.
1. Ci si vede intanto giovedì 20 dicembre alle 17:00 (link decidiamo insieme e napolionline) alla sala consiliare della Municipalità Vomero Arenella di via Morghen per parlare di “come influenzare chi governa”.
2. E ci si vede anche venerdì 21 dicembre – così come proposto da Pirozzi – direi alle ore 19.30 alla sede di Decidiamo insieme a Via Nilo. Per un’ora con panettone (+ strufoli, finocchietto e limoncello promessi dalla sorella di pandoro) e brindisi. Per mettersi d’accordo operativamente (interventi rapidi e sul compito, magari!) su come strutturare bene un’iniziativa cittadina/assemblea/spazio aperto entro gennaio sul tema già deciso l’altra volta: i cittadini come possono oggi decidere? Domanda di merito. Non retorica.
Alé. Proviamoci.
04 dicembre, 2007
L’onesto e il retto conversar cittadino
Ho letto con piacere i commenti agli ultimi due post.
Ma cos’è oggi “l’onesto e il retto conversar cittadino” citato da “Fratello di panettone”?
Messi come siamo, per me – pur che ci si attivi un po’ - ogni suggerimento va bene: poesie, guarattelle, stand. E se si fanno anche solo un briciolo di queste cose, se non sto altrove, io ci vengo e ne sono contento. Così come mi dispiace non esserci stato alle ultime scadenze del forum Tarsia.
Lavoro educativo per lo sviluppo locale e poesia sono stati i miei alimenti dal 1975 al 2006.
Ma possiamo anche domandarci se esistono possibilità ulteriori? Esiste la politica, la politica intesa come un x (ics), che va oltre l’impegno professionale serio, la testimonianza civile e il volontariato, un x (ics) pensato per la città, da persone che si confrontano e che serva a qualcosa (il famoso interesse generale) e non solo a qualcuno? Era questo che mi chiedevo con la metafora della lezione. Era questo che mi chiedevo quando mi sono presentato a sindaco. E questo ho di nuovo chiesto facendo, pur con tutti i dubbi, le primarie del Pd come occasione di prova… e anche di denuncia dei risultati.
O, invece, dobbiamo accontentarci e fermarci allo spazio reso disponibile da "Fabrizio di compagnidiviaggio"? O è sufficiente l’esprimere ribrezzo contro i potenti, magari immaginando le guarattelle lanciate all’attacco della nomenclatura? O basta lasciare fogli in rime sotto una sorta di statua del Pasquino partenopea.
Intendiamoci, non ironizzo affatto. Sto facendo domande legittime, oneste – perché non ho risposte certe. Un Pasquino partenopeo se ci fosse sarebbe comunque un bene, penso. Scegliamo la statua. Il fiume Nilo, Ruggiero il Normanno o Gioacchino Murat a piazza Plebiscito.
Purché qualcosa si faccia.
E’ una cosa bella, da fare e non solo da immaginare; ma – va detto al contempo – che, forse, per lo stato in cui versa la nostra città, non basta una statua dove appiccicare poesie e imprecazioni… Anche al tempo del papa re queste cose erano segni di lotta al potere ma anche di impotenza. E pure nella Russia di Stalin c’era chi andava a ubriacarsi sulla tomba del poeta Esenin sotto le mura del Cremino e declamava i versi della Achmatova il cui marito era stato fucilato.
Insomma, c’è la solita questione. Le testimonianze sono cose necessarie, certamente e anche gradite emotivamente. Il che non guasta. Ma sono sufficienti queste cose – atteso che, intanto, si facciano per davvero – per ricreare l’onesto e retto conversar cittadino che serve ora qui? C’è uno spazio - da esplorare - tra la politica che non ci piace e la testimonianza?
Ho – ancora – in mente un’assemblea o spazio aperto. Dove chiedersi – con un minimo di premessa teorica – come, quando e dove possono decidere i cittadini della loro città. Mi piacerebbe che si facesse entro gennaio.
Ne avevamo parlato e ne era girata la voce su alcuni blog.
Mentre decidiamo dove dare spazio ai versi, si può provare a riparlarne.
Ma cos’è oggi “l’onesto e il retto conversar cittadino” citato da “Fratello di panettone”?
Messi come siamo, per me – pur che ci si attivi un po’ - ogni suggerimento va bene: poesie, guarattelle, stand. E se si fanno anche solo un briciolo di queste cose, se non sto altrove, io ci vengo e ne sono contento. Così come mi dispiace non esserci stato alle ultime scadenze del forum Tarsia.
Lavoro educativo per lo sviluppo locale e poesia sono stati i miei alimenti dal 1975 al 2006.
Ma possiamo anche domandarci se esistono possibilità ulteriori? Esiste la politica, la politica intesa come un x (ics), che va oltre l’impegno professionale serio, la testimonianza civile e il volontariato, un x (ics) pensato per la città, da persone che si confrontano e che serva a qualcosa (il famoso interesse generale) e non solo a qualcuno? Era questo che mi chiedevo con la metafora della lezione. Era questo che mi chiedevo quando mi sono presentato a sindaco. E questo ho di nuovo chiesto facendo, pur con tutti i dubbi, le primarie del Pd come occasione di prova… e anche di denuncia dei risultati.
O, invece, dobbiamo accontentarci e fermarci allo spazio reso disponibile da "Fabrizio di compagnidiviaggio"? O è sufficiente l’esprimere ribrezzo contro i potenti, magari immaginando le guarattelle lanciate all’attacco della nomenclatura? O basta lasciare fogli in rime sotto una sorta di statua del Pasquino partenopea.
Intendiamoci, non ironizzo affatto. Sto facendo domande legittime, oneste – perché non ho risposte certe. Un Pasquino partenopeo se ci fosse sarebbe comunque un bene, penso. Scegliamo la statua. Il fiume Nilo, Ruggiero il Normanno o Gioacchino Murat a piazza Plebiscito.
Purché qualcosa si faccia.
E’ una cosa bella, da fare e non solo da immaginare; ma – va detto al contempo – che, forse, per lo stato in cui versa la nostra città, non basta una statua dove appiccicare poesie e imprecazioni… Anche al tempo del papa re queste cose erano segni di lotta al potere ma anche di impotenza. E pure nella Russia di Stalin c’era chi andava a ubriacarsi sulla tomba del poeta Esenin sotto le mura del Cremino e declamava i versi della Achmatova il cui marito era stato fucilato.
Insomma, c’è la solita questione. Le testimonianze sono cose necessarie, certamente e anche gradite emotivamente. Il che non guasta. Ma sono sufficienti queste cose – atteso che, intanto, si facciano per davvero – per ricreare l’onesto e retto conversar cittadino che serve ora qui? C’è uno spazio - da esplorare - tra la politica che non ci piace e la testimonianza?
Ho – ancora – in mente un’assemblea o spazio aperto. Dove chiedersi – con un minimo di premessa teorica – come, quando e dove possono decidere i cittadini della loro città. Mi piacerebbe che si facesse entro gennaio.
Ne avevamo parlato e ne era girata la voce su alcuni blog.
Mentre decidiamo dove dare spazio ai versi, si può provare a riparlarne.
01 dicembre, 2007
politica e Politica
I politici amano usare la parola “giovani”. Allora immaginiamoci, per una volta, una classe o un gruppo di sedicenni – avevano diritto al voto (ricordate?) alle primarie del Pd – che pongono la domanda sullo stato della politica nella loro città, Napoli. A tal fine leggono i giornali delle ultime 72 ore, ritagliandone con cura gli articoli. Poi la prof. chiede loro di leggere. Ecco cosa ne esce:
Nicolais inviava ramoscelli di ulivo alla maggioranza battuta grazie alla sua azione di scissione della stessa e di voto con la minoranza del Pd. Ma i destinatari rispondevano con un nuovo attacco alla casta degli intellettuali che avrebbe vinto la prova di forza con i politici. Grazie al tradimento di Nicolais stesso. E qui la prof deve a lungo spiegare di quale grave tradimento si tratta: l’indicazione a circa 50 individui di votare per una anzicché un’altra prof. tra loro in rapporto di stima – pare. Allora Eugenio Mazzarella, altro prof., offeso perché non si ritiene casta pur ammettendo i tanti difetti degli intellettuali prof. interni al mondo accademico reagisce, scrivendo una lettera, dove nega di essere casta e poi parla di una coppia Bassolino-Carloni senza che si capisca a quale scopo, difendendone, tuttavia l’onore. Intanto il segretario regionale del primo partito della regione, tal Iannuzzi, risponde con le seguenti testuali e illuminanti parole:
“che c’è stato un confronto fra due personalità femminili del mondo del sapere e della cultura” ma “attraverso un percorso non limpido né lineare, e con zone di ambiguità che, mi auguro, possano essere superate con atti concreti”.
A queste si aggiungono le più severe frasi di certo Valiante che usa un termine – autocritica - che nella sua accezione politica – è la povera prof. a doverlo spiegare - proviene dalla III internazionale (apertura di lunga lezione al fine di far comprendere). I ragazzi, abituati all’analisi del testo comprendono subito, però, che il tono è più minaccioso: sappia il Nicolais (che, viene spiegato, è ministro della Repubblica per l’innovazione) che
“dichiarare la volontà di un percorso unitario dopo aver effettuato una scelta diversa dalla maggioranza … di cui ci si dichiara parte, commettendo un grave errore politico e rinfocolando le aspre divisioni delle primarie, è una vera e propria contraddizione”. E quindi “solo dalla presa d’atto di questo errore si può avviare una discussione costruttiva e prospettare un percorso unitario”.
Infine, last but not least (ultimo – spiega la prof. – ma non per importanza) interviene il governatore Bassolino che dice che il Nicolais, suo compagno di partito anche prima del Pd – spiega la prof. – si comporta da vero notabile (spiegazione sulla parola “notabile” da parte della prof. da cui i ragazzi, ovviamente, capiscono che tutti i contendenti non possono che rientrare a pieno titolo in tale categoria), e
“da irresponsabile, e il Pd non se lo merita”.
A questo punto – sempre nella nostra immaginaria scena – la prof. è affranta e sfiancata dalla lezione che ha annoiato enormemente i ragazzi e decide di ravvivarla distribuendo una scheda da commentare con i seguenti dati di realtà:
Nel periodo 2000-2006 la regione ha avuto a disposizione 11 miliardi di euro (per l’esattezza 10.913.600.000)di cui 8 miliardi di fondi comunitari e 3 miliardi di fondi nazionali (Fondo Aree Sottoutilizzate):
• FESR (fondo sviluppo regionale, quello per le infrastrutture): 5,5 miliardi
• FSE (fondo sociale europeo): 1 miliardo
• FAS (Fondo Aree Sottoutilizzate, per infrastrutture ed interventi sul tessuto urbano, il sociale, ecc.): 3,1 miliardi
• FEOGA (Fondo di orientamente e garanzia per l'agricoltura, per interventi a favore dell'agricoltura): 1,1 miliardi.
• SFOP (Fondo per la valorizzazione delle acque e delle attività connesse): 95 milioni (ma per le acque erano già stati stanziati enormi fondi… che non hanno recato esiti apprezzabili, come documenta la stessa autorità regionale: )
E intanto in Campania il 27% delle famiglie, che diventano 1 su 3 nelle zone urbane del napoletano sono sotto la soglia di povertà (spiegazione del concetto).
Dopo una spiegazione sui fondi europei e CIPE, si avvia una discussione sul rapporto tra sviluppo e povertà.
Alla fine del lavoro svolto, la prof. che vuole far capire ai suoi allievi che la politica non va respinta in quanto tale, pone un quesito semplice: quale parte del lavoro svolto insieme va sotto la parola politica con la minuscola e quale sotto la stessa parola con la maiuscola?
“che c’è stato un confronto fra due personalità femminili del mondo del sapere e della cultura” ma “attraverso un percorso non limpido né lineare, e con zone di ambiguità che, mi auguro, possano essere superate con atti concreti”.
A queste si aggiungono le più severe frasi di certo Valiante che usa un termine – autocritica - che nella sua accezione politica – è la povera prof. a doverlo spiegare - proviene dalla III internazionale (apertura di lunga lezione al fine di far comprendere). I ragazzi, abituati all’analisi del testo comprendono subito, però, che il tono è più minaccioso: sappia il Nicolais (che, viene spiegato, è ministro della Repubblica per l’innovazione) che
“dichiarare la volontà di un percorso unitario dopo aver effettuato una scelta diversa dalla maggioranza … di cui ci si dichiara parte, commettendo un grave errore politico e rinfocolando le aspre divisioni delle primarie, è una vera e propria contraddizione”. E quindi “solo dalla presa d’atto di questo errore si può avviare una discussione costruttiva e prospettare un percorso unitario”.
Infine, last but not least (ultimo – spiega la prof. – ma non per importanza) interviene il governatore Bassolino che dice che il Nicolais, suo compagno di partito anche prima del Pd – spiega la prof. – si comporta da vero notabile (spiegazione sulla parola “notabile” da parte della prof. da cui i ragazzi, ovviamente, capiscono che tutti i contendenti non possono che rientrare a pieno titolo in tale categoria), e
“da irresponsabile, e il Pd non se lo merita”.
A questo punto – sempre nella nostra immaginaria scena – la prof. è affranta e sfiancata dalla lezione che ha annoiato enormemente i ragazzi e decide di ravvivarla distribuendo una scheda da commentare con i seguenti dati di realtà:
Nel periodo 2000-2006 la regione ha avuto a disposizione 11 miliardi di euro (per l’esattezza 10.913.600.000)di cui 8 miliardi di fondi comunitari e 3 miliardi di fondi nazionali (Fondo Aree Sottoutilizzate):
• FESR (fondo sviluppo regionale, quello per le infrastrutture): 5,5 miliardi
• FSE (fondo sociale europeo): 1 miliardo
• FAS (Fondo Aree Sottoutilizzate, per infrastrutture ed interventi sul tessuto urbano, il sociale, ecc.): 3,1 miliardi
• FEOGA (Fondo di orientamente e garanzia per l'agricoltura, per interventi a favore dell'agricoltura): 1,1 miliardi.
• SFOP (Fondo per la valorizzazione delle acque e delle attività connesse): 95 milioni (ma per le acque erano già stati stanziati enormi fondi… che non hanno recato esiti apprezzabili, come documenta la stessa autorità regionale: )
E intanto in Campania il 27% delle famiglie, che diventano 1 su 3 nelle zone urbane del napoletano sono sotto la soglia di povertà (spiegazione del concetto).
Dopo una spiegazione sui fondi europei e CIPE, si avvia una discussione sul rapporto tra sviluppo e povertà.
Alla fine del lavoro svolto, la prof. che vuole far capire ai suoi allievi che la politica non va respinta in quanto tale, pone un quesito semplice: quale parte del lavoro svolto insieme va sotto la parola politica con la minuscola e quale sotto la stessa parola con la maiuscola?
29 novembre, 2007
Al post l'ardua sentenza
Tutti a ripetere con enfasi: la maggioranza del Pd, sostenuta da De Mita e Bassolino, è stata “rovesciata” nel corso dell’elezione al segretario provinciale di Napoli del PD.
In questo modo, dopo settimane di rissa tra nomenclature, la vicenda del nuovo partito – le cui diverse componenti comunque a turno ci governano ininterrottamente dal 1993 con i risultati che connotano non certo nel miglior modo la nostra vita e quella dei nostri figli - sarebbe venuta a un arresto nella continuità. E tutti parlano di svolta.
Ma lo è?
Mah…
…per come poco democratiche sono state tutte queste vicende da prima del 14 ottobre ad oggi, così come ho ripetuto fino alla nausea (vedi, ancora, articolo di ieri su Repubblica Napoli), a me adesso vengono solo in mente gli ultimi versi del ben noto Coro, alla fine del terzo atto dell’Adelchi di Manzoni (mi costrinse a impararli a memoria il mio prof. del ginnasio, anno di grazia 1968) che qui - a me pare – tornano davvero utili:
“Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l’antico,
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha”.
22 novembre, 2007
Waterloo delle politiche sociali
La situazione degli operatori del sociale ci consegna un quadro di disprezzo istituzionale e della politica in Campania per chi lavora ogni giorno con i più deboli. E’ un quadro deprimente – ben al di là di piccole e incerte soluzioni emergenziali su budget comunali e pagamenti arretrati – che mostra malsana e colpevole nullità delle politiche di contrasto della esclusione sociale. Lo dico da cittadino e da interno del settore.
E' una roba raccapricciante.
Napoli in particolare può essere presa come l'esempio di tutto quello che tutte le raccomandazioni internazionali, quelle europee, le buone esperienze nazionali, internazionali e anche locali e la ampia letteratura di settore dice di NON fare!
Al netto dei piani megagalattici (ricordiamoci: la mappa non è il territorio!!), al netto del lessico politically correct e dei proponimenti annunciati e altisonanti è una Waterloo di ogni sensata politica pubblica.
Infatti: quel che avviene è quel che conta.
Perciò: è tempo, intanto di indignarsi. Poi di mettere le cose a fuoco e in ordine. E in questo si riparta subito da due cose: dai paurosi nostri dati sulla povertà e, insieme, dallo status effettivo degli operatori sul campo. Il resto è, francamente, falsa coscienza.
Anche di ciò spero si possa parlare molto di più, magari anche un po’ stasera…
Giovedì 22 novembre, ore 18
la Feltrinelli - piazza dei Martiri
Incontro con Curzio Maltese
Intervengono Marco Rossi Doria (che sono io) e Massimo Villone
L’ occasione è l’uscita del libro I padroni delle città, dove Maltese ha rielaborato i reportage realizzati per Repubblica, trasformandoli in una inchiesta sulle città italiane degli ultimi dieci anni. Da Aosta a Taranto, l’alternanza tra buon governo e cattiva o cattivissima amministrazione.
E' una roba raccapricciante.
