Hegel in Pillole

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Georg

Wilhelm
Friedrich

Hegel
1770 - 1831

GUIDA ALLA COMPRENSIONE


Hegel e l’Idealismo
L’Idea di fondo di Hegel, massimo esponente dell’Idealismo, è
che la realtà sia un organismo unitario la cui essenza profonda
è data da un soggetto spirituale in costante divenire che vive e si
manifesta nelle cose e nella storia.
Per riferirsi a questa realtà Hegel usa termini diversi;
innanzitutto Idea, proprio per riferirsi alla struttura stessa di
questo soggetto, una struttura di natura razionale. Secondo luogo
Spirito, termine con cui si indica l’Idea che si incarna nell’uomo
e nelle sue produzioni storiche, artistiche, culturali e religiose,
trovando in esse un suo pieno compimento ovvero una piena
autocomprensione di sé.
E poi ancora termini come Assoluto o Infinito che Hegel
utilizza per riferirsi proprio al fatto che lo Spirito contiene in sé
tutta la realtà, tutta la storia e dunque non ha limiti.
A partire da questa premessa possiamo capire meglio il
funzionamento della realtà nella prospettiva di Hegel, per capire
meglio il suo sistema filosofico.
La prima questione è il concetto espresso dalla famosa
espressione secondo la quale “tutto ciò che è razionale è reale e
ciò che è reale è razionale”: con questa espressione Hegel vuole
affermare che ciò che accade nella realtà è razionale ovvero
necessario, i singoli momenti storici hanno infatti un loro senso
unitario, l’Idea si dispiega infatti in maniera razionale, ovvero
verso uno scopo. Questo scopo è il farsi Spirito dell’Idea, è
trovare una piena autocomprensione di sé.
Ciò che accade nella storia, dunque, è mosso dall’Assoluto verso
una certa direzione.

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“Ciò che è razionale (ovvero l’Idea) è reale” significa che Idea
stessa si manifesta concretamente nella realtà. “Ciò che è reale
(ovvero la storia) è razionale”, vuol dire che tutti gli eventi
storici hanno un loro senso, non sono mai casuali, concorrono
sempre a realizzare quanto necessariamente deve realizzarsi.
Da questa prima questione ne deriva una seconda, riassumibile
nel concetto secondo cui l’Infinito e il finito coincidono: per
Infinito si intende sempre l’Idea, l’Assoluto nella sua interezza.
Per finito si intendono invece tutti i singoli momenti storici e
culturali che caratterizzano la realtà, tutti i pezzi della realtà in
cui lo Spirito si manifesta. Ogni singolo evento è un elemento
finito in quanto delimitato storicamente ma fa parte a sua volta
del quadro Infinito delle cose, dell’Idea nel suo complesso.
La realtà dunque per Hegel è un puzzle Infinito le cui singole
tessere rappresentano un momento storico o culturale e che, nel
loro complesso, vanno a comporre l’Assoluto, l’Idea. Questo
vuol dire che l’Idea esiste concretamente perché si manifesta
nelle singole cose e che le singole cose hanno un loro senso solo
se comprese nel quadro più generale. L’Infinito, ovvero l’Idea,
esiste perché esistono i singoli momenti e i singoli momenti
esistono solo grazie all’Infinito.
Il tutto ci rimanda alla questione precedente: lo Spirito si
manifesta concretamente nella storia e i singoli eventi
acquistano un significato solo se compresi in connessione
all’intera realtà, solo se guardati concretamente in prospettiva.
La filosofia “giustificatrice”
La filosofia, nel pensiero di Hegel ha il compito di giustificare,
ovvero spiegare, la realtà. Abbiamo visto che ciò che accade ha
sempre un senso che si ricollega all’Idea e che ogni singolo finito
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va sempre ricondotto all’Infinito. La filosofia ha il compito di
ricostruire il senso intero della realtà, il filosofo dunque non
anticipa gli eventi storici ma si limita a spiegare quanto
accaduto, a ritrovare il filo della razionalità degli eventi.
Hegel utilizza a tal proposito la metafora della “nottola di
Minerva”, un uccello che, secondo la leggenda, vola solo a
partire dal tramonto, ovvero quando il giorno ormai è finito: allo
stesso modo la filosofia è ciò che arriva dopo che gli eventi si
sono svolti e, solo a quel punto, ha gli elementi necessari per
dare un senso a ciò che è accaduto.
La dialettica hegeliana
La realtà è per Hegel un costante divenire, un processo sempre
in corso, dunque è in movimento. Questo movimento non ha un
andamento lineare ma dialettico: per dialettica si intende il
confronto necessario tra due momenti opposti tra di loro
(intellettuale astratto o tesi e razionale negativo o antitesi). Da
questo confronto, da questo scontro, nasce il razionale
speculativo, la sintesi, ovvero ciò che ricompone le differenze in
una unità nuova, superiore ai due momenti prima separati. Hegel
definisce la sintesi con il termine Aufhebung, che vuol dire
“superare conservando e togliendo”, la sintesi infatti è
conservazione di quanto espresso dalla tesi e dall’antitesi e un
togliere ciò che prima le separava. La struttura base della realtà
è di natura dialettica, alla base della storia vi è infatti
l’opposizione di una tesi, l’Idea in sé e per sé e di un’antitesi,
l’Idea al di fuori di sé. Per Idea in sé e per se si intende l’Idea
stessa nella sua natura totalmente astratta, fuori dalla
concretezza della natura, per Idea fuori di se si intende invece
l’Idea che esce da sé e si perde nella natura concreta, nella sua

