Capella Platina
Capella Platina
Capella Platina
Nel generale contesto di rinascita e riorganizzazione politica, culturale e artistica oggi nota come
Rinascita carolingia e diversamente dai predecessori Merovingi e da quanto fatto da suo padre Pipino il
Breve, Carlo Magno risolse di abbandonare la pratica della "corte itinerante" e dare al suo nuovo impero
una capitale fissa. Dopo un iniziale, infruttuoso tentativo a Ingelheim am Rhein, vicino a Magonza, Carlo
scelse Aquisgrana, nota sede termale (da cui il toponimo Aquis villa), presso la quale Pipino il Breve
deteneva una residenza ottenuta dalla ristrutturazione della vecchia sede del governatore romano.[1][2]
Nel 792 partirono i lavori di costruzione del Palazzo imperiale che avrebbe dovuto comprendere: (i)
edifici residenziali per il monarca, la sua famiglia e la corte; (ii) un'aula per i ricevimenti; e (iii) una
cappella per le funzioni religiose che al contempo legittimasse il potere spirituale dell'Imperatore e
fungesse da suo mausoleo.[3] Il cantiere si sarebbe protratto per dodici anni, un lasso di tempo
relativamente breve data la vastità dei lavori, e il palazzo stesso fu occupato da Carlo sin dall'800. La
cappella fu invece consacrata alla Vergine Maria durante la festa dei re Magi dell'804 da papa Leone III.
La cappella palatina era (ed è) un edificio a cupola a pianta centrale. L'estremità orientale aveva
un'abside quadrata, ed era originariamente fiancheggiata da due strutture basilicali, ora perdute ma
conosciute attraverso archeologia. Alla cappella si accedeva attraverso un atrio monumentale, a ovest.
La pianta e la decorazione dell'edificio combinano elementi di Architettura classica, bizantina e
preromanica e materiali opulenti che manifestano il potere ed il sogno di renovatio imperii della nuova
dinastia carolingia.
L'architetto responsabile dei lavori, Oddone da Metz, operava sotto il diretto controllo di Eginardo, il
sovrintendente alle fabbriche ed alle imprese artistiche dell'Imperatore stesso. Oddone è nominato in
un'iscrizione del X secolo intorno alla cupola: Insignem hanc dignitatis aulam Karolus caesar magnus
instituit; egregius Odo magister explevit, Metensi fotus in urbe quiescit. Di lui non si sa più nulla.
L'edificio da lui progettato ha un esterno semplice e un interno complesso, con una cupola ottagonale a
doppia conchiglia che poggia su pesanti pilastri, un prospetto a due piani e un elaborato rivestimento e
decorazione.[4]
Nel 936, Ottone I, il primo Imperatore del Sacro Romano Impero della dinastia ottoniana, approfittò
della stretta associazione della cappella con Carlo Magno e tenne la sua incoronazione a Re di Germania
là. Gli imperatori del Sacro Romano Impero continuarono ad essere incoronati nella Cappella Palatina
fino al 1531.[5] Nel 1000, in quella che era probabilmente una mostra simbolica, Ottone III collocò nella
cappella la tomba di Carlo Magno e gli rese omaggio.[6] La tomba originale era probabilmente una
nicchia sepolcrale, in seguito nota come "Karlsmemorie" ma distrutta nel 1788.[7]
Distrutte in gran parte le strutture del palazzo imperiale, si adattò la Cappella a Cattedrale,
aggiungendovi in epoca gotica un lungo coro dal tetto a forte spiovente.
Descrizione
Il complesso palaziale realizzato per Carlo Magno era molto esteso. La cappella era disposta a sud,
simmetricamente all'aula regia. Un atrio rettangolare precede il Westwerk (alto 20 metri, incorniciato da
due torri scalari originariamente chiuse da una porta bronzea a due ante) che sovrasta la cappella a
pianta centrale. Diversi edifici erano occupati dai chierici della cappella e formavano una pianta a croce
latina: a est una curia, a nord e a sud degli uffici collocati in due ambienti di forma "basilicale" (aggiunti
dopo la morte di Carlo Magno, forse per il Concilio di Aquisgrana dell'817, uno dei numerosi concili
ospitati dalla struttura).
