Fernando Bocchini Diritto Privato 2022

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Diritto privato

Fernando Bocchini - Enrico Quadri

Diritto
privato

NONA EDIZIONE - 2022


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VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100
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ISBN/EAN 978-88-921-4369-2

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INDICE-SOMMARIO

pag.

PRINCIPI

PARTE I
ORDINAMENTO GIURIDICO

CAPITOLO 1
ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE 3
1. L’esperienza giuridica tra società e diritto 3
2. Correlazioni del diritto con altre esperienze culturali 5
3. La valutazione giuridica della realtà materiale 6
4. Ordinamento giuridico 8
5. Diritto positivo e diritto naturale 12
6. La scienza giuridica e le categorie 13
7. I principali sistemi giuridici: civil law e common law 15

CAPITOLO 2
DIRITTO PRIVATO 17
1. Relatività della nozione di diritto privato 17
2. Evoluzione medievale e diritto comune. Lo “Stato moderno” e il diritto privato (le nuove
categorie) 18
3. Le codificazioni in senso moderno. Codice civile francese (cod. nap.) e codice civile
del 1865; i codici di commercio 24
4. Il codice civile tedesco (BGB) 27
5. Il codice civile del 1942 28
6. Le Costituzioni degli Stati moderni 30
7. La Costituzione repubblicana. Il primato della persona umana 31
8. Segue. Il pluralismo ordinamentale e sociale 34
9. Capacità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione 35
10. Il diritto privato europeo 38
11. Ambito attuale del diritto privato e il diritto pubblico 41
12. Il diritto dei privati 43
13. Segue. La nuova lex mercatoria 44
14. Globalizzazione e convivenza mondiale 45
15. Azione privata conformata e azione pubblica collaborativa 46
VIII INDICE-SOMMARIO

pag.
16. Verso un diritto privato uniforme 49
17. La società tecnologica. Bioetica e ecologia 50
18. Segue. La rivoluzione digitale. Piattaforme, algoritmi, tecnocrazia e diritti 52

CAPITOLO 3
FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO
(Efficacia e interpretazione) 57

1. Regole giuridiche e fonti del diritto 57


2. Tecniche di normazione e caratteri delle norme giuridiche 58
A) FONTI DEL DIRITTO 62
3. Fonti di produzione e fonti di cognizione 62
4. Tipologia e gerarchia delle fonti di produzione 63
5. Costituzione e leggi costituzionali (il controllo di legittimità costituzionale) 65
6. Diritto europeo (fonti e armonizzazione) 67
7. Leggi (statali e regionali) 71
8. Regolamenti 72
9. Usi 73
10. Emersione di nuove fonti 75
B) APPLICAZIONE DEL DIRITTO 77
11. Efficacia nel tempo (obbligatorietà delle norme) 77
12. Efficacia nello spazio (diritto internazionale privato) 79
13. Interpretazione delle norme giuridiche (criteri e valori) 81
14. Risultati dell’interpretazione. L’analogia 85
15. L’equità 87
16. Diritto vivente (nomofilachia e overruling) 88

PARTE II
CATEGORIE GENERALI
CAPITOLO 1
SOGGETTO E PERSONA 93

1. Soggettività e personalità 93
2. Tipologia 94
3. Soggetto e status 96

CAPITOLO 2
BENI GIURIDICI 99
1. Cosa, bene e oggetto di diritti 99
2. Beni immobili e beni mobili 103
3. Distinzioni ulteriori 105
4. Il danaro 107
INDICE-SOMMARIO IX

pag.
5. Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze 108
6. Le universalità 111
7. Azienda 112
8. Frutti 113
9. Patrimonio 114
10. Beni pubblici 116

CAPITOLO 3
RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 119
1. Interessi, rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive 119
2. Diritto soggettivo (nozione) 120
3. Diritto soggettivo (contenuto e limiti) 122
4. Abuso del diritto 124
5. Tipologia dei diritti soggettivi (e corrispondenti situazioni giuridiche soggettive pas-
sive: dovere e obbligo) 127
6. Diritto potestativo 132
7. Potestà 133
8. Aspettativa 135
9. Interesse legittimo 136
10. Interessi collettivi e diffusi 141
11. Onere 143

CAPITOLO 4
I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 145
1. Fenomenologia materiale e rilevanza giuridica 145
A) TIPOLOGIA DEI FENOMENI GIURIDICI 146
2. Fatti ed effetti giuridici (la causalità complessa) 146
3. Struttura dei fatti giuridici 149
4. Rilevanza dei fatti giuridici. Fatti giuridici in senso stretto 149
5. Segue. Atti giuridici (tipologie e caratteri) 150
6. Attività 153
7. Titoli di acquisto e vicende giuridiche. La circolazione giuridica 154
B) INFLUENZA DEL TEMPO. (PRESCRIZIONE E DECADENZA) 157
8. Funzione del tempo. Computo dei termini 157
9. La prescrizione 158
10. Segue. Sospensione e interruzione 162
11. Le prescrizioni presuntive 165
12. La decadenza 167
C) INFLUENZA DELLO SPAZIO 169
13. La correlazione territoriale 169
14. Individuazione del diritto applicabile 169
X INDICE-SOMMARIO

pag.
CAPITOLO 5
AUTONOMIA PRIVATA
(Il negozio giuridico e l’autonomia negoziale) 170
1. I principi ispiratori 170
2. La categoria del negozio giuridico ed il suo sviluppo storico 172
3. La realtà dell’autonomia negoziale 175
4. Negozio e negozialità 177
5. Elementi del negozio giuridico 178
6. Soggetti e parte del negozio. La legittimazione 181
7. La volontà dei gruppi 182
8. Le fondamentali categorie di negozi giuridici 183
9. Segue. I negozi di disposizione e i terzi 187
10. Presupposti del negozio giuridico 189
11. L’incidenza tributaria (bollo e registrazione) 190

CAPITOLO 6
INIZIATIVA ECONOMICA
(L’impresa e il mercato) 192
1. Iniziativa economica, impresa e società 192
2. L’azienda e i segni distintivi 195
3. L’iniziativa economica nella Costituzione e nella normativa europea 196
4. Concorrenza e mercato. L’economia sociale di mercato 198
5. Aree e fattori dell’azione economica 202

CAPITOLO 7
PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI
(L’ordine pubblico) 206
1. Principi generali e diritti fondamentali 206
2. Le clausole generali 209
3. Il personalismo (dignità, solidarietà, autoresponsabilità, pluralismo) 211
4. La buona fede. Buona fede soggettiva (affidamento e apparenza) 214
5. Segue. Buona fede oggettiva (lealtà e correttezza) 218
6. L’informazione (trasparenza e conoscenza) 220
7. La certezza del diritto (adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza) 221
8. La sussidiarietà (orizzontale e verticale) 225
9. Lo stato sociale di diritto e l’ordine pubblico interno e internazionale 226
INDICE-SOMMARIO XI

pag.
PARTE III
TUTELA DEI DIRITTI
CAPITOLO 1
TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 231
1. Tutela effettiva dei diritti e giurisdizione 231
2. I principi della giustizia civile 235
3. Processo di cognizione 239
4. Processo di esecuzione 240
5. Procedimenti speciali 241
6. Volontaria giurisdizione 242
7. Azione di classe (procedimenti collettivi) 243
8. Il diritto processuale uniforme 245
9. Le Corti europee 246
10. La tutela rimediale 247

CAPITOLO 2
PROVE 248
1. La prova dei fatti giuridici 248
2. Prove legali (tipiche). Prove precostituite 249
3. Segue. Prove costituende 252
4. Prove atipiche 257

CAPITOLO 3
TECNICHE ALTERNATIVE DI RISOLUZIONE
DELLE CONTROVERSIE
(Degiurisdizionalizzazione) 258
1. Generalità 258
2. La giustizia privata (arbitrato) 258
3. Gli strumenti negoziali (mediazione e negoziazione assistita) 260
4. L’autotutela 263

ISTITUTI
PARTE IV
SOGGETTI

CAPITOLO 1
PERSONA FISICA 267
A) PERSONA FISICA E CAPACITÀ GIURIDICA 267
1. Capacità giuridica 267
XII INDICE-SOMMARIO

pag.
2. Acquisto della capacità giuridica. Il concepito 269
3. Fine della persona 275
4. Scomparsa, assenza e morte presunta 276
5. Localizzazione della persona 279
B) CAPACITÀ DI AGIRE 281
6. Capacità di agire 281
7. Minore 282
8. Responsabilità genitoriale 285
9. Tutela 290
10. Emancipazione 293
11. Cause modificative della capacità di agire e protezione dell’incapace 295
12. Interdizione giudiziale 296
13. Inabilitazione 300
14. Amministrazione di sostegno 301
15. Interdizione legale 307
16. Incapacità naturale 308

CAPITOLO 2
DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 310

1. Persona e diritti fondamentali 310


2. Caratteristiche 314
3. Tutela 317
4. Dignità della persona 321
5. Vita, integrità fisica e salute 322
6. Integrità morale. Onore e reputazione (e relativi limiti: cronaca, critica, satira) 334
7. Immagine e corrispondenza 338
8. Riservatezza 341
9. Trattamento e protezione dei dati personali 343
10. Nome 349
11. Identità personale 355
12. Identità sessuale (di genere) 357

CAPITOLO 3
ENTI 360
A) PROFILI GENERALI 360
1. Persona fisica e persona giuridica 360
2. Elementi costitutivi. Ente e soggettività giuridica 363
3. Tipologia degli enti 364
4. Riconoscimento 367
5. Capacità 368
6. Attività 369
7. Responsabilità per illecito 370
B) FIGURE 371
8. Associazione riconosciuta 371
INDICE-SOMMARIO XIII

pag.
9. Associazione non riconosciuta 377
10. Fondazione 382
11. Estinzione della persona giuridica. Liquidazione e devoluzione dei beni. Trasformazione 387
12. Comitato 389
13. Gli enti non profit nella legislazione speciale ed il “Terzo settore” 391
14. Particolari categorie di enti del Terzo settore 401

PARTE V
FAMIGLIA

CAPITOLO 1
FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 407

1. La famiglia nella società e la sua disciplina giuridica 407


2. Nozione giuridica di famiglia 408
3. La disciplina della famiglia: Costituzione, codice civile e altre fonti 411
4. Convivenza, famiglia di fatto e unioni registrate 415
5. Caratteri degli atti e dei diritti familiari 427
6. Parentela e affinità 428
7. Gli alimenti 430
8. Ordini di protezione contro gli abusi familiari 432

CAPITOLO 2
MATRIMONIO 434

1. Matrimonio e famiglia 434


A) ATTO 436
2. Le forme matrimoniali 436
3. Libertà matrimoniale e promessa di matrimonio 437
4. Il matrimonio civile. Requisiti 438
5. Formalità e celebrazione 442
6. Invalidità del matrimonio 443
7. Conseguenze della invalidità 447
8. Il matrimonio concordatario 448
B) EFFETTI 454
9. Rapporti personali tra coniugi 454
10. Regime patrimoniale della famiglia. Il regime primario 458
11. Convenzioni matrimoniali 461
12. Comunione legale 463
13. Regimi convenzionali 468
14. Impresa familiare 471
C) UNIONE CIVILE 472
15. Unione civile e matrimonio 472
XIV INDICE-SOMMARIO

pag.
16. Costituzione della unione civile 474
17. Effetti della unione civile 475

CAPITOLO 3
CRISI CONIUGALE 479

1. Unità e crisi della famiglia 479


2. Separazione personale dei coniugi 480
3. Effetti della separazione personale 488
4. Divorzio 491
5. Effetti del divorzio 495
6. Scioglimento della unione civile 502

CAPITOLO 4
FILIAZIONE 505

1. Filiazione: attuale articolazione della disciplina 505


2. L’atto di nascita 509
3. Accertamento della filiazione 511
4. Accertamento della filiazione fuori del matrimonio 515
5. Legittimazione dei figli (cenni storici) 521
6. Procreazione medicalmente assistita 521
7. Tutela del minore privo di assistenza. Affidamento 526
8. Adozione 529
9. Il rapporto di filiazione 537
10. Crisi familiare e tutela dell’interesse dei figli 542
11. Assegnazione della casa familiare 550

PARTE VI
PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

CAPITOLO 1
PROPRIETÀ 555

1. Nozione 555
2. Contenuto e caratteri 561
3. Atti emulativi 564
4. Contenuto della proprietà e garanzia costituzionale 566
5. Proprietà fondiaria 568
6. Immissioni 571
7. Rapporti di vicinato 574
8. Proprietà agraria 578
9. Proprietà edilizia 580
10. “Appartenenza” e beni immateriali: la c.d. proprietà intellettuale 584
INDICE-SOMMARIO XV

pag.
CAPITOLO 2
ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ 588

1. Modi di acquisto 588


2. Occupazione 589
3. Invenzione 591
4. Accessione 591
5. Unione e commistione. Specificazione. Accessioni fluviali 596
6. Azioni a difesa della proprietà. Azione di rivendicazione 597
7. Altre azioni a tutela della proprietà 599
8. Azioni di nunciazione 601

CAPITOLO 3
DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 603

1. La categoria. La tutela 603


2. Superficie 605
3. Enfiteusi 607
4. Usufrutto 610
5. Uso e abitazione 613
6. Servitù prediali. Caratteri e tipologia 615
7. Servitù coattive (o legali) 619
8. Servitù volontarie 621
9. Usi civici e proprietà collettive 624
10. Oneri reali 625

CAPITOLO 4
COMUNIONE E CONDOMINIO 627

1. Comunione 627
2. Condominio negli edifici 630
3. Multiproprietà 635

CAPITOLO 5
POSSESSO 638

1. Nozione e fondamento 638


2. Possesso e detenzione 641
3. Oggetto e vicende 643
4. Possesso di buona fede 646
5. Effetti del possesso. Diritti e obblighi del possessore nella restituzione della cosa 647
6. Possesso di buona fede di beni mobili (art. 1153) 649
7. Usucapione 651
8. Azioni a tutela del possesso 655
XVI INDICE-SOMMARIO

pag.
PARTE VII
OBBLIGAZIONI
CAPITOLO 1
RAPPORTO OBBLIGATORIO
(Caratteri e tipologie) 659
1. Rilevanza sociale e evoluzione storica della fisionomia 659
2. Sistemazione del codice civile e nuovi radicamenti dei rapporti obbligatori 662
3. Fonti dell’obbligazione (vicende costitutive) 664
A) CARATTERI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 665
4. Struttura del rapporto e nozione integrale dell’obbligazione 665
5. Soggetti (l’ambulatorietà) 668
6. Contenuto. La pretesa 670
7. Segue. La prestazione 670
8. Oggetto 674
9. Dovere di correttezza (lealtà, protezione e esigibilità) 676
10. Obbligazioni naturali 678
B) ALCUNE SPECIE DI OBBLIGAZIONI TIPICHE 682
11. Le tipologie. Generalità 682
12. Obbligazioni plurisoggettive. Le obbligazioni parziarie 683
13. Segue. Le obbligazioni solidali 683
14. Obbligazioni alternative e facoltative 692
15. Obbligazioni divisibili e indivisibili 694
16. Obbligazioni pecuniarie (debiti di valuta e debiti di valore) 695
17. Il regime degli interessi 698
18. Segue. L’anatocismo 702
19. Obbligazioni con funzioni tipizzate 703

CAPITOLO 2
MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
(Vicende modificative) 704
1. Generalità 704
A) MODIFICAZIONI NEL LATO ATTIVO 705
2. L’acquisizione del credito altrui (e successione nel credito) 705
3. Cessione del credito. Titolo e divieto di cessione 705
4. Segue. Efficacia della cessione 708
5. Segue. Cessione di pluralità di crediti. Il factoring 712
6. Segue. Cartolarizzazione dei crediti 714
7. Pagamento con surrogazione 715
8. Delegazione attiva 718
B) MODIFICAZIONI NEL LATO PASSIVO 719
9. L’assunzione del debito altrui (e successione nel debito) 719
10. Delegazione passiva 721
11. Espromissione 725
INDICE-SOMMARIO XVII

pag.
12. Accollo 726
C) MODIFICAZIONI OGGETTIVE 729
13. Modificazioni non novative 729
14. Surrogazione reale 729

CAPITOLO 3
ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
(Vicende estintive) 730

1. Tipologie e modi di estinzione 730


A) ADEMPIMENTO 731
2. Attuazione del rapporto obbligatorio 731
3. Esattezza dell’adempimento. Diligenza e correttezza 733
4. Segue. Modalità dell’adempimento e imputazione del pagamento 737
5. Adempimento del terzo 743
6. Dazione in pagamento. La cessione di credito di imposta 744
7. Mora del creditore. La posizione soggettiva del creditore 746
8. Segue. Costituzione in mora e liberazione dall’obbligazione 747
B) MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO 749
9. I modi di estinzione indirettamente satisfattivi 749
10. Compensazione 750
11. Confusione 754
12. I modi di estinzione non satisfattivi 754
13. Novazione (oggettiva e soggettiva) 754
14. Remissione del debito (e pactum de non petendo) 758
15. Impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore 760

CAPITOLO 4
INADEMPIMENTO E MORA
(Responsabilità e risarcimento) 764

1. Configurazione dell’inadempimento 764


2. La responsabilità per inadempimento (responsabilità contrattuale) 765
3. La responsabilità da contatto sociale qualificato 773
4. L’adempimento coattivo 778
5. Il risarcimento del danno 779
6. Mora del debitore 785
7. Segue. Effetti della mora 787
8. La liquidazione del danno 789
9. Concorso del fatto colposo del creditore (autoresponsabilità) 791
10. I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali 792
11. Il trattamento dei crediti deteriorati 794
XVIII INDICE-SOMMARIO

pag.
CAPITOLO 5
GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE
(La garanzia generale) 795
1. La realizzazione coattiva del credito 795
A) RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE DEL DEBITORE 796
2. Responsabilità patrimoniale e concorso dei creditori 796
3. Segue. Il patto commissorio e il patto marciano 799
4. L’espropriazione 802
B) MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE 804
5. Generalità 804
6. Azione surrogatoria 805
7. Azione revocatoria. Presupposti 806
8. Segue. Effetti della revocatoria 812
9. Sequestro conservativo 813
C) MECCANISMI INDIRETTI DI GARANZIA 815
10. Generalità 815
11. Cessione dei beni ai creditori 815
12. Anticresi 816
13. Rimedi di autotutela 817
14. Esecuzione su beni oggetto di atti dispositivi a titolo gratuito 818

CAPITOLO 6
CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE
(Le garanzie speciali) 819
1. Principi generali 819
A) PRIVILEGI 820
2. Fondamento 820
3. Tipologia ed efficacia. Concorso di garanzie 821
B) PEGNO E IPOTECA (GARANZIE REALI) 823
4. I caratteri comuni 823
5. Pegno 825
6. Figure speciali di pegno 828
7. Ipoteca 830
8. Titolo dell’ipoteca 833
9. Pubblicità ipotecaria e formalità 836
C) GARANZIE REALI CON ESECUZIONE STRAGIUDIZIALE 839
10. Il sostegno finanziario alle imprese e ai consumatori 839
11. Contratti di garanzia finanziaria 840
12. Pegno mobiliare non possessorio 840
13. Credito alle imprese con trasferimento di immobile condizionato all’inadempimento 842
14. Prestito vitalizio ipotecario 843
15. Credito ipotecario ai consumatori per acquisto di immobile residenziale 845
INDICE-SOMMARIO XIX

pag.
CAPITOLO 7
ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE
(Garanzie di terzi) 847

1. Garanzie legali e volontarie 847


A) GARANZIE PERSONALI 848
2. Generalità 848
3. Fideiussione 848
4. Contratto autonomo di garanzia 853
5. Mandato di credito 855
6. Avallo 856
7. Lettera di patronage 856
8. Garanzie collettive 857
B) GARANZIE REALI 858
9. Cenni e rinvio 858

CAPITOLO 8
GESTIONE DELLA DEBITORIA
(Crisi di impresa e sovraindebitamento) 859

1. Dal debito alla debitoria 859


2. Crisi di impresa. Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi 861
3. Segue. Procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza. La liquidazione giudiziale 863
4. Sovraindebitamento. Procedure di composizione della crisi e di liquidazione del pa-
trimonio 864
5. Esdebitazione 866

PARTE VIII
CONTRATTO
CAPITOLO 1
AUTONOMIA CONTRATTUALE 869
1. Autonomia negoziale e autonomia contrattuale 869
2. La figura del contratto nel codice civile 871
3. Elementi e requisiti del contratto 873
4. Tipicità di singoli contratti 875
5. I contratti nell’esperienza giuridica 876
6. Uguaglianza tra libertà e giustizia. Gli interventi normativi riequilibratori 878
7. Contratto e mercato: doveri di informazione e misure correttive 879
8. Contratti di impresa e abuso di posizione dominante 881
9. Contratti dei consumatori e degli investitori 883
10. Terzo contratto e condizione degli imprenditori deboli 886
11. Contratto e rapporto di lavoro 887
XX INDICE-SOMMARIO

pag.
12. Contratti e accordi della pubblica amministrazione. L’evidenza pubblica 888
13. Il diritto europeo dei contratti 893
14. Il controllo giudiziale dell’autonomia contrattuale 894

CAPITOLO 2
CONCLUSIONE 899

1. Le parti e i requisiti soggettivi. La legittimazione 899


2. Formazione dell’accordo e conclusione del contratto. Il contratto plurilaterale 901
3. Contratti consensuali e contratti reali 902
A) ACCORDO DELLE PARTI 903
4. Volontà negoziale e intento comune 903
5. I modi di manifestazione della volontà 904
6. Volontà e dichiarazione. La tutela dell’affidamento 905
7. L’assenza di volontà negoziale 906
8. L’erosione della volontà nei contratti di massa 907
B) VIZI DEL CONSENSO 907
9. Generalità 907
10. Errore (vizio e ostativo; errore materiale) 908
11. Dolo (determinante e incidente; comunicazioni di massa) 913
12. Violenza morale (e timore reverenziale) 916
C) MODI DI CONCLUSIONE DEL CONTRATTO 918
13. Scambio di proposta e accettazione. La proposta irrevocabile 918
14. Offerta al pubblico 924
15. Il contratto aperto 925
16. Conclusione senza apposita accettazione 926
17. Predisposizione di condizioni generali di contratto (contratti per adesione tra codice
civile e codice del consumo) 928
18. Contratti conclusi fuori dei locali commerciali e a distanza 935
19. Rapporti contrattuali per contatto sociale 938
D) VINCOLI A CONTRARRE E FORMAZIONE PROGRESSIVA 939
20. Vincoli all’autonomia contrattuale 939
21. Trattative (puntuazioni, minute, lettere di intenti) 940
22. La prelazione e l’opzione 941
23. Il contratto preliminare 946
24. Il divieto di alienazione 956
E) RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE 958
25. Le ipotesi tipizzate di responsabilità 958
26. La clausola generale del trattare lealmente 960
27. I danni risarcibili 962
28. La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione 963
29. La responsabilità precontrattuale degli intermediari finanziari 964
INDICE-SOMMARIO XXI

pag.
CAPITOLO 3
CONTENUTO 966

1. Determinazione del contenuto contrattuale. L’assetto di interessi 966


A) OGGETTO 967
2. Nozione 967
3. Requisiti dell’oggetto. Il contratto incompleto 967
4. Beni futuri 972
B) CAUSA 973
5. Evoluzione del concetto di causa. La causa concreta 973
6. Il tipo contrattuale 976
7. Assenza di causa e astrazione dalla causa 977
8. Causa illecita 979
9. Il contratto in frode alla legge 980
10. Motivi 982
11. La presupposizione 983
12. Combinazione di fasci di prestazioni: contratto complesso (specie misto) e collega-
mento negoziale 985
13. Simulazione. L’accordo simulatorio 989
14. Segue. Regime e effetti della simulazione (tra le parti e verso i terzi) 993
15. Segue. Azione di simulazione e prova della simulazione 995
16. Negozi indiretti e fiduciari 998
17. Il trust 1001
18. Le dicotomie fondamentali 1003
C) ELEMENTI ACCIDENTALI 1007
19. L’ampliamento del contenuto contrattuale 1007
20. Condizione. Caratteri e tipi 1007
21. Segue. Pendenza della condizione ed avveramento 1011
22. Termine 1013
23. Onere 1014

CAPITOLO 4
FORMA 1015
1. Evoluzione del formalismo 1015
2. La forma per la validità 1017
3. La forma per la prova 1023
4. La forma per la opponibilità 1023
5. La forma dell’informazione 1024
6. Il documento informatico. Firma elettronica e digitale 1026
7. Lo smart contract 1028
XXII INDICE-SOMMARIO

pag.
CAPITOLO 5
REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1030

1. Atto di autonomia e valutazione ordinamentale 1030


A) INTERPRETAZIONE 1030
2. Le norme sull’interpretazione 1030
3. Il procedimento ermeneutico legale 1032
4. L’interpretazione secondo buona fede 1037
B) QUALIFICAZIONE 1038
5. Qualificazione giuridica del contratto 1038
C) INTEGRAZIONE 1039
6. Integrazione del contratto. Il concorso di fonti 1039
7. La legge e gli altri atti normativi. La Costituzione 1042
8. Gli usi 1043
9. L’equità 1044
10. La buona fede integrativa 1045
D) CONTROLLI 1046
11. La conformità ordinamentale 1046
12. Il controllo di liceità e meritevolezza 1047

CAPITOLO 6
EFFICACIA 1051

1. Efficacia e inefficacia 1051


A) EFFETTO GENERALE (Vincolo contrattuale) 1052
2. Il vincolo contrattuale e i modi di scioglimento. La risoluzione consensuale 1052
3. Il recesso (caparra penitenziale e multa penitenziale) 1053
B) EFFETTI PARTICOLARI (Effetti negoziali) 1057
4. La tendenziale relatività della efficacia del contratto 1057
5. Tipologie di effetti 1058
6. Effetti obbligatori e effetti reali 1058
7. Il consenso traslativo e il regime del rischio. Proprietà e consegna 1060
8. Contratti bilaterali e contratti unilaterali 1064
9. Effetti negoziali (diretti) verso i terzi 1065
10. Segue. Il contratto a favore di terzi 1066
11. La manovra degli effetti del contratto (condizione e termine: cenni e rinvio) 1068
C) EFFICACIA RIFLESSA (Effetti indiretti) 1068
12. Gli effetti riflessi (indiretti) del contratto 1068
13. Cessione del contratto e subcontratto 1069
14. Limitazioni convenzionali del potere di disposizione 1073
15. Promessa del fatto del terzo e disposizione di beni altrui 1076
16. Il conflitto di diritti. L’opponibilità 1078
INDICE-SOMMARIO XXIII

pag.
CAPITOLO 7
ESECUZIONE 1080
1. L’attuazione del risultato programmato. L’esecuzione secondo buona fede 1080
2. Modalità dell’esecuzione 1082
3. L’esecuzione dei contratti nell’economia dei servizi 1083
4. Misure rafforzative dell’esecuzione (clausola penale e caparra confirmatoria) 1084
5. Sopravvenienze e adeguamento del contratto 1089
6. Segue. La rinegoziazione 1091

CAPITOLO 8
SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA 1095
1. Sostituzione nella cura degli interessi 1095
A) RAPPRESENTANZA 1096
2. Gestione e rappresentanza 1096
3. La procura 1100
4. Il negozio concluso dal rappresentante 1103
5. L’abuso di potere (conflitto d’interessi) 1104
6. Il difetto di potere (rappresentanza senza potere) 1106
7. La rappresentanza apparente 1109
B) ALTRE FIGURE 1110
8. Contratto per persona da nominare 1110
9. Contratto per conto di chi spetta 1112
10. Gestione di affari altrui (cenni e rinvio) 1112

CAPITOLO 9
ANOMALIE GENETICHE
(Difetti della formazione) 1113
1. L’atto e il rapporto contrattuale 1113
2. Irregolarità e inefficacia del contratto 1114
3. Inesistenza e invalidità 1115
A) NULLITÀ 1117
4. Configurazione della nullità 1117
5. Le cause di nullità 1122
6. Le nullità di protezione 1124
7. Conservazione (sanatoria, conversione, nullità parziale, contratto plurilaterale) 1127
B) ANNULLABILITÀ 1131
8. Configurazione dell’annullabilità 1131
9. Le cause di annullabilità 1134
10. Conservazione (convalida, rettifica, contratto plurilaterale) 1136
C) RESCISSIONE 1138
11. Configurazione della rescissione 1138
12. Le cause di rescissione 1139
13. Rescissione ed usura. La c.d. usura bancaria 1141
XXIV INDICE-SOMMARIO

pag.
CAPITOLO 10
ANOMALIE SOPRAVVENUTE
(Difetti dell’attuazione) 1144

1. La inattuazione del regolamento contrattuale 1144


2. La rinegoziazione (cenni e rinvio) 1145
A) AUTOTUTELA 1145
3. Generalità 1145
4. Preservazione della corrispettività (eccezione di inadempimento, mutamento condi-
zioni patrimoniali, diritto di ritenzione e altri strumenti) 1147
5. Attuazione coattiva del credito (esecuzione in danno e patto marciano) 1151
6. Scioglimento coattivo del contratto (recesso e risoluzione unilaterale) 1151
7. Definizione dell’operazione e controllo dell’autotutela 1153
B) ETEROTUTELA 1154
8. Lo strumentario 1154
9. I) Inadempimento. Configurazione 1155
10. Adempimento coattivo 1158
11. Risoluzione del contratto. Presupposti e conseguenze 1159
12. Segue. Risoluzione giudiziale e risoluzione di diritto 1161
13. Risarcimento del danno 1168
14. II) Impossibilità sopravvenuta. Configurazione 1169
15. Segue. Effetti e sopportazione del rischio 1172
16. III) Eccessiva onerosità. Configurazione e effetti 1174

PARTE IX
SINGOLI CONTRATTI

CAPITOLO 1
CONTRATTI DI ALIENAZIONE DI BENI 1177

A) VENDITA 1177
1. Lo schema generale 1177
2. Le obbligazioni del venditore. Le garanzie 1179
3. Le obbligazioni del compratore 1184
4. Limitazioni dei diritti del compratore (patto di riscatto e riserva di proprietà) 1184
5. Le vendite immobiliari (statuto degli immobili) 1187
6. Vendita e promessa di vendita di immobili da costruire 1193
7. Le vendite mobiliari (cose e prodotti) 1195
8. Vendita di beni di consumo 1199
9. Vendita di beni mobili registrati 1201
10. Vendita di eredità 1202
INDICE-SOMMARIO XXV

pag.
B) ALTRI CONTRATTI 1203
11. Permuta 1203
12. Contratto estimatorio 1204
13. Rent to buy 1205
14. Condhotel 1206
15. Riporto 1206

CAPITOLO 2
CONTRATTI DI PRESTAZIONE D’OPERA E DI SERVIZI 1208
A) APPALTO 1208
1. Lo schema generale 1208
2. Appalti pubblici 1214
3. Appalto di interventi edilizi 1218
4. Subappalto 1220
B) ALTRI CONTRATTI 1221
5. Contratto d’opera 1221
6. Somministrazione 1224
7. Subfornitura 1227
8. Deposito e parcheggio 1228
9. Segue. Deposito in albergo e deposito nei magazzini generali 1231
10. Trasporto 1232
11. Segue. Trasporto di persone e trasporto di cose 1234
12. Contratto di viaggio e vendita di pacchetti turistici 1239
13. Logistica 1241
14. Engineering 1242
15. Catering 1243
16. Costruzione di nave e aeromobile 1243

CAPITOLO 3
CONTRATTI DI COOPERAZIONE GIURIDICA 1244
A) MANDATO 1244
1. Lo schema generale 1244
2. Mandato e rappresentanza 1246
3. Le obbligazioni derivanti dal mandato 1248
4. L’estinzione del mandato 1250
5. Commissione 1252
6. Spedizione 1253
B) ALTRI CONTRATTI 1254
7. Agenzia 1254
8. Mediazione 1259
9. Affiliazione commerciale (franchising) 1266
XXVI INDICE-SOMMARIO

pag.
CAPITOLO 4
CONTRATTI DI GODIMENTO 1268
1. Locazione 1268
2. Obbligazioni del locatore e del conduttore 1272
3. Locazione di immobili urbani 1274
4. Affitto 1279
5. Leasing 1280
6. Comodato 1286
7. Mutuo 1288
8. Onerosità del mutuo e obbligazione degli interessi 1290
9. Mutuo di scopo 1294

CAPITOLO 5
CONTRATTI ALEATORI 1297

1. Rendita 1297
2. Vitalizio alimentare e contratto di mantenimento 1300
3. Giuoco e scommessa 1301
4. Assicurazione 1303
5. Contratto di assicurazione 1305
6. Assicurazione contro i danni 1310
7. Assicurazione della responsabilità civile 1314
8. Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile (in particolare, derivante
dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) 1317
9. Assicurazione sulla vita 1321
10. Riassicurazione 1323

CAPITOLO 6
CONTRATTI RISOLUTIVI DI UNA CONTROVERSIA 1324

1. Transazione 1324
2. Compromesso e clausola compromissoria 1327
3. Sequestro convenzionale 1330

PARTE X
FATTI ILLECITI E RESPONSABILITÀ CIVILE

CAPITOLO 1
STRUTTURA DEL FATTO ILLECITO 1331

1. Nozione e funzione 1331


2. Fatto e nesso di causalità 1335
3. Danno ingiusto 1337
4. Ampliamento della sfera del danno ingiusto 1338
INDICE-SOMMARIO XXVII

pag.
5. Cause di esclusione dell’antigiuridicità 1342
6. Imputabilità e colpevolezza 1344
7. Superamento del criterio della colpa: responsabilità aggravata e responsabilità
oggettiva 1348
8. Criteri di propagazione della responsabilità 1350
9. Regimi peculiari di responsabilità 1354

CAPITOLO 2
RISARCIMENTO DEL DANNO 1364

1. Illecito, risarcimento del danno e tecniche di tutela degli interessi lesi 1364
2. Modalità del risarcimento e valutazione del danno 1369
3. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale 1375
4. Danno non patrimoniale e danno alla persona 1379

PARTE XI
ALTRE FONTI DI OBBLIGAZIONE

CAPITOLO 1
ATTI E FATTI DIVERSI DA CONTRATTO E FATTO ILLECITO 1393

1. Fonti negoziali e fonti legali 1393


A) PROMESSE UNILATERALI 1394
2. Negozi unilaterali e promesse unilaterali 1394
3. Promessa al pubblico 1395
4. Promessa di pagamento e ricognizione di debito 1396
B) OBBLIGAZIONI EX LEGE 1399
5. Generalità 1399
6. Gestione di affari 1400
7. Pagamento dell’indebito 1402
8. Arricchimento senza causa 1406
9. Obbligazione tributaria 1409

CAPITOLO 2
TITOLI DI CREDITO 1411

1. Funzione, natura, caratteri 1411


2. Le eccezioni opponibili dal debitore 1413
3. La natura dei diritti incorporati 1414
4. I meccanismi di circolazione 1415
5. Cambiale e assegno 1417
6. Collocazione degli strumenti finanziari e tutela degli investitori 1419
7. La dematerializzazione dei titoli di credito 1421
XXVIII INDICE-SOMMARIO

pag.
PARTE XII
SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE

CAPITOLO 1
SUCCESSIONE IN GENERALE 1423

1. Concetto di successione per causa di morte 1423


2. Divieto dei patti successori 1426
A) APERTURA DELLA SUCCESSIONE 1428
3. Vocazione e delazione 1428
4. Capacità e indegnità 1429
5. Posizione del chiamato all’eredità 1431
B) ACQUISTO DELL’EREDITÀ 1432
6. Accettazione dell’eredità 1432
7. Accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario 1434
8. Rinunzia all’eredità 1437
9. Rappresentazione e trasmissione del diritto di accettazione 1438
10. Separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede 1440
11. Eredità giacente 1441
12. La petizione di eredità e l’erede apparente 1441

CAPITOLO 2
CRITERI DI VOCAZIONE 1444
A) SUCCESSIONE LEGITTIMA 1444
1. Presupposti e fondamento 1444
2. Successione dei parenti 1445
3. Successione del coniuge 1446
4. Successione dello Stato 1447
B) SUCCESSIONE TESTAMENTARIA 1448
5. Il testamento 1448
6. Istituzione di erede e legato. La institutio ex re certa 1450
7. Legati (tipologia e disciplina) 1452
8. Capacità di ricevere per testamento e capacità di disporre per testamento 1454
9. Forma del testamento 1454
10. Pubblicazione 1457
11. Invalidità. Fiducia testamentaria 1458
12. Disposizioni condizionali e a termine 1459
13. Onere 1460
14. Sostituzione ordinaria e sostituzione fedecommissaria 1462
15. Diritto di accrescimento 1463
16. Revocazione delle disposizioni testamentarie 1464
17. Esecutore testamentario 1466
INDICE-SOMMARIO XXIX

pag.
CAPITOLO 3
DIRITTI DEI LEGITTIMARI 1468
1. Nozione di legittimario 1468
2. Categorie dei legittimari 1470
3. Posizione del legittimario 1472
4. Azione di riduzione 1473
5. Azione di restituzione 1475
6. Cautela sociniana. Legato in sostituzione di legittima e legato in conto di legittima 1478
7. Patto di famiglia 1479

CAPITOLO 4
COMUNIONE E DIVISIONE EREDITARIA 1482

1. Comunione ereditaria 1482


2. Divisione fatta dal testatore e norme date dal testatore per la divisione 1483
3. Collazione 1484
4. Divisione ereditaria: divisione giudiziale e divisione contrattuale 1487
5. Annullabilità e rescindibilità della divisione ereditaria 1490

PARTE XIII
DONAZIONI

CAPITOLO 1
CONTRATTO DI DONAZIONE 1493

1. La donazione nel codice civile del 1942 1493


2. Donazione e atto a titolo gratuito. Il c.d. negotium mixtum cum donatione 1495
3. Disciplina del contratto di donazione 1496
4. Responsabilità del donante. Invalidità. Revocazione 1499
5. Ipotesi particolari di donazione 1501

CAPITOLO 2
ALTRI ATTI DI LIBERALITÀ 1504

1. Atti di liberalità diversi dalla donazione: le donazioni indirette 1504


2. Le fattispecie. Atti di natura contrattuale 1505
3. Atti a struttura unilaterale 1506
4. Atti materiali 1508
XXX INDICE-SOMMARIO

pag.
PARTE XIV
PUBBLICITÀ
CAPITOLO 1
PUBBLICITÀ IN GENERALE 1511

1. La pubblicità legale 1511


2. Oggetto e funzione generale della pubblicità 1513
3. Tipologie di pubblicità 1514
4. Apparati, registri e sistemi 1516
5. La pubblicità delle persone fisiche 1516
6. La pubblicità di enti 1519
7. La pubblicità di imprese e società 1520
8. La pubblicità riguardante specifici beni 1520

CAPITOLO 2
LA PUBBLICITÀ IMMOBILIARE ORDINARIA 1523

1. I servizi di pubblicità immobiliare ordinaria 1523


A) TRASCRIZIONE NEI REGISTRI IMMOBILIARI 1524
2. Impianto e impostazione dei registri immobiliari 1524
3. Le formalità pubblicitarie: trascrizione, iscrizione e annotazione 1526
4. Esecuzione della trascrizione. Tipicità dei risultati e atipicità degli atti 1526
5. Efficacia tipica della trascrizione (responsabilità per doppia alienazione) 1529
6. Continuità delle trascrizioni e acquisto a titolo originario 1533
7. Atti soggetti a trascrizione con efficacia tipica 1535
8. Atti soggetti a trascrizione con effetti particolari 1538
9. Trascrizione degli acquisti a causa di morte 1539
10. Trascrizione di contratti preliminari 1542
11. Trascrizione di atti di destinazione 1543
12. Trascrizione di atti costitutivi di vincoli a favore di enti pubblici 1546
13. Trascrizione di domande giudiziali 1546
14. Trascrizione di sentenze 1550
15. Trascrizione di atti incidenti sul regime patrimoniale familiare 1550
16. Trascrizione prevista da leggi speciali 1552
17. La disposizione dei diritti tra proprietà e pubblicità 1553
18. L’allocazione dei beni tra sicurezza giuridica e solidarietà 1554
B) INTESTAZIONE CATASTALE 1555
19. Impianto e impostazione del catasto 1555
20. Funzioni del catasto (determinazione e estimo degli immobili) 1557
21. L’allineamento catastale delle unità immobiliari urbane 1558
INDICE-SOMMARIO XXXI

pag.
CAPITOLO 3
LA PUBBLICITÀ IMMOBILIARE TAVOLARE 1561

1. Impianto e impostazione dei libri fondiari. La intavolazione 1561


2. Modalità della iscrizione tavolare 1563
3. Efficacia della iscrizione tavolare 1564
4. Avvicinamento dei sistemi pubblicitari 1566

Indice analitico-alfabetico 1569


XXXII INDICE-SOMMARIO
FERNANDO BOCCHINI ha curato le seguenti parti:
PARTE I (Ordinamento giuridico)
PARTE II (Categorie generali), capp. 4-7
PARTE III (Tutela dei diritti)
PARTE VII (Obbligazioni)
PARTE VIII (Contratto)
PARTE IX (Singoli contratti), capp. 1-3
PARTE XI (Altre fonti di obbligazione)
PARTE XIV (Pubblicità)

ENRICO QUADRI ha curato le seguenti parti:


PARTE II (Categorie generali), capp. 1-3
PARTE IV (Soggetti)
PARTE V (Famiglia)
PARTE VI (Proprietà e diritti reali)
PARTE IX (Singoli contratti), capp. 4-6
PARTE X (Fatti illeciti e responsabilità civile)
PARTE XII (Successioni per causa di morte)
PARTE XIII (Donazioni)
XXXII PARTE IV – FAMIGLIA
PRINCIPI

SOMMARIO:
PARTE I. ORDINAMENTO GIURIDICO. – Cap. 1. Ordinamento giuridico e realtà sociale. –
Cap. 2. Diritto privato. – Cap. 3. Fonti e applicazione del diritto (Efficacia e in-
terpretazione).
PARTE II. CATEGORIE GENERALI. – Cap. 1. Soggetto e persona. – Cap. 2. Beni giuridici. –
Cap. 3. Rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive. – Cap. 4. I fatti
giuridici. Effetti, vicende e circolazione. – Cap. 5. Autonomia privata (Il nego-
zio giuridico e l’autonomia negoziale). – Cap. 6. Iniziativa economica (L’impre-
sa e il mercato). – Cap. 7. Principi generali e Clausole generali (L’ordine pub-
blico).
PARTE III. TUTELA DEI DIRITTI. – Cap. 1. Tutela giurisdizionale dei diritti. – Cap. 2. Pro-
ve. – Cap. 3. Tecniche alternative di risoluzione delle controversie (Degiurisdi-
zionalizzazione).
2 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO
CAP. 1 – ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE 3

PARTE I
ORDINAMENTO GIURIDICO

CAPITOLO 1
ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE

Sommario: 1. L’esperienza giuridica tra società e diritto. – 2. Correlazioni del diritto con altre esperien-
ze culturali. – 3. La valutazione giuridica della realtà materiale. – 4. Ordinamento giuridico. – 5. Di-
ritto positivo e diritto naturale. – 6. La scienza giuridica e le categorie. – 7. I principali sistemi giu-
ridici: civil law e common law.

1. L’esperienza giuridica tra società e diritto. – È antica l’affermazione che ubi so-
cietas ibi ius. Ogni comunità ha bisogno del diritto 1 per vivere pacificamente, assicu-
rando il diritto le regole della convivenza civile necessarie per organizzare il presente e
progettare il futuro, così nei rapporti esistenziali e sociali come nelle scelte economiche e
operative. Il diritto rappresenta l’approdo e il crocevia delle tante articolazioni culturali
della società, permeate di religione, economia, filosofia, scienza; anche i climi, penetran-
do spiriti e comportamenti, orientano le organizzazioni dei popoli: insomma il diritto
esprime la vita stessa di una società.
È pure antica l’affermazione ex facto oritur ius. Nella sua essenza il diritto è un com-
plesso di regole (c.d. norme giuridiche) che disciplinano le condotte umane in una co-
munità, secondo principi e valori nei quali la società storicamente si riconosce e intende
muoversi. Il diritto proviene dall’uomo ed è in funzione dell’uomo, che, ad un tempo, è
attivatore e destinatario delle norme giuridiche. La convivenza civile si nutre di una es-

1
Nel diritto romano classico il termine impiegato per indicare il diritto era i u s . Correlativamente il ter-
mine “giuridico” deriva dal latino iuridicus, composto di ius (diritto) e dicere (dire); il termine “giudice”
deriva dal latino iudex (colui che dice il diritto); il termine “giurisprudenza” deriva dal latino iurispruden-
tia, derivato di iurisprudens (esperto del diritto). Letteralmente il termine “diritto” deriva dal tardo latino
medievale d i r e c t u s con una inflessione morale di considerare i fatti giuridici sub specie recti, perciò diret-
to a certi fini: è con tale inflessione che si sviluppa nel resto d’Europa (francese droit, spagnolo derecho,
tedesco Recht).
4 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

senziale relazionalità sociale regolata dal diritto: già nella famiglia 2 e poi nelle varie artico-
lazioni comunitarie (scuola, lavoro, tempo libero); l’attuazione di molti interessi, impli-
cando l’impiego di beni e mezzi, necessita della cooperazione tra gli uomini e della aggre-
gazione in gruppi (associazioni, società, ecc.).
L’ordine di una comunità non è assicurato dal solo catalogo dei precetti giuridici, spes-
so non conosciuti, ma è sostenuto anche dal concorso di dettami etici, precetti religiosi,
tradizioni di comportamenti, che attingono alla complessiva organizzazione sociale. Ad
es., nelle famiglie, pulsa un complesso di valori ideali, costumi tramandati o attinti all’am-
biente sociale, dettami religiosi, sentiti e vissuti con maggiore intensità e severità delle
regole giuridiche e che, accanto a queste ultime, caratterizzano la complessiva vita della
comunità familiare; nelle relazioni commerciali, operano prassi e consuetudini costante-
mente rispettate dai singoli operatori economici, avvertite addirittura con maggior rigore
delle prescrizioni di legge: sono fasci di doveri che si intrecciano con la imperatività delle
regole dell’ordinamento giuridico.
Comprendere (e interpretare) il diritto significa conoscere (e valutare) la realtà so-
ciale che lo esprime e di cui si alimenta: il relativo intreccio forgia la complessità della
esperienza giuridica, quale effettività di convivenza della comunità civile, con valori
condivisi e regole applicate. Nel concetto di diritto è insito il criterio del limite, così nelle
relazioni individuali che nei gruppi e a maggior ragione verso la comunità, perché le va-
rie sfere giuridiche possano coesistere nella convivenza civile.
Con l’avvento dello Stato moderno (di cui appresso), come referente della totalità del
diritto, emergono fondamentali dilemmi della modernità, per il progressivo divario tra
regole giuridiche formalizzate e realtà materiale vissuta. Di tale complessa esperienza
giuridica vanno colte fondamentali declinazioni, che serbano alcuni criteri e prospettano
nuovi 3. In tale evoluzione la società è stata prima attraversata e poi sovrastata dalla crisi
della modernità, con l’emersione di una età che si interroga sul percorso della vita e valo-
rizza la collocazione sociale e umana delle persone: rileva il condizionamento umano ri-
spetto alla famiglia, alla comunità, al territorio e all’epoca, con radicamenti della persona
secondo proprie istanze e identità (homme situé). La pandemia sanitaria del Covid degli
anni 2020-2022 ha acuito il senso del limite e della fragilità umana, evidenziando la es-
senzialità della coesione civile.
In tale articolato percorso, regole, principi e istituti giuridici vanno calati nell’ambien-

2
La famiglia, formalizzata o di fatto, si atteggia sempre più come comunità relazionale, dove convivono e
vicendevolmente si prestano assistenza e collaborazione più generazioni, cementate dall’amore.
3
La vita, per la sua poliedricità e problematicità, è irriducibile ad astratti modelli normativi; eppure c’è
l’esigenza della certezza del diritto come collante di convivenza civile, contro immunità, privilegi e angherie
delle pregresse società stratificate per classi, e per la calcolabilità delle azioni umane. Gli scambi commerciali
trascurano le specificità delle persone, nelle singole realtà e con le particolari appartenenze; eppure il raffor-
zamento e l’espansione della produzione e dei consumi hanno consentito l’appagamento di antiche precarietà
e di nuovi bisogni. La democrazia, come governo del popolo, è influenzata dalla composizione del popolo abi-
litato al suffragio elettorale, che detta le regole per tutti; eppure la formazione dal basso della volontà della
comunità resta l’unico modello di governo espressivo di libertà personale e civica. L’azione pubblica ha favori-
to corruzioni e piegamenti sociali; eppure l’affermazione di strutture pubbliche organizzate ha consentito ap-
prodi e riparo a disagi umani e sociali. Gli status delle persone, documentati nelle forme giuridiche, sovrasta-
no la realtà delle relazioni umane dove si nasce, si muore, si sviluppano amori e intessono convivenze nella “on-
tologia sociale”; eppure la formalizzazione degli stati consente presidi e tutele specie ai più deboli della società.
CAP. 1 – ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE 5

te sociale ove storicamente si muovono le vicende umane, alla stregua delle condizioni
naturali, delle appartenenze sociali e delle conoscenze acquisite. Anche la effettività della
giustizia passa attraverso la contestualizzazione dei fatti e l’attualizzazione dei precetti.

2. Correlazioni del diritto con altre esperienze culturali. – Varie esperienze umane
e sociali e molti saperi culturali si atteggiano come ragioni di sostegno alla esperienza
giuridica.
La morale e la religione 4 additano peculiari modelli di precettività. La medesima con-
dotta, moralmente o religiosamente impegnativa, può essere considerata rilevante anche
dal diritto: si pensi ad es. ai precetti di non uccidere e non rubare, che sono peccati per la
visione cristiana e reati per gli ordinamenti statali. Solo che la dimensione morale si esauri-
sce nell’intimità della coscienza, e quella religiosa attinge ad una finalità trascendente; men-
tre la dimensione giuridica si svolge ontologicamente nella relazionalità sociale attraverso
l’apparato ordinamentale: il diritto si proietta nelle regole impegnative di convivenza, affin-
ché le aspirazioni e le passioni dei singoli possano esprimersi in modo socialmente compa-
tibile, così da realizzare equilibrio e coesione tra i consociati. Talvolta vi è maggiore per-
meabilità, talaltra più stridente antitesi, tra precetti etici e religiosi e regole giuridiche; è es-
senzialmente con l’illuminismo che la teoria dei “beni giuridici” si secolarizza o laicizza, as-
sumendo rilevanza giuridica solo interessi tutelati dall’ordinamento.
La storia, come dialogo con il passato, ha sempre svolto un’importante azione di verifica
del diritto. Senza coscienza storica non è possibile capire il presente e quindi progettare il
futuro: essenziale è conoscere le regole del passato, non tanto per le prescrizioni realizzate,
quanto per le idee che le avevano ispirate e i conflitti che ne avevano determinato l’ado-
zione. La filosofia ha sempre svolto una essenziale funzione intellettuale di analisi dell’uomo
e della società per le vocazioni immaginate o assegnate (divine o terrene) e di congruenza
logica e etica delle regolazioni giuridiche.
Le scienze stanno dischiudendo ampi scenari di intreccio con l’esperienza giuridica.
Si pensi solo alle problematiche suscitate dalle nuove tecnologie e specificamente dalla
telematica, rispetto al controllo ormai sistematico della persona, con ispezione del
corpo e indirizzamento di vita. È ormai ricorrente l’intreccio tra “principio di innova-
zione” che tende a fare applicazione di tutti i risultati della scienza e “principio di pre-
cauzione” che mira a segnare limiti di intervento per la salvaguardia di fondamentali va-
lori etici. Nelle relazioni interpersonali stanno crescendo gli ausili delle scienze cognitive,
che ormai hanno per oggetto lo studio dei generali processi cognitivi, umani e artificiali.
Le tecnologie applicate alla vita umana e alla natura suscitano complessi problemi di bioe-
tica e di salvezza dell’equilibrio naturale del pianeta, che il diritto deve armonizzare con
la dimensione umana.
La economia ha assunto nelle società moderne un nesso importante con il diritto,
specie a seguito dell’affermazione del mercato, come generatore di ricchezza, soggetto
alla regolazione giuridica: in connessione con il diritto è parametro essenziale di pro-
grammazione di uno “sviluppo sostenibile”; orienta la formazione del diritto, ma è al

4
Il termine “religione” deriva dal latino religio derivato dal verbo religare “legare” per intendere il valore
vincolante del singolo e del gruppo agli obblighi sacrali. Il riferimento alla religione non è tanto alle pratiche
di culto quanto alle motivazioni di fede.
6 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

tempo stesso indirizzata e regolata dal diritto, dovendo il diritto esprimere la comples-
sità della morfologia sociale e il bilanciamento degli interessi coinvolti 5. Sempre più al
giurista si chiede di raccordare, attraverso la propria analisi, i valori espressi dall’ordi-
namento con i presupposti economici necessari ad un efficiente funzionamento del si-
stema; come all’economista si chiede di apprestare soluzioni che tengano conto del
quadro istituzionale della società civile.
La raffigurazione del diritto risente dei vari angoli di osservazione dei delineati saperi
culturali, in ragione degli obiettivi che la singola scienza che lo esamina si prefigge 6. Il
diritto attraversa tutte le declinazioni della vita umana, suscitando problematiche spesso
contrapposte e che pure deve bilanciare, tra libertà e autorità, tra individuo e comunità,
tra economia e società. Il giurista guarda al diritto come una complessiva esperienza giu-
ridica, che consente la convivenza civile improntata ai valori operanti nella società e ri-
flessi nell’ordinamento; con la sua azione contribuisce alla formazione della cultura giu-
ridica che ispira e media i precetti giuridici con l’ambiente sociale, svolgendo così una
importante funzione civile. La formazione di una società globale, interconnessa, compor-
ta una relativizzazione culturale di concetti e valori 7: sono traiettorie che attraversano
per intero il diritto, stimolandone l’emersione e forgiandone percorsi e obiettivi.

3. La valutazione giuridica della realtà materiale. – Non ogni relazione sociale e in


genere non ogni interesse e non ogni fatto materiale (comportamento umano o accadi-
mento naturale) sono anche giuridicamente rilevanti: essenziale si rivela la valutazione
che degli stessi compie l’ordinamento giuridico. Sia in relazione ad un interesse che ad
un fatto materiale (umano o fisico) il diritto può assumere un duplice atteggiamento: di
indifferenza, in quanto considerati ininfluenti e quindi non meritevoli di disciplina; di
rilevanza, in quanto involgenti valori rilevanti dell’ordinamento e quindi da disciplina-
re. In questa seconda ipotesi può tenere una posizione di apprezzamento, e quindi pro-
teggerli e talvolta incentivarli, o di contrarietà, e quindi vietarli e talvolta punirli (illeciti).
Un fenomeno diviene giuridico quando l’interesse o il fatto materiale (umano o naturale)
incide sul modo di essere e sentire della comunità sociale, sicché la stessa società avverte
l’esigenza di prevederlo e regolarlo.
Il diritto è dialogico, in quanto esprime il rapporto e la proporzione di ogni sogget-
to con il resto della comunità 8; svolge una funzione complessa in quanto tende a ga-

5
Se lo sviluppo delle comunicazioni mercantili ha favorito la dissoluzione della c.d. “società chiusa”, è
anche necessario che dei processi di dispiegamento del mercato, quale significativa espressione della c.d. “so-
cietà aperta” (Popper), siano partecipi tutti i protagonisti della società civile. Anche l’economia deve essere
partecipe dei vincoli di solidarietà sociale e di tutela della qualità della vita delle persone.
6
Lo storico analizza il diritto nel suo emergere ed evolversi; il filosofo guarda al diritto essenzialmente nel-
la sua radice e nei modi di imporsi; il sociologo è attratto dall’impatto del diritto nella organizzazione del con-
senso sociale; l’economista, più disincantato, osserva il ruolo che il diritto esercita nello svolgersi dei processi
produttivi e così via.
7
La cultura greca era solita considerare la tecnica come necessariamente correlata all’etica e all’estetica,
trovando in queste un limite insormontabile. Analogamente non ogni scoperta può confluire in un diritto
senza il consenso sociale: la scienza non può da sola determinare “diritti individuali” senza la mediazione del-
la politica che riconosca i portati della scienza compatibili con i valori etici storicamente vissuti dalla società.
8
È ormai acquisita alla speculazione più moderna una prospettiva dialogica del diritto, che radica nel dia-
logo e dunque nel consenso l’essenza della esperienza giuridica. Una concezione ontologica del diritto (che
CAP. 1 – ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE 7

rantire l’ordinato dispiegarsi delle relazioni e aspirazioni umane nella pace sociale e a
perseguire gli obiettivi di sviluppo secondo i valori accolti 9. Nelle democrazie della con-
temporaneità il diritto è, a un tempo, presidio di garanzia delle posizioni personali e
ragione di promozione dei valori socialmente condivisi, con sostegno delle posizioni
umane più deboli.
Società e diritto implicano concetti sinergici, esprimendo sostanza e forma, ovvero
profilo materiale e profilo strutturale, di una medesima esperienza. Perciò il diritto è
storicizzato e cioè localizzato nel tempo e nello spazio, come espressivo della vicenda
storica di una determinata società e dei valori nei quali la stessa si riconosce. Anche
l’assiologia, quale teoria filosofica dei valori e canoni interpretativi della realtà, è votata
ad ammodernare storicamente i referenti: nelle varie epoche, principalmente, la divinità,
l’individualismo, la persona umana. Per imporsi alla intera comunità con regole vinco-
lanti, il diritto ha bisogno della mediazione formale del comando: quanto maggiormen-
te la ricaduta del diritto sui consociati si conforma al consenso popolare, tanto più l’or-
dinamento (e dunque lo Stato) è democratico; quanto maggiormente se ne discosta, tan-
to più si rivela autoritario 10.
In una società organizzata democraticamente il diritto trae origine dalla volontà dei
consociati e ricade e si impone coattivamente sui consociati stessi come complesso di re-
gole di carattere autoritativo (norme giuridiche), restando in vita fin quando perdura il
consenso sociale (espresso attraverso i sistemi di rappresentatività). In tal senso le varie
ricostruzioni emerse del diritto e dell’ordinamento giuridico sono suscettibili di una
composizione funzionale 11.

cioè ravvisi il diritto nella realtà) conduce a riconoscere una giuridicità preconcetta rispetto alle relazioni so-
ciali, riposta nella natura delle cose o nella natura della persona umana, salvo ricondurla in ultima istanza ad
una divinità o altro: ha il limite di essere riconoscibile solo da alcuni soggetti o solo dai sapienti, prestandosi a
possibili deviazioni, spesso nefaste (dittature, fondamentalismi, ecc.).
9
Esistono convivenze che si fondano su basi religiose; altre che si riconoscono in ideologie della vita so-
ciale; e così via. La convivenza di cittadini in quanto tali, su un medesimo territorio, realizza una comunità
civile, che può essere su base locale, nazionale o più vasta: la convivenza sociale implica la necessità di un or-
dinamento in grado di permettere l’ordinato svolgersi della singola comunità.
10
Al fondo di tali problematiche c’è il tema generale della legittimazione del diritto e dunque del potere,
che storicamente è stato variamente avvertito in ragione di diverse motivazioni. Nelle visuali religiose, e speci-
ficamente nella tradizione cattolica e aristotelico-tomista, il diritto è l’ordine naturale oggettivo al quale il sin-
golo deve conformarsi: il limite dei diritti è l’ordine naturale giusto. Nella ricostruzione laica moderna, che
inizia col rinascimento e si approfondisce con il giusnaturalismo razionale, il diritto diventa prerogativa del-
l’individuo, che autonomamente agisce nella società: il limite dei diritti è il diritto altrui. La deriva della prima
impostazione è la oppressione in nome della giustizia; la deriva della seconda è l’abuso della debolezza altrui.
Come si vedrà, sono le Costituzioni del sec. XX a segnare una svolta profonda, in funzione di protezione del-
la dignità umana (II, 7.1).
11
È possibile aggregare le varie ricostruzioni che storicamente sono emerse del diritto e che hanno influenza-
to la ricostruzione dell’ordinamento giuridico intorno ad alcuni nuclei fondamentali: da un lato, dottrine c.d.
normative che valorizzano l’aspetto strutturale del diritto, ricostruendo il diritto come “sistema di comandi”, la
cui legittimazione, meramente formale, è espressa dall’autorità che lo emana (concezioni c.d. volontaristiche o
soggettive); dall’altro, dottrine in vario senso sociali, che ne esaltano il profilo sostanziale di interazione con la
società, ricostruendo il diritto come “sistema di valori”, la cui legittimazione, assolutamente funzionale, è radi-
cata nel consenso sociale (concezioni c.d. organicistiche o oggettive ovvero, con specifica attenzione ai valori,
c.d. assiologiche). In una dimensione particolare si muovono le dottrine c.d. istituzionali, che pongono come
prius dell’esperienza giuridica l’istituzione e cioè la struttura, l’organizzazione più o meno stabile di una società
unitariamente intesa (l’istituzione è essa stessa diritto, in quanto non è ammissibile una società senza organizza-
8 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

Una tradizionale raffigurazione porta ad attribuire due peculiari significati al diritto,


in senso oggettivo e in senso soggettivo. Il diritto oggettivo indica l’insieme dei pre-
cetti giuridici vigenti, su cui si fondano i rapporti tra consociati o tra le diverse comunità
(es. la normativa sulla proprietà). Il diritto soggettivo in senso ampio indica il potere
attribuito al soggetto di assumere un determinato comportamento per realizzare un pro-
prio interesse (es. il diritto del proprietario di godere e disporre di un bene) 12. Le due
accezioni sono sinergiche: in tanto un soggetto può vantare un diritto (e dunque un po-
tere) in senso soggettivo in quanto sussiste un precetto giuridico oggettivo che lo ricono-
sce e ne consente l’attuazione; al diritto oggettivo spetta anche apprestare gli strumenti
di attuazione coattiva del diritto soggettivo quando lo stesso è leso da altro soggetto (es.
invasione arbitraria del fondo altrui) o non è soddisfatto dal soggetto che è tenuto ad os-
servarlo (es. inadempimento del debitore del suo obbligo) (VII, 1.4).

4. Ordinamento giuridico. – L’ordinamento giuridico, nella sua essenza, è il com-


plesso di regole vincolanti che ordina una comunità. Detta le regole di condotta dei con-
sociati, disciplinando gli interessi e le relazioni umane e fissando i diritti e i doveri dei
consociati (norme materiali o sostanziali). Inoltre detta le regole di produzione delle nor-
me e di presidio delle stesse, con la istituzione di organi di tutela dei diritti lesi e di rein-
tegrazione dell’ordine violato (norme strutturali o formali).
L’ordinamento, imposto autoritativamente o emerso democraticamente, non è uno
mondo astratto, ma è partecipe della società, esprime una configurazione della realtà, re-
golandone cadenze e articolazioni (la natura e l’ecologia; le libertà e le azioni pubbliche;
la vita e le tecnologie; l’economia e i modelli produttivi; le relazioni umane e i meccani-
smi di coesione sociale), secondo i valori di cui la società si dota in un determinato pe-
riodo storico. Le singole norme non operano quindi autonomamente, ma sono integrate
in un complessivo ed unitario sistema che tutte le comprende. Correlativamente la re-
golazione dei fatti non si esaurisce nelle norme di settore che specificamente prevedono i
singoli fenomeni materiali, ma coinvolge l’impianto dei principi generali dell’ordinamen-

zione). Altro filone, valorizzando la dimensione soggettiva del diritto, considera il diritto come un sistema di
rapporti giuridici. In realtà le varie impostazioni non sono alternative ma complementari, per esprimere ognu-
na insopprimibili aspetti del diritto, che, nella sua essenza, vive in quanto sentito e osservato nella società; e per
la sua osservanza necessita di comandi e strutture che ne garantiscono l’applicazione; per sua intima destinazione
è rivolto alla regolazione della relazionalità. Negli ordinamenti democratici, come quello italiano, la legittimità
del potere sta nella sovranità popolare: per l’art. 12 Cost. “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle
forme e nei limiti della Costituzione”; inoltre i cittadini hanno pari dignità sociale e giuridica, con obbligo della
Repubblica di favorire lo sviluppo della persona umana (art. 31 Cost.).
Il degrado istituzionale e la inefficienza delle leggi a governare la contemporaneità ripropongono la valu-
tazione delle radici del diritto. Osserva P. Grossi: “il diritto, anche se le sue manifestazioni più vistose sono in
solenni atti legislativi, appartiene alla società e quindi alla vita, esprime la società più che lo Stato, è il tessuto
invisibile che rende ordinata la nostra esperienza quotidiana, consentendo la convivenza pacifica delle reci-
proche libertà”. Ciò è sicuramente vero, e nei settori con maggiore pervasività umana come la famiglia è la
prassi; è però anche vero che solo l’attingere delle relazioni sociali alla forza dell’ordinamento nella sua com-
plessità garantisce l’esercizio dei diritti e delle libertà democratiche, assicura l’attuazione dei doveri individua-
li e sociali, consente la realizzazione dello stato sociale.
12
L’esperienza anglosassone esprime i due versanti del diritto con i termini Law (per indicare il diritto in
senso oggettivo) e Right (per indicare il diritto in senso soggettivo). Una duplicità terminologica era già in diritto
romano, con le due espressioni norma agendi e facultas agendi.
CAP. 1 – ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE 9

to, come le elaborazioni concettuali e le traiettorie giurisprudenziali che assicurano l’in-


telligenza e l’applicazione del sistema. L’analisi di un ordinamento permette di penetrare
la storia della comunità che l’ha voluto e adottato a proprio sistema di convivenza civile.
Si vedrà della perenne esigenza di adeguamento dell’ordinamento alla realtà storica
dei fatti da regolare, attraverso un bilanciamento proporzionato delle regole di settore
con i principi e tra i vari principi operanti. Il sistema evolve storicamente in ragione dei
mutamenti dei valori sociali. Una fisionomia complessiva dell’ordinamento è ricostruibile
attraverso tre fondamentali traiettorie: l’impianto sistematico, la trama normativa e le
istituzioni organizzative.
a) L’impianto sistematico è la sintesi articolata della esperienza giuridica.
Il sistema 13 esprime una realtà composita, coinvolgente il modello di sovranità, le
tecniche di governo, le istituzioni costituite, il modello di giurisdizione; nella dimensione
normativa esprime il complesso di regole e principi, come di interpretazioni e prassi, che
operano in maniera coordinata in un contesto storico, così nella regolazione delle relazio-
ni sociali che nella organizzazione degli apparati istituzionali. L’articolazione del sistema
riflette la fisionomia dell’ordinamento giuridico.
Sono frequenti ipotesi di conflitti tra valori espressi dall’ordinamento giuridico: si
pensi ad es. al diritto di cronaca e critica (art. 21 Cost.), rispetto alla tutela dell’onore e
della privacy (art. 2 Cost.); si pensi alla tutela esistenziale dell’individuo (art. 21 Cost.) a
fronte dei doveri di solidarietà verso la comunità familiare e la società in genere (artt. 22
e 22-31 Cost.). Nasce l’esigenza di bilanciamento tra normative di diversa provenienza
e tra valori di differente emersione, attraverso criteri di adeguatezza e proporzionalità:
spesso l’equilibrio tra i valori muta nel tempo, sicché, pur nella continuità formale delle
disposizioni, si modifica il precetto imperativo.
Il sistema è connotato dei caratteri di effettività e completezza.
La effettività esprime la garanzia di osservanza delle regole (materiali e strutturali),
attraverso vari meccanismi (sanzioni o incentivi). La effettività rimanda dunque all’esi-
stenza di una autorità, normativamente regolata, che garantisce lo svolgimento delle atti-
vità e assicura l’attuazione dei diritti e l’irrogazione delle sanzioni. Con l’affermazione
dello stato sociale rileva anche la effettività di azioni per assicurare lo sviluppo della per-
sona umana (art. 32 Cost.) (ampiamente in seguito).
La completezza indica che ogni fatto della vita deve trovare regolazione all’interno
dell’ordinamento. È un profilo della certezza del diritto: la unitarietà dell’ordinamento in
cui si collocano nel tempo le varie regole consente di apprestare soluzione anche a casi
non espressamente previsti, purché involgenti interessi rilevanti per il diritto.
Con l’edificazione dello stato moderno la comunità statale, radicata su un territorio
definito e sorretta da un popolo con relativa cittadinanza, è apparsa come la più perva-
siva delle comunità; sicché l’ordinamento statale è stato configurato come sovraordina-
to agli statuti delle formazioni sociali sussistenti sul territorio statale, a presidio della
stabilità di organizzazione della comunità nazionale.

13
Il termine “sistema” proviene dal verbo greco istemi (stare) con il prefisso syn (insieme). Il sistema è
pertanto un insieme di elementi che, non solo coesistono, ma stanno insieme e quindi convivono. L’odierna
esortazione a “fare sistema” vuole appunto indicare che non è sufficiente coesistere, ma bisogna orientare in
modo coordinato iniziative e comportamenti.
10 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

Nell’età contemporanea, per intanto, all’apice degli ordinamenti giuridici statali sono
le Costituzioni, quali tavole di valori nei quali le società civili si riconoscono, e che perciò
devono essere il più possibile condivisi dal corpo sociale 14. Inoltre il diritto tende sem-
pre più a non esaurirsi nell’ordinamento statale e nelle leggi che dallo stesso promanano.
Si dipana una pluralità di fonti, di formazione anche non statale, per cui il diritto vi-
gente è di diversificata provenienza. Come si vedrà, per l’art. 10 Cost. l’ordinamento giu-
ridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciu-
te (vi è l’apertura al diritto internazionale consuetudinario e convenzionale); per l’art. 11
Cost. l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovra-
nità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni, pro-
muove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo (la norma fu imma-
ginata con riferimento alle Nazioni unite, ma poi è diventata la base di legittimazione della
costruzione dell’istituzione europea e del diritto europeo); per l’art. 2 Cost. la Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali ove si svolge la
sua personalità (è la base per lo sviluppo del pluralismo sociale e del riconoscimento degli
statuti dei gruppi) (I, 2.8).
La valorizzazione del pluralismo sociale e ordinamentale conferisce rilevanza a orga-
nizzazioni operanti secondo proprie regole e finalità. Emergono ordinamenti particolari
di gruppi e autonomie che regolano la vita e l’azione degli stessi e dei soggetti che vi af-
feriscono, secondo le finalità prefisse (c.d. pluralità degli ordinamenti), da svolgere nella
cornice e secondo i principi dell’ordinamento giuridico generale (v. appresso: I, 2.8).
b) La trama normativa indica la varietà di esplicazione della precettività. Il tessuto
normativo è penetrabile con l’impiego di concetti, che consentono di raffigurarne la fi-
sionomia, e di un linguaggio come rappresentazione dialogica condivisa. Secondo i con-
cetti e il linguaggio più diffusamente utilizzati, la trama dell’ordinamento è ricostruibile
attraverso le norme, gli istituti e i principi.
La norma giuridica 15 è la unità elementare dell’ordinamento e cioè la singola rego-
la di comportamento o di organizzazione della società 16, più spesso caratterizzata da un
precetto e da una sanzione per la sua inosservanza. Quando il precetto imposto da una
norma è correlato con altri precetti posti da altre norme, la regola di condotta impegna-
tiva per i consociati consegue al combinato disposto di più norme secondo un criterio si-
stematico di interpretazione ed applicazione del diritto. La norma è inglobata nel sistema
ordinamentale che concorre a formare e dal quale, nel suo insieme, riceve la linfa precet-
tiva (se ne parlerà in seguito: I, 3.2).
L’istituto giuridico esprime il compendio delle regole che disciplinano un singo-
lo fenomeno giuridico, talvolta ampiamente inteso (es. proprietà, matrimonio, contrat-
to, ecc.), talaltra considerato in uno specifico profilo (accessione, comunione legale,

14
Per Capograssi una Costituzione rappresenta la determinazione precostituita del modo di procedere
per la formazione intrinseca dell’esperienza giuridica: essa è dunque il punto fermo, il centro stabile di una
società, la condizione e il segno del profondo ordine che regge o non regge la società.
15
Il termine “norma” deriva dal latino norma (letteral. squadra, intesa come strumento, figur. regola).
16
Talvolta un’unica norma esaurisce il contenuto di un singolo articolo, talaltra più norme coesistono nel
medesimo articolo. Ogni articolo, a sua volta, è spesso contraddistinto da vari capoversi: c.d. commi. Di so-
vente l’articolo ha una sua titolazione: c.d. rubrica, che non è partecipe della disposizione ma contribuisce alla
comprensione del significato della stessa.
CAP. 1 – ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE 11

forma del contratto, ecc.). È dunque un formante della disciplina di singoli fenomeni
giuridici.
I principi hanno un’accezione molteplice, con varie significazioni. Spesso indicano i
criteri logici di scelte normative adottate. Ad es., secondo la nomenclatura dell’espe-
rienza romana, il principio nemo venire potest contra factum proprium (nessuno può ac-
campare diritti in contrasto con un proprio comportamento) è un criterio etico di sal-
vezza della relazionalità; il principio nemo ad factum cogi potest indica la incoercibilità
fisica della persona negli obblighi di fare. Ancora, secondo le specifiche discipline, il
principio di non contraddizione; il principio di relatività delle qualificazioni giuridiche.
Si vuole anche intendere le tecniche organizzatorie di singoli fenomeni (es. i principi
che presiedono alla conclusione dei contratti o alla redazione degli atti, il principio del
consenso traslativo che presidia il trasferimento dei diritti). In una visione complessiva e
assiologia, esprimono i valori fondamentali attingendo ai principi generali inderoga-
bili, talvolta espressamente formulati, talaltra desumibili dalla combinazione di più nor-
mative e dalla complessità ordinamentale (si pensi ai diritti fondamentali della persona
umana) (II, 7.1); nella medesima prospettiva si collocano le c.d. clausole generali,
quali tecniche di normazione di completamento di fattispecie concrete, elastiche ed adat-
tabili alle evoluzioni della realtà materiale e giuridica (es. buona fede) (II, 7.2).
c) Le istituzioni organizzative sono gli apparati che consentono la produzione delle
regole, il rispetto dei diritti e l’assolvimento dei doveri, così verso lo stato e la società che
nelle relazioni personali. Sono strutture di presidio della convivenza, segnando l’intrec-
cio delle libertà individuali con gli interessi comuni: sono limitative ma anche garanti
delle libertà, consentendo l’integrazione delle libertà nella comunità. Il riferimento ricor-
rente della Costituzione alla “Repubblica” ha riguardo alle istituzioni pubbliche della
stessa: per l’art. 5 Cost. la Repubblica adegua i principi e i metodi della sua legislazione
alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Nello stato moderno liberale, quale stato di diritto, si è affermata da tempo la divi-
sione dei poteri e delle connesse istituzioni 17. La divisione consiste nell’individuazio-
ne di tre funzioni pubbliche nell’ambito della sovranità dello Stato, attribuite a tre di-
stinti poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) ciascuno indipendente dagli altri pote-
ri 18. La storia delle istituzioni democratiche presenta varie forme di coordinamento e di
bilanciamento tra i tre poteri, in ragione della rilevanza attribuita ai diritti umani, alla
efficienza economica e al funzionamento del sistema. Con la pluralizzazione delle fonti
emergono anche istituzioni sovranazionali di organizzazione delle relazioni sociali e di
definizione delle controversie, come si affermano istituzioni di autonomie territoriali e
di specifiche competenze.

17
Il principio, delineato da Locke, veniva affinato da Montesquieu, divenendo uno dei capisaldi del libe-
ralismo.
18
I tre poteri sono raffigurati nella Parte II della Costituzione, intitolata “Ordinamento della Repubblica”
(artt. 70 ss. Cost.): il potere legislativo spetta al Parlamento, con bicameralismo perfetto (artt. 70 ss.); il potere
esecutivo al Governo, cui sottendono gli uffici ministeriali e altri gerarchicamente sottoposti, espressivi della
pubblica amministrazione (art. 92 ss.); il potere giudiziario alla Magistratura (artt. 101 ss.), e la funzione giuri-
sdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario (art.
102). Lo sviluppo delle autonomie ha riproposto le medesime cadenze (artt. 114 ss.). La potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni (art. 117) (se ne parlerà nelle fonti del diritto).
12 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

Nel presente volume, le prime tre parti, articolate sotto la titolazione di “Principi”,
vogliono fare emergere, in via generale e complessiva, valori, criteri logici e categorie che
sovrintendono alla disciplina del diritto privato e alla tutela delle situazioni soggettive.
Le parti successive, raggruppate sotto la titolazione di “Istituti”, analizzano i singoli fe-
nomeni giuridici e le discipline che li regolano.
5. Diritto positivo e diritto naturale. – Le relazioni sociali implicano competizione
e spesso contrasto tra idee come tra interessi. La soluzione dei conflitti può essere affida-
ta all’ordinamento o rimessa al sentire spontaneo.
Il diritto positivo 19 è il complesso delle regole, adottate attraverso le procedure for-
mali di produzione del diritto, costituenti l’ordinamento giuridico. L’osservanza del di-
ritto positivo, come si vedrà, vale a garantire la certezza del diritto e dunque la prevedi-
bilità dell’applicazione delle regole.
A sua volta il diritto positivo si svolge in due dimensioni: diritto materiale e diritto
strumentale (alle quali si è già accennato). Sono versanti distinti ma necessariamente cor-
relati, in funzione della effettività dell’ordinamento giuridico. Il diritto materiale (an-
che detto diritto sostanziale) regola i rapporti tra i soggetti, selezionando gli interessi
considerati meritevoli di tutela e quelli destinati a soccombere, così attribuendo diritti e
obblighi: tali sono ad es. il diritto civile e il diritto penale. Il diritto strumentale (an-
che detto diritto formale) disciplina i meccanismi necessari per l’attuazione degli interessi
protetti e dunque regola i mezzi di tutela dei diritti accordati dall’ordinamento: tali sono
tipicamente il diritto processuale e il diritto internazionale privato. Va però rilevato che,
in tale grande ripartizione, sono molte le ipotesi di intreccio tra norme materiali e norme
strumentali, così nel diritto sostanziale 20 come nel diritto processuale 21.
Il diritto naturale indica l’insieme di principi che si fanno derivare da fonti non for-
mali, quali (nelle diverse ideologie) la natura umana o la divinità o la ragione, ecc. Esprime
le aspirazioni delle società antagoniste alla legge formalmente posta: è una antica e tradi-
zionale risorsa contro il diritto positivo, quando lo stesso impone regole non condivise
dalla società, sicché la legalità si inaridisce e non rispecchia più il sentire comune fino a
divenire mero presidio del potere. È l’antico dilemma tra ethos e nomos 22. Fu così per il
diritto naturale cristiano delle origini che si ispirava alla “legge divina”, come lo fu suc-
cessivamente per il diritto naturale protestante (iscritto da Dio nel cuore di tutti gli uo-
mini) destinato ad evitare la corruzione ecclesiale; lo è stato per il giusnaturalismo razio-
nale dell’età moderna, emancipato dalla teologia morale ed ancorato ad un sistema di
“diritto di ragione” 23.

19
Il termine “positivo” deriva dal latino positivus (viene posto); da cui l’espressione ius in civitate posi-
tum.
20
Nel diritto privato, ad es., le normative relative alla pubblicità delle persone fisiche, delle imprese, della
circolazione dei beni immobili e mobili registrati.
21
Alcuni principi di diritto processuale esprimono valori sostanziali di una società: es. il rispetto del con-
traddittorio tra le parti in lite fissato nel diritto processuale civile.
22
La figura di Antigone, proposta da Sofocle, tuttora esprime il divario tra la legge statale (impersonata
dal re Creonte, che vietava la sepoltura di Polinice come traditore di Tebe) e il diritto derivante dal sentire
sociale e religioso (al quale si appella e ricorre Antigone per dare sepoltura al fratello Polinice, portandola al
forzato suicidio).
23
Il “diritto naturale”, come antagonista del diritto positivo, non è assoluto: risente della confessione reli-
CAP. 1 – ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE 13

La legge stessa, quando vuole regolare un fenomeno giuridico secondo le cadenze


che assume nella realtà sociale, valorizza la dimensione “naturale” del fenomeno: tipi-
co esempio è la definizione della famiglia come “società naturale” (art. 29 Cost.). Tal-
volta la legge ricorre a tale accezione quando vuole definire un fenomeno che trae vita
da un fatto diverso da quelli previsti e regolati dalla legge: così per le “obbligazioni na-
turali”, come prestazioni spontaneamente eseguite in esecuzione di doveri morali o so-
ciali (art. 2034).

6. La scienza giuridica e le categorie. – La scienza giuridica è, insieme, pratica e teo-


rica: da un lato, individua i conflitti suscitati dalle relazioni umane nella realtà socio-eco-
nomica osservata; dall’altro, elabora i formanti logici necessari alla traduzione del dato
reale in soluzioni giuridiche.
La scienza giuridica trova il proprio nutrimento nella realtà materiale, ma si esprime
inevitabilmente attraverso i concetti, che sono rappresentativi dei singoli fenomeni e
dei beni giuridici tutelati. I concetti assurgono a essenziali costruttori di elaborazione
delle scelte e di dialogo di vedute, consentendo la costante discutibilità dei risultati con-
seguiti 24.
La struttura logica del trattamento dei problemi è essenziale risorsa della democrazia,
perché consente di verificare la individuazione dei problemi assunti e la coerenza delle
soluzioni apprestate, ripercorrendo il procedimento usato per arrivare al risultato. La
verifica del procedimento logico seguito consente di individuare i fattori materiali osser-
vati e le componenti giuridiche utilizzate nel ragionamento che conduce al risultato. An-
che nella scienza giuridica, come in ogni scienza, resta il dato insormontabile espresso
dalla logica moderna, filosofica e matematica, del divario tra “verità”, che attinge alla
sfera metafisica e “dimostrabilità” che attiene alla esperienza umana. Nei giudizi rileva la
dimostrazione della soluzione espressiva di logica verosimiglianza.
Il dialogo giuridico coinvolge il ruolo del linguaggio impiegato. Spesso il linguag-
gio dei giuristi si esprime con astrazioni e per metafore, ad imitazione di fenomeni reali
(es. persone giuridiche, modellate sulle persone fisiche; bene giuridico, come trasposi-
zione di entità materiali o immateriali): tale progredire logico richiede consapevolezza
dell’astrazione rispetto alla realtà materiale. Per di più la provenienza dei testi normativi
da istituzioni diverse (Unione europea, Stato, Regioni, ecc.) comporta l’impiego di no-
menclature non sempre omogenee e una artificiosa collocazione dei testi. Si aggiunga la
essenziale interdisciplinarietà nella maturazione di molte scelte normative, che implica
un variegato tessuto lessicale. Il linguaggio riflette il pensiero; analizzando la formula-
zione del linguaggio si risale alla struttura del pensiero: l’uso di un linguaggio condiviso
è utile mezzo di comunicazione.
Nell’opera di regolazione della esperienza sociale si rivela essenziale la formulazione
di categorie giuridiche intese quali meccanismi logici di rappresentazione e qualifi-
cazione dei fenomeni giuridici. Per essere fondamentali schemi ricostruttivi di fenomeni

giosa e dell’ideologia politica che lo sostengono, dell’epoca storica e del contesto sociale di riferimento, delle
evoluzioni tecnologiche in grado di liberare nuove prospettive di svolgimento della persona.
24
Per K. POPPER (1934) il metodo scientifico deve essere connotato da un criterio di falsificazione: una
teoria, per essere controllabile, perciò scientifica, deve essere “confutabile”.
14 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

giuridici, sono inevitabilmente in perenne evoluzione con il cambiamento della società e


dei suoi valori e il mutarsi dell’ordinamento 25. Le categorie, formulate in concetti, sono
espressive di un impianto teorico che riflette la realtà storica del tempo di elaborazione e
dunque il fluire storico della vita degli uomini: da ciò la necessità di verificare costante-
mente l’attualità ordinamentale delle categorie giuridiche.
Molte categorie, storicamente emerse nella prospettiva della proprietà immobiliare e
della sua appartenenza (ricchezza statica), trovano difficoltà a supportare una attualità
alimentata dall’attività economica e dalla collocazione dei prodotti (ricchezza dinamica);
un crescente sostegno all’economia reale, attraverso l’aiuto alle imprese e la stimolazione
dei consumi, sta enucleando meccanismi difficilmente riconducibili a tradizionali model-
li fondati sul rispetto della proprietà fondiaria. Analogamente categorie forgiate nella
prospettiva della indipendenza delle sfere giuridiche individuali stentano a intrecciarsi
con percorsi culturali di perseguimento di valori solidaristici della modernità. La forza
della concettualizzazione, come sostegno al principio della certezza del diritto, aveva
condotto ad una elaborazione di categorie giuridiche, come autonome e alternative: in-
vece più spesso esiste una complementarietà di situazioni e esperienze di vita, che vanno
decifrate e valutate.
Categorie giuridiche generali come “personalità”, “proprietà”, “contratto”, “respon-
sabilità”, e ancora “popolo”, “cittadino”, “sovranità” ecc., esprimono criteri di rappre-
sentazione di interessi e valori emersi in varie epoche e in più contesti e culture sociali,
composti e organizzati in concetti fruibili dalla comunità. Le strutture sociali e le dina-
miche economiche segnano, ad un tempo, la nascita e l’ancoraggio delle categorie, che
vanno costantemente ammodernate, dovendosi sempre ricercare i principi immanenti e
le innovazioni nel sistema, pur nella continuità formale di alcuni precetti; tanto più con
l’emergere di una tendenza alla uniformazione sovranazionale del diritto. C’è anche un
problema di perduranza di categorie emerse in singoli settori dell’ordinamento trapian-
tate in settori diversi: ad es. il diritto tributario erode sempre maggiormente categorie
civilistiche per scopi fiscali.
Un ruolo essenziale nella esperienza giuridica (nella formazione, nella interpretazio-
ne e nell’applicazione del diritto) assume la scelta del metodo 26, volto a individuare la
fattualità delle vicende materiali (la condizione dei soggetti coinvolti come la natura degli
interessi attuati o sacrificati) 27, alla cui stregua verificare l’attualità delle categorie utiliz-

25
Le categorie giuridiche sono destinate ad emergere, vivere e declinare coerentemente allo svolgersi dei
modelli di coesione sociale, ed eventualmente risorgere quando si ripresentano analoghi conflitti sociali (co-
me si sta verificando con la crescente tutela accordata alla pluralità di situazioni giuridiche insistenti sul me-
desimo bene, che richiama la logica dei plura dominia). L’affermazione dei diritti umani e l’emersione di un
diritto dell’economia forgiano nuove esperienze giuridiche, che talvolta si mescolano e combinano con altre
pregresse, talaltra le sovrastano, in funzione del formarsi di nuovi equilibri sociali e giuridici, spesso ricostrui-
bili con nuove tecniche, ma non di rado regolabili con consolidati moduli.
26
Il termine “metodo” proviene dal greco antico, dall’unione delle parole metà (dopo) e òdos (via, strada).
Adottare un metodo quindi vuol dire scegliere una strada e seguirla. Come si vedrà è il problema proprio del-
la interpretazione giuridica: seguire un percorso per pervenire ad una soluzione che fissi la regola del singolo
fatto.
27
Fondamentale la elaborazione di F. VON HAYEK e K. POPPER della idea di “logica della situazione”,
come metodo di comprensione della società attraverso le interazioni che i soggetti razionali o irrazionali coin-
volti in una vicenda storica via via mostrano.
CAP. 1 – ORDINAMENTO GIURIDICO E REALTÀ SOCIALE 15

zate 28, secondo le scelte ordinamentali di settore e dei principi generali. Vi è una norma-
tività del fatto, nel senso di proporsi costantemente come referente di differenti funzioni
nei rinnovati contesti sociali e giuridici. La scienza giuridica deve cogliere i fatti del-
l’esperienza secondo quanto la volontà degli uomini costruisce, lo spirito dei tempi pro-
pone e l’ambiente sociale organizza; e valutarli attraverso una interazione tra realtà fat-
tuale, regole specifiche e valori ordinamentali, attingendo alla complessità del sistema
storicizzato.

7. I principali sistemi giuridici: civil law e common law. – Pur accentuandosi la


tendenza alla uniformazione di valori, principi e regole giuridiche, specie in ragione
dell’affermazione universale dei diritti umani e della espansione dei traffici commerciali
oltre i confini nazionali, permane un fondamentale divario di modelli di sistemi giuridici,
relativamente alla formazione e all’applicazione delle regole giuridiche. Le esperienze
giuridiche dei singoli paesi, in ragione della organizzazione tecnico-giuridica, sono fon-
damentalmente ricollegabili a due famiglie ordinamentali, di civil law e di common law,
che hanno avuto origini e sviluppi diversi 29.
Il sistema di civil law è il modello ordinamentale dominante a livello mondiale; si ri-
conducono a tale modello il nostro paese e i paesi dell’Europa continentale, compresa la
Russia; vi afferiscono anche i paesi del Sud America e dell’America centrale, la Cina e
molti paesi asiatici, nonché quasi tutti i paesi del continente africano. È edificato in Eu-
ropa dopo la lunga esperienza del diritto comune dell’epoca medievale, quando, per più
ragioni (politiche, economiche e sociali), l’illuminismo giuridico aveva maturato la cultu-
ra della legge come base di certezza del diritto uguale per tutti (anche se poi si scorgerà
di trattarsi di una uguaglianza solo formale).
È un diritto di fonte legislativa. I giudici sono tenuti ad applicare il diritto espresso
dalle leggi; i precedenti giudiziari non sono vincolanti, svolgendo una funzione solo per-
suasiva dei giudici.
Il sistema del Common law è un modello ordinamentale di matrice anglosassone. È
attualmente in vigore in Gran Bretagna, Irlanda, Stati Uniti d’America (escluso lo Stato
della Louisiana), Canada (esclusa la regione del Quebec), Australia. Alcune nazioni han-

28
Il datato dilemma scientifico tra metodo induttivo, per cui l’indagine si eleva dalla percezione dei fatti
verso la elaborazione di principi, e metodo deduttivo, per cui dai principi provengono i criteri di osservazione
della realtà, va composto in una logica di circolarità del pensiero attraverso una costante relazione tra concetti
ed esperienza: i fatti della realtà, nutriti dei valori storicamente operanti, inducono alla elaborazione di cate-
gorie e regole giuridiche, che a loro volto delineano la disciplina dei casi concreti. È altrettanto errato rico-
struire il passato attraverso le categorie del presente, come interpretare il presente servendosi acriticamente delle
categorie del passato. La omogeneità delle nomenclature non può prescindere dalla individuazione delle “strut-
ture di legittimazione” del diritto nelle varie epoche storiche. La dimensione storica delle categorie consente di
svelare le radici sociali e culturali delle stesse, e dunque di verificare le continuità e le fratture rispetto al passato,
pur nella persistenza delle nomenclature.
29
Relativamente al civil law, hanno particolarmente influito: la formazione universitaria del giurista; la se-
lezione burocratica dei giudici; la frammentazione delle Corti fino all’assolutismo; l’elevato ruolo della dottri-
na nella formazione del diritto. Relativamente al common law, hanno particolarmente influito: la formazione
pratica del giurista; la selezione dei giudici fra i migliori avvocati superiori (barrister); la centralizzazione ed
elevato prestigio delle Corti superiori; il ridotto ruolo della dottrina giuridica universitaria nella formazione
del diritto; la mancanza delle codificazioni; la mancanza del notariato di tipo latino, le cui funzioni sono svol-
te dagli avvocati.
16 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

no adattato il sistema del common law alle loro tradizioni, creando un sistema misto (per
esempio, l’India e la Nigeria attuano il sistema del common law frammisto a regole giuri-
diche di stampo religioso).
È un diritto a formazione essenzialmente giudiziaria (judge made law), sviluppatosi sto-
ricamente attraverso i precedenti delle decisioni giurisprudenziali, con richieste espresse in
formule processuali, prima più stringenti (writs), poi più ampie ed elastiche; vi è un ridotto
intervento del diritto legislativo. È fondamentale la regola dello stare decisis, per cui il pre-
cedente giudiziario è vincolante per i giudici di pari grado o di grado inferiore che succes-
sivamente giudicano il medesimo caso.
Per discostarsene bisogna motivare circa la novità del caso (nella struttura o quanto
meno rispetto a sopravvenuti principi dell’ordinamento o anche all’evoluzione della socie-
tà) attraverso le tecniche del distinguishing 30 e del overruling 31, che consentono al giudice
di individuare la regola del caso di specie, indipendentemente dalla vincolatività del pre-
cedente.
Si vedrà come lo svolgersi della globalizzazione, con circolazione di esperienze eco-
nomiche e di modelli giuridici, sta comportando un avvicinamento delle due aree giuri-
diche tradizionalmente distinte. Nei paesi di civil law sta emergendo una tecnica di case
law, con la esaltazione della specificità del caso concreto e la valorizzazione dell’azione
della giurisprudenza, specie quando le sue decisioni, per ripetersi nel tempo, diventano
un “indirizzo giurisprudenziale”. Nei paesi di common law sta acquisendo una crescente
rilevanza la funzione della legge (statutory law) 32, specie in ragione dello sviluppo del
welfare state. Va così delineandosi una progressiva osmosi dei due sistemi, nello sforzo di
una regolazione uniforme dei rapporti socio-economici.

30
La tecnica del distinguishing implica distinguere un caso dall’altro, trovare cioè un elemento per cui un
caso nuovo si differenzia dall’altro precedente, sempre che le differenze si possano considerare rilevanti per la
questione da decidere, così da applicare una diversa regola. Il procedimento logico inverso è detto harmoniz-
ing, con il quale il giudice considera irrilevanti le differenze tra la nuova controversia e quella decisa dal pre-
cedente, così applicando la regola del precedente caso.
31
Con la tecnica del overruling la regola precedente viene sostituita con una nuova regola, che forma un
nuovo precedente, attraverso una più approfondita analisi della fattispecie ovvero in ragione del mutamento
delle circostanze di fatto o dell’interesse pubblico.
32
È da registrare la differente rilevanza attribuita agli atti normativi a seconda che siano assunti con Statutory
ovvero con Regulation, che lascia più spazio all’interpretazione giudiziale.
CAPITOLO 2
DIRITTO PRIVATO

Sommario: 1. Relatività della nozione di diritto privato. – 2. Evoluzione medievale e diritto comune. Lo
“Stato moderno” e il diritto privato (le nuove categorie). – 3. Le codificazioni in senso moderno.
Codice civile francese (cod. nap.) e codice civile del 1865; i codici di commercio. – 4. Il codice civile
tedesco (BGB). – 5. Il codice civile del 1942. – 6. Le Costituzioni degli Stati moderni. – 7. La Costi-
tuzione repubblicana. Il primato della persona umana. – 8. Segue. Il pluralismo ordinamentale e so-
ciale. – 9. Capacità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione. –10. Il diritto privato
europeo. – 11. Ambito attuale del diritto privato e il diritto pubblico. – 12. Il diritto dei privati. –
13. Segue. La nuova lex mercatoria. – 14. Globalizzazione e convivenza mondiale. – 15. Azione pri-
vata conformata e azione pubblica collaborativa. – 16. Verso un diritto privato uniforme. – 17. La
società tecnologica. Bioetica e ecologia. – 18. Segue. La rivoluzione digitale. Piattaforme, algoritmi,
tecnocrazia e diritti.

1. Relatività della nozione di diritto privato. – Si è visto come una fondamentale


funzione del diritto sia quella di garantire la pacifica convivenza dei consociati: è una
funzione primaria e generale che consente la coesione di una comunità e giustifica lo stes-
so formarsi di un ordinamento giuridico. Vi è però anche una funzione ulteriore e specifi-
ca di selezionare gli interessi (generali o particolari) in conflitto secondo la scala di valori
di cui la singola comunità si dota. Pure l’area delle relazioni tra i privati (cui tradizional-
mente ha avuto riguardo il diritto privato) risente degli equilibri nel tempo instauratisi
tra gli interessi particolari dei privati e l’interesse generale della società (alla cui tutela ha
tradizionalmente provveduto il diritto pubblico); come è attraversata dalla selezione de-
gli interessi privilegiati dall’ordinamento.
La configurazione del diritto privato è inevitabilmente relativa (in quanto correlata
all’area di espansione del diritto pubblico) e storicizzata (perché destinata a mutare in
ragione della evoluzione della società civile e della sua struttura politica). Avviene così
che settori appartenenti in un’epoca al diritto pubblico siano in altra epoca considerati
come propri del diritto privato e viceversa.
Il diritto dei rapporti tra privati ha per primo elaborato nomenclature, categorie logi-
che, costruzioni teoriche, che poi hanno pervaso l’intero sapere giuridico (si parla di una
“priorità storica” del diritto privato): ciò ha fatto sì che tradizionalmente proprio l’inse-
gnamento delle Istituzioni di diritto privato abbia fornito quell’essenziale bagaglio cultu-
rale e tecnico necessario nella formazione giuridica. A sua volta la concettualizzazione
del diritto pubblico ha apprestato categorie e tecniche di tutela che ha inciso sulla confi-
gurazione del diritto privato, nel riequilibrio di interessi particolari con quelli generali
della società.
18 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

Una riflessione sulla evoluzione storica del diritto privato e sulle diversificate correla-
zioni con il diritto pubblico consente di delineare il volto attuale del diritto privato. La
rilevazione delle età culturali, delle dinamiche sociali e delle regolazioni che si sono suc-
cedute fanno comprendere il contenuto e i limiti delle categorie giuridiche del diritto
privato della contemporaneità.

2. Evoluzione medievale e diritto comune. Lo “Stato moderno” e il diritto priva-


to (le nuove categorie). – Per comprendere le connotazioni attuali del diritto privato è
necessario ripercorrere lo svolgersi dell’esperienza giuridica premoderna.
a) Esauritasi l’attualità dell’ordinamento romano 1, non venne meno l’eredità del dirit-
to romano, che contribuì a formare l’identità culturale, politica e giuridica dei paesi eu-
ropei e a modellare una comune coscienza europea. La elaborazione giustinianea del
Corpus juris civilis (534) 2 veniva ripresa dal Decretum di Graziano per il diritto canonico
(1142) 3.
L’Europa medievale era ancora caratterizzata dalla inveterata stratificazione sociale,
sostenuta dalla dottrina degli status escludenti, imposti secondo regole e procedure co-
stitutive, con privilegi e immunità, determinativi di una stratificazione giuridica, con di-
versificati statuti di diritti e obblighi. Anche lo sfruttamento dei beni avveniva con nu-
merosi e vari vincoli di natura personale e reale: maturava la dottrina del dominio divi-
so, con la coesistenza di plura dominia.
Specie dal sec. XI si svolgeva una pluralità di fonti del diritto: da una parte, il diritto
romano giustinianeo; dall’altra, il diritto della Chiesa; dall’altra ancora, il diritto partico-
lare dei regni (iura propria) con le connesse consuetudini, cui si aggiungeva il sistema di
diritto feudale in alcuni territori. Tale molteplicità di fonti, espressiva di un pluralismo
giuridico, non fu di ostacolo al formarsi di un diritto comune, sia per il comune retag-
gio del diritto rimano e del diritto canonico in tutti i paesi europei, sia per la comune
lingua utilizzata dai giuristi (il latino), sia ancora perché la generalizzata coesistenza era
assicurata attraverso un meccanismo per cui i diritti particolari trovavano di regola ap-

1
Nella tradizione romana il diritto privato si sviluppava come primo ed essenziale modello di regola-
zione dei rapporti sociali. Le Istituzioni di Gaio si aprivano con il seguente passo “Ogni popolo che si go-
verna sulla base di leggi e consuetudini utilizza in parte un diritto suo proprio ed in parte un diritto co-
mune a tutti gli uomini: infatti, ciò che ciascun popolo si è dato come diritto è suo proprio ed è chiamato
diritto civile (ius civile), in quanto diritto di quella città; ciò che, invece, la ragione naturale ha stabilito
tra tutti gli uomini e viene custodito allo stesso modo presso ogni popolo è chiamato diritto delle genti
(ius gentium), nel senso che tutte le genti ne fanno uso”. E aggiungevano: “L’intero diritto di cui faccia-
mo uso si riferisce alle persone, alle cose o alle azioni”. Lo sviluppo dei traffici diversificherà il diritto
privato dal diritto pubblico. La cultura di Roma veniva, più che travolta da forze esterne, erosa dall’af-
fermarsi del cristianesimo che prospettava, in luogo dello splendore della vita terrena comunque preca-
ria, una rassicurante vita ultraterrena (sursum) che valorizzava le virtù soccombenti sulla terra: influenze-
rà anche la visione del diritto, specie del diritto privato per intingere nelle relazioni sociali.
2
Era diffusa l’analisi del corpus juris giustinianeo, prima dalla scuola bolognese dei Glossatori (sec. XII-
XIII specie con Irnerio e Accursio), poi dai Commentatori (sec. XIV-XV specie con Bartolo e Baldo). Le
glossae e le summae erano considerate alla stregua del testo giustinianeo, mentre una scienza giuridica sapien-
ziale svolgeva una essenziale funzione di mediazione tra le varie fonti del diritto.
3
Il Decretum, arricchito dalle successive norme canoniche (extravagantes), avrebbe dato luogo al corpus
iuris canonici (1582) (rimasto in vigore fino al codice pio-benedettino del 1917).
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 19

plicazione solo in assenza del diritto romano e canonico 4: lo ius commune in tutta Euro-
pa era quindi utrumque ius, ovvero l’uno e l’altro diritto (romano e canonico); mentre il
diritto feudale, legato allo sfruttamento della terra, trovava applicazione in specifiche
aree 5. All’unitarietà del “Sacro romano impero” (unum imperium) durato per circa mille
anni, corrispondeva un pluralismo giuridico, secondo gli ordinamenti locali dei vari po-
poli, con varie eterointegrazioni: alla concezione universalistica del sacrum imperium fa-
ceva riscontro una visione universalistica del diritto (ius commune), volto a disciplinare la
vita giuridica di tutti i popoli riuniti nell’impero. Il diritto comune medievale, maturato
in una comune cultura giuridica e spirituale europea, sarà la matrice da cui si dirame-
ranno i diritti nazionali, spesso distanti ma che lo presupponevano 6.
b) Con il sec. XIII, pur perpetuandosi i valori soprannaturali cristiani, emergevano
valori terreni egualmente salvifici, come la valorizzazione del lavoro e la positività del
danaro e dei mercati, in uno all’affermazione della innovazione tecnologica e del pro-
gresso culturale. L’evoluzione europea dei centri urbani in “comuni” favorisce una eco-
nomia monetaria sorretta dalla classe borghese, che si organizza in corporazioni influenti
negli affari e nelle scelte politiche; mentre nelle aree interne l’organizzazione feudale si
dissolverà lentamente. Sul piano giuridico si irradiava lo spirito della Magna Charta in-
glese del 1205, che riconosceva la libertà dei cittadini e affermava il principio di legalità,

4
Convivevano più complessi di norme, rivolti a disciplinare campi diversi dell’esperienza umana. Il diritto
romano regolava i rapporti civili, mentre il diritto canonico regolava le materie spirituali; con frequenti so-
vrapposizioni e contrasti, per la influenza ecclesiastica nella sfera temporale. Relativamente ai diritti particola-
ri, operavano ulteriori articolazioni e specificazioni del diritto delle singole città. Si aggiunga la penetrazione
della cristianità nella cultura dell’epoca che orientava la vita e le aspirazioni delle persone e guidava la orga-
nizzazione del potere e delle istituzioni.
5
Il diritto feudale, pur nella varietà delle forme assunte nei molti territori dei paesi europei in cui si era
affermato, era caratterizzato da un complesso di rapporti giuridici, di carattere pubblico e privato, perso-
nale e patrimoniale. In virtù di un contratto feudale, una persona (vassallo) giurava fedeltà (c.d. omaggio)
ad un signore, assumendo in suo favore obblighi di servizio militare e personali e ricevendo dallo stesso il
beneficio della concessione in possesso e godimento di una terra (c.d. investitura), con poteri di imposizio-
ne tributaria, polizia e giurisdizione. Un meccanismo gerarchico di successive investiture e concessioni
dava vita ad una stratificazione (sociale e giuridica) della società in classi caratterizzate dai vari status, cia-
scuna con specifici privilegi e doveri. Il frazionamento dei poteri pubblici tra le varie gerarchie feudali e la
corrispondente patrimonializzazione degli stessi consegnava ai feudatari autorità e poteri nei singoli terri-
tori, a scapito dello stesso potere regio.
6
Si è soliti ricondurre la formazione della prima esperienza europea all’epoca carolingia, contrassegnata
dalla incoronazione papale di Carlo Magno quale imperatore nel Natale dell’800 e dai tentativi di realizzare
una unità giuridica e monetaria per l’intero impero (la moneta, chiamata “denaro”, portava da un lato il mo-
nogramma “Carolus” e sul rovescio il luogo di conio). Anche Ottone I il Grande, della dinastia del Sassoni
(succeduta a quella carolingia), si fece incoronare imperatore a Roma nel 962: questo impero, in seguito
chiamato “Sacro romano impero della nazione germanica”, sarà anche difensore della cristianità: sarà però
una stagione breve per essere caratterizzato il medioevo dal periodico conflitto, a volte cruento, tra papato e
impero come due poteri universali. Osserva R.S. LOPEZ (2004): “Oggi chi dice Europa non pensa a una reli-
gione unica né a uno Stato universale, ma a un insieme di istituzioni politiche, di conoscenze secolari, di tra-
dizioni artistiche e letterarie, di interessi economici e sociali che cementano un mosaico di opinioni e di popo-
li indipendenti”. Rileva J. LE GOFF (2003): è a partire dall’XI secolo e nei due secoli successivi che il conti-
nente europeo ha preso forma; è la “bella Europa” delle città, delle cattedrali e delle Università, ma anche dei
mercanti, dell’architettura gotica, dei chierici mendicanti, della “discesa dei valori dal cielo sulla terra”. Os-
serva P. GROSSI (2007): il sostantivo Europa ha nel corso del Medioevo un contenuto esclusivamente geogra-
fico; “è con l’Umanesimo che assume il significato di un complesso di valori spirituali e culturali, avviando un
filone riflessivo che trova più tardi la sua pienezza”.
20 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

con soggezione alla legge anche del potere sovrano 7. Il tradizionale assetto sociale e giu-
ridico è scosso da un nuovo modo di formazione di ricchezza attraverso l’attività econo-
mica e la collocazione di prodotti, che determineranno altre forme di divario sociale con
la manovra del mercato.
Si delinea la c.d. rivoluzione commerciale. Non si tratta solo di un aumento quantita-
tivo dei traffici: a fianco della ricchezza immobiliare, che continua a svolgersi, si sviluppa
la ricchezza mobiliare, legata alla moneta, al commercio, al credito. Il potere economico
si emancipa dal potere politico, attraverso un rapporto dialettico con il potere sacro e
quello secolare. Il prodotto interno lordo, piatto da secoli secondo la staticità della ric-
chezza agraria, inizia a crescere stimolando lo “sviluppo economico moderno”. Si affer-
ma uno ius mercatorum che si discosta sia dalla tradizione del diritto romano, essen-
zialmente incentrato sulle esigenze di difesa del diritto di proprietà e di stabilità dei rap-
porti sociali, che dal diritto canonico, pervaso da istanze salvifiche dell’uomo proprie di
una comunità ecclesiale; emergono categorie giuridiche che si diversificano profonda-
mente anche da quelle del diritto feudale 8. La progressiva ascesa della classe dei mercan-
ti nella gestione del potere consente alla stessa di formulare un’autonoma lex mercato-
ria, imperniata sulla organizzazione di rinnovate corporazioni (cui si appartengono i sin-
goli mercanti), che gradualmente si dota di autonoma giurisdizione: è un diritto creato
dai mercanti, che regola l’attività dei mercanti, dove trovano ingresso le consuetudini in-
valse nei rapporti tra mercanti. Emergono, nella spontaneità dei commerci, istituti che
sarebbero giunti fino a noi, come la polizza di carico e lo strumento dei carati per condi-
videre i rischi della navigazione; e ancora, la cambiale, la lettera di cambio (corrisponden-
te all’attuale assegno bancario), le lettere di credito, la presenza delle banche a sostegno
delle intraprese economiche.
L’incontro con la dottrina canonistica e quella romanistica è sul tema della bona fides
come fondamento del mercato. L’affermazione della riforma protestante dal XVI sec.,
con la trasformazione di molte chiese cattoliche in chiese “riformate”, stimola fortemen-

7
La Magna Carta (Magna Charta Libertatum) era un documento, scritto in latino, che il re d’Inghilterra
Giovanni Senza terra fu costretto a concedere il 15 giugno 1215 a seguito di una rivolta dei baroni del Regno
d’Inghilterra, propri feudatari diretti, per l’inasprimento delle imposte. Si elaborava il divario tra rule of law
(governo della legge), che sottoponeva il potere alla legge, e rule by law (governo attraverso la legge) che con-
sentiva il governo (quindi anche l’arbitrio) attraverso la emanazione di leggi. È introdotto il principio del-
l’habeas corpus (letteralmente “che tu abbia il corpo”) per cui nessuno può essere arrestato, imprigionato [...]
o danneggiato in alcun modo, eccetto dal giudizio legale dei suoi pari e dalla Legge del Paese: è la prima for-
ma di limitazione del potere politico sui corpi delle persone, che, affinata, si estenderà a tutte le democrazie
dei paesi occidentali.
8
Dalla fine del medioevo al settecento campeggia la figura del mercante, che si impone ai proprietari terrieri
e ai produttori artigiani come artefice del collocamento dei prodotti in aree geografiche sempre più vaste Le
fonti di produzione sono la terra e la bottega artigiana, le cui attività sono sempre più svolte su commessa del
mercante in vista dei mercati dove collocare i prodotti. Osserva LOPEZ come i comuni ed in particolare le città
marinare, non solo diedero slancio al commercio, ma favorirono il formarsi di una cultura mercantile, una vera
rivoluzione commerciale, che valorizzava il rischio tra le virtù umane, così preparando quello sviluppo della so-
cietà che caratterizzerà l’esperienza dell’Umanesimo e del Rinascimento, in cui l’uomo assurgerà a centro della
storia. Si verifica uno sviluppo nella tecnica degli affari, che segna la rivoluzione commerciale del Medioevo. Se-
condo BRAUDEL (1983), si realizza una “economia-mondo”, con rapporti stabili tra regioni europee e verso il
mondo asiatico attraverso le vie del mare, al cui centro assurge Anversa (in Italia assumono grande importan-
za Venezia e Genova), con l’effetto di arricchire le città, i luoghi e gli operatori che vi partecipano e impoveri-
re il resto delle popolazioni, aggravando gli squilibri politici ed economici.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 21

te l’intrapresa economica e la vita degli affari e segna i prodromi della intermediazione


finanziaria e dello sviluppo capitalistico 9. La Controriforma perseguitò i religiosi ma non
riuscì a sopprimere la nuova visione della vita 10.
Emerge una poliedricità giuridica: a seconda della natura della controversia e della
condizione dei soggetti coinvolti, trovano applicazione ora il diritto comune ora i diritti
statutari municipali ora quello delle corporazioni; o ancora le regole della investitura
feudale. E tutti tali corpi giuridici comportano autonome giurisdizioni, che giudicano
secondo il proprio diritto (c.d. particolarismo giuridico), con profonda difficoltà
nella individuazione del diritto applicabile e dunque anche con molti arbìtri.
c) Dopo la rovinosa guerra europea dei trent’anni, la pace di Westfalia del 1648 se-
gna il declino in Europa dell’egemonia imperiale e del Papato 11, generando la formazio-
ne di diritti nazionali con la nascita dello Stato moderno, quale ordine politico sovra-
no, che non conosce altra autorità al di sopra dello stato 12. La massima del re francese
Luigi XIV “lo Stato sono io” diviene l’emblema della nuova organizzazione nazionale
dei territori. Il processo di restaurazione delle monarchie nazionali comporta una ristrut-
turazione dei poteri e dei rapporti, sia pubblici che privati, che legano i soggetti tra loro
e con il potere regio. La statalizzazione è vissuta come concentrazione nello Stato della
produzione e dell’applicazione delle regole giuridiche 13. A partire dal ’600 e per tutto il

9
Con la riforma protestante, tesa a ripulire la chiesa di Roma dalla corruzione e sintetizzata nei 95 punti
che il monaco tedesco Martin Lutero affisse fuori della chiesa di Wittenberg, la ricerca del profitto acquista
anche un fondamento religioso attraverso la concezione luterana del beruf (vocazione o compito), affinata
dalla visione calvinista, che impone agli uomini di adempiere i doveri professionali secondo la propria voca-
zione. Secondo M. WEBER (1970) l’ascesi protestante intramondana ebbe l’effetto di liberare l’attività lucrati-
va dalle inibizioni dell’etica tradizionalista cristiana per assumere una funzione ascetica di valorizzazione capi-
talistica dei propri averi, utile per le finalità dell’individuo e della collettività, secondo il disegno divino: la
formazione delle grandi organizzazioni economiche private e pubbliche nutrirà il pessimismo dell’autore che
lamenta la scomparsa dell’ascesi mondana nella “gabbia d’acciaio” del capitalismo.
10
Il tormentato Concilio di Trento (1545-1563) che, nelle aspirazioni degli organizzatori, doveva concilia-
re la chiesa cattolica con il protestantesimo, si rivelò una cruda Controriforma, intransigente nelle sue tradi-
zioni: le religioni e le chiese, come le istituzioni economiche e giuridiche si divaricarono, assumendo connota-
zioni più mercantiliste nei paesi protestanti e maggiormente solidali nei paesi cattolici.
11
La guerra dei trent’anni (1618-1648) fu una guerra che coinvolse tutta l’Europa: iniziata come guerra di
religione tra stati protestanti e cattolici, si sviluppò come conflitto politico per l’egemonia europea. Con i trat-
tati di Münster e di Osnabrück (entrambe città della Westfalia) del 1648 si realizzò, pur sotto l’ombrello del
sacro romano impero, una essenziale autonomia dei singoli territori.
12
La filosofia politica dello Stato moderno, attraverso le varie evoluzioni del patto sociale istitutivo del-
l’ordine politico, dal leviatano di Hobbes alla society di Locke, alla volontà generale di Rousseau, alla legge mo-
rale di Kant, aveva delineato, con varie articolazioni, i concetti di sovranità, rappresentanza, uguaglianza davanti
alla legge, diritti e libertà per l’astratto soggetto di diritto, nutriti delle idee del giusnaturalismo e dell’illu-
minismo. Da tali connotazioni si muoveranno le riflessioni della postmodernità che, ad eccezione delle devia-
zioni totalitarie novecentesche, porranno al centro della riflessione politica la condizione dell’uomo e la per-
sona umana in una società condivisa e solidale.
13
L’esperienza mercantilista del ’600 e del ’700 accresce la vocazione alla intrapresa economica e alla for-
mazione di ricchezza privata, ponendo le basi dello sviluppo capitalistico. Le antiche corporazioni perdono
gradualmente di autonomia, rimanendo assorbite nell’organizzazione statale come pubbliche istituzioni. L’or-
dinamento dei rapporti commerciali perde la tendenziale uniformità europea della lex mercatoria per divenire
diritto statale dei singoli Stati assoluti. Rimarranno molte delle regole di favore che si erano dati i mercanti nel
periodo comunale, sotto forma di “privilegi” accordati dallo Stato assoluto, che può in ogni momento revo-
carli. La stessa qualità di commerciante, per le connesse regole di favore, è accordata dallo stato e perciò dal
sovrano: la disciplina dei mercati diviene diritto dello Stato.
22 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

’700 si svolge una laicizzazione della società con riconversione dell’attenzione dal celeste
al terreno, dal divino all’umano 14. Anche il sapere giuridico europeo è attraversato da un
forte filone di pensiero: si afferma il giusnaturalismo razionale che innerverà le idee del-
l’illuminismo e le categorie da questo elaborate. Pur nella varietà delle voci 15, c’è un’as-
soluta fiducia nella ragione quale principio e fondamento di ogni regola: gli unici mezzi
di accesso all’ordine della natura sono l’osservazione e la razionalità. Una simile conce-
zione alimenta la rivoluzione liberale contro la stratificazione della società per classi di
appartenenza, consegnata dalla tradizione degli stati assoluti.
Può considerarsi manifesto essenziale della nuova epoca la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino, approvata dall’assemblea costituente francese il 26 agosto 1789,
nella quale, sulla scorta di affermazioni di principio già contenute nella dichiarazione in-
glese (il Bill of Rights del febbraio 1689) e in quella americana (la Costituzione degli Usa
del 1787), vengono affermati i diritti naturali ed imprescindibili dell’uomo, dove “liber-
tà” e “uguaglianza” si incontrano con “fratellanza”, additando un nuovo filone ideologi-
co. La forza rivoluzionaria della libertà è coniugata con la potenza vitale della volontà.
Emergono le categorie giuridiche della modernità, modellate nella dimensione del sog-
getto astrattamente concepito e unitariamente inteso: queste categorie perverranno fino
all’attualità, alimentando i primi elementi dei diritti umani, quali saranno in seguito arti-
colati e ampliati.
L’unitarietà del soggetto di diritto, legata alla nascita, recide la stratificazione
sociale in classi con diversificati statuti di diritti e obblighi: il soggetto, come tale, è por-
tatore di diritti e doveri verso e contro lo Stato, con i corollari della uguaglianza dei sog-
getti davanti alla legge e della inviolabilità dei diritti dell’uomo anche da parte dei poteri
pubblici. L’esplicazione della volontà, quale momento terminale di processi individuali
(più o meno) razionali, realizza il contenuto dei diritti naturali.
È valorizzato il concetto di soggettività dell’individuo contro il potere assoluto. Tro-
va massima espressione la categoria dei diritti soggettivi , considerati connaturati alla
natura umana ed espressivi del “potere della volontà garantito dal diritto”. L’imperio
dello Stato (e dunque del diritto oggettivo) vale a garantire la esplicazione dei diritti in-
nati degli individui.
Sulla forza della libera volontà si svolge la elaborazione teorica della categoria del ne-
gozio giuridico, inteso quale atto concettualmente unitario, esplicativo della manife-
stazione di volontà del soggetto, rivolta ad uno scopo pratico tutelato dall’ordinamento,
atteggiandosi il soggetto come artefice degli effetti giuridici.
È valorizzato il fondamento naturale del diritto di proprietà, come espressione di
libertà: è un diritto necessariamente unitario e tendenzialmente assoluto e illimitato, po-
tendo incontrare solo i limiti previsti dall’ordinamento in numero chiuso (tipicamente i
diritti reali limitati), non essendo consentito ai privati introdurre altri vincoli. La riven-
dicata libertà di sfruttamento dei terreni comporta l’eliminazione dei tradizionali limiti e

14
C’è molto in comune nel ’600 fra la luce pittorica di Rembrandt (che squarcia le ombre) e il razionali-
smo filosofico di Cartesio (che riscopre l’esistenza nell’esercizio del dubbio), rivoluzionando la filosofia mo-
derna: l’insistenza all’autoritratto del primo si coniuga con l’affermazione del se stesso del secondo, come es-
senziali riflessioni sulla esistenza umana.
15
A partire da Grozio, e poi, tra gli altri, Pufendorf, Thomasius, Diderot, Voltaire, Montesquieu.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 23

oneri (quali decime, livelli, ecc.) tradizionalmente spettanti all’aristocrazia quando gli
stessi venivano dati in uso. La proprietà ancora concorre al tessuto sociale e giuridico
dello stato moderno: è solo divenuta “contendibile” e acquisibile in modo pieno in ra-
gione del principio di libertà economica, con eliminazione dei tradizionali vincoli e privi-
legi in favore di nobiltà e clero.
La rivendicata libertà di sfruttamento dei terreni comporta l’eliminazione di limiti ed
oneri (quali decime, livelli, ecc.) tradizionalmente spettanti all’aristocrazia quando gli
stessi venivano dati in uso. La proprietà ancora concorre al tessuto sociale e giuridico
dello stato moderno: è solo divenuta “contendibile” e acquisibile in modo pieno in ra-
gione del principio di libertà economica, con eliminazione dei tradizionali privilegi e
vincoli di nobiltà e clero.
Analogamente il diritto di intrapresa economica è libera espressione dell’uomo
naturale, che implica libertà economica di accesso alla proprietà dei mezzi di produzio-
ne, di commercializzazione dei beni prodotti e di accesso al mercato con connessa libertà
di concorrenza.
Il diritto di credito è avvertito e tutelato nella essenziale e astratta struttura forma-
le di rapporto tra consociati, isolato dai contesti socio-economici nei quali matura il ri-
corso alla cooperazione altrui e di come il rapporto è eseguito.
Una considerazione volontaristica attraversa pure la responsabilità civile, atteg-
giandosi come meccanismo sanzionatorio per il soggetto che non fa buon uso della liber-
tà, con una condotta ingiusta in quanto non conforme all’ordinamento, che arreca danni
a terzi; con il corollario che in assenza di volontarietà dell’azione non c’è responsabilità,
senza riguardo alle esigenze della vittima.
Fondamentale collante è il principio di certezza del diritto come ragione di preve-
dibilità della norma applicata. È un fondamentale principio dello stato moderno, con un
duplice obiettivo: da un lato, di conoscenza degli effetti giuridici dell’azione umana e di
calcolabilità economica degli investimenti, come presupposti di efficienza economica; dal-
l’altro, di liberare il cittadino dalle sopraffazioni del potere con l’applicazione di norme a
proprio piacimento, come garanzia di libertà e uguaglianza davanti alla legge. Il principio
era anche di agevole applicazione in ragione del monopolio statale della legge e della sua
applicazione, come delle forze armate; la certezza era modulata sulle sole norme di fonte
statale. Gli atti di stato civile, quali fonti di statuti giuridici di diritti e doveri, hanno fatto
da formidabile sostegno alla certezza del diritto. Si vedrà come, nella postmodernità, l’am-
pliamento delle fonti del diritto e la valorizzazione dei contesti di svolgimento della perso-
na umana hanno reso più complessa e ardua la garanzia di conoscenza dell’applicazione
del diritto.
All’esito di tale percorso il diritto privato si pone come disciplina dei rapporti tra pri-
vati sostenuti dalla libertà di autodeterminazione, mentre il diritto pubblico si caratterizza
quale disciplina della organizzazione dello Stato e dei rapporti tra Stato e cittadini, nella
realizzazione di interessi generali. In tal guisa diritto privato e diritto pubblico esprimo-
no diverse sfere di incidenza in ragione della natura degli interessi regolati: secondo
l’antica ricostruzione ulpianea, il diritto privato fissa l’ambito degli interessi particolari
(di individui e gruppi) per il cui soddisfacimento è predisposto, mentre il diritto pubbli-
co segna il campo degli interessi generali, alla cui cura è preordinato. Più in generale, il
diritto privato è espressione della “società civile”, mentre il diritto pubblico è imposto dal
24 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

potere sovrano, che regola la “macchina dello Stato” e le “condizioni essenziali” della
vita civile 16.
Si vedrà della funzione essenziale assunta dalle categorie privatistiche, non solo nella
elaborazione dei codici civili, ma anche nella formazione delle carte costituzionali dell’ot-
tocento: gli stessi codici civili si atteggiano con valenza fondativa ordinamentale per fis-
sare i diritti del civis inviolabili dallo Stato.

3. Le codificazioni in senso moderno. Codice civile francese (cod. nap.) e codice


civile del 1865; i codici di commercio. – Il delineato volto del diritto privato permea
l’esperienza delle codificazioni in senso moderno. Vocazione somma è di edificare un
diritto unitario per il civis come tale, astrattamente considerato. I codici, per il caratte-
re generale e astratto dei principi e delle categorie che li sostanziano, sono considerati
universali ed immutabili e perciò utilizzabili nel tempo e in più paesi. Nella compila-
zione, il codice si presenta come un sistema di norme strutturato in modo organico (per
riguardare un intero settore) e sistematico (per il coordinamento logico che lo sorreg-
ge), realizzando una semplificazione nel rinvenimento della disciplina: un testo ordina-
to ed ordinante di regole e principi, che abbandona particolarismi giuridici in funzione
dell’unità del soggetto di diritto. Fondamentali codici sono ancora vigenti (v. appres-
so); discipline successive ai codici (c.d. novelle), talvolta entrano in tali testi aggiun-
gendo o sostituendone parti, talaltra si collocano al di fuori, in ogni caso orientando la
disciplina complessiva.
a) Massima espressione di tale impostazione è il code civil des français promulgato il
21 marzo 1804 (c.d. code napoléon per essere stato voluto e influenzato da Napoleone),
forgiato secondo i principi espressi dalla rivoluzione francese 17 (tuttora in vigore seb-
bene variamente novellato). Il diritto privato, con il codice napoleonico, diviene diritto
dello Stato, che fa propri i valori e le aspirazioni della società civile e specificamente
delle sue classi dominanti: lo stesso diritto civile si atteggia a dottrina del codice civile.
Fiorisce una scienza giuridica casistica ed esegetica, di esposizione ed analisi della let-
tera della legge 18.
Il codice napoleonico rovescia il sistema pluralistico delle fonti espresso dal diritto
comune, inaugurando la stagione delle codificazioni moderne che da quella esperienza
prenderanno le mosse. Si presenta come prima forma significativa di un diritto privato
codificato, di ispirazione laica e individualistica. Muta anche il modello di regolazione: la
disciplina dei rapporti tra privati è espressa in leggi generali ed astratte da valere per un

16
È la sistemazione concettuale che trova compiuta espressione specie in DOMAT, Les lois civiles dans leur
ordre naturel (1689).
17
Il codice recepiva la tradizione del diritto romano, rielaborata nella prospettiva giusnaturalistica da Domat;
ma si apriva anche all’esperienza del diritto consuetudinario (coutumes) maturato nella vita dei traffici, che
Pothier aveva riorganizzato nel solco del diritto romano. In Francia il codice civile provenne dagli autori della
rivoluzione e dal suo principale tribuno (Napoleone); nel resto dell’Europa i codici derivarono da un potere
regio illuminato: es. il codice prussiano del 1794 e il codice austriaco del 1811.
18
Nell’ispirazione concettuale la interpretazione esegetica avrebbe implicato il formarsi di una giustizia uni-
forme, in quanto dedita solo all’applicazione della legge. Fiorirono imponenti commentari del code civil (co-
me quelli di Duranton, Demolombe, Troplong). La scuola della esegesi finì però con l’irrigidire l’interpreta-
zione sulla volontà del c.d. legislatore storico (cioè di quello che emana la legge), non consentendo una inter-
pretazione evolutiva delle norme.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 25

lungo periodo per il cittadino come tale. Più tardi, con analogo ordine logico, sarà teoriz-
zata la unitarietà del cittadino commerciante e del cittadino che agisce in giudizio o che
delinque: è del 1806 il codice di commercio (code de commerce); del 1807 il codice di
procedura civile e del 1810 il codice penale.
Al codice napoleonico si conformeranno i codici dei singoli Stati italiani preunitari 19;
ciò spiega perché, dopo pochi anni dall’unita d’Italia (1861), fu possibile redigere age-
volmente il cod. civ. del 1865 per il Regno d’Italia, secondo le indicazioni dei codici pre-
unitari. Tale nuovo codice, nel prendere a modello il cod. nap. 20, ebbe il torto di non ri-
flettere la realtà socio-economica quale nel frattempo era andata evolvendo, in particola-
re non prestando attenzione ai problemi che l’industrializzazione faceva già emergere. Il
cod. civ. unificato, al pari del modello francese, ruota per intero intorno alla “proprietà”:
dei tre libri di cui si compone, il primo è dedicato alle persone e alla famiglia, il secondo
riguarda i beni, la proprietà e le sue modificazioni, il terzo regola i modi di acquisto della
proprietà. In tal guisa anche il contratto, le successioni, i patti matrimoniali sono accor-
pati e valutati nella unitaria prospettiva di meccanismi di circolazione della proprietà.
Significativamente sia l’art. 544 code civil che l’art. 436 cod. civ. del 1865 recitano: “La
proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché
non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti”. Si ripropone una riorga-
nizzazione e concentrazione dei poteri sulle cose secondo il modello già impiegato da
Giustiniano, ma con una diversa ispirazione politica. I Digesta di Giustiniano avevano
formalizzato il principio del numerus clausus dei diritti reali, contro la varietà dei vincoli
alla utilizzazione dei beni espressa dalla fiducia dei romani nelle potenzialità dell’autono-
mia dei privati. Il cod. civ. del 1865 riprendeva il principio di tipicità dei diritti reali,
contro la dottrina del dominio diviso (plura dominia) espressa dalla esperienza feudale,
come reazione alla stratificazione in classi della società nell’utilizzo delle cose.
La esaltazione della volontà individuale comportava che i contratti avessero forza di
legge tra le parti (artt. 1134 code civil e 1123 cod. civ. 1865) 21. La possibilità di tra-
smettere i diritti per effetto del consenso, da un lato, garantiva all’aristocrazia di non es-
sere privata dei propri beni senza il proprio consenso; dall’altro, consentiva alla borghe-
sia commerciale di accedervi facilmente, convogliando verso la proprietà le risorse eco-
nomiche che la rivoluzione industriale stava progressivamente formando. L’affermazione

19
Il codice napoleonico entra in vigore per il regno italico (cisalpino) nel 1806 e farà da modello ai codici
estense, parmense e del regno delle due Sicilie del 1819 (il più fedele al modello francese).
20
Con accenti retorici rilevava Pisanelli, massimo ispiratore del cod. civ. del 1865, come, in realtà, il cod.
nap. rispecchiasse principi del diritto romano e perciò fosse un diritto “restituito” all’Italia.
21
Ampio è il riconoscimento dell’autonomia privata, di cui è garantita la volontà degli autori dell’atto
(artt. 1109 ss. code civil e artt. 1108 ss. cod. civ. 1865). La laicità dello Stato comporta la configurazione del
matrimonio civile quale unica forma di matrimonio (art. 165 code civil e art. 93 cod. civ. 1865) (consentendo il
code civil anche il divorzio: artt. 229 ss.). I contratti di matrimonio, quali atti di sistemazione patrimoniale della
vita familiare, sono annoverati tra i modi di acquisto della proprietà (art. 1587 code civil e art. 1378 cod. civ.
1865); ed in materia successoria sono soppressi fedecommessi, maggiorascati, ecc., vuoi per la discriminazio-
ne che contenevano tra membri di una medesima famiglia, vuoi per la sottrazione di beni alla libera commer-
ciabilità. C’è una indifferenza, se non un’ostilità, verso le forme di vita associata in quanto limitano l’esplica-
zione della libertà dei singoli: si ha riguardo ai soli “corpi morali legalmente riconosciuti” (art. 2). Il rapporto di
lavoro è collocato nello schema del contratto di locazione, che può avere ad oggetto le cose come le opere
(art. 1708 code civil e art. 1627 cod. civ. 1865).
26 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

del diritto di libertà economica consentiva poi alla classe industriale emergente di sot-
trarsi al controllo e alle ingerenze che avevano caratterizzato l’azione delle monarchie
assolute.
b) Dopo la fondamentale rivoluzione scientifica che aveva consentito all’uomo di
dominare la natura, a seguito delle innovazioni tecnologiche del settecento, prima con le
applicazioni della macchina a vapore di Watt e poi con l’affermazione del motore a
scoppio e di nuove fonti di energia, si svolge la c.d. rivoluzione industriale che segna la
definitiva trasformazione del modello di vita e di organizzazione sociale. La introduzione
dell’automazione nei processi produttivi innova il sistema economico, determinando la
formazione di una ricchezza che dapprima affianca ma che poi sovrasterà la rilevanza e
la logica proprietaria 22. In luogo del mercante che traeva profitto dal divario di valore
tra i beni acquistati e quelli collocati sui mercati, anche lontani, il nuovo imprenditore
forma il lucro attraverso la produzione, realizzata al più basso costo possibile e in quanti-
tà sempre maggiore e collocata sul mercato al più alto prezzo possibile. Con l’industria-
lizzazione si completa il definitivo contrasto all’assetto agrario-feudale intrapreso dalla
precedente borghesia mercantile, anche perché i privilegi e le immunità che competeva-
no all’aristocrazia sono ormai disgiunti dalle funzioni pubbliche (di difesa militare e di
governo) che in passato li legittimavano, sì da apparire come odiosi e ingiustificati: veri e
propri “abusi feudali”. Inizia un percorso di produzione di massa che andrà progressi-
vamente intensificandosi e dilatandosi fino a coprire i mercati mondiali.
Con i piedi piantati nella economia commerciale ma con il volto rivolto ad assecon-
dare le affioranti esperienze della produzione industriale, emergono i primi modelli di
codici di commercio. Sull’esempio del cod. comm. francese del 1806, il cod. comm. del
1865 e ancor più il cod. comm. del 1882 introducono una legislazione particolare per gli
atti di commercio. I contratti sono riguardati non più come modi di accesso alla proprie-
tà (immobiliare), quale ricchezza finale (come era nella indole del code nap. e del cod.
civ. del 1865), ma valutati e regolati quali strumenti dell’attività economica, rivolti all’ap-
provvigionamento dei fattori della produzione e alla collocazione dei prodotti, dal cui
scambio deriva la (nuova) ricchezza finale. Molti contratti trovano disciplina differente
nel cod. civ. e nel cod. comm. (ad es. c’è la vendita civile e la vendita commerciale), con
significative diversità in favore dell’impresa. In virtù dello stesso diritto statale è operata
una diversità di regolazione giuridica in ragione della possibilità o meno di qualificare
l’atto compiuto come “atto di commercio” per la qualifica degli autori dell’atto; gli atti

22
Negli opifici collocati nelle aree urbane accorrono e si concentrano soggetti che alienano la propria forza
fisica in corrispettivo di salari: artigiani e contadini affluiscono progressivamente negli opifici, cedendo non più
un prodotto finito (come per il passato) ma senz’altro una prestazione lavorativa alle dipendenze di chi organizza
la produzione. Emerge la figura dell’imprenditore in senso moderno, come colui che combina e organizza i fattori
della produzione, creando nuova ricchezza. Scriverà C. CIPOLLA (2005): “Da allora il mondo non fu più lo stes-
so”. La rivoluzione industriale – prosegue l’Autore – trasformò l’uomo da agricoltore-pastore in manipolatore di
macchine azionate da energia inanimata. La maggior parte della popolazione tende a vivere in grossi agglomerati
urbani; l’esasperata divisione del lavoro e il lavoro di gruppo implicano un più continuo, più preciso e nel con-
tempo più impersonale e più opprimente rapporto con altri simili. Ormai anche tra i romanisti sta emergendo
l’idea che, con il modello di produzione industriale, la storia è “spezzata” (A. SCHIAVONE 1996). Derivano forti
mutamenti sociali, formandosi una classe operaia composta di contadini sradicati dalle campagne e artigiani al-
lontanati dalle botteghe, che vanno ad ingrossare una platea indistinta di dipendenti nelle fabbriche, ormai sciolti
dai legami di appartenenza sociale e territoriale.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 27

compiuti dal cittadino con un commerciante sono soggetti alla legge commerciale, di fa-
vore del commerciante 23.

4. Il codice civile tedesco (BGB). – Con le codificazioni le esperienze del giusnatu-


ralismo e poi dell’illuminismo avevano trovato il proprio trionfo ma anche segnato
l’inizio del declino, in quanto i principi di diritto maturati si depositavano in leggi scritte
nazionali, perdendo il connaturato carattere di universalità ideale.
Si sviluppa in Germania nella prima metà dell’800 la c.d. scuola storica del diritto 24
che ricostruisce la società come attraversata da una perenne evoluzione, contro la statica
universalità razionale dei giusnaturalisti, che ormai si rivela una mera astrazione. C’è una
riscoperta del diritto romano come essenziale antecedente dello sviluppo del pensiero
giuridico; sull’esperienza di studio medievale del diritto romano si dà luogo ad un usus
modernus pandectarum 25. Il diritto positivo, come per i giusnaturalisti, rimane l’unica
realtà osservata dai giuristi; però è organizzato con criterio sistematico, sì da enucleare
ed elaborare principi generali che ispirano l’ordinamento, onde governare logicamen-
te l’applicazione del codice a nuove figure (c.d. dogmatica) 26.
Massima espressione della dogmatica pandettistica fu l’elaborazione del codice civile
tedesco (Burgerliches Gesetzbuch), comunemente indicato con le iniziali BGB, adottato
nel 1896 e in vigore dal 1° gennaio 1900 (tuttora in vigore sebbene variamente novella-
to). La tradizione del diritto romano permea l’intero codice, adattata alla realtà socio-

23
Il cod. comm. del 1882 si apre con la indicazione: “In materia di commercio si osservano le leggi com-
merciali. Ove queste non dispongano, si osservano gli usi mercantili … In mancanza si applica il diritto civi-
le” (art. 1). “Se un atto è commerciale per una sola delle parti, tutti i contraenti sono per ragione di esso sog-
getti alla legge commerciale, fuorché alle disposizioni che riguardano le persone dei commercianti, e salve le
disposizioni contrarie della legge” (art. 54); a tale norma si connette l’altra, per cui “se l’atto è commerciale anche
per una sola delle parti, le azioni che ne derivano appartengono alla giurisdizione commerciale” (art. 870). Ciò
importava che, nei rapporti con le imprese, i comuni cittadini (cioè i consumatori) venivano assoggettati alla leg-
ge di favore per le imprese: scelta vivacemente criticata da C. VIVANTE (1895).
24
Lo studio storico del diritto è essenziale criterio di rilevazione e di comprensione del formarsi delle rego-
le giuridiche: il diritto non proviene dalle sole fonti statali, assumendo un ruolo fondamentale la consuetudi-
ne. Per Savigny uno “spirito del popolo” (Volksgeist) attraversa ogni comunità nazionale informando le espres-
sioni della cultura, compreso il diritto. Esiste una connessione tra materia (la realtà sociale espressa dalla sto-
ria) e forma (il diritto quale strumento di organizzazione sistematica della prima).
25
Il diritto romano, che mai aveva smesso di operare, riceve rinnovata vitalità. Con lo sviluppo della Scuo-
la storica del diritto (sec. XVIII-XIX specie con Savigny), attraverso l’opera di Puchta, si ritornava al corpus
giustinianeo studiando criticamente le Pandette ad opera della Pandettistica (nel sec. XIX specie Windscheid
riassunse i risultati dell’intero movimento).
26
È il trionfo della c.d. scuola sistematica, che si oppone alla scuola esegetica formatasi nel segno del codice
napoleonico. L’intero ordinamento è organizzato sistematicamente intorno a principi generali (come espres-
sioni dello spirito del popolo) da cui derivano in forma piramidale i concetti di grado man mano inferiore e
dunque le regole di ogni istituto giuridico. Sulle indicazioni del formalismo kantiano si afferma la funzione or-
dinante delle categorie logiche nella conoscenza scientifica, tendendo le costruzioni dottrinali a inquadrare logi-
camente la realtà: la verità scientifica è saggiata dalla coerenza interna delle categorie utilizzate. Osserva WIND-
SCHEID, figura emblematica della corrente c.d. pandettistica, come “considerazioni di carattere etico, politico
o economico in quanto tali non sono materia propria del giurista”. All’autorità spetta solo di fissare la forma
di organizzazione politica che garantisca la libertà individuale (sia personale che nell’utilizzo dei beni) in un
contesto di uguaglianza formale dei privati e di neutralità del diritto, rinunziando a formulare un contenuto
assiologico (impianto in prosieguo vivacemente contestato).
28 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

economica del tempo, ormai pervasa dalla industrializzazione 27. Con un linguaggio colto
e tecnico la materia del diritto privato è pensata ed organizzata secondo categorie logi-
che, generali ed astratte. Elaborato da professori, non è accessibile all’uomo comune ma
ai tecnici del diritto, manifestando profondità culturale e valenza didattica 28.
È significativa della struttura del codice la Parte generale dedicata alla disciplina di
persone (fisiche e giuridiche), cose, negozi giuridici, decadenza e prescrizione, esercizio
dei diritti e tutela 29. Il processo di astrazione in funzione della unità del soggetto di dirit-
to trova la massima espressione con la formulazione della figura del negozio giuridico,
come manifestazione di volontà rivolta ad uno scopo tutelato dall’ordinamento giuridi-
co. Prende slancio da tale generale definizione un approfondito filone di elaborazione
scientifica del negozio giuridico, che durerà a lungo 30.

5. Il codice civile del 1942. – Il legislatore italiano, che alla metà degli anni ’30 dà
avvio all’opera di rinnovazione del codice civile, assimila i modelli di entrambe le grandi
codificazioni del diritto privato 31. Il codice civile del 1942 32 muove dall’impianto del co-
de nap. (e dunque del cod. civ. del 1865), ma utilizza tecniche di generalizzazione proprie
del BGB, come la previsione di “disposizioni generali” (es. artt. 456 ss., 832 ss., 1470 ss.) e
l’introduzione di “clausole generali” (es. artt. 1366, 1375). Quanto al contenuto, lo stesso,
benché veda la luce durante il fascismo, non è pervaso dalle istituzioni proprie del regi-
me (come il corporativismo), che sono regolate fuori dal codice nella Carta del lavoro 33,
alla quale si rinvia mediante richiami: ciò ha fatto sì che, alla caduta del regime, sia stato
possibile eliminare le sovrastrutture del regime mediante l’abrogazione dei richiami 34,
perché il codice potesse continuare a svolgere la sua funzione. Il codice, nella sostanza,

27
Ha osservato F. WIACKER (1980) come il codice tedesco, quale diritto privato generale ed astratto, “o-
rienta fondamentalmente il proprio sistema non a principi sociali di vita bensì alle manifestazioni concettuali
del diritto soggettivo”. Il medesimo autore descrive la situazione della società da cui esso nasce come caratte-
rizzata da una “rivoluzione industriale avanzante che fa della libertà contrattuale ed associativa mezzi di ac-
cumulazione di potere sociale ed economico”.
28
Influenzato dal codice civile tedesco, ma con felice sintesi tra diritto comune e tradizioni locali e un’a-
pertura all’intervento del giudice, è il codice civile svizzero (codice della Confederazione elvetica), adottato il
10 dicembre 1907 e in vigore dal 1912; è del 1911 la legge federale di complemento del codice civile conte-
nente il libro quinto relativo al diritto delle Obbligazioni (comprensivo del diritto commerciale).
29
Un epilogo di tale pensiero si avrà con la c.d. dottrina pura del diritto elaborata da KELSEN. Contro la
deriva del naturalismo giuridico, il diritto è ricondotto alla sua ontologica matrice formale di comando, depu-
rato di connotazioni sociali. L’attenzione è rivolta alla struttura del diritto, presentandosi il diritto come com-
plesso organico di norme: il metodo di analisi e di elaborazione concettuale non può che essere quello positi-
vista, per i caratteri di positività ed effettività del diritto. Anche questa dottrina sarà criticata.
30
La scuola sistematica si diffonde nei nostri studi, divenendo metodo generalmente accolto: la formazio-
ne della “Triplice alleanza” con Austria e Germania (dal 1882 al 1915) apre la cultura italiana e dunque anche
gli studi giuridici ad una forte permeazione tedesca.
31
Significativa era stata la posizione di E. GIANTURCO che, già alla fine dell’800, invitava a non imitare i
tedeschi o copiare i francesi, là dove era necessario disporsi a quel “giusto mezzo a cui inconsapevolmente
tende l’intelletto italiano”.
32
Il codice è approvato con R.D. 16.3.1942, n. 262, ed entra in vigore il 21.4.1942, sostituendo i libri del
codice stesso in precedenza autonomamente approvati.
33
La Carta del Lavoro è uno dei documenti fondamentali del fascismo: approvata il 21 aprile 1927, ne
esprime i principi sociali, la dottrina del corporativismo, l’etica del sindacalismo e la politica economica.
34
Vedi R.D.L. 9.8.1943, n. 721, e D.Lgs.Lgt. 27.11.1944, n. 369.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 29

esprime la vicenda economico-sociale propria dell’Europa di quegli anni: codifica le


grandi conquiste ideali del liberalismo dell’800, modellando i singoli istituti secondo le
esigenze emerse dal mondo delle attività economiche o connaturate allo sviluppo dei
traffici 35.
Manca a tale codice (come del resto era mancata al codice tedesco) quella dimensio-
ne ideale rivoluzionaria che aveva caratterizzato il codice napoleonico. Quest’ultimo aveva
consacrato l’esito di una lunga stagione di lotta per la conquista delle libertà dell’in-
dividuo contro il potere assoluto; al tempo della codificazione del 1942 tali ideali erano
ormai un portato acquisito e comune delle società europee. L’esperienza tedesca della
Costituzione di Weimar del 1919, che aveva formulato la tavola dei diritti sociali della
persona umana, aveva avuto breve vita per essere stata travolta nel 1933 dall’avvento al
potere del nazismo. Il nostro codice si attesta, per così dire, a metà strada: adotta scelte
umanamente più avanzate oltre che tecnicamente più raffinate di quelle del cod. civ. del
1865; però rispecchia gli sviluppi del capitalismo dell’epoca e introduce ragioni di equità
sociale.
Tratto saliente del codice civile è la unificazione della normativa civilistica e di quel-
la commercialistica in un unico codice, mentre nel resto d’Europa rimaneva la distin-
zione tra codice civile e codice di commercio 36. In realtà il cod. civ. del 1865 regolava
in via esclusiva persone, famiglia, successioni e proprietà; mentre la disciplina di im-
presa e società (e della navigazione) era esclusivamente collocata nel codice di com-
mercio: solo dunque obbligazioni e contratti erano disciplinati in entrambi i codici.
Sicché la unificazione nel 1942 dei due codici di diritto privato (e l’autonoma organiz-
zazione di un codice della navigazione) comportava sostanzialmente la unificazione
della disciplina di obbligazioni e contratti. E in tale fusione, in presenza di un divario
di disciplina tra i due codici, furono essenzialmente le norme del codice di commercio
(quale codice dell’impresa) a prevalere sulle tradizionali regole del codice civile (quale
codice della proprietà) 37.
La tecnica legislativa adoperata fu il metodo dell’economia (come si usava dire al
tempo della codificazione), perché le forme giuridiche corrispondessero alla sostanza
economica dei fenomeni. Tale metodo fece prediligere soluzioni più congrue ad esigenze
socio-economiche piuttosto che rispondenti ad elaborazioni concettuali. Non è prevista
la categoria del negozio giuridico (come invece è presente nel codice civile tedesco), ma

35
Ha osservato R. NICOLÒ (1960): “Per la prima volta l’istituto giuridico dell’impresa, come situazione
oggettiva che fa capo all’imprenditore, si pone al centro del sistema del diritto privato. Proprietà e impresa,
come categorie parallele, costituiscono insieme alla categoria parallela del lavoro, i filoni fondamentali del
nostro codice, e sotto questo profilo rappresentano esattamente gli aspetti primari della nostra organizzazione
sociale e della nostra struttura economica”.
36
Per la Relaz. cod. civ. si voleva formulare un codice organico e unitario che contenesse la “disciplina
dell’economia organizzata”, dove al concetto di “cittadino” della rivoluzione francese si sostituisse quello
di “produttore”, cioè della persona che partecipa attivamente con la propria azione individuale all’azione
comune di aumento della potenza e del benessere della Nazione, come potenza e benessere di tutti. Dal
1888 era venuta anche meno la duplicità della giurisdizione civile e commerciale.
37
Osserva la Relaz. cod. civ., n. 554, come l’unità del diritto delle obbligazioni fu realizzata riconoscendo
virtù espansiva ad alcune norme del codice di commercio, nate nella vita rigogliosa e agile dell’attività mer-
cantile, con tale duttilità che in gran parte potevano dimostrarsi adatte a soddisfare pure le nuove esigenze
dell’economia nazionale.
30 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

è regolato il contratto, come figura più aderente alla vita dei rapporti economici. E il
contratto è disciplinato con particolare riguardo alla sua funzione di strumento di scam-
bio in una economia di mercato 38.
Il codice civile del 1942 è tuttora in vigore. A tale longevità hanno concorso due fon-
damentali circostanze: l’una interna al codice, per l’ampio impiego di clausole generali
(come buona fede, diligenza, ecc.) che hanno consentito di attingere a criteri e regole di
comportamento aderenti al mutare dei tempi; l’altra esterna al codice, per il processo di
novellazione cui è continuamente assoggettato, vuoi con la sostituzione o modificazione
di normative (es. la riforma del diritto di famiglia, la riforma della disciplina delle società
di capitali e delle società cooperative), vuoi con l’aggiunta di nuove discipline (es. la nor-
mativa sull’amministratore di sostegno, quella sul patto di famiglia). Altre normative, an-
che rilevanti, sono fiorite accanto al codice civile (es. la normativa sul divorzio, il codice
del consumo, il t.u. dell’intermediazione finanziaria, ecc.). Nonostante l’incalzare di leggi
complementari, il codice civile conserva un ruolo sistematico fondamentale per esprime-
re, non solo la disciplina più nutrita del diritto privato, ma anche una trama di concetti e
un linguaggio in grado di guidare la razionalizzazione e la sistemazione della frammenta-
ria legislazione complementare.
L’impianto concettuale del codice civile è di recente sottoposto a notevoli strappi e
ripensamenti in conseguenza delle normative di origine europea spesso espressive di lo-
giche e categorie estranee alla tradizione giuridica del codice. Le aree maggiormente
stravolte risultano, da un lato, il diritto delle persone e della famiglia per l’emergere di
nuovi modelli di relazioni familiari e l’affermazione dei diritti della persona umana, e
dall’altro l’impresa per evolvere la sua rilevanza nel più generale diritto dell’economia,
connotato dalle esigenze sociali della produttività, del mercato e dell’occupazione; anche
la legge fallimentare che nello stesso anno vedeva la luce (R.D. 16.3.1942, n. 267), fun-
zionale alla esecuzione concorsuale del credito, è sopravanzata dalla esigenza di salvezza
della impresa in crisi (cui ha riguardo il D.Lgs. 12.1.2019, n. 14).
L’affermazione dei diritti fondamentali della persona umana, secondo i valori espressi
dalla Carta costituzionale e dal diritto europeo, costringe il codice civile ad una pene-
trante rilettura delle singole previsioni, per fornirne una interpretazione ammodernata ai
nuovi valori emersi.

