Cap 9 - L'Amministrazione
Cap 9 - L'Amministrazione
Cap 9 - L'Amministrazione
In tutti e tre i sistemi è previsto un organo esterno di controllo contabile, il revisore o società di revisione.
Il sistema tradizionale viene adottato nel silenzio dello statuto, mentre gli altri due devono essere previsti al
momento della costituzione della società o con una modifica statutaria, avendo effetto, in quest’ultima
ipotesi, dalla data in cui viene convocata l’assemblea per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio
successivo.
Il numero dei componenti del consiglio di amministrazione è liberamente determinabile dallo statuto, il quale
può prevedere anche le figure del comitato esecutivo e degli amministratori delegati.
Gli amministratori, in generale, sono coloro che si occupano in via esclusiva della gestione della società e
sono chiamati a compiere tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale.
Gli amministratori hanno:
1) Il potere gestorio, in quanto deliberano su tutti gli argomenti inerenti la gestione della società che non
siano riservati dalla legge all’assemblea;
2) Il potere di rappresentanza, generale, cioè manifestare all’esterno le decisioni prese dalla società, ponendo
in essere gli atti giuridici in cui si concretizza l’attività sociale.
Le funzioni degli amministratori sono quindi inderogabili da parte dell’autonomia privata (nè dallo statuto né
dall’assemblea), in quanto contrappeso alla irresponsabilità dei soci per le obbligazioni sociali. Si tratta
inoltre di funzioni di cui gli amministratori sono investiti per legge e non per mandato dei soci nonché di
funzioni che esercitano in posizione di formale autonomia rispetto all’assemblea.
Sono civilmente e penalmente responsabili per il loro operato, specialmente sotto il profilo civilistico nei
confronti dei creditori sociali e società qualora vengano violate (da loro stessi o dalla società in generale)
norme inerenti la salvaguardia dell’integrità del patrimonio sociale.
Tuttavia, non è possibile neanche parificare gli amministratori agli imprenditori, perché essi gestiscono
comunque un’impresa altrui, oltre al fatto che vengono nominati e revocati dall’assemblea. E’ un rapporto
tipico non risolvibile in alcun altro.
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3. Il rapporto assemblea-amministratori
“L’assemblea è chiamata a decidere sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il
compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti”.
“La gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni
necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale”.
Le norme del cc riconoscono a due organi diversi un potere gestorio: Nel caso dell’assemblea, però, si tratta
di una competenza delimitata e specifica, riguardante in poche parole i soli atti previsti dalla legge. Nel caso
degli amministratori si tratta di una competenza generale, ossia inerente tutti gli atti necessari non riservati
all’assemblea e utili, in un’ottica di mezzo-fine, per il conseguimento dell’oggetto sociale.
Il potere degli amministratori, di conseguenza, si configura come un potere proprio e non derivato
dall’assemblea, tant’è che essi non hanno bisogno in alcun modo di rivolgersi all’assemblea, sottoponendo le
proprie delibere a preventiva approvazione, per svolgere il proprio compito, esercitandolo in autonomia,
neanche in caso di operazioni pericolose.
Né tanto meno l’assemblea può essere chiamata a rispondere, a differenza degli amministratori, civilmente o
penalmente dei danni arrecati al patrimonio sociale. L’assemblea è quindi un organo irresponsabile
La competenza degli amministratori cessa per lasciare spazio all’assemblea per le operazioni comportanti
una sostanziale modifica della società stessa, del suo oggetto sociale (assemblea straordinaria). Compete
sempre all’assemblea un potere generale di controllo sull’attività gestori degli amministratori.
Lo statuto può prevedere solo che l’assemblea sia chiamata ad autorizzare atti di gestione di competenza
degli amministratori. In tal caso, l’assemblea è chiamata ad esprimersi su proposta degli amministratori e non
si può sostituire ad essi. Non sono quindi ammissibili clausole statutarie che riconoscono all’assemblea una
competenza generale in merito agli atti di gestione. Inoltre l’autorizzazione non esonera gli amministratori
dalla responsabilità, civile e penale, verso i creditori e verso la società stessa. Ne consegue che nonostante vi
sia stata data autorizzazione, gli amministratori possono liberamente non attuare gli atti di gestione.
Nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può riservare ad enti pubblici
o allo Stato la nomina di uno o più amministratori o sindaci, in forza della partecipazione nel capitale sociale.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, invece, allo Stato o agli enti pubblici può
essere riservata la nomina mediante l’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi (o categorie speciali
di azioni, che comporta la nomina di un amministratore indipendente e di un componente dell’organo di
controllo. In entrambe, gli admin possono essere revocati solo dagli enti pubblici che li hanno nominati.
Le clausole statutarie non possono consentire un innalzamento dei quorum deliberativi stabiliti per
l’assemblea in seconda convocazione per la nomina di tali cariche, però possono prevederne una riduzione.
Vi sono poi dei sistemi di votazione (voto di lista, voto scalare, voto limitato ecc.) ideati al fine di consentire
ai gruppi di minoranza propri rappresentanti nel CDA;
Nelle società quotate è obbligatorio che la compagine minoritaria sia rappresentata da un proprio
amministratore e a tal fine il legislatore ha previsto l’adozione del voto di lista, il quale prevede che vengano
presentate delle liste di candidati e che ogni socio possa votare per una sola lista; I posti nel CDA sono così
distribuiti in proporzione ai voti riportati da ciascuna lista.
Il numero degli amministratori è fissato dallo statuto, il quale si può limitare a fissare numero massimo e
minimo, lasciando all’assemblea l’indicazione del numero preciso di volta in volta.
Gli amministratori possono essere soci o non soci, ma pur sempre persone fisiche (vedi cooperative), dotate
dei requisiti di onorabilità fissati per i sindaci con regolamento del Ministro per la giustizia.
Almeno un componente del CDA (due, se il consiglio ha più di 7 membri) deve essere un amministratore
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indipendente, chiamato a vigilare anche sugli amministratori delegati, in possesso dei requisiti di
indipendenza stabiliti per i sindaci. Specifici requisiti sono previsti per gli amministratori di società
assicurative e bancarie o possono essere previsti dallo statuto.
Ineleggibilità: Non possono essere nominati amministratori l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato
condannato a una pena che comporta un’interdizione, anche temporanea.
Incompatibilità: Comportano solo che l’interessato debba optare fra l’uno o l’altro ufficio; a differenza
dell’ineleggibilità, non rendono invalida la delibera di nomina.
Gli amministratori restano in carica per un periodo non superiore a tre esercizi e scadono alla data
dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica. Sono
però rieleggibili.
- Per gli amministratori il cui ufficio cessa per scadenza del termine: è prevista la cosiddetta prorogatio:
vengono sostituiti solo dopo l’accettazione della nomina da parte dei nuovi amministratori.
- In caso di dimissioni, l’amministratore deve darne comunicazione scritta al CDA ed al presidente del
collegio sindacale: tale rinuncia ha effetto immediato se rimangono in carica la maggioranza degli
amministratori, altrimenti, hanno effetto solo dopo che venga ricostituita la maggioranza con prorogaito.
Nei casi in cui la cessazione dell’ufficio dipenda da morte dell’amministratore e decadenza dall’ufficio
stesso, vanno prese in considerazione tre ipotesi:
1) Se rimane in carica la maggioranza degli amministratori di nomina assembleare: si da luogo alla
cosiddetta “Cooptazione”, ossia sono i superstiti a nominare i sostituti (con approvazione del collegio
sindacale), i quali restano in carica sino alla successiva assemblea, che potrà confermarli o sostituirli;
2) Se viene a mancare la maggioranza degli amministratori di nomina assembleare, non ha luogo la
cooptazione; i superstiti devono convocare l’assemblea affinché provveda alla nomina di nuovi
amministratori, in carica sino alla scadenza del termine previsto per quelli già nominati (i superstiti);
3) Se vengono meno TUTTI gli amministratori o l’amministratore unico, il collegio sindacale convoca con
urgenza l’assemblea per ricostituire l’organo amministrativo, svolgendo nel frattempo la “gestione
ordinaria”.
Tuttavia la disciplina è derogabile da parte dello statuto, specie in merito alla regola di cooptazione, già di
per sé eccezione al principio di competenza assembleare alla nomina degli amministratori.