Pianta
La pianta della cappella è molto elaborata (di «impianto originale», com'ebbe a definirla lo stesso
Eginardo), poiché si compone di un ottagono centrale di 16,54 metri di diametro e di un deambulatorio
anulare esagonale. Nell'ambulacro ci sono otto campate esagonali, scanalate all'inguine, senza travi
trasversali. Si passa dalla pianta centrale ottagonale a quella periferica esagonale aggiungendo volte
triangolari (quarti di volte). A est c'era un'abside rettangolare, oggi scomparsa.
Il numero otto dai molteplici significati simbolici, era fra l'altro simbolo della Resurrezione, l'ottavo
giorno della tradizione cristiana, che segue il sabato e simboleggia il nuovo cammino dopo la
Resurrezione di Cristo; per questo era già stato usato in pianta in numerosi edifici che fecero da modello
per la cappella carolingia: il Battistero del Laterano, la Basilica di San Lorenzo (Milano), la bizantina
Basilica di San Vitale (Ravenna) (a sua volta eco della grande Hagia Sophia di Costantinopoli) o la Chiesa
di Santa Maria alle Pertiche a Pavia, di epoca longobarda, che presentava un corpo centrale
particolarmente sviluppato in altezza, come ad Aquisgrana, a differenza degli esempi bizantini e
paleocristiani. A sua volta la cappella palatina di Carlo fu un esempio di grande influenza per
l'architettura successiva.
Esterno
Esternamente, oggi, si nota chiaramente la divisione della Cattedrale di Aquisgrana in tre parti: il
Westwerk, la Cappella Palatina e il Coro gotico.
Interno
L'ingresso era anticamente preceduto da un quadriportico, come nelle basiliche paleocristiane. Qui sul
lato inferiore si trova il Westwerk. In questo ingresso monumentale era presente un nicchione verso
l'esterno con una tribuna al di sopra del portale: qui l'imperatore si mostrava al popolo incorniciato dalla
maestosa architettura per riceverne l'acclamazione. All'interno, si accede dal Westwerk al
deambulatorio anulare di 16 lati con basse volte a crociera e da lì al vano cupolato.
i grandi archi;
la tribuna;
I grandi archi a tutto sesto poggiano su poderosi pilastri cruciformi e sorreggono gli archi monumentali
della tribuna.
La tribuna, così definita per la presenza del Trono Reale di Aquisgrana, circonda interamente il perimetro
con un matroneo, aperto sul vano centrale sempre da archi a tutto sesto articolati in un doppio piano di
colonne con capitelli corinzi, corredati nel registro inferiore da pulvino, forte citazione da San Vitale e
Santa Sofia. Le colonne, per lo più antiche, provengono da Roma, Treviri e Ravenna. Il livello inferiore
delle campate della tribuna è racchiuso da un parapetto costituito da griglie bronzee con decorazione
geometrica. La galleria è voltata a botti trasversali (semi-cilindri paralleli tra loro). L'uso della stessa
tipologia di archi semicircolari e l'alternanza di chiavi di volta bicrome consente una corrispondenza
visiva tra il livello dei grandi archi e il livello della tribuna. La verticalità dell'edificio è accentuata dalle
colonnine raggruppate e dalle linee rette e culmina nel tamburo soprastante.