6. Le Costituzioni degli Stati moderni. – I valori che pervasero i codici di inizio


’800 orientarono anche le Costituzioni degli Stati moderni, che sancivano le conseguite
libertà e garanzie dei cittadini verso lo Stato, segnando i rapporti tra lo Stato stesso ed i
consociati (c.d. Stato costituzionale). Il costituzionalismo liberale (nella sua generale ac-
cezione) raffigura un potere rispettoso dei fondamentali diritti naturali del cittadino, di
vita (nel senso del corpo fisico), di libertà (nel senso di non invadenza) 39 e di proprietà
(l’interesse pubblico giustificante l’intervento sulla proprietà deve essere legalmente ac-

38
Significativamente, oggetto del contratto non è più “la cosa” (art. 1116 cod. civ. 1865), come in una eco-
nomia proprietaria, ma “la prestazione” (artt. 1346 ss.), connaturata ad un’economica fondata sull’attività e
sull’impresa. Per altre indicazioni, v. la Parte VIII.
39
Funzione precipua dello Stato è quella di garantire la coesistenza degli uomini consentendo a ciascuno di
esplicare la libertà all’interno della propria sfera giuridica. Il ruolo della legge è nel definire le libertà dei cittadini,
gli strumenti di tutela e i modi di partecipazione al potere.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 31

certato). Una successiva evoluzione delineerà un costituzionalismo democratico, che va-


lorizza la rappresentatività democratica dei cittadini.
È affermato il generale modello di Stato di diritto, caratterizzato dai seguenti prin-
cipi: divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario); principio di legalità (tutti so-
no soggetti alla legge, anche i pubblici poteri; uguaglianza dei cittadini davanti alla legge
(cui si connette uguaglianza di tutela giudiziaria). A tale principio si connetteva quello
della certezza del diritto: non solo della esistenza della regola giuridica, ma anche della
sua applicazione e tutela. Criterio guida dell’impianto era la garanzia di libertà e ugua-
glianza davanti alla legge.
È il modello di stato che forgerà i codici della modernità, con le integrazioni valoriali
della postmodernità. È un impianto che ha avuto il grande merito di consacrare le li-
bertà faticosamente conseguite, ma che presenta il lato debole di essere svincolato dal-
la morfologia delle relazioni sociali, astraendo dai condizionamenti delle scelte volitive
e dei contesti di vita 40.
Espressione di tale stagione fu in Italia lo Statuto albertino 41 del 1848, emanato a se-
guito di vari moti rivoluzionari, poi esteso al regno d’Italia nel 1861. Ispirato alla costitu-
zione francese del 1830, lo statuto (ottriato, flessibile e breve) regolava la organizza-
zione dello Stato con una doppia anima: da un lato, di presidio della “Corona” e del po-
tere regio (nel Preambolo veniva definito Legge fondamentale perpetua e irrevocabile
della monarchia); dall’altra, di rappresentazione di un governo parlamentare, con artico-
lazione dei tre poteri.
Con soli 9 articoli regolava “Dei diritti e dei doveri dei Cittadini”: proclamava l’ugua-
glianza di tutti davanti alla legge; attribuiva i diritti civili e politici, compreso il diritto di
accedere alle cariche politiche, civili e militari; riconosceva i diritti di libertà personale,
di domicilio, di stampa e di riunione. Non si faceva però menzione del diritto di associa-
zione, che sarà uno dei diritti fondamentali della successiva Carta repubblicana. Tra i
diritti garantiti, accanto a quello di libertà e come espressione dello stesso, c’era il diritto
di proprietà: per l’art. 29 “Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili”.

7. La Costituzione repubblicana. Il primato della persona umana. – Dalla secon-


da metà dell’800 affiorano più eventi che sconvolgono il tessuto socio-conomico che
aveva fatto da sfondo alle moderne codificazioni e alle costituzioni dell’epoca. Sul piano
economico, la rivoluzione industriale progressivamente affianca, fino a sovrastare, la ric-
chezza agraria: emerge l’importanza della concentrazione dei capitali e dei valori mobi-
liari, con l’esigenza di tutela dei vari operatori del mercato; si formano associazioni di

40
Come si vedrà, entrambi i fondamenti dello stato di diritto sono scossi: l’unità del soggetto di diritto
è smembrata nei tanti volti assunti dall’uomo nella varietà dei contesti in cui opera e in funzione delle ap-
partenenze che lo connotano; la libertà incontra vari condizionamenti: il passato di ognuno, e poi la di-
mensione naturale e biologica, l’impellenza del bisogno economico, l’affettività vissuta. Anche la generale
acquisizione del metodo democratico non mette al riparo dalla formazione di una autorità della maggioran-
za: si sviluppa il tema dei rapporti tra indipendenza individuale e controllo sociale, tra libertà e autorità;
alla metà dell’Ottocento sono dirompenti i contribuiti di Tocqueville (sulla democrazia in America) e di
Stuart Mill (sulla libertà).
41
È una Costituzione di carattere ottriato (in quanto derivante da una concessione del sovrano), ma con
una sorta di approvazione popolare legata alle pronunce nei plebisciti. È inoltre una Costituzione flessibile in
quanto modificabile con legge ordinaria.
32 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

tutela dei consumatori per trasparenza contrattuale e riequilibrio delle regole imposte da
moduli e formulari. Sul terreno sociale la industrializzazione determina la concentrazione
della forza lavoro nelle aree industriali, con le rivendicazioni dei lavoratori per migliori
condizioni salariali e di vita sul lavoro: si intensifica un “contromovimento” delle classi
operaie in forme collettive sempre più organizzate fino alle formazioni sociali sindacali.
In campo politico, l’universalismo proclamato dai giusnaturalisti è contraddetto dalla di-
versità delle realtà nazionali e dagli equilibri di potere che la borghesia emergente volta a
volta instaura con le classi tradizionalmente detentrici del potere 42. Acquisiti come irri-
nunciabili i portati della rivoluzione liberale dei diritti del civis contro lo Stato, si guarda
da più parti allo Stato per conseguire ausili all’azione economica e tutela delle debolezze
esistenziali e sociali. Dal tronco del Settecento “illuminista” e dell’Ottocento “borghese”
evolve una nuova fase storica che si è soliti delineare di “postmodernità”, che si svolge,
dentro lo Stato, con l’affermazione di autonomie locali, società intermedie e gruppi or-
ganizzati; e oltre lo Stato, con l’apertura a relazioni internazionali, partecipazione alla
comunità europea e crescita delle fonti del diritto.
L’individuo isolato e astrattamente unitario, che aveva orientato la formazione dei
codici moderni, viene reintegrato nella realtà delle relazioni sociali in cui vive ed opera,
valorizzandosi appartenenze e contesti di collocazione 43 e i conflitti sociali determinati.
Le tradizionali categorie giuridiche della rivoluzione illuministica escono ridisegnate, a
cominciare dal diritto soggettivo che è ricostruito come “interesse giuridicamente protet-
to”, con ciò aprendosi la strada ad una generale limitazione dei diritti individuali, valo-
rizzandosi il trattamento giuridico degli interessi. Il principio di uguaglianza davanti alla
legge è considerato espressivo di uguaglianza formale, valorizzandosi una uguaglianza
nella effettività di titolarità ed esercizio dei diritti.
Si afferma un nuovo valore, del primato della persona umana, che il costituzionalismo
moderno riassume nella indicazione del rispetto della “dignità umana”, come sintesi
indistinta di libertà, uguaglianza e solidarietà. La Costituzione tedesca del 1949 si apre
con l’affermazione “La dignità umana è inviolabile”, ripresa dalla Carta dei diritti fon-

42
L’illusione della “volontà generale” (Rousseau) quale fondamento di legittimazione del potere è smenti-
ta dalla ristretta base sociale avente diritto al voto. Anche la “divisione dei poteri” (Locke e Montesquieu) non
impedisce che i singoli poteri siano espressioni delle medesime classi sociali.
43
Emergono più filoni teorici. L’istituzionalismo (specie con Hauriou) valorizza tutte le forme di organiz-
zazione rivolte a realizzare uno scopo; elaborazione che, in modo distorto, è stata in prosieguo impiegata con
riferimento a talune comunità (famiglia, associazioni, ecc.), per designare la prevalenza dello scopo comune
rispetto alla persona dei componenti. Il socialismo giuridico (specie con A. Menger 1887 e A. Loria 1893) ri-
ceve dal socialismo materiale la lezione che non sussiste una eguaglianza degli individui concreti, per essere
gli stessi costretti dalle specifiche condizioni socio-economiche (anche la c.d. libertà negoziale si rivela una
mera astrazione): le rivendicazioni delle classi lavoratrici sono incanalate verso un catalogo di “diritti econo-
mici fondamentali”, sul modello dei diritti politici fondamentali conseguiti nel secolo precedente; rileverà G.
SOLARI (1906), uno dei massimi studiosi italiani del socialismo giuridico, come non si possono impunemente
rinnegare secoli di lotta per la conquista delle libertà individuali consacrate nei Codici; il socialismo giuridico
si è ritratto da questo errore e anziché contrapporre individuo a società tende a conciliarli sul terreno del di-
ritto privato. Il neogiusnaturalismo, con varie impostazioni, tende a porre un limite alla onnipotenza legislati-
va con l’affermazione di indisponibilità di alcuni valori essenziali: nella dimensione laica, espressi da acquisi-
zioni etico-giuridiche irreversibili, rivelatrici della dignità umana; nella dimensione cristiana (specie cattolica),
abbandonata l’idea di trasferire nella società civile il progetto divino salvifico dell’uomo, ricondotti alla dot-
trina sociale della Chiesa.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 33

damentali U.E. nel suo primo articolo. È il senso del costituzionalismo moderno, di im-
porsi ai cittadini, allo stato e allo stesso legislatore.
In questo nuovo contesto le vite delle persone non sono riducibili ad astratti modelli
normativi. Intrecciato con lo Stato di diritto, si sviluppa lo Stato dei diritti, che poi
diventerà l’Europa dei diritti. Lo Stato di diritto ha riconosciuto libertà in natura, senza
costi; lo Stato dei diritti assicura i diritti fondamentali, con soddisfacimento di bisogni
che implicano costi di realizzazione, sostenibilità finanziaria e progressività tributaria. Le
due declinazioni sono intrecciate, per essere essenziale la garanzia formale dei diritti
fondamentali.
L’impianto si ritrova nella nostra Costituzione. Una sinergia ideologica sorregge le
scelte della Carta: le idee della rivoluzione liberale del secolo precedente e le nuove aspi-
razioni verso uno Stato socialista-marxista si intrecciano con i dettami della “dottrina so-
ciale” della Chiesa cattolica (specie della enciclica Rerum novarum di Leone XIII del
1891), dando un contenuto sociale alla edificata democrazia (c.d. patto o compromesso
costituzionale) 44. La Carta costituzionale, per un verso, reitera l’autonomia dei tre po-
teri formali tradizionali (legislativo, esecutivo e giudiziario), come esplicazione di neu-
tralità operativa e di garanzia del cittadino; per altro verso, integra i principi di libertà,
uguaglianza e fraternità nel primato della persona umana nella sua integralità di di-
gnità umana e nel correlato dovere di solidarietà.
A differenza dello Statuto albertino, la Costituzione repubblicana è rigida, in quanto
la revisione richiede una procedura aggravata, non quella di modifica delle leggi ordina-
rie (art. 138). Contiene una disciplina nutrita dei valori essenziali, con la previsione di
“Principi fondamentali” (artt. da 1 a 12) e di una Parte I dedicata a “Diritti e doveri dei
cittadini” (artt. da 13 a 54). La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come
“Legge fondamentale della Repubblica” da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato (disp.
XIV). Anche per l’epoca di formazione, la Costituzione si chiude con la previsione che la
forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale (art. 139), ma la
Corte costituzionale ha ampliato l’area della inderogabilità ai valori essenziali 45.
Gli artt. 2 e 3 delineano la tavola fondamentale del principio personalista, dal quale
tutti gli altri valori derivano. Entrambe le norme sono strutturate nel medesimo modo:
una prima parte è rivolta a riconoscere e garantire la inviolabilità dei diritti dell’uomo
(espressi dalla tradizione o man mano emergenti); una seconda parte è indirizzata a im-
porre (a privati e pubblici poteri) l’obbligo di solidarietà politica, economica e sociale per
realizzare in fatto il pieno sviluppo della persona umana. In particolare, il vincolo di so-

44
Sull’idea del primato della persona umana convergevano le ideologie fondamentali che diedero vita alla
Carta, anche se le giustificazioni erano diverse: per i cattolici, rappresentava la “trascendenza” della persona,
espressiva della divinità; per i marxisti, indicava l’approdo alla “scomparsa dello Stato” nella fase finale del
comunismo; per i liberali e laici in genere, significava la “garanzia dei diritti” degli uomini verso lo Stato. Se-
condo l’immagine che fu data della Carta, la stessa si presentava come una “piramide rovesciata” con un cri-
terio di socialità progressiva: l’uomo è considerato prima nella sua individualità, poi all’interno delle comu-
nità minori, quindi nell’ambito del lavoro e infine dentro la comunità politica; segue quindi la organizza-
zione statale.
45
Con la fondamentale sent. 29-12-1988, n. 1146, la Corte ha affermato che non possono essere sovvertiti
o modificati nel loro contenuto essenziale “principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli
non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui
quali si fonda la Costituzione italiana”.
34 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

lidarietà dell’art. 2, da un lato, favorisce la partecipazione di tutti i consociati allo svilup-


po del paese; dall’altro, vale a fronteggiare le posizioni di disuguaglianza, imponendo a
ognuno il necessario supporto al superamento dello svantaggio altrui. L’art. 3, da un lato,
fissa il divieto di discriminazioni (co. 1); dall’altro, impone azioni positive di favore verso
posizioni svantaggiate (co. 2) (v. appresso II, 7.3): così l’intervento pubblico di aiuto di-
viene sostegno dello stesso principio di uguaglianza.
Si delinea uno Stato sociale di diritto (v. appresso II, 7.8): ne sono significative espres-
sioni il divieto di svolgere attività economiche in contrasto con l’utilità sociale e la dignità
umana (art. 41), la funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), il diritto del lavoratore
ad una retribuzione in grado di assicurare una vita familiare libera e dignitosa (art. 36), l’at-
tuazione di più diritti sociali pretensivi (quali il diritto alla salute, all’istruzione, al gratuito
patrocinio), la progressività tributaria (art. 53) 46. Con la modifica degli artt. 9 e 41 Cost.
(ad opera della L. cost. 11.2.2022, n. 1) l’ambiente ha assunto direttamente rilevanza costi-
tuzionale. I principi si irradiano sull’intero ordinamento, incidendo anche sul diritto priva-
to: emerge una normativa costituzionale del diritto privato, sicché il codice civile e i testi nor-
mativi complementari vanno riletti alla luce della Carta costituzionale (si parlerà a lungo della
evoluzione del principio di buona fede nella dimensione della solidarietà sociale: II, 7.5).

8. Segue. Il pluralismo ordinamentale e sociale. – Come portato dei nuovi valori


ordinatori della società, è erosa la visione statalista del diritto che aveva contrassegnato
l’epoca precedente, per cui il diritto si esauriva nella legge statale. C’è la fiducia del co-
stituente nelle autonomie locali e nelle formazioni sociali, quali luoghi di svolgimento
della persona umana, sicché la Repubblica deve favorirne la formazione e valorizzarne la
vita democratica, tutelando le istanze dei gruppi e l’interesse dei singoli nei gruppi (art.
2, 2a parte). Vi è un’attenzione privilegiata alle comunità nelle quali l’uomo, sin dalla na-
scita, è inserito e poi liberamente si dispiega: gli statuti delle varie comunità (private e
pubbliche) regolano i rapporti di appartenenza, con la previsione di regole di comporta-
mento e la comminatoria di sanzioni in ragione della natura delle singole aggregazioni;
solo l’irrogazione della pena della carcerazione, per l’afflizione fisica che comporta, è riser-
vata alle strutture giudiziarie statali, a seguito di un giusto processo (artt. 25 e 111 Cost.).
L’ispirazione pluralistica si esprime in due direzioni: ordinamentale e sociale.
a) Il pluralismo ordinamentale (in senso stretto) sviluppa l’esperienza delle au-
tonomie all’interno dell’ordinamento giuridico statale. Il criterio si lega alla dottrina del-
la c.d. “pluralità degli ordinamenti” che aveva avuto già modo di considerare il coordi-
namento dell’ordinamento statale con il diritto convenzionale della comunità internazio-
nale e con l’ordinamento della Chiesa cattolica: prospettive riprese e regolate dalla Carta
repubblicana 47.

46
Secondo l’efficace immagine di SANTI ROMANO, “il diritto costituzionale è il tronco di un albero da cui
si diramano le varie partizioni del diritto come singoli rami”. La Costituzione si configura come il tronco di
un albero ad alto fusto da cui si dipartono molti rami, metaforicamente diritto pubblico, diritto amministrati-
vo, diritto privato, diritto penale, diritto tributario, ecc., la cui linfa si ricollega al tronco.
47
Nella prospettiva internazionale, per l’art. 101 Cost., l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle nor-
me del diritto internazionale generalmente riconosciute; e per l’art. 11 Cost., l’Italia consente, in condizioni di
parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Secondo
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 35

In tale ordine di idee si sviluppa un pluralismo istituzionale caratterizzato dall’arti-


colazione del potere e delle decisioni in più strutture. Sono valorizzate le autonomie
locali, accordando rilevanza giuridica ai rispettivi statuti: per l’art. 5 Cost., la Repub-
blica riconosce e promuove le autonomie locali; per l’art. 1142 Cost., i Comuni, le Pro-
vince, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e
funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione 48; per l’art. 117 le Regioni hanno
potestà legislativa concorrente con lo Stato in particolari materie ed esclusiva nelle ma-
terie non espressamente riservata alla legislazione statale. Un peculiare campo di azio-
ne di tale esperienza è quello del fenomeno sportivo e delle relative articolazioni 49.
L’autonomia dei singoli ordinamenti non importa separatezza degli stessi: la varietà di
discipline è in ragione delle specifiche materie oggetto di regolazione; ogni statuto è as-
soggettato alla normativa costituzionale e comunitaria e alle normative di cornice e di
competenza esclusiva nazionali.
b) Il pluralismo sociale si è atteggiato dapprima come pluralismo politico e delle
organizzazioni degli interessi dei gruppi. È stato visto come espressione di favore per le
formazioni sociali giuridicamente rilevanti, valutate come mezzi privilegiati di sviluppo
della persona umana (art. 2 Cost.). A tale atteggiamento si connette una imitazione del
diritto statale in favore degli statuti dei gruppi (II, 7.3; IV, 3.1).
Più di recente il pluralismo sociale si è aperto alle specificità dei soggetti reali, non
solo attraverso l’attribuzione di diritti sociali che si affiancano ai tradizionali diritti civili,
ma anche con l’attenzione alle particolarità identitarie delle persone: rilevano le conno-
tazioni umane, le affettività di genere, le formazioni culturali e religiose e i percorsi per-
sonali di vita, attraverso una perenne costruzione della coesione sociale alimentata dal
basso. Una correlazione di cittadinanza attiva e di responsabilità civica attraversa la rela-
zionalità sociale e sostiene la convivenza civile.
Sullo sfondo c’è la storia di un costituzionalismo nato e sviluppatosi come diritto in-
terno statale (lo spazio della sovranità), presidiato dalla cittadinanza statale, e che tende
a diventare universale per inerire alla dimensione esistenziale degli uomini: c’è una co-
mune umanità al fondo del costituzionalismo dell’attualità.

9. Capacità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione. – Coeren-


temente con le idee sopra delineate è in corso una progressiva attribuzione agli enti pub-
blici di qualificazioni e prerogative proprie dei soggetti privati, coinvolgenti la capacità e
l’attività della pubblica amministrazione.

l’art. 1171 Cost. “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,
nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Nei rapporti con le
confessioni religiose, è accordata rilevanza costituzionale ai “patti lateranensi” (art. 7 Cost.) e sono previste “inte-
se” con le altre confessioni religiose (art. 8 Cost.).
48
Cfr., L. 5.6.2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. cost.
18.10.2001, n. 3; D.Lgs. 18.8.2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
49
Per l’art. 1 D.L. 19.8.2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), conv. con mo-
dif. con L. 17.10.2003, n. 280, la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo na-
zionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico In-
ternazionale; i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al
principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giu-
ridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo.
36 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

a) Quanto alla capacità, per l’art. 11 c.c. le province, i comuni e gli enti pubblici rico-
nosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati
come diritto pubblico 50. Manca il riferimento allo Stato, ma è opinione unanime che tut-
te le amministrazioni pubbliche, compresa quindi quella statale, godano di diritti e sono
dunque dotate di capacità generale di diritto privato 51. Tutti gli enti pubblici sono dotati
di personalità giuridica 52, mentre gli enti privati possono essere o meno dotati di perso-
nalità giuridica.
Sul modello della capacità riconosciuta ai soggetti privati e agli enti privati, la capaci-
tà di diritto privato della pubblica amministrazione consiste nell’attitudine della stessa
ad essere titolare di diritti e doveri (capacità giuridica) e di compiere atti giuridici (capa-
cità di agire) (IV, 3.5). Perciò tutta la normativa di diritto privato (contenuta nel codice
civile e in norme complementari) è di regola applicabile agli enti pubblici, tranne che
norme particolari non vi deroghino espressamente. È conseguito da ciò (come si vedrà)
che fondamentali categorie del diritto privato – come il dovere di buona fede, il princi-
pio del neminem laedere, la protezione del contraente nei contratti predisposti da una
sola parte – siano state applicate dalla giurisprudenza nei confronti delle pubbliche am-
ministrazioni. Una persona giuridica pubblica può essere nominata amministratore di
sostegno (art. 408, ult. co.).
b) Quanto all’attività, all’esito di un percorso di elaborazione dottrinale e giurispru-
denziale, la riscrittura dell’art. 1 della L. 7.8.1990, n. 241, relativo ai “principi generali
dell’attività amministrativa” (ad opera dell’art. 1 della L. 11.2.2005, n. 15 e poi dell’art. 7
L. 69/2009) ha fissato alcuni fondamentali principi: l’attività amministrativa persegue i
fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparziali-
tà, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle
altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordina-
mento comunitario (art. 11); la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura
non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga

50
La capacità della pubblica amministrazione di stipulare contratti, correlata alla soggettività giuridica ri-
conosciuta ex art. 11 c.c., sussiste quando sia esercitata conformemente alle procedure definite dal legislatore
e alla delibera autovincolante per l’amministrazione, per il perseguimento di finalità di pubblico interesse (Cons.
Stato 1-3-2010, n. 1156).
51
Ha rilevato M.S. GIANNINI (1950) che “l’ente pubblico è prima di tutto un ente (inteso come soggetto
agente secondo il diritto comune), poi è pubblico”; e ha osservato A. FALZEA (1939) che “la qualità di sog-
getto giuridico non consiste in altro, se non nella posizione, in parte attuale e nella maggior parte potenziale,
di destinatario degli effetti giuridici di un ordinamento, senza distinzioni od esclusioni di campi”. La giuri-
sprudenza è ormai concorde nel riconoscere che “la capacità di diritto privato delle persone giuridiche è po-
tenzialmente generale”, ma per gli enti pubblici incontra “il limite della competenza attribuita all’ente, che è
delimitata da norme qualificabili come imperative” ai sensi dell’art. 1418 c.c., sicché la loro violazione com-
porta la radicale invalidità dell’atto compiuto dall’ente, in quanto affetto da incapacità negoziale (Cass.
21-4-2000, n. 5234). E ancora: “i divieti posti alle persone giuridiche pubbliche di svolgere determinate attivi-
tà non toccano la capacità giuridica dell’ente, intesa come ‘astratta attitudine ad acquistare diritti ed a con-
trarre obblighi’, ma si configurano come limitazioni della legittimazione negoziale” (Cass. 10-6-1981, n. 3748).
52
La qualificazione come pubblica amministrazione di un’istituzione può risultare da forme diverse, po-
tendo ricorrere per effetto del riconoscimento della personalità giuridica di diritto pubblico che rende l’istitu-
zione un ente pubblico o anche allorquando l’istituzione si presenti come un’articolazione di una pubblica
amministrazione, ovvero di un ente pubblico, eventualmente dotata di una soggettività distinta da esso, nel
senso che sia abilitata ad agire senza il suo tramite, sebbene sempre per realizzare i suoi fini (Cass., sez.
un., 8-9-2016, n. 17751; anche n. 17754).
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 37

diversamente” (art. 11bis); i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono


improntati ai principi della collaborazione e della buona fede (art. 12bis, comma aggiunto
dall’art. 121, lett. 0a), D.L. 16.7.2020, n. 76, conv. con L. 11.9.2020, n. 120). Il procedi-
mento deve svolgersi in una ragionevole durata (art. 2), e il provvedimento deve essere
motivato (art. 3) 53. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 11ter sono te-
nuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolo-
sa o colposa del termine di conclusione del procedimento (art. 2 bis) 54. Si è anche affer-
mata una responsabilità civile della P.A. connessa ad attività provvedimentale illegitti-
ma 55. Gli enti pubblici economici vengono soggetti ad una disciplina di diritto privato 56.
In una diversa angolazione sta imponendosi la consapevolezza che anche l’attività della
P.A. debba esplicarsi in modo efficiente. Opera un metodo di contabilità parallelo a quel-
lo degli organismi privati 57, per cui le pubbliche amministrazioni agiscono secondo di-
sposizioni di legge nel rispetto dell’equilibrio dei bilanci 58 e della sostenibilità del debito
pubblico.
Quando gli enti pubblici agiscano mediante strumenti di diritto privato (precipua-
mente i contratti), c’è da coniugare il principio dell’autonomia privata, improntato all’au-
todeterminazione e alla libertà di perseguimento degli interessi, con il principio di legali-

53
Il dovere di motivare i provvedimenti amministrativi rappresenta espressione dei principi di pubblicità
e trasparenza che, ex art. 1 L. 241/1990, sovraintendono all’intera attività amministrativa, in quanto diretti ad
attuare sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), sia la
tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti della stessa ammini-
strazione (Cons. Stato 13-1-2021, n. 414).
54
Le pubbliche amministrazioni e i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative sono tenuti
al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di
conclusione del procedimento (art. 2 bis); l’azione amministrativa, anche se indirizzata alla repressione di
condotte illecite, non si sottrae ai principi di economicità, adeguatezza ed efficacia allo scopo perseguito, san-
citi dall’art. 1 L. 241/1990 che si riflettono sulla ragionevole durata del procedimento (Cons. Stato 14-2-2022,
n. 1081).
55
Pur confermandosi la c.d. pregiudizialità amministrativa, l’amministrazione deve essere convenuta da-
vanti al giudice ordinario in tutte le ipotesi in cui l’azione risarcitoria costituisca reazione alla lesione di diritti
incomprimibili (come la salute o l’integrità personale), ovvero quante volte la lesione del patrimonio del pri-
vato sia l’effetto indiretto di un esercizio illegittimo o mancato di poteri, ordinati a tutela del privato (ad es.
nell’ipotesi di occupazione “usurpativa”) (Cass., sez. un., 13-6-2006, n. 13659).
56
È irrilevante il fatto che gli enti pubblici economici “perseguano le proprie finalità istituzionali median-
te un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato” (Cass., sez. un., 22-12-2003, n. 19667). Con L.
9.1.2008, n. 2, la Società italiana degli autori e editori (SIAE) è configurata ente pubblico economico a base
associativa, la cui attività è disciplinata dalle norme di diritto privato; anche le controversie concernenti le
attività dell’ente sono devolute alla giurisdizione ordinaria.
57
La L. cost. 20.4.2012, n. 1, introduce il principio di “pareggiamento di bilancio”, modificando l’art. 81
Cost. nel senso che “lo stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto
delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”, e modificando l’art. 119 Cost. nel senso che
“i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa
nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci”.
58
L’equilibrio di bilancio, lungi dal rappresentare un mero dato ragionieristico, è stato concepito e riguarda-
to come “bene pubblico” nel senso che è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente pubblico,
in ordine all’acquisizione delle entrate e alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche
(art. 81 Cost.); è una “clausola generale” del sistema contabile, in funzione dei principi di solidarietà sociale
(art. 2 Cost.), di pluralismo e di autonomia (art. 5 Cost.), di concorso al sostegno della spesa pubblica (art. 53
Cost.), di eguaglianza formale e sostanziale (art. 3 Cost.) (Corte cost. 20-7-2016, n. 184; sent. 192/2012).
38 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

tà dell’azione pubblica, per cui i pubblici uffici sono organizzati secondo “disposizioni di
legge” in modo che siano assicurati il “buon andamento” e la “imparzialità” dell’ammini-
strazione (art. 97 Cost.), al fine del perseguimento di interessi pubblici 59. L’intreccio dei
due profili è reso possibile dal dovere di osservanza di un procedimento di evidenza
pubblica, che è un procedimento interno all’ente, che precede la stipula dell’atto nego-
ziale ed è svolto secondo scansioni fissate dalla legge al fine di garantire la realizzazione
dell’interesse pubblico. La procedimentalizzazione amministrativa (cioè il susseguirsi conca-
tenato e formalizzato di atti tipici da parte della pubblica amministrazione) nella deter-
minazione dell’interesse da realizzare, nonché nella individuazione dei mezzi necessari
allo scopo e nella scelta del contraente, consente di verificare il rispetto della legge e l’uso
corretto della discrezionalità, garantendo la trasparenza dell’azione della pubblica ammini-
strazione (che è presupposto essenziale per un controllo democratico della stessa quan-
do compie attività di amministrazione mediante strumenti del diritto privato) 60; in tale
azione opera la comune responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di in-
teressi legittimi 61. L’evidenza pubblica doppia la stipula privata, rappresentando la prima il
presupposto della seconda ed operando la delibera amministrativa e il contratto stipula-
to come collegati.
È inoltre riconosciuto alla pubblica amministrazione il potere di riesame del provve-
dimento amministrativo in autotutela, come espressione dell’interesse pubblico, che
consente il ritiro del provvedimento, nella forma dell’annullamento o della revoca 62 (III,
3.4). I terreni dove maggiormente si svolge l’intreccio tra attività amministrativa di evi-
denza pubblica e impiego di moduli di diritto privato sono quelli dei contratti della pub-
blica amministrazione, specie appalti pubblici (IX, 2.2), e della costituzione di società (o
partecipazione a società) della pubblica amministrazione.

10. Il diritto privato europeo. – Una esperienza giuridica europea si è formata nel
tempo e proviene sin dal medioevo, non disgiunta da mire espansionistiche di singoli po-
poli, nello svolgersi di una complessa storia giuridica europea (v. sopra par. 2).

59
Per l’art. 3, lett. d, D.Lgs. 18.4.2016, n. 50 (codice dei contratti pubblici), si intende per “organismi di
diritto pubblico”, qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nel-
l’allegato IV.
60
L’ordinamento comunitario ha valorizzato il principio della imparzialità della pubblica amministrazione
anche come divieto di discriminazione tra soggetti in ragione della provenienza nazionale al fine di realizzare
un mercato unico effettivamente concorrenziale. Come si vedrà, la pubblica amministrazione, quando fa uso
della capacità di diritto privato e dunque opera nel mercato, è soggetta alle regole di tutela della concorrenza
e del mercato (II, 6.4).
61
La responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità
provvedimentale che da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natu-
ra di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non di responsabilità da inadempimento contrattuale; è per-
tanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle
conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 c.c. – da ritenere espressione di un principio gene-
rale dell’ordinamento –, i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con
l’ordinaria diligenza del danneggiato, ex artt. 1223 e 1227 c.c., e non anche il criterio della prevedibilità del
danno ex art. 1225 c.c. (Cons. Stato, ad. plen., 23-4-2021, n. 7).
62
Il decorso di un significativo lasso temporale (ad es. un periodo di oltre dieci anni) tra l’adozione di un
provvedimento ed il ritiro in sede di autotutela determina un legittimo affidamento in ordine alla stabilità del
provvedimento (Cons. Stato 20-8-2008, n. 3984).
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 39

a) L’Europa quale istituzione è maturata più di recente, dopo le tragedie della se-
conda guerra mondiale, nutrita delle idee forti di pace e di civile convivenza e di rispetto
della persona umana, che attingono alla tradizione del cristianesimo che aveva pervaso
la società medievale e ai principi illuministici dello Stato di diritto affermatisi nell’età
moderna, intrecciandosi con le matrici culturali comuni greco-latine della civiltà occi-
dentale. Falliti l’ideale di una unità politica ed anche l’obiettivo di una federazione eu-
ropea 63, più filoni di pensiero si sono intrecciati verso un processo di integrazione eu-
ropea economica e sociale e in prospettiva politica 64 (in seguito si parlerà dell’attuale
organizzazione normativa europea, trattando delle fonti del diritto: I, 3.6).
L’U.E. ha aderito alla Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle li-
bertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4.11.1950 (rat. e resa esec. con L. 4.8.1955,
n. 848), cui sono seguiti vari protocolli: i diritti fondamentali della Convenzione fanno
parte del diritto dell’Unione in quanto “principi generali”; anche se l’adesione non
modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati (art. 62,3 TUE) 65. L’U.E. ha ri-
conosciuto la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, approvata a Nizza nel
2000 e confluita nel Trattato di Lisbona, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati,
senza però estendere le competenze dell’Unione definite nei trattati (art. 61 TUE). È ma-
turata una “Europa dei diritti”, in cui la dignità della persona umana, correlata alla
solidarietà, è valore essenziale di coesione dell’unificazione giuridica. Si è delineato un
acquis communautaire, quale insieme di principi giuridici ed obiettivi politici che ac-
comunano e vincolano gli stati membri.
b) Sta anche emergendo una “Europa del diritto”, legiferante regole uniformi di
attribuzione di diritti e di condotte economiche e organizzative. Si vedrà come, affianco
al diritto convenzionale, si sta dilatando il diritto derivato, che tocca versanti sempre più
ambi della vita civile, sociale e economica. L’evoluzione del sistema giuridico europeo è
sempre maggiormente opera delle Corti europee, specie attraverso il c.d. “rinvio pregiu-
diziale” (la Carta costituzionale, con gli artt. 10 e 11, si era aperta alle regole della vita

63
Era l’idea del “Manifesto di Ventotene”, che aveva come titolo “Per un’Europa libera e unita”, redatto
da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi durante il loro confino nell’isola pontina (uscito clandestinamente nel
1941), e che ispirò nel 1943 la formazione del Movimento federalista europeo.
64
Il primo approccio alla cooperazione europea in senso moderno avveniva con il Trattato di Parigi del 1951
istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), che sottoponeva sotto un’unica autorità la
produzione carbo-siderurgica dei vari paesi, essenziale fattore di sviluppo economico dell’epoca, con lo scopo
anche di mettere insieme le materie prime dell’armamento e così evitare ulteriori scontri bellici. Dopo vari pro-
getti di integrazione e unificazione, veniva firmato a Roma il 25.3.1957 il Trattato istitutivo della Comunità eco-
nomica europea (CEE) (nota come “mercato comune”) con alcuni obiettivi importanti: la libera circolazione di
beni, persone e capitali, cui si affiancavano l’unione doganale, la tariffa unica verso l’esterno, una politica com-
merciale e agricola comune, la valorizzazione delle aree sottosviluppate. L’Atto unico Europeo del 17.2.1986 fis-
sava l’obiettivo di creare un mercato interno e unico europeo anche di servizi e capitali. Il Trattato di Maastricht
del 7.2.1992 istituiva l’Unione europea (U.E.); il 1° gennaio 2002 nasceva l’euro come moneta unica europea,
anche se non tutti i paesi (es. Gran Bretagna) partecipavano all’eurozona. È seguito il Trattato di Amsterdam del
2.10.1997, con specifica attenzione ai diritti dell’uomo, all’occupazione e alle posizioni sociali deboli.
65
La Convenzione sui diritti dell’uomo (conclusa a Roma nel 1950) ha un proprio sistema di garanzia af-
fidato alla Corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo; in virtù della detta adesione l’Unione
deve sottoporsi alla Convenzione sui diritti dell’uomo con una conseguente modifica del proprio sistema di
garanzia, sicché anche la Corte di giustizia U.E. è costretta ad uniformarsi alla Corte europea dei diritti del-
l’uomo, che diventa la suprema corte giurisdizionale per il rispetto dei diritti fondamentali.
40 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

internazionale) (I, 3.6). Uno strumentario logico e lessicale del diritto romano attraversa
la cultura giuridica europea orientando dialoghi e scelte.
L’Europa si presenta oggi come espressiva di uno spazio comune dove circolano per-
sone, lavoro, capitali, cose, merci, servizi, diritti, in un quadro normativo di economia so-
ciale di mercato. L’adozione dell’euro quale moneta unica europea ha comportato la ces-
sione della sovranità nazionale nella politica monetaria, con la definizione delle istituzio-
ni europee del patto di stabilità e crescita europea. In seguito, si parlerà del diritto euro-
peo tra le fonti del diritto (I, 3.6).
c) È in atto un processo di formazione di un diritto privato europeo attraverso
un duplice percorso: da un lato, con la formazione di un diritto dell’Unione europea e
cioè di una disciplina uniforme del diritto privato proveniente dall’alto, attraverso le
Convenzioni europee (diritto europeo convenzionale) e l’intervento normativo delle isti-
tuzioni europee (diritto europeo derivato) (I, 3.6); dall’altro, con la elaborazione di un
diritto comune e cioè di un insieme di criteri e categorie uniformi provenienti dal basso,
mediante l’opera di centri culturali, studiosi e operatori del diritto.
Il diritto privato europeo si atteggia quale insieme di principi e valori generali e di
principi riferiti a singoli settori, che stimolano la modernizzazione degli ordinamenti na-
zionali (si pensi alla riforma del BGB del 2001-2002, alla riforma del code civil francese
del 2016-2018); tali principi rappresentano un riferimento nella interpretazione non solo
di disposizioni europee ma anche del diritto interno dei singoli Stati, funzionando come
criteri di soluzione delle controversie, sia in sede giudiziale che negli arbitrati specie in-
ternazionali 66.
Ormai tutti i settori del diritto privato sono in qualche modo attraversati dalla forza
unificatrice del diritto europeo. Gli interventi necessariamente settoriali e frammentari
delle istituzioni europee mettono a dura prova la organizzazione di un “diritto privato
generale”. Talvolta si dà luogo alla formazione di un diritto strumentale uniforme che as-
sicura la certezza di giurisdizione e la circolazione dei provvedimenti giudiziari in ambito
europeo. Più spesso si dà luogo a normative di diritto materiale uniforme, con la regola-
zione uniforme di singoli settori.
È emerso un diritto europeo dei contratti e dei consumatori, destinato a formare il
nucleo forte di un futuro (eventuale) codice europeo di diritto privato. Come si vedrà,
le varie direttive europee che si sono succedute hanno determinato la graduale sedi-
mentazione di complesse normative a tutela del consumatore e relativamente ai contratti
dei consumatori 67, principalmente confluite nel codice del consumo (D.Lgs. 6.9.2005, n.
206), continuamente emendato (v. appresso). Sono anche emerse nuove figure di re-
sponsabilità civile (come ad es. la responsabilità del produttore). Si aggiunga una nu-
trita normativa in materia di servizi e con riguardo al mercato e alla concorrenza; sono

66
È da tempo in corso l’aspirazione alla formazione di un codice civile europeo, attraverso progetti elaborati
da scuole giuridiche europee. Allo stato sono fondamentali i Principi di diritto europeo dei contratti (PECL)
del 1995, i Priciples of international commercial contracts (PICC) Unidroit del 2016 e il Draft Common Frame
of Reference (DCFR) del 2008-2009, che è il progetto più complesso per contenere un insieme coordinato di
regole relative a contratti, proprietà e responsabilità civile.
67
Vedi direttiva UE/2019/771 sulla garanzia legale di conformità e sulle garanzie commerciali per i beni
di consumo (attuata con D.Lgs. 4.11.2021, n. 170); direttiva UE/2014/17 sui contratti di credito ai consuma-
tori relativa a beni immobili residenziali (attuata con D.Lgs. 21.4.2016, n. 72).
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 41

in corso altri significativi interventi europei di uniformazione della disciplina dei contrat-
ti. Per le operazioni compiute a mezzo internet è stata approvata la direttiva 2000/31/CE
sul commercio elettronico, attuata con D.Lgs. 70/2003; rilevante anche la direttiva
UE/2019/770.
Ampio sviluppo ha avuto una normativa di tutela dei risparmiatori rispetto alla circo-
lazione e alla gestione dei prodotti finanziari (v. appresso). Una normativa nutrita ri-
guarda le società commerciali, al fine di tutela dei diritti delle minoranze, di garanzia del-
la verità e precisione delle scritture contabili e di analiticità dei bilanci.
Anche con riguardo alla proprietà, nonostante il c.d. “principio di neutralità” sancito
dall’art. 345 TFUE – secondo cui “I trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime
di proprietà esistente negli Stati membri” –, la previsione dell’art. 17 Carta dir. fond.
U.E. fissa uno statuto base della proprietà.
Più lenta è la formazione di un diritto uniforme delle persone e della famiglia, per il
radicamento territoriale delle discipline nazionali (dove convergono consuetudini di vita,
precetti religiosi, costumi sociali, tradizioni culturali, ecc.); sono però molte le racco-
mandazioni e le risoluzioni delle istituzioni europee verso un diritto uniforme e emergo-
no principi uniformi 68. Pure in materia successoria la Commissione europea ha pubblica-
to il 1° marzo 2005 il libro verde “Successioni e testamenti” ove si evidenzia l’esigenza di
uniformazione del diritto successorio.
In tale disorganica emersione di normative europee l’attività delle Corti europee
(Corte di giustizia U.E. e Corte europea dei diritti dell’uomo) elabora i formanti giuri-
sprudenziali che circolano nei vari Stati (v. appresso).

11. Ambito attuale del diritto privato e il diritto pubblico. – Si è visto come, nella
formazione degli stati moderni, la separatezza tra diritto privato e diritto pubblico si
fonda su un divario tra società civile e Stato, per cui lo Stato non deve interferire con il
naturale svolgersi delle relazioni private. Si è visto però come, con l’avvento della in-
dustrializzazione, la originaria forza della iniziativa individuale è erosa rispetto alla or-
ganizzazione e alla centralizzazione delle attività economiche e della società; la tradi-
zionale idea della parità giuridica contrattuale è smentita dalla esperienza della produ-
zione e distribuzione di massa, caratterizzata dalla predisposizione unilaterale dei con-
tratti, cui l’altra parte può solo aderire (c.d. contratti per adesione). Anche il potere
pubblico ha abbandonato la posizione di estraneità rispetto allo svolgersi delle relazio-
ni economico-sociali, intervenendo nella sfera dei rapporti privati per orientare lo svi-
luppo sociale in funzione di benessere generale 69. È in atto una progressiva sinergia tra
diritto privato e diritto pubblico, che ne ridisegna le sfere.

68
Con la Convenzione Edu del 1950 ha inizio una normazione europea per principi delle relazioni fami-
liari (artt. 8 e 12), proseguita dalla Carta dir. fond. U.E. di Nizza del 2000 (artt. 7 e 9). In sostituzione del Reg.
n. 1347/2000 del 29.5.2000 (c.d. Bruxelles 2), veniva approvato il Reg. n. 2201/2003 del 27.11. 2003 (c.d.
Bruxelles 2 bis), che introduce la emblematica previsione di una “responsabilità genitoriale”, incidente nella
configurazione delle relazioni familiari. Con il Reg. UE/1111/2019 è intervenuto “Il nuovo regime di circola-
zione dei provvedimenti cautelari ed urgenti in materia di famiglia”.
69
È un intervento che si snoda in più direzioni: ad es. incentiva certe aree geografiche disagiate e favorisce
l’accesso a determinati beni di prima necessità; regola lo statuto di certi beni di interesse generale (es. beni
artistici o ambientali) e controlla la gestione dei mezzi di produzione (per l’impatto sulla società); partecipa a
società con privati, assume la gestione di servizi di pubblica utilità (es. sanità, trasporti).
42 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

a) Resiste il criterio distintivo ulpianeo fondato sulla natura degli interessi rego-
lati, per cui al diritto pubblico inerisce la cura dell’interesse generale, mentre al diritto pri-
vato è demandata la realizzazione degli interessi particolari (degli individui e dei gruppi) 70.
È bene precisare che pure il diritto privato ha un fondamento di tutela nell’interesse
generale della società, ritenendosi che il perseguimento degli interessi individuali, oltre
che nutrire i diritti di libertà, sia anche maggiormente in grado di assicurare la produtti-
vità dei beni e la collocazione ottimale dei prodotti, che si riverberano a beneficio della
società.
b) Ha assunto rilevanza un criterio che ha riguardo alla tipologia dei mezzi per il
perseguimento degli interessi, in ragione della natura degli strumenti utilizzati, se con-
nessi a poteri autoritativi di sovranità o affidati a meccanismi di parità giuridica. Il mecca-
nismo dell’autorità pubblica impegna istituzionalmente il diritto pubblico e realizza inte-
ressi generali; mentre il meccanismo della parità giuridica involge il diritto privato e rea-
lizza interessi particolari (di singolo o di gruppo).
L’interesse generale è però realizzabile, oltre che con i meccanismi istituzionali del di-
ritto pubblico (espressivi di sovranità), anche con gli strumenti del diritto privato (espli-
cativi di parità giuridica). Molto spesso, interessi di carattere generale possono essere
realizzati con maggiore efficienza mediante strumenti di diritto privato: ad es., volendo
la P.A. acquisire un’area per realizzare un’opera pubblica, può imporre un provvedimento
di espropriazione oppure ricorrere a un contratto di compravendita; ancora, avendo ur-
genza di realizzare un presidio di forza pubblica o un posto sanitario o un plesso scolasti-
co, può assumere un provvedimento amministrativo di requisizione di un edificio dal pro-
prietario oppure stipulare un contratto di locazione con il proprietario dell’edificio. Spes-
so l’attività dello stato o di enti pubblici in economia è svolta con l’impiego di strumenti
di diritto privato, quali principalmente il contratto e la società 71: è il percorso proprio dei
contratti della pubblica amministrazione e delle società partecipate (di cui appresso). È dif-
fusa l’esperienza di società con prevalente partecipazione pubblica per la gestione dei ser-
vizi pubblici di rilevanza economica (c.d. società in house): sono organismi di struttura pri-
vatistica che perseguono interessi pubblici 72. Quando è imboccata la strada del diritto pri-
vato, si dà luogo ad accordi tra pubblica amministrazione e privati con moduli negoziali

70
Secondo il celebre passo di Ulpiano: “Publicumjus est quod ad statum rei romanae spectat; privatum,
quod ad singulorum utilitatem” (Dig. 1.1.1.2). Tale ripartizione resisterà a lungo nel pensiero giuridico.
Minor seguito ha ricevuto la formulazione di Cicerone che radicava la distinzione nella fonte di provenien-
za del diritto: lex, senatus consultum, foedus nel diritto pubblico per riferirsi al populus; mentre tabulae,
pactum conventum, stipulatio nel diritto privato per riflettere i privati.
71
Talvolta l’ente pubblico prende esso stesso la forma privatistica (specie s.p.a.), adottando atti che ten-
dono a mutuare dal diritto privato i singoli effetti; talaltra l’ente pubblico rimane tale sul piano soggettivo, ma
ricorre al diritto privato nell’esplicazione dell’attività. Nella prima ipotesi c’è vestimentum privatistico dello
stesso ente; nella seconda ipotesi vestimentum privatistico della sola attività.
72
Il D.Lgs. 19.8.2016, n. 175 (t.u. in materia di società a partecipazione pubblica) detta regole per la co-
stituzione di società da parte di amministrazioni pubbliche, nonché l’acquisto, il mantenimento e la gestione
di partecipazioni da parte di tali amministrazioni, in società a totale o parziale partecipazione pubblica, diret-
ta o indiretta. L’affidamento di servizi pubblici a una società in house ha natura ordinaria e non eccezionale e
la relativa decisione dell’amministrazione, ove motivata, sfugge al sindacato di legittimità del giudice ammini-
strativo, salva l’ipotesi di macroscopico travisamento dei fatti o di illogicità manifesta (Cons. Stato 18-7-2017,
n. 3554).
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 43

funzionali all’esercizio dell’attività amministrativa di realizzazione dell’interesse generale: la


tecnica del consenso assurge a schema dialogico nell’esercizio della potestà pubblica.
Per converso, con la valorizzazione dei diritti umani, si va ampliando la materia riferi-
ta al diritto privato, che ormai è possibile delineare nella duplice direzione di diritto pri-
vato patrimoniale (di più antica tradizione) e diritto privato non patrimoniale (di più re-
cente emersione), con categorie giuridiche di riferimento di differente indole: nella pri-
ma direzione, caratterizzato da conflitti economici, sono attrattive le figure di proprietà,
contratto, impresa, società e mercato; nella seconda direzione, connotata da dimensioni
esistenziali, sono al centro le figure di persona, famiglia e associazionismo. È diffusa l’e-
sperienza dell’impiego da parte dei privati di strumenti di diritto privato per la realizza-
zione di interessi generali: è il mondo del volontariato e del non profit (c.d. terzo settore
o privato sociale) che realizza interessi sociali con strumenti privatistici.
In definitiva, si è in presenza del diritto privato quando i soggetti, compresi lo stato e
in genere l’ente pubblico, si comportano su un piano di parità giuridica, senza operare
poteri autoritativi. Si è in presenza del diritto pubblico quando lo Stato e in genere l’ente
pubblico si avvalgono della potestà pubblica di imperio esercitando poteri autoritativi
che la legge conferisce per la realizzazione di interessi generali.
Il diritto privato ha nel tempo acquisito la connotazione di diritto comune ai sog-
getti privati e ai soggetti pubblici, quando questi ultimi operino su un piano di parità giu-
ridica con i privati. Le discipline relative a contratti, obbligazioni, proprietà, responsabi-
lità civile, trovano applicazione sia ai soggetti privati che ai soggetti pubblici (tranne che,
per qualche ragione, non assuma rilevanza la qualificazione pubblica di qualche profilo,
come ad es. la condotta penalmente rilevante del funzionario che ha compiuto l’atto).
c) Una ulteriore distinzione risiede nella tipologia delle di sanzioni. La violazione
del diritto pubblico fa scattare, anche di ufficio (e dunque automaticamente) la sanzione,
che può consistere anche nella coercizione fisica per la violazione di alcune norme di di-
ritto penale (previo controllo dell’autorità giudiziaria che l’irroga); viceversa la violazione
di una norma di diritto privato comporta, di regola, la reazione dell’ordinamento su im-
pulso e richiesta del privato (di regola del soggetto leso), e la sanzione è di carattere eco-
nomico o di ripristino (previo controllo dell’autorità giudiziaria che l’irroga).
In molti paesi dell’area del common law (es. Inghilterra), più spesso il potere pubblico
persegue interessi generali ricorrendo agli strumenti del diritto privato, rilasciando l’inter-
vento autoritativo amministrativo alla tutela di esigenze fondamentali dello Stato (ad es., la
sicurezza pubblica, la difesa dello stato, ecc.). Per una generale circolazione dei modelli
giuridici anche da noi è in corso una espansione degli strumenti privatistici, specie nel set-
tore dei servizi pubblici 73.

12. Il diritto dei privati. – Accanto al diritto dettato dallo Stato per i rapporti tra
privati, pulsa un diritto espresso dagli stessi privati nei gruppi come nell’esplicazione
delle relazioni commerciali.

73
L’art. 2 del D.Lgs. 6.9.2005, n. 205, prevede, tra i fondamentali diritti del consumatore, quello alla “e-
rogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza”. Già la L. 14.11.1985, n. 481, garan-
tiva la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, nonché ade-
guati livelli di qualità nei servizi medesimi in condizioni di economicità e di redditività, assicurandone la frui-
bilità e la diffusione in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale.
44 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

a) La vita dei gruppi sviluppa una autonomia collettiva che si esplica attraverso
statuti che si impongono come diritto proprio delle singole comunità, spesso presidia-
to da sanzioni previste dagli stessi statuti. Fondamentale limite all’esplicazione dell’au-
tonomia collettiva è che lo statuto si riveli coerente con i valori dell’ordinamento (in
particolare è essenziale il rispetto del metodo democratico interno, come presidio di at-
tuazione della stessa funzione dell’ente di valorizzare la personalità dei partecipanti al
gruppo) (IV, 3.1).
Collegato all’esperienza dei gruppi è il fenomeno delle associazioni di categoria con
codici di autodisciplina, non solo all’interno ma anche nei rapporti esterni dei parteci-
panti. Stanno emergendo con rilevanza sempre più incisiva codici deontologici apprestati
dai vari ordini professionali 74.
b) Nelle relazioni commerciali rilevano formulari standard nella regolazione giu-
ridica. Dopo una lunga stagione di “diritto dell’economia”, sta riemergendo un’esperien-
za di “economia del diritto”. Resiste, sul piano formale della organizzazione delle fonti, il
criterio che solo gli usi normativi sono fonti di diritto e dunque operanti anche contro la
volontà delle parti (I, 3.9); ma l’esperienza moderna dei rapporti commerciali è sempre
maggiormente espressa da contratti-tipo o attraversata da clausole di significato standar-
dizzato che si impongono sul mercato nei contratti di massa.

13. Segue. La nuova lex mercatoria. – Si è visto come un incremento del diritto
consuetudinario era già avvenuto nel medio evo, con lo sviluppo del commercio e dei
traffici marittimi. L’inadeguatezza del diritto romano a regolare le nuove esigenze favorì
la formazione spontanea di uno ius mercatorum per coprire i rischi di spedizioni marit-
time, rastrellare risparmi, consentire circolazione di capitali. Le misure protezionistiche
dei sec. XVI e XVII e successivamente la statalizzazione della legge e della giustizia se-
gnarono un regresso di tale esperienza. Ma lo sviluppo della rivoluzione industriale, at-
traverso produzioni e distribuzioni di massa, rendeva necessaria l’apertura dei mercati
oltre i confini degli stati nazionali: da alcuni anni la globalizzazione ha ripreso a far pul-
sare il cuore antico dello spontaneismo del diritto, attraverso un crescente fenomeno di
elaborazione privata del “diritto” usato dagli operatori economici, che si è ormai soliti
qualificare come una nuova “lex mercatoria”. È l’esperienza propria del commercio
internazionale, dove principalmente operano prassi e modelli contrattuali e si riflettono
le varietà di fonti e tipologie di regolazioni. L’ammodernamento delle tecniche di produ-
zione e distribuzione di massa, l’evoluzione delle capacità e modalità di erogazione dei
servizi, la dilatazione dei mercati finanziari, la diffusione e velocizzazione delle linee di

74
Si pensi ai codici previsti dall’art. 20 della Conv. internaz. contro il doping nello sport del 19.10.2005
(ratif. con L. 26.11.2007, n. 230); si pensi anche ai codici i fa riferimento nella normativa contro le pratiche
commerciali scorrete nell’art. 19 cod. cons. Per Cass., sez. un., 10-7-2003, n. 10842, le disposizioni dei codici
deontologici predisposti dagli ordini (o dai collegi) professionali, se non recepite direttamente dal legislatore,
non hanno né la natura né le caratteristiche di norme di legge, come tali assoggettabili al criterio interpretati-
vo di cui all’art. 12 prel., ma sono espressione di poteri di autorganizzazione degli ordini (o dei collegi), sì da
ripetere la loro autorità, oltre che da consuetudini professionali, anche da norme che gli ordini (o collegi)
emanano per fissare gli obblighi di correttezza cui i propri iscritti devono attenersi e per regolare la propria
funzione disciplinare; le suddette disposizioni vanno interpretate nel rispetto dei canoni ermeneutici ex artt.
1362 ss., risultando denunciabile, anche in cassazione, la violazione o falsa applicazione dei suddetti canoni,
con la specifica indicazione di quelli disattesi.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 45

trasporto intermodale, favoriscono lo sviluppo di relazioni economiche tra paesi e aree


del mondo sempre più diverse e lontane.
Talvolta sono categorie professionali e merceologiche a predisporre singoli formulari,
più spesso sono società multinazionali ad imporre tecniche comportamentali e modelli con-
trattuali; talaltra ancora sono istituzioni private a predisporre regole da imporsi agli opera-
tori. Un ruolo importante in tale direzione, per la vastità della ricaduta, è svolto dal W.T.O.
(Organizzazione mondiale per il commercio), ormai fonte importante di un diritto conven-
zionale globalizzato. Per la tensione delle imprese ad una disciplina uniforme dei contratti,
si muove ed ha fortuna anche l’opera della Camera di commercio internazionale che appre-
sta regolazioni uniformi dei rapporti più significativi degli scambi internazionali 75.
Sono regole normalmente richiamate dai contratti, assumendo la forza di patti con-
trattuali; in assenza di richiamo, operano come usi negoziali, perciò (come si vedrà) non
funzionare contro la volontà delle parti. La circolazione di tali modelli e prassi fa emer-
gere la formazione di culture giuridiche e di principi universalmente introitati e sentiti
come diritto vigente.

14. Globalizzazione e convivenza mondiale. – Le nuove tecnologie informatiche e


segnatamente le telecomunicazioni accompagnano la espansione di un mercato globale
che segna una mondializzazione in senso moderno.
La globalizzazione non è nuova 76: di nuovo ci sono il controllo del mercato globale ad
opera di singole potenze economiche multinazionali e la coscienza umana globalizzata
correlata alla totalità dell’esperienza umana. Si va delineando un nuovo ordine mondiale
dell’economia e dei rapporti sociali: le strategie economiche si muovono più velocemen-
te delle scelte politiche, come dimostrano le recenti ripercussioni mondiali delle crisi fi-
nanziarie che hanno esercitato una forte pressione sulla coesione sociale. Non vi è una
universalizzazione di istanze ed esigenze, ma si rafforza un fenomeno di controllo privato
dell’economia: la grande impresa riesce ad imprimere una standardizzazione comporta-
mentale che non solo si dispiega nella uniformazione contrattuale, ma involge anche la
organizzazione dei mercati e l’articolazione dei rapporti di lavoro. È in gioco pure una
nuova frontiera delle relazioni industriali: dopo lunghi periodi di conflitti antagonistici
affiorano modelli di sindacalismo partecipativo per la salvaguardia dell’occupazione.
La competizione globalizzata non è più solo nella collocazione delle merci ma si è
ampliata alla erogazione dei servizi. Di recente sta emergendo anche una competizione
dei saperi, con la formazione di centri elitari di cultura che sovrastano e orientano le co-
noscenze mondiali, come tra l’altro mostra la gara tra le grandi università private mon-
diali, anche attraverso l’istruzione telematica, per rappresentare la conoscenza la più pe-
netrante ragione di sviluppo di un paese.
Espressione della moderna globalizzazione è la c.d. rivoluzione finanziaria dell’e-

75
Sono regolazioni adottate su base convenzionale dagli operatori. Fondamentali sono le Regole interna-
zionali per l’interpretazione dei termini commerciali (c.d. Incoterms), le Norme ed usi uniformi relativi ai crediti
documentari, le Norme uniformi relative agli incassi, le Regole applicabili ai documenti di trasporto multimoda-
le. Da qualche tempo tali regole compaiono nelle Raccolte provinciali di usi, sotto una indefinita etichetta di
“Appendice”. La diffusa e costante applicazione delle stesse fa immaginare il progressivo avanzamento a usi
normativi, imponendosi in tal guisa anche contro la volontà delle parti.
76
Si è visto come il XV secolo avesse già segnato una “economia-mondo”, aperta ai mercati asiatici, attra-
verso una più efficace produttività del trasporto marittimo.
46 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

conomia e del capitalismo, con l’accentuazione della mobilizzazione e della dematerializ-


zazione della ricchezza. Come si vedrà, l’economia finanziaria che consente di orientare
le sorti dell’economia sovranazionale e financo l’affidabilità degli stati e dei “debiti so-
vrani” con la commercializzazione di titoli finanziari e la speculazione sugli stessi. Le le-
gislazioni nazionali si rivelano inadeguate a fronteggiare una economia finanziaria globa-
lizzata. C’è un problema di regolazione globale dei flussi finanziari, in uno con la neces-
sità di armonizzazione delle politiche economiche con quelle fiscali.
Si sviluppa nel tempo una intersecazione tra regionalismo e multilateralismo, dappri-
ma governato da istituzioni internazionali, poi acquisito dall’autoregolazione del mondo
economico. La globalizzazione, come è stata perseguita, ha prodotto diseguaglianze e
rivalse che hanno inciso le basi del consenso delle società coinvolte, esercitando una for-
te pressione sulle politiche di liberalizzazione e favorendo un progressivo regionalismo
di ritorno, con riformulazione delle catene del valore.
In generale le grandi migrazioni mondiali, sull’onda della ricerca del lavoro o degli in-
sediamenti industriali, pongono problemi di confronto tra religioni, tradizioni e culture
diverse, che una democrazia pluralista e multietnica non può ignorare, ma deve armo-
nizzare al rispetto dei valori fondamentali espressi dalle convenzioni sui diritti umani: va
compiuto un generale riconoscimento delle diversità, individuando nella tolleranza 77 e
nella dignità della persona umana 78 i criteri essenziali di coesistenza di diverse lingue, re-
ligioni e culture. È in atto una sfida di crash of civilizations che impone una nuova sensi-
bilità mondiale di gestione degli scontri e di regolazione delle convivenze.

15. Azione privata conformata e azione pubblica collaborativa. – All’esito del


percorso compiuto emerge una complessità del rapporto tra diritto e potere, con molte
interazioni della sfera privata con la sfera pubblica. È emersa la crescita di vincoli legali
all’agire dei privati e dei pubblici poteri per le necessarie azioni di bilanciamento dei va-
lori in campo. Si delineano un’area privata sinergica con istanze e prescrizioni di rilevan-
za pubblica, e un’area pubblica, attraversata da visuali privatistiche di parità di condi-
zione giuridica con l’azione del privato.

77
Sono significative le stagioni di intolleranza religiosa ed umana. Si ricordi la persecuzione dei cristiani ad
opera di Diocleziano (editti del 303 d.C.). Dopo la breve parentesi della libertà di culto ad opera di Costatino
(editto di Milano 313 d.C.) che valse all’imperatore a rafforzare il reclutamento militare contro Massenzio, non
fu meno crudele la persecuzione delle religioni diverse da quella cristiana ad opera di Teodosio: i non cristiani
sono denominati “dementi e pazzi” (editto di Tessalonica 380 d.C.). Si pensi alla esperienza delle crociate nel
segno di “Dio lo vuole” per combattere il male negli uomini e conquistare la salvezza eterna. Seguirà ancora un
tormentato millennio di guerre espansionistiche, intrise di fanatismi religiosi e discriminazioni razziali. Ritorna di
incredibile attualità la preghiera (laica) che VOLTAIRE rivolgeva a Dio nel Trattato sulla tolleranza (1763): “Tu
non ci hai dato un cuore perché ci odiassimo, e meno che mai perché ci sgozzassimo. Fà che ci aiutiamo recipro-
camente a tollerare il fardello d’una vita penosa e passeggera: che le minime differenze tra le vesti che coprono il
nostro debole corpo, tra le nostre lingue insufficienti, tra tutti i nostri ridicoli costumi, tra tutte le nostre leggi
imperfette, tra tutte le nostre insensate opinioni, tra tutte le nostre condizioni così sproporzionate ai nostri occhi
e così simili davanti a Te; che tutte le minime sfumature che distinguono gli atomi chiamati uomini non siano
segnali di odio e di persecuzione; impieghiamo l’attimo della nostra esistenza a benedire in varie lingue… la Tua
bontà che ci ha accordato questo attimo”. È il manifesto dell’ecumenismo laico alla tolleranza e del relativismo
culturale, che la storia recente talvolta ha seguito, talaltra ignorato e spesso negletto!
78
Sono idee comuni alle ideologie laiche e alle confessioni religiose di tutti i paesi occidentali, innanzi de-
lineate e di cui si vedranno i riflessi nei vari campi.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 47

a) L’azione privata interagisce con la dimensione pubblica, sia in senso attivo di inci-
denza del diritto privato sulle modalità di svolgimento dell’attività della pubblica ammi-
nistrazione, sia in senso riflessivo di svolgimento dell’azione privata secondo vincoli pub-
blicistici. L’azione privata deve risultare compatibile con la realizzazione degli interessi
generali e dei fondamentali valori ordinamentali della dignità umana e della utilità socia-
le. In molte aree è attraversata da limitazioni comportamentali, come ad es. per talune
condizioni familiari e dei minori 79 ovvero per le esplicazioni dell’autonomia privata con
asimmetria di potere contrattuale 80, o anche rispetto all’uso di beni di interesse diffu-
so 81. In settori sensibili all’uso del territorio e all’equilibrio ecologico, si sono sviluppati
statuti giuridici di azione privata conformata, che deve svolgersi secondo standard prede-
terminati di conformità amministrativa, con riguardo alla regolarità urbanistica e edili-
zia 82 e alla salvaguardia della natura e dell’ambiente 83; rilevanti sono anche l’area di ri-
spetto della continuità storica e artistica 84, e quella di apertura alla digitalizzazione 85.
L’azione privata ha inoltre rilevanza in diritto penale con la previsione come reati di mol-
ti comportamenti: basta pensare ai delitti contro la persona umana (artt. 575 ss. c.p.) e ai
delitti contro il patrimonio (artt. 624 ss. c.p.).
Poiché tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della lo-
ro capacità contributiva, secondo criteri di progressività, i redditi privati e gli atti dispositi-

79
Si pensi ai regimi imperativi degli stati familiari, come ad es. il regime primario di contribuzione del ma-
trimonio (artt. 143 e 159 cc.) e dell’unione civile (art. 111 L. 20.5.2016, n. 76), ovvero l’assetto dello stato uni-
co di figlio (art. 315 bis c.c.) e la condizione minorile che valorizza l’interesse preminente del minore nella sua
integrità morale e psicofisica (art. 337 ter c.c.).
80
La problematica, già presente nel codice civile con la previsione di predisposizione di condizioni gene-
rali di contratto (artt. 1341 e 1342), ha assunto diffusa rilevanza nell’ottica di tutela dei consumatori, con una
nutrita normativa europea confluita nel codice del consumo (D.Lgs. 6.9.2005, n. 206).
81
È la problematica dei c.d. “beni comuni”, ovvero di beni di interesse generale, indipendentemente dalla
titolarità formale di appartenenza. È avanzata l’idea di conferimento di un potere giuridico diretto alla comu-
nità che ne gode, con una pratica di “commoning”, traducibile con “fare comune”, secondo un’antica espe-
rienza medievale di usi civici, cui si avrà riguardo in seguito.
82
Ad es. è introdotta una conformazione dell’edificazione attraverso una particolareggiata disciplina del
permesso di costruire (D.P.R. 6.6.2001, n. 380), che riguarda gli interventi subordinati al permesso (art. 10), le
caratteristiche del permesso (art. 11), l’efficacia temporale e la decadenza del permesso (art. 15). Il termine di
durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre
necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve seguire un provvedimento
dell’amministrazione, che accerti l’impossibilità del rispetto del termine (Cons. Stato 10-1-2022, n. 149). Rile-
vano anche altri titoli abilitativi: Comunicazione di Inizio Lavori Asservata (CILA), Segnalazione Certificata
di Inizio Attività (SCIA) e Super SCIA.
83
Le attività suscettibili di incidere sull’ambiente devono svolgersi secondo i criteri e i percorsi fissati dal
Codice dell’ambiente (D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, costantemente aggiornato e integrato, da ultimo con D.L.
1.3.2021, n. 22, conv. con L. 22.4.2021, n. 55). Nella Parte II del cod. amb., artt. 4 ss., sono fissate procedure
per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d’impatto ambientale (VIA), e per l’auto-
rizzazione ambientale integrata (IPPC). Sono procedure amministrative di controllo con funzione di bilan-
ciamento dell’equilibrio ambientale con lo sviluppo socio-economico. Si tenga altresì conto delle periodiche
determinazioni legislative e regolamentari in materia di transizione ecologica.
84
Rilevante è il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22.1.2004, n. 42, aggiornato e integrato,
da ultimo con D.L. 16.7.2020, n. 76, conv. con L. 11.9.2020, n. 120).
85
Il settore della digitalizzazione del valore certificativo dei relativi risultati è regolato dal Codice dell’am-
ministrazione digitale (D.Lgs. 7.3.2005, n. 82, periodicamente aggiornato, da ultimo con D.L. 16.7.2020, n.
76, conv. con L. 11.9.2020, n. 120). Sono molte le normative per la transizione digitale.
48 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

vi di beni patrimoniali hanno rilevanza per il diritto tributario: basta pensare alle imposte
sui redditi (D.P.R. 22.12.1986, n. 917) e alla imposta di registro (D.P.R. 26.4.1986, n. 131).
b) L’azione pubblica interagisce con la dimensione privata, sia quando adotta mo-
duli privatistici sebbene soggetti ad evidenza pubblica, sia quando opera con criteri
pubblicistici secondo i nuovi canoni di svolgimento dell’attività pubblica, di cui si è
detto. Alla stregua dell’art. 12bis L. 241/1990, che fa obbligo alla pubblica amministra-
zione di improntare i rapporti con i privati ai principi della “collaborazione” e della
“buona fede” si è affermata un’azione pubblica collaborativa. È prevista una parteci-
pazione al procedimento amministrativo, con comunicazione al destinatario di “avvio
del procedimento” (art. 7) 86, dei “motivi ostativi” all’accoglimento dell’istanza (art. 10
bis) 87 e con la formazione di “accordi integrativi o sostitutivi” del provvedimento (art.
11) 88. È in generale delineato il diritto di accesso degli interessati ai documenti ammini-
strativi (artt. 22 ss.) 89. In sede penale sono molte le previsioni di avvisi e informazioni
all’indagato, di cui fondamentale è la “informazione di garanzia” 90.
Vi è poi l’ampia previsione della L. 241/1990, per cui l’azione pubblica deve svolgersi
secondo fondamentali criteri privatistici di economicità ed efficacia, nel rispetto di im-
parzialità, di pubblicità e di trasparenza (art. 11); la pubblica amministrazione non può
aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo
svolgimento dell’istruttoria (art. 13): tutti criteri volti ad assicurare una produttività isti-
tuzionale. Emblematica in tale direzione è la novellazione del Capo 4 della L. 241/1990
intitolato “Semplificazione dell’azione amministrativa” (artt. 14 ss.), che fissa vari stru-
menti di semplificazione. Fondamentale è la conferenza di servizi 91, che può essere indet-

86
Per l’art. 9 qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi
diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facol-
tà di intervenire nel procedimento. Le garanzie procedimentali non solo devono essere osservate ma devono
anche essere offerte in tempo utile al soggetto interessato, così da permettergli di presentare le proprie osser-
vazioni in una fase preparatoria, nella quale siano aperte tutte le possibili opzioni (Cons. Stato 13-1-2021, n.
41). Le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo vanno interpretate nel senso
che la comunicazione è superflua – con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell’azione ammi-
nistrativa – quando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono all’apertura di
un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti (Cons. Stato 28-8-2020, n. 5263).
87
Per l’art. 10 bis, nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità com-
petente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i
motivi che ostano all’accoglimento della domanda.
88
Per l’art. 11, in accoglimento di osservazioni e proposte presentate ex art. 10, l’amministrazione proce-
dente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico
interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale
ovvero in sostituzione di questo (co. 1); per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione rece-
de unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di indennizzo in relazione agli
eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato (co. 4).
89
l diritto di accesso è un diritto soggettivo con consistenza autonoma, indifferente allo scopo per cui vie-
ne esercitato; prevale sull’esigenza di riservatezza di terzi quando sia esercitato per consentire la cura o la di-
fesa processuale di interessi giuridicamente protetti e concerna un documento amministrativo indispensabile
a tali fini, non altrimenti surrogabile (Cons. Stato 9-3-2020, n. 1664).
90
Per l’art. 369 c.p.p. novell. quando il pubblico ministero deve compiere un atto al quale il difensore ha
diritto di assistere, invia alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa una informazione di garan-
zia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate della data e del luogo del fatto e con invito a
esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia.
91
La conferenza è indetta dalla pubblica amministrazione quando c’è necessita di esaminare contestual-
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 49

ta anche su richiesta del privato interessato, quando la sua attività sia subordinata ad atti
di consenso di più amministrazioni pubbliche (art. 143).
Con riguardo alla erogazione di servizi pubblici, un apposito titolo introdotto nel cod.
cons., racchiuso nell’art. 101, fissa il fondamentale principio che il rapporto di utenza
deve svolgersi nel rispetto di standard di qualità predeterminati e adeguatamente resi
pubblici (co. 2) 92. La legge stabilisce per determinati enti erogatori di servizi pubblici
l’obbligo di adottare, attraverso meccanismi diversificati in relazione ai settori, apposite
carte dei servizi (co. 4).
In definitiva, più si amplia la rilevanza degli interessi generali, maggiormente si dilata
la conformazione pubblica dell’azione privata, per la emersione di nuovi valori da realiz-
zare; correlativamente più avvertite sono la dignità della persona umana nelle relazioni
sociali e il mercato nello sviluppo economico, maggiore è la pervasività dell’azione pub-
blica di strumenti privatistici, per la rilevanza delle garanzie civiche e l’esigenza di pro-
duttività istituzionale.

16. Verso un diritto privato uniforme. – Dopo la stagione del diritto comparato, te-
so allo studio del confronto tra vari ordinamenti nazionali (e dunque statali), è da tempo
in corso una lunga marcia verso un diritto uniforme, stimolata dalla mobilità di persone,
capitali e merci a seguito della produzione di massa e dello sviluppo dei trasporti e delle
nuove tecnologie, e rinfocolata dalla diffusione dei diritti umani.
Dapprima si è sviluppato un diritto strumentale uniforme e propriamente un diritto
internazionale privato uniforme, allo scopo di fissare criteri uniformi di individuazione
dell’ordinamento applicabile alla fattispecie che presenti elementi di collegamento con
più ordinamenti (I, 3.12). Più di recente è in atto un percorso di formazione di un diritto
processuale civile uniforme, volto a delineare criteri uniformi per la competenza giurisdi-
zionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni (III, 1.8).
Con l’accrescersi delle relazioni tra cittadini di paesi diversi è fortemente avvertita
l’esigenza di un diritto materiale uniforme e cioè di una regolazione uniforme delle sin-
gole materie, allo scopo di realizzare maggiore certezza dei rapporti giuridici.
Aree sempre più vaste del diritto privato sono regolate dal diritto convenzionale,
con la stipulazione di convenzioni internazionali rese esecutive nell’ordinamento inter-
no. Tra le convenzioni più risalenti si pensi a quelle in materia di titoli di credito 93.
Spesso convenzioni internazionali sono stipulate su impulso di singole organizzazioni 94
e specificamente dell’ONU: esemplare è la Convenzione sulla vendita di beni mobili di

mente i vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo o in più procedimenti ammini-
strativi connessi riguardanti i medesimi risultati e attività (c.d. conferenza di servizi istruttoria ex art. 141,3),
oppure qualora debba acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi, di più amministrazioni (c.d. conferenza
di servizi decisoria ex art. 142, 1a parte, e 14 ter9).
92
Lo Stato e le regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, garantiscono i diritti degli utenti dei ser-
vizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vi-
gente in materia (co. 1). Agli utenti è garantita, attraverso forme rappresentative, la partecipazione alle proce-
dure di definizione e di valutazione degli standard di qualità previsti dalle leggi (co. 3).
93
Convenzioni di Ginevra del 7 giugno 1930 sulla cambiale e il vaglia cambiario e sull’assegno bancario,
che diedero vita al R.D. 14.12.1933, n. 1669 e al R.D. 21.12.1933, n. 1736.
94
Sono molteplici le convenzioni sulla tutela del lavoro stimolate dalla Organizzazione internazionale del
lavoro (OIL).
50 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

Vienna 95 del 1980 che, pur tra paesi caratterizzati da ordinamenti non omogenei, ha ispi-
rato molta normativa europea e legislazioni nazionali (es. codice del consumo). In altri
settori, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamen-
tali di Roma del 1950, la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989. Delle varie con-
venzioni internazionali si darà conto nelle singole sedi.
Allo stato, è ancora impossibile o molto difficile prefigurare un governo mondiale
dell’economia e in generale una disciplina universale delle relazioni umane 96. Sono le ca-
tegorie giuridiche del diritto privato e del diritto pubblico a dovere tessere la trama di
principi e concetti di relazioni giuridiche sopranazionali, fissando le regole fondamentali
della convivenza mondiale, improntate alla difesa dei diritti umani e alla tutela del merca-
to. Mentre spetta alle varie istituzioni sociali (pubbliche e private), a cominciare dalla
famiglia e dalla scuola, educare alla cultura della relazionalità di convivenza umana mon-
diale. L’uomo moderno, che si è liberato dall’oppressione politica, non deve cadere sotto
il controllo dell’organizzazione tecnologica che il mondo contemporaneo ha creato.

17. La società tecnologica. Bioetica e ecologia. – Le scienze e le scoperte scientifi-


che, specie quando assumono le caratteristiche di rivoluzioni tecnologiche, non si limita-
no ad arricchire la conoscenza ma attraversano le declinazioni della realtà materiale, co-
me potenti fattori di modificazione della vita umana e delle relazioni sociali, ai quali gli
ordinamenti stentano ad adeguarsi e fanno fatica a governare. È ormai ricorrente l’in-
treccio tra “principio di innovazione” che tende a fare applicazione di tutti i risultati del-
la ricerca scientifica e “principio di precauzione” che mira a segnare limiti di intervento
alla scienza 97, attraverso un percorso di interazione tra scienza, etica e diritto 98. C’è da
ergere vincoli, con controlli di diritto pubblico, perché l’azione privata non sia in contra-
sto con l’utilità sociale o di danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, secondo
un bilanciamento tra più beni.
a) Con riguardo alla bioetica, il governo tecnologico della vita attraversa la persona
nelle sue potenzialità e espressioni 99. È in atto una progressiva penetrazione della scienza

95
Dopo l’esperienza delle due Convenzioni dell’Aja del 1964, è maturata la Convenzione di Vienna del
1980, ratificata e resa esecutiva con L. 11.12.1985, n. 765.
96
Anche l’e-government non si può tradurre in una trasformazione digitale di consuete azioni fisiche e prati-
che burocratiche, ma implica riprogettazione dei meccanismi di coordinamento organizzativo e di regolazione
delle relazioni sociali attraverso un nuovo sistema di interazione tra pubblica amministrazione e società civile.
97
Le tecnologie condividono con i farmaci un medesimo destino: utili strumenti di beneficio umano (si
pensi all’ausilio e recupero di funzioni fisiche assenti o perdute, ovvero di acquisizione di conoscenze), ma
anche ragioni di prostrazione della persona umana, così del suo corpo (attraverso un biopotere) come della
sua cultura (mediante un divario di informazioni). Nel greco antico il termine phàrmakon indicava rimedio e
veleno: le due traiettorie dell’impiego utile della salubrità o dell’utilizzo nocivo della tossicità.
98
La cultura greca era solita considerare la tecnica come necessariamente correlata all’etica e all’estetica,
trovando in queste un limite insormontabile. Le scoperte scientifiche non si limitano ad arricchire la società,
spesso la trasformano, incidendo sul modello di vita. Perciò la scienza non può da sola determinare “diritti
individuali” senza la mediazione della politica che riconosca i portati della scienza compatibili con i valori
storicamente vissuti dalla società.
99
Il corpo umano è sempre più spesso avvertito come un insieme di funzioni biologiche, i cui organi pos-
sono essere sottoposti a sostituzioni e trasformazioni, come a finire la vita prospettata. L’editing genetico con-
sente ormai di intervenire sulle sequenze del DNA, dipanandosi sullo sfondo il tormentato problema della
clonazione umana, che, per certe parti del corpo, è già in atto.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 51

nel corpo umano attraverso lo sviluppo delle biotecnologie. Ampie applicazioni stanno
facendosi con l’utilizzo del DNA in varie direzioni, dal rintraccio di autori di reati alla
ricerca di genitorialità, all’intervento di genetica procreativa. Anche quando è la stessa
persona a disporre del proprio corpo, emergono egualmente inquietanti interrogazioni:
entro quali limiti è eticamente lecito disporre del proprio corpo?
Allo stato hanno trovato una regolazione giuridica l’interruzione della gravidanza, la
rettificazione di sesso e la procreazione medicalmente assistita, con la procreazione per
altri (maternità surrogata); ma l’uso delle tecnologie trascina verso la eutanasia, la clona-
zione e forse un domani verso la procreazione meramente tecnologica 100 (V, 4.6). Una
fondamentale cultura della responsabilità deve attraversare e impegnare gli operatori del-
le tecniche (ricercatori, sanitari, intermediari) che, a vario titolo, stimolano, plasmano e
organizzano la trama bioetica. In tale logica è emerso il problema della connessione della
bioetica alla eugenetica: emerge il poliedrico divario tra bioetica e ricerca, che, in una
prospettiva religiosa, attinge al dilemma tra fede e scienza.
b) Rispetto alla ecologia, vengono in rilievo le tecnologie di produzione intensiva in-
quinante e di consumo indiscriminato di suolo. A fronte del volto benefico dell’edilizia
che permette il soddisfacimento di esigenze abitative, il supporto delle attività economi-
che, il presidio della natura e la valorizzazione dell’arte, sussiste l’impiego distorto che si
svolge in più direzioni, con compromissione di ambiente e territorio, oltre che di vivibili-
tà e bellezza dei luoghi, e come alimento delle ricchezze illecitamente formate. L’acquisi-
to dominio (illusorio) della natura attraverso le tecnologie alimenta una spietata logica
estrattiva e un’intensiva attività di fabbricazione, squassando l’armonia della natura e
l’equilibrio ecologico, pur di trarre profitto 101.
Affianco agli interventi di presidio del territorio e dell’equilibrio ecologico, c’è da opera-
re in più direzioni; da un lato, vietare lo spaccio degli immobili abusivi attraverso le commi-
natorie di invalidità degli atti dispositivi, oltre le sanzioni penali e amministrative; dall’altro
verifica il tracciamento delle risorse economiche utilizzate e dei proventi conseguiti. Il Reg.
UE/2020/852 (relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili)
stabilisce i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibi-
le, anche al fine di individuare il grado di ecosostenibilità di un investimento finanziario.

100
Per la Conv. di Oviedo del 1997 sui diritti dell’uomo e la biomedicina, gli Stati contraenti sono tenuti a
“proteggere l’essere umano nella sua dignità e nella sua identità e a garantire ad ogni persona, senza discrimina-
zione, il rispetto della sua integrità e dei suoi altri diritti e libertà fondamentali riguardo alle applicazioni della
biologia e della medicina” (art. 1), con la prescrizione che “Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in
quanto tali, fonte di profitto” (art. 21); per la Carta dir. fond. U.E. “ogni persona ha diritto alla propria integrità
fisica e psichica” (art. 31), con il “divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lu-
cro” (art. 32, lett. c). Intorno ai differenti versanti si snoda il tormentato bilanciamento tra il diritto al figlio come
compimento esistenziale dell’aspirante genitore e il diritto del figlio come prerogativa della persona a nascere
senza malformazioni e in equilibrio psicofisico. Fondamentale il principio solidaristico dell’art. 1 Conv. europea
di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei fanciulli e dell’art. 2 Conv. ONU di New York del 1989 sui diritti del
fanciullo, organizzato in una dimensione di alterità di tutela dell’interesse superiore del minore.
101
Sono sempre più diffuse azioni, sostenute da tecnologie, di spianare pendici dei monti, ingabbiare ro-
vesci dei mari, riscaldare fresche valli; come anche realizzare edificazioni intensive che modificano i luoghi
delle città con la realizzazione di ghetti abitativi, presto fatiscenti, che diventano incubatori di emarginazioni e
disperazioni. Ad opera del grande capitale, si realizzano di sovente periferie informi, con agglomerati edilizi
senza anima, riducendosi anche le occasioni delle condivisioni sociali urbane e accentuandosi la crisi delle
città, già in difficoltà nel fronteggiare le sfide dell’inquinamento e della multietnica che stenta a integrarsi e
diventare interculturale.
52 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

18. Segue. La rivoluzione digitale. Piattaforme, algoritmi, tecnocrazia e diritti. –


È la più coinvolgente tappa della società tecnologica per innescare una dialettica sempre
più stretta tra l’uomo e la tecnica 102, con vari risvolti socio-economici 103.
a) Rispetto alle tecniche utilizzate, le piattaforme (hardware e software) sono ambienti
dove sono sviluppati e/o eseguiti programmi o applicazioni che, interagendo, fissano le
oscure regole comportamentali di accesso e navigazione. Gli algoritmi, collegati a speci-
fiche piattaforme, segnano lo sviluppo ordinato e finito di tali regole, con la elaborazione
di passi (operazioni o istruzioni) verso un determinato risultato. La Commissione euro-
pea ha presentato il 21.4.2021 una proposta di Regolamento U.E. con regole armonizza-
te sull’intelligenza artificiale (IA) e con modifica di alcuni atti legislativi dell’Unione 104.
La bipolarità dell’informazione, attraverso il dovere di renderla e il diritto di acquisir-
la, ormai si accompagna ad una fluidità della comunicazione, per cui la interconnessione
telematica comporta una naturale attivazione di informazioni della persona (della sua
collocazione, della sua cultura come della sua condotta), divenendo costante terminale di
controlli e pressioni: sono frequenti i furti di identità (con messaggi e immagini virali)
per le finalità più varie (economiche, delinquenziali, sessuali, ecc.). Attraverso l’informa-
tica (che realizza automazione) e la telematica (che determina comunicazione) è emersa
una società digitalizzata connotata dalla interazione delle reti 105, dove il ciberspazio è, ad
un tempo, “spazio comune” di dialogo mondiale e “bene comune” di accesso per sog-
getti, gruppi e istituzioni.
Informatica e telematica ostentano una oggettività di relazionalità, con coerenza logi-
ca comportamentale e comunicativa; ma la storia si ripete: anche dietro la ingegneria ro-
botica di neutralità e inevitabilità delle scelte, operano i “padroni del vapore” che orga-
nizzano la razionalità tecnologica attraverso algoritmi pensati e calcolati per competere
nei mercati della produzione e degli scambi e catturare adesioni nelle maglie istituziona-
li; gli agenti telematici elaborano le regole sociali e morali che orientano l’ordine dei po-
poli e nell’universo, in luogo del confronto ideologico e religioso degli uomini.
b) C’è l’esigenza di governo dell’impatto sociale delle tecnologie digitali, sia per garan-

102
Si va delineando una esperienza onlife e cioè di vita che scorre immersa nelle tecnologie interattive. Si
prospetta una intelligenza artificiale produttiva di un “uomo aumentato” o addirittura di un “postumano”: le
istanze sociali e politiche sono necessariamente destinate ad intrecciarsi con le fedi religiose circa il senso del-
la vita.
103
Ad es., in campo giuridico, per la razionalizzazione e circolarità della giurisprudenza, applicate al pro-
cesso; in campo economico, per la valutazione del merito creditizio e del rischio, nonché in azioni di marke-
ting per alimentare desideri e bisogni; in campo medico per diagnosi e interventi sul corpo, oltre che come
sistema di comprensione delle dinamiche neurologiche. Le videosorveglianze certamente rafforzano la sicu-
rezza, ma indeboliscono la riservatezza.
104
Per l’art. 1 del Progetto, il Regolamento stabilisce: a) regole armonizzate per l’immissione sul mercato,
la messa in servizio e l’uso dei sistemi di intelligenza artificiale (“sistemi di IA”) nell’Unione; b) il divieto di
determinate pratiche di intelligenza artificiale; c)requisiti specifici per i sistemi di IA ad alto rischio e obblighi
per gli operatori di tali sistemi; d) regole di trasparenza armonizzate per i sistemi di IA destinati a interagire
con le persone fisiche, i sistemi di riconoscimento delle emozioni, i sistemi di categorizzazione biometrica e i
sistemi di IA utilizzati per generare o manipolare immagini o contenuti audio o video; e) regole in materia di
monitoraggio e vigilanza del mercato.
105
È in corso una unitizzazione della rete: il ricorso di cittadini, imprese e istituzioni all’uso della rete ha
ormai sviluppato una economia di rete (net economy), espressione da preferire a quella più consueta di new
economy, che, per la sua genericità, non esprime un aspetto contenutistico.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 53

tirne l’accesso generalizzato sia per la difesa dei singoli dagli attacchi nocivi 106.
La garanzia di accesso alla rete prospetta un versante fondamentale di giustizia sociale,
per la connessione del sapere al potere, che caratterizza la società dell’informazione 107.
L’accesso alla rete costituisce un nuovo diritto fondamentale, per essere divenuto il più im-
portante mezzo comunicativo, così da condizionare lo sviluppo individuale e sociale della
persona 108 e quindi la stessa agibilità democratica della società 109. È un diritto di rilevanza
costituzionale, per prevedere l’art. 21 Cost. il diritto di tutti di manifestare liberamente il
proprio pensiero con “ogni mezzo” di diffusione, tra cui è oggi annoverabile Internet: è
enucleabile dalla norma un principio di “pluralismo informativo”; il diritto di manifestare il
proprio pensiero si ricollega allo “sviluppo della persona umana” e alla “effettiva parteci-
pazione” all’organizzazione politica, economica e sociale (art. 32 Cost.). Consegue l’inclu-
sione di tale diritto tra i diritti sociali, con il necessario sostegno finanziario pubblico, an-
che in partenariato con i privati, che consenta effettività di accesso alla connessione e alla
conoscenza dei contenuti. Il digital divide, cioè lo squilibrio nella distribuzione (territoriale
e individuale) delle tecnologie di accesso a web, rappresenta oggi una essenziale (anche se
non l’unica) ragione di discriminazione nella distribuzione del benessere: ad es., tra gli
obiettivi strategici dell’Europa, c’è la realizzazione di una società dell’informazione “inclu-
siva” (e-inclusion) ossia una società dell’informazione per tutti 110.
La protezione dall’attacco della rete si svolge in più direzioni. C’è anzitutto da intensifi-
care l’educazione alla selezione del sovraccarico di informazione, perché si produca effetti-
va conoscenza. Inoltre c’è da contrastare gli effetti perversi della comunicazione permanen-
te dei dati della persona: la diffusività e la pervasività di internet consentono la circolazione

106
La telematica, consentendo immediatezza e universalità di comunicazione e dialogo, rischia di offusca-
re virtù individuali per attestarsi come il vero “idolo” della società moderna, omologante di opinioni e com-
portamenti. Il tremendo racconto biblico di Abramo e del figlio Isacco, con la voce di Dio “Non vi farete ido-
li”, ancora oggi ci interroga sul rapporto tra fede e ragione, tra diritto e morale, rispetto ad un cammino della
civiltà verso l’idolo della tecnologia crescente che offusca ogni retroterra etico e religioso.
107
L’espressione società dell’informazione allude ad un sistema che fonda i rapporti interpersonali e l’as-
setto economico sull’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, pervenendo alla demate-
rializzazione di atti e di operazioni economiche. La possibilità di estrarre informazioni, di selezionarle, met-
terle in relazione ed elaborarle consente la produzione di nuovi beni da immettere sul mercato; ma anche di
realizzare utilità rilevanti nelle dimensioni sociali, culturali, politiche. Perciò l’accesso all’informazione diven-
ta oggetto di contesa sociale ed economica.
108
Sul piano nazionale, significativa è la “Carta dei diritti in Internet”, approvata il 28.7.2005, il cui art. 2 ri-
conosce l’accesso ad Internet come “diritto fondamentale della persona” e condizione per il suo pieno sviluppo
individuale e sociale, in condizioni di parità; mentre, per l’art. 6, ogni persona ha diritto di “accedere ai propri
dati”, quale che sia il soggetto che li detiene e il luogo dove sono conservati, per chiederne l’integrazione, la retti-
fica, la cancellazione secondo le modalità previste dalla legge.
109
Nella prospettiva istituzionale si agita il delicato tema della democrazia digitale, che alimenta i due grandi
fronti di ripensamento della mediazione dei partiti (democrazia rappresentativa) e di esaltazione della volontà
generale espressa nelle forme telematiche (democrazia diretta).
110
Già la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico
e sociale europeo e al Comitato delle regioni di iniziativa europea 2010 di “partecipare alla società dell’infor-
mazione”, secondo l’indirizzo “e-inclusion: be part of it”. È seguita la Comunicazione della Commissione
“Europa 2020”, con le conclusioni del Consiglio d’Europa del 17.6.2010, che delinea un quadro dell’econo-
mia di mercato sociale europea per il XXI sec. con “una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e
inclusiva”, caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale e con tre priorità che si
devono rafforzare a vicenda: crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
54 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

universale di dati personali senza consenso del soggetto interessato (è l’esperienza propria
dei social networks), con violazione dei diritti alla immagine, di autore, e della verità 111,
con l’esigenza di tutela del diritto all’oblio 112 o almeno alla deindicizzazione 113. C’è poi il
grande dilemma della identificazione elettronica in rete rispetto alla identità personale.
L’informatica sviluppa una realtà di tracciamento della esperienza di vita, che consen-
te una profilazione della esistenza umana, indirizzabile e economicamente utilizzabile e
spendibile 114. La stimolazione del protagonismo nella rete fa acquisire conoscenze da
utilizzare per l’orientamento all’assorbimento di beni e servizi. La tutela della privacy si
atteggia come una questione politica centrale dell’era dell’informatica. L’art. 8 Carta dir.
fond. U.E. riconosce il diritto alla protezione dei dati personali come un diritto fonda-
mentale, con precisi vincoli al trattamento dei dati personali 115. Fondamentale il Reg.
UE/2016/679 del 27.4.2016 (General Data Protecion Regulation o GDPR), relativo alla
protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché
alla libera circolazione di tali dati.

111
Si consideri anche il fenomeno, egualmente odioso, della disinformazione attraverso le fake news, con le-
sione della dignità umana e con riflessi sul mercato, spesso con offese all’onore e travisamenti della identità mo-
rale di soggetti (persone o enti). Una persona giuridica la quale lamenti che, con la pubblicazione su Internet di
dati inesatti che la riguardano e l’omessa rimozione di commenti sul proprio conto, sono stati violati i suoi diritti
della personalità, può proporre un ricorso diretto alla rettifica di tali dati, alla rimozione di detti commenti e al
risarcimento della totalità del danno subito dinanzi ai giudici dello Stato membro nel quale si trova il centro dei
propri interessi (foro della vittima) (Corte giust. U.E., grande sez., 17-10-2017, causa C-104/16).
112
La menzione di fatti trascorsi deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che
destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubbli-
co rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del
passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (Cass.,
sez. un., 22-7-2019, n. 19681).
113
Per l’art. 17 GDPR l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei
dati personali che lo riguardano nei casi elencati nel medesimo articolo. Il diritto all’obblio nei casi riguardan-
ti i motori di ricerca si concretizza con il concetto di deindicizzazione che “consente un’operazione sostan-
zialmente differente dalla rimozione/cancellazione di un contenuto: non lo elimina, ma lo rende non diretta-
mente accessibile tramite motori di ricerca esterni all’archivio in cui quel contenuto si trova”. La deindicizza-
zione con cancellazione delle copie cache va bilanciata con l’interesse alla diffusione dell’informazione (Cass.
8-2-2022, n. 3952).
114
I cittadini sono contenti di usare servizi digitali online gratuiti; ma così consegnano la propria identità
nella rete: le grandi piattaforme guadagnano vendendo spazi pubblicitari ritagliati su misura sugli utenti e per
farlo li profilano. Il meccanismo della profilazione era già emerso in ambiente criminale attraverso il c.d.
“criminal profiling”, attraverso lo studio degli omicidi seriali con il fine di penetrare le dinamiche psicologiche
e comportamentali degli autori dei delitti. Significativa in tal senso è Corte giust. U.E. 5-4-2022, causa C-
140/20 che ha considerato contrastare con il diritto europeo misure legislative che prevedano, per finalità di
lotta alla criminalità grave e di prevenzione delle minacce gravi alla sicurezza pubblica, la conservazione gene-
ralizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e all’ubicazione, rimodellando l’intero assetto di data re-
tention secondo un principio di proporzionalità.
115
Ai sensi dell’art. 82 della Carta dir. fond. U.E. i dati di carattere personale devono essere trattati secondo
il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o ad un altro fonda-
mento legittimo previsto dalla legge; ogni persona ha diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di
ottenerne la rettifica. La Corte di giustizia U.E., con sent. 13-5-2014, nella causa C-131/12, ha stabilito che, nel
caso in cui, a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, l’elenco di risultati mostri un
link verso una pagina web che contiene informazioni sulla persona in questione, questa può rivolgersi diretta-
mente al gestore oppure, qualora questi non dia seguito alla sua domanda, adire le autorità competenti per otte-
nere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco di risultati.
CAP. 2 – DIRITTO PRIVATO 55

Vi è poi la drammatica esperienza delle relazioni con i minori, frequentemente ogget-


to di abusi, che stimolano una tutela rafforzata della personalità degli stessi, sia con in-
terventi strutturali di rete, che attraverso un sistema di “parental control”.
c) Insidioso è il problema della imputazione giuridica dei fatti e degli atti compiuti a
mezzo internet. Gli investimenti globali sulla intelligenza artificiale e la maturazione ge-
neralizzata di una cultura dell’AI potranno portare un domani (forse non troppo lonta-
no) alla imputazione diretta degli atti e delle azioni alle piattaforme, attribuendo alle stesse
una soggettività per la paternità degli algoritmi e degli effetti favorevoli o nocivi prodot-
ti: è il terribile dilemma del rapporto tra l’uomo e la macchina, nel quale l’umo potrebbe
essere condizionato e governato dalla macchina!
Allo stato, c’è già una esigenza di razionalizzazione del sistema e di imputazione di at-
ti e risultati dei meccanismi telematici, perché l’azione tramite internet, mentre è produt-
trice di vantaggi, non resti priva di controlli e di sanzioni per i danni inferti a persone,
strutture e istituzioni. Si è aggiunto l’ulteriore problema di imputazione dei poteri privati
esercitati dalle piattaforme: si può utilizzare un generale criterio di imputazione in capo
a chi ha la disponibilità della tecnologia e specificamente del software. Si può guardare
con interesse alla soluzione utilizzata, nella economia delle cose, attraverso la disciplina
della responsabilità per danni da cose in custodia (art. 2051 c.c.), ovvero può guardarsi
alla responsabilità per danni da prodotti difettosi (artt. 114 ss. cod. cons.). Può pensarsi
che, non solo la responsabilità per danni, ma anche l’imputazione di fatti e atti vada ri-
condotta in capo a chi ha la disponibilità della tecnologia, salva la prova del caso fortui-
to; più correttamente va configurata senz’altro una responsabilità oggettiva del soggetto
che ha il controllo delle piattaforme.
d) Sta emergendo una tecnocrazia come esercizio del potere al tempo di internet. È il
c.d. governo dei tecnici, con il pericolo che una classe dirigente di tecnocrati, depositaria
di conoscenze e in grado di orientare informazioni e contegni, possa indirizzare i proces-
si di selezione e le organizzazioni socio-economiche, senza una base di legittimazione de-
mocratica ma solo sostenuta dalle competenze tecniche e capacità gestionali.
Accanto ai tre poteri giuridico-formali (legislativo, esecutivo e giudiziario) declinati
dalla Carta costituzionale, stanno emergendo poteri di fatto. È da tempo maturata la
formazione di un c.d. “quarto potere” 116, rappresentato dai mass media e dalla videocra-
zia, in qualche modo regolato (art. 21 Cost.); sta ora imponendosi un c.d. “quinto pote-
re” 117, rappresentato dalla tecnocrazia informatica e dalla digitalizzazione in grado di
massificare le persone e di indirizzarle e talvolta costringerle verso scelte razionalmente
assunte secondo calcoli di efficienza economica. Si delinea un problema di democrazia
politica contro i poteri di fatto, che orientano sia la concorrenza economica che la com-
petizione politica e il confronto ideologico.
Le tecnologie digitali hanno accentuato la globalizzazione dell’economia e delle rela-
zioni sociali. È ora necessaria una governance egualmente globalizzata di presidio delle

116
L’espressione è nata in Inghilterra nel 1787, durante una seduta della Camera dei Comuni, allorché un
parlamentare, rivolgendosi alla stampa, esclamò: “Voi siete il quarto potere”. Da allora la formula ha espresso
le correlazioni degli organi di informazione con i tre poteri costituti, di denunzia o di asservimento.
117
L’espressione trae origine dal famoso film omonimo (network) del 1976, come graffiante satira del
mondo televisivo statunitense degli anni settanta.
56 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

imputazioni e di garanzia delle debolezze. Ormai sono tanti i terreni di articolazione del
potere digitale. Si pensi solo all’attività lavorativa, dove l’algoritmo manageriale ca-
ratterizza una intelligenza artificiale datoriale che automaticamente organizza il lavoro e
il personale: c’è la necessità di salvaguardare una interfaccia personale consapevole della
realtà dei lavoratori, con articolazione di una subordinazione lavorativa umana. Le tec-
nologie applicate all’azione amministrativa stanno poi facendo emergere un problema di
bilanciamento tra esigenza di digitalizzazione della pubblica amministrazione e necessità
di garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini, per evitare che l’algoritmo di una intel-
ligenza artificiale possa incidere automaticamente sulla vita delle persone, senza l’osser-
vanza delle garanzie dello stato sociale di diritto. Va a tale scopo tutelato il diritto all’ac-
cesso all’algoritmo per conoscere il modulo digitale utilizzato con gli addestramenti im-
partiti, gli eventuali pregiudizi contenuti come gli obiettivi assegnati. Con la valorizza-
zione dell’accesso all’algoritmo, in un’ottica di trasparenza dell’azione amministrativa 118,
è anche tutelato il diritto sostanziale all’impugnazione della determinazione del sistema
informatico.
L’Unione europea tende anche a rendere più sicure le tecnologie dell’informazio-
ne (TIC), secondo le previsioni degli artt. 179 ss. TFUE 119. La proposta di Regola-
mento relativo a un mercato unico dei servizi digitali (c.d. “legge sui servizi digitali”)
del 15.12.2020 rappresenta una delle misure chiave nell’ambito della strategia europea
per il digitale 120. In tale multiforme direzione volgerà la dialettica della politica con la
scienza, nella sinergia tra obiettivi sociali e competenze necessarie nella società tecnolo-
gica, nella ricerca di uno stato di sviluppo sociale come sintesi di prosperità economica e
benessere esistenziale.

118
Fondamentale Cons. Stato 8-4-2019, n. 2270: L’algoritmo attraverso il quale si concretizza la decisione
robotizzata della P.A. deve essere “conoscibile”, secondo una declinazione rafforzata del principio di traspa-
renza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da
quello giuridico; la conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita in tutti gli aspetti: dai suoi autori al proce-
dimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella
procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti; ciò al fine di poter verificare che gli esiti
del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa
amministrazione a monte di tale procedimento e affinché siano chiare – e conseguentemente sindacabili – le
modalità e le regole in base alle quali esso è stato impostato. Vedi anche Cass. 25-5-2021, n. 14381. Il consen-
so al trattamento di dati personali è validamente prestato se espresso liberamente e specificamente in riferi-
mento a un trattamento chiaramente individuato; nel caso di una piattaforma web (con annesso archivio in-
formatico) preordinata all’elaborazione di profili reputazionali di singole persone fisiche o giuridiche, incen-
trata su un sistema di calcolo con alla base un algoritmo finalizzato a stabilire i punteggi di affidabilità, il re-
quisito di consapevolezza non può considerarsi soddisfatto ove lo schema esecutivo dell’algoritmo e gli ele-
menti di cui si compone restino ignoti o non conoscibili da parte degli interessati.
119
Fondamentali sono il Reg. 910/2014/UE sull’identità digitale, il Reg. 679/2016/UE sul trattamento dei
dati personali, la direttiva UE/2016/1148, recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti
e dei sistemi informativi nell’Unione.
120
Nella comunicazione del 19.2.2020, “Plasmare il futuro digitale dell’Europa”, la Commissione si è im-
pegnata ad aggiornare le norme orizzontali che definiscono le responsabilità e gli obblighi dei prestatori di
servizi digitali, in particolare delle piattaforme online, dichiarando che “le persone hanno diritto a tecnologie
di cui possono fidarsi” e che “ciò che è illecito offline deve esserlo anche online”.
CAPITOLO 3
FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO
(Efficacia e interpretazione)

Sommario: 1. Regole giuridiche e fonti del diritto. – 2. Tecniche di normazione e caratteri delle norme
giuridiche. – A) FONTI DEL DIRITTO. – 3. Fonti di produzione e fonti di cognizione. – 4. Tipologia e
gerarchia delle fonti di produzione. – 5. Costituzione e leggi costituzionali (il controllo di legittimità
costituzionale). – 6. Diritto europeo (fonti e armonizzazione). – 7. Leggi (statali e regionali). – 8. Rego-
lamenti. – 9. Usi. – 10. Emersione di nuove fonti. – B) APPLICAZIONE DEL DIRITTO. – 11. Efficacia
nel tempo (obbligatorietà delle norme). – 12. Efficacia nello spazio (diritto internazionale privato).
– 13. Interpretazione delle norme giuridiche (criteri e valori). – 14. Risultati dell’interpretazione.
L’analogia. – 15. L’equità. – 16. Diritto vivente (nomofilachia e overruling).

1. Regole giuridiche e fonti del diritto. – Il tema delle “fonti del diritto” ha una
fondamentale importanza per caratterizzare la fisionomia dell’ordinamento giuridico.
Anzitutto le fonti del diritto fissano la specificità delle regole giuridiche tra le tante regole
(morali, religiose, di cortesia, ecc.) che sorreggono le relazioni sociali. Inoltre delineano
l’organizzazione della società e perciò sono destinate ad evolvere con i mutamenti della
stessa. In tal guisa le fonti del diritto sono esse stesse regolate.
La disciplina delle fonti del diritto regola i modi nei quali sono generate le norme giu-
ridiche e rese conoscibili ai consociati. Il tratto maggiormente caratterizzante lo Stato di
diritto rispetto allo Stato assoluto sta proprio in ciò: la produzione delle norme giuridi-
che è disciplinata in modo vincolante, perché tutti (pubblici poteri e privati) siano sog-
getti alla legge (principio di legalità) e sia certa l’esistenza delle regole (principio di cer-
tezza del diritto). Correlativamente è anche essenziale una disciplina dell’applicazione del
diritto, perché sia possibile pervenire ad una attuazione tendenzialmente uniforme del
diritto, pur nella varietà delle vicende concrete e della formazione culturale dei soggetti
che sono chiamati ad applicare il diritto.
Si vedrà peraltro come le regole di settore sono sinergiche ai principi generali dell’or-
dinamento, che ne corroborano la precettività e ne orientano l’interpretazione.
A suggellare l’importanza di tali esigenze, in apertura del codice civile sono dettate
Disposizioni sulla legge in generale 1, con una normativa relativa alle “fonti del diritto”
(artt. 1-9) ed un’altra relativa alla “applicazione della legge in generale” (artt. 10-16). La

1
Il R.D. 16.3.1942, n. 262, recante l’approvazione del testo del codice civile, testualmente dispone: “È ap-
provato il testo del codice civile, il quale, preceduto dalle Disposizioni sulla legge in generale, avrà esecuzione
a cominciare dal 21 aprile 1942, sostituendo da questa data i libri del codice stesso”.
58 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

collocazione della disciplina si giustifica per il valore storicamente avuto dal codice civile,
come disciplina fondamentale e generale dei rapporti tra cittadini. Per tale collocazione
le disposizioni sulla legge in generale sono anche comunemente denominate disposizioni
preliminari al codice civile o senz’altro, in modo abbreviato, preleggi, per indicare ap-
punto che precedono, costituendone quasi la premessa, la legge generale per antonoma-
sia, cioè il codice civile. Vanno però subito compiute due notazioni, che l’analisi succes-
siva svilupperà: per un verso, le disposizioni delle preleggi devono intendersi applicabili
a tutti i rami dell’ordinamento e non solo al codice civile; per altro verso, le stesse pre-
leggi vanno integrate con le fonti che successivamente sono emerse, specificamente la
Carta costituzionale e i Trattati di diritto europeo, che essendo di rango superiore si ap-
plicano anche alle preleggi e prevalgono sulle stesse 2.
È ormai tramontato il monopolio statale nella produzione del diritto. Come si vedrà,
fonti di diversa provenienza (nazionale, europea e internazionale) e di diversa natura (pro-
nunzie giurisprudenziali e regolamenti amministrativi, scelte delle attività professionali e
delle prassi contrattuali) concorrono assieme alle leggi alla formazione del diritto viven-
te. L’affermazione dei diritti umani nei moderni ordinamenti impone poi applicazioni
adeguatrici delle singole regole giuridiche ai diritti fondamentali e ai valori dell’ordi-
namento, come si è visto con l’analisi della evoluzione del diritto privato. La complessità
delle vicende umane ed economiche implica interdisciplinarietà, come integrazione di
saperi, nel comprendere e risolvere i problemi suscitati dall’esperienza giuridica (pro-
blem solving). Si dipana una valutazione storicizzata del diritto, che coinvolge la valuta-
zione delle fonti del diritto.

2. Tecniche di normazione e caratteri delle norme giuridiche. – Trattando del-


l’ordinamento giuridico, si è anticipato della trama della normativa, per delineare le con-
nessioni tra le varie regole (I, 1.4). Bisogna ora parlare delle tecniche e dei criteri di for-
mulazione delle norme, e cioè della struttura delle norme.
a) Tecniche di normazione. Esistono più tecniche di normazione, che di recente stan-
no ricevendo l’apporto dall’esperienza europea.
1) La tecnica tradizionale e più diffusa è per fattispecie (facti species). L’ordina-
mento prevede il fatto astratto, al cui realizzarsi in concreto conseguono gli effetti previ-
sti dall’ordinamento. Con un percorso logico si procede alla sussunzione del caso concre-
to alla norma giuridica: si svolge un sillogismo tra una fattispecie astratta che prevede il
fatto astratto regolato dall’ordinamento (premessa maggiore) ed una fattispecie concreta
o materiale (premessa minore) che esprime il fatto concreto realizzatosi: la riconducibili-
tà della fattispecie concreta alla fattispecie astratta comporta l’applicazione della norma.
Più spesso la fattispecie astratta è formata da un precetto, che fissa la regola di compor-
tamento (norma primaria), e da una sanzione, che stabilisce la conseguenza della inosser-
vanza del precetto (norma secondaria), con funzione intimidatoria che esprime la imperati-

2
È ormai avvertita anche in Italia l’esigenza di una preventiva “analisi di impatto della regolazione” (Air), se-
condo lo strumento noto negli ambienti internazionali di “Regulatory Impact Analysis” (Ria). È un sistema consi-
stente nell’esame delle possibili opzioni di intervento normativo per realizzare un determinato obiettivo, attra-
verso la verifica del prevedibile impatto sociale della regolazione, in termini di costi e benefici sui cittadini, sulle
imprese e sulle pubbliche amministrazioni, così da incidere sulla qualità della regolazione (better regulation).
Nelle formulazioni più evolute il metodo è aperto alle implicazioni sul territorio e sull’assetto istituzionale.
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 59

vità dell’ordinamento giuridico. Sono queste le c.d. norme perfette (anche dette norme
sanzionatorie o coercitive) per connettere all’antigiuridicità del comportamento la san-
zione della relativa violazione. Più spesso i due profili (precetto e sanzione) sono conte-
nuti nel medesimo articolo: ad es., chi cagiona ad altri un danno ingiusto è obbligato a
risarcirlo del danno (art. 2043); il debitore che non esegue esattamente la prestazione
dovuta è tenuto al risarcimento del danno (art. 1218). Talvolta i due profili sono regolati
da norme distinte: ad es., gli artt. 1325 ss. prescrivono i requisiti di validità del contratto,
mentre gli artt. 1418 ss. e 1425 ss. dispongono le conseguenze della inosservanza con la
sanzione, rispettivamente, di nullità o annullabilità del contratto. Non è raro che, ad un
precetto (norma primaria), si connettano più sanzioni (norme secondarie), sia di diritto
civile che di diritto penale (con formula di gergo, opera il “combinato disposto” di più
norme): ad es. il comportamento (colposo o doloso) che cagiona ad altri un danno ingiu-
sto, mentre integra l’illecito civile ex art. 2043 (con l’obbligo di risarcimento del danno a
carico dell’autore), può integrare anche un illecito penale (reato) (con le relative pene
afflittive imposte all’agente) 3.
Non mancano precetti la cui osservanza è rimessa alla prospettiva di un vantaggio
(c.d. norme premiali): tipici esempi sono le norme che prevedono incentivi e sussidi
per chi investe in aree depresse o agevolazioni tributarie per chi reinveste nell’impresa
gli utili prodotti.
Esistono anche norme che si limitano ad una mera indicazione della condotta, senza
prevedere conseguenze immediate, né per la violazione né per l’osservanza. Ciò avviene
quando la norma intende solo fissare principi generali e valori del sistema o additare in-
dirizzi generali di comportamento: sono considerate norme imperfette, per non con-
nettere al precetto una conseguenza immediata e diretta (es. l’art. 315 bis fissa il dovere
per il figlio di “rispettare i genitori”), ma indirizzano l’interpretazione e l’applicazione di
tante norme giuridiche.
Il lato debole di tale tecnica normativa, fondata su una operazione logica, è che, tra-
scurando la morfologia della realtà, tende ad astrarre dalle circostanze concrete in cui il
fatto concreto si realizza e dalla personalità degli autori del fatto. Il procedimento della
sussunzione è stato perciò progressivamente adattato al rinnovato sistema giuridico o
talvolta abbandonato in funzione di una valorizzazione della natura degli interessi coin-
volti e del contesto di svolgimento delle vicende umane, secondo i valori ordinamentali
di riferimento.
La normazione per fattispecie, per comportare una operazione logica di applicazione
della norma, ha il vantaggio della certezza della regola applicata e quindi della calcolabi-
lità del comportamento da tenere; presenta però l’inconveniente di trascurare la morfo-
logia della realtà, per astrarre dalle circostanze di verificazione del fatto, dalla natura de-
gli interessi coinvolti e dalla personalità degli autori del fatto. Il procedimento della sus-
sunzione è stato perciò progressivamente adattato al rinnovato sistema giuridico, con la
valutazione del caso concreto nel contesto di sviluppo e secondo la complessità ordina-
mentale.

3
È il terreno delle sanzioni civili in sede penale: per l’art. 185 c.p. “ogni reato obbliga alle restituzioni, a
norma delle leggi civili; se abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il
colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui” (ai sensi degli
artt. 2043-2059 c.c.).
60 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

2) È sempre più diffusa una tecnica di normazione per clausole generali. Il conte-
nuto precettivo delle clausole non è determinato in modo compiuto, con la previsione di
un comportamento, ma attraverso l’impiego di formule generali che si completano e
concretizzano in ragione della varietà dei casi concreti e della evoluzione dell’ordina-
mento, operando come integrative e correttive degli atti e dei comportamenti dei privati
(es. la clausola generale di buona fede) (II, 7.2).
3) Una più recente tecnica di normazione è per risultato. L’ordinamento si limita a
prevedere l’obiettivo da realizzare, lasciando a enti e privati la scelta degli strumenti per
conseguirlo. Un chiaro impiego è nella normativa europea, specie attraverso le direttive,
rimettendosi agli stati membri la individuazione dei modi di attuare i risultati indicati. È
una tecnica di normazione che spesso involge una tutela rimediale, per additare pro-
tezioni funzionali al caso concreto e alla tipologia e natura degli interessi coinvolti
(III, 1.10).
b) Caratteri delle norme giuridiche. Esprimono le proprietà delle norme e dunque
sono essenzialmente modulati sulle tecniche di normazione utilizzate. È possibile deli-
neare due fondamentali traiettorie, a seconda che esprimano caratteri riguardanti tutte le
norme giuridiche (caratteri generali), ovvero riguardino tratti caratterizzanti di tipi di
norme (caratteri particolari). I caratteri coesistono e si sovrappongono in ragione dell’an-
golo visuale della norma.
1) I caratteri generali hanno riguardo all’essenza della normatività delle regole giuridi-
che come disciplinatrici di vita sociale: sono la esteriorità e la plurilateralità.
La esteriorità indica che le norme giuridiche sono riferite ai comportamenti giuridi-
camente rilevanti. La esteriorizzazione assicura la relazionalità civile; diversamente ope-
rano le regole non giuridiche (morali, religiose, di galateo, ecc.) che, per propria essenza,
toccano la coscienza degli uomini.
La plurilateralità (o alterità) indica che le norme sono rivolte a regolare le relazio-
ni dei soggetti tra loro e con le istituzioni. Tutto l’ordinamento è in funzione degli uomi-
ni e dunque le singole norme segnano modi e misure di rapportarsi ed organizzarsi delle
persone.
La plurilateralità è connotata dal fondamentale principio di uguaglianza dei cittadini
di fronte alla legge (art. 31 Cost.), applicato secondo i fondamentali criteri di ragionevo-
lezza e proporzionalità (artt. 2 e 32 Cost.), non potendosi arbitrariamente introdurre una
disparità di trattamento di situazioni uguali e non potendosi immotivatamente trattare in
modo uguale situazioni materiali differenti (come più ampiamente si vedrà in seguito: II,
7.7). Trattamenti differenziati sono giustificati, in relazione ai privati, allo scopo di ri-
muovere gli ostacoli che, in fatto, impediscono il pieno sviluppo della persona umana
(art. 32 Cost.); con riguardo alla pubblica amministrazione, in ragione del buon anda-
mento e dell’efficienza economica, nel rispetto della imparzialità (art. 97 Cost.).
2) I caratteri particolari hanno riguardo al contenuto delle singole norme e sono decli-
nabili in ragione della struttura, della funzione e della efficacia delle norme.
– Rispetto alla struttura, rileva la formulazione della norma. Con la edificazione dello
Stato moderno hanno preso a funzionare norme generali e astratte quali connotati della
unitarietà del soggetto di diritto e della eguaglianza (formale) dei soggetti davanti alla
legge (I, 2.3). Specificamente la generalità ha riguardo al profilo soggettivo del precet-
to, per indicare che la norma si applica a tutti i soggetti che si trovano nella particolare
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 61

situazione o che hanno tenuto il determinato comportamento; l’astrattezza inerisce al


profilo oggettivo del precetto, e vale ad indicare la situazione o il comportamento regolati
dalla norma, prefigurati in astratto e cioè in via ipotetica, attraverso un processo di enu-
cleazione dei caratteri tipici del fenomeno 4 (es. artt. 2043 e 1218).
Pure in tale contesto opera un particolarismo giuridico per la specificità dei con-
testi o delle attività o degli obiettivi. Si articola in norme speciali (o di diritto speciale)
che ineriscono a singole materie o a particolari settori (es. la materia della navigazione 5);
ovvero riguardano categorie di soggetti deboli (es. disabili, lavoratori, consumatori) o
sono applicabili in determinate aree o specifici luoghi (es. zone da sviluppare). Talvolta
le norme speciali si atteggiano come norme eccezionali (e danno vita ad un diritto
straordinario) per operare in circostanze specifiche o per far fronte ad evenienze partico-
lari (ad es., leggi emergenziali in conseguenza di calamità naturali o sanitarie). Per l’art.
14 prel. le leggi penali e quelle che fanno eccezione alle leggi generali o ad altre leggi non
si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati; sono norme di stretta applicazione,
non suscettibili di applicazione analogica.
È in atto un processo di c.d. amministrativizzazione della legge, per cui si ricorre a
leggi c.d. formali per imporre imperativi relativi a casi concreti e/o con riferimento a
soggetti determinati (c.d. norme singolari o anche dette norme-provvedimento).
– Rispetto alla funzione, rileva lo scopo perseguito dalla norma, in ragione degli inte-
ressi attuati: si distinguono norme strumentali e norme materiali.
Le norme di diritto strumentale o formale (c.d. ordinative) sono organizzative del-
l’azione pubblica e dell’attività giuridica, tra le quali rientrano anche tutte le norme pro-
cessuali per far valere in giudizio i propri diritti. La reazione dell’ordinamento per inos-
servanza di tali norme è la inefficacia in senso ampio dell’atto compiuto (per invalidità o
altre ragioni); non si producono oppure vengono eliminati gli effetti, sicché il risultato per-
seguito con l’atto non è realizzato: ad es., l’assenza di uno degli elementi costitutivi del
contratto comporta la nullità e quindi la inefficacia dell’atto (artt. 1325 e 1418); la man-
cata annotazione di una convenzione matrimoniale o la mancata trascrizione di una ven-
dita immobiliare comporta la inopponibilità dell’atto ai terzi (artt. 162 e 2644).
Le norme di diritto materiale o sostanziale (c.d. proibitive) sono attributive di situa-
zioni giuridiche soggettive, conformative di interessi individuali o di gruppi. La reazione
dell’ordinamento per la lesione di un interesse giuridicamente protetto è la imposizione
di obblighi di reintegrazione del soggetto leso, con connesso risarcimento del danno in-
ferto: es. l’obbligo di restituire le cose illegittimamente sottratte al proprietario o al pos-
sessore (artt. 948 e 1168); l’obbligo di risarcimento del danno per inadempimento del
contratto o per lesione di un diritto altrui (artt. 1218 e 2043).
È frequente che un medesimo fatto dia luogo alla violazione sia di una norma stru-
mentale che di una norma materiale, così operando le sanzioni connesse a entrambi i
tipi di norme violate: ad es., a fronte di un contratto che manca di uno degli elementi

4
La dicotomia è riassunta con il concetto di ripetibilità. Riferendosi la norma a uno schema astratto di situa-
zione o comportamento, il precetto è destinato a ripetersi quante volte un soggetto si troverà nella situazione
ipotizzata o compirà il comportamento prefigurato.
5
In ragione del mezzo tecnico impiegato (nave o aeromobile) il diritto della navigazione si atteggia quale
“diritto speciale” in quanto si innesta nel diritto comune apportandovi gli adattamenti necessari a realizzare
specifiche esigenze: gli aspetti non disciplinati, ove non operi l’analogia, sono soggetti al diritto comune.
62 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

costitutivi per la sua validità, consegue senz’altro la nullità e dunque la inefficacia del-
l’atto (art. 1418) (norma strumentale); se però una delle parti conosceva la causa della
nullità e non ne ha dato notizia all’altra, ha leso la libertà di autodeterminazione della
controparte e perciò è tenuta a risarcire il danno da questa risentito (art. 1338) (norma
materiale). È possibile che un contratto sia conforme alla norma strumentale e quindi
valido, ma il comportamento di una parte sia in contrasto con una norma materiale per
risultare lesivo di un interesse giuridicamente protetto: ad es., il dolo incidente non è
causa di annullamento del contratto ma obbliga l’autore dei raggiri al risarcimento dei
danni (art. 1440).
– Rispetto alla efficacia, rileva la operatività della norma, che è graduata, a seconda
che siano o meno in gioco valori fondamentali dell’ordinamento e dunque le basi stesse
della coesistenza sociale. Si delineano norme imperative e norme dispositive.
Le norme imperative (anche dette cogenti o inderogabili) non consentono deroghe
dai privati: sono applicate anche contro la volontà delle parti (ad es. l’art. 160 vieta ai
coniugi di derogare ai diritti e agli obblighi previsti dalla legge per effetto del matrimo-
nio; l’art. 1229 dichiara nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la re-
sponsabilità del debitore).
Le norme dispositive aprono alla valutazione di convenienza dei soggetti: sono
norme sì operative, ma non operano contro la volontà dei destinatari. Le norme disposi-
tive, a loro volta, si atteggiano in duplice modo: come norme dispositive in senso stretto,
quando sono derogabili dai privati (ad es. l’art. 1282 prevede la naturale fecondità del
denaro, per cui i crediti liquidi ed esigibili producono di diritto interessi, “salvo che la
legge o il titolo stabiliscano diversamente”); come norme suppletive, quando operano in
via residuale, allorché i privati non abbiano apprestato una diversa regola pattizia (ad es.
l’art. 159 impone il regime di comunione legale “in mancanza di diversa convenzione”
dei coniugi).

A) FONTI DEL DIRITTO


3. Fonti di produzione e fonti di cognizione. – Il tema delle fonti porta ad esami-
nare i modi e le forme di derivazione del diritto e di conoscenza dello stesso.
a) Le fonti di produzione sono le fonti in senso stretto del diritto: sono i fatti genera-
tori delle regole giuridiche, rispetto ai quali le norme rappresentano il risultato ovvero il
prodotto. Si è visto che, affinché tale effetto si produca, è necessario che le fonti siano
previste e disciplinate da specifiche norme giuridiche, al fine di rendere noto il meccani-
smo di generazione delle norme: perciò sono “fonti legali” del diritto. La tipologia delle
fonti determina anche il procedimento di formazione: ad es., le leggi ordinarie vanno for-
mate secondo gli artt. 70 ss. Cost.; le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi
costituzionali sono adottate secondo l’art. 138 Cost.
Il risultato del procedimento di formazione, della legge come di ogni altro atto nor-
mativo, si concretizza in un testo che, debitamente pubblicizzato, consente di attingere la
conoscenza della regola giuridica.
b) Le fonti di cognizione sono fonti in senso lato del diritto: sono gli atti e gli stru-
menti pubblici rivolti a procurare la conoscibilità delle regole giuridiche; non sono dun-
que produttive di diritto, ma solo ne consentono la conoscenza. Nello stato di diritto la
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 63

conoscenza del diritto è un presupposto essenziale della certezza del diritto: fonti di co-
gnizione sono, ad es., la Gazzetta Ufficiale e il Bollettino Ufficiale della Regione 6.
Quando, in singoli settori, più normative si stratificano nel tempo, è frequente il ri-
corso a testi unici che riordinano organicamente la disciplina di un settore, al fine di faci-
litarne la cognizione 7. Di regola i testi unici, redatti dal governo su delega del parlamen-
to, si limitano a riorganizzare le norme esistenti, che mantengono la propria originaria
forza precettiva; ma non mancano ipotesi in cui la legge delega attribuisca al governo an-
che il potere di modifica ed integrazione della normativa esistente. Con la legge delega
29.7.2003, n. 229, è stata prevista l’emanazione di codici di “riassetto normativo” di spe-
cifici settori, con finalità, sia di riforma sostanziale secondo un criterio di semplificazio-
ne, sia di raccolta organica delle norme del settore 8. Nonostante l’enfatico impiego del
termine “codici”, si tratta di testi monotematici: il termine “codice” è quindi utilizzato in
una accezione differente rispetto a quella tradizionale (emersa con lo stato moderno), di
indicazione di un testo normativo complesso e organico di una intera materia (come i
codici civile, penale, di procedura civile, di procedura penale, della navigazione) (I, 2.3).

4. Tipologia e gerarchia delle fonti di produzione. – Si è soliti distinguere le fonti


di produzione del diritto in due grandi categorie: fonti-atto e fonti-fatto.
Le fonti-atto afferiscono all’attività di particolari autorità cui è attribuita la potestà
di produrre norme giuridiche (c.d. fonti soggettive o volontarie). Il diritto proveniente da
fonti-atto è dunque tipicamente diritto scritto (es. leggi).
Le fonti-fatto esprimono l’oggettivo operare di comportamenti e situazioni cui
l’ordinamento attribuisce rilevanza giuridica, limitandosi a fissare i meccanismi di tale
rilevanza (c.d. fonti oggettive). Proprio per l’emergere spontaneo del diritto dal corpo so-
ciale trattasi di diritto non scritto (es. usi).
Le disposizioni sulla legge in generale (preliminari al codice civile del 1942) prevede-
vano originariamente quattro specie di fonti del diritto, gerarchicamente organizzate: le
leggi, i regolamenti, le norme corporative e gli usi (comprendendosi tra le “leggi” anche i
codici, quali fondamentali discipline giuridiche delle singole branche). Da quella previ-
sione sono sopravvenuti più fatti che hanno ridisegnato il sistema delle fonti. Anzitutto,
dopo pochi anni, si verificava la caduta del regime fascista, che implicava la soppressione
dell’ordinamento corporativo (R.D.L. 9.8.1943, n. 721) e delle connesse organizzazioni
sindacali (D.L.L. 23.11.1944, n. 369). Si dava quindi luogo alla formazione della Costitu-
zione repubblicana, approvata con deliberazione dell’assemblea costituente nella seduta
del 22.12.1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948, che assumeva il ruolo di carta

6
La pubblicazione di leggi e regolamenti statali avviene nella Gazzetta ufficiale della Repubblica; la pub-
blicazione di leggi e regolamenti regionali avviene nel Bollettino ufficiale della Regione; la pubblicazione di
regolamenti di Province e Comuni mediante affissione all’albo rispettivo. Per gli usi v. dopo.
7
Es.; testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. 1.9.1993, n. 385); testo unico dell’edi-
lizia (D.P.R. 6.6.2001, n. 380).
8
Ad es., codice della proprietà industriale (D.Lgs. 10.2.2005); codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs.
7.3.2005, n. 82); codice del consumo, che contiene il riassetto normativo in materia di tutela dei consumatori
(D.Lgs. 6.9.2005, n. 206); codice delle assicurazioni private, che contiene il riassetto normativo in materia di
assicurazioni (D.Lgs. 7.9.2005, n. 209); codice della normativa statale in tema di ordinamento del turismo
(D.Lgs. 23.5.2011, n. 79); codice dell’insolvenza (D.Lgs. 12.1.2019, n. 14). Anche tali codici sono soggetti a
emendamenti.
64 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

fondamentale dello Stato repubblicano, gerarchicamente sovrastante alle leggi. Iniziava


poi un lungo percorso di integrazione europea che sarebbe approdato alla formazione
della Comunità europea e poi dell’Unione europea, determinando la formazione di un
diritto europeo sovraordinato rispetto alle leggi (l’art. 10 e più incisivamente gli artt. 11 e
117 Cost. contengono una chiara autolimitazione della sovranità dell’ordinamento na-
zionale in favore di quello europeo); si è anche dilatato un diritto di provenienza delle
convenzioni internazionali, che però richiede una norma di ricezione nell’ordinamento
(art. 10 Cost.). La L. cost. 18.10.2001, n. 3, ha poi modificato il titolo V della Parte II
della Carta costituzionale, con ampliamento della potestà legislativa delle regioni. Dal
susseguirsi di avvenimenti il sistema delle fonti (di produzione) del diritto esce profon-
damente modificato rispetto al quadro originario e perciò così ridisegnato e gerarchica-
mente organizzato:
1) Costituzione e leggi costituzionali; Diritto europeo;
2) Leggi (statali e regionali) e atti assimilati;
3) Regolamenti;
4) Usi.
Con il ridimensionamento del primato della legge statale, convivono ormai vari livelli
di legalità (europea, costituzionale, di legislazione statale e regionale). Discusso è il rango
delle norme internazionali introdotte nell’ordinamento interno, in particolare la loro pre-
valenza o soccombenza rispetto a norme posteriori incompatibili. Per quelle consuetu-
dinarie, si ritiene che l’incorporazione mediante l’art. 10, par. 1, Cost., attribuisca garan-
zia costituzionale. Per quelle pattizie il rango è invece, in linea generale, quello stesso del
provvedimento di attuazione (legge costituzionale, legge ordinaria, decreto, etc.), salvo
riconoscere ad esse una speciale “resistenza”, atta a farle prevalere su norme successive
di pari rango (secondo un principio di specialità sui generis, accolto nell’art. 1171 Cost.,
come riformato dalla L. cost. 3/2001). All’attuazione e all’esecuzione degli accordi inter-
nazionali concorrono, nell’esercizio delle rispettive competenze, tutti gli organi dello Sta-
to; per la competenza delle Regioni, opera l’art. 1175 Cost.
Alla stregua della nuova gerarchia delle fonti si articola anche il principio iura novit
curia, che impone al giudice di “seguire le norme del diritto” (art. 113 c.p.c.), imponen-
do quindi al giudice di conoscere e rinvenire le fonti del “diritto applicabile” quale strut-
turato nell’ordinamento 9. Anche la scienza giuridica di ogni branca del diritto non si
identifica più con la dottrina del codice di riferimento, ma è aperta al sistema (ad es. il
diritto civile non ha più come unico referente il codice civile; allo stesso modo il diritto
penale non ha più come unico referente il codice penale).

9
Il principio “iura novit curia” si riferisce alle vere e proprie fonti di diritto oggettivo, cioè a quei precetti
contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità, dovendosi escludere dall’ambito
della sua operatività sia i precetti aventi carattere normativo ma non giuridico (come le regole della morale o
del costume), sia quelli aventi carattere giuridico ma non normativo (come gli atti di autonomia privata, o gli
atti amministrativi), sia quelli aventi forza normativa puramente interna (come gli statuti degli enti e i regola-
menti interni) (Cass. 20-12-2019, n. 34158). La natura di atti meramente amministrativi dei decreti ministeria-
li osta all’applicabilità del principio “iura novit curia” di cui all’art. 113 c.p.c., da coordinare con l’art. 1 delle
disp. prel. c.c. (che non li comprende tra le fonti del diritto), con la conseguenza che spetta alla parte interes-
sata l’onere della relativa produzione, la quale non è suscettibile di equipollenti (Cass. 15-10-2019, n. 25995):
Conf. Cass. 12-2-2015, n. 2737.
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 65

5. Costituzione e leggi costituzionali (il controllo di legittimità costituzionale). –


La tradizionale discussione se dovesse considerarsi fonte gerarchicamente superiore la
Carta costituzionale o il diritto europeo è oggi abbastanza superata con l’ormai acquisita
evoluzione dell’ordinamento dell’Unione europea verso principi di democraticità e ri-
spetto dei diritti umani, sicché l’osservanza dell’ordinamento europeo si armonizza con il
rispetto della legalità costituzionale. Fondamentale in tale direzione è l’art. 6 del Trattato
di Maastricht, che indica le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri come
“principi generali del diritto comunitario”.
Dopo una stagione di stretto ossequio alla normativa europea 10, è ormai principio
acquisito della Corte costituzionale che i principi fondamentali dell’ordinamento costitu-
zionale e i diritti inalienabili della persona costituiscono “controlimiti” alle limitazioni
di sovranità (art. 11 Cost.), per rappresentare gli elementi identificativi ed irrinunciabili
dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituziona-
le. Operano come un limite all’ingresso delle norme internazionali generalmente ricono-
sciute (art. 101 Cost.) e all’ingresso delle norme dell’Unione europea, oltre che all’ingres-
so delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (art. 7 Cost.). È l’af-
fermazione di uno spazio di sovranità intangibile, che dapprima è stato fatto valere nei
riguardi del diritto internazionale convenzionale e segnatamente nei confronti della Con-
venzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) 11, poi anche con riguardo alla produ-
zione giuridica dell’Unione europea 12.
La Costituzione della Repubblica italiana è una Costituzione c.d. rigida, occorrendo
uno speciale procedimento per la sua revisione (art. 138). Le leggi costituzionali, di revi-
sione o integrazione della Carta costituzionale, quando non sono approvate da ciascuna
delle Camere a maggioranza di due terzi, sono sottoposte a referendum popolare (art.
138 Cost.).
Si apre con la formulazione dei “Principi fondamentali”, che esprimono i valori por-
tanti della Carta repubblicana; seguono due distinte parti: la prima, intitolata “Diritti e
doveri dei cittadini”; la seconda, “Ordinamento della Repubblica”. In particolare i Prin-
cipi fondamentali e la Prima parte attraversano il diritto privato, per riguardare le prero-
gative dei cittadini e i rapporti del cittadino con l’autorità pubblica, la dignità della per-
sona e la solidarietà nei rapporti etico-sociali e nei rapporti economici (se ne è parlato
innanzi: I, 2.7 e 8); i relativi articoli hanno efficacia precettiva e sono immediatamente
efficaci nei confronti dello Stato e verso i privati e nei rapporti dei privati con lo Stato.

10
Si delineava una “ritrazione” dell’ordinamento italiano, sicché, nelle materie regolate da norme comuni-
tarie direttamente applicabili, il giudice nazionale deve applicare le norme comunitarie “disapplicando” quel-
le interne incompatibili (Corte cost. 8-6-1984, n. 170; Corte cost. 14-6-1990, n. 285).
11
Con le c.d. sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 24.10.2007, si è affermato che la Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, pur essendo dotata di una particolare natura che la distingue dagli
obblighi nascenti da altri Trattati internazionali, non assume, in forza dell’art. 11 Cost., il rango di fonte costi-
tuzionale né può essere parificata, a tali fini, all’efficacia del diritto comunitario nell’ordinamento interno.
12
Cfr. Corte cost. 22-10-2014, n. 238. Nel riconoscere il primato del diritto dell’U.E., ai sensi dell’art. 11
Cost., la giurisprudenza costituzionale afferma che l’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituziona-
le italiano e dei diritti inalienabili della persona è condizione perché il diritto dell’Unione possa essere applica-
to in Italia (Corte cost. 26-1-2017, n. 24; anche sent. 284/2007, 73/2001, 168/1991). Sul carattere accentrato del
controllo di costituzionalità, con la spettanza alla sola Corte costituzionale della verifica di compatibilità con i
principi fondamentali dell’assetto costituzionale e di tutela dei diritti umani, v. sent. 120/2014, 284/2007.
66 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

La Seconda parte disegna l’organizzazione e la struttura dello Stato e degli altri organi
costituzionali, con la previsione delle garanzie e delle tutele del cittadino, ed è perciò di
specifico interesse del diritto pubblico (diritto costituzionale e diritto amministrativo).
La “costituzionalizzazione” della sovranità statale ha delineato nella modernità la forma-
zione di uno stato costituzionale di diritto.
Alla Corte costituzionale è rimesso il controllo di legittimità costituzionale delle leggi
e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni (art. 134 Cost.) 13: è la c.d. giu-
stizia costituzionale, quale controllo giurisdizionale di rispetto della Costituzione. La
questione di legittimità costituzionale è sollevata, da una delle parti o di ufficio, innanzi
al giudice dove pende un giudizio, che formalmente la incardina 14.
Con la sentenza di accoglimento la Corte dichiara la illegittimità costituzionale
della norma di legge o di altro atto avente forza di legge: la norma cessa di avere effetto
dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (art. 136 Cost.), normalmente
con efficacia retroattiva, ma con salvezza degli effetti realizzati e dei rapporti esauriti 15. Si
va delineando un indirizzo di modulazione degli effetti temporali della sentenza, secondo
un criterio di bilanciamento dei valori costituzionali, in una visione unitaria del sistema co-
stituzionale 16. Spesso le sentenze di accoglimento intervengono sul contenuto della di-
sposizione impugnata (c.d. sentenze manipolative), con distinte modalità di intervento 17.

13
Tra gli “atti aventi forza di legge” si comprendono i decreti legislativi e i decreti legge. Sono esclusi dal
controllo della Corte costituzionale i regolamenti: questi sono soggetti al controllo del giudice amministrativo,
che può annullarli per contrasto con leggi e atti aventi forza di legge e con la Costituzione.
14
Il giudice, rilevata la pregiudizialità della legittimità costituzionale della norma da applicare nel giudizio
in corso e verificata la non manifesta infondatezza della questione, con ordinanza di rimessione sospende il
giudizio e rinvia gli atti alla Corte costituzionale, dando inizio al procedimento per il controllo di costituzio-
nalità (c.d. giudizio incidentale).
15
Le pronunce di accoglimento, dichiarative di illegittimità costituzionale, eliminano la norma con effetto ex
tunc, con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie
sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l’illegittimità costituzionale ha per presup-
posto l’invalidità originaria della legge – sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale – per contra-
sto con un precetto costituzionale; gli effetti dell’incostituzionalità non si estendono ai rapporti ormai esauriti in
modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento
collega il consolidamento del rapporto medesimo ovvero per essersi verificate preclusioni processuali o decaden-
ze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità
(Cass. 27-6-2018, n. 16990). V. anche Cass. 27-6-2008, n. 17746; Cass. 21-3-2008, n. 7698.
16
Con riferimento ad una imposizione tributaria, si è stabilito che gli effetti della dichiarazione di illegit-
timità costituzionale decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale
al fine di evitare che l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla pro-
nuncia determini uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra
finanziaria aggiuntiva, e anche per non venir meno al rispetto dei parametri cui l’Italia si è obbligata in sede di
Unione europea ed internazionale e, in particolare, alle previsioni annuali e pluriennali indicate nelle leggi di
stabilità (Corte cost. 11-2-2015, n. 10).
17
Si distinguono: illegittimità di una sola parte della disposizione (c.d. sentenze di accoglimento parziale); ille-
gittimità della disposizione nella parte in cui non prevede quanto avrebbe dovuto prevedere conforme a Costitu-
zione, integrato dalla Corte (c.d. sentenze additive). Le sentenze additive si articolano a loro volta come: sentenze
additive in senso proprio, che hanno efficacia immediatamente precettiva, risolvendosi automaticamente la dichia-
razione di illegittimità della omissione in quella, speculare, di necessità costituzionale della inclusione del quid
omissum nel testo normativo; sentenze additive di principio, che dichiarano la illegittimità costituzionale della man-
cata tutela di diritti fondamentali ovvero di meccanismi idonei a renderli effettivi (Corte cost. 26-6-1991, n. 295; v.
anche Corte cost. 15-3-1996, n. 74); sentenze sostitutive, con dichiarazione di illegittimità della disposizione nella
parte in cui prevede una disposizione anziché un’altra diversa conforme a Costituzione, sostituita dalla Corte.
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 67

Con la sentenza di rigetto la Corte dichiara “non fondata” la questione di legitti-


mità costituzionale prospettata dalla ordinanza di rimessione. Sono frequenti sentenze
interpretative di rigetto con le quali la Corte dichiara infondata la questione di legittimità
costituzionale perché il dubbio sollevato dal giudice si fonda su una errata interpretazio-
ne della disposizione impugnata: la Corte, nel rigettare la questione, fornisce nella moti-
vazione la interpretazione “conforme a Costituzione” che vale ad evitare la illegittimità
costituzionale della disposizione impugnata (c.d. sentenze adeguatrici) 18.
Diversamente si atteggia la dichiarazione di inammissibilità, con la quale la Corte
non entra nel merito della questione, ma si ferma ad accertare la insussistenza dei pre-
supposti richiesti dalla legge per una pronuncia sulla fondatezza della questione, più
spesso relativa a difetti riguardanti il giudizio a quo.
Talvolta si dà luogo a decisioni c.d. monito o di indirizzo, con le quali si invita il
parlamento a legiferare, per evitare che si pervenga ad una successiva dichiarazione di
incostituzionalità.

6. Diritto europeo (fonti e armonizzazione). – È ormai acquisito il divario tra di-


ritto internazionale e diritto europeo.
Il diritto internazionale è formato da regole concordate tra Stati, che attuano nel terri-
torio nazionale il diritto concordato con leggi di ratifica ed esecuzione; l’ordinamento
giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente ricono-
sciute (art. 10 Cost.).
Il diritto europeo supera l’ottica del diritto internazionale, per consentire allo Stato, in
condizioni di parità con altri stati, “limitazioni di sovranità” necessarie ad uno ordina-
mento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni, promuovendo e favorendo le or-
ganizzazioni internazionali rivolte a tale scopo (art. 11 Cost.).
Per l’art. 47 TUE l’Unione ha personalità giuridica. In virtù della cessione di sovrani-
tà statale, nel quadro costituzionale, si caratterizza come una complessa organizzazione,
con competenze legislative, esecutive e giudiziarie. Anche il diritto europeo opera come
un sistema di diritti e di tecniche organizzative che si impongono allo Stato, entro i con-
trolimiti di rilevanza costituzionale, con un duplice livello di armonizzazione: minima,
con il solo coordinamento delle normative nazionali; massima, con l’unificazione delle
normative nazionali attraverso la formazione di un diritto uniforme europeo 19. Collante
permanente del diritto europeo con gli ordinamenti statali è costituito dai “diritti fon-
damentali” che assurgono a principi generali del sistema 20, dei cui riflessi sul diritto pri-

18
Di fronte ad una interpretazione consolidata della giurisprudenza ordinaria, la Corte assume la stessa
come “diritto vivente”, cioè quale diritto applicato dalla giurisprudenza ordinaria, valutandone la conformità
alla Costituzione.
19
Il giudice nazionale è tenuto a disapplicare le disposizioni contrastanti della legge interna, anteriore o
posteriore, e ad interpretare il diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo del diritto europeo; e a ciò
sono tenute anche le corti nazionali di ultimo grado. Analogo obbligo si è andato delineando con riguardo
alla giustizia amministrativa, per il cui art. 1 cod. proc. amm. “la giurisdizione amministrativa assicura una
tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”. La L. 24.12.2012, n. 234,
reca Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle
politiche dell’Unione europea (specie artt. 29 ss.).
20
Da tempo si confrontano una concezione monista di un ordinamento unitario (professata dalla Corte di
68 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

vato si è già detto (I, 2.10). Va infine formandosi un indirizzo che tende a cristallizzare la
nozione degli istituti fissata dall’ordinamento europeo quando non vi è rimessione agli
Stati nazionali 21.
Si è già visto della formazione di una Europa del diritto, legiferante regole comuni di
condotta e di organizzazione, cui si connette una Europa dei diritti, per l’attribuzione di
diritti fondamentali individuali (I, 2.10). Il diritto europeo, in ragione della formazione,
si caratterizza come diritto convenzionale dei trattati, diritto derivato dalle organizzazioni
europee e diritto giurisprudenziale maturato dalle Corti.
a) Il diritto convenzionale (c.d. primario) è rappresentato dai Trattati con i quali la Co-
munità europea prima e la Unione europea dopo si sono costituite e gradualmente modifi-
cate. Naufragato il progetto di un Trattato sulla Costituzione europea del 2004, il Tratta-
to di Lisbona del 13.12.2007 (ratific. e reso esec. con L. 2.8.2008, n. 130, in vigore dal
1.12.2009) segna il nuovo volto delle istituzioni europee. Emerge dal Trattato di Lisbona
una istanza di legittimità democratica per il rafforzamento del ruolo del Parlamento eu-
ropeo e per un maggiore coinvolgimento dei Parlamenti nazionali; è anche riconosciuta
una “iniziativa dei cittadini” 22. Con tale Trattato il termine “Unione” sostituisce sempre
quello di “Comunità”. Resta in vita il Trattato sull’Unione europea 23, con le modifiche ap-
portate, contenente il diritto materiale convenzionale; mentre il Trattato C.E. diventa il
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea 24, con le modifiche apportate, contenente
il diritto strumentale convenzionale 25. Il Trattato di Lisbona ridisegna i criteri di equili-
brio tra regole accentrate e scelte nazionali: sono riformulati i principi di “attribuzione”,
“sussidiarietà” e “proporzionalità”, ora regolati dall’art. 5 TUE e che sono penetrati ne-
gli ordinamenti nazionali.
Per il principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle
competenze che sono ad essa attribuite dagli Stati membri nei i trattati, per realizzare gli

giustizia) e una concezione dualista di una duplicità di ordinamenti (sostenuta dalla Corte costituzionale),
rinfocolata dalla previsione dei “controlimiti” costituzionali.
21
Dalla necessità di garantire un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione discende che, laddove una
sua disposizione non rinvii al diritto degli Stati membri per quanto riguarda una determinata nozione, que-
st’ultima deve essere oggetto, nell’intera Unione europea, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da ef-
fettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e della finalità perseguita dalla normativa in
questione (Corte giust., 7-9-2017, causa C-247/16).
22
Con il Trattato di Lisbona è accentuata la marcia da un assetto intergovernativo a una integrazione di
cittadini, con i diritti civili e sociali che li connotano.
23
Versione consolidata pubblicata in G.U. Un. eur. 26.10.2012, n. C 326. L’unione si fonda sui valori del
rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, della uguaglianza, dello Stato di diritto e del ri-
spetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze; valori comuni agli Stati
membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia,
dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini (art. 2). L’Unione instaura un mercato interno; si adopera
per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prez-
zi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso
sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente; promuove il progresso
scientifico e tecnologico (art. 3).
24
Versione consolidata pubblicata in G.U. Un. eur. 26.10.2012, n. C 326. Vi è “competenza esclusiva” e
competenza concorrente” dell’Unione con gli Stati membri. Ampiamente nelle Fonti del diritto I,3.6.
25
L’adesione dell’U.E. alla CEDU e alla Carta dir. fond. U.E. non incide sulla competenza (art. 6 TUE).
Diritti e principi previsti dai due testi normativi rilevano per l’Unione europea in quanto risultino di compe-
tenza della stessa (c.d. competenze di attribuzione).
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 69

obiettivi da questi stabiliti. Vi è “competenza esclusiva” e “competenza concorrente”


con quella degli stati membri (art. 52 TUE, art. 2 TFUE).
Per il principio di sussidiarietà, di cui specificamente si dirà (II, 7.8), è realizza-
to un equilibrio di intervento tra U.E. e Stati membri, nel senso che, nei settori che
non sono di competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto quando gli obiettivi
dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati
membri (art. 53 TUE) 26.
Per il principio di proporzionalità, di cui specificamente si dirà (II, 7.7), il con-
tenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conse-
guimento degli obiettivi dei trattati (art. 54 TUE).
In definitiva, a seguito di un lungo percorso, la Unione europea non è più solo uno
spazio di libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali, secondo le istanze dei
trattati originari; è anche una unione monetaria e vuole essere uno spazio di azione dei
diritti fondamentali (dignità umana, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, sicu-
rezza e giustizia) (c.d. Europa dei diritti) (I, 2.10). L’Unione Europea riconosce i diritti,
le libertà e i principi sanciti dalla Carta dir. fond. U.E. (art. 61 TUE); aderisce alla Conv.
eur. dir. uomo (art. 62 TUE), in entrambe le ipotesi senza modifiche di competenze. È in
atto un processo di “europeizzazione” anche del diritto processuale civile e del diritto
internazionale privato, oltre che di altri rami del diritto, mentre crescono le iniziative per
il conseguimento dell’obiettivo finale di edificazione di un diritto materiale uniforme
(anche se sporadicamente non mancano significative remore di alcuni stati).
b) Il diritto derivato (c.d. secondario) è costituito dagli atti normativi che provengono
dalle istituzioni europee 27. Il diritto convenzionale è gerarchicamente sovraordinato al di-
ritto derivato. Le fonti del diritto derivato, già regolate dall’art. 249 del Trattato C.E., so-
no state confermate dal Trattato di Lisbona, che vi ha apportato le precisazioni emerse
nella giurisprudenza della Corte di giustizia 28. Per l’art. 288 TFUE, per esercitare le
competenze dell’Unione, le istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, racco-
mandazioni e pareri.
Il regolamento ha portata generale: è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è diret-
tamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, anche in deroga a leggi nazionali in-
compatibili. Non necessita di un atto di adattamento dell’ordinamento interno. Spesso
convenzioni internazionali sono trasfuse in regolamenti.
La direttiva è, di regola, sfornita di immediata applicabilità: vincola lo Stato mem-
bro cui è rivolta relativamente al risultato da raggiungere, restando salva la competen-
za degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. È richiesto un atto di adatta-
mento dell’ordinamento interno; con l’attuazione della direttiva si realizza una effica-
cia della stessa nei rapporti tra cittadini (c.d. efficacia orizzontale). La Corte di giusti-
zia, al fine di favorire l’operatività del diritto europeo nei casi in cui lo Stato ne ritardi

26
Un’applicazione di tale principio è nella direttiva UE/2019/1771 sulla vendita di beni di consumo.
27
Gli artt. 223 ss. TFUE fissano le Istituzioni dell’Unione, individuate in Parlamento europeo, Consiglio eu-
ropeo, Commissione, Banca centrale europea, Corte dei conti e Corte di giustizia dell’Unione europea, alla quale
ultima è conferito il controllo del rispetto del diritto dell’Unione e dunque anche dei “diritti fondamentali” da
parte del diritto derivato.
28
La L. 24.12.2012, n. 234, detta le norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’at-
tuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea (specie artt. 1 e 30).
70 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

l’attuazione, ha ritenuto che, se la direttiva è precisa e priva di condizioni relativamen-


te alla fattispecie e alla disciplina (c.d. “direttive dettagliate”), la relativa normativa è
immediatamente operante e vincolante (autoesecutiva o self-executing) 29: opera nei
rapporti tra cittadini e stato (efficacia verticale), non nei rapporti tra cittadini (efficacia
orizzontale).
Se è omessa o ritardata l’attuazione della direttiva e la direttiva non è autoesecu-
tiva, lo Stato è obbligato al risarcimento dei danni nei confronti del cittadino dan-
neggiato dalla mancata o ritardata o incompleta trasposizione nell’ordinamento in-
terno (per inadempimento di obbligazione ex lege) 30, con il termine ordinario di pre-
scrizione 31.
La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari designati.
La raccomandazione e il parere non sono vincolanti.
c) Va formandosi un diritto giurisprudenziale europeo delle Corti europee. Alla Corte
di giustizia U.E. spetta il controllo del rispetto del diritto europeo; alla Corte europea dei
diritti dell’uomo (Corte Edu) spetta il controllo di applicazione della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo (CEDU) (del funzionamento delle Corti si dirà in seguito: III, 1.8).
È un importante strumento di dialogo tra giudici nazionali e europei che agevola la si-
curezza giuridica tramite un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione europea. Con-

29
Secondo Corte cost. 18-4-1991, n. 168, occorre far riferimento alla giurisprudenza della Corte di giu-
stizia C.E., secondo cui la diretta applicabilità, in tutto od in parte, delle direttive comunitarie non discen-
de unicamente dalla qualificazione formale dell’atto fonte, ma richiede ulteriormente che la prescrizione
sia incondizionata (sì da non lasciare margine di discrezionalità agli Stati membri nella loro attuazione) e
sufficientemente precisa (nel senso che la fattispecie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad
essa applicabile devono essere determinati con compiutezza, in tutti i loro elementi), e che inoltre lo Stato
destinatario – nei cui confronti il singolo faccia valere tale prescrizione – risulti inadempiente per essere
inutilmente decorso il termine previsto per dare attuazione alla direttiva.
30
Per Corte giust. U.E. 7-8-2018, C-122/17, un giudice nazionale, investito di una controversia tra singoli,
è tenuto a procedere all’interpretazione conforme nel caso di contrasto tra il diritto interno e il diritto U.E.
contenuto in una direttiva non recepita correttamente; se però non è possibile procedere all’interpretazione
conforme del diritto nazionale, malgrado la direttiva abbia tutte le condizioni per produrre un effetto diretto,
il giudice nazionale non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare le norme interne nel
caso di controversie tra privati; la parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto dell’Unione
può agire per ottenere dallo Stato membro inadempiente il risarcimento del danno subito. Per Cass., sez. un.,
17-4-2009, n. 9147, in caso di omessa o tardiva trasposizione nel termine prescritto di direttive comunitarie
non autoesecutive, sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, il diritto degli
interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento
dell’obbligazione ex lege dello Stato, quale responsabilità contrattuale, di natura indennitaria, dovendosi con-
siderare la condotta dello Stato inadempiente come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non an-
che alla stregua dell’ordinamento interno; il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è
subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordi-
namento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ra-
gione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria all’ordinario ter-
mine decennale di prescrizione. Conformi Cass. 12-2-2015, n. 2737; Cass. 10-3-2010, n. 5842.
31
Si è chiarito da Cass. 17-5-2011, n. 10813, che il termine decennale di prescrizione del diritto al risarci-
mento inizia a decorrere dal giorno in cui entra in vigore la normativa italiana di recepimento; se lo Stato non
provvede alla trasposizione dell’atto U.E., non potrà essere applicato alcun termine di prescrizione. Per Corte
giust. U.E. 19-5-2011, causa C-452/09, in virtù del principio di equivalenza e effettività, il termine di prescri-
zione può essere calcolato anche prima del recepimento della direttiva a condizione che lo Stato non sia re-
sponsabile dei ritardi nell’azionabilità dei ricorsi; è irrilevante il preliminare accertamento da parte della Cor-
te U.E. della violazione dello Stato nei casi in cui la violazione sia evidente.
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 71

corre alla enucleazione di principi generali dell’ordinamento europeo non sempre speci-
ficamente dichiarati dal diritto positivo europeo, atteggiandosi come diritto complemen-
tare europeo di carattere giurisprudenziale 32. Le interpretazioni delle Corti si riflettono
sull’operato del giudice nazionale che è tenuto ad applicare il diritto europeo nella signi-
ficazione espressa dalle stesse.