Lo statuto può prevedere anche la clausola “simul stabunt, simul cadent” (come insieme staranno, insieme
cadranno), prevedendo la cessazione di tutti gli amministratori e la ricostituzione dell’intero organo
amministrativo nell’ipotesi di cessazione anche di un solo amministratore.
L’assemblea è convocata d’urgenza dagli amministratori superstiti, a meno che lo statuto non preveda la
cessazione immediata del CDA, a quel punto si procede come al 3° punto.
Gli amministratori appena nominati provvedono all’iscrizione della loro nomina nel registro delle imprese
entro 30 giorni dalla nomina stessa. Il collegio sindacale, invece, si occupa di provvedere all’iscrizione della
cessazione per qualsiasi causa nello stesso termine.
5. Compenso. Divieti
Gli amministratori, per lo svolgimento della propria attività, hanno diritto ad un compenso per la loro attività.
Se il compenso non è stato determinato o gli amministratori non vi hanno rinunciato, esso è determinato
dall’autorità giudiziaria su ricorso degli amministratori.
Al contrario, viene determinato dall’assemblea ordinaria all’atto di nomina (s. Tradizionale e monistico) o
dal consiglio di sorveglianza (sistema dualistico), salvo in quest’ultimo caso diversa clausola statutaria.
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Struttura composita: Remunerazione fissa - Quota variabile in relazione raggiungimento di certi obiettivi
-Trattamenti speciali in caso di cessazione dalla carica - Benefici in natura.
Tale compenso può consistere, in tutto o in parte, in una partecipazione agli utili della società o nel diritto di
sottoscrivere azioni di futura emissione a prezzo predeterminato (stock options), anche se in questa ipotesi è
necessario che l’assemblea straordinaria abbia deliberato l’esclusione del diritto di opzione degli azionisti.
Per gli amministratori con particolari cariche in conformità dello statuto (come gli amministratori delegati),
invece, il compenso è stabilito dal CDA (NO dall’assemblea), sentito il parere del collegio sindacale.
Si tratta di remunerazione ulteriore rispetto a quella prevista in quanto il soggetto fa già parte del CDA.
Tale assetto normativo non ha sempre garantito piena trasparenza ed alle volte neppure la possibilità per gli
azionisti di effettuare un adeguato controllo sulle politiche retributive del CDA. Da ciò, una serie di rimedi:
• Se lo statuto lo prevede l’assemblea può fissare un importo complessivo per la remunerazione di TUTTI gli
amministrazione anche quelli con particolari cariche.
• Attribuzioni di remunerazioni basate su azioni o strumenti finanziari partecipativi (piani di compensi) con
l'approvazione dell'assemblea ordinaria, per le società quotate o con azionariato diffuso.
• Nelle quotate il CDA approva e sottopone agli azionisti una volta all’anno, in occasione della delibera di
approvazione del bilancio una relazione sulla remunerazione composta di due sezioni. L'assemblea
delibera solo sulla prima sezione, ma la votazione non è vincolante per il Cda.
La centralità degli amministratori li rende partecipi di tutti i segreti aziendali. Da ciò, l’introduzione in capo
agli amministratori di determinati divieti:
a) Non possono assumere la qualità di soci a responsabilità illimitata in società concorrenti;
b) Non possono esercitare attività concorrente per conto proprio o altrui;
c) Non possono essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, se non previsto dall’atto
costitutivo o autorizzati dall’assemblea.
In questi tre casi gli amministratori vanno incontro alla revoca dell’ufficio per giusta causa, dovendo anche il
risarcimento dei danni, laddove arrecati.
6. Il Consiglio di Amministrazione
Nelle società non quotate si può prevedere o amministratore unico o pluralità di amministratori.
Nelle società quotate è obbligatorio invece nominare più amministratori.
Quando vi sono più amministratori, essi costituiscono il CDA, retto da un presidente scelto dallo stesso
consiglio fra i suoi membri, qualora non sia già stato nominato dall’assemblea. Occorre distinguere tra:
Funzioni che vanno esercitate collegialmente: l’attività deliberativa inerente la gestione della società e altre
attività proprie degli amministratori rimesse al CDA (convocazione assemblea, redazione bilancio ecc.);
Le decisioni sono adottate a maggioranza in apposite riunioni alle quali assistono i sindaci.