Duomo anagni
La costruzione della Cattedrale risale agli anni 1072-1104 ad opera del vescovo Pietro da Salerno e per la
munificenza dell'imperatore d'oriente Michele VII Ducas. La Cattedrale è di stile romanico mentre,
nell'interno, si presenta in gotico lombardo dopo il restauro del 1250 da parte del vescovo Pandolfo che
fece sostituire le capriate in legno della navata centrale e del transetto con archi gotici. La frequente
presenza dei pontefici in Anagni spiega perché la Cattedrale fu sede di importanti fatti storici come il
"pactum anagninum" (trattativa tra il Papato e l'Impero) e la canonizzazione di San Bernardo di
Chiaravalle, Santa Chiara d'Assisi, Edoardo il Confessore re d'Inghilterra e San Pietro eremita patrono di
Trevi nel Lazio. In essa furono anche comminate le scomuniche contro l'antipapa Ottaviano Monticelli
(Vittore IV) e contro gli imperatori Federico Barbarossa (24 marzo 1160), Federico II e Manfredi.
La facciata e il campanile
La facciata ben piantata esprime forza e semplicità in un muro crudo, sul quale si aprono tre ingressi ad
oriente. Accanto all'ingresso di sinistra, dietro a una grata, c'è un affresco di Madonna in trono tra
S.Caterina della Rota e S.Antonio Abate (sec.XIV). La parte occidentale dell'edificio sacro presenta tre
bellissime absidi e una scalinata, che dà un tono solenne all'insieme. Il campanile, alto 30 m e in stile
romanico, presenta monofore, bifore e trifore. Venne restaurato nel 1938 quando all'interno di esso
venne installato un castello di ferro, che sopporta il peso di cinque campane.
Interno
L'edificio sacro è a tre navate costruito dai maestri comacini. Caratteristico il pregevole pavimento a
mosaico eseguito nel 1231 dalla celebre famiglia di marmorari romani, i Cosmati (da qui l'aggettivo
cosmatesco). La lunetta interna sopra la porta centrale raffigura la Madonna con Bambino tra S. Magno
e S. Secondina (fine sec. XIII). Sullo sfondo dell'abside centrale, sopra il panneggio del Cisterna,
campeggiano le figure degli Apostoli, ognuno caratterizzato dal proprio attributo, opera del Borgogna
(sec. XVII), in alto le figure dei santi venerati ad Anagni, l'Annunciazione e l'Eterno Padre opera dei pittori
Pietro e Giovanni Gagliardi. Nell'abside di sinistra i discepoli di Emmaus e gli angeli adoranti. In quella di
destra il matrimonio tra S. Giuseppe e la Vergine ed il Transito di S. Giuseppe. Nell'abside maggiore
possiamo ancora ammirare tre pregiate opere del Vassalletto (1263): una bellissima colonna tortile
mosaicata per il candelabro del cero pasquale, la cattedra episcopale e il ciborio che copre l'altare, tutte
opere volute dal vescovo Landone. Si affacciano sul vano della chiesa il battistero e le cappelle Lauri,
Caetani, Raoli (detta anche cappella di S. Carlo) con il quadro della Madonna della Misericordia opera del
Frenguelli donato da Papa Leone XIII. Ai lati due tele dei fratelli Gagliardi.
La cripta
La Cripta della Cattedrale di Anagni, dedicata a San Magno, patrono della città, una delle maggiori
attrazioni turistiche della città[2], fu costruita contemporaneamente alla chiesa superiore tra il 1068 e il
1104[3]. Conosciuta come la Cappella Sistina del Medioevo[4], il suo pregio consiste nell'armonia di un
mirabile intreccio di archi romanici, nel pavimento cosmatesco originale e negli splendidi affreschi che
ricoprono una superficie di 540 m². Il ciclo pittorico è opera di artisti ignoti appartenenti a tre botteghe
diverse, meglio noti come Primo Maestro o Maestro delle traslazioni, Secondo Maestro o Maestro
Ornatista e Terzo Maestro o Maestro di Anagni[3] (riconosciuto anche come l'autore degli affreschi
dell'Aula Gotica della chiesa romana dei Santi Quattro Coronati).