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limitazione spazio-temporale. Hegel chiama questo processo
alienazione, ovvero “uscita da sé”.
Infine, però, vi è la sintesi: dal confronto fra l’Idea in sé e l’Idea
fuori di sé, nasce l’Idea che ritorna in sé, che si fa appunto Spirito
ovvero che vive concretamente nella natura attraverso l’uomo e
questo suo vivere nella storia acquista piena coscienza di sé.
Questa struttura dialettica, alla base della realtà nel suo
complesso, si moltiplica nei singoli momenti storici, culturali,
artistici etc.
Il travaglio del negativo
L’antitesi, rappresenta il momento di negazione della tesi, ma
l’antitesi ha sempre una funzione centrale e fondamentale in
quanto, se non vi fosse, la storia non andrebbe avanti, rimarrebbe
statica. Ciò ci porta ad una importante considerazione: quelli che
nella storia individuale e collettiva ci appaiono come momenti
negativi, acquistano invece un senso se guardati in prospettiva.
La storia non si realizzerebbe se non ci fosse il travaglio ovvero
il dolore di quanto vi è di negativo, di drammatico, perché è solo
dalla necessità di confrontarsi con questo che nasce qualcosa di
nuovo.
La Fenomenologia dello Spirito
Nel 1807 Hegel pubblica la Fenomenologia dello Spirito, opera
in cui studia come lo Spirito si manifesta nella realtà attraverso
la coscienza umana. Fenomenologia significa infatti “scienza di
ciò che appare”: l’opera è divisa in due parti, nella prima viene
studiato come lo Spirito si manifesta nei singoli individui, nella
seconda si studia invece come lo Spirito si manifesta nelle
collettività. Attraverso questi passaggi viene spiegato come lo
Spirito trovi una sua prima espressione innanzitutto
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nell’individualità, trovando però un suo pieno compimento solo
nelle manifestazioni collettive, universali. Ognuna delle due
parti è suddivisa in tre gradi di manifestazione dello Spirito
secondo un andamento dialettico, nella prima parte i tre gradi
sono la Coscienza (tesi), l’Autocoscienza (antitesi) e la
Ragione (sintesi), per quanto riguarda invece la seconda parte, i
cui contenuti sono approfonditi in opere successive alla
Fenomenologia, questi tre gradi sono lo Spirito, la Religione e,
come sintesi, il Sapere Assoluto.
In ognuno di questi gradi il percorso dello Spirito è delineato da
Hegel attraverso delle figure simboliche che rappresentano un
momento dello Spirito, un certo momento storico, culturale o
filosofico. Il viaggio della Fenomenologia parte dal primo
grado, quello della Coscienza, descritta da Hegel come il
momento in cui il soggetto pensa di incontrare la verità al di
fuori di sé, nell’oggetto, ovvero nella natura. La Coscienza è
rappresentata da tre figure: la certezza sensibile, la percezione
e l’intelletto.
La certezza sensibile è il momento in cui la coscienza avverte
come reale ciò che può conoscere attraverso i sensi.
Se ci troviamo, ad esempio, di fronte ad una mela, riteniamo
quella mela sicuramente reale perché attraverso il tatto, la vista,
l’olfatto, possiamo verificare la sua esistenza. Questo tipo di
conoscenza, che appare la più solida, ci pone però dei problemi:
innanzitutto i sensi ci possono ingannare, in secondo luogo
attraverso i sensi possiamo conoscere solo ciò che è davanti a
noi, solo ciò che è “ora” e “qui” ma questo vuol dire che la
conoscenza è limitata perché si può essere certi solo della mela
che ho ora di fronte a me ma di questa mela, non potrò dire nulla
di certo un domani quando non sarà più di fronte a me. Il
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problema di questa conoscenza è che non diventa mai generale.
Nel momento in cui conosciamo questa mela, possiamo produrre
un discorso solo su questo singolo oggetto e non possiamo
produrre una conoscenza delle mele in generale.
Emersi i limiti della certezza sensibile, dunque, subentra il
secondo momento della coscienza che è la percezione: la
conoscenza che abbiamo espresso della mela si fonda su concetti
come “qui” “ora” “questo” ma questi concetti a chi
appartengono? A ciò che è fuori di noi come la mela stessa?
Ovviamente no: questi concetti appartengono al soggetto che
percepisce la mela e dice “questa mela è ora ed è qui”.
Aggiungiamo un altro elemento: attraverso i sensi noi
percepiamo in realtà dati molteplici, i colori, gli odori e via
dicendo ma è l’Io, il Soggetto che unifica questi dati nel
momento in cui percepisce la realtà e arriva a definire un'unica
sostanza affermando “questa è una mela”. Praticamente,
comincia a realizzarsi uno slittamento della conoscenza: il
soggetto comincia a comprendere che la conoscenza
appartiene a chi la esprime. Si giunge così alla terza figura,
quella dell’intelletto, il momento in cui l’Io comprende che la
realtà, prendendo in prestito il termine da Kant, è un fenomeno:
gli oggetti non esistono in quanto tali ma come realtà che l’Io si
rappresenta nella sua coscienza.
La coscienza, dunque, non è coscienza di quello che è fuori di
noi ma è autocoscienza: coscienza di ciò che è dentro di noi,
coscienza della propria coscienza.
Con questo passaggio entriamo nel secondo momento dello
Spirito: quello dell’autocoscienza, descritto da Hegel come il
momento in cui il soggetto non cerca più la verità nella natura,
al di fuori di sé, ma all’interno di sé stesso. I passaggi
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dell’autocoscienza sono tre: la dialettica servo-padrone, lo
stoicismo e lo scetticismo e la coscienza infelice.
La dialettica servo padrone
Nel momento in cui la coscienza si fa autocoscienza, sorge un
problema: essa avverte infatti l’esistenza delle altre
autocoscienze e dunque cerca un riconoscimento di sé negli altri.
Questa volontà porta inevitabilmente ad un conflitto in quanto
ogni autocoscienza vuole affermare sé stessa, la propria
indipendenza e la propria visione del mondo: in questo scontro
vi è chi è disposto a lottare sino all’ultimo e chi, invece, è
disposto a rinunciare alla propria indipendenza pur di aver salva
la vita. Da un lato si crea così la figura del padrone, dall’altro
quella del servo: si produce dunque la prima figura
dell’autocoscienza: la dialettica servo padrone. Il signore è colui
che ha combattuto e si è imposto sull’altro, l’altro dunque
diventa il suo servo che si è sottomesso al signore pur di avere
salva la vita e ora vive al suo servizio.
Ma il rapporto è destinato a ribaltarsi dialetticamente: il signore
finisce per dipendere dal servo per vivere perché, senza di lui,
non è più in grado di procurarsi i beni di cui ha bisogno. Il
signore diventa così servo del servo che, invece, diventa libero
perché impara a disciplinare i propri impulsi naturali e attraverso
il lavoro impara ad essere indipendente dagli oggetti perché
produce cose di cui non si serve.
Stoicismo e Scetticismo
Attraverso questa dialettica lo Spirito inizia così un percorso
sempre più interno al soggetto con cui il soggetto cerca una
liberazione dall’oggetto: dalla natura e dai suoi mezzi. Dopo la
dialettica servo padrone, giunge la seconda figura, quella del
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confronto tra il filosofo stoico e il filosofo scettico. Questa figura
rappresenta l’evoluzione filosofica della volontà dello Spirito di
liberarsi dalla dipendenza dalla natura. Lo stoico è colui che
cerca di liberarsi dalle passioni rendendosi indipendente dai
condizionamenti della realtà esterna, cerca una via di liberazione
interiore. Così facendo, però, continua a sentire l’esistenza, il
peso di questa realtà esterna e così evolve in scettico,
rappresentante di una filosofia che pretende di sospendere ogni
possibile giudizio sulla realtà delle cose affermando dunque che
nulla è vero.
Lo scettico va però incontro ad un fallimento cadendo in
contraddizione: nel momento in cui sostiene che nulla sia vero
finisce per affermare una verità, togliendo così fondamento alla
possibilità di negare ogni verità.
La Coscienza infelice
Da questo fallimento nasce la terza figura dell’autocoscienza, la
Coscienza infelice: la Coscienza infelice è lo Spirito che, negata
ogni verità nella natura, cerca la verità oltre alla natura, in Dio.
Questa coscienza è infelice in quanto la verità, essendo al di là
della natura, non è raggiungibile. Questa separazione tra
soggetto e Dio, tra soggetto e verità inizia, secondo Hegel, con
l’ebraismo che colloca l’assoluta verità in un Dio totalmente
trascendente e separato dal mondo. A tentare di superare questa
frattura è il cristianesimo che, con la figura di Cristo, rende Dio
incarnato e dunque accessibile. Questa accessibilità è comunque
una apparenza perché Cristo è irraggiungibile.
Il cristianesimo medievale rappresenta il momento in cui la
religione incide maggiormente sulla vita sociale e politica
dell’uomo ma, nonostante la religione permei la società, la