Napoli in particolare può essere presa come l'esempio di tutto quello che tutte le raccomandazioni internazionali, quelle europee, le buone esperienze nazionali, internazionali e anche locali e la ampia letteratura di settore dice di NON fare!
Al netto dei piani megagalattici (ricordiamoci: la mappa non è il territorio!!), al netto del lessico politically correct e dei proponimenti annunciati e altisonanti è una Waterloo di ogni sensata politica pubblica.
Infatti: quel che avviene è quel che conta.
Perciò: è tempo, intanto di indignarsi. Poi di mettere le cose a fuoco e in ordine. E in questo si riparta subito da due cose: dai paurosi nostri dati sulla povertà e, insieme, dallo status effettivo degli operatori sul campo. Il resto è, francamente, falsa coscienza.
Anche di ciò spero si possa parlare molto di più, magari anche un po’ stasera…
Giovedì 22 novembre, ore 18
la Feltrinelli - piazza dei Martiri
Incontro con Curzio Maltese
Intervengono Marco Rossi Doria (che sono io) e Massimo Villone
L’ occasione è l’uscita del libro I padroni delle città, dove Maltese ha rielaborato i reportage realizzati per Repubblica, trasformandoli in una inchiesta sulle città italiane degli ultimi dieci anni. Da Aosta a Taranto, l’alternanza tra buon governo e cattiva o cattivissima amministrazione.
17 novembre, 2007
Come e quando i cittadini possono decidere
Questo post contiene:
Francamente penso che non si debba buttare via questa cosa – D.I. - che è nata come è nata e che – a distanza di tempo si può ben dire – ha fatto la sua buona battaglia. Perché vi girano belle persone, intelligenze libere. E perché vi è un buon clima. Ma è pur vero che una direzione di marcia – in uno dei sensi o nei diversi sensi indicati da Daniela – va presa con maggiore energia.
2. Nessuno è stato escluso dalla riunione (c’erano i ragazzi di generazione U e anche Costantino) .. e sia il vino che i formaggi erano squisiti. Nella riunione (hai molta ragione, sorella di pandora – lo dovevo scrivere subito!) si è deciso di interrogarsi – in una assemblea pubblica / spazio aperto, da costruire con cura – su “come e quando i cittadini possono decidere”. Anziché evocare la democrazia in modo generico – si è detto – sarebbe, infatti, più utile sostanziare più precisamente un quesito decisivo sul suo effettivo funzionamento. Abbiamo anche ipotizzato che vi fosse una introduzione al tema. A più voci. Di gente che studia questo da tempo. Da diverse prospettive: liberal, municipalista, da democrazia deliberativa. Vediamo se riusciamo a costruire qualcosa, aperta, appunto, insieme. Invitare delle persone esterne al nostro campo e avviare una discussione di merito un po’ meno provinciale del solito…
3. Ma a proposito di mancanza democratica… sono malinconicamente costretto a registrare che nella stessa lista Bindi (che si chiama “democratici davvero” e che si era scostata dalle prassi insopportabili agite in Campania durante le primarie e delle quali ho cercato qui di dare testimonianza) mi pare che – per responsabilità di alcuni - si stia tornando rapidamente ai modi degli altri, ai vecchi metodi, ai linguaggi di sempre.
E’ di oggi la notizia che Anna Maria Carloni entra in direzione nazionale e che Argia Albanese entra nell’esecutivo campano. Per cooptazioni decise senza discussione di merito. E senza dibattito su quali posizioni rappresentare e come.
Sia chiaro: per quanto mi riguarda personalmente non avevo aspirazioni di stare in questi organismi. Notoriamente. Ma volevo parlarne, dato che mi ero speso durante le primarie. Così come avrebbero voluto parlarne altri: Antonella Pezzullo (eletta a Chiaia), Enzo Ruggiero, Osvaldo Cammarota, gli iscritti alla associazione per il Pd, le persone che si sono spese a Caserta o a Nocera o a Torre Annunziata. Il problema è sempre lo stesso, come al tempo delle primarie per sindaco, poi annullate: “come e quando le persone-cittadini (persone!) possono decidere” - appunto!
Nel piccolo gruppo bindiano, che si era un po’ distinto nei modi (insieme ai ragazzi di Adinolfi) nel momento nel quale si decidono rappresentanze nei formandi organismi del Pd alcuni prendono le redini in mano e fanno in modo che non se ne discuta di queste rappresentanze e del merito di quel che intendono rappresentare, soprattutto. Tanto che neanche se ne sapeva niente. Le rappresentanze “sono avvenute”…. Con decisioni prese solo tra alcuni, altrove da luoghi deputati, senza ascolto… secondo metodiche da politburo degli anni quaranta, eletto da nessuno.
E’ l’ennesima offesa alle speranze.
Lo so che mi direte che sono ingenuo e che lo avrei dovuto sempre sapere. Ma – a costo di ripetermi – io credo metodologicamente in quel che mi dicono. Fino a prova contraria. Perché o è questo il metodo - che atti e parole cercano strade congruenti nel fare politica – oppure hanno ragione gli altri con il loro metodo. E nella lista Bindi avevamo deciso di parlarci. Di dirci. Di decidere condividendo. Di riconoscere lealmente le differenze e i normali conflitti. E lo abbiamo anche saputo fare per due mesi.
Ma ora – e per cose importanti - così non è stato.
E anche un testardo liberale di sinistra come me deve arrendersi dinanzi all’evidenza. Peccato.
Nel Pd campano - a primarie chiuse come si sono chiuse - non mi sembra proprio che vi sia l’aria di voler davvero essere democratici e rispettare le tante brave persone che – tra i bindiani così come in altre liste – hanno cercato di dare contributi in modi nuovi e che vogliono far valere le regole partecipative.
Ancora e di nuovo: peccato.
- grazie sorella di pandora
- aggiornamenti sullo spazio aperto
- notizie tristi dalla lista Bindi
Francamente penso che non si debba buttare via questa cosa – D.I. - che è nata come è nata e che – a distanza di tempo si può ben dire – ha fatto la sua buona battaglia. Perché vi girano belle persone, intelligenze libere. E perché vi è un buon clima. Ma è pur vero che una direzione di marcia – in uno dei sensi o nei diversi sensi indicati da Daniela – va presa con maggiore energia.
2. Nessuno è stato escluso dalla riunione (c’erano i ragazzi di generazione U e anche Costantino) .. e sia il vino che i formaggi erano squisiti. Nella riunione (hai molta ragione, sorella di pandora – lo dovevo scrivere subito!) si è deciso di interrogarsi – in una assemblea pubblica / spazio aperto, da costruire con cura – su “come e quando i cittadini possono decidere”. Anziché evocare la democrazia in modo generico – si è detto – sarebbe, infatti, più utile sostanziare più precisamente un quesito decisivo sul suo effettivo funzionamento. Abbiamo anche ipotizzato che vi fosse una introduzione al tema. A più voci. Di gente che studia questo da tempo. Da diverse prospettive: liberal, municipalista, da democrazia deliberativa. Vediamo se riusciamo a costruire qualcosa, aperta, appunto, insieme. Invitare delle persone esterne al nostro campo e avviare una discussione di merito un po’ meno provinciale del solito…
3. Ma a proposito di mancanza democratica… sono malinconicamente costretto a registrare che nella stessa lista Bindi (che si chiama “democratici davvero” e che si era scostata dalle prassi insopportabili agite in Campania durante le primarie e delle quali ho cercato qui di dare testimonianza) mi pare che – per responsabilità di alcuni - si stia tornando rapidamente ai modi degli altri, ai vecchi metodi, ai linguaggi di sempre.
E’ di oggi la notizia che Anna Maria Carloni entra in direzione nazionale e che Argia Albanese entra nell’esecutivo campano. Per cooptazioni decise senza discussione di merito. E senza dibattito su quali posizioni rappresentare e come.
Sia chiaro: per quanto mi riguarda personalmente non avevo aspirazioni di stare in questi organismi. Notoriamente. Ma volevo parlarne, dato che mi ero speso durante le primarie. Così come avrebbero voluto parlarne altri: Antonella Pezzullo (eletta a Chiaia), Enzo Ruggiero, Osvaldo Cammarota, gli iscritti alla associazione per il Pd, le persone che si sono spese a Caserta o a Nocera o a Torre Annunziata. Il problema è sempre lo stesso, come al tempo delle primarie per sindaco, poi annullate: “come e quando le persone-cittadini (persone!) possono decidere” - appunto!
Nel piccolo gruppo bindiano, che si era un po’ distinto nei modi (insieme ai ragazzi di Adinolfi) nel momento nel quale si decidono rappresentanze nei formandi organismi del Pd alcuni prendono le redini in mano e fanno in modo che non se ne discuta di queste rappresentanze e del merito di quel che intendono rappresentare, soprattutto. Tanto che neanche se ne sapeva niente. Le rappresentanze “sono avvenute”…. Con decisioni prese solo tra alcuni, altrove da luoghi deputati, senza ascolto… secondo metodiche da politburo degli anni quaranta, eletto da nessuno.
E’ l’ennesima offesa alle speranze.
Lo so che mi direte che sono ingenuo e che lo avrei dovuto sempre sapere. Ma – a costo di ripetermi – io credo metodologicamente in quel che mi dicono. Fino a prova contraria. Perché o è questo il metodo - che atti e parole cercano strade congruenti nel fare politica – oppure hanno ragione gli altri con il loro metodo. E nella lista Bindi avevamo deciso di parlarci. Di dirci. Di decidere condividendo. Di riconoscere lealmente le differenze e i normali conflitti. E lo abbiamo anche saputo fare per due mesi.
Ma ora – e per cose importanti - così non è stato.
E anche un testardo liberale di sinistra come me deve arrendersi dinanzi all’evidenza. Peccato.
Nel Pd campano - a primarie chiuse come si sono chiuse - non mi sembra proprio che vi sia l’aria di voler davvero essere democratici e rispettare le tante brave persone che – tra i bindiani così come in altre liste – hanno cercato di dare contributi in modi nuovi e che vogliono far valere le regole partecipative.
Ancora e di nuovo: peccato.
11 novembre, 2007
Quattro fatti di un sabato d'autunno
Ieri è stato un sabato d’autunno con le nitide linee del golfo a ricordarci, come ogni volta, che potremmo vivere bene. In uno dei luoghi più belli del mondo. Ma tutto intorno - come accade in modo ricorrente nella storia del pensiero politico sul Mezzogiorno - ci si ricorda che non è così e che mai lo sarà. Le frecciate e gli affondi – di autori meridionali e del nord, letterati e giornalisti – ridanno fiato alle solite trombe, a due anni dal successo del libro di Bocca. “Non c’è partecipazione. La gente non si mobilita nonostante il degrado. La camorra resterà e così il clientelismo. Perché conviene. E’ un male antropologico, radicato, che consente a tutti di vivacchiare.” Sono le frasi ripetute del pessimismo meridionale peggiore. Quello che beatifica l’immobilismo. E che fa da controcanto all’altro adagio – quello dell’ottimismo d’accatto - che ripete che “non è vero, che si sta facendo tanto e che più di così non si può”. L’uno e l’altro - insieme – tolgono speranza ai nostri ragazzi. Evitano un esame di coscienza rigoroso agli adulti. E sono l’opposto dell’approccio dei grandi meridionalisti che erano ferocemente pessimisti nella disamina della realtà ma mai fatalisti; che proponevano soluzioni e confronto caso per caso, situazione per situazione, riconoscendo colpe, mancanze, tragedie ma anche impegno e faticoso riscatto. E l’uno e l’altro – ancora una volta - consentono alla politica e ai politici di evitare la questione cruciale che riguarda la loro stessa ragion d’essere: far funzionare bene la democrazia. Che vuol dire stare al governo per fare buon governo e stare all’opposizione per fare buona opposizione. E favorire vera rappresentanza e effettiva partecipazione.
Intanto - mentre la mattina di questo sabato trascorre – accadono cose nella nostra città. Che forse ci raccontano una storia più complicata.
Un gruppo di pachistani, giovani e non giovani, si riuniscono dinanzi alla prefettura e spiegano come e perché nel loro paese il generale Musharraf ha sospeso le libertà costituzionali, nella loro lingua e in italiano. A ricordarci che oggi la democrazia davvero attraversa i confini.
Gli abitanti di Poggioreale organizzano riunioni e si chiedono come accogliere o non accogliere 50.000 ecoballe respinte dai concittadini di Chiaiano.
Poco prima i rappresentanti di 3000 operatori sociali – che si occupano di ragazzi esclusi, di anziani, di poveri, di emarginazione in interi nostri quartieri – evidenziano il fatto che spesso non vengono pagati da oltre un anno e raccontano la pochezza delle politiche sociali, incapaci di dare un salario regolare a chi si occupa con regolarità delle parti deboli della città.
Alla stessa ora, a Piazza dei Martiri, molte centinaia di cittadini di Chiaia, che avevano votato a destra o a sinistra, hanno rotto il cliché sulla eterna estaneità della buona borghesia napoletana alla battaglia civile per una città migliore. “Chiaia per Napoli” ha raccolto, attraverso una paziente tessitura tra associazioni, una presenza che segna, infatti, una svolta. La Napoli che sta bene non è più ferma nei suoi salotti a fare il tifo pro o contro l’amministrazione. In uno stile composto, quasi torinese, grida vergogna contro questi anni di immobilismo insopportabile e di cattivo governo urbano. E chiede di concentrarsi sulle cose da fare: parcheggi e sicurezza ma anche raccolta differenziata e confronto su come regolare la vita di notte, come accade altrove in Italia. Sono toni disillusi, come non era mai avvenuto. E come era ora che avvenisse. Ma privi di isterie e di faziosità.
Tutte queste sono cose molto diverse. E ci raccontano forse di una città sofferente ma ricca di potenziali risorse. Nelle sue parti forti e nelle sue parti deboli. Che non si incontrano ancora. Ma che, intanto, dicono alla politica locale – ancora tanto miope da restare arroccata nei suoi consessi a parlare di organigrammi e equilibri tra potentati - che è davvero tempo di un’altra stagione. Meno provinciale. Più attenta alle persone. E concentrata su procedure partecipative e soluzioni dei problemi vivi dei cittadini. Dal governo e dall’opposizione.
Intanto - mentre la mattina di questo sabato trascorre – accadono cose nella nostra città. Che forse ci raccontano una storia più complicata.
Un gruppo di pachistani, giovani e non giovani, si riuniscono dinanzi alla prefettura e spiegano come e perché nel loro paese il generale Musharraf ha sospeso le libertà costituzionali, nella loro lingua e in italiano. A ricordarci che oggi la democrazia davvero attraversa i confini.
Gli abitanti di Poggioreale organizzano riunioni e si chiedono come accogliere o non accogliere 50.000 ecoballe respinte dai concittadini di Chiaiano.
Poco prima i rappresentanti di 3000 operatori sociali – che si occupano di ragazzi esclusi, di anziani, di poveri, di emarginazione in interi nostri quartieri – evidenziano il fatto che spesso non vengono pagati da oltre un anno e raccontano la pochezza delle politiche sociali, incapaci di dare un salario regolare a chi si occupa con regolarità delle parti deboli della città.
Alla stessa ora, a Piazza dei Martiri, molte centinaia di cittadini di Chiaia, che avevano votato a destra o a sinistra, hanno rotto il cliché sulla eterna estaneità della buona borghesia napoletana alla battaglia civile per una città migliore. “Chiaia per Napoli” ha raccolto, attraverso una paziente tessitura tra associazioni, una presenza che segna, infatti, una svolta. La Napoli che sta bene non è più ferma nei suoi salotti a fare il tifo pro o contro l’amministrazione. In uno stile composto, quasi torinese, grida vergogna contro questi anni di immobilismo insopportabile e di cattivo governo urbano. E chiede di concentrarsi sulle cose da fare: parcheggi e sicurezza ma anche raccolta differenziata e confronto su come regolare la vita di notte, come accade altrove in Italia. Sono toni disillusi, come non era mai avvenuto. E come era ora che avvenisse. Ma privi di isterie e di faziosità.
Tutte queste sono cose molto diverse. E ci raccontano forse di una città sofferente ma ricca di potenziali risorse. Nelle sue parti forti e nelle sue parti deboli. Che non si incontrano ancora. Ma che, intanto, dicono alla politica locale – ancora tanto miope da restare arroccata nei suoi consessi a parlare di organigrammi e equilibri tra potentati - che è davvero tempo di un’altra stagione. Meno provinciale. Più attenta alle persone. E concentrata su procedure partecipative e soluzioni dei problemi vivi dei cittadini. Dal governo e dall’opposizione.
05 novembre, 2007
Decenza democratica - 2
Allora facciamo un primo punto su “decenza democratica” a Napoli: giovedì 8 novembre alle 19.30. Non è già l’open space / spazio aperto. Serve a pensarlo, capirne il senso, stabilire se e come organizzarlo. Sarà vino, formaggio e pane. Ci si vede a Via Nilo, n.° 28 (è il primo portone salendo la via sulla sinistra, è a piano terra), sede di Decidiamo Insieme.
31 ottobre, 2007
Per la decenza democratica
Sono stato prima in giro per la Sardegna. Poi a Verona e Ferrara. Nelle scuole: d’infanzia, primarie, medie. Lavoro nei collegi docenti.
C’è un clima spesso fattivo: fare valere le cose che sappiamo fare, usare le nuove indicazioni per miglioramenti reali, possibili. Ascolto. Suggerisco cose pratiche.
Per preparare lo spazio aperto propongo di vederci di sera (quelli che hanno dato disponibilità qui o sul sito Decidiamo Insieme e eventuali altri) – birra e taralli o vino e formaggio – e capire temi, modalità e possibilità di una rete per la decenza democratica a Napoli.
Vi va bene – per essere concreti e realisti - la settimana prossima, giovedì 8 novembre?
C’è un clima spesso fattivo: fare valere le cose che sappiamo fare, usare le nuove indicazioni per miglioramenti reali, possibili. Ascolto. Suggerisco cose pratiche.