Esso rappresenta la storia della salvezza dell'uomo dalla sua origine al suo giudizio. Sulle ventuno volte,
infatti, si trovano raffigurate scene dell'Antico e Nuovo Testamento (storia dell'Arca dell'Alleanza e
Apocalisse) e un raro e importante ciclo sulla creazione del mondo, attraverso l'unione proporzionale dei
quattro elementi e dell'uomo, in cui la concezione del microcosmo nel macrocosmo è accompagnata
dalla figure dei medici Ippocrate e Galeno e dalla Teoria degli Elementi di derivazione platonica. Sulle
pareti, invece, sono affrescate le storie dei miracoli attribuiti a S. Magno e le agiografie dei santi sepolti
negli altari, nei quali riposano i corpi di san Magno, patrono della città, sante Aurelia e Noemisia, santa
Secondina e reliquie di santa Oliva, san Sebastiano, san Cesario e altri martiri.
La sainte chapelle
a costruzione della cappella fu approvata nel 1241, venne iniziata nello stesso anno (o comunque entro
il 1244) e venne rapidamente portata a termine: infatti fu consacrata già il 26 aprile 1249. La decisione
della costruzione si deve al devotissimo re Luigi IX di Francia (canonizzato dopo la morte), che la volle
come cappella palatina e reliquiario[1].
La Sainte-Chapelle fu infatti eretta per accogliere le importanti reliquie della corona di spine di Gesù.
Infatti, il devoto re Luigi IX di Francia portò la preziosa reliquia della Passione a Parigi nell'agosto del
1239, avuta dall'imperatore Latino di Costantinopoli, Baldovino II, come pegno per un ingente prestito in
denaro. La corona di spine costò la somma di centotrentacinquemila lire tornesi. Per paragone, l'intera
costruzione della Sainte-Chapelle costò quarantamila lire tornesi. Furono poi aggiunti un pezzo
della Vera Croce e altre reliquie.
In tal modo la cappella, secondo il programma stabilito da re Luigi, divenne un prezioso reliquiario. Allo
stesso tempo, rivela quali fossero le ambizioni politiche e culturali di Luigi: diventare il principale
monarca dell'Occidente cristiano, quando il trono di Costantinopoli era occupato da un semplice Conte
di Fiandra e il Sacro Romano Impero era in profonda crisi. Come l'imperatore latino d'Oriente poteva
passare dall'interno dei suoi palazzi alla Hagia Sophia a Costantinopoli, così ora Luigi IX poteva accedere
direttamente dal suo palazzo alla Sainte-Chapelle. Il re fu successivamente nominato santo dalla Chiesa
cattolica e per questo è anche chiamato Luigi il Santo.
Nella cappella vennero sistemati gli archivi reali, i Trésor des Chartes.
Negli archivi relativi alla costruzione della cappella non è menzionato nessun architetto. Tuttavia una
tradizione risalente al XVI secolo indica il nome di Pierre de Montreuil, già autore del
nuovo coro della basilica di Saint-Denis e del completamento della facciata della cattedrale di Notre-
Dame e che, morto nel 1267, ebbe una sepoltura, oggi non più esistente, nella cappella della Vergine
dell'abbazia di Saint-Germain-des-Prés a Parigi che egli avrebbe costruito[2].
In seguito il palazzo reale divenne sede del Parlamento di Parigi e distrutto da vari incendi e in seguito
più volte ricostruito e ristrutturato. La cappella perse dunque la sua originaria destinazione di cappella
palatina. Fu comunque servita da un collegio di canonici sino al 1787.