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ricerca di Dio non si realizza mai concretamente. Hegel si
sofferma sulla figura degli asceti, che mortificano il proprio
corpo, arrivano a negare il proprio Io nell’estremo tentativo di
trovare Dio grazie al misticismo.
Questa Coscienza, che si è fatta infelice attraverso l’ascetismo,
rappresenta la massima perdita di sé, la massima perdita dello
Spirito. Attraverso di essa, però, si manifesta l’estremo tentativo
di raggiungere Dio ma nel momento in cui questo tentativo
fallisce, lo Spirito comprende che Dio non va cercato all’esterno
ma all’interno, nel soggetto stesso.
Dall’Autocoscienza alla Ragione
Si passa così dall’autocoscienza alla ragione che,
filosoficamente, rappresenta il momento in cui l’uomo ha posto
il fondamento di ogni conoscenza sulla ragione stessa, il
passaggio cioè dal mondo medievale all’età moderna e alla
nascita della nuova scienza. La Ragione è il momento di sintesi
tra Coscienza e Autocoscienza in quanto lo Spirito, adesso,
avverte l’unitarietà tra soggetto e oggetto, tra individuo e natura.
Nella ragione ci sono tre passaggi: la ragione osservativa, la
ragione attiva e il terzo è l’individualità in sé e per sé. La
ragione osservativa è quel percorso di conoscenza filosofica
rappresentato dal rinascimento e dai suoi sviluppi in cui l’uomo,
osservando la natura, finisce per pensare di essere in grado di
dominare la ragione stessa. Questa ragione però entra in crisi
perché ridurre ogni conoscenza a pura conoscenza materiale
della natura, toglie lo spazio spirituale alla realtà: lo Spirito
rischia così di eliminare sé stesso. Questa crisi cerca di essere
superata dalla ragione attiva che comprende di non poter trovare