Per preparare lo spazio aperto propongo di vederci di sera (quelli che hanno dato disponibilità qui o sul sito Decidiamo Insieme e eventuali altri) – birra e taralli o vino e formaggio – e capire temi, modalità e possibilità di una rete per la decenza democratica a Napoli.
Vi va bene – per essere concreti e realisti - la settimana prossima, giovedì 8 novembre?
24 ottobre, 2007
Spazio aperto?
Sulla scena “primarie del Pd campano” si chiude per ora il sipario. La conta e il controllo sono rimandati sine die dall’Utan e dai garanti nazionali, nonostante i risultati inaffidabili davvero. Dunque, restano delegati alla costituente di Milano del Pd solo quelli eletti secondo quanto affermano proprio i contestatissimi verbali dei seggi. E’ finita così ma…
… ben oltre la mia piccola vicenda di candidato a me pare che:
1. non mi sono sottratto alla prova e ho fatto bene perché ho chiesto voti a persone che ci credono a un altro modo possibile (ed è andata bene) e perché sono andato a vedere il pd campano in formazione nel suo muoversi differenziato, ricco, complesso,
2. ho così esplorato da dentro un paesaggio che si conferma in parte quello previsto: voto organizzato su base di gruppi di potere legati a nomenclature in lotta tra loro e che sfruttano una subalternità materiale e una sudditanza culturale al potere molto radicate,
3. nel paesaggio previsto ci sono, però, in altra parte e in modo molto intrecciato, anche sorprese e speranze: sprazzi di new entries vere in diverse liste, aspettative battagliere verso un soggetto che sia autenticamente nuovo e post ideologico, segni diffusi di voglia di partecipazione,
4. tali segni di speranza sono stati schiattati, per l’ennesima volta, dalle modalità di voto e di conta e dalle più generali chiusure alle opportunità democratiche da parte delle nomenclature e di quelli che “la politica la si fa così”,
5. ma tali modalità e chiusure, a loro volta, non spingono solo verso la rassegnazione ma anche verso la rabbia, la rivendicazione e la voglia di insistere e di crederci ancora,
6. c’è forse qualche possibilità per riprendere - in modo fantasioso e aperto - la battaglia per l’agibilità degli spazi pubblici e per la democrazia partecipativa qui da noi.
Mi piacerebbe convocare - ma insieme ad altri - un momento di riflessione pubblica dal titolo “le voci dei cittadini” o qualcosa del genere; proporre – anche via web - un primo spazio aperto, appunto, in cui si possano dibattere i temi della partecipazione a Napoli alla luce sì di queste primarie Pd ma anche del voto dei lavoratori sull’accordo welfare, della partecipazione al vaffa day e di quanto altro.
A che stiamo, insomma, sulla democrazia qui? Cosa si può immaginare di fare?
Vogliamo fare una fermata – una sospensione pensante, aperta a molte voci – su ciò?
… ben oltre la mia piccola vicenda di candidato a me pare che:
1. non mi sono sottratto alla prova e ho fatto bene perché ho chiesto voti a persone che ci credono a un altro modo possibile (ed è andata bene) e perché sono andato a vedere il pd campano in formazione nel suo muoversi differenziato, ricco, complesso,
2. ho così esplorato da dentro un paesaggio che si conferma in parte quello previsto: voto organizzato su base di gruppi di potere legati a nomenclature in lotta tra loro e che sfruttano una subalternità materiale e una sudditanza culturale al potere molto radicate,
3. nel paesaggio previsto ci sono, però, in altra parte e in modo molto intrecciato, anche sorprese e speranze: sprazzi di new entries vere in diverse liste, aspettative battagliere verso un soggetto che sia autenticamente nuovo e post ideologico, segni diffusi di voglia di partecipazione,
4. tali segni di speranza sono stati schiattati, per l’ennesima volta, dalle modalità di voto e di conta e dalle più generali chiusure alle opportunità democratiche da parte delle nomenclature e di quelli che “la politica la si fa così”,
5. ma tali modalità e chiusure, a loro volta, non spingono solo verso la rassegnazione ma anche verso la rabbia, la rivendicazione e la voglia di insistere e di crederci ancora,
6. c’è forse qualche possibilità per riprendere - in modo fantasioso e aperto - la battaglia per l’agibilità degli spazi pubblici e per la democrazia partecipativa qui da noi.
Mi piacerebbe convocare - ma insieme ad altri - un momento di riflessione pubblica dal titolo “le voci dei cittadini” o qualcosa del genere; proporre – anche via web - un primo spazio aperto, appunto, in cui si possano dibattere i temi della partecipazione a Napoli alla luce sì di queste primarie Pd ma anche del voto dei lavoratori sull’accordo welfare, della partecipazione al vaffa day e di quanto altro.
A che stiamo, insomma, sulla democrazia qui? Cosa si può immaginare di fare?
Vogliamo fare una fermata – una sospensione pensante, aperta a molte voci – su ciò?
22 ottobre, 2007
Ultime notizie dalle primarie campane
A vicenda elettorale conclusa, ecco le ultime notizie sulla mia avventura come candidato alle primarie del Pd.
E’ stato negato dall’ Utan il quorum del 5% alla lista Bindi in Campania 1. La lista ha ottenuto in media il 4,94% a rigore di verbali. Ma ha documentato una serie di difformità tra dati alla scrutinio e verbali stessi. Tali difformità, a svantaggio della lista, soprattutto per lo “strano” aumento dei voti utili, indurrebbe - anche in una interpretazione per grande difetto - a portare la lista chiaramente oltre il 5%. Fatto salvo un risultato nuovo dovuto al ricorso della lista Bindi, io, pertanto, non accederò ai resti e non sarò eletto alla costituente Pd di Milano. Nonostante il 10,72% ottenuto come capolista nel mio collegio di Napoli 5, Avvocata e Arenella (capolista con l’ausilio di 1 solo effettivo altro candidato, Biagio Terracciano), un risultato per il quale di nuovo ringrazio.
(Per i curiosi: ce la farà in Campania 1 solo Antonella Pezzullo con il 12,78% a Napoli 2. Gli altri risultati in città sono inferiori al mio e sono i seguenti: Napoli 1 = 8,01%, Napoli 3 = 5,25%, Napoli 4 = 2,81%, Napoli 6 = 3,50%, Napoli 7 = 4,04%, Napoli 8 = 2,39, Napoli 9 = 4,23).
Ci sarà da riflettere con pacatezza. La lista Bindi non ha fatto bene. Non è stata quel fattore di rottura come avrebbe potuto e dovuto essere a maggior ragione qui da noi, in coerenza con la battaglia nazionale di Rosy. Ed è ancora una volta evidente che il voto partecipativo e libero (che pur c’è stato) è stato circondato dal voto organizzato, aggressivo, che fa leva sull’esclusione sociale e su radicate culture di sudditanza, sfruttando la rete clientelare di sempre. Un fatto che riguarda tutti. In misure diverse… ma tutti. Anche la stessa lista Bindi: non qui ma, per esempio, in Calabria. Riflettere sulla democrazia politica e il Mezzogiorno – con onestà intellettuale e rigore vero - è ancor oggi il compito prioritario.
E’ stato negato dall’ Utan il quorum del 5% alla lista Bindi in Campania 1. La lista ha ottenuto in media il 4,94% a rigore di verbali. Ma ha documentato una serie di difformità tra dati alla scrutinio e verbali stessi. Tali difformità, a svantaggio della lista, soprattutto per lo “strano” aumento dei voti utili, indurrebbe - anche in una interpretazione per grande difetto - a portare la lista chiaramente oltre il 5%. Fatto salvo un risultato nuovo dovuto al ricorso della lista Bindi, io, pertanto, non accederò ai resti e non sarò eletto alla costituente Pd di Milano. Nonostante il 10,72% ottenuto come capolista nel mio collegio di Napoli 5, Avvocata e Arenella (capolista con l’ausilio di 1 solo effettivo altro candidato, Biagio Terracciano), un risultato per il quale di nuovo ringrazio.
(Per i curiosi: ce la farà in Campania 1 solo Antonella Pezzullo con il 12,78% a Napoli 2. Gli altri risultati in città sono inferiori al mio e sono i seguenti: Napoli 1 = 8,01%, Napoli 3 = 5,25%, Napoli 4 = 2,81%, Napoli 6 = 3,50%, Napoli 7 = 4,04%, Napoli 8 = 2,39, Napoli 9 = 4,23).
Ci sarà da riflettere con pacatezza. La lista Bindi non ha fatto bene. Non è stata quel fattore di rottura come avrebbe potuto e dovuto essere a maggior ragione qui da noi, in coerenza con la battaglia nazionale di Rosy. Ed è ancora una volta evidente che il voto partecipativo e libero (che pur c’è stato) è stato circondato dal voto organizzato, aggressivo, che fa leva sull’esclusione sociale e su radicate culture di sudditanza, sfruttando la rete clientelare di sempre. Un fatto che riguarda tutti. In misure diverse… ma tutti. Anche la stessa lista Bindi: non qui ma, per esempio, in Calabria. Riflettere sulla democrazia politica e il Mezzogiorno – con onestà intellettuale e rigore vero - è ancor oggi il compito prioritario.
21 ottobre, 2007
Contro le povertà
Il giorno 17 ottobre – giornata internazionale della lotta alle povertà - ho partecipato alla prima riunione della nuova Commissione nazionale di indagine sull’esclusione sociale (CIES).
Ne ero stato nominato membro – su proposta della European Anti Poverty Network - dal Ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero (con decreto del 7 agosto 2007). La commissione è presieduta da Marco Revelli e ne fanno parte Francesco Marsico (Charitas), Elena Granaglia (Univ. della Calabria), Nicola Negri (Università di Torino), Enrica Amaturo (Univ. Federico II Napoli) e Giovanni Battista Sgritta (La Sapienza, Roma). Inoltre ne sono membri permanenti i rappresentanti di ISTAT, Banca d’Italia, Conferenza unificata Stato-regioni e province autonome, l’Assoc. naz. comuni italiani (ANCI) e l’Unione delle province (UPI).
La Commissione intende esercitare le sue funzioni istituzionali di indagine quantitativa e qualitativa sulla povertà in Italia ma anche proporre misure innovative contro l’esclusione sociale, con ampia autonomia di iniziativa. Ce ne è bisogno. Infatti la politica sulle povertà in Italia fa schifo. L’Italia è di gran lunga l’ultima in Europa per gettito di spesa, varietà, integrazione ed efficacia di misure.
E’ un incarico che consente di intervenire almeno un po’ nel merito delle politiche pubbliche a favore delle persone deboli in una società sempre più segnata dalle diseguaglianze. Da parte mia – credo - richieda un lavoro (gratuito) intenso. Perciò ho deciso di svolgere delle audizioni con operatori sociali ed esperti in Campania e nel Mezzogiorno. Comincerò la prossima settimana. Ne riferirò anche qui.
Ne ero stato nominato membro – su proposta della European Anti Poverty Network - dal Ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero (con decreto del 7 agosto 2007). La commissione è presieduta da Marco Revelli e ne fanno parte Francesco Marsico (Charitas), Elena Granaglia (Univ. della Calabria), Nicola Negri (Università di Torino), Enrica Amaturo (Univ. Federico II Napoli) e Giovanni Battista Sgritta (La Sapienza, Roma). Inoltre ne sono membri permanenti i rappresentanti di ISTAT, Banca d’Italia, Conferenza unificata Stato-regioni e province autonome, l’Assoc. naz. comuni italiani (ANCI) e l’Unione delle province (UPI).
La Commissione intende esercitare le sue funzioni istituzionali di indagine quantitativa e qualitativa sulla povertà in Italia ma anche proporre misure innovative contro l’esclusione sociale, con ampia autonomia di iniziativa. Ce ne è bisogno. Infatti la politica sulle povertà in Italia fa schifo. L’Italia è di gran lunga l’ultima in Europa per gettito di spesa, varietà, integrazione ed efficacia di misure.
E’ un incarico che consente di intervenire almeno un po’ nel merito delle politiche pubbliche a favore delle persone deboli in una società sempre più segnata dalle diseguaglianze. Da parte mia – credo - richieda un lavoro (gratuito) intenso. Perciò ho deciso di svolgere delle audizioni con operatori sociali ed esperti in Campania e nel Mezzogiorno. Comincerò la prossima settimana. Ne riferirò anche qui.
18 ottobre, 2007
… se l’hann’ purtate
La storia campana delle elezioni per le costituenti nazionali e regionali Pd si conclude ingloriosamente oggi, a cinque giorni dalla fine del voto “festa della democrazia”, che avrebbe dovuto creare una casa comune e democratica. E diviene una vicenda nazionale. Tanto scabrosa da richiedere – come i tumori – una azione chirurgica decisa. Manu militari.
E forse solo così – ma con tanti sospetti che ormai non potranno essere dipanati – c’è la pallida possibilità di salvare almeno una parte dell’onore non già degli apparati e delle truppe da essi mobilitate al voto ma delle migliaia e migliaia di cittadini che hanno votato con ben altro spirito.
La ingovernabilità democratica campana
Finalmente, infatti, ieri sera sono arrivate due nuove persone da Roma, in rappresentanza del Utan, l’ufficio preposto alle operazioni di voto delle primarie del Pd a livello nazionale. E stamattina - dopo un’ennesima nottata in cui hanno constatato direttamente il clima inaccettabile di ritorsione, mancato rispetto reciproco e delle minime procedure e dopo aver visto in azione la rissa prolungata e furiosa tra i potentati - hanno preso tutti i verbali di scrutinio dei seggi campani e ogni altra documentazione disponibile, hanno ascoltato tutti i rappresentanti delle diverse liste nel merito del cosa era fin qui accaduto durante le operazioni si spoglio e hanno portato tutto a Roma. Dove la conta dei voti sarà fatta daccapo. Unico caso in Italia. Deo gratis.
Il senso politico dello scontro che è a monte e causa di tutto ciò e che ha portato a tale esito contrario alla stessa parola “democratico” lo ho già espresso qui a pochi giorni dal voto.
E non mi ripeto.
Elenco semplicemente i nudi fatti che sono a monte di questo esito, senza commentarli perché si commentano da soli:
Ora siamo al commissariamento nazionale, dopo che già più volte gli uffici regionali erano stati sollevati dalle loro competenze. Converrà interrogarsi– nei mesi a venire e con il necessario rigore - quali responsabilità ci sono:
- quali sono dei candidati campani incapaci di confronto civile e di merito,
- quali dei big campani che li hanno sostenuti nel loro improvvido agire,
- quali del gota nazionale del partito incapace di intervenire per tempo e con autorevolezza ed efficacia di fronte a tutte queste intollerabili modalità di confronto,
- quali dei segretari regionali e provinciali di Ds e di Margherita,
- quali della nuova responsabile pro-tempore del Pd in Campania,
- quali dei responsabili degli uffici regionali e provinciali per il voto,
- quali dei responsabili, a diversi livelli, nei diversi territori.
Sia chiaro: dopo ciò che è accaduto, se non si fa questo bilancio severo, impietoso, non potrà neanche aprirsi un processo costituente minimamente credibile.
Per quanto riguarda la mia candidatura – cosa veramente secondaria di fronte alla enormità della emergenza democratica che si manifesta ancora una volta in Campania – ero capolista di una lista di 5 di cui 3 prestanome fantasmi, tanto che non hanno neanche votato. Insieme a Biagio Terracciano (primo affaccio in assoluto alla politica, unico altro candidato attivo… e davvero combattivo) ho preso – fino a i dati disponibili ad oggi sul sito ufficiale Pd ma non certi – al collegio Arenella e Avvocata 666 voti. Ringrazio chi mi ha votato e sostenuto. E’ il secondo miglior risultato di Bindi in città. Il primo è di Antonella Pezzullo nel collegio Chiaia-Vomero. E’ pari a una percentuale che va dall’oltre 12,4% dei voti validi della prima conta nei seggi domenica al 10% circa – pare – secondo la incerta conta successiva. E’ un risultato eccellente. In un collegio non mio. Dinanzi a un clima insopportabile. Purtroppo le liste Bindi sono, nella media di Campania 1, appena sopra o sotto il 5%. Se la lista Bindi avrà la conferma di avere ottenuto più del 5% dovrei anche essere eletto alla Costituente di Milano del 27 ottobre. Altrimenti sono comunque personalmente soddisfatto…
… ma resto più che preoccupato per la durezza del compito – che è della cittadinanza, ben oltre il Pd - di costruire quel minimo di decoro democratico effettivo qui da noi.
E forse solo così – ma con tanti sospetti che ormai non potranno essere dipanati – c’è la pallida possibilità di salvare almeno una parte dell’onore non già degli apparati e delle truppe da essi mobilitate al voto ma delle migliaia e migliaia di cittadini che hanno votato con ben altro spirito.
La ingovernabilità democratica campana
Finalmente, infatti, ieri sera sono arrivate due nuove persone da Roma, in rappresentanza del Utan, l’ufficio preposto alle operazioni di voto delle primarie del Pd a livello nazionale. E stamattina - dopo un’ennesima nottata in cui hanno constatato direttamente il clima inaccettabile di ritorsione, mancato rispetto reciproco e delle minime procedure e dopo aver visto in azione la rissa prolungata e furiosa tra i potentati - hanno preso tutti i verbali di scrutinio dei seggi campani e ogni altra documentazione disponibile, hanno ascoltato tutti i rappresentanti delle diverse liste nel merito del cosa era fin qui accaduto durante le operazioni si spoglio e hanno portato tutto a Roma. Dove la conta dei voti sarà fatta daccapo. Unico caso in Italia. Deo gratis.
Il senso politico dello scontro che è a monte e causa di tutto ciò e che ha portato a tale esito contrario alla stessa parola “democratico” lo ho già espresso qui a pochi giorni dal voto.
E non mi ripeto.