Egli può controllare le scritture sociali, compiere atti di ispezione, chiedere notizie circa la gestione agli
amministratori delegati. Nel caso in cui riscontri delle anomali deve chiedere la convocazione del consiglio,
in quanto l’adozione di provvedimento è competenza collegiale, in quanto attività deliberativa.
Presidente: Anzitutto a convocare e definire l’ordine del giorno del CDA, oltre che ad informare gli
amministratori della convocazione, è il presidente dello stesso. Le riunioni possono avvenire anche per mezzi
di telecomunicazione, anche se non è mai ammesso il voto per rappresentanza.
Può considerarsi validamente costituito il consiglio a cui prendono parte la maggioranza degli amministratori
in carica. Può considerarsi validamente approvata la deliberazione consiliare con voto favorevole della
maggioranza assoluta dei presenti (voto per teste). Tutto questo se lo statuto non dispone diversamente.
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amministrazione, ma va redatto nella forma dell’atto pubblico qualora si deliberi su materia di competenza
assembleare.
Per quanto riguarda l’invalidità delle delibere non sono previste cause di nullità delle stesse, solo annullabili.
Gli amministratori assenti o dissenzienti ed il collegio sindacale possono, entro 90 giorni dalla data di una
determinata deliberazione, impugnare la stessa qualora contraria alla legge o allo statuto. Si applica la
disciplina del procedimento di impugnazione delle delibere assembleari invalide.
I soci non possono proporre impugnativa, se non viene direttamente leso un proprio diritto soggettivo.
L’annullamento di una delibera non pregiudica i diritti acquisiti in buona fede da terzi.
Si applica in tal caso la disciplina delle delibere assembleari annullabili.
Se tale delibera del consiglio possa comportare un “danno potenziale” alla società, essa è impugnabile, non
solo se vi abbia votato l’amministratore in conflitto e il suo voto fosse determinante (prova di resistenza) ma
anche se non sono stati rispettati i tre punti sopra.
L’impugnazione può essere proposta entro 90 giorni dalla data della delibera dal Collegio Sindacale,
Amministratori assenti o dissenzienti, Amministratori che hanno votato a favore se l’amministratore non ha
provveduto agli obblighi sopra.
Anche nel caso di amministratore unico, egli è tenuto all’obbligo di informazione e di motivazione delle
operazioni nei confronti del collegio sindacale e della prima assemblea utile, in quanto i contratti conclusi in
conflitto di interessi dallo stesso sono annullabili su richiesta della società, in base alla disciplina di rappres.
L’amministratore risponde dei danni derivanti dalla sua azione o dall’omissione delle proprie azioni: in
particolare risponde anche dei danni alla società derivanti dall’utilizzo, a vantaggio proprio o di terzi, di dati,
notizie ed opportunità di affari conosciuti proprio in forza del fatto che il soggetto si trova in una posizione
privilegiata.
Maggiori cautele sono previste nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in relazione
alle operazioni con “parti correlate”, ossia operazioni aventi come controparte soggetti particolarmente vicini
alla società (soggetti indicati dalla Consob), con cui c’è maggior rischio di conflitto di interessi.
E’ necessario, in tal caso, che il consiglio adotti regole per una maggiore trasparenza e correttezza delle
decisioni, regole che vanno rese note nella relazione sulla gestione e sul sito internet della società
Regole più rigorose valgono per operazioni di maggior rilevanza, identificate da dei paramenti quantitativi
fissati dalla Consob: Un comitato formato da amministratori tutti indipendenti e non correlati) deve essere
coinvolto già nella fase istruttoria e della trattative. La decisione non è delegabile, da parte del comitato.
Se il comitato ha però espresso parere negativo, l’operazione deve essere approvata anche dall’assemblea
ordinaria senza il voto contrario della maggioranza dei soci non correlati, soci cioè che non sono controparte
dell’operazione. Né qualificabili come parti correlate della stessa controparte o della società. (c.d. procedura
di whitewash).
Infine per le operazioni di maggior rilievo deve essere data informazione alla Consob e al pubblico. Gli
amministratori devono inoltre darne indicazione nella relazione sulla gestione e nella nota integrativa i
dettagli.
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8. Comitato esecutivo. Amministratori delegati
Nelle società di grandi dimensioni il CDA può decidere di dar luogo ad una propria articolazione interna,
delegando le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo o ad uno o più amministratori delegati.