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sé stessa esclusivamente nella natura esterna ma di dovere
realizzare una unità tra sé e il mondo esterno.
Anche questo percorso è però fallimentare: la ragione
individuale osserva il mondo sociale intorno a sé e lo trova
ingiusto, immorale e cerca di imporre la propria visione, di
imporre alla società ciò che essa stessa ritiene virtuoso: questo
crea una contraddizione. Per imporre la propria visione del
mondo, la ragione deve agire sulla realtà concreta e piegarla alle
proprie esigenze: qui nascono fanatismi e storture storiche
(Hegel ne identifica una nel terrore giacobino che è l’esito
tragico del tentativo di produrre una società migliore). La
ragione attiva fallisce nel suo tentativo di modellare il mondo a
propria immagine e si giunge al terzo momento
dell’individualità in sé e per sé.
Questa è il chiudersi in sé stessi, dedicandosi ai propri interessi
e ai propri doveri: a partire da qui nascono poi le figure della
ragione legislatrice in cui l’individuo cerca dentro di sé la legge
morale e finisce per elevare questa legge a legge universale, così
facendo l’Io si pone al di sopra delle leggi. La ricerca dello
Spirito cade in contraddizione perché non riesce a coniugare lo
Spirito individuale con la pretesa di universalità. Si entra così
nella seconda fase della ricerca in cui lo Spirito comprende che
la ragione, nella storia, non è impressa dai singoli individui ma
dalle collettività e dalle loro istituzioni storiche e culturali.
L’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio
Nel 1817 Hegel pubblica l’Enciclopedia delle scienze filosofiche
in compendio e, successivamente, una serie di opere che
approfondiscono i contenuti presentati nell’Enciclopedia stessa.