Elenco semplicemente i nudi fatti che sono a monte di questo esito, senza commentarli perché si commentano da soli:
- Mancato rispetto dell’alternanza donne/uomini nella costituzione delle liste in almeno tre delle liste veltroniane e in più collegi e mancata segnalazione ai diretti interessati di tale irregolarità secondo la procedura prevista dal regolamento; mancato ascolto dei rappresentanti che richiedevano tale procedura; conseguente ritardo nell’invito formale e scritto ai responsabili di lista al fine di rimediare alle irregolarità nella loro costituzione, successiva mancata esclusione delle stesse liste per scadenza termini, accettazione di liste aggiustate alla meglio fuori tempo massimo;
- Ritardo nelle procedure di convalida delle liste in generale;
- Avvio di una estenuante e rissosa confrontazione, che ha coinvolto soprattutto le liste veltroniane afferenti ai tre diversi candidati a segretario regionale (De Franciscis, Iannuzzi e Piccolo) su dove ubicare i diversi seggi elettorali e su quali sezioni attribuire a tali luoghi; conseguente gravissimo ritardo nel definire luoghi per votare, nell’allestirli, nell’informare i cittadini; frequenti casi di cambio di seggio non comunicato per tempo agli elettori e di indirizzi inesatti;
- Indicazioni contraddittorie con il regolamento date la domenica mattina ai presidenti di seggio e che smentivano il principio di presentarsi con la tessera elettorale personale;
- Diffuso clima di tensione nei seggi e pressioni manifeste soprattutto verso scrutatori e presidenti imparziali o non afferenti alle liste forti, presumibilmente, nel territorio circostante;
- Molti episodi di pressione e organizzazione dell’affluenza molto preoccupanti e sospette; alcuni episodi di particolare gravità, anche documentati fotograficamente;
- Mancata acquisizione a livello centrale, immediata, dei risultati letti e esposti pubblicamente a compimento dello scrutinio nei seggi e dunque possibili discrepanze tra dato reso pubblico nel seggio e dato in verbale di chiusura;
- Disorganizzazione massiccia al momento della consegna agli uffici preposti dei verbali e dei faldoni con i voti; mancanza di procedure e di servizio di raccolta; smarrimento sospetto di un numero imprecisato di verbali, faldoni ecc.;
- Cinque giorni di rissa costante nel corso delle operazioni di spoglio presso gli uffici provinciali e regionali che ha impedito di validare il voto e proclamare gli eletti delegati.
Ora siamo al commissariamento nazionale, dopo che già più volte gli uffici regionali erano stati sollevati dalle loro competenze. Converrà interrogarsi– nei mesi a venire e con il necessario rigore - quali responsabilità ci sono:
- quali sono dei candidati campani incapaci di confronto civile e di merito,
- quali dei big campani che li hanno sostenuti nel loro improvvido agire,
- quali del gota nazionale del partito incapace di intervenire per tempo e con autorevolezza ed efficacia di fronte a tutte queste intollerabili modalità di confronto,
- quali dei segretari regionali e provinciali di Ds e di Margherita,
- quali della nuova responsabile pro-tempore del Pd in Campania,
- quali dei responsabili degli uffici regionali e provinciali per il voto,
- quali dei responsabili, a diversi livelli, nei diversi territori.
Sia chiaro: dopo ciò che è accaduto, se non si fa questo bilancio severo, impietoso, non potrà neanche aprirsi un processo costituente minimamente credibile.
Per quanto riguarda la mia candidatura – cosa veramente secondaria di fronte alla enormità della emergenza democratica che si manifesta ancora una volta in Campania – ero capolista di una lista di 5 di cui 3 prestanome fantasmi, tanto che non hanno neanche votato. Insieme a Biagio Terracciano (primo affaccio in assoluto alla politica, unico altro candidato attivo… e davvero combattivo) ho preso – fino a i dati disponibili ad oggi sul sito ufficiale Pd ma non certi – al collegio Arenella e Avvocata 666 voti. Ringrazio chi mi ha votato e sostenuto. E’ il secondo miglior risultato di Bindi in città. Il primo è di Antonella Pezzullo nel collegio Chiaia-Vomero. E’ pari a una percentuale che va dall’oltre 12,4% dei voti validi della prima conta nei seggi domenica al 10% circa – pare – secondo la incerta conta successiva. E’ un risultato eccellente. In un collegio non mio. Dinanzi a un clima insopportabile. Purtroppo le liste Bindi sono, nella media di Campania 1, appena sopra o sotto il 5%. Se la lista Bindi avrà la conferma di avere ottenuto più del 5% dovrei anche essere eletto alla Costituente di Milano del 27 ottobre. Altrimenti sono comunque personalmente soddisfatto…
… ma resto più che preoccupato per la durezza del compito – che è della cittadinanza, ben oltre il Pd - di costruire quel minimo di decoro democratico effettivo qui da noi.
15 ottobre, 2007
Confortato e battagliero
Finite le primarie del Pd. Sono stati giorni nei quali si è mescolata e confusa una aspirazione autentica e ampia di partecipazione e la terrificante presenza dell'elettorato organizzato campano, della peggior fatta, niente escluso…
Li racconterò nei prossimi giorni. Con cura.
I risultati ufficiali non ci sono a tutt’ora, neanche quelli per la Assemblea Costituente nazionale del Pd per la quale sono stato capolista per Rosy Bindi nel collegio di Napoli Arenella - Avvocata.
In particolare i verbali definitivi sono stati avvalorati – alle ore 15.30 di oggi – solo per il 30%. Scandaloso. Inquietante. Ho chiamato Rosy per dirglielo: il campo di gioco in Campania non solo non è regolamentare. Non si sa se esiste.
In tale incertezza generale il risultato delle liste Bindi – così come delle altre e al di là dei soliti boatos di queste ore - non sono davvero accertati. Ma c’è un rischio reale che la Bindi, in chiara controtendenza rispetto alla media nazionale che è del 14%, si possa collocare, in Campania, al di sotto del 5%, che è il minimo per esprimere delegati alla assemblea nazionale costituente.
Invece, in assoluta controtendenza positiva e nonostante condizioni proibitive, che racconterò, io ho preso un numero confortante di voti. Che confermerò in dettaglio – con relativa, doverosa analisi del voto – appena possibile.
E che mi fanno ripartire - per la solita settimana di lavoro - rinfrancato e pronto alle necessarie nuove, dure battaglie per quel minimo decoro democratico sine qua non…
Li racconterò nei prossimi giorni. Con cura.
I risultati ufficiali non ci sono a tutt’ora, neanche quelli per la Assemblea Costituente nazionale del Pd per la quale sono stato capolista per Rosy Bindi nel collegio di Napoli Arenella - Avvocata.
In particolare i verbali definitivi sono stati avvalorati – alle ore 15.30 di oggi – solo per il 30%. Scandaloso. Inquietante. Ho chiamato Rosy per dirglielo: il campo di gioco in Campania non solo non è regolamentare. Non si sa se esiste.
In tale incertezza generale il risultato delle liste Bindi – così come delle altre e al di là dei soliti boatos di queste ore - non sono davvero accertati. Ma c’è un rischio reale che la Bindi, in chiara controtendenza rispetto alla media nazionale che è del 14%, si possa collocare, in Campania, al di sotto del 5%, che è il minimo per esprimere delegati alla assemblea nazionale costituente.
Invece, in assoluta controtendenza positiva e nonostante condizioni proibitive, che racconterò, io ho preso un numero confortante di voti. Che confermerò in dettaglio – con relativa, doverosa analisi del voto – appena possibile.
E che mi fanno ripartire - per la solita settimana di lavoro - rinfrancato e pronto alle necessarie nuove, dure battaglie per quel minimo decoro democratico sine qua non…
13 ottobre, 2007
Cronache di una festa della democrazia
Questa “festa della democrazia” del Pd è divenuta davvero l’ennesima brutta storia campana. A un giorno dall’inizio del voto c’è il pericolo di una lunga notte di conta basata sul sospetto, la contrapposizione dura, la rissa. Tanto è vero che è stato nominato un commissario nazionale, unico caso italiano. E già si è visto che la logica della guerra, imperante, ha prodotto alcune aberrazioni procedurali. La lista dei seggi, uscita in enorme ritardo, con le sezioni elettorali non sempre precisamente indicate e che sono spesso anche senza indirizzo, sfavorisce il voto libero e di opinione (ci va chi già sa). Vi è, in taluni casi, addirittura la sparizione di alcuni seggi perché in sedi non idonee o perché le associazioni titolari non sono mai state avvisate o non sono d’accordo ad assolvere tale funzione.
Non è disorganizzazione. E’ il risultato della spartizione territoriale selvaggia – “questo a me e questo a te” – in cui è implicito che il seggio non è luogo neutro e di “festa della democrazia” ma, invece, appartiene a una fazione in lotta ed è dunque potenziale luogo di controllo se non di possibile arbitrio. Ieri mattina un seggio del collegio dove sono capolista è risultato non essere mai stato disponibile: evidentemente qualche big di qualche lista aveva imposto una qualsiasi sede purché fosse in un territorio di presunta influenza a svantaggio della concorde e oculata indicazione di una sede possibile per tutti. Altre volte la mediazione su dove votare ha addirittura portato a indicare come luogo le scuole pubbliche, posto che dovrebbe tassativamente stare fuori da questa mischia, non trattandosi di un confronto per l’elezione di rappresentanti nelle istituzioni della Repubblica ma di una vicenda di partito.
C’è un’aria incattivita, piena di astio, risentimento. Ciò sporca la corsa a ogni passo, legittima tutti coloro che non sono interessate a costruire una casa comune ma che vogliono imporre una nuova influenza sulle vicende future in termini di posizioni, candidature, ambiti di controllo su apparati e pubbliche istituzioni.
Ieri sera sono stato a Torre Annunziata, da vecchi amici: il clima di presidio fazioso dei singoli seggi era impressionante. E il locale responsabile della associazione per il Pd era sull’allerta anche per altri inquinamenti perché è “peggio delle elezioni comunali o regionali”.
Si ripete, insomma, peggiorato, lo spettacolo già visto per l’ammissione delle liste. E di nuovo fanno eccezione le liste più lontane dai potentati e improntate al volontariato politico: Adinolfi, Bindi, Letta. Sono i vasi di coccio presi tra i vasi di ferro, coloro che hanno preso in parola la promessa del Pd e qui si sono trovati nel mezzo di ben altra guerra.
Alla fine c’è più che il rischio che il 14 ottobre – nella lunga cronaca di una stagione di declino politico della nostra regione e della nostra città – sarà ricordato per i cocci della partecipazione infranti e per il rumore dello scontro tra i vasi di ferro. Rumore tanto assordante quanto vuoto: perché non contiene né contenuti e programmi, né nuovo metodo, né nuovo stile né nuove persone.
E nello scrivere un giorno tale storia si dovranno constatare tre evidenze.
In primo luogo la faziosità è concentrata nella feroce contrapposizione tra le liste che vedono le truppe unite intorno alla diarchia De Mita-Bassolino in lotta con coloro - tutti ex servi o ineffabili alleati o dell’uno o dell’altro o di entrambi - che hanno scelto il 14 ottobre come data della battaglia per disarcionare questa diarchia.
In secondo luogo entrambi gli schieramenti contendenti, a loro volta assai compositi e confusi al loro interno, stanno combattendo non la battaglia per una nuova casa comune entro cui elaborare le risposte politiche alle esigenze di questa parte del Paese, bensì, appunto, quella per le future poltrone e la relativa gestione delle risorse pubbliche.
In terzo luogo tale lotta tra liste regionali ha luogo a sostegno del medesimo candidato nazionale, annunciato vincitore, Walter Veltroni. E, nello scrivere tale storia ci si domanderà: fu colpa di Walter? Certamente sì nella misura in cui egli non ha voluto indicare la urgenza di una sola lista o almeno di criteri e di una qualche forma di supervisione tale da placare o contenere tale battaglia all’ultimo sangue. Ma è soprattutto colpa locale. De Mita e Bassolino hanno usato e abusato di un metodo che hanno insegnato e imposto ovunque; hanno seminato vento per quindici anni; e raccolgono tempesta. Non c’è buona politica né da un lato né dall’altro. E tutto intorno suona di nuovo la solita triste musica del trasformismo meridionale, vecchio come il cucco, che vede i potentati posizionarsi sempre dietro ai forti ora a difesa dei propri territori di potere ora all’assalto di quelli altrui.
Le persone, come il sottoscritto e molti altri, che in queste settimane hanno deciso di misurarsi direttamente con i processi democratici annunciati, ben sapendo che non corrispondevano a quelli realmente in campo, mettendoci la faccia pubblicamente, hanno il dovere – oltre che il diritto – di indignarsi, proporre ostinatamente un altro metodo, richiamare ai contenuti, alle proposte. Alla buona politica. E all’antica battaglia democratica per la decenza pubblica nel Mezzogiorno d’Italia. Per quanto sia faticoso.
Non è disorganizzazione. E’ il risultato della spartizione territoriale selvaggia – “questo a me e questo a te” – in cui è implicito che il seggio non è luogo neutro e di “festa della democrazia” ma, invece, appartiene a una fazione in lotta ed è dunque potenziale luogo di controllo se non di possibile arbitrio. Ieri mattina un seggio del collegio dove sono capolista è risultato non essere mai stato disponibile: evidentemente qualche big di qualche lista aveva imposto una qualsiasi sede purché fosse in un territorio di presunta influenza a svantaggio della concorde e oculata indicazione di una sede possibile per tutti. Altre volte la mediazione su dove votare ha addirittura portato a indicare come luogo le scuole pubbliche, posto che dovrebbe tassativamente stare fuori da questa mischia, non trattandosi di un confronto per l’elezione di rappresentanti nelle istituzioni della Repubblica ma di una vicenda di partito.
C’è un’aria incattivita, piena di astio, risentimento. Ciò sporca la corsa a ogni passo, legittima tutti coloro che non sono interessate a costruire una casa comune ma che vogliono imporre una nuova influenza sulle vicende future in termini di posizioni, candidature, ambiti di controllo su apparati e pubbliche istituzioni.
Ieri sera sono stato a Torre Annunziata, da vecchi amici: il clima di presidio fazioso dei singoli seggi era impressionante. E il locale responsabile della associazione per il Pd era sull’allerta anche per altri inquinamenti perché è “peggio delle elezioni comunali o regionali”.
Si ripete, insomma, peggiorato, lo spettacolo già visto per l’ammissione delle liste. E di nuovo fanno eccezione le liste più lontane dai potentati e improntate al volontariato politico: Adinolfi, Bindi, Letta. Sono i vasi di coccio presi tra i vasi di ferro, coloro che hanno preso in parola la promessa del Pd e qui si sono trovati nel mezzo di ben altra guerra.
Alla fine c’è più che il rischio che il 14 ottobre – nella lunga cronaca di una stagione di declino politico della nostra regione e della nostra città – sarà ricordato per i cocci della partecipazione infranti e per il rumore dello scontro tra i vasi di ferro. Rumore tanto assordante quanto vuoto: perché non contiene né contenuti e programmi, né nuovo metodo, né nuovo stile né nuove persone.
E nello scrivere un giorno tale storia si dovranno constatare tre evidenze.
In primo luogo la faziosità è concentrata nella feroce contrapposizione tra le liste che vedono le truppe unite intorno alla diarchia De Mita-Bassolino in lotta con coloro - tutti ex servi o ineffabili alleati o dell’uno o dell’altro o di entrambi - che hanno scelto il 14 ottobre come data della battaglia per disarcionare questa diarchia.
In secondo luogo entrambi gli schieramenti contendenti, a loro volta assai compositi e confusi al loro interno, stanno combattendo non la battaglia per una nuova casa comune entro cui elaborare le risposte politiche alle esigenze di questa parte del Paese, bensì, appunto, quella per le future poltrone e la relativa gestione delle risorse pubbliche.
In terzo luogo tale lotta tra liste regionali ha luogo a sostegno del medesimo candidato nazionale, annunciato vincitore, Walter Veltroni. E, nello scrivere tale storia ci si domanderà: fu colpa di Walter? Certamente sì nella misura in cui egli non ha voluto indicare la urgenza di una sola lista o almeno di criteri e di una qualche forma di supervisione tale da placare o contenere tale battaglia all’ultimo sangue. Ma è soprattutto colpa locale. De Mita e Bassolino hanno usato e abusato di un metodo che hanno insegnato e imposto ovunque; hanno seminato vento per quindici anni; e raccolgono tempesta. Non c’è buona politica né da un lato né dall’altro. E tutto intorno suona di nuovo la solita triste musica del trasformismo meridionale, vecchio come il cucco, che vede i potentati posizionarsi sempre dietro ai forti ora a difesa dei propri territori di potere ora all’assalto di quelli altrui.
Le persone, come il sottoscritto e molti altri, che in queste settimane hanno deciso di misurarsi direttamente con i processi democratici annunciati, ben sapendo che non corrispondevano a quelli realmente in campo, mettendoci la faccia pubblicamente, hanno il dovere – oltre che il diritto – di indignarsi, proporre ostinatamente un altro metodo, richiamare ai contenuti, alle proposte. Alla buona politica. E all’antica battaglia democratica per la decenza pubblica nel Mezzogiorno d’Italia. Per quanto sia faticoso.
11 ottobre, 2007
Il tema del lavoro
Sulle primarie e dintorni ho rilasciato una lunga intervista radio a Norberto Gallo. Penso che lì la dico chiara su molte cose dibattute a Napoli e anche sul web napoletano di questi giorni. E spiego in modo sereno e disincantato il perché e il come sostengo la Bindi e questo passaggio per la costituente del Pd.