Durante la Rivoluzione francese la cappella fu sottratta al culto verso il 1790, svuotata del suo contenuto
e destinata a fungere da sede del Club de la Sainte-Chapelle, un'organizzazione politica costituita dai
membri dell'Assemblea elettorale di Parigi. Nel 1797 fu adibita a deposito degli archivi del Palazzo di
giustizia di Parigi e le finestre furono oscurate da enormi schedari. La loro bellezza fu così
inavvertitamente salvata dai vandalismi che invece distrussero i banchi del coro, devastarono lo
schermo protettivo del crocifisso, abbatterono la guglia e dispersero le reliquie. L'espansione degli uffici
giudiziari minacciò l'esistenza stessa dell'edificio. La sua conservazione, sotto la pressione dell'opinione
pubblica, fu decisa nel 1836 e il suo lungo restauro, ebbe inizio l'anno successivo sotto la direzione di J.
B. A. Lassus che progettò l'attuale guglia. Nel frattempo, un anno prima del completamento dei lavori,
nel 1862 fu inserita nella lista dei monumenti storici francesi in quanto edificio rappresentativo
dello stile gotico radiante.
Ora la Sainte-Chapelle è circondata dal Palazzo di Giustizia di Parigi, che perpetua una delle funzioni del
palazzo reale, che ospitava anche il "letto di giustizia" dove importanti aristocratici peroravano le loro
cause di fronte al re.
Attualmente sconsacrata, costituisce spesso lo sfondo suggestivo per concerti e rassegne musicali, e le
preziose reliquie oggi sono conservate nella Cattedrale di Notre-Dame.
L'edificio presenta una pianta rettangolare con abside poligonale e si sviluppa su due livelli. In basso, a
pianterreno, si apre la Cappella inferiore, che era destinata al popolo; e sopra, s'innalza la Cappella
superiore, destinata alla famiglia reale, a cui originariamente si accedeva solo con strette scale a
chiocciola.
Parametro Misura
La facciata
Le fiancate della cappella sono caratterizzate dalla presenza delle molteplici polifore su due livelli,
alternate a contrafforti a pianta rettangolare, ciascuno dei quali è sormontato da una guglia. Lungo il
fianco destro, in corrispondenza della quarta campata, si apriva un secondo portale della cappella
inferiore, del quale rimane il protiro. Prima dei restauri ottocenteschi, a ridosso della fiancata destra
della chiesa vi era una scalinata che univa la corte alla loggia.
Poco oltre la metà della chiesa, sul tetto, si eleva la flèche, costruita nell'ottocento su progetto di Eugène
Viollet-le-Duc in sostituzione dell'originale, demolita nel 1777.
La cappella inferiore è alta meno di 7 metri e presenta una struttura a tre navate separate da
esili colonnine con capitelli scolpiti[4]. Le due navate laterali sono notevolmente più strette rispetto a
quella centrale e si congiungono intorno all'abside, andando a formare un deambulatorio eptagonale.
L'area dell'abside, un tempo adibita a presbiterio, è rialzata di alcuni gradini rispetto al resto della
cappella e presenta al centro due semplici colonnine di sostegno alla struttura soprastante. Sulla sinistra,
vi è una statua marmorea dipinta di San Luigi IX.
Il ricco apparato pittorico, ampiamente restaurato nel corso dei lavori del XIX secolo, svolge
principalmente il ruolo di decorazione dei vari elementi architettonici. Le volte, a crociera, sono su
sfondo blu, con gigli dorati, richiamo allo stemma del re di Francia. Tale motivo è presente anche in
alcune strombature e su alcune semicolonne. Le pareti presentano due fasce decorative: quella inferiore
è costituita da archetti ogivali sorretti da colonnine, con la parete retrostante affresca; quella superiore,
invece, consta in una finestra, nelle navate una lunetta e nel deambulatorio una bifora.
Cappella superiore[modifica | modifica wikitesto]
La cappella superiore è un esempio mirabile di grande eleganza e leggerezza, dove le finissime pareti,
ridotte all'ossatura dei contrafforti, lasciano immensi squarci vuoti riempiti dallo straordinario ciclo delle
preziose vetrate duecentesche, l'elemento più famoso della cappella.