7. Leggi (statali e regionali). – La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle


Regioni, nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento eu-
ropeo e dagli obblighi internazionali (art. 1171). È ripartita tra Stato e Regioni, con l’attri-
buzione di alcune materie alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 1172) e di altre mate-
rie alla legislazione concorrente di Stato e Regioni (art. 1173): ogni altra materia, non
espressamente riservata alla legislazione (esclusiva o concorrente) dello Stato, spetta alla
legislazione esclusiva delle Regioni (art. 1174). È un sistema complesso (ed eccessivamen-
te intricato) di ripartizione della funzione legislativa, sicché da molto tempo si dibatte
per una sua semplificazione e modifica, con un’accentuazione di competenze esclusive
alle regioni (c.d. devolution).
a) Quanto alla legislazione statale, la funzione legislativa è esercitata collettivamente
dalle due Camere (art. 70 Cost.) in più modi. Il modo normale è quello che si svolge se-
condo le procedure regolate dagli artt. da 71 a 75 Cost., che portano all’adozione di leggi
in senso stretto (o in senso formale): sono le c.d. leggi ordinarie. Altre procedure coin-
volgono l’attività del Governo, che si affianca a quella delle Camere, dando vita ad atti
aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti-legge) 33. Sono meccanismi che valoriz-
zano il ruolo del governo a scapito del parlamento (il cui abuso esautora la rappresen-
tanza democratica). Le leggi (e gli atti aventi forza di legge) che recepiscono normative
europee (es. direttive) assumono un rango superiore rispetto alle leggi ordinarie, per il
primato del diritto europeo.
Assimilati alle leggi e con il medesimo ordine nella gerarchia delle fonti sono i codici
(nell’accezione tradizionale), quali testi organici ordinati e ordinanti di un’intera materia.
Di specifica importanza per il diritto privato è il codice civile: la relativa normativa, per la
vastità della materia regolata, la organicità della sistemazione, il linguaggio tecnico utiliz-
zato e le categorie giuridiche rinvenienti, assume un ruolo fondamentale nella regolazio-
ne dei rapporti privati e nella elaborazione dello strumentario tecnico della materia (co-
me innanzi si è visto). Diversa funzione assumono i codici di settore, che esprimono es-
senzialmente “riassetti” di disposizioni normative esistenti (talvolta con alcune aggiunte);
spesso operanti come testi unici di riunione sistematica di varie normative vigenti in una
stessa materia.

32
Tutte le disposizioni dell’Unione Europea, comprese le sentenze della Corte di giustizia, hanno efficacia
vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale: Corte Cost. sent. nn. 113/1985, 170/1984, 168/1981.
V. anche Corte giust. 18-12-2008, C-349/07. Cass. 30-12-2003, n. 19842 riconosce “valore normativo” alle
sentenze della Corte di giust.
33
Con il d e c r e t o l e g i s l a t i v o o delegato la funzione legislativa è esercitata dal Governo su delegazione
delle Camere, che, nella “legge delega”, determinano principi e criteri direttivi, nonché il limite di tempo e
l’oggetto definito su cui legiferare (art. 76 Cost.). Con il d e c r e t o - l e g g e la funzione legislativa è esercitata dal
Governo senza delegazione delle Camere, “in casi straordinari di necessità e d’urgenza”, ma il Governo deve
il giorno stesso presentarlo per la conversione; il decreto perde efficacia sin dall’inizio se non è convertito in
legge entro sessanta giorni dalla pubblicazione (art. 77).
72 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

Nella prospettiva del diritto privato, lo Stato ha legislazione esclusiva in tema di: rap-
porti internazionali e con l’Unione europea; rapporti tra la Repubblica e le confessioni
religiose; tutela del risparmio e mercati finanziari e tutela della concorrenza; cittadinan-
za, stato civile e anagrafe; ordinamento civile nella lata accezione di diritto privato; giuri-
sdizione e norme processuali; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni con-
cernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
(art. 1172 Cost.).
b) Quanto alla legislazione regionale, spetta alla regione potestà legislativa concor-
rente con lo Stato in specifiche materie, riservandosi allo Stato la determinazione dei
principi fondamentali (art. 1173); spetta inoltre alla regione potestà legislativa esclusiva
residuale in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione
statale (art. 1174). È dibattuta l’ammissibilità di un diritto privato regionale 34. Le leggi re-
gionali devono rimuovere ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle
donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovere la parità di accesso fra don-
ne e uomini alle carriere elettive (art. 1177): sono principi generali dell’ordinamento.
Quando il Governo ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regio-
ne, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzio-
nale; analogamente può fare la Regione quando ravvisi una lesione alla sua sfera di compe-
tenza ad opera di una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di altra Regione
(art. 127 Cost.). Sono attribuiti al Governo poteri sostitutivi dell’inerzia delle Regioni nel
legiferare in particolari materie 35.
Il divario di competenze legislative si riflette nei meccanismi di ricezione delle diretti-
ve europee. Ogni Stato recepisce le direttive secondo l’ordine interno di competenze: in
Italia secondo il divario di competenze (esclusive o concorrenti) tra Stato e Regioni;
nell’inerzia delle regioni, intervengono i poteri sostitutivi del governo (art. 1202 Cost.).

8. Regolamenti. – La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legisla-


zione esclusiva, salva delega alle Regioni; spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Co-
muni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla
disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 1176
Cost.; art. 7 D.Lgs. 18.8.2000, n. 267) (c.d. “principio di parallelismo” tra funzioni legi-
slative e funzioni regolamentari). Per l’art. 3 disp. prel. il potere regolamentare del Go-
verno è disciplinato da leggi di carattere costituzionale; il potere regolamentare di altre
autorità è esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in conformità delle leggi par-
ticolari.
Esiste un doppio ordine gerarchico: tutti i regolamenti non possono contenere norme
contrarie alle disposizioni delle leggi (art. 41 disp. prel.); i regolamenti emanati da autori-
tà diverse dal Governo non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei re-

34
La Corte cost. ha considerato per il passato non illegittimi alcuni interventi regionali in settori del dirit-
to privato: ad es., sent. 29-9-2003, n. 300; sent. 6-11-2001, n. 352. Per Corte cost. 6-7-2021, n. 138, l’ordina-
mento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull’esigenza, sot-
tesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire sul territorio nazionale l’uniformità della disciplina
dettata per i rapporti tra privati; conf. Corte cost. 21-4-2021, n. 75; Cass. 11-12-2006, n. 26319.
35
Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni
nei casi tassativamente fissati dall’art. 1202 Cost.
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 73

golamenti emanati dal Governo (art. 42 disp. prel.) 36. La valutazione di legittimità dei
regolamenti è operata dal giudice ai soli fini della disapplicazione 37; ma l’annullamento
degli stessi è di competenza del giudice amministrativo.
È frequente che una legge rinvii ad un regolamento di esecuzione per determinare i
modi di applicazione della legge 38. Nel diritto privato assumono una particolare rilevan-
za i regolamenti comunali edilizi per effetto del richiamo di questi ad opera degli artt.
871 e 873 c.c.: in tal guisa le norme dei regolamenti diventano integrative di quelle del
codice civile relativamente alle costruzioni e alle distanze tra le stesse 39.
Diversi sono gli atti e provvedimenti amministrativi che sono espressioni di
potestà amministrativa, non di potestà normativa 40, con la conseguenza che, per i rego-
lamenti, quali fonti del diritto, vale il principio iura novit curia, che non vale per gli atti
amministrativi.
Le circolari sono atti interni all’amministrazione privi di rilevanza normativa. Mira-
no ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività degli organi inferiori: sono
dunque atti amministrativi.

9. Usi. – Come si accennava, gli usi si qualificano come fonti-fatto in quanto espressi-
vi di comportamenti e situazioni cui l’ordinamento attribuisce rilevanza giuridica (I, 3.4).
Proprio per l’emergere spontaneo del diritto dal corpo sociale trattasi di diritto non

36
I regolamenti sono tradizionalmente qualificati fonti normative secondarie (rispetto alla legge): sono
espressioni del potere delle amministrazioni, alle quali le norme sulla competenza assegnano la potestà rego-
lamentare e demandano la disciplina di settori specifici. Per i regolamenti governativi, ministeriali e intermi-
nisteriali, v. L. 23.8.1988, n. 400. Relativamente agli enti locali, v. D.Lgs. 18.8.2000, n. 267.
37
Per la fondamentale regola dell’art. 5 L. 20.3.1865, n. 2248, All. E, le autorità giudiziarie applicano gli
atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi. Quindi sia il giudice
ordinario che il giudice amministrativo possono disapplicare il regolamento considerato illegittimo (per viola-
zione di legge ovvero per eccesso di potere o incompetenza). Anche le commissioni tributarie, se ritengono
illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, salva l’even-
tuale impugnazione nella diversa sede competente (art. 7 D.Lgs. 546/1992).
38
Quando la legge rinvia a prescrizioni di decreti ministeriali l’attuazione particolareggiata del dettato le-
gislativo, i decreti assumono la natura di disposizioni normative di carattere secondario, continuamente ag-
giornate, che completano il precetto normativo (cfr. Cass. 13-5-2020, n. 8883).
39
Il giudice deve applicare le norme dei regolamenti locali indipendentemente da ogni attività assertiva o
probatoria delle parti, acquisendone conoscenza o attraverso la sua scienza personale o attraverso la collabo-
razione delle parti o attraverso la richiesta di informazioni ai Comuni (Cass. 3-2-1998, n. 1047). Anche il piano
regolatore generale e le norme tecniche di attuazione dello stesso, per essere volti a disciplinare l’attività ammini-
strativa per un migliore assetto dell’agglomerato urbano e i rapporti di vicinato in modo equo, sono fonti norma-
tive, facendo sorgere a favore del vicino danneggiato il diritto di chiedere la riduzione in pristino, ai sensi dell’art.
872 c.c. (Cass. 28-11-2006, n. 25225).
40
Gli atti e provvedimenti amministrativi generali sono destinati alla cura concreta di interessi pubblici, con
effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma
determinabili; mentre i regolamenti sono espressione di una potestà normativa attribuita all’amministrazione, con
carattere secondario rispetto a quella legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una
regolamentazione attuativa o integrativa della legge, ma egualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico
esistente, con precetti che presentano i caratteri della generalità ed astrattezza (Cass., sez. un., 28-11-1994, n.
10124; analogamente Cass. 27-9-2006, n. 20958). Per l’art. 174 Cost. i regolamenti governativi e quelli ministeriali
ed interministeriali devono recare la denominazione di “regolamento”; inoltre l’esercizio della potestà normativa
deve svolgersi con l’osservanza di un particolare procedimento (sono adottati previo parere del Consiglio di Stato,
sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale).
74 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

scritto, legato al contegno dei consociati. La rilevanza degli usi, tradizionalmente operan-
te nelle relazioni commerciali 41, è andata riducendosi contestualmente all’accrescersi
della statualità del diritto: l’assunzione da parte dello Stato di funzioni di riequilibrio di
condizioni sociali deboli è antitetica allo spontaneismo di regole giuridiche; anche se si
assiste al riemergere di una c.d. lex mercatoria (I, 2.13).
Gli artt. 1, 8 e 9 disp. prel. preferiscono il termine “uso”, proprio della tradizione
privatistica, a quello di “consuetudine”, di più generale accezione nel linguaggio giuridi-
co: ma trattasi di mera variante terminologica. Sono i c.d. usi normativi, appunto co-
me fonti di diritto. La laconica regolazione sollecita tre ordini di problemi, relativi ai re-
quisiti, alla rilevanza e alla conoscenza e dunque alla prova dell’uso.
a) Quanto ai requisiti, nulla è detto dalla legge, sicché la relativa configurazione è ri-
messa alla elaborazione che tradizionalmente ne hanno fatto dottrina e giurisprudenza. È
principio comunemente accolto che, per la configurabilità di un uso normativo, debbano
ricorrere due requisiti: uno, di carattere oggettivo, relativo al comportamento tenuto,
consistente nella uniforme e costante ripetizione di un dato comportamento; un
altro, di carattere soggettivo o psicologico, relativo alla convinzione serbata, consistente nel-
la consapevolezza di prestare osservanza ad un precetto giuridico (c.d. opinio iu-
ris ac necessitatis). La giurisprudenza insiste sulla ricorrenza del requisito soggettivo, al-
trimenti il fenomeno consuetudinario si ridurrebbe alla mera prassi 42.
b) Quanto alla rilevanza, per cominciare, gli usi non sono menzionati nella Carta co-
stituzionale, sicché la rilevanza degli stessi non può mai interferire con quella di norme
primarie (costituzionali o di derivazione europea). L’art. 8 disp. prel. si limita a prevede-
re che “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti, gli usi hanno efficacia solo in
quanto sono da essi richiamati”. Si delineano tre categorie di usi: secundum legem, prae-
ter legem e contra legem.
Gli usi secundum legem si caratterizzano per essere un atto normativo (legge o rego-
lamento) a rinviare all’uso, che dunque assume la forza dell’atto normativo di richiamo.
Tipici esempi ricorrono in tema di vendita, dove l’art. 1510 detta specifiche regole circa la
consegna della cosa, che operano solo “in mancanza di patto o di uso contrario”: è cioè la
legge stessa che rinvia all’uso della consegna, solo in assenza del quale trova applicazione la
legge; analogamente, nella esecuzione dell’obbligazione, dove, per l’art. 1182, se il luogo di
esecuzione della prestazione “non è determinato dalla convenzione o dagli usi” e non può

41
L’art. 1 del cod. comm. 1882 prevedeva che, ove le leggi commerciali non disponessero, trovassero ap-
plicazione gli usi mercantili (con prevalenza di quelli locali o speciali su quelli generali), e che, in mancanza di
usi, si applicasse il diritto civile.
42
Nell’affermare tale principio la Suprema Corte ha escluso la natura di usi normativi delle norme banca-
rie uniformi emanate dall’Abi, qualificandole come usi negoziali ex art. 1340, perché imposte al cliente in base
ad una mera prassi, sia pure ineludibile in quanto richiesta dall’istituto bancario (Cass. 8-5-2008, n. 11466; Cass.
28-3-2002, n. 4498). Analogamente le norme e gli usi uniformi della camera di commercio internazionale han-
no natura giuridica di usi negoziali, ossia di clausole d’uso integrative della volontà dei contraenti, con la con-
seguenza che la loro interpretazione, effettuata dal giudice di merito con motivazione adeguata e non illogica,
non è censurabile in sede di legittimità (Cass. 14-10-2009, n. 21833). È anche escluso il ricorrere dell’uso nor-
mativo nell’uso aziendale, trovando lo stesso origine nel comportamento dell’imprenditore di attribuire sponta-
neamente e per liberalità (e non sulla base del convincimento della sussistenza di un obbligo) a tutti i dipendenti
(o soltanto ad un gruppo di essi) un trattamento non previsto né dal contratto individuale né dal contratto
collettivo (Cass. 25-7-2000, n. 9764).
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 75

diversamente desumersi, si applicano le norme previste dal medesimo articolo: la legge stes-
sa rinvia all’uso di esecuzione delle prestazioni, in assenza del quale opera il criterio legale.
Gli usi praeter legem operano nelle materie non regolate dalle leggi o dai regola-
menti (art. 18). L’assenza di richiamo in leggi o regolamenti impedisce che l’uso possa
essere in contrasto con una fonte normativa sovraordinata. Il sopraggiungere di legge o
regolamento incompatibili con l’uso paralizzerà l’operatività di questo.
Sono inammissibili gli usi contra legem: l’uso non può operare contro la legge o il
regolamento, in quanto gerarchicamente subordinato 43. Il fenomeno ha assunto una par-
ticolare rilevanza con riferimento alla normativa sulle clausole vessatorie nei contratti dei
consumatori: non può assumere rilevanza giuridica un uso che integri un significativo
squilibrio giuridico a carico del consumatore (o di altro imprenditore debole) in quanto
in contrasto con l’art. 33 cod. cons. (VIII, 2.16).
c) Quanto alla conoscenza, integrando l’uso (come si è visto) una fonte-fatto e perciò
non scritta, emerge il problema della prova della esistenza. Operano all’uopo raccolte uf-
ficiali di usi, come quelle del Ministero dell’Industria per gli usi generali e quelle delle
Camere di commercio per gli usi locali 44, che però essenzialmente raccolgono usi nego-
ziali (art. 1340 c.c.). Per l’art. 9 disp. prel. gli usi pubblicati nelle raccolte ufficiali degli
enti e degli organi a ciò autorizzati si presumono esistenti fino a prova contraria: la pub-
blicazione dell’uso implica una presunzione legale semplice di esistenza, che ammette la
prova contraria di non sussistenza o permanenza 45.
Di diversa natura ed efficacia sono gli usi contrattuali e gli usi interpretativi, legati
all’attività contrattuale specie commerciale (VIII, 5.8). Diversi sono pure gli usi civici,
che affondano le radici nella storia del feudo e della proprietà collettiva (VI, 3.9).

10. Emersione di nuove fonti. – Alle fonti del diritto, formalmente indicate come tali
e gerarchicamente organizzate, si vanno aggiungendo ulteriori fonti, non sempre coordina-
te con le prime, che assumono una influenza sempre più rilevante.
a) Anzitutto rileva l’attività delle Autorità amministrative indipendenti, in ra-
gione della complessità istituzionale che le caratterizza e della varietà di poteri attribuiti
(poteri di regolazione e indirizzo, nonché di controllo e repressione) 46. Sono ispirate alla

43
La regola dell’art. 1 cod. nav., per cui gli usi prevalgono sul diritto civile, si giustifica per la “prevalen-
za” del diritto speciale sul diritto comune. Non sono derogabili norme imperative o di ordine pubblico.
44
Il compito di accertare e revisionare periodicamente gli usi e le consuetudini, collegati alle attività eco-
nomiche e commerciali, venne attribuito alle Camere di Commercio con L. 20.3.1910, n. 121, per il cui art. 34
ogni cinque anni sono istituite Commissioni provinciali per la revisione degli usi; poi ribadito dal R.D.
19.2.1911, n. 245 e dal D.M. 16.5.2000, rientrando fra le funzioni camerali in materia di armonizzazione del
mercato previste dall’art. 2 della L. 580/1993. Con D.L. 4.7.2006, n. 223, conv. con L. 4.8.2006, n. 248, si è
previsto che “dei Comitati tecnici istituiti presso le Camere di Commercio per la rilevazione degli usi com-
merciali non possono far parte i rappresentanti di categorie aventi interesse diretto nella specifica materia
oggetto di rilevazione”: questi sono ora solo interpellati tramite specifiche audizioni, mentre il Comitato è
composto da rappresentanti di organi professionali ed esperti super partes.
45
Per la Suprema Corte gli usi normativi – contemplati dall’art. 1, n. 4, disp. prel. – sono norme giuridiche
che il giudice ha l’obbligo di applicare se le conosce, ma non ha l’onere di indagare personalmente per ac-
certarne l’esistenza, disponendo ex officio attività istruttorie per sopperire all’inerzia delle parti (Cass.
21-11-2000, n. 15014). In tal senso già Cass. 17-4-1968, n. 1131; Cass. 19-12-1968, n. 2962.
46
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è organo amministrativo dotato di poteri discrezio-
76 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

tradizione anglosassone, la cui istituzione è giustificata da istanze eterogenee; sono dota-


te di strutture organizzative diversificate e soggette a discipline variegate e operano in
aree nelle quali maggiormente è avvertita l’esigenza di un’azione tecnica specializzata di
pubblici poteri.
Sono indipendenti dal Governo e dunque dalla politica: non c’è responsabilità mini-
steriale per l’operato delle stesse; né alle autorità indipendenti possono imporsi direttive
ministeriali o attuarsi forme di controllo. Per il conseguimento degli obiettivi prefissi so-
no accordati poteri normativi (comunque sublegislativi) 47 e poteri amministrativi, oltre
che poteri di giustiziabilità (III, 3.1). Nella prospettiva del diritto privato una generale
funzione svolge l’Autorità del Garante per la protezione dei dati personali: l’Autorità ha la
finalità di garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e
delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferi-
mento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati persona-
li (così l’art. 2 del D.Lgs. 30.6.2003, n. 196, recante il codice in materia di protezione dei
dati personali); per l’art. 153 del codice il Garante opera in piena autonomia e con indi-
pendenza di giudizio e di valutazione 48. Una rilevante funzione assume anche l’Autorità
garante della concorrenza e del mercato (connessa alla regolazione antitrust) (AGCM),
istituita con L. 10.10.1990, n. 287, i cui poteri sono stati man mano ampliati (cfr. D.Lgs.
8.11.2021, n. 185). Altre Autorità operano in specifici settori 49.
b) Ulteriori fonti provengono dal basso, attraverso i codici di autodisciplina, for-
mulati da singole categorie e che si impongono in modo vincolante ai soggetti che vi aderi-
scono. Il più rilevante è il codice di autodisciplina pubblicitaria, caratterizzato anche da
una propria giurisdizione interna (il Giurì).
Più di recente è lo stesso ordinamento che, in un processo di delegificazione, rimette
alla elaborazione di categorie sociali la formazione di codici di deontologia e buona con-
dotta per specifici settori, rimettendo a strutture pubbliche il controllo di non contrarie-
tà all’ordinamento 50. Ciò avviene principalmente in settori caratterizzati da frequenti in-

nali, privo dell’essenziale requisito della terzietà e non qualificabile quale giudice neanche ai limitati fini del
giudizio di costituzionalità (Corte cost. 31-1-2019, n. 13).
47
I regolamenti delle Autorità indipendenti rientrano nel potere normativo delle stesse e sono pertanto at-
ti con valore normativo. La legittimazione costituzionale del potere normativo è nel fondamentale canone co-
stituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 98 Cost.).
48
Il Garante per la protezione dei dati personali è organo amministrativo ed è investito di un procedi-
mento di natura amministrativa: non ricopre una posizione di terzietà assimilabile a quella assicurata dal
giudice nel processo, escludendosi che il provvedimento di talea autorità sia idoneo al passaggio in giudicato
(Cass. 8-2-2022, n. 3952; Cass. 18-6-2018, n. 16061; Cass. 25-5-2017, n. 13151).
49
Si pensi alla Banca d’Italia, per la vigilanza sulle banche, i gruppi bancari e le società finanziarie; alla
Consob per il controllo delle società quotate in borsa; all’Isvap per la vigilanza delle attività assicurative priva-
te. Grande rilevanza hanno anche le autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, quali l’Autorità per
l’energia elettrica e il gas; l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Una particolare funzione svolge l’Au-
torità nazionale anticorruzione (ANAC), che nel 2014 incorpora l’Autorità per la vigilanza sui contratti pub-
blici di lavori, servizi e forniture (AVCP). Si pensi anche all’Organismo Italiano di Contabilità (OIC), come
fondazione privata che emana i principi contabili nazionali, per la redazione dei bilanci secondo le disposi-
zioni del codice civile, perseguendo finalità di interesse pubblico.
50
Si è ritenuto che le regole deontologiche poste dagli ordini professionali sono soggette al controllo giu-
risdizionale quando violino precetti costituzionali o inderogabili o principi generali dell’ordinamento e in
quanto incidano su oggetti estranei alla deontologia professionale (Cass. 4-6-1999, n. 5452).
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 77

novazioni scientifiche e tecnologiche, che si tende a disciplinare anche con il ricorso a


fonti più flessibili e maggiormente capaci di penetrare nella coscienza e nella professio-
nalità delle categorie coinvolte 51: si pensi al Codice di deontologia medica; al Codice
deontologico forense 52 e ai Principi di deontologia professionale dei notai 53.

B) APPLICAZIONE DEL DIRITTO

11. Efficacia nel tempo (obbligatorietà delle norme). – Delineate le fonti del dirit-
to, bisogna aver riguardo all’applicazione delle norme nel tempo e nello spazio, oltre che
delineare i modi di interpretare e applicare il diritto. Il capo II disp. prel. c.c. usa la for-
mula “applicazione della legge in generale” per rappresentare a quell’epoca la legge il
parametro della normatività. La disciplina va riferita a tutte le norme giuridiche, con i
debiti coordinamenti rispetto alle singole fonti (sopra, par. 1).
La efficacia della norma nel tempo indica la durata della obbligatorietà della stessa,
cioè il tempo in cui la norma è vigente: tra l’entrata in vigore e la perdita di vigore.
a) Per la entrata in vigore della norma non è sufficiente che sia esaurita la procedura di
formazione; è anche necessario che la norma sia resa pubblica (pubblicata) e cioè legal-
mente conoscibile (par. 3). Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica en-
tro un mese dall’approvazione, tranne il diverso termine indicato dalle Camere (art. 73
Cost.). Di regola è previsto un termine per l’entrata in vigore di leggi e regolamenti per
consentirne la conoscenza 54: di solito nel quindicesimo giorno successivo a quello della
loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto (artt. 10 disp. prel. e 73 Cost.) (c.d.
vacatio legis) 55. In particolari circostanze è dichiarata la obbligatorietà della legge con la
pubblicazione (c.d. leggi catenaccio).

51
Emblematico è il D.Lgs. 196/2003 sulla protezione dei dati personali, per il cui art. 12 il Garante
promuove, nell’ambito delle categorie interessate, la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona con-
dotta per determinati settori, ne verifica la conformità alle leggi e ai regolamenti e contribuisce a garantirne
la diffusione e il rispetto.
52
Testo modificato dal Consiglio nazionale forense il 23.2.2018, in vigore dal 12.6.2018. Le deliberazioni
con le quali il Consiglio nazionale forense procede alla determinazione dei principi di deontologia professionale
e delle ipotesi di violazione degli stessi, costituiscono regolamenti adottati da un’autorità non statuale in forza di
autonomo potere in materia che ripete la sua disciplina da leggi speciali; trattandosi di legittima fonte secondaria
di produzione giuridica, va esclusa qualsiasi lesione del principio di legalità (Cass., sez. un., 29-12-2017, n.
31227; Cass., sez. un., 11-7-2017, n. 17115).
53
Testo aggiornato dal Consiglio nazionale del notariato il 5.4.2008. Per Cass. 3-2-2017, n. 2979, la san-
zione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale (nella specie notarile) ed è
preordinata all’effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sic-
ché ad essa non può attribuirsi natura sostanzialmente penale.
54
L’art. 101 disp. prel. non si applica ai decreti ministeriali che recepiscono, senza trasformarli in regola-
menti governativi, gli atti emanati da autorità non statali in forza di un potere normativo attribuito da leggi
speciali (art. 32, disp. prel.), sicché i medesimi, anche se debbono essere pubblicati sulla G.U., non sono as-
soggettati ad periodo di “vacatio legis” e sono quindi immediatamente applicabili atteso il carattere di esecu-
torietà proprio degli atti amministrativi (Cass. 25-7-2016, n. 15315).
55
Gli effetti di uno “ius novum” più favorevole al reo sono applicabili, in pendenza di giudizio, anche du-
rante il periodo della “vacatio legis”, in quanto la funzione di garanzia per i consociati, perseguita dagli artt.
733 Cost. e 10 prel., non preclude al giudice di tener conto di quella che è già una novazione legislativa (Cass.
pen. 14-5-2019, n. 39977).
78 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

Ogni atto normativo non può che disporre per l’avvenire, e perciò non ha effetto re-
troattivo (art. 11 disp. prel.): non può applicarsi a fatti verificatisi anteriormente alla en-
trata in vigore (principio della irretroattività della legge); è espressione del fondamentale
principio di legalità, che si traduce nella salvezza dei diritti quesiti 56. La generale previ-
sione di irretroattività è contenuta esclusivamente nelle disposizioni preliminari al codice
civile; mentre la Carta costituzionale si limita a prevedere la irretroattività della sola
norma penale, stabilendo che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che
sia entrata in vigore prima del fatto commesso (art. 252 Cost.). Fuori della materia penale
è perciò emerso il principio che una legge o altra normativa possa regolare rapporti in
corso, ancorché riferiti a fatti avvenuti in precedenza, purché ciò risulti espressamente o
comunque in modo non equivoco dalla stessa normativa applicata che tende a regolare
la sostanza del rapporto piuttosto che la costituzione dell’atto 57. Si pensi all’esperienza
della legge sul divorzio del 1970 applicata alle coppie in precedenza coniugate, o alla ri-
forma del diritto di famiglia del 1975 applicata alle famiglie in precedenza costituite. Ec-
cezionalmente (sempre fuori della materia penale) la legge incide sul fatto generatore del
rapporto (c.d. norme retroattive in senso stretto), previa espressa previsione.
b) Quanto alla perdita di vigore, leggi e regolamenti sono abrogati, rispettivamente,
da leggi e regolamenti successivi in modo espresso o tacito. Si ha abrogazione espressa
quando c’è testuale abrogazione da parte dell’ordinamento; si ha abrogazione tacita quando
le nuove disposizioni sono incompatibili con le precedenti o perché la nuova normativa re-
gola l’intera materia già regolata in precedenza così da assorbirla (art. 15 disp. prel.). Per
l’abrogazione è necessario che la normativa abrogante sia di grado superiore o omoge-
neo a quello della normativa abrogata. Se si determina un contrasto tra norme di pari
grado prevale quella cronologicamente successiva. Uno speciale modo di abrogazione di
leggi e atti aventi forza di legge è il referendum popolare, ammesso quando lo richiedono
cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali (art. 75 Cost.).
L’abrogazione non fa perdere efficacia alla norma per il tempo in cui è stata in vigore.
Anche se una norma è abrogata, continua a regolare i fatti intervenuti sotto il suo vigore: è
il principio regolatore della successione nel tempo delle leggi, per cui la validità degli atti è
regolata dalla legge in vigore al tempo della formazione (tempus regit actum). In tale di-
venire normativo si rivela la importanza del diritto transitorio, che regola la efficacia in-
tertemporale dei testi normativi (es. norme transitorie al codice civile, per i rapporti in
corso alla data di entrata in vigore del codice).
Profondamente diversa è la dichiarazione di incostituzionalità di una norma, cessan-
do questa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione e con
efficacia di regola retroattiva (art. 136 Cost.) (sopra par. 5).

56
In materia di rispetto delle distanze, lo “ius superveniens” che contenga prescrizioni più restrittive
incontra la limitazione dei diritti quesiti e non trova applicazione con riferimento alle costruzioni che, al
momento della sua entrata in vigore, possono considerarsi già sorte, in ragione dell’avvenuta realizzazione
delle strutture organiche, costituenti punti di riferimento essenziali per la misurazione delle distanze (Cass.
23-10-2018, n. 26886).
57
La disciplina sopravvenuta è applicabile ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o venute in essere
alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai nuovi fini, debba-
no essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi dal collegamento con il fatto che li ha generati
(Cass. 2-8-2016, n. 16039). V. anche Corte cost. 14-9-2021, n. 24719; Cass. 16-4-2008, n. 9972.
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 79

12. Efficacia nello spazio (diritto internazionale privato). – Lo sviluppo della in-
dustrializzazione e della globalizzazione ha comportato la crescita di circolazione di per-
sone, capitali e merci; ha favorito la mobilità per ragioni di lavoro o anche solo di turi-
smo, così instaurandosi relazioni tra persone soggette ad ordinamenti diversi. Può avve-
nire che un contratto sia stipulato tra soggetti di differente nazionalità o anche tra due
cittadini relativamente ad un bene situato all’estero; come può avvenire che un cittadino
italiano sposi una straniera o che due cittadini abbiano un figlio all’estero ovvero che in-
tervenga separazione tra gli stessi in un paese diverso.
In tali ipotesi la fattispecie, vuoi per la nazionalità dei soggetti, vuoi per la collocazio-
ne territoriale del bene o per altre ragioni, presenta profili di estraneità rispetto all’ordi-
namento italiano e viceversa criteri di collegamento con più ordinamenti, i quali per sin-
goli versi potrebbero trovare applicazione. Quando non opera un diritto materiale uni-
forme bisogna accedere a regole giuridiche che consentano la soluzione dei c.d. conflitti
tra ordinamenti, sì da stabilire la legge applicabile. C’è cioè l’esigenza di individuare l’or-
dinamento dello Stato dove “localizzare” il singolo rapporto per risultare l’ordinamento
meglio in grado di regolarlo, nell’interesse dei singoli autori, ma più in generale per la
certezza delle relazioni giuridiche.
Lo sviluppo degli stati nazionali ha favorito la formazione di un diritto interna-
zionale privato, che regola tali conflitti spaziali. Il diritto internazionale privato è un
diritto interno che regola i rapporti tra privati e con enti aventi punti di contatto con più
ordinamenti, determinando il diritto applicabile; è anche un diritto strumentale in quanto
non è immediatamente regolatore della fattispecie ma si limita ad individuare l’ordina-
mento che deve regolarla. In Italia tale normativa è oggi costituita dalla L. 31.5.1995, n.
218, recante la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, che ha
abrogato gli artt. da 17 a 31 delle disp. prel. c.c., che originariamente lo regolavano;
resta in vigore l’art. 16 disp. prel. relativo al “trattamento dello straniero” (per cui lo
straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di re-
ciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali; analogamente avviene per le
persone giuridiche straniere). Una integrazione della L. 218/1995 è avvenuta ad opera
della L. 19.1.2017, n. 7, in attuazione della L. 20.5.2016, n. 76, con riguardo all’unione
civile tra persone dello stesso sesso. Per l’art. 141 l’accertamento della legge straniera è
compiuto di ufficio dal giudice.
In tempi più recenti la marcia verso un diritto uniforme ha toccato anche il diritto
internazionale privato, con l’emergere di un diritto internazionale privato uniforme, sia
di origine convenzionale che di formazione europea. Nella prima direzione, di grande
importanza è la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali, ratif. e resa esec. con L. 18.12.1984, n. 975, confluita nel Reg.
CE/593/2008 (“Roma 1”), sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (a tale di-
sciplina rinvia l’art. 57 L. 218/1995) 58. Nella seconda direzione, con il c.d. Programma
dell’Aja pubblicato sulla G.U. del 3 marzo 2005 sono menzionati più regolamenti eu-
ropei di diritto internazionale privato uniforme: significativo è il Reg. CE/864/2007
(“Roma 2”) concernente i conflitti di leggi in relazione alle obbligazioni extracontrattua-

58
Rilevante anche la Conv. Aja 1.7.1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento (L.
16.10.1989, n. 364).
80 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

li 59. Consegue che lo spazio rilasciato al legislatore nazionale di legiferare in materia di


diritto internazionale privato risulta sempre più ristretto.
Alla stregua della normativa nazionale, il procedimento di individuazione dell’ordina-
mento applicabile si articola in due fondamentali passaggi.
a) Anzitutto va compiuta la qualificazione del rapporto: bisogna cioè definire la
natura del rapporto da regolare: es. rapporto coniugale, obbligatorio, successorio, ecc.
Ciò avviene di regola in base all’ordinamento davanti al quale è posta la questione da de-
cidere (c.d. lex fori).
b) Successivamente si deve fissare il collegamento della fattispecie (come qualifica-
ta) con uno specifico ordinamento secondo i criteri fissati dalle norme di diritto interna-
zionale privato. Ad es. il possesso e i diritti reali sono regolati dalla legge dello Stato in
cui i beni si trovano (art. 51); le obbligazioni contrattuali sono regolate dalla richiamata
Convenzione di Roma del 1980 (art. 57); la promessa unilaterale è regolata dalla legge
dello Stato in cui viene manifestata (art. 58); la separazione personale e lo scioglimento
del matrimonio sono regolati dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della
domanda, in mancanza si applica la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale risul-
ta prevalentemente localizzata (art. 31); rispetto al minore è di regola applicata la legge
di maggior favore per il minore (artt. 31 ss.).
Le norme del diverso ordinamento valgono all’interno dell’ordinamento dello Stato
quando questo compie un rinvio a tali norme 60. È regolata l’ipotesi di un eventuale rin-
vio dell’ordinamento richiamato ad altro ordinamento 61.
In ogni caso sussistono due limiti all’applicazione della legge straniera.
Anzitutto operano le c.d. norme di applicazione necessaria 62; per l’art. 17 L.
218/1995, sui criteri di collegamento fissati dalla normativa di diritto internazionale pri-
vato, prevalgono le norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro sco-

59
Rilevanti anche Reg. UE/1259/2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore
della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale; Reg. UE/650/2012 relativo alla competen-
za, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzio-
ne degli obblighi in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo; il Reg.
2019/1111/UE, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia ma-
trimoniale e responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori.
60
Il rinvio è f i s s o (c.d. materiale o recettizio), quando è richiamato uno specifico atto in vigore in altro
ordinamento, ordinandosi ai soggetti dell’applicazione del diritto (giudici e pubblica amministrazione) di ap-
plicare le norme di tale atto normativo come norme interne; è invece m o b i l e (c.d. formale o non recettizio)
quando è richiamato non uno specifico atto di altro ordinamento ma una fonte di esso, così adeguandosi a
tutte le modifiche che intervengono nella normativa posta dalla fonte richiamata.
61
Poiché il rinvio ad una legge straniera potrebbe incrociare una norma che a sua volta rinvia ad altro or-
dinamento (e così all’infinito) o addirittura allo stesso ordinamento italiano (come un gioco di ping-pong), la
L. 218/1995 limita l’efficacia del rinvio dell’ordinamento straniero, stabilendo che si tiene conto del rinvio
operato dal diritto straniero alla legge di un altro Stato solo se il diritto di tale Stato accetta il rinvio o se si
tratta di rinvio alla legge italiana (art. 131). Il rinvio dell’ordinamento straniero ad altro ordinamento è escluso
se l’applicazione della legge straniera è avvenuta sulla base della scelta effettuata in tal senso dalle parti inte-
ressate e in altre specifiche ipotesi (art. 132).
62
Le norme di applicazione necessaria sono spazialmente condizionate e funzionalmente autolimitate –
perciò destinate ad applicarsi, nonostante il richiamo alla legge straniera – quali, tra le altre, le leggi fiscali,
valutarie, giuslavoristiche, ambientali (Cass., sez. un., 5-7-2011, n. 14650). Sono norme della lex fori, operanti
come limite all’applicazione del diritto straniero eventualmente richiamato da una norma di conflitto (Cass.,
sez. un., 20-2-2007, n. 3841).
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 81

po, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera: ad es., lo stra-
niero che vuole contrarre matrimonio nello Stato è soggetto alle disposizioni contenute
negli artt. 85, 86, 87, n. 1, 2 e 4, 88 e 89 (art. 1162 c.c.); sono di applicazione necessaria le
norme del diritto italiano che sanciscono l’unicità dello stato di figlio (art. 334 L.
218/1995). È un meccanismo paralizzante del funzionamento dei criteri di collegamento
(controllo preventivo).
Inoltre, quand’anche la legge straniera risulti formalmente applicabile, non è applica-
ta se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico (art. 16 L. 218/1995) (controllo
successivo). L’ordine pubblico, quale limite all’applicabilità della legge straniera in Italia,
è il c.d. ordine pubblico internazionale, che si identifica nelle norme di tutela dei diritti
fondamentali 63; il divario con l’ordine pubblico interno, quale insieme delle norme inde-
rogabili dell’ordinamento, tende a ridursi per la funzione assorbente assunta dai diritti e
valori fondamentali in entrambe le direzioni (II, 7.9).

13. Interpretazione delle norme giuridiche (criteri e valori). – Ogni fenomeno


dell’esperienza si presta ad essere analizzato e valutato. Uno spartito musicale, un dipin-
to, un libro, una pellicola cinematografica destano nell’osservatore sensazioni e stimoli
per il messaggio che dagli stessi promana; ed ognuno avverte e dunque interpreta tali fe-
nomeni in ragione della propria sensibilità, della propria formazione culturale, della
propria professione politica o fede religiosa, e così via. Le percezioni, sia sensibili che
intellettive, sono trasposte nella coscienza personale che le connota: da un oggettivo dato
fenomenico derivano suggestioni diverse e colti significati differenti a seconda di ciò che
si sceglie di valorizzare del fenomeno (il mero accadimento, la persona degli autori o del-
le vittime, la natura degli interessi coinvolti) e del tipo di rilevanza che si intende attri-
buire ai contesti nei quali i fatti si svolgono.
Non diversamente avviene rispetto alla norma giuridica: anche questa si compone di
un dato fenomenico, rappresentato dal testo e cioè dalla formula, e di un messaggio de-
rivante da tale formula, che costituisce propriamente il precetto (la regola vincolante per i
destinatari). Anche la norma giuridica ha bisogno di essere interpretata e richiede un’at-
tività intellettiva di determinazione del relativo significato. C’è però un divario di desti-
nazione dell’interpretazione: il fine della interpretazione artistica si esaurisce nella intimi-
tà dell’interprete, mentre il fine della interpretazione giuridica si proietta nella realtà
esteriore, imponendosi come regola di comportamento (si è visto innanzi che caratteri

63
È indirizzo consolidato della giurisprudenza considerare, come ordine pubblico interno, le norme impe-
rative dell’ordinamento civile, e come ordine pubblico internazionale i principi fondamentali e caratterizzanti
l’atteggiamento etico-giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico (Cass. 22-8-2013, n. 19405;
Cass. 6-12-2002, n. 17349). Il problema è particolarmente avvertito con riguardo al riconoscimento delle sen-
tenze straniere, che incontra, appunto, il limite dell’ordine pubblico (art. 64, lett. g), comunemente considera-
to quale ordine pubblico internazionale. Si è ad es. stabilito che il giudice italiano, chiamato a valutare la
compatibilità con l’ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero, i cui effetti si chiede di riconoscere in
Italia, a norma degli artt. 16, 64 e 65 della L. 31.5.1995, n. 218 e dell’art. 18 del D.P.R. 3.11.2000, n. 396, de-
ve verificare non già se l’atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto ad
una o più norme interne, seppure imperative o inderogabili, ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei
diritti fondamentali dell’uomo, desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cass.
30-9-2016, n. 19599).
82 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

comuni alle norme giuridiche sono appunto la esteriorità e la plurilateralità: par. 2). Ciò
implica una connotazione relazionale del risultato dell’interpretazione, funzionale all’ap-
plicazione del diritto. L’ordinamento giuridico esprime una complessiva visione e rego-
lazione della realtà in un determinato periodo storico, attraverso un ponderato bilancia-
mento tra normative di settore e principi generali e tra gli stessi principi operanti (I, 1.4);
per cui l’interpretazione delle norme deve svolgersi attraverso conoscenza giuridica e
oculata prudenza (secondo l’etimologia della parola) 64.
Si è già detto della funzione del metodo (I, 1.6). L’interpretazione come l’applica-
zione del diritto devono svolgersi con metodo funzionale finalizzato alla regolazione della
realtà materiale. Bisogna quindi procedere sia alla intelligenza della complessità del fatto
(accadimenti, contesti e interessi coinvolti), che alla valutazione del diritto applicabile,
individuando le regole del fatto concreto secondo l’ordinamento attuale (si suole intin-
gere nella “assiologia” con l’intento di richiamare la prospettiva filosofica della ‘dottrina
dei valori’, per alludere a una scala di valori da tenere presente nella regolazione del fatto
concreto).
L’applicazione del diritto deve svolgersi secondo un metodo di apprezzamento fun-
zionale, comprensivo sia della intelligenza del fatto (accadimenti, contesti e interessi
coinvolti), che della valutazione delle norme, al fine di selezionare le regole applicabili al
fatto secondo l’ordinamento attuale. Consegue che l’attività interpretativa delle norme è
bipolare, rivolta alla individuazione di una regola dell’ordinamento attraverso l’analisi dei
valori coinvolti dal fatto, riconosciuti dall’ordinamento (si suole parlare di “assiologia”
con l’intento di richiamare la prospettiva filosofica della ‘dottrina dei valori’, per allude-
re a un giudizio di valore e a una scala di valori).
L’unica interpretazione vincolante è l’interpretazione autentica, che è l’interpre-
tazione proveniente dallo stesso organo che ha emanato la norma: tale interpretazione ha
la funzione di chiarire i dubbi sollevati dalla relativa applicazione attraverso l’indicazione
precettiva del significato da attribuire alla norma in modo retroattivo (c.d. norme inter-
pretative) 65; peraltro anche le norme interpretative sono, a loro volta, soggette a interpre-
tazione.
L’art. 12 disp. prel. c.c. indica un catalogo di criteri di “interpretazione della legge”,
perché l’interpretazione, da chiunque provenga, possa tendenzialmente pervenire ad un
risultato omogeneo, sebbene con le ineliminabili varianti della personalità di ogni inter-
prete. Si è visto però che, successivamente alla emanazione del cod. civ., sono intervenuti

64
Ad es., si è fatto rientrare lo jus eligendi sepulchrum nella categoria dei diritti della personalità e, come
tale, non oggetto di trasferimento mortis causa ma esercitabile dal congiunto; eseguita la scelta indicata dal
congiunto, il giudice, accertato che il luogo di sepoltura era stato originariamente determinato dal titolare del
relativo diritto, deve valutare con oculata prudenza le giustificazioni addotte per pretendere di operare un
trasferimento che comporta esumazione e ritumulazione del cadavere, posto che è avvertita dalla sensibilità
degli uomini l’esigenza che le salme dei defunti non vengano, senza adeguate e gravi ragioni, trasferite da un
luogo ad un altro (Cass. 14-11-2019, n. 29548).
65
La natura interpretativa di una disposizione normativa, comportando una deroga al principio della irre-
troattività della legge, nel senso di determinare l’applicazione della nuova disposizione anche al passato, prin-
cipio senz’altro valido anche nel diritto comunitario, deve risultare chiaramente dal suo contenuto, il quale
deve non solo enunciare il significato da attribuire ad una norma precedente, ma anche la volontà del legisla-
tore di imporre questa interpretazione, escludendone ogni altra (Cass. 21-12-2012, n. 23827; Cass., sez. un.,
29-4-2009, n. 9941). Conf. Cass. 19-1-2017, n. 1336.
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 83

l’introduzione della Carta costituzionale e la formazione del diritto europeo, oltre che
diffondersi convenzioni internazionali ratificate e rese esecutive, che hanno ridisegnato
la gerarchia delle fonti (par. 4). Pertanto anche le regole dell’art. 12 disp. prel. vanno in-
tegrate nella tavola dei principi generali dell’ordinamento e applicate combinate con
questi. In tale direzione le norme del codice civile e in generale tutte le norme sono sot-
toposte a una rilettura alla luce dei valori espressi dalla Carta costituzionale e dal diritto
europeo, che non solo sono sopraggiunti al codice, ma l’hanno sopravanzato nella gerar-
chia delle fonti. C’è la necessità di una interpretazione conforme ai valori della Costitu-
zione, prima di investire la Corte costituzionale della questione di legittimità costituzio-
nale della singola norma: è ormai comune nelle decisioni dei giudici una “lettura costitu-
zionalmente orientata” delle norme giuridiche 66. La pregnanza del diritto europeo solle-
cita poi una uniformità interpretativa delle regole di provenienza europea nei singoli
paesi: nel dubbio, deve prevalere l’interpretazione conforme ai principi di diritto euro-
peo. Nell’attualità i canoni ermeneutici dell’art. 12 disp. prel. si atteggiano come criteri
tecnici del percorso interpretativo che involgono (non solo la legge ma) la complessità
dell’ordinamento, per dovere ogni precetto risultare coerente al sistema, dal quale, nel
suo insieme, deriva la regola applicabile.
Per l’art. 121, nell’applicare la legge, non si può ad essa attribuire altro senso che
quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e
dalla intenzione del legislatore. Emergono dunque un criterio letterale e un criterio logi-
co; a tali criteri è sempre immanente un criterio teleologico che tenga conto della finalità
dell’interpretazione. In ogni caso bisogna svolgere una interpretazione evolutiva perché
la regola da applicare risulti conforme all’ordinamento attuale. I vari criteri indicati dal-
l’art. 12 disp. prel. concorrono alla determinazione della regola applicabile, intingendo
comunque in una interpretazione valutativa, che attraversa l’intera esperienza giuridica,
dei fatti sociali come degli atti normativi.
a) L’interpretazione letterale è rivolta all’analisi delle parole, non solo nel loro signifi-
cato lessicale, ma anche nel contesto in cui le stesse sono inserite secondo una connessio-
ne sintattica della proposizione normativa.
b) L’interpretazione logica tende a penetrare e cogliere “l’intenzione del legislato-
re”. È preliminarmente da rilevare che l’impiego del termine “legislatore” si lega ad una
visione antropomorfica risalente ad epoche in cui il potere normativo si esauriva in
una persona fisica (il sovrano), dal quale tutto il diritto derivava: nei paesi di democra-
zia occidentale l’espressione, pure perpetuata nella nomenclatura, ha perduto il suo
originario referente, per alludere oggi all’autorità dalla quale il diritto promana (più
spesso il parlamento). Nella determinazione della “intenzione del legislatore” è essen-
ziale la ricerca del fondamento della norma e dello scopo perseguito dal legislatore e
cioè l’interesse soddisfatto con la emanazione della norma: la c.d. ragione giustificativa
(ratio legis).
Tali finalità sono conseguibili attraverso più percorsi. Anzitutto bisogna procedere
ad una ricostruzione storica degli eventi che diedero luogo alla formazione della nor-

66
In ordine all’impossibilità di pervenire ad un’interpretazione adeguatrice, è sufficiente che il rimettente
abbia plausibilmente escluso tale possibilità, anche solo perché improbabile o difficile, perché la questione
debba essere scrutinata nel merito (Corte cost. 5-5-2021, n. 89).
84 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

ma (la c.d. occasio legis). Un ruolo essenziale in tale direzione assumono i lavori prepa-
ratori e specie le relazioni che di regola accompagnano la emanazione degli atti norma-
tivi: ciò fa comprendere le istanze che ne reclamarono l’introduzione, come le motiva-
zioni socio-economiche che ne sorressero l’elaborazione (interpretazione teleologica).
Inoltre, un ruolo importante svolge la cornice ordinamentale in cui la specifica norma
si collocava e dalla quale riceveva alimento: le norme vanno interpretate le une per
mezzo delle altre, sicché il significato della singola disposizione è completato e chiarito
dalle altre disposizioni (interpretazione sistematica). Ad es., per l’art. 1470, la vendita ha
ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di altro diritto
verso il corrispettivo di un prezzo: ma il significato del termine proprietà si ricava dagli
artt. 832 ss. e dall’art. 42 Cost. In sostanza l’interpretazione logica è ad un tempo te-
leologica e sistematica.
Si è a lungo discusso, e tuttora è oggetto di dibattito, se debba aprirsi ai criteri er-
meneutici logici in presenza di chiarezza e univocità della lettera della legge. La giuri-
sprudenza, specie di legittimità, è tradizionalmente attestata su posizioni negative, se-
condo l’antico aforisma in claris non fit interpretatio in funzione della certezza del di-
ritto 67; anche se emerge una valorizzazione del significato logico 68. A ritenere che l’in-
terpretazione logica debba operare pure in presenza di chiarezza della lettera vale già il
dato testuale dell’art. 12, che congiunge con una “e” il criterio letterale e quello logico
nell’attività di rendere palese il significato della legge. Anche l’invocata esigenza di cer-
tezza del diritto, che meglio sarebbe soddisfatta dalla riduzione del criterio logico a crite-
rio sussidiario di interpretazione, non può sacrificare l’altro fondamentale valore della
effettività del diritto: isolare la formula della proposizione normativa dalla ratio della sua
introduzione e dal contesto dell’ordinamento significa recidere il radicamento sociale
dell’ordinamento unitariamente inteso.
c) La interpretazione evolutiva, anche se non prevista dall’art. 12 disp. prel., è essen-
ziale criterio per attualizzare la norma nel contesto in cui è destinata ad operare. Anzitut-
to la norma da interpretare va integrata nell’ordinamento in cui si è formata, per ricerca-
re la valutazione originaria del legislatore che la volle (c.d. legislatore storico); quindi va

67
Il primato dell’interpretazione testuale è un principio pacifico, che esprime l’assiomatica verità per cui
l’ordinamento giuridico è costruito attraverso proposizioni formali, i cui enunciati son espressi in formulazio-
ni linguistiche, con lo scopo di rendere chiaro e intellegibile il significato delle regole poste; la certezza del
diritto è garantita innanzitutto dalla precisione del linguaggio e dalla univocità della relazione tra il significan-
te ed il significato; gli altri canoni ermeneutici vengono in rilievo solo se l’interpretazione testuale è ambigua
(Cons. Stato 5-5-2021, n. 3524. Conf. Cons. Stato 25-5-2020, n. 3298; Cons. Stato 30-6-2017, n. 3233; Cass.
14-10-2016, n. 20808).
68
In sede di interpretazione della legge, si deve preferire quella che attribuisce un senso alla frase, piutto-
sto che quella che la rende priva di senso e di effetti pratici; si deve inoltre preferire l’interpretazione più cor-
rispondente alla ratio legis ed alla presumibile volontà del legislatore (ricostruibile anche mediante il riferi-
mento al contesto politico-programmatico, alla evoluzione storica della legislazione, ecc.), e più coerente con
il sistema (Cons. Stato 14-2-2014, n. 730). Tra le varie interpretazioni in astratto possibili debbono scegliersi
quelle che non si pongono in contrasto con la Costituzione, e va privilegiata quella ad essa più conforme
(Cass. 22-10-2002, n. 14900). Il criterio logico può assumere rilievo prevalente nell’ipotesi in cui l’effetto giu-
ridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essen-
do, invece, consentito all’interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che
la compongono nell’ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica della
norma stessa (Cass. 4-10-2018, n. 24165).
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 85

reintegrata nell’ordinamento nel quale opera al momento della interpretazione, per deli-
neare la valutazione dell’ordinamento rinnovato (c.d. legislatore attuale). L’interpreta-
zione evolutiva si atteggia come interpretazione valutativa dovendosi ricercare nella nor-
ma un significato coerente con l’evoluzione del sistema, con i principi e i valori che lo
ispirano: è possibile ricavare, in epoche diverse, dal medesimo testo precetti differenti
coerenti con il mutare dell’ordinamento nel suo complesso 69. Si delinea quindi una in-
terpretazione assiologica, in relazione ai valori storicamente operanti dell’ordinamento.
La reintegrazione dell’art. 12 disp. prel. nel sistema di pluralità delle fonti non può
sconfinare nella creazione del diritto, dovendo operare secondo un criterio di elasticità
del testo della norma secondo i principi e valori generali dell’ordinamento 70. Oltre il te-
sto scritto, a parte la fonte normativa degli usi, si svolgono la tradizione di un popolo e lo
sviluppo della coscienza civile che un testo scritto non può prevedere: l’interpretazione
segna il costante adeguamento della legge scritta alla complessiva esperienza giuridica
che si rinnova 71.
In sostanza emerge la necessità di una interpretazione che può sinteticamente indi-
carsi come evolutiva-valutativa. Le fattispecie concrete vanno collocate nel contesto
delle circostanze e dei rapporti socio-economici in cui emergono: l’interprete è chiamato
a cogliere la trama materiale della singola vicenda, e poi a ricercare la regola ordinamen-
tale adeguata al fatto della vita secondo criteri di proporzionalità (come proporzione del
sacrificio al risultato realizzato, ovvero della sanzione alla gravità dell’azione) e di ragio-
nevolezza (quale logicità e coerenza della scelta operata) (II, 7.7).

14. Risultati dell’interpretazione. L’analogia. – Lo svolgimento del procedimento


interpretativo, attraverso l’impiego dei criteri delineati, conduce a determinare la portata
della regola applicabile, talvolta attinta ad una sola norma, talaltra come esito del colle-
gamento di più norme.
a) I risultati della interpretazione sono altrettanti esiti dell’attività ermeneutica, se-
condo la dialettica tra canone letterale e canone logico nelle varianti indicate.
Il modello più elementare è quello della interpretazione dichiarativa: la portata
della regola coincide con il significato fatto palese dal testo normativo.
Più spesso accade che si determini un distacco: si ha interpretazione estensiva
quando il significato ricostruito della regola è più ampio di quello ricavabile dal testo
della norma; all’opposto, si ha interpretazione restrittiva quando il significato rica-
vato è più limitato rispetto a quello derivante dal testo.

69
Secondo la suggestiva immagine di P. CALAMANDREI, gli articoli di legge, una volta usciti dalla mente
del legislatore, sono come i figli mandati per il mondo in cerca di fortuna: messi a lottare con le difficoltà del-
la pratica, talvolta tradiscono le speranze dei genitori e talaltra le sorpassano.
70
Un ormai consolidato indirizzo delle sezioni unite ha chiarito che la linea di confine oltre la quale l’at-
tività interpretativa trasmoda in attività creativa, con invasione della sfera di attribuzioni del legislatore, è data
dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale, nell’ambito del quale la norma di volta in volta
adegua il suo contenuto, in guisa da conformare il predisposto meccanismo di protezione alle nuove con-
notazioni, valenze e dimensioni che l’interesse tutelato nel tempo assume nella coscienza sociale, anche nel
bilanciamento con contigui valori di rango superiore, a livello costituzionale o sovranazionale (Cass., sez. un.,
20-12-2016, n. 26271; già Cass., sez. un., 15144/2011 e 27341/2014).
71
P. CALAMANDREI considerava “l’interpretazione evolutiva, l’analogia, i principi generali, finestre aperte sul
mondo, dalle quali, se il giudice sa affacciarsi a tempo, può entrare l’aria ossigenata della società che si rinnova”.
86 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

Quando un caso non sia riconducibile ad una specifica norma giuridica, pure inter-
pretata estensivamente, il giudice è stretto tra due opposti principi: non può creare una
nuova norma, perché ciò spetta al legislatore; ma neppure può negare giustizia, per il
principio di completezza dell’ordinamento (I, 1.4). È il fenomeno delle c.d. lacune del-
l’ordinamento, in relazione alle quali si prospetta la necessità di porre rimedio mediante
l’analogia.
b) L’analogia è un criterio supplementare di applicazione del diritto. Per l’art. 12, co.
2, “se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguar-
do a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora
dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”
(c.d. procedimento analogico).
Quando dunque il caso concreto non è previsto dal legislatore, bisogna anzitutto ri-
correre alla disciplina di “casi simili o di materie analoghe” (analogia legis). È questa
la vera e propria analogia, appunto perché la regola del caso concreto è (pur sempre)
mutuata da uno specifico testo normativo 72. Presupposto essenziale per il ricorso alla
analogia legis è che il caso non regolato sia riconducibile alla ratio (e cioè alla ragione
giustificatrice) di una specifica norma che regola una diversa fattispecie; il caso concreto,
ancorché non previsto e regolato, sollecita un conflitto di interessi analogo a quello risol-
to da una disposizione di legge per una fattispecie diversa: il giudice può attingere a tale
disposizione i criteri per risolvere il caso nuovo; da ciò consegue un analogo trattamento
anche del caso non previsto dalla norma (principio di coerenza dell’ordinamento). In tal
senso la interpretazione analogica si distingue dalla interpretazione estensiva: la “inter-
pretazione analogica” tende a regolare un caso non previsto dalla legge attraverso un
trattamento ispirato a norme che regolano casi o materie simili; la “interpretazione esten-
siva” tende a ricavare da una norma un significato più ampio di quello testualmente
espresso, sì da applicare il relativo precetto anche a casi ulteriori (ma la distinzione, in
concreto, non sempre è agevole) 73.
Quando la verifica sopra indicata non sortisce alcun effetto, perché mancano nell’or-
dinamento disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (con identità di ra-
tio), bisognerà ricorrere all’applicazione dei “principi generali dell’ordinamento giuridico
dello Stato” (c.d. analogia iuris). Trattasi di una norma di chiusura del sistema: la rego-
la del caso concreto non è ricavabile dalla ratio di alcuna specifica disciplina, ma attinge
ai principi generali immanenti nel sistema, quale complesso di valori che informano l’in-
tero ordinamento 74. È bene chiarire: ogni norma deve essere valutata ed applicata in

72
Il ricorso all’analogia è consentito dall’art. 12 prel. solo quando manchi nell’ordinamento una specifica
disposizione regolante la fattispecie concreta e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto norma-
tivo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria (Cass. 5-5-2015, n. 8946).
73
Ad es., l’art. 844 c.c., che riconosce al proprietario il diritto di far cessare le propagazioni derivanti dal
fondo del vicino che superino la normale tollerabilità, deve essere interpretato estensivamente, nel senso di legit-
timare all’azione anche altri titolari di diritti reali (il superficiario, l’enfiteuta, il titolare di usufrutto, di uso o di
abitazione) e, inoltre, è applicabile per analogia a chi sia titolare di un diritto personale di godimento sul fondo
(come il conduttore ovvero il promissario di vendita immobiliare che abbia ricevuto la consegna del bene in anti-
cipo rispetto alla conclusione del contratto definitivo) (Cass. 11-11-1992, n. 12133).
74
Il riferimento all’ordinamento giuridico dello Stato risente dell’enfasi politica dell’epoca della codifi-
cazione. Il legislatore del 1865, più realisticamente, aveva avuto riguardo ai “principi generali del diritto”
(art. 3 prel.). Oggi che la statualità del diritto è erosa dalle tante fonti non statali (basti pensare al diritto di
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 87

coerenza con i valori espressi dalla Carta costituzionale e dal diritto europeo, come prin-
cipi generali immanenti e sovraordinati dell’ordinamento giuridico, secondo quel criterio
evolutivo-valutativo sopra delineato; nell’analogia juris vi è di peculiare che il caso concre-
to rimane regolato direttamente e soltanto dai principi generali 75.
Le leggi eccezionali e le leggi penali non sono applicabili “oltre i casi e i tempi in esse
considerati” (art. 14 disp. prel.). L’esclusione delle leggi eccezionali si giustifica per la
deroga alle regole generali: ad es., le norme agevolative fiscali rispetto ai regimi generali
di imposizione tributaria. L’esclusione delle leggi penali si giustifica per la limitazione
che possono comportare alla libertà personale, essendo consentita la restrizione della li-
bertà personale solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi pre-
visti dalla legge (art. 132 Cost.). Consegue che, di tali norme, è consentita l’interpretazio-
ne estensiva ma non quella analogica 76. Anche per tali norme si delinea il problema della
coerenza al sistema 77.

15. L’equità. – Nel nostro sistema giuridico l’equità non è fonte del diritto, e del resto
non è annoverata tra le fonti previste dall’art. 1 disp. prel.: non esprime perciò la prede-
terminazione di regole per il futuro. Essa è invece un criterio di giudizio di cui si av-
vale il giudice per risolvere una controversia insorta, quando, per la peculiarità del caso
concreto ovvero per la particolarità delle circostanze che lo accompagnano, la rigida ap-
plicazione delle regole giuridiche condurrebbe a risultati avvertiti come ingiusti (il crite-
rio è tradizionalmente indicato come una giustizia del caso concreto); però il giudice non
può decidere in contrasto con le norme, può solo far funzionare le stesse alla luce dei
principi generali e in aderenza al caso concreto 78. Il ricorso all’equità non può contrasta-

derivazione europea) la formula di rinvio all’ordinamento giuridico dello Stato si rivela maggiormente in-
congrua.
75
Varie fattispecie, emerse nella società in virtù di nuovi valori affermatisi o a seguito di scoperte tecni-
che compiute e primieramente regolate con criterio analogico, hanno col tempo costituito oggetto di apposi-
ta disciplina (si pensi alla esperienza dei trasporti aerei, dapprima regolati con applicazione analogica della
normativa sui trasporti marittimi e poi oggetto di autonoma disciplina nel codice della navigazione e in mol-
te Convenzioni internazionali e leggi successive).
76
L’interpretazione estensiva di disposizioni “eccezionali” o “derogatorie”, se pure in astratto non preclu-
sa, deve ritenersi circoscritta alle ipotesi in cui il plus di significato che si intenda attribuire alla norma inter-
pretata non riduca la portata della norma costituente la regola con l’introduzione di nuove eccezioni, bensì si
limiti ad individuare nel contenuto implicito della norma eccezionale o derogatoria altra fattispecie avente
identità di ratio con quella espressamente contemplata (Cass. 1-9-1999, n. 9205).
77
L’eccezionalità che preclude l’estensione analogica ex art. 14 prel. va, per comune intendimento, ac-
quisita come predicato di una norma che non sia riconducibile ai principi generali o fondamentali dell’or-
dinamento giuridico, ma che anzi faccia eccezione a detti principi o sia in contrasto con ess (Cons. Stato,
sez. V, 2-8-2021, n. 5641).
78
La rilevanza della equità era già avvertita da ARISTOTELE, il quale poneva il problema dell’applicazione
della legge al caso concreto che la norma non può prevedere nella sua singolarità. Era proposto un criterio di
“convenienza” e di “adattamento” come correttivo all’astrattezza della norma, così da realizzare il giusto
(chiamato equità) che va oltre la legge scritta; era anche avvertito il problema di equilibrio dell’intervento, in
quanto la generalità è un ostacolo alla giustizia, rendendo necessario il correttivo dell’adattamento, ma è an-
che una garanzia della uguaglianza, potendo l’intervento di adattamento aprire la strada all’arbitrio e all’in-
giustizia. L’equità è stata vista con disfavore dallo Stato moderno che ha ricondotto il diritto alla legge scritta:
la crisi del diritto statuale, con l’ampliamento delle fonti del diritto, ha fatto riemergere il dibattito intorno
alla rilevanza dell’equità.
88 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

re il fondamentale principio di legalità (di rilevanza costituzionale) su cui si fonda sia la


soggezione del giudice alla legge (art. 1012 Cost.), sia la garanzia di tutela giurisdizionale
dei diritti (art. 241 Cost.) 79.
L’equità trova espressa previsione nel codice di procedura civile quale regola di giudi-
zio (artt. 113 e 114 c.p.c.). Il giudice può pronunziare secondo equità o perché la legge
espressamente gli accorda il potere in tal senso (art. 113 c.p.c.) 80 o perché c’è concorde
richiesta delle parti, quando si tratta di diritti disponibili (art. 114 c.p.c.).
Esistono ipotesi nelle quali la legge consente il ricorso a criteri equitativi anche solo
per la definizione di singoli profili della decisione, come ad es. per la determinazione del
danno o di una indennità (es. artt. 1226, 1450, 20472, 2056) 81. Una significativa applica-
zione dell’equità è in materia contrattuale, configurandosi la stessa quale fonte di inte-
grazione del contratto (artt. 1374, 1384, 1526) (VIII, 5.9) o criterio interpretativo resi-
duale di equo contemperamento degli interessi delle parti nei contratti a titolo oneroso
(art. 1371) (VIII, 5.3).
Il ricorso al criterio di equità tende oggi a interagire con l’applicazione del principio
di buona fede, specie nell’accezione di recente emersa nella giurisprudenza quale espres-
sione del dovere di solidarietà (II, 7.5).

16. Diritto vivente (nomofilachia e overruling). – Si è visto come uno dei principi
fondamentali dello stato di diritto è il principio di legalità: per l’art. 1012 Cost. “i giudici
sono soggetti soltanto alla legge”. La crescita delle fonti del diritto e la valorizzazione del
principio di effettività della giurisdizione (di cui appresso) pongono il complesso pro-
blema dell’adeguatezza della decisione alla realtà sociale in cui il caso è calato. Inoltre,
con l’affermazione dei diritti umani e del solidarismo quali portati del costituzionalismo
liberale e sociale si è affermata la rilevanza della persona umana nella concretezza delle
sue condizioni di vita e di relazioni sociali.
In tale contesto è accresciuta la funzione del diritto vivente quale diritto applicato.
Connotazione del diritto vivente è l’aderenza delle soluzioni giuridiche alle evoluzioni
ordinamentali e sociali, con la elaborazione di soluzioni giuridiche adeguate alla morfo-
logia del caso concreto e coerenti con l’attualità del sistema giuridico. Il diritto vivente

79
Il tradizionale dilemma, se l’equità costituisse un’alternativa al diritto positivo o se dovesse essere ad es-
so correlato, è risolto nel secondo senso dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione. Secondo Corte
cost. 6-7-2004, n. 206, la sola funzione che può essere attribuita alla giurisdizione di equità è quella di indivi-
duare l’eventuale regola di giudizio non scritta che, relativamente al caso concreto, consenta una soluzione
della controversia che risulti conforme alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta, “secondo i
principi cui si ispira la disciplina positiva”, i quali non potrebbero essere posti in discussione dal giudicante
attraverso una contrapposizione con le proprie categorie soggettive di equità e ragionevolezza. La sentenza
secondo equità è quindi impugnabile in Cassazione anche per violazione o falsa applicazione di norme di di-
ritto, ex art. 3601, n. 3, c.p.c.
80
Il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secon-
do equità (art. 1131 c.p.c.). Per l’art. 1132 c.p.c. il giudice di pace decide secondo equità alcune questioni; ma
la Corte cost., con sent. additiva n. 206/2004 cit., ha dichiarato la illegittimità della norma nella parte in cui
non prevede che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia.
81
Il problema si è posto, in particolare, con riferimento al potere accordato dall’art. 1226 al giudice di va-
lutare equitativamente il danno, quando questo non può essere provato nel suo preciso ammontare (come si
vedrà in tema di risarcimento danni: VII, 4.3). Anche l’assegno divorzile concordato dai coniugi in unica so-
luzione (una tantum), deve essere ritenuto equo dal tribunale (art. 54 l. div.) (V, 3.5).
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 89

trova la propria linfa, non solo nelle norme prodotte dalle fonti formali del diritto, ma
nella complessità della esperienza giuridica quale si realizza nella società, attingendo a tut-
te le componenti che, in vario modo, applicano il diritto nella quotidianità 82. Si è detto
della normatività del fatto (I, 1.6).
Fondamentale importanza assume l’interpretazione della giurisprudenza, che se-
gna la effettiva portata del diritto 83. La norma vive nella realtà giuridica nel significato
normativo che ad essa attribuisce la giurisprudenza che l’applica 84. La giurisprudenza,
pur non creando istituzionalmente diritto, concorre alla formazione del diritto in quanto
decide i casi sottoposti al suo vaglio alla stregua dell’ordinamento giuridico storicamente
operante, perciò anche secondo i valori sopravvenuti alla emanazione delle regole. Il giu-
dice, quando ricorre a principi generali, deve indicarne e motivarne l’esistenza e l’attua-
lità perché il risultato del giudizio sia coerente al sistema vivente e la motivazione con-
cretamente controllabile, in grado di evidenziare come il processo logico abbia generato
la sentenza. Quando ravvisa che una regola giuridica sia in contrasto con la Costituzione
solleva la questione di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di leg-
ge dello Stato e delle Regioni innanzi alla Corte costituzionale (art. 134 Cost.).
Una essenziale rilevanza assumono le sentenze della Corte costituzionale, per l’ade-
guamento compiuto delle norme ai principi costituzionali (di cui sopra).
Non esiste nel nostro sistema di civil law il valore vincolante del precedente, operante
nel common law (dove vige il principio dello stare decisis) (I, 1.7), svolgendo il preceden-
te una forza di persuasione. Esistono però pronunzie giurisprudenziali che, per l’autore-
volezza degli organi da cui promanano, assumono una funzione di orientamento nell’ap-
plicazione successiva delle regole giuridiche.
Fondamentali sono, anzitutto, le pronunzie della Corte di giustizia della Unione euro-
pea, per formulare il diritto europeo applicato, quando non è in contrasto con la Costi-
tuzione; grande rilevanza assumono anche le decisioni della Corte europea dei diritti
dell’uomo (per l’attività delle due Corti, v. III, 1.9).

82
In tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità
con l’ordine pubblico, richiesta dagli art. 64 ss. L. 218/1995, deve essere valutata alla stregua non solo dei
principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranaziona-
li, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nelle disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché
dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricom-
posizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozioni di
ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico
(Cass., sez. un., 8-5-2019, n. 12193).
83
Le sentenze sono rinvenibili nelle pubblicazioni specializzate (cartacee, banche dati su DVD o via in-
ternet). Talvolta sono riportate integralmente, più spesso sono indicate in modo sintetico, con le seguenti in-
dicazioni: estremi della sentenza (organo giudicante, data e numero); rubrica (gli argomenti della sentenza);
massima (il principio di diritto applicato).
84
Per la Suprema Corte, nel sistema costituzionale delle fonti, la disposizione è considerata parte di un te-
sto non ancora confortato dal lavorio interpretativo, mentre la norma, in un’accezione più ristretta di quel-
la comunemente adoperata, è un testo già sottoposto ad elaborazione interpretativa rilevante (il che si veri-
fica più agevolmente quando, per il tempo intercorso tra l’emanazione della legge e la sua applicazione,
siano intervenute pronunce dei giudici di legittimità o del giudice delle leggi); tali operazioni interpretative
determinano la formazione di un “diritto vivente” in continua evoluzione che risulta più o meno differen-
ziato dall’originario significato della disposizione scritta, introdotta in una certa epoca dal legislatore (Cass.,
sez. un., 2-8-1994, n. 7194).
90 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO

Forte autorevolezza hanno le decisioni delle Supreme Corti nazionali (Corte di cassa-
zione, Consiglio di Stato, Corte dei conti) e specialmente della Corte di cassazione per quel-
la funzione di nomofilachia 85 che alla stessa è assegnata dall’ordinamento giudiziario: per
l’art. 65 R.D. 30.1.1941, n. 12, la Corte suprema di cassazione, “quale organo supremo del-
la giustizia”, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del
diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti
di competenza e di attribuzione, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla leg-
ge” 86. La funzione nomofilattica svolge un ruolo di incisivo orientamento specie se la
sentenza è sorretta da un approfondito percorso logico e valoriale aderente alla evolu-
zione della società 87. Di recente è stata irrobustita la funzione nomofilattica accrescen-
dosi l’autorevolezza delle sezioni unite, per cui se la sezione semplice non condivide il
principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, è tenuta a rimettere a queste ultime la
decisione del ricorso con ordinanza motivata (art. 3743 c.p.c.) (III, 1.2): così le sentenze
delle sezioni unite hanno una funzione nomofilattica rinforzata rispetto a quella delle se-
zioni semplici 88. Nella formazione del diritto vivente rileva anche, con differente rilevan-
za, la giurisprudenza di merito (ordinaria, amministrativa, contabile, tributaria) come di
tutte le istituzioni che amministrano la giustizia (es. le Autorità indipendenti).
Con l’acquisita rilevanza della interpretazione giurisprudenziale sta emergendo l’esi-
genza di una stabilità del precedente specie quando proviene dalla Corte di cassazione,
per quella funzione nomofilattica delineata. La giurisprudenza delle sezioni unite ha fat-
to applicazione dell’overruling (I, 1.7), enucleando un principio di affidamento sulla per-
petuazione della interpretazione antecedente 89; è stata anche ammessa la regolazione
temporale degli effetti della sentenza 90. La Corte costituzionale ha applicato il principio

85
Il termine “nomofilachia” proviene dal greco ed è composto da nòmos (norma) e dal verbo fulàsso (pro-
teggere con lo sguardo).
86
Il principio è stato più volte ribadito dalla Suprema Corte: cfr. Cass., sez. un., 6-5-2000, n. 295.
87
Anche un giudice di grado inferiore può motivatamente discostarsi dalle pronunce della Cassazione: il giu-
dice di rinvio è tenuto ad uniformarsi al “principio di diritto” enunciato dalla Cassazione (art. 384 c.p.c.).
88
Oltre che nei casi specifici, il primo Presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite quando
c’è contrasto tra le sezioni semplici su una questione di diritto o quando i ricorsi presentino una questione di
particolare importanza (art. 3742 c.p.c.). Cfr. Cass., sez. un., 21-3-2017, n. 7155.
89
La innovativa interpretazione, imprevedibile e repentina rispetto al consolidato orientamento, costitui-
sce un “overruling” processuale che non può recare pregiudizio alle parti che abbiano fatto affidamento sul-
l’assetto interpretativo precedente (Cass., sez. un., 8-11-2018, n. 28575; Cass. 16-11-2018, n. 29506). Si è pre-
cisato: il rimedio dell’overruling è riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi del giudice di
legittimità, eventualmente a sezioni unite, se connotati dai “caratteri della costanza e ripetizione”, mentre non
può essere invocato sulla base di alcune pronunce della giurisprudenza di merito, le quali non sono idonee ad
integrare un “diritto vivente”; è invocabile dalla parte che abbia tenuto una condotta processuale ossequiosa
delle forme e dei termini previsti dalla legge processuale, come interpretata dall’indirizzo interpretativo del
giudice di legittimità dominante al momento del compimento dell’atto, al fine di evitare le conseguenze pro-
cessuali negative (decadenze, inammissibilità, improponibilità) cui sarebbe esposta se dovesse soggiacere al
sopravvenuto e imprevedibile indirizzo interpretativo di legittimità (Cass., sez. un., 12-2-2019, n. 4135).
90
In materia tributaria va dichiarata la cessazione degli effetti delle norme dichiarate illegittime dal giorno
della pubblicazione della decisione nella Gazz. Uff., al fine di bilanciare i valori costituzionali coinvolti, ossia i
principi di uguaglianza e di solidarietà, il vincolo dell’equilibrio di bilancio ed il rispetto degli obblighi comu-
nitari e internazionali connessi (Corte cost. 11-2-2015, n. 10). V. anche Cass., sez. un., 21-5-2015, n. 10453;
Cons. Stato, ad. plen., 22-12-2017, n. 13.
CAP. 3 – FONTI E APPLICAZIONE DEL DIRITTO 91

dell’overruling anche rispetto all’efficacia di interpretazioni antecedenti a successive leggi


di interpretazione autentica 91.
Funzione peculiare ha l’apporto della dottrina, cioè degli studiosi del diritto, segna-
tamente del mondo universitario. È un’opera di interpretazione e di stimolo alla elabora-
zione di percorsi di assestamento e di rinnovamento dell’ordinamento giuridico. Con au-
torevolezza “morale” orienta la interpretazione giurisprudenziale e le soluzioni concrete,
delineando formanti di sviluppo e applicazione del diritto.
Un apporto significativo proviene anche dalle professioni. Una significativa rilevan-
za assumono la giustizia arbitrale e i pareri pro veritate resi da esimi giuristi. Nell’opera di
adeguamento della norma alle esigenze della realtà materiale un ruolo particolare svol-
gono il notariato e l’avvocatura, quali figure di frontiera chiamate, nella immediatezza,
ad elaborare soluzioni alle domande emergenti nella realtà sociale.
Il notariato è una fondamentale fonte di fiducia dei cittadini nella veridicità delle in-
formazioni acquisite (il logo del Consiglio nazionale del notariato è: fidei et veritatis an-
chora). Il notariato ha una natura duale, per svolgere una funzione pubblica sorretta da
una professione privata. Il notaio è anche presidio di legalità, nel senso di corrisponden-
za all’ordinamento delle operazioni compiute, assicurando certezza dei risultati persegui-
ti e quindi stabilità al sistema.
L’avvocatura è tradizionale ed essenziale trincea di difesa dei diritti dei cittadini. La
democraticità di un ordinamento si rivela anche dalla rilevanza accordata alla funzione
dell’avvocatura. Il bene giuridico della difesa ha una rilevanza costituzionale: per l’art. 24
Cost. la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del giudizio; è anche un diritto
sociale pretensivo, per cui sono assicurati ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi
davanti ad ogni giurisdizione: il diritto alla difesa si atteggia con analoga rilevanza di altri
diritti pretensivi, quali il diritto alla salute (art. 32 Cost.) e il diritto all’istruzione (art. 34
Cost.).
Rilevante è pure la c.d. prassi amministrativa della pubblica amministrazione,
che opera come fatto orientativo della interpretazione del diritto 92. Il fenomeno è ben
visibile nel settore tributario dove circolari, interpelli e prassi dell’amministrazione fi-
nanziaria orientano la interpretazione delle norme tributarie.
Tra le varie componenti dell’opera interpretativa si svolge una costante sinergia di
decisioni, studi, opinioni, azioni che coinvolgono un’ampia “comunità interpretante” che
matura la cultura giuridica della società. L’apertura ai “valori”, quali collanti del sistema,
orienta l’interpretazione dell’ordinamento, delineando “giudizi di valore” circa i fatti
della vita concreta. In tal guisa l’ermeneutica giuridica, forgiando l’applicazione del dirit-
to, involge sempre maggiormente la formazione del diritto vivente che si delinea come
diritto vigente.

91
Con riguardo ad una questione previdenziale relativa ad avvocati, i giudici delle leggi hanno considera-
to scusabile l’affidamento su un’opposta interpretazione in precedenza maturata in giurisprudenza, superata
dalla legge d’interpretazione autentica (Corte cost. 22-4-2022, n. 104).
92
La prassi amministrativa – di cui sono espressione gli atti regolamentari, le circolari, le risoluzioni o i
singoli provvedimenti della P.A. – non è suscettibile di produrre alcun diritto vivente vincolante per il giudice
nell’interpretazione di disposizioni di legge, ma può contribuire, come dato fattuale concorrente con i dati
linguistici del testo, ad orientarne l’esegesi nei limiti consentiti dal dettato normativo e dalle indicazioni della
giurisprudenza (Cass. 24-11-2015, n. 23960).
92 PARTE I – ORDINAMENTO GIURIDICO
PARTE II
CATEGORIE GENERALI

CAPITOLO 1
SOGGETTO E PERSONA

Sommario: 1. Soggettività e personalità. – 2. Tipologia. – 3. Soggetto e status.

1. Soggettività e personalità. – Il codice civile non offre – e neppure impiega – la


nozione di soggetto giuridico (o di diritto), dandola evidentemente per scontata.
Nei primi due titoli del libro I, in effetti, i destinatari delle regole di cui si sostanzia
l’ordinamento giuridico sono senz’altro identificati nelle persone fisiche (titolo I) e
nelle persone giuridiche (titolo II): è così che anche il nostro ordinamento giuridico,
come ogni altro, assolve alla essenziale funzione di individuare i propri soggetti, i titola-
ri, cioè, degli interessi presi in considerazione e disciplinati mediante le regole (norme)
finalizzate, appunto, alla risoluzione dei relativi conflitti. Tenendo presente che la com-
posizione degli interessi di volta in volta coinvolti nelle relazioni regolate dall’ordina-
mento giuridico (rapporti giuridici) avviene attraverso l’attribuzione di situazioni giuridi-
che soggettive attive (favorevoli come i diritti) e passive (sfavorevoli come gli obblighi) (II,
3.1), con la formula di soggetto giuridico (o di diritto) si intende alludere, allora,
alla qualità di possibile punto di riferimento di rapporti giuridici e, quindi, di possibile
titolare di situazioni giuridiche soggettive.
Una simile qualità, secondo la corrente elaborazione concettuale, risulta, insomma,
frutto delle scelte dell’ordinamento, al quale compete l’individuazione dei centri di impu-
tazione di situazioni giuridiche soggettive. In tale prospettiva, quella di soggetto giuridico
è una nozione di carattere eminentemente formale, in quanto esclusivamente collegata
alla potenziale titolarità di situazioni giuridiche soggettive, con il riconoscimento, da par-
te dell’ordinamento, di quella attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche soggetti-
ve che viene definita capacità giuridica (IV, 1.1).
L’ordinamento, ovviamente, non può prescindere dalla realtà che vede l’uomo come
naturale protagonista della vita associata. Con la elaborazione dell’accennato concetto di
soggetto giuridico, però, soprattutto in vista delle esigenze di una organizzazione socio-
economica sempre più complessa, si è perseguito lo scopo di ritenere svincolato, almeno
entro certi limiti, l’ordinamento stesso dalla realtà naturalisticamente intesa, consideran-
94 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

do autonome le sue valutazioni in ordine alla selezione dei destinatari delle proprie rego-
le ed alla individuazione dei potenziali titolari delle situazioni giuridiche soggettive con-
seguentemente attribuite.
Indubbio peso, al riguardo, ha assunto la constatazione che non sempre a tutti gli
uomini è stata riconosciuta l’attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche soggetti-
ve, relegandone taluni, addirittura, al rango di mero oggetto di situazioni giuridiche al-
trui. Il conseguente riconoscimento dell’autonomia delle valutazioni dell’ordinamento in
materia è risultato essenzialmente funzionale, comunque, alla estensione della capacità
giuridica anche ad entità diverse dall’uomo. Ed è questo, probabilmente, il senso più si-
gnificativo dell’operazione concettuale che ha condotto, nella elaborazione teorica del
secolo XIX, alla formulazione della nozione di soggetto giuridico, quale categoria unitaria
(di carattere, come sottolineato, formale), atta a comprendere sia le persone fisiche, sia le
persone giuridiche. Le prime considerate senz’altro soggetti di diritto in quanto uomini,
le seconde considerate soggetti di diritto solo in quanto riconosciute tali attraverso mec-
canismi specificamente predisposti dall’ordinamento.
Il codice civile, nel suo impianto, risulta muovere, dunque, proprio dalla sostanziale
identificazione del concetto di soggettività con quello di personalità, considerando,
poi, suscettibile di articolazione e di graduazione la capacità giuridica, a seconda delle ca-
ratteristiche del soggetto (a seconda, cioè, che si tratti di persona fisica o giuridica, ovvero,
addirittura, con una scelta ormai storicamente superata e moralmente condannata, discri-
minando tra loro le stesse persone fisiche). Ma il codice non manca, nello stesso libro I
(precisamente, nel capo III del relativo titolo II), di contemplare la figura delle associazioni
non riconosciute (artt. 36 ss.), finendo col trattarle, in realtà, forse pure al di là delle inten-
zioni e delle dichiarate posizioni di principio, quali veri e propri centri (in quanto caratte-
rizzati da una larga autonomia) di imputazione di situazioni giuridiche. Di qui, anche in
dipendenza della evoluzione dell’ordinamento (e, in particolare, della valorizzazione, nella
Costituzione, delle formazioni sociali come luogo di sviluppo della personalità dell’uomo:
IV, 3.1), la da tempo dominante tendenza – in dottrina e in giurisprudenza – a riferirsi ad
una nozione di soggettività giuridica più ampia di quella presupposta, almeno in li-
nea di principio, dal codice e non più coincidente con quella di personalità, in quanto
tale da ricomprendere in essa, accanto alle persone (fisiche e giuridiche), gli enti privi di
riconoscimento (peraltro legislativamente in misura sempre maggiore avvicinati, dal punto
di vista della disciplina, a quelli riconosciuti come persona giuridica: IV, 3.8-9).

2. Tipologia. – Sono considerate soggetti giuridici, innanzitutto, le persone fisiche.


Il codice civile non ha potuto che prendere atto del carattere assolutamente imprescin-
dibile, nel quadro di una concezione moderna di società e di ordinamento giuridico, del
riconoscimento ad ogni uomo, in quanto tale, della qualità di soggetto giuridico. Il carat-
tere del tutto scontato di un simile riconoscimento – ulteriormente rafforzato, in un
momento successivo, dall’essere stata concepita, con la Costituzione (in particolare, alla
luce degli artt. 2 e 3), la persona umana quale reale centro di gravità dell’intero ordina-
mento giuridico 1 – ha indotto a ritenere inutile qualsiasi espressa dichiarazione in pro-

1
L’uomo è, infatti, in quanto tale considerato senz’altro titolare di “diritti inviolabili”, che la “Repubblica
riconosce e garantisce” (art. 2 Cost.): il “pieno sviluppo della persona umana” rappresentando, del resto,
l’obiettivo da perseguire in via del tutto prioritaria per l’ordinamento (art. 32 Cost.). Proprio valorizzando la
CAP. 1 – SOGGETTO E PERSONA 95

posito, reputandosi opportuno semplicemente stabilire, come si legge nella Relaz. cod.
civ., n. 35 2, “i requisiti necessari all’esistenza di una persona fisica quale soggetto di di-
ritti”. E ciò si è fatto col ricollegare al “momento della nascita” l’acquisto della capacità
giuridica (art. 11: IV, 1.2).
Il riconoscimento – dato dunque per scontato – della uguale qualità di soggetto
giuridico ad ogni uomo (in quanto considerato, come persona, centro di imputazione
di situazioni giuridiche attive e passive), nell’impianto originario del codice civile non
valeva, peraltro, ad evitare discriminazioni sul piano della capacità giuridica. In particola-
re, oltre alla persistenza di discriminazioni storiche, come quella caratterizzante la posi-
zione della donna nella famiglia e nella società, l’ordinamento veniva ad orientarsi nel
senso di una nuova odiosa discriminazione sulla base della razza. Alla legislazione del
1938 in materia, l’art. 13 c.c. faceva riferimento col prevedere che “le limitazioni alla ca-
pacità giuridica derivanti dall’appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi
speciali” (e l’art. 292 poneva, poi, in particolare, lo specifico “divieto di adozione per di-
versità di razza”) 3.
A prescindere dalla intervenuta abrogazione, nel 1944, di tali previsioni, è del tutto
evidente come la persistenza – e l’eventuale introduzione – di qualsiasi discriminazione
in tema di capacità sarebbe destinata a trovare un insormontabile ostacolo nell’art. 3 Cost.,
con il sancito principio della pari dignità sociale e della eguaglianza davanti alla legge
“senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di con-
dizioni personali e sociali”, compito dell’ordinamento essendo, anzi, quello di “rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” 4 (IV, 1.1).
Quanto alle persone giuridiche, per “le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni
di carattere privato” (secondo la formulazione dell’abrogato art. 12 e, ora, dell’art. 11
D.P.R. 361/2000) l’acquisto della personalità giuridica (e, quindi, della qualità di soggetto
giuridico) è ricollegato al riconoscimento (in relazione agli enti disciplinati nel libro I,

prospettiva costituzionale, non si è mancato di distinguere, con riguardo all’“uomo”, tra l’idea di “soggetto” e
“soggettività”, espressiva del suo collegamento con l’ordine giuridico positivo, e quella di “persona” e di “per-
sonalità”, riferita alla sua appartenenza all’ordine sociale (condizione di cui l’ordinamento giuridico non po-
trebbe che prendere atto col riconoscimento dei diritti che a tale appartenenza risultano indissolubilmente le-
gati, identificati, appunto, quali diritti della personalità: IV, 2.1). Con riguardo alla corrente – e dianzi delinea-
ta alla luce della impostazione del codice – nozione di “soggetto”, pur senza negarne l’importanza sul piano
storico (quale rottura – nella prospettiva della eguaglianza – col precedente ordine fondato sulla rigida diver-
sificazione giuridica degli stati personali), si tende sempre più diffusamente ad evidenziarne i limiti, sottoli-
neando, in particolare, come essa, per il suo carattere unitario e formale, prescinda da qualsiasi considera-
zione circa la concreta posizione della “persona” nel contesto economico-sociale in cui si trova collocata (“gli
ostacoli di ordine economico e sociale” al cui sviluppo l’art. 32 Cost. impone di rimuovere, in vista della rea-
lizzazione di una eguaglianza non più solo formale, ma anche sostanziale).
2
Vi si legge che nel titolo I (del libro I) si “sono raggruppate le norme che definiscono la persona fisica
soggetto di diritto e fissano la disciplina dei principali diritti della personalità”. Non è sembrata necessaria, al
riguardo, la previsione, pure contemplata nel progetto preliminare del libro I del codice civile, secondo la quale
“l’uomo è soggetto di diritti dalla nascita fino alla morte”.
3
Nella Relaz. cod. civ., n. 35, la previsione era elevata addirittura al rango di principio, per il quale “l’ap-
partenenza a determinate razze può influire sulla sfera della capacità giuridica delle persone”.
4
Ulteriore barriera nei confronti di qualsiasi discriminazione è ora eretta dagli artt. 20 (“uguaglianza da-
vanti alla legge”) e 21 (“non discriminazione”) Carta dir. fond. U.E. (che, all’art. 23, contempla anche lo spe-
cifico principio della “parità tra uomini e donne”).
96 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

ad esito di uno specifico procedimento: IV, 3.4) 5. È il formale riconoscimento, cioè, nel-
la sistematica cui si ispirano i primi due titoli del libro I, ad assumere un valore costituti-
vo della qualità di soggetto giuridico, evidenziandosi, così, per gli enti, la dipendenza di
tale qualità dalla volontà creatrice dell’ordinamento (espressa, in via generale e di prin-
cipio, con la previsione della tipologia degli enti ammessi al relativo godimento; concre-
tamente, poi, di volta in volta, attraverso lo specifico procedimento, appunto, di ricono-
scimento) 6.
Nel contemplare la figura dell’associazione non riconosciuta (artt. 36 ss.), disciplinan-
dola, in realtà, quale centro di imputazione di situazioni giuridiche 7, lo stesso codice ci-
vile, peraltro, ha finito col porre le premesse per mettere in crisi l’idea di una perfetta
coincidenza tra qualità di soggetto giuridico e riconoscimento della personalità giuridica.
Come dianzi accennato (e meglio si vedrà oltre: IV, 3.2, 3.4 e 3.9), la successiva evolu-
zione, soprattutto a livello costituzionale, dell’ordinamento, ha indotto a far venire meno
qualsiasi remora all’estensione della qualità di soggetto giuridico anche agli enti pur se
“non riconosciuti come persone giuridiche” (secondo la terminologia impiegata dall’art.
361: enti non riconosciuti).
Proprio sfruttando la via aperta dall’avvenuto accreditamento di una nozione di sog-
gettività giuridica estesa al di là del riconoscimento della personalità giuridica, col relati-
vo acquisto della generale capacità giuridica, si è cercato, di recente, di conciliare il prin-
cipio per cui tale acquisto avviene esclusivamente “dal momento della nascita” (art. 11)
con quella dignità di uomo, che anche al concepito si tende a ritenere connaturata (alla
luce, in particolare, degli sviluppi recenti della legislazione e della stessa giurisprudenza
costituzionale). Il riferimento alla qualità di soggetto giuridico di quest’ultimo, così, è
sembrato tale da assicurare il soddisfacimento delle esigenze sempre più imperiosamente
avvertite al riguardo, col rispetto, allo stesso tempo, dei principi esistenti in materia di
capacità giuridica (IV, 1.2).

3. Soggetto e status. – L’essere gli ordinamenti moderni fondati – a partire dalla fine
del secolo XVIII, ma con un percorso che, come si è visto, ha dovuto affrontare ostacoli
anche recenti – sul principio di eguaglianza, consente di guardare all’uomo come tale nel-
la veste di soggetto giuridico, in una prospettiva unitaria, cioè, che prescinde da ogni con-
siderazione relativa al suo stato o condizione sociale, intesi nel senso di appartenenza a
classi, ceti e caste 8. Quello del superamento di qualsiasi rilevanza, dal punto di vista giu-

5
Per le società l’art. 13 rinvia alle disposizioni contenute nel libro V.
6
È, secondo la Relaz. cod. civ., n. 60, solo il riconoscimento ad elevare l’ente “alla dignità di persona giuri-
dica e le dà la qualità di soggetto di diritto”.
7
Nella stessa Relaz. cod. civ., n. 60, quale unico indice della affermata “condizione più ristretta di quella
stabilita per le persone giuridiche”, in effetti, risulta evidenziato il solo carattere c.d. imperfetto della (già alla
luce della disciplina codicistica e maggiormente di quella successiva) sussistente autonomia patrimoniale del-
l’ente (IV, 3.9).
8
Il riferimento è al tipo di organizzazione della società – fino alla rivoluzione francese e al modello di Sta-
to da essa tenuto a battesimo – fondato sulla diversificazione delle regole giuridiche applicabili in base alla
condizione sociale del soggetto (anche senza arrivare alla più remota contrapposizione tra liberi e schiavi, si
pensi alla rilevanza accordata alla situazione di nobile, ecclesiastico o mercante), con conseguente diversifica-
zione dei diritti e degli obblighi di cui ciascuno era (e poteva essere) titolare. L’affermazione dell’unità del sogget-
to di diritto – come destinatario delle norme e, conseguentemente, potenziale titolare di situazioni giuridiche –
CAP. 1 – SOGGETTO E PERSONA 97

ridico, dell’appartenenza a classi, ceti e caste, in effetti, rappresenta il momento di pas-


saggio dalla vecchia alla nuova concezione di organizzazione della società (e, di riflesso,
di ordinamento giuridico), con l’affermazione – che sta, invero, storicamente alla base
della idea medesima di codice civile (I, 2.3) – dell’applicabilità delle medesime regole a
tutti i consociati: tutti, appunto semplicemente come uomini, riconosciuti portatori di
una identica capacità giuridica, con le uguali potenzialità che ne derivano, quanto a titola-
rità di diritti e di obblighi.
Con il concetto di stato (o status), allora, non ci si intende più riferire ad una qualità
del soggetto, ricollegata alla classe, ceto o casta di appartenenza e atta a condizionarne e
diversificarne la generale capacità. Si allude, piuttosto, ad una situazione giuridica sogget-
tiva che indica la posizione del soggetto rispetto a determinati gruppi sociali organizzati e
costituisce il presupposto dell’insieme di diritti e obblighi che si ricollegano alla relativa
appartenenza 9. È da sottolineare che non si tratta di una mera modalità di comodo per
indicare riassuntivamente l’insieme delle situazioni giuridiche attive e passive che deri-
vano al soggetto dalla sua relazione col gruppo, ma di una autonoma situazione giuridica,
la quale, proprio in quanto presupposto di tali specifiche situazioni, viene come tale tute-
lata dall’ordinamento.
Particolare importanza assumono, pure sotto il profilo storico, lo stato di cittadino
(status civitatis) e lo stato familiare (status familiae) del soggetto. Il primo, anche se preso
in considerazione dai codici ottocenteschi (tra cui quello italiano del 1865) in apertura
della parte dedicata alle persone, per la sua attinenza al diritto pubblico risulta attual-
mente disciplinato nel contesto della legislazione concernente le vicende della cittadi-
nanza (L. 5.2.1992, n. 91) 10. Interessano, invece, il diritto privato gli status familiari (co-
niuge, genitore, figlio, nonché, a seguito della L. 20.5.2016, n. 76, unito civilmente e convi-
vente): per l’importanza sociale che l’ordinamento conferisce alla famiglia ed alle rela-
zioni al suo interno, i c.d. diritti di stato – quelli che competono, cioè, alla persona in
ordine al riconoscimento ed al godimento della sua posizione familiare – costituiscono
una categoria peculiare di diritti (reputati assoluti), assimilabili, quanto a caratteristiche,
ai diritti della personalità (IV, 2.2).

risulta, in effetti, costituire l’esito, proprio quale reazione ai preesistenti assetti sociali (ed alle relative giustifica-
zioni), di una elaborazione concettuale che, attraverso le ideologie giusnaturalistiche e razionalistiche del secolo
XVIII, si pone alla base delle codificazioni civili (il cui modello di riferimento è il code civil del 1804).
9
Pare opportuno, quindi, accennarne – anche per motivi di carattere storico – in questa sede, nel quadro,
cioè, della delineazione della nozione di soggetto giuridico, piuttosto che più oltre (II, 3), nel contesto della
tipologia delle situazioni giuridiche soggettive.
10
La condizione dello s t r a n i e r o – cui si riferisce l’art. 16 disp. prel. (I, 3.12) – viene disciplinata dalla L.
6.3.1998, n. 40 (e dal conseguente D.Lgs. 25.7.1998, n. 286). La “condizione di reciprocità”, alla quale l’art.
16 disp. prel. subordina il godimento dei diritti civili da parte dello straniero (peraltro contestata alla luce
del nostro sistema costituzionale), risulta ridimensionata dal relativo art. 21, che riconosce “allo straniero
comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato … i diritti fondamentali della persona umana
previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi del diritto
internazionale generalmente riconosciuti”, nonché dall’art. 22, che estende allo “straniero regolarmente
soggiornante nel territorio dello Stato” i “diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le
convenzioni internazionali in vigore per l’Italia o la presente legge dispongano diversamente”. Si tenga
presente che, ai sensi dell’art. 9 TUE e degli artt. 20 ss. TFUE, “chiunque abbia la cittadinanza di uno Sta-
to membro” gode, con le relative prerogative, della “cittadinanza dell’Unione”, la quale “si aggiunge alla
cittadinanza nazionale e non la sostituisce”.
98 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

Al riguardo, bisogna tenere presente come, se è vero che i fatti cui si riconnette la co-
stituzione o la modificazione di uno status familiare possono dipendere dalla volontà dei
soggetti interessati (si pensi al matrimonio), sia pur sempre l’ordinamento a fissarne rigi-
damente le condizioni e gli effetti in ordine allo status del soggetto: di qui il principio –
tradizionale, anche se nei tempi più recenti contestato, almeno nella sua rigida assolutez-
za – della indisponibilità degli status familiari e delle azioni (azioni di stato, quali quelle
previste in materia di filiazione: V, 4.3 e 4.4) tendenti a farli valere da parte dei soggetti
cui per legge competono (per tali azioni risulta significativamente previsto l’intervento
obbligatorio del pubblico ministero: art. 701, n. 3, c.p.c.).
Al di là degli status familiari, si ritiene diffusamente possibile utilizzare il medesimo
concetto con riguardo alla posizione del soggetto – con conseguente titolarità, da parte
sua, della corrispondente situazione giuridica soggettiva – quale membro di altri gruppi
organizzati, come associazioni e società (associato, socio). L’assenza di quella essenziale
rilevanza sociale ricollegata dall’ordinamento agli status familiari rende comunque inap-
plicabili, al di fuori di tale materia, i principi che si è dianzi accennato caratterizzare i di-
ritti di stato e le relative azioni.
Piuttosto che di status, ove manchi un gruppo organizzato rispetto al quale si ponga il
problema del riconoscimento della posizione del soggetto, pare il caso di parlare di sue
particolari qualità (con riferimento, cioè, a quelle talvolta prese specificamente in consi-
derazione dall’ordinamento giuridico, al fine di ricollegare una peculiare disciplina ai
rapporti di cui il soggetto medesimo sia parte, appunto, in tale sua qualità). Si pensi, in
proposito, a qualità connesse a situazioni dotate di una certa stabilità, in quanto relative
all’attività abitualmente svolta dal soggetto 11, come quelle, ad es., di imprenditore e lavo-
ratore subordinato. Una qualità che costituisce punto di riferimento di una disciplina pe-
culiare dei rapporti in cui il soggetto assuma una simile veste è, poi, quella di consumato-
re, cliente o utente, la quale, peraltro, non attiene ad una posizione in cui il soggetto stes-
so si trovi costantemente, ma che è presa in considerazione per le esigenze di tutela di
chi nel singolo caso rivesta, di volta in volta, il corrispondente ruolo nel rapporto 12.

11
In considerazione di ciò, tali qualità vengono spesso attualmente accostate a dei veri e propri status, da-
ta l’importanza che esse assumono complessivamente per la vita del soggetto e per la conseguente importanza
sociale della disciplina dei relativi rapporti. Un simile richiamo, peraltro, non manca di essere ritenuto impro-
prio e, comunque, inopportuno, perché atto a fare rivivere sul piano concettuale, almeno entro certi limiti,
forme di organizzazione della società fondate su troppo rigide differenziazioni di stati personali (frequentemen-
te, come il passato insegna, fonte anche di ingiustificati privilegi).
12
Peraltro, è da tenere presente che, in Germania (con una legge del 27.6.2000), nella parte iniziale del
codice civile (libro I, sezione I, titolo I, conseguentemente ora intitolato “Persone fisiche, consumatore, im-
prenditore”), sono stati aggiunti i §§ 13 e 14, rivolti a definire, rispettivamente, il consumatore e l’impren-
ditore. Con ciò, indubbiamente, si è inteso conferire a tali qualità del soggetto una notevole rilevanza, fino a
farne dipendere – evidentemente in una prospettiva di rottura dell’idea di unitarietà concettuale del soggetto
giuridico come destinatario delle regole dell’ordinamento – una vera e propria generale caratterizzazione del
soggetto sul piano complessivo dei rapporti economico-sociali e della relativa disciplina. In una prospettiva
non dissimile, può essere intesa anche la raccolta delle norme destinate a tener conto, a fini di tutela, della
qualità di consumatore – in contrapposizione a quella di professionista – in un unico testo (codice del consumo:
D.Lgs. 6.9.2005, n. 205).
CAPITOLO 2
BENI GIURIDICI

Sommario: 1. Cosa, bene e oggetto di diritti. – 2. Beni immobili e beni mobili. – 3. Distinzioni ulteriori. –
4. Il danaro. – 5. Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze. – 6. Le universalità. – 7. Azien-
da. – 8. Frutti. – 9. Patrimonio. – 10. Beni pubblici.

1. Cosa, bene e oggetto di diritti. – Come si è visto (II, 1.1), destinatari delle regole
dell’ordinamento (norme) sono i soggetti, titolari degli interessi da organizzare per com-
porre i relativi conflitti rispetto a beni. L’interesse, infatti, può essere visto come una
sorta di tensione tra soggetto e bene. Soggetti e beni costituiscono, allora, i termini di rife-
rimento delle relazioni di cui l’ordinamento si occupa, organizzando con le proprie rego-
le gli interessi dei soggetti rispetto ai beni. Ciò avviene con l’attribuzione di situazioni
giuridiche soggettive (II, 3.1): il profilo oggettivo di esse è rappresentato, quindi, dai beni,
in quanto entità atte a soddisfare interessi ritenuti meritevoli di considerazione e di tute-
la dall’ordinamento (beni giuridici).
È in una simile prospettiva che è da leggere la definizione dell’art. 810, con la quale si
apre il libro III del codice civile, secondo cui “sono beni le cose che possono formare
oggetto di diritti”. Dalla definizione, risulta evidente come quella di bene sia una nozione
strettamente giuridica, come tale indipendente dalla realtà naturale: nozione legata ad
una valutazione, da parte dell’ordinamento, di attitudine a soddisfare interessi – conside-
rati rilevanti – in (attuale o potenziale) conflitto, così da farne possibile oggetto di diritti.
Non tutte le cose, stando all’art. 810, sono suscettibili di essere considerate beni (e, quin-
di, possibile oggetto di diritti), così come oggetto di diritti (e, quindi, beni, per la relativa
attitudine a soddisfare interessi) possono essere anche entità diverse dalle cose.
L’idea di un esclusivo collegamento dei diritti alle cose, intese nella loro accezione
naturalistica e materiale, quale loro unico possibile oggetto, è propria di una concezione
della società e del diritto (e, in particolare, di quello privato) lontana nel tempo da quella
attuale. Di fronte all’esigenza di allargare l’area degli interessi regolati dall’ordinamento
e, quindi, dei beni considerati rilevanti (sia pure sempre in una prospettiva esclusiva-
mente patrimonialistica), si è seguito, allora, l’indirizzo concettuale di configurare, ac-
canto alle cose materiali (res corporales), delle cose immateriali (res incorporales), via via
annoverando in una simile categoria tutto ciò che, pur privo di materialità, l’ordinamento
veniva prendendo in considerazione quale fonte di possibile utilità economica per i sogget-
ti, come tale da assoggettare a regole per comporre i conseguenti eventuali conflitti di inte-
ressi (con l’attribuzione di veri e propri diritti in ordine al relativo sfruttamento) (VI, 1.1 e
100 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

1.10). In proposito, basti pensare alle opere dell’ingegno 1 ed alle invenzioni industriali,
con l’esigenza, caratterizzante una realtà socio-economica ormai evoluta, di assicurarne lo
sfruttamento, attraverso diritti quali quelli di autore (art. 2575) e di brevetto (art. 2584).
Prevale, ormai, la tendenza ad abbandonare, in quanto artificioso, un simile tentativo
di salvare ad ogni costo l’idea della univoca corrispondenza tra cosa e oggetto di diritti,
riconoscendosi, piuttosto, una volta inteso il bene quale entità atta a soddisfare interessi
giuridicamente rilevanti, una simmetria tra il concetto di bene e quello di oggetto di dirit-
ti. Ciò con la conseguenza di annoverare tra i beni giuridici (quale possibile oggetto di
diritti), da una parte, i beni materiali (le cose) 2, dall’altra, i beni immateriali. Tale ultima
categoria vale a comprendere sia le figure più tradizionali, come quelle già ricordate del-
le opere dell’ingegno e delle invenzioni industriali, disciplinate dal codice e nel quadro
della legislazione ad esso collegata (L. 22.4.1941, n. 633, sul diritto di autore, e R.D.
29.6.1939, n. 1127, sui brevetti per invenzioni industriali, ora abrogato e confluito nel
D.Lgs. 10.2.2005, n. 30, codice della proprietà industriale), sia i “prodotti” più recenti
dell’evoluzione tecnico-scientifica, come, in particolare, il software (D.Lgs. 29.12.1992,
n. 518) e le banche di dati (D.Lgs. 6.5.1999, n. 169).
L’accennata bipartizione si limita a prendere in considerazione entità (materiali o
ideali) che, comunque, si risolvono in utilità di carattere economico, con il conseguente
riconoscimento di diritti patrimoniali che le hanno ad oggetto 3. La sempre maggiore at-
tenzione dell’ordinamento – soprattutto, ovviamente, nel contesto del vigente sistema
costituzionale – per la persona ed i suoi valori fondamentali ha indotto ad estendere con
decisione l’area degli interessi ritenuti giuridicamente rilevanti, avvertendosi l’esigenza di
provvedere alla tutela di quelli di natura personale attraverso il riconoscimento di corri-
spondenti diritti non patrimoniali (II, 3.2 e 3.5, nonché IV, 2.1-2). Il concetto di bene,
così, ne è risultato ampliato, allargandosi a comprendere, quindi, anche ciò che costitui-
sce fonte di quelle utilità, evidentemente non economiche, che il soggetto trae dall’espli-
cazione della sua personalità, nelle varie manifestazioni (fisiche e morali) che la caratte-
rizzano, il godimento delle quali (libero da altrui interferenze) viene garantito, insomma,
appunto quale vero e proprio bene oggetto di diritti soggettivi 4.

1
All’idea di appartenenza delle “produzioni dell’ingegno … ai loro autori” si riferiva già il codice civile
del 1865 (art. 437), il quale comunque, quasi in contrapposizione al regime della proprietà delle “cose” (quale
definita nell’art. 436), ne demandava la disciplina alle “norme stabilite da leggi speciali”.
2
La cui nozione resta, quindi, nel codice civile vigente, opportunamente limitata alla realtà del mondo
materiale, sia pure, come si vedrà, intesa in senso ampio. È, in effetti, ad una concezione materiale delle cose
che si riferiscono le disposizioni concernenti la rilevanza dei collegamenti tra esse (artt. 816-819), nonché,
sempre nel libro III, la disciplina (e la nozione stessa) della proprietà e, in genere, dei diritti reali, quali diritti
assoluti di carattere patrimoniale, aventi, appunto, ad oggetto una cosa (II, 3.5). Da ultimo, comunque, non si
è mancato di estendere la nozione di “cosa” anche ai dati informatici e, in particolare, al file (in quanto entità
pur sempre caratterizzata da “una dimensione fisica costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono”:
Cass. pen. 13-4-2020, n. 11959, ai fini dell’applicazione della disciplina penalistica concernente l’appropria-
zione delle “cose mobili”).
3
Il concetto di bene, nell’ampia accezione che lo ricollega a ciò che costituisce fonte di utilità economica,
come tale possibile oggetto di diritti, tende ad essere esteso anche ai comportamenti umani e, in genere, ai
s e r v i z i , ossia a quelle prestazioni del genere più vario che il soggetto si procura attraverso rapporti contrat-
tuali con altri, al fine di soddisfare proprie esigenze esistenziali o professionali.
4
È da sottolineare, peraltro, come la sempre più estesa ammissibilità di un possibile lecito sfruttamento
commerciale di aspetti legati alla personalità, quali l’immagine e la notizia, rendendoli fonte di utilità economica
CAP. 2 – BENI GIURIDICI 101

Un ulteriore allargamento del concetto di bene in senso giuridico deriva, inoltre, dal
fatto che anche gli stessi diritti (di natura patrimoniale) sono, almeno per certi riguardi,
reputati tali 5. I diritti patrimoniali vengono presi in considerazione, cioè, di per se stessi,
come entità dotate di una propria apprezzabilità in termini economici e possibile oggetto
di rapporti giuridici e delle corrispondenti situazioni soggettive (si pensi, in particolare,
alla circolazione dei diritti di credito, attraverso la relativa cessione, artt. 1260 ss.) 6.
Del resto, solo in via traslata il soggetto può essere considerato titolare del bene: il
bene, infatti, costituisce l’oggetto del diritto e, quindi, dal punto di vista giuridico, il sog-
getto è titolare del diritto avente ad oggetto il bene (e il patrimonio, come si vedrà, risulta
formato, ove si voglia essere concettualmente precisi, non da beni ma da diritti relativi a
beni). Il linguaggio legislativo stesso si presenta alquanto equivoco, come è attestato
dall’art. 27401, laddove stabilisce che “il debitore risponde dell’adempimento delle ob-
bligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”. In realtà, infatti, a rispondere per le sue
obbligazioni è il patrimonio del debitore (c.d. responsabilità patrimoniale), formato da
diritti sui beni (proprietà, diritti reali, di credito, ecc.). Semmai, è da rilevare come sia in
relazione alla proprietà che il legislatore (sia pure in modo concettualmente scorretto e
secondo quanto accade, peraltro, nel linguaggio comune) tende ad immedesimare il di-
ritto col suo oggetto, parlando talvolta di beni del soggetto 7 (è questo il senso che sem-
bra da attribuire, ad es., ad una disposizione come quella dell’art. 3231, in cui si allude ai
beni e diritti del minore) 8.
Quanto alle cose che sono reputate beni, perché possibile oggetto di diritti (art. 810),
è da tenere presente come un ampliamento della relativa nozione – indubbiamente da
considerare legata alla realtà materiale – derivi dall’art. 814, che assimila ai beni (in par-
ticolare mobili) le energie naturali che hanno valore economico (le quali pur sempre
afferiscono al mondo fisico). Ciò significa che la tutela accordata relativamente ai beni (si
pensi a quella possessoria: VI, 5.8) è accordata anche con riguardo alle energie, risultato

per il soggetto cui si riferiscono e per chi ne abbia acquisito il diritto di utilizzazione, induca ormai a ravvisare in
essi anche dei veri e propri beni economici. In tale prospettiva, è alla stessa notorietà, intesa in senso comprensivo,
cui non si manca di alludere come bene suscettibile di costituire oggetto di rapporti giuridici patrimoniali (IV,
2.2). Ancora più in generale, si pone in evidenza, “a fronte della tutela del dato personale quale espressione di un
diritto della personalità … il fenomeno della ‘patrimonializzazione’ del dato personale, tipico delle nuove eco-
nomie dei mercati digitali”, in considerazione del quale i dati personali “possono costituire un ‘asset’ disponibile
in senso negoziale, suscettibile di sfruttamento economico e, quindi, idoneo ad assurgere alla funzione di ‘con-
troprestazione’ in senso tecnico di un contratto” (T.A.R. Lazio 10-1-2020, n. 260).
5
Indubbia rilevanza assume, in proposito, l’art. 813, il quale espressamente assoggetta al regime dei beni
anche i diritti (distinguendoli a seconda della relativa natura mobiliare o immobiliare).
6
In una simile prospettiva, sono da considerare possibile oggetto di rapporti giuridici, potendo essere
come tali inclusi nel novero dei beni in senso giuridico, le azioni, le obbligazioni, le quote di fondi comuni di
investimento e, in genere, i c.d. strumenti finanziari, in relazione ai quali evocativamente il legislatore parla di
“prodotti” (prodotti finanziari sono definiti “gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di na-
tura finanziaria”: art. 11, lett. u, D.Lgs. 24.2.1998, n. 58, testo unico delle disposizioni in materia di interme-
diazione finanziaria).
7
Una traccia di ciò sembra forse riscontrabile proprio nell’art. 2740, quasi che il legislatore (in una pro-
spettiva legata, invero, a passate concezioni), parlando, appunto, di beni, abbia voluto alludere alle proprietà
del soggetto ed ai suoi diritti, in quanto assimilabili a proprietà perché economicamente rilevanti.
8
Pure in relazione al possibile oggetto del pegno si allude separatamente ai “beni mobili” e agli “altri di-
ritti aventi per oggetto beni mobili” (art. 27842).
102 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

dell’intervento dell’uomo sull’ambiente fisico, come quella elettrica o nucleare e le stesse


onde radioelettriche nell’etere.
Non tutte le cose sono beni in senso giuridico 9. Non possono costituire oggetto di
rapporti privati (e, in tale sfera di rapporti, non possono, quindi, essere considerate be-
ni), le cose incommerciabili (res extra commercium), quali i beni demaniali (II, 2.10) 10. Un
discorso particolare richiede il regime delle parti separate del corpo umano, solo per al-
cune delle quali è senz’altro ammessa una situazione di vera e propria proprietà, con
conseguente libera disponibilità e circolazione (ad es., i capelli). Per altre parti, la situa-
zione si presenta peculiare, in quanto, ferma la relativa incommerciabilità di massima,
una limitata disponibilità ne è riconosciuta al soggetto e, comunque, senza mai possibili-
tà di ricavarne un lucro (in tali limiti è consentita la c.d. donazione del sangue e di taluni
tessuti e organi) 11.
Non si considerano beni, secondo l’opinione tradizionale e ancora prevalente, le cose
comuni a tutti (res communes omnium), in quanto, essendo liberamente disponibili in na-
tura, risultano illimitate (quindi superiori ai bisogni) ed il loro godimento non è fonte di
conflitti di interessi, che richiedano una regolamentazione da parte dell’ordinamento.
Tali sono, almeno se considerate nel loro insieme, l’aria o l’acqua del mare. L’intervento
dell’uomo può, peraltro, determinarne un valore economico, dandosi così luogo, sotto
certi profili, all’esistenza di un bene anche per il diritto (si pensi allo sfruttamento del-
l’atmosfera come luogo di propagazione delle onde radioelettriche, da reputare beni
mobili, ai sensi dell’art. 814) 12.

9
Anche se pare da precisare che qui si è, evidentemente, in presenza di concetti relativi: si pensi a quanto
accennato a proposito dello sfruttamento delle possibilità (attualmente ma non in passato) consentite dal-
l’etere, ovvero a quanto sarà precisato circa le parti del corpo umano, di cui potrebbe ipotizzarsi, in un am-
biente culturale e giuridico ovviamente ben diverso dal nostro, una più o meno estesa commerciabilità.
10
Nell’ordinamento attuale, la medesima cosa si presta spesso ad essere vista quale punto di riferimento di
una pluralità di interessi giuridicamente rilevanti di diversa natura, privati e generali, come tale finendo per
rappresentare, contestualmente, il referente materiale di una pluralità di beni giuridici, a loro volta di diversa
natura. Si pensi ai beni d’interesse storico e artistico (art. 839) e ai c.d. beni ambientali (nel cui ambito partico-
lare rilevanza assume il paesaggio, con i valori che vi risultano connessi): in relazione ad essi è possibile consi-
derare, allo stesso tempo, la medesima cosa come oggetto di proprietà (o altri diritti patrimoniali) di privati e
come oggetto di aspettative di fruizione generale e di conseguente necessaria conservazione e valorizzazione
in vista di preminenti interessi sociali (di rilevanza per l’ordinamento, che quindi detta regole specifiche per
assicurarne il rispetto: D.Lgs. 22.1.2004, n. 42, codice dei beni culturali e del paesaggio, in attuazione del-
l’esigenza fondamentale di tutela prospettata dall’art. 92 Cost., col relativo riferimento al “paesaggio” ed al
“patrimonio storico e artistico della Nazione”; D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, norme in materia ambientale; L.
6.12.1991, n. 394, in materia di “aree protette”). La necessità di tutelare “ambiente”, “biodiversità” ed “eco-
sistemi”, “anche nell’interesse delle future generazioni”, si è inteso ora sottolineare espressamente nell’art. 93
Cost., quale introdotto ai sensi della L. cost. 11.2.2022, n. 1 (e v. anche la contestuale modifica dell’art. 412-3
Cost., con riguardo ai limiti dell’iniziativa economica privata ed alla finalizzazione dell’intervento pubblico in
ordine allo svolgimento dell’attività economica). Per l’esigenza di “un livello elevato di tutela dell’ambiente”,
v., del resto, l’art. 37 Carta dir. fond. U.E., nonché l’art. 1912 TFUE.
11
Il discorso si risolve, in realtà, in quello dei limiti previsti per gli atti di disposizione del proprio corpo
(art. 5), che sarà sviluppato a proposito della tutela della persona (IV, 2.5). Problematica particolarmente de-
licata, poi, è quella dei limiti entro cui sia da ammettere la possibilità di guardare allo stesso embrione – ed ai
gameti umani, in particolare all’ovulo – in un’ottica economica di prodotto (IV, 1.2).
12
Non si manca di sottolineare, peraltro, come simili cose comuni a tutti tendano oggi ad essere considera-
te – per le esigenze connesse al relativo sfruttamento (anche proiettato nel tempo) – oggetto di interessi rite-
nuti giuridicamente rilevanti della collettività e di ogni soggetto come suo membro, assurgendo, così, alla qua-
CAP. 2 – BENI GIURIDICI 103

Sono da considerare senz’altro beni anche le cose che, al momento, non costituiscono
oggetto di diritti, ma sono suscettibili di diventarlo, attraverso la relativa appropriazione.
Si tratta delle cose di nessuno (res nullius), come i pesci nel mare e le cose abbandonate
(res derelictae) intenzionalmente dal proprietario (a differenza di quelle smarrite, diver-
samente considerate dal legislatore; il tema sarà approfondito con riguardo ai relativi
modi di acquisto, occupazione e invenzione: V, 2.2 e 2.3) 13.
Materia di crescente riflessione è anche la collocazione sistematica – in quanto essere
senziente – dell’animale, se non addirittura in una prospettiva di soggettività, almeno
come punto di riferimento di una disciplina che tenga adeguatamente conto di una simi-
le sua peculiarità e della specificità delle sue relazioni con le persone 14.

2. Beni immobili e beni mobili. – Il codice civile vigente ha conservato la tradizio-


nale (e persistentemente rilevante) distinzione tra beni immobili e beni mobili 15. L’art.

lità di veri e propri beni giuridici. Così, ad un regime pubblicistico di protezione si affiancano, in effetti, pure
strumenti di tutela accordati ai soggetti, in quanto loro diretti fruitori (la problematica si riconduce al tema
degli interessi diffusi e della relativa tutela: II, 3.10). Per il dibattito concernente i c.d. beni comuni, II, 2.10.
13
In relazione a tale categoria di cose, ci si riferisce alla distinzione tra cose in patrimonio e cose fuori pa-
trimonio (res in patrimonio e res extra patrimonium), per evidenziare che esse, pur essendo in commercio (in
quanto suscettibili di costituire oggetto di diritti), sono, almeno per il momento, fuori patrimonio (non appar-
tenendo ad alcuno). Deve trattarsi sempre, comunque, di cose mobili, poiché gli immobili non possono mai
trovarsi nella condizione di cose fuori patrimonio, dato che, per l’art. 827, i beni immobili che non risultano
di proprietà di alcuno (c.d. vacanti) spettano al patrimonio dello Stato (ai sensi dell’art. 67 dello Statuto Tren-
tino-Alto Adige, D.P.R. 31.8.1972, n. 670, al patrimonio della Regione). Materia di discussione sono la possi-
bilità e le conseguenze dell’abbandono del fondo da parte del proprietario: VI, 2.2.
14
Si pensi, al riguardo, alla disciplina concernente la relativa tutela penale, significativamente intitolata ai
“delitti contro il sentimento per gli animali”, introdotta, con gli artt. 544 bis ss. c.p., dalla L. 20.7.2004, n.
189, e modificata dalla L. 4.11.2010, n. 201, di ratifica della “Convenzione europea per la protezione degli
animali di compagnia”, Strasburgo, 13.11.1987. Esemplare può essere considerata anche la previsione del-
l’art. 77 L. 28.12.2015, n. 221, che ha integrato l’art. 514 c.p.c., disponendo l’assoluta impignorabilità degli
“animali di affezione o da compagna tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti,
senza fini produttivi, alimentari o commerciali”, nonché degli “animali impiegati ai fini terapeutici o di assi-
stenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli”. In tale ottica, indirizzata a considerare le problema-
tiche concernenti l’animale come estranee a quelle proprie delle “cose” (e v., in Germania, già nel 1990, l’in-
trodotto § 90a BGB, secondo cui, espressamente, gli “animali non sono cose”; parla di “esseri viventi dotati di
sensibilità” l’art. 515-14 code civil, quale inserito nel 2015; l’art. 13 TFUE allude al necessario rispetto delle
esigenze “in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”), si è ipotizzato – secondo un orien-
tamento, per cui v., ad es., Trib. Roma 15-3-2016, tendente ad applicare analogicamente la disciplina concer-
nente i minori, nonché, ad es., Trib. Sciacca 19-2-2019 (ma v., contra, Trib. Milano 27-2-2015) – di disciplinare
specificamente l’“affidamento” dell’animale in caso di separazione, divorzio o morte del proprietario (secon-
do il criterio del suo “maggiore benessere”: PP.DD.LL. n. 795, Camera, XVII legislatura, e n. 16, Camera,
XVIII legislatura). Peraltro, Cass. 25-9-2018, n. 22728, con riferimento al tema della compravendita, con-
sidera – una volta esclusa senz’altro la possibilità di reputarlo quale “soggetto di diritti” – anche l’animale
(pure d’affezione) pur sempre “cosa mobile” in senso giuridico e, in particolare “bene di consumo”. E Cass.
23-10-2018, n. 26770, ha negato la stessa risarcibilità di un danno non patrimoniale per la “perdita, a seguito di
un fatto illecito, di un animale d’affezione”. Comunque, notevole rilevanza sistematica risulta ora destinato ad
assumere il secondo periodo del nuovo art. 93 Cost., quale introdotto dalla L. cost. 1/2022, in cui si prevede
che “la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
15
È da evidenziare come alla ricordata definizione di “bene”, enunciata dall’art. 810, seguisse, nell’abro-
gato – a seguito della soppressione, nel 1944, dell’ordinamento corporativo – art. 811, la previsione per cui “i
beni sono assoggettati alla disciplina dell’ordinamento corporativo in relazione alla loro funzione economica e
alle esigenze della produzione nazionale”: quello che la Relaz. cod. civ., n. 386, definisce quale “criterio fonda-
104 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

8121-2 individua specificamente i beni immobili, mentre beni mobili sono considerati
“tutti gli altri beni” (art. 8123).
Per l’art. 8121, sono beni immobili “il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli
edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto
ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo”. In proposito, è da rilevare
che il termine “alberi” deve essere riferito a tutte le piante che traggono necessariamente
vita dal suolo e che essi diventano beni mobili nel momento in cui si distaccano dal suo-
lo. Immobili vengono anche considerati, ad es., i distributori di carburante, i serbatoi
interrati, nonché le c.d. case mobili, in quanto, ai fini della relativa utilizzazione, devono
essere fissate al suolo (pur se non definitivamente nello stesso luogo), anche per consen-
tirne i necessari allacciamenti.
Sono “reputati” 16 beni immobili, ai sensi dell’art. 8122, i mulini, i bagni e gli altri edi-
fici galleggianti, a condizione che siano saldamente assicurati alla riva o all’alveo e, so-
prattutto, debbano necessariamente esserlo ai fini della loro utilizzazione (si pensi ai ri-
storanti lungo le rive dei fiumi o alle sedi di associazioni sportive fluviali).
I beni mobili vengono identificati in via residuale (art. 8123), essendo ritenuti tali tutti
i beni non rientranti tra quelli considerati immobili (ai sensi dell’art. 8121-2). Le energie
naturali aventi valore economico, come già accennato, risultano espressamente assimilate
ai beni mobili (art. 814).
La disciplina concernente i beni immobili si applica anche ai diritti reali aventi ad og-
getto beni immobili (servitù prediali, superficie, usufrutto relativo ad un immobile, ecc.)
ed alle azioni relative 17. Quella concernente i beni mobili si applica “a tutti gli altri dirit-
ti” (art. 813). Decisiva per l’individuazione della disciplina applicabile è, insomma, la na-
tura dell’oggetto (immobiliare o meno) del diritto: ai fini dell’applicabilità del regime dei
beni mobili opera, dunque, pure per i diritti, il criterio (negativo) della residualità. È da
sottolineare come, anche alla luce di tale disposizione, tra i beni mobili – categoria cui si
ritiene appartenere il danaro – siano da annoverare pure le azioni di società, le obbliga-
zioni e, in genere, i titoli di credito 18.
La distinzione tra beni immobili e mobili ha sempre avuto notevole rilevanza, costi-
tuendo punto di riferimento di una disciplina notevolmente differenziata, essenzialmente
sul presupposto della maggiore importanza economica della proprietà fondiaria. Si trat-
ta, peraltro, di un assetto economico della società ormai da tempo largamente superato,

mentale di distinzione dei beni nel nostro ordinamento, desunto dalla importanza dei beni stessi nell’econo-
mia produttiva della Nazione” (II, 2.10 e VI, 1.1).
16
L’impiego di tale termine da parte dell’art. 8122 induce taluno a parlare, al riguardo, di immobili per de-
terminazione di legge, in contrapposizione agli altri, considerati immobili per natura.
17
L’allusione alle azioni è piuttosto equivoca, dato che esse, in quanto strumento (processuale) per far va-
lere il diritto, non possono essere considerate entità economicamente autonome, non essendo trasferibili se-
paratamente dal diritto cui si riferiscono. Il regime dei beni immobili, quanto all’assoggettamento a trascri-
zione dei relativi contratti, viene applicato dall’art. 2643, n. 2 bis, ai diritti edificatori (VI, 1.9).
18
Ciò era espressamente previsto dall’art. 418 cod. civ. 1865 (che in proposito parlava, nel quadro della
elencazione dei beni mobili, di “mobili per determinazione della legge”) e si ricava attualmente dal combina-
to disposto degli artt. 8123 e 813. Per Cass. 26-5-2000, n. 6957, ad es., anche la quota di una società a respon-
sabilità limitata costituisce “bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro ai
sensi dell’art. 812 c.c., onde ad essa possono applicarsi, a norma dell’art. 813 c.c., le disposizioni concernenti i
beni mobili”.
CAP. 2 – BENI GIURIDICI 105

dato il peso preponderante assunto dall’attività produttiva legata allo sviluppo industria-
le (e, comunque, non connessa allo sfruttamento del suolo, peraltro anch’esso sempre
più dipendente dall’impiego di macchine e da conseguenti consistenti investimenti). A
completare il quadro della c.d. mobilizzazione della ricchezza, poi, è l’accennato caratte-
re di bene mobile – oltre che del danaro – conferito dall’ordinamento agli strumenti giu-
ridici operativi degli investimenti (azioni di società, obbligazioni, titoli di credito, ecc.).
In generale, ci si può limitare qui a sottolineare (rinviando ai diversi luoghi ove le ri-
spettive problematiche saranno trattate) come la disciplina della circolazione dei diritti
concernenti i beni immobili resti persistentemente circondata da maggiori formalità (si
allude, in particolare, alla forma – atto scritto – richiesta per i relativi atti, nonché al com-
plesso sistema, fondato sull’impiego di appositi registri, della pubblicità immobiliare, per
assicurare certezza agli acquisti: artt. 1350 e 2643 ss.), rispetto a quella dei diritti concer-
nenti i beni mobili, senz’altro notevolmente più snella (i relativi atti non richiedono for-
me particolari e la certezza degli acquisti è affidata al possesso: art. 1153) 19.
In relazione alla loro particolare natura (e alla loro rilevanza economica), il codice riser-
va una peculiare disciplina – che li avvicina, in una certa misura, ai beni immobili – a talu-
ne categorie di beni mobili (navi e alcuni altri natanti, aeromobili, autoveicoli e taluni altri
veicoli), per i quali è prevista l’iscrizione in pubblici registri (beni mobili registrati). L’art.
815 prevede che tali beni sono soggetti alle specifiche regole che li riguardano (con riferi-
mento, in particolare, agli effetti del possesso, agli atti, alle garanzie, al sistema della pub-
blicità per quanto concerne la loro circolazione, ecc.). Solo in mancanza di simili regole di
carattere specifico (alcune comuni, altre differenti a seconda della categoria cui appartiene
il bene, dettate dal codice civile e da numerose leggi speciali) si applicano le disposizioni
relative, in genere, ai beni mobili (dato che si tratta pur sempre di beni di tale tipo).

3. Distinzioni ulteriori. – Relativamente alle cose sono operate altre distinzioni, in


quanto ne vengono a dipendere significative differenziazioni della disciplina concernente
i diritti e gli atti che le riguardano.
a) Una prima rilevante distinzione è quella tra cose generiche e cose specifiche. Si defi-
niscono generiche le cose che vengono prese in considerazione semplicemente per la
loro appartenenza ad un genere (ad un certo tipo, cioè, individuato sulla base di caratte-
ristiche comuni: un cane pastore tedesco, una copia di un certo romanzo) 20. Specifi-
che, invece, sono le cose determinate, considerate per la loro individualità (il cane Rex,
la copia del romanzo con una dedica dell’autore) 21.
La distinzione si presenta rilevante in relazione alle regole di circolazione dei beni:
nei contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà di cose generiche (ad
esempio, vendita) non basta, per trasmetterla (con le conseguenze che ne derivano, in par-

19
Conseguentemente diversi risultano anche i diritti reali di garanzia cui possono essere assoggettate le
due categorie di beni: pegno per i mobili (artt. 2784 ss.), ipoteca per gli immobili (artt. 2808 ss.).
20
Si tende a ritenere che proprio la genericità e la fungibilità rappresentino caratteristiche del fenomeno
della c.d. produzione di massa.
21
Si tratta, quindi, di una distinzione fondata non tanto su di un carattere naturale delle cose, quanto sul
modo in cui le cose sono considerate dalle parti, come punto di riferimento dei loro interessi. La distinzione
riguarda essenzialmente i beni mobili, anche se, eccezionalmente, gli stessi beni immobili possono essere con-
siderati genericamente.
106 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

ticolare, sulla sopportazione del rischio del relativo perimento), il semplice consenso (come
per quelle specifiche: art. 1376), ma ne occorre anche la concreta individuazione (o speci-
ficazione) nell’ambito del genere (art. 1378: VIII, 6.7). Per le obbligazioni aventi ad og-
getto cose generiche vale, poi, il principio per cui il debitore deve prestare cose di qualità
non inferiore alla media (art. 1178). Anche la responsabilità del debitore si ritiene atteg-
giarsi diversamente per le cose generiche, dato che la relativa prestazione non può diven-
tare mai impossibile (artt. 1218 e 1256), poiché il genere, in quanto tale, non è suscettibi-
le di perimento (genus numquam perit) 22.
b) Ulteriore distinzione è quella tra cose fungibili e cose infungibili. Essa si fonda sulla
considerazione delle cose come interscambiabili (sostituibili, cioè, le une con le altre, in
quanto di pari utilità). Fungibili sono tutte quelle considerate a peso, numero e misura
(tipicamente tali sono le derrate alimentari ed i prodotti industriali).
È da tenere presente che la qualifica di genericità e quella di fungibilità non corri-
spondono: a seguito della individuazione, la cosa generica viene considerata specifica (in
particolare, in relazione alla sopportazione del relativo rischio di perimento), ma il suo
carattere di fungibilità non viene meno. Significativo, al riguardo, si presenta il prestito
che, a seconda della fungibilità o meno delle cose prestate, è mutuo (art. 1813) o comoda-
to (art. 1803) (IX, 4.6-7). In proposito, è da rilevare come, dopo la consegna, ad es., di un
certo quantitativo di grano, oggetto di contratto di mutuo, la cosa non sia più reputata
generica, essendone avvenuta l’individuazione (il rischio del relativo perimento, da tale
momento, grava sul mutuatario), ma la relativa fungibilità (la interscambiabilità, cioè,
della cosa con altre dello stesso tipo) giustifichi la regola per cui dovranno essere restitui-
te non le stesse cose consegnate, bensì “altrettante cose della stessa specie e qualità”: il
mutuatario potrà dare alle cose a lui consegnate la destinazione che preferisce (le può
soprattutto consumare, onde il mutuo è anche definito quale prestito di consumazione),
essendo tenuto semplicemente a restituire il tantundem eiusdem generis. Nel caso del
comodato, invece, concernendo esso cose considerate come infungibili, il comodatario è
tenuto a restituire, dopo l’uso (il comodato è definito quale prestito d’uso), “la stessa cosa
ricevuta” (art. 1803). La compensazione legale opera per i debiti reciproci relativi, oltre
che al danaro, esclusivamente a cose fungibili (art. 1243).
c) Si distingue, inoltre, tra cose consumabili e cose inconsumabili. Sono consumabili
le cose la cui utilizzazione normale (per soddisfare, cioè, l’utilità in vista della quale sono
prese in considerazione) ne comporta la distruzione quale entità (derrate alimentari, car-
burante, ecc.) 23. Sono inconsumabili quelle che si prestano ad una utilizzazione nor-
male ripetuta nel tempo (libro, mobile, macchinario), anche se, ovviamente, non indefi-
nitamente. La distinzione è rilevante, oltre per quanto dianzi accennato in relazione al
prestito, soprattutto con riguardo all’usufrutto, dato che quando esso concerne cose con-

22
Proprio in relazione alle accennate problematiche, si presenta, a sua volta, come peculiare la disciplina
delle cose appartenenti ad un genere limitato (genus limitatum: bottiglie di vino di una certa qualità, marca ed
annata; cavalli di un certo allevamento).
23
L’art. 996 allude, in modo evocativo, alle cose consumabili come a quelle che si consumano “in un trat-
to”. Tale disposizione si riferisce, contrapponendole alle cose consumabili (e assimilandone, quindi, in so-
stanza, il trattamento a quello delle cose inconsumabili), alle cose deteriorabili (quelle, cioè, che “si deteriora-
no a poco a poco”). Una specifica disciplina è riservata alle cose deteriorabili, sempre in contrapposizione a
quelle consumabili, ad es., in tema di collazione (art. 7502-3) e di mora del creditore (art. 1211).
CAP. 2 – BENI GIURIDICI 107

sumabili (c.d. quasi usufrutto), l’usufruttuario può servirsene (appunto consumandole),


essendo tenuto a pagarne il valore al termine dell’usufrutto (art. 995) (mentre in tutti gli
altri casi l’usufruttuario può servirsi delle cose secondo il loro uso cui sono normalmente
destinate, dovendole restituire, alla fine dell’usufrutto, anche se deteriorate dall’uso, sem-
plicemente nello stato in cui si trovano: cose deteriorabili, art. 996) 24.
d) Importante è anche la distinzione tra cose divisibili e cose indivisibili. A tale fine il
criterio di distinzione ha carattere essenzialmente economico-funzionale (dal punto di vi-
sta strettamente fisico, infatti, tutte le cose si presentano come scomponibili in entità più
semplici). La divisibilità deve considerarsi sussistente quando la cosa può essere scom-
posta in parti omogenee (tra loro diverse solo dal punto di vista quantitativo), idonee allo
stesso uso cui era destinata la cosa intera e solo di utilità e valore proporzionali all’intero
(indivisibile è un quadro, un mobile, un animale vivo).
Le conseguenze della indivisibilità si avvertono, oltre che in materia di obbliga-
zioni (obbligazioni indivisibili, art. 1316), in relazione alla impossibilità di sciogliere la
comunione operando la divisione in modo diretto (attraverso, cioè, una divisione materia-
le), occorrendo una diversa (e più complessa) procedura, che sia atta a salvaguardare
comunque la pluralità degli interessi economici concorrenti sulla cosa (art. 720). L’indi-
visibilità, oltre che essere tale – come negli esempi accennati – per natura, può esserlo per
legge (come, ad es., le parti comuni di un edificio in condominio: artt. 1117 e 1119), ov-
vero per convenzione (quando le parti abbiano considerato indivisibile una cosa che lo
sarebbe, invece, per natura: art. 1316).
e) La distinzione tra cose produttive e non produttive, dipende dall’attitudine della
cosa alla produzione di frutti (II, 2.8). Ad essa è conferita rilevanza, in particolare, con la
previsione di una specifica disciplina della locazione, quando abbia per oggetto il godi-
mento, appunto, di una “cosa produttiva, mobile o immobile” (affitto: artt. 1615 ss.).
f) È da tenere presente come, di recente, l’ordinamento riservi una disciplina sotto
taluni profili peculiare ai c.d. beni di consumo, evidentemente nella prospettiva della
tutela di chi, sul mercato, si presenti nella veste di consumatore (in contrapposizione al
produttore). In proposito, assume particolare rilevanza la specifica e articolata regola-
mentazione della vendita dei beni di consumo, ora disciplinata negli artt. 128 ss. D.Lgs.
6.9.2005, n. 206, codice del consumo (IX, 1.8). Tale provvedimento (art. 3), oltre a in-
dividuare la nozione di “consumatore o utente” (“la persona fisica che agisce per scopi
estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventual-
mente svolta”), contiene anche una generale definizione di “prodotto”, come “qualsia-
si prodotto destinato al consumatore” (con talune precisazioni) 25.

4. Il danaro. – Nelle categorie accennate è usualmente inquadrato anche il danaro.


Esso viene, nella teoria dei beni, correntemente qualificato come cosa mobile, generica,
fungibile, consumabile, divisibile: in realtà, in ogni caso in cui il riferimento a simili cate-
gorizzazioni potrebbe risultare utile, si ritiene necessario, comunque, considerare in ma-

24
La qualifica di consumabilità deve essere distinta da quella di fungibilità: vi sono cose fungibili non consu-
mabili (libri, macchine) e cose consumabili non fungibili (l’ultima bottiglia di vino di una certa annata).
25
L’art. 1282 definisce, in relazione alla specifica disciplina della vendita dei beni di consumo, il “bene di
consumo” come “qualsiasi bene mobile, anche da assemblare” (con alcune eccezioni: beni oggetto di vendita
forzata; acqua e gas non confezionati per la vendita; energia elettrica).
108 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

niera autonoma le problematiche relative al danaro, avvertendosi il bisogno di operare


precisazioni. Ciò emerge, del resto, dallo stesso linguaggio legislativo, in cui si tende a
specificare, di volta in volta, la riferibilità pure al danaro delle regole che prendono in
considerazione gli altri beni secondo determinate categorie 26.
Anche con riguardo a un tipo tradizionale di circolazione monetaria, fondata su pezzi
monetari (monete metalliche e banconote) aventi corso legale (art. 1277), è evidente, infatti,
come questi, a differenza delle altre cose, assumano semplicemente una funzione strumen-
tale, quale espressione, cioè, del valore patrimoniale di cui il soggetto è messo – sulla ba-
se di un ragguaglio numerico (somma) con l’unità valutaria dell’ordinamento valutario
cui i pezzi stessi si riferiscono – in condizione di disporre, nella forma più astratta che
una disponibilità patrimoniale possa rivestire (si parla, con riguardo alla funzione del
danaro quale mezzo di scambio universale, di liquidità). È questo il motivo per cui il da-
naro e le obbligazioni che lo concernono (debiti pecuniari o di somma di danaro: VII,
1.16) ricevono un trattamento differenziato rispetto a qualsiasi altro bene ed ai relativi
rapporti giuridici.
È da tenere presente, poi, come, da una parte, la moneta assolva pure all’essenziale
funzione di generale misura dei valori; dall’altra, il danaro si presenti in una pluralità di
modi nei rapporti che lo riguardano 27. La perdita di peso, nella circolazione monetaria,
degli accennati mezzi tradizionali di pagamento (pur sempre materiali) tende, inoltre, a
rendere sempre più ideale non solo l’unità valutaria (ormai da tempo non definita in
termini di equivalenza con una determinata quantità di metallo prezioso), ma anche lo
stesso strumento di circolazione della moneta. Si tratta del fenomeno della c.d. smate-
rializzazione della moneta e del relativo trasferimento (quale moneta scritturale o bank
money), che avviene oggi prevalentemente sul piano contabile, cioè attraverso sistemi
che si avvalgono delle tecnologie maggiormente aggiornate (in proposito, si parla corren-
temente di moneta elettronica) 28.

5. Rapporti di connessione tra le cose. Le pertinenze. – In relazione ai diritti ed


agli atti che le concernono, assume notevole rilevanza la considerazione unitaria o meno
delle cose, sulla base dei collegamenti tra di esse, naturali od opera dell’uomo.