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Questa opera rappresenta l’inserimento, all’interno di un sistema
coerente e concreto, dell’intera concezione della realtà da parte
di Hegel e si presenta in netta antitesi nei confronti
dell’omonima opera di Diderot e d’Alembert che presenta
contenuti reciprocamente scollegati tra loro e in forma astratta.
La struttura dell’Enciclopedia hegeliana è articolata in diverse
parti che ricalcano il movimento dialettico della realtà che,
secondo il filosofo, è racchiusa in tre grandi momenti quello
dell’Idea in sé e per sé, l’Idea al di fuori di sé e l’Idea che ritorna
in sé. Il primo momento è quello della tesi: per Idea in sé e per
sé si intende l’Idea nella sua astrazione, l’Idea come concetto
puro, prima che si concretizzi in qualunque realtà. La sezione
dell’Enciclopedia che studia la realtà in sé e per sé è nominata
Logica in quanto vengono studiate le strutture razionali del
pensiero: i concetti e le categorie. Così facendo Hegel offre una
storia del pensiero filosofico. L’Idea fuori di sé è l’antitesi
rispetto all’Idea in sé ed è il momento in cui essa si perde nel suo
opposto, nella materia. Per questa ragione la sezione
dell’Enciclopedia che la studia è nominata Natura.
Qui Hegel si confronta con l’antitesi dell’Idea: mentre questa,
infatti, è infinita e astratta, la Natura è finita e concreta. La sua
funzione è però essenziale nella storia dello Spirito: se da un lato
rappresenta infatti la negazione dello Spirito, dall’altro incarna
un momento dialettico essenziale perché si contrappone all’Idea
ponendole dei limiti che questa è stimolata a superare.
Nella sintesi, l’Idea ritorna in sé e si fa Spirito vivendo
nell’uomo, ritornando dunque in sé stessa ma arricchita dal
confronto con l’antitesi, con la Natura. Questa sezione è
chiamata Spirito.

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La filosofia dello Spirito è suddivisa in tre sezioni dialettiche,
lo Spirito soggettivo (che vive nell’individuo), lo Spirito
oggettivo (lo Spirito che vive nelle forme collettive, nella
società) e lo Spirito Assoluto, che rappresenta lo Spirito privo
di limiti individuali o collettivi e che si esprime in maniera piena,
totale, assoluta. Lo Spirito soggettivo è trattato nella
Fenomenologia dello Spirito che studia la manifestazione dello
Spirito stesso nella coscienza individuale.
Lo Spirito oggettivo è diviso in tre parti: la prima studia il
diritto, la seconda la moralità e la terza l’eticità. Nel primo
momento, quello del diritto, si studia la prima forma del vivere
in società: la legge. Questa rappresenta infatti il contratto che
regola i rapporti tra gli individui, attraverso una serie di sanzioni
e pene. Il diritto, però, non eleva spiritualmente l’uomo ma
riguarda solo una sfera esteriore del suo comportamento in
società: rispettare la legge non vuol dire necessariamente
riconoscerne la moralità.
Questo ci porta all’antitesi del diritto che è la moralità: mentre
il diritto riguarda la volontà esteriore e si concretizza nelle
azioni, la moralità riguarda totalmente la sfera soggettiva dove
non conta l’azione in sé ma il proponimento interiore (come già
presentato nella Critica della Ragion pratica kantiana).
La morale di un individuo non si misura in base al rispetto della
legge ma sull’intenzione interiore che spinge il soggetto stesso a
rispettare la legge. Il limite risiede però nel fatto che il
proponimento, che è un fatto individuale, si concretizza
nell’interiorità del singolo individuo e quindi non può farsi
collettivo e universale.