La sua struttura è a navata unica di quattro campate con alte volte a crociera, terminante con
un'abside eptagonale. In controfacciata, vi sono in basso tre arcate cieche decorate con affreschi,
mentre quella centrale si apre sull'esterno con il portale; in alto, invece, sopra la stretta cantoria con
balaustra ad archetti ogivali, si trova il rosone quattrocentesco.
L'abside è interamente occupata dal complesso apparato dell'altare-reliquiario, costruito nel 1267 ed in
seguito ampliato[5]. Questo si articola su due livelli sovrapposti, uniti da due scale a chiocciola. Il livello
inferiore, al centro, ha una profonda abside poligonale, ove originariamente si trovava l'altare; quello
superiore, invece, ospita un ciborio dalle forme slanciate, poggiante su quattro esili pilastri polistili e
coronato da guglie, ideato per essere custodia e reliquiario delle reliquie della Corona di spine.
Di notevole importanza è il ricco apparato decorativo costituito dalle vetrate policrome[6][7] che chiudono
le quadrifore della navata, le bifore dell'abside e il rosone della controfacciata. Le vetrate della navata e
dell'abside, in totale quindici, risalgono al XIII secolo, e ad oggi si stima che una larghissima percentuale
dei materiali utilizzati per la loro realizzazione (tra il 65 e il 75%) sia originale. Esse seguono un preciso
programma iconografico incentrato sulle storie dell'Antico Testamento: il ciclo[8] inizia a partire dalla
prima campata della navata, con la vetrata settentrionale (parete destra), che tratta del Libro della
Genesi; seguono il Libro dell'Esodo (seconda vetrata), il Libro dei Numeri (terza vetrata), il Libro di
Giosuè (quarta vetrata), il Libro dei Giudici e il Libro di Isaia (quinta vetrata); il ciclo si interrompe in
corrispondenza delle quattro vetrate centrali dell'abside, con Vita di San Giovanni Evangelista (sesta
vetrata) e Infanzia di Gesù (settima vetrata), Passione di Gesù (vetrata centrale) e Vita di San Giovanni
Battista (settima vetrata di sinistra); il ciclo continua lungo il fianco sinistro con il Libro di Daniele (sesta
vetrata); Libro di Ezechiele (quinta vetrata), il Libro di Geremia e il Libro di Tobia (quarta vetrata), il Libro
di Giuditta e il Libro di Giobbe (terza vetrata), il Libro di Ester (seconda vetrata), i Libri dei Re (seconda
vetrata), per terminare con la Storia delle reliquie della Passione (prima vetrata). La vetrata del rosone
risale agli anni novanta del XV secolo e raffigura scene dall'Apocalisse.
CATTEDRALE TOLEDO
Il prospetto principale si affaccia nella piazza irregolare dove si trovano anche il municipio e il palazzo
arcivescovile.
Sulla sinistra si erge la torre campanaria, costituita da due corpi: la base, quadrangolare, concepita da
Álvar Martínez, e la parte superiore, ottagonale, realizzata da Hannequin de Bruselas, sormontata da
una guglia. A destra si nota invece la mole della cappella Mozarabica.
Nella facciata si aprono tre portali, chiamati Puerta del Perdón (centrale), Puerta del Juicio Final (a
destra) e Puerta del Infierno (a sinistra). La porta del Perdón (Perdono) venne realizzata da Alvar
Martínez nel 1418. È chiamata così perché un tempo venivano concesse le indulgenze ai penitenti che
entravano per essa. Attualmente si tiene chiusa, salvo particolari occasioni, come quando il nuovo
arcivescovo prende possesso della sua primaziale. Presenta una grande arco a sesto acuto con
sei archivolti. L'iconografia è tipica del gotico, con la figura del Salvatore, nel pilastrino centrale, e gli
Apostoli ai lati. Nel timpano è raffigurata la scena della Vergine che impone la casula a sant'Ildefonso,
tema ripreso più volte anche all'interno della cattedrale. Le ante, alte più di 5 metri, placcate in bronzo e
riccamente lavorate, risalgono al XIV secolo.