Il comitato esecutivo è un organo collegiale, alle cui riunioni prendono parte i sindaci e le cui delibere sono
contenute all’interno di un apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni, tenuto dallo stesso comitato.
Ad esso si applicano le norme del CDA
Gli amministratori delegati, invece, sono organi “unipersonali” che esercitano disgiuntamente o
congiuntamente le funzioni ad essi attribuite (a seconda di quanto previsto nell’atto di nomina o nello
statuto), assumendo il più delle volte anche la rappresentanza della società.
Comitato esecutivo e amministratori delegati possono anche coesistere. La loro creazione deve essere però
prevista dallo statuto e consentite dall’assemblea ordinaria. La designazione dei membri è fatta dal CDA.
Ovviamente la presenza di tali organi non sottrae competenza al consiglio di amministrazione, che può in un
qualsivoglia momento avocare a se operazioni rientranti nella delega, restando in posizione sovraordinata
rispetto agli stessi, imponendo direttive, che devono rispettare (a meno che non coinvolgano la loro
responsabilità) e potendo revocare la delega stessa.
Vi sono, però, dei compiti che il consiglio di amministrazione NON PUO’ delegare: Redazione del bilancio,
facoltà di aumento del capitale sociale, adempimenti a carico degli amministratori in caso di riduzione per
perdite (nominale) del CS, redazione del progetto di fusione o scissione.
I soggetti scelti hanno un potere di rappresentanza generale, non circoscritto ai soli atti rientranti nell’oggetto
sociale, oltre ad avere rappresentanza processuale attiva e passiva della società.
Salvo il caso di amministratore unico e amministratore delegato con rappresentanza, vi è scissione tra:
Il potere di gestione: riguarda l’attività interna della società, la fase decisoria delle operazioni sociali, ed è
svolto collegialmente dal consiglio di amministrazione
IL potere di rappresentanza: ha ad oggetto l’attività esterna, ossia il potere di agire nei confronti dei terzi in
nome della società, svolto disgiuntamente/congiuntamente da uno o più amministratori.
Gli amministrati non possono essere privati del potere di rappresentanza. La società può però anche scegliere
di avvalersi di rappresentanti negoziali diversi dagli amministratori, quali direttori generali o procuratori
generali esterni, nominati dagli amministratori stessi o dall’assemblea
In ogni caso, viene tutelato moltissimo l’affidamento di terzi riguardo agli atti posti in essere da chi gode del
potere di rappresentanza. Infatti
a) è inopponibile ai terzi di buona fede la mancanza di potere rappresentativo dovuta ad “invalidità” dell’atto
di nomina, iscritto nel registro delle imprese, salvo che la società provi che i terzi ne fossero a conoscenza.
b) anche la violazione dei limiti posti ai poteri di rappresentanza da parte degli amministratori è inopponibile
a terzi, anche se tali limiti sono stati pubblicizzati, a meno che non si provi che l’amministratore abbia agito
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per danneggiare la società (provando l’esistenza di accordo fraudolento tra l’amministratore ed il terzo). Non
è sufficiente la malafede del terzo. La loro violazione comporta responsabilità verso la società.
Sebbene prevista dalla disciplina comunitaria, all’interno del nostro ordinamento non è mai stata inserita la
disposizione inerente l’impossibilità della società di opporre a terzi di buona fede l’estraneità dall’oggetto
sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società, definiti come ATTI ULTRA VIRES: in
poche parole, se l’amministratore compie un atto che non rientra nell’attività di impresa, la società resta
comunque vincolata verso terzi, a meno che non riesca a provare che gli stessi abbiano agito volutamente a
danno della società;
Al contrario, invece, qualora vi siano dei limiti legali del potere di rappresentanza, gli atti posti in essere in
violazione di tali limiti dagli amministratori sono opponibili a terzi (pensiamo agli atti stipulati
dall’amministratore in conflitto di interessi): in questi casi l’atto è annullabile su richiesta della società, se si
possa dimostrare che il terzo ne fosse a conoscenza o potesse venirne a conoscenza.
La medesima disciplina dell’opponibilità vale nelle ipotesi in cui occorra una delibera assembleare per
autorizzare l’atto dell’amministratore.