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La legge morale conduce secondo Hegel all’individualismo e al
soggettivismo portando a quegli individui che si compiacciono
del proprio livello morale, rifiutando un confronto concreto con
la realtà. Il superamento dei rispettivi limiti del diritto e della
moralità si ha con l’etica, descritta da Hegel come morale
sociale in cui si ha la sintesi tra l’aspetto sociale del diritto e
l’aspetto morale di seguire il diritto stesso, vissuto però non più
come un fatto individuale ma collettivo.
L’etica si concretizza a sua volta tramite tre forme istituzionali:
la prima è la famiglia, intesa come formazione collettiva in cui
lo stare insieme è un fatto naturale e condiviso e all’interno della
quale si produce il bene naturalmente, per affetto stesso dei
componenti di questa piccola comunità.
La seconda è quella che Hegel chiama società civile in cui i
rapporti tra i membri della comunità non sono determinati
dall’affetto ma dalla convenienza. In questa contrapposizione tra
famiglia e società civile Hegel compie una analisi della storia
politica. La famiglia rappresenta la polis, la città-stato che
incarna una macro-famiglia in cui l’individuo non è mai inteso
come singolo ma sempre come parte della città, in linea con il
pensiero di Aristotele che definisce l’uomo “animale sociale”
ovvero naturalmente inserito in una comunità alla quale è
inesorabilmente legato. Dall’altra parte, con il concetto di
società civile abbiamo il riferimento alla società liberale
affermatasi nell’era moderna, con la nozione di diritti naturali,
in cui l’individuo rivendica uno spazio di piena indipendenza
dallo Stato. La rottura emerge con il pensiero dei giusnaturalisti
contrattualisti, Locke in testa, i quali affermano che i diritti
dell’individuo precedono lo Stato in quale non è un fatto naturale

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ma una costruzione artificiale che gli uomini si danno per libera
volontà, con lo scopo di garantire la difesa dei diritti naturali.
Con Stato etico, terzo momento dello Spirito oggettivo, Hegel
intende uno stato organicista, in cui gli interessi particolari di
cittadini devono coesistere con il bene comune. Al suo interno si
realizza infatti la perfetta sintesi tra diritto e morale, Non c’è più
separazione tra legge e morale perché il cittadino ne riconosce il
valore necessario e morale. Secondo questa concezione lo stato
“fonda” gli individui ed è sempre superiore al singolo individuo
che, dunque, esiste in funzione di esso, in quanto parte di una
collettività. Questo Stato etico è la massima espressione dello
Spirito oggettivo, l’orizzonte al quale le comunità devono mirare
Lo Spirito è ora pronto liberarsi da ogni limite, prendendo così
piena coscienza di sé, diventando Assoluto e manifestano tre
modi diversi di espressione dello stesso contenuto: l’Arte, la
Religione e la Filosofia.
L’Arte
Nell’Arte, secondo Hegel, l’Assoluto è colto grazie ad una
intuizione sensibile: la coscienza dell’Assoluto si ha in maniera
immediata e non ragionata e si manifesta in forma sensibile.
Hegel individua tre momenti della storia dell’arte che si
differenziano tra di loro per contenuto, ovvero per intuizione
dell’Assoluto, e per forma ovvero per tipologia di materia
artistica, di manifestazione sensibile.
Il primo momento è quello dell’Arte simbolica delle civiltà
dell’Antico oriente: si definisce simbolica perché il suo scopo è
di utilizzare la materia artistica per riferirsi a significati astratti.
Questa arte è caratterizzata da un eccesso della forma rispetto al
contenuto (si pensi, ad esempio, alle piramidi). L’intuizione
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dell’Assoluto è qui ancora debole e viene espressa con una
quantità di materia eccessiva e spesso in maniera sfarzosa.
Il secondo momento è quello dell’Arte classica: Hegel si
riferisce all’arte dell’antichità greca in cui si osserva un
equilibrio, un rapporto perfetto, tra contenuto che si vuole
esprimere e materia utilizzata. Si tratta di un’arte pienamente
armonica e priva di eccessi. Le opere della statuaria greca
rimandano infatti all’Idea di equilibrio e serenità.
Il terzo momento è quello dell’Arte romantica, quella che si
sviluppa nell’Europa medievale e moderna, dove vi è uno
squilibrio tra contenuto e forma ma, questa volta, a vantaggio
del contenuto. Nell’arte romantica si è raggiunto un livello così
denso di comprensione dell’Assoluto che la forma sparisce di
fronte ad esso. Le sue forme più avanzate sono, infatti, la musica
e la poesia, forme di espressione nelle quali la materia sensibile
è sostanzialmente sparita. Oltre all’arte romantica non v’è più
possibilità di esprimere in forma artistica l’Assoluto: con il suo
dissolvimento nelle parole e nella musica si raggiunge il limite
estremo. Per arrivare ad esprimere l’Assoluto, l’arte romantica
ha perso la possibilità di equilibrio estetico proprio dell’arte
classica: raggiunto questo estremo, l’Assoluto non può più
esprimersi attraverso all’arte ma richiede altre vie: la Religione
e la Filosofia.
La Religione
La Religione è descritta da Hegel come rappresentazione, cioè
descrizione metaforica, dell’Assoluto: la metafora assume la
forma della divinità e il suo modo di rappresentarla. La
Religione si colloca a metà strada tra l’espressione dell’Assoluto