Il portale del Juicio Final è il più antico dei tre, e rappresenta, come suggerisce il nome, il Giudizio
Universale. La porta dell'Infierno presenta solo decorazioni floreali; è conosciuta anche come puerta de
la Torre o de las Palmas, perché un tempo era riservata all'ingresso della processione nella domenica
delle Palme.
La facciata fu modificata nel 1787 dall'architetto Eugenio Durango e dallo scultore Mariano Salvatierra,
per volere dell'arcivescovo Lorenzana. I lavori si resero necessari per il deterioramento della pietra, che
non era di qualità molto buona.
Interno
Il coro della cattedrale (capilla mayor) è un'area ricca di opere d'arte, a cui si accede tramite l'imponente
cancellata realizzata da Francisco de Villalpando nel XVI secolo.
Deve la sua attuale conformazione ai lavori voluti dal cardinal Cisneros, che, attraverso la demolizione
della cappella de los Reyes Viejos, resero il presbiterio più ampio e in grado di accogliere il grandioso
retablo, commissionato dallo stesso arcivescovo.
Il coro è chiuso lateralmente da due "griglie" di pietra traforata, abbondantemente decorate di statue e
rifinite da un coro di angeli che sembrano volare, probabilmente terminate ai tempi dell'arcivescovo
Pedro de Luna, in quanto vi compare il suo stemma. L'opera comprendeva anche due amboni; rimane
quello dell'Epistola, mentre quello del Vangelo venne sacrificato per costruire al suo posto
il mausoleo dell'arcivescovo Mendoza (XV secolo).
In armonia con quest'opera di pietra, si costruirono i pilastri che danno accesso al presbiterio. Nel
pilastro di sinistra si trova la statua del pastore Martín Alhaja, che, secondo la leggenda, diede
informazioni nella battaglia di Las Navas de Tolosa. Il pilastro a destra è chiamato pilar del Alfaquí, per la
presenza della statua del faqih Abu Walid.
Nell'abside poligonale si incontrano il sepolcri, con le statue giacenti, di Alfonso VII di León e Sancho III di
Castiglia, Sancho IV el Bravo e Pedro Aguilar de Campoo Liébana y Oernia, figlio di Alfonso XI di
Castiglia e Leonor de Guzmán.
Il retablo dell'altare maggiore, in stile tardo gotico, venne realizzato per volere del cardinal Cisneros tra
il 1497 e il 1504. Numerosi architetti, scultori e pittori contribuirono alla sua realizzazione: Enrique Egas
e Pedro Gumiel (progetto); Francisco de Amberes e Juan de Borgoña (estofado e policromia); Rodrigo
Alemán, Felipe Vigarny, Diego Copín de Holanda e Sebastián de Almonacid (scultura); Petit Juan o Peti
Joan (intagli e filigrane).
L'originaria cappella fu fondata da re Enrico II di Castiglia nel 1374, con il nome di Capilla Real (Cappella
Reale). Era collocata nella navata nord, in posizione tale da impedire il passaggio verso il termine di
questa navata. Per questo motivo, nel 1534, il Capitolo della cattedrale pensò di cambiare la posizione
della cappella. L'arcivescovo Alfonso de Fonseca y Acevedo chiese all'imperatore il permesso di
trasferire le tombe reali. La difficoltà fu trovare un luogo adatto, risolta dal progettista,
l'architetto Alonso de Covarrubias.
L'attuale cappella è collocata tra le cappelle di Santiago e di Santa Leocadia, nel deambulatorio. Il
nome capilla de los Reyes Nuevos (cappella dei Nuovi Re) si deve al nuovo lignaggio dei Trastámara.
Anticamente la cappella era officiata da un capitolo chiamato Capellanes de Reyes.