26
Così, ad es., in tema di compensazione, si allude a “debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o
una quantità di cose fungibili dello stesso genere” (art. 12431) e nella definizione del mutuo si parla di conse-
gna di “una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili” (art. 1813).
27
Basti qui solo accennare al diverso modo di atteggiarsi del danaro come mezzo di pagamento e come ca-
pitale (in tale ultima veste presentandosi sicuramente tutt’altro che consumabile ed assumendo, invece, so-
prattutto nelle moderne economie, un carattere produttivo).
28
Sui complessi problemi legati all’emissione della moneta elettronica – definita come “il valore monetario
memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei con-
fronti dell’emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento … e che sia accettato da persone fisi-
che e giuridiche diverse dall’emittente” (art. 12h-ter) – v. il titolo V-bis D.Lgs. 1.9.1993, n. 385, introdotto dalla L.
1.3.2002, n. 39, poi sostituito dal D.Lgs. 16.4.2012, n. 45. Di grande attualità è la discussione in ordine alla natu-
ra delle valute virtuali (c.d criptovalute, quale, ad es., il bitcoin), definite come “la rappresentazione digitale di
valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a
una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di
investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente” (art. 12qq, D.Lgs. 21.11.2007, n. 231, quale mo-
dificato dal D.Lgs. 25.5.2017, n. 90 e dal D.Lgs. 4.10.2019, n. 125, significativamente prese in considerazione nel
contesto della disciplina tendente alla prevenzione e repressione del fenomeno del riciclaggio).
CAP. 2 – BENI GIURIDICI 109

Si reputa cosa semplice quella che empiricamente risulta tale, dato che l’integrazione
degli elementi (in cui qualunque cosa risulta pur sempre tecnicamente scomponibile)
che la compongono ha fatto perdere la loro individualità (animale, forma di pane, coper-
ta). Nella cosa composta, invece, gli elementi che concorrono a formarla conservano la
propria individualità materiale, essendo possibile la relativa scomposizione, ma si presen-
tano come complementari, onde consentire alla cosa di svolgere la sua funzione tipica
(ruote, sterzo, proiettore, scocca, carburatore e moltissimi altri elementi compongono
un’automobile). È da sottolineare come decisiva non sia la unione materiale dei diversi
elementi, bensì la necessaria complementarietà economica, rilevante risultando la relativa
unitarietà funzionale (ciascun elemento è parte della cosa composta). Cosa composta, co-
sì, è – secondo quanto, del resto, emerge anche dal linguaggio comune – un paio di
guanti: manca, almeno secondo la normale destinazione economica della cosa (e, quindi,
nella considerazione sociale cui l’ordinamento si adegua), almeno finché una simile de-
stinazione viene conservata, l’individualità economica dei singoli elementi (con la conse-
guente autonomia giuridica). La distinzione in questione assume, comunque, scarso ri-
lievo, dato che anche le cose composte, come quelle semplici, costituiscono oggetto uni-
tario dei diritti e degli atti che li concernono.
Il codice civile ha ritenuto opportuno definire il rapporto che si può venire ad instau-
rare tra cosa principale e cosa accessoria, precisando la nozione di pertinenza, nonché le
conseguenze, sul piano giuridico, di un simile eventuale rapporto di connessione tra
cose. La connessione per accessorietà si ha, appunto, quando tra più cose si venga ad
instaurare un rapporto caratterizzato dall’essere l’una cosa principale e l’altra accesso-
ria, pur conservando esse una propria individualità materiale ed economica (in ciò con-
sistendo la differenza rispetto alla relativa confluenza nella cosa composta) 29, con la
conseguenza di far seguire, almeno in linea di massima, alla cosa accessoria le vicende
di quella principale 30.
Per l’art. 8171, pertinenze sono “le cose destinate in modo durevole a servizio o ad
ornamento di un’altra cosa”. La cosa non perde, quindi, la sua individualità e autono-
mia 31: ai fini della ricorrenza del concetto di pertinenza è determinante la instaurazione

29
Taluno distingue, nel quadro della accessorietà, la incorporazione dalla pertinenza, sotto il profilo, nel
primo caso, della compenetrazione materiale di una cosa con un’altra, pur in assenza di quella complementa-
rietà necessaria che caratterizza la cosa composta (statua nella nicchia predisposta nella casa). Il regime pro-
spettato a seguito dell’incorporazione (in cui dominerebbe l’idea di completezza), data la supposta perdita, da
parte della cosa incorporata, della propria oggettività economica, sembra peraltro finire sostanzialmente col
coincidere con quello della cosa composta.
30
È da tenere presente che se le pertinenze vengono senz’altro ricondotte al concetto di accessorietà, non
si manca di considerare non del tutto coincidenti i due concetti, reputando più ampio quello di accessorietà,
fino a comprendervi anche i frutti. Nell’incertezza concettuale dei rapporti tra le categorie in questione – la
stessa Cassazione talvolta (21-1-1972, n. 160) è parsa assumere un concetto di cosa accessoria come “parte in-
tegrante della cosa principale”, tale da risultarne funzionalmente inscindibile; talvolta ha reputato, invece,
meno stretto di quello pertinenziale il vincolo che lega la cosa accessoria alla principale (18-1-1969, n. 101),
con conseguente inapplicabilità del relativo regime – il legislatore, pur menzionandole distintamente, tende
ad accomunarle, comunque, nel trattamento. Così, in tema di obbligazioni del venditore, per l’art. 14772, “la
cosa deve essere consegnata insieme con gli accessori, le pertinenze e i frutti dal giorno della vendita” (in
uguale prospettiva si pongono l’art. 2912, in materia di estensione del pignoramento, nonché l’art. 559 c.p.c.,
a proposito dell’obbligo di custodia dell’immobile pignorato).
31
La Relaz. cod. civ., n. 390, evidenzia che “le pertinenze non diventano parti della cosa principale ma
110 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

di un legame di carattere economico-giuridico (per cui la pertinenza vale a conferire alla


cosa principale maggiore utilità e/o pregio). L’esistenza di un legame anche materiale,
peraltro, non ne esclude necessariamente la configurabilità: pertinenza è considerato, co-
sì, lo scaldabagno, ancorché congiunto al muro dell’abitazione (parti essenziali della cosa
composta sono reputati, invece, l’ascensore e la caldaia dell’edificio in cui sono istallati,
così come le imposte sulle finestre). Il rapporto di connessione funzionale instaurato –
essendo richiesta una destinazione durevole – deve, inoltre, essere stabile e non legato ad
esigenze di carattere occasionale (come gli ornamenti apportati ad edifici in occasione di
particolari eventi) 32.
Il rapporto di pertinenza può intercorrere tra cose mobili (cornice e quadro, piedi-
stallo e statua), tra cosa mobile e cosa immobile (antenna televisiva ed edificio), tra cose
immobili (la cantina rispetto all’appartamento, un’area adibita a stenditoio o a parco
giochi rispetto all’edificio) 33. Un peculiare rapporto di pertinenza è stato legislativamen-
te disciplinato con riferimento alle aree di parcheggio rispetto agli edifici 34. Partico-
larmente importanti, anche sul piano storico, sono i rapporti pertinenziali in campo pro-
duttivo: si tratta della pertinenza agricola (comprendente le scorte vive e le scorte morte,
cioè gli animali, le attrezzature, le sementi e tutto ciò che si presenta come necessario alla
conduzione del fondo) e della pertinenza industriale (l’attrezzatura di una miniera; i
macchinari, ma solo nel caso che l’immobile assuma una funzione preminente sul piano
economico-produttivo).

conservano la loro individualità giuridica, nella stessa guisa che conserva la propria individualità ciascuna co-
sa mobile nella universalità di mobili”.
32
I requisiti soggettivi e oggettivi caratterizzanti il vincolo pertinenziale sono sintetizzati da Cass. 16-5-2018,
n. 11970, in cui si accenna, in particolare, al “requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i
due beni, ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare un’utilità a quello principale, e non al proprietario
di esso”.
33
Si tenga presente che “la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie che la differenzia-
no da quella civilistica, dal momento che il manufatto … deve essere anche sfornito di autonomo valore di
mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare il c.d.
carico urbanistico” (con conseguente necessità, per la relativa realizzazione, di “conseguire il permesso di co-
struire”: Cons. Stato sez. VI, 4-1-2016, n. 19).
34
In materia di parcheggi privati (tali sono da intendere i posti auto scoperti, i boxes ed i garages), si è distinto
tra obbligatori, facoltativi e liberi. Parcheggi obbligatori sono definiti quelli che devono essere necessariamente
previsti nelle nuove costruzioni (a partire dalla L. 6.8.1967, n. 765). Dalla L. 28.2.1985, n. 47 era stato considera-
to derivarne un vincolo pertinenziale di carattere legale (e un diritto reale d’uso in favore dei condomini): tale con-
figurazione è risultata superata, però, dalla L. 28.11.2005, n. 246, la quale ha stabilito che gli spazi di parcheggio
realizzati ai sensi della legislazione in questione “non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritti
d’uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse” (disciplina,
questa, che Cass. 24-2-2006, n. 4264, negatone il carattere interpretativo o, comunque, retroattivo, ha reputato
“destinata ad operare solo per il futuro, e cioè per le costruzioni non ancora realizzate o per quelle realizzate, ma
per le quali non siano iniziate le vendite delle singole unità immobiliari”). Parcheggi facoltativi sono quelli realiz-
zati in base alla c.d. legge Tognoli (L. 24.3.1989, n. 122), con particolari agevolazioni urbanistiche e civilistiche
(in relazione alle maggioranze necessarie per le relative delibere condominiali istitutive). Il trasferimento della
loro proprietà separatamente da quella dell’unità immobiliare di cui costituiscono pertinenza (anch’essa di carat-
tere legale) è vietato (con conseguente nullità dell’atto con cui tale operazione è effettuata: Cass. 16-2-2012, n.
2248). I parcheggi liberi, che sono quelli non rientranti nelle due tipologie precedenti, non si presentano assog-
gettati a particolari vincoli, restando pienamente sottoposti alla disciplina generale del codice civile, al pari di
qualsiasi altra pertinenza immobiliare. Le diverse tipologie di parcheggi privati, alla luce della evoluzione del
quadro legislativo, sono con precisione individuate da Cass. 1-8-2008, n. 21003.
CAP. 2 – BENI GIURIDICI 111

Essenziale, perché sorga il rapporto di pertinenza, è la destinazione, la quale può


essere effettuata esclusivamente dal proprietario della cosa principale (o dal titolare di
un diritto reale su di essa) (art. 8172). Si ritiene trattarsi non di un atto negoziale, ma di
un atto giuridico in senso stretto. Perché si abbia la costituzione del rapporto occorre che
il proprietario della cosa principale sia tale anche della cosa accessoria.
Circa la rilevanza del rapporto pertinenziale, l’art. 8181 prevede che gli atti e, in gene-
re, i rapporti giuridici concernenti la cosa principale comprendono anche le pertinenze,
salvo che non sia diversamente disposto. La vendita ed il legato della cosa principale, co-
sì, comprendono anche le pertinenze (artt. 14772 e 6671). Per escludere la operatività di
tale regola occorre una inequivoca manifestazione di volontà. Le pertinenze, peraltro,
poiché conservano la loro individualità giuridica, possono formare oggetto di atti e rap-
porti separatamente dalla cosa principale (art. 8182). La cessazione del rapporto pertinen-
ziale non è opponibile ai terzi, salvo che non sia avvenuta prima dell’acquisto, da parte
loro, di diritti sulla cosa principale (tale cessazione può avvenire, in particolare, con
l’alienazione separata delle pertinenze rispetto alla cosa principale) (art. 8183). I diritti di
terzi sulla cosa non possono essere pregiudicati dalla sua destinazione a pertinenza (da
parte del proprietario dei beni coinvolti nel vincolo). Tuttavia, se la cosa principale è un
immobile (o un mobile registrato), tali diritti sono opponibili agli acquirenti (della cosa
principale) in buona fede solo ove risultino da scrittura privata avente data certa anterio-
re al loro acquisto (art. 819).

6. Le universalità. – Il rapporto di connessione tra le cose risulta più attenuato nel ca-
so di universalità di mobili, anche se esso rileva per l’ordinamento sotto taluni profili: ad
un simile insieme di beni, infatti, viene riservato un trattamento giuridico, almeno sotto
certi profili, diverso da quello previsto, in via generale, per i beni mobili (e che si acco-
sta, per certi versi, addirittura a quello degli immobili).
Le universalità di mobili (tradizionalmente definite universalità di fatto: universitates
facti) sono definite dall’art. 8161 come “pluralità di cose che appartengono alla stessa
persona e hanno una destinazione unitaria”. Si tratta di complessi di cose – che si ritiene
dover essere omogenee – le quali conservano in pieno la propria individualità e autono-
mia economico-funzionale (e, di riflesso, giuridica). Esempi tradizionali e tipici sono rap-
presentati da un gregge, una biblioteca, una collezione di quadri o di francobolli (il ca-
rattere di unificazione tra le cose che ne fanno parte risulta significativamente già dal-
l’impiego di una specifica terminologia per indicare l’insieme). Il collegamento (giuridi-
camente rilevante) tra le cose deriva, innanzitutto, dalla comune appartenenza ad uno stesso
soggetto. Occorre, poi, la relativa destinazione unitaria (da intendere come destinazione
economico-funzionale), la quale sembra – pur nel silenzio della legge – poter essere im-
pressa solo dal proprietario, in quanto solo soggetto competente a scegliere e ad impri-
mere alle cose la relativa destinazione economica (anche se taluni ritengano a ciò legitti-
mato pure il possessore in quanto tale).
Il tratto unificante delle cose, che conservano la propria identità in modo più marca-
to che nel caso dell’accessorietà (mancando il rapporto di subordinazione economica tra
cosa principale e cosa accessoria), è dato dalla funzione complessiva che esse sono chia-
mate a svolgere a seguito dell’atto di organizzazione del soggetto che imprime la co-
mune destinazione. A seguito di tale organizzazione funzionale, il complesso di beni assume,
112 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

per l’ordinamento, una propria distinta fisionomia economico-giuridica (quale bene, in-
somma, considerato autonomo) 35, in quanto valutato come idoneo a realizzare uno specifi-
co interesse, ulteriore rispetto a quello soddisfatto dai singoli beni che ne fanno parte.
Con una regola simile a quella dettata in tema di pertinenze, l’art. 8162 prevede che le
singole cose facenti parte dell’universalità di mobili possono formare oggetto di separati
atti e rapporti giuridici. L’universalità di mobili si atteggia, in quanto tale, come possibile
autonomo oggetto di atti dispositivi (vendita, legato) e la sua disciplina, come bene com-
plessivo, tende a discostarsi da quella dei beni mobili. Essa risulta, così, in larga misura
assimilata agli immobili sotto il profilo possessorio: si estende alla sua tutela l’azione di
manutenzione (art. 1170); la regola possesso vale titolo (art. 1153) non si applica (art.
1156); l’usucapione è disciplinata, in sostanza, come per gli immobili (art. 1160). Regole
particolari concernono, poi, l’usufrutto della mandria e del gregge (art. 994).
Dalle universalità di mobili (o di fatto) si distinguono le universalità di diritto (uni-
versitates iuris). La considerazione unitaria di un complesso di beni non si presenta qui
quale conseguenza di un atto di destinazione economica e organizzazione funzionale del
proprietario, bensì di una valutazione normativa, la quale, alla luce di peculiari esigenze,
vale a imprimere una destinazione unitaria ad una serie di rapporti della più diversa na-
tura. L’universalità di diritto comprende, insomma, situazioni giuridiche soggettive atti-
ve e passive assolutamente non omogenee (relative a beni mobili e immobili, diritti reali
e di credito, così come obblighi), quando il legislatore reputi opportuno, per certi aspet-
ti, unificarne il regime.
La ricorrenza della figura viene correntemente individuata nell’eredità (esempio ti-
pico e, per molti, unico di universalità di diritto, di cui, non a caso, non si manca di con-
testare non solo l’accostamento alle universalità di fatto, ma anche la possibilità di assu-
merla come figura di carattere generale). Non solamente il patrimonio ereditario è tra-
sferito nella sua globalità all’erede (si parla, infatti, di successione in universum ius), ma
la sua gestione unitaria è assicurata prima dell’accettazione (artt. 528 ss.), la tutela ne è
pure unitaria (art. 533) e ne è possibile la vendita come bene unico (artt. 1542 ss.), addi-
rittura con specifici requisiti di forma (art. 1543).

7. Azienda. – Taluni annoverano, quale universalità di diritto, anche l’azienda , de-


finita dall’art. 2555 come “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’eser-
cizio dell’impresa”. Proprio in considerazione della rilevanza dell’intervento di organiz-
zazione, atto ad imprimere ai beni una nuova e specifica funzione economica, altri prefe-
riscono un accostamento dell’azienda alle universalità di fatto (che troverebbe, del resto,
espressa conferma nell’art. 670, n. 1, c.p.c., il quale, a proposito del sequestro giudizia-
rio, allude a “aziende o altre universalità di beni”) 36. Si tende, comunque, a precisare che
l’azienda, rispetto ad ogni altra universalità, risulta avere caratteristiche peculiari.

35
È stato, al riguardo, sottolineato come, nell’universalità di mobili, i singoli beni concorrano a formare
un nuovo bene senza perdere la loro rilevanza individuale, continuando a costituire oggetto di distinti diritti
autonomamente tutelabili. Significativo del carattere di bene autonomo della universalità di mobili risulta
l’art. 27842, concernente la relativa assoggettabilità a pegno.
36
All’azienda come “pluralità di beni unificata da una attività di organizzazione”, con la conseguente
“possibilità di negozi giuridici” che l’abbia ad oggetto “quale entità produttiva autonoma distinta dagli stessi
beni aziendali singolarmente considerati”, allude Cons. Stato, sez. IV, 29-2-2016, n. 811.
CAP. 2 – BENI GIURIDICI 113

Alla luce dell’art. 2555, l’azienda, quale complesso di beni, si distingue dall’impresa,
consistente nell’attività economica in vista del cui esercizio un simile complesso di beni è
organizzato dall’imprenditore (II, 6.2).
In ogni caso, è da sottolineare come il codice detti regole specifiche relativamente a
tale figura (nella prospettiva, appunto, di complesso di beni unitariamente considerato
e da preservare nella sua autonoma rilevanza economica). Ciò, in particolare, per quan-
to concerne l’alienazione (da provare per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabi-
lite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che la compongono: art. 25561),
comportante un fenomeno di successione in tutti i rapporti giuridici (contratti, crediti,
debiti) ad essa attinenti (artt. 2558 ss.), nonché l’usufrutto (art. 2561) e l’affitto (art.
2562) 37.

8. Frutti. – Tra i beni, il codice disciplina i frutti, distinguendoli in frutti naturali e


frutti civili. Anche se, tradizionalmente, si reputa possibile abbracciare ambedue le figu-
re in una nozione unitaria 38, si sottolinea spesso la profonda disomogeneità della catego-
ria. Una simile disomogeneità risulta già a prima vista palese, trattandosi, nel primo caso,
di cose materiali derivanti fisicamente dalla cosa madre, nel secondo, invece, di un reddi-
to pecuniario che si trae da rapporti giuridici concernenti il bene.
Sono considerati frutti naturali quelli che provengono dalla cosa direttamente, con o
senza l’intervento dell’uomo (quelli, insomma, che la cosa produce in senso naturalisti-
co) (art. 8201). Nell’idea di fruttificazione si tende a ritenere insita la conservazione della
cosa madre nella sua sostanza e nella sua idoneità alla produzione normale e ricorrente
(reditus) di cose economicamente apprezzabili. Peraltro, la disposizione ricordata, po-
nendo accanto ad esempi come “i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali” quello
dei “prodotti delle miniere, cave e torbiere”, ha sicuramente allargato la nozione di frut-
to rispetto ad una simile idea, non trattandosi, in tale ultimo caso, di produzione, ma di
sfruttamento che, progressivamente (anche se in tempi indubbiamente lunghi), impove-
risce la stessa cosa madre.
I frutti naturali seguono la sorte della cosa fruttifera fino alla separazione (art. 8202),
ne fanno, cioè, parte fino a tale momento, che segna il momento dell’acquisto (come be-
ne autonomo) da parte dell’avente diritto. È possibile, tuttavia, disporre di essi prima
della separazione come cose mobili future (art. 8202), con applicazione, per la relativa
vendita, dell’art. 1472, relativo, appunto, alla vendita di cose future. La separazione – il
distacco dalla cosa madre, sia esso naturale ovvero opera dell’uomo – vale a determinare
una autonoma identità giuridica dei frutti, facendo sorgere un diritto di proprietà su di

37
Circa la discussa configurabilità di un possesso dell’azienda nella sua unitarietà (con conseguente am-
missibilità della relativa tutela possessoria con l’azione di manutenzione), Cass., sez. un., 5-3-2014, n. 5087,
una volta reputata decisiva “l’oggettività dell’azienda, considerata unitariamente come oggetto di diritti”, ha
ritenuto, “ai fini della disciplina del possesso e dell’usucapione”, “l’azienda … bene distinto dai singoli com-
ponenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e … usucapito”. È da sottolineare come la peculiarità
dell’azienda con riferimento al fenomeno successorio risulti, in considerazione della rilevanza della sua fun-
zione economica, alla base del nuovo istituto del patto di famiglia (XII, 3.7).
38
Considerandosi frutto tutto ciò che una cosa rende o di per sé o attraverso rapporti giuridici che ad essa
si riferiscono, si valorizza, quale tratto comune, l’idea di proventi normali economicamente apprezzabili della
cosa stessa (che troverebbe anche una testuale conferma nell’art. 1499, in cui si parla, a proposito degli inte-
ressi compensativi, di “cosa che produca frutti o altri proventi”).
114 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

essi. Tale proprietà spetta al proprietario della cosa fruttifera (art. 8211), salvo che spetti
ad altri soggetti quale effetto di un diritto di godimento vantato relativamente alla cosa
madre (o in virtù della vendita che dei frutti sia stata fatta come cosa futura, ai sensi
dell’art. 14721).
Vale il principio per cui chi fa propri i frutti deve, entro il limite del relativo valore,
comunque rimborsare colui che abbia fatto spese per la produzione ed il raccolto (artt.
8212 e 1149; per l’usufrutto, nei rapporti tra usufruttuario e proprietario in caso di suc-
cessione nel godimento della cosa fruttifera nel corso del periodo produttivo, vale la re-
gola specifica dell’art. 984). È da tenere presente come la disciplina relativa ai frutti, nel
caso in cui il possessore debba restituire la cosa, abbia riguardo alla sua buona o mala fe-
de (art. 1148) 39.
Per frutti civili (categoria reputata già di per se stessa disomogenea) si intendono
quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che ne sia attribuito
ad altri (quindi indirettamente, come effetto, cioè, di un rapporto giuridico di cui la cosa
sia oggetto, diventando, così, fonte di reddito). L’art. 8203 elenca – non tassativamente,
trattandosi di una elencazione di carattere solo esemplificativo – gli interessi dei capitali, i
canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, nonché il corrispettivo delle lo-
cazioni 40. Anche i frutti civili, come quelli naturali, spettano al proprietario della cosa
fruttifera, ovvero a chi abbia un diritto di godimento sulla cosa medesima. Il loro acqui-
sto avviene a seguito della relativa maturazione (essi, infatti, si acquistano “giorno per
giorno, in ragione della durata del diritto” a percepirli: art. 8213) 41.

9. Patrimonio. – Il patrimonio viene correntemente inteso come l’insieme delle si-


tuazioni giuridiche di rilevanza economica, di cui il soggetto è titolare. Ne restano, quin-
di, esclusi i diritti di natura non patrimoniale.
Esso, finché la persona è vivente, non viene considerato dall’ordinamento quale uni-
tario possibile oggetto di vicende giuridiche. Specifico apprezzamento unitario (quale
universitas iuris), secondo quanto si è visto (II, 2.6), è riservato a seguito della morte, in-
vece, al patrimonio ereditario. Una considerazione in prospettiva di unitarietà dell’in-
sieme delle situazioni giuridiche di cui il soggetto risulti titolare indubbiamente si ricol-
lega, comunque, alla previsione del principio per cui ciascuno risponde dell’adempi-
mento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 27401, intito-
lato alla responsabilità patrimoniale) 42. Una rilevanza del patrimonio del soggetto nel suo
complesso sembra, del resto, anche emergere, in particolare, dalla disciplina dell’azione
revocatoria (art. 2901). È da tenere presente come, nel suo significato economico (a diffe-

39
Si è posto in evidenza come, in realtà, proprio alla luce dell’art. 1148, per cui chi possiede in buona
fede la cosa madre fa suoi i frutti naturali separati ed i frutti civili maturati fino al momento della domanda
giudiziale, sul titolare del diritto di godimento prevalga, appunto, il possessore di buona fede.
40
È controverso se possano essere considerati frutti civili anche i dividendi delle azioni.
41
Per cui, come evidenzia la giurisprudenza (già, ad es., Cass. 27-1-1964, n. 191), ai fini del calcolo del-
l’ammontare dei frutti civili (e, in particolare, degli interessi), si procede dividendo l’importo complessivo
annuale per il numero dei giorni che compongono l’anno (365) e moltiplicando, poi, il quoziente per il nume-
ro di giorni di durata del diritto alla percezione dei frutti stessi.
42
Come si è accennato (II, 2.1), a seconda che le cose siano o meno nel patrimonio di qualcuno (solo quelle
mobili, data la regola dell’art. 827 per gli immobili), si distinguono in cose in o fuori patrimonio.
CAP. 2 – BENI GIURIDICI 115

renza, quindi, che in quello giuridico dianzi accennato), il patrimonio tenda ad essere con-
siderato al netto, dedotte, cioè, le passività.
Ogni soggetto ha un solo patrimonio nel senso indicato, ma l’ordinamento riserva,
talvolta, una considerazione peculiare a talune situazioni giuridiche facenti capo al sog-
getto, tenendole distinte dalle altre di cui egli sia titolare: ciò essenzialmente ai fini del-
l’atteggiarsi della sua responsabilità patrimoniale. In vista della rilevanza di specifiche esi-
genze, il legislatore consente, insomma, che a taluni rapporti giuridici del soggetto venga
impressa una peculiare destinazione (si parla, infatti, al riguardo, di patrimoni di desti-
nazione), dandosi vita, così, in particolare, a quelli che vengono definiti patrimoni se-
parati 43. Ne risulta conseguentemente alterata l’operatività dell’accennato principio della
responsabilità patrimoniale (di cui all’art. 27401), dato il diverso trattamento riservato ai
creditori, a seconda della inerenza o meno delle obbligazioni del soggetto nei loro con-
fronti al perseguimento delle esigenze avute di mira. Si deve, allora, ritenere che – nono-
stante un consistente indirizzo esegetico tendente a valorizzare, al riguardo, l’autonomia
degli interessati – spetti esclusivamente al legislatore la previsione delle ipotesi in cui ciò
possa avvenire, sulla base di una valutazione e di un bilanciamento degli interessi in gio-
co (come sembra confermato, del resto, dall’art. 27402, secondo cui “le limitazioni della
responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”).
Esempi significativi del fenomeno in questione sono offerti: dalla destinazione di beni
che avviene con la costituzione del fondo patrimoniale (artt. 167 ss.: V, 2.13), con conse-
guente trattamento differenziato dei creditori (a seconda dell’essere stati essi a cono-
scenza o meno dell’inerenza del debito contratto al soddisfacimento di bisogni della fa-
miglia: art. 170); dai fondi speciali per la previdenza e l’assistenza (art. 2117); dalla pos-
sibile costituzione, da parte di una società per azioni (e ora anche da parte degli “enti
del Terzo settore dotati di personalità giuridica ed iscritti nel registro delle imprese”: art.
10 D.Lgs. 3.7.2017, n. 117), di patrimoni destinati ad uno specifico affare (artt. 2447 bis
ss.). La crescente propensione del legislatore per il ricorso alla tecnica della separazione pa-
trimoniale risulta indubbiamente attestata dalla – discussa sotto molteplici profili – inser-
zione nel codice dell’art. 2645 ter (con la L. 23.2.2006, n. 51, di conv. del D.L. 30.12.2005,
n. 273), con cui sono stati regolati – ammettendo la possibilità della relativa trascrizione
onde rendere opponibile ai terzi il vincolo che ne deriva (XIV, 2.11) – gli effetti degli atti di
destinazione di beni immobili (o mobili registrati), finalizzati alla “realizzazione di interessi
meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad
altri enti o persone fisiche, ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma” 44.

43
Di patrimonio autonomo, poi, si parla tradizionalmente con riferimento alla considerazione unitaria, da
parte del legislatore, di un complesso di rapporti non collegati ad un soggetto cui sia riconosciuta una distinta
capacità giuridica (in particolare, nel caso che essi facciano capo ad una pluralità di soggetti, non elevata dal-
l’ordinamento, appunto, al rango di soggetto in senso giuridico). A tale categoria si tendeva a ricondurre il fondo
comune delle associazioni non riconosciute, in una prospettiva, peraltro, ormai superata (IV, 3.1 e 3.9). Al con-
cetto di patrimonio autonomo viene riferita da taluni anche l’eredità accettata col beneficio d’inventario (artt. 484
ss.), da altri, invece, considerata – a testimonianza dell’incertezza esistente nella delimitazione delle categorie in
questione – esempio di patrimonio separato.
44
Alla figura dell’art. 2645 ter, accomunandola ad altre figure (come trust e “fondi speciali, composti di
beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario”), allude la L.
22.6.2016, n. 112, finalizzata all’“assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno fa-
miliare” (c.d. “dopo di noi”). Sulla figura del trust nel nostro ordinamento, VIII, 3.17.
116 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

10. Beni pubblici. – Nell’intento di offrire un quadro tendenzialmente completo dei


rapporti economico-sociali, il codice civile non ha mancato di delineare anche la partico-
lare condizione giuridica dei beni appartenenti allo Stato ed agli enti pubblici. Al riguar-
do, peraltro, il codice si limita a prospettare alcuni principi di fondo, rinviando per la
disciplina specifica – necessariamente articolata e complessa, oltre che prevedibilmente
in continua evoluzione, in uno Stato che andava progressivamente accrescendo il pro-
prio ruolo nell’economia – alla legislazione settoriale dettata in materia 45.
Dai principi enunciati dal codice (che qui pare il caso semplicemente di accennare,
costituendo la materia oggetto di approfondimento da parte delle discipline pubblicisti-
che e, in particolare, del diritto amministrativo), si può, in linea di massima, ricavare
come, fermo restando che non tutti i beni sono suscettibili di essere indifferentemente
pubblici o privati, ad assumere rilievo, più che la possibilità di appartenenza dei beni, sia
la peculiarità delle regole disciplinanti il relativo regime in caso di appartenenza a sogget-
ti diversi dai privati 46. In proposito, pare anche opportuno rilevare come, nel risultare
decisive per determinare il carattere di bene pubblico, ad un tempo, l’appartenenza al-
lo Stato o ad un ente pubblico e l’attitudine del bene all’immediato soddisfacimento di
un interesse pubblico, non sempre interessi di carattere generale siano soddisfatti da beni
pubblici. Interessi di tal genere possono essere soddisfatti, infatti, attraverso una peculia-
re regolamentazione del loro godimento e della loro circolazione, pure da beni di pro-
prietà privata, appunto per questo identificati come beni di interesse pubblico 47.
Proprio l’attenzione alla natura degli interessi che gravitano intorno al bene, consideran-
do, in particolare, la relativa funzionalità allo sviluppo della persona (anche nella pro-
spettiva delle esigenze delle generazioni future), non manca, poi, di indurre a delineare,
con peculiari caratteristiche tipologiche, la categoria dei beni comuni 48.

45
Nell’originaria sistematica del codice civile, alla luce dell’ideologia politico-economica del regime fasci-
sta del tempo, assumeva un peso rilevate, nel contesto della disciplina complessiva dei beni, l’art. 811, relativo
ai beni interessanti l’ordine corporativo: beni sottoposti, appunto, alla peculiare disciplina dell’ordinamento
corporativo, “in relazione alla loro funzione economica e alle esigenze della produzione nazionale” (II, 2.2).
In sostanza, si veniva, così, a delineare, come si legge nella Relaz. cod. civ., n. 386, una contrapposizione fon-
data non sull’appartenenza (anche, quindi, eventualmente privata) dei beni, ma sull’interessare essi “la pro-
duzione nazionale” o servire “all’uso o al godimento individuale”. La norma fu abrogata dal D.Lgs.Lgt.
14.9.1944, n. 287. Alla definizione generale del regime di appartenenza dei beni provvede, ora, l’art. 421 Cost.
(per talune particolari categorie dei quali dispongono gli articoli successivi), sancendo il principio secondo
cui “la proprietà è pubblica o privata” e “i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati”, con
ciò intendendo evidentemente evitare, come scelta di fondo in materia economica, preclusioni di principio in
ordine all’appartenenza dei beni a seconda della loro funzione economico-produttiva (e facendosi salva, ov-
viamente, l’articolazione della relativa disciplina) (VI, 1.1).
46
La Relaz. cod. civ., n. 392, dopo avere delineato la disciplina (dianzi esaminata) dei beni in generale, sot-
tolinea, appunto, che “l’appartenenza di beni allo Stato, ad altri enti pubblici e agli enti ecclesiastici determi-
na per taluni di questi beni un regime particolare”.
47
Un esempio significativo è offerto dall’art. 839 per i b e n i d ’ i n t e r e s s e s t o r i c o e a r t i s t i c o , che rin-
via alle leggi speciali in materia la specificazione delle regole finalizzate a consentire, nel caso di “cose di pro-
prietà privata, immobili o mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico”, il
contemperamento delle ragioni del proprietario col rispetto delle esigenze della collettività legate alla conser-
vazione, fruizione e valorizzazione di simili beni (la cui disciplina è ora contenuta nel D.Lgs. 22.1.2004, n. 42,
codice dei beni culturali e del paesaggio: II, 2.1).
48
Facendo leva sugli artt. 2, 9 e 42 Cost., con la conseguente “esigenza interpretativa di ‘guardare’ al tema
dei beni pubblici oltre una visione prettamente patrimoniale-proprietaria per approdare ad una prospettiva
CAP. 2 – BENI GIURIDICI 117

Taluni beni fanno parte del demanio pubblico (beni demaniali) per necessità,
in quanto non ne è ammessa l’appartenenza a privati (c.d. demanio naturale o necessa-
rio): lido del mare, spiagge, rade e porti, fiumi, torrenti, laghi e altre acque definite pub-
bliche dalle leggi in materia, opere destinate alla difesa nazionale (art. 8221). Fanno parte
del demanio pubblico, solo se appartenenti allo Stato (o ad altri enti pubblici territoriali:
art. 824) (c.d. demanio artificiale o accidentale) i numerosi altri beni elencati nell’art. 8222
(tra cui: strade, strade ferrate, aerodromi, immobili di interesse storico, archeologico e
artistico, raccolte dei musei), che si riferisce, in genere, anche agli “altri beni che sono
dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico”.
I beni demaniali sono inalienabili e possono formare oggetto di diritti di terzi solo nei
modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 8231) (si pensi alle concessioni
a privati del lido del mare per la realizzazione di stabilimenti balneari, ovvero di superfi-
ci marine o lacustri per impianti di acquicoltura) 49. L’autorità amministrativa, cui com-
pete la tutela di tali beni, può provvedere a tale tutela o in via amministrativa (con gli
strumenti pubblicistici, cioè, appositamente previsti), ovvero avvalendosi dei mezzi in via
generale previsti a difesa della proprietà e del possesso (art. 8232). Risulta ammessa la c.d.
sdemanializzazione – il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato
o dell’ente pubblico territoriale cui appartengono – da parte dell’autorità amministrativa
attraverso particolari procedure (art. 829) 50.

personale-collettivistica”, Cass., sez. un., 14-2-2011, n. 3665, ha concluso che “là dove un bene immobile,
indipendentemente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connotazioni, in particolar modo quelle di
tipo ambientale e paesaggistico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale, detto bene è da ritenersi ‘co-
mune’, vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degli
interessi di tutti i cittadini”. Evidente sembra il riferimento al dibattito concernente il tema dei c.d. b e n i
c o m u n i , la cui essenzialità per la collettività – in vista della quale “l’aspetto dominicale della tipologia del
bene … cede il passo alla realizzazione di interessi fondamentali indispensabili per il compiuto svolgimento
dell’umana personalità” – si ritiene reclamare garanzie giuridiche idonee a renderne compatibile una genera-
lizzata accessibilità con la salvaguardia per le generazioni future. Alla elaborazione di una nuova categorizza-
zione dei beni – fondata su di una tripartizione (beni comuni, beni pubblici, beni privati) – sono stati, in ef-
fetti, finalizzati i lavori della Commissione Rodotà, istituita con D.M. 14.6.2007, le cui conclusioni, recepite
nel D.D.L. n. 2031 (Senato, XVI legislatura) e, in larga misura nella P.D.L. n. 1744 (Camera, XVIII legislatu-
ra), sono risultate di recente oggetto di una proposta di legge di iniziativa popolare (n. 2237, presentata il
5.11.2019). Nel relativo testo, rivolto ad innovare anche il “regime della demanialità e della patrimonialità”
dei beni pubblici, i “beni comuni” – oggetto di una peculiare disciplina di tutela e i cui “titolari … possono
essere persone giuridiche pubbliche o soggetti privati” – sono individuati, appunto, come “cose che esprimo-
no utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”, preveden-
dosi che “i beni comuni devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico anche a beneficio
delle generazioni future”. Ad una categoria di beni, identificati come b e n i c o l l e t t i v i , ha riguardo la L.
20.11.2017, n. 168 (“Norme in materia di domini collettivi”, VI, 3.9).
49
Essi, in quanto beni fuori commercio, sono anche insuscettibili di usucapione, ai sensi dell’art. 11451, se-
condo cui è senza effetto il possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà. Peraltro, una tutela
possessoria riguardo ai beni demaniali è riconosciuta dall’art. 10452-3 nei “rapporti tra privati”. Gli atti tra pri-
vati concernenti beni demaniali sono, ovviamente, nulli. Si è anche precisato che “colui il quale occupa abusi-
vamente il bene demaniale non vanta alcuna aspettativa giuridicamente rilevante o alcun titolo preferenziale
al rilascio della concessione” (Cons. Stato, sez. VI, 31-1-2017, n. 394).
50
Si tende a ritenere, comunque, che il provvedimento (di declassificazione) dell’autorità amministrativa,
quale previsto dall’art. 829, abbia “natura esclusivamente dichiarativa, cioè soltanto ricognitiva della perdita
di destinazione ad uso pubblico del bene” (“il passaggio del bene pubblico al patrimonio disponibile dello
Stato” consegue, insomma, “direttamente al realizzarsi del fatto della perdita della destinazione pubblica del
bene, cosiddetta sdemanializzazione tacita” e, quindi, “prescinde dal provvedimento dell’autorità amministra-
118 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

I beni appartenenti allo Stato e agli altri enti territoriali non compresi tra quelli con-
siderati demaniali fanno parte del relativo patrimonio 51. Una distinzione è, al riguardo,
da operare a seconda che essi facciano parte o meno del patrimonio indisponibile.
Di quello dello Stato, fanno parte i beni indicati nell’art. 8262 (miniere, cave e torbiere,
cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, i beni
costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli
aeromobili militari, le navi da guerra). Di quello dello Stato o dell’ente pubblico territo-
riale cui appartengono, fanno parte gli edifici destinati a sede di uffici pubblici con i re-
lativi arredi e gli altri beni destinati a un pubblico servizio (art. 8263) 52. I beni che fanno
parte del patrimonio indisponibile – il regime dei quali è sostanzialmente corrispondente a
quello dei beni demaniali 53 – sono comunque vincolati alla loro destinazione e non posso-
no essere ad essa sottratti se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano (art. 8282).
Per i beni dello Stato e degli enti pubblici territoriali che non fanno parte del patri-
monio indisponibile (beni patrimoniali disponibili) opera, invece, la disciplina dettata in
generale dal codice civile per i diversi tipi di beni, almeno ove non siano previste regole
particolari da leggi speciali (come in relazione alle procedure contrattuali che li concer-
nono ed alle relative formalità) (art. 8281). Ciò vale anche per i beni appartenenti agli en-
ti pubblici non territoriali (art. 8301), salvo che si tratti di beni destinati ad un pubblico
servizio, applicandosi, in tal caso, la regola per cui essi non possono essere sottratti alla
loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalla legge (art. 8302) 54.

tiva, diversamente da quanto invece previsto dall’art. 35 c. nav. per il demanio marittimo e dall’art. 947,
comma 3, c.c. per il demanio idrico”: Cass., sez. un., 7-4-2020, n. 7739).
51
Si ricordi come al patrimonio dello Stato spettino anche i beni immobili “che non sono in proprietà di
alcuno” (art. 827). I beni immobili, dunque, non potranno mai essere cose di nessuno (res nullius).
52
È considerata costituire patrimonio indisponibile dello Stato, per esigenze di tutela ambientale, anche la
fauna selvatica, ai sensi dell’art. 1 L. 11.2.1992, n. 157.
53
Anche in relazione ai beni patrimoniali indisponibili, come per quelli demaniali, la Cassazione (22-11-1993,
n. 11491) ritiene, “attesa la comune destinazione alla soddisfazione di interessi pubblici”, che il relativo go-
dimento possa essere attribuito a privati soltanto nella forma della concessione amministrativa. A definire il
futuro assetto dei rapporti tra lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali, con riguardo alla titolarità e valoriz-
zazione dei beni pubblici, risulta finalizzato il D.Lgs. 28.5.2010, n. 85, attraverso, appunto, l’attribuzione a tali
enti di “beni statali … a titolo non oneroso” (art. 21,5), pure in vista di una loro eventuale alienazione (previa rela-
tiva “valorizzazione”), avvenendo il trasferimento – con talune eccezioni (come, in particolare, con riguardo al
“demanio marittimo, idrico e aeroportuale”) – al “patrimonio disponibile” degli enti beneficiari (art. 4).
54
Una considerazione particolare meritano i beni degli enti ecclesiastici. Per essi l’art. 8311 prevede l’as-
soggettamento alla disciplina generale dei beni, salvo quanto specificamente disposto dalle leggi speciali che li
riguardano. Circa i beni appartenenti ad enti cattolici, una specifica regolamentazione risulta attualmente det-
tata dalla L. 20.5.1985, n. 222. In particolare, gli edifici destinati al pubblico culto cattolico, anche ove appar-
tengano a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, almeno finché questa non venga a cessa-
re in conformità alle norme che li riguardano (art. 8312). Essi sono, quindi, alienabili, restando comunque as-
soggettati alla loro specifica destinazione al culto.
CAPITOLO 3
RAPPORTO GIURIDICO E
SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE

Sommario: 1. Interessi, rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive. – 2. Diritto soggettivo


(nozione). – 3. Diritto soggettivo (contenuto e limiti). – 4. Abuso del diritto. – 5. Tipologia dei dirit-
ti soggettivi (e corrispondenti situazioni giuridiche soggettive passive: dovere e obbligo). – 6. Diritto
potestativo. – 7. Potestà. – 8. Aspettativa. – 9. Interesse legittimo. – 10. Interessi collettivi e diffusi.
– 11. Onere.

1. Interessi, rapporto giuridico e situazioni giuridiche soggettive. – La funzione


della regola giuridica (norma), come accennato, va ricercata nell’esigenza di ordinare le
relazioni umane: ciò avviene, in particolare, per quanto riguarda la sfera delle relazioni
cui ha riguardo il diritto privato, risolvendo i conflitti di interessi che, di volta in volta, si
vengano eventualmente a determinare tra i diversi soggetti con riferimento ad un bene
(II, 2.1). Se l’interesse può essere visto proprio come una sorta di tensione tra soggetto e
bene, ne consegue la possibile (anzi inevitabile) insorgenza di conflitti, ove una pluralità
di soggetti si presentino interessati allo stesso bene. L’ordinamento giuridico, allora, in-
terviene con le sue regole per organizzare gli interessi in gioco, almeno quando si tratti di
interessi meritevoli di essere presi in considerazione, in quanto coinvolti in relazioni che
l’ordinamento stesso ritiene opportuno disciplinare (estranee alla disciplina giuridica e
materia di ordini differenti di regole restando, così, le relazioni che si esauriscono sul
piano della morale, della religione o della cortesia).
Con il concetto di rapporto giuridico ci si intende riferire, dunque, alla relazione in-
tersoggettiva che l’ordinamento disciplina, determinando quale tra gli interessi coinvol-
ti sia da considerare meritevole di tutela ed assicurandone, di conseguenza, la realizza-
zione. A tal fine, l’ordinamento riconosce ai soggetti portatori degli interessi coinvolti
nella relazione la titolarità di una situazione giuridica soggettiva, la quale, in sostanza,
costituisce il riflesso, sul piano soggettivo, della regola giuridica (del diritto, cioè, inteso
in senso oggettivo). La situazione giuridica soggettiva di cui risulta investito il soggetto a
seguito dell’intervento regolatore dell’ordinamento è per lui di carattere favorevole,
ove sia il suo interesse a venire considerato maggiormente meritevole di tutela e realiz-
zazione, ovvero sfavorevole, ove sia il suo interesse a risultare subordinato a quello al-
trui. Si definisce attiva la situazione giuridica soggettiva di vantaggio, attribuita al sog-
getto del rapporto (definito, appunto, soggetto attivo del rapporto) per assicurargli la
realizzazione del suo interesse; passiva la situazione soggettiva di svantaggio, attribuita
120 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

al soggetto del rapporto (soggetto passivo) tenuto a rendere possibile col suo compor-
tamento la realizzazione dell’interesse altrui contrapposto al suo nella relazione regola-
ta dal diritto.
Anche se il rapporto giuridico si può atteggiare, a seconda dei casi, in modo assai di-
verso, esso rappresenta la struttura di base del diritto privato, rispecchiandone l’essen-
ziale funzione di composizione dei conflitti intersoggettivi di interessi 1. Le situazioni
soggettive attive e passive, pur nella loro conseguente diversità, acquistano senso proprio
in quanto correlate tra loro nel rapporto giuridico. Ciò può risultare talvolta di più im-
mediata percepibilità, come nel caso in cui il soggetto passivo sia tenuto ad uno specifico
comportamento, strumentalmente finalizzato proprio alla realizzazione dell’interesse del
soggetto attivo (situazione tipicamente ricorrente, come si vedrà, nel campo dei diritti di
credito). Ma la configurabilità di un rapporto giuridico non pare venire meno neppure
quando il comportamento cui è tenuto il soggetto passivo consista nel generico dovere di
rispettare la posizione di vantaggio assicurata dall’ordinamento al soggetto attivo (come
tipicamente si verifica nel campo dei diritti reali). In ambedue i casi, in effetti, ad una si-
tuazione di vantaggio di un soggetto corrisponde una situazione di indiscutibile svantag-
gio altrui rispetto allo stesso bene 2.
Lo studio delle situazioni giuridiche soggettive deve, allora, procedere tenendo pre-
sente una simile correlatività, nel rapporto giuridico, di situazioni attive e passive. Di tali
situazioni sono titolari i soggetti giuridici, destinatari delle regole giuridiche, i quali sono
presi in considerazione, appunto, dall’ordinamento come (e correntemente definiti) cen-
tri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive (II, 1.1).

2. Diritto soggettivo (nozione). – Nel codice civile – e, più in generale, nel linguag-
gio legislativo – la situazione giuridica soggettiva favorevole (attiva) riconosciuta ad un
soggetto in relazione ad un bene è correntemente identificata con il termine di diritto
(diritto al nome, diritto di proprietà, diritto di superficie, diritto di credito, diritto al ri-
sarcimento del danno, ecc.) 3. Si parla di diritto (inteso, quindi, in senso soggettivo)
ogniqualvolta ad un soggetto viene garantita dall’ordinamento la realizzazione del suo
interesse, riconoscendogli il potere di pretendere da colui (o da coloro) i cui interessi so-
no stati subordinati al suo il comportamento (attivo o di mera astensione) che tale realiz-
zazione renda possibile, a questo fine anche azionando gli strumenti attuativi che l’ordi-
namento stesso gli mette a disposizione.
La categoria del diritto soggettivo è stata elaborata nel secolo XIX proprio nello sfor-

1
Non si è mancato, invero, di considerare in termini di rapporto giuridico non solo la relazione giuridica-
mente rilevante tra persone, ma anche la relazione tra persone e beni. In realtà, se il diritto ha la funzione ac-
cennata nel testo (“ius est … hominis ad hominem proportio”, secondo la proverbiale definizione di Dante),
riesce difficile configurare un rapporto giuridico tra persone e beni, questi ultimi rappresentandone, piutto-
sto, il profilo oggettivo, quale punto di riferimento degli interessi regolati, sempre facenti capo a soggetti. Di
qui la prevalente prospettiva per cui il rapporto giuridico non possa necessariamente presentarsi che quale
sintesi di situazioni giuridiche soggettive tra loro correlate.
2
Per identificare la posizione di subordinazione del soggetto passivo si parla, utilizzando il termine in
un’accezione generale, di obbligo o, ancora più genericamente, da parte di altri, di dovere.
3
Ai diritti, del resto, alludono, da una parte, già l’art. 12 c.c. (a proposito della capacità giuridica e dei “di-
ritti che la legge riconosce a favore del concepito”: IV, 1.2), dall’altra, l’art. 241 Cost. (per il quale “tutti pos-
sono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”).
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 121

zo di unificare nella relativa definizione tutte le possibili ipotesi in cui una simile situa-
zione di favore ricorra. Il momento di unificazione fu inizialmente ricondotto, nel qua-
dro della preminenza accordata nella dinamica del diritto alla volontà del soggetto, al po-
tere di agire attribuito, appunto, alla volontà del soggetto. Successivamente, l’accento è
stato posto, piuttosto, sul profilo funzionale dell’interesse giuridicamente tutelato.
La difficoltà, comunque, è sempre stata quella di abbracciare in un concetto unita-
rio, contestualmente, il campo dei diritti assoluti (in particolare dei diritti reali) e quel-
lo dei diritti relativi (in particolare dei diritti di credito), i due modelli fondamentali,
cioè, di diritti riconosciuti dall’ordinamento: solo nei secondi, infatti, si presenta in
primo piano e di maggiore evidenza la pretesa, cioè il potere di esigere, da parte del ti-
tolare del diritto (il creditore), uno specifico comportamento cui risulta tenuto un al-
tro determinato soggetto (il debitore) 4. Ad aggravare quella che viene spesso definita
la “crisi” del concetto di diritto soggettivo, trattandosi di figura inizialmente concepita
in considerazione (e in vista della tutela) di interessi di natura patrimoniale, è stata,
poi, la crescente attenzione dell’ordinamento agli interessi di natura eminentemente
personale (come quelli legati all’integrità fisica e morale della persona e, in genere, al-
l’esplicazione della personalità).
Pure in relazione alle esigenze di tutela di simili interessi, di indubbia utilità si è pre-
sentato, peraltro, il riferimento allo schema del diritto soggettivo: solo un simile riferi-
mento, in effetti, ne ha assicurato, in caso di lesione, la piena e diretta tutela, in particola-
re con quello strumento del risarcimento del danno, che del diritto soggettivo rappresen-
ta, per così dire, la tradizionale rete di sicurezza 5. Di qui la prevalente ricostruzione (da
parte della stessa giurisprudenza) in termini di diritto soggettivo anche delle situazioni
giuridiche soggettive riconosciute al soggetto in vista della protezione degli emergenti
interessi di natura personale. Piuttosto, pare da sottolineare come l’esigenza di assicurare
la concreta realizzazione degli interessi legati alla salvaguardia della persona e del suo
sviluppo abbia spinto l’ordinamento ad arricchire il tradizionale strumentario di garan-
zia degli interessi ritenuti meritevoli di tutela, fondato, appunto, essenzialmente sul ri-
sarcimento del danno (IV, 2.3).
La categoria del diritto soggettivo, insomma, se ha visto decisamente ampliare la pro-
pria area di utilizzazione, al contempo, ha finito col perdere, almeno in parte, la sua utili-
tà di formula riassuntiva (ed evocativa) di uno schema unitario di tutela, essendosi dovu-
to riconoscere come la diversità della natura degli interessi considerati meritevoli di pro-
tezione imponga, a seconda della relativa tipologia, strumenti e modelli di tutela diffe-

4
Nei diritti reali, il cui modello è rappresentato dalla proprietà, la pretesa all’altrui comportamento si è
diffusamente ritenuta restare solo sullo sfondo, data l’indeterminatezza dei relativi destinatari (soggetti
passivi del rapporto), in primo piano presentandosi, piuttosto, la facoltà di agire del soggetto titolare del
diritto (soggetto attivo) in ordine ad un bene della vita, per soddisfare (immediatamente) su di esso il pro-
prio interesse.
5
È da tenere presente come l’impostazione tradizionale, tendente a saldare in un binomio indissolubile il
riconoscimento di meritevolezza dell’interesse del soggetto (con la sua configurazione in termini di diritto
soggettivo) ed il relativo strumento di tutela (il risarcimento del danno in caso di violazione), risulti in certa
misura superata dalla giurisprudenza, la quale ha significativamente ammesso il risarcimento del danno (ai
sensi dell’art. 2043) in ogni caso di “lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento”, indipendentemente,
cioè, dalla “qualificazione formale della posizione vantata dal soggetto” quale diritto soggettivo (Cass., sez. un.,
22-7-1999, n. 500).
122 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

renziati. Anche se la sua rilevanza, quindi, pare da ricercare ormai essenzialmente sul piano
descrittivo delle scelte dell’ordinamento in merito alla selezione degli interessi reputati
meritevoli della forma più intensa di tutela, sembra comunque da condividere la – persi-
stentemente prevalente – tendenza a continuare ad avvalersi di tale categoria per inqua-
drare tutti i casi in cui viene riconosciuta una situazione di piena e diretta tutela dell’in-
teresse del soggetto, con l’attribuzione al soggetto stesso del potere, garantito dall’ordina-
mento, di soddisfarlo 6.

3. Diritto soggettivo (contenuto e limiti). – È da tenere presente come il codice


utilizzi correntemente la terminologia di diritto e diritti per indicare non la situazione
giuridica di diritto soggettivo nel suo insieme, ma il suo contenuto. Ciò risulta chia-
ro, ad es., nell’art. 832, relativo al diritto di proprietà: la rubrica allude al “contenuto del
diritto”, mentre il testo enuncia che “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle
cose”. Nell’uso legislativo, quindi, il termine “diritto” risulta alquanto ambiguo, in quan-
to spesso riferito, contestualmente, al diritto soggettivo ed al suo contenuto. In proposi-
to, esattamente si sottolinea, allora, come i comportamenti che la norma consente al tito-
lare della situazione giuridica soggettiva – nell’esempio fatto, al proprietario quale titola-
re del diritto di proprietà – non siano, in realtà, pur se indicati in termini di diritti, situa-
zioni giuridiche soggettive autonome, bensì le consentite manifestazioni (il contenuto) del-
l’unico diritto soggettivo attribuito al soggetto.
Tali manifestazioni, che valgono a delineare la concreta posizione del titolare del di-
ritto, sono spesso descritte come facoltà. Così, sempre con riguardo all’art. 832, si do-
vrebbe più propriamente parlare, quindi, di facoltà di godere e di facoltà di disporre delle
cose, quali comportamenti espressamente consentiti al titolare del diritto per soddisfare
il suo interesse (in quanto considerato meritevole di tutela).
Peraltro, neppure una simile enunciazione del contenuto del diritto risulta confor-
me a quella che sembra la più corretta impostazione concettuale della materia. Con
maggiore precisione, infatti, a proposito del contenuto del diritto soggettivo, si tende
ad operare una distinzione tra facoltà e poteri, anche se, nel linguaggio legislativo,
una simile distinzione non emerge, alludendosi genericamente, come si è visto, al dirit-
to (del titolare) di fare qualcosa, ovvero senz’altro a ciò che il titolare può fare: il pro-
prietario “può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino” (art.
8401), “può chiudere in qualunque tempo il fondo” (art. 841), “le luci possono essere
aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui” (art. 9031), “il proprietario

6
A differenziare nettamente, rispetto a quella originaria (o comunque più risalente), la concezione at-
tuale del diritto soggettivo, vale, inoltre, la chiara consapevolezza che il riconoscimento di una simile situa-
zione di vantaggio non può esimere dal considerare come l’esigenza di protezione dell’interesse sovraordi-
nato, in quanto reputato maggiormente meritevole di tutela, debba in ogni caso essere contemperata con
quella di non sacrificare l’interesse altrui al di là di quanto sia da ritenere strettamente necessario per la
sua realizzazione. Una simile prospettiva – tendente ad evidenziare i limiti del diritto soggettivo ed a valo-
rizzare la complessità della relativa situazione, in dipendenza della contestuale previsione di doveri a carico
del suo titolare – affiora, come si avrà modo di vedere nel paragrafo che segue e nella successiva specifica
trattazione, già nella delineazione dei diversi istituti nel codice civile e trionfa, poi, con l’impostazione so-
lidaristica della Costituzione, attraverso il fondamentale ed energico richiamo (di cui all’art. 2 e sviluppato
nell’intero testo costituzionale) dei consociati all’“adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, poli-
tica, economica e sociale”.
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 123

di un fondo contiguo al muro altrui può chiederne la comunione” (art. 874), “il pro-
prietario che vuole atterrare un edificio sostenuto da un muro comune può rinunziare
alla comunione di questo” (art. 883). È da osservare, in proposito, che mentre nei pri-
mi tre casi si tratta di attività consentite (lecite) al titolare rispetto al bene oggetto del
suo diritto, nei rimanenti due si tratta di condotte del titolare cui l’ordinamento ricol-
lega la produzione di specifiche conseguenze giuridiche (effetti giuridici): i due ordini
di situazioni sono rispettivamente da qualificare, appunto, come facoltà e poteri. In re-
lazione a quelli che l’art. 832 definisce – al fine di delineare il “contenuto del diritto”
di proprietà – genericamente “diritti” del proprietario, allora, risulta più preciso parla-
re di facoltà di godimento e di potere di disposizione (tale intendendosi la possibilità ri-
conosciuta al titolare di una situazione giuridica di porre in essere atti considerati dal-
l’ordinamento idonei ad incidere su di essa, come, in particolare, estinguerla o trasfe-
rirla ad altri) 7.
Il diritto soggettivo si presenta, dunque, quale situazione complessa, sintesi di facoltà e
poteri. Proprio l’accrescersi di una simile complessità ha rappresentato il tratto forse più
significativo dell’evoluzione recente della concezione della figura. Ciò soprattutto a se-
guito dell’abbandono di una visione tendente a guardare al diritto soggettivo nell’ottica
di situazione di vantaggio attribuita incondizionatamente al soggetto ed esercitabile sen-
za controlli, in quanto sfera di assoluta libertà riconosciuta alla volontà del soggetto stes-
so. Accanto alle facoltà ed ai poteri, ai fini della conformazione della posizione del titola-
re, così, si sono con sempre maggiore chiarezza evidenziati i relativi limiti, fino a giun-
gere ad addossargli veri e propri obblighi, in vista della realizzazione di un socialmente
opportuno contemperamento della situazione di vantaggio – che rappresenta per defini-
zione il profilo qualificante del diritto soggettivo – con gli interessi degli altri soggetti
che si trovano con lui in rapporto.
Anche il medesimo diritto di proprietà, tradizionalmente espressione estrema del po-
tere del titolare nei confronti degli altri consociati (e, in quanto tale, prototipo della figu-
ra del diritto soggettivo), già nel codice civile (art. 832), pur venendo configurato come
situazione di massimo riconoscimento dell’interesse del soggetto rispetto ad un bene (“il
proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”), tro-
va programmaticamente tutela solo “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabi-
liti dall’ordinamento giuridico”. E basta scorrere la disciplina della proprietà – a partire
dal divieto degli atti d’emulazione (art. 833) e dalla delimitazione verticale della situazio-
ne del titolare (art. 8402) – per accorgersi come la previsione di limiti alle prerogative del
proprietario abbia assunto una curvatura spiccatamente attenta a quella esigenza di sal-
vaguardia di interessi altrui, di carattere particolare o generale, che è alla base, poi, addi-
rittura dell’imposizione a suo carico di obblighi della più diversa natura (VI, 1.1) 8. Né
meraviglia, allora, che pure – e forse a maggior ragione – con riguardo al diritto di credi-

7
Così, per fare un altro esempio, “l’usufruttuario può cedere il proprio diritto” (art. 9801) e “ha diritto di
godere della cosa” (sia pure non illimitatamente: art. 9811): nel primo caso si dovrebbe parlare di potere (di
produrre l’effetto giuridico di trasferire ad altri il diritto), mentre nel secondo di facoltà (di svolgere lecitamen-
te un’attività di godimento del bene oggetto del diritto).
8
La Relaz. cod. civ., n. 386, evidenzia come “quell’aspetto di diritto-dovere, pur dichiarato nella defini-
zione stessa (art. 832)” della proprietà, sia destinato, poi, ad emergere diversamente, a seconda del tipo di
beni che ne costituisce oggetto, in vista della loro “differente funzione economico-sociale”.
124 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

to, il creditore, titolare del diritto, sia assoggettato ad obblighi significativi, in vista della
necessaria considerazione da prestare all’interesse del debitore (esemplare quello di cor-
rettezza: art. 1175) 9.
L’evoluzione della concezione del diritto soggettivo, nel senso di una sempre mag-
giore attenzione per le esigenze di contemperamento degli interessi in conflitto, indub-
biamente già palese negli orientamenti del codice civile, ha ricevuto un decisivo impul-
so – in una nuova prospettiva solidaristica – con l’avvento del sistema costituzionale,
ispirato al principio della promozione di quella uguaglianza sostanziale tra i consociati
(art. 32), irrealizzabile al di fuori dell’“adempimento dei doveri inderogabili di solida-
rietà politica, economica e sociale” (art. 2). Esplicita è l’allusione al perseguimento del-
la funzione sociale, quale obiettivo della disciplina della proprietà (art. 422), così come
la previsione di limiti, indirizzi e controlli all’iniziativa economica privata, in vista della
salvaguardia della utilità sociale e della integrità della salute, dell’ambiente, della libertà
e della dignità umana, nonché del relativo coordinamento a fini sociali e ambientali
(art. 412-3, quale ora integrato ai sensi della L. cost. 11.2.2022, n. 1). Simili scelte del-
l’ordinamento costituiscono, in effetti, in una con il rispetto degli accennati valori fon-
damentali di solidarietà, lo sfondo di un’attività del legislatore e dell’interprete (in
primo luogo, quindi, della giurisprudenza) indirizzata a definire il contenuto dei diritti
di volta in volta riconosciuti al soggetto alla luce di una valutazione della meritevolezza
degli interessi da tutelare, tale da evitare ogni ingiustificato – sul piano economico e
sociale – sacrificio di interessi altrui.

4. Abuso del diritto. – Si è avuto modo di vedere come, nella prospettiva fatta pro-
pria dagli ordinamenti moderni, alla conformazione del contenuto del diritto soggettivo
concorrano, accanto a facoltà e poteri, anche limiti e, addirittura, obblighi. È tramontata,
insomma, l’idea che alla volontà del soggetto, in vista della tutela del suo interesse, deb-
ba essere assicurata una sfera di assoluta libertà e che a ciò risulti finalizzato, appunto, il
riconoscimento di un corrispondente diritto soggettivo. Si è affermata, cioè, l’esigenza di
tenere sempre presente la necessità di evitare il sacrificio degli interessi altrui al di là di
quanto sia strettamente necessario alla soddisfazione dell’interesse proprio ritenuto me-
ritevole di tutela.
Questo ha posto in primo piano il problema dell’opportunità o meno della previsione
di un espresso divieto dell’abuso del diritto, quale limite generale all’esercizio del di-
ritto soggettivo, ovvero, in mancanza di previsione espressa, della sua ricostruzione in via
interpretativa, sulla base dei principi di fondo dettati dal legislatore in ordine alle varie
figure di diritto soggettivo. Quello in questione si atteggia, appunto, come limite di ca-
rattere generale, consistente nel ritenere consentiti al titolare esclusivamente modi di eser-
cizio del diritto conformi allo scopo, in vista del cui perseguimento l’interesse del sogget-
to sia stato valutato come meritevole di tutela. In una tale prospettiva, quindi, al di fuori
di ciò che risulti concretamente funzionale alla realizzazione di un simile scopo, gli atti di
esercizio del diritto – in quanto finalizzati, in realtà, alla realizzazione di uno scopo diver-

9
Proprio l’espressa previsione di limiti di portata così generale del diritto soggettivo e di obblighi di in-
dubbia rilevanza a carico del titolare induce a riflettere circa la configurabilità, pure nel quadro del nostro
ordinamento, della figura dell’abuso del diritto, esaminata nel paragrafo successivo.
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 125

so da quello favorevolmente valutato dall’ordinamento 10 – restano non coperti dalla ga-


ranzia apprestata all’interesse del soggetto con il riconoscimento di un corrispondente
diritto soggettivo 11.
Il nostro legislatore, a differenza di altri 12, nel codice civile non ha previsto, in manie-
ra esplicita e generale, un simile divieto: il timore che ne potesse venire troppo compro-
messa la certezza del diritto ha indotto a ritenere preferibile la formulazione del divieto
stesso specificamente a proposito dei singoli istituti. L’esigenza che è alla sua base, così,
ha trovato ampio riscontro nella disciplina generale delle figure fondamentali di diritti
soggettivi, con norme di portata tale da consentire, in sostanza, il perseguimento degli
obiettivi avuti di mira proprio con il richiamo alla figura dell’abuso del diritto. Il riferi-
mento è, innanzitutto, all’art. 833 (che prevede, per il proprietario, il divieto degli atti
emulativi: V, 1.3), ma, forse più 13, all’art. 1175, che impone anche al creditore (oltre che
al debitore) di comportarsi secondo le regole della correttezza: prescrizione, quest’ultima,
cui si ricollega il costante richiamo alla buona fede, quale fondamentale criterio di con-
dotta delle parti nelle diverse fasi della vicenda contrattuale (artt. 1337, 1358, 1366,
1375) (II, 7.5) 14. Ed è significativo che, nell’ordinamento in cui il divieto dell’abuso del

10
Anche in giurisprudenza ci si riferisce espressamente alla ricostruzione dottrinale dell’abuso del diritto,
ritenuto consistere, appunto, “nell’esercitare il diritto per realizzare interessi diversi da quelli per i quali esso
è riconosciuto dall’ordinamento giuridico” (Cass. 18-10-2003, n. 15482). Al riguardo, Cass. 18-9-2009, n.
20106 (in un’ottica condivisa, ad es., da Cass. 30-9-2021, n. 26541; Cass. 29-5-2020, n. 10324; Cass. 7-5-2013,
n. 10568), parla di “utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di
obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore” (con la conseguenza di “una sproporzione
ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio cui è soggetta la controparte”).
11
Il carattere funzionale del riconoscimento di poteri al soggetto si pone in termini diversi nel caso di rela-
tiva attribuzione per la tutela di interessi altrui (come si vedrà a proposito delle potestà: II, 3.7). In tale ipotesi,
infatti, maggiormente scontata si presenta l’esigenza che l’esercizio dei poteri stessi resti strettamente vincola-
to allo scopo in vista della cui realizzazione essi risultano riconosciuti, predisponendo l’ordinamento gli stru-
menti di controllo ritenuti opportuni ad evitare ogni abuso in tal senso. Un discorso particolare sembra meri-
tare pure il problema del controllo dell’esercizio dei diritti potestativi, almeno quando essi siano espressione di
una posizione complessiva di supremazia di una delle parti: in relazione ad essi, non a caso, da un lato, lo stes-
so legislatore impone spesso, quale limite alla relativa discrezionalità, il perseguimento di determinate (verifi-
cabili) finalità; dall’altro, la giurisprudenza utilizza le potenzialità offerte dal richiamo al principio della buona
fede contrattuale (II, 3.6 e 3.9).
12
Il codice civile svizzero del 1907 prevede espressamente che “il manifesto abuso del proprio diritto non
è protetto dalla legge” (art. 22). Una esplicita previsione al riguardo era contenuta nel progetto, elaborato tra
le due guerre (1928), di un codice unico italo-francese delle obbligazioni. Il progetto ministeriale del codice
civile, nella parte generale (art. 7), disponeva che “nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo
scopo per cui il diritto medesimo gli è riconosciuto”. In una prospettiva peculiare, al “divieto dell’abuso del
diritto” allude l’art. 54 Carta dir. fond. U.E.
13
Il tenore letterale dell’art. 833, indiscutibilmente restrittivo del divieto degli atti emulativi (con la pre-
clusione al proprietario dei soli atti i quali abbiano esclusivamente lo scopo di nuocere o molestare altri), po-
trebbe, in effetti, prestarsi ad un giudizio di cautela – se non del tutto negativo – circa l’accoglimento, da par-
te del nostro ordinamento, dell’esigenza di un controllo dell’esercizio dei diritti soggettivi nella prospettiva
dell’abuso del diritto. Si ricordi come il divieto in questione (Schikaneverbot) trovi, in Germania, col § 226
BGB, una collocazione nel quadro delle regole generali concernenti l’esercizio del diritto, traendosene argo-
mento, di conseguenza, per una generale configurabilità del divieto dell’abuso del diritto.
14
La giurisprudenza non manca di ricordare che “specifica ipotesi di violazione dell’obbligo di buona fede
nell’esecuzione del contratto viene considerata proprio l’abuso del diritto, individuato nel comportamento
del contraente che esercita verso l’altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno
126 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

diritto ha trovato esplicito accoglimento (art. 22 cod. civ. svizzero), esso si presenti quasi
corollario, appunto, del riferimento alla buona fede, quale criterio fondamentale cui deve
essere sempre improntato l’esercizio dei propri diritti (oltre che l’adempimento dei pro-
pri obblighi) 15.
È anche chiaro come la portata delle norme accennate 16 sia risultata decisamente
esaltata dall’entrata in vigore della nostra Costituzione. Il relativo sistema si caratterizza,
infatti, proprio per il ruolo riconosciuto alla solidarietà come regola basilare di compor-
tamento per i consociati nei loro rapporti (art. 2 Cost.), anche in vista della realizzazione
di un ordine sociale fondato su una effettiva uguaglianza (art. 3). Impostazione solidari-
stica, questa, la quale, già di per se stessa, è diffusamente ritenuta atta a influenzare la ri-
costruzione della posizione delle parti in ogni rapporto giuridico (II, 7.3). Essa, comun-
que, non può non costituire imprescindibile chiave di lettura delle disposizioni del codi-
ce civile e, ovviamente, soprattutto di quelle che già conferiscono, nell’esercizio dei dirit-
ti riconosciuti al soggetto, un peso decisivo alle esigenze di rispetto degli altrui interessi
pure nel perseguimento dei propri 17.

scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati” (Cass. 15482/2003). Sottolinea Cass. 20106/2009 che,
se “la buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell’equilibrio e della pro-
porzione”, “criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva è quello dell’abuso del
diritto”: “i due principi si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la
condotta delle parti … e prospettando l’abuso la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo
per il quale essi sono conferiti”.
15
Per l’art. 21, infatti, “ognuno è tenuto ad agire secondo la buona fede così nell’esercizio dei propri diritti
come nell’adempimento dei propri obblighi”.
16
Alla luce delle quali, insomma, pare consentito solo un esercizio del diritto rispettoso della salvaguardia
degli interessi altrui, pur nella legittima ricerca della realizzazione del proprio interesse entro i limiti in cui sia
reputato meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Una simile prospettiva viene ritenuta operante anche
in campo processuale, dato che il processo non potrebbe essere considerato “giusto” (ai sensi dell’art. 111
Cost.) “ove frutto di abuso, appunto, del processo, per esercizio dell’azione in forme eccedenti, o devianti,
rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite, oltreché la ragione dell’attribuzione, al suo
titolare, della potestas agendi” (Cass., sez. un., 15-11-2007, n. 23726, con riferimento al “frazionamento giudi-
ziale di un credito unitario”). Al principio dell’abuso del diritto si è fatto ricorso, oltre che nella materia dei
rapporti di lavoro (in particolare, in tema di condotta antisindacale del datore di lavoro, Cass. 8-9-1995, n.
9501; con riguardo ai comportamenti del lavoratore, Cass. 23-1-2016, n. 1248), anche in quella tributaria (in
funzione antielusiva: Cass., sez. un., 23-10-2008, n. 30055; e v., in materia, l’art. 10 bis L. 27.7.2000, n. 212,
concernente la “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”: VIII, 3.9).
17
L’idea che il “dovere (inderogabile) di solidarietà, ormai costituzionalizzato (art. 2 Cost.)”, valga a dare
un senso preciso alla “osservanza del dovere di correttezza (art. 1175 cod. civ.), che si porge nel sistema come
limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva”, onde evitare che “l’ossequio alla legali-
tà formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale”, è energicamente affermata dalla giurispru-
denza e applicata, in particolare, alla materia contrattuale, con il richiamo del “principio secondo cui ciascu-
no dei contraenti è tenuto a salvaguardare l’interesse dell’altro, se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio
dell’interesse proprio” (Cass. 20-4-1994, n. 3775). Ripetutamente è stata evidenziata la rilevanza da accordare,
nei rapporti negoziali, ad “un concorrente dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.)”
(Cass. 24-9-1999, n. 10511), alla luce del quale la clausola generale della buona fede e correttezza si traduce
nel “dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte” (Cass.
15-3-2004, n. 5240). La “regola di correttezza e buona fede” è senz’altro intesa, insomma, come “specifica-
tiva (nel contesto del rapporto obbligatorio) degli ‘inderogabili doveri di solidarietà’, il cui adempimento è
richiesto dall’art. 2 Cost.” (Cass. 23726/2007), fino a ritenersi, portando alle estreme – non da tutti condi-
vise – conseguenze una simile prospettiva, che “il precetto dell’art. 2 Cost.” entri “direttamente nel contratto,
in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, funzionalizzando così il
rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale, nella misura in cui non collida con
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 127

Alla luce della presenza e della centralità di simili principi nell’ordinamento, non si è
mancato di concludere, da parte di taluni, come ormai addirittura superato si possa consi-
derare il problema della autonoma rilevanza dell’abuso del diritto (in quanto il contenuto
stesso del diritto soggettivo ne risulterebbe conseguentemente in ogni caso delimitato) 18.
Certo è, comunque, come si presenti difficilmente contestabile che, ai fini del giudizio di
legalità del comportamento del titolare del diritto, il sacrificio degli interessi altrui non si
possa spingere al di là di quanto necessario alla realizzazione dello scopo, in vista del quale
il diritto risulti attribuito, dato che solo in considerazione di un simile scopo l’ordinamento
ha bilanciato gli interessi in conflitto 19. Ed è pure chiaro come la valutazione del compor-
tamento stesso debba avvenire tenendo conto delle circostanze concrete in cui il soggetto si
trovi ad operare, senza alcuna possibilità, per il soggetto medesimo, di approfittarne, invo-
cando un formalistico ossequio delle prerogative presuntamente inerenti al suo diritto 20.

5. Tipologia dei diritti soggettivi (e corrispondenti situazioni giuridiche sogget-


tive passive: dovere e obbligo). – La categoria del diritto soggettivo, si è visto, rap-
presenta il risultato dello sforzo tendente ad una ricostruzione in chiave unitaria delle
situazioni in cui l’ordinamento garantisce al soggetto piena e diretta tutela del suo inte-
resse relativamente a un bene. Situazioni la cui varietà dipende, ovviamente, dalla diver-
sità degli interessi che l’ordinamento reputa meritevoli di tutela e dalla conseguente di-
versità delle modalità di realizzazione che li contraddistingue. In considerazione di una
simile varietà, sulla base del peculiare atteggiarsi degli interessi e dei relativi modi di tu-
tela, soprattutto con riferimento alle situazioni soggettive passive correlate nel rapporto,
sono correntemente prospettate talune distinzioni di fondo e operate corrispondenti

l’interesse proprio dell’obbligato” (Corte cost. ord. 2-4-2014, n. 77). Di recente, in una simile prospettiva,
Cass. 14-6-2021, n. 16743 ha ritenuto “la Verwirkung” – intesa come “consumazione dell’azione processua-
le” – “nel senso appunto di abuso del diritto … istituto idoneo a venire in gioco anche nel nostro ordinamen-
to” (con riferimento all’esercizio repentino del diritto – nella specie, richiesta dei canoni di locazione pregres-
si da parte del locatore – nonostante una “assoluta inerzia nell’escutere il conduttore”, caratterizzata da dura-
ta “assai considerevole … e suffragata da elementi circostanziali oggettivamente idonei a ingenerare nel con-
duttore una remissione del diritto di credito”).
18
In tale prospettiva, i comportamenti non rispettosi dell’esigenza solidaristica si collocherebbero, infatti,
senz’altro al di fuori dall’area di quelli consentiti al titolare, in quanto appunto del tutto estranei al contenuto
del diritto: il relativo compimento non costituirebbe, quindi, neppure esercizio del diritto, eventualmente da
valutare in termini di abuso del diritto. Non si tratterebbe, insomma, di uno sviamento (abuso) del diritto, ma
di un eccesso dal diritto.
19
Anche con riferimento alla proprietà, riguardo alla quale la norma dell’art. 833 sembrerebbe, come ac-
cennato, restringere le possibilità di controllo sull’esercizio del diritto, non è da dimenticare come il principio
di solidarietà si rifletta nella previsione della relativa funzione sociale: questa, rappresentando l’obiettivo da
perseguire costantemente nella sua disciplina (art. 422 Cost.), pare di conseguenza costituire anche impre-
scindibile criterio di valutazione dei comportamenti del titolare.
20
Si tenga presente come la circostanza rappresentata dalla situazione di inferiorità, sul mercato, di una
delle parti del rapporto tenda ad essere assunta – nell’ottica della repressione di comportamenti abusivi – a
fondamento di espressi interventi riequilibratori dell’ordinamento, come quelli diretti a vietare l’abuso di po-
sizione dominante (art. 3 L. 10.10.1990, n. 287) e l’abuso di dipendenza economica (art. 9 L. 18.6.1998, n. 192).
In un simile contesto, Cass. 20106/2009 allude alla più generale necessità che “il controllo e l’interpretazione
dell’atto di autonomia privata” sia condotto “tenendo presenti le posizioni delle parti, al fine di valutare se
posizioni di supremazia di una di esse e di eventuale dipendenza, anche economica, dell’altra siano stati forie-
ri di comportamenti abusivi, posti in essere per raggiungere i fini che la parte si è prefissata”.
128 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

classificazioni (pur con inevitabili varianti terminologiche e concettuali nella loro deli-
neazione, in quanto frutto di elaborazione dottrinale).
a) Una prima fondamentale (e preliminare) distinzione, basata sulla natura degli
interessi considerati meritevoli di tutela, è quella tra diritti patrimoniali e diritti non
patrimoniali, a seconda della relativa valutabilità o meno in termini economici. È da te-
nere presente che, tradizionalmente, il sistema del diritto privato è stato costruito essen-
zialmente con riguardo ai diritti patrimoniali, caratterizzati da un valore di scambio, allo
scopo di regolare gli interessi economici ed i traffici che li concernono, solo di recente
prestandosi sempre maggiore attenzione alle esigenze di tutela degli interessi personali.
Proprio ciò ha costretto, da una parte, a elaborare nuovi strumenti di tutela, maggior-
mente idonei ad assicurare il soddisfacimento di simili interessi (come si vedrà a proposi-
to della tutela dei diritti della personalità: IV, 2.3), dall’altra, ad adattare quelli tradizio-
nali come il risarcimento del danno (con riferimento, in particolare, al problema del
danno alla persona: X, 2.4).
Carattere patrimoniale hanno il diritto di proprietà (nonché i diritti reali che su di esso
si modellano) e i diritti di credito 21, mentre carattere non patrimoniale hanno i diritti fi-
nalizzati ad assicurare la tutela e lo sviluppo della persona (diritti della personalità), an-
che nelle relazioni familiari (diritti familiari). I diritti di natura personale non sono rico-
nosciuti in considerazione del loro valore di scambio e, quindi, non fanno parte del pa-
trimonio del soggetto (formato, appunto, dai diritti patrimoniali: II, 2.9), restando estra-
nei, come tali, alla responsabilità patrimoniale del debitore (art. 27401). Anche quando essi
presentano risvolti economicamente apprezzabili, come il diritto agli alimenti (V, 1.7), la
natura personale dell’interesse in vista della cui realizzazione sono funzionalmente disci-
plinati ne condiziona, in modo decisivo, il regime, diversificandolo da quello dei diritti pa-
trimoniali (basti pensare ai relativi caratteri di imprescrittibilità, irrinunciabilità, incedi-
bilità e impignorabilità).
b) Sotto il profilo strutturale, la distinzione di fondo si ritiene correntemente es-
sere tra diritti assoluti e diritti relativi. Essa deriva, in sostanza, dalla generalizzazione
della contrapposizione, in campo patrimoniale, tra il modello della proprietà (e degli altri
diritti reali) e il modello dei diritti di credito. La distinzione si basa sul diverso modo in
cui la posizione del soggetto titolare del diritto (soggetto attivo) si correla, nel rapporto,
con la posizione di chi (soggetto passivo) col suo comportamento deve consentire la rea-
lizzazione dell’interesse che l’ordinamento ha reputato meritevole di tutela, collocandolo
in posizione sovraordinata 22.

21
L’art. 1174, a proposito del rapporto obbligatorio, prevede che l’interesse del creditore possa essere an-
che non patrimoniale. La patrimonialità del diritto di credito deriva dal dover risultare la prestazione, oggetto
dell’obbligazione, comunque “suscettibile di valutazione economica”. Il carattere della non patrimonialità del-
l’interesse resta, quindi, estraneo alla struttura del rapporto, non influenzandone il regime, disciplinato, piut-
tosto, in considerazione del valore economico che la prestazione assume secondo le correnti valutazioni socia-
li (sulla relativa problematica, VII, 1.7).
22
La distinzione in questione si proietta, secondo l’impostazione concettuale tradizionale, in quella dei
modelli di responsabilità operanti in caso di violazione del diritto da parte del soggetto passivo del rapporto:
responsabilità extracontrattuale (o aquiliana) per i diritti assoluti, responsabilità contrattuale per i diritti relativi.
Il riconoscimento della c.d. tutela aquiliana dei diritti di credito ha indubbiamente inciso, almeno entro certi
limiti, sulla armonica simmetria di un simile impianto logico (X, 1.4).
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 129

Nel diritto assoluto, la realizzazione dell’interesse del titolare del diritto è assicurata
dal dovere della generalità dei consociati di astenersi dall’interferire nell’esercizio delle
prerogative (facoltà, poteri) riconosciute dall’ordinamento relativamente al bene. La ca-
ratteristica del diritto assoluto è individuata, quindi, nel potere del titolare di pretendere,
da parte della generalità dei consociati, l’osservanza di un dovere negativo di rispetto,
con conseguente possibilità di far valere la propria posizione nei confronti di tutti i con-
sociati stessi (erga omnes) 23.
Il titolare del diritto assoluto, insomma, non ha bisogno di una specifica attività di
cooperazione altrui per realizzare il proprio interesse, in quanto egli lo realizza diretta-
mente da sé (immediatezza). Per questo, nel tipo di situazione in questione, il rapporto
si ritiene, da parte di taluni, intercorrere tra il soggetto (titolare del diritto) ed il bene. In
realtà, anche se, indubbiamente, la posizione soggettiva passiva appare qui piuttosto
sfumata, in quanto – almeno fino al momento dell’eventuale violazione – indeterminata,
non si può trascurare che è pur sempre un comportamento altrui (sia pure di mera asten-
sione da ingerenze) che consente l’attività realizzativa del proprio interesse da parte del
titolare, risultando, così, sussistente il carattere intersoggettivo del rapporto. Ciò vale
quale che sia la natura del bene, l’interesse al quale viene dall’ordinamento tutelato erga
omnes: anche ove si tratti, cioè, non di un bene materiale, ma di un bene immateriale (II,
2.1), ovvero di un profilo della stessa personalità (fisica o morale) del titolare del diritto.
La categoria dei diritti assoluti, nella sua corrente configurazione, vale, infatti, ad ab-
bracciare – proprio per il peculiare atteggiarsi delle modalità di realizzazione dell’in-
teresse del titolare e della conseguente struttura del rapporto e delle situazioni giuridiche
soggettive in esso correlate – la proprietà (e, in genere, i diritti reali), i diritti sui beni im-
materiali (che risultano storicamente ricostruiti cercando di adattare il modello dei diritti
reali alla particolare natura del bene, in quanto pur sempre preso in considerazione co-
me fonte di utilità economiche) e i diritti della personalità.
Nel diritto relativo, invece, la realizzazione dell’interesse del titolare è assicurata dal-
l’obbligo di osservare uno specifico comportamento da parte del soggetto passivo, come
tale preventivamente determinato. La caratteristica del diritto relativo è individuata, quin-
di, nel potere del titolare, nei confronti di un determinato soggetto passivo, di pretendere
l’osservanza dell’obbligo di comportamento su di lui gravante, con conseguente possibilità
di fare valere la propria posizione specificamente nei suoi confronti (in personam) 24.
Il titolare del diritto relativo, quindi, ha bisogno, per realizzare il suo interesse, di una
specifica attività di cooperazione da parte del (predeterminato) soggetto passivo del rap-

23
In relazione alla situazione passiva correlata, nel rapporto, a quella del titolare del diritto assoluto si ten-
de, quindi, a utilizzare in un senso tecnicamente preciso la terminologia di dovere. Si ricordi come, peraltro, il
termine dovere sia da taluni impiegato per identificare genericamente la posizione di subordinazione del sog-
getto passivo nel rapporto giuridico, in contrapposizione alla titolarità del diritto da parte del soggetto attivo
(mentre altri preferiscono parlare, al riguardo, pure utilizzando il termine in un’accezione generale, di ob-
bligo). Di recente, Cass. 13-10-2015, n. 20560, ha contrapposto al concetto di (“generico”) “dovere” (quale “ob-
bligo di comportamento imposto al fine del soddisfacimento di esigenze di carattere generale”) quello di (“vero e
proprio”) “obbligo” (quale “dovere specifico”, finalizzato “alla realizzazione di un particolare interesse di un
soggetto determinato: sacrificio di un interesse proprio per il soddisfacimento di un interesse altrui”).
24
Il carattere relativo del diritto non muta nel caso di eventuale pluralità di soggetti passivi nel rapporto,
restandone immutata la struttura. È da tenere presente, poi, come l’obbligo di comportamento del soggetto
passivo possa anche avere carattere negativo e consistere, quindi, in un non fare.
130 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

porto. È per questo che si ritiene da taluni attagliarsi solo alle situazioni di tipo relativo
l’idea di rapporto giuridico, almeno se inteso in senso intersoggettivo. Non si manca an-
che di contrapporre ai diritti assoluti, quali situazioni finali, i diritti relativi, quali situa-
zioni strumentali, in quanto mezzo per conseguire un bene, già a disposizione del titolare,
invece, nei primi, a prescindere dall’altrui cooperazione.
La categoria dei diritti relativi, nella sua corrente configurazione, abbraccia, oltre ai
diritti di credito (o di obbligazione), contraddistinti dalla valutabilità in termini economici
del comportamento dovuto, pure situazioni caratterizzate da uno specifico dovere di
comportamento di natura strettamente personale di un soggetto determinato, atto a rea-
lizzare l’interesse (ovviamente non patrimoniale) del titolare del diritto, come si ritiene
verificarsi, in particolare, in campo familiare (art. 1432, relativamente agli obblighi – di
fedeltà, di assistenza, di collaborazione, di coabitazione – reciproci dei coniugi) 25.
c) In campo patrimoniale, come si è avuto dianzi modo di accennare, la distinzione
tra diritti assoluti e diritti relativi si concretizza in quella – di cui, del resto, ha costituto
storicamente, in buona sostanza, una generalizzazione – tra diritti reali (a loro volta mo-
dellati sulla proprietà) e diritti di credito.
La caratteristica dei diritti reali è quella di attribuire al titolare un potere immediato
su una cosa 26, consentendogli di realizzare, così, direttamente il suo interesse, attraverso
l’esercizio delle facoltà e dei poteri conferiti dall’ordinamento rispetto alla cosa stessa
(immediatezza del diritto reale). Tale realizzazione non necessita, quindi, della colla-
borazione di alcuno, a tutti i consociati essendo imposto – in quanto diritti assoluti – il
dovere (negativo) di astenersi dal turbarne l’esercizio.
Proprio in considerazione della peculiare posizione riconosciuta al titolare del diritto
reale rispetto alla cosa che ne costituisce oggetto e del conseguente stretto collegamento
tra situazione giuridica soggettiva e cosa stessa, si parla anche di inerenza del diritto
reale alla cosa. Ciò vale a connotare l’azione a sua difesa quale azione reale (actio in
rem), in quanto indirizzata contro chiunque turbi l’esercizio delle prerogative del titolare
sulla cosa, che può essere perseguita, per consentire il ripristino di tali prerogative, nelle
mani di chiunque essa si venga a trovare (diritto di seguito). L’inerire i diritti reali alla co-
sa, conformando stabilmente l’assetto delle utilità che è consentito trarne, rappresenta la
giustificazione, di radice economica, del principio di tipicità dei diritti reali (i quali si ri-
tengono tradizionalmente costituire, di conseguenza, un numero chiuso, limitato, cioè,
alle sole figure espressamente disciplinate dal legislatore, evidentemente a seguito di un
giudizio di bilanciamento tra le posizioni riconosciute rispetto alla cosa stessa, soprattut-
to con riguardo al rapporto, con riferimento ad essa, tra il diritto di proprietà e gli altri
diritti reali: VI, 3.1).

25
Proprio alla luce della terminologia impiegata nell’art. 143 e altrove (ad es., artt. 147 e 315 bis, con ri-
guardo ai figli), prevale la tendenza a parlare, con riferimento alle situazioni passive correlate a diritti relativi
concernenti comportamenti di natura strettamente personale, di doveri o di obblighi, riservando il termine
obbligazioni ai soli rapporti di carattere patrimoniale. Di obbligo o dovere si parla, in particolare, pure a pro-
posito della contribuzione ai bisogni della famiglia, cui sono tenuti i coniugi (art. 1433) ed eventualmente i figli
(art. 315 bis4), in considerazione, più che dei relativi indubbi risvolti economici, della sua funzionalità a rea-
lizzare valori personali nel nucleo familiare (V, 2.9-10).
26
La definizione di reali, evidentemente, deriva ai diritti qui in esame dal loro riferimento, appunto im-
mediato, ad una cosa (in latino, res).
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 131

La proprietà si presenta come prototipo – tanto sul piano storico, quanto su quello
concettuale – dei diritti reali (VI, 1.1-2). Significativamente, gli altri diritti reali, che si
risolvono in una compressione della proprietà (come si coglie, del resto, dalla loro defini-
zione quali diritti su cosa altrui: iura in re aliena), vengono qualificati, proprio in con-
trapposizione alla pienezza caratterizzante la proprietà, limitati (ovvero anche parziari o
minori) (VI, 3.1). Essi si distinguono correntemente, a seconda dell’interesse in vista del
quale il potere (immediato) sulla cosa risulta garantito dall’ordinamento, in diritti reali di
godimento (superficie, usufrutto, servitù prediali, ecc.) e diritti reali di garanzia (pegno,
ipoteca). Sul piano sistematico, mentre l’esame dei primi viene accostato a quello della
proprietà, quello dei secondi – di cui non si manca diffusamente di negare l’omogeneità
rispetto ai primi – è preferibilmente operato in connessione con il tema dell’obbliga-
zione, in vista del cui adempimento risultano sostanzialmente strumentali.
I diritti di credito (o di obbligazione) – in quanto diritti relativi (il cui concetto, del
resto, risulta ricostruito tenendo essenzialmente presente proprio la categoria dei diritti
di credito) – si caratterizzano per la pretesa che il titolare (creditore) ha nei confronti di
uno o più soggetti determinati (obbligato/i o debitore/i) a che questi tengano uno specifi-
co comportamento positivo o negativo (prestazione), suscettibile di valutazione economica
(1174). È proprio (ed esclusivamente) tale comportamento che vale a soddisfare l’inte-
resse del titolare del diritto, il quale, quindi, necessita della cooperazione del soggetto te-
nuto al comportamento stesso. All’immediatezza del diritto reale si contrappone, così, la
mediatezza del diritto di credito, solo il comportamento del soggetto passivo permet-
tendo la realizzazione dell’interesse considerato dall’ordinamento meritevole di tutela 27.
L’azione a tutela del titolare (creditore), proprio perché indirizzabile esclusivamente
nei confronti del soggetto passivo (debitore), il solo comportamento del quale vale a
consentire la realizzazione dell’interesse dedotto nel rapporto obbligatorio, ha carattere
personale (actio in personam) 28.
È da tenere presente come l’accresciuta importanza dei diritti di credito nelle eco-
nomie moderne – per la loro maggiore duttilità e conseguente funzionalità alle esigenze
di una economia complessa e dinamica – abbia finito, nel passaggio dal codice civile del
1865 a quello del 1942, con lo spostare il baricentro della disciplina dei rapporti patri-
moniali dalla proprietà (e diritti reali) alla obbligazione.

27
Questo vale anche per i c.d. diritti personali di godimento, nei quali l’accesso al godimento della cosa da
parte del titolare e l’esercizio delle relative facoltà vengono considerati dall’ordinamento pur sempre mediati
dal comportamento di chi si sia impegnato a mettere la cosa stessa a sua disposizione. Esemplare, al riguardo,
è la differenza tra la configurazione dell’usufrutto e della locazione: nel primo caso, nella prospettiva propria
del diritto reale, il titolare trae direttamente dalla cosa le utilità consentite (981 e 982); nel secondo, il godi-
mento (iniziale e successivo) della cosa da parte del titolare è assicurato attraverso l’assolvimento degli obbli-
ghi a ciò specificamente finalizzati del locatore (1571 e 1575), presentandosi, quindi, la relativa posizione del
titolare dipendente dalla sua. Peraltro, non si è mancato di sottolineare come profili di tutela erga omnes della
posizione del titolare – tali da rendere alquanto ibrida la figura – risultino, in particolare, dal potere costui
agire direttamente nei confronti delle molestie di terzi (che non accampino diritti sulla cosa: 15852).
28
Ciò non esclude che, rappresentando indubbiamente il diritto di credito un valore nel patrimonio del
creditore, si ritenga, ormai da tempo, che costui trovi tutela anche contro comportamenti di soggetti estranei
al rapporto, tali, però, da impedire la realizzazione del suo interesse. Si tratta della già accennata problematica
della c.d. tutela aquiliana dei diritti di credito (X, 1.4).
132 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

6. Diritto potestativo. – Le precedenti classificazioni in tema di diritti soggettivi non


sono sembrate tali da dar conto della peculiarità della posizione in cui si trova il sogget-
to, quando gli sia conferito dal legislatore il potere di determinare unilateralmente la mo-
dificazione di una situazione giuridica, realizzando così senz’altro il suo interesse. È stata,
di conseguenza, individuata ed elaborata – dalla dottrina tedesca – una categoria, quella
dei diritti potestativi, i cui caratteri (se non, addirittura, la loro stessa configurabilità qua-
li veri e propri diritti soggettivi), peraltro, restano persistentemente materia di discussione.
L’essenza della figura del diritto potestativo è da ricercare, come accennato, nel
potere riconosciuto al soggetto di incidere su una situazione giuridica – costituendola,
modificandola o estinguendola – con una propria manifestazione unilaterale di volontà 29.
Il carattere particolarmente energico della tutela dell’interesse del soggetto cui sia confe-
rito un simile potere risulta chiaro ove si tenga presente la correlatività, nel rapporto giu-
ridico, tra ogni situazione giuridica soggettiva attiva e la corrispondente situazione giuri-
dica soggettiva passiva. Al potere conferito al soggetto titolare del diritto potestativo
corrisponde, infatti, una posizione di soggezione del soggetto passivo, che si trova nella
condizione di essere costretto a subire, nella sua sfera, gli effetti giuridici derivanti dal-
l’esercizio del diritto potestativo: la modificazione, cioè, deriva senz’altro dall’iniziativa
del titolare del diritto. L’interesse di quest’ultimo, insomma, non si realizza attraverso un
comportamento altrui (sia pure solo di doverosa astensione dal turbamento della posizione
attribuita al titolare, come nei diritti assoluti), secondo quanto accade nelle altre ipotesi di
diritto soggettivo: il risultato vantaggioso avuto di mira dal titolare viene ottenuto diretta-
mente, quale conseguenza immediata della sua manifestazione di volontà. Proprio in di-
pendenza di ciò risulta del tutto indifferente l’atteggiamento del soggetto passivo esposto
agli effetti determinati dall’esercizio del diritto potestativo, nulla dovendo (ma neppure po-
tendo) fare, se non, appunto, soggiacere al potere del titolare del diritto 30.
Le ipotesi ascritte alla categoria del diritto potestativo sono numerose. Un esempio è
quello offerto dall’art. 874, concernente la comunione forzosa sul muro di confine: l’ef-
fetto costitutivo della situazione di comunione deriva immediatamente dall’iniziativa del
proprietario del fondo contiguo al muro, non potendo l’originario proprietario esclusivo
del muro fare altro che soggiacere ad un simile effetto 31. Analogamente si atteggiano il
diritto di affrancazione del fondo che compete all’enfiteuta (art. 971), il diritto di prela-
zione eventualmente conferito dalla legge (prelazione legale, come negli artt. 230 bis5 e
732), ovvero, in materia contrattuale, indicativamente, il diritto di riscatto del venditore,
in caso di vendita con patto di riscatto (art. 1500), il diritto di recesso unilaterale attri-

29
In considerazione di una simile configurazione della situazione del titolare, si è ricorsi anche all’espres-
sione di diritti formativi o costitutivi, così traducendosi l’originario termine tedesco (Gestaltungsrechte). Dato
il peso che assume la discrezionalità del titolare in ordine al relativo esercizio, si tende anche a parlare di diritti
discrezionali.
30
In considerazione del fatto che il diritto potestativo inerisce ad una relazione tra soggetti determinati,
esso si è ritenuto assimilabile ai diritti relativi. Si tratta, comunque, di un mero accostamento, dato che,
come si è visto, manca qui quella situazione di obbligo (di cooperazione) del soggetto passivo, caratteriz-
zante i diritti relativi, in quanto l’interesse del soggetto attivo si realizza del tutto indipendentemente dal
suo comportamento.
31
È da sottolineare che nell’art. 874 (come spesso risulta contestualmente previsto in caso di attribuzione di
diritti potestativi) si ritiene contemplato anche un onere (quello, in particolare, del pagamento di una somma di
danaro) a carico del soggetto che intenda esercitare il diritto potestativo di rendere comune il muro di confine.
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 133

buito ad una delle parti (art. 1373), il diritto di opzione (art. 1331), il diritto di avvalersi
della clausola risolutiva espressa (art. 1456). In tutti questi casi, infatti, l’effetto giuridico
avuto di mira dal titolare del diritto potestativo consegue alla sua manifestazione unilate-
rale di volontà, restandone la controparte semplicemente assoggettata 32. Dagli esempi
fatti sembra anche confermata l’idea che i diritti potestativi presentino effettivamente un
carattere di accessorietà rispetto ad un rapporto o diritto principale (risultandone, quin-
di, possibile il trasferimento solo contestualmente alla situazione cui accedono).
Resta controverso se siano annoverabili tra i diritti potestativi pure quelle situazioni
in cui la produzione dell’effetto, atto a soddisfare l’interesse del titolare, non consegue
immediatamente ad una sua manifestazione di volontà, ma richiede una pronuncia giudi-
ziale, sia pure su iniziativa del titolare stesso (il cui potere consiste e si esaurisce, quindi,
nella possibilità di proporre la relativa domanda) 33. Esempio corrente è quello del diritto
di ottenere la costituzione di una servitù coattiva (art. 1032): in caso di disaccordo, tale
effetto deriva da una sentenza (costitutiva), pronunciata su iniziativa del soggetto che si
trova nelle condizioni stabilite dalla legge. Altra ipotesi viene individuata nel potere ri-
conosciuto a ciascuno dei partecipanti di domandare lo scioglimento della comunione
(art. 1111). Nella stessa prospettiva, poi, sono prese in considerazione le azioni di impu-
gnazione del contratto, come quelle di annullamento (art. 1441) e di risoluzione per ina-
dempimento (art. 1453).

7. Potestà. – Caratteristica costante (e fondamentale) delle situazioni giuridiche sog-


gettive attive sin qui considerate è quella di comportare l’attribuzione di poteri per la
soddisfazione di interessi propri di coloro cui risultano attribuite. Talvolta, però, un pote-

32
Talvolta, a tutela della controparte, nelle situazioni caratterizzate da una posizione – secondo la valuta-
zione fattane dal legislatore – di istituzionale supremazia di uno dei soggetti nel rapporto, la discrezionalità
che caratterizza l’esercizio del diritto potestativo viene normativamente limitata, risultando espressamente su-
bordinata alla ricorrenza di talune condizioni. Così, ad es., la disdetta del contratto di locazione da parte del
locatore presuppone, in taluni casi, la sussistenza di sue esigenze abitative o di altre sue specifiche necessità
(artt. 29 L. 27.7.1978, n. 392 e 3 L. 9.12.1998, n. 431). Nella medesima prospettiva, la ricorrenza di una giusta
causa è richiesta per il licenziamento del lavoratore da parte del datore di lavoro (art. 1 L. 15.7.1966, n. 604).
Sul piano giudiziale, poi, evidentemente in mancanza di più puntuali criteri legislativi finalizzati a delimitare
la discrezionalità del titolare nell’esercizio del suo diritto, si presenta estesamente utilizzato, a fini di controllo
dei poteri discrezionali, il richiamo al principio generale della buona fede contrattuale. Alla luce di tale prin-
cipio tende, così, ad essere controllata la discrezionalità dell’imprenditore nell’esercizio dei suoi poteri nei
confronti dei lavoratori: ad es., in relazione alla scelta di quelli da collocare in mobilità, è stata evidenziata la
necessità di “valutare l’esecuzione del contratto a norma della disposizione generale dell’art. 1375 c.c.” (Cass.
9-9-2000, n. 11875). Anche in ambito associativo la giurisprudenza si mostra diffusamente orientata nel senso
di controllare l’esercizio dei poteri di supremazia, facendo applicazione del principio in questione: in partico-
lare, ne è stato dedotto il carattere di illegittimità della delibera assembleare, pur formalmente regolare, “adotta-
ta a proprio esclusivo vantaggio dai soci di maggioranza di una società di capitali in danno di quelli di minoran-
za” (Cass. 26-10-1995, n. 11151; Cass. 11-6-2003, n. 9353). In via generale, Cass. 18-9-2009, n. 20106, reputa
necessario un controllo – secondo “i principi della buona fede oggettiva e dell’abuso del diritto” – del-
l’esercizio del convenuto potere di recesso, affinché esso, in presenza di “provata disparità di forza tra i con-
traenti”, non si trasformi “in un recesso arbitrario” (v. anche, ad es., Cass. 29-5-2020, n. 10324 e, in relazione ai
rapporti bancari, ad es., Cass. 24-8-2016, n. 17291, nonché, sempre nell’ottica della valorizzazione del “prin-
cipio di buona fede, sancito dall’art. 1375 c.c.”, Cass. 22-12-2020, n. 29317, con riguardo al recesso ad nutum
della banca dal rapporto di apertura di credito).
33
Al riguardo, si parla, per distinguerli dagli altri diritti potestativi, di diritti potestativi giudiziali, sulla scia di
una analoga distinzione terminologica operata dalla dottrina tedesca (Gestaltungsklagerechte).
134 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

re è riconosciuto al soggetto in vista della tutela e realizzazione di un interesse altrui. Tale


peculiare situazione giuridica soggettiva è usualmente definita potestà 34.
Un potere del genere può essere conferito dallo stesso titolare dell’interesse in gio-
co, come accade nel caso della rappresentanza diretta, nella quale al rappresentante è
attribuito dal rappresentato il potere di concludere un contratto, destinato a produrre
i suoi effetti direttamente nel patrimonio di quest’ultimo (art. 1388) (VIII, 8.2). I casi
di maggiore interesse, comunque, anche per la complessità delle situazioni che ne de-
rivano, sono però quelli in cui è la legge a conferire un tale potere: ciò avviene, in par-
ticolare, quando sussistono peculiari esigenze di tutela di interessi che, altrimenti, ne
resterebbero privi. Esempi significativi di una simile situazione sono quelli della tutela
(artt. 343 ss.) (IV, 1.9) e della responsabilità genitoriale (artt. 316 ss., secondo la impo-
stazione del rapporto tra genitori e figli privilegiata – già sul piano terminologico col
superamento del previgente riferimento alla potestà dei genitori – dalla L. 10.12.2012,
n. 219, nonché sviluppata nel D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, destinato ad attuarne i prin-
cipi) (IV, 1.8 e V, 4.9).
L’attribuzione del potere nell’interesse altrui determina una rilevante deviazione nei
modi di esercizio del potere medesimo, rispetto ai casi in cui esso sia esercitato dal mede-
simo titolare dell’interesse da soddisfare. L’esercizio del potere, infatti, non si presenta,
secondo quanto accade in genere, libero, bensì vincolato, appunto, alla realizzazione
dell’interesse, in vista della cui realizzazione è attribuito. Ciò comporta l’evidente esigen-
za di prevedere forme di controllo dell’esercizio del potere (secondo modalità ovviamen-
te diverse, quale riflesso della diversità delle singole situazioni).
Nell’ipotesi della rappresentanza diretta, così, il titolare dell’interesse su cui il potere
(di rappresentanza) è destinato ad incidere può reagire, chiedendone l’annullamento,
contro gli atti di esercizio abusivo dello stesso, come si verifica in caso di contratto
concluso dal rappresentante in conflitto di interessi col rappresentato (art. 1394) e di
contratto del rappresentante con se stesso (art. 1395). Ove, poi, poteri vengano confe-
riti dalla legge per la tutela di interessi altrui nel quadro di un rapporto intersoggettivo
complesso e destinato a durare nel tempo, come è caratteristico delle accennate potestà
disciplinate in vista della protezione di soggetti incapaci (quali il minore o l’interdetto), il
controllo sul relativo esercizio, oltre (e, forse, più) che riguardare singoli atti (come nel ca-
so di conflitto di interessi: artt. 3206, 321, 323, 3601, 378), tende a coinvolgere, complessi-
vamente, l’attività del soggetto cui la potestà è attribuita. La relativa investitura, infatti, av-
viene in vista della prioritaria esigenza di tutelare interessi che l’ordinamento reputa a tal
punto rilevanti, da volerne assicurare comunque un’adeguata protezione.
L’esercizio dei poteri connessi alla potestà viene ad assumere, di conseguenza, per il
soggetto cui essa è attribuita, un carattere di vera e propria doverosità 35: è questo il moti-

34
Non vi è dubbio che, risolvendosi comunque nell’attribuzione di un potere al soggetto (sia pure con le
precisazioni di seguito accennate), la potestà sia da considerare quale situazione giuridica soggettiva attiva.
La relativa problematica si ricollega al controverso concetto di legittimazione, correntemente intesa quale
potere riconosciuto al soggetto di agire con effetti su una determinata situazione giuridica (propria o altrui),
disponendo degli interessi in essa coinvolti (VIII, 2.1).
35
È da sottolineare come un simile carattere di doverosità si ritenga riguardare anche la stessa assunzione
della potestà, come si avrà modo di vedere esaminando le singole ipotesi.
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 135

vo per cui situazioni di questo tipo vengono correntemente identificate pure in termini
di potere-dovere o di ufficio di diritto privato (munus). Del tutto coerente, allora,
nella regolamentazione di simili situazioni, si presenta la previsione della possibile rimo-
zione del soggetto dalla titolarità della potestà, in caso di relativo esercizio tale da pregiu-
dicare il soggetto i cui interessi sono in gioco. Esemplare, in tale prospettiva, si presenta
l’articolato controllo sulla responsabilità genitoriale, fino alla possibile pronuncia della
decadenza da essa (art. 330) 36, quando non siano sufficienti misure di minore gravità
(quali quelle previste negli artt. 333 e 334). E particolarmente significativa risulta, in pro-
posito, l’estensione della possibilità di richiesta di un simile controllo anche al pubblico
ministero (art. 3361) 37.

8. Aspettativa. – Dalla situazione giuridica di diritto soggettivo si distingue la situa-


zione di aspettativa, quando i requisiti che l’ordinamento pone per il sorgere del dirit-
to soggettivo stesso (e la relativa attribuzione al soggetto) non si siano ancora completa-
mente realizzati (quando, cioè, secondo l’impostazione concettuale corrente, non sono an-
cora presenti tutti gli elementi della fattispecie costitutiva).
Quella di aspettativa può essere considerata, a sua volta, una situazione giuridica sog-
gettiva, sia pure diversa dal diritto soggettivo al cui sorgere risulta preordinata. Ciò av-
viene ove (ed entro i limiti in cui) l’ordinamento riconosca al soggetto, in considerazione
dell’essersi già realizzati taluni degli elementi necessari per il sorgere del diritto soggetti-
vo, una qualche tutela del suo interesse a vedere completata la fattispecie costitutiva del
diritto avuto di mira. Si tratta, quindi, per definizione, di una tutela e di una situazione
giuridica di natura provvisoria e meramente strumentale all’acquisto, da parte del sogget-
to, della titolarità di un diritto, in quanto destinate a venire comunque meno o con il
sorgere del diritto o con la definitiva interruzione del procedimento di formazione della
fattispecie costitutiva del diritto stesso 38.
Affinché si possa parlare di aspettativa, nel senso accennato (aspettativa giuridica
o di diritto), occorre, dunque, che l’ordinamento consideri già attualmente meritevole
di tutela un interesse del soggetto (quello, cioè, al regolare svolgimento del procedimen-
to di formazione della fattispecie acquisitiva del diritto). Diversa è la situazione di mera
speranza di un futuro diritto, ove l’ordinamento non consideri attualmente meritevole di
tutela un interesse del soggetto, non essendosi ancora realizzato alcuno degli elementi
della fattispecie costitutiva del diritto (ovvero la realizzazione degli elementi della fatti-
specie apparendo ancora insufficiente, in vista del riconoscimento di una qualche tutela
del soggetto). Si parla, al riguardo, di aspettativa di fatto. Un esempio ne viene visto
nella situazione in cui si trova il soggetto in ordine all’eredità di chi sia ancora vivente,
anche se si tratti di uno di quei soggetti (come, ad es., i figli) che hanno diritto a una

36
Tale decadenza dalla responsabilità genitoriale può essere significativamente pronunciata, oltre che in ca-
so di abuso dei relativi poteri, anche ove il genitore violi o semplicemente trascuri quelli che sono esplicita-
mente definiti quali doveri ad essa inerenti.
37
In analoga prospettiva, è da ricordare, in particolare, la possibile rimozione e sospensione del tutore, non
solo nel caso di negligenza o di abuso dei poteri conferitigli, ma anche quando costui si sia semplicemente di-
mostrato inetto nell’adempimento dei suoi poteri (art. 384).
38
Le situazioni di aspettativa si ricollegano, quindi, alle ipotesi di c.d. fattispecie a formazione progressiva
(II, 4.3), parlandosi significativamente, al riguardo, di diritto soggettivo in itinere o di un suo stadio anteriore.
136 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

quota della relativa eredità, dato che è solo con la morte del soggetto da cui si conta di
ereditare (e con la conseguente apertura della successione) che comincia a realizzarsi la
fattispecie successoria (divenendo, allora, solo in tale momento giuridicamente rilevanti le
aspettative in ordine all’eredità).
Ipotesi esemplare di ricorrenza di una situazione di aspettativa di diritto si ritiene es-
sere quella di chi acquisti un diritto sotto condizione sospensiva o l’alieni sotto condi-
zione risolutiva (VIII, 3.21). Nella fase in cui è incerto l’avverarsi o meno della condizio-
ne (nella fase, cioè, della relativa pendenza, secondo quanto accade tipicamente in conse-
guenza dell’utilizzazione del meccanismo condizionale: art. 1353), non solo il soggetto
può disporre della sua situazione, appunto di aspettativa, rispetto al diritto (in particola-
re trasferendola ad altri) (art. 1357), ma vede tutelato, in maniera incisiva, l’interesse al
rispetto della sua aspettativa, da parte di chi sia controinteressato. Così, egli può com-
piere gli opportuni atti conservativi (art. 1356); la controparte deve “comportarsi secon-
do buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte” (art. 1358); la condizio-
ne, soprattutto, si considera avverata (c.d. finzione di avveramento) “qualora sia mancata
per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”
(art. 1359), col conseguente realizzarsi della situazione giuridica avuta di mira dal sogget-
to titolare della relativa aspettativa 39.

9. Interesse legittimo. – Quella di diritto soggettivo si presenta come situazione di


piena e diretta tutela dell’interesse del soggetto. Non tutti gli interessi del soggetto rice-
vono, però, una simile tutela. Prescindendo dai c.d. interessi di fatto (o semplici), definiti
tali proprio perché del tutto irrilevanti per l’ordinamento, taluni interessi sono conside-
rati meritevoli di protezione, col conseguente riconoscimento di una situazione giuridica
soggettiva, ma al titolare non è conferito un potere di carattere autonomo in vista del rela-
tivo soddisfacimento. Il soddisfacimento di un interesse di questo tipo, infatti, viene a
dipendere dall’esercizio di un potere attribuito ad altri, nel senso che l’esercizio del pote-
re da parte del soggetto cui è attribuito, nel soddisfare immediatamente l’interesse in vi-
sta del quale il potere stesso è conferito a tale soggetto, vale anche a soddisfare in via in-
diretta e mediata l’interesse del titolare della situazione giuridica soggettiva in questione.
Con la terminologia di interesse legittimo si allude, appunto, ad una simile situazione,
caratterizzata, secondo l’impostazione concettuale tradizionale, da una tutela solo indi-
retta dell’interesse del soggetto che ne è titolare.
La categoria dell’interesse legittimo è stata teorizzata – in alcuni ordinamenti, tra
cui il nostro, che si ispirano storicamente a quello francese – con riferimento al diritto
pubblico ed all’esercizio dei poteri amministrativi, per definire la posizione del soggetto
privato rispetto al loro esercizio nell’interesse pubblico, quando esso concerna un bene
cui il soggetto stesso sia interessato 40. L’interesse del soggetto privato viene tutelato in

39
Una ipotesi di aspettativa giuridica viene ravvisata da taluno, con riferimento alla materia successoria
(art. 462), nella peculiare situazione del nascituro (IV, 1.2). Ciò in considerazione del carattere conservativo e
provvisorio della tutela riconosciuta alla relativa posizione, considerata assimilabile, secondo una simile opinio-
ne, a quella di chi abbia acquistato un diritto sotto condizione sospensiva.
40
La materia, di conseguenza, viene qui solo accennata, costituendo oggetto di specifico approfondimen-
to nel quadro del diritto pubblico e, in particolare, del diritto amministrativo.
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 137

quanto coincidente con l’interesse pubblico e si sostanzia nella pretesa ad un esercizio cor-
retto del potere da parte della pubblica amministrazione (si ricordi, al riguardo, come
l’art. 981 Cost. imponga che “siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’am-
ministrazione”) 41.
L’esigenza di una tutela dell’interesse del privato è particolarmente avvertita, ovvia-
mente, in quei casi in cui l’interesse legittimo risulti tale in seguito all’esercizio di poteri
della pubblica amministrazione incidenti su una precedente situazione di diritto sogget-
tivo, come accade, ad es., nel caso di espropriazione per pubblico interesse (artt. 834 e
423 Cost.): il proprietario è, come tale, titolare di un diritto soggettivo, ma, in considera-
zione del potere riconosciuto alla pubblica amministrazione di espropriare beni, quando
ciò sia necessario nell’interesse generale, nei confronti della pubblica amministrazione la
sua posizione degrada a quella di titolare di un mero interesse legittimo al corretto eser-
cizio del potere di espropriazione (con riguardo alle ipotesi del genere si tende a parlare
di diritti affievoliti).
La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi ha assunto storicamente rile-
vanza, nel nostro ordinamento, sotto diversi profili: innanzitutto, dal punto di vista delle
competenze in ordine alla relativa tutela giurisdizionale (comunque assicurata per am-
bedue le situazioni, ai sensi dell’art. 241 Cost.), operando per la tutela dei diritti soggetti-
vi la competenza del giudice ordinario, mentre per la tutela degli interessi legittimi quella
del giudice amministrativo (c.d. riparto delle giurisdizioni) (III, 1.1); inoltre, sotto il profi-
lo della diversità delle modalità di tutela degli interessi legittimi rispetto a quella dei di-
ritti soggettivi (il risarcimento del danno risultando limitato alla violazione dei diritti
soggettivi); infine, per la diversità dei poteri del giudice amministrativo rispetto a quelli
del giudice ordinario (al primo essendo consentito solo eliminare l’atto illegittimo e non
condannare al risarcimento del danno, anche se dal provvedimento annullato sia deriva-
ta la lesione di un diritto soggettivo).
Un simile quadro consolidato e tradizionale della materia è, peraltro, profondamente
mutato negli anni più vicini. Con importanti interventi del legislatore (D.Lgs. 31.3.1998,
n. 80 e L. 21.7.2000, n. 205), sono state, infatti, sempre più estese le materie in relazione
alle quali il giudice amministrativo è stato ritenuto competente a giudicare anche le con-
troversie aventi ad oggetto diritti soggettivi (c.d. giurisdizione esclusiva del giudice am-

41
Un esempio ricorrente è quello della posizione del soggetto con riferimento ad un concorso pubblico. Il
concorrente – a differenza del cittadino in quanto tale che è portatore, al riguardo, di un mero interesse di fatto –
ha un interesse giuridicamente rilevante (interesse legittimo) ad uno svolgimento del concorso secondo le regole
stabilite dalla legge per disciplinare le relative procedure: regole dettate in vista del soddisfacimento di un inte-
resse pubblico (quello alla scelta dei candidati maggiormente idonei a ricoprire i posti messi a concorso), ma il cui
rispetto può essere preteso dal concorrente stesso in vista del soddisfacimento del suo interesse personale (ad ac-
cedere, se meritevole, al posto messo a concorso), in quanto coincidente con quello pubblico. Al soggetto privato,
di conseguenza, è riconosciuta, in una simile situazione, la possibilità di azionare strumenti di controllo (in parti-
colare giudiziale) sull’operato della pubblica amministrazione, in modo da vedere tutelato, in una con l’interesse
pubblico, il suo interesse personale. Il campo cui ci si riferisce, secondo la corrente distinzione in materia, è quel-
lo delle c.d. norme di azione, che disciplinano il buon funzionamento della pubblica amministrazione; altre nor-
me (c.d. norme di relazione), invece, disciplinano specifici rapporti tra privati e pubblica amministrazione, de-
terminando il sorgere di diritti e obblighi reciproci. Così, continuando l’esempio dianzi proposto, con l’assun-
zione in servizio viene ad esistenza un rapporto di impiego, in dipendenza del quale l’impiegato pubblico ha un
vero e proprio diritto soggettivo al pagamento della retribuzione.
138 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

ministrativo) (in particolare, edilizia, urbanistica e servizi pubblici) e al giudice amministra-


tivo è stato conferito, in tali materie, il potere di condannare la pubblica amministrazione
al risarcimento del danno conseguente ad un provvedimento illegittimo (prima rientrante
nella sola competenza del giudice ordinario, in un separato giudizio successivo a quello di
annullamento del provvedimento illegittimo da parte del giudice amministrativo) 42.
La giurisprudenza, da parte sua, con un fondamentale intervento della Cassazione a
sezioni unite, ha sancito, da un lato, in via di principio, la risarcibilità del danno conse-
guente alla lesione di un interesse legittimo, ai sensi dell’art. 2043 (precedentemente,
come accennato, categoricamente esclusa), sia pure con opportune precisazioni circa le
concrete ipotesi di risarcibilità (in dipendenza della tipologia degli interessi legittimi in
gioco) 43; dall’altro, ha riconosciuto al giudice ordinario la possibilità di giudicare le
controversie concernenti la violazione di interessi legittimi, eventualmente condan-
nando la pubblica amministrazione al risarcimento del danno (senza necessità, quindi,
del previo annullamento del provvedimento illegittimo da parte del giudice ammini-
strativo) 44.
Tale ultimo intervento giurisprudenziale – prescindendo qui dalla sua fondamentale
importanza sistematica in tema di responsabilità civile (X, 1.3) – risulta ispirato ad una
concezione dell’interesse legittimo e della relativa distinzione rispetto al diritto soggetti-
vo alquanto differente da quella più tradizionale (cui si è fatto cenno dianzi). All’attri-
buzione di un interesse legittimo si è inteso conferire valore di riconoscimento, da parte
dell’ordinamento, di rilevanza sostanziale all’interesse del titolare ad un bene della vita:
come tale, quindi, in caso di relativa lesione, suscettibile – appunto in quanto interesse
giuridicamente rilevante per l’ordinamento – di tutela di carattere risarcitorio (alla pari,
insomma, del diritto soggettivo). In una simile prospettiva, allora, l’interesse legittimo fi-
nisce con l’assumere la veste di interesse direttamente protetto (e non protetto solo indi-
rettamente, in quanto coincidente con l’interesse pubblico), quale situazione giuridica sog-
gettiva di vantaggio riconosciuta ad un soggetto rispetto ad un bene della vita, tutelata

42
Peraltro, Corte cost. 6-7-2004, n. 204, ha alquanto ridimensionato, sulla base dell’art. 1031 Cost. (con-
cernente la giustizia amministrativa), l’area della giurisdizione esclusiva riconosciuta al giudice amministra-
tivo, conservando, comunque, a tale giudice il potere di disporre il risarcimento del danno (v. anche III, 1.1).
Ulteriori precisazioni circa la legittimità della devoluzione di materie alla giurisdizione esclusiva del giu-
dice amministrativo ha operato Corte cost. 11-5-2006, n. 191. Si ritiene, comunque, consentito affidare al
giudice amministrativo anche la “tutela dei diritti costituzionalmente protetti” (Corte cost. 27-4-2007, n.
140).
43
Stando all’impostazione di Cass., sez. un., 22-7-1999, n. 500 (seguita dalla successiva giurisprudenza: ad
es., Cass. 13-10-2011, n. 21170 e, più di recente, Cass. 12-1-2018, n. 651), viene in rilievo, in proposito, la
corrente distinzione “tra ‘interessi oppositivi’ e ‘interessi pretensivi’, secondo che la protezione sia conferita al
fine di evitare un provvedimento sfavorevole ovvero per ottenere un provvedimento favorevole: i primi soddi-
sfano istanze di conservazione della sfera personale e patrimoniale del soggetto, i secondi istanze di sviluppo
della sfera personale e patrimoniale del soggetto”. In materia di interessi pretensivi, così, si tende a seguire
criteri ispirati a maggiore cautela, subordinando il risarcimento conseguente alla relativa lesione “all’accerta-
mento, in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, della spettanza del bene della
vita oggetto dell’aspettativa giuridicamente tutelata” (Cons. Stato, sez. V, 19-8-2019, n. 5737; ad una “situa-
zione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, in base a un criterio di normalità, ad un esito favo-
revole”, allude Cons. Stato, sez. IV, 27-2-2020, n. 1437).
44
È da segnalare, peraltro, come la problematica del riparto di giurisdizione in materia risarcitoria sia rimasta
persistentemente controversa, con ricorrenti contrasti tra la giurisprudenza ordinaria e quella amministrativa.
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 139

mediante il conferimento al titolare di un vero e proprio potere di realizzare il suo inte-


resse (non diversamente che in caso di diritto soggettivo) 45.
La problematica in esame è stata, da ultimo, disciplinata in maniera sistematica dal
D.Lgs. 2.7.2010, n. 104, con cui ha avuto attuazione l’art. 44 della L. 18.6.2009, n. 69,
recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo 46.
Con il fondamentale – e atteso – art. 30, si è inteso tentare di risolvere i contrasti in-
sorti circa l’esperibilità dell’azione risarcitoria indipendentemente dalla necessità di im-
pugnare il provvedimento amministrativo lesivo 47. In proposito, si è stabilito che l’azione
di condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’at-
tività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria può essere proposta
anche in via autonoma (c.d. azione risarcitoria pura) 48.

45
Cass. 500/SU/1999, ha con decisione affermato che “anche nei riguardi della situazione di interesse legit-
timo, l’interesse effettivo che l’ordinamento intende proteggere è pur sempre l’interesse ad un bene della vita”,
“la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione) può concretizzare danno” (come tale risarcibile):
“ciò che caratterizza l’interesse legittimo e lo distingue dal diritto soggettivo è soltanto il modo o la misura in
cui l’interesse sostanziale ottiene protezione”. L’interesse legittimo viene, inteso, insomma, in aderenza ad una
concezione più attuale della materia, “come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad
un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di
poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione del-
l’interesse al bene” (analogamente, in sostanza, pure Cons. Stato, ad. plen., 23-3-2011, n. 3). La risarcibilità
della relativa lesione consegue, poi, al rientrare, in via del tutto generale, nell’“area della risarcibilità” ogni “le-
sione di un interesse rilevante per l’ordinamento”, indipendentemente dalla “qualificazione formale della posi-
zione giuridica vantata dal soggetto” (in termini, cioè, di diritto soggettivo), purché risulti che “l’ordinamento
assicura tutela all’interesse danneggiato … manifestando una esigenza di protezione”.
46
La sempre controversa (dianzi accennata) materia della giurisdizione esclusiva del giudice amministrati-
vo è stata ora regolata nell’art. 133.
47
Sulla questione della c.d. pregiudiziale amministrativa persistente si era dimostrato il contrasto tra la
giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella della Cassazione. Quest’ultima, infatti, ha continuato a sostene-
re l’erroneità dell’avviso della prima (Cons. Stato, ad. plen., 22-10-2007, n. 12), ferma nel negare la “tutela
risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata preventi-
vamente richiesta e dichiarata in sede di annullamento” (così sintetizza l’opinione criticata, Cass., sez. un.,
23-12-2008, n. 30254; v. anche Cass., sez. un., 3-3-2010, n. 5025 e, di recente, Cass. 20-6-2018, n. 16196). La
svolta legislativa, nel senso dell’“abbandono del vincolo derivante dalla pregiudiziale amministrativa”, viene
evidenziata da Corte cost. 4-5-2017, n. 94.
48
Si è anche contemplata la possibilità, sussistendone i presupposti previsti dall’art. 2058 (X, 2.2), di
chiedere il risarcimento del danno in forma specifica. La giurisprudenza amministrativa si è orientata – “per
l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa” – nel senso
“della riconducibilità del danno per lesione di interessi legittimi al modello della responsabilità per fatto ille-
cito”, in considerazione di quella “asimmetria delle posizioni” tra pubblica amministrazione e privato, che
vale a caratterizzare “il rapporto amministrativo … per l’esercizio unilaterale del potere nell’interesse pubbli-
co” (così che la prima “non possa essere assimilata al ‘debitore’ obbligato per contratto ad ‘adempiere’ in
modo esatto nei confronti del privato”: Cons. Stato, ad. plen., 23-4-2021, n. 7). Peraltro, la giurisprudenza
civile (anche ai fini del deferimento delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria) tende a ricostruire
– “nei casi in cui il danno derivi non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’eser-
cizio del potere amministrativo, ma dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato,
cui la pubblica amministrazione è tenuta a conformarsi al pari di qualunque altro soggetto” – la “responsabi-
lità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la pubblica amministrazione in termini
di responsabilità da contatto sociale” (“responsabilità relazionale o da ‘contatto sociale qualificato’”, come
tale riconducibile, quindi, “allo schema della responsabilità contrattuale”: VII, 4.3; X, 2.3): Cass., sez. un.,
28-4-2020, n. 8236, seguita da Cass., sez. un., 15-1-2021, n. 615. Da ultimo, Cons. Stato, ad. plen., 29-11-2021,
nn. 19, 20 e 21, alla luce del proprio consolidato indirizzo favorevole all’applicabilità delle regole di correttez-
140 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

Un disincentivo, comunque, all’esercizio in via autonoma dell’azione risarcitoria per la


lesione di interessi legittimi – tale da indurre a reputare evanescente la concreta rilevanza
della relativa affermata possibilità – deriva dalla previsione della esclusione del risarci-
mento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche at-
traverso gli strumenti di tutela previsti 49.
Inoltre, da una parte, si è riservata alla cognizione esclusiva del giudice amministrati-
vo ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi
(nonché per lesioni di diritti soggettivi nelle materie di giurisdizione esclusiva) 50; dall’al-
tra, si è assoggettato l’esercizio dell’azione risarcitoria ad un breve termine di decadenza
(120 giorni: disciplina, questa, della cui legittimità costituzionale non si è mancato im-
mediatamente di dubitare) 51.
Non meraviglia che, ad esito degli accennati interventi legislativi e giurisprudenziali, i
quali hanno reso sicuramente più problematica – e, tutto sommato, assai meno significa-
tiva che in passato – la distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, crescente
consenso riceva l’opinione nel senso di un radicale superamento della distinzione mede-
sima, pure in base alla considerazione secondo cui, nel contesto dell’Unione europea, so-
lo gli ordinamenti di taluni paesi la conoscono e continuano ad ispirarsi ad essa (un simi-
le superamento potendo valere, allora, anche a semplificare le relazioni all’interno della
nostra area giuridica continentale).

za e buona fede anche all’attività della pubblica amministrazione, hanno reputato senz’altro tutelabile l’affida-
mento del privato sul legittimo esercizio, da parte di essa, del potere pubblico, e ciò anche in relazione al caso
di annullamento di provvedimento favorevole su ricorso di terzi. Discorrendosi di “apparenza ingenerata sul
piano extracontrattuale”, pare emergere, però, la propensione della giurisprudenza amministrativa per una
qualificazione, anche in tal caso, della responsabilità in questione in chiave aquiliana, con devoluzione al giu-
dice amministrativo delle relative controversie (e, quindi, in contrasto col ricordato orientamento della giuri-
sprudenza civile).
49
Nel quadro di simili strumenti di tutela, un rilievo preminente assumendo, evidentemente, proprio l’e-
sperimento dell’azione di annullamento dell’atto, alla cui illegittimità si ricollega la lesione dell’interesse legit-
timo. Con ciò, in pratica, costringendo quasi sempre il danneggiato a proporre – nel previsto termine di 60
giorni (art. 29) – l’azione di annullamento dell’atto da cui pretenda di essere stato leso. Si è ritenuto (Cons. Stato,
ad. plen., n. 3/2011) che, così, il legislatore, suggellando “un punto di equilibrio capace di superare i contrasti
ermeneutici registratisi tra le due giurisdizioni”, “ha mostrato di non condividere la tesi della pregiudizialità pura
di stampo processuale al pari di quella della totale autonomia dei due rimedi, approdando ad una soluzione che,
non considerando l’omessa impugnazione quale sbarramento di rito, aprioristico ed astratto, valuta detta con-
dotta come fatto concreto da apprezzare, nel quadro complessivo del comportamento delle parti, per escludere il
risarcimento dei danni evitabili per effetto del ricorso all’annullamento”. In tale prospettiva, Cons. Stato, sez. V,
2-11-2011, n. 5837, ha ritenuto che “la tardività dell’impugnazione giurisdizionale proposta costituisce fattore di
mitigazione del danno risarcibile” (richiamandosi al collegamento operato nella decisione dianzi ricordata tra
l’art. 303 D.Lgs. 104/2010 e i principi enunciati dal codice civile agli artt. 1175 e 1227).
50
Si ricordi come sia previsto che, nei casi di giurisdizione esclusiva, possa essere anche chiesto il risarci-
mento del danno da lesione di diritti soggettivi.
51
La previsione del termine di decadenza in questione è stata considerata legittima da Corte cost. 94/2017,
in quanto “espressione di un coerente bilanciamento dell’interesse del danneggiato di vedersi riconosciuta la
possibilità di agire anche a prescindere dalla domanda di annullamento (con eliminazione della regola della
pregiudizialità), con l’obiettivo, di rilevante interesse pubblico, di pervenire in tempi brevi alla certezza del
rapporto giuridico amministrativo, anche nella sua declinazione risarcitoria”, nonché con “l’interesse, di ran-
go costituzionale, di consolidare i bilanci delle pubbliche amministrazioni” (la diversità di disciplina rispetto
“all’azione risarcitoria del danno da lesione di diritti soggettivi” risultando comunque giustificata “dalla non
omogeneità delle posizioni soggettive poste a raffronto”).
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 141

È da tenere presente come della figura dell’interesse legittimo sia stata proposta l’uti-
lizzazione anche al di fuori dei rapporti con la pubblica amministrazione, per definire
particolari situazioni ricorrenti nei rapporti che interessano il diritto privato. Questo, in
particolare, in quelle ipotesi in cui il soggetto si venga a trovare in una situazione di sog-
gezione a poteri discrezionali altrui (entro certi limiti comparabile, quindi, con la situa-
zione in cui il privato si viene a trovare nei confronti della pubblica amministrazione),
come accade con riguardo all’azione delle c.d. autorità private (di cui si ritengono esempi
famiglia, associazione e impresa). Per tale via si è perseguito lo scopo di conferire rilevanza
giuridica (e conseguente tutela) all’interesse del soggetto ad un corretto esercizio dei po-
teri in questione (pure se attribuiti al titolare nel proprio interesse), quando siano desti-
nati ad incidere sulla sua sfera giuridica 52.
Peraltro, almeno nelle situazioni socialmente più rilevanti, l’esigenza di controllo sul-
l’esercizio dei poteri privati risulta assicurata dallo stesso ordinamento attraverso stru-
menti appositamente a ciò finalizzati (si pensi alla materia dell’esercizio dei poteri del-
l’imprenditore in tema di licenziamento del lavoratore, ovvero a quella dell’esercizio del-
la responsabilità genitoriale in ordine alle decisioni relative ai figli). Maggiormente ga-
rantistico si presenta, del resto, l’indirizzo che propende per il riconoscimento, in capo
al soggetto sottoposto al potere altrui, di una situazione di vero e proprio diritto soggetti-
vo (con conseguente invocabilità dei relativi strumenti di tutela e, in particolare, del ri-
sarcimento del danno, eventualmente per violazione del dovere di buona fede, quale cri-
terio di comportamento cui deve ispirarsi, nei rapporti intersoggettivi, pure l’esercizio di
ogni potere) 53.

10. Interessi collettivi e diffusi. – Carattere comune delle situazioni giuridiche sogget-
tive fin qui considerate è quello di tutelare l’interesse del soggetto, conferendogli una speci-
fica posizione di vantaggio rispetto ad un bene: differenziando, insomma, la sua posizione
rispetto a quella degli altri soggetti eventualmente interessati allo stesso bene (ove ritenuto
possibile oggetto di diritti individuali, di carattere anche non patrimoniale: II, 2.1).
Nella evoluzione più recente dell’ordinamento, soprattutto in considerazione della
centralità in esso assunta dalla persona umana con le sue esigenze di sviluppo, crescente
attenzione è stata prestata per interessi facenti capo al soggetto in quanto appartenente
ad una determinata collettività (gli appartenenti alla quale hanno, evidentemente, inte-
ressi omogenei), ovvero semplicemente in quanto membro della comunità nel suo com-
plesso.
La tutela del primo genere di interessi, correntemente definiti interessi collettivi,
ha presentato (e presenta) difficoltà minori, dato che trova il suo naturale punto di rife-
rimento nell’attribuzione del potere di agire per la relativa salvaguardia ad enti, di strut-
tura tipicamente associativa, espressione della organizzazione dei soggetti portatori degli

52
La problematica accennata finisce col concernere, in sostanza, la delineazione dei limiti posti all’eser-
cizio dei poteri inerenti a situazioni classificabili in termini di diritto potestativo e potestà, anche alle cui tratta-
zioni, quindi, si rinvia (II, 3.6-7).
53
Per il controllo giudiziale, alla luce del principio di buona fede, dell’esercizio dei poteri discrezionali da
parte del datore di lavoro e in campo associativo, v. quanto accennato in tema di esercizio dei diritti potesta-
tivi (II, 3.6).
142 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

interessi omogenei (si pensi agli appartenenti ad una categoria professionale, i cui inte-
ressi sono fatti valere attraverso l’azione del rispettivo ordine professionale, ovvero, più
in generale, al ruolo legislativamente riconosciuto alle rappresentanze sindacali per la tu-
tela del lavoratore dipendente, anche con riguardo, ad es., alla sua salute ed integrità fi-
sica: art. 9 L. 20.5.1970, n. 300, c.d. statuto dei lavoratori) 54.
Più problematica risulta la tutela degli interessi del secondo genere, identificati come
interessi diffusi.
Si tratta di interessi che, in genere, si ricollegano a valori di rango costituzionale, co-
me quelli relativi alla salvaguardia della salute e dell’ambiente (alla luce degli artt. 92 e 32
Cost.), ovvero alla protezione dei consumatori (nella prospettiva dell’art. 412 Cost., che
impone all’iniziativa economica di non “recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla di-
gnità umana”) 55. Al di là della tutela che simili interessi trovano, sul piano generale, con
la repressione penale dei comportamenti posti in essere in spregio ad essi, nonché, sul
piano individuale, quando i comportamenti stessi possano reputarsi lesivi di specifiche
situazioni giuridiche soggettive (in tal caso essendo l’interessato ammesso ad azionare gli
ordinari strumenti previsti per la tutela dei suoi diritti), con crescente frequenza la via
seguita dall’ordinamento consiste nella selezione (e nella promozione) di enti, ai quali
riconoscere il potere di agire (o almeno di intervenire nei giudizi) a difesa, appunto, degli
interessi diffusi 56.
Così, in tema di ambiente, il D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, pur abrogando la precedente di-
sciplina del danno ambientale (ora regolamentata nei relativi artt. 298 bis ss.: X, 2.1), ha
fatto salvo proprio il co. 5 dell’art. 18 L. 8.7.1986, n. 349, che consente alle associazioni
competenti in materia l’intervento nei giudizi per danno ambientale, oltre alla possibilità
di ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.
Nel campo della tutela dei consumatori, gli artt. 139 e 140 D.Lgs. 206/2005 (codice del
consumo), ora abrogati dalla L. 12.4.2019, n. 31 (“Disposizioni in materia di azione di
classe”), conferivano alle associazioni dei consumatori (individuate ai sensi dell’art. 137)
la legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti,
quali risultanti essenzialmente dalla enunciazione dei “diritti dei consumatori” di cui al-
l’art. 2.
È anche da ricordare come un ulteriore strumento di tutela – utilizzato largamente al-
trove e di cui si è a lungo discusso circa l’introduzione anche nel nostro ordinamento –
sia costituito dalla previsione di azioni collettive (o di categoria: class actions, secondo
la terminologia in uso negli ordinamenti che le conoscono), consistenti nel consentire (se-

54
È la stessa attività sindacale ad essere considerata meritevole di tutela, in particolare attraverso il ricono-
scimento del potere di azione agli organismi sindacali: art. 28 L. 300/1970, concernente la repressione della
condotta antisindacale.
55
La “protezione dei consumatori” è contemplata, ad esito della costante attenzione prestata a tale mate-
ria in ambito comunitario, dall’art. 38 Carta dir. fond. U.E., che garantisce ad essi “un livello elevato di prote-
zione” (l’art. 35 assicura un “livello elevato di protezione della salute umana” e l’art. 37 un “livello elevato di
tutela dell’ambiente”). Con D.Lgs. 6.9.2005, n. 206, nell’intento di riunire e riordinare i diversi provvedimen-
ti a protezione dei consumatori, è stato emanato il “codice del consumo”.
56
In relazione alla sempre maggiore valorizzazione della funzione degli enti esponenziali di interessi di ca-
rattere superindividuale, si tenga presente come l’art. 91 c.p.p. consenta, in via del tutto generale, a enti e as-
sociazioni senza scopo di lucro aventi “finalità di tutela degli interessi lesi dal reato” la possibilità di esercitare
nel procedimento penale “i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato”.
CAP. 3 – RAPPORTO GIURIDICO E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 143

condo particolari e non ovunque identiche modalità) a soggetti singoli o ad enti di pren-
dere l’iniziativa contro i comportamenti lesivi di interessi diffusi, in rappresentanza di
tutti i soggetti interessati, per ottenere la relativa inibizione (oltre che forme particolari
di risarcimento). Solo con la L. 24.12.2007, n. 244, si è avuta la definizione di uno stru-
mento del genere (azione collettiva risarcitoria), la cui disciplina, introdotta nel codice
del consumo (art. 140 bis), è stata, poi, radicalmente innovata dalla L. 23.7.2009, n. 99,
con la previsione di una azione di classe, diretta a tutelare (nel testo successivamente
risultante ai sensi del D.L. 24.1.2012, n. 1, conv. in L. 24.3.2012, n. 27) “i diritti indivi-
duali omogenei dei consumatori e degli utenti” (nonché “gli interessi collettivi”), poten-
do agire, “a tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà
mandato o comitati cui partecipa”. Infine, a conclusione di una lunga e controversa ge-
stazione, è intervenuta, nella prospettiva della generalizzazione della portata dello stru-
mento in questione, la ricordata L. 31/2019, la quale ha abrogato, oltre agli art. 139 e
140 del codice del consumo, anche il relativo art. 140 bis, introducendo un titolo VIII bis
del libro IV del codice di procedura civile (intitolato “Dei procedimenti collettivi”: artt.
840 bis ss.), appunto finalizzato a tutelare, in via del tutto generale (ai sensi dell’art. 840
bis), “i diritti individuali omogenei”, attraverso la disciplina dell’“azione di classe” da
parte di “un’organizzazione o un’associazione senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari
comprendano la tutela dei predetti diritti … ferma la legittimazione di ciascun compo-
nente della classe” (e contestualmente prevedendosi, pure in termini generali, un’“azione
inibitoria collettiva”: art. 840 sexiesdecies) (III, 1.7) 57.

11. Onere. – La legge utilizza, talvolta, la medesima terminologia impiegata per in-
dicare la posizione del soggetto passivo del rapporto – definendo, cioè, doverosi taluni
comportamenti – anche per alludere ad una diversa situazione: quella nella quale un
soggetto sia tenuto ad un certo comportamento, non al fine di realizzare un interesse
altrui (come tipicamente accade nell’obbligo), ma in vista della realizzazione di un in-
teresse proprio. Il sacrificio di un proprio interesse (in ciò si risolve, in sostanza, la ne-
cessità di tenere il comportamento prescritto dall’ordinamento), insomma, è imposto
per soddisfarne un altro, sempre proprio. Tale figura viene correntemente qualificata
come onere.
Al di là della non sempre facile individuazione delle relative singole ipotesi, data l’ac-
cennata ambiguità del tenore letterale delle norme che le contemplano, alquanto incerta
risulta, addirittura, la medesima collocazione dell’onere tra le situazioni giuridiche sog-
gettive passive o tra quelle attive. Il comportamento stesso, infatti, è libero (dato che la
sua inosservanza non comporta, a carico del soggetto, il sorgere di alcuna responsabilità
nei confronti di altri, secondo quanto accade, invece, in caso di inosservanza di un ob-
bligo), ma al contempo necessitato (ove il soggetto intenda realizzare il suo interesse al
conseguimento di una certa situazione giuridica di carattere favorevole) 58.

57
Circa “la compatibilità del risarcimento del danno non patrimoniale con il ricorso alle forme pro-
cessuali dell’azione di classe” (ovviamente dove ne “siano posti rigorosamente in risalto i tratti in qualche
modo comuni a tutti i membri della classe”), v. Cass. 31-5-2019, n. 14886.
58
Sinteticamente, Cass. 13-10-2015, n. 20560, chiarisce che “la figura dell’onere (c.d. dovere libero) si con-
creta in un comportamento necessitato per legge, imposto per la realizzazione di un interesse proprio dello
stesso titolare”. Da non confondere con la figura di situazione giuridica soggettiva in questione, è l’onere di-
144 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

Esempio corrente, in proposito, è quello dell’onere della prova. Ai sensi dell’art.


26971, “chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono
il fondamento”. L’attività (probatoria) – anche se la legge usa il termine “deve” – non è
oggetto di un obbligo (in quanto, se non la esplica, il soggetto non incorre in alcuna re-
sponsabilità), ma è per lui necessitata, nel senso che, in mancanza, non riuscirà a far va-
lere il suo diritto in giudizio (e vederlo conseguentemente tutelato) 59.

sciplinato in materia di liberalità (testamento: artt. 647 e 648; donazione: artt. 793 e 794), definito anche mo-
dus, il quale si ritiene rientrare, invece, nella categoria dell’obbligo (XII, 2.13).
59
Analogamente, l’art. 2643 prevede che taluni atti “si devono rendere pubblici col mezzo della trascri-
zione”: si tratta anche qui di un onere, dato che, in mancanza di trascrizione, la sola conseguenza è che il sog-
getto non potrà godere dei relativi effetti, a lui favorevoli, stabiliti dall’art. 2644. Talvolta si individuano ipo-
tesi di oneri anche quando il legislatore parla di obblighi, come nel caso dell’art. 1502, a proposito degli “ob-
blighi del riscattante”, in tema di vendita con patto di riscatto. Alla figura dell’onere tende ad essere ricondot-
ta pure la frequentemente prevista necessità di attivazione del soggetto per evitare decadenze (come nel caso
della denunzia dei vizi della cosa per potersi avvalere della relativa garanzia nella vendita: 14951).
CAPITOLO 4
I FATTI GIURIDICI.
EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE

Sommario: 1. Fenomenologia materiale e rilevanza giuridica. – A) TIPOLOGIA DEI FENOMENI GIURIDICI. –


2. Fatti ed effetti giuridici (la causalità complessa). – 3. Struttura dei fatti giuridici. – 4. Rilevanza
dei fatti giuridici. Fatti giuridici in senso stretto. – 5. Segue. Atti giuridici (tipologie e caratteri). – 6.
Attività. – 7. Titoli di acquisto e vicende giuridiche. La circolazione giuridica. – B) INFLUENZA DEL
TEMPO. (PRESCRIZIONE E DECADENZA). – 8. Funzione del tempo. Computo dei termini. – 9. La pre-
scrizione. – 10. Segue. Sospensione e interruzione. – 11. Le prescrizioni presuntive. – 12. La deca-
denza. – C) INFLUENZA DELLO SPAZIO. – 13. La correlazione territoriale. – 14. Individuazione del
diritto applicabile.

1. Fenomenologia materiale e rilevanza giuridica. – Ogni fatto materiale (naturale


o umano) è preso in considerazione dall’ordinamento in quanto incida su interessi rile-
vanti giuridicamente (I, 1.3). Peraltro ogni struttura sociale produce il suo diritto, sicché
il mutare della realtà sociale ed economica, con il connesso evolvere della tavola di valori
che innerva l’ordinamento, fa sì che un certo fatto possa subire nel tempo una modifica-
zione di giudizio e dunque di rilevanza giuridica.
Così fatti considerati indifferenti per l’ordinamento in una epoca storica possono di-
ventare, a seguito dell’evoluzione tecnologica, fonte di interesse (si pensi al progressivo
utilizzo che hanno ricevuto l’atmosfera, come strumento di attraversamento delle fre-
quenze sonore, o le radiazioni solari quali fonti alternative di energia). La emersione e il
progressivo evolvere della telematica stanno facendo emergere nuovi campi di incidenza
del diritto, vuoi per le operazioni economiche realizzate (si pensi al commercio elettroni-
co), vuoi per la tutela del diritto d’autore (si pensi alla sottrazione di dati protetti), vuoi
per la tutela della persona (si pensi alle diffamazioni compiute e alla protezione dei dati
personali in rete), vuoi anche per la diffusa profilazione delle persone: rispetto a tutti tali
aspetti si pone il problema della tutela giudica dell’utente.
Analogamente, è possibile che comportamenti considerati meritevoli in un’epoca sto-
rica vengano successivamente ritenuti difformi dall’ordinamento (si pensi ai comporta-
menti ispirati a modelli di organizzazione delle relazioni familiari fondati sulla suprema-
zia del marito come capofamiglia, un tempo considerati normali e dunque leciti e poi
vietati in ragione del principio di uguaglianza (artt. 2, 3 e 29 Cost. e 143 c.c.); si pensi
anche ai prestiti di danaro con interessi convenzionali elevati, di recente considerati usu-
rari e causa di reato (ex art. 18152). All’opposto, fatti considerati vietati, sono successi-
vamente ritenuti ammessi: si pensi alla procreazione medicalmente assistita, che tende pro-
146 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

gressivamente ad ampliare le maglie della liceità (prima con la L. 40/2014, poi con le
sentenze additive della Corte costituzionale).