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in forme sensibili tipica dell’Arte e la rappresentazione
puramente concettuale tipica della filosofia.
La religione si sviluppa in diversi momenti: il primo è quello
della religione naturale nella quale si manifestano le prime
forme religiose e in cui fenomeni naturali assumono sembianze
divine. Abbiamo poi le religioni della libertà dell’Antico
Oriente in cui la divinità è espressa ancora dentro la natura con,
però, l’intuizione della libertà del divino. Il terzo momento è
quello delle religioni delle individualità spirituali, ovvero
quella giudaica e greco-romana in cui la divinità è espressa
attraverso le sembianze umane.
Infine abbiamo la religione assoluta che per Hegel è il
Cristianesimo che intende Dio come Spirito Infinito ed è la
forma più piena di comprensione dell’Assoluto: con la figura di
Cristo si è in grado di concretizzare il rapporto tra Finito e
Infinito e, dall’altro, attraverso la Trinità (Padre, Figlio e Spirito
Santo) è in grado di comprendere la natura dialettica dello
Spirito. Il Cristianesimo si fonda su questi due pilastri che, a loro
volta, sono propri della struttura dello Spirito secondo i canoni
dell’Idealismo hegeliano. I limiti della religione sono però legati
al pensare la divinità come qualcosa di separato dal mondo,
(cosa priva di senso nell’Idealismo) e al non riuscire a dare piena
comprensione dell’Assoluto nel momento in cui si ricorre alla
spiegazione dogmatica e non razionale.
Secondo l’Idealismo, invece, ogni aspetto dell’Assoluto è
comprensibile secondo lo schema per cui il reale è razionale.
Anche la religione trova quindi un limite nella rappresentazione
dell’Assoluto che, a questo punto, deve percorrere la strada della
Filosofia.