Mi piacerebbe che si dibattesse anche qui il risultato delle consultazioni sindacali sull’accordo del welfare. E i temi del lavoro. L’Italia del lavoro è spaccata: gli operai dicono no, gli altri sì. A me pare che i metalmeccanici, lasciati soli per troppi anni, con salari insopportabilmente bassi - mentre riprendevano le produzioni e i profitti - hanno veicolato la propria sofferenza attraverso la sola struttura presente che è, però, la cinghia di trasmissione in cui la sinistra politica italiana ha ridotto la gloriosa Fiom. La Fiom, in questi anni, non ha favorito buone lotte e buoni contratti - in materia salariale e non solo – e si è dedicata all’antagonismo e e si è fatta portavove politica delle giuste frustrazioni degli operai ma ha, al contempo, contribuito a non dare ad esse risposte. Ora daranno addosso alla Fiom. E’ questo indebolirà ulteriormente le donne e gli uomini che ogni giorno producono ricchezza nelle fabbriche. Male. Molto male. Lo scollamento tra operai e altri lavoratori è pericoloso. Isola gli operai a cui ora si darà dell’estremista e del non responsabile. “Il velleitarismo tinto di scarlatto” – così lo si definiva all’inizio del secolo scorso – produce danni ai lavoratori. Ma anche le confederazioni hanno una grande e grave responsabilità. Perché non hanno ripreso i temi del lavoro di tutti e di ciascuno e del patto che su ciò una società deve darsi; perché hanno eluso la fatica di costruire un tessuto comune tra categorie favorendo, soprattutto tra i lavoratori del pubblico impiego, tante corporazioni dedite alla micro-rivendicazione o alla mera difesa dell’acquisito al di là di ogni merito e reale differenziazione nella fatica e nelle mansioni e in contrasto con il principio ispiratore “ a uguale lavoro uguale salario”; perché hanno lasciato alla Fiom la sua extraterritorialità.
Il dibattito su cosa sia oggi il welfare – per gli operai e per tutti – è una cosa troppo seria per lasciarla in mano a questo marasma. Ben oltre il dibattito sull’accordo sul welfare (su cui, come lavoratore della scuola, io ho votato sì perché è un piccolissimo passo in avanti), si dovrebbe ripartire da alcune domande fondamentali.
- Si può cambiare lavoro e tornare a formarsi (long life learning) in Italia senza perdere sicurezza di reddito?
- A che età – e in relazione a quale tipo di lavoro e non solo all’aspettativa di vita - è bene o giusto andare in pensione (è veramente giusto che i miei colleghi vanno in pensione oggi a 57 anni quando si aspettano di viverne altri 30 mentre un operaio di 45 non ha neanche un contratto sicuro e andrà in pensione a 63 anni dopo 40 passati in fabbrica)?
- Quale è un salario minimo davvero accettabile perché dignitoso?
- A quali condizioni reali e con quale nuovo pattro sociale esteso si può battere la insostenibile precarietà del lavoro?
- E’ possibile offrire occasioni innovative ma vere di auto-creazione di lavoro e formazione e tempo di vita protetto ma dedicato al proprio futuro ai giovani che oggi si affacciano sul mondo adulto e farlo fuori dallo schema lineare scuola-lavoro che non tiene proprio più per tanti nostri giovani?
Sulle domande fondamentali riguardante il lavoro – la principale attività umana in una organizzazione sociale complessa - la destra non ha risposte che non siano vessatorie nei confronti di chi materialmente produce e di chi è debole, la cosidetta sinistra radicale fa demagogia e dunque non porta a casa niente per i lavoratori e evita ogni dibattito di merito sul rapporto tra generazioni in relazione all’aspettativa di vita e all’idea stessa di lavorare e stare al mondo e le aree moderate del centro-sinistra balbettano e oscillano in modo scandaloso.
Così si va verso lo scollamento sociale nel Paese.
Mi piacerebbe che si dibattesse anche qui il risultato delle consultazioni sindacali sull’accordo del welfare. E i temi del lavoro. L’Italia del lavoro è spaccata: gli operai dicono no, gli altri sì. A me pare che i metalmeccanici, lasciati soli per troppi anni, con salari insopportabilmente bassi - mentre riprendevano le produzioni e i profitti - hanno veicolato la propria sofferenza attraverso la sola struttura presente che è, però, la cinghia di trasmissione in cui la sinistra politica italiana ha ridotto la gloriosa Fiom. La Fiom, in questi anni, non ha favorito buone lotte e buoni contratti - in materia salariale e non solo – e si è dedicata all’antagonismo e e si è fatta portavove politica delle giuste frustrazioni degli operai ma ha, al contempo, contribuito a non dare ad esse risposte. Ora daranno addosso alla Fiom. E’ questo indebolirà ulteriormente le donne e gli uomini che ogni giorno producono ricchezza nelle fabbriche. Male. Molto male. Lo scollamento tra operai e altri lavoratori è pericoloso. Isola gli operai a cui ora si darà dell’estremista e del non responsabile. “Il velleitarismo tinto di scarlatto” – così lo si definiva all’inizio del secolo scorso – produce danni ai lavoratori. Ma anche le confederazioni hanno una grande e grave responsabilità. Perché non hanno ripreso i temi del lavoro di tutti e di ciascuno e del patto che su ciò una società deve darsi; perché hanno eluso la fatica di costruire un tessuto comune tra categorie favorendo, soprattutto tra i lavoratori del pubblico impiego, tante corporazioni dedite alla micro-rivendicazione o alla mera difesa dell’acquisito al di là di ogni merito e reale differenziazione nella fatica e nelle mansioni e in contrasto con il principio ispiratore “ a uguale lavoro uguale salario”; perché hanno lasciato alla Fiom la sua extraterritorialità.
Il dibattito su cosa sia oggi il welfare – per gli operai e per tutti – è una cosa troppo seria per lasciarla in mano a questo marasma. Ben oltre il dibattito sull’accordo sul welfare (su cui, come lavoratore della scuola, io ho votato sì perché è un piccolissimo passo in avanti), si dovrebbe ripartire da alcune domande fondamentali.
- Si può cambiare lavoro e tornare a formarsi (long life learning) in Italia senza perdere sicurezza di reddito?
- A che età – e in relazione a quale tipo di lavoro e non solo all’aspettativa di vita - è bene o giusto andare in pensione (è veramente giusto che i miei colleghi vanno in pensione oggi a 57 anni quando si aspettano di viverne altri 30 mentre un operaio di 45 non ha neanche un contratto sicuro e andrà in pensione a 63 anni dopo 40 passati in fabbrica)?
- Quale è un salario minimo davvero accettabile perché dignitoso?
- A quali condizioni reali e con quale nuovo pattro sociale esteso si può battere la insostenibile precarietà del lavoro?
- E’ possibile offrire occasioni innovative ma vere di auto-creazione di lavoro e formazione e tempo di vita protetto ma dedicato al proprio futuro ai giovani che oggi si affacciano sul mondo adulto e farlo fuori dallo schema lineare scuola-lavoro che non tiene proprio più per tanti nostri giovani?
Sulle domande fondamentali riguardante il lavoro – la principale attività umana in una organizzazione sociale complessa - la destra non ha risposte che non siano vessatorie nei confronti di chi materialmente produce e di chi è debole, la cosidetta sinistra radicale fa demagogia e dunque non porta a casa niente per i lavoratori e evita ogni dibattito di merito sul rapporto tra generazioni in relazione all’aspettativa di vita e all’idea stessa di lavorare e stare al mondo e le aree moderate del centro-sinistra balbettano e oscillano in modo scandaloso.
Così si va verso lo scollamento sociale nel Paese.
08 ottobre, 2007
Uguale per tutti
Ho visto lo scorso giovedì sera la trasmissione di Santoro in televisione. Quel che trattava è stato riportato dai giornali: la situazione di diffusa e gravissima illegalità, di stampo mafioso, in Calabria e che sta attraversando i confini e entrando in Basilicata, i giudici, dedicati a un lavoro durissimo, che la seguono con complesse inchieste, la loro difficile vita, gli attacchi della politica, del ministro della giustizia Mastella in primis, la posizione di Prodi, le possibili responsabilità e gli atteggiamenti verso la giustizia della poltica partitica e di tanta parte del centro-sinistra, locale e anche nazionale, la presenza bella, forte di tanti cittadini, in particolare giovani, a fianco a chi vuole legalità davvero.
A me Santoro non piace. Credo in un giornalismo fatto con sobrietà anglosassone. Fatti. Inchieste. Pochi commenti. Esclusione delle interpretazioni omnicomprensive. Non credo nel circo degli applausi e del tifo nel quale egli si bea. E ho un vero problema con Travaglio. Non mi piace affatto il metodo fondato sulla conferma di qualcosa che si presume già che sia stato precostituito da qualcuno per ragioni linearmente evidenti, le tesi spiegate al volgo sulla base di tale costrutto e che portano inevitabilmente a conclusioni chiuse e certe e la retorica che accompagna il tutto. Della serie: è sempre il solito unico disegno. Se la storia umana fosse questo non sarebbe altro che macchinazione. E non lo è.
Poi credo nelle procedure. Quando vedo giustizialismo o anche mancato rispetto, minuzioso, delle procedure io mi inquieto. Anche in questo ho una cultura anglosassone: saltare le forme o essere sciatti nelle forme è inamissibile. Dura lex sed lex: meglio annullare la sostanza nel nome di una forma specchiata che rischiare il contrario. Sempre.
Ciò detto, emerge – dalla trasmissione ma, ben più in generale - un quadro di contesto in Calabria (e in tutte le regioni meridionali, ma non solo) che invita tutte le persone oneste e serie a riproporre la questione della giustizia che deve essere e poter essere percepita dalle giovani generazioni e da tutti noi come davvero uguale per tutti. Risorge, infatti, con grande evidenza la necessità della difesa della indipendenza della magistratura. In particolare quando si toccano potentati veri, legati alla grave illegalità criminale diffusa o anche all’abuso di potere.
E si deve ribadire oggi che le nomenclature politiche, una volta garantite ferreamente le procedure, non possono considerarsi a priori intoccabili o fuori dalla responsabilità sulla base della mera difesa della politica tout cour o di suoi componenti.
Questo è il tema. E sarà ben presente nei prossimi mesi.
A me Santoro non piace. Credo in un giornalismo fatto con sobrietà anglosassone. Fatti. Inchieste. Pochi commenti. Esclusione delle interpretazioni omnicomprensive. Non credo nel circo degli applausi e del tifo nel quale egli si bea. E ho un vero problema con Travaglio. Non mi piace affatto il metodo fondato sulla conferma di qualcosa che si presume già che sia stato precostituito da qualcuno per ragioni linearmente evidenti, le tesi spiegate al volgo sulla base di tale costrutto e che portano inevitabilmente a conclusioni chiuse e certe e la retorica che accompagna il tutto. Della serie: è sempre il solito unico disegno. Se la storia umana fosse questo non sarebbe altro che macchinazione. E non lo è.
Poi credo nelle procedure. Quando vedo giustizialismo o anche mancato rispetto, minuzioso, delle procedure io mi inquieto. Anche in questo ho una cultura anglosassone: saltare le forme o essere sciatti nelle forme è inamissibile. Dura lex sed lex: meglio annullare la sostanza nel nome di una forma specchiata che rischiare il contrario. Sempre.
Ciò detto, emerge – dalla trasmissione ma, ben più in generale - un quadro di contesto in Calabria (e in tutte le regioni meridionali, ma non solo) che invita tutte le persone oneste e serie a riproporre la questione della giustizia che deve essere e poter essere percepita dalle giovani generazioni e da tutti noi come davvero uguale per tutti. Risorge, infatti, con grande evidenza la necessità della difesa della indipendenza della magistratura. In particolare quando si toccano potentati veri, legati alla grave illegalità criminale diffusa o anche all’abuso di potere.
E si deve ribadire oggi che le nomenclature politiche, una volta garantite ferreamente le procedure, non possono considerarsi a priori intoccabili o fuori dalla responsabilità sulla base della mera difesa della politica tout cour o di suoi componenti.
Questo è il tema. E sarà ben presente nei prossimi mesi.
04 ottobre, 2007
PD in Campania, brutta aria
Dalle nostre parti più che altrove l’aria che si respira nel costituire il Pd non è quella sperata. Perché le novità nel come fare un partito nuovo, in Campania, stanno subendo troppe tristi smentite.
Il Pd nasce, come si sa, introducendo tre vere novità. La prima è che si elegge una assemblea costituente di un partito il quale non è già definito e pronto per l’adesione ma chiama a un processo che ne stabilirà lo statuto, il programma e il segretario. Votando o facendo il candidato non ci si iscrive, dunque, già al partito; si partecipa al processo, alla fine del quale si può decidere se starci o meno. In secondo luogo gli stessi partecipanti non sono gli iscritti ai partiti che hanno deciso di sciogliersi per farne uno nuovo, bensì tutti i cittadini che intendono, appunto, partecipare. Chiunque, a partire dai 16 anni, può andare a votare, il 14 ottobre, con 1 euro, un documento valido e la tessera elettorale. In terzo luogo il processo di delega, attraverso le elezioni alla costituente, avviene sulla base di una stretta osservanza della parità tra donne e uomini: nel numero di candidati/e, di candidati/e capolista e nell’alternanza entro ogni lista.
Si sarebbe potuto fare di più e meglio nella cura dei meccanismi partecipativi e nelle aperture alle tante esperienze politiche che vivono fuori dai partiti. Ma va comunque riconosciuto che queste novità sono una gran cosa in un Paese terribilmente conservatore per quanto riguarda le forme di espressione della politica e che da sempre privilegia gli apparati e i capi rispetto alla cittadinanza attiva. Ma questa gran cosa è tale solo a condizione che quanto annunciato – e perciò atteso – corrisponda alla realtà dei fatti. In altre parole deve essere una cosa vera, autentica. Le liste devono davvero essere largamente aperte ai cittadini e non controllate dalle nomenclature e dai galoppini di partito. Deve veramente esserci il dibattito sui contenuti concreti della vita economica, culturale, sociale e questo deve prevedere momenti di confronto, anche diretti, espliciti e duri perché emergano le differenze tra le quali scegliere. L’alternanza dei candidati uomini e donne deve essere rigorosamente osservata, senza eccezioni.
Ma, appunto, l’aria che in Campania si respira non è questa. Non vi è ombra di dibattito di merito e il confronto è relegato ai nomi e agli schieramenti. Non sono annunciati confronti diretti. In troppe liste i posti sicuri sono coperti dagli apparati di partito mentre chi non ne fa parte è relegato nelle posizioni di coda. E, in ultimo – ma certo non per importanza – addirittura il collegio dei garanti, che dovrebbe difendere le regole condivise, le ha, invece, smentite e ha deciso di ammettere alla competizione campana liste che hanno impunemente calpestato il regolamento attribuendo un numero e un ordine di candidature che sfavorisce le donne.
Tuttavia va pur rimarcato che non è una notte in cui tutte le vacche sono nere. Sono, infatti, in modo particolare, estranee a questo andazzo le liste che sostengono Adinolfi, Bindi, Letta. Che premono per un dibattito vero e hanno liste fatte da moltissimi cittadini nuovi alla politica. E che hanno consegnato le liste secondo le regole e per tempo, mostrando di credere alla autenticità democratica di questo processo.
I potenti di sempre hanno, invece, innovato assai meno. E in vari casi hanno calpestato miserevolmente le stesse procedure pur condivise a parole, mostrandosi anche pre-potenti e contribuendo a infrangere speranze e ridurre interesse e partecipazione. Brutta storia. Che si ripete in molti modi. E che chiama a una stagione di battaglie democratiche davvero lunga. Ben oltre il 14 ottobre. E ben oltre il Pd.
Il Pd nasce, come si sa, introducendo tre vere novità. La prima è che si elegge una assemblea costituente di un partito il quale non è già definito e pronto per l’adesione ma chiama a un processo che ne stabilirà lo statuto, il programma e il segretario. Votando o facendo il candidato non ci si iscrive, dunque, già al partito; si partecipa al processo, alla fine del quale si può decidere se starci o meno. In secondo luogo gli stessi partecipanti non sono gli iscritti ai partiti che hanno deciso di sciogliersi per farne uno nuovo, bensì tutti i cittadini che intendono, appunto, partecipare. Chiunque, a partire dai 16 anni, può andare a votare, il 14 ottobre, con 1 euro, un documento valido e la tessera elettorale. In terzo luogo il processo di delega, attraverso le elezioni alla costituente, avviene sulla base di una stretta osservanza della parità tra donne e uomini: nel numero di candidati/e, di candidati/e capolista e nell’alternanza entro ogni lista.
Si sarebbe potuto fare di più e meglio nella cura dei meccanismi partecipativi e nelle aperture alle tante esperienze politiche che vivono fuori dai partiti. Ma va comunque riconosciuto che queste novità sono una gran cosa in un Paese terribilmente conservatore per quanto riguarda le forme di espressione della politica e che da sempre privilegia gli apparati e i capi rispetto alla cittadinanza attiva. Ma questa gran cosa è tale solo a condizione che quanto annunciato – e perciò atteso – corrisponda alla realtà dei fatti. In altre parole deve essere una cosa vera, autentica. Le liste devono davvero essere largamente aperte ai cittadini e non controllate dalle nomenclature e dai galoppini di partito. Deve veramente esserci il dibattito sui contenuti concreti della vita economica, culturale, sociale e questo deve prevedere momenti di confronto, anche diretti, espliciti e duri perché emergano le differenze tra le quali scegliere. L’alternanza dei candidati uomini e donne deve essere rigorosamente osservata, senza eccezioni.
Ma, appunto, l’aria che in Campania si respira non è questa. Non vi è ombra di dibattito di merito e il confronto è relegato ai nomi e agli schieramenti. Non sono annunciati confronti diretti. In troppe liste i posti sicuri sono coperti dagli apparati di partito mentre chi non ne fa parte è relegato nelle posizioni di coda. E, in ultimo – ma certo non per importanza – addirittura il collegio dei garanti, che dovrebbe difendere le regole condivise, le ha, invece, smentite e ha deciso di ammettere alla competizione campana liste che hanno impunemente calpestato il regolamento attribuendo un numero e un ordine di candidature che sfavorisce le donne.