A) TIPOLOGIA DEI FENOMENI GIURIDICI


2. Fatti ed effetti giuridici (la causalità complessa). – Nel quadro delineato si sno-
dano le varie categorie di fenomeni giuridici. Manca una disciplina generale dei fatti e
degli effetti giuridici: trattasi di categorie logico-giuridiche ricostruite sul sistema, in gra-
do di comprendere e ordinare le varie figure in funzione della normativa applicabile.
a) I fatti giuridici sono gli accadimenti della realtà materiale (naturale o umana) rile-
vanti per l’ordinamento giuridico. Non ogni fatto materiale è anche giuridicamente rile-
vante: perché ciò avvenga è necessario che sia preso in considerazione dall’ordinamento
come ragione di produzione di un effetto giuridico. Quando il fatto materiale è conside-
rato dall’ordinamento, è raffigurato come “fattispecie” astratta disciplinata; talvolta l’or-
dinamento prende in considerazione una pluralità di fatti, unitariamente considerati, cui
attribuisce rilevanza giuridica, dotandoli di effetti giuridici connessi.
Va tenuto distinto il fatto dall’eventuale documento che lo rappresenta, che è aggiuntivo
rispetto al fatto che ne sta a fondamento: ad es. l’atto di stato civile rispetto al matrimonio
o alla nascita o alla morte; il testo scritto rispetto al contratto stipulato: un documento può
contenere più fatti giuridici; come un fatto giuridico può risultare da più documenti: tipi-
camente un contratto tra persone lontane, dove la proposta e l’accettazione sono contenu-
te in documenti diversi ma che concorrono alla formazione dell’unitario fatto giuridico del
contratto (art. 1326). Come si vedrà, il documento rappresenta una prova tipica, precosti-
tuita, di quanto in esso rappresentato; la data vale a collocarlo nel tempo e nello spazio
(III, 2.2). Si vedrà peraltro come, talvolta, tali prove esprimano documentazioni vincolate
di volontà negoziale, rilevando come forma a pena di nullità (forma ad substantiam) (VIII,
4.2) o come mezzo di prova (forma ad probationem) (VIII, 4.3).
Si è già detto del funzionamento del c.d. sillogismo giuridico, per cui la riconduzione
della fattispecie materiale alla fattispecie astratta determina l’applicazione del diritto (I,
3.2). Tale tecnica è stata profondamente scossa dalla formazione dei diritti fondamentali
quali principi generali del diritto, ad opera della Carta costituzionale, dei Trattati dell’U-
nione europea e delle Convenzioni internazionali, atteggiandosi i principi generali quali
fonti primarie del diritto (II, 7.1), che si impongono alle regole organizzative delle fatti-
specie, orientando la valutazione dei fenomeni giuridici secondo un bilanciamento dei
valori, quali periodicamente evolvono e si impongono (c.d. sistema multilivello). Così le
fattispecie, pure iscritte nell’ordinamento, sono rigenerate dai principi generali che ne
orientano l’applicazione secondo criteri di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatez-
za. Peraltro la fluidità delle vicende economiche, in un mercato dinamico e tendenzial-
mente globalizzato, mal si presta ad essere irretita in una previsione stabile e predeter-
minata di fattispecie. Quando si fa applicazione di valori e principi dell’ordinamento
non si indulge a ideologie politiche o filosofiche, ma si fa applicazione del diritto positi-
vo, nella sua sistematicità e vitalità, secondo la sua evoluzione storica.
b) Gli effetti giuridici esprimono le conseguenze giuridiche della rilevanza assunta dal
fatto materiale nell’ordinamento giuridico. I fatti non sono produttori materiali e natura-
listici di effetti giuridici: alla produzione degli effetti concorrono più concause.
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 147

Anzitutto la materialità del fatto come avvenimento naturale o umano che produce
un evento, vuoi naturalistico vuoi personale. Rappresenta il prodotto della forza naturale
e/o o il risultato della mente umana.
Vi è poi la valutazione dell’evento come essenziale opera di interpretazione del fatto,
che vale a comprendere le componenti dell’azione materiale e dell’evento e individuare
gli interessi coinvolti. In tale opera si compie anche una selezione gerarchia degli interes-
si coinvolti. L’interpretazione del fatto svolge una funzione mediativa rispetto all’ordina-
mento: gli stessi fatti, osservati in epoche diverse, implicano differenti valutazioni in ra-
gione della evoluzione dell’ordinamento e della vita sociale. In tal senso la valutazione
dei fatti vale a corroborare il fatto materiale nell’esperienza, facendone emergere contesti
e peculiarità, indirizzando la regolazione dell’ordinamento.
Vi è infine la rilevanza giuridica che è l’esito della valutazione che ne compie l’ordina-
mento giuridico, quale risposta che l’ordinamento fornisce alla sollecitazione dei concreti
fenomeni reali. Vi è una costante osmosi tra la valutazione del fatto e la rilevanza nell’or-
dinamento in quanto l’evoluzione storica dell’ordinamento conferisce ammodernate chiavi
di lettura del fatto: col tempo può modificare la gerarchia degli interessi da tutelare con
conseguente evoluzione della valutazione del fatto e della rilevanza giuridica: basti solo
pensare all’affermazione dell’interesse del minore, diventando il best interest of the child
principio informatore di valutazione delle relazioni familiari e di applicazione della nor-
mativa a tutela del fanciullo
Il tradizionale dibattito tra causalità materiale o causalità legale degli effetti giuridici,
a seconda che siano imputati al fatto materiale o all’ordinamento, va superato in una ri-
costruzione di causalità complessa che coinvolge sia la realtà materiale che quella giu-
ridica attraverso l’opera mediativa della interpretazione del fatto e dell’ordinamento, che
consente la intelligenza del fatto e la riconduzione del fatto all’ordinamento.
Il fatto rileva in funzione degli accadimenti, dei contesti e degli interessi coinvolti, ol-
tre che della condizione dei soggetti autori del fatto, tutti profili che orientano la rilevan-
za giuridica e quindi l’efficacia giuridica, secondo l’ordinamento storico operante (I,
3.13). Si realizza una normatività del fatto, nel senso che il fatto concreto indirizza la di-
sciplina da applicare. La rilevanza giuridica del fatto materiale determina la produzione
di effetti giuridici che, talvolta, coincidono con le conseguenze materiali, talaltra le so-
vrastano per essere più ampi o di minore portata (ad es. la morte della persona fisica
comporta naturalisticamente la fine della persona, e così anche per l’ordinamento, con l’i-
scrizione della morte negli archivi di stato civile (artt. 10 e 71 D.P.R. 396/2000); ma l’or-
dinamento ricollega al fatto naturale della morte ulteriori effetti quali l’apertura della
successione del defunto: art. 456). Non bisogna essere tratti in inganno da alcune formu-
lazioni letterali: ad es., “fonti dell’obbligazione” sono il contratto, il fatto illecito o “ogni
altro atto o fatto” idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” (art.
1173); analogamente, con riguardo alle previsioni che il “contratto” produce effetti tra le
parti (art. 1372) e che il “fatto illecito” produce l’obbligo di risarcimento del danno (art.
2043): non è la materialità del contratto o del fatto illecito, come tale, a produrre natura-
listicamente effetti giuridici; è la rilevanza del fatto per l’ordinamento a determinare la
determinazione di effetti giuridici (si vedrà come gli effetti giuridici del contratto, talvol-
ta coincidono con quelli perseguiti dalle parti, talaltra li sovrastano attraverso la integra-
zione: art. 1374; analogamente l’obbligazione di risarcimento del danno conseguente al
148 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

fatto lesivo si atteggia diversamente in ragione della rilevanza che assumono nell’ordina-
mento la posizione dell’autore del danno e la circostanza del fatto dannoso: artt. 2047
ss.). È un periodare diffuso: sono anche previsti gli “effetti del possesso” (artt. 1148 ss.),
quali effetti connessi dalla legge al potere di fatto sulla cosa con le caratteristiche previste
dalla legge stessa; sono pure previsti gli effetti del matrimonio, quali diritti e doveri pre-
visti dalla legge in funzione della relazione coniugale (artt. 143, 144, 160); significativa-
mente, per l’unione civile non opera l’effetto del dovere di fedeltà per la diversa conside-
razione ordinamentale dell’unione civile (co. 11, L. 76/2016).
Certo i privati, agendo nella realtà giuridica, perseguono effetti giuridici; ma è la rile-
vanza del fatto per l’ordinamento a dotare il fatto di effetti giuridici. All’attività giudizia-
ria spetta la delicata mediazione tra la verifica del fatto materiale e la ricerca degli effetti
giuridici, secondo un percorso che si diparte dall’interpretazione e accertamento del fat-
to materiale per poi spingersi alla qualificazione giuridica dello stesso e dunque alla indi-
viduazione degli effetti che sono attribuiti dall’ordinamento giuridico 1.
L’effetto consiste nella modificazione della realtà giuridica (ovvero della realtà
materiale giuridicamente rilevante). Più spesso l’effetto è coevo al fatto (efficacia imme-
diata): ad es., nei contratti di trasferimento della proprietà di cosa determinata o di altro
diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono per effetto e al momento del consenso (art.
1376). Altre volte la produzione dell’effetto avviene in un momento diverso, che può es-
sere successivo (efficacia differita) (ad es. le parti differiscono la produzione dell’effetto
di un contratto ad un tempo successivo), o anche antecedente (efficacia retroattiva) (ad
es., l’eredità si acquista con l’accettazione, ma l’effetto dell’accettazione risale all’apertu-
ra della successione e cioè al momento della morte: art. 459).
Più specificamente, l’effetto giuridico determina vicende di situazioni giuridiche sog-
gettive: con la produzione dell’effetto, si realizzano (e permangono) nella realtà giuridica
le situazioni soggettive prodotte dagli effetti giuridici. Si vedrà come le vicende effettuali
si atteggiano come costitutive, estintive o modificative in ragione della dinamica delle situa-
zioni giuridiche (II, 4.7). Dallo stesso fatto possono derivare più effetti: ad es., dal contrat-
to di vendita derivano sia l’effetto traslativo del diritto sul bene che l’effetto costitutivo
della obbligazione di pagamento del prezzo (artt. 1470 ss.). Non mancano peraltro vicen-
de di diverso tenore, come in particolare l’accertamento di una situazione giuridicamente
dubbia: in tal caso l’effetto giuridico sta nella produzione, nella realtà giuridica, di una
certezza in luogo della originaria ambiguità. Sul modo di operare delle vicende giuridi-
che si parlerà in seguito (par. 7) è più diffusamente con riguardo al rapporto obbligato-
rio, rispetto al quale maggiormente operano e hanno diffusa disciplina (VII, 1.1, 2 e 3).
Si distinguono due fondamentali categorie di effetti giuridici: effetti necessari (o
inderogabili), nel senso che provengono dall’ordinamento e non è consentito ai privati
derogarvi; effetti naturali (o dispositivi), nel senso che, pur provenendo dall’ordina-
mento, è consentito derogarvi (la formula legislativa è di regola espressa con un inciso
del genere “salvo patto o uso contrario”).

1
È compito del giudice individuare gli effetti giuridici derivanti dai fatti dedotti in causa, sicché la enun-
ciazione che la parte faccia delle ragioni di diritto sulle quali la pretesa si fonda può valere a circoscrivere la
cognizione del giudice nella misura in cui essa stia a significare che la parte ha inteso trarre dai fatti esposti
soltanto quelle conseguenze (Cass. 27-10-2000, n. 14142; Cass. 13-12-1996, n. 11157).
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 149

3. Struttura dei fatti giuridici. – La peculiarità di ogni fatto concreto non consente
una ferrea articolazione dei fatti giuridici. Possono solo delinearsi generali categorie lo-
giche di rappresentazione, che è possibile ricondurre a due fondamentali traiettorie: la
struttura del fatto, cioè la composizione del fenomeno (di cui si parla nel presente para-
grafo) e la rilevanza giuridica del fatto, cioè l’attitudine alla produzione di effetti (di cui si
parla nei successivi paragrafi).
La struttura del fatto risente del modello di formazione. Sono istantanei quando si
esauriscono nell’unità di tempo; sono di durata quando si protraggono nel tempo; e an-
cora: sono positivi quando si realizza un accadimento, come ad es. il comportamento at-
tivo del soggetto, che compie un’azione; sono negativi quando rileva giuridicamente il
non verificarsi di un accadimento, come ad es. il contegno di astensione o comunque
inerte di un soggetto.
La struttura del fatto connota la fattispecie giuridicamente rilevante, che si atteggia
come semplice, complessa o a formazione progressiva.
La fattispecie semplice si esaurisce in un unico accadimento: ad es. la nascita, ai
fini dell’acquisto della capacità giuridica (art. 1); la morte, ai fini dell’apertura della suc-
cessione (art. 456).
La fattispecie complessa comprende più fatti, che rilevano come elementi costitu-
tivi dell’unitaria fattispecie produttiva di effetti giuridici; ad es., per realizzarsi l’acquisto
per usucapione decennale, devono concorrere: il possesso (continuo, pubblico e pacifi-
co), l’atto di acquisto (astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà), la buona
fede dell’acquirente, la trascrizione dell’atto e il decorso di dieci anni dalla trascrizione
(art. 1159).
La fattispecie a formazione progressiva è una variante della fattispecie com-
plessa, quando i vari fatti sono previsti dall’ordinamento in sequenza cronologica ma
logicamente coordinati (c.d. procedimento): la sequenza degli atti e fatti giuridici, pro-
venienti da uno o più soggetti, è finalizzata alla validità ed efficacia dell’atto terminale
del procedimento. È una ritualità propria dell’azione della pubblica amministrazione,
in funzione dell’atto terminale del provvedimento, all’esito del procedimento. Come nel
diritto amministrativo, anche nel diritto privato può strutturarsi una procedimentalità,
con progressiva verificazione temporale di fatti elementari costituenti la fattispecie; è
spesso accordata dall’ordinamento una protezione dell’aspettativa rispetto al conse-
guimento del risultato finale. Ad es., nel contratto condizionato, la produzione dell’ef-
ficacia contrattuale è subordinata al prodursi dell’evento futuro e incerto; ma intanto
alcuni effetti si producono in capo alle parti (VIII, 3.21).

4. Rilevanza dei fatti giuridici. Fatti giuridici in senso stretto. – La rilevanza dei
fatti giuridici esprime la considerazione dell’ordinamento per l’accadimento materiale
(naturale o umano). Connessa è la efficacia dei fatti giuridici, che indica la situazione ef-
fettuale apprestata dall’ordinamento, conseguente alla valutazione di rilevanza.
Rimangono fuori dell’area dei fatti giuridici i fatti che si connettono a interessi di me-
ro fatto (futili o comunque indifferenti) ai quali la società (e dunque l’ordinamento) non
conferisce alcuna rilevanza (né di approvazione né di contrasto).
Nella qualificazione dei fatti giuridici assume una fondamentale importanza verificare
se l’ordinamento presti tutela all’accadimento come tale oppure anche alla parteci-
150 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

pazione umana al fatto. Il criterio di rilevanza accordato alla partecipazione umana al-
la formazione del fatto dà luogo ad una fondamentale distinzione dei fatti giuridici, che è
possibile ricondurre alla dicotomia di “fatti giuridici in senso stretto” e “atti giuridici”.
Per fatti giuridici in senso stretto si intendono i fatti materiali (naturali o umani) ri-
spetto ai quali l’ordinamento prescinde da ogni verifica di carattere soggettivo per la pro-
duzione dell’effetto giuridico. Il fatto come tale (e perciò l’interesse immediato attua-
to) assume importanza per l’ordinamento, prescindendosi dalla circostanza che esso pro-
venga o meno dall’uomo e che sia o meno volontario. Sono fatti in senso stretto, innanzi
tutto, i meri accadimenti naturali (ad es., gli spostamenti di terreni, conseguenti ad allu-
vione e avulsione, producono l’acquisto della proprietà in favore del proprietario del
fondo cui la parte di fondo si è unita: artt. 941 e 944). Sono anche fatti in senso stretto i
fatti che ineriscono all’uomo ma rispetto ai quali rileva il mero dato fenomenico dell’ac-
cadimento in sé: anzitutto nascita o morte, ma anche altri fatti: ad es. le opere fatte sopra
o sotto il suolo comportano l’acquisto della relativa proprietà per accessione (art. 934); la
costruzione (di un fabbricato come di una nave o di un aeromobile) comporta la specifi-
cazione e dunque l’acquisto della proprietà della res nova da parte dello specificatore
(art. 940). In tutte tali ipotesi la capacità di agire del soggetto e la volontarietà e consa-
pevolezza del fatto, quand’anche esistenti, sono irrilevanti.

5. Segue. Atti giuridici (tipologie e caratteri). – Sono atti giuridici i fatti umani
compiuti consapevolmente da persona capace cui l’ordinamento ricollega effetti giuridi-
ci. A differenza dei fatti giuridici in senso stretto rileva lo stato soggettivo degli autori del-
l’atto e precisamente la volontarietà e la consapevolezza del comportamento tenuto.
Non sono dunque semplicemente emanazione dell’uomo bensì espressione della indivi-
dualità umana realizzatasi concretamente 2. Con la conseguenza che rilevano giuridica-
mente la capacità di agire del soggetto e la volontarietà e consapevolezza del fatto. È
possibile distinguere gli atti giuridici in varie classi in ragione di specifici criteri: la tipo-
logia di incidenza umana; la modalità di esplicazione; la valutazione che ne compie
l’ordinamento. È possibile delineare tre tipologie di atti giuridici in funzione di specifici
criteri, quali la incidenza umana; la esplicazione dell’atto; la valutazione ordinamentale.
a) In ragione della incidenza umana nella realizzazione degli effetti giuridici si svolge
una fondamentale distinzione tra atti giuridici in senso stretto e negozi giuridici. Il ter-
mine “atti” è utilizzato in modo generico nell’ordinamento, riferendosi talvolta agli atti
in senso stretto, talaltra ai negozi giuridici, talaltra ad entrambe le categorie, anche per
l’assenza di una testuale previsione dei negozi giuridici (come si vedrà).
Gli atti giuridici in senso stretto (o meri atti giuridici), più spesso delineati solo
come “atti giuridici”, sono i fatti dell’uomo per i quali assume rilevanza la mera volonta-
rietà e consapevolezza della materialità dell’atto. L’ordinamento cioè considera gli interes-
si attuati da tali atti degni di tutela, sol che il fatto sia compiuto con volontarietà e consa-
pevolezza, indipendentemente dalla previsione degli effetti e dalla volontà di conseguirli

2
Efficace è la distinzione nel diritto canonico tra actus hominis ed actus humanus. Il primo, pure essendo
connesso alla natura umana, è riconducibile al genere dei corpi animati in quanto irragionevole e quindi non
controllabile: avviene indipendentemente dalla volontà dell’uomo e perciò rileva come fatto giuridico in senso
stretto. Il secondo indica l’atto assunto con deliberazione: è riferito alla sua ragione e alla sua volontà libera
(actus voluntatis) e perciò rileva come atto giuridico.
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 151

da parte degli autori dell’atto; anzi molto spesso gli effetti intervengono contro la volon-
tà degli autori dell’atto. In sostanza la volontà è connessa alla struttura e non alla funzio-
ne dell’atto e cioè al risultato perseguito: la produzione degli effetti prescinde, non solo
dalla volontà di conseguirli, ma anche dalla conoscenza degli stessi. È sufficiente la capa-
cità naturale di intendere e volere. Si pensi alla richiesta di adempimento fatta per iscritto
dal creditore al debitore (art. 1229): tale atto comporta per legge la costituzione in mora
del debitore, con tutti gli effetti previsti dalla legge (risarcimento del danno, assunzione del
rischio per la sopravvenuta impossibilità della prestazione di consegna: artt. 1218 e 1221),
indipendentemente dal fatto che il creditore voglia o anche solo conosca gli effetti della
richiesta di adempimento (VII, 4.2). Si pensi ancora all’atto di adempimento del debitore:
la sussistenza di un obbligo ad adempiere comporta per legge l’estinzione dell’obbligazio-
ne, anche senza la sussistenza di un animus solvendi (artt. 1176 ss.) (VII, 3.2); rileva il cam-
po dei c.d. atti dovuti che alcuni autori considerano come “fatti in senso stretto”.
Essendo gli effetti giuridici preordinati dall’ordinamento indipendentemente da un
intento degli autori, gli atti in senso stretto sono per necessità tipici (cioè tassativamente
previsti dall’ordinamento), sia nella struttura e quindi nella formazione, che nel contenu-
to e dunque nel risultato attuato: il fatto materiale, come tale, è presupposto degli effetti
disposti dall’ordinamento. Manca una disciplina generale degli atti in senso stretto, es-
sendo i correlativi effetti connessi ai singoli schemi di atti approntati dalla legge. Agli
stessi non si applica neppure l’art. 1324 se non per analogia, essendo la norma rivolta ad
estendere le norme sul contratto agli atti negoziali tra vivi a contenuto patrimoniale.
Una particolare fisionomia assumono le c.d. dichiarazioni di scienza; sono atti che
hanno la unica funzione di affermare la verità o formulare la ricognizione intorno a fatti
avvenuti: si pensi alla confessione (art. 2730) e alle registrazioni nelle scritture contabili
(art. 2709).
I negozi giuridici 3 sono atti giuridici esplicativi della “autonomia privata”. Strut-
turalmente sono manifestazioni di volontà rivolte ad uno scopo pratico tutelato dall’ordi-
namento; rilevano giuridicamente, non solo la volontarietà e consapevolezza del compor-
tamento, ma anche la volontarietà degli effetti e cioè del risultato perseguito (tipico
esempio è il contratto: art. 1321): è proprio questo secondo profilo del perseguimento di
un risultato a segnarne la caratterizzazione all’interno della generale categoria degli atti
giuridici. Funzionalmente sono autoregolamenti di interessi, cui l’ordinamento connette
effetti giuridici tendenzialmente conformi agli scopi perseguiti dai privati (previa valuta-
zione di meritevolezza e liceità dell’assetto di interessi realizzato) (saranno approfonditi
trattando dell’autonomia privata: II, 5).
b) In ragione della esplicazione dell’atto, gli atti giuridici si presentano secondo i mo-
delli della dichiarazione e del contegno.
– Quando sono contrassegnati dalla dichiarazione (atti dichiarativi), gli atti sono o-
rientati ad esprimere all’esterno, ed effettivamente esprimono, a destinatari (specifici o alla
generalità) l’intento volitivo, mediante lo scritto, la parola o altri segnali. Alcune volte gli
atti dichiarativi comunicano alcuni fatti giuridici, come ad es. la notificazione di una sen-
tenza, la comunicazione di convocazione di un’assemblea, ovvero la comunicazione di un

3
Il termine “negozio” deriva dal latino negotium, composto di nec e otium. Però l’otium romano non in-
dicava inerzia ma solo riposo dagli affari e dal lavoro, per dedicarsi alle espressioni dello spirito.
152 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

contegno da cui derivano effetti giuridici (es. costituzione in mora ex art. 1219). Altre volte
gli atti dichiarativi manifestano una volontà di perseguire uno scopo, come nella formazio-
ne dei negozi giuridici (es. proposta di contratto): delle dichiarazioni di volontà negoziale si
parlerà diffusamente nel prossimo capitolo trattando dell’autonomia privata.
Per riferirsi la dichiarazione al linguaggio, le modalità dichiarative mutano con la mo-
dificazione del linguaggio; col tempo emergono nuovi modelli linguistici che gradualmen-
te depongono altri precedentemente in uso.
Gli atti dichiarativi si distinguono a loro volta in recettizi e non recettizi.
Sono atti recettizi gli atti dichiarativi rivolti a terzi che producono effetto nel mo-
mento in cui pervengono a conoscenza del destinatario. Sono dunque atti affidati alla
comunicazione ad uno o più destinatari, assumendo efficacia in ragione (e quindi a segui-
to) di tale comunicazione (es. la disdetta da un rapporto locativo, al fine di impedire il
rinnovo del contratto in corso: art. 1596) 4.
Opera nel nostro ordinamento il principio della cognizione (e non della recezione),
temperato da una presunzione di conoscenza fissata dall’art. 1334, per cui “la proposta,
l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona
si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se que-
sti non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia”: a fron-
te dell’arrivo della comunicazione all’indirizzo del destinatario, spetta al destinatario
fornire la prova della impossibilità di prenderne conoscenza. Il rifiuto del destinatario di
ricevere un atto recettizio non esclude che la comunicazione debba ritenersi avvenuta e
produca i relativi effetti. Dall’impianto dell’art. 1334 che, sotto la rubrica di “efficacia
degli atti unilaterali” regola gli atti recettizi, si ricava il principio che, di regola, gli atti
unilaterali sono recettizi.
Sono atti non recettizi quelli che non sono destinati a terzi e pertanto producono
effetto in virtù della mera redazione; peraltro l’efficacia dell’atto può essere subordinata
ad eventi futuri, come ad es. il testamento rispetto all’evento morte (art. 587).
– Quando sono contrassegnati dal contegno (atti attuosi), l’atto, pur non contenen-
do una compiuta determinazione volitiva, presenta indici della stessa dai quali è possibi-
le ricostruirla: es. l’accettazione tacita dell’eredità desunta dal compimento di atti che il
chiamato all’eredità non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede (art. 476).
A volte è la legge a fare derivare alcuni effetti da specifici comportamenti: es. c’è attribu-
zione legale dell’eredità a seguito di vendita, donazione o cessione dei diritti successori
che il chiamato compie in favore di estranei (art. 477).
Una specifica categoria è quella dei c.d. negozi di attuazione, nel senso che l’atto rile-
va giuridicamente, ad un tempo, come espressivo di intento e come esecutivo; nel suo
stesso svolgersi attua la modificazione del mondo esterno (es. l’occupazione di una cosa
mobile abbandonata: art. 923): come si vedrà, è una categoria in continua crescita con l’in-
tensificarsi dell’automazione indotta dalle ricerche tecnologiche.

4
Quando l’atto deve essere comunicato entro un termine preciso ed è utilizzato un procedimento notifica-
torio che impegna un ufficio per la notificazione dell’atto, vale il principio della scissione degli effetti della
notificazione tra notificante e destinatario, per cui l’atto si considera notificato per il soggetto notificante al
momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e per il destinatario al momento della consegna al
destinatario o in cui ne abbia legale conoscenza (art. 1493 c.p.c.). Il principio è esteso alle comunicazioni a
mezzo posta, anche dell’Amministrazione finanziaria (Cass. 21-10-2014, n. 22320).
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 153

c) In relazione alla valutazione, vale la distinzione tra atti leciti e atti illeciti, a seconda
della conformità o meno all’ordinamento giuridico.
Gli atti leciti sono atti voluti dall’agente e conformi all’ordinamento giuridico, ai
quali l’ordinamento riconduce effetti giuridici prefissati (se atti in senso stretto) ovvero
tendenzialmente conformi a quelli perseguiti dalle parti (se negozi giuridici).
Gli atti illeciti sono atti contrari all’ordinamento giuridico. Possono riguardare la
violazione di doveri generali comportamentali, che si riflettono sulla collettività (es. un
atto di inquinamento); come possono integrare la violazione di obblighi particolari verso
singoli soggetti, con lesione di interessi specifici protetti dall’ordinamento: in tale dire-
zione, vuoi con l’inadempimento di un obbligo assunto (illecito da inadempimento),
vuoi con la lesione di un una situazione soggettiva altrui, sia relativa alla persona (es. dif-
famazione o violenza) che riguardante cose (es. disturbo all’esercizio della proprietà).
Anche se l’art. 2043 definisce genericamente gli atti illeciti come “fatti illeciti”, la rile-
vanza degli stessi è di regola connessa alla “imputabilità” del fatto dannoso all’autore del
fatto: per l’art. 2046 non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva “la
capacità d’intendere o di volere” al momento in cui lo ha commesso (la generale formu-
lazione di “fatti illeciti” tende a includere anche le ipotesi di responsabilità oggettiva,
quando cioè la esigenza di tutela del danneggiato comporta la riconduzione della re-
sponsabilità indipendentemente dallo stato soggettivo dell’agente: se ne parlerà in segui-
to X, 1.7). A parte le diverse tipologie di sanzioni apprestate dall’ordinamento, di ordine
penale e amministrativo, la sanzione civilistica è sempre nell’obbligo di risarcimento del
danno (di cui si dirà: X, 2.1). In ogni caso si produce un effetto giuridico (la sanzione)
che addirittura è in contrasto con il fine perseguito dall’autore del fatto dannoso.

6. Attività. – Di sovente singoli fatti e atti giuridici rilevano per l’ordinamento, oltre
che isolatamente considerati, anche nella connessione tra gli stessi. Si dà luogo in tali casi
alla c.d. attività, che è la coordinazione di più fatti e atti preordinati e svolti verso il conse-
guimento di uno scopo unitario. I singoli atti, quand’anche possano rilevare autonomamen-
te, sono altresì presi in considerazione dall’ordinamento come frammenti di una serie
coordinata e teleologicamente orientata con una continuità e direzione ad uno scopo.
È la unificazione dei singoli atti sul piano sociale per il raggiungimento di un risul-
tato unitario a dare luogo ad una rilevanza di tale unificazione come peculiare fattispecie
giuridica. L’ordinamento attribuisce all’insieme degli atti effetti ulteriori e diversi rispet-
to a quelli ricollegabili ai singoli atti, autonomamente considerati.
Si pensi all’attività economica che contraddistingue l’esercizio dell’impresa: per l’art.
2082 “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”; e per l’art. 2247, “con il contrat-
to di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di
un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”; c’è un riferimento all’attività an-
che nella regolazione della concorrenza (es. art. 2596) (II, 6): i singoli fatti economici e
giuridici rilevano come attività rivolta a uno scopo. Nella materia del lavoro, rileva la
prestazione continuativa del lavoratore subordinato (art. 2094); analogamente per tutte
le attività professionali, relativamente alla esecuzione del contratto d’opera (art. 2222).
Spesso poi sono gli stessi privati a programmare un c.d. collegamento negoziale di più
atti verso il perseguimento di uno scopo unitario (VIII, 3.12).
154 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

7. Titoli di acquisto e vicende giuridiche. La circolazione giuridica. – Le relazioni


socio-economiche comportano un costante mutamento nella titolarità e nella vita delle
situazioni giuridiche e dei rapporti giuridici cui più spesso sono correlate le singole situa-
zioni soggettive (II, 3.1). In tal senso rilevano i titoli di acquisto e le vicende giuridiche
realizzate, che producono la circolazione giuridica.
a) I titoli di acquisto sono i fatti giuridici posti a fondamento delle singole vicende ac-
quisitive e dunque della circolazione dei diritti. È possibile distinguere i titoli di acquisto
in due grandi categorie: a titolo derivativo e a titolo originario.
Gli acquisti a titolo derivativo producono la vicenda acquisitiva del diritto in
capo ad un soggetto in ragione di un rapporto giuridicamente rilevante con il precedente
titolare, che è necessario presupposto. Esprimono il fenomeno successorio nella titolarità
della situazione giuridica: un soggetto perde il diritto (come dante causa o alienante) a
vantaggio di un soggetto che acquista il diritto (come acquirente o avente causa); si suole
ricorrere alla qualificazione del soggetto che perde il diritto come dante causa (o alienan-
te) e del soggetto che acquista il diritto come acquirente (o avente causa); si è anche soliti
parlare, rispettivamente, di autore e di successore. Rispetto a tali acquisti vale il principio
che nessuno può traferire maggiori diritti di quelli che ha (nemo plus iuris in alium tra-
sferre potest quam ipse habet); cui si collega l’ulteriore criterio che regola l’acquisto a tito-
lo derivativo, per cui il venir meno del diritto del dante causa fa venire meno anche il di-
ritto di chi abbia da lui acquistato (resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipentis): si ve-
drà peraltro delle deviazioni a tali criteri logici per l’esigenza di tutela della circolazione
giuridica. Limiti all’acquisto possono essere imposti dalla legge con vincoli rispetto ad al-
cuni beni (es. art. 839) o per taluni soggetti (es. art. 1471) o dall’autonomia privata con
limitazioni convenzionali del potere di disposizione (es. art. 1379) (v. VIII, 2.22).
Gli acquisti possono intervenire per atto tra vivi (con scambio di dichiarazioni) o a
causa di morte (per disposizione del testatore o della legge), per essere entrambi i trasfe-
rimenti connessi al rapporto con il precedente titolare. Entrambe le specie di successio-
ne possono avere un oggetto specifico o riguardare una pluralità di beni. Si ha succes-
sione a titolo universale quando si subentra nella complessiva posizione (attiva e passiva)
di un soggetto; si ha successione a titolo particolare quando si subentra in una specifica
situazione soggettiva (attiva o passiva). Per la successione a causa di morte si parla di
eredità (acquisto a titolo universale) e di legato (acquisto a titolo particolare) (XII, 1.1).
La rilevanza assunta dal debito nella moderna realtà economica come essenziale stru-
mento di finanziamento dell’azione economica ne ha comportato una crescente circola-
zione per la sua attuazione; perciò la successione nel debito rileva, non solo con riguardo
al fenomeno successorio nel rapporto obbligatorio, ma anche per la collocazione che se
ne suole fare sul mercato con l’assunzione da parte di singoli o più spesso di soggetti fi-
nanziariamente specializzati; le vicende circolatorie vanno dunque riferite alla circola-
zione delle situazioni soggettive attive e passive, con le proprietà di ciascuna categoria e
in ragione dei contesti di svolgimento (v. VII, 2.9).
Gli acquisti a titolo derivativo, a loro volta, si distinguono in due sottocategorie (de-
rivativo traslativo e derivativo costitutivo).
Si ha acquisto a titolo derivativo-traslativo quando il diritto acquistato è lo stesso che
era in capo al dante causa, che pertanto lo perde. C’è trasmissione del medesimo diritto,
che si perde dall’un soggetto per acquistarsi dall’altro. Ad es. la vendita realizza la vicen-
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 155

da traslativa del diritto dal venditore al compratore, producendo nel patrimonio del
venditore la perdita e nel patrimonio del compratore l’acquisto.
Si ha acquisto a titolo derivativo-costitutivo quando il diritto acquistato non esisteva
nella realtà giuridica, per non sussistere come tale in capo all’alienante; però promana dal
diritto dell’alienante, comportandone una restrizione: l’acquisto della nuova situazione
avviene in forza del rapporto con il precedente titolare. Si pensi alla costituzione di un
diritto di usufrutto: prima della costituzione non esisteva nella realtà giuridica un diritto
di usufrutto; ma questo è costituito dal proprietario in ragione della proprietà piena che
ha sul bene, sicché, a seguito della costituzione, esistono nella realtà giuridica ed insisto-
no sul medesimo bene una proprietà dal contenuto più ridotto (c.d. nuda proprietà) in
capo al dante causa e un diritto reale limitato di usufrutto in capo all’avente causa; si pensi
anche alla costituzione dei diritti reali di garanzia di pegno e ipoteca.
Gli acquisti a titolo originario realizzano l’acquisto di un diritto nuovo, indi-
pendentemente da un rapporto con l’originario titolare. L’acquisto avviene, talvolta, in
assenza di un diritto di altro titolare su un bene (es. occupazione: art. 923), talaltra addi-
rittura contro il precedente titolare che conseguentemente lo perde. L’usucapione, fon-
data sul possesso continuato, non violento e non clandestino, costituisce il modo più dif-
fuso di acquisto a titolo originario della proprietà di beni immobili, di beni mobili e di
universalità di beni mobili, come di diritti di godimento sugli stessi (artt. 1158 ss., 1160 e
1161) (VI, 5.7).
b) Le vicende giuridiche sono i mutamenti delle situazioni giuridiche e dei rapporti
(c.d. modificazioni dei diritti): esprimono la dinamica delle situazioni giuridiche, dalla na-
scita fino all’estinzione, determinando la sorte dei corrispondenti poteri e obblighi in ca-
po ai singoli titolari. Si distinguono vicende costitutive, modificative e estintive.
Le vicende costitutive segnano la nascita di situazioni giuridiche soggettive e dun-
que l’acquisto in capo ad un soggetto di un diritto che non esisteva o di cui non era tito-
lare. Ad es., con il contratto di locazione, nasce in capo al locatore il diritto al corrispet-
tivo del canone e l’obbligo di far godere il bene (art. 1571); a seguito del possesso conti-
nuato con alcune caratteristiche di un bene, il possessore acquista la proprietà per usu-
capione (artt. 1158 ss.).
Le vicende estintive segnano la cessazione di situazioni giuridiche soggettive, nel
senso della perdita della situazione soggettiva per il titolare: la situazione (prima esisten-
te) in capo ad un soggetto viene meno. L’estinzione può realizzarsi a seguito del soddi-
sfacimento del diritto (es. l’adempimento dell’obbligazione produce il soddisfacimento
del creditore e quindi l’estinzione del rapporto obbligatorio ex artt. 1176 ss.); come senza
soddisfacimento (es. impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1256); analo-
gamente gli atti abdicativi, tra i quali la remissione del debito (art. 1236). Si può anche
dare luogo alla sostituzione di rapporto, che si estingue, con costituzione di nuovo rap-
porto (es. novazione ex art. 1230).
Le vicende modificative determinano il mutamento di una situazione giuridica, più
spesso rispetto al soggetto, eccezionalmente con riguardo all’oggetto. Di regola il muta-
mento non incide sulla esistenza del rapporto, che continua a vivere. Bisogna verificare
in concreto se si sia voluta (anche) una sostituzione del rapporto (con la estinzione del-
l’originario e costituzione di uno nuovo) ovvero valutare la coerenza della modificazione
con la sostanza del rapporto, tale da non implicarne una sostituzione.
156 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

La modificazione soggettiva produce il mutamento della titolarità della situazione giuri-


dica, attiva o passiva, tecnicamente indicata come successione. Quando la perdita di un di-
ritto per un soggetto si intreccia con l’acquisto per un altro soggetto (c.d. acquisto deriva-
tivo) si ha trasferimento della situazione soggettiva. La successione può essere volontaria
(es. cessione volontaria del credito) o legale (es. per espropriazione e vendita coatta).
Si vedrà, trattando delle obbligazioni, come sia più agevole la successione nel lato at-
tivo (es. cessione del credito ex art. 1260), perché di regola è indifferente per il debitore
il destinatario del pagamento; mentre più complessa è la successione nel lato passivo
perché rileva per il creditore la persona del debitore (l’assunzione del debito altrui non
può compiersi contro la volontà del creditore ex artt. 1268 ss.).
Esistono anche situazioni soggettive indisponibili per la natura degli interessi coinvol-
ti, che l’ordinamento intende preservare: si pensi al diritto di uso e di abitazione (art.
1024) e al diritto agli alimenti (art. 447).
La modificazione oggettiva determina un mutamento nell’oggetto o nel contenuto del
rapporto, in modo coerente con la sostanza del rapporto giuridico, che permane: ad es. la
rinegoziazione nel periodo di pandemia per Covid 19, con la riduzione dell’ammontare del
canone di locazione; la surrogazione reale, con subingresso del creditore nei diritti del de-
bitore in dipendenza del fatto che ha causato l’impossibilità della prestazione (art. 1259); la
costituzione di un vincolo di destinazione sul bene (art. 2645 ter). Come si è visto, è anche
possibile dare luogo alla sostituzione del rapporto, con estinzione del rapporto originario e
costituzione di un nuovo rapporto (es. novazione oggettiva ex art. 1230).
c) La circolazione giuridica rappresenta la dinamica delle situazioni giuridiche intrec-
ciando le singole vicende giuridiche con i titoli di acquisto. È essenziale meccanismo di
coesione sociale per realizzare lo spostamento tra gli uomini dei beni, consentendo la
utilizzazione da parte di più soggetti (in modo successivo o anche concorrente), allo sco-
po di soddisfare un bisogno o esplicare un’attività economica. La tutela della circolazio-
ne giuridica è anche esigenza fondamentale della economia di mercato perché tende ad
assicurare la collocazione dei prodotti in modo veloce e sicuro.
Una tutela privilegiata dei diritti soggettivi e segnatamente della proprietà osserva il
mutamento giuridico nella prospettiva del titolare, perché la modificazione sia espressiva
della volontà del titolare (come era per il cod. civ. del 1865). Una tutela privilegiata della
produzione valuta il mutamento giuridico nella prospettiva dell’acquirente, perché resti
protetto l’affidamento legittimamente riposto nel mutamento e specificamente nell’ac-
quisto compiuto (è il sistema accolto dal cod. civ. del 1942) (v. quanto si dirà sull’affida-
mento: II, 7.4) e in tema di pubblicità (XIV, 2.17).
Gli ind ici di circolazione sono i segnali della circolazione giuridica, che rendono
conoscibili le vicende giuridiche. Sono apprestati dall’ordinamento al fine di risolvere i
conflitti tra situazioni giuridiche incompatibili.
Il più diffuso indice di circolazione è rappresentato dalla pubblicità. Si parlerà in
seguito ampiamente del ruolo che assume la pubblicità, degli atti soggetti a pubblicità,
della efficacia e delle modalità di esecuzione della stessa (XIV, 1.2). All’uopo sono predi-
sposte strutture pubbliche depositarie di pubblici registri dove è possibile scritturare e
visionare i dati di cui si vuole assicurare la notorietà (es. registri di stato civile, registri
immobiliari, registri dei mobili registrati, registro delle imprese): è questa propriamente
la c.d. pubblicità legale. L’esistenza di un apparato pubblicitario produce la c.d. cono-
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 157

scenza legale dei dati ivi riportati perché si prescinde dal conseguimento della conoscen-
za effettiva. È ancora l’ordinamento a ricondurre al fatto della pubblicità specifici effetti
giuridici, quali la mera conoscenza, la opponibilità ai terzi o addirittura la costituzione di
diritti. Con riguardo alla circolazione degli immobili e dei mobili registrati, la trascrizione
degli atti dispositivi vale a risolvere i conflitti tra più aventi causa dal medesimo autore
titolare del diritto, prevalendo tra più acquirenti dal medesimo alienante quello che per
primo ha trascritto il proprio atto di acquisto (artt. 2644 e 2684).
Altro indice di circolazione è la consegna, che implica un’apprensione materiale del-
la cosa. Ad es., se con diversi contratti una persona cede a più persone un diritto perso-
nale di godimento sulla stessa cosa (locazione o comodato), prevale tra i cessionari quel-
lo che per primo ha conseguito il godimento della cosa.
Fondamentale indice di circolazione è infine il possesso che implica un’attività cor-
rispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si vedrà come il possesso
rappresenti il più alto grado di manifestazione dell’apparenza di titolarità del diritto.
Con riguardo alla circolazione dei beni mobili (non registrati), non potendo operare re-
gistri di pubblicità, tra più acquirenti dal medesimo alienante titolare del diritto prevale
chi per primo ne ha acquistato il possesso in buona fede (art. 1555).
Diversamente operano la comunicazione e la notificazione che indirizzano la cono-
scenza verso specifici soggetti. Ad es. con riguardo alla cessione del credito, tra più ces-
sioni dello stesso credito, prevale quella che per prima è stata notificata al debitore o per
prima è stata accettata dal debitore con atto di data certa (art. 1265).

B) INFLUENZA DEL TEMPO. (PRESCRIZIONE E DECADENZA)


8. Funzione del tempo. Computo dei termini. – Ogni fenomeno giuridico incide
nella realtà materiale e dunque rileva nella realtà giuridica in una duplice dimensione:
temporale e spaziale. Tempo e spazio esprimono le modalità, cronologica e spaziale, di
svolgimento dei fatti giuridici: sono modi di essere dei fatti giuridici, che influenzano la
determinazione delle vicende giuridiche e perciò la stessa vita delle situazioni giuridiche.
Il tempo può rilevare nel suo correre e perciò con riguardo alla durata o può rilevare
con riferimento ad un momento specifico e perciò come data. Ad es., in un contratto di
locazione, il tempo fissa il termine di efficacia del contratto (la durata della locazione), e
segna il termine di scadenza del pagamento del canone (es. entro il cinque di ogni mese).
Il tempo ha assunto un’autonoma rilevanza anche nel diritto amministrativo, dove è
emersa la risarcibilità del danno da ritardo come interesse in sé endoprocedimentale, che
è diverso dall’interesse finale al conseguimento del provvedimento. Il tempo diventa, come
tale, un bene della vita la cui lesione obbliga la P.A. al risarcimento del danno prodotto
(art. 2 bis, L. 241/1990, introdotto dalla L. 69/2009) 5.
Per l’essenziale rilevanza della dimensione temporale dei fatti giuridici, la legge dedi-

5
Il ritardo nell’emanazione di un atto amministrativo è elemento sufficiente per configurare un danno in-
giusto, con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un “inte-
resse pretensivo dell’amministrato”, ove tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favore-
vole per il destinatario; ciò in quanto il tempo è un “bene della vita” per il cittadino ed il ritardo nella conclu-
sione di un qualunque procedimento ha sempre un costo (Cons. Stato 7-3-2013, n. 1406).
158 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

ca una specifica normativa al computo dei termini. Il codice civile la colloca nel capo
dedicato alla prescrizione (artt. 2962 e 2963) ed a quest’ultima la riferisce; ma si tratta di
una disciplina applicabile a tutte le ipotesi di computo del termine, anche per l’assenza
di una diversa normativa in proposito (un espresso rinvio all’art. 2963 è nell’art. 1187
per il computo del termine di adempimento dell’obbligazione).
Regola generale è che i termini contemplati dal codice civile e dalle altre leggi si com-
putano secondo il calendario comune, con le precisazioni introdotte.
Il riferimento al tempo non è limitato al momento della giornata ma al giorno per
l’intera durata (24 ore). Solo in ipotesi tassativamente indicate rileva il momento della
giornata: ad es., in tema di iscrizione ipotecaria, “l’ipoteca prende grado dal momento
della sua iscrizione” (art. 2852). Non si computa il giorno iniziale del termine e si com-
puta invece il giorno finale.
Il computo dei termini a mesi si fa con riguardo al mese di scadenza e nel giorno di
questo corrispondente al giorno del mese iniziale; se nel mese di scadenza manca tale
giorno, il termine si compie con l’ultimo giorno dello stesso mese (es. il termine di un
mese con decorrenza 5 febbraio scade il 5 marzo, anche se il mese di febbraio è di 28
giorni). Analogamente, per il computo del termine ad anni, si deve avere riguardo all’an-
no di scadenza con riferimento al giorno e al mese corrispondenti a quelli iniziali.
Di regola il termine si considera continuo, comprensivo cioè anche dei giorni festivi,
tranne che questi non siano espressamente esclusi. Solo se l’ultimo giorno è festivo, è pro-
rogato al giorno successivo non festivo.
Particolare rilevanza assumono, per l’incidenza del tempo nella vita dei diritti sogget-
tivi, gli istituti della usucapione (anche detta prescrizione acquisitiva 6) per l’acquisto di
alcuni diritti reali e della prescrizione estintiva (anche detta soltanto prescrizione) e deca-
denza per l’estinzione dei diritti. Si parla in questa parte della prescrizione estintiva e della
decadenza, per l’influenza esclusiva del tempo nella realizzazione delle stesse; si rinvia
invece alla trattazione dei diritti reali l’esame dell’usucapione per incidere anche il pos-
sesso dei beni: l’usucapione premia il possesso dei beni (artt. 1158 ss.) (VI, 5.7).

9. La prescrizione. – La prescrizione c.d. estintiva si atteggia quale generale modo di


estinzione dei diritti per mancato esercizio (art. 2934): il decorso del tempo rileva nella
prospettiva della durata di non esercizio dei diritti.
a) È da sempre dibattuto il fondamento dell’istituto della prescrizione. Tradizional-
mente e più diffusamente è stato ravvisato nell’inerzia del titolare nell’esercizio del dirit-
to, come espressione di non interesse alla titolarità del singolo diritto. Talvolta si è fatto ri-
ferimento ad una sorta di sanzione per il soggetto che si disinteressa dei suoi diritti, non
esercitandoli e lasciando deperire i beni; talaltra si è invocata una esigenza di liberazione

6
In passato si era soliti anche parlare di prescrizione acquisitiva con riguardo al diverso ed opposto fe-
nomeno dell’acquisto dei diritti per il maturare del tempo: l’art. 2105 cod. civ. abr. considerava la prescri-
zione come un mezzo con cui, col decorso del tempo e sotto condizioni determinate, taluno acquista un
diritto o è liberato da un’obbligazione. Era un sistema che si fondava sulla presunzione che il proprietario
e il creditore che per lungo tempo non esercitavano i propri diritti avessero inteso abbandonarli. Il nuovo
codice configura l’usucapione come modo di acquisto della proprietà (artt. 922 e 1158 ss.), orientando
l’osservazione sull’attività del soggetto che in fatto utilizza un bene altrui attuando il contenuto della pro-
prietà o di altro diritto reale.
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 159

dai vincoli che gravano sui beni o comprimono la libertà di comportamento delle persone.
Più di recente è stato riposto nella esigenza di tutelare l’affidamento dei terzi circa la corri-
spondenza della situazione di fatto a quella di diritto. In realtà le varie spiegazioni concor-
rono a delineare il diversificato fondamento nelle singole ipotesi, tutte tenute insieme da
una esigenza di ordine pubblico di certezza delle situazioni giuridiche, per l’adegua-
mento nel tempo delle qualifiche formali di diritto alle situazioni materiali di fatto 7.
Altro tradizionale dibattito è quello relativo all’oggetto della prescrizione: l’art. 2135
cod. civ. abr. lo riferiva alle azioni (“tutte le azioni, tanto personali che reali, si prescrivono
col decorso di trent’anni); il nuovo cod. civ. lo riferisce senz’altro ai diritti: per l’art. 2934
c.c. “ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo
determinato dalla legge”, ove l’estinzione del diritto comporta naturalmente l’estinzione
dell’azione. Non mancano ipotesi nelle quali il riferimento è alla prescrizione dell’azione,
quando rilevano situazioni giuridiche opposte paralizzanti l’azione: ad es. sono imprescrit-
tibili l’azione di rivendicazione (art. 9483), l’azione di petizione di eredità (art. 533), l’azio-
ne di nullità del contratto (art. 1422), salvi gli effetti dell’usucapione altrui; le azioni di con-
testazione e reclamo dello stato di figlio (artt. 2482 e 2492), in vista della continuità affettiva
del figlio. Analogamente è disposta la imprescrittibilità dell’eccezione (es. la imprescrittibi-
lità dell’eccezione di annullamento del contratto proposta dalla parte convenuta per l’ese-
cuzione ex art. 14424), che fa valere una situazione giuridica opposta.
Sono imprescrittibili i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge (art.
29342). Tra questi rientrano massimamente i diritti della personalità e quelli connessi
agli stati e alle responsabilità familiari. Una situazione articolata si realizza rispetto alla
filiazione: l’azione di disconoscimento del figlio nato durante il matrimonio è impre-
scrittibile per il figlio, mentre si prescrive in un anno per il marito della madre (art.
244); analogamente l’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridi-
cità è imprescrittibile per il figlio mentre si prescrive in un anno per l’autore del rico-
noscimento (art. 263).
Tra i diritti patrimoniali è imprescrittibile il solo diritto di proprietà, come si ricava
dalla non prescrizione dell’azione di rivendicazione (artt. 9483, 9352), vuoi per essere il
non uso una forma di esercizio, vuoi, ancor più, per il riconoscimento compiuto dal legi-
slatore del 1942 alla categoria come configurata dalla tradizione liberale dell’epoca: l’e-
quilibrio è stato realizzato facendosi salvo l’acquisto per usucapione della proprietà e
con la previsione di limiti negativi e obblighi positivi introdotti al contenuto del diritto
di proprietà, per assicurarne efficienza economica e coerenza con il generale sistema
produttivo (tipicamente art. 838, ma anche artt. 833, 840 e 844 c.c.) e i generali criteri di
collaborazione e solidarietà (artt. 851 e 860) 8. I beni immobili vacanti spettano al patri-
monio dello stato (art. 827); le cose mobili abbandonate sono oggetto di occupazione
(art. 923).

7
La Relaz. cod. civ., n. 1065, rileva: “l’inerzia o il silenzio troppo a lungo protratti determinano degli asse-
stamenti di fatto, che non sarebbe ormai provvido turbare, anche se intrinsecamente e in origine potessero
dar luogo a legittime azioni o reazioni altrui”.
8
Per la Relaz. al cod. civ. “La proprietà è riconosciuta e protetta perché è considerata come lo strumento
più efficace e più utile per la produzione” (n. 23); “il titolare del diritto non può rimanere inerte; il lavoro è
un dovere sociale e il proprietario deve provvedere all’utilizzazione dei propri beni per conseguirne la massi-
ma produttività” (n. 25).
160 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

In ragione della tutela di esigenze generali, la disciplina della prescrizione è di ordine


pubblico, nel senso che non è derogabile dai privati. È nullo ogni patto diretto a modifi-
care la disciplina legale della prescrizione (art. 2936), che pertanto non è derogabile, né è
prorogabile o abbreviabile.
Le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione
e d’interruzione e al computo dei termini si osservano, in quanto applicabili, rispetto al-
l’usucapione (art. 1165) (VI, 5.7).
b) L’operatività della prescrizione è conseguenziale. Non essendo coinvolti valori fon-
damentali, la prescrizione non è rilevabile d’ufficio dal giudice, ma deve essere opposta
(art. 2938) (c.d. eccezione in senso stretto), in coerenza con il principio che il giudice
non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle
parti (art. 112 c.p.c.), ma individua le norme applicabili. È cioè rimessa alla valutazione
del soggetto interessato la decisione se avvalersi o meno della prescrizione; se intende
avvalersene, ha l’onere di opporre la prescrizione, con allegazione della stessa 9. Non è suf-
ficiente una formulazione generica, dovendosi indicare il fatto costitutivo 10, mentre non
sono necessarie formule sacramentali, anche rispetto a diritti reali 11. La prescrizione può
essere opposta da terzi interessati (art. 2939) 12.
La valorizzazione della certezza delle situazioni giuridiche giustifica la inderogabi-
lità delle norme sulla prescrizione : è nullo ogni patto diretto a modificare la di-
sciplina legale della prescrizione (art. 2936), sia rispetto alla operatività che alla durata
della prescrizione.
Un ulteriore risvolto è in tema di rinunzia alla prescrizione. Non può rinunziare alla

9
Nel processo civile il convenuto deve proporre, nella comparsa di risposta, a pena di decadenza, le ecce-
zioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio (art. 167 c.p.c.), tra cui rientra, ex art. 2938 c.c., quella di
prescrizione. Ciò implica che alla parte sia fatto onere soltanto di allegare l’inerzia del titolare e di manifestare
la volontà di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso
specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali
spetta al potere-dovere del giudice, con la conseguenza, sia della possibilità di una diversa indicazione del
termine nel corso di giudizio, sia che il riferimento della parte ad un termine non priva il giudice del potere
officioso di applicazione (previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione) di una norma di pre-
visione di un termine diverso (Cass., sez. un., 25-7-2002, n. 10955). Conformi Cass. 19-4-2016, n. 7749; Cass.
21-3-2013, n. 7130). Solo in caso di pluralità di crediti azionati, il convenuto deve precisare il momento iniziale
dell’inerzia in relazione a ciascuno di essi (Cass. 8-3-2004, n. 4668).
10
L’eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha
l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza
del termine, ai sensi dell’art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di
un fatto diverso (Cass. 18-6-2018, n. 15991). Non viola il principio dispositivo della prescrizione (art. 2938) né
quello della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.) la decisione che accolga l’eccezione di
prescrizione ordinaria sulla base di una ragione giuridica diversa da quella prospettata dalla parte che l’ha formu-
lata, poiché spetta al giudice individuare gli effetti giuridici dei singoli atti posti in essere, attribuendo o negando
a ciascuno di essi efficacia interruttiva o sospensiva della prescrizione (Cass. 21-1-2020, n. 1149).
11
La prescrizione delle servitù per non uso, ex art. 1073 c.c., formando oggetto di un’eccezione in senso
proprio, deve essere specificamente opposta, anche senza l’impiego di forme sacramentali, dalla parte che
intenda avvalersene (Cass. 18-3-2019, n. 7562).
12
Conformemente ad un principio generale che consente al creditore di s u r r o g a r s i al proprio debitore
nell’esercizio di diritti ed azioni che questi trascura di esercitare verso terzi (art. 2900), la prescrizione può
essere opposta anche dal creditore e da chiunque vi ha interesse, qualora la parte non la faccia valere; e può
essere opposta anche se la parte vi ha rinunziato (art. 2939).
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 161

prescrizione chi non può disporre validamente del diritto (art. 29371). È vietata la rinun-
zia preventiva alla prescrizione o intervenuta durante il decorso del termine di prescri-
zione, al fine di evitare abusi di una parte a danno dell’altra (ad es. all’atto della conclu-
sione di un contratto o durante l’esecuzione): si può rinunziare alla prescrizione solo
quando questa è compiuta (art. 29372), perché il soggetto cui profitta ritiene più utile
non avvalersene, anche solo per ragioni morali o sociali. La rinunzia può essere espressa
o tacita e cioè risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescri-
zione (art. 29373). Il condebitore che ha rinunziato alla prescrizione non ha regresso ver-
so gli altri debitori liberati in conseguenza della prescrizione medesima (art. 13103).
Per una ragione morale e proprio in quanto la prescrizione non opera di diritto, non
è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un
debito prescritto (art. 2940), situazione che si è soliti qualificare come obbligazione natu-
rale (art. 2034), rispetto alla quale opera la regola della c.d. soluti retentio (VII, 1.10) 13.
La prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935)
(actio nondum nata non prescribitur, secondo l’impostazione romana che radicava nell’a-
zione la sostanza del diritto). Fino a quando il diritto non è costituito non può neppure
operare la prescrizione per inerzia dell’esercizio. Perciò, rispetto a un diritto la cui nasci-
ta è sottoposta a condizione sospensiva o a termine iniziale, la prescrizione comincia a
decorrere dall’avveramento della condizione o dalla scadenza del termine. In ogni caso
non corre la prescrizione quando il diritto non può essere fatto valere (contra non valen-
tem agere non currit praescriptio) 14 (v. anche art. 1166). Deve trattarsi di una impossibili-
tà giuridica, a nulla rilevando gli impedimenti di fatto o soggettivi all’esercizio del dirit-
to 15, salve le eccezioni stabilite dalla legge. Molto spesso è la legge stessa a specificare il
giorno dal quale decorre il termine della prescrizione (ad es. con riguardo all’azione di
annullamento del contratto ex art. 1442). Nelle prestazioni periodiche è importante la
configurazione delle singole rimesse 16.

13
Tale profilo, unitamente a quello della non rilevabilità di ufficio, ha fatto diffusamente dubitare della
natura della prescrizione come causa estintiva del diritto, ed avanzare l’idea che, con la prescrizione, il diritto
non si estingua ma solo si indebolisca.
14
L’impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art.
2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli
impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto (Cass. 31-7-2019, n. 20642; Cass. 11-9-2018, n. 22072;
Cass. 7-12-2016, n. 25253; Cons. Stato 26-4-2016, n. 1616). Nel caso di obbligazione solidale al risarcimento
dei danni ex art. 2055 c.c. la prescrizione dell’azione di regresso di uno dei coobbligati decorre dall’avvenuto
pagamento e non già dal giorno dell’evento dannoso, poiché il diritto al regresso, ex art. 2935 c.c., non può
esser fatto valere prima dell’evento estintivo dell’obbligazione (Cass. 11-10-2019, n. 25698).
15
In materia di risarcimento del danno, la decorrenza della prescrizione inizia nel momento in cui il dan-
neggiato, con l’uso dell’ordinaria diligenza, è in grado di avere conoscenza dell’illecito, del danno e della de-
rivazione causale dell’uno dall’altro, nonché dello stesso elemento soggettivo del dolo o della colpa che con-
nota l’illecito (Cass. 21-2-2020, n. 4683; Cass. 18-7-2016, n. 14662). Il danno deve essere attuale e non solo
potenziale, nonché oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte di chi intenda ottenerne il ristoro
(Cass. 7-4-2016, n. 6747). Ad es., il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsa-
bilità professionale inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l’e-
vento dannoso, bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettiva-
mente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato (Cass. 22-9-2016, n. 18606).
16
Con riguardo a prestazioni periodiche, bisogna verificare se le stesse sono frazioni di una prestazione
unitaria o autonome prestazioni. Nella prima ipotesi, la prescrizione decorre dalla data della mancata esecu-
zione della prima frazione: i singoli importi, avendo contenuto patrimoniale, sono soggetti alla comune regola
162 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

c) La durata della prescrizione è diversificata. Regola generale è che i diritti si estin-


guono per prescrizione con il decorso di dieci anni (c.d. prescrizione ordinaria), salvi
i casi in cui la legge dispone diversamente (art. 2946). Sono però molte le ipotesi per le
quali è previsto un termine diverso di prescrizione: talvolta più lungo (ad es. i diritti reali
di godimento su cosa altrui si prescrivono per non uso protratto per venti anni: artt. 954,
970, 1014, 1073); talaltra più breve (c.d. prescrizione b reve) (artt. 2947-2952). In ra-
gione della specificità dei singoli diritti, sono previste varie prescrizioni brevi: ad es. il
diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni, e al risarcimento del danno
prodotto dalla circolazione dei veicoli si prescrive in due anni (art. 2947) 17; in cinque
anni si prescrive il diritto agli interessi e, in generale, a tutto ciò che deve pagarsi perio-
dicamente ad anno o in termini più brevi (art. 2948, n. 4) 18.
Quando, riguardo ai diritti soggetti a prescrizione breve, è intervenuta sentenza di
condanna passata in giudicato, i diritti restano soggetti alla prescrizione ordinaria (art.
2953): ciò in quanto la fonte originaria del diritto è sopravanzata dalla novità e stabilità
della sentenza passata in giudicato 19.

10. Segue. Sospensione e interruzione. – Quando il diritto è nato e può essere fatto
valere, rilevano due distinte serie di ragioni che diversamente operano sulla prescrizione:
la sospensione e la interruzione.
a) Si ha sospensione della prescrizione quando il mancato esercizio del diritto è dalla

che tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termine più breve si prescrive in cinque anni (art.
2948, n. 4, c.c.). Nella seconda ipotesi, decorre dalle date di scadenza delle singole prestazioni. Relativamente
alla prescrizione del diritto all’assegno di mantenimento, la periodizzazione del pagamento, di regola mensile,
determina una attualizzazione periodica del debito: trattandosi di prestazioni autonome e periodiche, la pre-
scrizione non decorre da un unico termine (la data della sentenza di separazione o di divorzio o del passaggio
in giudicato), bensì dalle singole scadenze di pagamento, iniziando a decorrere dal mese successivo a quello
di riferimento. Analogamente per i tributi, dove il termine prescrizionale per una debitoria per più annualità è
calcolato con riferimento alle singole annualità.
17
Se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, que-
sta si applica anche all’azione civile di risarcimento danni (art. 29473). Anche se il giudizio penale non sia sta-
to promosso, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato si applica all’azione di risarcimento
“quando il giudice civile accerti, incidenter tantum e con gli strumenti probatori e i criteri propri del proce-
dimento civile”, la sussistenza del fatto-reato (Cass., sez. un., 18-11-2008, n. 27337). Se però il reato è estinto
per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risar-
cimento del danno si prescrive, secondo i primi due commi dell’art. 2947, con decorrenza dalla data di estin-
zione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile (art. 29473).
18
Per ulteriori prescrizioni quinquennali, v. artt. 2948 e 2949; per prescrizione annuale, v. artt. 2950 e
2951. Un termine differenziato in materia assicurativa (art. 2952).
19
La prescrizione decennale da actio iudicati ex art. 2953 decorre dal passaggio in giudicato della sentenza
e, se appellata, dalla declaratoria giudiziale che rende definitiva la decisione, effetto questo che, rispetto al
giudizio di ottemperanza ex art. 70 D.Lgs. 546/1992, si produce anche con riguardo ad una pronuncia di rito,
in quanto idonea a chiudere il processo in senso sfavorevole a una parte, fondando la definitività della pretesa
avanzata dall’altra (Cass. 16-12-2019, n. 33039). Nel caso in cui la sentenza penale di condanna generica al
risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, sia passata in giudicato, la suc-
cessiva azione volta alla quantificazione del danno non è soggetta al termine di prescrizione breve ex art. 2947
c.c., ma a quello decennale ex art. 2953 c.c. decorrente dalla data in cui la sentenza stessa è divenuta irrevoca-
bile, atteso che la pronuncia di condanna generica, pur difettando dell’attitudine all’esecuzione forzata, costitui-
sce una statuizione autonoma contenente l’accertamento dell’obbligo risarcitorio in via strumentale rispetto
alla successiva determinazione del quantum (Cass. 18-6-2019, n. 16289).
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 163

legge giustificato in considerazione di specifiche situazioni che impediscono o anche solo


ostacolano l’esercizio del diritto 20. Trovando il suo fondamento nella giustificazione del
mancato esercizio, opera con riferimento al solo periodo del protrarsi dell’inerzia giusti-
ficata. Per effetto della sospensione il periodo anteriore al verificarsi della causa di so-
spensione si somma al periodo successivo alla cessazione della sospensione. Il periodo di
sospensione esprime una parentesi nel computo del termine di prescrizione: il tempo
dell’inerzia giustificata non è calcolato ai fini del compimento della prescrizione. La leg-
ge prevede due categorie di fattispecie, riconducibili a due fondamentali ragioni di giu-
stificazione.
La prima categoria è inerente alla relazione giurid ica che lega il titolare del diritto
con il soggetto passivo (art. 2941). La prescrizione rimane sospesa tra i coniugi 21 (art.
2941, n. 1) e tra le parti dell’unione civile (art. 118 L. 76/2016) 22; è altresì sospesa tra chi
esercita la responsabilità genitoriale o tutoria e le persone che vi sono sottoposte, come
tra il curatore e il minore emancipato o l’inabilitato (art. 2941, n. 2-4); tra l’erede e l’e-
redità accettata con beneficio d’inventario, tra le persone con patrimonio soggetto ad
amministrazione e gli amministratori, tra le persone giuridiche e i loro amministratori
(art. 2941, n. 5-7); tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il
creditore finché il dolo non sia stato scoperto (art. 2941, n. 8) 23.

20
L’eccezione di sospensione della prescrizione ex art. 2941, n. 8, integra un’eccezione in senso lato e, per-
tanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche in grado di appello, purché sulla base di prove ritual-
mente acquisite agli atti (Cass. 12-7-2019, n. 18771).
21
La previsione della sospensione della prescrizione “tra i coniugi” (art. 2941, n. 1) ha sollevato il pro-
blema dell’applicazione della norma durante il periodo di separazione, specie ai fini del conseguimento del
mantenimento. A fronte di una tradizionale interpretazione letterale che considerava operare la sospensio-
ne fino al perdurare del vincolo coniugale (che viene meno con l’annullamento o il divorzio) (Corte cost.
19-2-1976, n. 35), una interpretazione evolutiva e adeguatrice della norma riferisce la sospensione al rapporto
coniugale nella sua interezza e cioè in comunione di vita, con esclusione della sospensione della prescrizione
tra coniugi relativamente al credito dovuto per l’assegno di mantenimento previsto nel caso di separazione
personale, non ritenendosi più sussistere la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata al timore di
turbare l’armonia familiare (Cass. 4-10-2018, n. 24160; Cass. 7981/2014; Cass. 18078/2014).
22
In relazione ai conviventi, Corte cost. 29-1-1998, n. 2, ha dichiarato non fondata la questione di legitti-
mità costituzionale della norma per mancata previsione della convivenza, in ragione della esigenza di certezza
e stabilità del rapporto quale risulta dal matrimonio. Ma con la introdotta possibilità di registrazione anagra-
fica della “stabile convivenza” (art. 137 L. 76/2016), il presupposto della incertezza di risultanza della relazio-
ne è venuto meno, sicché la questione si ripropone. Anzi è da ritenere che, già in via di interpretazione esten-
siva o analogica, possa accedersi all’ammissione di sospensione della prescrizione tra conviventi durante il
tempo di registrazione della convivenza.
23
L’operatività della causa di sospensione ex art. 2941, n. 8, ricorre quando sia posto in essere dal debito-
re un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l’esistenza dell’obbligazione, sì da
comportare, per il creditore, una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accerta-
mento del credito (Cass. 25-10-2019, n. 27393; Cass. 7-3-2019, n. 6677). La norma ha un correlato con la so-
spensione della prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale, che si prescrive in cinque anni, de-
correnti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno,
dalla data della sua scoperta (art. 12 L. 20/1994): tale norma presuppone un’attività consapevole del titolare
del rapporto di servizio diretta ad occultare il fatto generatore del danno erariale ed un elemento obbiettivo
dato da una situazione che precluda la scoperta del fatto stesso (Corte dei Conti 12-7-2016, n. 308; Corte dei
Conti 12-5-2016, n. 493).
Altre ipotesi di sospensione operano: 3) tra il tutore e il minore o l’interdetto soggetti alla tutela, finché
non sia stato reso e approvato il conto finale, salvo quanto è disposto dall’art. 387 per le azioni relative alla
164 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

La seconda categoria riguarda la condizione del titolare del diritto (art. 2942). Ad
es. la prescrizione rimane sospesa contro i minori e gli interdetti per il tempo in cui non
hanno rappresentante legale e per sei mesi successivi alla nomina del medesimo o alla
cessazione dell’incapacità 24; analogamente per i militari in guerra. Non rilevano condi-
zioni soggettive di mero fatto 25.
b) Si ha interruzione della prescrizione quando intervengono fatti giuridici di esercizio
del diritto. Nella sospensione c’è giustificazione dell’inerzia; nella interruzione c’è cessa-
zione dell’inerzia. L’eccezione di interruzione non integra una eccezione in senso stretto
e perciò è rilevabile di ufficio dal giudice 26. Per effetto della interruzione inizia un
nuovo periodo di prescrizione (art. 29451). A differenza della sospensione, il periodo
antecedente alla interruzione non è calcolato nel computo del termine della prescrizione.
La legge tipizza le ipotesi di interruzione. Regola generale è che la prescrizione è in-
terrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio 27 (anche se il giudi-
ce adito è incompetente 28), o dell’atto di accesso arbitrale (art. 2943), o anche dalla co-
municazione alle altre parti della domanda di mediazione (art. 56 L. 28/2010). Nel caso
di domanda giudiziale, la prescrizione non corre fino al momento del passaggio in giudi-
cato della sentenza che definisce il giudizio (art. 29452) 29; analogamente, nel caso di do-
manda di accesso arbitrale, la prescrizione non corre sino al momento in cui il lodo che
definisce il giudizio non è più impugnabile ovvero passa in giudicato la sentenza resa sul-
l’impugnazione (art. 29454). Con riguardo ai rapporti obbligatori, la prescrizione è inter-

tutela; 4) tra il curatore e il minore emancipato o l’inabilitato; 5) tra l’erede e l’eredità accettata con beneficio
d’inventario; 6) tra le persone i cui beni sono sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all’am-
ministrazione altrui e quelle da cui l’amministrazione è esercitata, finché non sia stato reso e approvato defini-
tivamente il conto; 7) tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di
responsabilità contro di essi. È da ritenere che la disciplina della sospensione valga anche nei rapporti tra
amministratore di sostegno e beneficiario per la specifica relazione intercorrente tra gli stessi, assimilabile a
quella intercorrente tra tutore o curatore e interdetto o inabilitato.
24
La disposizione deve valere anche rispetto al beneficiario di amministrazione di sostegno, con la conse-
guenza che la prescrizione dei diritti di cui è titolare l’amministrato rimane sospesa per i sei mesi successivi
alla nomina dell’amministratore di sostegno (Trib. Roma, 5-9-2011; Trib. Roma, 1-9-2011).
25
Ai fini della sospensione del termine di prescrizione rileva l’impossibilità che derivi da cause giuridiche,
non anche impedimenti soggettivi o ostacoli di mero fatto, tra i quali devono annoverarsi l’ignoranza del fatto
generatore del diritto, il dubbio soggettivo sull’esistenza di esso e il ritardo indotto dalla necessità del suo ac-
certamento (Cass. 14-1-2022, n. 996).
26
L’eccezione di interruzione è una eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile d’ufficio dal giudi-
ce in qualunque stato e grado del processo sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti (Cass., sez.
un., 27-7-2005, n. 15661; Cass. 14-3-2006, n. 5490).
27
La Corte cost. ha stabilito che la notificazione si perfeziona, nei confronti del notificante, nel momento
della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario (sent. 23-1-2004, n. 28; sent. 26-11-2002, n. 477); con la conse-
guenza che consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario è sufficiente a produrre l’effetto interruttivo della pre-
scrizione, che si consolida definitivamente con il perfezionamento del procedimento di notificazione.
28
L’atto di citazione – anche se invalido come domanda giudiziale e, dunque, inidoneo a produrre effetti
processuali – può tuttavia valere come atto di costituzione in mora ed avere, perciò, efficacia interruttiva della
prescrizione qualora, per il suo specifico contenuto e per i risultati a cui è rivolto, possa essere considerato come
richiesta scritta di adempimento rivolta dal creditore al debitore (Cass. 8-1-2020, n. 124). L’effetto interruttivo
della prescrizione si estende solo a quei fatti che siano conseguenti alla vicenda cui essa si riferisce, vale a dire che
costituiscano il logico sviluppo di un dato presupposto necessario (Cass. 20-12-2019, n. 34154).
29
Se il processo si estingue, rimane fermo l’effetto interruttivo, e il nuovo periodo di prescrizione comincia
dalla data dell’atto interruttivo (art. 25453).
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 165

rotta da ogni altro atto di manifestazione della volontà del titolare del credito di far vale-
re il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, con l’effetto di costituirlo in mora
(art. 29434) 30. La prescrizione è anche interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di
colui contro il quale è fatto valere (art. 2944): non è richiesta una formula sacramentale,
ma deve emergere la volontà di riconoscere il diritto 31; anche la richiesta di rateazione
del pagamento può essere sintomo di riconoscimento del debito 32.
Le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e
interruzione e al computo dei termini si osservano, in quanto applicabili, rispetto all’usu-
capione (art. 1165) (VI, 5.7).

11. Le prescrizioni presuntive. – La prescrizione presuntiva ha natura e disciplina


diverse dalla prescrizione estintiva.
Come si è visto, la prescrizione estintiva si atteggia come causa estintiva del diritto
per mancato esercizio del diritto per un determinato periodo di tempo, perseguendo
l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici; la prescrizione presuntiva (o impropria)
muove dalla presunzione che un determinato debito, per la particolare natura, sia stato
adempiuto o sia comunque estinto 33. In tal guisa le prescrizioni presuntive stabiliscono la
presunzione di estinzione del diritto. La caratteristica di tali prescrizioni è di operare sul
terreno della prova, nel senso che la legge presume che alcuni rapporti siano usual-
mente estinti in un breve lasso di tempo e senza formalità (rilascio di ricevute, ecc.) 34:
le prescrizioni presuntive sono tutte brevi.

30
L’atto interruttivo della prescrizione, quale mero atto unilaterale recettizio, produce effetti anche
quando il suo destinatario sia un incapace naturale, purché gli pervenga nel rispetto delle previsioni di cui
agli artt. 1334 e 1335 (Cass. 23-5-2018, n. 12658). Nel contratto di vendita costituiscono atti interruttivi della
prescrizione dell’azione di garanzia per vizi ex art. 14953 le intimazioni stragiudiziali compiute nelle forme
di cui all’art. 12191 con cui il compratore manifesta la propria volontà di avvalersi della garanzia (Cass.,
sez. un., 11-7-2019, n. 18672).
31
Il soggetto che riconosca l’altrui diritto compie una dichiarazione di scienza, avente ad oggetto il diritto
della controparte, dagli effetti esclusivamente interruttivi della prescrizione, diversamente dall’istituto della rinun-
cia alla prescrizione che è caratterizzato dalla manifestazione di una volontà negoziale con effetto definitivamente
dismissivo, avente ad oggetto il proprio diritto alla liberazione dall’obbligo di adempimento (Cass. 6-2-2020, n.
2758). Il riconoscimento del diritto, idoneo ad interrompere la prescrizione, può anche essere tacito e rinvenibile
in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore; il
pagamento parziale, ove non accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione in acconto, non può valere
di per sé come riconoscimento, rimanendo rimessa al giudice di merito la valutazione di fatto (Cass. 2-9-2019, n.
21947; Cass. 27-3-2017, n. 7820). Il riconoscimento dell’altrui diritto non ha natura negoziale, ma costituisce un
atto giuridico in senso stretto di carattere non recettizio, che non richiede in chi lo compie una specifica inten-
zione ricognitiva, occorrendo solo che esso rechi, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza
dell’esistenza del debito e riveli il carattere della volontarietà (Cass. 12-4-2018, n. 9097).
32
Si è precisato che la rateizzazione chiesta dal contribuente sulla cartella di pagamento non costituisce di
per sé acquiescenza al contenuto imperativo della stessa cartella e, pertanto, non rappresenta una manifesta-
zione di rinuncia al diritto di contestare in giudizio la pretesa e non comporta interruzione della prescrizione
(Cass. 8-2-2017, n. 3347). V. però Cass. 26-4-2017, n. 10327.
33
È giurisprudenza costante: es. Cass. 3443/2005, Cass. 8735/2014.
34
Le prescrizioni presuntive, trovando ragione nei rapporti che si svolgono senza formalità, dove il paga-
mento suole avvenire senza dilazione, non operano se il credito trae origine da contratto stipulato in forma
scritta; tuttavia delle stesse si può avvalere anche un soggetto obbligato a tenere le scritture contabili, non
interferendo tale disciplina con quella dei requisiti di forma dei contratti (Cass. 13-1-2017, n. 763).
166 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

Sollevano il debitore dall’onere della prova dell’adempimento o di altra causa di estin-


zione dell’obbligazione 35, potendo limitarsi ad allegare il decorso del termine di prescri-
zione previsto dalla legge: ad es. si prescrive in sei mesi il diritto degli albergatori e degli
osti per l’alloggio e il vitto (art. 2954); in un anno, il diritto dei commercianti per il prezzo
delle merci vendute a chi non ne fa commercio (art. 2955, n. 5); in tre anni, il diritto dei
professionisti per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative
(art. 2956, n. 2) 36. Regole particolari ineriscono alla decorrenza delle singole prescrizioni
(art. 2957). La prescrizione decorre anche se vi è stata continuazione di somministrazioni o
di prestazioni (art. 2958).
Anche la prescrizione presuntiva va eccepita dal soggetto che intende avvalersene (de-
bitore), ma con funzione peculiare: il tempo trascorso (fatto noto) fa presumere l’avve-
nuto pagamento o comunque l’estinzione (fatto ignorato), attraverso un meccanismo di
presunzione semplice di estinzione 37, vincibile in due modi, rispettivamente dal creditore
o dal debitore.
Da parte del creditore, con il deferimento al debitore del giuramento decisorio:
colui al quale la prescrizione è stata opposta può deferire all’altra parte il giuramento per
accertare se si è verificata l’estinzione del debito (art. 29601). Il giuramento può anche
essere deferito al coniuge superstite e agli eredi o ai loro rappresentanti legali affinché
dichiarino se hanno notizia dell’estinzione del debito (art. 29602). Se il debitore, giuran-
do il falso, dichiara che l’obbligazione è stata adempiuta o in altro modo estinta, il diritto
si considera estinto 38: se però non c’è stata estinzione, il debitore incorre nel reato di fal-
so giuramento, per avere, come parte in giudizio civile, giurato il falso (art. 371 c.p.).
Da parte del debitore, con l’ammissione del mancato adempimento: se chi oppone
la prescrizione ha comunque ammesso che l’obbligazione non è stata estinta, la prescri-
zione non opera, e quindi la relativa eccezione deve essere rigettata (art. 2959): l’ammis-
sione dell’inadempimento può risultare anche implicitamente, ad es., contestandosi la
validità del titolo o l’entità della somma richiesta o chiedendosi una rateazione 39.

35
Mentre il debitore, eccipiente, è tenuto a provare il decorso del termine previsto dalla legge, il creditore
ha l’onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito, e tale prova può essere fornita soltanto con il
deferimento del giuramento decisorio, ovvero avvalendosi della ammissione, fatta in giudizio dallo stesso de-
bitore, che l’obbligazione non è stata estinta (Cass. 14-3-2018, n. 6245).
36
A fronte di un divario se possa eccepirsi solo il pagamento, la giurisprudenza più recente è incline a ri-
tenere che le prescrizioni presuntive riguardino, non soltanto il pagamento, ma ogni ipotesi di estinzione
dell’obbligazione per effetto di tutti gli altri modi previsti dalla legge ex artt. 1230 ss. (Cass. 20-1-2022, n.
1768. Per l’incompatibilità, Cass. 1970/2019; Cass. 2124/1994).
37
Se sia formulata genericamente un’eccezione di prescrizione, senza che il tempo per quella estintiva sia
decorso, il giudice del merito può esaminare quella presuntiva, malgrado la logica incompatibilità con la pri-
ma, desumendone l’implicita proposizione dalla proposizione della difesa in mancanza di maturazione della
prescrizione estintiva (Cass. 5-7-2017, n. 16486; Cass. 18-1-2017, n. 1203).
38
In tema di prescrizione presuntiva, mentre il debitore, eccipiente, è tenuto a provare il decorso del ter-
mine previsto dalla legge, il creditore ha l’onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito, e tale
prova può essere fornita soltanto con il deferimento del giuramento decisorio, ovvero avvalendosi dell’ammis-
sione, fatta in giudizio dallo stesso debitore, che l’obbligazione non è stata estinta (Cass. 25-1-2021, n. 1435;
Cass. 785/1998).
39
L’indagine sul contenuto della dichiarazione del debitore, se importi o meno ammissione della non av-
venuta estinzione del debito agli effetti dell’art. 2959, dà luogo ad apprezzamento di fatto, incensurabile in
sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. 1-3-2022, n. 6727). Se il debitore nega l’autenticità della
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 167

12. La decadenza. – Inerisce alla dimensione temporale nella sua oggettività, senza
riguardo alla persona del titolare della situazione soggettiva. C’è la necessità oggettiva che
un diritto, molto più spesso un potere, sia esercitato “entro un determinato termine”
(art. 2964): il decorso del tempo, a differenza della prescrizione, rileva non come durata
del comportamento di inerzia nell’esercizio del diritto ma nella prospettiva della sca-
denza del termine entro il quale il titolare del diritto avrebbe potuto esercitarlo, senza
riguardo alle ragioni soggettive del mancato esercizio. Alla base è l’esigenza rinforzata di
certezza delle situazioni giuridiche, indipendentemente dalle condizioni dei soggetti e
dalle ragioni del non esercizio. Per il modo di operare della decadenza, se ne propone
spesso la qualificazione come fattispecie in cui il decorso del tempo determina impedi-
mento all’acquisto di un diritto o all’esercizio di un potere (es. scadenza del termine di
presentazione di una domanda) 40.
Più spesso la decadenza è di origine legale: la legge qualifica testualmente il termine
come di decadenza (ad es., il termine di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea
di condominio: art. 1137); sono anche di decadenza molti termini relativi allo svolgimen-
to del processo, che la legge qualifica come “perentori” (es. artt. 326 e 327 c.p.c.); in ma-
teria tributaria, il termine di notifica dell’avviso di accertamento (art. 43 D.P.R.
688/1973). Talaltra la natura del termine deriva dalla ratio della norma (ad es., l’azione
di disconoscimento della paternità: art. 244). Talaltra ancora la legge, con riguardo alla
medesima figura, prevede espressamente termini di diversa natura: ad es., per la vendita
di cose mobili, il termine di denunzia dei vizi (di otto giorni dalla scoperta) è di decaden-
za; mentre il termine di proposizione dell’azione (entro un anno dalla consegna) è di pre-
scrizione (art. 14951, 3) 41.
In ragione della funzione assolta dalla decadenza, per l’art. 2964, non si applicano le
norme relative alla interruzione della prescrizione; del pari non si applicano le norme
che si riferiscono alla sospensione, salvo che sia disposto altrimenti 42.
Più specificamente, quanto all’interruzione, rilevando per l’ordinamento il fatto in
sé dell’esercizio del diritto, con il compimento dell’atto viene meno la stessa ragione

propria sottoscrizione su alcuni buoni di consegna, tiene una linea difensiva “incompatibile con la presunzio-
ne di estinzione dell’obbligazione” (Cass. 23-1-2007, n. 1381). La contestazione, da parte del debitore, dell’e-
sattezza dei conteggi allegati dall’attore a fondamento di una pretesa creditoria “implica l’ammissione della
mancata estinzione dell’obbligazione” e comporta il rigetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva (Cass.
27-11-1999, n. 13291; Cass. 3-3-2001, n. 3105).
40
All’istituto della decadenza non è applicabile la regola di efficacia dell’eccezione anche oltre i limiti
temporali segnati dall’intervenuta decadenza (“quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum”), non
potendo rivivere, sotto forma di eccezione, il diritto ormai estinto perché non fatto valere nel termine peren-
torio (Cass. 6-10-2021, n. 27062).
41
Il divario tra i due istituti ha specifica rilevanza in materia tributaria, dove, tendenzialmente, la deca-
denza attiene allo svolgimento del procedimento amministrativo da parte dell’amm. finanz., ovvero alla omis-
sione di un comportamento attivo da parte del contribuente; mentre la prescrizione inerisce all’esercizio del
diritto di credito acquisito.
42
La giurisprudenza tende a configurare la normativa sulla decadenza come di stretta interpretazione,
considerando inapplicabili alla decadenza soltanto le norme relative alla interruzione ed alla sospensione della
prescrizione e ritenendo anzi che le norme disponenti decadenze devono essere interpretate in senso favore-
vole al soggetto onerato e, quindi, secondo il criterio del tempo utile. Così, in tema di computo dei termini di
prescrizione, l’art. 29633, secondo il quale “se il termine scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al gior-
no seguente non festivo”, è considerato un principio generale applicabile, in assenza di diversa previsione,
anche in materia di decadenza (Cass. 13-8-2004, n. 15832).
168 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

della decadenza; sicché la interruzione non è di per sé ammissibile 43.


Quanto alla sospensione, è di regola irrilevante la motivazione dell’inerzia stante l’e-
sigenza di esercitare senz’altro il diritto “entro un dato tempo”. Raramente e in modo
testuale la legge, in considerazione della condizione giuridica del titolare del diritto, ac-
corda la sospensione del termine: nell’esempio fatto, se la parte interessata a proporre
l’azione di disconoscimento di paternità si trova in stato di interdizione per infermità di
mente, la decorrenza del termine è sospesa nei suoi confronti sino a che dura lo stato di
interdizione (art. 245). Talvolta è disposta la sospensione a seguito di eventi eccezionali.
La decadenza, di regola, non può essere rilevata di ufficio dal giudice; con la conse-
guenza che, per la sua operatività, deve essere eccepita dalla parte (come la prescrizio-
ne). Può essere rilevata di ufficio dal giudice quando, trattandosi di materia sottratta alla
disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le cause d’improponibilità dell’azione
(art. 2969 c.c. e art. 112 c.p.c.) 44. Se la decadenza è connessa alla proposizione di una
domanda giudiziale, segue la sorte del processo 45.
È consentita la fissazione di una decadenza contrattuale; ma è nullo il patto con il qua-
le si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle
parti l’esercizio del diritto (art. 2965). Il termine di decadenza deve essere congruo in re-
lazione alle circostanze del caso concreto e perciò con riguardo, sia alla durata del ter-
mine pattuito, che alla situazione del soggetto obbligato a svolgere l’attività prevista per
evitare la decadenza. È vessatoria la clausola contrattuale che sancisce decadenze a carico
di un contraente aderente a un contratto predisposto dall’altra parte (artt. 13412) e in
particolare nell’ipotesi di adesione del consumatore a un contratto predisposto da un
professionista (art. 332, lett. t, D.Lgs. 206/2005).
Se si tratta di un termine stabilito da un contratto o da una norma di legge relativa a
diritti disponibili, la decadenza può essere impedita con il riconoscimento del diritto
proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decaden-
za (art. 2966). Quando la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto alle disposi-
zioni sulla prescrizione (art. 2967). Le parti possono anche modificare la disciplina legale
della decadenza e rinunziare alla decadenza medesima (art. 2968) 46.
Con riguardo ai diritti indisponibili, le parti non possono modificare la disciplina lega-
le della decadenza, né possono rinunziare alla decadenza medesima (art. 2968).

43
La comunicazione alle altre parti della domanda di mediazione impedisce la decadenza per una sola volta;
se il tentativo fallisce, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, de-
corrente dal deposito del verbale definitivo presso l’organismo (art. 56 L. 28/2010).
44
È materia sottratta alla disponibilità delle parti non solo quella relativa a diritti per loro natura indispo-
nibili ma anche quella disciplinata da un regime legale che escluda qualsiasi potere di disposizione delle parti.
(Cfr. Cass. 19-10-2012, n. 18078; Cass. 28-11-2001, n. 15131).
45
La domanda giudiziale è un evento idoneo ad impedire la decadenza di un diritto non in quanto costi-
tuisce la manifestazione di una volontà sostanziale, ma perché instaura un rapporto processuale diretto ad
ottenere l’effettivo intervento del giudice, sicché l’esercizio dell’azione giudiziaria non vale a sottrarre il diritto
alla decadenza, qualora il giudizio si estingua, facendo venire meno il rapporto processuale (Cass. 14-3-2018, n.
6230; Cass. 7-11-2017, n. 26309).
46
La rinuncia ad avvalersi della decadenza può avvenire anche per facta concludentia. Si è così ravvisata la ri-
nuncia del venditore ad eccepire la decadenza del compratore dalla garanzia per vizi se, malgrado la denuncia
oltre il termine di legge, quegli ha inviato un suo tecnico per esaminare il guasto o ha richiesto l’invio del bene
per tentarne la riparazione (Cass. 24-4-1998, n. 4219; Cass. 30-1-1990, n. 587).
CAP. 4 – I FATTI GIURIDICI. EFFETTI, VICENDE E CIRCOLAZIONE 169

C) INFLUENZA DELLO SPAZIO

13. La correlazione territoriale. – La persona opera nello spazio, assumendo impor-


tanza il rapporto che instaura con un determinato luogo. Rilevano la residenza, come di-
mora materiale abituale (art. 432); il domicilio, come sede principale di affari e interessi
(art. 431). Nei rapporti di famiglia, ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo
in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi; il minore ha il domicilio
nel luogo di residenza della famiglia o quello del tutore; se i genitori sono separati o il
loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque
non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive
(art. 45) (V, 4.11).
Il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di buona fede se non
è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge (con pubblicità nel registro dell’anagra-
fe: D.P.R. 30.5.1989, n. 223, recante il nuovo regolamento anagrafico della popolazione
residente); quando una persona ha nel medesimo luogo il domicilio e la residenza e tra-
sferisce questa altrove, di fronte ai terzi di buona fede si considera trasferito pure il do-
micilio, se non si è fatta una diversa dichiarazione nell’atto in cui è stato denunciato il
trasferimento della residenza (art. 44).
Rispetto agli enti, quando la legge fa dipendere determinati effetti dalla residenza o
dal domicilio, si ha riguardo al luogo in cui è stabilita la loro sede (art. 46).
Residenza e domicilio rilevano anche ai fini della determinazione del foro generale
territorialmente competente nelle procedure giudiziarie (artt. 18 ss. c.p.c.).
Lo spazio segna anche la collocazione territoriale dei fatti giuridici e dunque delle vi-
cende giuridiche che ne derivano, come luogo di attuazione dei diritti: così, con riferi-
mento alle obbligazioni, l’adempimento deve avvenire nel luogo determinato nel contrat-
to o, se non è stabilito, in uno di quelli fissati dall’art. 1182 (VII, 3.2).
Rispetto agli immobili, la collocazione è criterio di determinazione dello statuto del
bene (in ragione degli strumenti edilizi del luogo), influenzandone il godimento e la cir-
colazione. La collocazione territoriale individua i registri di pubblicità immobiliare.

14. Individuazione del diritto applicabile. – Nei rapporti tra soggetti di differente
nazionalità lo spazio rileva come collegamento per la individuazione del diritto appli-
cabile a situazioni con profili di estraneità rispetto all’ordinamento: determinandosi un
conflitto di leggi nello spazio, bisogna ricorre alle regole del diritto internazionale priva-
to. C’è la necessità di ricercare, attraverso criteri di collegamento legislativamente previ-
sti, il diritto applicabile al singolo fatto giuridico o alle singole situazioni. Vedi trattazione
sull’applicazione della legge nello spazio (I, 3.12).
CAPITOLO 5
AUTONOMIA PRIVATA
(Il negozio giuridico e l’autonomia negoziale)

Sommario: 1. I principi ispiratori. – 2. La categoria del negozio giuridico ed il suo sviluppo storico. – 3.
La realtà dell’autonomia negoziale. – 4. Negozio e negozialità. – 5. Elementi del negozio giuridico. –
6. Soggetti e parte del negozio. La legittimazione. – 7. La volontà dei gruppi. – 8. Le fondamentali
categorie di negozi giuridici. – 9. Segue. I negozi di disposizione e i terzi. – 10. Presupposti del ne-
gozio giuridico. – 11. L’incidenza tributaria (bollo e registrazione).

1. I principi ispiratori. – L’espressione autonomia privata indica tecnicamente il po-


tere dei privati di darsi autonomamente le regole impegnative 1. L’autonomia è dunque
storicamente collocata in opposizione all’eteronomia, che allude a regole provenienti dal-
l’esterno rispetto ai soggetti.
L’autonomia è concetto più complesso dell’autodeterminazione: questa esprime la mera
tensione individuale volitiva verso un risultato; l’autonomia, come è nella sua radice se-
mantica, mira anche a dettare una regola e quindi a governare. Si è già detto come, tra-
dizionalmente, l’autonomia privata si sia esplicata attraverso la categoria, concettualmen-
te unitaria, del negozio giuridico (II, 4.7); come è stato delineato il contesto storico di e-
mersione della categoria del negozio giuridico (I, 2.2). Va però approfondito come il prin-
cipio di autonomia privata sia evoluto e come sia sentito e operi nell’attualità.
Al fondo del riconoscimento dell’autonomia privata c’è una duplice scelta dell’ordina-
mento, ideale e economica: sul piano ideale, di ritenere l’autonomia privata quale essenzia-
le espressione delle libertà fondamentali, per cui libertà e autonomia privata insieme si
tengono o insieme cadono; sul piano economico, di considerare l’autonomia privata, con la
connessa economia di mercato, come sistema maggiormente in grado di procurare il be-
nessere generale. Rispetto a entrambi i postulati conseguono due fondamentali controspin-
te normative: da un lato, garantire che l’autonomia privata si dispieghi in una guisa da con-
sentire l’eguale esplicazione di autonomia dei soggetti coinvolti; dall’altro, proteggere e va-
lorizzare le posizioni (sociali ed economiche) deboli che da un mercato senza regole rimar-
rebbero espunte o sacrificate, determinando anche il fallimento del mercato.

1
Il termine “autonomia” proviene dal greco autonomia, composto di autos (stesso) e deriv. di nemo (go-
vernare): significa letteralmente governarsi con leggi proprie, senza ingerenze da parte di altri. È contrappo-
sto a “eteronomia”, dal greco heteros (altro, diverso) e deriv. di nemo: letteralmente essere governato da altri
e precipuamente dalla normativa di derivazione statale o di altre autorità.
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 171

Sia nella Costituzione che nel diritto europeo non c’è un espresso e formale ricono-
scimento dell’autonomia privata, ma la sua rilevanza giuridica deriva indirettamente dal
complessivo contesto che necessariamente la implica, con i limiti di compatibilità con
l’ordinamento. Nella Carta costituzionale l’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, come singolo e nelle formazioni sociali, limitandone l’esercizio con il rispetto
di doveri inderogabili di solidarietà, quale generale espressione del principio personalista
(I, 2.7). Specifico riscontro è nella c.d. costituzione economica: la proprietà privata è ri-
conosciuta e garantita, determinandosi i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo
scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti (art. 422 Cost.);
l’iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità so-
ciale o in modo da recare danno all’ambiente, alla salute, alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana (oltre che rimanere soggetta agli ulteriori limiti derivanti dalla previsione
di controlli, indirizzi, riserve e trasferimenti coattivi di imprese di carattere generale)
(artt. 41 e 43 Cost.) 2; è incoraggiato e tutelato il risparmio, favorendo l’accesso del ri-
sparmio popolare alle c.d. proprietà personali (la proprietà dell’abitazione e la proprietà
diretto-coltivatrice) e all’investimento azionario nei grandi complessi produttivi del pae-
se (art. 47 Cost.) 3. Il diritto europeo prevede un mercato interno caratterizzato da una
“economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e
al progresso sociale” (art. 3 TUE). Per la Carta dir. fond. U.E. è riconosciuta la libertà
d’impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali (art.
16); ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legal-
mente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità (art. 17). Dal complessivo impianto
deriva una copertura costituzionale e di diritto europeo dell’autonomia privata, come
mezzo per esercitare l’impresa e accedere alla proprietà.
Analogamente il codice civile non contiene una generale formulazione dell’autonomia
privata. Però la previsione del contratto (artt. 1322 ss.), del testamento (artt. 587 ss.), del
matrimonio (artt. 84 ss.) e di altri negozi unilaterali (artt. 1987 ss.), come il riconosci-
mento della libertà di costituzione dei gruppi e dell’elaborazione degli statuti delle orga-
nizzazioni collettive ne implicano il riconoscimento. È anche riconosciuta autonomia di
organizzazione e di indirizzo del gruppo familiare (art. 144).
Dalla complessiva normativa emergono alcuni essenziali principi ispiratori dell’auto-
nomia privata, che è possibile delineare come di seguito.
a) Compatibilità con l’ordinamento. L’autonomia privata è espressione di liber-
tà, con i vincoli fissati dall’ordinamento. L’autonomia privata non è funzionalizzata ad un
risultato ordinamentale, ma deve risultare compatibile con la complessità delle relazioni

2
L’autonomia contrattuale dei singoli è tutelata, a livello costituzionale, indirettamente, in quanto “stru-
mento di esercizio di libertà costituzionalmente garantite”; ad es. l’art. 411 Cost. “tutela l’autonomia nego-
ziale come mezzo di esplicazione della libertà di iniziativa economica”, la quale si esercita normalmente in
forma di impresa (Corte cost. 30-6-1994, n. 268). È anche consolidato indirizzo che le restrizioni dell’auto-
nomia privata rispondono ad interessi pubblici e, come tali, “sono ammissibili, entro limiti di ragionevo-
lezza e sempreché non comportino totale soppressione o grave affievolimento del diritto di libertà dei singo-
li” (Corte cost. 28-11-1986, n. 248).
3
La costituzione economica esprime le tre matrici ideologiche che diedero vita alla Carta costituzionale:
l’idea liberale della garanzia della libertà di esplicazione dell’autonomia; l’anima cattolica, specialmente emer-
sa nella enciclica rerum novarum, di conciliare le libertà con la solidarietà; il progetto marxista di presenza
forte di uno Stato nell’economia attraverso specifici piani e nazionalizzazioni.
172 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

sociali sulle quali incide; in tal guisa rileva giuridicamente entro i limiti segnati dai valori
che storicamente la società e dunque l’ordinamento si pongono.
La incidenza è tanto più penetrante quanto maggiormente sono coinvolte identità esi-
stenziali, ovvero interessi generali o interessi di fasce sociali che l’ordinamento mira a pro-
teggere, attraverso un controllo di liceità e meritevolezza del contenuto degli atti di au-
tonomia (limiti funzionali); in talune materie sono addirittura previsti solo atti tipici (es.
matrimonio, testamento). Rispetto alla formazione dell’atto negoziale e alla sua struttura
operano dei limiti perché l’atto sia consapevole esplicazione di autonomia privata e con-
forme all’ordinamento (limiti strutturali) (es. artt. 1325 ss.).
b) Tendenziale ind ipendenza d elle sfere giuridiche individ uali . È un fon-
damentale criterio di competenza dell’autonomia privata rispetto agli interessi regolati,
per cui è possibile comandare in casa propria, non in casa altrui. E ciò in un duplice sen-
so: con la propria volontà si può modificare la sfera giuridica propria; non si può incidere
la sfera giuridica altrui contro la volontà del titolare (il contratto è il simbolo della neces-
sità dell’accordo per disporre la regolazione di interessi tra due o più parti: art. 1322).
Nello spirito di solidarietà che anima il nostro ordinamento è consentito ed anzi incentiva-
to procurare unilateralmente un vantaggio ad altri, non però contro la volontà del bene-
ficiario: per gli atti tra vivi, quando non interviene il consenso del beneficiario (come nel-
la donazione: art. 769), questi ha comunque diritto di rifiutare il beneficio accordatogli
(art. 1333) 4; in materia successoria, l’eredità si acquista con l’accettazione (art. 459), e il
legato si acquista automaticamente ma è oggetto di rinunzia (art. 6491) (rectius rifiuto).
c) Normale conservazione d ell’attività giuridica negoziale . Di regola l’atti-
vità giuridica non deve andare sprecata essendo essenziale risorsa del sistema economico,
salvo regolarne modi e termini di svolgimento (es. art. 1367). Alla base c’è l’idea chiave
dell’economia di mercato di considerare l’autonomia privata come sistema privilegiato di
realizzazione dell’interesse economico collettivo. Nella contemporaneità si è aggiunta l’ul-
teriore motivazione di preservare la disponibilità dei beni acquisiti (specie da fasce socia-
li più deboli). Anche la conservazione dall’attività negoziale deve svolgersi in conformità
ai valori ordinamentali.

2. La categoria del negozio giuridico ed il suo sviluppo storico. – Si è anticipato


che i negozi giuridici si specificano rispetto agli atti giuridici in senso stretto in quanto
assumono rilevanza, non solo la consapevolezza e volontarietà dell’atto nella sua materia-
lità, ma anche la consapevolezza e volontarietà degli effetti, apprestando l’ordinamento
effetti giuridici tendenzialmente conformi allo scopo pratico-giuridico perseguito dagli au-
tori (II, 4.5).
Tradizionalmente il dibattito sulla autonomia privata si è riflessa sulla discussione in-
torno alla categoria del “negozio giuridico”, come massima esplicazione della stessa:
l’autonomia negoziale indica l’autonomia privata espressa mediante negozi giuridici (c.d.
autonomia privata negoziale). Va approfondito come la categoria del negozio sia emersa e
sia evoluta e come sia sentita e operi nell’attualità.
a) Si è visto come una consapevole elaborazione della categoria del “negozio giuridi-

4
Il tema è diventato di grande attualità a seguito dell’approvazione del Codice del terzo settore (D.Lgs.
3.7.2017, n. 117), che regola le finalità, l’organizzazione e l’attività del c.d. privato sociale.
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 173

co” sia maturata essenzialmente tra il sec. XVIII e gli inizi del sec. XIX, nello sviluppo
del pensiero del giusnaturalismo razionale e della successiva scuola storica, con gli ap-
porti dell’illuminismo, attraverso la coniugazione della forza rivoluzionaria della libertà
con la potenza vitale della volontà. Da tale intreccio derivava uno strumentario di cate-
gorie giuridiche che attraversava più ricostruzioni e vari istituti (diritti soggettivi, pro-
prietà, contratto, responsabilità), cementati dal riconoscimento al soggetto, come tale,
del diritto naturale inviolabile di regolare i propri interessi e di rispondere per i soli atti
di esercizio della libera volontà (I, 2.2). Il negozio giuridico rileva come atto di volon-
tà regolatore di interessi privati, la cui nozione è di “manifestazione di volontà rivolta a
uno scopo pratico tutelato dall’ordinamento”, così atteggiandosi come atto indirizzato a
produrre effetti giuridici che l’ordinamento realizza in quanto voluti dagli autori e con-
formi all’ordinamento (c.d. teoria soggettiva).
Dal punto di vista dei soggetti, ciò significava riconoscere la unità del soggetto di dirit-
to (unitarietà astratta del civis), contro la stratificazione sociale e giuridica di derivazione
medievale. La volontà, quale espressione della libertà dell’individuo, è la forza creatrice
degli effetti giuridici: volontà e libertà si pongono come un’endiadi indissolubile. La va-
lorizzazione della signoria della volontà tende a garantire che l’atto di disposizione sia il
frutto di una libera e consapevole scelta: ogni anomalia nella formazione della volontà o/e
nella sua manifestazione vulnera la validità dell’atto.
Dal punto di vista dell’atto, ciò comportava la elaborazione di una categoria unitaria,
generale ed astratta, dell’agire giuridico: il negozio giuridico esprime una categoria logi-
co-giuridica ordinante dei rapporti privati, con astrazione dalla complessità del tessuto
sociale (contratto, matrimonio, testamento sono accomunati come esplicazioni di volon-
tà). La costruzione unitaria riduce il negozio a struttura (visione statica del negozio) in
grado di determinare effetti giuridici in quanto formulato secondo i requisiti previsti dal-
l’ordinamento (c.d. elementi o requisiti essenziali dell’atto).
In una prospettiva economica, il perseguimento individuale del proprio interesse a-
vrebbe condotto alla realizzazione dell’interesse economico generale, secondo i postulati
del liberismo. La tutela di una libera volontà, per un verso, garantiva all’aristocrazia di
non essere privata della proprietà senza una propria volontà, e, per l’altro verso, assicu-
rava alla borghesia di accedere alla proprietà e ai mezzi di produzione con un proprio
atto di volontà. La categoria del negozio presidiava anche la proprietà: significativamen-
te il cod. civ. nap. e poi il cod. civ. del 1865 collocavano il contratto nel Libro III dedi-
cato ai “Modi di acquistare e trasmettere la proprietà”, quale meccanismo di circolazio-
ne di ricchezza.
In definitiva si elaborava una categoria logica (per l’astrazione dalle singole morfolo-
gie della realtà) che diveniva anche categoria ideologica (per l’espressione di un unitario
atto di libertà in funzione di un unitario soggetto giuridico). Una previsione dei “negozi
giuridici” come categoria generale penetrava nel codice civile tedesco del 1900 (BGB),
collocata nel libro I dedicato alla parte generale, mentre non faceva ingresso né nel cod.
civ. nap., né nel cod. civ. del 1865 (dai quali era però presupposta).
Una remora alla teoria soggettiva proveniva dalla teoria della responsabilità (speci-
ficamente autoresponsabilità) nel senso che l’autore della dichiarazione non poteva ac-
campare una volontà interna diversa da quella dichiarata quando il divario fosse impu-
tabile a sua colpa.
174 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

b) Con lo sviluppo dell’industrializzazione e dunque di un’attività economica di im-


presa, emergeva la funzione del negozio come strumento di autoregolazione di interessi
(visione dinamica del negozio). Il negozio rilevava come un atto economico, con la
conseguenza che il controllo di conformità dell’atto di autonomia privata all’ordinamen-
to era compiuto, bensì sulla struttura dello stesso, ma avendosi massimamente riguardo
all’assetto di interessi attuato dai privati. Fedele al c.d. metodo dell’economia, per cui le
forme giuridiche devono riflettere la sostanza dei fenomeni materiali, il cod. civ. del 1942,
non solo non contiene una normativa generale sul negozio giuridico come atto (come
aveva già fatto il cod. civ. abr.), ma disancora la disciplina del contratto dalle vicende
della proprietà per impegnare l’intera realtà economica: il contratto è collocato nel Libro
IV dedicato alle “Obbligazioni”, come rilevante fonte delle stesse (art. 1173), mentre la
proprietà è collocata in un autonomo Libro III, intitolato alla “Proprietà”. Per la Relaz.
cod. civ., n. 604, il contratto è “centro della vita degli affari”; riceve una trattazione auto-
noma quale generale strumento di regolamento di interessi nella vita economica 5. Il con-
tratto è sospinto verso la organizzazione dei rapporti obbligatori, funzionale all’attività
di impresa.
Correlativamente assume rilevanza la esternazione della volontà ed il modo come la
stessa è avvertita nella società, perché c’è da garantire la certezza degli scambi. È accor-
dato valore prevalente alla dimensione sociale dell’atto di autonomia (c.d. teoria oggetti-
va): la prevalenza della dichiarazione è coerente all’esigenza di sicurezza del traffico giuri-
dico, quale postulato essenziale di una economia di mercato, che reclama la spedita e
certa collocazione dei prodotti di impresa. In tale quadro il contratto (e specificamente
l’atto di scambio) si atteggia come strumento di formazione di ricchezza per il ruolo es-
senziale svolto nell’esplicazione dell’attività dell’impresa (nella organizzazione dell’atti-
vità economica, come nella collocazione dei prodotti).
Una remora alla teoria oggettiva proviene dalla teoria dell’affid amento, nel senso
che il destinatario della dichiarazione o altro soggetto interessato non può accampare il
valore della dichiarazione contro la volontà dell’autore quando il divario sia imputabile a
sua colpa (rilevante è solo l’affidamento incolposo) 6.
c) L’evoluzione dei diritti umani ai valori della persona umana e della solidarietà apre
l’autonomia privata alla complessità della relazionalità, facendosi funzionare, per un ver-
so, le esigenze economiche del mercato e della concorrenza, e per altro verso le circo-
stanze di esercizio dell’autonomia privata e le connotazioni degli autori dell’atto. Il ne-
gozio rileva, non solo come fatto regolante, ma anche come fatto regolato in ragione
dell’assetto di interessi attuato. È aperta la strada ad una valutazione dei modi e delle
circostanze di emersione e composizione degli interessi nel concreto atto negoziale: ven-
gono in rilievo i contesti sociali di maturazione degli scambi e in genere di attuazione de-
gli assetti di interessi e le tecniche impiegate di formazione e in genere di conclusione

5
Per E. BETTI (1950) il negozio giuridico è essenzialmente un precetto dell’autonomia privata in ordine a
concreti interessi propri di chi lo pone. Rileva la Relaz. cod. civ., n. 602, i “negozi di diritto familiare” non
sono sostanzialmente omogenei agli altri che hanno un oggetto patrimoniale e quindi la relativa disciplina
deve essere in gran parte diversa.
6
Secondo l’efficace sintesi di F. SANTORO-PASSARELLI (1944, ult. ed. 1966), dalle varie norme del codice
civile si trae un principio del “rischio del dichiarante per l’affidamento senza colpa del destinatario o di altro
interessato nella dichiarazione” (es. artt. 428, 1431, 1439, 1445).
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 175

dell’atto; inoltre rilevano la specificità degli autori del negozio e delle qualifiche ricoper-
te, come rilevano la natura degli interessi coinvolti.
La figura del negozio, come categoria generale, esce ridisegnata 7. Anzitutto il caratte-
re patrimoniale del contratto sollecita criteri di soluzione dei conflitti di interessi che
non si addicono ai negozi con contenuto non patrimoniale (es. negozi familiari), che
coinvolgono la esplicazione di una dimensione esistenziale. Inoltre, anche con riguardo
al contratto, la libertà di contrarre (cioè di stipulare un contratto) non si accompagna più
indissolubilmente con la libertà di contrattare (cioè di incidere sul contenuto del contrat-
to). È evidente il divario tra la compravendita di un immobile tra due privati e l’acquisto
di un prodotto di serie collocato dalla impresa: nella prima ipotesi, c’è esercizio di auto-
nomia, sia di contrarre che di contrattare, svolgendosi tra le parti una negoziazione circa
il trasferimento del diritto e l’ammontare del prezzo; nella seconda ipotesi, in capo al com-
pratore (consumatore) emerge solo autonomia di contrarre e dunque di scelta del con-
traente e del prodotto, con mera adesione ad un contenuto unilateralmente predisposto
dalla controparte, senza possibilità di incidere sull’assetto di interessi. Si vedrà come
emerge e si diffonde la valutazione della specificità dell’operazione (causa concreta) (VIII,
3.5). Peraltro lo sviluppo della pubblicità sublimale induce spesso all’accesso compulsivo
a beni di consumo con riduzione della valutazione e consapevolezza della scelta.
In tale contesto l’efficacia giuridica del negozio è legata al trattamento che l’ordina-
mento compie del singolo negozio, secondo la struttura e la funzione dello stesso. L’or-
dinamento può non dotare di effetti giuridici il singolo negozio, per considerarne la for-
mazione viziata ovvero valutarne il contenuto e/o il risultato perseguito illeciti o comun-
que non meritevoli di tutela; come può ridurre o integrare o anche sostituire imperati-
vamente parte del risultato programmato, con la privazione di alcuni effetti giuridici o
l’attribuzione di altri che sopravanzano lo scopo perseguito o sono più limitati rispetto
allo stesso (fondamentali sono gli artt. 1339 e 1374).

3. La realtà dell’autonomia negoziale. – Una valutazione complessiva della pro-


blematica delineata può consentire una generale rimeditazione del percorso storico, de-
lineando i profili originari di perdurante attualità e le molte innovazioni indotte dalla so-
pravvenuta realtà sociale e ordinamentale.
a) Rispetto alla elaborazione dottrinale della categoria, è possibile avvertire come le
due fondamentali teorie storiche (volontaristica e dichiarazionistica) del negozio, sfron-
date dei relativi eccessi, non siano alternative ma esprimano differenti prospettive di os-
servazione di una unitaria realtà (l’autonomia privata): la prima enfatizza la tensione sog-
gettiva verso il risultato, che però inevitabilmente si concreta in un autoregolamento di
interessi; la seconda valorizza l’assetto di interessi attuato, che però necessariamente im-
plica una manifestazione di volontà che lo sorregge e persegue.
Un articolato filone dottrinale rileva la insufficienza della volontà nella difesa dei
propri interessi, per non essere la stessa sempre in grado di esplicarsi adeguatamente,

7
Una lucida e appassionata difesa della categoria del negozio giuridico a garanzia della libertà dei soggetti,
pure nel nuovo codice civile del 1942, è compiuta da L. CARIOTA FERRARA (1948), di cui già il titolo dell’opera
(“Il negozio giuridico nel diritto privato italiano”) esprime l’idea culturale di accreditare la categoria del negozio
giuridico anche alla stregua di un codice e di un modello economico fondati sulla centralità dell’impresa.
176 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

reclamandosi un intervento eteronomo correttivo o di sostegno; e d’altra parte denunzia


come l’assoluta dimensione produttivistica non si traduce automaticamente in benessere
economico collettivo. Le varie dimensioni, come si vedrà, sono destinate a convivere in
una società che si riconosca nei valori della libertà e della solidarietà, nonché della eco-
nomia di mercato. La fiducia nell’autonomia privata (come ragione di sviluppo della so-
cietà) e nel mercato (come meccanismo di allocazione delle risorse e dei beni) deve con-
ciliarsi con le identità esistenziali e le appartenenze sociali degli autori dell’atto, come
con le articolazioni del mercato in cui il singolo negozio si colloca: a meccanismi di ga-
ranzia di esplicazione dell’autonomia privata vanno affiancati interventi di riequilibrio au-
toritativo del regolamento di interessi, con interventi di regolazione del mercato e di
neutralizzazione delle asimmetrie informative e di conoscenza, oltre che di sostegno del-
le posizioni deboli.
Si aggiunga che la globalizzazione fa emergere una autonomia privata del grande ca-
pitale e delle organizzazioni di categoria che escogitano modelli e equilibri che si impon-
gono anche agli imprenditori deboli e addirittura al potere normativo dei singoli Stati.
Emerge dunque l’esigenza di una governance dell’autonomia privata che impegna le or-
ganizzazioni internazionali (a cominciare dall’Unione europea) per un riequilibrio tra
libertà e giustizia, tra produttività e vivibilità.
b) Con riguardo alla realtà legislativa, in assenza di una disciplina del negozio giuridi-
co, il contratto, per avere ricevuto nel codice civile ampia disciplina, ha finito di fatto
con l’influenzare le riflessioni sulla elaborazione della categoria del negozio. Si aggiunga
la problematicità di un dato testuale: per l’art. 1324, “salvo diverse disposizioni di legge,
le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilate-
rali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”; la norma ha rappresentato il più importante
crocevia di osservazioni circa l’accoglimento o meno nel nostro ordinamento giuridico di
una “categoria del negozio giuridico”. A tale norma hanno fatto riferimento sia gli asser-
tori della tesi positiva, vedendo nella stessa l’orientamento di estendere la disciplina del
contratto agli atti negoziali unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, sia i sostenitori
della tesi negativa, rinvenendo nel richiamo alla compatibilità un ostacolo fondamentale
alla configurazione di una categoria unitaria. In realtà la norma fornisce una duplice indi-
cazione: da un lato, subordina a una verifica di compatibilità l’applicazione della normativa
sui contratti ai negozi unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale 8; dall’altro, implicita-
mente, esclude una generale compatibilità di applicazione della normativa sui contratti sia
agli atti bilaterali a contenuto non patrimoniale, sia agli atti mortis causa.
Si conferma, sul piano testuale, come non sia configurabile nell’ordinamento una ca-

8
La giurisprudenza ha fatto ricorso all’art. 1324 in più direzioni. Anzitutto con riguardo alla interpreta-
zione dei negozi unilaterali: Cass. 7-5-2004, n. 8713; Cass. 2-3-2004, n. 4251. La presunzione ex art. 1352 di
riferimento della forma convenzionale alla validità del contratto si applica al recesso per il quale le parti ab-
biano convenuto la forma scritta, in quanto atto negoziale unilaterale di contenuto negativo che pone fine agli
effetti sostanziali della permanenza del contratto rispetto al quale si esplica (Cass. 9-7-2019, n. 18414). La do-
manda di partecipazione ad una procedura di gara, cui si accompagna l’offerta dell’operatore economico,
costituisce un atto unilaterale recettizio, che contiene la proposta contrattuale poiché l’operatore economico
dichiara la propria volontà di stipulare il contratto con la pubblica amministrazione e, dunque, la disponibili-
tà ad accettare le condizioni previste dal bando per la realizzazione dell’opera, del servizio o della fornitura: ai
sensi dell’art. 1324, sono applicabili gli artt. 1427 ss. c.c. che disciplinano l’annullabilità del contratto per er-
rore (Cons. Stato 20-6-2019, n. 4198).
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 177

tegoria del negozio giuridico quale atto unitario, mentre mantenga perdurante attualità la
categoria dell’autonomia negoziale, quale espressione della generale prerogativa di au-
todeterminazione dei privati. In questa prospettiva è possibile rappresentare l’autonomia
negoziale come un ordito logico, per essere generale strumento di regolazione delle rela-
zioni sociali ed economiche, e una prerogativa ideologica per la rivendicazione ai privati
della (tendenziale) libertà di autoregolare i propri interessi, al riparo da due fondamenta-
li crinali: da un lato, rimanere giuridicamente soggetti esclusivamente all’eteronomia pub-
blica; dall’altro, soggiacere in fatto all’abuso di posizione dominante. Il dato significativo
della contrattazione di massa è proprio che i contratti conclusi sono in debito di autono-
mia negoziale per l’asimmetria di potere delle parti.
Nel delineato ordine di idee l’area dell’autonomia negoziale si amplia progressivamente.
Si sviluppa l’autonomia negoziale collettiva dei gruppi e delle formazioni sociali, a comin-
ciare dalla famiglia, estesa a sindacati e partiti e a tutto il mondo dell’associazionismo. Si
dilata l’area di svolgimento dell’autonomia negoziale assistita, con strutture di supporto a
soggetti deboli nella conclusione di contratti. Di recente moduli negoziali sono anche
operanti nella esplicazione dell’attività della pubblica amministrazione, con il correlato ri-
trarsi della sovranità (art. 1 L. 241/1990, come modificato e integrato dall’art. 1 L. 15/2005)
(I, 2.17). Una tecnica negoziale ha pervaso pure il campo della tutela dei diritti, con conse-
guente erosione del dogma della statualità della giurisdizione, attraverso le varie tecniche
degiurisdizionalizzate di soluzione delle controversie (III, 3.3).

4. Negozio e negozialità. – La concettualizzazione del negozio giuridico quale cate-


goria ordinante dei rapporti privati, per l’epoca in cui maturò, ebbe il merito di rappre-
sentare gli esiti di uno sviluppo storico di valorizzazione della dignità dell’individuo co-
me tale, e perciò dell’unità del soggetto giuridico.
Tale costruzione ebbe però il limite di astrarre i propri risultati dall’esperienza storica
dalla quale aveva tratto le maggiori sollecitazioni, fino a configurare i risultati stessi come
espressivi della verità assoluta ed immutabile di un dogma, che mal si addice ad un ordi-
namento civile il cui scopo è quello di regolare le relazioni della società civile, in perenne
evoluzione. A distanza di tempo si può anche immaginare che forse quel processo di
ipostatizzazione della realtà, con la connessa astrazione logica, possa essere stato consa-
pevolmente sorretto dalla necessità di preservare i risultati conseguiti di uguaglianza
contro ritorni al passato di divari sociali e privilegi di classe; ma la deriva dogmatica che
accompagnò i risultati conseguiti ha finito con il travolgere la stessa essenza del proble-
ma che la categoria del negozio intendeva risolvere e cioè il rapporto tra individuo e or-
dinamento giuridico (e perciò tra libertà e autorità).
La categoria del “negozio”, quale figura unitaria e astratta, è certamente incongrua ri-
spetto all’emergere di articolazioni del mercato indotte dallo sviluppo della grande im-
presa (industriale e di distribuzione), oltre che essere pericolosa, perché non lascia evi-
denziare il tasso di effettiva esplicazione dell’autonomia negoziale esercitata dai singoli
autori degli atti. La vicenda storica che viviamo fa emergere un’accentuazione degli ob-
blighi di trasparenza e informazione, come efficaci antidoti alla sopraffazione economica,
e un’amplificazione di eteronomia e integrazione come rimedi di recupero di interessi re-
stati esclusi o inappagati.
Nella descritta logica di formulazione di autonomia negoziale, bisogna guardare alla
178 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

negozialità come categoria di frontiera da recuperare, per verificare la partecipazione


attiva dei soggetti alla regolazione privata. Deve dunque trattarsi di una autonomia ne-
goziale, non solo presupposta in capo ad ogni cittadino come garanzia di uguaglianza e
libertà, ma anche presidiata nella effettività di esercizio, quale segno di esplicazione della
persona umana. Consegue che l’osservazione ordinamentale non può essere circoscritta
alla struttura dell’atto (volontà e dichiarazione) ma deve aprirsi al contenuto regolamenta-
re (assetto di interessi) nel contesto in cui il singolo negozio matura e si svolge.
Il divario di forza contrattuale può essere colmato dall’ordinamento attraverso due
meccanismi: a) riarmand o la libertà dei privati (autonomia), con la predisposizione
di strumenti accentuativi di doveri di informazione e di presidio alla trasparenza, sì da
garantire consapevolezza delle scelte operate ed effettività del consenso prestato (anche
con il ricorso a meccanismi di sostegno e assistenza: c.d. autonomia assistita); b) inter-
venendo autoritativamente (eteronomia), con disposizioni che integrano il regola-
mento dei singoli negozi, amputandone e/o ampliandone il contenuto oltre la volontà
degli autori dell’atto. Si vedrà come significative indicazioni in entrambe le direzioni so-
no già nel codice civile e vanno dilatandosi negli interventi normativi (VIII, 5.6). Va
emergendo un quadro variegato di rimedi che affiancano quelli tradizionali nella tutela
dei diritti: da un lato, un controllo preventivo, per inibire clausole contrattuali e compor-
tamenti lesivi di interessi dei consumatori, indipendentemente dall’insorgere di una lite;
dall’altro, una tutela di massa, attraverso le associazioni di categoria; dall’altro ancora, la
previsione di autonomi interventi istituzionali (es. Ministeri o Camere di Commercio);
dall’altro ancora, il ricorso a organismi di autodisciplina. Sta anche emergendo una tecni-
ca di tutela collettiva di classe (III, 1.7).
Nel quadro innanzi delineato può ancora riuscire utile il riferimento al “negozio giu-
ridico”, inteso come espressione di negozialità, e cioè come esercizio di autoregolazione,
per verificare la partecipazione attiva alla regola privata assunta. Peraltro la categoria del
negozio, per la prolungata tradizione che la sorregge e la vastità di studi che ha sollecita-
to, ha finito con il maturare nel tempo un significativo strumentario di concetti, tecniche
e nomenclature, tuttora utilizzato nella pratica e nella vita giudiziaria per la verifica delle
esplicazioni dell’autonomia dei soggetti (parlandosi correntemente di volontà negoziale,
effetti negoziali, ecc.), anche solo per fare emergere simulacri di volontà e dunque assen-
za di negozialità.
È comunque da rilevare che la categoria del negozio non ha riscontri in significativi
ambienti europei (la c.d. area del common law). Il processo di uniformazione del diritto
privato si muove nella direzione del contratto e non del negozio: sicché inevitabilmente
la categoria unitaria del negozio è destinata a stemperarsi nei singoli atti impiegati nella
realtà (contratto, testamento, matrimonio, ecc.) nei quali si esplica una negozialità. Con
tale consapevolezza, è possibile delineare alcuni tratti comuni dell’autonomia negoziale,
che poi vanno a specificarsi in relazione ai singoli schemi utilizzati e con riguardo ai par-
ticolari atti compiuti.

5. Elementi del negozio giuridico. – Una nutrita elaborazione dottrinale ha delinea-


to specifici “elementi del negozio giuridico”, variamente intesi, quali tratti costitutivi es-
senziali del negozio, che continua a orientare criteri e logiche di valutazione dell’eser-
cizio dell’autonomia privata. Mancando una formulazione del negozio giuridico, neppu-
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 179

re sussiste una indicazione degli elementi; gli stessi sono attinti alla disciplina degli atti
negoziali più rilevanti, specialmente del contratto che contiene la disciplina più nutrita,
attraverso un’opera di generalizzazione logica 9.
Gli elementi del negozio sono tradizionalmente costruiti come essenziali, accidentali
e naturali (rectius effetti naturali): non sono autonomi e distinti, ma operano come profili
di una realtà unica ed unitaria di esercizio di autonomia privata, assumendo specifica
impronta in ragione della tipologia di atti e con riferimento ai concreti negozi.
a) Elementi essenziali. Sono gli elementi costitutivi del negozio, tradizionalmente identi-
ficati come volontà negoziale, manifestazione, causa, forma vincolata. La mancanza di uno
di tali elementi rende il negozio nullo (art. 14182). Con riguardo al contratto, sono quali-
ficati come “requisiti del contratto” (artt. 1325 ss.), per alludere alla validità dell’atto. So-
no terminologie correlate: costituiscono elementi essenziali della struttura dell’atto in
quanto requisiti di validità per l’ordinamento (VIII, 1.3).
Anzitutto rileva la volontà negoziale, quale autodeterminazione libera e consapevole di
conseguimento di uno scopo: rileva nella duplice prospettiva, sequenziale, della forma-
zione, come azione dinamica di intento (volere), e della regolazione come assetto di inte-
ressi attuato (voluto). Nel significato proprio di “autonomia” la volontà negoziale espri-
me la volontà di darsi autonomamente regole e quindi autoregolare i propri interessi.
Sussistono statuti di disciplina delle anomalie della volontà negoziale, per assenza o vizi
della stessa (errore, violenza e dolo), che operano diversamente in ragione della natura del-
l’atto, tra vivi o a causa di morte, e della struttura dell’atto, bilaterale o unilaterale.
La manifestazione della volontà è essenziale strumento di rilevanza sociale di ogni de-
terminazione volitiva. A differenza degli ordinamenti religiosi, che hanno una rilevanza nel
foro interno delle persone, negli ordinamenti civili le regole rilevano nei rapporti con i
consociati: perciò è necessario che la volontà negoziale sia manifestata, e cioè esteriorizzata.
Quale che possa essere la forma richiesta dell’atto, una manifestazione non può mai manca-
re. Come ogni regola giuridica, anche la regolazione privata ha necessità di effettività socia-
le: implica dunque una manifestazione di volontà 10.
Più spesso la volontà è manifestata attraverso apposita dichiarazione (negozi dichiara-
tivi). La dichiarazione è espressa se è palese, indicando lo scopo perseguito (es. contratto
di vendita di un bene: art. 1470); è tacita se è ricavata da una diversa volontà negoziale,
che non si potrebbe compiere senza una implicita e ulteriore volontà (es. la vendita di
diritti ereditari implica accettazione tacita dell’eredità: artt. 476 e 477).

9
Gli atti negoziali tradizionalmente ricondotti alla categoria del negozio giuridico trovano regolamentazio-
ne in distinte parti del codice civile, coerentemente con la materia cui afferiscono: il matrimonio, nel libro pri-
mo in tema di famiglia (artt. 79 ss.); il testamento, nel libro secondo dedicato alle successioni (artt. 587 ss.); il
contratto, nel libro quarto intitolato alle obbligazioni (artt. 1321 ss.).
10
Si è tradizionalmente posto il problema se la tensione dei privati debba essere verso uno scopo materia-
le o verso gli effetti giuridici disposti dall’ordinamento. In realtà è necessario che l’intento dei privati sia rivol-
to a conseguire una finalità pratica rilevante per l’ordinamento giuridico, nel senso che si intende realizzare con
l’atto un risultato pratico concreto giuridicamente efficace (perciò uno scopo pratico-giuridico), anche se poi
gli effetti attribuiti dall’ordinamento non sempre sono conformi a quelli divisati dagli autori dell’atto. È suffi-
ciente che i soggetti del negozio siano consapevoli della giuridicità degli effetti che dall’atto di autoregolamento
derivano. Il tema è particolarmente avvertito con riguardo ai tanti rapporti interpersonali quotidiani, dettati da
cortesia o amicizia o altruismo, che, quand’anche coinvolgano interessi patrimoniali, di regola non sono compiuti
con l’intento di conseguire un risultato anche giuridico.
180 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

Talvolta la volontà è manifestata unitamente all’attuazione dello scopo, senza una


preventiva dichiarazione (negozi attuativi) (es. conclusione del contratto mediante esecu-
zione ex art. 1477).
Si vedrà come i fondamentali mezzi di manifestazione della volontà sono: il linguag-
gio, che incarna una dichiarazione esplicita della volontà, con parole, scritti, alfabeti con-
venzionali, ecc.; il contegno, che realizza una manifestazione di volontà attraverso una
specifica condotta, da valutare in funzione delle circostanze (VIII, 2.5). Con riguardo al
contratto, è necessario che le manifestazioni di volontà di due o più parti si combinino in
un accordo (artt. 1326 ss.), che incarna la concorde volontà delle parti ed integra, così, la
necessaria (e unitaria) volontà negoziale. Si vedrà dei vari modi previsti dalla legge per la
formazione del consenso (VIII, 2.13).
La causa indica la funzione concreta svolta dal singolo negozio, come autoregolamento
di interessi; in essa si condensa lo scopo pratico-giuridico perseguito dell’autore del nego-
zio. La presenza della causa consente il controllo ordinamentale dell’atto di autonomia pri-
vata, al fine di verificare la meritevolezza e la liceità dello scopo perseguito; ciò che apre
alla verifica anche dell’oggetto dell’atto, come rappresentazione dei beni dedotti nell’atto.
La correlazione della causa con l’oggetto delinea il contenuto dell’atto che fissa il regola-
mento negoziale voluto (se ne parlerà ampiamente rispetto al contratto: VIII, 3).
La forma vincolata (o necessaria) rileva quando è richiesta dalla legge a pena di nulli-
tà. Una manifestazione non può mai mancare, in quanto mezzo di esteriorizzazione della
volontà negoziale; talvolta la manifestazione è assoggettata ad una forma vincolata per la
validità dell’atto (c.d. forma ad substantiam). Quando è richiesta una specifica forma della
manifestazione, si parla di negozi solenni (es. gli atti di trasferimento della proprietà di
immobili ex art. 1350). Si vedrà come un vincolo di forma possa essere prescritto in ra-
gione di più esigenze (richiamo della ponderazione dell’autore dell’atto dispositivo, cir-
costanze della formazione dell’atto, natura dello scopo perseguito, tipologia degli inte-
ressi coinvolti, ecc.: è in atto una evoluzione del formalismo in funzione di tutela di inte-
ressi deboli (v. VIII, 4.1).
Se nulla è prescritto dalla legge, la modalità di manifestazione è rimessa alla libertà
degli autori del negozio.
b) Elementi accidentali. Sono determinazioni che arricchiscono lo schema negoziale
ampliandone il contenuto. Possono o meno sussistere senza influenzare la validità del-
l’atto; se presenti, arricchiscono il contento del negozio, non senza rilevanza. L’acciden-
talità è rispetto allo schema negoziale tipico utilizzato; quando sono adottati interagisco-
no con l’assetto di interessi, concorrendo alla elaborazione della volontà negoziale; perciò
di tali ulteriori determinazioni bisogna tenere conto nella valutazione dell’assetto di inte-
ressi. Per la diffusione che sempre li ha caratterizzati, sono regolati specificamente nel
codice civile condizione, termine e onere. La condizione e il termine realizzano una ma-
novra degli effetti; il modo amplia la portata degli effetti.
La condizione incide sulla sorte degli effetti, subordinando l’efficacia o la risoluzione
dell’atto ad un avvenimento futuro e incerto (condizione sospensiva o risolutiva).
Il termine incide sul tempo degli effetti, segnando l’inizio o il termine della produzio-
ne degli effetti (termine iniziale o finale).
Il modo amplia gli effetti degli atti di liberalità, imponendo un obbligo in capo al be-
neficiario (donatario o erede).
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 181

Alcuni negozi non consentono l’apposizione di elementi accidentali, per non essere
modificabile lo schema tipico previsto (c.d. atti puri o legittimi): ciò avviene essenzial-
mente per i negozi relativi a diritti indisponibili (es. matrimonio e riconoscimento del
figlio nato fuori del matrimonio). Si parlerà ampiamente di tali elementi trattando del
contenuto del contratto (VIII, 3.19 ss.) e del testamento (XII, 2.12 e 13).
c) Elementi (effetti) naturali. Sono gli effetti legali derogabili. Tradizionalmente veni-
vano configurati come elementi naturali, per distinguerli dagli elementi essenziali e acci-
dentali di cui si è detto. È da tempo che si parla più correttamente di effetti naturali per
dipendere dalla legge, consentendosi ai privati di escluderli o limitarli: ad es. la garanzia
legale per evizione e vizi della cosa venduta, che può essere esclusa dalle parti (artt. 1487
e 1490); la corresponsione degli interessi al mutuante, salvo diversa volontà delle parti
(art. 1815).

6. Soggetti e parte del negozio. La legittimazione. – La valutazione del negozio


giuridico nella prospettiva soggettiva fa emergere le figure di soggetti, parte e legittima-
zione.
a) I soggetti sono gli autori dell’atto; non sono elementi dell’atto, restandone all’ester-
no come artefici dello stesso. È necessario che i soggetti, quali autori dell’atto, abbiano la
capacità giuridica, come idoneità alla titolarità di diritti e doveri (art. 1), e la capacità di
agire, come capacità di intendere e di volere, che di regola si acquista con la maggiore
età, tranne che non sia stabilità una età diversa (art. 2) (IV, 1.1 e 6).
b) La parte esprime il centro di interessi, che può riguardare un solo soggetto (c.d.
parte semplice o unisoggettiva) o involgere più soggetti, persone fisiche o enti (c.d. parte
complessa o plurisoggettiva). Il riferimento all’interesse inciso dal negozio diversifica la
figura di parte da quella di soggetto e tanto più da quella di persona fisica.
Il riferimento all’interesse inciso dal negozio. La figura non si riduce a quella di sog-
getto e tanto meno a quella di persona fisica. Esprime il centro di interessi, che può
riguardare un solo soggetto (c.d. parte semplice o unisoggettiva) o involgere più soggetti,
persone fisiche o enti (c.d. parte complessa o plurisoggettiva).
Nell’ipotesi di atto compiuto da una parte plurisoggettiva emerge l’esigenza di delinea-
re come concorrono le singole volontà all’assunzione della decisione finale.
Si ha atto complesso quando si determina la fusione delle varie volontà in una vo-
lontà unitaria, nel senso che tutte le volontà devono concorrere alla decisione finale. In
tal senso si realizza una dichiarazione complessa, per cui, se una volontà è viziata, è viziato
lo stesso atto: ad es. nell’atto compiuto dal soggetto inabilitato con il curatore, se è vizia-
ta la volontà di uno dei due l’atto è invalido.
Si ha atto collettivo quando si realizza la somma delle volontà verso un risultato
comune, conservando ogni volontà autonoma rilevanza, e rilevando la maggioranza delle
volontà espresse secondo criteri stabiliti dalle parti o dalla legge (es. deliberazione dei
partecipanti di una comunione). Una specificazione è l’atto collegiale, che impegna il
terreno proprio dei gruppi e delle organizzazioni collettive (società, associazioni): le sin-
gole volontà concorrono al perseguimento di un interesse del gruppo, e l’atto è riferito
all’ente esponenziale che lo incarna, quale soggetto diverso da quelli che lo compongo-
no. Sempre le dichiarazioni di voto sono soggette a controllo circa la regolare formazio-
ne e manifestazione delle volontà individuali (anche rispetto alla conoscenza dell’ogget-
182 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

to). Se è viziata una volontà la cui mancanza non altera la maggioranza richiesta, risulta
validamente dichiarata la volontà del gruppo (c.d. prova di resistenza).
La formazione della dichiarazione di volontà, talvolta, integra un negozio giuridico co-
me negozio unilaterale (plurisoggettivo) (es. disdetta da un contratto di locazione); talaltra,
integra un atto unilaterale (plurisoggettivo) non negoziale, destinato a combinarsi con di-
chiarazioni di altre parti per dare vita ad un negozio bilaterale o plurilaterale e specifica-
mente ad un contratto (es. dichiarazione di proposta o di accettazione di un contratto).
c) La legittimazione indica la competenza del soggetto di incidere sugli interessi dispo-
sti (VIII, 2.1). Più spesso l’autore formale dell’atto è anche titolare dell’interesse inciso
dal negozio 11: in tal caso vi è sovrapposizione di prospettive. Talvolta c’è una dissocia-
zione, quando l’autore dell’atto non coincide con il titolare del diritto inciso: tipicamente
ciò avviene con riguardo alla rappresentanza, per cui un soggetto (rappresentante) agisce
e conclude un contratto in nome e per conto di altro soggetto (rappresentato) che è tito-
lare dell’interesse, in virtù di conferimento di potere rappresentativo da parte della legge
o del soggetto interessato (procura), sicché il contratto concluso dal rappresentante pro-
duce direttamente effetto nei confronti del rappresentato (art. 1388) (VIII, 8.2).
In tale contesto logico si svolge da tempo una esigenza di tutela del soggetto che ac-
quista da chi non è titolare senza esserne a conoscenza, come meccanismo di presidio
della sicurezza della circolazione dei beni. Rilevano le problematiche dei negozi sul pa-
trimonio altrui (II, 5.9) e quelle sulla tutela dell’affidamento e dell’apparenza (II, 7.4), di
cui si parlerà in seguito.

7. La volontà dei gruppi. – È importante distinguere il profilo genetico dell’ente


(espresso dall’atto costitutivo e dallo statuto) inteso quale negozio giuridico, con il quale
uno o più soggetti 12 stabiliscono di costituire l’ente e di svolgere un’attività fornendo i
mezzi economici necessari, dal profilo funzionale inteso quale organizzazione, con cui
l’ente (associazione o società) opera quale centro di imputazione di diritti ed obblighi,
autonomo rispetto al soggetto o ai soggetti che lo hanno eretto e/o lo compongono (as-
sociati o soci), assumendo le varie deliberazioni (c.d. delibere). Nella prima direzione ri-
levano le singole volontà delle parti, nella seconda direzione rileva la delibera adottata.
Le delibere sono atti unilaterali plurisoggettivi, integrino o meno un negozio giuridi-
co, ricondotte all’organo di una entità giuridica autonoma (ad es. la decisione di assem-
blea di società o di associazione o di condominio). Il tratto comune è espresso dal con-
corso delle singole dichiarazioni verso una unica dichiarazione di volontà. Si è visto so-
pra del modo di disporsi delle volontà negli atti plurisoggettivi, attraverso la dicotomia
di atto complesso e di atto collettivo e specificamente collegiale (par. 6): nella forma-
zione della volontà dei gruppi, l’esigenza di funzionamento della organizzazione privile-
gia il metodo collegiale dando vita ad un atto collegiale (la delibera), con imputazione del
risultato voluto in capo all’ente.

11
Il fenomeno trova un significativo riscontro nel processo civile, dove il potere di azione è correlato alla
titolarità della situazione giuridica dedotta: per l’art. 81 c.p.c. nessuno può far valere nel processo in nome pro-
prio un diritto altrui, tranne diversa previsione normativa (III, 1.2).
12
È consentito costituire una società a responsabilità limitata unipersonale con atto unilaterale (art. 2463)
e una società per azioni unipersonale con atto unilaterale (art. 2328), da indicare negli atti e nella corrispon-
denza della società (art. 2250, ult. co.).
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 183

La delibera assunta dalla organizzazione collettiva mira al perseguimento dello scopo


proprio di un soggetto giuridico (l’ente) diverso da quelli che concorrono a formare la
volontà dell’ente: è la regola organizzativa interna, imposta dalla legge o prevista dallo
statuto, che consente di riferire all’ente la delibera assunta senza unanimità. In ragione
del metodo collegiale, se è viziato un voto la cui mancanza non altera la maggioranza ri-
chiesta, la delibera rimane valida e dunque risulta validamente manifestata la volontà
dell’ente (c.d. prova di resistenza). Poiché la vita del gruppo è scandita normalmente dal-
la formazione di una maggioranza e di una minoranza, affianco alla illegittimità della de-
libera assunta per violazione di norme di legge e/o dello statuto, è da tempo emersa una
figura di illegittimità della delibera in ragione della funzione svolta e che, mutuata dal
diritto amministrativo, è delineata come “abuso o eccesso di potere” per abuso della re-
gola della maggioranza 13.

8. Le fondamentali categorie di negozi giuridici. – Si vogliono in questa sede deli-


neare alcune fondamentali categorie di negozi giuridici in ragione di generali criteri diret-
tivi, rinviando l’analisi delle varie figure alla trattazione riservata ai singoli istituti.
È bene subito chiarire che il criterio della liceità o della meritevolezza non valgono a
delineare contrapposte categorie di negozi (negozi leciti e meritevoli ovvero negozi illeci-
ti o non meritevoli) in quanto la liceità e la meritevolezza sono criteri di valutazione di
tutti i negozi giuridici per delineare la conformità o meno all’ordinamento. Il senso di
delineare criteri di raggruppamento di negozi è in funzione della rilevanza giuridica che
assumono le singole classi, per gli effetti che ne conseguono. Perciò uno stesso negozio è
ascrivibile a più categorie in ragione del criterio di osservazione.
a) Soggetti. Si suole distinguere tra negozi unilaterali, negozi bilaterali e negozi plurila-
terali a seconda del numero delle parti (e cioè dei centri di interesse) che concorre alla
determinazione dell’intento negoziale, indipendentemente dal fatto che la parte (al suo
interno) sia unisoggettiva o plurisoggettiva.
1) Il negozio è unilaterale quando proviene da un sola parte: esprime la manifesta-
zione di intento negoziale di un solo centro di interessi, tanto se l’intento è espresso da
un solo soggetto, perciò atteggiandosi quale negozio unilaterale unisoggettivo (es. testa-
mento), quanto se l’intento negoziale è il risultato del concorso delle volontà di più sog-
getti, perciò atteggiandosi come negozio unilaterale plurisoggettivo (es. disdetta da un
contratto di locazione proveniente dai coniugi comproprietari dell’immobile); in tale ipo-
tesi gli interessi dei soggetti, ancorché separati e sorretti da giustificazioni diverse, non si
presentano in conflitto, ma concorrono verso uno scopo unitario.
La vocazione dei negozi giuridici a incidere la sfera giuridica di soggetti diversi dal-
l’agente comporta che, di regola, i negozi unilaterali sono tipici nel senso che sono fissati
e regolati dalla legge, che li considera meritevoli di tutela. C’è un principio di tipicità dei
negozi unilaterali che sono fonti di obbligazioni (per l’art. 1987, la promessa unilaterale

13
L’abuso della regola di maggioranza (c.d. abuso o eccesso di potere) è causa di annullamento delle deli-
berazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società – per
essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a
quello sociale – oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a
provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza
“uti singuli” (Cass. 29-9-2020, n. 20265; Cass. 27387/2005).
184 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

di una prestazione non produce effetti obbligatori se non nei casi previsti dalla legge).
Fuori di tale ambito, quando incidono sulla sfera giuridica altrui, incontrano il generale
limite della tendenziale indipendenza delle sfere giuridiche, di cui sopra (par. 1), per cui
anche l’effetto favorevole è oggetto di rifiuto da parte del beneficiario (invito beneficium
non datur): non è possibile incidere la sfera giuridica altrui contro la volontà del titolare.
Gli atti unilaterali sono di regola recettizi, nel senso che producono effetto dal mo-
mento in cui pervengono a conoscenza del destinatario (art. 1334): la previsione esprime
un criterio generale di applicazione per tutti gli atti unilaterali, anche di natura negozia-
le. Gli atti non recettizi producono effetto a prescindere dalla conoscenza del terzo (es.
testamento, la cui efficacia è legata al fatto della morte: art. 587) (II, 4.5).
2) Il negozio è b ilaterale quando proviene da due parti: esprime un regolamento di
interessi in grado di apprestare soluzione alle tensioni di due parti tendenzialmente conflit-
tuali. Se ha un contenuto patrimoniale, in quanto verte su un oggetto suscettibile di valuta-
zione economica, integra un contratto (es. vendita, appalto, trasporto, ecc.). A nulla rileva
che la parte al suo interno sia formata da più soggetti: ad es. due coniugi vendono un ce-
spite che è acquistato da altri due coniugi (il contratto è bilaterale per correre tra una parte
venditrice e una parte compratrice). Un esempio emblematico di negozio bilaterale non
contrattuale (in quanto a contenuto non patrimoniale) è il matrimonio o l’unione civile.
3) Il negozio è plurilaterale quando è finalizzato al soddisfacimento degli interessi
di più di due parti, più spesso attraverso il conseguimento di uno scopo comune (es. co-
stituzione di una società con più di due soci), talvolta anche senza comunione di scopo. I
contratti plurilaterali con comunione di scopo sono regolati dagli artt. 1420, 1446, 1459,
1466, estensibili a tutti i contratti plurilaterali. L’art. 1321 qualifica il contratto come l’ac-
cordo di due o più parti.
b) Contenuto. Una fondamentale dicotomia è articolata intorno alla natura patrimo-
niale o meno degli interessi attuati; delle varie specificazioni relativamente ai contratti si
parlerà in seguito (VIII, 3.18).
1) Sono negozi con contenuto patrimoniale quelli che incidono su interessi di na-
tura economica dei soggetti, vuoi con attribuzioni patrimoniali (specie con spostamenti di
ricchezza), vuoi con assunzione di obbligazioni, vuoi con la costituzione di vincoli di desti-
nazione; possono attuare senz’altro interessi patrimoniali (es. un contratto di vendita) o an-
che interessi di carattere non patrimoniale, purché trovino una contropartita in un valore
economico (es. contratti per assistere ad una competizione sportiva o a una rappresenta-
zione teatrale, ecc.). Nel prossimo paragrafo si parlerà specificamente dei negozi di dispo-
sizione per le correlazioni che si determinano con i problemi della circolazione giuridica.
Correlata a tale qualificazione è la distinzione tra negozi a titolo oneroso e negozi a ti-
tolo gratuito, in ragione della connessione o meno del sacrificio subito con un vantaggio
corrispettivo e perciò in funzione o meno di uno scambio. Tra i negozi a titolo oneroso
(che coprono pressoché l’intera area della vita economica), si pensi ai contratti di vendi-
ta, appalto, trasporto, ecc.; tra i negozi a titolo gratuito, si pensi al testamento come atto
di attribuzione gratuita di ultima volontà; per gli atti tra vivi si pensi alla donazione (con-
notata dai caratteri della liberalità e del depauperamento del donante e della forma so-
lenne), oltre le ulteriori liberalità non donative.
2) Sono negozi con contenuto non patrimoniale quelli che incidono sulla sfera
esistenziale dei soggetti, nella dimensione personale del soggetto o nella dimensione col-
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 185

lettiva delle formazioni sociali, senza che una previsione di carattere economico, quan-
d’anche presente, possa assumere la funzione di corrispettivo.
Per la dimensione personale, si pensi agli atti di disposizione del proprio corpo, am-
messi solo in quanto non cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica o
non siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume (art. 5). Si pensi an-
che agli atti di consenso informato rispetto agli interventi sanitari (art. 32 Cost.) 14; alle
dichiarazioni di volontà in ordine alla donazione di organi e tessuti del proprio corpo
successivamente alla morte per fini di prelievi o trapianti (art. 4 L. 1.4.1999, n. 91); agli
atti autorizzativi dell’uso della propria immagine (art. 10) (IV, 2.2).
Per la dimensione collettiva, si pensi ai negozi giuridici familiari, a cominciare dal ma-
trimonio, che hanno causa nella relazione affettiva (5.1.5). Si pensi anche ai negozi con-
nessi al variegato mondo dell’associazionismo e del volontariato (IV, 3.2).
c) Forma. Si è anticipato come una manifestazione della volontà non può mai manca-
re per esternare l’intento negoziale. Talvolta la manifestazione assume una forma vinco-
lata. Sono negozi solenni (o con forma vincolata) quelli per i quali è prescritta una de-
terminata forma per la validità dell’atto (VIII, 4). Più spesso il vincolo è di provenienza
legale (es. artt. 1350, 601); talvolta può derivare da un preventivo accordo scritto degli
autori dell’atto (es. art. 1352). Sono negozi non solenni (o con forma libera) tutti gli
altri, per i quali vale un principio di libertà di forma, nel senso che la volontà può essere
manifestata nei modi ritenuti più opportuni dagli autori dell’atto. Si vedrà peraltro come
una forma vincolata possa essere richiesta a più fini (VIII, 4).
Sussiste un generale principio di libertà di forma, nel senso che la volontà può essere
manifestata nei modi ritenuti più opportuni dagli autori dell’atto, salvo espressa imposi-
zione di vincolo di forma. Si vedrà come stia emergendo un nuovo volto del formalismo,
non di ponderazione dell’alienante, ma di riflessione degli acquirenti, nella evoluta fun-
zione di tutela dei soggetti deboli; una forma vincolata può essere richiesta a più fini
(VIII, 4).
d) Efficacia. Una fondamentale distinzione è tra negozi con “effetti reali” e negozi
con “effetti obbligatori”. In realtà ogni negozio (come si è visto) tende in senso lato a in-
cidere su determinati interessi e quindi a disporne: con la ripartizione in esame si ha ri-
guardo a un significato specifico e tecnico della disposizione.
1) I negozi con effetti reali , anche detti negozi di alienazione 15 (o dispositivi in
senso stretto), realizzano lo scopo perseguito dai privati, non solo in virtù del negozio
ma anche per effetto dello stesso, ricollegandosi direttamente al negozio l’effetto finale
avuto di mira. Si pensi agli acquisti a titolo derivativo: i negozi derivativo-traslativi realiz-
zano il trasferimento del diritto con la perdita per un soggetto e l’acquisto per un altro
(es. vendita della proprietà o di altro diritto); i negozi derivativo-costitutivi realizzano la
costituzione del diritto in capo ad un diverso soggetto (es. costituzione del diritto di usu-
frutto o di altro diritto reale) (fondamentale è il titolo di acquisto: II, 4.7).

14
Per l’art. 5 Conv. di Oviedo del 4.4.1997 sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina (ratif. e resa esec. con
L. 28.3.2001, n. 145) un intervento nel settore sanitario può avvenire soltanto previo consenso libero e consa-
pevole dell’interessato. Il consenso informato è definito e disciplinato dalla L. 22.12.2017, n. 219, che detta
anche legge sulle disposizioni anticipate di testamento (biotestamento).
15
Il termine “alienazione” deriva dal latino alienare, derivato di alienus (altrui), da cui l’espressione alienum
facere.
186 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

2) I negozi con effetti obbligatori , anche detti senz’altro negozi obbligatori, pro-
ducono la costituzione di obbligazioni a carico delle parti, sicché la realizzazione dello sco-
po perseguito attraverso il negozio avviene solo successivamente a seguito dell’adempi-
mento delle obbligazioni. L’esatta esecuzione della prestazione dovuta soddisfa l’interesse del
creditore e dunque realizza lo scopo programmato dalle parti. Ad es., con un contratto di
appalto, l’appaltatore assume l’obbligazione di compiere un’opera: solo l’esecuzione dell’o-
pera e dunque l’adempimento dell’obbligazione assunta attua l’interesse del committente.
Come si vedrà, è frequente che risultino combinati effetti reali ed effetti obbligatori:
es. la vendita realizza il trasferimento del diritto dal venditore al compratore e costituisce
in capo al compratore l’obbligo di pagare il prezzo.
3) Una categoria autonoma, sempre controversa, è quella dei c.d. negozi d i accer-
tamento. Secondo una impostazione diffusa, da tali negozi non consegue una vera e
propria modificazione della realtà giuridica esistente, avendo la sola funzione di elimina-
re, immediatamente e con efficacia retroattiva, il dubbio circa un determinato rapporto.
Funzione del negozio di accertamento, che ne segna l’essenza e ne segna l’efficacia, è la
produzione di una certezza giuridica in luogo della pregressa situazione controversa. Per-
ciò i negozi di accertamento sono destinati ad operare con riguardo sia ai rapporti con
contenuto patrimoniale che ai rapporti con contenuto non patrimoniale (es. accertamen-
to del contenuto di un negozio simulato) 16.
Contigua ma diversa è la transazione che muove, sì da una situazione di dubbio, ma
presuppone l’esistenza di una lite incominciata o che può sorgere e che le parti concilia-
no con reciproche concessioni (art. 1965) (IX, 6.1).
e) Vita/morte. In una logica diversa dalle categorie di negozi sopra delineate si colloca
la distinzione tra negozi tra vivi e negozi a causa di morte per rilevare le vicende delle
persone. Alla prima categoria (inter vivos) appartiene la più diffusa esplicazione del-
l’autonomia privata, specie mediante l’esercizio dell’autonomia contrattuale (es. vendita,
appalto, ecc.). Alla seconda categoria (mortis causa) appartengono i negozi per i quali
la morte assume una efficienza causale nella produzione degli effetti, realizzandosi la
successione nei rapporti giuridici del defunto alla morte e per la morte del dichiarante.
Negozio tipico mortis causa è il testamento, quale atto di disposizione di ultima volontà,
con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte o di parte
delle proprie sostanze (art. 587): tale peculiarità comporta una specificità della relativa
disciplina, non potendo l’atto essere ripetuto dopo la morte. Vi è l’espresso divieto dei
patti successori (art. 458), a salvaguardia della libertà del volere del testatore fino alla
morte; ma si vedrà come la regola trovi ormai smentite normative (es. patto di famiglia:
art. 768 bis) e critiche nella elaborazione della dottrina.
f) Previsione normativa. L’ordinamento regola alcuni schemi negoziali, la cui funzio-
ne è preventivamente considerata meritevole di tutela (c.d. negozi tipici o nominati)
(es. vendita, locazione, appalto, donazione, ecc.), salva la valutazione in concreto dell’as-
setto di interessi realizzato mediante l’impiego di tale schema.