Si sviluppa come una piccola chiesa a sé stante, costituita da due campate voltate a crociera, un'abside
poligonale e una sacrestia. Le tombe e le decorazioni sono in stile rinascimentale. Nella prima campata
sono situati diversi altari, mentre nella seconda trovano posto le sepolture reali, collocate
in arcosoli rinascimentali. Sulla destra sono le tombe di Enrico II e sua moglie Juana Manuel. Nelle
vicinanze si trova la statua di Giovanni II, opera di Giovanni di Borgogna (senza sepoltura). Sulla sinistra
sono quelle di Enrico III di Castiglia e Caterina di Lancaster Mourning. Nel presbiterio, a sinistra e accanto
all'altare si trova la tomba di Giovanni I, a destra quella di sua moglie Eleonora d'Aragona.[5] Sull'altare
maggiore, opera di Mateo Medina, si trova un dipinto del Maella. Ai lati, due piccoli altari neoclassici
di Ventura Rodríguez.
La cappella Mozarabica (capilla Mozárabe) sorge nell'angolo sud-ovest della cattedrale, inglobata nelle
fondamenta di una torre mai realizzata. La cappella, la cui originaria intitolazione è capilla del Corpus
Christi, si deve al cardinal Cisneros, che la volle nel 1500 per la preservazione del rito mozarabico.
L'edificio si presenta attualmente a pianta quadrata, sormontato da una cupola ottagonale del XVII
secolo, progettata da Jorge Manuel Theotocópuli, figlio di El Greco. All'interno, vi sono i dipinti di Juan
de Borgoña, raffiguranti la conquista di Orano. La cancellata gotica, del 1524, è opera di Juan Francés.
L'altare è in bronzo e marmi policromi, realizzato da Juan Manzano nel XVIII secolo; al centro si trova
un mosaico con l'immagine della Madonna col Bambino, mentre sopra è collocato un crocifisso
intagliato nella radice di finocchio messicano, portato dal frate domenicano Gabriel de San José
nel 1590.
La sacrestia è una vasta sala rettangolare, ornata dagli affreschi di Vincenzo Carducci, Eugenio
Cajés, Francisco Rizi e Luca Giordano.
Il progetto, in stile Herreriano, si deve ai maestri Francisco Vergara el Mayor e Juan Bautista Monegro.
La volta a botte lunettata venne affrescata dal Giordano, sul tema principale dell'imposizione della
casula a sant'Ildefonso.
Alle pareti, sono collocati numerosi dipinti di grandi artisti, tanto da rendere la sacrestia una vera e
propria pinacoteca. I più famosi sono i quindici di El Greco, soprattutto la Spoliazione di Cristo, collocata
sopra l'altare della parete di fondo, incorniciata da marmi e da due colonne corinzie. Altri dipinti sono
degli artisti Luis de Morales, Pedro Orrente, Juan Pantoja de la Cruz, Juan de Borgoña, Luis
Tristán, Anton van Dyck, Goya, Bassano el Mozo.
Oltre ai dipinti, nella sacrestia sono custoditi altri oggetti di valore, come la Biblia de San Luis o Biblia rica
de Toledo,[6] la Bibbia di San Luigi IX, re di Francia, risalente al XIII secolo, con 750 miniature a pagina
intera tra le 5000 pagine manoscritte dei tre tomi. Venne acquisita da re Alfonso X.
Il vestibolo è ornato da affreschi di Claudio Coello e José Donoso. In un altro ambiente, è collocata una
collezione di indumenti antichi, tra cui la cappa dell'arcivescovo Sancho de Aragón, figlio di Giacomo I
d'Aragona, la cappa del cardinale Egidio Albornoz, la fascia indossata da Carlo I di Spagna durante
l'incoronazione ad Aquisgrana. I 70 arazzi, molti su cartoni di Rubens, furono commissionati
dall'arcivescovo Luis Manuel Fernández de Portocorracero; alcuni vengono esposti all'interno della
cattedrale in occasione del Corpus Domini.