Tuttavia va pur rimarcato che non è una notte in cui tutte le vacche sono nere. Sono, infatti, in modo particolare, estranee a questo andazzo le liste che sostengono Adinolfi, Bindi, Letta. Che premono per un dibattito vero e hanno liste fatte da moltissimi cittadini nuovi alla politica. E che hanno consegnato le liste secondo le regole e per tempo, mostrando di credere alla autenticità democratica di questo processo.
I potenti di sempre hanno, invece, innovato assai meno. E in vari casi hanno calpestato miserevolmente le stesse procedure pur condivise a parole, mostrandosi anche pre-potenti e contribuendo a infrangere speranze e ridurre interesse e partecipazione. Brutta storia. Che si ripete in molti modi. E che chiama a una stagione di battaglie democratiche davvero lunga. Ben oltre il 14 ottobre. E ben oltre il Pd.
30 settembre, 2007
Sud, politica fallimentare eppure immutabile
Sono stati resi disponibili al Sud, fra il 2000 e il 2006, cento miliardi di euro per progetti della UE.
Il 30% non è stato speso. Il divario Nord-Sud è comunque cresciuto. Questo è, in gran sintesi, quanto è emerso dalla convention tenuta a Napoli sulle politiche europee e il Mezzogiorno.
Le liste per le primarie del Pd in Campania non sono regolari. E’ l’ennesima eccezione grave rispetto al resto del Paese. E che non rende credibile una scommessa già molto ardua. I 5 commissari in forza alle aree di Bassolino e di De Mita, le cui liste erano irregolari, in particolare per il rapporto candidati uomini e donne, si sono barricati con le schede per non consentire neanche la più blanda e normale azione di controllo decisa a livello nazionale e sulla base del regolamento. Si è minacciato di fare arrivare i carabinieri pur di poter almeno fare opera di constatazione delle irregolarità. La pre-potenza (potere che viene da prima) è più forte della procedura che è il sale di ogni aspirazione e processo democratico. E De Mita da Nusco fa pure il vecchio savio democratico, il padre della patria mentre don Antonio, da S. Lucia, raccomanda di andare avanti comunque, senza badare a queste sciocchezze…
Li accomuna la convinzione che tanto a portare i voti alle loro liste sono le truppe cammellate di sempre ma soprattutto l’idea che il come si costruisce un partito è roba seconda a quella politica vera, hard, cinica e bara, di cui essi sono i depositari eterni e che credere a una cosa democratica autentica e battersi perché sia tale è esercizio da illusi, da cretini….
Così abbiamo, per l’ennesima volta, amare conferme: la politica nel Sud è fallimentare eppure immutabile: disastrosa rispetto alle possibilità di sviluppo anche lì dove l’Europa ne fornisce le occasioni e arrogante ed attrezzatissima a impedire anche piccoli passi in avanti nel come si esercita la democrazia.
E’ per questo che la guerra è di lunga durata e che non bisogna cedere di un millimetro e continuare, testardi, a provare ad aprire spazi e battaglie ovunque.
Il 30% non è stato speso. Il divario Nord-Sud è comunque cresciuto. Questo è, in gran sintesi, quanto è emerso dalla convention tenuta a Napoli sulle politiche europee e il Mezzogiorno.
Le liste per le primarie del Pd in Campania non sono regolari. E’ l’ennesima eccezione grave rispetto al resto del Paese. E che non rende credibile una scommessa già molto ardua. I 5 commissari in forza alle aree di Bassolino e di De Mita, le cui liste erano irregolari, in particolare per il rapporto candidati uomini e donne, si sono barricati con le schede per non consentire neanche la più blanda e normale azione di controllo decisa a livello nazionale e sulla base del regolamento. Si è minacciato di fare arrivare i carabinieri pur di poter almeno fare opera di constatazione delle irregolarità. La pre-potenza (potere che viene da prima) è più forte della procedura che è il sale di ogni aspirazione e processo democratico. E De Mita da Nusco fa pure il vecchio savio democratico, il padre della patria mentre don Antonio, da S. Lucia, raccomanda di andare avanti comunque, senza badare a queste sciocchezze…
Li accomuna la convinzione che tanto a portare i voti alle loro liste sono le truppe cammellate di sempre ma soprattutto l’idea che il come si costruisce un partito è roba seconda a quella politica vera, hard, cinica e bara, di cui essi sono i depositari eterni e che credere a una cosa democratica autentica e battersi perché sia tale è esercizio da illusi, da cretini….
Così abbiamo, per l’ennesima volta, amare conferme: la politica nel Sud è fallimentare eppure immutabile: disastrosa rispetto alle possibilità di sviluppo anche lì dove l’Europa ne fornisce le occasioni e arrogante ed attrezzatissima a impedire anche piccoli passi in avanti nel come si esercita la democrazia.
E’ per questo che la guerra è di lunga durata e che non bisogna cedere di un millimetro e continuare, testardi, a provare ad aprire spazi e battaglie ovunque.
28 settembre, 2007
Un eroismo silente e non riconosciuto
Ieri i giornali raccontano dei due ragazzi, una volta amici per la pelle, morti ammazzati a poche ore di distanza su fronti rivali al rione Berlinghieri e ad Arzano, numero 77 e 78 dall’inizio di quest’anno, quasi tutti tra i 20 e i 28 anni, carnefici e vittime della eterna guerra di camorra che si riaccende ora. Uno ha ucciso l’altro come prova di fedeltà al nuovo boss per essere a sua volta ucciso. Ai transfughi da clan a clan viene chiesto di uccidere i vecchi amici con cui avevano passato decine di serate in pizzeria o giocato a calcetto nella stessa squadra di quartiere…
Ho scritto l'articolo che segue per Repubblica Napoli del 25 settembre, dopo la ennesima sparatoria di strada nel mio quartiere.
L’altro ieri due persone hanno sparato con una 7.65 e una calibro 9 e ferito di striscio in pieno giorno Francesca, una ragazza del mio quartiere. All’altezza del bimbo che spesso porta per mano. Ma che per un caso non era con lei. Era già successo che sparassero di domenica così. Avevo sentito i colpi secchi dal mio balcone meno di un mese fa.
Riprende, pericolosa, la guerra tra bande al centro della nostra città. E entra nel nostro dì di festa. E tutto intorno a questa guerra, dichiarata e strisciante - che si è preparata nelle nuove spartizioni di camorra, che si è nutrita dei mercati delle droghe, del controllo su mille commerci, del voto di scambio – c’è un più largo, diffuso modo di fare, pronto alla violenza, che porta la nostra vita quotidiana ad accettare ciò che non dovrebbe.
La scena non l’ho vista. Ma chiunque abita nei quartieri la sa immaginare. Si torna dal passeggio in villa per la domenica ecologica. Magari con i bambini, i pattini, la bici, il pallone. Si sale verso casa. C’è il pranzo della domenica e c’è il Napoli in tv che finalmente sa giocare a calcio. Passano in motorino due ragazzi. Veloci. Non pensi neanche che stanno per sparare, magari solo per dare un segnale o per sfregio. Siamo abituati o, per meglio dire, assuefatti allo sfrecciare incosciente delle moto. Eppure dà sempre un po’ fastidio questo tagliare, oltraggioso, le curve dei vicoli con un veicolo usato come arma impropria. Perché è un luogo dove si vive in tanti, il mio quartiere, il tuo quartiere. E ci appartiene e noi vi apparteniamo: insegnanti, commercianti, operai, artigiani, gente che, in assoluta maggioranza, vive di onesto lavoro. Faticosamente. E perché corrono di domenica mattina, incuranti dell’anziana che fatica a salire per il vicolo, del venditore che sbaracca il banco dei frutti di mare o del pane fresco, del bimbo che attraversa, della signora che si è fermata distratta proprio sull’angolo dove svoltano. Ma siamo abituati, appunto. Neanche più gli gridiamo dietro. E non solo perché capita ogni giorno, molte volte. Ma perché potrebbero essere anche imbottiti di coca, arrabbiati per fatti loro, magari armati. Meglio lasciare correre… Una volta ho riconosciuto un ragazzo che correva così. Era una sera prima di Natale. Tanta gente per strada. E gli ho gridato. Mi si è avvicinato. Con uno sguardo disposto a tutto, che non ricordavo avesse mai avuto. Ma mi ha riconosciuto. Mi ha stretto con tutta la forza che aveva pur di arginare la voglia di aggredire. E se ne è andato. Sono ragazzi che cadono dentro a un giro perché è lì dinanzi e offre loro un’identità e un mondo. E se ci cadi, il giro è il giro. Cambi i tuoi modi. E prendi i ritmi, pronunci le parole, segui le regole e sei spinto ai comportamenti, alle reazioni, alle pattuizioni e agli impegni di quel giro. Ne fai parte. Ma moltissimi nel giro non cadono. Con un eroismo silente e non riconosciuto. I giornalisti amano narrare le perdite. Più raramente le piccole, difficili conquiste di chi resiste. E’ una via d’uscita fatta di cose normali: uno zio che ti prende a bottega, la fidanzata che ti contiene, una fabbrichetta o un bar al nero, un imbarco su una nave container trovato tramite amicizie, un impiego precario in una ditta di pulizie ottenuto dopo una campagna elettorale al servizio di tizio o caio, dei compagni da raggiungere a Verona o Reggio Emilia o Torino, tutti in una casa, tutti a co.co.co., finché dura, finché non vuoi tornare dalla ragazza, da mamma, ai tuoi luoghi; poi un nuovo lavoro in un ristorante, una stagione a Riccione o a Sorrento, un giro di prodotti per la casa da vendere porta a porta, le scale da lavare nei palazzi, il parcheggio abusivo.
Sì, è un eroismo incerto e non sempre lecito. Ma produttore di beni e servizi e non criminale. Che salva. La politica ne dovrebbe fare il centro delle sue attenzioni. E sostenerne lo sviluppo legale, l’intreccio con nuove opportunità formative, le implicite potenzialità di impresa sana. Con la repressione vera del malaffare. E la contestuale promozione di un esercito competente di agenti di sviluppo locale e civile. E, parrà strano: è un esercito che già c’è e che è in campo. Ma che è fiaccato. Basti pensare ai tanti lacci e impedimenti per supportare i nidi di mamme nei Quartieri o per dare un po’ di continuità ai percorsi formativi per adolescenti o sedi degne di questo nome a chi lì si danna ogni giorno o gli stipendi certi agli operatori. Le politiche non possono essere a misura dei ritmi e degli equilibri di palazzo o dei tempi degli uffici ma al ritmo di vita reale delle persone. Che, spesso giovanissime, conducono una vita dura e onesta mentre gli si spara attorno la domenica mattina.
Ho scritto l'articolo che segue per Repubblica Napoli del 25 settembre, dopo la ennesima sparatoria di strada nel mio quartiere.
L’altro ieri due persone hanno sparato con una 7.65 e una calibro 9 e ferito di striscio in pieno giorno Francesca, una ragazza del mio quartiere. All’altezza del bimbo che spesso porta per mano. Ma che per un caso non era con lei. Era già successo che sparassero di domenica così. Avevo sentito i colpi secchi dal mio balcone meno di un mese fa.
Riprende, pericolosa, la guerra tra bande al centro della nostra città. E entra nel nostro dì di festa. E tutto intorno a questa guerra, dichiarata e strisciante - che si è preparata nelle nuove spartizioni di camorra, che si è nutrita dei mercati delle droghe, del controllo su mille commerci, del voto di scambio – c’è un più largo, diffuso modo di fare, pronto alla violenza, che porta la nostra vita quotidiana ad accettare ciò che non dovrebbe.
La scena non l’ho vista. Ma chiunque abita nei quartieri la sa immaginare. Si torna dal passeggio in villa per la domenica ecologica. Magari con i bambini, i pattini, la bici, il pallone. Si sale verso casa. C’è il pranzo della domenica e c’è il Napoli in tv che finalmente sa giocare a calcio. Passano in motorino due ragazzi. Veloci. Non pensi neanche che stanno per sparare, magari solo per dare un segnale o per sfregio. Siamo abituati o, per meglio dire, assuefatti allo sfrecciare incosciente delle moto. Eppure dà sempre un po’ fastidio questo tagliare, oltraggioso, le curve dei vicoli con un veicolo usato come arma impropria. Perché è un luogo dove si vive in tanti, il mio quartiere, il tuo quartiere. E ci appartiene e noi vi apparteniamo: insegnanti, commercianti, operai, artigiani, gente che, in assoluta maggioranza, vive di onesto lavoro. Faticosamente. E perché corrono di domenica mattina, incuranti dell’anziana che fatica a salire per il vicolo, del venditore che sbaracca il banco dei frutti di mare o del pane fresco, del bimbo che attraversa, della signora che si è fermata distratta proprio sull’angolo dove svoltano. Ma siamo abituati, appunto. Neanche più gli gridiamo dietro. E non solo perché capita ogni giorno, molte volte. Ma perché potrebbero essere anche imbottiti di coca, arrabbiati per fatti loro, magari armati. Meglio lasciare correre… Una volta ho riconosciuto un ragazzo che correva così. Era una sera prima di Natale. Tanta gente per strada. E gli ho gridato. Mi si è avvicinato. Con uno sguardo disposto a tutto, che non ricordavo avesse mai avuto. Ma mi ha riconosciuto. Mi ha stretto con tutta la forza che aveva pur di arginare la voglia di aggredire. E se ne è andato. Sono ragazzi che cadono dentro a un giro perché è lì dinanzi e offre loro un’identità e un mondo. E se ci cadi, il giro è il giro. Cambi i tuoi modi. E prendi i ritmi, pronunci le parole, segui le regole e sei spinto ai comportamenti, alle reazioni, alle pattuizioni e agli impegni di quel giro. Ne fai parte. Ma moltissimi nel giro non cadono. Con un eroismo silente e non riconosciuto. I giornalisti amano narrare le perdite. Più raramente le piccole, difficili conquiste di chi resiste. E’ una via d’uscita fatta di cose normali: uno zio che ti prende a bottega, la fidanzata che ti contiene, una fabbrichetta o un bar al nero, un imbarco su una nave container trovato tramite amicizie, un impiego precario in una ditta di pulizie ottenuto dopo una campagna elettorale al servizio di tizio o caio, dei compagni da raggiungere a Verona o Reggio Emilia o Torino, tutti in una casa, tutti a co.co.co., finché dura, finché non vuoi tornare dalla ragazza, da mamma, ai tuoi luoghi; poi un nuovo lavoro in un ristorante, una stagione a Riccione o a Sorrento, un giro di prodotti per la casa da vendere porta a porta, le scale da lavare nei palazzi, il parcheggio abusivo.
Sì, è un eroismo incerto e non sempre lecito. Ma produttore di beni e servizi e non criminale. Che salva. La politica ne dovrebbe fare il centro delle sue attenzioni. E sostenerne lo sviluppo legale, l’intreccio con nuove opportunità formative, le implicite potenzialità di impresa sana. Con la repressione vera del malaffare. E la contestuale promozione di un esercito competente di agenti di sviluppo locale e civile. E, parrà strano: è un esercito che già c’è e che è in campo. Ma che è fiaccato. Basti pensare ai tanti lacci e impedimenti per supportare i nidi di mamme nei Quartieri o per dare un po’ di continuità ai percorsi formativi per adolescenti o sedi degne di questo nome a chi lì si danna ogni giorno o gli stipendi certi agli operatori. Le politiche non possono essere a misura dei ritmi e degli equilibri di palazzo o dei tempi degli uffici ma al ritmo di vita reale delle persone. Che, spesso giovanissime, conducono una vita dura e onesta mentre gli si spara attorno la domenica mattina.
26 settembre, 2007
Le porte del saloon
Cos’è politica? Ho già citato, dal punto di vista della funzione dei partiti, l’articolo 49 della Costituzione. Ma la discussione da tempo – e anche nei commenti qui – è più larga. Si incentra sul rapporto tra partecipazione reale e rappresentanza. E sulla constatazione della ormai tragica separazione della politica dalla società e dalla cittadinanza intesa in senso pieno. E’ una separazione che ha una lunga storia. Nel campo del centro-sinistra è una storia sempre più triste e allarmante di “partecipazione alla casta”, in concorso e in competizione con il centro-destra. Ed è anche la storia di tante occasioni mancate di ascoltare, aprirsi, modificarsi, lasciare entrare forze nuove, avvicinarsi a pratiche deliberative e partecipative più varie, autentiche. “La politica è un’altra cosa” – si è sostanzialmente risposto così. Una cosa separata. Con lessico, metodiche, personale, stili, ritmi, interessi suoi propri – codificati entro uno specialismo chiuso - e da difendere e consolidare ogni volta.
Occasioni mancate e negate, che ci accompagnano da molto tempo e che giungono ora fino a Grillo. Grillo è sintomo e al contempo risposta. Arriva come una febbre dopo che le cure sono state da anni negate. Non è il rimedio. Anche perché sta nel solco del sovversivismo italico: affidamento a un capo, fastidio per la complessità e per le procedure democratiche, predilezione per gli slogan e per l’essere contro piuttosto che per le proposte. Ma il male – sono d’accordo – non è Grillo ma chi lo ha creato negando alla politica ogni dignità democratica per troppo tempo.
Il quesito è: basta Grillo? Perché se basta, allora la questione è risolta. Personalmente non credo, appunto, che basti. Si tratta di una indignazione, una cosa che è valida come pre-condizione ma non come condizione per ricostruire la politica. Bisogna, invece - con Grillo, col Pd, con molto altro ancora – riaprire la porta tra politica e società, forzarla. E, anzi, fare di più: sostituirla con qualcosa che assomigli alle porte dei saloon attraverso le quali si entra e si esce facilmente e non sempre come desidera il padrone del saloon. Se non si imprime una radicale accelerazione al processo di rigenerazione della politica in questa direzione, l’antipolitica è certamente destinata a crescere e rapidamente. E’ per questo che mi batto per un drastico mutamento di approccio, ben oltre la vicenda – che mi coinvolge, per quel che vale – nella costituzione del Pd.