16
La funzione e l’efficacia retroattiva dell’accertamento sono incompatibili con l’effetto traslativo della
proprietà (Cass. 9-12-2015, n. 24848). Se non rileva l’intento negoziale, non si è in presenza di negozi di ac-
certamento ma di atti giuridici in senso stretto: es. la confessione (art. 2730), il riconoscimento di figlio fuori
del matrimonio (art. 250).
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 187

È consentito elaborare ulteriori schemi negoziali o modificare quelli previsti (c.d.


negozi atipici o innominati), purché meritevoli di tutela. Vi è nell’ordinamento una
generale fiducia nella capacità dei privati di autoregolare i propri interessi patrimoniali,
perciò è attribuita ai privati un’ampia facoltà di organizzare relazioni economiche non
previste dall’ordinamenti: per l’art. 1322, intitolato all’autonomia contrattuale, “le parti
possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla leg-
ge”; possono “concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina
particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordi-
namento giuridico”.
Nella materia dei rapporti personali e specificamente familiari opera una tipicità dei
negozi giuridici, per essere la materia maggiormente sensibile a emotività e debolezze
degli autori e per volere l’ordinamento valutare le organizzazioni umane instaurate. Però
anche in tale campo si sta dilatando l’area dell’autonomia negoziale e sempre maggior-
mente stanno ottenendo rilevanza giuridica rapporti affettivi instaurati in fatto senza la
mediazione di negozi familiari tipici.

9. Segue. I negozi di disposizione e i terzi. – Propulsore del dinamismo delle situa-


zioni giuridiche soggettive è il potere di disposizione del titolare, espressione dell’eser-
cizio di diritti soggettivi. Gli atti dispositivi determinano anche ragioni di conflitto tra
soggetti aventi causa di diritti incompatibili, con l’esigenza di tutela della circolazione
giuridica (II, 4.7). Indipendentemente dalla ricostruzione del potere di disposizione, den-
tro il diritto soggettivo (come partecipe del contenuto) o fuori del diritto soggettivo (come
espressione della capacità), sempre l’esercizio del potere di disposizione attua vicende di
situazioni giuridiche.
a) È possibile declinare i negozi di disposizione in tre fondamentali classi: negozi di
attribuzione, negozi di dismissione e negozi di destinazione. Si vedrà come il nostro or-
dinamento è caratterizzato dal principio del consenso traslativo per cui i diritti (proprietà
o altro diritto) si trasferiscono e i diritti reali si costituiscono per effetto del consenso le-
gittimamente manifestato (art. 1376); analogamente avviene per i negozi di dismissione e
per quelli di destinazione.
I negozi di attribuzione sono atti con i quali si procura un vantaggio ad altri sog-
getti, con corrispondente titolarità di diritti, a fronte di una diminuzione del proprio pa-
trimonio. Si declinano in due varianti: negozi di trasferimento del diritto da un soggetto
ad un altro, con la perdita del diritto per l’alienante e l’acquisto del medesimo diritto per
l’acquirente (con titolo derivativo traslativo); negozi di costituzione di nuovi diritti in ca-
po ad un soggetto in virtù della titolarità del diritto (con titolo derivativo-costitutivo)
(della dicotomia si è già parlato: II, 4.7). A tale categoria è possibile accomunare i negozi
costituivi di una obbligazione, per l’obbligo di comportamento assunto dal debitore di
procurare un bene (come utilità) al creditore.
I negozi di dismissione sono atti di abdicazione di una situazione giuridica. Tipi-
ca è la rinunzia in senso stretto, consistente in un negozio unilaterale di dismissione di un
diritto dal patrimonio del rinunciante (rinunzia abdicativa) 17. La rinunzia comporta solo

17
La rinunzia abdicativa si differenzia dal r i f i u t o che integra la manifestazione di volontà di precludere l’in-
cremento della propria sfera giuridica: può essere impeditivo, in quanto impedisce l’ingresso del diritto nella pro-
188 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

perdita del diritto non anche liberazione dalle posizioni passive, comprese obbligazioni,
che si connettono alla titolarità del diritto. L’eventuale acquisto del diritto dismesso dal
rinunciante è un effetto ulteriore derivante dalla legge: es. la consolidazione della pro-
prietà per rinunzia ai diritti reali limitati in virtù della elasticità della proprietà (VI, 1.2);
rinunzia al credito e correlazione con la remissione del debito (VII, 3.14). Un problema
si è posto con riguardo alla ipotizzabilità della rinuncia alla proprietà per la natura di di-
ritto pieno e assoluto 18.
Figure specifiche di rinunzia sono quelle del c.d. abbandono liberatorio, ad es. con ri-
guardo al diritto di proprietà su beni comuni (art. 1070) o al diritto di proprietà su im-
mobili gravati da una servitù (art. 1104). Si è in presenza di obbligazioni reali, in quanto
sono connesse alla titolarità di un diritto reale, sicché il relativo adempimento è necessa-
rio per l’esercizio del diritto reale. La rinunzia al diritto reale si atteggia come mezzo per
liberarsi dalle obbligazioni allo stesso connesse.
Diversa è la c.d. “rinunzia traslativa”, che implica una volontà di trasferimento a ter-
zi, di regola compenetrata in un contratto, regolata come negozio di attribuzione.
I negozi di destinazione sono atti costitutivi di vincoli alla utilizzazione di un be-
ne, funzionali ad un dato scopo; sono determinativi della conformazione dello statuto
del bene e dunque dei diritti che vi ineriscono (art. 2645 ter). Quando la destinazione si
connette ad un’attribuzione si realizza, insieme, il trasferimento del diritto o la costitu-
zione di un diritto nuovo con il limite della destinazione ad uno scopo. I negozi di desti-
nazione possono essere compiuti sia con negozi unilaterali che bilaterali: si tende a ri-
condurre a tali negozi il trust, il cui atto costitutivo più spesso è compiuto con altro sog-
getto, ma anche ammesso come “autodichiarato”, in cui soggetto disponente e trustee
coincidono nello stesso soggetto (v. VIII, 3.17).
b) La posizione dei terzi assume una importante rilevanza nell’esercizio del potere di
disposizione. Si è già anticipato che più ragioni militano a favore della circolazione giuri-
dica dei beni (II, 4.7): c’è l’esigenza di conoscenza degli atti dispositivi a beneficio dei
consociati perché, sulle risultanze di tali atti, possano organizzare con sicurezza l’azione
economica. I risultati perseguiti dai negozi di disposizione vanno coordinati con le esi-
genze di certezza reclamate dal mercato attraverso indici legali di conoscenza (special-
mente la pubblicità, il possesso, la consegna): la tutela dei terzi può provocare l’attribuzio-
ne di diritti in modo diverso da come il logico e naturale dispiegarsi del potere di dispo-
sizione comporterebbe. È prevista la trascrizione degli atti di disposizione di immobili,

pria sfera giuridica (es. rifiuto della proposta con obbligazioni del solo proponente ex art. 1333); eliminativo, in
quanto elimina gli effetti già prodotti e non ancora stabilizzati (es. rifiuto del terzo ex 1411 o rinuncia al legato).
18
È ipotizzabile la rinunzia alla proprietà, come deriva da alcuni elementi testuali in materia di forma (art.
1350, n. 5) e di trascrizione (art. 2643, n. 5). Viene però in rilievo l’effetto riflesso relativo ai “beni immobili
vacanti”, per cui i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello stato (art.
827), con un acquisto a titolo originario. Per assicurare l’ordinamento una “funzione sociale” (art. 422 Cost.),
è da escludere la possibilità della rinunzia quando si persegua lo scopo di disfarsi di una proprietà damnosa
(es. per immobili fatiscenti e inquinanti ovvero antieconomici), ribaltando sullo stato i costi di riattivazione o
demolizione ovvero gestione dell’immobile; in tal caso, secondo un generale principio di buona fede, è da
consentire alla pubblica amministrazione di rifiutare l’ingresso della proprietà nella propria sfera giuridica
(Cfr. T.A.R. Lombardia Milano 18-12-2020, n. 2553). Per T.A.R. Piemonte Torino 28-3-2018, n. 368, il legi-
slatore ha ammesso solo quelle fattispecie di rinunzia abdicativa a diritti immobiliari che non determinano
una vacatio nella titolarità del bene, con conseguente nullità dei negozi potenzialmente idonei a determinarla
e, su tutti, della rinunzia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare.
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 189

sia di attribuzione e rinunzia (art. 2643), che di destinazione (art. 2645 ter), come mec-
canismo di soluzione dei conflitti di posizioni incompatibili (XIV, 2.7).
Una problematica particolare si pone con riferimento agli atti di disposizione del pa-
trimonio altrui. Si vedrà come, per il cod. civ. del 1942, a differenza del cod. civ. del 1865,
la vendita di cosa altrui è valida ma inefficace, produce i suoi effetti nel momento in cui
il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa (art. 1478) (VIII, 6.15). Fuori di tale
ipotesi, sono accordate tutele all’avente causa in buona fede dal non proprietario (acquisto
a non domino), con la previsione di specifici presupposti di acquisto rispetto alle singole
tipologie di diritti 19, determinando un acquisto a titolo originario 20; e si è propensi a rite-
nere che si acquisti la proprietà della cosa libera da diritti altrui sulla cosa non risultanti dal
titolo se l’acquirente è di buona fede (c.d. usucapio libertatis), interpretandosi analogica-
mente l’art. 11532. Per l’assenza di atto dispositivo, la maturazione dell’usucapione diventa
titolo privilegiato di acquisto contro il titolare del diritto e gli aventi causa dallo stesso.
In definitiva sussiste nel codice civile un tendenziale favore per la circolazione giuri-
dica, prediligendosi la certezza dell’acquisto alla conservazione della titolarità dei diritti.
La naturale logica della disposizione dei diritti soccombe rispetto all’esigenza economica
di conservazione delle posizioni acquisite: nella prospettiva del diritto dell’economica, le
esigenze del mercato prevalgono sulle ragioni della proprietà. Si vedrà come sono emer-
se ragioni di tutela, connesse a posizioni personali, più forti anche della generica esigen-
za di circolazione (es. prelazione legale) (XIV, 2.18).

10. Presupposti del negozio giuridico. – In relazione a singole operazioni assumo-


no rilevanza specifici presupposti dell’atto, quali fatti giuridici (positivi o negativi) che
non concorrono alla formazione dell’atto, ma che la relativa esistenza incide sul regime
dell’atto. È una categoria articolata, anzitutto rispetto alla provenienza dei presupposti,
per essere imposti dalla legge o considerati dai privati, e poi per la differente rilevanza,
incidendo sulla validità e/o sulla efficacia dell’atto. Viene in gioco la generale prospettiva
dei presupposti della fattispecie, per cui non può compiersi un fatto giuridico senza il
fatto presupposto.

19
In relazione ai beni immobili, la trascrizione del titolo e il successivo decorso decennale del possesso
consentono l’usucapione abbreviata (fattispecie complessa) (art. 11591); la stessa disposizione si applica nel
caso di acquisto degli altri diritti reali di godimento sopra un immobile (art. 11592). Analoghi principi valgo-
no per l’acquisto a non domino della piccola proprietà rurale, con la previsione di un possesso di cinque anni
dalla trascrizione (art. 1159 bis), di beni mobili iscritti in pubblici registri, con la previsione di un possesso di
tre anni dalla trascrizione (art. 1162), di universalità di mobili (art. 1160), con la previsione di un possesso di
dieci anni ma con esclusione della trascrizione per non sussistere registri di pubblicità. Per i beni mobili (non
registrati e non oggetto di universalità di mobili), per l’assenza di registri di pubblicità, vale il principio “pos-
sesso vale titolo” per cui sono sufficienti il titolo astrattamente idoneo al trasferimento e il possesso di buona
fede per acquistarne la proprietà (libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la
buona fede dell’acquirente) (art. 11531-2); nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pe-
gno (art. 11533) (VI, 5.6). In ogni caso, si acquista la proprietà per usucapione dei beni immobili con il pos-
sesso continuato ventennale (art. 1158) e dei beni mobili con il possesso continuato decennale (art. 1161).
Talvolta si fa a meno anche del possesso, come ad es. nell’ipotesi di acquisto dall’erede apparente (art. 534).
Se ne parlerà ampiamente nelle sedi specifiche.
20
Come ha rilevato L. MENGONI, l’alienazione del bene altrui ottiene rilevanza giuridica non come nego-
zio ma come fatto che concorre con altri fatti (tra cui, immancabile, la buona fede dell’acquirente) a integrare
una fattispecie legale di acquisto, predisposta a tutela dell’affidamento del terzo.
190 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

Anzitutto rilevano i presupposti legali quali situazioni soggettive o fatti richiesti dalla
legge, che incidono, talvolta, sulla validità dell’atto (es. alcune qualifiche soggettive), ta-
laltra sulla efficacia (es. legittimazione) (par. 6). Vi è poi l’ampio campo delle autorizza-
zioni amministrative, la cui assenza, a seconda della situazione di riferimento, è in grado
di incidere sia sulla validità che sulla efficacia. Altre volte è l’ordinamento a fissare la se-
quenza dei fatti: si pensi all’occupazione di cosa mobile che presuppone l’abbandono del
titolare (art. 923 c.c.).
I presupposti di fatto di regola incidono sulla efficacia dell’atto; il tema si intreccia con
il fenomeno della condizione (VIII, 3.20).
Una figura peculiare di presupposto dell’atto è la presupposizione, quale situazione di
fatto o di diritto tenuta presente dalle parti e inespressa; non è prevista ma da tempo
analizzata e considerata rilevante (v. VIII, 3.11).

11. L’incidenza tributaria (bollo e registrazione). – Si è visto come ogni fatto giu-
ridico e a maggior ragione l’esplicazione dell’autonomia privata si svolge nella complessi-
tà dell’esperienza giuridica.
Un ruolo sempre maggiore assume il carico tributario, calcolato in misura fissa o pro-
porzionale al valore economico dell’operazione compiuta. Tipicamente operano il bollo
e la registrazione (di cui appresso): si pensi all’imposta ipotecaria e catastale per il trasfe-
rimento di immobili (D.Lgs. 31.10.1990, n. 347); si pensi all’imposta sul valore aggiunto
(iva) sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di imprese o
di arti e professioni (D.P.R. 26.10.1972, n. 633). Ormai la imposizione tributaria non è
più componente accessoria nella esplicazione dell’autonomia privata ma fattore concor-
rente nelle determinazioni dei privati. Interventi diffusi sono il bollo e la registrazione,
con implicazioni anche civilistiche.
Il bollo è essenzialmente regolato dal D.P.R. 26.10.1972, n. 642 (Disciplina dell’impo-
sta di bollo) 21. L’omesso od insufficiente pagamento dell’imposta ed omessa o infedele
dichiarazione di conguaglio non incide sulla validità o efficacia dell’atto, ma lo rendono
irregolare; l’atto va regolarizzato con pagamento dell’imposta e comminatoria della san-
zione amministrative a carico dei soggetti dell’atto (art. 25) e dei pubblici funzionari e
altri soggetti che li ricevono per le incombenze cui sono tenuti (artt. 19 e 24). Il bollo
svolge una funzione sostanziale rispetto ai titoli di credito 22.
La registrazione è essenzialmente regolata dal D.P.R. 26.4.1986, n. 131 (t.u. disposi-
zioni concernenti l’imposta di registro – TUR) 23. Gli artt. 20 ss. regolano le modalità di

21
La Tariffa allegata è riferita a atti, documenti e registri soggetti all’imposta fin dall’origine (Parte I); atti
e scritti soggetti all’imposta di bollo solo in caso d’uso (Parte II), cui segue una Tabella indicante atti, docu-
menti e registri esenti in modo assoluto dall’imposta di bollo.
22
La cambiale, il vaglia cambiario e l’assegno bancario non hanno la qualità di titoli esecutivi se non sono
stati regolarmente bollati sin dall’origine e, provenendo dall’estero, prima che se ne faccia uso; il portatore o
possessore non può esercitare i diritti cambiari inerenti al titolo se non abbia corrisposto l’imposta di bollo e
pagato le sanzioni amministrative; la inefficacia come titolo esecutivo deve essere rilevata e pronunciata dai
giudici anche d’ufficio (art. 20).
23
La Tariffa allegata è riferita a atti soggetti a registrazione in termine fisso (Parte I); atti soggetti a regi-
strazione solo in caso d’uso (Parte II), cui segue una Tabella di atti per i quali non vi è obbligo di chiedere la
registrazione. L’imposta di registro si applica, nella misura indicata nella Tariffa, agli atti soggetti a registra-
zione e a quelli volontariamente presentati per la registrazione (art. 1).
CAP. 5 – AUTONOMIA PRIVATA 191

applicazione dell’imposta, delineando le specifiche vicende degli atti registrati; è una


imposta riferita agli atti in funzione delle operazioni esposte 24.
L’art. 10 indica gli ulteriori soggetti (oltre i soggetti dell’atto) obbligati a richiedere la
registrazione, tra cui rileva massimamente per il diritto privato la figura del notaio, come
responsabile di imposta solidalmente obbligato con i soggetti dell’atto, ormai operante
come obbligato principale 25. La mancata registrazione dell’atto comporta mera irregola-
rità dell’atto: chi omette la richiesta di registrazione degli atti e dei fatti rilevanti ai fini
dell’applicazione dell’imposta, ovvero la presentazione delle denunce di eventi successivi
alla registrazione ex 19, è punito con la sanzione amministrativa (art. 69), oltre sanzioni
ulteriori per infrazioni più gravi (artt. 74 e 75).
La registrazione svolge anche una funzione sostanziale: attesta l’esistenza degli atti ed
attribuisce “data certa” di fronte ai terzi a norma dell’art. 2704 c.c. (art. 181) (III, 2.2).

24
Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le
une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto (art. 21) (es. l’accettazio-
ne tacita dell’eredità contenuta in un atto di alienazione); se in un atto sono enunciate disposizioni contenute
in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che con-
tiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate (art. 22).
25
Per l’art. 10, lett. b, i notai (e gli altri soggetti ivi indicati) hanno l’obbligo di richiedere la registrazione
per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati. Per gli artt. 57 e 58 i notai sono coobbligati solidali con le
parti contraenti per il pagamento dell’imposta dovuta per la registrazione degli atti stessi, con diritto di surro-
ga, in tutte le ragioni, azioni e privilegi spettanti all’amministrazione finanziaria, per il recupero dell’imposta
pagata nei confronti dei soggetti nei cui confronti fu richiesta la registrazione. La intervenuta obbligatorietà
della registrazione telematica da parte del notaio, attraverso il Modello unico informatico (MUI), sta carican-
do la figura del notaio di una funzione ulteriore di liquidazione e pagamento dell’imposta di registro, ipoteca-
ria e catastale (art. 3 bis D.Lgs. 463/1997 e D.P.R. 308/2000); emerge un obbligo di corresponsione come
debitore principale nei confronti dell’ente impositore, cui si connette la modifica dell’art. 22 l. not.) (cfr.
Cass. 5016/2015, 18493/2010 e 13653/2009).
CAPITOLO 6
INIZIATIVA ECONOMICA
(L’impresa e il mercato)

Sommario: 1. Iniziativa economica, impresa e società. – 2. L’azienda e i segni distintivi. – 3. L’iniziativa


economica nella Costituzione e nella normativa europea. – 4. Concorrenza e mercato. L’economia
sociale di mercato. – 5. Aree e fattori dell’azione economica.

1. Iniziativa economica, impresa e società. – Nell’accezione comunemente impie-


gata l’iniziativa economica è l’attività di combinazione e organizzazione dei fattori dell’a-
zione economica (significativamente capitale e lavoro) per creare ricchezza. Il concetto di
iniziativa economica è pertanto sinergico con quello di impresa: il codice civile contiene
la definizione di “imprenditore” e non di impresa per essere l’imprenditore, secondo il
metodo dell’economia utilizzato nella codificazione, il soggetto reale che esercita l’atti-
vità economica. Intorno alla vita dell’impresa e delle società si svolge una significativa area
di esplicazione dell’attività dei privati e quindi del diritto privato. Lasciando al diritto
commerciale e al diritto del lavoro l’esame delle singole categorie, è importante in questa
sede fissare le generali coordinante dell’azione economica regolate dal diritto privato.
a) È imprenditore “chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata
ai fini della produzione o dello scambio di beni o di servizi” (art. 2082). Non è dunque
necessario che l’imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione: è sufficiente che
se ne assicuri la disponibilità. Mediante i contratti l’imprenditore si procura i mezzi di
produzione (materiali e immateriali) in proprietà e/o in mero godimento, attinge ai fi-
nanziamenti necessari, stringe i rapporti di lavoro con la mano d’opera, si approvvigiona
delle risorse necessarie alla produzione, colloca sul mercato i prodotti (cose o servizi).
Essenziale è la “organizzazione” dell’attività economica, come combinazione dei fattori
dell’attività. La qualifica dell’attività come “economica” implica un’attività in grado di
conseguire la remunerazione dei fattori produttivi mediante il risultato della stessa, an-
che senza prefiggersi necessariamente il conseguimento di un profitto (c.d. lucro oggetti-
vo) 1. Inoltre, deve essere un’attività esercitata professionalmente e cioè stabilmente e con

1
È il fenomeno proprio dell’attività imprenditoriale di enti non profit e di enti pubblici, che realizzano scopi
di natura culturale, ricreativa, assistenziale, ecc., mediante un’attività economica (e perciò remunerativa) sen-
za produzione di utili. Per Cass. 26-9-2006, n. 20815, il fine spirituale o comunque altruistico perseguito dal-
l’ente religioso non pregiudica l’attribuzione del carattere dell’imprenditorialità dei servizi resi, ove “la pre-
stazione sia oggettivamente organizzata in modo da essere fornita previo compenso adeguato al loro costo”.
CAP. 6 – INIZIATIVA ECONOMICA 193

abitualità, seppure non continuativamente (si pensi alle attività economiche stagionali) e
non in via esclusiva (lo stesso soggetto può svolgere più attività economiche). Infine,
l’attività di impresa può indirizzarsi verso la produzione di nuovi prodotti (attività indu-
striali) oppure verso lo scambio degli stessi (attività commerciali): sono le essenziali com-
ponenti del sistema economico, per inerire la prima alla realizzazione di nuovi beni e
servizi e la seconda alla distribuzione degli stessi. La qualifica di imprenditore si acquista
in fatto in ragione dell’attività economica svolta, quale serie coordinata di atti funzionale
alla produzione o allo scambio di beni e servizi (v. II, 4.6).
L’imprenditore assume il rischio della intrapresa e cioè del divario tra costi dell’atti-
vità economica e ricavi, che può comportare un passivo (perdite) come procurare un at-
tivo (utili) 2; dirige il processo produttivo: è il capo dell’impresa e da lui dipendono ge-
rarchicamente i suoi collaboratori (art. 20861), nei limiti atti a tutelare l’integrità fisica e
la personalità dei prestatori di lavoro (art. 36 Cost.; art. 2087 L. 20.5.1970, n. 300).
Uno specifico statuto è riservato alle imprese commerciali, prevedendosi, per tali im-
prese, l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese (art. 2195) 3 (XIV, 1.3); la tenuta
delle scritture contabili e la soggezione a fallimento (oggi liquidazione giudiziale: VII,
8.3) (artt. 2188 ss. c.c.); inoltre sono attribuite a figure tipiche di ausiliari dell’imprendi-
tore (institore, procuratore, commessi) specifici poteri rappresentativi (artt. 2203 ss.).
Non sono soggetti a tale statuto il piccolo imprenditore (art. 2083) e l’imprenditore agri-
colo (artt. 2135 ss.) 4.
b) Le società rappresentano le imprese di maggiore rilevanza economica. L’impresa
può essere esercitata in forma individuale o in forma collettiva, dando luogo, appunto,
alle società. Per l’art. 2247, con il contratto di società due o più persone conferiscono be-
ni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli
utili. Trattasi di un contratto con comunione di scopo, per conferire le parti le singole pre-
stazioni al fine dell’esercizio in comune dell’attività economica 5 (VIII, 3.18). È stata con-
sentita la costituzione di società a responsabilità limitata unipersonale con atto unilatera-
le (art. 2463) e la società per azioni unipersonale con atto unilaterale (art. 2328). L’im-
prenditore che operi in forma societaria o collettiva ha il dovere di istituire un assetto

Talvolta i detti enti perseguono anche uno scopo di lucro, ma questo è strumentale rispetto allo scopo istitu-
zionale in quanto gli utili realizzati non sono distribuiti ma sono rivolti a perseguire (indirettamente) lo scopo
istituzionale (è il caso di associazioni che svolgono attività imprenditoriali per il perseguimento degli scopi
ideali associativi).
2
Nella redazione del bilancio si distingue tra contenuto dello stato patrimoniale (art. 2424) e contenuto
del conto economico (art. 2425).
3
Per costante giurisprudenza la disposizione dell’art. 2195 sostanzialmente esaurisce, ai nn. 1 e 2, l’ambi-
to della nozione di imprenditore (di cui all’art. 2082) mediante la previsione delle imprese industriali e di quelle
commerciali in senso stretto, sicché “le successive previsioni, contenute nei numeri 3, 4 e 5 sono mere specifi-
cazioni delle categorie generali dei primi due punti” (Cass. 27-1-2006, n. 1727).
4
L’esercizio di nave (assunto dall’armatore) o l’esercizio di aeromobile (assunto dall’esercente), che pure
integra una c.d. “impresa di navigazione” (artt. 265 ss. e artt. 874 ss. cod. nav.) non comporta di per sé il ri-
corso della figura dell’imprenditore secondo il codice civile, dovendo a tal fine ricorrere tutti i presupposti
dell’attività imprenditoriale.
5
Nella società la contitolarità dei diritti è funzionale allo svolgimento di un’attività economica comune per
ricavare da questa un profitto. Invece nella comunione la contitolarità dei diritti reali è indirizzata al mero go-
dimento dei beni, per realizzare una utilizzazione di questi (diretta o a mezzo di altri ricavandone una rendi-
ta) (Cass. 6-2-2009, n. 3028; Cass. 1-4-2004, n. 6361) (VI, 4.1).
194 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’im-


presa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdi-
ta della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attua-
zione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il
recupero della continuità aziendale (art. 20862) (VII, 8.2).
I conferimenti, in danaro o in natura, suscettibili di valutazione economica, vanno a
formare il patrimonio della società (c.d. fondo sociale) 6 (artt. 2254, 2255, 2342); l’attività
economica deve essere rivolta ad uno scopo produttivo (c.d. lucro oggettivo) al fine del
conseguimento di utili e cioè di profitto per i soci (c.d. lucro soggettivo): profilo quest’ul-
timo che (come si è visto) non è invece essenziale nella impresa come tale, per la quale è
sufficiente la economicità dell’attività. Sussistono più tipologie di società, variamente ar-
ticolate (art. 2249): lucrative, mutualistiche e consortili.
Le società lucrative hanno per oggetto l’esercizio di un’attività commerciale con lo
scopo del conseguimento di utili, distribuito ai soci; devono costituirsi secondo i tipi
previsti dalla legge (art. 22491). Si distinguono in società di persone, con responsabilità
illimitata dei soci, quali la società in nome collettivo, l’accomandita semplice (con re-
sponsabilità illimitata dell’accomandatario); e in sono società di capitali, con responsabili-
tà limitata al patrimonio sociale, quali la società a responsabilità limitata, la società per
azioni e la società in accomandita per azioni (con responsabilità illimitata degli acco-
mandatari). Entrambe le tipologie di società sono, di diritto, imprese commerciali e per-
ciò soggette al relativo statuto con riguardo a rappresentanza, scritture contabili e insol-
venza (artt. 2203 ss.). Le società che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività diversa
sono regolate dalle disposizioni sulla società semplice, tranne che i soci abbiano voluto
costruire la società secondo uno dei tipi sopra indicati (art. 22492) 7.
Le società mutualistiche forniscono beni, servizi o occasioni di lavoro diretta-
mente ai membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che i soci
stessi otterrebbero sul mercato. Assumono una connotazione particolare le “società coo-
perative” (art. 22493): sono società a capitale variabile con scopo mutualistico, iscritte pres-
so l’albo delle società cooperative (artt. 2511 ss.); si specificano in “cooperative a mutua-
lità prevalente”, in ragione del tipo di scambio mutualistico (artt. 2512 ss.). Si differen-
ziano le “mutue assicuratrici” caratterizzate dal fatto che le obbligazioni sono garantite
dal patrimonio dei soci (artt. 2546 ss.).
c) I consorzi svolgono una funzione particolare: non perseguono un fine di distribu-
zione di utili ma di migliorare la redditività delle imprese aderenti, coordinando la pro-
duzione e gli scambi o lo svolgimento di determinate fasi dell’attività produttiva (artt.
2602 ss.); è possibile la costituzione di società consortili (art. 2615 ter).
Sono dettate specifiche disposizioni penali in materia di società, consorzi ed altri enti
(artt. 2621 ss.). Una generale disciplina penale regola i delitti contro l’economia pubbli-
ca, l’industria e il commercio (artt. 499 ss. c.p.).

6
Nelle s.p.a. non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi (art. 23425).
7
La trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorché connotato di per-
sonalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo, ma
configura una vicenda evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, comportando soltanto una variazione
di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’o-
riginaria organizzazione societaria (Cass. 22-10-2020, n. 23030).
CAP. 6 – INIZIATIVA ECONOMICA 195

2. L’azienda e i segni distintivi. – L’azienda è “il complesso dei beni organizzati


dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555): esprime un concetto distinto
dall’impresa ma a questa correlato 8. Come si è accennato, non è necessario che l’im-
prenditore sia proprietario degli strumenti della produzione: è sufficiente che ne abbia la
disponibilità. L’azienda esprime una organizzazione complessiva, comprensiva sia del
lavoro sia di tutti gli altri fattori della produzione; l’imprenditore organizza appunto l’at-
tività economica con la destinazione di tali beni alla produzione o allo scambio. L’a-
zienda indica una entità economico-giuridica autonoma rispetto alla titolarità dei singoli
fattori della produzione, che si presta perciò ad essere oggetto di distinta situazione sog-
gettiva di proprietà 9 o anche di possesso 10 dell’imprenditore: la titolarità dell’impresa è
correlata alla titolarità dell’azienda 11.
La disciplina dell’azienda è scarna: è rivolta unicamente a regolarne la circolazione,
con l’alienazione a terzi della stessa o anche solo la concessione in usufrutto o in affitto,
mantenendosi l’unità economica del complesso dei beni e dei rapporti contrattuali ine-
renti all’azienda 12. Una disciplina particolare regola la successione nei contratti inerenti
l’azienda: contrariamente alla norma generale che consente la cessione del contratto
“purché l’altra parte vi consenta” (art. 1406), l’acquirente dell’azienda, se non è pattuito
diversamente, “subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non
abbiano carattere personale” (art. 25581) 13; però l’alienante non è liberato dai debiti ine-

8
L’azienda, quale complesso unitario di beni funzionalmente organizzati per la produttività, va tenuta di-
stinta dall’impresa, quale attività economica organizzata per la gestione di un’azienda, la quale, in quanto tale,
“è inseparabile dall’imprenditore di cui costituisce un modo di operare e, perciò, ha un carattere eminente-
mente soggettivo”; la cessione o affitto di azienda, quindi, non comporta il passaggio al cessionario o all’affit-
tuario anche dell’impresa, ma determina normalmente una situazione di continuità tra la precedente e la nuo-
va gestione (Cass. 13-12-2006, n. 26674).
9
La unitarietà del valore dell’azienda è operante anche nella prospettiva tributaria, rilevando, per gli atti
che hanno ad oggetto aziende o diritti reali su di esse, il valore complessivo dei beni che compongono l’azien-
da, compreso l’avviamento, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi
data certa (proporzionalmente al valore dei beni) tranne quelle che l’alienante si sia espressamente impegnato
ad estinguere (art. 514, D.P.R. 26.4.1986, n. 131).
10
L’azienda è un bene distinto dai singoli componenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e,
nel concorso degli altri elementi di legge, usucapito (Cass., sez. un., 5-3-2014, n. 5087).
11
Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il
godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il
trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto (art. 2556).
12
Si ha cessione di azienda quando le parti abbiano inteso trasferire un complesso organico di beni unita-
riamente considerato, dotato di potenzialità produttiva tale da farne emergere ex ante la complessiva attitudi-
ne anche solo potenziale all’esercizio di un’impresa; è irrilevante che le singole parti che la compongono siano
state cedute globalmente o con più atti separati, decisiva essendo unicamente la causa reale del negozio e la
regolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti (Cass. 3-12-2009, n. 25403). Il pro-
blema si è posto in particolare per il divario con il contratto di locazione: nell’affitto di azienda il singolo im-
mobile è considerato come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro
da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo (Cass.
17-2-2020, n. 3888).
13
Applicazioni di tale principio sono in materia di contratto di lavoro e di contratto di locazione. Per l’art.
2112, in caso di trasferimento dell’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore
conserva tutti i diritti che ne derivano; il cedente e il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che
il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Per l’art. 36 L. 27.7.1978, n. 392, il conduttore può sublocare
l’immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme cedu-
196 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

renti all’azienda, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consen-
tito (art. 2560). Chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal tra-
sferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circo-
stanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta (art. 2557): si tende ad assicura-
re al cessionario l’avviamento dell’azienda, che di regola influenza la quotazione del prezzo
dell’azienda stessa.
Segni distintivi dell’azienda, che ne connotano la rilevanza economica e giuridica, so-
no la ditta, l’insegna e il marchio. L’imprenditore ha il diritto all’uso esclusivo di tali se-
gni, secondo i criteri della novità e della verità.
La ditta identifica la titolarità: comunque sia formata, deve contenere almeno il co-
gnome o la sigla dell’imprenditore, salva l’ipotesi del trasferimento dell’azienda (art.
2563) 14. L’insegna connota il luogo ove è esercitata l’attività (arg. 2568). Il marchio
contraddistingue il prodotto (bene o servizio) (art. 2569) 15.
La materia ha formato oggetto di un intervento organico normativo con il D.Lgs.
10.2.2005, n. 30, recante il Codice della proprietà industriale, e il D.Lgs. 27.6.2003, n. 168,
istitutivo delle Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale
presso tribunali e corti d’appello (per la pubblicità, XIV, 1.6).

3. L’iniziativa economica nella Costituzione e nella normativa europea. – Agli


inizi del ’900 la forte stagnazione economica e l’aumento della disoccupazione propone-
vano il divario tra le due grandi scuole di pensiero: da un lato, la tradizione liberale, fi-
duciosa nel mercato che, nel lungo periodo, si sarebbe autoregolato anche se con alcuni
sussulti; dall’altro, l’ostilità al sistema economico capitalistico che non sarebbe stato in
grado di autoregolarsi, con la prospettazione di statalizzazione della grande produzione.
Sullo sfondo il dilemma tra l’esigenza di libertà e la necessità di sicurezza, variamente in-
tese, che propugnavano l’assenza o l’intervento dello stato in economia per garantire il
benessere sociale. Negli anni ’30 del secolo scorso, in risposta alle catastrofi della grande
depressione e della seconda guerra mondiale si sviluppava la “terza via” che propugnava
l’intervento pubblico nell’economia per salvare il potenziale di crescita del capitalismo
correggendone le distorsioni 16; mentre si affermava una esigenza di “equilibrio” tra le

ta o locata l’azienda, dandone comunicazione al locatore, il quale può opporsi per gravi motivi; il locatore, se
non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni
assunte. Le ragioni della proprietà sono sacrificate alle esigenze dell’impresa: il locatore deve subire il nuovo
locatario che ha il merito di mantenere in vita l’esercizio dell’impresa.
14
In tema di legittimazione processuale, l’imprenditore, pur senza specificare la sua qualità, è legittimato
ad opporsi ad un decreto ingiuntivo emesso nei confronti della relativa ditta, non avendo quest’ultima sogget-
tività giuridica distinta ed identificandosi essa con il suo titolare sotto l’aspetto sia sostanziale che processuale
(Cass. 19-4-2010, n. 9260).
15
Va delineandosi l’idea di unità dei segni distintivi. In ragione di tale principio anche l’impiego di un
domain name su Internet, che riproduce la ditta o l’insegna o il marchio altrui, è comunque considerato in
grado di ingenerare confusione nel pubblico e dunque integrare contraffazione, con sviamento della clientela.
Né rileva che il nome a dominio sia stato assegnato dall’Autorità di registrazione (R.A.), non rientrando tra i
compiti di questa la verifica di confondibilità con segni distintivi non elettronici.
16
Fondamentale J.M. KEYNES (1936), secondo cui le amministrazioni pubbliche dovevano apprestare ef-
ficienti progetti di investimenti pubblici, da finanziare anche con debito all’avvio, nel momento in cui l’eco-
nomia fosse in depressione o ristagno e non si riuscisse a risollevarla attraverso la sola politica monetaria. Ne-
gli anni successivi la terza via si è incanalata nei tradizionali settori d’influenza delle politiche di welfare, come
CAP. 6 – INIZIATIVA ECONOMICA 197

prosperità del mercato e i bisogni umani, evolvendo la sicurezza pubblica (come quiete
civica) in sicurezza sociale (come garanzia di benessere) 17. Emergeva l’affermazione di
un welfare state che maturerà la welfare society.
In questo contesto il cod. civ. del 1942 si dispiegava nel segno della economia di mer-
cato, con tendenziale assenza di vincoli all’attività di impresa e con tutela indifferenziata
della circolazione giuridica, intervenendo il potere pubblico solo a sostegno della produ-
zione. Il disegno che vi faceva da sfondo è evidente: il funzionamento del mercato era
causa di prosperità, mentre il fallimento del mercato era motivo di impoverimento della
società. L’esperienza economica ha però mostrato che, anche in assenza di fallimento del
mercato, il funzionamento dello stesso non sempre ha garantito uno sviluppo della intera
società, reclamando un intervento di correzione coattiva nelle varie direzioni in cui si
svolge l’aspirazione socio-economica di una società.
Quando, all’indomani del secondo dopoguerra, si poneva mano alla formazione della
Carta costituzionale si prospettavano all’assemblea costituente i delineati modelli eco-
nomici, con le connesse ideologie di riferimento, che orientarono la disciplina dei “rap-
porti economici” (la c.d. costituzione economica, ex artt. 35 ss. Cost.) (I, 2.7) 18. In tale
contesto maturava la sinapsi valoriale di raccordo delle esigenze del libero marcato con i
bisogni della persona umana. Fondamentale è la regola compromissoria secondo cui
“l’iniziativa economica privata è libera” (art. 411 Cost.); ma “non può svolgersi in contra-
sto con l’utilità sociale o in modo da recare danno all’ambiente, alla salute, alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana” (art. 412 Cost.): sono limiti scheletrici e dunque ontologici
alla stessa libertà di iniziativa, che non è funzionale alla società ma non può svolgersi con-
tro la stessa 19. Perché la libertà della iniziativa economica non sia piegata dai pubblici po-
teri è prevista una riserva di legge per apprestare i “programmi e i controlli opportuni per-
ché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini socia-
li” (art. 413). È ancora prevista una riserva di legge perché, a fini di utilità generale, si possa
“riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo
Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o cate-

povertà, disoccupazione, pensioni, salute, ma ha avuto una speciale incidenza sulle politiche attive per stimo-
lare l’occupazione e favorire l’istruzione. Nella modernità se ne reclama l’intervento verso sanità, sicurezza
del territorio, ambiente, infrastrutture materiali e immateriali.
17
Efficace la lezione di K. POPPER (1945): la libertà non è un impedimento né per avere sicurezza né per
ottenere benessere; la libertà è la precondizione senza la quale non c’è sicurezza.
18
La ideologia liberale che aveva incarnato la edificazione dello Stato moderno reclamava mani libere in
economia, nella convinzione che il perseguimento dell’interesse individuale in una economia di mercato stimo-
lasse lo sviluppo economico e realizzasse naturalmente l’interesse economico collettivo. Sul fronte opposto la
rivoluzione socialista evidenziava la necessità di un intervento pubblico per riequilibrare i rapporti di forza
della società, perciò prospettando meccanismi di pianificazione degli investimenti e dello sviluppo economico
della società. Con una ispirazione religiosa la dottrina sociale cattolica valorizzava la dignità della persona
umana (creata ad immagine e somiglianza di Dio) prospettando limiti alla gestione privata dei beni in grado
di equilibrare le libertà dell’individuo con le esigenze della collettività, secondo un modello solidaristico di
esperienza umana. Sullo sfondo della Carta repubblicana echeggiava anche il pensiero degli istituzionalisti
americani del new deal.
19
Si è ad es. stabilito che la tutela dell’ambiente, preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo
vive, è imposta da precetti costituzionali ed assurge a valore primario ed assoluto, con la conseguenza che il
diritto all’ambiente, espressione della personalità individuale e sociale, costituisce un limite ai principi dell’ini-
ziativa privata previsti dagli artt. 41 e 42 Cost. (Cons. Stato 21-9-2006, n. 5552).
198 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

gorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a


situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale” (art. 43
Cost.). È acquisito il principio che l’impresa può essere esercitata anche da enti pubblici,
con gli strumenti propri del diritto privato, secondo un fenomeno di progressiva neutra-
lizzazione delle forme rispetto ai risultati perseguiti 20.
Tale atteggiamento, comune a tutte le democrazie dei paesi europei, ha ispirato anche
la normativa europea, trovando piena esplicazione nel Trattato di Lisbona del 2007 (I,
2.12; I, 3.6). Per la Carta dir. fond. U.E. è riconosciuta la libertà di impresa conforme-
mente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali (art. 16); al fine di pro-
muovere la coesione sociale e territoriale dell’Unione, questa riconosce e rispetta l’acces-
so ai servizi di interesse economico generale, previsto dalle legislazioni e prassi nazionali
conformemente ai trattati (art. 36).
Lo sviluppo della globalizzazione, con la connessa delocalizzazione delle imprese glo-
balizzate, ha reso stringente l’esigenza che, affianco alla ricerca del profitto, operi una re-
sponsabilità sociale di impresa che ponga le implicazioni di carattere etico all’interno del-
la visione strategica d’impresa, specialmente nelle direzioni di rispetto dell’ambiente e
del territorio, di salvaguardia di posti di lavoro e di sicurezza e trattamento dei lavorato-
ri, di contrasto al lavoro minorile, di soddisfacimento dei creditori 21. In sede europea si
è fatto obbligo alle grandi imprese di fornire adeguate informazioni sull’attività svolta:
con D.Lgs. 30.12.2016, n. 254, è stata attuata la direttiva 2014/95/UE, recante modifica
alla direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di ca-
rattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di
taluni gruppi di grandi dimensioni 22. Sullo sfondo si svolge il dibattito circa il ruolo e la
dimensione dello stato sociale (welfare state) e più in generale sull’intervento pubblico in
economia e di come la spesa pubblica debba supplire o orientare il mercato quando fal-
lisce nella sua funzione sociale. Verso tali obiettivi concorrono la politica monetaria, la
manovra finanziaria, la leva fiscale, la promozione e l’attuazione dello stato sociale, attra-
verso normative non sempre riconducibili a categorie logiche generali, per il carattere
compromissorio e articolato degli scopi perseguiti.

4. Concorrenza e mercato. L’economia sociale di mercato. – Tradizionalmente la


concorrenza è stata configurata come conseguenza della libertà di iniziativa economica: la
libertà di iniziativa dei singoli operatori si traduce nella concorrenza tra gli stessi quan-

20
Rileva la distinzione tra enti che esercitano in via esclusiva o principale attività di impresa (indicati co-
me enti pubblici economici) ed enti per i quali l’esercizio dell’impresa costituisce attività secondaria, conside-
randosi solo i primi imprenditori commerciali e perciò soggetti alla disciplina propria degli stessi (artt. 2188
ss.). Alla stregua dell’art. 2093, i primi sono senz’altro soggetti alla normativa del libro V del cod. civ.; i se-
condi vi sono soggetti solo relativamente alle imprese esercitate.
21
Sta emergendo un trend culturale valutativo anche dei prodotti di impresa, perché siano apprezzati, non
solo per le essenze strutturali e funzionali, ma anche per la storia di realizzazione, rispetto ai valori rispettati e
agli interessi attuati.
22
L’informazione, nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attività di impresa, del suo
andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta copre i temi ambientali, sociali, attinenti al
personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, che sono rilevanti tenu-
to conto delle attività e delle caratteristiche dell’impresa (art. 3). L’art. 5 fissa la collocazione della dichiara-
zione e il regime di pubblicità.
CAP. 6 – INIZIATIVA ECONOMICA 199

do, in un determinato tempo e/o area geografica, più operatori offrono o domandano i
medesimi prodotti (cose o servizi). Il mercato era circoscritto ad una unità fisica, dove
materialmente si incontravano e dialogavano i soggetti del processo produttivo (come
ancora avviene nelle fiere): l’incontro fisico tra domanda e offerta determinava il prezzo
dei beni.
Nella contemporaneità il mercato esprime uno spazio ideale, sempre più virtuale e
globalizzato, dove impulsi elettronici segnano le impersonali dichiarazioni dei singoli o-
peratori. Più i confini del mercato si dilatano, maggiormente è avvertita l’esigenza di ga-
rantire informazione e trasparenza, quali connotati essenziali di funzionamento del mer-
cato: una asimmetria informativa, già di per sé, segna un fallimento del mercato, sia in
termini di efficienza economica che nella prospettiva di equilibrio sociale; si aggiungano
le debolezze non neutralizzabili neppure con l’informazione e che reclamano interventi
correttivi (VIII, 1.7). È emerso poi che, intorno alla vita delle aziende, ruotano interessi
di vario genere, sia diretti che riflessi. In una prospettiva di diritto dell’economia, sta
svolgendosi un indirizzo di attenzione privilegiata al recupero dell’impresa in crisi per
i molti interessi coinvolti dall’azienda, a cominciare dalla forza lavoro e per l’indotto
che determina nel reticolo economico di operatività (VII, 8.1). In tal senso la vitalità del-
l’impresa nel mercato svolge una funzione sociale che non si esaurisce nel soddisfaci-
mento del titolare dell’impresa.
Atteggiandosi il mercato quale volano dello sviluppo economico, il relativo funzio-
namento non può essere rilasciato ad uno spontaneismo senza regole, con l’inevitabile
vittoria della legge del più forte e il soffocamento della concorrenza: non garantirebbe il
libero accesso a tutti gli operatori economici e dunque una corretta gara tra gli stessi, che
rappresentano i presupposti di funzionamento dello stesso mercato.
Le ricorrenti crisi economiche, specie dei mercati finanziari, stanno accentuando (non
solo in Europa) l’esigenza di una generale regolazione del mercato, sempre più riguardato
come ordo legalis (conformato cioè dall’ordinamento), attraverso regole che tendano a de-
lineare un ordine pubblico economico di presidio di accesso e di azione per tutti gli attori.
L’esperienza giuridica europea ha articolato il mercato nelle direzioni sinergiche della
concorrenza e della socialità: da un lato, sono incompatibili con il mercato interno e vietati
tutti gli accordi tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno (art. 101 TFUE); dal-
l’altro, l’Unione si adopera per uno sviluppo sostenibile, basato su una crescita economica
equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su una economia sociale di mercato fortemente
competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale e su un elevato livello
di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente; promuove il progresso scientifi-
co e tecnologico (art. 3 TUE). Così concorrenza e mercato diventano, ad un tempo, es-
senziali ma cedevoli rispetto a valori socio-economici pubblici, attestandosi su modelli
economici concorrenziali equi. La formula della “economia sociale di mercato”, sin dal
suo apparire 23, ha rappresentato una terza via tra il libero mercato e la pianificazione sta-

23
È comune opinione ricondurre la formula all’ambiente culturale tedesco durante il periodo della Re-
pubblica di Weimar (con il contributo di L. von Mises). Successivamente le idee vennero riprese dall’Or-
doliberalismo della scuola di Friburgo di Walter Eucken. L’idea basilare, che giungerà fino a noi, era che
il mercato non rappresentasse un ordine naturale ma un ordine istituzionale e quindi legale, che dovesse
200 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

tale, con lo scopo di riconoscere le libertà economiche dell’individuo e sostenere la giu-


stizia sociale.
Protagonisti del mercato non sono più considerati i soli imprenditori: affianco ad essi
rilevano i fruitori dei prodotti delle imprese e segnatamente i consumatori, che, in una
economia consumeristica, con i loro comportamenti attivano la produttività e dunque
l’economia 24. La struttura concorrenziale del mercato diventa il presupposto della libertà
di iniziativa economica privata: è il bene oggettivo rispetto al quale l’iniziativa economica
privata deve confrontarsi e dal quale i consumatori traggono alimento per la scelta dei
prodotti. Vi è una correlazione tra iniziativa economica e autonomia privata, per risenti-
re l’organizzazione della prima anche l’assestamento della seconda: lo squilibrio contrat-
tuale tra le parti altera non soltanto l’esplicazione dell’autonomia negoziale, ma anche la
dinamica concorrenziale tra imprese.
La garanzia del mercato concorrenziale deve aprirsi a tutte le traiettorie che infran-
gono la parità delle condizioni di gara: vuoi mediante le visibili restrizioni convenzionali
e gli abusi di posizione dominante, vuoi attraverso le tecniche più insidiose delle viola-
zioni di doveri pubblici (negli approvvigionamenti, nella lavorazione e nella collocazione
dei prodotti; nell’utilizzo della manodopera e nelle dimensioni assicurativa e previden-
ziale; nel rispetto delle prescrizioni tributarie, urbanistiche e di difesa dell’ambiente): la
tutela dei diritti delle persone coinvolte e il rispetto dei doveri pubblici imposti sono
fondamentali fattori, anche di rilevanza economica, di svolgimento della gara.
Esistono peraltro prodotti dannosi per il contesto sociale e paesaggistico o per l’eco-
sistema che reclamano la mano pubblica interdittiva e l’incentivazione della economia
verde (green economy) 25.
Il codice civile prevede alcune restrizioni alla concorrenza in funzione di qualificati in-
teressi imprenditoriali. Così limitazioni legali della concorrenza operano nella pro-
spettiva di tutela degli imprenditori, al fine di evitare che resti erosa o svuotata l’iniziati-
va economica 26. La disciplina sulla concorrenza sleale è volta a disciplinare la concor-

essere definito in un quadro istituzionale. Il crollo della economia socialista e alcuni fallimenti della eco-
nomia di mercato facevano emergere la essenzialità di un libero mercato regolato dai valori indeclinabili
della dignità umana.
24
Osservava KEINES (1936): le due categorie di attori che di fatto dominano gran parte dell’attività eco-
nomica sono i consumatori e gli imprenditori. I consumatori scelgono quale frazione dei loro introiti destina-
re al consumo e quale no; di quest’ultima il consumatore può decidere di tenerla improduttiva nel suo porta-
foglio o assegnarla al risparmio produttivo affidandola ad un imprenditore (di solito una banca) in cambio di
un interesse. Per tale calcolo bisogna contrapporre gli aspetti psicologici e irrazionali (animal spirits), che
tendono a trasmettersi per contagio e di conseguenza a rafforzarsi.
25
Per la Commissione europea è “un’economia che genera crescita, crea lavoro e sradica la povertà inve-
stendo e salvaguardando le risorse del capitale naturale da cui dipende la sopravvivenza del nostro pianeta”. Il
Green Deal europeo prevede un piano d’azione volto a: promuovere l’uso efficiente delle risorse passando a
un’economia pulita e circolare; ripristinare la biodiversità e ridurre l’inquinamento. Si va sviluppando un
modello di economia sostenibile che coinvolge sia i materiali utilizzati e le energie impiegate che gli ambienti
realizzati e le tecnologie applicate.
26
Si pensi in particolare al divieto di concorrenza nel caso di alienazione d’azienda (art. 25571) e al divieto
di concorrenza del prestatore di lavoro in pendenza del rapporto di lavoro (art. 2105) (è possibile la stipula-
zione di patto di non concorrenza con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per
il tempo successivo al contratto di lavoro nei limiti previsti dall’art. 2125). Ulteriori divieti sono in materia
societaria (artt. 2301, 2318, 2390, 2464, 2487, 2516, 2547).
CAP. 6 – INIZIATIVA ECONOMICA 201

renza tra imprenditori e perciò nella direzione di tutela degli operatori concorrenti 27. È
rimesso agli imprenditori disporre della libertà di concorrenza con la stipula di divieti con-
venzionali di concorrenza, talvolta articolati in intese restrittive dell’attività economica, ta-
laltra attraverso cartelli impositivi di determinati comportamenti: le prescrizioni imposte ai
patti limitativi della concorrenza (art. 2596) sono rivolte alla tutela della libera concor-
renza degli stessi imprenditori. Una norma a tutela della generalità del pubblico è quella
relativa all’obbligo di contrattare nel caso di monopolio: per l’art. 2597 chi esercita un’im-
presa in condizione di monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda
le prestazioni che formano oggetto dell’impresa, osservando la parità di trattamento 28.
Lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di concorrenza, unitamente alle materie
riguardanti la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutario,
i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie (art.
1172, lett. e, Cost.): tale accorpamento rende evidente che la tutela della concorrenza co-
stituisce una delle leve della politica economica statale 29.
In applicazione dei delineati principi, l’Unione europea ha emanato la direttiva
2014/104/UE del 26.11.2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il
risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni del diritto della con-
correnza degli Stati membri e dell’Unione europea, attuata con D.Lgs. 19.1.2017, n. 3,
che disciplina, anche con riferimento alle azioni collettive, il diritto al risarcimento in fa-
vore di chiunque ha subìto un danno a causa di una violazione del diritto della concor-
renza da parte di un’impresa o di un’associazione di imprese (art. 1) 30.
A presidio della concorrenza è istituita l’Autorità garante della concorrenza e del mer-
cato (L. 10.10.1990, n. 287), con poteri di regolazione e di emettere diffide e sanzioni 31.

27
L’art. 2598 enumera le attività di concorrenza sleale. All’imprenditore sono accordati due azioni di con-
trasto alla concorrenza sleale (spesso concorrenti): di inibizione (tendente a ad impedire la continuazione del-
la concorrenza sleale) e di rimozione (tendente a distruggere le cose nelle quali si concretizza la concorrenza
sleale) (art. 2599). Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l’autore è tenuto altre-
sì al risarcimento dei danni ex art. 2043, presumendosi la colpa dello stesso; può anche essere ordinata la pub-
blicazione della sentenza (art. 2600).
28
Una specifica applicazione è in tema di pubblici servizi di linea: per l’art. 1679 coloro che, per conces-
sione amministrativa, esercitano servizi di linea per il trasporto di persone o di cose sono obbligati ad accetta-
re le richieste di trasporto che siano compatibili con i mezzi ordinari dell’impresa, secondo le condizioni ge-
nerali stabilite o autorizzate nell’atto di concessione e rese note al pubblico.
29
La tutela della concorrenza “non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di
regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comuni-
tario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del
mercato o ad instaurare assetti concorrenziali” (Corte cost. 13-1-2004, n. 14). La tutela della concorrenza non
esclude interventi promozionali dello Stato: la configurazione della tutela della concorrenza “ha una portata così
ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere l’assetto concorrenziale del mer-
cato” (Corte cost. 27-7-2004, n. 272).
30
Il risarcimento comprende il danno emergente, il lucro cessante e gli interessi e non determina sovra
compensazioni (art. 1). La violazione del diritto della concorrenza si ritiene definitivamente accertata verso
l’autore quando è constata da una decisione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato non più
soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso o da una sentenza del giudice del ricorso passata in
giudicato (art. 7).
31
L’Autorità, valutati gli elementi comunque in suo possesso e quelli portati a sua conoscenza da pubbli-
che amministrazioni o da chiunque vi abbia interesse, ivi comprese le associazioni rappresentative dei consu-
matori, procede ad istruttoria per verificare l’esistenza di infrazioni ai divieti stabiliti negli artt. 2 e 3 (art. 12).
202 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

In attuazione di varie direttive europee, è stata elaborata una normativa delle pratiche
commerciali scorrette e dei diritti dei consumatori (artt. 18 ss. cod. cons.).

5. Aree e fattori dell’azione economica. – Le dimensioni dell’attività economica


sono state progressivamente segnate dall’agricoltura, dall’edilizia, dalla produzione e di-
stribuzione dei prodotti attraverso l’economia prima commerciale e poi industriale e in-
fine attraverso l’economia digitale, impegnando gran parte del diritto privato, attraverso
un intreccio costante di ricerca e innovazione.
a) Nell’economia reale, la crescita dimensionale delle imprese ha accentuato il ruo-
lo fondamentale del consumo, atteggiandosi l’assorbimento dei beni pilastro fondamen-
tale della economia di mercato. Secondo un circolo economico, l’aumento dei consumi
accresce produzione e distribuzione che consentono l’assunzione di nuova mano d’ope-
ra, che a sua volta spende di più e quindi genera consumo (c.d. economia dei consumi);
se calano i consumi, si spende di meno e quindi diminuisce l’azione economica che si
trascina la disoccupazione, impoverendo le famiglie che non sono più in grado di acce-
dere al consumo. Così l’occupazione, già avvertita quale esigenza valoriale della dignità
umana, è acquisita dall’economia di mercato anche come leva economica delle imprese
per l’intreccio virtuoso con i consumi 32.
È necessaria una normativa inderogabile di tutela dei consumatori, della quale si darà
conto nelle trattazioni specifiche 33. Emerge la essenzialità di una trama di fattori econo-
mici, tenuta insieme dalla capacità dell’imprenditore di stimolare consumo, attrarre ri-
sparmio e ottenere credito 34. È un’esperienza che attraversa massimamente il grande ca-
pitale maturando la formazione di gruppi, con attività di collegamento, direzione e coor-
dinamento tra più società (artt. 2947 ss. c.c.).

I ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi dell’Autorità garante rientrano nella giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo (T.A.R. Lazio) (art. 331).
32
È fondamentale la rilevazione del Pil (prodotto interno lordo), quale valore monetario di tutti i beni e i
servizi finali prodotti in un anno sul territorio nazionale al lordo degli ammortamenti (tenendo conto di sti-
pendi e altri redditi, utili societari, esportazioni nette, ecc.). Più il Pil cresce maggiormente sale il benessere,
su cui innestare una politica di solidarietà sociale; quando il Pil cala, diminuiscono anche le entrate dello Sta-
to, squilibrando i conti pubblici e così complicando gli interventi di riequilibrio sociale.
33
Per un verso, non vanno indebolite le tutele dei soggetti che aderiscono ai contratti standardizzati predi-
sposti dalle imprese; dall’altro, non siano somministrati indirizzi di spesa di nessuna utilità per il consumatore,
che ne indeboliscano la capacità di scelta e la utilità alla persona, peraltro bruciando ogni propensione al rispar-
mio. Da tempo si è affermato un marketing responsabile di domanda orientato all’analisi delle componenti del
mercato, ai protagonisti che ivi si muovono e agli interessi perseguiti: si suole anche parlare di un marketing so-
ciale appunto perché presta attenzione ai bisogni e agli interessi a lungo termine dei consumatori. In tale ottica si
muovono oggi essenzialmente le imprese start up attraverso un customer-oriented finalizzato alla ricerca di cosa il
consumatore vuole e alla organizzazione della struttura aziendale in grado di procurare tali obiettivi: il cliente
percepisce il valore conseguito attraverso la comparazione tra il beneficio ottenuto e il prezzo pagato.
34
Un mercato efficiente determina un circolo virtuoso tra concorrenza, ricerca ed innovazione: la concor-
renza stimola la ricerca per realizzare innovazione, che a sua volta genera concorrenza. In una economia so-
ciale di mercato la crescita economica è assicurata essenzialmente dall’i n n o v a z i o n e negli obiettivi persegui-
ti e nelle tecnologie e gestioni adoperate, attuata con la osservanza della legalità dei comportamenti tenuti e
nella consapevolezza dei risvolti sociali della produttività. Fondamentale resta l’intuizione di SCHUMPETER
nella teoria dello sviluppo economico (1912) circa la realtà dinamica introdotta dalla “innovazione” come
nuovo concetto di equilibrio del mercato: le innovazioni rompono il flusso circolare del reddito secondo mo-
dalità rutinarie, conquistando guadagni di produttività e crescita di lungo periodo; il credito finanzia gli inve-
stimenti delle imprese innovatrici.
CAP. 6 – INIZIATIVA ECONOMICA 203

Di recente è accresciuta la valorizzazione dei servizi (c.d. terziario) che affianca i tra-
dizionali fattori primari dell’agricoltura 35 e dell’industria 36. Il terziario assicura servizi
sia ai cittadini che alle imprese (basti pensare a commercio, finanza, trasporto e logistica,
informazione e comunicazione, turismo, distribuzione, prestazioni online); è anzi in cor-
so una progressiva esternalizzazione di funzioni aziendali sotto forma di servizi (Out-
sourcing). Anche nei contratti di scambio di diritti sulle cose hanno assunto un ruolo de-
terminante dell’assetto di interessi la natura e l’entità dei servizi di assistenza dopo vendita.
b) Sta emergendo una economia circolare che si atteggia con varie modalità e in
differenti campi. A fronte di una economia lineare, per cui le risorse vengono usate e poi
distrutte, sta emergendo una economia collaborativa, connotata dal “riciclo” di risorse
per essere riutilizzate in un nuovo ciclo. Stanno svolgendosi approcci ad una economia
circolare e della condivisione (sharing economy), con la organizzazione di un uso colletti-
vo dei beni, attraverso pratiche di scambio e condivisione di beni materiali, servizi o co-
noscenze: le prime esperienze significative riguardano gli immobili (spese per case di va-
canza) e i mezzi di trasporto (specie nelle città) con una mobilità condivisa di veicoli in
sharing (auto, scooter, bici) 37. Sta emergendo una evoluzione nei comportamenti di spe-
sa, attraverso una experience economy (economia esperienziale), considerandosi la espe-
rienza di vita comunitaria più appagante di possedere e ostentare oggetti.
Nella consapevolezza che il tessuto sociale è un bene comune alla società, sta matu-
rando una cultura dei beni comuni imposta o favorita dalle pubbliche istituzioni, che
punta a modulare la regolazione degli stessi non sull’appartenenza formale (pubblica o
privata) ma sull’uso sociale e quindi sulla fruizione dei beni (es. acqua, paesaggio, beni
culturali, ma anche web), quando le connotazioni strutturali e le destinazioni dei beni 38
siano suscettibili di utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e al libero svi-
luppo della persona 39.

35
L’agricoltura, pur subendo una contrazione di rilevanza produttiva, ha ripreso a svolgere una essenziale
funzione culturale, contribuendo alla tenuta degli ecosistemi e alla conservazione dei paesaggi; inoltre man-
tiene viva la rete dei centri rurali e allarga l’offerta turistica.
36
Vi è una generalizzata svolta della politica industriale verso la green economy, favorendosi l’high tech
ecologico e la produzione di energie rinnovabili (D.Lgs. 28.12.2015, n. 221), con la valorizzazione della filiera
del singolo prodotto.
37
Secondo la formula della Commissione europea, sono modelli imprenditoriali in cui le attività sono
facilitate da piattaforme di collaborazione che creano mercato aperto per l’uso di beni o servizi spesso
forniti da privati.
38
Fondamentale resta il contributo di E. FINZI sulle moderne trasformazioni del diritto di proprietà (1922),
dove l’A. valorizzava l’uso della cosa e la materialità del diritto.
39
Significativo un atteggiamento delle sezioni unite: dalla applicazione diretta degli artt. 2, 9 e 42 Cost. si
ricava il principio di tutela del “paesaggio”, con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classifi-
cazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della “proprietà” dello Stato, ma anche ri-
guardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per
loro intrinseca natura o finalizzazione, risultino, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli inte-
ressi della collettività e che – per tale loro destinazione alla realizzazione dello Stato sociale – devono ritenersi
“comuni”, prescindendo dal titolo di proprietà; il connotato della “demanialità” esprime una duplice appar-
tenenza, alla collettività ed al suo ente esponenziale, dovendosi intendere la titolarità in senso stretto come
appartenenza di servizio, nel senso che l’ente esponenziale può e deve assicurare il mantenimento delle speci-
fiche caratteristiche del bene e la sua concreta possibilità di fruizione collettiva (Cass., sez. un., 16-2-2011, n.
3813; Cass., sez. un., 16-2-2011, n. 3811; Cass., sez. un., 14-2-2011, n. 3665).
204 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

c) Sta diffondendosi una economia digitale , caratterizzata dall’impiego delle nuo-


ve tecnologie, che attraversa tutte le dimensioni dell’azione economica oltre che generare
essa stessa meccanismi e dispositivi di digitalizzazione. La stessa coinvolge i diritti della
persona, il mercato, l’amministrazione pubblica, la giustizia. Si delinea una tecnocrazia,
come governo dei tecnici, in grado di orientare le organizzazioni socio-economiche, sen-
za una base di legittimazione democratica (v. I, 2.15).
Anche rispetto a tali modelli economici si sviluppa l’esigenza di tutela degli utenti.
Specifici interventi normativi sono nel codice delle comunicaz. elettroniche (approvato
con D.Lgs. 1.8.2003, n. 259) sempre integrato 40, e nella nuova disciplina del cod. cons.
(approvato con D.Lgs. 6.9.2005, n. 206), dove sono confluiti due corpi di norme, peral-
tro di difficile coordinamento negli ambiti di applicazione e nel contenuto 41.
d) Assume una crescente rilevanza la economia finanziaria, amplificata dalla globa-
lizzazione dei mercati finanziari 42, per cui gli spostamenti di partecipazioni societarie e
l’intermediazione nella collocazione di prodotti finanziari (azioni, obbligazioni 43, ecc.)
segnano gli assestamenti delle imprese e i modelli proprietari e manageriali di control-
lo delle aziende. Quanto più è dilatato il distacco dell’indirizzo del risparmio rispetto
all’attività operativa, maggiormente si pone un problema di gestione dei rischi nell’al-
locazione del risparmio e negli investimenti finanziari 44 (è significativa l’esperienza dei
c.d. fondi comuni di investimento, con una composizione variegata di prodotti finan-
ziari, maggiormente di rischio o più tranquilli). Lo sviluppo dei “derivati”, per modu-
larsi su fenomeni sempre maggiormente incerti, sta accrescendo i rischi dell’inve-
stimento finanziario. In un’economia globalizzata il risparmio ha lo sbocco più fre-
quente e naturale verso gli investimenti finanziari con una correlata finanziarizzazione
dell’economia reale.
e) Sostegni essenziali di ogni attività di impresa sono il credito e il risparmio.
Negli acquisti individuali (acquisizione di immobili e beni di consumo) come nel-

40
Il D.Lgs. 8.11.2021, n. 207, attuativo della direttiva 2018/1972/UE istitutiva del codice europeo delle
comunicazioni elettroniche, ha apportato numerose modificazioni al cod. com elettr.
41
Il D.Lgs. 4.11.2021, n. 170, attuativo della direttiva UE/2019/771, disciplina la vendita di beni mobili
con “elementi digitali” (art. 1282, lett. e). Il D.Lgs. 4.11.2021, n. 173, attuativo della direttiva UE/2019/770,
disciplina i contratti di “fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali” (artt. 135 octies ss.).
42
Per il D.Lgs. 24.2.1998, n. 58 (TUIF) si intendono per “prodotti finanziari” gli strumenti finanziari e
ogni altra forma di investimento di natura finanziaria (art. 1, lett. u); prodotti finanziari possono essere emessi
anche da imprese di assicurazione (art. 1, lett. w-bis). I prodotti finanziari implicano investimenti con un im-
piego di risorse economiche dirette al conseguimento di un corrispettivo. Una specificazione è rappresentata
dagli “strumenti finanziari” con il cui termine si fa riferimento ai valori mobiliari (es. partecipazioni societa-
rie, titoli obbligazionari), agli strumenti del mercato monetario (es. buoni del tesoro, certificati di deposito e
carte commerciali), alle quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio e ai contratti su stru-
menti derivati (es. contratti di opzione, future, swap).
43
In ambito finanziario l’obbligazione (bond in inglese) è un titolo di debito emesso da società o enti
pubblici che attribuisce all’investitore, alla scadenza, il diritto al rimborso del capitale prestato all’emit-
tente, più un interesse su tale somma. È tipica l’esperienza dello Stato che, avendo bisogno di danaro per
far fronte a spese e servizi, raccoglie liquidità dei risparmiatori con l’emissione di titoli (Bot, Btp, Cct,
ecc.) che vanno a formare il debito pubblico.
44
I grandi investitori professionali, attraverso investimenti e disinvestimenti massici, sono in grado di orien-
tare le quotazioni dei titoli, rispettivamente, al rialzo o al ribasso; ulteriori flussi sono legati a iniziative eco-
nomiche di aziende o a politiche economiche di autorità monetarie e/o di governi.
CAP. 6 – INIZIATIVA ECONOMICA 205

l’esercizio di iniziative economiche di piccole e grandi imprese, il credito è linfa vita-


le di una economia di mercato 45. La formazione di c.d. “crediti deteriorati” (non per-
forming loans; NPL), per mancata restituzione di prestiti, incrina il complessivo siste-
ma bancario, determinando crisi bancarie per l’impossibilità di pagare interessi e re-
stituire i depositi ricevuti 46.
Essenziale risorsa è anche il risparmio, tutelato dall’art. 47 Cost., che ha una dupli-
ce valenza: è una importante virtù civile in quanto esprime previdenza per il futuro, per
le esigenze che potranno insorgere per sé e per la famiglia in una prospettiva di continui-
tà generazionale; ed è uno strumento di capitalizzazione delle imprese, attraverso l’in-
vestimento nell’acquisto di partecipazioni societarie e nella sottoscrizione di altri prodot-
ti finanziari ovvero attraverso i depositi bancari.
Nell’economia di mercato essenziale è la funzione intermediatrice delle banche che
raccolgono risparmi delle famiglie e prestano a famiglie e imprese (impieghi). La tute-
la dei risparmiatori è indirizzo di politica economica e di azione giuridica di ogni modello
di economia.

45
Il piano di ammortamento indica le entità e le modalità di restituzione e di estinzione del debito. Il
nuovo trend (auspicato dagli accordi di Basilea) è di valorizzare, nella concessione del credito, la fattibilità del
progetto, oltre naturalmente che valutare la serietà del richiedente e la sua situazione economica; tuttora però
le garanzie offerte giocano un ruolo assorbente.
46
Dall’1.1.2016 in Italia e nei paesi dell’eurozona sono cambiate le regole di salvataggio delle banche in
crisi. Con il recepimento della direttiva 2014/59/EU (BRRD: Banking Recovery and Resolution Directive),
attuata con D.Lgs. 16.11.2015, n. 180 e n. 181, viene introdotto lo strumento del c.d. bail in (risanamento
interno), secondo cui, in caso di gravi difficoltà finanziarie delle banche siano gli azionisti, obbligazionisti e
correntisti della banca stessa a contribuire al salvataggio della propria banca, con eccezione solo per i clien-
ti delle banche che detengono un deposito inferiore a 100 mila euro, che viene integralmente protetto dal
Fondo di Garanzia dei Depositi; è così abbandonato un tradizionale sistema di c.d. bail out (risanamento
esterno) che prevedeva un intervento diretto dello Stato nel piano di salvataggio delle banche attraverso i sol-
di di tutti i contribuenti.
CAPITOLO 7
PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI
(L’ordine pubblico)

Sommario: 1. Principi generali e diritti fondamentali. – 2. Le clausole generali. – 3. Il personalismo (di-


gnità, solidarietà, autoresponsabilità, pluralismo). – 4. La buona fede. Buona fede soggettiva (affi-
damento e apparenza). – 5. Segue. Buona fede oggettiva (lealtà e correttezza). – 6. L’informazione
(trasparenza e conoscenza). – 7. La certezza del diritto (adeguatezza, proporzionalità e ragionevo-
lezza). – 8. La sussidiarietà (orizzontale e verticale). – 9. Lo stato sociale di diritto e l’ordine pubbli-
co interno e internazionale.

1. Principi generali e diritti fondamentali. – Si è visto come, con il termine “princi-


pi”, si tenda a esprimere una pluralità di concetti, vuoi rappresentativi di criteri logici di
singole discipline, vuoi espressivi di scelte generali dell’ordinamento per attingere ai di-
ritti fondamentali o fare da lievito a clausole generali (I, 1.4). È nelle ultime direzioni che
ora si porta l’approfondimento.
La trama dei principi generali connota storicamente un ordinamento giuridico, per
segnare la guida dell’azione pubblica e dell’agire privato ed esprimere il criterio di valu-
tazione dei comportamenti individuali e delle relazioni sociali (I, 1.4), oltre che di corro-
borazione delle regole di settore (I, 3.13). Non devono essere necessariamente formulati
in modo specifico in testi scritti, essendo desumibili dalle tante tessere dell’ordinamento,
che progressivamente si sovrappongono e si modificano, delineando il sistema valoriale
dell’ordinamento: ogni nuova norma, per essere portatrice di una scelta dell’ordinamen-
to, irradia sul sistema la nuova visuale ed è dal sistema orientata. Come si è visto, la fun-
zione dei principi generali, oggi, non è più solo quella di riempire le lacune dell’ordina-
mento attraverso l’analogia, come addita l’art. 12 delle disp. prel. c.c., ma anche di indi-
rizzare l’applicazione delle regole giuridiche o addirittura di imporsi direttamente, se-
condo l’attualità dei valori fondamentali.
I principi generali hanno una portata composita in quanto, talvolta, additano espres-
samente diritti fondamentali (es. il principio personalista e il principio di solidarietà), ta-
laltra si svolgono in regole strutturali di organizzazione e di comportamento della società
e delle istituzioni giuridiche in grado di realizzare i valori fondamentali (es. il principio
del giusto processo: III, 1.1.). I diritti fondamentali delineano sempre imprescindibili situa-
zioni giuridiche sostanziali di tutela (par. 8).
I principi generali, talvolta, sono espressamente previsti da specifiche normative in
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 207

singoli settori dell’ordinamento 1, talaltra sono desunti dal sistema nella sua interezza.
È tradizionale e tuttora ricorrente il dibattito se i principi generali siano derivazione
dell’ordinamento, ricavati in via induttiva da regole specifiche, o si aprano alla vitalità
della realtà sociale, comprendendone le novità. Si tende a ritenere che, nella prima di-
rezione, non svolgerebbero alcuna funzione siccome sintesi di regole già presenti nel-
l’ordinamento, mentre solo l’aderenza alla società che muta vi conferirebbe pregnan-
za e utilità. La problematica è articolata: l’impianto dei testi normativi potrebbe con il
passare del tempo risultare non coerente con l’evoluzione della società e gli stessi di-
ritti fondamentali iscritti in singole statuizioni potrebbero ricevere nel tempo acce-
zioni diversificate o trovare differenti rilevanze sociali. La valenza dei principi genera-
li va comunque ancorata a generali indici ordinamentali quali essenziali fattori di pre-
vedibilità e di coesione sociale, cogliendo dall’attualità del sistema la evoluzione stori-
ca dell’ordinamento Il tradizionale divario tra legge, diritto e giustizia va ricomposto
proprio nella prospettiva dei principi generali 2, che coinvolgono i diritti fondamentali
operanti nel diritto vivente come progressivamente si va formando. Principi generali
sono presenti in più testi di grande rilevanza giuridica, con sostanziale assonanza di
valori.
La Carta costituzionale si apre con un catalogo di “Principi fondamentali” (artt. 1-
12), che fa da sfondo a tutte le previsioni successive; tra gli stessi campeggiano le previ-
sioni degli artt. 2 e 3 ove sono affermati i diritti della persona umana e i doveri di solida-
rietà, che tutti li comprende (I, 2.7). L’art. 101 detta un fondamentale principio di adat-
tamento dell’ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale gene-
ralmente riconosciute 3. Vi è una tavola di diritti e doveri dei cittadini (artt. 13 ss.). Con
l’affermazione dei diritti civili e sociali della persona e dei doveri di solidarietà, espressi
dalla universalità dei diritti umani, le costituzioni del novecento modulano un liberali-
smo sociale che supera l’impostazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cit-

1
Ad es., la L. 27.7.2002 (recante lo Statuto del contribuente), all’art. 1, prevede che le disposizioni della
legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., costituiscono “princìpi generali dell’ordinamento tributa-
rio” e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. Peraltro la declinazio-
ne di essere attuazione di principi costituzionali, li rende principi generali dell’ordinamento.
2
È il divario tra legge e diritto (e giustizia), che da sempre attraversa il grande dilemma della giuridicità
della società. Nell’antica Grecia resta scolpita la vicenda di Antigone, conclusa con il suicidio della stessa.
Nella modernità resta sempre attuale il dilemma emerso nel processo di Norimberga: a fronte della tesi della
difesa di rispetto della legge da parte dei gerarchi del nazismo, la Corte rilevò come l’atrocità delle condotte
fosse in contrasto con il principio generale di valore dell’uomo di tutte le democrazie occidentali.
3
Le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute che tutelano la libertà e la dignità della perso-
na umana come valori fondamentali, e che configurano come crimini internazionali i comportamenti che più
gravemente attentano all’integrità di tali valori, sono parte integrante dell’ordinamento italiano e costituisco-
no parametro dell’ingiustizia del danno causato da un fatto doloso o colposo altrui (Cass., sez. un., 11-3-2004,
n. 5044). Si è successivamente precisato: L’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri per atti “iure
imperii” costituisce una prerogativa (e non un diritto) riconosciuta da norme consuetudinarie internazionali,
la cui operatività è preclusa nel nostro ordinamento, dopo la sentenza di Corte cost. 238/2014, per i delicta
imperii, per quei crimini, cioè, compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto tali lesi-
vi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali, segnando il punto di rottura
dell’esercizio tollerabile della sovranità (Cass., sez. un., 13-1-2017, n. 762; Cass., sez. un., 29-7-2016, n. 15812).
Allo Stato straniero non è accordata un’immunità totale dalla giurisdizione civile dello Stato territoriale, in
presenza di comportamenti di tale gravità da configurarsi quali crimini contro l’umanità (Cass., sez. un.,
14201/2008; Cass., sez. I, 11163/2011).
208 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

tadino del 1789, espressa dalla rivoluzione francese, orientata a forgiare un patrimonio
di garanzia e inviolabilità della persona.
Nel diritto europeo, assume un ruolo fondamentale la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, alla quale l’Unione attribuisce lo stesso valore dei Trattati (art. 61
TUE) (I, 2.10). Per il Preambolo della Carta l’Unione si fonda sui valori comuni (indivi-
duali e universali) della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà,
ed è basata sui principi della democrazia e dello Stato di diritto; pone la persona al cen-
tro della sua azione, istituendo la cittadinanza dell’unione e creando uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia. L’Unione aderisce anche alla Convenzione europea per la salvaguar-
dia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 62 TUE), i cui diritti fondamenta-
li, risultanti dalle “tradizioni costituzionali comuni agli stati membri”, fanno parte del dirit-
to dell’Unione in quanto “principi generali” (art. 63 TUE). Dai richiami del Trattato U.E.
alla Carta dir. fond. U.E. e alla Convenzione Edu consegue che i diritti fondamentali nutri-
scono i principi generali con valore di sovraordinazione nell’assetto delle fonti 4.
I valori delineati sono riproposti dal Trattato sull’Unione europea novellato, con la
prescrizione di una società caratterizzata da pluralismo, non discriminazione, tolleranza,
giustizia, solidarietà e parità tra donne e uomini, basata su un’economia sociale di merca-
to competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, a un elevato livello
di qualità dell’ambiente, alla solidarietà tra generazioni e alla tutela dei diritti del minore
(art. 2); è correlato il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, secondo cui l’U-
nione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica,
la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale (art.
10). Altri principi generali provengono da specifici strumenti europei: ad es. il principio
europeo “chi inquina paga”, espressione del principio della sostenibilità ambientale, di
cui alla direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e
riparazione del danno ambientale. Si è però visto della rilevanza che hanno assunto, nella
giurisprudenza della Corte costituzionale, i c.d. controlimiti costituzionali all’intervento
del diritto europeo nel territorio nazionale, a garanzia dei principi della Carta costituzio-
nale (I, 3.5).
Ulteriori principi generali provengono dalle Convenzioni internazionali ratificate dal
nostro paese. Tra le Convenzioni di carattere generale, specialmente, la Convenzione
ONU di Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e la richiamata Conven-
zione Edu del 1950, come modificata dal Protocollo del 2004. Tra le convenzioni di set-
tore, in particolare, la Convenzione di Oviedo del 1997 sui diritti dell’uomo e sulla bio-
medicina, nonché Protocollo sul divieto di clonazione di essere umani del 1998; la Con-
venzione ONU sui diritti del fanciullo del 1991; la Convenzione ONU sui diritti delle

4
Significative alcune pronunzie della Corte di giustizia U.E. Quando adottano misure attraverso le quali
attuano il diritto dell’Unione, gli Stati membri sono tenuti a rispettare i principi generali di tale diritto, nel
novero dei quali figurano, in particolare, i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento
(Corte giust. U.E. 26-5-2016, n. 260/14). Quando le disposizioni di una direttiva lasciano agli Stati membri
un margine di discrezionalità per definire misure di trasposizione che siano adeguate alle diverse situazioni
possibili, sono tenuti, non solo a interpretare il loro diritto nazionale conformemente alla direttiva di cui si
tratti, ma anche a fare in modo di non basarsi su un’interpretazione della stessa che entri in conflitto con i
diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto dell’Unione (Corte giust. U.E., grande sez.,
15-2-2016, n. 601/15).
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 209

persone con disabilità, con Protocollo opzionale, del 2006; la Carta sociale europea, con
annesso, di Strasburgo del 1996.
Si comprende come i principi generali non sono riferibili ad uno specifico settore (di-
ritto civile, diritto penale, diritto amministrativo, ecc.) ma alla complessità e unitarietà del-
l’ordinamento nella sua evoluzione, e sono perciò vincolanti per il giudice, che deve ap-
plicarli (iura novit curia): per un verso, orientano l’applicazione delle norme, colmando-
ne lacune ovvero interpretandone il significato per adeguarlo all’attualità dell’ordina-
mento; per altro verso, indirizzano la ricostruzione delle fattispecie concrete, valorizzan-
do circostanze e contegni nell’ambiente sociale di riferimento. Significativamente l’art. 13
della Costituzione tedesca prevede che i diritti fondamentali “vincolano la legislazione, il
potere esecutivo e la giurisdizione come diritti direttamente applicabili”. Il grande tema
della contemporaneità è quello delle condizioni e dei limiti dell’applicazione diretta (Dritt-
wirkung) dei principi costituzionali e di diritto europeo, quali fonti primarie, nei rappor-
ti tra privati, di cui si è detto.
Caratteristica dei principi è anche quella di esprimere una “trama aperta” in duplice
senso: per assumere linfa dall’evoluzione dell’ordinamento e della società; per apprestare
una disciplina alle novità non ancora regolate. Poiché peraltro i principi sono destinati
ad operare in contiguità e spesso a confliggere (si pensi ai valori di libertà e solidarietà in
materia di famiglia, ai valori di informazione e riservatezza nelle relazioni sociali), c’è l’e-
sigenza di un bilanciamento tra i vari principi che segna l’equilibrio tra gli stessi o an-
che la prevalenza dell’uno sull’altro in ragione della natura degli interessi coinvolti, della
tipologia dei valori eccitati e degli specifici contesti di emersione. Il bilanciamento non è
statico e assoluto ma è mutevole e relativo, destinato a evolvere perennemente in coeren-
za con l’emergere di nuovi beni della vita e nuove sensibilità sociali che storicamente ri-
definiscono le scale di valori, prospettando differenti equilibri sociali e giuridici, e così di
seguito secondo un perenne mutamento della scala dei valori.

2. Le clausole generali. – Si è anticipato come l’aderenza dell’ordinamento all’evol-


versi della realtà sociale venga assicurata in gran parte dalla tecnica di normazione per
clausole generali (I, 3.2). La natura delle clausole generali è molto controversa e molte
sono le definizioni delle stesse 5. In effetti il ricorso alle clausole generali esprime la ne-
cessità degli ordinamenti di far fronte a due fondamentali esigenze: da un lato, l’impos-
sibilità di disciplinare tutti i casi della realtà materiale e delle ipotesi che successivamente
possano emergere; dall’altro, e il dato è accentuato negli ordinamenti moderni, l’esigenza
di tenere conto del mutamento dei valori nei quali la società si riconosce. Le clausole ge-
nerali si nutrono essenzialmente dei principi generali, con una funzione integrativa e cor-
rettiva delle fattispecie concrete, per renderle compatibili con il sistema: sono perciò
connotate da elasticità e adattabilità. Si pensi alle previsioni di buona fede, corret-
tezza, diligenza, buon costume, interesse del minore, ecc.: sono norme necessariamente
elastiche, per essere caratterizzate da una formulazione generale e necessariamente ampia
che si riempie di contenuto attingendo ad ulteriori fattori di determinazione volta a volta

5
Le clausole generali, talvolta, sono definite come concetti giuridici indeterminati, concetti o norme val-
vola o in bianco, standards valutativi, principi generali, ecc.; talaltra sono distinte da tali formule, per attri-
buirsi autonomi significati. In realtà quando le clausole generali involgono l’operatività di principi generali
dell’ordinamento è inevitabile una contiguità fino ad un’assimilazione con questi ultimi.
210 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

operanti nel tempo; proprio per questo sono adattabili ai casi concreti che man mano si
prospettano, consentendone un adeguamento all’ordinamento.
Secondo un orientamento, la genericità della clausola generale andrebbe riempita con
il riferimento al concreto evolvere ed atteggiarsi della società e perciò secondo i valori
avvertiti dalla coscienza sociale: tale impostazione consente all’ordinamento di essere co-
stantemente aderente alla realtà materiale, ma ha il limite di esporre la individuazione
del contenuto della clausola alla ideologia del singolo interprete, perciò imprevedibile e
non controllabile 6.
Si ripropone per le clausole generali il medesimo divario operante per i principi ge-
nerali, se cioè vadano ricavate in via induttiva da regole specifiche, o si aprano alla vitali-
tà della realtà sociale. Anche per le clausole generali, nella prima direzione, non svolge-
rebbero alcuna funzione siccome sintesi di regole già presenti nell’ordinamento; mentre
nella seconda direzione sono suscettibili di arbitri 7. Come si è visto per l’applicazione
dei principi generali, il rispetto della fondamentale esigenza sociale ed economica di pre-
vedibilità del diritto applicato deve spingere verso un referente normativo che tenga
conto del sistema ordinamentale storicamente operante. Si comprende così come una stes-
sa clausola generale possa nel tempo riempirsi di contenuti diversi in ragione dell’evolvere
dei valori positivamente espressi. Si vedrà, ad es., come il contenuto della buona fede (che è
la clausola generale per antonomasia), con l’avvento della Carta costituzionale, abbia as-
sunto un significato ulteriore rispetto a quello ricavabile dal codice civile; analogamente
la clausola di responsabilità è valsa ad apprestare tutela alla lesione di tutti gli interessi co-
stituzionalmente rilevanti e garantiti (non solo espressivi di diritti soggettivi ma anche
connessi a interessi legittimi).
Alcune di tali clausole sono già diffusamente presenti nel codice civile: con vocazione
più generale, come le clausole di “buona fede” (es. artt. 1337, 1358, 1366, 1375) e “cor-
rettezza” (es. art. 1175), di “diligenza” (es. artt. 1176, 1101), di “buon costume” (es. artt.
1343, 2035); oppure con riferimento più specifico, come le clausole di “normale tollera-
bilità” con riferimento alla verifica delle immissioni (art. 844 c.c.), di recesso per “giusta
causa” nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (art. 2119), di “ordinaria e straordina-
ria amministrazione”, per segnare le competenze nella cura di interessi comuni (es. art.
180 relativamente alla comunione legale), di “equo contemperamento degli interessi del-
le parti” nella interpretazione dei contratti a titolo oneroso (art. 1371). Sono proprio tali
clausole, che hanno assunto nel tempo ampiezza e valenza ulteriori, a consentire vitalità e
longevità al codice civile, per il perenne adeguamento alla legalità costituzionale e europea.

6
L’applicazione delle clausole generali comporta un’operazione valutativa da parte del giudice di merito
che non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo
seguito nell’applicazione della clausola generale, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo
deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costi-
tuzionali, e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la concreta fattispecie si colloca (Cass.
22-4-2000, n. 5299).
7
L’applicazione delle clausole generali comporta un’operazione valutativa da parte del giudice di merito
che non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo
seguito nell’applicazione della clausola generale, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo
deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costi-
tuzionali, e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la concreta fattispecie si colloca (Cass.
22-4-2000, n. 5299).
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 211

Altre clausole generali stanno emergendo in virtù della legislazione successiva al codi-
ce civile, sotto l’influsso della Carta costituzionale o perché impiegate nella normativa
europea o in convenzioni internazionali. Il diritto di famiglia è di recente attraversato da
molte clausole generali: formule come “interesse del minore”, “intollerabilità della con-
vivenza”, “bigenitorialità”, comportano l’attribuzione al giudice di un incisivo potere per
la determinazione del reale contenuto delle stesse nelle singole fattispecie. In diritto so-
cietario, fondamentali i principi di chiarezza, verità, correttezza e prudenza nella reda-
zione dei bilanci (artt. 2423 ss. novell. c.c.).
Nella normativa di provenienza europea emblematica è la clausola generale del “di-
vieto di abuso del diritto”, contenuta nelle fondamentali convenzioni europee sui diritti
dell’uomo e sulle libertà fondamentali e ormai applicata in più direzioni (II, 3.4) 8; molto
impiegata è anche la clausola generale del “divieto di significativo squilibrio” a tutela dei
consumatori nei contratti per adesione (es. art. 33 D.Lgs. 206/2005) e quella del “divieto
di posizione dominante” a presidio di imprenditori deboli (art. 9 L. 192/1998 in tema di
subfornitura). La normazione per clausole generali svolge un ruolo essenziale nello svi-
luppo del diritto europeo, favorendo l’adattamento di principi comunitari alle diverse espe-
rienze giuridiche nazionali 9.
Si ha di seguito riguardo ai principi generali (e connesse clausole generali) espressivi
di fondamentali valori dell’ordinamento e perciò di più diffusa applicazione, rinviando
alle singole sedi la trattazione di principi e clausole operanti nelle specifiche materie.

3. Il personalismo (dignità, solidarietà, autoresponsabilità, pluralismo). – Nel


delineare lo sviluppo storico dell’attuale diritto privato, si è visto come filo conduttore
della modernità sia stato il conseguimento delle libertà dell’uomo: la forza rivoluzionaria
della libertà si coniugava alla potenza vitale della volontà, delineando gli istituti espressi-
vi della libera volontà umana.
Con il costituzionalismo del sec. XX è maturata la consapevolezza della essenziale ri-
levanza del personalismo, per la realizzazione della persona umana nella sua effettività
di svolgimento. Il principio personalista rappresenta il valore fondamentale che ispira e
attraversa l’intera Carta costituzionale e irrora l’intero ordinamento; nella prospettiva del
diritto privato, essenzialmente si svolge nella dignità della persona umana, nella indivi-
dualità e nella relazionalità sociale, cui si connettono i principi di uguaglianza e solidarie-
tà, sostenuti dal pluralismo.

8
Per il § 226 BGB l’esercizio di un diritto è inammissibile se può avere “solo lo scopo di arrecare danno a
un altro”. In Italia un riferimento è nel divieto introdotta in materia tributaria della clausola generale antielu-
siva: per l’art. 10 bis L. 27.7.2000, n. 212 (che assorbe l’art. 37 bis L. 29.9.1973, n. 600, inserito dall’art. 71
D.Lgs. 8.10.1997, n. 358) configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che,
pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti; tali operazioni
non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla
base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette
operazioni.
9
Ad es., si legge nella motivazione di Corte giust. C.E. 6-2-2003, C-245/00, che la nozione di “equa re-
munerazione” che figura nell’art. 8, n. 2, della direttiva 92/100 deve essere interpretata in modo uniforme in
tutti gli Stati membri ed attuata da ciascuno Stato membro, il quale determina, nell’ambito del proprio terri-
torio, i criteri più pertinenti per assicurare, entro i limiti imposti dal diritto comunitario, ed in particolare dal-
la suddetta direttiva, l’osservanza di tale nozione comunitaria.
212 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

a) Il valore della dignità della persona umana opera, così di fronte all’ordinamento
che nelle relazioni sociali (art. 3 Cost.) (I, 2.7; IV, 2.4). La tutela della dignità della per-
sona umana ha ispirato la legislazione successiva, come ha orientato l’interpretazione
della legislazione precedente. L’art. 1 della Costituzione tedesca (Legge fondamentale
per la Repubblica Federale di Germania del 23 maggio 1949) è perentorio: “La dignità
dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”. Lo stes-
so principio sarà ripetuto dall’art. 1 della Carta dir. fond. U.E.: “La dignità umana è in-
violabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. La dignità genera vari valori, come la
uguaglianza, la relazionalità, la solidarietà.
Certamente si nasce con le proprie caratteristiche fisiche e intellettive e con la propria
indole caratteriale; si cresce svolgendo intrinseche capacità, attitudini e sensibilità, se-
condo le peculiarità della persona; il tutto in un ambiente territoriale e in un contesto di
appartenenza familiare e sociale, che orientano la formazione culturale, professionale e
financo la sensibilità della persona. Il principio di uguaglianza si svolge con riguardo alla
rilevanza giuridica delle persone e cioè rispetto al trattamento giuridico riservato. Per
l’art. 31 Cost. “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condi-
zioni personali e sociali”. Vi è una uguaglianza nella dignità sociale e nei diritti (a comin-
ciare dai diritti previsti dalla Carta cost. agli artt. 13 ss.), con pari trattamento giuridico
(uguaglianza formale). Il principio si lega all’altro principio del divieto di discriminazione,
eliminandosi le ragioni di odiosa diversità (si pensi alla razza e al sesso) e le aree di in-
dulgenti immunità e dispense (si pensi alle confessioni religiose) che avevano caratteriz-
zato le epoche precedenti (art. 31). Intorno a tale tema si svolge il dibattito sulla egua-
glianza di genere, ai fini del trattamento non discriminatorio delle relazioni omoaffettive
nei rapporti interni e nella collocazione sociale.
Per l’art. 32 Cost. “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine econo-
mico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’or-
ganizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Vi è la consapevolezza del divario
di fatto delle condizioni materiali dei cittadini, per le specificità naturali o sociali o cultu-
rali di riferimento, per cui è necessario accordare le stesse opportunità e rimuovere i fat-
tori di disparità sociale e economica (uguaglianza sostanziale). Si vedrà in seguito delle
articolazioni dello stato sociale per rendere effettivo il diritto di uguaglianza.
Intorno al principio di uguaglianza è informata anche l’azione pubblica: i pubblici uf-
fici sono organizzati secondo i criteri del buon andamento e della imparzialità (art. 97
Cost.); ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, da-
vanti al giudice terzo e imparziale (art. 111 Cost.).
b) La Carta costituzionale ha rimosso il principio di solidarietà dal campo economi-
co, nel quale l’aveva racchiuso il codice civile, per connetterlo all’area del personalismo.
Negli artt. 2 e 3 Cost. è raffigurata una solidarietà, come posizione di dovere connessa a
quella dei diritti: la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solida-
rietà politica, economica e sociale (art. 22). Nella Carta diritti fond. U.E. un intero titolo
(IV) è dedicato alla “Solidarietà”, che ormai coinvolge tutte le libertà ed è presidio della
democrazia nell’attuale atteggiarsi della convivenza civile.
Il dato nuovo dell’attuale configurazione della solidarietà è la connessione alla perso-
nalità: il personalismo, correlato al solidarismo, si svolge attraverso una tavola di diritti la
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 213

cui realizzazione implica un catalogo di doveri correlati 10, che conferiscono effettività
alla dignità umana nella società.
In definitiva è consolidato il catalogo delle libertà (etica, religiosa, politica e di inizia-
tiva individuale) con i relativi pensieri, sentimenti e impulsi, come fattori essenziali di pro-
gettualità e sviluppo; ma ogni azione individuale incontra il limite scheletrico dell’altrui-
tà, non solo come inviolabilità dall’altro, ma anche come dovere di intervento per l’altro,
nei limiti di un ragionevole sacrificio: è proprio il dovere di prestazione in favore dell’al-
tro a segnare la cifra del costituzionalismo liberale sociale, per esprimere il senso di ap-
partenenza ad una comunità e più in generale all’umanità, condividendone problemi,
rischi, bisogni, prospettive: la solidarietà si atteggia come criterio fondamentale di civiltà
e convivenza umana, cui, con ispirazioni diverse, tendono più ideologie politiche e cultu-
rali e diffuse professioni religiose: in alcuni spazi della vita diventa addirittura sofferta
esperienza di sopravvivenza umana 11. Alla solidarietà è ricondotto anche il principio di
buona fede (di cui appresso). C’è una interazione tra efficienza e solidarietà, non sussi-
stendo l’una senza l’altra, entrambe essenziali alla coesione sociale 12.
È il fondamentale intreccio tra diritti e doveri, di cui si avverte esplicita espressione
nel mondo del lavoro: l’art. 4 Cost., da un lato, riconosce a tutti i cittadini il diritto al la-
voro (co. 1), promuovendo la repubblica le condizioni che rendano effettivo tale diritto;
dall’altro impone a ogni cittadino il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la
propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale
della società (co. 2). È l’idea forte di comunità a orientare sia l’attribuzione di diritti che
l’assolvimento di doveri.
c) Il principio dell’autoresponsabilità è maturato sul terreno dell’autonomia negoziale
come limite alla teoria della volontà, per cui l’autore della dichiarazione di volontà ri-
sponde per il comportamento colpevole (doloso o colposo) avuto nella formazione del
negozio, ingenerando la fiducia nell’esistenza di una situazione giuridica in realtà inesi-
stente. La responsabilità nel suscitare l’affidamento del terzo supplisce l’assenza di vo-
lontà negoziale, sicché il negozio produce egualmente effetto; ciò che vale anche ad assi-
curare la certezza del diritto.

10
Efficace il vigoroso discorso sulla Costituzione del 1955 di P. CALAMANDREI che, parlando a giovani
milanesi, li esortava a un impegno morale e civile a difesa della Costituzione, rilevando come la stessa non
fosse solo una polemica contro il passato, per la riattivazione delle libertà giuridiche e politiche, ma contenesse
anche una polemica contro il presente per essere l’affermazione solenne della solidarietà sociale ed umana: “è la
carta della propria libertà, della propria dignità di uomo”.
11
Per l’art. 485 cod. nav., avvenuto un urto tra navi, il comandante di ciascuna nave è tenuto a prestare
soccorso alle altre, al loro equipaggio ed ai loro passeggeri, sempre che lo possa fare senza grave pericolo
per la sua nave e per le persone che sono a bordo. Si pensi alla vita nelle asperità della montagna o tra i
pericoli del mare. È efficace l’espressione di H. Harmon: “Tutti i mortali sono, chi più chi meno, naufra-
ghi, e i soccorritori, con il gesto che compiono, salvano una parte di se stessi, rinascono mentre assicurano
la vita”.
12
Il problema è particolarmente avvertito a seguito della L. cost. 20.4.2012, n. 1, che ha inserito nella Car-
ta costituzionale il principio di pareggiamento del bilancio (artt. 81 e 119 Cost.), di cui al Trattato sulla stabi-
lità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria firmato il 2.3.2012 (c.d. fiscal
compact), ratif. e reso esec. con L. 23.7.2012, n. 114, alla stregua del criterio di “sviluppo sostenibile” in una
“economia sociale di mercato” indicato dall’Unione europea (art. 23, TUE), che realizza la solidarietà sociale
in un contesto di sopportabilità economica.
214 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

Più di recente il principio è evoluto nel dovere di responsabilità nelle relazioni so-
ciali, connettendosi al principio di solidarietà, coniugando autodeterminazione e re-
sponsabilità, per cui ogni soggetto ha diritto di esplicare liberamente la propria azione,
ma risente le conseguenze pregiudizievoli della propria condotta: ognuno risponde dei
propri comportamenti, sia quando sono consapevoli e volontari, sia quando non sono
assunte le necessarie cautele e adottate le regole di comune diligenza, ragionevolmente
esigibili nei comportamenti della vita sociale. Analogamente risponde quando, nelle
relazioni sociali, non svolge l’azione utile alla tutela di posizioni aliene. Una significati-
va applicazione è in tema di responsabilità da inadempimento, per concorso del fatto
colposo del creditore (art. 1227), che l’art. 2056 estende al fatto del danneggiato per
fatto illecito altrui.
d) Al personalismo si lega anche il valore del pluralismo come essenziale mezzo di
sviluppo della personalità dell’uomo. Per l’art. 2 Cost. “La repubblica riconosce e garan-
tisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità”. È un principio che si irradia nella complessa vita delle relazio-
ni umane, come criterio di professione della fede religiosa, di organizzazione della vita
politica e di scelte del potere pubblico, di svolgimento della vita culturale; il pluralismo
dell’informazione e degli studi è lievito della ricerca scientifica ed è presidio essenziale di
democraticità. È il fondamento di formazione e coesistenza di uomini e gruppi di orien-
tamento diverso sul piano etnico, razziale, religioso, culturale, politico, ecc., con pari par-
tecipazione alla vita pubblica.
Sono disciplinate specifiche formazioni sociali, considerate fondamentali: es. asso-
ciazioni (art. 18); confessioni religiose (art. 19); famiglia fondata sul matrimonio (art.
29); scuola (art. 34); sindacati (art. 39); partiti (art. 49). È un elenco non tassativo:
l’ampia formula dell’art. 2 Cost. consente di ricollegarvi altre aggregazioni sociali,
come ad es. le convivenze familiari di fatto che sono esperienze di vita convissuta, pe-
raltro di recente anche con rilevanza giuridica (IV, 3.1). L’interesse particolare si at-
teggia nella duplice direzione di interesse individuale (del singolo) e interesse colletti-
vo (del gruppo). Si è visto come il pluralismo operi, non solo nella organizzazione so-
ciale, ma anche nella strutturazione ordinamentale e nella conformazione istituzionale
(I, 2.8).

4. La buona fede. Buona fede soggettiva (affidamento e apparenza). – Tra le


clausole generali assume un primario rilievo la clausola di buona fede, fino a potersi con-
siderare come assorbente di ogni altra, per essere idealmente presupposta da ogni altra
clausola. Nella sua essenzialità la buona fede esprime l’aspirazione ad una relazionalità
civile cementata da un vincolo di fiducia come affidabilità tra i consociati 13. In tal senso

13
La fides, nella Roma specie repubblicana, esprimeva un principio fondamentale dell’etica politica: il po-
litico otteneva consensi, godeva di prestigio per la fiducia che ispirava, che volta a volta poteva significare
onestà, lealtà, serietà, rispetto della parola data e alla promessa fatta. Nei rapporti tra superiori e inferiori e
anche nei rapporti tra governo di Roma e popoli alleati o sottoposti fides indicava il complesso di obblighi
reciproci, mutua assistenza, solidarietà in momenti di bisogno o di pericolo, rispettivamente protezione e de-
vozione. La società moderna, smarrendo alcuni fondamentali valori, rende la fiducia una virtù sempre più
rara; lo sviluppo poi delle tecnologie di internet sottopone ad una costante decifrazione della verità delle no-
tizie apprese.
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 215

il dovere di buona fede, già immaginato come attenzione alle situazioni reciproche 14, è
stato innestato nel dovere di solidarietà, irrelato con i diritti della personalità (art. 2
Cost.), di cui si è detto. La clausola di buona fede si specifica in due fondamentali diret-
tive di svolgimento in ragione della prospettiva di osservazione della relazione sociale,
con riguardo al destinatario o all’autore del comportamento: emerge così la distinzione
tra buona fede soggettiva e buona fede oggettiva: della prima si parla di seguito, della
seconda successivamente.
La buona fede soggettiva esprime uno stato soggettivo (o psicologico) conosciti-
vo, come ignoranza della realtà. La legge tutela la situazione soggettiva del soggetto che,
senza colpa, ignora la esistenza di un fatto o di un diritto, ovvero considera esistente in
quanto apparente un fatto o un diritto che non sussiste.
a) La tutela dell’affidamento è principio cardine del codice civile del 1942, maturato
a seguito di un lungo percorso storico. Intorno agli atti di disposizione dei beni tradizio-
nalmente si sono svolti due atteggiamenti in perenne tensione: uno, di remota derivazio-
ne romanistica, rinverdito dalle aspirazioni giusnaturalistiche e illuministiche, di garanti-
re la inviolabilità e la conservazione della proprietà con la tutela preferenziale della libertà e
della volontà del titolare che si disfa del bene; un diverso atteggiamento, di emersione più
recente, legato allo sviluppo della economia produttiva, di favore per la circolazione e lo
scambio dei beni, con la protezione preferenziale del soggetto che accede al bene.
La tutela dell’affidamento del destinatario e dei terzi che ripongono fiducia sulla di-
chiarazione del disponente pervade l’intero codice civile. Tale tutela non esprime un
principio di socialità, per prescindere dalla natura degli interessi coinvolti e dall’apparte-
nenza sociale del destinatario della dichiarazione come dei terzi. Con la protezione indif-
ferenziata del destinatario della dichiarazione e dei terzi che hanno fatto affidamento sul-
la dichiarazione del disponente è piuttosto introdotto un criterio funzionale alla econo-
mia di mercato di assicurare la certezza degli scambi economici e della collocazione dei
prodotti; non si comprenderebbe altrimenti perché la posizione del destinatario della
dichiarazione o dei terzi sia valutata degna di maggiore tutela rispetto a quella dell’au-
tore della dichiarazione.
Essendo gli atti giuridici (e specificamente i negozi giuridici) destinati ad operare nel-
la realtà sociale, sussistono nell’ordinamento criteri correttivi della rilevanza degli atti nei
rapporti sociali, attraverso i principi della autoresponsabilità dell’autore della dichiara-
zione e dell’affidamento del destinatario della dichiarazione (o del terzo). Lo svolgimen-
to delle relazioni sociali implica affidabilità nei comportamenti; ciò però non può com-
portare deresponsabilizzazione e mancata verifica della realtà, a tutela della stessa sicurezza
giuridica: anche quando esiste un dovere di informare, non può venire meno un dovere di
informarsi. Perciò la legge tutela non la negligente ignoranza ma solo lo stato psicologico
dell’affidamento incolpevole (c.d. affidamento legittimo) 15.

14
Nella Relaz. minist. cod. civ., il dovere di buona fede “richiama nella sfera del creditore la considerazio-
ne dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”.
15
Secondo la Relaz. cod. civ., n. 652, la sicurezza del credito e degli scambi ha imposto di dare rilevanza
giuridica solo all’affidamento creato dal significato che socialmente può darsi alla dichiarazione, nel quale
soltanto si concreta e vive l’unico intento che il diritto riconosce e tutela. Secondo la sintesi di F. Santoro Pas-
sarelli, dalle varie norme del codice civile si trae un principio del “rischio del dichiarante per l’affidamento
senza colpa del destinatario o di altro interessato nella dichiarazione”.
216 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

Le regole fondamentali sulla buona fede soggettiva sono dettate con riguardo al pos-
sesso di buona fede (art. 1147) 16 (VI, 5.4). La norma qualifica possessore di buona fede
“chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto”, stabilendo due principi: la buona fede
non giova se la ignoranza dipende da colpa grave; la buona fede è presunta e basta che vi
sia stata al tempo dell’acquisto. Relativamente ai beni mobili, la buona fede sostiene il
principio “possesso vale titolo” (art. 1153) e orienta la preferenza tra più aventi causa
(art. 1155). Altre ipotesi sono disseminate nel codice civile 17. Il principio ha trovato ap-
plicazione anche con riferimento all’improvviso mutamento giurisprudenziale (overrul-
ing), dal quale conseguirebbero preclusioni processuali (I, 3.16).
b) Una specificazione dell’affidamento è l’apparenza giuridica, rinvenibile quando lo
stato soggettivo di affidamento si fonda sull’apparente esistenza di una situazione giuri-
dica, in realtà inesistente: è cioè attribuita rilevanza giuridica a situazioni socialmente ap-
parenti come giuridiche, benché tali non siano. Il principio dell’apparenza giuridica è col-
legato all’esigenza di tutela della certezza del diritto e della circolazione giuridica, quali
fondamentali esigenze del sistema economico 18. La tutela dell’apparenza compromette
però altri interessi, il cui bilanciamento ha generato un divario di rilevanza quale appa-
renza pura o come apparenza colposa.

Si è rilevato come tale principio resti incomprensibile se guardato nella prospettiva del singolo atto,
non comprendendosi perché la posizione di un destinatario della dichiarazione e in genere di terzi sia
maggiormente meritevole di tutela rispetto alla posizione dell’autore della dichiarazione o del titolare del
diritto, che si trova a subire gli effetti di un negozio non voluto e spesso contro la sua volontà. Il principio
si comprende (anche se non sempre si giustifica) se riguardato nella generale prospettiva dell’organizza-
zione economica: la tutela dell’affidamento è correlata alla sicurezza del traffico giuridico, quale esigenza
connaturata allo sviluppo economico fondato sulla iniziativa privata e sul mercato. In tale quadro, nella
disciplina del codice, il principio dell’affidamento presidia la circolazione dei beni, favorendo la colloca-
zione dei prodotti e il mercato.
16
Quando le norme facciano riferimento alla buona fede senza nulla dire in ordine a ciò che vale ad inte-
grarla o ad escluderla, ovvero al soggetto tenuto a provarne l’esistenza o ad altri profili di rilevanza della stes-
sa, si deve, in linea di principio, fare riferimento all’art. 1147 (Cass. 4-3-2002, n. 3102).
17
Una nutrita normativa è anche in tema di successione relativamente all’acquisto dall’erede apparente
(art. 534). Molte altre ipotesi sono in tema di obbligazioni e contratti: ad es., il pagamento al creditore appa-
rente (art. 1189), l’acquisto di diritti dal titolare apparente (artt. 1415 e 1416); in tema di rappresentanza sen-
za potere, il falso rappresentante è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confi-
dato senza sua colpa nella efficacia del contratto (art. 1398). Di ampia portata è la previsione che l’annulla-
mento del contratto, che non dipende da incapacità legale, non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso
dai terzi di buona fede (che cioè ignoravano o comunque non potevano conoscere con la ordinaria diligenza
la causa di annullabilità), salvi gli effetti della trascrizione della domanda giudiziale (art. 1445) (VIII, 8.6).
Anche con riguardo al matrimonio nullo, se i coniugi lo hanno contratto in buona fede (cioè ignorando la invali-
dità) (c.d. matrimonio putativo), il matrimonio produce tra i coniugi gli effetti del matrimonio valido fino alla
sentenza che pronunzia la nullità (art. 1281) (V, 2.6).
18
L’apparenza del diritto non integra un istituto a carattere generale con connotazioni definite e preci-
se ma, al contrario, opera nell’ambito dei singoli negozi giuridici secondo il vario grado di tolleranza di
questi, in ordine alla prevalenza dello schema apparente su quello reale (Cass. 25-3-2013, n. 7473). Per
Cass., sez. un., 8-4-2002, n. 5035, il principio dell’apparenza del diritto – ancorché riconducibile a quello
più generale della tutela dell’affidamento incolpevole – ha, però, una sua innegabile specificità e peculiarità,
venendo in considerazione solo in presenza dell’esigenza di tutelare il terzo in buona fede in ordine alla cor-
rispondenza fra la situazione apparente e quella reale (si è escluso che sia applicabile nei rapporti tra con-
dominio e singolo condomino). Per Cass. 31-3-2006, n. 7629, tale principio è di natura sostanziale e non
processuale.
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 217

Si ha apparenza pura quando è sufficiente che ricorrano due soli presupposti: uno
stato di fatto formalmente rispondente ad una realtà giuridica; l’incolpevole convinci-
mento del terzo che le due situazioni coincidano. Figure di apparenza pura sono già nel
codice civile: ad es., il debitore che esegue il pagamento a un creditore apparente, è libe-
rato se prova di essere stato in buona fede (art. 1189) (anche se, come si vedrà, la giuri-
sprudenza tende a richiedere anche l’azione colposa del creditore); in materia successo-
ria, sono salvi i diritti dei terzi che abbiano acquistato a titolo oneroso dall’erede appa-
rente quando provano di aver contrattato in buona fede (art. 534) (cioè ignorando senza
colpa che l’alienante non fosse erede).
Si ha apparenza colposa (o colpevole) quando, in aggiunta ai due presupposti so-
pra indicati, è richiesto l’ulteriore presupposto della condotta colpevole del soggetto che
ha ingenerato l’apparenza, secondo un criterio di autoresponsabilità. Tale modello di
apparenza è stato essenzialmente ricostruito con riferimento alla rappresentanza appa-
rente (di cui si parlerà in seguito: VIII, 8.7) e alla società apparente 19 e poi impiegato in
varie altre ipotesi 20. Anche fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge, la giurispru-
denza tende a valorizzare il principio dell’autoresponsabilità, per cui l’effettivo titolare
della situazione giuridica non può ricevere pregiudizio dall’affidamento altrui senza il
concorso di una propria responsabilità nella creazione dell’apparenza: la condotta col-
pevole del titolare del diritto (generatrice dell’altrui affidamento incolpevole) è ricondot-
ta all’alveo generale della responsabilità civile.
In entrambe le forme, come si è anticipato, l’apparenza non può rilevare in presenza
di un comportamento del terzo negligente, per non avere verificato la legalità di atti e
comportamenti apparenti o non avere compiuto le verifiche che il sistema consente di
attuare 21. Quando gli atti siano formalizzati in pubblici registri, l’apparenza del diritto
non può essere invocata da chi trascuri di ispezionare i registri pubblicitari: la pubblici-
tà, procurando la conoscibilità legale, costituisce un limite legale all’efficacia dell’appa-
renza giuridica 22 (XIV, 1.2). Apparenza e pubblicità sono gli essenziali modelli di rile-
vanza e opponibilità di fatti e atti giuridici nei confronti dei terzi. L’ordinamento giuri-

19
Per la giurisprudenza la società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte
ai terzi quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l’insorgere dell’opinio-
ne ragionevole che essi agiscano come soci e del conseguente legittimo affidamento circa l’esistenza della so-
cietà stessa: a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trattato col socio appa-
rente provi un comportamento che, secondo l’apprezzamento insindacabile del giudice di merito, sia idoneo
a designare la società come titolare del rapporto (Cass. 20-4-2006, n. 9250; Cass. 21-6-2004, n. 11491). La
società apparente tutela il mercato a danno dei creditori dei soci.
20
Ad es. l’intermediario finanziario può essere chiamato a rispondere di un illecito compiuto in danno di
terzi da chi appaia essere un suo promotore, ed in tale apparente veste abbia commesso l’illecito, ogni qual
volta l’affidamento del terzo risulti incolpevole e alla falsa rappresentazione della realtà abbia invece concorso
un comportamento colpevole (ancorché solo omissivo) dell’intermediario medesimo (Cass. 7-4-2006, n. 8229).
Altra ipotesi è stata ravvisata con riferimento alle obbligazioni contratte separatamente dai coniugi (Cass. 6-
10-2004, n. 19947; Cass. 7-7-1995, n. 7501).
21
Ad es. la verifica di forma scritta della procura alla vendita di immobili (Cass. 25-3-2013, n. 7473). Con
riferimento alla rappresentanza delle persone giuridiche, la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità median-
te i quali sia possibile controllare la consistenza effettiva dell’altrui potere, come accade in ipotesi di organi di
imprese commerciali regolarmente costituiti (Cass. 18-5-2005, n. 10375).
22
Nella efficace sintesi di A. FALZEA: “l’apparenza è uno strumento elastico, idoneo a penetrare nei cam-
pi in cui il formalismo giuridico non ha avuto possibilità di esplicarsi”.
218 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

dico ricollega ad entrambe le figure un dovere informativo in una duplice direzione: co-
me obbligo di informare gli altri (c.d. informazione transitiva) e come dovere di infor-
marsi (c.d. informazione riflessiva), connettendo ad entrambe le attività e alle relative
omissioni conseguenze giuridiche.

5. Segue. Buona fede oggettiva (lealtà e correttezza). – A differenza della buona


fede soggettiva che esprime uno stato soggettivo conoscitivo, la buona fede oggettiva è
riferita al contegno, ed indica un dovere di comportamento e più precisamente il
dovere di comportarsi con lealtà e correttezza. Il principio esprime un fondamentale va-
lore dell’ordinamento che ingloba sia un dovere negativo di non gabellare gli altri con la
menzogna o la reticenza sia un dovere positivo di comportamento collaborativo verso gli
altri: il dovere si specifica volta a volta in relazione al contesto di interessi in cui opera
(con riguardo alla qualità dei soggetti, alle circostanze del fatto e alla natura degli inte-
ressi coinvolti).
Il principio di buona fede è assurto a generale parametro di verifica del comporta-
mento dei soggetti, sovrintendendo all’applicazione di ogni precetto giuridico, come cri-
terio di “chiusura” del sistema 23, indicando la conformità del comportamento a standard
giuridicamente esigibili, secondo un fondamentale dovere di solidarietà 24: si è configura-
to un generale dovere di salvaguardia dell’interesse altrui nei limiti di un sacrificio soste-
nibile e cioè nella misura in cui non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio cari-
co 25. È ormai acquisita l’idea che, per determinare il concreto contenuto dei parametri
di correttezza e buona fede, sia necessario riferirsi ai fondamentali principi di solidarietà
sociale previsti dalle generali previsioni degli artt. 2 e 3 e degli artt. 36, 37, 39, 41 e 42

23
Tradizionalmente si contendono il campo due fondamentali orientamenti, a seconda che la buona fede
sia collegata allo svolgimento del concreto rapporto e perciò al contesto nel quale il rapporto è maturato (le
circostanze del contratto, le trattative, ecc.), ovvero venga connessa a valori generali (di carattere ordinamentale
o in senso lato sociale): nella prima direzione, la clausola assume il significato di obbligo di lealtà e correttezza
secondo lo specifico regolamento di interessi (giustizia commutativa); nella seconda direzione, acquista il si-
gnificato più ampio di necessaria aderenza dei comportamenti e dei rapporti ai valori dell’ordinamento (giu-
stizia distributiva). In realtà bisogna compiere una sintesi dei due criteri e avere riguardo ai valori dell’ordi-
namento applicati al caso concreto.
24
Il principio di correttezza e buona fede, quale dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost., esplica la
sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da pre-
servare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espres-
samente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può di-
scendere, anche di per sé, un danno risarcibile (Cass., sez. un., 25-11-2008, n. 28056). L’obbligo di buona fe-
de oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di
solidarietà sociale, applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale, in quest’ultima ipotesi designando
una regola di comportamento in base alla quale il soggetto è tenuto, a prescindere dalla sussistenza di specifi-
ci obblighi contrattuali, a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale nonché volto
alla salvaguardia dell’utilità altrui (nei limiti dell’apprezzabile sacrificio), dalla cui violazione conseguono pro-
fili di responsabilità (Cass. 29-1-2018, n. 2057; Cass. 8154/2014; Cass. 1178/2014).
25
Il precetto dell’art. 2 Cost. (come adempimento dei doveri di solidarietà) entra direttamente nel con-
tratto, unitamente con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, con conseguente rilevabilità
ex officio della nullità della clausola, in caso di contrasto, ai sensi dell’art. 1418 c.c. (Corte cost. 2-4-2014, n.
77). Il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto impone a ciascuna delle parti il do-
vere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi
contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (Cass. 11-2-2021, n. 3543).
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 219

Cost., nonché degli artt. 27 ss. dalla Carta dir. fond. U.E. Trova specifica previsione in
tema di obbligazioni e contratti, per il vincolo che si determina tra le parti del contratto e
in generale tra i soggetti del rapporto obbligatorio; è prescritto sia nella disciplina gene-
rale del contratto 26 che con riferimento a singoli contratti 27. È applicato anche con ri-
guardo alla responsabilità extracontrattuale nella valutazione dei comportamenti tenuti 28.
Pure nel processo le parti devono comportarsi con lealtà e probità (art. 88 c.p.c.).
Il dovere di buona fede è distinto da quello, contiguo, del dovere di diligenza nell’a-
dempimento dell’obbligazione (es. art. 1176). Quest’ultimo allude al dovere della parte
di comportarsi senza colpa e cioè, in generale, di non incorrere in negligenza, impruden-
za o imperizia. Invece la buona fede allude alla lealtà e correttezza dei rapporti: i due
doveri esprimono due prospettive di osservazione del generale dovere di collaborazione
cui deve informarsi il comportamento di ciascuno nelle relazioni giuridiche.
La giurisprudenza, sulla scorta della regola del divieto degli atti emulativi (art. 833),
ha ricollegato al principio di buona fede oggettiva la elaborazione di un principio gene-
rale di divieto dell’abuso del diritto, nel senso di un esercizio del diritto volto a con-
seguire effetti diversi da quelli per i quali il diritto stesso è conferito 29 (II, 3.4).
Questo articolato impianto privatistico di tutela della buona fede, declinata in soggetti-
va e oggettiva, è ormai un criterio guida anche dell’azione della pubblica amministrazione,
così nell’operato materiale che nell’attività amministrativa. Per l’art. 12bis L. 241/1990, i
rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della
collaborazione e della buona fede 30. La lesione dell’aspettativa del privato può sorgere

26
Già nella formazione dell’accordo e durante le trattative le parti sono obbligate a comportarsi secondo
buona fede (artt. 1337 e 1338); analogamente, chi ha alienato o acquistato sotto condizione, durante la pen-
denza della stessa, deve comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte (art.
1358). Inoltre il contratto deve essere interpretato secondo buona fede (art. 1366) e deve essere eseguito se-
condo buona fede (art. 1375); criterio che trova il suo correlato in tema di obbligazioni nella previsione del-
l’art. 1175 che impone ai soggetti del rapporto obbligatorio (debitore e creditore) di comportarsi secondo
correttezza. e nella previsione dell’art. 14602 per misurare la legittimità del rifiuto di esecuzione del contratto
con opposizione dell’inadempimento dell’altra parte.
27
Ad es. nella vendita (artt. 1479 e 1491), nell’assicurazione (art. 1892). Quando sono integrati gli estremi
del dolo, vi è senz’altro annullabilità del contratto (art. 1439).
28
L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza è applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattua-
le, in quest’ultima ipotesi designando una regola di comportamento in base alla quale il soggetto è tenuto, a
prescindere dalla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, a mantenere nei rapporti della vita di relazione
un comportamento leale nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui (nei limiti dell’apprezzabile sacrifi-
cio), dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità (Cass. 29-1-2018, n. 2057; Cass. 1178/2014;
Cass. 8154/2014).
29
In tal senso Cass. 18-9-2009, n. 2016, che fa conseguire all’abuso del diritto la possibilità di chiedere il
risarcimento dei danni subiti. V. anche Cass. 23-11-2020, n. 26568.
30
La tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione è ormai considerato
canone ordinatore dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di diritto amministrativo, ovvero
quelli che si instaurano nell’esercizio del potere pubblico, sia nel corso del procedimento amministrativo sia
dopo che sia stato emanato il provvedimento conclusivo. Anche la disciplina dell’annullamento di ufficio reca
un limite temporale all’intervento, a tutela della buona fede del cittadino, tranne responsabilità del cittadino
nella determinazione del provvedimento illegittimo (art. 29 bis L. 241/1990). Il principio di buona fede (come
del resto quello di diligenza) trova applicazione con riguardo all’attività della pubblica amministrazione, sia
quando operi con gli strumenti autoritativi dell’attività amministrativa, sia quando si avvalga dei moduli
del diritto privato (come tipicamente avviene con i contratti) (Cons. Stato 8-4-2014, n. 1651; Cons. Stato
220 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

sia con provvedimento legittimo che con provvedimento illegittimo, diversi essendo i
profili della legittimità dell’atto e della correttezza della condotta 31. È un’acquisizione
convinta sul piano materiale, vuoi per lesione di contatto sociale qualificato, con giuri-
sdizione ordinaria 32, vuoi più in generale per lesione di ogni situazione soggettiva protet-
ta (diritto soggettivo o interesse legittimo), con giurisdizione amministrativa 33.

6. L’informazione (trasparenza e conoscenza). – Nelle società complesse e tecno-


logiche dell’attualità l’informazione si atteggia come bene giuridico che permette di con-
seguire la conoscenza della realtà e, nei rapporti tra consociati, verificare beni e servizi
negoziati. In tal guisa diventa anche fattore di efficienza economica e di trasparenza del
mercato: il dovere di informazione presidia l’azione di tutti gli operatori del mercato
(imprenditori e consumatori), come specifica esplicazione del dovere di buona fede og-
gettiva.
L’agire leale e corretto è comportamento che immediatamente tutela i soggetti del
rapporto, ma mediatamente si risolve a vantaggio del funzionamento del mercato in
quanto consente di selezionare le imprese virtuose efficienti attraverso un corretto gioco
della concorrenza. L’asimmetria di informazione è considerata una delle cause prime di
fallimento del mercato per non consentire l’ottimale allocazione dei prodotti e la frut-
tuosa selezione tra le imprese concorrenti. Un’applicazione di tali principi è anche nella
regolazione della vita interna dei gruppi organizzati, a beneficio delle minoranze rispetto
all’azione del gruppo di maggioranza, specie rispetto alla tenuta della contabilità e ai ren-
diconti forniti, con particolare riguardo alla redazione dei bilanci delle società.
Nei rapporti commerciali il dovere di informazione si appunta al contenuto del con-
tratto, alla composizione e filiera del prodotto, alle modalità del servizio e al regime giu-

20-12-2013, n. 6147). Il principio informa anche lo “Statuto del contribuente”, per il cui art. 10 L. 27.7.2000,
n. 212, “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collabo-
razione e della buona fede”.
31
Già Cons. Stato, ad. plen., 5-9-2005, n. 6; Cons. Stato, ad. plen., 4-5-2018, n. 5, cui si rifanno le sent.
nn. 19, 20 e 21 del 2021, cit.
32
Per la Suprema Corte spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie relative a una prete-
sa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento incolpevole del privato nell’emanazione di un provvedi-
mento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione difforme dai canoni civilistici
di correttezza e buona fede, sia nel caso in cui il danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento
di un provvedimento amministrativo, sia nel caso in cui nessun provvedimento sia stato adottato e il privato
abbia riposto senza colpa il proprio affidamento in un mero comportamento; in entrambi i casi la responsabi-
lità della pubblica amministrazione è inquadrabile in quella di tipo contrattuale secondo lo schema della re-
sponsabilità da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173
c.c. (Cass., sez. un., 28-4-2020, n. 8236).
33
Il Consiglio di Stato, ad. plen., con tre sentenze del 29.11.2021, ha affermato i seguenti principi: è con-
figurabile una lesione dell’affidamento da atto amministrativo annullato in sede giurisdizionale, escluso solo
in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione con-
tro lo stesso provvedimento, con devoluzione alla giurisdizione del giudice amministrativo (sent. n. 19); è
escluso l’affidamento in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza
dell’impugnazione contro il provvedimento (sent. n. 20); c’è responsabilità precontrattuale dell’amministra-
zione, nelle procedure di affidamento di contratti pubblici, per violazione dei canoni di correttezza e buona
fede, quando il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, in relazio-
ne al grado di sviluppo della procedura, quando l’affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa (sent. n.
21). In definitiva è riproposto il limite civilistico che debba trattarsi di un affidamento incolpevole.
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 221

ridico dell’operazione; in generale alla portata e alla modalità della pubblicità (non men-
zognera o ingannevole e non subliminale). Nell’attuale esperienza di produzione di mas-
sa e globalizzata, la scelta non è tra prodotti ma tra rappresentazioni di prodotti, sicché
l’informazione, determinando trasparenza e conoscenza, diventa leva essenziale di un
mercato non solo efficiente ma anche equo: sono molte le informazioni da rendere ai
consumatori, alcune dovute sempre e in generale (artt. 5 ss. cod. cons.), altre specifiche
come informazioni precontrattuali (art. 48 cod. cons.), con ulteriori informazioni nei
contratti a distanza e fuori dei locali commerciali (artt. 49 ss. cod. cons.); altre informa-
zioni sono dovute dalla società dell’informazione nel commercio elettronico (D.Lgs.
9.4.2003, n. 70). Sono anche vietate le pratiche commerciali scorrette tra imprese per
concorrenza sleale (artt. 2598 ss. c.c.), come sono vietate pratiche commerciali scorrette,
ingannevoli e aggressive nei confronti dei consumatori (artt. 18 ss. cod. cons.). Spetta
all’ordinamento giuridico riequilibrare le posizioni degli attori del mercato (imprenditori
e consumatori) segnando i livelli essenziali dell’informazione, per attestarsi trasparenza e
conoscenza quali postulati essenziali di un mercato che si erge a volano dello sviluppo
economico e sociale.
Come si vedrà, nei settori e nei comparti dove c’è maggiore concentrazione di capita-
le, sicché più spiccato è il divario di forza economica tra gli operatori, la garanzia del-
l’informazione rappresenta solo uno stadio (anche se essenziale) di protezione della de-
bolezza sociale, in quanto l’autonomia individuale va supportata da interventi ordina-
mentali imperativi di riequilibrio economico e giuridico del contenuto delle singole ope-
razioni realizzate.

7. La certezza del diritto (adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza). – Il di-


ritto non si esaurisce nella soluzione dei conflitti insorti tra i consociati, ma vale anche ad
orientare le condotte dei consociati perché, consapevoli delle regole vigenti, possano indi-
rizzare la propria vita e compiere le proprie scelte sociali ed economiche. In tale logica si
svolge il problema della certezza del diritto, come prevedibilità delle regole applicabi-
li ai fatti della vita. In una prospettiva socio-economica consente la conoscenza degli ef-
fetti giuridici dell’azione umana e la calcolabilità economica delle operazioni intraprese.
Si è visto come il principio di certezza del diritto rappresenti una connotazione dello
stato moderno di diritto, in grado di eliminare privilegi e immunità e difendere il cittadi-
no dalle sopraffazioni del potere (I, 2.2). Nella stagione di affermazione dei diritti umani,
la sua ipostatizzazione ha però comportato spesso un distacco con la effettività di giusti-
zia nel caso concreto. Va dunque ripensata la portata e l’attualità di tale valore nella com-
plessità della contemporaneità, rendendo coerente il diritto con la giustizia (I, 1,1).
Il principio di certezza del diritto, riferito alle singole norme giuridiche, si rivela
nell’attualità una chimera di difficile applicazione per essere emersa, attraverso una plu-
ralità di fonti del diritto, una graduatoria di interessi e valori, volta a volta da bilanciare
tra gli stessi e con le normative di settore. Basti solo pensare all’applicazione del princi-
pio normativo del c.d. best interest del minore, formulato dalla Convenzione ONU sui
diritti del minore, che richiede una verifica specifica dei fatti (la condizione fisica e di
vita del minore, la condotta accudente o rifiutante delle persone conviventi ovvero lo
stato di abbandono, il contesto abitativo), per delineare la soluzione più consona e ade-
guata all’equilibrio psico fisico del minore. È proprio della contemporaneità il dibattito
222 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

sul divario tra normativismo stabile e decisionismo episodico, ovvero tra legalità da ri-
spettare e giustizia da realizzare.
Per intanto la norma richiede una mediazione umana per l’applicazione; anche l’im-
piego di un robot giuridico, come operatore automatico applicativo di norme, implica la
mano umana che sceglie gli algoritmi di lettura dei fatti. E poi la norma, come ogni testo
letterario, è soggetto ad interpretazione, e l’interpretazione risente della personalità del-
l’autore, con possibilità di più esiti (significativamente esistono più gradi di giudizio).
Inoltre, all’epoca dell’affermazione del principio di certezza del diritto, il diritto si esau-
riva nella legge e specificamente per il diritto privato nel codice civile che (massimamen-
te) raccoglieva, in modo ordinato e ordinante, regole uguali per l’unitarietà (astratta) del
soggetto di diritto (I, 2.3), per cui al giudice era sufficiente un’azione di sussunzione del
caso esaminato alla tavola organica del codice. La storia successiva ha determinato la
provenienza del diritto da fonti ulteriori e gerarchicamente superiori e perciò fuori degli
orditi codicistici. Sono emersi principi valoriali (diversi da quelli sottesi ai codici), depo-
sitati nella Carta costituzionale, nel diritto europeo e in convenzioni internazionali, ai
quali il giudice deve uniformare la decisione, come effettività di tutela giuridica (I, 3.13).
Gli artt. 541 e 1012 Cost. fissano il fondamentale dovere di osservare le leggi e la Costitu-
zione; gli artt. 10 e 11 Cost. aprono all’osservanza delle convenzioni internazionali e del
diritto europeo.
Il principio di certezza del diritto, quale connotato dello stato di diritto, non è ve-
nuto meno, ma è solo evoluto in funzione del complessivo sistema giuridico. La pre-
vedibilità non va (più) riferita a singole norme come atomi logico-formali, ma va indi-
rizzata alla complessità dell’ordinamento come realtà unica ed unitaria, con le norme
di settore e con i principi e valori che ne fanno da cemento e sostegno. La certezza
del diritto va ragguagliata all’ordinamento positivo nella sua sistematicità e vitalità
storica.
Come si è visto trattando dei fatti giuridici, vi è una causalità complessa (materiale e
legale) nella determinazione degli effetti giuridici (II, 4.2). La prevedibilità è rivolta alla
sinergia tra i fatti e l’ordinamento, dovendosi decifrare le specificità dell’accadimento, del
contesto e del conflitto di interessi per accedere alla ragionevole previsione della regola
applicabile.
La Corte di giustizia U.E. reitera il richiamo alla certezza del diritto europeo come
valore fondamentale per la tenuta della Unione europea (significativa è la direttiva
2014/24/UE) 34, riaffermando la prevalenza della propria interpretazione del diritto eu-
ropeo 35. Anche la nomofilachia della Corte di cassazione, quale giudice di legittimità,

34
I principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento fanno parte dell’ordinamento giu-
ridico dell’Unione europea. A tale titolo, essi devono essere rispettati non solo dalle istituzioni dell’Unione,
ma anche dagli Stati membri nell’esercizio dei poteri ad essi conferiti dalle direttive dell’Unione (Corte giust.
U.E. 30-4-2020, n. 184/19). Ciascun caso in cui si ponga la questione se una norma procedurale nazionale
renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato te-
nendo conto del ruolo di tale norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello
stesso dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali; si devono considerare segnatamente, se necessario, la
tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento
(Corte giust. U.E., 14-5-2020, n. 749/18).
35
Significativa Corte giust. U.E., grande sez., 25-6-2020, n. 24/19: Solo la Corte può, eccezionalmente e
per considerazioni imperative di certezza del diritto, concedere una sospensione provvisoria dell’effetto di
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 223

puntella il principio di certezza del diritto, quale criterio fondamentale di coesione socia-
le oltre che di deflazione giudiziaria 36; pur restando soggetta alla evoluzione storica dei
valori che sottendono le singole decisioni (I, 3.13 e 16).
L’esigenza di correlazione delle regole con la realtà regolata ha fatto emergere es-
senziali criteri di operatività. Oltre le prescrizioni particolari sul percorso interpretativo
della legge ex art. 12 disp. prel. (I, 3.13), come integrate dalla esigenza di interpretazio-
ne evolutiva valutativa (I, 3.13), è necessaria una costante interazione tra realtà materiale
e realtà giuridica. Risulta essenziale stabilire ciò che si sceglie di valorizzare rispetto ad
ogni fatto, in funzione degli interessi coinvolti e dei valori implicati, che aprono alla re-
golazione ordinamentale. In tale opera si sono affermati i principi di adeguatezza e pro-
porzionalità, con il connesso principio di ragionevolezza, spesso indicati anche con gene-
riche qualifiche di razionalità, coerenza, congruenza, ecc., con ambiguo significato. Tali
criteri agiscono quali generali parametri sia di normazione che di valutazione dei fatti da
esaminare. Nella prima direzione, operano come limiti all’operare del legislatore, impe-
dendo un esercizio arbitrario del potere legislativo; nella seconda direzione, sono utiliz-
zati dalla giurisprudenza (di merito come di legittimità ed anche costituzionale) nella in-
dividuazione delle regole da applicare al caso concreto.
L’adeguatezza è stata specificamente utilizzata nel diritto amministrativo per indicare
che la singola entità amministrativa deve avere un’organizzazione adeguata all’esercizio
della funzione svolta. Il principio è richiamato dall’art. 1181 Cost., unitamente ai principi
di differenziazione e sussidiarietà. Un’applicazione è nel Reg. Consob 1.7.1998, n. 11522,
di attuazione del D.Lgs. 58/1998, che impone di rilevare il profilo dell’investitore, sicché
l’operazione deve essere adeguata all’investitore per tipologia, oggetto, frequenza o
dimensione (art. 30). In sede civile vengono in rilievo interessi autonomi e di varia na-
tura, per cui c’è l’esigenza di equilibrio dei vari interessi (di natura patrimoniale e/o
esistenziale). L’adeguatezza è orientata alla verificazione di congruenza del bene giuri-
dico richiesto rispetto al mezzo giuridico utilizzato.
La proporzionalità trae origine dall’esperienza tedesca ed è ormai diffusa nel costi-
tuzionalismo contemporaneo europeo, sia nell’azione della pubblica amministrazione
che nei rapporti tra cittadini; è anche iscritta tra i principi fondamentali dell’Unione eu-
ropea (art. 54 TUE), per cui “il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a
quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati” 37. Opera essenzial-
mente nei giudizi relativi alla tutela dei diritti fondamentali e al loro bilanciamento: valu-
ta gli effetti dell’atto legislativo e i benefici realizzati, a fronte dei sacrifici imposti ad altri

disapplicazione esercitato da una norma di diritto dell’Unione rispetto a norme di diritto interno con essa in
contrasto; se i giudici nazionali avessero il potere di attribuire alle norme nazionali il primato sul diritto del-
l’Unione, anche solo provvisoriamente, in caso di contrasto con quest’ultimo, ne risulterebbe pregiudicata
l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione.
36
Per Cass., sez. un., 18-9-2020, n. 19596, la frontale contrapposizione di decisioni non giova al si-
stema, per cui l’intervento nomofilattico del Supremo consesso appare quanto mai opportuno: l’effetto
della prevedibilità delle decisioni giudiziarie si va affermando come un valore prezioso da preservare,
anche in termini di analisi economica del diritto.
37
Il principio di proporzionalità costituisce parte integrante dei principi generali del diritto dell’Unione e
esige che gli strumenti istituiti da una disposizione del diritto dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi
obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerli
(Corte giust. U.E. 21-6-2018, n. 5/16).
224 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

diritti. Trova testuale previsione in sede penale tra i criteri di scelta delle misure cautela-
ri: per l’art. 275 c.p.p. “ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla
sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata”; ancora in sede penale, viene in
rilievo la propulsione dell’azione del reo: si pensi alla proporzionalità della pena inferta
in ragione della intensità della condotta criminosa e della natura del bene giuridico pro-
tetto. In sede civile, vengono in rilievo interessi correlati, convergenti o contrapposti, che
devono trovare composizione: si pensi alla proporzionalità del risarcimento dovuto in
ragione della gravità del fatto lesivo e della natura del danno sofferto.
La ragionevolezza deriva dalla esperienza anglosassone, largamente impiegata dal-
la giurisprudenza. Le disposizioni normative devono essere adeguate o congruenti ri-
spetto al fine perseguito dal legislatore e al sistema ordinamentale. L’emergere della ra-
gionevolezza come limite generale della legislazione si ricollega alla perdita di centralità
della legge, con la sostituzione della Costituzione come fonte primaria di diritto, con
l’esigenza di bilanciamento tra i principi costituzionali. Così anche il controllo di costitu-
zionalità non investe più solo la legittimità tecnica ma anche la congruenza valoriale: il
criterio non si esaurisce nella mera razionalità astratta, quale espressione del principio
logico di non contraddizione, ma si apre alla verifica dell’impatto della norma sulla realtà
materiale, valutandone la coerenza esperienziale alla stregua dei valori dell’ordinamento.
Come sviluppo del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), si è considerato irragionevole
trattare situazioni uguali in modo differente, come trattare situazioni differenti in modo
uguale. Il criterio trova ampia applicazione nella giustizia tributaria 38.
Il meccanismo del c.d. “automatismo legislativo” (secondo cui, al verificarsi di un de-
terminato avvenimento, è ricollegata l’automatica conseguenza giuridica predeterminata
da una fattispecie), è sottoposto dalla Corte costituzionale al vaglio di ragionevolezza,
dichiarandosi l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che non permettono al giu-
dice (o alla pubblica amministrazione) di tenere conto delle peculiarità del caso concreto
e perciò di modulare gli effetti della regola in relazione alle peculiarità delle specifiche
situazioni coinvolte 39. Applicazioni del principio di ragionevolezza sono in tutte le bran-
che del diritto; al criterio di ragionevolezza è stata anche collegata l’esigenza di razionali-
tà delle scelte normative 40.

38
Si è stabilito che, quando il contribuente subisca un concreto pregiudizio dal metodo di accertamento
scelto dall’Amministrazione finanziaria, apparendo irragionevole ed incongrua la redditività accertata rispetto
alla situazione concreta, il giudice tributario può sindacare la metodologia adottata per la raccolta degli ele-
menti utilizzati per la rettifica (Cass. 3-2-2017, n. 2873).
39
Ad es., è dichiarato costituzionalmente illegittimo – per violazione degli artt. 3 e 27 Cost. – l’art. 5672
c.p. (delitto di alterazione di stato di famiglia del neonato commesso mediante falso), nella parte in cui preve-
de la pena edittale della reclusione da un minimo di cinque a un massimo di quindici anni, anziché la pena
edittale della reclusione da un minimo di tre a un massimo di dieci anni, per risultare la severa cornice editta-
le censurata, sul piano della ragionevolezza intrinseca, manifestamente sproporzionata al reale disvalore della
condotta punita, ledendo congiuntamente il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del
fatto commesso (art. 3 Cost.) e quello della finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.) (Corte cost. 10-11-2016,
n. 236). V. anche Corte cost. 15-12-2016, n. 268; Corte cost. 23-2-2012, n. 31). Nella giurisprudenza di legit-
timità, ad es. Cass. 5-4-2017, n. 17061.
40
Ad es., è stata considerata costituzionalmente illegittima la previsione, tra i criteri di competenza per
territorio applicabili ai procedimenti concernenti lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matri-
monio, di quello del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi, in quanto manifestamente irragionevole
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 225

In definitiva la ragionevolezza è un criterio di giudizio che pervade sia l’adeguatezza


che la proporzionalità, per procedersi ad un bilanciamento tra più beni giuridici con l’esi-
genza di fissarne i limiti di operatività e di gradualità 41. La complessità della realtà socio-
giuridica porta con sé le stimmate della incertezza, così delle relazioni umane, come delle
relazioni economiche, come ancora delle regolazioni giuridiche, alle quali deve porre
mano il giurista nel ricostruire la trama logica della esperienza giuridica.

8. La sussidiarietà (orizzontale e verticale). – Il principio di sussidiarietà, pure


emerso nella filosofia greca con Aristotele, ha ricevuto compiuta formulazione e massima
esplicazione nella dottrina sociale della Chiesa cattolica del XIX sec., per esprimere la
rilevanza della personalità dei fedeli e dei corpi sociali intermedi (famiglie, associazioni,
confessioni religiose, ecc.), intrecciata con il dovere di solidarietà 42. Con tale principio
viene introdotta nella vita politica, economica e sociale e dunque nel sistema ordinamen-
tale una visione globale della persona e della società, per cui il conseguimento del bene
dei cittadini (es. istruzione, educazione, assistenza, ecc.) deve appartenersi anzitutto a
chi è più vicino alle persone, ai loro bisogni e alle loro risorse. La sussidiarietà opera in
senso orizzontale e in senso verticale.
a) La sussidiarietà in senso orizzontale riguarda il rapporto tra azione privata e po-
teri pubblici (ex art. 118 Cost) 43. Il principio delimita e protegge la sfera dell’autonomia
dei privati dall’intervento pubblico, che ha ragione di svolgersi quando determinate esi-
genze non sono realizzabili attraverso l’azione dei privati. Il potere pubblico deve soste-
nere l’azione dei privati e dei corpi intermedi e intervenire solo quando gli scopi perse-
guiti non siano assolvibili dai privati e dai corpi sociali ovvero siano meglio realizzabili
dal potere sovrano.

ove si consideri che, nella maggioranza delle ipotesi, la residenza comune è cessata, quanto meno dal momen-
to in cui i coniugi, in occasione della domanda di separazione, sono stati autorizzati a vivere separatamente,
sicché non è ravvisabile alcun collegamento fra i coniugi e il tribunale individuato dalla norma (Corte cost.
23-5-2008, n. 169).
41
Il rispetto degli obblighi internazionali non può essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a
quella già predisposta nell’ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di
ampliamento della tutela stessa. Di conseguenza, il confronto fra tutela prevista nella Convenzione e tutela
costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione della garanzia,
concetto nel quale deve essere compreso il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente
protetti, cioè con altre norme costituzionali che a loro volta garantiscono diritti fondamentali che potrebbero
essere incisi dall’espansione di una singola tutela; tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si tro-
vano in rapporto di integrazione reciproca; la tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie
di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro (Corte cost. 28-11-2012, n. 264).
42
Fondamentale è l’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII (1891), cui faceva seguito l’enciclica
Quadragesimo Anno di Pio XI (1931). Successivamente altre encicliche riprendevano il medesimo criterio. In
tale ottica, l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società è quello di aiutare in maniera suppletiva
(subsidium) le membra del corpo sociale (c.d. corpi intermedi tra cittadino e stato), non già distruggerle e as-
sorbirle: lo Stato non deve privare queste “società di ordine inferiore” delle loro competenze, ma piuttosto
sostenerle – anche finanziariamente – e al massimo coordinare il loro intervento con quello degli altri corpi
intermedi.
43
Nel senso orizzontale (c.d. sussidiarietà orizzontale), il principio ha trovato applicazione interna specie
con la riforma dell’art. 1184 Cost., ad opera della L. cost. 18.10.2001, n. 3, secondo cui Stato, Regioni, Città
metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo
svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
226 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

Tende anche a diffondersi una c.d. sussidiarietà circolare per valorizzare l’azione del
terzo settore (privato sociale) attraverso una cittadinanza attiva in grado di sostenere il
welfare per quelle attività di solidarietà che i privati riescono a svolgere più efficacemen-
te dei poteri pubblici.
Un’applicazione precipua di tale modello di sussidiarietà si ha in materia di famiglia,
prevedendo l’art. 31 Cost. che la Repubblica agevola con misure economiche e altre
provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con parti-
colare riguardo alle famiglie numerose. Inoltre l’art. 33 Carta dir. fond. U.E. garantisce
la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale. A fronte di tale sus-
sidiarietà dei pubblici poterei verso la famiglia, è peraltro in corso un’ampia area di sus-
sidiarietà della famiglia verso le giovani coppie che non sono in grado di fare fronte alle
esigenze delle nuove famiglie costituite. Anche con riguardo all’istruzione, dopo la previ-
sione che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i
gradi più alti degli studi, si stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con
borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, attribuite per concorso (art. 34
Cost.).
b) La sussidiarietà in senso verticale riguarda la ripartizione dei poteri tra le diverse
istituzioni, e impegna anche i poteri sostitutivi del Governo (ex art. 120 Cost.) 44. La cor-
relazione con il principio di adeguatezza (di cui innanzi) comporta che, se l’ente territo-
riale cui è affidata una funzione amministrativa per essere più vicino al cittadino ammini-
strato non ha la struttura organizzativa per rendere il servizio, questa funzione deve esse-
re attribuita all’entità amministrativa territoriale superiore adeguata.
Il principio funziona anche come raccordo tra la supremazia dell’Europa nei confronti
degli Stati e il presidio di sovranità degli Stati nei confronti dell’Europa: è contenuto tra i
principi fondamentali dell’Unione europea (art. 53 TUE), in virtù del quale “nei settori che
non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiet-
tivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati
membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della por-
tata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione” 45.