Non vige nei casi in cui sia necessaria una delibera del CDA, in quanto l’atto compiuto in mancanza della
stessa resta del tutto valido, trattandosi ancora una volta di limite statutario e non legale.
Per tale motivo gli amministratori sono responsabili solo nel momento in cui non adempiono i doveri ad essi
imposti dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro competenze
(diligenza professionale), mentre non sono responsabili per i risultati negativi della gestione non imputabili
alla diligenza generale o professionale:
In sede di accertamento della responsabilità, infatti, il giudice non entra nel merito delle scelte
dell’amministratore inerenti l’opportunità e la convenienza di un affare, ma si limita a verificare l’osservanza
di obblighi di condotta e di amministrazione diligente. (Business Judgement Rule).
Ovviamente se ci sono più amministratori essi rispondono solidalmente dell’intero danno, a meno che non si
tratti di funzioni proprie del comitato esecutivo o specificamente attribuite ad uno o più amministratori.
E’ comunque imposto a tutti gli amministratori di agire e di adempiere i propri obblighi con la diligenza del
buon professionista, il che comporta il dovere di sollecitare informazioni e chiarimenti da parte degli organi
delegati e di verificare le informazioni fornite. Ciò significa che non sempre la presenza di funzioni delegate
esonera gli altri amministratori da responsabilità solidale.
Essi, tra l’altro, sono sicuramente responsabili nel momento in cui erano a conoscenza di atti pregiudizievoli
degli organi delegati e non hanno fatto nulla per impedirli o per attenuare le conseguenze dannose.
In sostanza, tutti gli amministratori devono impedire o limitare, per quanto è possibile, l’attività dannosa
degli organi delegati, altrimenti sono chiamati a rispondere di culpa in vigilando, avendo però diritto di
regresso nei confronti dei primi.
Comunque la responsabilità degli admin è per colpa e non responsabilità oggettiva. Tale responsabilità degli
amministratori non si estende a colui che sia immune da colpa purché:
a) abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del CDA.
b) Del suo dissenso h dato comunicazione immediata per iscritto al presidente del collegio sindacale.
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La delibera può anche essere presa in occasione della discussione del bilancio purché di competenza
dell’esercizio a cui esso si riferisce. L’approvazione del bilancio non implica liberazione degli admin da resp.
Tale azione tutela poco e minoranze in quanto la relativa decisione è nelle mani di chi li ha nominati e che
perciò agiranno in giudizio conto essi qualora si rompa il rapporto fiduciario. Oggi però tale azione s’è detto
è esercitabile anche dal collegio sindacale, seppur anch’esso espressione del gruppo di comando.
Quando la società è dichiarata fallita, legittimati a esercitare l’azione i responsabilità sono il curatore
fallimentare, commissario liquidatore o straordinario.
Un ulteriore tutela è prevista quando la società è in bonis. La società può rinunciare all’esercizio dell’azione
di responsabilità o pervenire ad una transazione con gli amministratori. Entrambe devono essere
espressamente deliberate dall’assemblea, ed è necessario che non vi sia il voto contrario pari a 1/5 del
capitale sociale (1/20 se la società fa ricorso) o la minor percentuale prevista, altrimenti sono senza effetto.
L’azione di responsabilità può essere promossa anche dagli azionisti di minoranza, che devono rappresentare
almeno 1/5 del capitale sociale o la diversa misura prevista dallo statuto purché non superiore a 1/3. Nelle
società che fanno ricorso occorre invece 1/40 o la percentuale più bassa.
L’azione è promossa dalla minoranza tramite uno o più rappresentanti nominati a maggioranza del capitale
posseduto ed è diretta a reintegrare il patrimonio sociale e non risarcire il danno subito dai soci agenti.
Siccome è l’azione che la società può esperire con delibera assembleare, deve essere necessariamente
chiamata in giudizio ed è tenuta a rimborsare agli attori le spese di giudizio che non sono state poste a carico
degli amministratori soccombenti.
L’azione sociale di responsabilità, in ogni caso, può essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione della
carica dell’amministratore. La responsabilità si configura come resp. Da inadempimento di preesistenti
obbligazioni (contrattuale) e non da illecito extra-contrattuale, pertanto gravando sulla società solo l’onere
della prova inerente l’esistenza del danno imputabile all’inadempimento degli amministratori e non la colpa
degli stessi.