Ben oltre. Ci vuole un mutamento di approccio radicale nel rapporto tra partiti e cittadini e società. Un mutamento - inteso come processo aperto, vario, non già controllato e guidato - che ridia piena forza ai tanti modi della azione e della riflessione pubblica (nel Pd, nella cosa di sinistra, nei sindacati, nelle istituzioni nazionali e locali, nei processi decisionali diffusi ecc.).
Insomma, per me il 14 ottobre è un’ennesima occasione per spingere in questa direzione. Democratica. In un Paese che è bloccato, stretto tra disillusione, fastidio per ogni politica, appartenenza separata alla stessa politica.
Il cammino, iniziato ventuno mesi fa - quando a Napoli annunciarono le primarie per sindaco a cui diedi la mia adesione ma che poi vennero annullate - è ancora solo agli inizi. E - lo ripeto - sarà una battaglia lunga e ardua.
E chiedo il voto il 14 ottobre per proseguire, insieme a altri, dentro o fuori il Pd, questa battaglia.
Occasioni mancate e negate, che ci accompagnano da molto tempo e che giungono ora fino a Grillo. Grillo è sintomo e al contempo risposta. Arriva come una febbre dopo che le cure sono state da anni negate. Non è il rimedio. Anche perché sta nel solco del sovversivismo italico: affidamento a un capo, fastidio per la complessità e per le procedure democratiche, predilezione per gli slogan e per l’essere contro piuttosto che per le proposte. Ma il male – sono d’accordo – non è Grillo ma chi lo ha creato negando alla politica ogni dignità democratica per troppo tempo.
Il quesito è: basta Grillo? Perché se basta, allora la questione è risolta. Personalmente non credo, appunto, che basti. Si tratta di una indignazione, una cosa che è valida come pre-condizione ma non come condizione per ricostruire la politica. Bisogna, invece - con Grillo, col Pd, con molto altro ancora – riaprire la porta tra politica e società, forzarla. E, anzi, fare di più: sostituirla con qualcosa che assomigli alle porte dei saloon attraverso le quali si entra e si esce facilmente e non sempre come desidera il padrone del saloon. Se non si imprime una radicale accelerazione al processo di rigenerazione della politica in questa direzione, l’antipolitica è certamente destinata a crescere e rapidamente. E’ per questo che mi batto per un drastico mutamento di approccio, ben oltre la vicenda – che mi coinvolge, per quel che vale – nella costituzione del Pd.
Ben oltre. Ci vuole un mutamento di approccio radicale nel rapporto tra partiti e cittadini e società. Un mutamento - inteso come processo aperto, vario, non già controllato e guidato - che ridia piena forza ai tanti modi della azione e della riflessione pubblica (nel Pd, nella cosa di sinistra, nei sindacati, nelle istituzioni nazionali e locali, nei processi decisionali diffusi ecc.).
Insomma, per me il 14 ottobre è un’ennesima occasione per spingere in questa direzione. Democratica. In un Paese che è bloccato, stretto tra disillusione, fastidio per ogni politica, appartenenza separata alla stessa politica.
Il cammino, iniziato ventuno mesi fa - quando a Napoli annunciarono le primarie per sindaco a cui diedi la mia adesione ma che poi vennero annullate - è ancora solo agli inizi. E - lo ripeto - sarà una battaglia lunga e ardua.
E chiedo il voto il 14 ottobre per proseguire, insieme a altri, dentro o fuori il Pd, questa battaglia.
23 settembre, 2007
Difficile ma da provare: cambiare la politica
Si fa quel che si può - dice Norberto (#). So che ha ragione e lo ringrazio per le lenti, spesso argute e sempre spiritose, che mi ha prestato più volte per guardare le vicende di questi giorni. Le mie non sono pessime. Ma da sole non bastano. Mi piacerebbe che in tanti ci prestassimo lenti. Per cambiare la politica, facendo, appunto, quel che si può. La politica dovrebbe e potrebbe essere anche questo scambio.
Ormai sono in gioco. Sono candidato capolista per Bindi nel collegio Napoli - Arenella. E darò battaglia.
Ecco alcune cose che penso:
1 – Non sono mai stato iscritto a un partito e non mi iscriverò al Pd se non mi convincerà quando esce da questa fase costituente. Ma per quanto difficile ora è un momento in cui è bene provare a cambiare la politica. E questo implica un impegno diretto. E’ questo che sto facendo. Non aspiro a cooptazioni e, caro Adriano Celentano (#), questo tentativo non è antitetico alle molte forme di attivizzazione e alle azioni partecipative tipo D.I.; non penso in termini o/o ma piuttosto e/e. E’ una storia difficile e che si ripete: fare politica fuori dai partiti e provocarne anche i mutamenti. Sto in un terreno di mezzo, voglio esplorarlo e confrontarmi su questo.
2 – La questione qui da noi è molto chiara, è quella che ho ripetuto più volte: il Pd non deve essere come quello che ha governato la Campania negli ultimi tredici anni. Punto.
3 - C’è, al contempo, in Italia, da fare una seria, aperta battaglia contro la tenaglia che ci sta stringendo e che vede da un lato la casta e dall’altra la demagogia. Concordo con Nazarin (#) che la prima responsabilità per l’anti-politica la hanno i partiti - l’ho scritto ieri l’altro su la Repubblica Napoli (in questa pagina, dove è in ordine cronologico al 22 set) citando la Costituzione e constatando quanto i partiti sono distanti da quello spirito e quanto sono stati affossatori di innovazioni. Ma se la casta nutre l’antipolitica, poi, è pur vero che il “sovversivismo della piccola borghesia” è, in forme sempre cangianti, la malattia anti-liberale dell’Italietta di ieri e di oggi che si nutre, caro Franco (#), di alcune costanti: facili slogan, riduzione della complessità, odio per le procedure democratiche sia rappresentative che deliberative, affidamento a un capo.
3 – Sto con Bindi perché vuole contrastare più degli altri la deriva della odierna politica-partitica, pensa in termini di inclusione sociale ed è la più innovativa e democratica dei candidati; ma so che in Campania sto in compagnia di persone che rispetto ma che certo non hanno il mio approccio, che sono, in questo, assai poco bindiane, che non pensano affatto che ci voglia una radicale discontinuità con il governo che il centro-sinistra ha qui espresso; e dunque la fatica sarà maggiore.
4 – Sono in buona sostanza d’accordo con la linea proposta da Giovanna (#): dovrò - con la lista Bindi - essere un megafono dell'agenda delle grandi tematiche che abbiamo faticosamente snocciolato in occasione delle ultime elezioni napoletane a Napoli e in Campania e trovare tracce comuni anche altrove nel Sud.
5 – Dunque la mia agenda deve subito tornare sui contenuti: camorra, rifiuti, sviluppo mancato e esclusione sociale di massa, assenza di spazio pubblico democratico.
Nella foto Aung San Suu Kyi, una persona che ha impegnato la propria vita per cambiare la politica del suo paese. E' bene tenere allenato il senso delle proporzioni.
Ormai sono in gioco. Sono candidato capolista per Bindi nel collegio Napoli - Arenella. E darò battaglia.
Ecco alcune cose che penso:
1 – Non sono mai stato iscritto a un partito e non mi iscriverò al Pd se non mi convincerà quando esce da questa fase costituente. Ma per quanto difficile ora è un momento in cui è bene provare a cambiare la politica. E questo implica un impegno diretto. E’ questo che sto facendo. Non aspiro a cooptazioni e, caro Adriano Celentano (#), questo tentativo non è antitetico alle molte forme di attivizzazione e alle azioni partecipative tipo D.I.; non penso in termini o/o ma piuttosto e/e. E’ una storia difficile e che si ripete: fare politica fuori dai partiti e provocarne anche i mutamenti. Sto in un terreno di mezzo, voglio esplorarlo e confrontarmi su questo.
2 – La questione qui da noi è molto chiara, è quella che ho ripetuto più volte: il Pd non deve essere come quello che ha governato la Campania negli ultimi tredici anni. Punto.
3 - C’è, al contempo, in Italia, da fare una seria, aperta battaglia contro la tenaglia che ci sta stringendo e che vede da un lato la casta e dall’altra la demagogia. Concordo con Nazarin (#) che la prima responsabilità per l’anti-politica la hanno i partiti - l’ho scritto ieri l’altro su la Repubblica Napoli (in questa pagina, dove è in ordine cronologico al 22 set) citando la Costituzione e constatando quanto i partiti sono distanti da quello spirito e quanto sono stati affossatori di innovazioni. Ma se la casta nutre l’antipolitica, poi, è pur vero che il “sovversivismo della piccola borghesia” è, in forme sempre cangianti, la malattia anti-liberale dell’Italietta di ieri e di oggi che si nutre, caro Franco (#), di alcune costanti: facili slogan, riduzione della complessità, odio per le procedure democratiche sia rappresentative che deliberative, affidamento a un capo.
3 – Sto con Bindi perché vuole contrastare più degli altri la deriva della odierna politica-partitica, pensa in termini di inclusione sociale ed è la più innovativa e democratica dei candidati; ma so che in Campania sto in compagnia di persone che rispetto ma che certo non hanno il mio approccio, che sono, in questo, assai poco bindiane, che non pensano affatto che ci voglia una radicale discontinuità con il governo che il centro-sinistra ha qui espresso; e dunque la fatica sarà maggiore.
4 – Sono in buona sostanza d’accordo con la linea proposta da Giovanna (#): dovrò - con la lista Bindi - essere un megafono dell'agenda delle grandi tematiche che abbiamo faticosamente snocciolato in occasione delle ultime elezioni napoletane a Napoli e in Campania e trovare tracce comuni anche altrove nel Sud.
5 – Dunque la mia agenda deve subito tornare sui contenuti: camorra, rifiuti, sviluppo mancato e esclusione sociale di massa, assenza di spazio pubblico democratico.
Nella foto Aung San Suu Kyi, una persona che ha impegnato la propria vita per cambiare la politica del suo paese. E' bene tenere allenato il senso delle proporzioni.
19 settembre, 2007
Concorrere con metodo democratico?
Fa bene Paul Ginsborg a dire che il movimento dei girotondi era stato troppo buono. Perché lo era stato. Cercava il dialogo appena dietro un po’ di conflitto. Certo, c’era Berlusconi al governo. Ci si metteva d’accordo per amor di patria. Qualche lista civica seria – a Firenze – l’ha fatta quel movimento. E’ stata strapazzata.
Adesso quasi tutte le nomenclature di partito attaccano la società in quanto tale, senza ombra di distinzioni. A difesa della politica così com’è. Il presidente del consiglio in testa. Brutta storia. Non c’è alcuna prudenza. Che sarebbe auspicabile. Bertinotti difende pure i 200 euro dati ai deputati per l’aumento della vita. Roba da matti. Prestando così il fianco al crescente delirio di Grillo, il nuovo diciannovista. Viene attaccato tutto quel che non è stato sotto il diretto controllo degli apparati di partito. E ciò fornisce benzina alla demagogia dall’altra parte. Siamo tra incudine e martello. E né l’una né l’altra cosa mi sembrano ispirate all’articolo 49 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”
E Napolitano? Il presidente è troppo attempato per capire che l’esasperazione deriva in gran misura dalla incontenuta follia della politica di casta in questo decennio e, al contempo, è troppo sapiente per non annusare pericoli veri.
Ma ancora una volta esce dal solco delle sue competenze per commentare tutto in presa diretta. Troppa fretta. E perde un’occasione di autorevolezza. Che servirebbe. E che servirà.
Si deve rompere l’accerchiamento. Provare qualcosa che vada nella direzione del testo della Costituzione. Perciò ripeto quel che vado dicendo. Questa fase costituente del PD, per quanto non è come noi la volevamo, è forse l’ultima sponda per provare a mettere insieme l’idea costruttiva di politica e i cittadini, la rappresentanza e la effettiva spinta partecipativa. E su tale crinale Rosy Bindi tiene meglio.
Ma c’è bisogno di maggiore conflittualità verso la politica. In particolare in Campania. Subito. Perché noi viviamo la forma estrema di tutto questo.
Perciò voglio fare una battaglia aperta.
E presentarmi in un collegio contro De Mita o Sassolino, dove si possa esprimere in modo diretto, chiaro, evidente che ci sono due modi di intendere questo PD: uno è quello che sta davanti agli occhi e l’altro, difficile, è quello partecipativo, costitutivo di proposte per migliorare la vita quotidiana, apertamente agli antipodi di una politica fondata solo sul controllo di potere.
Candidarsi per dire questo, renderlo ancor più visibile. Oppure trarre le conseguenze della situazione e non presentarsi. Semplicemente.
Un po’ di radicalità ci vuole. Non si può essere troppo buoni, appunto.
Ma per quanto riguarda il domani temo che saremo davvero stretti tra due mali: una ulteriore sclerosi auto-referenziale dei partiti, che sempre più tradiscono la funzione che la Costituzione attribuisce loro e la crescita del populismo e dei caudillo di turno, quali che siano. In fondo Berlusconi lo abbiamo avuto. E non siamo certi di non riaverlo o di dover subire qualcos’altro. E sarà dura scegliere tra rincorrere gli apparati della casta e cercare di moderare le escandescenze populiste. Molto dura.
17 settembre, 2007
Il diciannovismo e il patrimonio di Decidiamo insieme
Ringrazio Norberto Gallo per la bella lettera aperta. Dove mi propone di salvare il patrimonio comune di Decidiamo Insieme e di questo anno e passa di faticose battaglie e riflessioni candidandomi contro Bassolino o Iervolino o De Mita nei collegi da loro scelti. Perché altrimenti getto via una speranza. Perché così non si fa nessun Pd e non si affronta - anzi! - la crisi a Napoli e in Campania.
Poi mi guardo in giro e vedo sempre di più che qualcosa si muove fuori dal giro dei partiti. La gente non ne può più.
E ieri Beppe Grillo ha dichiarato che certifica lui le liste civiche future. A che titolo? Noi abbiamo fatto, insieme, una lista civica. Noi non avevamo un duce che diceva se era buona o no. Abbiamo aperto uno spazio sul programma e sui nomi.
Una volta quel modo di fare si chiamava diciannovismo. Bellissime le pagine di Salvemini su ciò. Il sovversivismo della piccola borghesia. Eterno in Italia. E che è l’opposto della deliberazione partecipativa che si affianca alla rappresentanza.
Ma poi hanno anche molte ragioni i grillini e altri. Perché non se ne può davvero più. Ecco il punto. E la politica-politica non pare avere più la cultura, l’autorevolezza, il coraggio e le proposte per uscirne. Bindi, in verità, aveva risposto assai bene a Grillo in una intervista a Repubblica. E anche Bertinotti (a me non sempre simpatico) non aveva detto male. Tagliare subito i privilegi. Rendere rigorosa la politica. Ricambiare ora. Aumentare la partecipazione.
A chi spetta questa battaglia? Spetta a altri da noi? Chi? Quando? La gente fatta come noi sta in campo? Come? O resta sull'Aventino? O aderisce al diciannovismo? O prova a piegarlo in senso meno demagogico?
Questa questione crescerà.
Ritorno alla proposta di Norberto. Sì. Una sfida propositiva su un altro modo di fare politica e di intendere anche il Pd qui a Napoli e in Campania va lanciata. Ora. E se lo si fa candidandosi in collegi dove ci sono i big, francamente, è faticoso e rischioso… ma in fondo perché no?
Domanda a Norberto, a me stesso e “da open space”, per discuterne: dove, a chi, come lanciare il guanto di questo genere di sfida?
Poi mi guardo in giro e vedo sempre di più che qualcosa si muove fuori dal giro dei partiti. La gente non ne può più.
E ieri Beppe Grillo ha dichiarato che certifica lui le liste civiche future. A che titolo? Noi abbiamo fatto, insieme, una lista civica. Noi non avevamo un duce che diceva se era buona o no. Abbiamo aperto uno spazio sul programma e sui nomi.
Una volta quel modo di fare si chiamava diciannovismo. Bellissime le pagine di Salvemini su ciò. Il sovversivismo della piccola borghesia. Eterno in Italia. E che è l’opposto della deliberazione partecipativa che si affianca alla rappresentanza.
Ma poi hanno anche molte ragioni i grillini e altri. Perché non se ne può davvero più. Ecco il punto. E la politica-politica non pare avere più la cultura, l’autorevolezza, il coraggio e le proposte per uscirne. Bindi, in verità, aveva risposto assai bene a Grillo in una intervista a Repubblica. E anche Bertinotti (a me non sempre simpatico) non aveva detto male. Tagliare subito i privilegi. Rendere rigorosa la politica. Ricambiare ora. Aumentare la partecipazione.
A chi spetta questa battaglia? Spetta a altri da noi? Chi? Quando? La gente fatta come noi sta in campo? Come? O resta sull'Aventino? O aderisce al diciannovismo? O prova a piegarlo in senso meno demagogico?
Questa questione crescerà.
Ritorno alla proposta di Norberto. Sì. Una sfida propositiva su un altro modo di fare politica e di intendere anche il Pd qui a Napoli e in Campania va lanciata. Ora. E se lo si fa candidandosi in collegi dove ci sono i big, francamente, è faticoso e rischioso… ma in fondo perché no?
Domanda a Norberto, a me stesso e “da open space”, per discuterne: dove, a chi, come lanciare il guanto di questo genere di sfida?
16 settembre, 2007
Ben altro
Alla fine, con tutti i dubbi e i contorcimenti che condivido con tante persone a cui non piace la politica così com’è, si andrà a votare per la costituente del Pd. Persone, proposte, attivizzazioni le più varie e differenti, idee intorno a un nuovo soggetto politico saranno messe in campo. Il movimento intorno a come si fa il Pd, con tutti i suoi difetti d’origine e non, comunque sarà un moto, molto presente sui media e soprattutto nelle menti di tante ottime persone, su cosa può o potrebbe essere la politica, l’avvicinarsi di cittadini e decisioni collettive. Il Pd non è né sarà forse l’unica cosa in giro che farà questo. E non è detto che ci riesca affatto. Ma muta così poco e raramente in Italia. Per questo ho sostenuto il Pd come ipotesi già venti mesi fa. Non perché sia perfetto o ottimo. E in attenta attesa di altri auspicabili rinnovamenti – compresa la cosa di sinistra o la costruzione di moti dal basso che siano dirompenti ma anche un po’ propositivi, intanto c’è il Pd.