9. Lo stato sociale di diritto e l’ordine pubblico interno e internazionale. – Al-


l’esito del percorso condotto è possibile fissare le fondamentali coordinate dell’assetto di
Stato che attraversano il diritto privato della contemporaneità. Alcune si legano alla ma-
trice politico-culturale dell’illuminismo settecentesco, che elaborò a partire dal ’700 un
insieme di principi fondamentali di garanzia dei diritti del cittadino, connotati dalla egua-

44
Nel senso verticale (c.d. sussidiarietà verticale) il principio ha trovato applicazione interna specie con la
riforma dell’art. 120 Cost., ad opera della L. cost. 18.10.2001, n. 3, secondo cui, nel fissare le materie in cui il
Governo può sostituirsi ad organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni (tra
l’altro per mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria), la legge defini-
sce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarie-
tà e del principio di leale collaborazione.
45
Si è anche parlato di sussidiarietà verticale c.d. ascendente, ricorrendosi all’immagine dell’ascensore per ri-
sultare il principio in grado sia di limitare la competenza degli Stati quando la relativa azione non si riveli in
grado di raggiungere un obiettivo del Trattato, sia di limitare la competenza delle istituzioni europee quando
l’azione degli Stati emerga come idonea a raggiungere gli obiettivi europei, con la conseguenza di dovere ri-
cercare in concreto l’equilibrio tra i due possibili sensi vettoriali.
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 227

glianza e dalla legalità (c.d. Stato di diritto). Altre si legano alle carte costituzionali del
’900, che tendono a colmare le diversità di fatto, ponendo la persona umana al centro
dell’organizzazione sociale e dell’ordinamento giuridico, con una vocazione interventista
e solidarista (c.d. Stato sociale o Welfare State).
a) Il modello generalmente accolto dalle moderne democrazie, e fatto proprio dalla
nostra Costituzione, è quello dello Stato sociale di diritto, nel quale, a difesa della dignità
della persona umana, sono accolti entrambi gli ordini di valori (seppure con gradazioni
diversificate). È la nuova stagione dei “diritti umani”, espressi da diritti civili (inviolabili)
e diritti sociali (da realizzare) che trovano tutela sinergica e complementare nella edifica-
zione della “dignità umana”. A tale modello giuridico è ormai ispirato anche l’ordina-
mento europeo, che da tempo sta evolvendo verso una regolazione coerente e solidale
delle relazioni sociali, indirizzando bisogni e risorse verso uno “sviluppo equilibrato e
sostenibile”.
La dimensione dello “Stato di diritto” involge il terreno dei c.d. diritti civili, consi-
derati inviolabili da parte sia dei poteri pubblici che dei privati (art. 2 Cost.) (es. diritti di
libertà di pensiero, di fede religiosa, di professione politica, di riunirsi e associarsi, ecc.:
artt. 13 ss. Cost.). Connesso con tali valori è il principio di libertà in campo economico, nei
limiti fissati dalla Carta cost. (artt. 41, 42 e 43). Correlato è il principio di eguaglianza (c.d.
eguaglianza formale), collocato tra i principi fondamentali della Costituzione (art. 31 Cost.),
per cui tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge 46.
La dimensione dello “Stato sociale” (Welfare State) involge i c.d. diritti sociali , quali
pretese verso i poteri pubblici di prestazioni in grado di colmare le limitazioni in fatto
della personalità (es. diritti al lavoro, alla salute, allo studio e al gratuito patrocinio
per i non abbienti, ecc.) (c.d. diritti pretensivi). È una dimensione proiettata verso

46
Il funzionamento dello Stato di diritto è presidiato da più principi. C’è innanzi tutto il principio di le-
galità, per cui tutti sono soggetti alla legge. La “legalità” è oggi un concetto ampio che include l’intero ordi-
namento giuridico, con all’apice la Costituzione e il diritto europeo. Il rispetto della legalità è un essenziale
e irrinunciabile presidio della libertà individuale, oltre che essere garanzia di ordine sociale. Anche i giudici
sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 Cost.): la giurisdizione si attua mediante il giusto processo, caratte-
rizzato dalla terzietà del giudice (art. 111 Cost.); connesso è il diritto di difesa, per cui a tutti è consentito agire
in giudizio per la tutela dei diritti: il diritto di difesa è inviolabile (art. 24 Cost.). I pubblici uffici sono orga-
nizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’am-
ministrazione (art. 972 Cost.): contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giuri-
sdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa
(artt. 97 e 1131 Cost.). Per la XVIII disp. trans. Cost. la Costituzione dovrà essere fedelmente osservata da
tutti i cittadini e dagli organi dello Stato come “legge fondamentale della Repubblica”. Ad evitare abusi dei
pubblici poteri opera il principio della divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario): le rispettive
funzioni sono attribuite a istituzioni separate, con norme che segnano l’equilibrio tra i poteri. Alla Corte cost.
spetta il giudizio di legittimità delle leggi e quello sui conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato e su quelli
tra Stato e Regioni e tra Regioni (art. 134 Cost.). Altro principio è la certezza del diritto, riferito non solo alla
esistenza del diritto ma anche alla sua applicazione (principio di effettività), secondo lo svolgimento del siste-
ma operante (di cui si è detto).
Operano inoltre principi democratici nella organizzazione della vita pubblica, con la partecipazione di tut-
ti i cittadini alle scelte politiche mediante un sistema di democrazia rappresentativa. Suggello dell’impianto di
democraticità, pubblicità e trasparenza della pubblica amministrazione e stimolo di efficacia e efficienza della
relativa azione è la previsione del diritto di accesso ai documenti amministrativi (L. 241/1990) e il nuovo acces-
so civico a dati e documenti con diffusione di informazioni (D.Lgs. 33/2013 e 97/2016), che rafforza il control-
lo dell’attività pubblica e dunque il rapporto tra cittadino e P.A.
228 PARTE II – CATEGORIE GENERALI

una valutazione delle appartenenze socio-economiche dei soggetti, in funzione della


realizzazione della personalità, conformata sul dovere di solidarietà, nei rapporti dei
privati con i poteri pubblici come nei rapporti tra i privati. Secondo il fondamentale
precetto del co. 2 dell’art. 3 Cost., è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale che limitano di fatto il pieno sviluppo della persona
umana 47.
b) I principi indicati segnano anche il c.d. ordine pubblico inderogabile 48.
Tradizionalmente sono maturate due dicotomie costruttive dell’ordine pubblico: una
di ordine pubblico materiale, come quiete pubblica e pace sociale, e un’altra di ordine
pubblico ideale, quale complesso di principi sui quali si fonda la convivenza civile (si parla
così di un ordine pubblico economico, un ordine pubblico sociale, ecc.). Entrambe le
dicotomie sono intrecciate da una ulteriore dicotomia che ha riguardo alla organizzazio-
ne istituzionale con la quale l’ordine pubblico (materiale e ideale) è conseguito: un ordi-
ne pubblico statico come democrazia centralista, connotata da un potere monolitico e di
vertice, e un ordine pubblico dinamico quale democrazia aperta, caratterizzata da plura-
lismo sociale e istituzionale.
Si tende a ritenere che l’ordine pubblico interno sia un limite all’autonomia privata,
indicato dalle norme imperative di diritto interno (es. illiceità del contratto ex artt. 1343
e 1418); mentre l’ordine pubblico internazionale rappresenti un criterio di preclusione al-
l’applicazione di una norma straniera (art. 16 L. 218/1995) o di una sentenza straniera
(art. 64, lett. g, L. 218/1995), ispirato ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali del-
l’ordinamento (I, 3.12).
È in corso un articolato percorso di erosione del divario verso la formazione di un
unitario reticolo di ordine pubblico (interno e internazionale) nutrito dei diritti umani,
essenzialmente desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati dell’U.E., dalla Carta
dir. fond. U.E. e dalla Convenzione Edu 49, e forgiato dal diritto vivente 50. In tale pro-

47
Nella dimensione pubblica, strumentali all’attuazione dei diritti sociali sono i doveri verso lo Stato e la
società, a cominciare dalla fedeltà tributaria, per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ra-
gione della capacità contributiva, secondo criteri di progressività (art. 53 Cost.) e di sopportabilità della pres-
sione; ogni cittadino ha il dovere di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società (art. 42 Cost.). Nella dimensione privata, l’agire individuale dei soggetti è contrassegna-
to da limiti e obblighi per assicurarne la compatibilità con l’utilità sociale (significativamente sul terreno eco-
nomico gli artt. 41 e 42 Cost.). Lo stato sociale rappresenta la più rilevante istituzione umana e giuridica del
secondo dopoguerra che ha sostenuto la stessa coesione sociale, perciò da valutare e promuovere come col-
lante essenziale della vita democratica.
48
Rimane sempre efficace la definizione data da Karl Binding dell’ordine pubblico come “Rumpelkammer
von Begriffen”, ripostiglio di concetti.
49
L’ordine pubblico è ricostruito come sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quel-
lo della legislazione primaria, sicché occorre far riferimento alla Costituzione e, dopo il trattato di Lisbona,
alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi
dell’Unione europea dall’art. 6 TUE (Cass. 21-1-2013, n. 1302). Vedi anche Cass., sez. un., 5-7-2017, n. 16601;
Cass. 15-6-2017, n. 14878.
50
In tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità
con l’ordine pubblico, richiesta dagli art. 64 ss. L. 218/1995, deve essere valutata alla stregua non solo dei
principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranaziona-
li, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nelle disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché
dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricom-
CAP. 7 – PRINCIPI GENERALI E CLAUSOLE GENERALI 229

spettiva è possibile delineare più versanti dell’ordine pubblico: come presidio delle liber-
tà e della dignità della persona umana, a garanzia di inviolabilità e a supporto di realizza-
zione (ordine pubblico personalista in senso stretto); come limite fondamentale alla orga-
nizzazione istituzionale, costituendo il metodo democratico come limite all’azione dei
singoli e dei gruppi (ordine pubblico politico o istituzionale); come connotato della vita
economica e sociale, atteggiandosi la struttura concorrenziale del mercato e la protezione
di fasce sociali deboli come limiti all’iniziativa economica e all’esercizio dell’autonomia
contrattuale (ordine pubblico economico e di protezione). Trattando del diritto interna-
zionale privato, si è visto dei limiti frapposti dall’ordine pubblico all’ingresso di norme
straniere (I, 3.12).
Anche lo stato di cittadinanza sta evolvendo: dalla sembianza di appartenenza allo sta-
to-nazione 51 alla condizione inclusiva e relazionale con una comunità socio-politica, con
connotazioni multietniche e multiculturali 52. È il volto nuovo della cittadinanza, che si
atteggia come cittadinanza costituzionale per additare le prerogative e le implicazioni
della relazionalità civile, come base di coesione comunitaria. Con la pluralità delle fonti
del diritto e la tutela dei diritti fondamentali ha assunto rilevanza anche la “cittadinanza
europea” secondo una sequenza di cerchi concentrici e di partecipazione ad un ordina-
mento multilivello (art. 20 TFUE). Si delinea uno spazio pubblico dove acquistano im-
portanza le identità delle persone e assumono rilevanza i bisogni e le istanze di ciascuno:
sono le facce diverse e intrecciate del costituzionalismo moderno, che ripone nel rispetto
e sostegno della dignità umana la sintesi delle prerogative della persona umana.
Sullo sfondo c’è la generale preoccupazione per il modello di vita lasciato in eredità
alle generazioni future: il riscaldamento globale, il cambiamento climatico, l’insicurezza
della vita quotidiana, la precarizzazione del lavoro, la marginalità economica e politica di
interi territori e strati sociali, le interazioni con culture e bisogni portati dalla emigrazio-
ne sono fattori che devono orientare i valori ordinatori delle moderne società complesse,
non solo con politiche istituzionali nazionali ma anche attraverso una governance inter-
nazionale. Come la famiglia intercetta più generazioni, forgiando le responsabilità verso i
nuovi nati, anche la società deve fruire del mondo nella prospettiva e nella responsabilità
di preservarlo vivibile per chi verrà. Come le famiglie intercettano più generazioni, for-
giando le responsabilità verso i nuovi nati, anche le società devono fruire del mondo in una
prospettiva di futuro, modellando le responsabilità di preservarlo vivibile per chi verrà.

posizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozioni di
ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico
(Cass., sez. un., 8-5-2019, n. 12193). V. anche Cass. 11-11-2014, n. 24001; Cass. 22-8-2013, n. 19405.
51
Lo stato di cittadinanza (l’antico status civitatis) è stato tradizionalmente regolato in ragione del relativo
acquisto (R.D. 15.11.1865, n. 2602 e R.D. 9.7.1939, n. 1238), considerandosi l’appartenenza allo Stato una
condizione di soggezione all’autorità statale e di titolarità di diritti civili e politici nella comunità statale; il c.c.
1865 si apriva con la disciplina della cittadinanza; successivamente v. L.13.6.1912, n. 555, sulla cittadinanza
italiana, reg. esec. R.D. 2.8.1912, n. 949; e ancora L. 5.2.1992, n. 91, reg. esec. D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572;
art. 32 D.L. 21.6.2013, n. 69, conv. L. 9.8.2013.
52
L’attribuzione di diritti civili e sociali al cittadino (art. 16 disp. prel. c.c.) non esclude che anche il non cit-
tadino (straniero o apolide) goda dei diritti umani, indipendentemente da un rapporto di reciprocità con gli stati
di provenienza: è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità (art. 18 TFUE); possono assu-
mersi provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la
religione o le convinzioni personali, le disabilità, l’età o l’orientamento sessuale (art. 19 TFUE).
230 PARTE II – CATEGORIE GENERALI
PARTE III
TUTELA DEI DIRITTI

CAPITOLO 1
TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI

Sommario: 1. Tutela effettiva dei diritti e giurisdizione. – 2. I principi della giustizia civile. – 3. Proces-
so di cognizione. – 4. Processo di esecuzione. – 5. Procedimenti speciali. – 6. Volontaria giurisdi-
zione. – 7. Azione di classe (procedimenti collettivi). – 8. Il diritto processuale uniforme. – 9. Le
Corti europee. – 10. La tutela rimediale.

1. Tutela effettiva dei diritti e giurisdizione. – L’ordinamento si caratterizza per un


generale principio di effettività, dovendo essere in grado di garantire la conoscenza e l’ap-
plicazione delle norme giuridiche. Se la società è sorretta dal diritto, la salvaguardia del
diritto diventa essenziale per la coesione della società; e la salvaguardia del diritto è assi-
curata dalla giurisdizione.
Agli istituti di diritto sostanziale (o materiale) che riconoscono diritti e impongono
obblighi, si connettono meccanismi di diritto strumentale (o formale), che consentono l’at-
tuazione giudiziaria nel caso in cui i diritti non siano rispettati ovvero gli obblighi non
siano osservati 1.

1
Il codice civile colloca nel libro sesto, dedicato alla “Tutela dei diritti” (artt. 2643 ss.), più normative che
in vario modo hanno un qualche riguardo alla tutela dei diritti, senza organicità di trattazione ma tenute in-
sieme dal labile filo della unitaria prospettiva protettiva. Per la Relaz. cod. civ., n. 1065: “Tutti i diritti sogget-
tivi, seppur variamente secondo la loro varia natura e le varie possibili contingenze, richiedono infatti una
protezione, che sarà più o meno intensa, più o meno affidata o condizionata alla iniziativa delle parti interes-
sate, ma senza della quale la loro efficacia o il loro vigore pratico si dissolverebbe o rimarrebbe esposto ad
offese senza rimedio”.
È una riunione forzosa di discipline che si svolgono lungo due fondamentali traiettorie. Una è dedicata alla
vita dei diritti soggettivi e il relativo esercizio: trovano cosi collocazione la normativa sulla trascrizione (artt.
2643-2696), come meccanismo di tutela dei diritti verso i terzi, con particolare riguardo alla soluzione dei con-
flitti tra diritti incompatibili; la normativa su prescrizione e decadenza (artt. 2934-2969), che ha riguardo alla
durata dei diritti e in genere alla dimensione temporale dei fenomeni giuridici; la normativa relativa alla re-
sponsabilità patrimoniale del debitore e le cause di prelazione (artt. 2740-2906), che in realtà disciplina le ga-
ranzie del credito. Un’altra ha riguardo alla tutela giurisdizionale dei diritti (artt. 2907-2933): trovano colloca-
232 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

Al centro del complesso sistema di tutela si colloca la giurisdizione 2. Il portato dello


stato moderno è nell’attribuire allo stato, non solo il potere legislativo ma anche quello
giurisdizionale come essenziale attributo della sovranità statale, funzionale alla realizza-
zione del diritto oggettivo. La procedura di delibazione delle sentenze straniere finisce
con il nazionalizzare le stesse rendendole coerenti con i principi fondamentali dell’ordi-
namento. Il monopolio statale della giurisdizione ha comportato anche che i giudici sia-
no dipendenti dello Stato 3. Ha trovato rara applicazione l’art. 102 Cost. di previsione
della partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia (i c.d. laici).
La tutela giurisdizionale dei diritti comporta un sistema di diritto processuale
(formale o strumentale) che opera quando le norme sostanziali siano violate e dunque
le situazioni soggettive lese o anche solo contestate, con funzione di tutela (e reintegra-
zione) di queste. La progressiva emersione di interessi considerati “meritevoli di tute-
la” alla stregua dei valori costituzionali e del diritto europeo, anche se non formalmen-
te espressi in specifici diritti soggettivi, dilata fortemente il terreno della tutela giuri-
sdizionale. Talvolta è proprio la natura del rimedio apprestato dall’ordinamento per la
protezione dell’interesse leso a evidenziare la rilevanza accordata dall’ordinamento al
singolo interesse 4.
Più di recente anche la giurisdizione è vista come servizio pubblico volto alla soluzio-
ne delle controversie secondo il dispiegarsi dei bisogni e degli interessi dei cittadini in
una società pluralista e personalista. Questa mutata concezione della giurisdizione com-
porta che l’impegno riformatore sia sempre più orientato a soddisfare la efficienza del
sistema giudiziario utilizzato dagli utenti. È il fondamentale principio della effettività
della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost., per cui il processo deve realizzare le uti-

zione le norme sulla efficacia dei provvedimenti come “usciti” dal processo e altre norme relative alle prove
(artt. 2697-2739), con un intreccio di profili sostanziali ad altri processuali.
2
Il termine “giurisdizione” deriva dal latino iurisdictio, composto di ius (diritto) e dicere (dire) ed indica
la funzione del giudice di applicare la legge, individuando la regola di diritto da applicare al caso concreto.
3
Rilevava MORTARA (1910): sia che il potere di amministrare la giustizia si facesse derivare da consacra-
zione divina, o fosse privilegio della casta sacerdotale, od inerente al dominio territoriale, sempre l’analisi del-
la giustizia ci conduce nelle varie epoche passate a trovarne l’ultimo fondamento nel principio dell’autorità
del sovrano o della casata dominatrice; solamente quando cominciò a prevalere il principio della uguaglianza
giuridica degli uomini si intravide che la funzione della giustizia si connetteva ad un potere sovrano organiz-
zato e funzionante mediante il concorso ed il riconoscimento dei cittadini. Ma l’A. continuava di non farsi
“soverchio ottimismo” del mutato assetto giudiziario, in quanto “uomini ignoranti o corruttibili, o solo me-
diocri o negligenti, potrebbero occupare ora, come occuparono nei tempi antichi, i seggi delle giustizia, e fare
strazio di questa, o cadere in gravi errori, talvolta purtroppo senza rimedio”.
4
Una fondamentale dicotomia, di origine romanistica, ha tradizionalmente pervaso la tutela dei diritti in
ragione della natura del diritto vantato: l’a c t i o i n r e m è emersa a difesa dei diritti reali, cioè di quei diritti
che assicurano un potere immediato sulla cosa (res), per poi estendersi alla difesa dei diritti della persona per
l’immediatezza che li caratterizza, esercitabile verso tutti (diritti assoluti); l’a c t i o i n p e r s o n a m riguarda la
difesa verso un determinato soggetto tenuto ad uno specifico comportamento, perciò diretta contro la perso-
na dell’obbligato (diritti relativi). Più di recente la originaria accezione si è scolorita, per la emersione di una
logica di t u t e l a r i m e d i a l e che mira a ristabilire il bene giuridico protetto indipendentemente dalla natura
assoluta o relativa della situazione giuridica che lo sostiene: l’actio in rem tende alla reintegrazione del diritto
violato (es. la reintegra del posto di lavoro da parte del lavoratore ingiustamente licenziato); viceversa l’actio
in personam mira all’ottenimento di un equivalente dell’interesse leso (es. risarcimento di una somma di dana-
ro per la lesione subita). Si vedrà come una clausola generale di responsabilità civile (art. 2043) attraversi or-
mai entrambe le tutele.
CAP. 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 233

lità riconosciute dall’ordinamento 5. È un’idea che attraversa tutti i processi, al fine di assi-
curare effettività di protezione 6.
Sussistono principi fondamentali sulla giurisdizione, pervasi dalle idee dello stato
moderno correlate con la legalità costituzionale ed europea, di seguito analizzati.
a) Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi: la
difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 242 Cost.); so-
no assicurati ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione
(art. 243 Cost.).
b) Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.):
la individuazione del giudice della singola controversia deve cioè essere preventivamente
e oggettivamente determinata dalla legge.
c) I giudici sono soggetti soltanto alla legge e la giustizia è amministrata in nome del
popolo (art. 101 Cost.). La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente
da ogni altro potere (art. 104 Cost.).
d) La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge (art. 1111
Cost.): ogni processo deve cioè svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di
parità, davanti al giudice terzo e imparziale (c.d. terzietà del giudice), in una ragionevole
durata 7. La correttezza del procedimento dovrebbe tendere ad una sentenza giusta.
e) I provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati (c.d. obbligo della motivazio-
ne) (art. 1115 Cost.). Il rispetto di tale principio è essenziale per il controllo del corretto
esercizio della giurisdizione.
La giurisdizione è essenzialmente ripartita in due forme: quella ordinaria (giustizia ci-
vile e penale) e quella amministrativa (giustizia amministrativa). Per l’art. 113 Cost., con-
tro gli atti della pubblica amministrazione (di seguito P.A.) è sempre ammessa la tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi della giurisdizione

5
Secondo la felice indicazione di CHIOVENDA (1934) “Il processo, per quanto possibile, deve dare prati-
camente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che ha diritto di conseguire alla stregua del diritto
sostanziale”, così realizzandosi il bene della vita congiunto alla composizione della controversia: è il trapasso
dalla procedura civile al diritto processuale civile.
6
Per l’art. 1 cod. proc. amm. “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secon-
do i principi della Costituzione e del diritto europeo”. Così la giustizia amministrativa è evoluta da sistema
tradizionalmente impugnatorio dell’atto (imperniato sulla struttura dell’atto) a sistema valutativo della fun-
zione e degli interessi coinvolti (assumendo la veste di giudice della funzione amministrativa). In tale direzio-
ne si sta muovendo anche la giurisdizione tributaria che tende sempre maggiormente a valorizzare il rapporto
tributario oltre la tipologia degli atti impositivi.
7
Secondo l’art. 6 della Conv. Edu, resa esecutiva con L. 26.10.1955, n. 848, ogni persona ha diritto ad
un processo equo, che si svolge attraverso un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti
a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e
dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. La L.
24.3.2001, n. 89 (c.d. legge Pinto), prevede un’equa riparazione per irragionevole durata del processo. Per co-
stante orientamento della Suprema Corte l’ambito della equa valutazione della riparazione è segnato dal
rispetto della Conv. Edu per come essa vive nelle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cass.
17-6-2009, n. 14069), con applicazione dunque anche al periodo antecedente alla L. 89/2001 (Cass. 17-6-2009,
n. 14087). Anche gli enti personificati (oltre che le persone fisiche) hanno il diritto di ottenere la riparazione
dei danni non patrimoniali (Cass. 12-3-2020, n. 7034; Cass. 15-6-2005, n. 12854). L’obbligazione all’inden-
nizzo per l’irragionevole durata del processo insorge autonomamente per ciascuna parte del giudizio “pre-
supposto”, sicché nel giudizio di equa riparazione non si dà eventualmente luogo a litisconsorzio necessario,
bensì a litisconsorzio facoltativo (Cass. 12-3-2020, n. 7031).
234 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

ordinaria o amministrativa. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici spe-
ciali; possono solo istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per
determinate materie (art. 1022 Cost.). La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di
contabilità pubblica e in altre fissate dalla legge; i tribunali militari hanno giurisdizione
per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate (art. 103 Cost.). La giuri-
sdizione tributaria rientra tra le giurisdizioni speciali ed è organizzata in Commissioni
tributarie provinciali e regionali (D.Lgs. 31.12.19992, n. 545).
La giurisdizione ordinaria (civile e penale) opera quando è leso un diritto soggettivo
ovvero altra situazione giuridica soggettiva (es. il possesso) o comunque un interesse giu-
ridicamente protetto, così del singolo che della collettività; sono tutelati in sede penale
quegli interessi la cui tutela involge una ragione di allarme sociale, sicché è interesse ge-
nerale che siano protetti. Si è visto peraltro come esista un terreno di diritto comune pa-
trimoniale nel quale la pubblica amministrazione opera iure privatorum, secondo un cri-
terio di parità con i privati (I, 2.12), e perciò soggetta alla giurisdizione ordinaria 8. Alla
giustizia civile si avrà specifico riguardo in seguito.
La giurisdizione amministrativa opera, di regola, a tutela di posizioni giuridiche sog-
gettive di interesse legittimo (II, 3.9), lese dall’attività esercitata dalla pubblica ammini-
strazione iure imperii, quale autorità titolare di poteri autoritativi attribuiti dalla legge
per la realizzazione di interessi generali (art. 103 Cost.): si collega di regola alla violazio-
ne di norme di azione 9. Il giudice amministrativo conosce dei diritti soggettivi nelle ipo-
tesi di giurisdizione esclusiva per materia, indipendentemente dalla natura della posizio-
ne soggettiva dedotta in giudizio 10; inoltre conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte

8
La L. 20.3.1865, n. 2248, All. E (legge sul contenzioso amministrativo), attribuisce alla giurisdizione or-
dinaria anche tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa
essere interessata la pubblica amministrazione (art. 2); quando la contestazione cade sopra un diritto che si
pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti del-
l’atto in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, ma l’atto amministrativo potrà essere revocato o modificato
solo dall’autorità amministrativa, che si conformerà al giudicato dei tribunali in quanto riguarda il caso deciso
(art. 4). Di fronte a un atto della P.A. che lede un diritto soggettivo, il giudice ordinario può sempre accertare
l’illegittimità dell’atto amministrativo e disapplicarlo nell’ambito del giudizio in corso e, se convenuta la P.A.,
condannare la stessa al risarcimento del danno.
9
Con D.Lgs. 2.7.2010, n. 104, è stato approvato il “codice del processo amministrativo”, che ha operato
un riordino del processo amministrativo: la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva
secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo (art. 1); attua i principi della parità delle parti, del
contraddittorio e del giusto processo attraverso una ragionevole durata del processo (art. 2). I tribunali am-
ministrativi regionali (T.A.R.) decidono sui ricorsi contro atti e provvedimenti della P.A. illegittimi per in-
competenza, per eccesso di potere o per violazione di legge. Contro le sentenze dei tribunali amministrativi è
ammesso ricorso al Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale. In tale prospettiva un interesse legittimo può
essere leso solo da un atto della P.A.; invece un diritto soggettivo può essere leso sia dai privati che dalla P.A.
10
Ad es., il D.Lgs. 31.3.1998, n. 80, e la L. 21.7.2000, n. 205, hanno devoluto alla giurisdizione esclusiva
amministrativa le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul cre-
dito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e
ai servizi di cui alla L. 14.11.1995, n. 481; le controversie inerenti gli atti, i provvedimenti e i comportamenti
delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia. La Cor-
te cost. (sent. 6-7-2004, n. 204) ha però nuovamente ristretto i confini della giurisdizione del giudice ammini-
strativo, affermando che l’attribuzione di una giurisdizione esclusiva secondo “blocchi di materie” è in con-
trasto con l’art. 108 Cost. che si riferisce a “materie particolari” connotate da un intreccio tra situazioni di diritto
soggettivo e di interesse legittimo.
Sul fronte opposto, ad es., il D.Lgs. 30.3.2001, n. 165, in conseguenza dell’avvenuta privatizzazione del
CAP. 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 235

le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per
pronunciare sulla questione principale; restano riservate all’autorità giudiziaria ordinaria le
questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone, salvo che si tratti
della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso (art. 8). Nel conte-
sto delineatosi risulta sempre meno giustificata la differenziazione di giurisdizione.

2. I principi della giustizia civile. – Con il codice di procedura civile del 1942 si rea-
lizza un “rafforzamento dell’autorità del giudice” (così la Relaz. al Re) nel quadro di una
costruzione del processo civile quale mezzo di attuazione della legge nel caso concreto. Il
diritto processuale civile indica la serie di regole sul come procedere giudiziariamente per
conseguire la tutela dei diritti: il codice di procedura civile regola la struttura del proces-
so, i poteri degli organi giudiziari, le posizioni processuali delle parti, la scansione delle
fasi processuali e le modalità di articolazione delle prove. Le forme processuali, quando
non sono meramente sterili o piegate a scopi di potere, rappresentano essenziali garanzie
di tutela dei diritti.
Il processo è organizzato attraverso più gradi di giurisdizione, al fine di consentire un
riesame della questione decisa dal giudice per primo adito. Giudici di primo grado sono
il tribunale (ordinario) e il giudice di pace; l’appello avverso le sentenze dei primi giudici
si propongono, rispettivamente, alla Corte di appello e al tribunale nella cui circoscri-
zione ha sede il giudice che ha pronunziato la sentenza (art. 341 c.p.c.) 11. Le sentenze
pronunziate in grado d’appello o in unico grado sono impugnabili con ricorso alla Corte
di Cassazione (art. 360 c.p.c.) 12. Con il D.Lgs. 40/2006 è valorizzata e resa più incisiva la
funzione di nomofilachia della Cassazione 13 (II, 7.7).

rapporto di impiego, ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relati-
ve ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
La L. 205/2000, sulla scorta di Cass., sez. un., 22-7-1999, n. 500, ha attribuito al giudice amministrativo,
nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, il potere di disporre il risarcimento del danno in-
giusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica. Tale disposizione è stata ritenuta dalla indicata
sentenza n. 204/2004 della Corte cost. compatibile con il sistema di riparto della giurisdizione delineato dalla
carta costituzionale in quanto il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova
“materia” bensì uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio, atto a rendere effetti-
va la tutela del cittadino nei confronti della P.A. È caduta la c.d. “pregiudiziale amministrativa”, per cui è
ammessa la tutela risarcitoria per lesione degli interessi legittimi anche senza preventivo ricorso alla tutela
demolitoria, con l’annullamento dell’atto lesivo.
11
Per l’art. 3393 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. 2.2.2006, n. 40, le sentenze del giudice di pace pro-
nunciate secondo equità ai sensi dell’art. 1132 c.p.c. sono appellabili esclusivamente per violazione delle nor-
me sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori del-
la materia.
12
Si è precisato che il ricorso in Cassazione è manifestamente infondato e dunque va rigettato se la deci-
sione di merito impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza della Corte e il ricorso non prospetta ar-
gomenti per modificarla (Cass., sez. un., 6-9-2010, n. 19051).
13
Le modifiche apportate dal D.Lgs. 40/2006 introducono due importanti novità, in grado di incidere
fortemente sulla organizzazione delle fonti del diritto e della giurisdizione: la impugnabilità in Cassazione per
violazione o falsa applicazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi di lavoro conferisce a que-
sti ultimi una natura giuridica normativa (di antica memoria) che si rivela non coerente con la configurazione
dell’autonomia collettiva nella Carta costituzionale; inoltre la impugnabilità della sentenza per una deficiente
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio finisce con l’estendere la conoscenza della
Cassazione al merito del giudizio.
236 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

Nel quadro dei valori generali sulla giurisdizione (di cui sopra) vanno delineati i prin-
cipi specifici ed essenziali della giurisdizione civile.
a) Tendenziale correlazione tra titolarità del potere di azione e titolarità della situa-
zione giuridica dedotta, per cui nessuno può far valere nel processo in nome proprio un
diritto altrui, tranne espressa previsione normativa di sostituzione processuale (art. 81
c.p.c.) (legittimazione ad agire).
b) Alla disponibilità dei diritti sostanziali si connette la disponibilità della relativa tu-
tela (principio di disponibilità della giurisdizione).
c) Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice com-
petente (principio della domanda: art. 99 c.p.c.). Per l’art. 2907 c.c., alla tutela giurisdi-
zionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte, e, quando la legge
lo dispone, anche su istanza del pubblico ministero 14. Per proporre una domanda o per
contraddire alla stessa è necessario avervi interesse (interesse ad agire: art. 100 c.p.c.) 15,
cioè avere bisogno di tutela giurisdizionale; ma è fatto divieto dell’abuso del processo 16.
Per stare in giudizio è necessario avere la capacità processuale 17. L’onere della prova grava
su chi invoca i fatti a fondamento delle proprie ragioni (art. 2697) (III, 2.1).
d) Salvo che la legge disponga diversamente, il giudice non può statuire sopra alcuna
domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è
comparsa (principio del contraddittorio ex art. 1011 c.p.c.); per l’art. 1112 Cost. “ogni
processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giu-
dice terzo e imparziale; la legge ne assicura la ragionevole durata”. È una espressione del
già rilevato, fondamentale, diritto di difesa (art. 242 Cost.). Il principio del contradditto-
rio riguarda, non solo il rapporto tra le parti del giudizio, ma anche il rapporto tra le
parti e il giudice, per cui il giudice, se vuole porre a fondamento della decisione una que-

14
Il pubblico ministero esercita l’azione civile nei soli casi stabiliti dalla legge (art. 69 c.p.c.). Interviene, a
pena di nullità rilevabile di ufficio, nelle cause che egli stesso potrebbe proporre; nelle cause matrimoniali,
comprese quelle di separazione personale dei coniugi; nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle per-
sone; negli altri casi previsti dalla legge; in ogni causa davanti alla Corte di Cassazione; in ogni altra causa in
cui ravvisa un pubblico interesse (art. 70 c.p.c.). Nel giudizio promosso ex art. 67 L. 218/1995, avente per
oggetto il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato
accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero e un cittadino italiano, il Pubblico ministero
riveste la qualità di litisconsorte necessario, in applicazione dell’art. 701, n. 3, c.p.c., ma è privo della legittima-
zione a impugnare, non essendo titolare del potere di azione, neppure ai fini dell’osservanza delle leggi di or-
dine pubblico (Cass., sez. un., 8-5-2019, n. 12193).
15
Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio
un diritto altrui (art. 81 c.p.c.): è cioè necessario che sussista la legittimazione ad agire, così nel lato attivo (at-
tore è il soggetto che si dichiara titolare del diritto leso o contestato), che nel lato passivo (convenuto è il sog-
getto che si afferma violare o contestare il diritto sostanziale). Un’ipotesi di sostituzione processuale si ha con
riguardo all’azione surrogatoria (art. 2900) (VII, 5.6).
16
Per Cass., sez. un., 15-11-2007, n. 23726, è contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in
relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo (ostativo
all’esame della domanda) il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario.
17
Per l’art. 75 c.p.c. sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che si
fanno valere; diversamente possono stare in giudizio se rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme
che regolano la loro capacità. Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma
della legge o dello statuto; le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per
mezzo delle persone indicate nello statuto ai sensi degli artt. 36 ss. Inoltre le parti non possono stare in giudizio
senza il patrocinio (ministero o assistenza) di un difensore, salvo diversa previsione espressa (art. 82 c.p.c.).
CAP. 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 237

stione rilevata di ufficio, deve assegnare alle parti un termine per memorie sulla questione
(art. 1012 c.p.c.).
e) Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non
può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti
(principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato: art. 112 c.p.c.) 18. Per eco-
nomicità dell’attività giudiziaria e al fine di assicurare uniformità di giudizio, operano i
meccanismi della litispendenza, della continenza e della connessione (principio di concen-
trazione: artt. 39 e 40; 273 e 274 c.p.c.). Nel caso di identità di domande proposte, il
giudice successivamente adito deve eliminare il successivo processo secondo il criterio
della prevenzione, restando inapplicabile l’istituto della sospensione del processo perché
tra le liti non esiste rapporto di pregiudizialità 19.
f) Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le
prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero (principio della disponibilità delle pro-
ve: art. 1151 c.p.c.). La norma è stata novellata con l’introduzione del c.d. principio di non
contestazione, per cui il giudice può porre a fondamento della decisione anche i fatti dedot-
ti e non specificamente contestati dalla parte costituita (art. 1151 c.p.c.), come espressione
di un generale principio costituzionale di economicità processuale. Può inoltre, senza bi-
sogno di prove, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nel-
la comune esperienza (art. 1152 c.p.c.).
Sulla scorta di tali principi si articolano le figure del processo.
L’attore è chi esercita l’azione e dunque agisce. La domanda giudiziaria integra l’azio-
ne, che dà impulso al processo segnandone l’avvio, così producendo la costituzione del
rapporto processuale. L’azione deve prospettare ed affermare il diritto fatto valere in
giudizio e il risultato perseguito: si compone dunque di un petitum (l’oggetto della do-
manda) e di una causa petendi (il fondamento in fatto e in diritto della domanda). Sull’at-
tore grava l’onere dell’allegazione dei fatti costitutivi del diritto vantato (art. 26971).
Il convenuto è il soggetto contro il quale la domanda è proposta. La sua chiamata in
giudizio (vocatio in ius), mediante la notificazione della domanda, determina la instaura-
zione del contraddittorio. Con la notificazione si determinano anche gli effetti sostanziali
della domanda stessa (es. interruzione della prescrizione, costituzione in mora, decor-
renza degli interessi, ecc.) 20.
La posizione difensiva si svolge, di regola, con riferimento all’oggetto e al fondamen-
to della domanda. Perciò il convenuto può limitarsi a chiedere un accertamento negativo
del diritto vantato dall’attore, come può sollevare eccezioni con l’allegazione di fatti op-

18
Ad es., sono eccezioni che possono essere sollevate solo dalle parti: l’eccezione di compensazione (art.
12421), l’eccezione di annullabilità del contratto, quando è prescritta l’azione (art. 14424), l’eccezione di pre-
scrizione (art. 2938).
19
A norma dell’art. 391 c.p.c., qualora la medesima causa venga introdotta davanti a giudici diversi, quello
successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza, rispetto alla causa identica precedentemente ini-
ziata, anche se questa, già decisa in primo grado, penda davanti al giudice dell’impugnazione (Cass., sez. un.,
12-12-2013, n. 27846).
20
Se la domanda è proposta, anziché con atto di citazione (contenente la vocatio in ius del convenuto),
con ricorso all’autorità giudiziaria, è la successiva notificazione alla controparte del ricorso (con pedissequo
decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti) a determinare gli effetti sostanziali della do-
manda. È quanto avviene, ad es., nei procedimenti speciali (di cui appresso).
238 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

positivi (estintivi, impeditivi o modificativi) (art. 26972) 21. Per un principio di economia
di giudizio, il convenuto può proporre a sua volta una domanda che dipende dal titolo
dedotto in giudizio dall’attore o che già appartiene alla causa (domanda riconvenzionale
ex art. 36 c.p.c.).
Il giudice è il soggetto (terzo) tenuto per legge al dovere decisorio. Deve sussistere
una correlazione tra il tipo di azione esercitata e il tipo di provvedimento 22. Se la senten-
za non copre l’intera domanda, c’è vizio di omissione di pronuncia; se la eccede c’è vizio
di ultrapetizione. In ogni caso il giudice, nel pronunciare sulla causa, deve seguire tutte le
norme di diritto (art. 113 c.p.c.) 23, non limitandosi a quelle indicate nella domanda o nel-
l’eccezione (iura novit curia), arrivando anche a mutare le qualificazioni giuridiche ad-
dotte dalle parti.
Quando sono in gioco diritti indisponibili, è previsto l’intervento obbligatorio del pub-
blico ministero: ad es., nelle cause matrimoniali e in quelle riguardanti lo stato e la capacità
delle persone (art. 70 c.p.c.). Esistono tre gradi di giurisdizione: due di merito innanzi al
tribunale o al giudice di pace in primo grado e innanzi alla Corte di appello o tribunale
per l’impugnazione; e uno di legittimità innanzi alla Corte suprema di cassazione.
La tutela giurisdizionale dei diritti si realizza in una serie articolata di forme che cor-
rispondono ai diversi bisogni di tutela: in ragione dello scopo che il cittadino intende
conseguire con il ricorso alla giurisdizione, si distinguono più tipi di azioni e dunque più
tipi di processi nei quali si esplicano diversificate attività di giurisdizione: processo di co-
gnizione (di mero accertamento, di condanna, costitutiva), processo di esecuzione, ed
ancora, per esigenze di efficienza o di effettività, procedimenti speciali. Talvolta sono at-
tribuite al giudice funzioni ulteriori di regolazione di specifiche situazioni, connesse a
relazioni familiari, interessi di minori e incapaci, vita dei gruppi collettivi, gestione di pa-
trimoni separati: è il settore delicatissimo della giurisdizione volontaria (o camerale).
Per l’art. 2909 “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato
ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”. La delimitazione degli effetti della
decisione comporta che lo stesso caso possa essere risolto da differenti giudici in modo
diverso: essenziale è che le decisioni dei giudici siano motivate e controllabili. Il tema
chiama in causa il problema del valore del precedente, così di un giudice di pari grado
(orizzontale) che di un giudice di grado superiore (verticale).
La tutela giurisdizionale dei diritti si realizza in più forme di processo che corrispon-
dono ai diversi bisogni di tutela, di cui si parla di seguito. Per ormai costante giurispru-
denza 24, integra abuso del diritto la proposizione di domande giudiziarie analoghe o la

21
Il convenuto, già nella comparsa di risposta, è tenuto a prendere posizione, in modo chiaro e analitico,
sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda (art. 167 c.p.c.). Non sono sufficienti le clausole di stile
per contestare genericamente i fatti addotti, che in tal caso devono ritenersi ammessi senza necessità di prova
(Cass. 2-11-2021, n. 31071).
22
La legge stabilisce in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto; in mancanza di pre-
visione, i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo (art. 131 c.p.c.).
Di regola, la sentenza segue all’atto di citazione, la ordinanza all’istanza e il decreto al ricorso; ma non man-
cano differenti correlazioni.
23
L’art. 113 c.p.c., prevede l’obbligo del giudice di pronuncia secondo diritto, ma fa salve le ipotesi in cui
la legge gli attribuisce il potere di decidere secondo equità: l’art. 114 prevede una pronuncia secondo equità
quando si verta su diritti disponibili dalle parti e queste gliene fanno concorde richiesta (I, 2.15).
24
Ex multis, Cass. 9-9-2021, n. 24371.
CAP. 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 239

parcellizzazione della domanda giudiziale, per rappresentare una violazione dei principi
di correttezza e buona fede e una violazione del principio del giusto processo.

3. Processo di cognizione. – Ha la generale funzione di portare alla conoscenza del


giudice (onde il termine cognizione) una questione, perché possa individuare la regola di
diritto sostanziale applicabile al caso concreto, sì da dirimere e quindi decidere la que-
stione sorta circa un interesse privato: il giudizio si chiude con una sentenza 25. Funzione
precipua della cognizione è dunque l’accertamento che il giudice compie della esisten-
za o meno di un diritto vantato o contestato.
Quando la sentenza non è più soggetta a riesame (o perché si sono consumati tutti i
mezzi di impugnazione o perché è spirato il termine per avvalersene) si determina la c.d.
cosa giudicata formale ovvero la sentenza si intende passata in giudicato (la sentenza
non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cas-
sazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c.: art. 324
c.p.c.). Tale dato, relativo al processo e perciò propriamente formale e strutturale, acqui-
sta anche una rilevanza sostanziale rispetto ai diritti coinvolti dalla decisione, dando luo-
go alla c.d. cosa giudicata sostanziale, la quale ha precipuamente riguardo alle si-
tuazioni giuridiche coinvolte: si realizza cioè una definitività della realtà giuridica quale
accertata e determinata dalla sentenza 26. Per l’art. 2909 l’accertamento contenuto nella
sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa
(res inter alios iudicata tertio neque nocet neque prodest); principio che trova il suo corre-
lato nella relatività degli effetti del contratto fissato dall’art. 1372 (VIII, 6.4).
A seconda dello specifico scopo perseguito dall’attore si qualifica l’azione proposta, la
quale indirizza lo svolgimento del procedimento che si conclude con differenti sentenze.
Si delineano tre tipi di azione: di accertamento, di condanna e costitutiva.
a) L’azione di mero accertamento persegue la finalità minima (e più elementare) per-
seguita dal processo di cognizione. Il processo tende al mero accertamento dell’esistenza
o inesistenza di una situazione giuridica lesa o contestata. L’accoglimento della domanda
conclude il processo con una correlata sentenza di mero accertamento (sentenza dichia-
rativa). Ad es., la sentenza dichiarativa di nullità del contratto (art. 1421); la sentenza di-
chiarativa dell’usucapione (arg. art. 1158).
b) L’azione di condanna persegue una finalità più complessa in quanto volta alla di-
chiarazione di un accertamento (come ogni azione di cognizione) in funzione della sta-
tuizione di un ordine al convenuto di tenere un determinato comportamento. L’acco-
glimento della domanda conclude il processo con una correlata sentenza di condanna,
che costituisce titolo esecutivo per la esecuzione forzata. Ad es., l’attore chiede che, pre-
vio accertamento dell’inadempimento del contratto, il convenuto sia condannato all’a-
dempimento del contratto e al risarcimento dei danni (art. 1453).
c) L’azione costitutiva tende ad un accertamento (come ogni azione di cognizione) in

25
La struttura del processo di cognizione è configurata dalla legge in tre fasi: a) una fase di introduzione
della causa (artt. 163 ss. c.p.c.); b) una fase di istruzione della causa (comprendente la trattazione) (artt. 175 ss.
c.p.c.); c) una fase di decisione della causa (artt. 275 ss. c.p.c.).
26
È talvolta ammessa un’anticipazione degli effetti della futura decisione di merito, con provvedimenti in-
terinali e anticipatori della condanna: es. l’ordinanza di pagamento di somme non contestate (art. 186 bis).
240 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

funzione del conseguimento di una modificazione della realtà giuridica. Per l’art. 2908, nei
casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rap-
porti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa (art. 2908). L’accogli-
mento di una tale domanda conclude il processo con una correlata sentenza costitutiva,
che modifica essa stessa la realtà giuridica. Ad es., l’attore, invocando l’inadempimento
da parte del convenuto dell’obbligo di concludere un contratto, chiede una sentenza co-
stitutiva che produca gli effetti del contratto non concluso (art. 2932) (VIII, 2.23). Si
pensi anche alla sentenza di annullamento (arg. art. 1441) (VIII, 9.8) e di rescissione
(arg. artt. 1447 e 1448) del contratto (VIII, 9.11).

4. Processo di esecuzione. – Di regola, con unica sentenza di condanna, è accertato


l’inadempimento ed emessa condanna del debitore ad un determinato comportamento,
in sostituzione dell’obbligazione originaria inadempiuta, con l’aggiunta dell’importo do-
vuto a titolo di danni. In tal modo la sentenza di condanna diviene titolo esecutivo
che indica il diritto che si intende attuare 27.
Il processo di esecuzione ha la funzione di realizzare coattivamente l’attuazione dei
diritti. Per l’art. 4741 c.p.c. l’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un ti-
tolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile 28, quando lo stesso rimane inattua-
to. È caratterizzato dal tendenziale impiego della forza contro le eventuali resistenze frap-
poste dal soggetto in danno del quale l’esecuzione forzata è intrapresa 29. Il processo ese-
cutivo mira all’attuazione materiale dei diritti accertati nel titolo esecutivo: deve perciò
sussistere corrispondenza tra i soggetti (attivo e passivo) indicati nel titolo esecutivo e
quelli del processo esecutivo. Non è necessario che il titolo esecutivo del creditore pro-
cedente sorregga l’intera procedura esecutiva, potendo intervenire altri creditori con
proprio titolo esecutivo nella medesima procedura 30.

27
Per l’art. 4742 c.p.c. sono titoli esecutivi: 1) le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge at-
tribuisce espressamente efficacia esecutiva (es., decreto ingiuntivo: art. 647 c.p.c.; ordinanza di convalida di
licenza o di sfratto: art. 663 c.p.c.; ordinanza presidenziale o del giudice istruttore nel giudizio di separazione
personale dei coniugi: art. 189 c.p.c.); 2) le cambiali, nonché gli altri titoli di credito e gli atti ai quali la legge
attribuisce espressamente la stessa efficacia; 3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autoriz-
zato dalla legge a riceverli, o le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di dena-
ro in essi contenute. Con riguardo alle sentenze, non è essenziale la formazione della cosa giudicata: la sen-
tenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti (art. 282 c.p.c.); ma il giudice di appello, su
istanza di parte, quando ricorrono gravi motivi, può sospendere in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’e-
secuzione della sentenza impugnata (art. 283 c.p.c.).
28
Il diritto è certo, quando risulta dal titolo esecutivo; è liquido, quando è determinato nell’ammontare
ovvero è determinabile in base a criteri prestabiliti o a un mero calcolo matematico; è esigibile, quando si è
realizzata l’eventuale condizione o è scaduto l’eventuale termine per il suo esercizio. Tali requisiti devono,
non solo esistere, ma anche risultare dal titolo esecutivo, avendo questo la funzione di individuare (e perciò
documentare) il diritto eseguibile.
29
Quando il soggetto esecutato contesta il diritto alla esecuzione (c.d. opposizione alla esecuzione) si in-
staura un giudizio di cognizione per l’accertamento del diritto, che opera come una parentesi all’interno del
giudizio di esecuzione.
30
Nel processo di esecuzione, la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall’inizio alla fine
della procedura va intesa, non nel senso di presupporre la continuativa sopravvivenza del titolo del credi-
tore procedente, bensì nel senso della costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure del-
l’interventore) che giustifichi la perdurante efficacia dell’originario pignoramento (Cass., sez. un., 7-1-2014,
n. 61).
CAP. 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 241

Sempre l’esecuzione forzata è anticipata dal precetto che annunzia l’esecuzione for-
zata, la quale assume due modelli: in forma specifica e per espropriazione.
a) L’esecuzione forzata in forma specifica è quella che tipicamente realizza il diritto
rimasto insoddisfatto, consentendo al titolare di conseguire forzosamente il diritto indi-
cato nel titolo esecutivo, rimasto ineseguito. Si indirizza alla esecuzione forzata di specifi-
ci obblighi, quali l’obbligazione di consegna o rilascio (art. 2930), gli obblighi di fare (art.
2931), gli obblighi di non fare (art. 2933), secondo le procedure fissate dagli artt. 605 ss.
c.p.c. 31. Per l’obbligo di concludere un contratto, qualora sia possibile e non sia escluso
dal titolo, si dà luogo ad una sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso
(art. 2932) (se ne parlerà specificamente trattando del contratto preliminare: VIII, 2.23).
b) L’esecuzione forzata per espropriazione tende a far conseguire al creditore una som-
ma di danaro, per essere il danaro il modo più diffuso di soddisfacimento e metro di va-
lutazione di tutti i beni. Si vedrà come il patrimonio del debitore rappresenta la garanzia
generale dei diritti di credito: il debitore risponde per l’inadempimento dell’obbligazio-
ne con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740); quando concorrono più creditori,
vale il principio della parità dei creditori, salve le cause legittime di prelazione (art. 2741).
Della procedura si parlerà specificamente trattando della responsabilità patrimoniale del
debitore (VII, 5.2).
c) Esiste anche una misura di coercizione indiretta a carattere pecuniario degli obbli-
ghi di fare infungibile o di non fare (art. 614 bis c.p.c.) 32. È impartito un ordine giudizia-
le di pagamento di una somma di danaro a carico dell’obbligato per la non esecuzione
del provvedimento di condanna, al fine di dissuadere dalla sua violazione.

5. Procedimenti speciali. – Il libro IV del codice di procedura civile regola singoli


“procedimenti speciali” con riferimento a determinate materie. La domanda è introdotta
con ricorso (ricorrente), contro la quale l’altra parte può resistere (resistente).
a) Grande importanza assumono i procedimenti sommari, caratterizzati da una cogni-
zione sommaria, salvo realizzare in un tempo successivo la cognizione piena per l’ipotesi
di resistenza della controparte. Di largo impiego sono il procedimento d’ingiunzione

31
Se non è adempiuto l’obbligo di consegnare una cosa determinata, mobile o immobile, l’avente diritto
può ottenere la consegna o il rilascio forzati, a norma degli artt. 605 ss. c.p.c. (art. 2930): ad es. se, alla cessa-
zione del rapporto di locazione, il locatario non rilascia l’immobile, il locatore, a seguito del provvedimento di
rilascio, può conseguire l’immissione forzata nella materiale disponibilità dell’immobile. Se non è adempiuto
un obbligo di fare fungibile, l’avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell’obbligato nelle for-
me stabilite dagli artt. 612 ss. c.p.c. (art. 2931): ad es., se l’appaltatore interrompe la costruzione dell’edificio
che aveva l’obbligo di realizzare, il committente può far terminare la costruzione da altro imprenditore a spe-
se dell’obbligato. Se non è adempiuto un obbligo di non fare, l’avente diritto può ottenere che sia distrutto, a
spese dell’obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell’obbligo, ai sensi degli artt. 612 ss. c.p.c.; non può
essere ordinata la distruzione della cosa e l’avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se la
distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale (art. 2933).
32
Con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di de-
naro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta
dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del prov-
vedimento; il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute
per ogni violazione o inosservanza; tali disposizioni non si applicano alle controversie di lavoro subordinato
pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409; il giudice de-
termina l’ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione,
del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile (art. 614 bis c.p.c.).
242 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

(artt. 633 ss. c.p.c.) e il procedimento per convalida di sfratto (artt. 657 ss. c.p.c.); nelle
cause in cui il tribunale giudica in via monocratica, è ammesso il procedimento somma-
rio di cognizione (artt. 702 bis ss. c.p.c.).
Tra i procedimenti a cognizione sommaria una funzione particolare svolgono i pro-
cedimenti cautelari. La domanda cautelare (proposta con ricorso) mira essenzial-
mente ad assicurare la effettività della (successiva) tutela giurisdizionale di merito (cioè la
fruttuosità della decisione) 33, ma ormai assume una valenza autonoma 34. Presupposti es-
senziali del provvedimento sono: il fumus boni iuris, cioè la parvenza del diritto afferma-
to; il periculum in mora, cioè il pericolo che il tempo occorrente per farlo valere davanti
al giudice competente possa rendere impossibile o pregiudicare l’attuazione del provve-
dimento a cognizione piena ovvero la soddisfazione del diritto 35. Esiste una disciplina
generale per tutte le misure cautelari previste dalla legge, sì da integrare un procedimento
cautelare uniforme (artt. 669 bis ss. c.p.c.), i cui provvedimenti sono reclamabili.
Esistono in particolare procedimenti di istruzione preventiva (es., accertamento tecni-
co e ispezione giudiziale: art. 696 c.p.c.). È stata introdotta una consulenza tecnica pre-
ventiva ai fini della composizione della lite (art. 696 bis c.p.c.).
b) Tra i procedimenti speciali esistono procedimenti a cognizione ordinaria, con varie
deviazioni rispetto al processo ordinario in ragione della specificità della materia e degli
interessi coinvolti (es. procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, pro-
cedimenti relativi all’apertura delle successioni, procedimenti relativi allo scioglimento
della comunione, procedure di arbitrato).

6. Volontaria giurisdizione. – Non inerisce propriamente alla tutela di diritti, ma


sovrintende all’esercizio degli stessi, quando sono coinvolti interessi la cui realizzazione
l’ordinamento considera necessario sottoporre a controllo. Non c’è una posizione con-
flittuale delle parti: le stesse tendono alla realizzazione di un interesse comune. Ad es.,
l’alienazione di beni dell’incapace (minori o interdetti) da parte del rappresentante legale
è annullabile se non è preceduta dall’autorizzazione del giudice tutelare o/e del tribunale
(rispettivamente art. 320; artt. 374 e 375); la separazione consensuale dei coniugi non ha
effetto senza l’omologazione del tribunale (art. 158).
Alla base, non c’è un contrasto che la giurisdizione deve dirimere. Si parla perciò di

33
Tipici procedimenti cautelari sono i sequestri, conservativo e giudiziario (artt. 670 ss. c.p.c.) (VII, 5.9).
Altri esempi sono i procedimenti di denunzia di nuova opera e di danno temuto (artt. 688 ss. c.p.c.), i proce-
dimenti di istruzione preventiva (artt. 692 ss. c.p.c.). Un generale rimedio, residuale, consente poi di consegui-
re provvedimenti di urgenza: chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il
suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere
con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicu-
rare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (art. 700 c.p.c.).
34
Per l’art. 669 octies c.p.c., ai fini dell’efficacia dei provvedimenti di urgenza ex art. 700 c.p.c. e degli altri
provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, non è più necessaria l’in-
staurazione del giudizio di merito e l’estinzione di questo non determina l’inefficacia dei detti provvedimenti. È
introdotta una ultrattività dei provvedimenti stessi quando il giudizio di merito non è iniziato o è estinto.
35
La tutela cautelare si articola in due fasi: una cognizione sommaria della situazione giuridica vantata,
che dà luogo al provvedimento cautelare (art. 669 sexies); l’esecuzione del provvedimento stesso, che avviene
nelle forme della esecuzione forzata, in quanto compatibili (art. 669 duodecies). La domanda può essere pro-
posta sia anteriormente alla causa che in corso di causa. Contro l’ordinanza di concessione della misura caute-
lare è ammesso il reclamo (art. 669 terdecies).
CAP. 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 243

un’amministrazione pubblica del diritto privato: c’è esercizio di giurisdizione nel senso
limitato di verifica imparziale dell’attuazione di interessi privati secondo criteri fissati dal-
l’ordinamento. Il provvedimento assunto non è suscettibile di costituire cosa giudicata,
per essere oggetto di revisione (revoca o modifica).

7. Azione di classe (procedimenti collettivi). – A fronte di una tradizione giusnatu-


ralistica-illuministica che configurava i diritti e la relativa tutela in funzione dei singoli,
su cui è fortemente costruito il processo civile, da tempo sta emergendo l’osservazione di
interessi omogenei riferiti a più soggetti, che possono essere soddisfatti simultaneamente.
Il tema ha trovato la massima esplicazione sul terreno del consumo: in una società carat-
terizzata da produzione e distribuzione di massa, i contratti come i prodotti sono seriali.
È ormai esperienza diffusa che una protezione dei consumatori lasciata alla mera tutela
individuale non sia efficace in quanto i costi e i tempi del processo, rispetto al valore
spesso modesto della operazione, dissuadono il consumatore da ogni iniziativa.
È bene chiarire. Una tutela giurisdizionale congiunta di più soggetti, contitolari di si-
tuazioni giuridiche o titolari di situazioni giuridiche identiche, è sempre stata possibile 36.
La peculiarità della nuova “tutela collettiva” è che la stessa si atteggia come una tutela di
massa per riferirsi a tutti i soggetti che si trovano in una medesima situazione e sono por-
tatori di interessi omogenei, perciò formanti una medesima “classe” che reclama la tutela
di un “interesse collettivo”. La tutela di classe, pur continuando a trovare nei rapporti di
consumo il terreno di massima diffusione, è evoluta verso una generale applicazione ad
ogni ipotesi di omogeneità di interessi, per consentire una uniformità di tutela, una ridu-
zione dei costi del processo, una deterrenza alla condotta illecita e ostruzionistica del
danneggiante, una concentrazione dell’attività giudiziaria, con deflazione del contenzioso.
Con L. 12.4.2019, n. 31, recante disposizioni sull’azione di classe, è aggiunto il titolo
VIII-bis del libro quarto nel cod. proc. civ. (art. 840 bis ss.), che introduce i “procedi-
menti collettivi”; con analoga denominazione è introdotto il titolo V-bis nelle disp. att.
c.p.c. (art. 196 bis). Sono abrogati gli artt. 139, 140 e 140 bis cod. cons., che prevedevano
l’azione di classe dei consumatori (art. 5) 37. La nuova normativa assume la veste di stru-
mento di tutela di portata generale. Sono previste organizzazioni e associazioni legittima-
te a proporre l’azione di classe e l’inibitoria collettiva 38. Vi è una accentuazione di poteri

36
Le parti possono agire o essere convenute congiuntamente nello stesso processo, quando vi sia identità
o connessione tra le cause proposte per l’oggetto o per il titolo oppure quando vi sia da risolvere anche in
parte identiche questioni (litisconsorzio facoltativo ex art. 103 c.p.c.); è anche possibile intervento volontario
in un processo tra altre persone per far valere un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto
(art. 105 c.p.c.); è ammessa la riunione dei procedimenti relativi a cause connesse (art. 274 c.p.c.). In presenza
di diritti afferenti a più soggetti, sono fissati dall’ordinamento i criteri della legittimazione ad agire: basti pen-
sare all’impugnazione di delibere assembleari condominiali (artt. 1109 e 1137) o societarie (artt. 2377 e 2378).
37
Resta in vita l’art. 37, secondo cui le associazioni rappresentative dei consumatori, di cui all’art. 137, le
associazioni rappresentative dei professionisti, possono convenire in giudizio il professionista o l’associazione
di professionisti che utilizzano, o che raccomandano l’utilizzo di condizioni generali di contratto e richiedere
al giudice competente che inibisca l’uso delle condizioni di cui sia accertata l’abusività ai sensi del presente
titolo. Il meccanismo ha trovato ampia applicazione in altri rami dell’ordinamento: ad es., in materia di repres-
sione della condotta sleale (art. 2601) e della condotta antisindacale (art. 28 st. lav.); di tutela della concorren-
za (art. 1 D.Lgs. 3/2017); di garanzia delle pari opportunità uomo-donna (art. 37 D.Lgs. 198/2006).
38
Con D.M. Ministero della giustizia 17.2.2022, n. 27, è stato dettato il Regolamento in materia di disciplina
dell’elenco pubblico delle organizzazioni e associazioni, di cui agli artt. 840 bis c.p.c. e 196 ter disp. att. c.p.c.
244 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

officiosi, con l’assenza della figura dell’avvocato per i singoli aderenti, non consideran-
dosi l’aderente parte del giudizio.
Rispetto all’oggetto della tutela, la procedura è organizzata sulla tutela risarcitoria,
tranne una previsione finale rispetto alla inibitoria.
L’azione risarcitoria è una tutela successiva, rivolta al passato, tesa a conseguire il
ristoro dei danni sofferti dal compimento di un illecito. Funzione dell’azione è di risarci-
re i danni omogenei sofferti da una pluralità di soggetti in virtù di un medesimo fatto le-
sivo. La comunanza di classe implica, da un lato, di fissare il “bene” tutelato e, dall’altro,
di rapportare lo stesso alla varietà dei soggetti interessati al fine di determinare il risar-
cimento dovuto 39. Per l’art. 840 bis sono tutelabili con l’azione di classe i “diritti indivi-
duali omogenei”, per l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento
del danno e alle restituzioni 40.
L’azione inibitoria è una tutela preventiva, rivolta al futuro, tesa a far cessare un
comportamento illecito (es. soppressione di impiego di una clausola abusiva nei contrat-
ti, ritiro dal commercio di un bene difettoso) 41. L’art. 840 sexiesdecies contiene la previ-
sione della “azione inibitoria collettiva”: chi ha interesse alla pronuncia di una inibitoria
di atti e comportamenti, posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti,
può agire per ottenere l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazione della condotta
omissiva o commissiva 42.
Il modello delineato di azione di classe è vicino all’esperienza statunitense della class
action, egualmente imperniato su un controllo giudiziario di ammissibilità (certification).
Se ne discosta in quanto la sentenza che definisce il giudizio fa stato nei confronti del
proponente e degli aderenti (modello opt-in), senza la pervasività del modello americano
verso la intera classe materiale dei soggetti danneggiati (modello opt-out).

39
È il grande problema della liquidazione del danno risarcibile, se da rapportare su base individuale o da
condurre con metodo standardizzato: si deve ritenere che, in ragione della natura seriale dell’interesse fatto
valere, quando non siano coinvolti interessi indisponibili, anche il danno risarcibile debba corrispondere a un
formante di ristoro unitario, che prescinde dalla peculiarità delle specifiche dimensioni personali.
40
Vi è doppia legittimazione attiva: titolari dell’azione sono ciascun componente della “classe” e le orga-
nizzazioni o associazioni senza scopo di lucro iscritte in un apposito elenco istituito presso il Ministero della
giustizia. La legittimazione passiva è nei confronti di imprese ovvero di enti gestori di servizi pubblici o di
pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispetti-
ve attività. Non è ammesso l’intervento dei terzi ai sensi dell’art. 105 c.p.c. Il procedimento si svolge secondo
la seguente cadenza: verifica di ammissibilità dell’azione; valutazione nel merito dell’azione; quantificazione e
liquidazione degli importi dovuti ai singoli aderenti.
41
È una tutela fisiologicamente di classe, in quanto è in re ipsa che la cessazione della condotta plurioffen-
siva è di vantaggio per l’intera platea di soggetti che si trova nella medesima situazione di fatto o di diritto: la
rimozione della condotta lesiva strutturalmente giova alla intera classe di appartenenza.
42
Le organizzazioni o le associazioni senza scopo di lucro iscritte nell’elenco istituito presso il Ministero
della giustizia sono legittimate a proporre l’azione per ottenere l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazio-
ne della condotta omissiva o commissiva. L’azione può essere esperita nei confronti di imprese o di enti ge-
stori di servizi pubblici o di pubblica utilità relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svol-
gimento delle loro rispettive attività. Una formula anodina posta alla fine dell’art. 840 sexiesdecies (intitolato
“azione inibitoria collettiva”) prevede: “Quando l’azione inibitoria collettiva è proposta congiuntamente all’a-
zione di classe, il giudice dispone la separazione delle cause”. Sembrerebbe che l’inibitoria collettiva fuoriesca
dall’azione di classe, per riferirsi questa esclusivamente alla tutela risarcitoria. In realtà la previsione è da rife-
rire all’ipotesi in cui sia richiesto anche il risarcimento del danno: in tal caso il giudice decide sulla inibitoria,
che giova a tutti; mentre assegna al procedimento collettivo sopra delineato la determinazione dei danni da
risarcire e delle cose da restituire.
CAP. 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 245

Resta fermo il diritto all’azione individuale (art. 840 bis), a condizione che la doman-
da di adesione sia stata revocata prima che sia divenuto definitivo nei suoi confronti il
decreto di approvazione del progetto dei diritti individuali omogenei (art. 840 undecies);
ovvero quando è dichiarata l’estinzione dell’azione di classe.
Sono fatte salve le disposizioni in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni
e dei concessionari di servizi pubblici (art. 840 bis). In tal caso opera la class action pubblica
per l’efficienza della pubblica amministrazione (D.Lgs. 20.12.2009, n. 198), per cui i titola-
ri di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consuma-
tori possono agire in giudizio nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei conces-
sionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri inte-
ressi, al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di
un servizio. Si configura una tutela giudiziaria amministrativa di interessi collettivi 43.
Con la direttiva UE/2020/1028 sono state previste le azioni rappresentative a tutela
degli interessi collettivi dei consumatori.

8. Il diritto processuale uniforme. – Si è visto dei conflitti di leggi nello spazio, cui
ha riguardo il diritto internazionale privato (I, 3.12), con l’esigenza di un diritto unifor-
me. Anche con riguardo al diritto processuale va delineandosi un diritto internazionale
processuale uniforme, sia di fonte convenzionale che di formazione europea. Allo stato
l’atteggiamento europeo si muove in più direzioni.
Anzitutto sono dettati criteri uniformi concernenti la competenza, il riconoscimento
e l’esecuzione di decisioni assunte nei singoli Stati europei, al fine di favorire la libera
circolazione delle decisioni nella Unione 44.
Inoltre è introdotto un titolo esecutivo europeo, al fine di favorire nel territorio euro-
peo l’esecuzione delle decisioni 45; dall’altro ancora. È anche prevista la c.d. litispendenza
europea, per cui un rapporto pendente innanzi ad un giudice di uno Stato membro non
può essere portato all’attenzione di altro giudice di un diverso Stato 46.

43
Gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti
o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire
azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l’azione
generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’e-
spressa previsione di legge (Cons. Stato, ad. plen., 20-2-2020, n. 6).
44
Per la materia civile e commerciale fondamentale è la Conv. di Bruxelles del 27.9.1968 concernente la
competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (c.d. Bruxelles 1), rati-
ficata con L. 21.6.1971, n. 804. Su questa è costruito il Reg. C.E. 22.12.2000, n. 44/2001, concernente la
competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Il
Reg. C.E. 29.5.2000, n. 1348, è relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti
giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale. Per il diritto di famiglia assume importanza la
Conv. di Bruxelles 28.5.1998 (c.d. Bruxelles 2), cui ha avuto sostanzialmente riguardo il Reg. 27.11.2003, n. 2201,
relativo a competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di
responsabilità genitoriale (c.d. Bruxelles 2 bis).
45
Il Reg. 21.4.2004, n. 805, istituisce il “titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati”, al fine di con-
sentire la libera circolazione di decisioni giudiziarie, transazioni giudiziarie e atti pubblici in tutti gli Stati
membri, senza la necessità, nello Stato membro dell’esecuzione, di procedimenti intermedi per il riconosci-
mento e l’esecuzione. Con Reg. 12.12.2006, n. 1896 (in vigore dal 2008) è istituito un procedimento europeo
d’ingiunzione di pagamento.
46
Per l’art. 21 della Conv. di Bruxelles 27.9.1968 (riprodotto dall’art. 27 Reg. 44/2001/CE) “Qualora da-
246 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

9. Le Corti europee. – Per l’applicazione del diritto europeo operano due Corti con
finalità diverse.
a) La Corte di giustizia dell’Unione europea, con sede a Lussemburgo, “assicura il ri-
spetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati”; è competente a
pronunciarsi, in via pregiudiziale, su richiesta delle giurisdizioni nazionali: a) sull’inter-
pretazione dei trattati; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istitu-
zioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione (c.d. rinvio pregiudiziale) (art. 19 TUE e
art. 267 TFUE). È cioè consentito ad una giurisdizione nazionale di interrogare la Corte
di giustizia sull’interpretazione o sulla validità del diritto europeo nell’ambito di un con-
tenzioso in cui tale giurisdizione venga coinvolta 47; è anche ammesso il rinvio pregiu-
diziale d’urgenza per determinate materie 48.
Quando una questione di interpretazione è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di
uno degli Stati membri, il giudice nazionale può domandare alla Corte di giustizia di
pronunziarsi sulla questione; se la questione è sollevata in un giudizio avverso la cui de-
cisione non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, il giudice nazio-
nale deve rivolgersi alla Corte di giustizia (art. 267 TFUE) 49.
Nella giurisprudenza della Corte di giustizia come in quella della Corte costituziona-
le, si è andato affermando il principio che il giudice nazionale ha il dovere di tutelare i
diritti attribuiti dalla normativa europea, disapplicando le disposizioni contrastanti della
legge interna, anteriore o posteriore, e interpretando il diritto nazionale alla luce della lette-
ra e dello scopo del diritto europeo, tranne i controlimiti costituzionali (I, 2.5) 50.
b) La Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, assicura il rispetto
della Conv. Edu (artt. 19 ss.) 51. Si è visto come, con il Trattato di Lisbona, l’Unione eu-

vanti a giudici di Stati contraenti differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il mede-
simo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende d’ufficio il procedimento finché
sia stata accertata la competenza del giudice in precedenza adito; se la competenza del giudice preventiva-
mente adito è stata accertata, il giudice successivamente adito dichiara la propria incompetenza a favore del
primo”. Per applicazioni: Corte giust. C.E. 8-12-1987 (causa 144/86); Cass., sez. un., 12-12-1988, n. 6756,
e Cass., sez. un., 28-4-1999, n. 274.
47
Per Corte giust. U.E., grande sez., 8-10-2021, causa C-561/19, l’obbligo del rinvio pregiudiziale da par-
te del giudice nazionale di ultima istanza viene meno quando la questione non è rilevante, la disposizione di
diritto U.E. è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte europea, la corretta interpretazione si
impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi.
48
Per l’art. 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia, un rinvio pregiudiziale può essere sottoposto a una
procedura accelerata, nel caso in cui la natura della causa e delle circostanze eccezionali esigano che venga
trattata in un breve arco di tempo. La procedura pregiudiziale urgente si applica solamente negli ambiti rela-
tivi allo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia.
49
Il giudice nazionale ha l’obbligo di adire il giudice comunitario affinché valuti la validità di un regola-
mento comunitario, anche quando la Corte abbia già dichiarato invalide corrispondenti disposizioni di ana-
logo regolamento (Corte giust. 6-12-2005, causa C-451/02).
50
Si è però stabilito che gli effetti di una sentenza passata in giudicato continuano a prodursi anche nel ca-
so in cui la pronuncia sia stata resa in violazione del diritto comunitario, se le norme procedurali interne non
prevedono un riesame o una revoca della decisione (Corte giust. 16-3-2006, causa C-234/04).
51
Con L. 9.1.2006, n. 12, sono state dettate Disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della
Corte europea dei diritti dell’uomo. Per Cass. 3-10-2006, n. 32678, in materia di violazione dei diritti umani
(e in particolare di violazione dei diritti della difesa) il giudice nazionale italiano è tenuto a conformarsi alla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, anche se ciò comporta la necessità di mettere in discussione, attra-
verso il riesame o la riapertura dei procedimenti penali, l’intangibilità del giudicato. Si è anzi stabilito che la
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, anche se sopravviene nel corso del giudizio, impone ai
CAP. 1 – TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI 247

ropea abbia aderito a tale Convenzione, per cui i diritti fondamentali, garantiti dalla Con-
venzione, fanno parte del diritto dell’Unione come principi generali (I, 2.10).
La Corte può essere investita, non solo da ricorsi interstatali (con i quali il singolo
Stato contraente deferisce alla Corte la inosservanza della Convenzione o dei suoi proto-
colli da parte di altro Stato contraente) (art. 33), ma anche da ricorsi individuali, propo-
nibili da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati che
assuma di essere vittima di una violazione da parte di uno degli Stati contraenti dei dirit-
ti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli (art. 34).

10. La tutela rimediale. – Da tempo, specie sulla esperienza anglosassone di com-


mon law, sta sviluppandosi nel diritto europeo una tecnica di tutela meno piegata dalla
tipologia dei diritti violati e maggiormente indirizzata alla effettività di reintegrazione
degli interessi lesi (per equivalente o in forma specifica) ovvero rivolta a prevenire o ini-
bire la lesione. È un modello di tutela che si svolge, non nella prospettiva della fattispecie
lesiva, ma nell’ottica dell’effetto prodotto dalla fattispecie: la prima ha tradizionalmente
caratterizzato la logica delle azioni come riflessi giudiziari dei diritti violati; la seconda in-
volge la tecnica dei rimedi, riparatori o inibitori, degli interessi lesi 52. La tutela rimediale
esprime una formula sintetica per indicare un piano flessibile di protezione degli interessi
del cittadino oltre le fattispecie astratte previste e la tipologia dei diritti e delle tutele con-
nesse alle fattispecie tipiche.
È un ordine di idee che eccita criteri di protezione funzionali al caso concreto: si tende
a ritagliare soluzioni di protezione personalizzate ai soggetti del singolo conflitto e alla
natura degli interessi coinvolti. Si pensi alla necessaria flessibilità di rimedi che richiede
la lesione dei diritti della personalità, che va dalla essenziale inibitoria dell’azione lesiva
al risarcimento del danno sofferto; e poi ai variegati interventi rimediali di tutela del
“superiore interesse” del minore. Si pensi anche alla peculiarità degli interessi che si
connettono allo sviluppo delle nuove tecnologie e precipuamente all’utilizzo di internet,
con l’emergere di una complessa realtà virtuale governabile solo attraverso un sistema
flessibile di rimedi perennemente rinnovato in ragione della continua evoluzione tecno-
logica. Sul terreno della ricostruzione sistematica, si pensi alla progressiva uniformazione
della responsabilità civile, con il travaso di strumenti di tutela emersi con riferimento alla
responsabilità contrattuale o alla responsabilità extracontrattuale (significativo è l’impie-
go del risarcimento del danno non patrimoniale anche in sede di responsabilità contrat-
tuale). In definitiva, dalla natura dell’interesse leso consegue la specificità del rimedio
attribuito, in grado di riequilibrare la situazione giuridica violata ed eventualmente risto-
rare il soggetto danneggiato per i danni subiti.

giudici nazionali l’applicazione della pronuncia che ha valore di giudicato formale (Cass. 30-9-2011, n.
19985). Il giudice delle leggi ha precisato la essenzialità della verifica di compatibilità del singolo istituto alla
normativa della CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte cost.,
sent. 348 e 349 del 24-10-2007).
52
Si è soliti indicare le prospettive dei differenti sistemi di tutela con il ricorso a due brocardi, fondandosi
il civil law sul principio ubi ius ibi remedium (più legato alla nascita dello stato moderno) e il common law sul
principio ubi remedium ibi ius (maggiormente risalente al diritto romano).
CAPITOLO 2
PROVE

Sommario: 1. La prova dei fatti giuridici. – 2. Prove legali (tipiche). Prove precostituite. – 3. Segue.
Prove costituende. – 4. Prove atipiche.

1. La prova dei fatti giuridici. – I fatti della realtà materiale rilevano giuridicamente
in quanto vengano provati. Le prove sono intimamente connesse ai fatti giuridici, non
come elementi costitutivi degli stessi ma come mezzi di deducibilità degli stessi nella real-
tà processuale. I fatti giuridici (e correlativamente le situazioni soggettive e i rapporti
giuridici che dagli stessi derivano) rilevano nella realtà giuridica proprio in quanto ne sia
possibile la prospettazione e la verificazione attraverso le prove, sulla scorta delle quali il
giudice valuta la esistenza o inesistenza dei fatti affermati o negati. Significativamente i
principi generali relativi alle prove di fatti di rilevanza privatistica sono contenuti nel co-
dice civile, che contiene il diritto materiale dei fatti, delle situazioni soggettive e dei rap-
porti tra privati. In particolare, il codice civile contiene le disposizioni generali sull’onere
della prova, le regole sulla tipologia e l’efficacia delle prove (artt. 2697 ss.); mentre il co-
dice di procedura civile ne disciplina l’assunzione e cioè l’ingresso delle stesse nel pro-
cesso (sotto la rubrica “mezzi di prova”: artt. 202 ss. c.p.c.).
Principio base è che l’onere della prova grava sul soggetto che intende far valere
un fatto giuridico: secondo l’antica massima onus probandi incumbit ei qui dicit. L’attore,
cioè colui che agisce in giudizio per far valere una pretesa, ha l’onere di allegare e prova-
re i fatti sui quali la pretesa si fonda. Il convenuto, cioè la controparte, può semplice-
mente limitarsi a negare l’esistenza del diritto, come può allegare e provare fatti contrari.
L’art. 2697 c.c. fissa il principio sulla distribuzione dell’onere della prova: chi vuol far va-
lere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento; chi ec-
cepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto
deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda. Sono nulli i patti con i quali è invertito
ovvero è modificato l’onere della prova, quando si tratta di diritti di cui le parti non pos-
sono disporre o quando l’inversione o la modificazione ha per effetto di rendere a una
delle parti eccessivamente difficile l’esercizio del diritto (art. 2698).
Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le
prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificamente
contestati dalla parte costituita (principio di disponibilità delle prove) (art. 1151). Sono
tuttavia frequenti le ipotesi in cui la legge ammette la ricerca di ufficio di prove: ad es. il
giudice può porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella
CAP. 2 – PROVE 249

comune esperienza (c.d. fatto notorio) (art. 1152 c.p.c.) 1; nei giudizi con rito camerale (artt.
737 ss. c.p.c.), volti a garantire esigenze di celerità, snellezza e concentrazione, e perciò a
trattazione collegiale, il giudice può assumere informazioni (art. 7383 c.p.c.).
Di regola la valutazione delle prove è rimessa al prudente apprezzamento del giudice,
salvo che la legge disponga altrimenti (art. 1161 c.p.c.). Sussistono, peraltro, c.d. argo-
menti di prova, che operano come elementi di valutazione di altre prove: per l’art. 1162
c.p.c. il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno nel
corso di un interrogatorio non formale 2, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le
ispezioni che egli ha ordinato 3 e, in generale, dal contegno tenuto nel processo.

2. Prove legali (tipiche). Prove precostituite. – Le prove legali sono le prove previ-
ste dalla legge (prove tipiche): assumono una rilevanza specifica per essere la relativa effi-
cacia predeterminata dalla legge, sicché dai risultati delle stesse il giudice non può disco-
starsi: il giudice è vincolato al risultato probatorio conseguito dalle prove legali. Di que-
ste, alcune sono precostituite; altre sono costituende.
Le prove precostituite sono le prove formate prima e indipendentemente dal processo:
sono anche dette prove “storiche” in quanto deduttive di fatti avvenuti, fondativi della
esistenza dei diritti reclamati o della insussistenza degli stessi; sono prove acquisite al
processo mediante la produzione in giudizio.
Tali sono essenzialmente le prove documentali, cioè i documenti allegati dalle par-
ti nel processo (artt. 2699 ss.). Il documento è la entità materiale rappresentativa di un fat-
to, in grado di procurare la conoscenza (duratura) dello stesso. I documenti possono
contenere dichiarazioni di volontà come dichiarazioni di scienza del soggetto da cui pro-
vengono. La data vale a collocarli nel tempo e nello spazio.
Tradizionalmente l’attività di documentazione è stata compiuta sulla carta attraverso
la scrittura (documento cartaceo); successivamente, anche su supporti meccanici attra-
verso registrazioni, pellicole, fotografie, videocamere; da ultimo, su supporti informatici
o mediante la sola rappresentazione informatica.
Tra le prove documentali assumono tuttora primaria rilevanza l’atto pubblico e la
scrittura privata. Si vedrà peraltro come, talvolta, tali prove esprimano documentazioni

1
Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispo-
sitivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a
fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle cono-
scenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile; non si posso-
no di conseguenza reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza quegli elementi valutativi
che implicano cognizioni particolari, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poi-
ché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio (Cass. 26-5-2020, n. 9714;
Cass. 16-12-2019, n. 33154; Cass. 19-3-2014, n. 6299).
2
Per l’art. 117 c.p.c. il giudice, in qualunque stato e grado del processo, ha facoltà di ordinare la compari-
zione personale delle parti in contraddittorio tra loro per interrogarle liberamente sui fatti della causa; le parti
possono farsi assistere dai difensori.
3
Per l’art. 118 c.p.c. il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle co-
se in loro possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa
compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo, e senza costringerli a violare uno dei segreti previsti
negli artt. 200, 201 e 202 c.p.p.; se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice può
da questo rifiuto desumere argomenti di prova a norma dell’art. 1162 c.p.c.; se rifiuta il terzo, il giudice lo
condanna a una pena pecuniaria.
250 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

vincolate di volontà negoziale, rilevando come forma a pena di nullità (forma ad substan-
tiam) (VIII, 4.2) o come mezzo di prova (forma ad probationem) (VIII, 4.3).
a) L’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità 4, da un notaio o
da altro pubblico ufficiale (es. cancelliere, ufficiale giudiziario, segretario comunale, uffi-
ciale di stato civile, ecc.) autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è
formato (art. 2699). Ha una efficacia precostituita dalla legge: per l’art. 2700 l’atto pub-
blico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico
ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il
pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (analogamente art.
451 per gli atti di stato civile). Va chiarito che il pubblico ufficiale non accerta la veridi-
cità del contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti ma ne attesta solo i termini e il fatto
della provenienza delle dichiarazioni dalle parti: sicché l’efficacia probatoria dell’atto
pubblico (quale prova legale che vincola il giudice) attiene solo alla provenienza dell’at-
to; mentre il suo contenuto è rimesso al prudente apprezzamento del giudice secondo il
comune criterio di valutazione delle prove (art. 1161 c.p.c.) 5.
b) La scrittura privata proviene dal privato, che la sottoscrive. Non rileva chi (e co-
me) materialmente la redige: con la firma il sottoscrittore ne assume la paternità. Per
l’art. 2702 la scrittura privata fa prova, fino a querela di falso, della provenienza delle di-
chiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne ri-
conosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta
(art. 2702). La scrittura privata fa dunque piena prova solo contro l’autore della stessa,
non in suo favore. In assenza di pubblico ufficiale che conferisca pubblica fede alla sua
provenienza (come nell’atto pubblico), è necessario che la scrittura sia o effettivamente
riconosciuta 6 dal soggetto contro il quale è fatta valere o legalmente considerata ricono-
sciuta 7. Anche l’efficacia probatoria della scrittura privata (quale prova legale che vinco-
la il giudice) attiene solo alla provenienza del documento; il contenuto dell’atto è sogget-

4
Talvolta è anche richiesta la presenza essenziale dei testimoni ai fini della validità dell’atto. Così, per
l’art. 48 L. 16.2.1913, n. 89 (legge notarile), le parti non possono rinunziare alla assistenza dei testimoni rela-
tivamente alle donazioni e alle convenzioni matrimoniali; per tutti gli altri atti tra vivi le parti che sappiano
leggere e scrivere hanno facoltà di rinunziare di comune accordo alla assistenza dei testimoni all’atto: il notaio
farà espressa menzione di tale accordo in principio dell’atto.
5
L’efficacia probatoria non si estende anche alle dichiarazioni fatte dai comparenti e trasfuse nell’atto
pubblico, ben potendo queste ultime essere liberamente contrastate e valutate in sede giudiziale con tutti i
mezzi di prova consentiti dalla legge, senza dover ricorrere alla querela di falso (Cass. 18-5-2020, n. 9105;
Cass. 2-10-2008, n. 24530).
6
Il disconoscimento avviene mediante formale negazione della propria scrittura o sottoscrizione (art. 214
c.p.c.). Si ha riconoscimento tacito se la controparte non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella
prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione (art. 215 c.p.c.). In ipotesi di dichiarazione
sottoscritta, pur se contenuta in più fogli dei quali solo l’ultimo firmato, poiché la sottoscrizione, ai sensi
dell’art. 2702 c.c., si riferisce all’intera dichiarazione e non al solo foglio che la contiene, la scrittura privata
deve ritenersi valida ed efficace nel suo complesso, rimanendo irrilevante la mancata firma dei fogli preceden-
ti; al fine di impedire che l’intero contenuto della scrittura faccia stato nei confronti del sottoscrittore,
quest’ultimo ha l’onere di proporre querela di falso (Cass. 19-3-2019, n. 7681).
7
Si considera legalmente riconosciuta la sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale
a ciò autorizzato; l’autenticazione consiste nell’attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizio-
ne è stata apposta in sua presenza, previo accertamento della identità della persona che sottoscriva (art.
2703). Tale è anche la scrittura verificata giudizialmente.
CAP. 2 – PROVE 251

to alla comune valutazione del giudice (art. 1161 c.p.c.) 8. Se la parte contro la quale la
scrittura è fatta valere la disconosce, la parte che intende valersi della scrittura discono-
sciuta deve chiederne la verificazione giudiziale proponendo i mezzi di prova che ritiene
utili e producendo o indicando le scritture di comparazione (art. 216 c.p.c.). Si ha per
riconosciuta la sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò au-
torizzato (art. 2703) ovvero accertata giudizialmente (artt. 215 ss. c.p.c.).
Opera in materia un fenomeno di c.d. conversione formale: per l’art. 2701, il docu-
mento formato da ufficiale pubblico incompetente o incapace ovvero senza l’osservanza
delle formalità prescritte, se è stato sottoscritto dalle parti, ha la stessa efficacia probato-
ria della scrittura privata (VIII, 9.7). In sostanza, risultando viziata la documentazione
dell’atto pubblico, vale come documentazione di scrittura privata.
c) Altre prove documentali sono le scritture contabili delle imprese soggette a regi-
strazione (art. 2709 ss.) 9, le riproduzioni meccaniche (art. 2712) 10, taglie o tacche di con-
trassegno (art. 2713), copie degli atti (artt. 2714 ss.), atti di ricognizione o di rinnovazio-
ne (art. 2720), assistite da regimi di prova particolari in ragione della specificità della re-
lativa formazione. Si sta formando un’articolata disciplina del c.d. “documento informa-

8
La querela di falso proposta avverso una scrittura privata è limitata a contestare la provenienza materiale
dell’atto dal soggetto che ne abbia effettuato la sottoscrizione e non pure ad impugnare la veridicità di quanto
dichiarato (Cass. 14-5-2019, n. 12707; Cass. 10-4-2018, n. 8766).
9
Per le imprese soggette a registrazione, i libri e le altre scritture contabili fanno prova contro l’impren-
ditore; tuttavia chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto (art. 2709); i libri bollati e vidimati,
regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa (art.
2710). L’art. 2709 pone una presunzione semplice di veridicità, a sfavore dell’imprenditore; pertanto tali
scritture, come ammettono la prova contraria, così possono essere liberamente valutate dal giudice del meri-
to, alla stregua di ogni altro elemento probatorio (Cass. 12-2-2018, n. 3384).
10
Con lo sviluppo delle tecnologie assumono una portata sempre più diffusa le riproduzioni meccaniche:
per l’art. 2712 “le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e,
in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose
rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose me-
desime”. Per giurisprudenza acquisita “il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degra-
dandole a presunzioni semplici, deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare
nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta” (Cass.
2-9-2016, n. 17526; Cass. 17-2-2015, n. 3122). In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche
di cui all’art. 2712 c.c., il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presun-
zioni semplici, deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di ele-
menti attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (Cass. 28-3-2018, n. 7595). L’e-
mail e il Sms (short message service), sono riconducibili nell’ambito dell’art. 2712 e, per l’effetto, formano pie-
na prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale vengono prodotti non ne contesti la con-
formità ai fatti o alle cose medesime (Cass. 17-7-2019, n. 19155; Cass. 14-5-2018, n. 11606). Per il discono-
scimento delle fotocopie prodotte in giudizio, il disconoscimento deve essere non solo tempestivo ma anche
chiaro, circostanziato ed esplicito in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta
successiva alla sua produzione (Cass. 6-2-2019, n. 3540); la contestazione non può avvenire con clausole di
stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata, a pena di inefficacia, in modo chiaro e circostanziato,
attraverso l’indicazione specifica sia del documento che s’intende contestare, sia degli aspetti per i quali si
assume differisca dall’originale (Cass. 7-2-2020, n. 2908). Lo stesso vale per la registrazione su nastro magne-
tico di una conversazione (Cass. 19-1-2018, n. 1250). Il disconoscimento di conformità non ha gli stessi effetti
di quello della scrittura privata ex art. 2152 c.p.c. poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di
verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che
il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni
(Cass. 21-2-2019, n. 5141; Cass. 23-5-2018, n. 12737; Cass. 4-3-2004, n. 4395).
252 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

tico”, anche in relazione alla efficacia della prova: dello stesso, per organicità di tratta-
zione, si parlerà in tema di forma del contratto (VIII, 4.6).

3. Segue. Prove costituende. – Sono le prove che si costituiscono e dunque si for-


mano nel processo. Possono essere dirette e indirette.
Sono prove dirette (orali) la prova testimoniale, la confessione e il giuramento, nel
senso che si formano mediante dichiarazioni orali che immediatamente producono la co-
noscenza dei fatti. Al pari delle prove documentali, sono prove “storiche” in quanto de-
duttive di fatti avvenuti, con la peculiarità di formarsi nel processo.
Sono prove indirette (logiche) le presunzioni, nel senso che si formano attraverso ope-
razioni logiche. Non sono deduttive dei fatti fondativi di diritti ma partecipative di indi-
zi, che conducono mediatamente alla conoscenza dei fatti.
Delle singole prove si parla specificamente di seguito.
a) La prova testimoniale è una prova diretta; consiste nel determinare la conoscenza di
fatti da terzi estranei al processo e indifferenti agli interessi in gioco 11. Deve essere de-
dotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati
per articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata (art. 244 c.p.c.). Ad
evitare artificiose ricostruzioni dei fatti, la legge circonda la prova testimoniale di molti
limiti, mostrando di accordare maggiore attendibilità alle altre prove legali.
Vari limiti circondano la prova dei contratti a salvaguardia delle operazioni eco-
nomiche compiute.
Anzitutto la prova per testimoni non è ammessa quando il valore dell’oggetto eccede
euro 2,58; tuttavia l’autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il limite anzidetto,
tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostan-
za (art. 2721) 12. La prova per testimoni neppure è ammessa se ha per oggetto patti ag-
giunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è
stata anteriore o contemporanea (art. 2722): la limitazione della prova testimoniale è es-
senziale presidio della certezza delle contrattazioni 13. Qualora si alleghi che, successiva-

11
Non possono testimoniare le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la parteci-
pazione al giudizio (art. 246 c.p.c.). Se vi è fondato sospetto che il testimone non abbia detto la verità o sia
stato reticente, il giudice lo denuncia al pubblico ministero, al quale trasmette copia del processo verbale (art.
256 c.p.c.). Integra il reato di falsa testimonianza la condotta di chi, deponendo come testimone innanzi al-
l’Autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti
sui quali è interrogato: tale reato è punito con la reclusione da due a sei anni (art. 372 c.p.). Se vi sono diver-
genze tra le deposizioni di due o più testimoni, il giudice, su istanza di parte o di ufficio, può disporre che essi
siano messi a confronto (art. 254 c.p.c.).
12
I limiti di valore, sanciti dall’art. 2721 c.c., non attengono all’ordine pubblico, ma sono dettati nell’e-
sclusivo interesse delle parti private, con la conseguenza che, qualora, in primo grado, la prova venga ammes-
sa oltre i limiti predetti, essa deve ritenersi ritualmente acquisita, ove la parte interessata non ne abbia tempe-
stivamente eccepito l’inammissibilità in sede di assunzione o nella prima difesa successiva, senza che la relati-
va nullità, oramai sanata, possa essere eccepita per la prima volta in appello (neppure dalla parte che sia rima-
sta contumace nel giudizio di primo grado) o, a maggior ragione, nel giudizio di legittimità Cass. 19-2-2018,
n. 3956). Non viola l’art. 27211 c.c. il giudice che, relativamente ad un contratto di mutuo concluso in forma
orale, ammetta la prova di tale stipulazione a mezzo testimoni, allorché ritenga verosimile la conclusione orale
del contratto, avuto riguardo alla sua natura ed alla qualità delle parti, nonostante il valore della lite ecceda il
limite previsto dalla citata disposizione (Cass. 24-1-2018, n. 1751).
13
Il divieto di provare per testi patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, posto dall’art.
2722 c.c., si riferisce ad un atto formato con l’accordo delle parti e non opera con riguardo ad una fattura
CAP. 2 – PROVE 253

mente alla formazione del documento, sia stato stipulato un patto aggiunto o contrario al
contenuto di esso, il giudice può consentire la prova per testimoni se, avuto riguardo alla
qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza, appare verosimile
che siano state fatte aggiunte o modifiche verbali (art. 2723) 14. Sono previste espresse
eccezioni ai divieti indicati, per cui la prova testimoniale è sempre ammessa (art. 2724) 15.
Le regole stabilite per la prova testimoniale dei contratti si applicano al pagamento e alla
remissione del debito (art. 2726).
Per i contratti che richiedono la forma scritta a pena di nullità (forma ad substantiam)
e quelli che, secondo la legge o la volontà delle parti, devono essere provati per iscrit-
to (forma ad probationem), la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso di cui
al co. 3 dell’art. 2724, cioè quando il contraente ha senza sua colpa perduto il docu-
mento che gli forniva la prova; la stessa regola vale per le presunzioni, che non si pos-
sono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni (art. 2725) 16. La
uniformazione del regime della prova non elimina la diversa natura giuridica della
forma richiesta: se richiesta ad substantiam (es. vendita di immobile ex art. 1350), il
contratto deve essere necessariamente provato con il documento sottoscritto dalle
parti, con possibilità della prova testimoniale nella sola ipotesi di perdita incolpevole
del documento 17 e ciò, per costante giurisprudenza, anche relativamente alla prova

che contiene, invece, solo una dichiarazione unilaterale (Cass. 19-9-2019, n. 23414); come non riguarda un
atto unilaterale, come un assegno bancario o una quietanza (Cass. 24-2-2015, n. 3588); come non riguarda
la individuazione della reale portata del contratto attraverso l’accertamento dei fatti storici che determina-
rono il consenso dei contraenti (Cass. 12-6-2012, n. 9526; Cass. 9-6-2010, n. 13876); il divieto opera quan-
do si riferisce alla contrarietà tra ciò che si sostiene essere pattuito e quello che risulta documentato, ma
non ove tenda solo a fornire elementi idonei a chiarire o interpretare il contenuto del documento (Cass.
7-11-2018, n. 28407). È ammissibile la prova per testi che non abbia ad oggetto patti aggiunti o contrari al con-
tenuto di un documento ma sia volta a provare circostanze utili a connotare il contesto in cui il documento venne
formato, in riferimento alla condotta precontrattuale di una delle parti e, di riflesso, all’affidamento che la con-
troparte avrebbe potuto nutrire sulla positiva conclusione dell’affare (Cass. 13-6-2019, n. 15873).
14
L’inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 c.c., derivando non da ragioni
di ordine pubblico processuale, quanto dall’esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere
rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, prima dell’ammissione del mezzo istruttorio;
qualora, nonostante l’eccezione d’inammissibilità, la prova sia stata egualmente espletata, è onere della parte
interessata eccepirne la nullità, nella prima istanza o difesa successiva all’atto, o alla notizia di esso, ai sensi
dell’art. 1572 c.p.c. (Cass. 19-9-2013, n. 21443).
15
Per l’art. 2724 la prova per testimoni è ammessa in ogni caso: 1) quando vi è un principio di prova per
iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda
o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato; 2) quando il contraente è stato
nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta; 3) quando il contraente ha senza sua col-
pa perduto il documento che gli forniva la prova.
16
I limiti legali alla prova di un contratto per cui sia richiesta la forma scritta, “ad substantiam” o “ad pro-
bationem” (art. 2725), così come quelli di valore superiore a € 2,58 per la prova testimoniale (art. 2721), ope-
rano esclusivamente quando il contratto sia invocato in giudizio quale fonte di diritti ed obblighi tra le
parti contraenti e non anche ove esso sia dedotto quale semplice fatto storico influente sulla decisione (Cass.
1-3-2019, n. 6199; Cass. 19-2-2015, n. 3336).
17
Per i contratti per i quali è prevista la forma scritta “ad substantiam”, la prova della loro esistenza e dei
diritti che ne formano l’oggetto richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura, che
non può essere sostituita da altri mezzi probatori e neanche dal comportamento processuale delle parti che
abbiano concordemente ammesso l’esistenza del diritto costituito con l’atto non esibito (Cass. 18-1-2019, n.
1452). La prova testimoniale è ammessa ex art. 2724, n. 3 solo dopo che sia acquisita la prova di una serie di
circostanze di fatto: a) l’esistenza del documento; b) il suo contenuto, onde controllare la sua validità formale
254 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

dell’accordo simulatorio 18; se richiesta ad probationem (es. contratto di agenzia ex art.


17422), la validità del contratto comporta la rimessione della prova alla disponibilità
delle parti 19.
b) La confessione è una prova diretta; è la dichiarazione che una parte fa della verità
di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte (art. 2730). La confessione non è ef-
ficace se non proviene da persona capace di disporre del diritto a cui i fatti confessati si
riferiscono (art. 2731).
La confessione può essere giudiziale o stragiudiziale. La confessione giudiziale è
orale e forma piena prova contro colui che l’ha fatta, purché non verta su fatti rela-
tivi a diritti indisponibili (art. 2733) 20. La confessione stragiudiziale può essere ora-
le 21 o scritta 22: se è fatta alla parte o a chi la rappresenta, ha la stessa efficacia probatoria
di quella giudiziale; se è fatta a un terzo o è contenuta in un testamento, è liberamente
apprezzata dal giudice (art. 27351).
c) Il giuramento è una prova diretta. Consiste in una dichiarazione di verità di fatti
favorevoli al soggetto che rende il giuramento: non può essere spontaneo, ma solo pro-
vocato. Il giuramento, quale prova legale, vincola il giudice: la controparte non è am-
messa a provare il contrario, né può chiedere la revocazione della sentenza qualora il
giuramento sia stato dichiarato falso; può tuttavia domandare il risarcimento dei danni

e sostanziale; c) la prestazione di diligenza nella custodia del documento; d) l’evento naturale o imputabile a
terzi, che abbia determinato la perdita del documento (Cass. 30-4-2019, n. 11465). Peraltro, per l’art. 27352,
la confessione stragiudiziale non può provarsi per testimoni se verte su un oggetto per il quale la prova te-
stimoniale non è ammessa dalla legge.
18
In caso di simulazione relativa riguardante un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad sub-
stantiam, la prova dell’accordo simulatorio, traducendosi nella dimostrazione del negozio dissimulato, deve
essere data, ai sensi dell’art. 2725 c.c., mediante atto scritto, cioè con un documento contenente la con-
trodichiarazione sottoscritta dalle parti, e comunque dalla parte contro la quale esso sia fatto valere in giudi-
zio, con salvezza della prova testimoniale nella sola ipotesi, prevista dall’art. 2724, n. 3, c.c., di perdita incol-
pevole del documento (Cass. 2-10-2014, n. 20857).
19
L’inammissibilità della prova per testi nei contratti per i quali è prevista la forma scritta ad probationem
non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, entro il termine previsto dal-
l’art. 157 c.p.c. (Cass. 25-6-2014, n. 14470).
20
La confessione giudiziale è spontanea o provocata mediante interrogatorio formale (art. 228 c.p.c.):
la confessione spontanea può essere contenuta in qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personal-
mente (art. 229 c.p.c.); la confessione provocata è conseguente all’esperimento dell’interrogatorio formale
richiesto dalla controparte, dedotto per articoli separati e specifici (art. 230 c.p.c.). Se la parte non si pre-
senta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il giudice, valutato ogni altro elemento di prova,
può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio (art. 232 c.p.c.). Le ammissioni presenti negli
atti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore “ad litem”, non hanno natura confessoria, ma valore
di indizi liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento mentre, qualora
siano contenute in atti stragiudiziali, non hanno neppure tale ultimo valore (Cass. 19-3-2019, n. 7702;
Cass. 28-9-2018, n. 23634. In tema di prova della simulazione di contratti di compravendita di immobili,
che esigono la forma scritta “ad substantiam”, è ammissibile l’interrogatorio formale tra le parti, in quanto
sia diretto a provocare la confessione del soggetto cui è deferito e a dimostrare la simulazione assoluta
del contratto, poiché, in tal caso, oggetto del mezzo di prova è l’inesistenza della compravendita (Cass.
10-4-2018, n. 8804).
21
La dichiarazione confessoria stragiudiziale orale può provarsi per testimoni, tranne che verta su un og-
getto per il quale la prova testimoniale non è ammessa dalla legge (art. 27352).
22
Es. la quietanza, con la quale il creditore dichiara di avere ricevuto un pagamento (contestato in giu-
dizio).
CAP. 2 – PROVE 255

nel caso di condanna penale per falso giuramento (art. 2738) 23; inoltre non può ri-
guardare diritti indisponibili, ed ha un oggetto circoscritto 24. Il giuramento è di due
specie: decisorio e suppletorio.
Il giuramento decisorio è deferito da una parte all’altra per farne dipendere la de-
cisione totale o parziale della causa: deve essere formulato in articoli separati, in modo
chiaro e specifico (artt. 2736, n. 1, c.c. e 233 c.p.c.). Finché non abbia dichiarato di esse-
re pronta a giurare, la parte alla quale il giuramento decisorio è stato deferito, può riferir-
lo all’avversario (art. 234 c.p.c.) 25. La mancata prestazione del giuramento senza giustifi-
cato motivo comporta la soccombenza rispetto alla domanda o al punto di fatto relati-
vamente al quale il giuramento è stato ammesso (art. 239 c.p.c.).
Il giuramento suppletorio è deferito d’ufficio dal giudice a una delle parti al fine
di decidere la causa quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma
non sono del tutto sfornite di prova, ovvero è deferito al fine di stabilire il valore della
cosa domandata, se non sia possibile accertarlo altrimenti (art. 2736, n. 2, c.c.; art. 241
c.p.c.).
d) Le presunzioni integrano una prova indiretta o logica, in quanto non tendono ad
accertare la materialità del fatto invocato, ma a dedurre l’esistenza di un fatto da circo-
stanze certe attraverso un procedimento logico: dalla esistenza di alcuni fatti si deduce il
fatto da provare. Per l’art. 2727 le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giu-
dice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato. Le presunzioni si distinguono
in presunzioni legali e presunzioni semplici (o di fatto).
Le presunzioni legali sono previste direttamente dalla legge: le stesse dispensano
da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite (art. 2728). La parte in
cui favore la presunzione opera è tenuta solo a provare il fatto base da cui deriva il fatto

23
La dichiarazione di falso integra il reato di falso giuramento: per l’art. 371 c.p., chiunque, come par-
te in giudizio civile, giura il falso è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni; nel caso di giuramento
deferito d’ufficio, il colpevole non è punibile se ritratta il falso prima che sulla domanda giudiziale sia pro-
nunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile; la condanna importa l’interdizione dai pubblici
uffici.
24
L’art. 2739 considera oggetto di giuramento solo fatti relativi a diritti disponibili; non è ammesso so-
pra un fatto illecito o sopra un contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta, né per nega-
re un fatto che da un atto pubblico risulti avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale che ha formato
l’atto stesso; il giuramento non può essere deferito che sopra un fatto proprio della parte a cui si deferisce
o sulla conoscenza che essa ha di un fatto altrui e non può essere riferito qualora il fatto che ne costituisce
l’oggetto non sia comune a entrambe le parti. Per la giurisprudenza il giuramento, decisorio o suppletorio,
non può vertere sull’esistenza o meno di rapporti o di situazioni giuridiche, né può deferirsi per provocare
l’espressione di apprezzamenti od opinioni né, tantomeno, di valutazioni giuridiche, dovendo la sua for-
mula avere ad oggetto circostanze determinate che, quali fatti storici, siano stati percepiti dal giurante con
i sensi o con l’intelligenza (Cass. 25-10-2018, n. 27086). Il giuramento può essere deferito con formula “de
veritate” non solo quando abbia ad oggetto un fatto proprio del giurante, ma anche ove il fatto, pur es-
sendo posto in essere da altri, sia caduto sotto l’esperienza diretta dei suoi sensi e della sua intelligenza; in
caso contrario, qualora il fatto sia stato esclusivamente conosciuto in via indiretta dal giurante medesimo,
il giuramento va deferito con formula “de scientia” (Cass. 4-6-2018, n. 14300). Il giuramento decisorio
non può essere ammesso per provare la risoluzione consensuale di un preliminare di compravendita
immobiliare, perché anche tale contratto è soggetto al requisito della forma scritta ad substantiam (Cass.
23-11-2018, n. 30446).
25
La parte che ha deferito o riferito il giuramento decisorio non può più revocarlo quando l’avversario ha
dichiarato di essere pronto a prestarlo (art. 235 c.p.c.).
256 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

presunto, che si considera provato. Le presunzioni legali si distinguono in presunzioni


assolute e presunzioni relative.
Le presunzioni assolute (anche dette iuris et de iure) non ammettono prova contraria:
la legge ricollega senz’altro l’effetto giuridico alla specifica fattispecie considerata, sicché
si tende ad escludere dalla problematica delle prove. Sono fissate due categorie di pre-
sunzioni assolute: quelle sul cui fondamento sono dichiarati nulli certi atti e quelle per le
quali non è ammessa l’azione in giudizio; in ogni caso salvo che la prova contraria sia
consentita dalla legge stessa (art. 27282). È un esempio la presunzione di concepimento
durante il matrimonio (art. 232).
Le presunzioni relative (anche dette iuris tantum) ammettono la prova contraria. L’am-
missibilità della prova contraria, talvolta, è esplicitamente prevista, come la presunzione
di concepimento al tempo dell’apertura della successione (art. 4622) 26; talaltra è ricostruita
in via interpretativa, come la presunzione di onerosità del mandato (art. 1709) 27, la pre-
sunzione di pagamento nella restituzione volontaria del titolo del credito (art. 1237) 28. Il
soggetto interessato ad avvalersi della presunzione legale ha l’onere di provare il fatto
noto previsto dalla legge: l’esistenza del fatto ignorato presunto discende dalla legge stes-
sa, salva prova contraria (appunto perché presunzione relativa). Il criterio è ampiamente
utilizzato in materia tributaria 29.
Le presunzioni semplici (c.d. di fatto), non sono stabilite dalla legge, ma sono la-
sciate alla prudenza del giudice secondo diffusi criteri di esperienza (il c.d. libero con-
vincimento del giudice), il quale deduce dalla presenza di alcuni fatti (indizi) la pre-
sunzione di esistenza o di non esistenza di un diverso fatto. Per l’art. 27291 il giudice
non deve ammettere che “presunzioni gravi, precise e concordanti”: in realtà sono i
singoli fatti (indizi) che devono avere tali requisiti così da inferire la presunzione di un
diverso fatto 30. Il soggetto interessato ad avvalersi di una presunzione semplice deve

26
Per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla pubblicità anagrafica, ferma restando la
sussistenza dei presupposti della stabilità materiale (co. 37, L. 20.5.2016, n. 76): dal fatto noto della pubblici-
tà si desume il fatto ignorato presunto della stabilità di convivenza.
27
La presunzione di onerosità del mandato ha carattere relativo e può essere superata dalla prova della
sua gratuità, desumibile dalle circostanze del rapporto (nella specie è stata ritenuta superata dalla relazione di
parentela intercorrente fra le parti) (Cass. 3-7-2018, n. 17384).
28
Il possesso da parte del debitore del titolo originale del credito costituisce fonte di una presunzione le-
gale “juris tantum” di pagamento, superabile con la prova contraria di cui deve onerarsi il creditore che sia
interessato a dimostrare che il pagamento non è avvenuto e che il possesso del titolo è dovuto ad altra causa
(Cass. 8-2-2018, n. 3130).
29
In tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione ef-
fettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai D.M. 10 settembre e 19 novembre 1992, ri-
guardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza
dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a ca-
rico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori,
l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31-10-2018, n.
27811).
30
Bisogna procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se
la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi rag-
giunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi (Cass., sez. un., 11-1-2008, n. 584;
conf. Cass. 26-5-2020, n. 9676; Cass. 29-11-2019, n. 31313). Nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt.
2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva
CAP. 2 – PROVE 257

provare i fatti-indizi da cui intende dedurre una presunzione, spettando al giudice va-
lutare la idoneità dei fatti noti addotti a integrare un processo logico che porti all’am-
missione di un fatto ignorato. Le presunzioni semplici sono soltanto relative, perciò (al
pari delle presunzioni legali relative) ammettono la prova contraria. Le presunzioni
semplici non sono ammesse nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni (art.
27292).

4. Prove atipiche. – Nel processo civile manca una norma generale, quale quella pre-
vista dall’art. 189 c.p.p. nel processo penale, che legittima espressamente l’ammissibilità
delle prove non disciplinate dalla legge. Però la previsione legislativa di prove legali (ti-
piche) non esclude la possibilità di avvalersi di prove atipiche, non essendo previsto un
principio di tassatività e vincolatività delle solo prove legali né esistendo un divieto di av-
valersi di prove diverse da quelle tipiche.
Si tende dunque, anche nel processo civile, ad utilizzare prove atipiche, nel rispetto
del contraddittorio delle parti in causa; l’efficacia probatoria è assimilata a quella delle
presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. ovvero utilizzata come argomento di prova: tecni-
camente trovano ingresso nel processo civile con lo strumento della produzione docu-
mentale, soggiacendo ai limiti temporali posti a pena di decadenza e nel rispetto delle
preclusioni istruttorie 31.

necessità causale, essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stre-
gua di un giudizio di probabilità basato sull’“id quod plerumque accidit”, sicché il giudice può trarre il suo
libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei re-
quisiti legali della gravità, precisione e concordanza (Cass. 21-1-2020, n. 1163). Gli elementi assunti a fonte di
prova non debbono essere necessariamente più d’uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convinci-
mento su uno solo di essi, purché grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzio-
nato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi
(Cass. 26-9-2018, n. 23153). Il danno patrimoniale derivante da indebita segnalazione alla Centrale Rischi
della Banca d’Italia può essere provato dal danneggiato anche per presunzioni, potendo consistere, se im-
prenditore, nel peggioramento della sua affidabilità commerciale, essenziale pure per l’ottenimento e la con-
servazione dei finanziamenti, con lesione del diritto ad operare sul mercato secondo le regole della libera
concorrenza, e, per qualsiasi altro soggetto, nella maggiore difficoltà nell’accesso al credito (Cass. 10-2-2020,
n. 3133).
31
Nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice e in
assenza di una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, questi può porre a fondamen-
to della decisione anche prove atipiche, non espressamente previste dal codice di rito, della cui utilizzazione
fornisca adeguata motivazione e che siano idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti, non smentiti dal
raffronto critico con le altre risultanze del processo (Cass. 15-1-2016, n. 626; Cass. 26-6-2015, n. 13229). Le
scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non
applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c., né quella processuale di cui all’art.
214 c.p.c., atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che
possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acqui-
siti al processo (Cass. 9-3-2020, n. 6650; Cass. 1-3-2018, n. 4842). È sufficiente che non siano smentite dal raf-
fronto critico con le altre risultanze istruttorie; non deriva la violazione del principio di cui all’art. 101 c.p.c.,
atteso che, sebbene raccolte al di fuori del processo, il contraddittorio si instaura con la produzione in giudi-
zio (Cass. 1-9-2015, n. 17392).
CAPITOLO 3
TECNICHE ALTERNATIVE DI RISOLUZIONE
DELLE CONTROVERSIE
(Degiurisdizionalizzazione)

Sommario: 1. Generalità. – 2. La giustizia privata (arbitrato). – 3. Gli strumenti negoziali (mediazione e


negoziazione assistita). – 4. L’autotutela.

1. Generalità. – Nei sistemi giuridici forgiati alle idee dello stato moderno, in cui il dirit-
to era ricondotto alla legge e la tutela dei diritti era riassunta nella giustizia statale, sussisteva
poco spazio per una tutela non fondata sulla giurisdizione. Ma la rimodulazione di tale mo-
dello (I, 3) ha comportato, con l’erosione del monopolio statale del diritto, anche lo svilup-
po di nuovi modi di soluzione delle controversie. D’altra parte la crescita esponenziale di
ragioni di conflitti, nelle tante maglie della vita economica e sociale, ha anche reso necessa-
rio attivare canali alternativi alla giurisdizione per la sollecita soluzione delle controversie.
L’esigenza di deflazione giudiziaria per il carico eccessivo della giurisdizione statale e
l’utilità di devolvere questioni specialistiche a competenze di alta professionalità tecnica
hanno favorito la diffusione della giustizia arbitrale. Ulteriori esigenze di sgravare la giuri-
sdizione di questioni ripetitive e di favorire il mantenimento di rapporti sociali hanno con-
dotto alla elaborazione di tecniche di mediazione, amministrate da soggetti diversi dallo
Stato. Presso molte istituzioni vanno costituendosi Camere di conciliazione e arbitrato.
Ulteriore versante è la giustiziabilità delle Autorità amministrative indipendenti, quale
aspetto di azione all’interno della complessiva funzione istituzionale di intreccio di pote-
re regolatorio e sanzionatorio (I, 3.10), oltre il comune riparto di giurisdizione tra giudi-
ce ordinario e giudice amministrativo (artt. 1031 Cost. e art. 7 c.p.a.) (I, 3.10).
Tutto ciò ha aperto nuove frontiere alla tutela dei diritti, oltre il ricorso alla giurisdi-
zione. Inoltre sono sempre maggiori le ragioni di affidare a rimedi di autotutela la prote-
zione di interessi privati. È in atto una crescente evoluzione dalla sentenza alla soluzione
del conflitto, nei tanti modi che l’esperienza suggerisce. Di seguito si dà conto delle tec-
niche più significative.

2. La giustizia privata (arbitrato). – È un meccanismo che, su base volontaria, at-


tribuisce ai privati un potere decisorio. L’arbitrato è il terreno della libertà dei privati, in
cui si esprime l’autonomia privata finalizzata ad una decisione 1. C’è una deroga alla giuri-

1
Alla volontà delle parti è rimessa la nomina degli arbitri (art. 810 c.p.c.), la scelta della sede dell’arbitrato
CAP. 3 – TECNICHE ALTERNATIVE DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE 259

sdizione statale, dandosi vita ad una c.d. giustizia privata o non togata, giuridicamente
rilevante.
Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte che non ab-
biano per oggetto diritti indisponibili e salvo espresso divieto della legge 2; le controversie
individuali di lavoro possono essere decise da arbitri solo se previste dalla legge o nei
contratti o accordi collettivi di lavoro (art. 806 c.p.c.). Le parti possono anche stabilire
che siano decise da arbitri le controversie relative a uno o più rapporti non contrattuali
determinati (art. 808 bis c.p.c.) 3. È valorizzata la celebrazione di c.d. arbitrati ammini-
strati presso singole istituzioni: per l’art. 832 c.p.c. la convenzione di arbitrato può fare
rinvio a un regolamento arbitrale precostituito.
Quando le parti vogliono avvalersi di arbitri, stipulano un compromesso o introduco-
no nel contratto che stipulano una clausola compromissoria con la quale stabiliscono che
le controversie nascenti dal contratto medesimo saranno decise da arbitri 4: sia il com-
promesso che la clausola compromissoria devono essere fatti per iscritto a pena di nullità
(artt. 807 e 808 c.p.c.) 5. Gli arbitri possono essere uno o più, purché in numero dispari
(art. 809 c.p.c.) 6. Decidono secondo le norme di diritto, salvo che le parti li abbiano au-
torizzati a pronunciare secondo equità (art. 822 c.p.c.). Il procedimento arbitrale si in-
staura con la notificazione della domanda di accesso arbitrale e si svolge come arbitrato
rituale o come arbitrato irrituale.
L’arbitrato rituale è la regola, che opera in assenza di ogni indicazione. Il procedi-
mento si svolge secondo le regole del titolo VIII del Libro IV c.p.c. (artt. 806 ss.). Il lodo
ha gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria (art. 824 bis): la parte
che intende fare eseguire il lodo lo deposita nella cancelleria del tribunale nel cui cir-
condario è la sede dell’arbitrato; il tribunale lo dichiara esecutivo con decreto (art. 825).
Il lodo è impugnabile innanzi alla Corte di appello per nullità, per revocazione o per oppo-
sizione di terzo, indipendentemente dal deposito per l’esecutività (art. 827 c.p.c.).

(art. 816 c.p.c.), la regolazione dello svolgimento del procedimento (art. 816 bis c.p.c.), la fissazione del ter-
mine per la pronuncia del lodo (art. 820 c.p.c.), assumendo la normativa del codice di rito una funzione es-
senzialmente suppletiva e di ausilio all’autonomia privata per il conseguimento dello scopo della decisione.
2
La normativa generale è contenuta negli artt. 806 ss. c.p.c., da ultimo novellati con D.Lgs. 2.2.2006, n. 40.
Per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, opera la Conv. di New York del 10.6.1958,
resa esecutiva con L. 19.1.1968, n. 62; per la disciplina dell’arbitrato commerciale internazionale. V. anche
la Conv. di Ginevra del 21.4.1961, resa esecutiva con L. 10.5.1970, n. 418.
3
Per effetto dell’art. 12 cod. proc. amm. è stata generalizza la possibilità di risolvere mediante arbitrato ri-
tuale le controversie concernenti diritti soggettivi ex lege devolute alla giurisdizione del giudice amministrati-
vo (Cass., sez. un., 30-10-2019, n. 27847).
4
I rapporti tra giudici ed arbitri non si pongono sul piano della ripartizione del potere giurisdizionale tra
giudici, ed il valore della clausola compromissoria consiste proprio nella rinuncia alla giurisdizione ed all’a-
zione giudiziaria (Cass. 8-8-2019, n. 21177).
5
Per l’art. 8083 c.p.c., la validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo ri-
spetto al contratto al quale si riferisce. La clausola compromissoria ha natura processuale e dunque assolve
una funzione autonoma rispetto al contratto che la contiene, con la conseguenza che la stessa opera anche se
il contratto è nullo e c’è dunque necessità di verificare a mezzo arbitrato appunto la nullità del contratto.
6
Se più parti hanno contrattualmente stabilito di devolvere la decisione di determinate controversie alla
competenza di un collegio arbitrale costituito da tre arbitri, da nominare ai sensi dell’art. 809 c.p.c., tale clau-
sola compromissoria è valida solo se si accerta, in base al petitum e alla causa petendi, che i centri di interesse
sono polarizzati in due soli gruppi omogenei, ossia in due parti, sì da giustificare l’applicazione di un mecca-
nismo binario per la nomina degli arbitri (Cass. 19-12-2000, n. 15941; Cass. 6-7-2000, n. 9022).
260 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

Con D.L. 12.9.2014, n. 132, conv. con L. 10.11.2014, n. 162, è stata introdotta la c.d.
translatio dinanzi agli arbitri delle cause pendenti davanti all’autorità giudiziaria, consen-
tendosi alle parti, su concorde richiesta delle stesse e ricorrendo determinati presuppo-
sti, il trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti civili pendenti dinanzi all’autorità
giudiziaria che non hanno ad oggetto diritti indisponibili e che non vertono in materia di
lavoro, previdenza e assistenza.
L’arbitrato irrituale va stabilito dalle parti. Per l’art. 808 ter le parti possono, con di-
sposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga all’art. 824 bis, la controversia sia
definita dagli arbitri mediante “determinazione contrattuale”. In tal caso gli arbitri agi-
scono come mandatari delle parti e il lodo è annullabile per vizi del consenso relativa-
mente al lodo pronunciato 7.

3. Gli strumenti negoziali (mediazione e negoziazione assistita). – Sono tecniche


di soluzione delle controversie che hanno in comune di svolgersi, al di fuori della giuri-
sdizione, mediante una procedimentalizzazione su base negoziale che tende al raggiungi-
mento di un accordo.
La soluzione concordata delle controversie, in via immediata, tutela i soggetti dell’ac-
cordo e precipuamente i soggetti deboli, evitando estenuanti procedure giudiziarie per
soddisfare le proprie ragioni; in via mediata, è di ausilio al mantenimento del tessuto so-
ciale e, con riguardo alle imprese, consente alle stesse di pervenire celermente alla defi-
nizione delle operazioni economiche in corso e preservare la fidelizzazione. Sullo sfondo
favorisce la deflazione giudiziaria, che è esigenza primaria del nostro paese.
Le modalità di svolgimento delle due tecniche sono diverse. Mantengono il dato co-
mune di non consentire l’inserimento di vicende circolatorie di beni immobili nei registri
di pubblicità immobiliare senza l’intervento di pubblico ufficiale (notaio), che autentica
le firme dei sottoscrittori. La necessità del notaio di compiere i controlli istituzionali an-
che quando è chiamato a “autenticare atti” (art. 28 l. not.), conferisce certezza alle risul-
tanze della pubblicità 8.
a) La mediazione è una tecnica negoziale finalizzata alla conciliazione attraverso la pre-
senza e l’opera di un soggetto terzo indipendente, mediatore, che assicura serietà, pro-
fessionalità e imparzialità. Il mediatore non decide (perciò si differenzia dall’arbitro) ma
conduce la sequenza procedimentale dell’attività di mediazione, adoperandosi affinché
le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia; se richie-
sto, prospetta alle parti la soluzione. In qualche modo, c’è un processo ma non una deci-
sione: le parti mantengono il controllo del procedimento che insieme vogliono.
È una esperienza diffusa nel mondo anglosassone, che si svolge con diverse modalità:
sono le c.d. procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie A.D.R. (Alternative
Dispute Resolution), che tendono alla soluzione della controversa mediante la negoziazione.
Tale tecnica di soluzione delle controversie è maturata in settori specifici, con la mediazione
di enti pubblici in grado di procurare una definizione convenzionale delle controversie a

7
Cfr. Cass. 3-11-2021, n. 31245; Cass. 11-6-2019, n. 15665.
8
In tema di procedura di negoziazione assistita tra avvocati, per procedere alla trascrizione dell’accordo
di separazione contenente un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, è necessaria l’auten-
ticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato (Cass. 21-1-2020, n. 1202).
CAP. 3 – TECNICHE ALTERNATIVE DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE 261

presidio di soggetti considerati istituzionalmente deboli (ad es., con riguardo al rapporto di
lavoro 9 e ai rapporti agrari 10). Si è quindi estesa a interi settori economici, ricevendo un
generale impulso con la L. 9.12.1993, n. 580 (recante il riordinamento delle Camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura): l’art. 2 di tale legge, nel definirne le attri-
buzioni, prevede che le Camere di commercio, singolarmente o in forma associata, posso-
no “promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione
delle controversie tra imprese ovvero tra imprese e consumatori ed utenti” 11. Tale inter-
vento ha favorito la formazione di una mentalità di approccio razionale e utile alla soluzio-
ne delle controversie, privilegiando di conseguire con l’accordo e in tempi brevi quanto
sostanzialmente potrebbe ottenersi attraverso il processo in tempi molto più lunghi e con
maggiori spese, oltre che con compromissione dei rapporti sociali. Un forte impulso al ri-
corso a tecniche conciliative è provenuto dalla direttiva 2008/52/CE del 21.5.2008 sulla
mediazione in materia civile e commerciale 12, che ha considerato l’accordo di mediazione
suscettibile di divenire titolo esecutivo, eseguibile in tutti gli Stati dell’Unione.
Un terreno di sviluppo della mediazione è quello dei rapporti di consumo. Fondamen-
tale il D.Lgs. 6.8.2015, n. 130, che ha recepito la direttiva 2013/11/EU sulla risoluzione
alternativa delle controversie dei consumatori, istituendo presso le Autorità deputate
(AGCOM e ARERA) gli elenchi degli Organismi autorizzati alla gestione delle procedure
ADR.
Con D.Lgs. 4.3.2010, n. 28, come modificato dal D.L. 21.6.2013, n. 69, conv. con
modif. dalla L. 9.8.2013, n. 98, si è data ingresso, in generale, alla “mediazione finalizzata
alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, vertente su diritti disponibili
(art. 2), da svolgersi presso organismi pubblici o privati 13. Per alcune materie è stato reso
obbligatorio l’esperimento del procedimento di mediazione come condizione di procedi-
bilità della domanda giudiziale 14. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al ter-

9
Nelle controversie individuali di lavoro chi intendeva proporre domanda giudiziaria era tenuto a pro-
muovere preventivamente il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi alla commissione provinciale di
conciliazione presso l’ufficio provinciale del lavoro competente, come condizione di procedibilità della do-
manda (art. 412 bis c.p.c., abrogato dall’art. 31 L. 4.11.2010, n. 183).
10
Per le controversie in materia di contratti agrari, chi intende proporre una domanda giudiziaria è tenuto
a darne preventiva comunicazione all’altra parte e all’ispettorato provinciale dell’agricoltura competente per
territorio, il quale, previa convocazione delle associazioni professionali di categoria, esperisce il tentativo di
conciliazione della vertenza (art. 46 L. 3.5.1982, n. 203).
11
Le Camere di commercio, qualificate come “enti autonomi di diritto pubblico” (art. 2), sono dotate di
specifici regolamenti della “camera arbitrale” e della “camera di conciliazione”.
12
La direttiva è applicabile alle sole controversie transfrontaliere, cioè tra parti abitualmente domiciliate o
residenti in Stati comunitari diversi (art. 2). Ma nulla vieta agli Stati membri di applicarla anche a controver-
sie interne (considerando n. 8).
13
Il D.M. 18.10.2010, n. 180, del Ministro della giustizia, come modificato dal D.M. 6.7.2011, n. 145, reca
il regolamento di determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi
di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti
agli organismi.
14
La condizione di procedibilità opera in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni eredi-
tarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsa-
bilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti
assicurativi, bancari e finanziari (art. 51bis). L’azione revocatoria, avendo solo l’effetto di rendere insensibile
nei confronti dei creditori l’atto dispositivo patrimoniale del debitore, non è assoggettata a mediazione obbli-
262 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI

mine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza di un avvocato (art. 8).
Dell’accordo si redige processo verbale 15, che costituisce titolo esecutivo, anche per l’i-
scrizione dell’ipoteca giudiziale; gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’ac-
cordo alle norme imperative e all’ordine pubblico (art. 12). Sono soggetti a trascrizione
gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione, con la sottoscrizione del processo
verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 2643, n. 12 bis).
Meccanismi conciliativi sono stati introdotti anche all’interno della giurisdizione 16.
Un incerto e contraddittorio meccanismo di mediazione, di dubbia costituzionalità, è
stato introdotto in materia tributaria, per non svolgersi la procedura davanti ad un sog-
getto terzo, ma innanzi alla stessa amministrazione finanziaria 17.
b) La negoziazione assistita ha trovato ingresso con il D.L. 12.9.2014, n. 132, conv.
con modif. con L. 10.11.2014, n. 162, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione
ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile.
È una tecnica che prevede l’intervento obbligatorio degli avvocati ma non la pre-
senza di un soggetto terzo, il mediatore. Perciò la negoziazione è affidata alla professio-
nalità e alla responsabilità dei soli avvocati.
La convenzione di negoziazione è un accordo mediante il quale le parti convengono
di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia
tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo (art. 2). L’accordo che compone la contro-
versia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo
anche per l’iscrizione di ipoteca giudiziale; gli avvocati certificano l’autografia delle firme
e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. Una disciplina
specifica è prevista per la soluzione consensuale di separazione e divorzio (art. 6), di cui
si parlerà in seguito (V, 3.2).

gatoria (Cass. 23-9-2021, n. 25855). Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ex art. 51bis i cui
giudizi vengano introdotti con decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e
decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere
la procedura di mediazione è a carico della parte opposta (attore in senso sostanziale); ove questa non si atti-
vi, consegue la revoca del decreto ingiuntivo (Cass., sez. un., 18-9-2020, n. 19596).
La mediazione può avvenire pure su ordine dell’autorità giudiziaria: il giudice, anche in sede di giudizio
di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre
l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è
condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello (art. 52).
15
Se è raggiunto l’accordo amichevole ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si
forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia
della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Se con l’accordo le parti concludono
uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’art. 2643 c.c., per procedere alla trascrizione dello
stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato
(art. 113).
16
È previsto un tentativo di conciliazione del G.I. in caso di richiesta congiunta delle parti (art. 185 c.p.c.).
Quando è necessario un esame contabile, il G.I. può affidare al CTU il compito di tentare la conciliazione (art.
198 c.p.c.). È stata introdotta una misura cautelare più snella ai fini della composizione della lite, facendo obbli-
go al CTU di tentare, ove possibile, la conciliazione delle parti (art. 696 bis c.p.c.).
17
L’art. 17 bis D.Lgs. 31.12.1992, n. 546 (inserito dal D.L. 6.7.2011, n. 98, conv. con L. 15.7.2011, n. 111 e
da ultimo così sostituito dal D.Lgs. 24.9.2015, n. 156), per prevenire le liti minori, prevede la proposizione di
istanza di reclamo-mediazione avverso l’operato dell’ente impositore: la procedura di mediazione deve svolgersi
presso lo stesso soggetto impositore, sebbene mediante strutture diverse e autonome da quelle che curano l’i-
struttoria degli atti reclamabili, come condizione di procedibilità innanzi alle Commissioni tributarie.
CAP. 3 – TECNICHE ALTERNATIVE DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE 263

4. L’autotutela. – Con il termine “autotutela” si tende, in generale, a indicare il pote-


re di soluzione di conflitti potenziali o attuali ad opera dei soli soggetti del rapporto,
senza il ricorso alla giurisdizione e dunque al processo. È però questa una rappresenta-
zione in negativo dell’autotutela (quale tutela non giudiziaria) che coinvolge tutte le for-
me di soluzione delle controversie senza una decisione (di un giudice o di un arbitro),
cui sono assimilabili anche le procedure sopra viste di degiurisdizionalizzazione.
Il tratto caratterizzante dell’autotutela in positivo è da ricercare nella possibilità ac-
cordata al singolo soggetto del rapporto giuridico di realizzare la protezione diretta dei
propri interessi verso l’altro soggetto del rapporto, senza l’intervento di un terzo, né in
veste di decisione (giudice o arbitro) né in veste di mediatore (conciliatore), e neppure
attraverso l’azione degli avvocati (negoziazione assistita). A differenza del codice civile
tedesco, che contiene una disciplina generale dell’autotutela privata (§§ 229-231, 323,
441 BGB), il codice civile fissa specifiche misure di autotutela in tema di possesso (au-
totutela possessoria) (VI, 5.5) e nella materia dei contratti (autotutela contrattuale)
(VIII, 10.3).
Il fenomeno ha avuto larga elaborazione ed applicazione nel diritto pubblico, come
autotutela amministrativa decisoria 18, funzionale all’interesse pubblico. Se l’interesse at-
tuato si appartiene a un soggetto privato, vi è autotutela privata, rivolta al soddisfacimen-
to di un interesse particolare (individuale o collettivo).
Ad ovviare al pericolo che l’autotutela (sia amministrativa che privata) possa degene-
rare nell’abuso degli strumenti accordati, è consentito il ricorso all’autorità giudiziaria
perché valuti il ricorso dei presupposti dell’autotutela e la legittimità dell’esercizio ri-
spetto all’interesse attuato, perché anche l’autotutela deve avvenire secondo tecniche
previste dalla legge e in osservanza dei principi fondamentali (di legalità, buona fede e
solidarietà).

18
È riconosciuto alla P.A. il potere di correggere con strumenti autoritativi e dunque di ufficio propri
provvedimenti in ragione dell’interesse pubblico. Ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies L. 7.8.1990, n.
241, e successive modifiche, le forme essenziali dell’autotutela decisoria sono la revoca del provvedimento per
inopportunità e l’annullamento del provvedimento per illegittimità. Di tale normativa si è fatta applicazione
anche in diritto tributario, dove è egualmente ammessa istanza di autotutela verso l’ente pubblico impositore
(Amministrazione finanziaria e Enti locali).
264 PARTE III – TUTELA DEI DIRITTI
ISTITUTI

SOMMARIO:
PARTE IV. SOGGETTI. – Cap. 1. Persona fisica. – Cap. 2. Diritti della personalità. – Cap. 3.
Enti.
PARTE V. FAMIGLIA. – Cap. 1. Famiglia e ordinamento giuridico. – Cap. 2. Matrimonio. –
Cap. 3. Crisi coniugale. – Cap. 4. Filiazione.
PARTE VI. PROPRIETÀ E DIRITTI REALI. – Cap. 1. Proprietà. – Cap. 2. Acquisto e tutela
della proprietà. – Cap. 3. Diritti reali di godimento su cosa altrui. – Cap. 4.
Comunione e condominio. – Cap. 5. Possesso.
PARTE VII. OBBLIGAZIONI. – Cap. 1. Rapporto obbligatorio (Caratteri e tipologie). – Cap.
2. Modificazioni del rapporto obbligatorio (Vicende modificative). – Cap. 3.
Estinzione del rapporto obbligatorio (Vicende estintive). – Cap. 4. Inadempi-
mento e mora (Responsabilità e risarcimento). – Cap. 5. Responsabilità patri-
moniale e garanzie del credito (Garanzia generica del credito). – Cap. 6. Cause
legittime di prelazione (Garanzie specifiche del credito). – Cap. 7. Estensione
della responsabilità patrimoniale (Le garanzie del terzo). – 8. Gestione della
debitoria (Crisi di impresa e sovraindebitamento).
PARTE VIII. CONTRATTO. – Cap. 1. Autonomia contrattuale. – Cap. 2. Conclusione. – Cap.
3. Contenuto. – Cap. 4. Forma. – Cap. 5. Regolamento contrattuale. – Cap. 6.
Efficacia. – Cap. 7. Esecuzione. – Cap. 8. Sostituzione nell’attività giuridica. –
Cap. 9. Anomalie genetiche (Difetti della formazione). – Cap. 10. Anomalie so-
pravvenute (Difetti dell’attuazione).
PARTE IX. SINGOLI CONTRATTI. – Cap. 1. Contratti di alienazione di beni. – Cap. 2. Con-
tratti di prestazione d’opera o di servizi. – Cap. 3. Contratti di cooperazione
giuridica. – Cap. 4. Contratti di godimento. – Cap. 5. Contratti aleatori. – Cap.
6. Contratti risolutivi di una controversia.
PARTE X. FATTI ILLECITI E RESPONSABILITÀ CIVILE. – Cap. 1. Struttura del fatto illecito. –
Cap. 2. Risarcimento del danno.
PARTE XI. ALTRE FONTI DI OBBLIGAZIONE. – Cap. 1. Atti e fatti diversi da contratto e fat-
to illecito. – Cap. 2. Titoli di credito.
PARTE XII. SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE. – Cap. 1. Successione in generale. – Cap. 2.
Criteri di vocazione. – Cap. 3. Diritti dei legittimari. – Cap. 4. Comunione e di-
visione ereditaria.
PARTE XIII. DONAZIONI. – Cap. 1. Contratto di donazione. – Cap. 2. Altri atti di liberalità.
PARTE XIV. PUBBLICITÀ. – Cap. 1. Pubblicità in generale. – Cap. 2. La pubblicità immobi-
liare e dei mobili registrati.
266 PARTE IV – SOGGETTI
CAP. 1 – PERSONA FISICA 267

PARTE IV
SOGGETTI

CAPITOLO 1
PERSONA FISICA

Sommario: A) PERSONA FISICA E CAPACITÀ GIURIDICA. – 1. Capacità giuridica. – 2. Acquisto della capa-
cità giuridica. Il concepito. – 3. Fine della persona. – 4. Scomparsa, assenza e morte presunta. – 5.
Localizzazione della persona. – B) CAPACITÀ DI AGIRE. – 6. Capacità di agire. – 7. Minore. – 8. Re-
sponsabilità genitoriale. – 9. Tutela. – 10. Emancipazione. – 11. Cause modificative della capacità di
agire e protezione dell’incapace. – 12. Interdizione giudiziale. – 13. Inabilitazione. – 14. Ammini-
strazione di sostegno. – 15. Interdizione legale. – 16. Incapacità naturale.

A) PERSONA FISICA E CAPACITÀ GIURIDICA


1. Capacità giuridica. – La capacità giuridica è l’attitudine ad essere titolare di si-
tuazioni giuridiche soggettive. Quella di capacità giuridica è qualificazione normativa, le-
gata ad una valutazione dell’ordinamento giuridico. Si tratta, cioè, di una qualità di ca-
rattere generale e astratto, il cui riconoscimento rende chi ne è investito possibile centro
di imputazione di diritti e di obblighi: come tale, essa vale a definire la posizione, nell’or-
dinamento, del soggetto di diritto.
A differenza che per la capacità di agire nell’art. 2, il legislatore, nell’art. 1, appunto
intitolato alla “capacità giuridica”, non offre elementi testuali per chiarirne il concetto,
dandolo, evidentemente, per scontato, quale attributo fondamentale della persona uma-
na, nella sua veste di protagonista dell’esperienza giuridica (II, 1.1-2). Non a caso, di per-
sonalità giuridica il codice parla solo a proposito delle entità diverse dalla persona umana
(le persone giuridiche), in relazione alle quali disciplina le specifiche modalità di attribu-
zione della soggettività giuridica, che viene ricollegata, invece, naturalmente e diretta-
mente all’esistenza stessa della persona fisica (alle “persone fisiche” è intitolato il titolo I
del libro I del codice). Il carattere del tutto scontato del collegamento tra capacità giuri-
dica ed esistenza della persona fisica (cioè dell’uomo) risulta, in particolare, dall’art. 11,
che vale a dimostrare come al legislatore, proprio in considerazione di ciò, prema sem-
268 PARTE IV – SOGGETTI

plicemente individuare il momento dell’acquisto della capacità giuridica in relazione,


appunto, alla venuta ad esistenza dell’uomo.
L’idea che l’essere umano sia, in quanto tale, considerato soggetto di diritto (e,
quindi, giuridicamente capace) rappresenta, nonostante il carattere per noi attualmente
scontato, conquista di civiltà rispetto a tempi ormai lontani (ma neppure troppo in ambi-
ti geografici diversi), in cui non si esitava, ricorrendo talune circostanze, a trattare l’uo-
mo stesso (se schiavo) alla stregua di entità materiale, non potenziale titolare di proprie
situazioni giuridiche, ma possibile oggetto di diritti e di atti di disposizione altrui. La ca-
pacità giuridica assume, insomma, il carattere di profilo essenziale della condizione di
persona umana, di attributo che non può essere negato, per il necessario rispetto di quel-
la dignità dell’uomo, la cui inviolabilità risulta significativamente dichiarata nell’art. 1
Carta dir. fond. U.E.: dignità di ogni uomo e, quindi, al passato appartiene pure l’espe-
rienza della possibile perdita della capacità giuridica per causa diversa dalla morte, sia
pure in dipendenza di comportamenti reputati dall’ordinamento particolarmente ripro-
vevoli, con conseguenti gravissime condanne (c.d. morte civile).
L’art. 22 Cost., con lo stabilire che “nessuno può essere privato, per motivi politici,
della capacità giuridica” (così come della “cittadinanza” e del “nome”, quali attributi re-
putati, dunque, nel loro complesso salvaguardare l’individualità della persona nella so-
cietà) si muove proprio in una simile prospettiva, in coerente applicazione del fonda-
mentale principio di eguaglianza, fermamente proclamato dall’art. 3 Cost. Sembra dato
cogliere, qui, l’ansia dei costituenti di impedire che l’idea di una certa graduabilità – pur
sempre nell’ambito della riconosciuta soggettività – della capacità giuridica possa giusti-
ficare limitazioni della capacità giuridica stessa, in aperto contrasto, appunto, col princi-
pio di eguaglianza (cui ripugna qualsiasi “distinzione di sesso, di razza, di lingua, di reli-
gione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”) (II, 1.2).
Fin troppo recente, in effetti, era l’esperienza delle odiose discriminazioni razziali
operate dallo stesso codice civile del 1942, demandando, con l’art. 13 (abrogato dall’art.
1 R.D.L. 20.1.1944, n. 25), alla legislazione speciale “le limitazioni alla capacità giuridica
derivanti dall’appartenenza a determinate razze”. Né si può dimenticare come, storicamen-
te, sia stato il sesso ad essere fonte di gravissime limitazioni di capacità giuridica. Anche
tralasciando la discriminazione della donna nell’esercizio dei diritti di natura pubblicistica,
come il diritto di voto e l’accesso a pubbliche funzioni e carriere (ancora col R.D. 4.1.1920,
n. 39), è da ricordare come le fosse preclusa la stessa facoltà di intervenire quale testimone
negli atti pubblici e privati (preclusione rimossa con la L. 9.12.1877, n. 4167) 1, trovandosi,

1
La tendenza attuale dell’ordinamento ad intervenire (nel quadro della piena attuazione del principio di
eguaglianza, in senso formale e sostanziale, secondo l’enunciazione contenuta nei due commi dell’art. 3
Cost.), onde rimuovere le discriminazioni fondate sul sesso in campo lavorativo, è ben attestata col passaggio
dalla prospettiva della L. 9.12.1977, n. 903, sulla “parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavo-
ro”, a quella della L. 10.4.1991, n. 125, concernente le “azioni positive per la realizzazione della parità uomo-
donna nel lavoro”. Più di recente, il D.Lgs. 9.7.2003, n. 216 (in attuazione della direttiva 2000/78/CE, “per la
parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”) reca una serie di disposizioni rela-
tive all’attuazione della parità di trattamento fra le persone, disponendo misure necessarie affinché non siano
operate discriminazioni fondate sulla religione, sulle convinzioni personali, sugli handicap, sull’età e sull’o-
rientamento sessuale, “in un’ottica che tenga conto anche del diverso impatto che le stesse forme di discrimi-
nazione possono avere su donne e uomini” (art. 1). L’intervento ha inteso assumere carattere sistematico col
D.Lgs. 11.4.2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), finalizzato “ad eliminare ogni di-
CAP. 1 – PERSONA FISICA 269

poi, la moglie in una situazione di sostanziale incapacità nello svolgimento dell’attività eco-
nomica (l’istituto dell’autorizzazione maritale fu eliminato solo dalla L. 17.7.1919, n. 1176,
intitolata, appunto, alla “capacità giuridica della donna”). Notevoli limitazioni di capacità
giuridica, inoltre, ancora nel sistema del codice civile del 1942, gravavano sui figli nati fuori
del matrimonio, in particolare, in materia successoria (e i figli irriconoscibili – V, 4.4 – non
potevano neppure ricevere donazioni dal genitore: art. 780).
Pure la tradizionale contrapposizione ad una capacità generale – esclusa la concepibi-
lità di una incapacità generale per la persona umana – di particolari ipotesi di incapaci-
tà speciali, da intendere come preclusione della possibile titolarità, da parte del sogget-
to, di determinate situazioni giuridiche, non deve, insomma, risultare occasione di di-
scriminazioni. Incapacità speciali possono essere legittimamente previste, ove razional-
mente fondate sulla natura del rapporto e degli interessi in gioco in esso 2. Significative
ipotesi di incapacità (di carattere relativo), conseguentemente sanzionate dalla nullità di
quanto posto in essere trasgredendo le disposte preclusioni, sono rappresentate da quel-
la dei pubblici ufficiali, i quali non possono essere acquirenti, né direttamente né per in-
terposta persona, dei beni che sono venduti per loro ministero (art. 1471, n. 2), da quella
del notaio che abbia ricevuto il testamento (e dei testimoni intervenuti ad esso) (art.
597), nonché dai divieti di rendersi cessionari di diritti, gravante sugli operatori della
giustizia (magistrati, cancellieri, avvocati, ecc.) (art. 1261).
Di capacità giuridica sono dotati anche i soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche
(persone giuridiche ed enti non riconosciuti), non solo per quanto concerne le situazioni
soggettive di contenuto patrimoniale, ma anche per taluni diritti di natura non patrimo-
niale (diritti della personalità) (IV, 3.5). È evidente, peraltro, che gli enti non possono,
per loro natura, essere titolari delle situazioni soggettive che presuppongono l’attributo
della fisicità della persona (ad es., le situazioni soggettive di natura familiare) 3.