Invece compete agli amministratori dimostrare l’inesistenza della colpa o del nesso di causalità tra
inadempimento e danno.
Legittimati ad agire sono i singoli creditori sociali, ma in caso di fallimento, dai 3 detti poco fa, legittimati a
esercitare anche l’azione di responsabilità
Anche in questo caso, come abbiamo visto prima, si tratta di “inadempimento degli obblighi posti dalla legge
a carico degli amministratori” (conservazione integrità patrimonio sociale) e pertanto NON possiamo parlare
di illecito extracontrattuale: dolo e colpa non devono essere dimostrati.
Tuttavia, il danno subito dai creditori altro non è se non un riflesso del danno alla società, al suo patrimonio.
Ne consegue che se l’azione risarcitoria è già stata esperita dalla società ed il patrimonio è stato reintegrato, i
creditori non potranno più esercitare la loro azione. (Gli amministratori risarciscono già il danno). Stessa
ipotesi con la transazione, solo che questa può essere impugnata con azione revocatoria.
Rinunciare all’esercizio dell’azione da parte della società, non impedisce ai creditori sociali di esercitarla.
L’azione dei creditori si prescrive in 5 anni, i quali decorrono dal giorno in cui viene riscontrata
l’insufficienza del patrimonio o dal giorno in cui i creditori potevano averne conoscenza tramite l’ordinaria
diligenza.
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La domanda in dottrina, però, è la seguente: quella dei creditori è un’azione DIRETTA ed AUTONOMA? o
si tratta di un’azione SURROGATORIA?La tesi maggiormente condivisa è quella dell’azione diretta ed
autonoma poichè possono esprime l’azione indipendentemente dall’inerzia della società, come al contrario
accade per l’azione surrogatoria. Ne consegue che:
a) I creditori sociali che agiscono contro gli amministratori non sono tenuti a citare in giudizio la società
b) La sospensione della prescrizione dell’azione sociale, non opera per l’azione dei creditori sociali, finché
gli amministratori restano in carica.
L’azione di responsabilità qui in esame consente al socio solo il risarcimento del danno direttamente arrecato
al proprio patrimonio, indipendentemente dal fatto un danno si aderivano anche al patrimonio della società.
Non viene coperto dal medesimo articolo il danno subito dal terzo per inadempimento contrattuale della
società, anche se con la responsabilità contrattuale di quest’ultima può concorrere quella da illecito, qualora
l’inadempimento sia imputabile a colpa o dolo degli stessi.
Onere probatorio: Si tratta di responsabilità extracontrattuale, ed il socio o il terzo che hanno subito il danno
frutto della condotta illecita dell’amministratore devono dimostrare non solo il nesso di causalità tra illecito e
danno subito, ma anche il dolo o la colpa dell’amministratore.
L’azione può essere promossa entro 5 anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.
Si tratta, in sostanza, di dirigenti di altissimo livello (top management), subordinati agli amministratori, al
vertice della gerarchia dei lavoratori subordinati dell’impresa, i quali sono chiamati a dare attuazione a
direttive generali provenienti dalla stessa amministrazione. Possono avere anche il potere di rappresentanza
della società.
Rispondono anch’essi dei danni causati, nel loro operato, alla società, ai creditori sociali ed ai soci o terzi,
motivo per cui possono astenersi dall’osservanza di una direttiva ricevuta da parte degli amministratori e
contraria alla legge o allo statuto. La Responsabilità è la stessa degli Amministratori
Sotto il profilo civilistico, invece, la situazione cambia e non è del tutto chiara; la legge prevede per le s.r.l.
che insieme agli amministratori rispondano solidalmente “i soci che hanno intenzionalmente deciso o
autorizzato il compimento di atti dannosi per la società”. E’ necessaria quindi la presenza di comportamenti
dolosi. Tale norma secondo l’opinione prevalente deve estendersi anche alla s.p.a. equiparando la posizione
degli amministratori di fatto alla figura dei direttori generali o affermando che gli obblighi a carico degli
amministratori sono “regole che disciplinano il corretto svolgimento dell’attività, indipendentemente dalla
qualifica formale del soggetto che pone in essere l’attività”.