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La Filosofia
La Filosofia è descritta come l’espressione dell’Assoluto
attraverso concetti, ovvero, attraverso il pensiero razionale. Qui
la comprensione dell’Assoluto giunge alla piena espressione
perché non deve ricorrere alla mediazione di forme sensibili,
come nell’arte, o a metafore rappresentative come nella
religione. La filosofia è puro pensiero che coglie l’intima natura
razionale dello Spirito. Parlando di Filosofia, Hegel si riferisce
alla sua intera storia i cui singoli passaggi rappresentano quindi
i vari tasselli della comprensione dell’Assoluto. Compito della
filosofia è infatti quello di giustificare, ovvero di ricostruire i
passaggi razionali della realtà, del compiersi dell’Assoluto,
rintracciando così il costante legame tra razionale e reale.
Hegel e la storia
Hegel compie una analisi dell’intero processo storico alla luce
della filosofia Idealista. Secondo il filosofo infatti la storia ha un
andamento razionale: ogni evento fa parte di un progresso
storico generale la cui essenza è dunque comprensibile nella sua
natura necessaria, se visto in una prospettiva complessiva.
L’intera struttura storica è, inoltre, di natura dialettica ed è data
da tre momenti generali: il primo è quello del mondo orientale,
ove ci sono regimi dispotici all’interno dei quali solo il sovrano
è libero, il secondo è quello del mondo greco-romano in cui
solo alcuni uomini possono considerarsi liberi. L’ultimo
momento è quello del mondo cristiano-germanico in cui tutti
gli uomini sono liberi con il riconoscimento dei diritti dei
cittadini. Questa libertà non si realizza tanto nei diritti
individuali del singolo cittadino, quanto nello Stato etico, nello
stato organico, in cui l’individuo è determinato
dall’appartenenza alla comunità (tema trattato nello Spirito
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Oggettivo). Il filosofo approfondisce alcune tematiche
specifiche, sostenendo che ogni popolo ha un proprio Spirito
cioè esprime una propria visione del mondo. Per descrivere
questo concetto Hegel utilizza il termine Volkgeist, che significa
Spirito del popolo: ogni popolo ha infatti una sua essenza
spirituale che rappresenta un certo grado nello sviluppo della
storia dell’Assoluto.
Dal momento che ogni popolo esprime un proprio Spirito che, a
suo modo, è Assoluto, è inevitabile che questi entrino prima o
poi in conflitto, dunque in guerra. La guerra è pertanto il motore
della storia, in grado di determinare di volta in volta quale
Volkgeist è più adeguato a rappresentare l’Assoluto.
All’interno delle Nazioni che popolano il mondo, vi è di volta in
volta un popolo che ha un predominio politico, culturale ed
etico: questo vuol dire che lo Spirito del popolo, in un certo
momento storico, coincide con il Weltgeist, lo Spirito del mondo,
lo Spirito oggettivo che si manifesta nelle collettività. Questi
popoli rappresentano dunque quelle nazioni che fanno
progredire lo Spirito nella sua meta finale di autorealizzazione
di sé. In certi casi i popoli che esprimono lo Spirito del mondo
sono guidati da personalità eccezionali, in grado di cogliere e
incarnare un fattore di accelerazione della storia, come
Alessandro Magno, Giulio Cesare e Napoleone: personaggi
guidati dalla loro ambizione ma, in realtà dice Hegel, strumenti
nelle mani dello Spirito che utilizza la loro passione per il
progredire della storia. Questi personaggi sono definiti
“cosmico-storici” perché incarnano lo Spirito del mondo
intuendo un contenuto spirituale che ancora non è stato
realizzato e Hegel utilizza il termine “astuzia della ragione” per
indicare che lo Spirito li utilizza a proprio vantaggio per poi

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abbandonarli al proprio destino una volta manifestato e
compiuto il proprio obiettivo.
Quando Hegel vide entrare vittorioso Napoleone a Jena, nel
1806, esclamò “Ho visto l'Imperatore - quest'anima del mondo -
uscire dalla città per andare in ricognizione. È veramente una
sensazione meravigliosa vedere un simile individuo che,
concentrato qui su un punto, seduto a cavallo, si estende sul
mondo e lo domina”.
Dizionario Hegeliano essenziale
Alienazione: fase dialettica in cui la tesi si sviluppa diventando
la propria negazione ed uscendo da sé stessa.
Assoluto: principio unitario e incondizionato del tutto che
coincide con la realtà nella sua concretezza e nella molteplicità
complessa e articolare delle sue manifestazioni. Esso non si può
cogliere intuitivamente ma necessita della ragione.
Astratto: un oggetto, un fenomeno considerato separatamente e
indipendentemente dal contesto in cui è inserito.
Concreto: si dice concreto un oggetto o un fenomeno compreso
nelle sue relazioni interne, in quanto totalità che dà significato
alle singole parti che lo costituiscono.
Idea: principio razionale e immanente del reale che pervade e
unifica ogni suo aspetto.
Spirito: realtà considerata nella sua totalità ma anche tutto ciò
che riguarda il mondo umano: Indicato da Hegel anche come
Assoluto. Nella seconda sezione della Fenomenologia e
nell’Enciclopedia si indica per riferirsi al contesto collettivo e
sociale, politico, culturale in cui l’individuo è inserito.
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