E nel Pd la posizione di Rosy Bindi è quella nettamente più vicina a un effettivo rinnovamento nel metodo, nel lessico, molto attenta a non slittare verso il neo-centrismo, che guarda a chi è socialmente escluso e a una modernizzazione che non sia solo per chi già sta bene.
Ora, però, a Napoli c’è davvero una smaccata smentita di ogni idea di Pd nuova e promettente. E’ uno spettacolo miserrimo. Come ho detto, scritto e ripetuto tante volte. Questi candidati a segretario regionale, il come se ne è discusso e deciso, l’asse bassolino- De Mita in sella come sempre e nonostante tutto, sempre diviso tra unità e competizione ma solo intorno al controllo, al dominio. E poi: l’assenza, così imposta a tutti, dei temi-chiave per la città e la regione che sono invivibili, mal governati da anni proprio da chi formerà il Pd. E nessun confronto di merito, il ritorno dei signori delle tessere e delle clientele, tutti in campo a sostegno di questa o quello cordata: insopportabile.
Una roba che allontana.
Che fare?
Andarsene, fuggir via? Sostenere la Bindi per le sue posizioni nazionali ma non battersi dicendo cosa non va e da dove cominciare qui proprio qui?
Oppure stare nel processo per il Pd e sostenere la Bindi ma dire – e dire forte, esplicito e chiaro a lor signori campani – che così proprio non va, che così non sarà proprio partito democratico qui da noi. E proporre alcune cose dirimenti e avviare, di nuovo, una battaglia dura, lunga, difficile. Dagli esiti assai incerti e non a portata di mano. Per altro, ben altro.
Faticoso.
(In foto l'altro Ben, quello che qui non è.)
E nel Pd la posizione di Rosy Bindi è quella nettamente più vicina a un effettivo rinnovamento nel metodo, nel lessico, molto attenta a non slittare verso il neo-centrismo, che guarda a chi è socialmente escluso e a una modernizzazione che non sia solo per chi già sta bene.
Ora, però, a Napoli c’è davvero una smaccata smentita di ogni idea di Pd nuova e promettente. E’ uno spettacolo miserrimo. Come ho detto, scritto e ripetuto tante volte. Questi candidati a segretario regionale, il come se ne è discusso e deciso, l’asse bassolino- De Mita in sella come sempre e nonostante tutto, sempre diviso tra unità e competizione ma solo intorno al controllo, al dominio. E poi: l’assenza, così imposta a tutti, dei temi-chiave per la città e la regione che sono invivibili, mal governati da anni proprio da chi formerà il Pd. E nessun confronto di merito, il ritorno dei signori delle tessere e delle clientele, tutti in campo a sostegno di questa o quello cordata: insopportabile.
Una roba che allontana.
Che fare?
Andarsene, fuggir via? Sostenere la Bindi per le sue posizioni nazionali ma non battersi dicendo cosa non va e da dove cominciare qui proprio qui?
Oppure stare nel processo per il Pd e sostenere la Bindi ma dire – e dire forte, esplicito e chiaro a lor signori campani – che così proprio non va, che così non sarà proprio partito democratico qui da noi. E proporre alcune cose dirimenti e avviare, di nuovo, una battaglia dura, lunga, difficile. Dagli esiti assai incerti e non a portata di mano. Per altro, ben altro.
Faticoso.
(In foto l'altro Ben, quello che qui non è.)
11 settembre, 2007
Battagliero pessimismo
Cara Lunanera, anche io ero per la storia ciclica e ricorrente, mi sono battuto, ho perso su ciò. Franco, certo che conosco quel testo di Benjamin. Le scuole del mondo vivono di cose effettive, vive; a volte buone altre no. E hanno anche bisogno di programmi… che non determinano, certo. Ma aiutano. E se sono accettabili o pessimi non è indifferente. E poi ognuno ha il suo mestiere e si affeziona al lavoro ben fatto anche se sempre ce ne è di migliore, com’è in ogni procedura artigianale… di cui la vita è fatta.
Molti per strada mi fermano e chiedono del PD. Quello che penso – in senso battagliero ma pessimista - della sfiancante fatica per provare a far diventare un po’ vero il PD lo ho scritto su Repubblica di Napoli di domenica 9 e lo propongo di nuovo qui sotto.
Intanto, a 36 ore dalla scadenza ultima, in Campania continua la rissa sui candidati segretario fatta solo di nomi legati a vecchi (Bassolino e De Mita) e nuovi potentati (ne parla Macry, più in fondo a questa rassegna sul tema curata da d.l.) senza mai una sola parola su metodo, contesto, bilancio politico delle esperienze, proposte, merito delle cose. Insopportabile.
Ho molto apprezzato la posizione di Bindi sul V day di Grillo e sui lavavetri. E’ l’unica che parla al mondo e del mondo. La sosterrò col voto. Invito a votarla. Se mi candido o meno nelle sue liste nazionali si vedrà.
Spero che la lista Bindi in Campania riesca a proporre un candidato per segretario regionale – meglio sarebbe una candidata (almeno una donna in Campania). Per ora vedo un’organizzazione ancora debole. Il suo profilo? Donna, appunto, che sia fuori dai palazzi, chiaramente laica, nota perché sa fare qualcosa nella vita oltre al bla bla della politica-politica, capace di pensare da sola, ascoltare molto, garantire a tutti una fase costituente.
_____________________________
La stancante schermaglia sui nomi
di Marco Rossi-Doria
Il partito democratico dichiara in ogni occasione che vuole nascere in modo “aperto”. E i suoi promotori lo spiegano dicendo di voler favorire un processo e non chiedere una semplice adesione a qualcosa di già confezionato. Ma la domanda che spesso viene loro rivolta - a volte con autentica curiosità e buona disposizione e altre volte con scetticismo o una certa distanza - è: “aperto a chi”? E la risposta che si sente dalla voce dei promotori, Ds e Margherita, nazionali e locali, suona troppo spesso letteralmente così: “Aperto ai cittadini, anche a chi non è mai stato iscritto a un partito o non vi è più iscritto da tempo”.
A chi riceve questa risposta – e che si trova esattamente nella posizione da essa indicata – viene ogni volta da soffermarsi sulla parola “anche” sulla quale, peraltro, spesso insiste la voce. Perché ha un valore più aggiuntivo che connotativo di piena appartenenza a un processo. “Aperto anche”… “alla festa, al campeggio, alla riunione puoi venire anche tu”. Non suona bene questo anche. Se davvero si vuole un processo aperto. E parlando con tanti mi sono accorto quanto sia diffusa tale sensazione, non gradevole. E quanto crei diffidenza e allontani.
“Ma a chi è aperto questo Pd, in concreto?” – ho visto chiedere da una ragazza impegnata nel mio quartiere a un giovane esponente di partito. E la risposta mi ha colpito per la sua articolazione: “Ai giovani. Alle persone che per anni hanno interpretato la parola ‘politica´ come altro dalla frequenza dei luoghi della politica comunemente intesa. A chi lavora nel sociale o fa volontariato. A chi interpreta le funzioni pubbliche con spirito di servizio. Ai tecnici, a chi è impegnato nella cultura o a scuola o nelle professioni. A tutti”. Ascoltavo. E la risposta mi è parsa convincente. Ma non così alla ragazza, che pure sosteneva l´Ulivo.
Molte altre volte mi capitano scene simili. Perché avviene ciò? Forse almeno per due ragioni. In primo luogo perché le persone che non sono di partito sono attratte solo a condizione che siano garantite e curate l´accoglienza autentica, l´ascolto, il non dover rispondere a prospettive e decisioni pre-confezionate e poi le procedure, tali da includere persone nuove. E ancora: il metodo, lo stile, il linguaggio, che devono bandire gli stereotipi da ceto politico e ritornare alle cose da fare, alla soluzione dei problemi propri della vita comune, ricercate insieme ai cittadini. Questo è un processo aperto. Altrimenti il partito non è democratico perché non è offerto a tutti ma solo a chi c´è già, magari con l´aggiunta di qualche cooptazione. Per esempio, se – come si dice - si tratta di un processo in cui si vota per mandare a una convenzione nazionale delle persone che scriveranno statuto e programma del nuovo partito, perché si devono chiedere 5 euro e non 1? Infatti non ci si sta iscrivendo già al partito. Che non c´è ancora. Che non ha ancora una ragione sociale codificata. Ma al processo, appunto. E perché l´elezione dei delegati deve avvenire su liste bloccate la cui formazione non è regolata da una procedura partecipativa che preveda l´esposizione di posizioni, sensibilità, storie e competenze delle persone che chiedono la delega? Non assomiglia questo alla nefasta legge elettorale?
In secondo luogo, in Campania e a Napoli, persiste una questione che non può più essere elusa né rimandata a un dopo che non viene mai. Se si vuole aprire a tutti la costruzione di un partito nuovo con l´ambizione di governare questo nostro territorio, allora deve essere garantita a tutti, anche a chi è lontano dai circuiti interni e limitrofi ai partiti, di poter davvero partecipare finalmente a una discussione sul bilancio di questi dieci anni di governo di centrosinistra: cosa è andato male nel metodo e nel merito per produrre la crisi civile che viviamo e quali sono le condizioni per cambiare. Questa discussione – franca, argomentata e aperta - dovrebbe avvenire prima dell´elezione di un segretario regionale. Perché il suo stesso profilo personale e ogni suo compito futuro ne dipende. Com´è del tutto evidente. Certo non aiuta l´elezione contemporanea del segretario nazionale e di quello regionale. Ma il personale politico nostrano ci mette tutto il suo nell´esasperare la tendenza a dedicarsi solo all´asfittica rissa su nomi e schieramenti o su segrete mediazioni nel chiuso dei palazzi. In fondo è solo questo che vediamo da settimane. Per chi vuole davvero un processo aperto che avvicini società e politica è una battaglia davvero dura.
Molti per strada mi fermano e chiedono del PD. Quello che penso – in senso battagliero ma pessimista - della sfiancante fatica per provare a far diventare un po’ vero il PD lo ho scritto su Repubblica di Napoli di domenica 9 e lo propongo di nuovo qui sotto.
Intanto, a 36 ore dalla scadenza ultima, in Campania continua la rissa sui candidati segretario fatta solo di nomi legati a vecchi (Bassolino e De Mita) e nuovi potentati (ne parla Macry, più in fondo a questa rassegna sul tema curata da d.l.) senza mai una sola parola su metodo, contesto, bilancio politico delle esperienze, proposte, merito delle cose. Insopportabile.
Ho molto apprezzato la posizione di Bindi sul V day di Grillo e sui lavavetri. E’ l’unica che parla al mondo e del mondo. La sosterrò col voto. Invito a votarla. Se mi candido o meno nelle sue liste nazionali si vedrà.
Spero che la lista Bindi in Campania riesca a proporre un candidato per segretario regionale – meglio sarebbe una candidata (almeno una donna in Campania). Per ora vedo un’organizzazione ancora debole. Il suo profilo? Donna, appunto, che sia fuori dai palazzi, chiaramente laica, nota perché sa fare qualcosa nella vita oltre al bla bla della politica-politica, capace di pensare da sola, ascoltare molto, garantire a tutti una fase costituente.
_____________________________
La stancante schermaglia sui nomi
di Marco Rossi-Doria
Il partito democratico dichiara in ogni occasione che vuole nascere in modo “aperto”. E i suoi promotori lo spiegano dicendo di voler favorire un processo e non chiedere una semplice adesione a qualcosa di già confezionato. Ma la domanda che spesso viene loro rivolta - a volte con autentica curiosità e buona disposizione e altre volte con scetticismo o una certa distanza - è: “aperto a chi”? E la risposta che si sente dalla voce dei promotori, Ds e Margherita, nazionali e locali, suona troppo spesso letteralmente così: “Aperto ai cittadini, anche a chi non è mai stato iscritto a un partito o non vi è più iscritto da tempo”.
A chi riceve questa risposta – e che si trova esattamente nella posizione da essa indicata – viene ogni volta da soffermarsi sulla parola “anche” sulla quale, peraltro, spesso insiste la voce. Perché ha un valore più aggiuntivo che connotativo di piena appartenenza a un processo. “Aperto anche”… “alla festa, al campeggio, alla riunione puoi venire anche tu”. Non suona bene questo anche. Se davvero si vuole un processo aperto. E parlando con tanti mi sono accorto quanto sia diffusa tale sensazione, non gradevole. E quanto crei diffidenza e allontani.
“Ma a chi è aperto questo Pd, in concreto?” – ho visto chiedere da una ragazza impegnata nel mio quartiere a un giovane esponente di partito. E la risposta mi ha colpito per la sua articolazione: “Ai giovani. Alle persone che per anni hanno interpretato la parola ‘politica´ come altro dalla frequenza dei luoghi della politica comunemente intesa. A chi lavora nel sociale o fa volontariato. A chi interpreta le funzioni pubbliche con spirito di servizio. Ai tecnici, a chi è impegnato nella cultura o a scuola o nelle professioni. A tutti”. Ascoltavo. E la risposta mi è parsa convincente. Ma non così alla ragazza, che pure sosteneva l´Ulivo.
Molte altre volte mi capitano scene simili. Perché avviene ciò? Forse almeno per due ragioni. In primo luogo perché le persone che non sono di partito sono attratte solo a condizione che siano garantite e curate l´accoglienza autentica, l´ascolto, il non dover rispondere a prospettive e decisioni pre-confezionate e poi le procedure, tali da includere persone nuove. E ancora: il metodo, lo stile, il linguaggio, che devono bandire gli stereotipi da ceto politico e ritornare alle cose da fare, alla soluzione dei problemi propri della vita comune, ricercate insieme ai cittadini. Questo è un processo aperto. Altrimenti il partito non è democratico perché non è offerto a tutti ma solo a chi c´è già, magari con l´aggiunta di qualche cooptazione. Per esempio, se – come si dice - si tratta di un processo in cui si vota per mandare a una convenzione nazionale delle persone che scriveranno statuto e programma del nuovo partito, perché si devono chiedere 5 euro e non 1? Infatti non ci si sta iscrivendo già al partito. Che non c´è ancora. Che non ha ancora una ragione sociale codificata. Ma al processo, appunto. E perché l´elezione dei delegati deve avvenire su liste bloccate la cui formazione non è regolata da una procedura partecipativa che preveda l´esposizione di posizioni, sensibilità, storie e competenze delle persone che chiedono la delega? Non assomiglia questo alla nefasta legge elettorale?
In secondo luogo, in Campania e a Napoli, persiste una questione che non può più essere elusa né rimandata a un dopo che non viene mai. Se si vuole aprire a tutti la costruzione di un partito nuovo con l´ambizione di governare questo nostro territorio, allora deve essere garantita a tutti, anche a chi è lontano dai circuiti interni e limitrofi ai partiti, di poter davvero partecipare finalmente a una discussione sul bilancio di questi dieci anni di governo di centrosinistra: cosa è andato male nel metodo e nel merito per produrre la crisi civile che viviamo e quali sono le condizioni per cambiare. Questa discussione – franca, argomentata e aperta - dovrebbe avvenire prima dell´elezione di un segretario regionale. Perché il suo stesso profilo personale e ogni suo compito futuro ne dipende. Com´è del tutto evidente. Certo non aiuta l´elezione contemporanea del segretario nazionale e di quello regionale. Ma il personale politico nostrano ci mette tutto il suo nell´esasperare la tendenza a dedicarsi solo all´asfittica rissa su nomi e schieramenti o su segrete mediazioni nel chiuso dei palazzi. In fondo è solo questo che vediamo da settimane. Per chi vuole davvero un processo aperto che avvicini società e politica è una battaglia davvero dura.
06 settembre, 2007
Pubbliche riforme e personali soddisfazioni
Ieri sono stato molto contento, soddisfatto per i risultati, presentati in pubblico dal ministro e oggi sui giornali (un po’ troppo in forma di spot), di un lavoro tecnico complesso che ho condiviso quale membro della commissione nazionale che ha elaborato le indicazioni (programmi si chiamavano un tempo) della nostra scuola dell’infanzia, della scuola primaria (elementare) e della scuola media. Arriveranno a ogni docente a scuola in forma di libretto. Chi vuole può leggere le indicazioni qui.
Ho dato e soprattutto ho imparato molto dai miei compagni di viaggio in questo lavoro. Ora è cassata l’epoca Moratti. E le nostre scuole hanno programmi seri e anche belli – anche a confronto con quelli degli altri paesi d’Europa e oltre. E innovativi. Perché per la prima volta stanno insieme i programmi dai 3 ai 14 anni, pur nelle distinzioni E una maestra elementare può vedere la continuità con le medie e con la scuola d’infanzia e viceversa. Perché sono stati scritti anche con il documento su competenze e saperi fino a 16 – nuovo obbligo – a cui pure ho lavorato (che potete trovare sul sito del Vice-Ministro Bastico). Perché la commissione che li ha scritti per la prima volta non sparisce ma accompagna, insieme alle scuole, per due anni, la loro prima applicazione, recependo modifiche e miglioramenti entro un processo partecipativo a cui ora dovremo lavorare. Perché sono stati costruiti traguardi e obiettivi chiari, con lessico comprensibile su cui le scuole possono lavorare senza intrusioni dall’alto per elaborare dei curricoli veri e funzionali per i ragazzi e i bambini.
Per me è stato il miglior frutto di trentadue anni di lavoro e riflessione nella scuola pubblica.
Iscriviti a:
Post (Atom)