2. Acquisto della capacità giuridica. Il concepito. – Oggetto di un dibattito proba-


bilmente destinato a non perdere, in futuro, i forti toni da cui è da sempre caratterizzato,

stinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compro-
mettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamen-
tali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo” (art. 1). In una prospettiva
antidiscriminatoria deve essere visto anche l’intervento operato, in materia penale, con la L. 19.7.2019, n. 69,
concernente la “tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” (nota come “Codice rosso”). È da te-
nere presente come l’art. 21 Carta dir. fond. U.E. allarghi, in via generale, la sfera del divieto di discrimina-
zione, al di là del sesso, all’orientamento sessuale (notevole attualità rivestendo anche il riferimento alle carat-
teristiche genetiche).
2
Non tanto alla capacità giuridica, quanto alla capacità di agire, sembrano da ricondurre le limitazioni ri-
collegate, in particolare, all’età, anche quando esse si risolvano nell’impossibilità, per il soggetto, di compiere
determinati atti giuridici ed essere parte dei rapporti che ne scaturiscono (si pensi alle preclusioni in materia
lavorativa, matrimoniale e testamentaria).
3
In tale prospettiva, evidenzia Cass. 21-9-2015, n. 18449, che “le società hanno la capacità giuridica gene-
rale di essere parte di qualsiasi atto o rapporto giuridico, tranne quelli che presuppongano l’esistenza di una
persona fisica, tra i quali non rientra il contratto di donazione”. Peraltro, pare il caso di avvertire, fin d’ora,
come anche la stessa giurisprudenza non manchi di sottolineare che “il soggetto di diritto non umano, risul-
tante da un processo di assimilazione di un ente alla persona fisica”, si presenta, comunque, “caratterizzato da
una capacità giuridica più ristretta, e quindi in certo senso imperfetta, rispetto a quella della persona fisica …
la quale costituisce il soggetto di diritto per eccellenza” (Cass. 16-11-1976, n. 4252).
270 PARTE IV – SOGGETTI

per le scelte ideologiche ed i valori che risulta atto a mettere in gioco, si presenta il senso
da attribuire, in relazione al problema del riconoscimento della capacità giuridica, alla
controversa formulazione dell’art. 12. Dibattito che tende, oggi, ad assumere profili di
indubbia novità, in conseguenza di quei progressi scientifici, i quali – talvolta in modo
inquietante – investono l’inizio della vita umana, in particolare ponendo di fronte l’ordi-
namento ad inevitabili opzioni circa la condizione giuridica da riconoscere al concepito e
all’embrione.
Ai sensi dell’art. 11, la persona fisica acquista la capacità giuridica al momento della
nascita. Contrariamente al passato (art. 724 cod. civ. 1865 e ancora oggi, in Francia,
art. 725 code civil), non è richiesto, ai fini dell’acquisto della capacità giuridica, anche il
requisito della vitalità (ovvero l’idoneità alla sopravvivenza), ma è sufficiente che il neo-
nato sia nato vivo, anche solo per un istante. Pure un così breve periodo di vita vale a
rendere il nato titolare di eventuali diritti, quali, in particolare, quelli che erano stati ri-
conosciuti a suo favore come nascituro, trasmettendoli, a sua volta, ad altri (ai suoi eredi
legittimi).
Peraltro, la legge non definisce l’evento della nascita, affidandosi, di conseguenza, al-
le elaborazioni medico-legali, per cui decisivo si reputa l’accertamento dell’avvenuta re-
spirazione (docimasia polmonare). Risulta quasi inutile sottolineare come, anche riguar-
do al momento della nascita, l’applicazione delle nuove tecniche mediche si presenti su-
scettibile di dare luogo a questioni in passato sconosciute.
Il problema della condizione giuridica del nascituro si pone in dipendenza dell’art.
12, il quale, testualmente, subordina i diritti che la legge riconosce a favore del concepi-
to all’evento della nascita. Il riferimento si intende operato, in particolare, alla prevista
capacità di succedere del concepito (art. 4621), nonché alla possibilità che gli siano fat-
te donazioni (art. 7841). Ma il dibattito relativo alla situazione giuridica del nascituro si
è via via arricchito, in conseguenza del riconoscimento della rilevanza di ulteriori inte-
ressi, di natura personale, riferibili all’essere umano già nella fase anteriore alla nascita.
Parte della dottrina, in relazione alla situazione del concepito, pur riconoscendo che
manchi attualmente la capacità giuridica generale, accenna ad una capacità giuridica par-
ziale, di carattere anticipato o provvisorio. Tende a prevalere, comunque, la tesi secondo
cui, invece, il concepito risulta del tutto privo di capacità giuridica, in quanto la medesi-
ma si acquista solo al momento della nascita e, prima di essa, non esiste il soggetto (pur
destinatario dei diritti dianzi accennati): per il periodo anteriore, vi sarebbe solo una si-
tuazione di attesa e l’ordinamento si limiterebbe a predisporre, in considerazione della
destinazione al concepito, una forma di tutela anticipata dei diritti che questi potrebbe
acquistare al momento della nascita 4.
Una simile conclusione, pur presentandosi sostanzialmente corretta con riferimento
alla titolarità di situazioni giuridiche di carattere patrimoniale, non può far trascurare
l’indubbia rilevanza che l’ordinamento riconosce all’interesse del concepito dal punto di
vista della sua aspettativa non solo a nascere, ma anche a nascere sano. Sotto tale ultimo
profilo, allora è stato ammesso, a favore di chi abbia subito danni allo stato fetale, il di-

4
Si è già ricordato (II, 3.8), come la situazione giuridica del nascituro, con riguardo alla materia successo-
ria, sia stata ricondotta anche alla figura dell’aspettativa giuridica, per il carattere essenzialmente conservativo
e provvisorio che si è ravvisato nella tutela accordatagli dall’ordinamento.
CAP. 1 – PERSONA FISICA 271

ritto ad essere risarcito per i pregiudizi che gliene siano derivati 5. Ciò perché l’individuo
trova tutela, nel nostro ordinamento, fin dal suo concepimento, con una indubbia rile-

5
Secondo la giurisprudenza (ad es., Cass. 22-11-1993, n. 11503), il soggetto, una volta acquistata, con la
nascita, la capacità giuridica, può chiedere il risarcimento per le conseguenze dei danni sofferti nel periodo in
cui si trovava ancora allo stato fetale (nel caso di specie, si trattava della negligente assistenza al parto da parte
dei medici di un ospedale). Il principio è del tutto pacifico, problematica, ovviamente, risultando la concreta
liquidazione del risarcimento spettante (ad es., Cass. 12-4-2018, n. 9048, con riguardo al danno patrimoniale
da soppressione della capacità lavorativa). Chiarito che l’ordinamento garantisce, tutelando l’individuo fin dal
suo concepimento, “se non un vero e proprio diritto alla nascita, che sia fatto il possibile per favorire la nasci-
ta e la salute”, la tutela così accordata non è riferita, peraltro, al feto in quanto tale (pur affermandosi, co-
munque, che “non può essere legittimamente contestata al concepito” la sua qualità di “centro di interessi
giuridicamente tutelato”), bensì al nato ed al “suo diritto ad essere e rimanere integro, anche se attraverso le
prestazioni da effettuarsi anteriormente alla nascita”. La giurisprudenza ha precisato che non è “configurabile
un ‘diritto a non nascere’ o a ‘non nascere se non sano’”, tutelando l’ordinamento “il concepito e l’evoluzione
della gravidanza esclusivamente verso la nascita e non verso la ‘non nascita’” ed “essendo configurabile un
‘diritto a nascere’ e a ‘nascere sani’, suscettibile di essere inteso esclusivamente nella sua positiva accezione …
nel senso che nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie” (così, Cass. 14-7-2006, n. 16123, secondo
l’impostazione di Cass. 29-7-2004, n. 14488). Esiti sostanzialmente non dissimili, sul piano risarcitorio, sono
quelli cui giunge Cass. 11-5-2009, n. 10741, che si muove, però, nella prospettiva di una vera e propria “autono-
ma soggettività giuridica” del concepito e di un suo conseguente “diritto a nascere sano”. La tutela risarcitoria di
chi sia stato leso durante la vita fetale, di recente, è stata senz’altro ricondotta – negando la necessità di postulare
la sussistenza di un “diritto a nascere sano” e la stessa “esigenza di ravvisare la soggettività giuridica del concepi-
to” – semplicemente al “diritto del nato al risarcimento per il patito danno alla salute” (Cass. 3-5-2011, n.
9700). In sostanziale sviluppo di tale ultima prospettiva, poi, si è concluso che “la protezione del nascituro”,
pur “inteso come oggetto di tutela e non anche come soggetto di diritto”, implica – restando del tutto irrile-
vante la configurabilità o meno di un “diritto a non nascere se non sano” – la (fin qui negata dalla giurispru-
denza) “legittimazione attiva del neonato in proprio all’azione di risarcimento”, nel caso di “nascita malfor-
mata” in dipendenza di “errore medico che non ha evitato (o ha concorso a non evitare) la nascita malforma-
ta, evitabile, senza l’errore diagnostico, in conseguenza della facoltà di scelta della gestante”, nel senso “di eser-
citare il suo diritto all’aborto” (Cass. 2-10-2012, n. 16754, che individua “l’evento di danno”, appunto, nella
“‘nascita malformata’, intesa come condizione dinamica dell’esistenza riferita ad un soggetto di diritto at-
tualmente esistente”). Circa l’atteggiarsi della – reputata necessaria – prova che, “nella situazione ipotetica
data”, la donna “avrebbe effettivamente optato per l’interruzione della gravidanza”, ulteriori considerazioni
sono sviluppate in Cass. 22-3-2013, n. 7269. Per superare ogni contrasto giurisprudenziale sulla “tematica del
c.d. danno da nascita indesiderata”, Cass. ord. 23-2-2015, n. 3569, ha sollecitato l’intervento delle sezioni uni-
te in ordine alle questioni del riparto dell’onere probatorio e della legittimazione del nato alla richiesta di ri-
sarcimento. Cass., sez. un., 22-12-2015, n. 25767, da una parte, ha ammesso la possibilità di assolvere all’ac-
cennato onere probatorio gravante sulla madre attraverso il meccanismo presuntivo (di cui all’art. 2729), do-
vendosi, in proposito, valorizzare le “circostanze contingenti emergenti dai dati istruttori raccolti” (e ferma
restando, per il professionista, “la prova contraria che la donna non si sarebbe determinata comunque al-
l’aborto”: v. anche Cass. 31-10-2017, n. 25849); dall’altra, ha sottolineato che “alla tutela del nascituro si può
pervenire … senza postularne la soggettività”, non escludendo l’“ammissibilità dell’azione del minore volta al
risarcimento di un danno che assume ingiusto, cagionatogli durante la gestazione”, ma, al contempo, anche
sulla base di un’ampia analisi comparatistica della problematica, escludendo – dal punto di vista del “conte-
nuto del diritto che si assume leso” (e, quindi, della carenza di una legittimazione del nato alla relativa richie-
sta) – che possa prendersi in considerazione, ai fini risarcitori, “un diritto a non nascere” (un diritto, cioè,
“alla non vita”) o a “non nascere se non sano”. Peraltro, anche in mancanza della prova che “se adeguata-
mente informata, la madre avrebbe scelto di abortire”, Cass. 28-2-2017, n. 5004, radica la possibilità di risar-
cimento nell’essere stati “i genitori privati della possibilità di prepararsi ad accogliere un bambino che presen-
ti problemi di salute particolari” (sulla linea di Cass. 7269/2013, che aveva appunto alluso alla rilevanza, a fini
risarcitori, anche solo della frustrazione dell’esigenza dei genitori di “prepararsi psicologicamente e material-
mente”). Sotto un profilo differente da quello fin qui considerato, correntemente riconosciuto è il diritto del
soggetto nato dopo l’uccisione del padre durante la gestazione al risarcimento del danno (patrimoniale e non
patrimoniale) per la perdita del relativo rapporto (Cass. 10-3-2014, n. 5509).
272 PARTE IV – SOGGETTI

vanza giuridica della vita fetale in quanto tale, secondo quanto è stato affermato dalla
giurisprudenza costituzionale 6 e sancito dal legislatore. Significativamente, la stessa di-
sciplina sull’interruzione volontaria della gravidanza (L. 22.5.1978, n. 194) muove dall’affer-
mazione della necessaria “tutela della vita umana dal suo inizio” (art. 1) 7, con la conse-
guenza che il diritto alla vita del concepito risulta destinato a cedere solo entro limiti rigo-
rosamente predeterminati e sulla base di un giudizio di bilanciamento con i diritti fonda-
mentali della gestante (alla salute fisica o psichica, ovvero, addirittura, alla vita: artt. 4 e 6).
Si è andata facendo strada, così, l’idea che alla qualità di uomo, che compete anche al
feto (con conseguente invocabilità della garanzia di cui all’art. 2 Cost.), sia ricollegata
dall’ordinamento una soggettività riferita – al di fuori della prospettiva patrimonialistica
propria della capacità giuridica e del relativo riconoscimento – ai diritti (di natura perso-
nale) legati alla sfera esistenziale 8. Prospettiva questa, nella quale potrebbe, allora, senza
conseguenze dirompenti per il sistema complessivo dei principi in materia di capacità,
essere ora letta l’esplicita inclusione pure del concepito nel novero dei “soggetti coinvol-
ti” nel ricorso alla procreazione medicalmente assistita (art. 11 L. 19.2.2004, n. 40) 9. Il ri-

6
Si ricordi come il rilievo costituzionale della tutela del concepito abbia avuto modo di essere affermato,
proprio in relazione ai limiti di legittimità dell’aborto, da Corte cost. 18-2-1975, n. 27, per la quale essa trova
fondamento nell’art. 2 Cost. che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non
collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione del concepito”. Di qui, una volta
sottolineato che, comunque, “non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute pro-
prio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora divenire”, il
necessario ancoraggio della liceità dell’aborto “ad una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte
a giustificarla”. La Corte costituzionale, successivamente (10-2-1997, n. 35), ha confermato tale impostazione,
dichiarando inammissibile la proposta referendaria tendente (attraverso l’abrogazione di una serie di articoli
della L. 194/1978) a rendere totalmente disponibile, da parte della gestante, l’interruzione della gravidanza
nei primi 90 giorni, “anche in ordine alla sorte degli interessi costituzionalmente rilevanti in essa coinvolti”
(data, appunto, la necessità almeno di “assicurare il livello minimo di tutela dei diritti inviolabili” in gioco,
quali sono quelli del concepito). Circa il carattere rigoroso dei limiti posti alla facoltà di ricorrere all’inter-
ruzione della gravidanza dopo i 90 giorni (in particolare, ai fini della sussistenza del richiesto “grave pericolo
per la salute fisica o psichica della donna” in dipendenza di “rilevanti anomalie o malformazioni del nascitu-
ro”, nel caso di specie esclusa per una malformazione consistente nella “mancanza della mano sinistra”),
Cass. 11-4-2017, n. 9251. Alla rilevanza, ai fini della eventuale ricorrenza del grave pericolo per la salute fisica
o psichica della donna, pure della conoscenza “di processi patologici che possono provocare, con apprezzabi-
le grado di probabilità, rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”, allude Cass. 15-1-2021, n. 653. Si
tenga presente come il diritto di scegliere se interrompere la gravidanza – nei limiti, appunto, in cui ciò risulta
consentito – viene garantito con l’attribuzione, in caso di “nascita indesiderata” conseguente ad erronea dia-
gnosi o esecuzione del relativo intervento, del risarcimento del danno “sofferto da entrambi i genitori per la
lesione della loro libertà di autodeterminazione, da riconoscersi in relazione alle negative ricadute esistenzia-
li” che ne derivano (Cass. 29-1-2018, n. 2070; Cass. 5-2-2018, n. 2675, che incentra l’attenzione, a fini risarci-
tori, sulla posizione anche del padre).
7
Significativamente, l’art. 16 code civil, come risultante ai sensi della L. 94-653 del 29.7.1994, garantisce
“il rispetto dell’essere umano dall’inizio della sua vita”.
8
Ad una simile nozione soggettività sembra riferirsi anche Cass. 10741/2009 (peraltro reputata sostanzial-
mente inutile, ai fini risarcitori, da Cass. 16754/2012), ove allude alla titolarità, da parte del concepito, “di alcuni
interessi personali in via diretta”, nella prospettiva di una nozione di “soggettività giuridica … più ampia di quel-
la di capacità giuridica delle persone fisiche (che si acquista con la nascita ex art. 1 c.c.)” (cfr. II, 1.1).
9
Della legge – su cui v. pure IV, 2.5 e V, 4.6 – è stato sollecitato il vaglio popolare mediante referendum.
Ammesso in relazione a taluni aspetti della disciplina introdotta (anche con riguardo proprio alla situazione giu-
ridica del concepito, ai sensi dell’art. 1) da Corte cost. 28-1-2005, nn. 45, 46, 47, 48 e 49, il mancato raggiungi-
mento del prescritto quorum di elettori votanti ha impedito la relativa validità (12 e 13-6-2005). Una questione di
CAP. 1 – PERSONA FISICA 273

conoscimento all’individuo (cui si riferisce l’art. 321 Cost.) concepito del diritto alla dignità
e alla identità, in particolare, sembra trovare fondamento – oltre che in una rigorosa disci-
plina della sperimentazione scientifica sull’embrione – nel divieto di pratiche eugenetiche e
della clonazione riproduttiva (art. 32 Carta dir. fond. U.E.; art. 133, lett. c, L. 40/2004).
Quanto, poi, al diritto alla vita e alla salute del concepito (e, quindi, anche dell’embrione,
una volta impiantato in utero a seguito di procreazione assistita), esso si è visto cedere solo
in conseguenza di un opportuno bilanciamento con i diritti fondamentali della gestante 10.

legittimità costituzionale risulta successivamente sollevata da Trib. Cagliari ord. 16-7-2005, con riferimento
all’art. 13, “nella parte in cui fa divieto di ottenere, su richiesta dei soggetti che hanno avuto accesso alle tecniche
di procreazione assistita, la diagnosi preimpianto sull’embrione ai fini dell’accertamento di eventuali patologie”.
Avendo la Corte costituzionale (ord. 9-11-2006, n. 369), senza entrare nel merito, dichiarato manifestamente
inammissibile la questione, Trib. Cagliari 24-9-2007 è giunto, in via interpretativa, ad ammettere l’accertamento
diagnostico in questione, ritenendo, in particolare, non ostativi i relativi pericoli per l’embrione, sulla base del-
l’asserzione che “la disciplina dettata non prevede per l’embrione una tutela assoluta”, ma un “bilanciamento tra
i contrapposti interessi”, prevalendo, “in certi casi, i diritti costituzionalmente garantiti dei soggetti che alle tec-
niche di procreazione assistita abbiano avuto legittimo accesso”. Ad analoga conclusione sono giunti Trib. Firen-
ze 17-12-2007 e Trib. Salerno 9-1-2010. Una questione di legittimità costituzionale in ordine all’art. 142-3, laddo-
ve prevede alla creazione di embrioni un limite di tre e il loro necessario contestuale impianto (nonché il divieto
di crioconservazione tranne ipotesi eccezionali), è stata sollevata da T.A.R. Lazio 21-1-2008, n. 398, sempre fa-
cendo essenzialmente leva sul carattere non assoluto della garanzia dell’embrione (e v. anche Trib. Firenze, ord.
12-7-2008 e 26-8-2008). La questione è stata vagliata favorevolmente da Corte cost. 8-5-2009, n. 151, che ha re-
putato costituzionalmente illegittimi l’art. 142, limitatamente alle parole “ad un unico e contemporaneo impianto,
comunque non superiore a tre” (facendo così “salvo il principio secondo cui le tecniche di produzione non de-
vono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario, secondo accertamenti demanda-
ti, nella fattispecie concreta, al medico”, ma escludendo “la previsione dell’obbligo di un unico e contemporaneo
impianto e del numero massimo di embrioni da impiantare”), e l’art. 143, “nella parte in cui non prevede che il
trasferimento degli embrioni, da realizzare appena possibile, come previsto in tale norma, debba essere effettuato
senza pregiudizio della salute della donna”. Successivamente, Corte cost., ord. 12-3-2010, n. 97, ha dichiarato
inammissibili ulteriori questioni di legittimità costituzionale in materia. Si tenga presente, comunque, che la Cor-
te eur. dir. uomo (28-8-2012) ha considerato contrario all’art. 8 CEDU (concernente la salvaguardia della “vita
privata”) il divieto – evidentemente reputato sussistente nel nostro ordinamento, nonostante il contrario avviso
della giurisprudenza di merito dianzi ricordata – delle tecniche diagnostiche preimpianto (finalizzate alla conse-
guente eventuale soppressione dell’embrione), evidenziando una “incoerenza nel sistema legislativo italiano”,
data la liceità, in esso, dell’impiego di tecniche diagnostiche a gravidanza già avviata, in vista della eventuale rela-
tiva interruzione (secondo quanto consentito dalla L. 194/1978). Trib. Roma ord. 26-9-2013, ha ritenuto di esse-
re immediatamente vincolato da tale decisione, consentendo senz’altro alla coppia (che aveva fatto ricorso alla
Corte) di accedere alle tecniche di procreazione assistita, comprensive della diagnosi preimpianto e della conse-
guente selezione degli embrioni (escludendo, insomma, la necessità di sollevare previamente la questione di legit-
timità costituzionale). Chiamata poi a intervenire, Corte cost. 5-6-2015, n. 96, ha concluso – per contrasto con gli
artt. 3 e 32 Cost. – nel senso della illegittimità (costituendo “il risultato di un irragionevole bilanciamento degli
interessi in gioco”) della disciplina in tema di p.m.a., in quanto preclusiva dell’accesso ad essa da parte di coppie
fertili, al fine di evitare, attraverso la diagnosi preimpianto, “di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o mal-
formazioni” (con la sollecitazione di un intervento del legislatore, per la “auspicabile individuazione delle pato-
logie che possano giustificare l’accesso alla p.m.a. di coppie fertili”: persistendo la mancanza di una simile nor-
mativa, Trib. Milano 18-4-2017 ha ritenuto che il giudice, alla luce dei principi enunciati dalla Corte, possa sen-
z’altro “individuare la regola del caso concreto, così da garantire una tutela effettiva” dei diritti degli interessati).
Successivamente, Corte cost. 11-11-2015, n. 229, ha escluso la legittimità della configurazione (ai sensi dell’art.
13 della legge in questione) come reato della “selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusiva-
mente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissi-
bili” gravi.
10
All’e m b r i o n e (formatosi a seguito di interventi di procreazione assistita) non impiantato non si ritiene
essere senz’altro riferibili le considerazioni che si svolgono a proposito del concepito. Ripugnando l’idea di
una sua considerazione quale mero prodotto, devono, ovviamente, essere privilegiate le soluzioni che meglio
274 PARTE IV – SOGGETTI

In materia successoria (XII, 1.4), il legislatore non si limita a prendere in considerazione


soltanto il concepito, ma anche il non concepito , allorché prevede, oltre ai diritti suc-
cessori dei concepiti, la possibilità che destinatari di disposizioni testamentarie siano non
concepiti, purché figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testato-
re (art. 4623) 11. È da sottolineare, però, come, in tale ipotesi, il legislatore non definisca i

ne salvaguardino l’integrità e la destinazione alla vita. Esso è, ora, tutelato, in particolare, dal divieto di crio-
conservazione e di soppressione (art. 141 L. 40/2004), restando comunque aperto il problema della sorte de-
gli embrioni già esistenti e di quelli eccezionalmente crioconservati, ai sensi dell’art. 143 (in proposito, v. le
“linee guida” da ultimo emanate con D.M. 1.7.2015, a modifica di quelle 11.4.2008 e precedenti). La con-
troversa soluzione rappresentata da un eventuale ricorso alla c.d. adozione dell’embrione, non prevista dalla
nostra legislazione, risulta ammessa (in termini di “accoglienza dell’embrione”) in Francia, dall’art. L. 2141-6
code de la santé publique (quale introdotto dall’art. 36 L. 2011-814 del 7.7.2011), a seguito del consenso ma-
nifestato dai membri della coppia del cui embrione si tratta (art. L. 2141-5) e con decisione giudiziale (anche
in relazione alla idoneità della coppia richiedente). In materia, la Corte eur. dir. uomo (27-8-2015), rilevata la
persistente diversità degli atteggiamenti dei diversi ordinamenti, ha reputato il divieto (di cui all’art. 13 della
legge) di sperimentazione sugli embrioni umani – preclusivo anche di eventuali donazioni per la ricerca scien-
tifica di embrioni prodotti in vitro – non contrastante con il diritto al rispetto della vita privata posto dall’art.
8 CEDU. Sostanzialmente sulla sua scia, Corte cost. 13-4-2016, n. 84, rilevato costituire “scelta tragica” quella
“tra il rispetto del principio della vita (che si racchiude nell’embrione ove pure affetto da patologia) e le esi-
genze della ricerca scientifica”, ha ritenuto il divieto in questione rientrare nell’ambito della discrezionalità di
cui gode il legislatore (“quale interprete della volontà della collettività”) nel “bilanciamento tra valori fonda-
mentali in conflitto” (anche in considerazione dell’essere comunque a lui “inevitabilmente riservate” eventua-
li scelte in ordine alle “molteplici opzioni intermedie”). Si tenga anche presente come la Corte eur. dir. uomo
18-12-2014, ricordato che la direttiva 98/44/CE, per “il rispetto dovuto alla dignità umana”, non ammette la
brevettabilità delle utilizzazioni di “embrioni umani” a fini industriali o commerciali, abbia differenziato, al
riguardo, la situazione degli ovuli umani non fecondati, essendone da escludere la natura di “embrioni
umani”, ai sensi della suddetta disposizione, ove, pur “partenogeneticamente attivati”, si presentino co-
munque privi della “capacità intrinseca di svilupparsi in esseri umani”. Un chiaro divieto di creazione e di
utilizzazione di embrioni a fini commerciali è formulato dall’art. L. 2141-8 code de la santé publique. Circa,
poi, i meccanismi riproduttivi coinvolgenti gli embrioni, in merito al noto caso dello “scambio di embrio-
ni”, Trib. Roma 8-8-2014 ha respinto, sulla base del principio in base al quale “la maternità naturale” risulta
“legata al fatto storico del parto” (art. 2693), il ricorso (ai sensi dell’art. 700 c.p.c.) dei genitori genetici, tendente
a reclamare i bambini conseguentemente partoriti da altra donna (e Trib. Roma 2-10-2015 ha respinto, in una
tale situazione, anche la richiesta di consentire incontri con loro). Trib. Roma 10-5-2016, decidendo la vicenda
nel merito, escluso che l’embrione, in quanto tale “privo di personalità giuridica e di capacità successoria”, possa
“acquisire alcuno stato di filiazione”, ha reputato prevalente il “legame biologico creato dalla gestazione” (quale
“fattore decisivo … per la determinazione dello stato di filiazione”), anche in considerazione della rilevanza da
accordare – pure alla luce di quanto affermato a livello sovranazionale – ai “legami sociali” derivanti dall’“in-
serimento” del nato “in un determinato contesto familiare”. Si tenga presente che, per Cass. 18-12-2017, n.
30294, una volta prestato, da parte del marito, il consenso alla pratica di procreazione medicalmente assistita
(inseminazione eterologa della moglie), la relativa revoca, che l’art. 63 L. 40/2004 consente “fino al momento del-
la fecondazione dell’ovulo”, successiva a tale momento deve ritenersi inefficace (ai fini dell’operatività dell’art. 91,
preclusivo dell’esercizio di disconoscimento della paternità): ciò perché, “consentire la revoca del consenso, an-
che in un momento successivo alla fecondazione dell’ovulo, non apparirebbe compatibile con la tutela costitu-
zionale degli embrioni”. Alla luce del “rilievo prevalente” da accordare “alla tutela dell’embrione”, Trib. Bolo-
gna 25-8-2018 ha disposto, su domanda della moglie, il trasferimento intrauterino degli embrioni crioconservati,
formati con i gameti del marito successivamente deceduto (in tema di impianto dell’embrione crioconservato
dopo la morte del marito, v. infra, V, 4.6). Nella stessa prospettiva, Trib. Santa Maria Capua Vetere 27-1-2021 ha
reputato non ostativa al soddisfacimento della richiesta della donna di impianto degli embrioni crioconservati
l’opposizione del marito, pur motivata dalla sopravvenuta separazione personale.
11
Analoga previsione è dettata altresì in tema di donazione (art. 7841), che può essere fatta sia a favore di
chi è concepito, sia a favore dei figli di una determinata persona vivente al tempo della donazione, benché,
appunto, non ancora concepiti.
CAP. 1 – PERSONA FISICA 275

destinatari della disposizione, a differenza dei concepiti, “capaci di succedere” (e diverso


risulta anche, nei due casi, il regime dell’amministrazione di quanto destinato: art. 643).

3. Fine della persona. – Si è avuto modo di osservare come, per considerare venuta
ad esistenza la persona fisica (con il conseguente acquisto della capacità giuridica), sia
sufficiente che il neonato nasca vivo. Non meno importante risulta la determinazione del
momento a partire dal quale l’esistenza della persona possa reputarsi terminata e, quindi,
la capacità giuridica si ritenga venuta a cessare.
Soprattutto le esigenze legate ai trapianti di organi (v., infatti, art. 1 L. 1.4.1999, n.
91) hanno indotto il legislatore a precisare il momento in cui il soggetto deve essere con-
siderato morto a tutti gli effetti. Per l’art. 1 L. 29.12.1993, n. 578 “la morte si identifica
con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. Il concetto legale di
morte, quindi, coincide con quello di morte cerebrale, irrilevante risultando la conser-
vazione, mediante apposite apparecchiature, delle funzioni di carattere respiratorio e
cardiaco. Con il D.M. 22.8.1994, n. 582, sono state dettate modalità tecniche particolar-
mente rigorose per gli accertamenti relativi nelle diverse situazioni.
Il venir meno della capacità giuridica comporta l’impossibilità di riferire al defunto si-
tuazioni giuridiche. Se, talvolta, può sembrare che egli sia considerato ancora portatore
di interessi rilevanti per l’ordinamento, ciò è da reputare essenzialmente frutto di appa-
renza, in quanto, in simili casi, l’ordinamento tutela, in realtà, interessi facenti capo a
persone viventi (o, eventualmente, un interesse di carattere generale). Così si verifica, ad
es., in relazione alla tutela, dopo la morte, della immagine, della corrispondenza e del di-
ritto morale di autore (rispettivamente, artt. 962, 932 e 23 L. 22.4.1941, n. 633) 12; non di-
versamente, per il possibile riconoscimento di figli premorti (artt. 255) 13. Lo stesso osse-
quio che l’ordinamento presta alla volontà testamentaria può essere visto quale potere di
destinazione dei propri beni riconosciuto (in vita) al soggetto (cui corrisponde l’interesse
dei soggetti indicati come successori).
Con la morte della persona talune situazioni giuridiche si estinguono (in quanto intra-
smissibili) e un numero consistente di rapporti giuridici trova una nuova configurazione
soggettiva. Di qui l’interesse ad una precisa determinazione del momento in cui viene a
cessare l’esistenza della persona. Tale interesse assume connotati di peculiare rilevanza
nella situazione prevista dall’art. 4, che regola l’ipotesi di commorienza, per cui, quan-
do un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una persona a un’altra e non con-
sti quale di esse sia morta prima, “tutte si considerano morte nello stesso momento”.
Con una finzione, cioè, nonostante che l’evento morte dei diversi soggetti possa essersi
verificato, in realtà, in momenti cronologicamente non coincidenti, l’ordinamento giuri-
dico, data l’incertezza circa la relativa esatta determinazione, considera come se i mede-
simi soggetti fossero morti nello stesso istante.
La disciplina della commorienza assume peculiare importanza nei casi in cui la premo-
rienza di un soggetto rispetto all’altro determinerebbe un diverso atteggiarsi della loro

12
La prospettiva accennata trova conferma nella legittimazione all’azione – che vale a individuare i reali
destinatari della disposta tutela – dei prossimi familiari del defunto (e nel caso del diritto morale di autore,
“qualora finalità pubbliche lo esigano”, del Ministero per i beni e le attività culturali).
13
Tale ultima disposizione risulta evidentemente finalizzata alla tutela degli interessi dei discendenti del
defunto.
276 PARTE IV – SOGGETTI

complessiva vicenda successoria. Ove, ad es., nel medesimo incidente muoiano due coniu-
gi e non consti quale dei due sia morto per primo, i genitori dell’uno e dell’altro avrebbero
interesse a dimostrare la sopravvivenza del proprio figlio rispetto al coniuge, dal momento
che il suo asse ereditario risulterebbe accresciuto dei diritti spettantigli in quanto coniuge
superstite. L’art. 4, per evitare ogni incertezza, pone, appunto, una presunzione legale di
non sopravvivenza (superabile da chi intenda affermare il contrario con la relativa prova) 14,
cosicché, nell’esempio fatto, nessuno dei due coniugi si ritiene partecipare alla successione
dell’altro, in quanto a lui (presuntamente considerato) non sopravvissuto.
Se nell’ipotesi risolta dall’art. 4 con l’accennata presunzione vi è incertezza circa il quan-
do dell’evento morte, ma vi è certezza circa l’an, può darsi il caso, invece, che l’incertezza
concerna proprio l’esistenza della persona. Di qui l’esigenza che l’ordinamento predispon-
ga una serie di strumenti (scomparsa, assenza e morte presunta: IV, 1.4) per tutelare i dirit-
ti spettanti al soggetto del quale si ignori proprio l’attuale esistenza. Ciò non solo nel suo
interesse, ma anche nell’interesse di quegli altri soggetti che, in conseguenza dell’evento
della sua morte, potrebbero vedere modificata la propria sfera giuridica, sia in dipendenza
dell’acquisto di nuovi diritti, sia in dipendenza dell’estinzione di obblighi pregressi.

4. Scomparsa, assenza e morte presunta. – L’irreperibilità del soggetto o, addirittu-


ra, la incertezza circa la sua stessa esistenza determinano problemi gravi in ordine alla
gestione ed alla sorte delle situazioni giuridiche di cui sia titolare.
a) Rilevante viene considerata anche la semplice scomparsa della persona. Ciò si repu-
ta verificarsi quando essa non è più comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o del-
l’ultima sua residenza e non se ne hanno più notizie (art. 481). Tale circostanza non com-
porta di per sé una grave incertezza circa l’esistenza della persona, legittimando sempli-
cemente l’intervento del tribunale che, su istanza degli interessati, dei presunti successori
legittimi o del pubblico ministero, può nominare un curatore, il quale rappresenti lo
scomparso in giudizio o nella formazione degli inventari e dei conti e nelle liquidazioni o
divisioni in cui lo stesso sia interessato, e può dare gli altri provvedimenti necessari alla
conservazione del suo patrimonio. I provvedimenti legati alla scomparsa della persona
sembrano giustificarsi in base ad una sorta di presunzione, da parte del legislatore, di
temporaneità della situazione di incertezza circa l’esistenza della persona 15.
b) Diversa, e ben più grave, viene valutata l’ipotesi della assenza. Trascorsi due anni
dal giorno a cui risale l’ultima notizia, i presunti successori legittimi e chiunque ragione-

14
Si è ritenuto preferibile una simile soluzione a quella adottata in passato, fondata su sempre opinabili
presunzioni di diverso tipo. In ordinamenti quali quello romano (ma anche quello francese, fino alla sua re-
cente riforma), si adottava una diversa soluzione, essenzialmente basata sulla considerazione di una situazione
di presumibile maggiore debolezza dell’un soggetto rispetto all’altro (essenzialmente in considerazione del-
l’età e del sesso). Significativamente, con la recente riforma delle successioni (L. 2001-1135 del 3.12.2001),
anche in Francia, con specifico riferimento alla materia successoria (più direttamente investita dalla proble-
matica in esame), si è abbandonato il sistema tradizionale, introducendo una soluzione sostanzialmente simile
a quella italiana (art. 725-1 code civil).
15
Intimamente legate alla situazione di mera incertezza circa l’esistenza della persona sono, altresì, la pre-
visione dell’art. 69 (secondo cui nessuno è ammesso a reclamare un diritto in nome di una persona di cui si
ignora l’esistenza, se non prova che la persona esisteva quando il diritto è nato) e quella, strettamente connes-
sa, dell’art. 70 (per cui, quando s’apre una successione a cui sarebbe chiamata in tutto o in parte una persona
di cui si ignora l’esistenza, la successione è devoluta – con la previsione di talune cautele – a coloro ai quali
sarebbe spettata in mancanza della detta persona).
CAP. 1 – PERSONA FISICA 277

volmente creda di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte di lui
possono domandare al tribunale che ne sia dichiarata l’assenza (art. 49). La dichiarazione
di assenza si fonda sulla considerazione della persistenza nel tempo (e, quindi, di un certo
grado di stabilità) dell’incertezza circa l’esistenza della persona: stato d’incertezza che si
protrae, appunto, da almeno due anni.
Sotto il profilo dei rapporti personali, l’assenza non è configurata quale causa di scio-
glimento del matrimonio: tuttavia, ai sensi dell’art. 1173, il matrimonio contratto dal co-
niuge dell’assente non può essere impugnato finché dura l’assenza. Sotto il profilo dei
rapporti patrimoniali, una volta dichiarata l’assenza del soggetto, coloro che sarebbero
eredi testamentari 16 o legittimi, se l’assente fosse morto nel giorno a cui risale l’ultima
notizia di lui, o i loro rispettivi eredi, possono domandare l’immissione nel possesso
temporaneo dei beni (art. 502) 17. Per effetto dell’immissione nel possesso temporaneo
dei beni, che deve necessariamente essere preceduta dalla formazione dell’inventario dei
medesimi, coloro che la abbiano ottenuta assumono l’amministrazione dei beni dell’assen-
te, la rappresentanza di lui in giudizio e il godimento delle rendite dei beni (art. 52) 18.
I beni, pertanto, permangono nel patrimonio dell’assente per tutta la durata dell’as-
senza – considerata situazione di carattere provvisorio – e non si ha alcun fenomeno di
tipo successorio. Esclusivamente allorché il tribunale ne riconosca la necessità o utilità
evidente, coloro che hanno ottenuto l’immissione nel possesso possono procedere ad atti
di disposizione dei beni (art. 54). Quanto ai rapporti obbligatori dell’assente, coloro che
per effetto della sua morte sarebbero liberati da obbligazioni possono essere tempora-
neamente esonerati dall’adempimento di esse (art. 504).
La situazione di assenza termina o con la prova della morte dell’assente, nel qual caso
la successione si apre a vantaggio di coloro che, al momento della morte, erano suoi ere-
di o legatari (art. 57), o con la dichiarazione di morte presunta dell’assente, ovvero, infi-
ne, con il suo ritorno. Per effetto del ritorno dell’assente, in particolare, cui è equiparata
l’ipotesi in cui sia provata l’esistenza del medesimo, i possessori temporanei devono resti-
tuire i beni, restando, peraltro, irrevocabili gli atti (regolarmente autorizzati dal tribuna-
le) compiuti prima della loro costituzione in mora (art. 562).
c) Anche se non vi è stata una preventiva dichiarazione di assenza (art. 583), quando
siano trascorsi dieci anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia, il tribunale, su istanza del
pubblico ministero o di qualsiasi interessato, può dichiarare la morte presunta dello scom-
parso nel giorno a cui risale l’ultima notizia (art. 581) 19. La dichiarazione di morte presun-

16
Per accertarne l’esistenza, l’art. 501 riconosce al tribunale il potere di ordinare, su istanza di chiunque vi
abbia interesse o del pubblico ministero, l’apertura degli atti di ultima volontà dell’assente, se vi sono.
17
L’immissione nel possesso temporaneo dei beni dell’assente può essere altresì richiesta dai legatari, dai
donatari e da tutti quelli ai quali spetterebbero diritti dipendenti dalla morte dell’assente (art. 503).
18
Mentre gli ascendenti, i discendenti ed il coniuge dell’assente, una volta immessi nel possesso temporaneo
dei beni, ritengono la totalità delle rendite, gli altri soggetti eventualmente immessi (es., i fratelli) devono ac-
cantonare per l’assente il terzo delle rendite (art. 53). Il coniuge dell’assente, inoltre, può ottenere dal tribuna-
le, in caso di bisogno, un assegno alimentare da determinarsi secondo le condizioni della famiglia e l’entità del
patrimonio dell’assente (art. 51). La sentenza che dichiara l’assenza o la morte presunta è soggetta a peculiari
modalità di pubblicità (art. 729 c.p.c.).
19
L’art. 60 prevede una serie di ipotesi nelle quali la morte presunta può essere dichiarata anche a seguito
del decorso di un lasso temporale inferiore ai dieci anni. La riduzione del termine (due o tre anni) si giustifica
in relazione alla particolare natura di determinati eventi che inducono, ragionevolmente, a far deporre nel
278 PARTE IV – SOGGETTI

ta, in sostanza, ancorché con talune opportune differenze, equipara la situazione della
persona della quale s’ignori per un così lungo tempo l’esistenza a quella della sua morte
effettiva (per la gravità del provvedimento, l’art. 582 dispone che in nessun caso la sen-
tenza può essere pronunziata se non sono trascorsi nove anni dal raggiungimento della
maggiore età dello scomparso). L’istanza, una volta rigettata, poi, non può essere ripro-
posta prima che siano decorsi almeno altri due anni (art. 59).
Per effetto della sentenza che dichiara la morte presunta – cui si tende a riconoscere
natura di vero e proprio accertamento della morte, sulla base delle circostanze in presen-
za delle quali la legge la presume – si apre la successione ereditaria del soggetto, analoga-
mente a ciò che si verifica nell’ipotesi di morte naturale del medesimo: a differenza del-
l’ipotesi ordinaria di successione, però, residua la possibilità che il morto presunto faccia
ritorno o che dello stesso sia provata l’esistenza.
Dal punto di vista patrimoniale, se la dichiarazione di morte presunta risulta precedu-
ta dalla preventiva immissione nel possesso dei beni dell’assente, gli immessi nel posses-
so acquistano la disponibilità definitiva dei beni e coloro ai quali fu concesso l’esercizio
temporaneo dei diritti o la liberazione temporanea dalle obbligazioni conseguono l’eser-
cizio definitivo dei diritti o la liberazione definitiva dalle obbligazioni (art. 63). Qualora
non vi sia già stata immissione nel possesso temporaneo dei beni, gli aventi diritto (cioè
gli eredi e, più in generale, coloro ai quali spetterebbero diritti in dipendenza della mor-
te del soggetto) o i loro successori conseguono il pieno esercizio dei diritti loro spettanti,
una volta che la dichiarazione di morte presunta sia divenuta eseguibile (art. 64). In tale
ultimo caso, peraltro, l’immissione nel possesso deve essere preceduta dalla redazione del-
l’inventario dei beni.
Come si è sottolineato, la dichiarazione di morte presunta non coincide perfettamen-
te con la morte naturale. Ove la persona di cui è stata dichiarata la morte presunta ritor-
ni o se della medesima sia provata l’esistenza, la stessa recupera i beni nello stato in cui si
trovano e ha diritto di conseguire il prezzo di quelli alienati, quando esso sia tuttora do-
vuto, o i beni nei quali sia stato investito; ha pure diritto di pretendere l’adempimento
delle obbligazioni in precedenza reputate estinte (art. 661-2) 20.
Dal punto di vista personale, a seguito della sentenza che dichiara la morte presunta,
il coniuge del soggetto dichiarato morto presunto può contrarre nuovo matrimonio (art.
65). Tuttavia, tale matrimonio è considerato nullo nell’ipotesi di ritorno del morto pre-
sunto o di accertamento della sua esistenza in vita (art. 681, richiamato dall’art. 1175). A
temperamento di tale previsione, sono fatti salvi gli effetti civili del matrimonio dichiara-
to nullo (art. 682), trovando applicazione le regole proprie del c.d. matrimonio putativo
(V, 2.7). È da tenere presente, però, che non può essere pronunziata la nullità del ma-
trimonio nel caso sia accertata la morte effettiva del soggetto, anche se avvenuta in una
data posteriore a quella del matrimonio (art. 683).

senso del probabile decesso del soggetto: operazioni belliche, prigionia o deportazione in paese straniero, in-
fortunio.
20
Può verificarsi, altresì, l’ipotesi che sia provata la data della morte del soggetto già dichiarato morto pre-
sunto, nel qual caso saranno coloro che a quella data sarebbero stati i suoi eredi o legatari a recuperare i beni
nello stato in cui si trovano. Gli stessi potranno anche chiedere l’adempimento delle obbligazioni considerate
estinte, limitatamente al tempo anteriore alla data della morte (art. 663).
CAP. 1 – PERSONA FISICA 279

5. Localizzazione della persona. – Ai fini dell’applicazione delle norme giuridiche,


risulta rilevante, frequentemente, lo stabilire una precisa relazione tra il soggetto e una
delle sue possibili ubicazioni. Ciò avviene con il ricorso a determinati criteri di collega-
mento della persona con un determinato luogo.
Particolare importanza assume, innanzitutto, il luogo della nascita, dato che è pres-
so il comune in cui essa è avvenuta che viene formato l’atto di nascita (art. 30 D.P.R.
3.11.2000, n. 396, il quale consente che la dichiarazione al riguardo necessaria possa es-
sere resa dai genitori anche nel proprio comune di residenza). Dall’atto di nascita risulta
possibile evincere le principali vicende esistenziali del soggetto, idonee ad incidere sul
suo status.
Nel nostro ordinamento sono considerate rilevanti e distinte le nozioni di dimora, re-
sidenza e domicilio.
a) Per dimora – concetto non precisato espressamente dal legislatore – si intende il
luogo in cui il soggetto si trova, anche solo temporaneamente, a soggiornare. Il carattere
anche solo temporaneo della dimora non esclude, tuttavia, una certa necessaria durata,
tale da rendere il luogo di dimora idoneo a localizzare geograficamente il soggetto (così,
ad es., per il luogo in cui si trascorre un periodo di villeggiatura). Il criterio della dimora
riceve scarso impiego da parte del legislatore e, per lo più, in ipotesi marginali 21.
b) La residenza, invece, viene individuata, ai sensi dell’art. 432, nel luogo in cui la per-
sona ha la propria dimora abituale. Ai fini della fissazione della residenza 22, si ritiene che
debbano ricorrere un elemento oggettivo (il fatto della stabile permanenza in un luogo
determinato) ed un elemento soggettivo (l’intenzione di fissare la propria stabile dimora
in quel luogo) 23. Anche se la legge non ammette la sussistenza che di una sola residenza
anagrafica, tende a prevalere, comunque, la tesi per cui il soggetto possa avere, di fatto,
più di una residenza. Il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di
buona fede (che non ne siano, cioè, a conoscenza), se non è stato denunciato nei modi
previsti dalla legge, ossia mediante doppia dichiarazione fatta al comune che si abban-
dona e a quello dove s’intende fissare la dimora abituale (artt. 441 e 31 disp. att. c.c.).
Il luogo di residenza rileva, soprattutto, per i rapporti di natura personale: è in rela-
zione ad esso, in particolare, che si determina il luogo dove deve essere richiesta la pub-
blicazione in vista del matrimonio (art. 94). La residenza determina la competenza terri-
toriale degli organi giurisdizionali (alternativamente al domicilio: foro generale della per-
sona, art. 181 c.p.c.), nonché il luogo in cui deve avvenire, di preferenza, la notificazione
degli atti giudiziari (art. 1391 c.p.c.).

21
L’art. 181 c.p.c. individua nella dimora il criterio residuale per determinare il foro generale delle persone fi-
siche, qualora non siano conosciuti la residenza o il domicilio. Ai sensi dell’art. 1396 c.p.c., poi, è la dimora il
luogo dove devono avvenire le notificazioni, quando non sia noto il comune di residenza.
22
Secondo la giurisprudenza (ad es., Cass. 20-9-1979, n. 4829 e Cass. 20-3-2006, n. 6101), l’effettiva resi-
denza di una persona (“criterio dell’effettività”: ad es., Cass. 17-5-2017, n. 12380) è accertabile dal giudice
con qualsiasi mezzo di prova (pure, quindi, “mediante presunzioni”: Cass. 12-9-2012, n. 15221), anche contro
le risultanze anagrafiche, che hanno, nei confronti dei terzi, solo “valore presuntivo”.
23
Per Cass. 5-2-1985, n. 791, “la residenza è determinata dall’abituale volontaria dimora di una persona in
un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo
della stabile permanenza in quel luogo sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinse-
candosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento” (alle
“consuetudini di vita” allude Cass. 1-12-2011, n. 25726).
280 PARTE IV – SOGGETTI

Differente è il concetto di residenza familiare (eventualmente diversa dal luogo di


residenza di uno o, addirittura, di ambedue i coniugi), quale centro della vita comune del-
la famiglia (rilevante anche per l’individuazione del domicilio del minore: art. 452), che
deve essere, ai sensi dell’art. 144, fissata concordemente dai coniugi, secondo le esigenze
di entrambi e quelle preminenti della famiglia (V, 2.9). Anche con riferimento all’unione
civile, si prevede che le parti “fissano la residenza comune” (art. 112 L. 20.5.2016, n. 76).
c) Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei
suoi affari e interessi (art. 431) 24. Anche per il domicilio si ritiene occorrere un elemento
soggettivo, consistente nella intenzione di concentrare in un luogo i propri affari e inte-
ressi 25. Il domicilio può essere generale, nel qual caso si riferisce alla generalità degli
affari ed interessi del soggetto, o speciale, cioè eletto dal soggetto solo per determinati
atti o affari (l’elezione del domicilio speciale deve sempre farsi espressamente per iscrit-
to) (art. 47): mentre si può avere un solo domicilio generale (la principalità è, infatti,
concetto relativo ma esclusivo), si possono avere più domicili speciali.
Dal domicilio volontario, ovvero scelto dal soggetto, si distingue il domicilio
legale, cioè stabilito dalla legge in relazione a determinate categorie di soggetti: il mino-
re ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o quello del tutore (art. 452);
l’interdetto ha il domicilio del tutore (art. 453) 26. Secondo il testo originario dell’art. 451,
la moglie aveva lo stesso domicilio del marito (si trattava, quindi, di una ipotesi di domi-
cilio legale); attualmente, invece, in applicazione del principio di uguaglianza, ciascuno
dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei
propri affari o interessi (risultando, così, evidente la distinzione rispetto all’unitaria loca-
lizzazione della residenza familiare).
Il domicilio rileva, in particolare, ai fini della determinazione del luogo di apertura
della successione (art. 456) e della tutela (art. 3431), nonché dell’individuazione del tri-
bunale competente a dichiarare il fallimento dell’imprenditore (art. 91 l. fall.). Il domici-
lio o la residenza determinano il foro generale della persona (art. 181 c.p.c.), mentre, per
la notificazione degli atti giudiziari, il criterio del domicilio è subordinato a quello della
residenza e della dimora (art. 1396 c.p.c.). L’art. 442 pone una presunzione di trasferi-
mento del domicilio, qualora una persona che abbia nel medesimo luogo il domicilio e la
residenza trasferisca quest’ultima altrove: tale presunzione cade allorché nell’atto in cui è
stato denunciato il trasferimento della residenza sia fatta una diversa dichiarazione.
Per le persone giuridiche, vale quale criterio di localizzazione quello della sede, da
applicarsi ogniqualvolta la legge faccia dipendere determinati effetti dalla residenza o dal
domicilio. Qualora la sede indicata nell’atto costitutivo e nello statuto o quella risultante
dal registro delle persone giuridiche sia diversa da quella effettiva, i terzi possono consi-
derare come sede della persona giuridica anche quest’ultima (art. 46).

24
Il domicilio (Cass. 5-5-1980, n. 2936; Cass. 15-10-2011, n. 21370) “individua il luogo in cui la persona
ha stabilito il centro principale dei propri affari e interessi, sicché riguarda la generalità dei rapporti del sog-
getto, non solo economici, ma anche morali, sociali e familiari”. Dall’art. 442 si deduce, comunque, la possibi-
le non coincidenza del luogo del domicilio e di quello della residenza.
25
Viene sottolineata, comunque, la rilevanza dell’elemento oggettivo, costituito dalla concentrazione in un
luogo degli affari e interessi.
26
L’art. 452 precisa che, se i genitori sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne so-
no cessati gli effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore col
quale convive.
CAP. 1 – PERSONA FISICA 281

B) CAPACITÀ DI AGIRE

6. Capacità di agire. – Per capacità di agire si intende l’attitudine a compiere atti


idonei ad incidere sulla propria sfera giuridica. Ai sensi dell’art. 21, la capacità di agire – de-
finita dal codice come “capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita una età
diversa” – si acquista con la maggiore età, vale a dire al compimento del diciottesimo anno.
La fissazione di un criterio presuntivo e uniforme per la valutazione dell’attitudine del
soggetto a regolare i propri interessi rappresenta, indubbiamente, una precisa necessità
per lo svolgimento delle relazioni giuridiche, soprattutto di carattere economico 27. L’or-
dinamento, peraltro, non manca di assicurare una adeguata tutela degli interessi del sog-
getto, prevedendo l’incidenza di sue peculiari condizioni personali – oltre l’età – sulla va-
lutazione di tale attitudine (appunto, solo legalmente presunta), quali, in particolare, le
condizioni psichiche e fisiche, con conseguente riduzione o, addirittura, perdita della ca-
pacità di agire. Si tratta delle ipotesi di incapacità legale di agire, le quali, conseguendo
ad un provvedimento giudiziale che accerta la ricorrenza delle relative condizioni, si di-
stinguono dalla rilevanza accordata, entro certi limiti, alla situazione di incapacità di in-
tendere o di volere, in cui, di fatto, il soggetto venga a trovarsi. Carattere sanzionatorio,
invece, ha la limitazione della capacità di agire in dipendenza di gravi condanne penali.
La differenza rispetto alla capacità giuridica è evidente. Mentre chi sia dotato di capa-
cità giuridica può, come tale, essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, il soggetto
capace di agire può altresì validamente compiere atti giuridici idonei a produrre modifica-
zioni nella sfera delle proprie situazioni soggettive. Così, mentre, con la nascita, il sogget-
to ha la capacità di essere titolare della proprietà di beni, con il conseguimento della ca-
pacità di agire, lo stesso soggetto può, con propri atti, acquistare beni, ovvero vendere,
dare in garanzia, ecc., i beni di cui risulti proprietario.
La capacità di agire che si acquista con la maggiore età conferisce al soggetto il potere
di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita una età diversa 28. In relazione a de-
terminati atti, cioè, l’ordinamento permette che gli stessi siano compiuti anche prima del
compimento del diciottesimo anno d’età. Si tratta, come si avrà modo di vedere, essen-
zialmente degli atti incidenti su interessi di natura personale. Così, a titolo meramente
indicativo, il genitore che abbia compiuto il sedicesimo anno d’età può riconoscere il
proprio figlio naturale (art. 2505, ove si prevede anche la possibilità di una autorizzazio-
ne giudiziale al riconoscimento da parte del genitore infrasedicenne) e il quattordicenne
deve consentire alla propria adozione (art. 72 L. 4.5.1983, n. 184) 29.

27
La fissazione di un simile criterio da parte del legislatore, in quanto legata, ovviamente, a considerazioni
di carattere generale in ordine all’atteggiarsi dei rapporti nella società, risulta suscettibile di variare nel tempo.
È stata la L. 8.3.1975, n. 39, così, adeguandosi ad un orientamento prevalente ovunque, ad anticipare dal ven-
tunesimo al diciottesimo anno il riconoscimento della maggiore età.
28
Il riferimento dell’art. 21 a “tutti gli atti” viene inteso restrittivamente dalla giurisprudenza, in adesione
ad un diffuso orientamento dottrinale. La Cassazione (18-6-1986, n. 4072), così, in tema di impossessamento
(VI, 5.3), ha precisato che, alla luce della distinzione, “nell’ambito degli atti giuridici umani”, “tra meri atti
giuridici e negozi giuridici” (II, 4.5), “per i primi è sufficiente la capacità di intendere e di volere e per i se-
condi occorre la capacità di agire”.
29
L’art. 22 fa salve le leggi speciali che stabiliscono una età inferiore al diciottesimo anno in materia di ca-
pacità a prestare il proprio lavoro, nel qual caso il minore è abilitato all’esercizio dei diritti e delle azioni che
dipendono dal contratto di lavoro. Il conseguimento di una generale capacità professionale al diciottesimo an-
282 PARTE IV – SOGGETTI

È da sottolineare, poi, come per essere considerati imputabili del fatto dannoso (per
essere chiamati a rispondere, cioè, delle conseguenze dei propri comportamenti che ab-
biano ingiustamente danneggiato altri) il criterio previsto sia quello della concreta capaci-
tà di intendere e di volere (art. 2046: X, 1.6), a prescindere, quindi, dall’età raggiunta dal
soggetto e, in genere, dalla sua capacità legale di agire.

7. Minore. – L’art. 2, fissando al diciottesimo anno la maggiore età e condizionando


ad essa l’acquisto della “capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita una
età diversa”, risulta porre il minore in una situazione di incapacità di agire generale.
In realtà, già nello stesso codice civile, numerose sono le disposizioni che riconosco-
no al minore la capacità di compiere atti idonei ad incidere sulla sua sfera giuridica, sia
pure al di fuori dell’area dei rapporti di natura più strettamente patrimoniale. Ove si al-
larghi, poi, l’orizzonte al resto della legislazione, ad esito di un processo tendente a valo-
rizzare l’autonomia del minore, si può senz’altro dire che la relativa incapacità si pre-
senti come (almeno tendenzialmente) generale solo in campo patrimoniale, mentre in
quello degli atti coinvolgenti la sua sfera esistenziale al minore stesso sia sempre più este-
samente riconosciuto il potere di autodeterminarsi.
Si avrà modo, così, di vedere come, nella materia dei rapporti familiari che lo coinvol-
gono, la volontà del minore sia considerata rilevante, ovviamente secondo una scansione
temporale che risponde alla sua progressiva maturazione. È, al riguardo, da sottolineare
come, da noi secondo quanto è già avvenuto in altri ordinamenti (anche in applicazione
di principi sempre più chiaramente affermati a livello sopranazionale) 30, non manchi di
essere valorizzata, quale condizione per il riconoscimento della rilevanza della volontà
del minore, la sua concreta capacità di discernimento, in luogo del raggiungimento di età
predeterminate. Ne costituisce attestazione la riforma dell’adozione (L. 28.3.2001, n.
149), la quale, se ha confermato la necessità del consenso del minore quattordicenne
(art. 72), ha collegato il necessario ascolto del minore al raggiungimento dei 12 anni o,
appunto, all’apprezzamento della sua capacità di discernimento (art. 73, nonché altrove).
Al medesimo criterio, con portata più generale, si ispira il nuovo art. 315 bis3 (introdotto
dalla L. 10.12.2012, n. 219), in relazione al diritto del figlio minore di essere ascoltato
“in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. Il sedicenne può riconoscere il
figlio nato fuori del matrimonio (art. 2505: anche prima se autorizzato), mentre il quat-
tordicenne deve assentire al proprio riconoscimento (art. 2502); il sedicenne può, sia pu-
re eccezionalmente, essere autorizzato a contrarre matrimonio (art. 84). A 12 anni (o
prima ove capace di discernimento) il figlio deve venire sentito in caso di contrasto dei
genitori sulle questioni di particolare importanza che lo riguardano (art. 3163) e a 16 nel-
l’ipotesi di disaccordo dei genitori sulle scelte relative all’indirizzo familiare (art. 1451). A
16 anni deve esprimere il suo consenso all’inserimento del figlio nato fuori del matrimo-

no era previsto originariamente dall’art. 3, abrogato dalla ricordata L. 39/1975, in conseguenza della anticipa-
zione della maggiore età.
30
Il riferimento alla concreta capacità di discernimento, quale elemento decisivo ai fini della individuazio-
ne del ruolo del minore circa le scelte che lo coinvolgono, caratterizza tanto la Convenzione sui diritti del fan-
ciullo (New York, 20.11.989), ratificata con L. 27.5.1991, n. 176, quanto la Convenzione europea sull’eser-
cizio dei diritti dei fanciulli (Strasburgo, 25.1.1996), ratificata con L. 20.3.2003, n. 77. Alla “età” e “maturità”
si riferisce l’art. 241 Carta dir. fond. U.E.
CAP. 1 – PERSONA FISICA 283

nio del genitore nella propria famiglia legittima (art. 2522) 31. Il coinvolgimento del figlio
minore nelle procedure concernenti la crisi coniugale dei genitori, con riferimento alle
decisioni che lo toccano direttamente, risulta ora assicurato dall’art. 337 octies1 (che pre-
vede il relativo ascolto se dodicenne o, comunque, capace di discernimento).
Con riguardo ad altre scelte di carattere esistenziale, è da sottolineare, in particola-
re, il carattere personale della decisione relativa all’interruzione della gravidanza, a pre-
scindere, se del caso, dall’assenso e dalla stessa consultazione dei genitori (art. 12 L.
22.5.1978, n. 194) 32, nonché della decisione per la richiesta di interventi riabilitativi e
terapeutici, in caso di uso di sostanze stupefacenti (art. 95 L. 22.12.1975, n. 685). Ade-
guata rilevanza alla volontà del minore in ordine ai trattamenti sanitari è, in generale, at-
tribuita oltre che dal Codice di deontologia medica (del 18.5.2014, art. 354) 33, dalle re-
centi “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamen-
to” (art. 3 L. 22.12.2017, n. 219) 34. Alla volontà del minore risulta, inoltre, conferito ri-
lievo in materia di trattamento dei dati personali 35.
L’autonomia decisionale del minore circa le scelte di carattere personale e l’esercizio dei
diritti fondamentali – che non si ritiene possa essere esclusa, insomma, in presenza di una
maturità adeguata, data la necessaria considerazione del minore stesso come persona (e
proprio in vista del suo sviluppo come tale, garantito dagli artt. 2 e 3 Cost.) 36 – trova, del

31
A 12 anni (o prima ove capace di discernimento) il minore è da ascoltare in ordine alla scelta del tutore
(art. 3483) e a 10 (o prima ove capace di discernimento) sul luogo dove essere allevato e sulla sua educazione
(art. 3711, n. 1).
32
La disciplina accennata, relativamente all’eventuale mancata consultazione dei genitori, è stata ritenuta
costituzionalmente legittima da Corte cost. 25-6-1981, n. 109 (e v. anche Corte cost. ord. 18-1-1989, n. 14,
nonché Corte cost. ord. 10-5-2012, n. 126).
33
Secondo tale previsione “Il medico tiene in adeguata considerazione le opinioni espresse dal minore in
tutti i processi decisionali che lo riguardano”. L’art. 37, poi, concerne il “consenso o dissenso del rappresen-
tante legale”. Vengono qui applicati i principi enunciati dall’art. 6 della Convenzione di Oviedo (4.4.1997),
sui diritti dell’uomo e la biomedicina (ratificata con L. 28.3.2001, n. 145), nella prospettiva della valorizzazio-
ne dell’autodeterminazione del minore in materia.
34
La disposizione si riferisce, comprensivamente, alla “persona minore di età o incapace”, in vista della
“valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e decisione”, con l’attribuzione ad essa del diritto a
“ricevere informazioni” adeguate ad “essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà”. Se, in linea
di principio, sono gli esercenti la responsabilità genitoriale (o il tutore) ad esprimere o rifiutare “il consenso
informato al trattamento sanitario del minore”, ciò dovrà comunque avvenire “tenendo conto della volontà
del minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità”.
35
L’art. 8 del Regolamento U.E. 2016/679 (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali,
GDPR: IV, 2.9) ha previsto che il relativo consenso possa essere prestato a partire dai 16 anni, lasciando, pe-
rò, spazio ad una diversa previsione da parte dei singoli Stati membri (purché nei limiti dei 13 anni). Così, nel
conseguente adeguamento normativo (col D.Lgs. 10.8.2018, n. 101, che ha novellato il D.Lgs. 196/2003,
“Codice in materia di protezione dei dati personali”), in Italia è stata fissata, in proposito, a 14 anni l’età a cui
il minore “può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di
servizi della società dell’informazione” (art. 2 quinquies1). Altri paesi hanno fatto scelte diverse: ad es., Ger-
mania e Spagna hanno optato, rispettivamente, per i 16 d i 13 anni. Si ricordi come a 14 anni sia stata fissata
anche l’età alla quale il minore interessato può agire personalmente contro gli atti di c.d. cyberbullismo (art. 21
L. 29.5.2017, n. 71), richiedendo “l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiaisi altro dato personale
del minore, diffuso nella rete internet”.
36
Viene spesso richiamata, quale esempio sintomatico dell’evoluzione giurisprudenziale in materia, già
prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, la pronuncia di Trib. min. Bologna 26-10-1973, in cui si
esclude che la potestà dei genitori possa “comprendere il diritto di contrastare, anche mediante restrizioni
284 PARTE IV – SOGGETTI

resto, ormai, ampio riconoscimento anche a livello sopranazionale. Basti ricordare come la
Convenzione di New York del 20.11.1989 sancisca il diritto del minore alla sua identità
(art. 8), alla libertà di espressione e di informazione (art. 13), di pensiero, coscienza e reli-
gione (art. 14), di associazione e riunione (art. 15), nonché al rispetto della propria privacy
(art. 16). Soprattutto, al minore capace di discernimento (cui si riferiscono ora gli artt. 315
bis3 e 336 bis1) è garantito un generale diritto di esprimere la sua opinione, da prendere ne-
cessariamente in adeguata considerazione, su ogni questione che lo riguarda, anche nelle
procedure giudiziarie o amministrative che lo concernono (art. 12, nonché artt. 3 ss. della
Convenzione di Strasburgo del 25.1.1996; v. anche l’art. 24 Carta dir. fond. U.E.).
Pure in relazione ai rapporti di rilevanza patrimoniale – specialmente per quelli che si
pongono in una zona di confine con quelli esistenziali – al minore è riconosciuta una cer-
ta sfera di autonomia (la cui ampiezza si ritiene diffusamente risultare ancora troppo ri-
stretta). Così, con le adeguate cautele a salvaguardia della sua salute e della sua istruzio-
ne, il minore può prestare attività lavorativa a partire dai 15 anni (art. 3 L. 17.10.1967, n.
977, con le successive modifiche) 37 e, dai 16 anni, in quanto autore, ha la capacità di
compiere gli atti relativi alle opere da lui create e di esercitare le relative azioni (art. 108
L. 22.4.1941, n. 633). Si ritiene, poi, che il minore possa compiere i c.d. atti della vita
quotidiana, validamente concludere, cioè, i contratti con cui procurarsi beni e servizi (ad
es., giornali, trasporti, generi alimentari, spettacoli, ecc.) necessari per soddisfare le sue
essenziali necessità di vita 38. Il minore, ovviamente, ove ne ricorrano concretamente le
condizioni, potrà anche porre in essere tutti gli atti (meri atti giuridici o atti giuridici in
senso stretto: II, 4.5), per i quali è reputata sufficiente la capacità di intendere e di volere
(ad es., impossessamento e atti di messa in mora: VI, 2.2, VI, 5.3, VII, 4.6; anche per
l’imputabilità del fatto dannoso vale lo stesso criterio: art. 2046), nonché gli atti dovuti
(adempimento: art. 1191).

personali, le scelte ideologico-culturali del figlio”, dovendo essa venire “esercitata nel rispetto delle libertà
fondamentali e dei diritti inviolabili dell’uomo costituzionalmente garantiti”, proprio “per fare l’uomo capace
di opzioni libere e coscienti”. Alla luce del necessario “rispetto”, da parte dei genitori, “delle sue capacità,
delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni” (ai sensi del nuovo art. 315 bis1), proprio la valorizza-
zione dell’autonomia del minore (anche in dipendenza del suo d i r i t t o a l l ’ a s c o l t o : artt. 315 bis3 e 336 bis1:
IV, 1.8) non può che rappresentare, quindi, il criterio-guida per una corretta applicazione dei meccanismi di
controllo giudiziale dell’esercizio della responsabilità genitoriale, in tutti i casi in cui sia in gioco l’esplicazione
dei suoi diritti fondamentali (artt. 330 ss.).
37
Resta controverso se il minore abbia o meno la capacità di stipulare il proprio contratto di lavoro. Il ca-
rattere strettamente personale dell’attività lavorativa da prestare induce a ritenere comunque rilevante, in
proposito, la sua volontà (eventualmente, quindi, ove pure non lo si ritenga al riguardo senz’altro capace, in
concorso con quella di chi lo assiste).
38
Ciò pure in assenza di una norma che esplicitamente lo consenta, come in Germania il § 110 BGB, che
considera validi, appunto, i contratti conclusi dal minore coi mezzi che gli siano stati conferiti a tale scopo o
messi a sua libera disposizione dal rappresentante legale (o da un terzo col consenso di questi: c.d. Taschen-
geld). Si tratta, in effetti, di atti di carattere patrimoniale strumentali all’esercizio delle libertà fondamentali
del minore, funzionali allo sviluppo della sua personalità (art. 2 Cost.) e come tali da ritenere senz’altro con-
sentitigli (anche senza la necessità, cioè, secondo una tradizionale opinione in materia, di giustificarne la vali-
dità, ai sensi dell’art. 13891, sulla base della presunta sussistenza di una procura tacita da parte di chi lo rap-
presenta legalmente). L’art. 4092, dettato in materia di amministrazione di sostegno, che ammette “in ogni caso”
il relativo beneficiario a “compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”, può
essere, in realtà, considerato espressione di un principio di carattere generale (nel caso del minore, rapportando-
ne le esigenze al suo sviluppo).
CAP. 1 – PERSONA FISICA 285

Resta, comunque, l’esigenza di tutelare il minore al di fuori dell’area riconosciuta alla


sua autonomia, assistendolo nel progressivo sviluppo della sua personalità e assicurando
adeguata protezione ai suoi interessi personali e patrimoniali. Il carattere necessario di
una simile tutela del minore risulta emergere, del resto, a livello costituzionale, dalla pre-
visione dell’art. 30 Cost., che, da un lato, pone in capo ai genitori il dovere ed il diritto di
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio, e, dall’altro,
rimette al legislatore la determinazione dei mezzi idonei a proteggere il minore nell’ipo-
tesi di incapacità dei genitori 39.

8. Responsabilità genitoriale. – Alla luce di una simile esigenza di protezione degli


interessi del minore, per la condizione di debolezza in cui versa il soggetto nella fase della
sua crescita ed in considerazione dell’essenziale ruolo che naturalmente compete ai geni-
tori nei suoi riguardi, il legislatore ha dettato un’articolata disciplina della responsabi-
lità genitoriale 40.
La responsabilità genitoriale, il cui esercizio è disciplinato dagli artt. 316 ss., si ricolle-
ga – al di là della ora operata scelta terminologica, evidentemente funzionale a evocare,
già sul piano lessicale, una piena valorizzazione della dignità del figlio nella relazione che
lo lega ai genitori, svuotandola di qualsiasi connotazione autoritaria – alla nozione di po-
testà, intesa quale situazione giuridica soggettiva complessa, attribuita dall’ordinamento
in vista della tutela di interessi altrui reputati meritevoli di peculiare tutela (II, 3.7): in
quanto tale, pure in considerazione della rilevanza generale dell’interesse protetto, può
essere correttamente qualificata in termini di potere-dovere dei genitori (come ufficio di
diritto privato). Essa è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori 41. Circa gli aspet-
ti di carattere più strettamente personale della responsabilità genitoriale, la relativa
trattazione sarà svolta nella parte relativa alla famiglia, nel cui quadro troverà specifico
approfondimento, appunto, il rapporto di filiazione (V, 4.9).
Dettagliata risulta la disciplina del profilo patrimoniale della responsabilità genito-
riale (art. 320). Questa si sostanzia nella rappresentanza del minore e nella amministra-
zione dei beni del medesimo: strumenti che consentono la cura dei beni del minore, il

39
L’esigenza di assicurare la tutela del minore, affidandone, in linea di principio, la responsabilità ai geni-
tori, è riconosciuta dalla ricordata Convenzione di New York (art. 18, nonché il suo Preambolo).
40
Con l’entrata in vigore della Riforma del diritto di famiglia (L. 19.5.1975, n. 151), ispirata al principio
di parità dei coniugi (anche, quindi, nei rapporti con i figli), la figura della potestà dei genitori aveva sostitui-
to quella della patria potestà. A seguito della riforma della filiazione, operata dalla L. 10.12.2012, n. 219, la
prospettiva ora privilegiata – compiutamente attuata col decreto legislativo adottato ai sensi del relativo art. 2
(in particolare, lett. h) – per delineare, sul piano terminologico-concettuale, il rapporto tra genitori e figli ri-
sulta quella della responsabilità genitoriale (artt. 316 ss.: V, 4.9).
41
In ordine alla durata della responsabilità genitoriale, nell’attuale art. 316 è caduto il riferimento, conte-
nuto nel corrispondente articolo previgente, “all’età maggiore o alla emancipazione”. Da ciò non si manca di
dedurre il relativo carattere più ampio rispetto alla precedente potestà genitoriale, in quanto destinata a
proiettarsi, anche oltre il raggiungimento della maggiore età, fino al raggiungimento dell’autonomia economi-
ca del figlio. Ovviamente, l’accennato collegamento con l’idea di potestà conserva in pieno il suo significato in
relazione alle peculiari esigenze di protezione del minore: in tale prospettiva si muove l’espressa precisazione
circa il limite temporale dell’esercizio della responsabilità genitoriale, oltre che nell’art. 318, concernente
l’abbandono della casa del genitore, sul piano patrimoniale, nell’art. 3201, a proposito della rappresentanza (e
amministrazione) dei genitori, nonché nell’art. 3241, con riguardo all’usufrutto legale.
286 PARTE IV – SOGGETTI

quale, altrimenti, verserebbe nella impossibilità di preservare l’integrità del proprio pa-
trimonio, in quanto istituzionalmente considerato privo della capacità di agire.
I genitori esercenti la responsabilità genitoriale (o quello di essi che la eserciti in via
esclusiva) hanno la rappresentanza legale del minore. Sul concetto di rappresentanza
legale e, più in generale, su quello di rappresentanza, ci si soffermerà in seguito (VIII,
8.1 ss.). Pare sufficiente, per ora, limitarsi a considerare che l’istituto della rappresen-
tanza legale assolve la fondamentale funzione di permettere al soggetto incapace (e,
quindi, in particolare, al minore) di operare – sia pure non personalmente – nel mondo
dei traffici giuridici. I genitori compiono in nome e per conto del minore, infatti, gli atti
idonei ad incidere sulla sua sfera giuridica patrimoniale, così permettendo di attuare la
modificazione delle sue situazioni giuridiche soggettive. Essi congiuntamente (salvo
che nel caso di esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale da parte di uno di es-
si) rappresentano i figli (nati e nascituri) in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni
(art. 3201) 42.
L’attività di amministrazione dei beni del minore comprende tutti gli atti necessari
non solo alla conservazione, ma anche alla valorizzazione del patrimonio del minore. In
base alla rilevanza dell’atto di amministrazione in relazione al patrimonio, si distinguono
gli atti di ordinaria amministrazione dagli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. In so-
stanza, l’atto deve reputarsi eccedente l’ordinaria amministrazione allorché comporti una
modifica nella struttura del patrimonio. Al contrario, l’atto sarà considerato di ordinaria
amministrazione ove non incida sulla sostanza del patrimonio, non comportandone una
modifica nella composizione. Atti di ordinaria amministrazione sono principalmente quelli
che concernono la gestione dei redditi e dei frutti dei beni rientranti nel patrimonio del-
l’incapace 43.
L’art. 3201 pone la regola secondo cui gli atti di ordinaria amministrazione
possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore. La minore rilevanza dell’at-
to in rapporto alla composizione del patrimonio dell’incapace rende inutile l’attività
congiunta da parte dei genitori, anche al fine di rendere più agile l’attività di gestione. A
garanzia di una maggiore ed equilibrata ponderazione dell’atto da compiere, viene previ-
sta, comunque, la necessità dell’agire congiunto dei genitori, pure qualora l’atto da com-
piere consista in un contratto con il quale si acquista o si concede un diritto personale di
godimento (ad es., un contratto di locazione).
In relazione, invece, agli atti particolarmente significativi con riguardo alla struttura
del patrimonio del minore (atti eccedenti l’ordinaria amministrazione), la valuta-
zione circa l’opportunità del compimento dell’atto non spetta più soltanto ai genitori, ma
viene rimessa altresì all’autorità giudiziaria (giudice tutelare, per le cui funzioni v. artt. 337
e 344), la quale dovrà valutare la necessità o utilità evidente del compimento dell’atto per il
figlio: solo ad esito di tale valutazione il giudice tutelare rilascerà l’autorizzazione al com-

42
In caso di disaccordo o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, l’art. 3202 rinvia all’applicazione
delle disposizioni dettate dall’art. 316 in tema di esercizio, in genere, della responsabilità genitoriale (V, 4.9).
43
La distinzione tra le due categorie di atti è ritenuta dalla giurisprudenza (v. già Cass. 21-2-1969, n. 592,
nonché, più di recente, Cass. 13-4-2010, n. 8720) non rispondere ad un preciso criterio tecnico-giuridico, ri-
posando, piuttosto, sul criterio economico della maggiore o minore importanza patrimoniale degli stessi, a se-
conda, cioè, che modifichino la struttura e la consistenza del patrimonio del minore o siano semplicemente
diretti alla sua conservazione o miglioramento o alla gestione delle relative rendite.
CAP. 1 – PERSONA FISICA 287

pimento dell’atto (art. 3203). In altre parole, l’atto eccedente l’ordinaria amministrazione
sarà compiuto dai genitori, in nome e per conto del figlio, previa autorizzazione da parte
del giudice tutelare. È da sottolineare come il legislatore indichi atti che ricadono nel regi-
me autorizzatorio (alienazioni, concessioni di garanzie reali, accettazione o rinunzie a ere-
dità o legati, accettazione di donazioni, ecc.), prevedendo, poi, l’applicabilità dello stesso
regime anche agli “altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione” (l’elencazione, quindi,
ha carattere non tassativo, ma meramente esemplificativo) 44.
I genitori, peraltro, non possono compiere taluni atti, pur di carattere patrimoniale
(per quelli personali: matrimonio, V, 2.4; riconoscimento del figlio, V, 4.4), in nome e per
conto del minore, dato il loro carattere strettamente personale (c.d. atti personalis-
simi): in particolare, testamento e donazione (art. 7771). Per il relativo compimento ri-
sulta necessaria la maggiore età (artt. 5912, n. 1 e 7741) 45. Vi sono, poi, altri atti che, sia
pure per motivi differenti dai precedenti, sono radicalmente vietati ai genitori: essi non
possono rendersi acquirenti (sia pure per interposta persona) dei beni o dei diritti del
minore (i relativi atti sono considerati annullabili: art. 323).
L’ultimo comma dell’art. 320 prevede l’ipotesi del conflitto di interessi patri-
moniali tra i figli soggetti alla stessa responsabilità genitoriale, o tra essi e i genitori. In
tale circostanza, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale, il quale rappresen-
terà il minore nel compimento dell’atto. Un curatore speciale può essere nominato anche
nel caso in cui i genitori non possono o non vogliono compiere atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione nell’interesse del figlio (art. 321).
Circa la sorte degli atti di amministrazione compiuti senza osservare le regole previste
dal legislatore (come, ad es., l’atto con cui i genitori abbiano venduto un bene del figlio
senza la necessaria autorizzazione del giudice tutelare), l’art. 322 ne sancisce l’annulla-
bilità (VIII, 9.8 ss.) 46. L’azione di annullamento dell’atto può essere esercitata dai geni-
tori esercenti la responsabilità genitoriale, dal figlio, nonché dai suoi eredi o aventi cau-
sa. L’azione di annullamento si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il minore ha
raggiunto la maggiore età (art. 14422). Nel caso di decesso del minore in data anteriore al
raggiungimento della maggiore età, il termine di prescrizione decorre dal giorno della
morte del minore stesso 47.

44
Così, ad es., Cass. 8720/2010, ha reputato tale pure una “transazione relativa al risarcimento … quando
abbia ad oggetto un danno che, per la sua natura e la sua entità, possa incidere profondamente sulla vita pre-
sente e futura del minore danneggiato”. Anche per la riscossione di capitali occorre l’autorizzazione del giudi-
ce tutelare, il quale deve prescriverne l’impiego (art. 3204). L’art. 3205, poi, disciplina l’esercizio di impresa
commerciale da parte del minore, stabilendo che detto esercizio non può essere continuato se non con l’auto-
rizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare. Dati i pericoli insiti nell’attività d’impresa, il legislatore
preclude al minore di intraprendere ex novo una simile attività.
45
Unica eccezione è la possibilità, per il minore ammesso a contrarre matrimonio, di fare validamente do-
nazione nell’ambito della propria convenzione matrimoniale, con le forme di assistenza previste dalla legge
(artt. 7741 e 165).
46
Un “annullamento parziale, cioè attinente alla sola parte del contratto che indica la persona dell’ac-
quirente”, è stato ammesso da Cass. ord. 29-5-2014, n. 12117, con riguardo al caso in cui il genitore abbia
acquistato per sé un immobile con il danaro del figlio, contravvenendo a quanto disposto dal giudice tutelare,
che aveva autorizzato l’acquisto a favore del figlio.
47
Si ricordi come impedisca l’annullabilità del contratto stipulato dal minore l’avere costui “con raggiri
occultato la sua minore età”, non essendo, comunque, a ciò sufficiente “la semplice dichiarazione da lui fatta
di essere maggiorenne” (art. 1426).
288 PARTE IV – SOGGETTI

I genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul minore hanno in comune l’usu-


frutto legale sui beni del medesimo (art. 324) 48. I frutti percepiti dai beni di quest’ultimo
devono essere destinati al mantenimento della famiglia ed all’istruzione ed educazione
dei figli (di tutti i figli, non solo del figlio proprietario dei beni sottoposti ad usufrutto
legale). L’usufrutto legale non può essere oggetto di atti di disposizione (alienazione, pe-
gno, ipoteca), né di esecuzione da parte dei creditori (art. 3261) 49.
Il carattere funzionale – esclusivamente in vista, cioè, della tutela e piena realizzazione
dell’interesse dei figli – del riconoscimento ai genitori della responsabilità genitoriale
viene chiaramente evidenziato dai meccanismi di controllo sul suo esercizio 50.
Proprio ad esito di un simile controllo, è addirittura consentita la pronuncia della
decadenza dalla responsabilità genitoriale, quando il tribunale per i minorenni
(competente per i provvedimenti in materia di responsabilità genitoriale) 51 accerti che il
genitore abbia violato o trascurato i doveri ad essa inerenti o abusato dei relativi poteri con
grave pregiudizio per il figlio (art. 3301). In tale caso può essere, per gravi motivi, ordinato
l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare o l’allontanamento del genitore (o con-
vivente) che maltratti o abusi del figlio (art. 3302). Cessate le ragioni della decadenza, il ge-
nitore può essere, ovviamente, reintegrato nella responsabilità genitoriale (art. 332) 52.
In caso di condotta pregiudizievole per il figlio di uno o di entrambi i genitori,
ma non ricorrendo quella gravità che costituisce il presupposto della decadenza, posso-
no essere adottati i provvedimenti ritenuti più opportuni, compreso l’allontanamento del
figlio o del genitore dalla residenza familiare. Quello a disposizione dei giudici è uno
strumento estremamente efficace e duttile, con cui, in particolare, può essere assicurato

48
L’art. 3243 elenca una serie di beni che non sono soggetti ad usufrutto legale, tra i quali, in primo luogo,
i beni acquistati dal figlio con i proventi della propria attività lavorativa. È da sottolineare come sia da solo
titolare dell’usufrutto legale il genitore che eserciti in modo esclusivo la responsabilità genitoriale (art. 327).
49
L’art. 3262 riconosce la possibilità, per i creditori dei genitori, di soddisfarsi esecutivamente solo limita-
tamente ai frutti dei beni del figlio e solo per debiti che il creditore non conosceva essere stati contratti per
scopi estranei ai bisogni della famiglia.
50
Per l’indirizzo nel senso della ricorribilità per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso i provve-
dimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, una volta divenuti definitivi (sia pure rebus sic
stantibus), v. Cass. 21-11-2016, n. 23633.
51
Si tenga presente come, l’art. 128 della L. 26.11.2021, n. 206, modificativo dell’art. 381 disp. att. c.c., nel
confermare una simile competenza, abbia disposto quella del tribunale ordinario, in particolare, “quando è
già pendente o è instaurato successivamente, tra le stesse parti, giudizio di separazione, scioglimento o cessa-
zione degli effetti civili del matrimonio”, nonché in altre ipotesi di giudizi coinvolgenti minori, prevedendo
anche misure di coordinamento delle rispettive competenze, in particolare, con riguardo all’adozione degli
“opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse del minore”.
52
Il carattere automatico della perdita della responsabilità genitoriale (ai sensi dell’art. 569 c.p.), con riguardo
alla ipotesi di condanna del genitore per il delitto di alterazione di stato, di cui all’art. 5672 c.p., è stato, da Corte
cost. 23-2-2012, n. 31, ritenuto porsi in contrasto con l’esigenza che “il giudice possa valutare, nel caso concreto,
la sussistenza della idoneità del genitore” – per il quale non può considerarsi sussistere, nell’ipotesi in questione,
“una presunzione assoluta di pregiudizio per gli interessi morali e materiali del minore” – “in funzione della tute-
la dell’interesse del minore”. Nella medesima prospettiva, Corte cost. 29-5-2020, n. 102, ha reputato illegittimo
l’art. 574 bis3 c.p., nella parte in cui prevede, in caso di condanna del genitore per il delitto di sottrazione e man-
tenimento di minore all’estero, la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la (mera)
“possibilità per il giudice di disporre” tale misura. In particolare, per la decadenza dalla responsabilità genitoria-
le (di uno o di ambedue i genitori) in caso di inadeguatezza educativa connessa a condotte di criminalità organiz-
zata, v. Trib. min. Reggio Calabria 6-10-2015, 8-3-2016, 17-5-2016, 31-10-2017.
CAP. 1 – PERSONA FISICA 289

un esercizio della responsabilità genitoriale realmente rispettoso della sfera di autonomia


che al minore è da garantire conformemente al grado di maturazione della sua capacità
di discernimento. I provvedimenti adottati sono sempre revocabili (art. 333) 53.
In relazione alla cattiva amministrazione dei beni del figlio, il tribunale può sta-
bilire condizioni o, addirittura, rimuovere da essa uno o entrambi i genitori (in tal caso
con la nomina di un curatore), privandoli anche in tutto o in parte dell’usufrutto legale
(art. 334) 54. È prevista la riammissione nell’esercizio dell’amministrazione e nel godimen-
to dell’usufrutto, una volta cessati i motivi della rimozione (art. 335).
Il procedimento di controllo sull’esercizio della responsabilità genitoriale può es-
sere attivato dall’altro genitore, dai parenti (con un allargamento dei vincoli familiari
presi in considerazione dall’ordinamento evidentemente finalizzato ad una migliore tute-
la dell’interesse del minore) e dal pubblico ministero. La rilevanza fondamentale (e con-
seguentemente generale) dell’esigenza di assicurare al minore condizioni idonee alla sua
crescita, evitandogli possibili pregiudizi, è attestata, oltre che da tale legittimazione del
pubblico ministero, dal potere del tribunale di adottare anche di ufficio i provvedimenti
temporanei eventualmente necessari (art. 336) 55.
È da sottolineare come la L. 28.3.2001, n. 149, in vista dell’avvertita esigenza di ga-
rantire ai soggetti coinvolti (genitori e minore) un adeguato esercizio del diritto di difesa
(come nel procedimento di adozione: V, 4.8), abbia previsto, per i procedimenti in ma-
teria di responsabilità genitoriale, la loro assistenza da parte di un difensore 56.

53
Le decisioni in merito alla somministrazione di vaccinazioni (anche in relazione ai relativi eventuali con-
flitti tra i genitori) si ritengono poter costituire campo di applicazione dei provvedimenti in questione
(App. Napoli, sez. min., 30-8-2017). In materia di vaccinazioni obbligatorie, regole stringenti detta ora la
L. 31-7-2017, n. 119.
54
La rimozione dall’amministrazione, data la gravità del provvedimento, “presuppone condotte pregiudi-
zievoli o serio e concreto rischio patrimoniale secondo una valutazione improntata a criteri di oggettività”
(Cass. 13-7-2018, n. 18777).
55
Si ricordi come la citata L. 26.11.2021, n. 206, nel contesto della disposta delega in tema di (ampia) riforma
del processo civile, all’art. 126, abbia programmato un intervento di modifica dell’art. 336, prevedendo, da una
parte, la legittimazione, in materia, anche del “curatore speciale del minore”, da nominare, se non “già nomina-
to”, “sin dall’avvio del procedimento … nei casi in cui ciò è previsto a pena di nullità del provvedimento di ac-
coglimento”; dall’altra, la fissazione, nel provvedimento di adozione dei provvedimenti temporanei nell’interesse
del minore, di un termine perentorio per la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, del curatore del
minore e del pubblico ministero, procedendo, ai fini (in tale udienza) della conferma, modifica o revoca dei
provvedimenti emanati, anche all’ascolto del minore “direttamente e ove ritenuto necessario con l’ausilio di un
esperto”.
56
Corte cost. 30-1-2002, n. 1, ha riconosciuto che, già alla luce dell’art. 12 della Convenzione sui diritti
del fanciullo di New York, in quanto resa esecutiva nell’ordinamento interno con la L. 27.5.1991, n. 176, nel-
le procedure in questione risulta consentito “di configurare il minore come ‘parte’ del procedimento, con la
necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale ai sensi
dell’art. 78 c.p.c.”. E ciò a maggior ragione in base alla L. 149/2001, “dalla quale chiaramente si evince l’at-
tribuzione al minore (nonché ai genitori) della qualità di parte, con tutte le conseguenti implicazioni”. Da tali
conclusioni, Cass., sez. un., 21-10-2009, n. 22238, ha tratto spunto per considerare senz’altro “necessaria l’au-
dizione del minore” pure nelle procedure concernenti il relativo affidamento (con conseguente invalidità del-
la decisione in caso di sua mancanza), non essendovi, però, la necessità anche della designazione di un curato-
re speciale e di un difensore (Cass. 31-3-2014, n. 7478). Analogamente, con riguardo al procedimento per il
mancato illecito rientro del minore nell’originaria residenza abituale, Cass. 19-5-2010, n. 12293 (pure alla luce
dell’art. 112 Regolamento 27.11.2003, n. 2201/2003/CE), “salvo ragioni di inopportunità, per età o grado di
maturità, e a fortiori di danno per quest’ultimo” (e per la rilevanza decisiva, “in ordine al proprio rientro”
290 PARTE IV – SOGGETTI

La vigilanza circa l’osservanza delle condizioni eventualmente stabilite dal tribunale


per l’esercizio della responsabilità genitoriale e per l’amministrazione dei beni del figlio è
affidata al giudice tutelare (art. 337).

9. Tutela. – Se entrambi i genitori sono morti o per qualunque altra causa (ad es., di-
chiarazione di assenza o pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale) non
possono esercitare la responsabilità genitoriale, si apre la tutela presso il tribunale del
circondario dove è la sede principale degli affari e interessi del minore (cioè il suo domi-
cilio) (art. 343).
L’istituto della tutela è da ritenersi espressione del precetto costituzionale secondo
cui, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti
(art. 302 Cost.). La tutela ha, dunque, la funzione di garantire, attraverso l’intervento di
un altro soggetto ed il controllo da parte di organi giudiziali sulla relativa attività 57, al
minore la cura dei propri interessi personali e patrimoniali.
Nella classificazioni delle situazioni giuridiche soggettive, la tutela è da inquadrare qua-
le ufficio di diritto privato: i poteri riconosciuti a chi è investito di una simile potestà (si par-

dall’estero, della volontà del minore, v. Cass. 5-3-2014, n. 5237, Cass. 26-9-2016, n. 18846 e Cass. 8-2-2017, n.
3319). Così, si è ritenuto che il giudice, “nelle ipotesi in cui ravvisi di escludere l’ascolto, vale a dire solo
quando esso sia manifestamente in contrasto con gli interessi superiori del fanciullo stesso, sia tenuto a forni-
re adeguata giustificazione” (Cass. 15-5-2013, n. 11687, in un procedimento di revisione delle condizioni del-
la separazione personale dei genitori; Cass. 3319/2017, in un procedimento in tema di sottrazione interna-
zionale di minore; in generale, Cass. 29-9-2015, n. 19327). Da sottolineare è la conclusione nel senso del costi-
tuire il minore “parte necessaria dei procedimenti de potestate che lo concernono” (con conseguente nullità,
ove non sia “rappresentato da un tutore o comunque da un curatore speciale”: Cass. 6-3-2018, n. 5256).
L’a s c o l t o d e l m i n o r e (“nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che
lo riguardano”) viene ora compiutamente regolato dall’art. 336 bis, risultando esso da escludere solo se “in
contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo” e sempre “con provvedimento motivato”
(art. 336 bis1): la finalizzazione alla valorizzazione della personalità del minore e alla sua autonomia nelle scel-
te esistenziali (secondo la prospettiva delineata da Cass. 26-3-2010, n.7282, alludendo alla necessità di “garan-
tire l’esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione”, richiamata e svi-
luppata da Cass. 5-3-2014, n. 5097) emerge con chiarezza dalla previsione secondo cui “prima di procedere
all’ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto” (art. 336
bis3). L’ascolto “è condotto dal giudice anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari” (art. 336 bis2) (la giuri-
sprudenza avendo già reputato possibile “che il giudice, soprattutto quando particolari circostanze lo richie-
dano, possa avvalersi di esperti, delegando ad essi l’audizione del minore”: Cass. 11687/2013, Cass. 24-5-2018, n.
12957, la quale, ricostruendo sistematicamente la materia dell’ascolto del minore, evidenzia anche come il
giudice debba “indicare perché l’ascolto effettuato nel corso delle indagini peritali o comunque da un esperto al
di fuori del processo, sia idoneo a sostituire quello diretto”, dato che, come sottolinea, ad es., Cass. 11-6-2021, n.
16569, “solo l’ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo
riguarda”). Comunque, l’art. 123, lett. dd, della ricordata L. 206/2021 ha demandato ai futuri decreti legislativi
applicativi, in termini generali, “il riordino delle disposizioni in materia di ascolto del minore, anche alla luce
della normativa sovranazionale di riferimento”. E l’art. 123, lett. t, dispone di prevedere che i provvedimenti rela-
tivi al minore debbano essere adottati sempre “previo ascolto non delegabile del minore … fatti salvi i casi di
impossibilità del minore” (rendendosi necessitata “in ogni caso la videoregistrazione dell’audizione del minore”:
art. 123, lett. s. Con l’art. 38 bis disp. att., si sono previste modalità di ascolto che escludono, per i soggetti ad esso
interessati, la necessità dell’autorizzazione del giudice (richiesta in generale dall’art. 336 bis2).
57
In passato, una simile funzione di controllo era esercitata, nel quadro della considerazione da parte del-
l’ordinamento della famiglia in una prospettiva allargata (V, 1.2), dal consiglio di famiglia, del quale facevano
parte, ai sensi dell’art. 251 cod. civ. 1865, quattro parenti (oltre al tutore, al protutore e al pretore, in funzione
di presidente).
CAP. 1 – PERSONA FISICA 291

la di potestà tutoria), infatti, devono essere esercitati nell’interesse del soggetto – nel caso
specifico, il minore – che l’ordinamento, in base a valutazioni di ordine generale e sociale,
intende proteggere (il relativo carattere funzionale viene sottolineato col parlare, pure al
riguardo, di potere-dovere) (II, 3.7). L’ufficio tutelare è, non a caso, gratuito: il giudice tute-
lare, peraltro, in considerazione dell’entità del patrimonio e delle difficoltà dell’ammi-
nistrazione, può assegnare al tutore un’equa indennità (art. 379). Rispetto alla responsabili-
tà genitoriale, che trova il suo fondamento nel vincolo di sangue che lega i genitori al figlio
e che, quindi, viene attribuita direttamente ai genitori dalla legge (come espressione del di-
ritto riconosciuto dall’art. 301 Cost. ai genitori di esercitare la propria funzione, essenziale
nella prospettiva dell’autonomia della famiglia), la tutela deriva da una pronuncia dell’au-
torità giudiziaria. È per questo che, nella tutela, in particolare in ordine all’attività di am-
ministrazione del patrimonio del minore, sono previsti vincoli e controlli di maggiore in-
tensità rispetto a quelli caratterizzanti l’esercizio della responsabilità genitoriale.
Nel quadro dell’esercizio della tutela, un ruolo di primo piano assume la figura del
giudice tutelare, il quale soprintende all’esercizio della medesima e può chiedere l’as-
sistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corri-
spondono alle sue funzioni (art. 344). L’attività del giudice tutelare (che è un giudice in-
vestito di tale funzione presso ogni tribunale) si atteggia quale attività di controllo e coor-
dinamento: in linea di massima, egli decide (o esprime parere) su tutte le questioni mag-
giormente rilevanti relative al minore ed al suo patrimonio.
Presso ogni giudice tutelare è istituito il registro delle tutele, nel quale sono iscritti i
principali provvedimenti concernenti la tutela e le sue vicende, con particolare riguardo
a tutti quelli che comportano modificazioni nello stato personale o patrimoniale del mi-
nore. Dell’apertura e della chiusura della tutela il cancelliere dà comunicazione entro die-
ci giorni all’ufficiale dello stato civile per l’annotazione in margine all’atto di nascita del
minore (art. 389).
Il giudice tutelare, appena ricevuta notizia del fatto da cui deriva l’apertura della tu-
tela, procede alla nomina del tutore e del protutore (art. 346) 58. Prima della nomina del
tutore, deve essere sentito anche il minore che abbia raggiunto l’età di dodici anni (o
prima ove capace di discernimento: art. 3483). Quanto ai criteri cui il giudice deve atte-
nersi nella scelta del tutore, essi sono elencati dall’art. 348 (in ogni caso, la scelta deve
cadere su persona idonea all’ufficio, di ineccepibile condotta, la quale dia affidamento di
educare e istruire il minore conformemente a quanto è prescritto nell’art. 147). In primo
luogo, il giudice tutelare nomina tutore la persona designata dal genitore che ha esercita-
to per ultimo la responsabilità genitoriale (tutela volontaria): la designazione può essere
fatta per testamento, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. Qualora man-
chi la designazione, ovvero se gravi motivi si oppongono alla nomina della persona desi-
gnata, la scelta del tutore avviene preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi
parenti o affini del minore (tutela legittima). Altrimenti, il tutore viene scelto tra altre
persone (tutela dativa) o deferita a un ente di assistenza (tutela assistenziale), nel quale ul-

58
Si ricordi come l’art. 123, lett. dd, della L. 206/2021 abbia demandato ai decreti legislativi applicativi la
previsione della “nomina di un tutore del minore, anche d’ufficio”, in particolare “in caso di adozione di
provvedimenti ai sensi degli articoli 330 e 333”. Nell’ipotesi di pluralità di fratelli e sorelle, viene nominato un
solo tutore, salvo che particolari circostanze consiglino la nomina di più tutori. Se vi è conflitto di interessi tra
i minori soggetti alla stessa tutela, il giudice tutelare nomina ai minori un curatore speciale (art. 347).
292 PARTE IV – SOGGETTI

timo caso l’amministrazione dell’ente delega uno dei propri membri a esercitare le fun-
zioni di tutela (art. 354) 59.
Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne
amministra i beni (art. 357) 60. Il tutore, quindi, assume sia una funzione di carattere per-
sonale che una funzione di carattere patrimoniale.
Sotto il profilo personale, il tutore, in sostanza, ha gli stessi doveri che, ai sensi del-
l’art. 315 bis1, competono ai genitori: mantenimento, educazione, istruzione e assistenza
morale del minore. In tale attività – e qui emerge la differenza rispetto alla responsabilità
genitoriale – il tutore deve necessariamente attenersi alle direttive del giudice tutelare, il
quale, su proposta del tutore (e sentito il protutore), delibera – sentito lo stesso minore
che abbia compiuto i dieci anni (o prima se capace di discernimento e, eventualmente,
ascoltati pure i parenti prossimi) – sul luogo dove il minore deve essere allevato e sul suo
avviamento agli studi o all’esercizio di un’arte, mestiere o professione, nonché sulla spesa
annua occorrente per il mantenimento e l’istruzione del minore (art. 3711, nn. 1 e 2) 61.
Sotto il profilo patrimoniale, lo stesso giudice tutelare indica la spesa annua occor-
rente per l’amministrazione del patrimonio del minore, fissando i modi d’impiego del
reddito eccedente (art. 3711, n. 2) ed autorizza il tutore ad investire i capitali del minore
secondo i criteri specificamente indicati nell’art. 372. Il tutore, come accennato, rappre-
senta il minore in tutti gli atti civili – è pure questa una forma di rappresentanza legale
(VIII, 8.1) – e amministra il patrimonio del medesimo.
Rilevanti sono le differenze rispetto alla disciplina che regola l’attività di amministra-
zione dei genitori. Innanzitutto, al tutore non spetta l’usufrutto legale sui beni del mino-
re, proprio in considerazione dell’assenza del carattere familiare del rapporto che, inve-
ce, costituisce attributo peculiare del rapporto genitore-figlio. Quanto agli atti di ammi-
nistrazione, il tutore compie da solo, in nome e per conto del minore, gli atti di ordi-
naria amministrazione. Per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, la
disciplina risulta più articolata di quella prevista per la responsabilità genitoriale dei ge-
nitori. In linea generale, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione sono compiuti dal
tutore previa autorizzazione del giudice tutelare (art. 374). Tuttavia, per gli atti che deb-
bono reputarsi di maggiore importanza e che, comunque, comportano una rilevante
modificazione (soprattutto qualitativa) della composizione del patrimonio del minore
(quali, in particolare, alienazioni di beni, concessione di garanzie reali, divisioni e transa-
zioni), l’atto non può essere compiuto se non previa autorizzazione del tribunale, su pare-
re del giudice tutelare (c.d. atti di disposizione: art. 375).

59
Gli artt. 350, 351, 352 e 353 disciplinano le ipotesi di incapacità all’ufficio tutelare e di dispensa dall’ufficio
tutelare. Proprio dalle norme che prevedono la dispensabilità dall’ufficio si tende a dedurre la sua doverosità.
60
A garanzia di una maggiore trasparenza nell’attività gestoria del tutore e, sostanzialmente, nell’interesse
del minore, il tutore, nei dieci giorni successivi a quello in cui ha avuto legalmente notizia della sua nomina,
deve procedere all’inventario dei beni del minore, nonostante qualsiasi dispensa (art. 362). Gli artt. 363 ss.,
poi, dettano specifiche disposizioni per la redazione dell’inventario. Il tutore, inoltre, deve rendere conto an-
nualmente della contabilità relativa alla sua amministrazione al giudice tutelare (art. 380). Il giudice tutelare,
infine, tenuto conto della particolare natura ed entità del patrimonio, può imporre al tutore di prestare una
cauzione, determinandone l’ammontare e le modalità (art. 381).
61
L’art. 3711, n. 3, prevede la competenza del giudice tutelare a deliberare circa la convenienza di conti-
nuare o meno attività di tipo commerciale (in caso affermativo, il tutore deve domandare l’autorizzazione del
tribunale: art. 3712).
CAP. 1 – PERSONA FISICA 293

Analogamente a quanto previsto in relazione all’attività di rappresentanza e ammini-


strazione dei genitori, l’atto compiuto senza osservare le regole accennate è considerato
annullabile, su istanza del tutore, del minore o dei suoi eredi o aventi causa (art. 377).
L’azione di annullamento – riconosciuta in conseguenza della incapacità, in quanto tale,
del soggetto e del mancato rispetto delle norme che ne disciplinano, appunto, la rappre-
sentanza – si prescrive, anche in tal caso, nel termine di cinque anni dal giorno in cui il
minore ha compiuto la maggiore età, ovvero dal giorno della sua morte.
Si è avuto modo di sottolineare, come il giudice tutelare, accanto alla nomina del tu-
tore, provveda contemporaneamente a quella del protutore. Il protutore rappresenta il
minore nei casi in cui l’interesse di questo è in contrasto con l’interesse del tutore 62. Il
protutore, poi, è tenuto a promuovere la nomina di un nuovo tutore nel caso in cui l’ori-
ginario tutore sia venuto a mancare o abbia abbandonato l’ufficio; frattanto, il protutore
stesso assume la cura della persona del minore, lo rappresenta e può compiere tutti gli
atti conservativi e gli atti urgenti di amministrazione (art. 3601,3) 63. Il protutore partecipa
pure all’esame del conto finale della tutela (art. 3861) 64.
In ordine alla responsabilità, il tutore deve amministrare il patrimonio del minore con
la diligenza del buon padre di famiglia: egli risponde verso il minore di ogni danno a lui
cagionato violando i propri doveri. Nella stessa responsabilità incorre il protutore per
ciò che riguarda i doveri del proprio ufficio (art. 382).
La tutela termina allorché il minore raggiunga la maggiore età o, eventualmente, qua-
lora consegua la emancipazione per effetto del matrimonio. Il giudice tutelare, tuttavia,
può sempre esonerare il tutore dall’ufficio, qualora l’esercizio di esso sia per il tutore so-
verchiamente gravoso e vi sia altra persona atta a sostituirlo (art. 383); può, altresì, rimuo-
vere dall’ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza o abbia abusato dei suoi
poteri, o si sia dimostrato inetto nell’adempimento di essi, o sia divenuto immeritevole
dell’ufficio per atti anche estranei alla tutela, ovvero sia divenuto insolvente (art. 384) 65.

10. Emancipazione. – Il minore che abbia compiuto i sedici anni, qualora sussistano
gravi motivi, può essere ammesso con decreto del tribunale per i minorenni al matrimo-
nio, previo accertamento della sua maturità psico-fisica e della fondatezza delle ragioni
addotte, sentito il pubblico ministero, i genitori o il tutore (art. 842) (V, 2.4). Il minore
acquista, così, lo stato di emancipato: la emancipazione, pertanto, avviene di diritto in
conseguenza del matrimonio (art. 390).
Per effetto della emancipazione 66, il minore acquista una capacità di agire limitata. Il

62
Qualora anche il protutore si trovi in opposizione d’interessi con il minore, il giudice tutelare nomina
un curatore speciale (art. 3602).
63
Sia per il tutore che per il protutore, analogamente a quanto previsto in relazione ai genitori esercenti la
responsabilità genitoriale, sussiste il divieto di acquistare beni e diritti del minore (art. 378).
64
Altri interventi del protutore sono previsti dagli artt. 3711 e 3802.
65
Il tutore che cessa dalle funzioni deve subito fare la consegna dei beni e deve presentare al giudice tute-
lare, nel termine di due mesi, il conto finale dell’amministrazione (art. 385). Quest’ultimo deve essere approva-
to secondo la procedura stabilita dall’art. 386 (nella quale intervengono il protutore, il minore divenuto mag-
giore o emancipato, ovvero il nuovo rappresentante legale). Soltanto dopo un anno dall’approvazione del con-
to finale viene meno il divieto di contrarre sussistente tra tutore e minore (art. 388).
66
La quale conserva, dunque, solo una rilevanza marginale, ben diversa dal passato, quando essa era am-
294 PARTE IV – SOGGETTI

minore viene reputato idoneo a curare i propri interessi di natura personale e l’ordi-
namento interviene esclusivamente nella cura dei suoi interessi patrimoniali. La funzione
di provvedere alla cura degli interessi patrimoniali del minore emancipato viene assolta
dal curatore . Curatore del minore sposato con persona maggiore di età è il coniuge. Se
entrambi i coniugi sono minori di età, il giudice tutelare può nominare un unico curato-
re, scelto preferibilmente tra i genitori (art. 392).
Si è posto in evidenza che il curatore ha solo funzioni di carattere patrimoniale: la sua
attività è limitata all’amministrazione del patrimonio del minore emancipato. Peraltro, a
differenza di quanto avviene nella tutela, in cui il tutore rappresenta il minore, cioè agisce
in nome e per conto del medesimo, il curatore si limita ad assistere il minore emanci-
pato, senza rappresentarlo. L’atto, insomma, viene compiuto in prima persona dal mino-
re emancipato, la cui volontà, quindi, è sempre essenziale. Tuttavia, il suo consenso non
risulta sufficiente, in quanto deve essere necessariamente integrato dal consenso del cu-
ratore: l’atto compiuto dal minore emancipato col consenso del curatore è un atto sog-
gettivamente complesso (II, 5.6), trattandosi, in particolare, di un atto complesso ineguale
(nel senso che le dichiarazioni di volontà, rispettivamente, del minore emancipato e del
curatore, si muovono su due differenti livelli, integrando la volontà del curatore quella
dell’emancipato).
In considerazione della sua limitata capacità di agire, il minore emancipato compie da
solo gli atti di ordinaria amministrazione. Il minore emancipato può, con l’assi-
stenza del curatore, riscuotere capitali sotto la condizione di un idoneo reimpiego e può
stare in giudizio, sia come attore che come convenuto. Gli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione sono compiuti dal minore emancipato, col consenso del curatore,
previa autorizzazione del giudice tutelare. Per gli atti maggiormente rilevanti (atti di di-
sposizione), indicati dall’art. 375 (e dianzi individuati), l’autorizzazione, se curatore non è
il genitore, deve essere data dal tribunale previo parere del giudice tutelare (se curatore è il
genitore, l’autorizzazione resta di competenza del giudice tutelare). Nell’ipotesi di conflitto
d’interessi tra minore e curatore, il giudice tutelare nomina un curatore speciale (art. 394).
Anche la violazione delle norme che regolano gli atti di amministrazione dei beni
dell’emancipato comporta l’annullabilità dell’atto medesimo, che può essere richiesta dal
minore o dai suoi eredi o aventi causa (art. 396). Pure qui, l’azione di annullamento si
prescrive nel termine di cinque anni dal giorno del compimento della maggiore età da
parte del minore emancipato o dal giorno della morte di quest’ultimo.
Una capacità di agire quasi piena acquista il minore emancipato autorizzato dal tribu-
nale – previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore – all’esercizio di impresa
commerciale: questi, infatti, può compiere da solo anche gli atti che eccedono l’ordi-
naria amministrazione, pur se estranei all’esercizio dell’impresa (art. 397).
Resta comunque preclusa al minore emancipato la possibilità di fare testamento (art.
5912, n. 1) e donazioni (art. 7742).
La situazione di emancipazione termina con il raggiungimento della maggiore età da
parte del minore emancipato.

messa, con apposito provvedimento giudiziale, a favore del diciottenne (che, ormai, dal 1975, viene senz’altro
considerato maggiorenne).
CAP. 1 – PERSONA FISICA 295

11. Cause modificative della capacità di agire e protezione dell’incapace. – Si è


avuto modo di considerare come alcuni soggetti, i minori, siano senz’altro considerati
privi della capacità di agire in dipendenza della loro età: in tale ipotesi, infatti, il legisla-
tore muove da una sorta di presunzione che il minore sia inidoneo a provvedere ai pro-
pri interessi, fino al momento in cui raggiunga la maggiore età 67.
L’esigenza di proteggere il soggetto incapace e di predisporre adeguati strumenti di
tutela a suo favore sussiste pure in relazione a persone che, ancorché maggiori di età, non
siano comunque dotate delle condizioni psicofisiche idonee a consentire una corret-
ta cura dei propri interessi e, quindi, una ponderata esplicazione della propria autono-
mia negoziale. L’opportunità di tutelare il patrimonio e, in caso di necessità, anche la
stessa persona dell’incapace, del resto, già veniva avvertita nell’ordinamento romano, che
assicurava strumenti di protezione, tanto in favore del malato di mente (cura furiosi),
quanto in favore del soggetto che amministrava rovinosamente il patrimonio ereditato,
con danno della sua familia (cura prodigi).
Il codice civile, anteriormente alle modifiche introdotte dalla L. 9.1.2004, n. 6, pre-
vedeva due forme di protezione di diversa intensità: l’una (interdizione giudiziale), in re-
lazione a soggetti considerati del tutto privi della capacità di provvedere ai propri inte-
ressi (quindi, sia di natura personale che di natura patrimoniale); l’altra (inabilitazione),
in relazione a soggetti considerati semplicemente non in grado di provvedere in maniera
adeguata ai propri interessi di natura patrimoniale.
Alla rigidità dell’alternativa originariamente contemplata dal codice, la L. 6/2004 ha
sostituito un sistema più elastico: da un lato, rendendo maggiormente flessibili, da parte
dell’autorità giudiziaria, i provvedimenti di interdizione e di inabilitazione (come si con-
staterà, gli stessi provvedimenti di interdizione e di inabilitazione possono ora comporta-
re restrizioni della capacità di agire del soggetto più o meno ampie) 68; dall’altro, intro-
ducendo l’istituto dell’amministrazione di sostegno.
La ratio dell’intervento normativo in parola è da ricercare proprio nella esigenza di
delineare, nel modo più appropriato rispetto alle reali esigenze di protezione del soggetto
incapace, il sistema delle limitazioni della capacità di agire di quest’ultimo 69. Ciò contro
una prospettiva – da tempo diffusamente criticata, ma sostanzialmente seguita ancora
nel sistema originario del nostro codice – forse attenta, più che alla protezione dell’inte-
resse del soggetto considerato incapace, alla salvaguardia degli interessi economici dei

67
In diversa prospettiva, è sempre più avvertita l’esigenza di considerare rilevante l’età sotto il profilo so-
ciale della protezione degli anziani, il cui “diritto di condurre una vita dignitosa e indipendente e di parteci-
pare alla vita sociale e culturale” risulta ora sancito dall’art. 25 Carta dir. fond. U.E.
68
Come evidenziato già da Cass. 12-6-2006, n. 13584, “anche le misure della interdizione e della inabilitazio-
ne risultano avere acquistato una maggiore flessibilità, venendo adattate alle concrete condizioni del soggetto
protetto, in funzione di un possibile recupero di ogni residuo margine di autonomia dello stesso”.
69
Esplicito, al riguardo, risulta l’art. 1 della L. 6/2004, secondo cui “la presente legge ha la finalità di tute-
lare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autono-
mia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o
permanente”. A tal fine, sul modello di quanto già avvenuto altrove (in particolare, in Austria e in Germania),
non manca di essere proposto il superamento del sistema attuale, caratterizzato dal mero affiancamento del
nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno a quelli tradizionali della interdizione e della inabilitazione,
con una radicale abrogazione della interdizione e della inabilitazione.
296 PARTE IV – SOGGETTI

suoi familiari (contro i temuti pericoli derivanti da una cattiva gestione del proprio pa-
trimonio da parte del soggetto stesso) 70.
Si è trattato, in effetti, di dare una coerente applicazione al principio – da considerarsi
fondamentale in un ordinamento che intenda realmente promuovere il pieno sviluppo del-
la personalità e l’uguaglianza pure in senso sostanziale di tutti i soggetti (artt. 2 e 3 Cost.) –
chiaramente espresso nell’art. 3 L. 5.2.1992, n. 104 (legge quadro sui soggetti portatori di
handicap) 71, secondo cui deve essere adottata ogni misura atta a valorizzare la capacità resi-
dua di chi si trovi in qualsiasi condizione di menomazione 72. La prospettiva seguita, allora,
è quella di evitare, il più possibile, l’allontanamento del soggetto dalla vita di relazione, ri-
tenendo a ciò funzionale il riconoscergli la possibilità di continuare ad operare autonoma-
mente nel campo dei rapporti personali e di quelli patrimoniali, almeno fino al punto in
cui non sussistano – in considerazione dell’esigenza di assicurarne la protezione – impre-
scindibili motivi di sostituirlo (o, preferibilmente, di assisterlo) nel relativo svolgimento.

12. Interdizione giudiziale. – Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si tro-


vino in condizioni di abituale infermità di mente che li renda incapaci di provvedere ai
propri interessi, sono interdetti, quando ciò sia “necessario per assicurare la loro adegua-
ta protezione”. Nella sua attuale formulazione, l’art. 414 conferma, quali presupposti per
la pronunzia di interdizione, lo stato di abituale infermità di mente e l’incapacità, a
quest’ultima intimamente connessa, di provvedere ai propri interessi 73. Diversamente
che in precedenza 74, però, viene resa esplicita la ratio del provvedimento in esame, che

70
L’idea che la disciplina in esame debba considerarsi finalizzata esclusivamente alla protezione del sog-
getto, nelle situazioni in cui si trovi a non poter esercitare in modo adeguato la sua autonomia decisionale (as-
sicurare la quale rappresenta, quindi, l’obiettivo dichiaratamente privilegiato dall’ordinamento), emerge chia-
ramente dalla stessa intitolazione che la L. 6/2004 ha dato al titolo XII del libro I (“Delle misure di protezio-
ne delle persone prive in tutto o in parte di autonomia”).
71
La L. 1.3.2006, n. 67, poi, ha previsto il divieto di praticare qualsiasi “discriminazione in pregiudizio
delle persone con disabilità”, con la previsione di incisive misure di tutela giurisdizionale e l’attribuzione di
un ruolo di rilievo, al riguardo, alle associazioni ed agli enti operanti nel settore.
72
Si ricordi come l’art. 26 Carta dir. fond. U.E. riconosca il diritto dei disabili a vedersi garantiti “l’auto-
nomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”. In materia, essen-
ziali si presentano anche i principi della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (New York,
13.12.2006, ratificata con L. 3.3.2009, n. 18). Ad essi è stata ritenuta conforme la nuova disciplina, in partico-
lare dell’amministrazione di sostegno, con specifico riguardo alla proporzionalità delle misure, nonché alla
loro temporaneità e rivedibilità (Cass. 25-10-2012, n. 18320). È in tale ottica che, da tempo, nella nostra legi-
slazione risultano privilegiate modalità di trattamento della salute mentale non comportanti l’ospedalizzazione
del soggetto (all’eliminazione degli ospedali psichiatrici ha provveduto, come è noto, la L. 13.5.1978, n. 180),
con la valorizzazione dei profili di tutela giurisdizionale dell’interessato in caso di situazioni tali da giustifica-
re, eccezionalmente, trattamenti sanitari obbligatori (artt. 34 e 35 L. 23.12.1978, n. 833, istitutiva del servizio
sanitario nazionale), in relazione ai quali l’art. 322 Cost. prevede una riserva di legge e vieta, comunque, ogni
violazione dei “limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Significative risultano anche le previsioni di
cui all’art. 31,3-4, L. 22.12.2017, n. 219, tendenti a privilegiare forme di partecipazione (informazione e ascolto)
dei soggetti legalmente incapaci ai processi decisionali concernenti la loro salute.
73
L’abitualità dell’infermità di mente viene intesa come “durata nel tempo tale da qualificarla come habi-
tus normale del soggetto (ancorché in presenza di lucidi intervalli)” (Cass. 20-11-1985, n. 5709).
74
Il testo vigente anteriormente alla L. 6/2004 dell’art. 414 prevedeva che, in presenza delle ricordate
condizioni, i soggetti dovessero essere senz’altro interdetti (mancando, quindi, qualsiasi riferimento alla neces-
saria ricorrenza di effettive esigenze di protezione). Significativa è la modificazione della rubrica dell’art. 414
CAP. 1 – PERSONA FISICA 297

risulta ora esclusivamente quella di garantire un’adeguata protezione all’incapace: proprio


(e solo) il carattere di reale necessarietà del provvedimento – alla luce delle concrete con-
dizioni di salute e delle effettive esigenze dell’interdicendo – per la protezione dell’in-
capace costituirà, quindi, oggetto della valutazione che compete all’autorità giudiziale.
Tra i soggetti legittimati a chiedere l’interdizione (art. 417), viene ora espressamente in-
dicato, innanzitutto, lo stesso incapace. Tale circostanza permette di cogliere in pieno l’o-
perata valorizzazione dell’idea che l’istituto dell’interdizione, pur comportando una forte
limitazione della capacità dell’interdetto, sia comunque finalizzato alla tutela dell’interesse
del medesimo: solo in una simile prospettiva, in effetti, si presta ad essere intesa la legitti-
mazione del soggetto a chiedere la propria interdizione. Tra i soggetti legittimati all’istanza
di interdizione, nel cui ambito risulta ora compresa anche la parte dell’unione civile (art.
115 L. 20.5.2016, n. 76), il legislatore contempla attualmente pure la “persona stabilmente
convivente”. Previsione, questa, che, omettendo ogni precisazione del relativo concetto,
suscita delicati problemi circa la concreta applicazione della disciplina così novellata 75. Re-
sta inalterata la legittimazione del coniuge, dei parenti entro il quarto grado, degli affini
entro il secondo grado, del tutore o curatore, nonché del pubblico ministero.
Per la pronunzia di interdizione, risulta sempre necessario l’esame del soggetto inter-
dicendo. All’uopo, il giudice 76 può farsi assistere da un consulente tecnico e può, anche
d’ufficio, disporre i mezzi istruttori utili ai fini del giudizio, interrogare i parenti prossimi
dell’interdicendo e assumere le necessarie informazioni (art. 419) 77. L’ampiezza dei po-
teri del giudice in materia denota la presenza di un interesse generale ad assicurare la
protezione del soggetto che si pretenda essere incapace, ma solo a seguito, per la gravità
delle conseguenze che ne derivano, di un rigoroso accertamento delle condizioni che im-
pongano l’adozione delle misure necessarie. In tale prospettiva, è da evidenziare come,
anche se venga chiesta la interdizione del soggetto, il giudice possa disporre, pure d’uf-
ficio, la inabilitazione per infermità di mente. Viceversa, se nel corso del giudizio d’ina-
bilitazione si riveli l’esistenza delle condizioni richieste per la interdizione, il pubblico
ministero fa istanza al tribunale di pronunziare la interdizione e il tribunale provvede
nello stesso giudizio, premessa l’istruttoria necessaria. È altresì ora possibile che, nono-
stante sia stata chiesta la interdizione o la inabilitazione, ove risulti opportuno, venga adot-
tata l’amministrazione di sostegno, a tal fine disponendo il giudice la trasmissione del pro-
cedimento al giudice tutelare, per la pronunzia del relativo provvedimento (art. 418).
Quanto agli effetti della interdizione, il momento decisivo è da individuarsi nella sen-
tenza: ai sensi dell’art. 421, infatti, la interdizione produce i suoi effetti dal giorno della

(da “persone che devono essere interdette” a “persone che possono essere interdette”). Circa il carattere or-
mai residuale dell’interdizione giudiziale, v., comunque, IV, 1.14.
75
Questione, questa, resa forse ancor più delicata dall’avvenuta “disciplina delle convivenze” nel contesto
della L. 76/2016, ponendosi il problema della limitazione o meno di una simile legittimazione ai soli soggetti
che si trovino, ricorrendo le condizioni ivi previste, nella situazione di “conviventi di fatto”, quale specifica-
mente delineata nel relativo art. 136-37.
76
Competente per pronunciare l’interdizione (come pure l’inabilitazione) è il tribunale del luogo dove la
persona nei cui confronti è proposta la istanza ha residenza o domicilio (art. 712 c.p.c.).
77
Dopo l’esame dell’interdicendo, qualora sia ritenuto opportuno, allo stesso interdicendo può essere
nominato un tutore provvisorio (art. 4193). Nella sentenza che rigetta l’istanza d’interdizione, può disporsi che
il tutore provvisorio permanga nel suo ufficio fino a che la sentenza non sia passata in giudicato (art. 422).
298 PARTE IV – SOGGETTI

pubblicazione della sentenza 78. Una prospettiva analoga vale per la cessazione degli effetti
della interdizione: la revoca dello stato di interdizione si produce non quando viene meno
la causa della interdizione, ma solo a far data dal passaggio in giudicato della sentenza che
revoca l’interdizione medesima (art. 4311). Per evidenti ragioni di pubblicità, la sentenza
d’interdizione deve essere annotata immediatamente, a cura del cancelliere del tribunale,
nel registro delle tutele e comunicata entro dieci giorni all’ufficiale dello stato civile per
l’annotazione in margine all’atto di nascita (art. 423). Alle stesse forme di pubblicità è sog-
getta anche la sentenza che pronunzia la revoca dello stato di interdizione (art. 430) 79.
Con la sentenza di interdizione si dà luogo alla tutela: all’interdetto vengono asse-
gnati un tutore e un protutore, ai quali, in base al rinvio operato dall’art. 424, si appli-
cheranno le stesse norme che regolano la tutela del minore (IV, 1.9). Per la scelta del tu-
tore dell’interdetto (come pure del curatore dell’inabilitato), viene fatto riferimento ai
criteri ora dettati per la designazione dell’amministratore di sostegno (IV, 1.14), con la
significativa precisazione che il giudice tutelare deve “individuare di preferenza la per-
sona più idonea all’incarico”. Circa la durata della tutela, nessuno è tenuto a continuare
l’incarico oltre dieci anni, ad eccezione del coniuge, della persona stabilmente conviven-
te, degli ascendenti o dei discendenti (art. 426).
Le conseguenze di maggiore rilevanza della interdizione giudiziale attengono alla dra-
stica limitazione (che comunque non si risolve più senz’altro – come, invece, in prece-
denza – nella totale perdita) della capacità di agire, sia sotto il profilo personale che sotto
quello patrimoniale. La interdizione giudiziale, infatti, consegue ad una valutazione di
(almeno tendenziale) globale inettitudine del soggetto a provvedere ai propri interessi,
sia quelli di natura personale che quelli di natura patrimoniale 80.
Sotto il profilo personale, in analogia a quanto previsto in tema di tutela dei minori,
al tutore compete la cura della persona dell’interdetto, comprensiva dell’obbligo di prov-
vedere al mantenimento, all’istruzione, all’educazione e all’assistenza morale dell’interdetto
medesimo. L’interdetto non può contrarre matrimonio (art. 85), né procedere al ricono-
scimento di figli nati fuori del matrimonio (un tale riconoscimento è impugnabile: art. 266) 81.

78
Eccezione a tale principio è prevista nell’ipotesi di interdizione del soggetto nell’ultimo anno della sua
minore età: in tal caso, l’interdizione ha effetto dal giorno in cui il minore raggiunge la maggiore età (art. 416).
Tale disposizione è dettata in vista dell’ovvia esigenza di assicurare uno strumento di protezione dell’in-
capace, senza soluzione di continuità, nel passaggio dalla minore alla maggiore età. È da sottolineare che gli
effetti della interdizione si producono a prescindere dal passaggio in giudicato della relativa sentenza (a diffe-
renza di quanto stabilito dall’art. 4311 per gli effetti della sua revoca).
79
Alquanto contraddittoriamente, con seri dubbi circa la legittimità costituzionale della relativa disciplina, il
legislatore non ha modificato il previgente elenco dei soggetti legittimati a richiedere la revoca dell’interdizione
(art. 4291, cui l’art. 115 L. 76/2016 ha espressamente aggiunto la parte dell’unione civile), pur avendo ammesso
anche lo stesso interessato (oltre che il convivente) a proporre l’istanza di interdizione (o di inabilitazione).
80
L’incapacità di provvedere ai propri interessi “va riguardata anche sotto il profilo degli interessi non pa-
trimoniali, sempre che si tratti di interessi che possano subire pregiudizio da atti giuridici, e per la cui difesa, per-
tanto, sia configurabile una supplenza del tutore” (Cass. 18-12-1989, n. 5652, che si riferisce, in particolare, alla
necessità di “ovviare ai pericoli derivanti dal rifiuto, per infermità psichica, di cure od interventi medici”). Ciò
con la conseguenza che, “in mancanza di un espresso divieto, in nome e per conto dell’interdetto per infermità
possa essere compito anche un atto personalissimo (sempre che sia accertato che l’atto corrisponda a un suo in-
teresse e volto effettivamente a dare attuazione alle sue esigenze di protezione)” (Cass. 6-6-2018, n. 14666).
81
In relazione all’esercizio, da parte del tutore, di diritti personalissimi dell’incapace, Cass. 16-10-2007, n.
21748, ha ritenuto che “il tutore – in contraddittorio col curatore speciale – di una persona interdetta, giacente
in persistente stato vegetativo”, possa essere autorizzato dal giudice “ad interrompere i trattamenti sanitari che la
CAP. 1 – PERSONA FISICA 299

È sotto il profilo patrimoniale e, precisamente, dell’amministrazione del patrimonio


dell’incapace, comunque, che si registra una importante modificazione rispetto alla disci-
plina anteriore alla L. 9.1.2004, n. 6. In precedenza, per effetto della interdizione giudizia-
le, l’interdetto veniva sempre del tutto privato della capacità di agire (incapacità generale).
Pertanto, gli atti di ordinaria amministrazione venivano compiuti dal tutore, quale rappre-
sentante legale dell’interdetto. Quanto agli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, il rela-
tivo regime risultava assimilato a quello già ricordato in tema di tutela del minore (art.
424), dovendo essi, in via generale, essere compiuti dal tutore, previa autorizzazione del
giudice tutelare, ad eccezione degli atti più importanti, i c.d. atti di disposizione, compiuti
dal tutore, previa autorizzazione del tribunale, su parere del giudice tutelare.
Oggi tale regime resta operante solo qualora lo specifico provvedimento che pronun-
cia la interdizione non preveda nulla al riguardo. Dispone, infatti, l’art. 4271 che, nella
sentenza che pronuncia la interdizione o in successivi provvedimenti, può stabilirsi che
taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza
l’intervento, ovvero con la mera assistenza, del tutore. Pur restando, quindi, immutato il
pregresso regime per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, più elastico si presen-
ta, così, quello degli atti di ordinaria amministrazione. In considerazione, cioè, della con-
creta condizione personale dell’incapace, a costui potrà essere riconosciuta una limitata
capacità di agire, seppure circoscritta, appunto, a taluni atti di ordinaria amministrazio-
ne 82: egli potrà essere autorizzato a compierli da solo o con l’assistenza del tutore. In tale
ultimo caso, l’atto sarà compiuto in prima persona dall’interdetto ed esclusivamente inte-
grato dal consenso del tutore (secondo lo schema dell’atto soggettivamente complesso).
All’interdetto è senz’altro preclusa la possibilità, oltre che di effettuare donazioni (art.
7741), di fare testamento (art. 5912, n. 2) 83.

tengono artificialmente in vita, ivi compresa l’idratazione e l’alimentazione artificiale a mezzo di sondino”: que-
sto, però, solo una volta accertate la irreversibilità di tale condizione e la conformità dell’istanza alla presumibile
volontà del paziente, dato che “il tutore deve decidere non al posto dell’incapace né per l’incapace, ma con l’in-
capace”, “ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente”. Sia in considerazione di ciò (mancando
una sicura ricostruibilità della volontà dell’interessato), sia per l’essere la validità del richiesto consenso informa-
to condizionata ad una adeguata “attività di informazione e di supporto psicologico” (ovviamente assente in casi
del genere), Trib. Vigevano 28-5-2009 ha respinto la domanda del tutore di essere autorizzato ad esprimere il
consenso all’applicazione – ai sensi della L. 40/2004 – delle tecniche di procreazione assistita ad un soggetto in
stato di definitiva incoscienza. Si ricordi che l’art. 45 L. 1.12.1970, n. 898, prevede la nomina di un curatore
speciale quando il convenuto (in una procedura di divorzio) sia “malato di mente o legalmente incapace” e
Cass. 21-7-2000, n. 9562, ha interpretato estensivamente la disposizione, ammettendo il legale rappresentante
dell’incapace a proporre la domanda di divorzio. Cass. 14666/2018, ha ritenuto senz’altro applicabile una simile
disciplina anche in materia di procedure di separazione personale Ai sensi dell’art. 33 della L. 219/2017, è il tuto-
re ad esprimere o rifiutare “il consenso informato della persona interdetta”, alla salvaguardia della personalità
dell’incapace risultando orientata, peraltro, la previsione del suo ascolto (almeno “ove possibile”) e, comunque,
del “pieno rispetto della sua dignità”. L’art. 35 disciplina, inoltre, con la rimessione della decisione al giudice tu-
telare, l’ipotesi di rifiuto, da parte del rappresentante legale (“in assenza delle disposizioni anticipate di tratta-
mento”), delle “cure proposte”, che “il medico ritenga invece … appropriate e necessarie”.
82
La nuova disciplina pare riferirsi, in primo luogo, agli “atti necessari a soddisfare le esigenze della pro-
pria vita quotidiana”, il cui compimento l’art. 4092 consente senz’altro al beneficiario dell’amministrazione di
sostegno. In relazione a tale tipo di atti, pare preferibile ritenere, peraltro, che la previsione contenuta nell’art.
4092 valga semplicemente a confermare espressamente un principio da ritenersi già operante, almeno tenden-
zialmente, per tutti i soggetti legalmente incapaci.
83
La interdizione e la inabilitazione vengono ad incidere anche sui rapporti in atto del soggetto (v., in par-
ticolare, artt. 193, 1626, 1722, 2286).
300 PARTE IV – SOGGETTI

Circa la sorte degli atti compiuti in violazione delle norme che regolano l’ammini-
strazione dei beni dell’interdetto, basti far rinvio a quanto osservato in relazione alla tu-
tela del minore 84, con la differenza che il termine quinquennale di prescrizione del-
l’azione di annullamento dell’atto decorrerà dalla cessazione dello stato di interdizione e,
quindi, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che revoca la interdizione
(oltre che, eventualmente, dal giorno della morte dell’interdetto).

13. Inabilitazione. – Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non sia
talmente grave da far luogo all’interdizione, può essere inabilitato. Possono, altresì, esse-
re inabilitati coloro che per prodigalità 85 o per abuso abituale di bevande alcoliche o di
stupefacenti, espongano sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Infine, possono
essere inabilitati il sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia 86, se non hanno
ricevuto un’educazione sufficiente, a meno che questi ultimi non risultino addirittura del
tutto incapaci di provvedere ai propri interessi, nel qual caso risulterà necessaria la loro
interdizione (art. 415).
L’inabilitazione è una forma di limitazione della capacità di agire meno grave della
interdizione giudiziale. È da sottolineare, soprattutto, come le conseguenze della inabili-
tazione rilevino esclusivamente sotto il profilo patrimoniale (così, in particolare, l’inabi-
litato può contrarre matrimonio e può riconoscere il figlio nato fuori del matrimonio) 87.
Le norme che disciplinano il procedimento d’inabilitazione sono le stesse, già esami-
nate, dettate per quello d’interdizione (IV, 1.12): l’inabilitazione può essere promossa, at-
tualmente, su istanza anche dello stesso soggetto interessato o della persona con lui sta-
bilmente convivente (oltre che dal coniuge, dalla parte dell’unione civile, dai parenti en-
tro il quarto grado, dagli affini entro il secondo, dal tutore e dal pubblico ministero); l’i-
nabilitando deve essere esaminato dal giudice 88; gli effetti della inabilitazione si produ-
cono dalla pubblicazione della relativa sentenza e la revoca ha efficacia a partire dal mo-
mento del passaggio in giudicato della sentenza di revoca; la sentenza d’inabilitazione e

84
L’art. 4272 si limita a prevedere genericamente che gli atti compiuti dall’interdetto dopo la sentenza di in-
terdizione possono essere annullati su istanza del tutore, dell’interdetto o dei suoi eredi o aventi causa.
85
La “prodigalità come causa autonoma di inabilitazione del non infermo di mente oggi può considerarsi
sussistere giuridicamente solo quando il fine che si persegue o il motivo – dal quale si è spinti nello spendere,
nel donare o nel rischiare oltre quanto viene comunemente fatto – possa considerarsi futile, come nel caso che
tali azioni vengano compiute per frivolezza, per vanità, per ostentazione del lusso o semplicemente a dispetto
dei vincoli di solidarietà familiare” (Cass. 19-11-1986, n. 6805; Cass. 13-1-2017, n. 786, in cui si evidenziano
anche gli “ampi poteri officiosi” del giudice). Comunque, palesando la tendenza ad un drastico ridimensio-
namento (se non sostanziale azzeramento), in via esegetica, dell’ambito proprio dell’inabilitazione, a favore di
un’espansione di operatività dell’amministrazione di sostegno (IV, 1.14), Cass. 7-3-2018, n. 5492, richiaman-
do pure precedenti pronunce nello stesso senso, ha concluso che possa senz’altro “adottarsi la misura di pro-
tezione dell’amministrazione di sostegno, nell’interesse del beneficiario, anche quando ricorra una condizione
di prodigalità” (nel caso di specie, per ludopatia).
86
Per la programmatica valorizzazione – nella ricordata ottica del maggiore inserimento sociale possibile
di chi pure si trovi in condizioni di menomazione psicofisica – della capacità di agire della “persona affetta da
cecità congenita o contratta successivamente”, v. la L. 3.2.1975, n. 18 (provvedimenti a favore dei ciechi).
87
In una simile prospettiva, l’art. 34 L. 219/2017, prevede che “il consenso informato della persona inabi-
litata è espresso dalla medesima persona inabilitata”.
88
Il giudice, dopo l’esame, qualora lo ritenga opportuno, può nominare un curatore provvisorio all’inabili-
tando (art. 4193).
CAP. 1 – PERSONA FISICA 301

l’eventuale sentenza di revoca sono annotate nel registro delle curatele ed annotate in
margine all’atto di nascita.
Con la sentenza di inabilitazione si dà luogo alla curatela. Viene nominato all’ina-
bilitato un curatore, che avrà – nello svolgimento della sua funzione di assistenza (e non
di rappresentanza, come invece il tutore per l’interdetto) – gli stessi poteri del curatore
del minore emancipato. Questi ultimi, pertanto, avranno un contenuto prettamente patri-
moniale e l’esercizio dei medesimi viene regolato, appunto, stante il rinvio operato dall’art.
424, dalle stesse norme dettate in materia di curatela dei minori emancipati (IV, 1.10).
Anche in relazione agli atti di amministrazione dei beni dell’inabilitato è da evidenzia-
re il rilievo delle modifiche apportate dalla L. 6/2004. Qualora nulla sia disposto nella
sentenza di inabilitazione, gli atti di amministrazione seguono le regole previste per la
emancipazione: l’inabilitato compie da solo gli atti di ordinaria amministrazione; può, con
l’assistenza del curatore, riscuotere capitali sotto la condizione di un idoneo reimpiego e
può stare in giudizio; gli altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione sono compiuti
dall’inabilitato, col consenso del curatore, previa autorizzazione del giudice tutelare; gli
atti di disposizione sono compiuti dall’inabilitato, col consenso del curatore e previa auto-
rizzazione (se curatore non è il genitore) del tribunale, su parere del giudice tutelare 89.
Tuttavia, l’art. 4271 prevede ora che nella sentenza che pronuncia la inabilitazione
può stabilirsi che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere com-
piuti dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore. Evidente è l’importanza della previ-
sione, dato il riferimento generico alla categoria degli atti eccedenti l’ordinaria ammini-
strazione: abbandonato il sistema fondato sulla rigidità della categorizzazione delle inca-
pacità legali di agire, il giudice ha, infatti, la possibilità di delineare una situazione che
avvicina l’inabilitato, ancorché sempre concretamente in relazione a taluni atti, ad un sog-
getto pienamente capace. Una simile scelta non potrà che dipendere da una attenta ana-
lisi della condizione personale dell’inabilitato.
Quanto alla sorte degli atti compiuti in violazione delle norma che regolano l’ammi-
nistrazione dei beni dell’inabilitato, basti far rinvio a quanto osservato in relazione alla
curatela del minore emancipato, con l’unica differenza che il termine quinquennale di
prescrizione dell’azione di annullamento dell’atto decorrerà dalla cessazione dello stato
di inabilitazione e, quindi, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che
revoca l’inabilitazione (oltre che, eventualmente, dal giorno della morte dell’inabilitato).
Mentre l’interdetto non può fare testamento, deve ritenersi che all’inabilitato, stante
l’assenza di apposita previsione, tale possibilità non sia preclusa (come, invece, quella di
fare donazioni: art. 7741).

14. Amministrazione di sostegno. – La principale innovazione apportata dalla L.


9.1.2004, n. 6, consiste nell’introduzione dell’istituto dell’amministrazione di soste-
gno (artt. 404 ss.) 90, che si pone, tra le forme di protezione del soggetto in condizioni di

89
Si ritiene che l’inabilitato necessiti sempre dell’assistenza del curatore per stare in giudizio (“senza di-
stinguere a seconda dell’attività” da svolgere: Cass., sez. un., 19-4-2010). L’inabilitato può continuare l’eser-
cizio dell’impresa commerciale soltanto se autorizzato dal tribunale su parere del giudice tutelare. L’autorizza-
zione può essere subordinata alla nomina di un institore (art. 425).
90
Sul modello della sauvegarde de justice, da tempo esistente in Francia (artt. 491 ss. code civil), e di ana-
loghi istituti introdotti anche in molti altri paesi (ad es., Betreuung, §§ 1896 ss. BGB, in Germania).
302 PARTE IV – SOGGETTI

menomazione 91, quale alternativa – da considerarsi privilegiata da parte del legislato-


re 92 – rispetto alle tradizionali figure della interdizione giudiziale e della inabilitazione 93.
Presupposto per l’assegnazione al soggetto di un amministratore di sostegno è la
impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, dovuta ad in-
fermità ovvero menomazione fisica o psichica (art. 404) 94. Il decreto di nomina dell’am-

91
L’introduzione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno rappresenta, in effetti, la più chiara espres-
sione delle finalità della L. 6/2004, quali enunciate nel (dianzi ricordato: IV, 1. 11) suo art. 1. La relativa fina-
lità di limitare “nella minore misura possibile” la capacità dell’interessato è energicamente sottolineata da
Corte cost. 9-12-2005, n. 440, che ha conseguentemente respinto i dubbi di legittimità costituzionale relativi
al nuovo istituto, manifestati per una sua presunta “mancanza di caratteri distintivi sufficienti” rispetto alla
interdizione e alla inabilitazione. Queste ultime, in effetti, sono considerate dalla Corte “ben più invasive mi-
sure”, da adottare solo “se non si ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace” adeguata
protezione, in modo “puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto”. In base a tale imposta-
zione, una “operazione di ‘perimetrazione’ dell’istituto dell’amministrazione di sostegno” rispetto all’interdi-
zione e all’inabilitazione ha inteso compiere Cass. 12-6-2006, n. 13584 (seguita dalla successiva giurispruden-
za: indicativamente, Cass. 26-7-2013, n. 18171 e Cass. 4-3-2020, n. 6079), secondo cui “l’ambito di applica-
zione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado
di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto
alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua fles-
sibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa” (dovendosi tenere conto essenzialmente
“del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la
durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratte-
rizzanti la fattispecie”). Così, Cass. 11-9-2015, n. 17962, ha ritenuto meglio attagliarsi, rispetto all’interdizio-
ne, l’istituto dell’amministrazione di sostegno per curare, con riguardo a soggetto “affetto da lieve ritardo
mentale” e con un “grosso patrimonio economico”, “gli interessi del soggetto in situazioni di maggiore com-
plessità”. Proprio in vista dell’obiettivo di evitare quelle eventualmente inutili limitazioni della capacità del-
l’interessato, connesse alla sua interdizione, Cass. 22-4-2009, n. 9628, ha sottolineato che “ben può il giudice
graduare il progetto di sostegno in modo tale da escludere che … l’incapace possa svolgere un’attività nego-
ziale pregiudizievole”. In una simile prospettiva si tende a distinguere la configurazione dell’amministrazione
di sostegno come “sostitutiva o mista” (quando “presenta caratteristiche affini alla tutela”) o come “puramen-
te di assistenza” (quando “si avvicina alla curatela”), a seconda del “tipo di attività che deve essere compiuta
per conto del beneficiario e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata
dell’impedimento” (Cass. 6079/2020).
92
Il “carattere del tutto residuale della misura della interdizione, ormai destinata a collocarsi quale extre-
ma ratio cui ricorrere in casi limite”, evidenzia decisamente Cass. 13584/2006, la cui impostazione risulta pie-
namente condivisa, ad es., da Cass. 9628/2009 e Cass. 22332/2011 (nonché dalla giurisprudenza di merito: ad
es., Trib. Perugia 17-10-2013).
93
Se il soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno è un interdetto o un inabilitato, il relativo decreto
è esecutivo dalla pubblicazione della sentenza di revoca della interdizione o della inabilitazione (art. 4053).
94
Cass. 2-8-2012, n. 13917, evidenzia che “l’amministrazione di sostegno non presuppone necessariamen-
te l’accertamento di una condizione di infermità di mente, ma contempla anche l’ipotesi che sia riscontrata
una menomazione fisica o psichica, della persona sottoposta ad esame, che determini, pur se in ipotesi
temporaneamente o parzialmente, una incapacità nella cura dei propri interessi” (analogamente, ad es.,
Cass. 31-12-2020, n. 29981). Comunque, si tende ad escludere il ricorso all’amministrazione di sostegno, trat-
tandosi pur sempre di una “privazione, sia pur parziale, della capacità di agire “, ove si tratti di soggetti “in
grado di esercitare con pienezza i loro diritti avvalendosi del proficuo aiuto da parte di terzi” (ad es., attraver-
so “il conferimento di una procura generale notarile … in riferimento agli incombenti più importanti e coin-
volgenti il compimento di attività di straordinaria amministrazione”: Trib. Vercelli 16-10-2015). Insomma,
in genere, l’esigenza dell’attivazione è da escludere “in presenza di rete sociale attenta e vigile di idoneo
supporto alla persona” (come ribadito da Trib. Modena 5-2-2016). Data la necessaria ricorrenza, ai fini del-
l’amministrazione di sostegno, “di alterazioni della capacità derivanti da patologia o comunque da menoma-
zioni incidenti sulla sfera psico-fisica”, essa “non può essere istituita sul mero presupposto dell’analfabetismo
dell’interessato” (Cass. 28-2-2018, n. 4709). Inoltre, è ostativa la circostanza che il soggetto “pienamente luci-
CAP. 1 – PERSONA FISICA 303

ministratore di sostegno 95 deve contenere una serie di indicazioni che valgono a delinea-
re i poteri e i limiti delle attribuzioni dell’amministratore di sostegno stesso (il quale ha la
funzione di assistere il soggetto interessato, significativamente indicato dalla legge quale
beneficiario della sua attività di assistenza) 96. Il decreto di apertura dell’amministrazione
di sostegno e quello eventuale di chiusura, così come ogni altro provvedimento assunto
nel relativo corso, devono essere annotati nell’apposito registro delle amministrazioni di
sostegno (tenuto presso l’ufficio del giudice tutelare), nonché in margine all’atto di nasci-
ta del beneficiario.
Nel corso del procedimento 97 il giudice tutelare (organo preposto alla procedura e
all’operatività dell’amministrazione di sostegno) deve sentire personalmente la persona
cui il procedimento si riferisce, recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova, e
“deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della
persona, dei bisogni e delle richieste di questa” (art. 4072) 98. Circa la legittimazione a pre-
sentare il ricorso per la istituzione dell’amministrazione di sostegno, che può comunque

do, vi si opponga”, sempre che risultino comunque tutelati i suoi interessi “sia in via di fatto dai familiari che
per il sistema di deleghe attivato autonomamente dall’interessato” (Cass. 27-9-2017, n. 22602).
95
Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, ove si tratti di minore non emancipato, può essere
emesso solo nell’ultimo anno della sua minore età e diventa esecutivo dal momento in cui la maggiore età
è raggiunta (art. 4052). Discussa è la possibilità di nomina di un co-amministatore di sostegno: Trib. Varese
7-12-2011, la esclude, ma ammette la possibilità di nominare ausiliari (sulla base del combinato disposto degli
artt. 4111 e 3792). Nel senso della possibile nomina di due amministratori di sostegno, “a condizione di defini-
re preventivamente le rispettive funzioni”, Trib. Modena 16-6-2014 (e v. anche, a condizione di “differenziare
i poteri conferiti a ciascuno”, Trib. Genova 17-12-2015). Affermata la generale reclamabilità dinanzi alla Cor-
te d’appello, quale che sia il loro contenuto, dei decreti emessi dal giudice tutelare in materia di amministra-
zione di sostegno (720 bis2 c.p.c.), Cass., sez. un., 30-7-2021, n. 21985, ha limitato la ricorribilità per cassazio-
ne contro il relativo decreto della Corte d’appello (720 bis3 c.p.c.) ai soli casi di provvedimenti con “carattere
di decisorietà” (come, in particolare, apertura e chiusura dell’amministrazione), escludendo quelli “di natura
meramente ordinatoria” (“gestori”, come la designazione, revoca e sostituzione dell’amministratore).
96
Tra le indicazioni previste nell’art. 4055, particolarmente rilevanti risultano quella concernente l’oggetto
dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del
beneficiario (n. 3) e quella relativa agli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’am-
ministratore di sostegno (n. 4). La funzione di assistenza anche alla persona emerge dal n. 6, in cui si allude al
periodico dovere dell’amministratore di sostegno di riferire al giudice tutelare “circa l’attività svolta e le con-
dizioni di vita personale e sociale del beneficiario”. Si sottolinea correntemente che “la misura di protezione
deve essere ‘modellata’ sulle specifiche esigenze e necessità del beneficiario” (così, ad es., Trib. Milano
3-11-2014).
97
Il controverso problema della necessità o meno dell’assistenza legale dell’interessato è stato risolto nel
senso dell’“adozione di soluzioni differenziate, a seconda delle varie fattispecie per le quali è richiesta l’ammi-
nistrazione di sostegno”: l’esigenza di difesa tecnica ricorre nel caso di “provvedimenti incidenti su diritti
fondamentali riconducibili all’esplicazione della personalità dell’individuo”, “attraverso la previsione di effet-
ti, limitazioni o decadenze analoghi a quelli previsti per l’interdetto o l’inabilitato” (Cass. 29-11-2006, n.
25366, Cass. 20-3-2013, n. 6861). Viene evidenziato che, nella procedura, “l’unica parte che può dirsi neces-
saria è il beneficiario dell’amministrazione di sostegno” (Cass. 18-6-2014, n. 13929). Per Cass., sez. un., 18-1-2017,
n. 1093, il pubblico ministero è litisconsorte necessario nel procedimento.
98
Con riguardo alla rilevanza da accordare all’eventuale dissenso dell’interessato, Corte cost. ord. 19-1-2007,
n. 4, ha ritenuto sufficienti le garanzie offerte da quanto previsto, in ordine alle attribuzioni del giudice tutela-
re, dall’art. 4072. Valorizzando la ratio dell’istituto, tendente a “privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione
dell’interessato” e della sua “dignità”, Cass. 27-9-2017, n. 22602, conferisce peso determinante, di fronte ad
una “limitazione di autonomia” che “si colleghi ad un impedimento soltanto di natura fisica”, alla “volontà
contraria all’attivazione della misura di sostegno, ove provenga da persona pienamente lucida” e “capace di
operare le scelte di vita” (pena, appunto, “la violazione dei diritti fondamentali della persona”).
304 PARTE IV – SOGGETTI

essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario anche se minore, interdetto o inabilita-
to (art. 4061, ove si richiama l’indicazione dei soggetti di cui all’art. 417) 99, si rinvia a
quanto rilevato in tema di interdizione giudiziale e inabilitazione, risultando ormai unifi-
cata la relativa disciplina (IV, 1.12-13).
La scelta dell’amministratore di sostegno (i cui criteri trovano ora applicazione, come
accennato, anche per la scelta del tutore dell’interdetto e del curatore dell’inabilitato)
deve avvenire con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del benefi-
ciario e, addirittura, può essere designato dallo stesso beneficiario, in previsione della
propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autentica-
ta. In mancanza di nomina da parte dello stesso beneficiario, il giudice tutelare sceglierà
l’amministratore di sostegno tra i soggetti più vicini al destinatario del provvedimento:
coniuge, parte dell’unione civile (ai sensi dell’art. 115 L. 76/2016), persona stabilmente
convivente 100, genitori, figlio, parenti entro il quarto grado (art. 4081, che allude anche al
soggetto designato dal genitore superstite) 101. L’amministratore di sostegno deve svolge-
re i suoi compiti tenendo conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e deve
tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere, nonché il giudice
tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso (art. 410) 102.
Quanto alla capacità del soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, questi
conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclu-
siva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno (art. 4091) 103. In questa pre-
visione è possibile cogliere la sostanziale differenza che intercorre tra l’amministrazione
di sostegno e le altre forme di limitazione della capacità di agire: mentre l’amministra-
zione di sostegno comporta una limitazione relativa solo a singoli atti o categorie di atti,
specificamente individuati dal giudice nel provvedimento di nomina dell’amministratore
(art. 4055, nn. 3 e 4), l’interdizione giudiziale e la inabilitazione determinano una com-
pressione più o meno ampia della capacità di agire, a seconda della gravità del vizio po-

99
Cass. 20-12-2912, n. 23707, in proposito, ha precisato che “non è legittimata a proporre il ricorso per la
nomina dell’amministratore di sostegno in proprio favore la persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica,
presupponendo l’attivazione della procedura la sussistenza della condizione attuale d’incapacità, in quanto l’in-
tervento giudiziale non può essere che contestuale al manifestarsi dell’esigenza di protezione del soggetto”.
100
L’art. 148 L. 76/2016, sovrapponendosi a quanto contemplato nell’art. 4081, prevede la possibilità di
nomina (come tutore, curatore o amministratore di sostegno) del “convivente di fatto”, anche al riguardo po-
nendosi, quindi, la questione se, ora, debbano sussistere, ai fini della ricorrenza di una simile situazione, le
condizioni prescritte nell’art. 136-37.
101
Si è precisato che, dovendo il giudice tutelare “avere esclusivo riguardo all’interesse del beneficiario”,
“l’elenco delle persone indicate nell’art. 408, tra le quali effettuare la scelta, non contiene alcun criterio prefe-
renziale” (Cass. 26-9-2011, n. 19596). In relazione alla possibile nomina, quale amministratore di sostegno, di
un comune (con la conseguente possibilità di “impartire ordini all’amministratore di sostegno per regolare i
suoi rapporti con il delegato/ausiliare” di cui l’ente si avvalga), v. Cass. 5-3-2018, n. 5123.
102
Con ciò intendendosi, evidentemente, garantire una partecipazione attiva del beneficiario – rispettosa,
quindi, nei limiti del possibile, della sua autodeterminazione – alla cura dei propri interessi.
103
L’art. 4092 prevede che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno “può in ogni caso compiere gli
atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”. Una simile previsione, benché dettata in
tema di amministrazione di sostegno, sembra da ritenersi applicabile pure nelle ipotesi del minore e dell’in-
terdetto (e anche a prescindere dall’ora consentita eventuale espressa autorizzazione, per l’interdetto, ai sensi
dell’art. 4271): in tale prospettiva, pare così risultare esplicitamente confermato un principio che, già da tem-
po, la dottrina non ha mancato di enucleare.
CAP. 1 – PERSONA FISICA 305

sto a base dell’incapacità, non per singoli atti o categorie di atti, bensì in via generale (ol-
tre che tendenzialmente stabile) 104. È da ipotizzare, ad es., che il giudice, in considera-
zione della concreta situazione personale e patrimoniale del beneficiario, nel nominare
l’amministratore di sostegno, limiti la sua attività di rappresentanza agli atti di alienazio-
ne di beni immobili, in quanto reputati particolarmente rilevanti e rischiosi per il sogget-
to, ovvero disponga che il beneficiario, sempre in considerazione delle sue particolari
condizioni, sia semplicemente assistito dall’amministratore di sostegno nel compimento
di quegli stessi atti. Pertanto, l’ampia discrezionalità rimessa dal legislatore all’autorità
giudiziaria nella determinazione dei poteri dell’amministratore di sostegno e, di riflesso,
nella delimitazione della capacità di agire del beneficiario, pare assumere il ruolo di con-
notato peculiare del nuovo istituto 105.
Il giudice tutelare, nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, o
anche in un momento successivo, può disporre che “determinati effetti, limitazioni o de-
cadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al
beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo
ed a quello tutelato dalle predette disposizioni” (art. 4114). Tale previsione rappresenta
un’ulteriore riprova del carattere di estrema duttilità che può assumere il provvedimento
di nomina dell’amministratore di sostegno, a seconda della maggiore o minore gravità
delle condizioni del beneficiario (e, più in generale, a seconda della situazione in cui egli
concretamente si trovi) 106.

104
Mentre interdizione ed inabilitazione “attribuiscono uno status di incapacità … detto status non è, invece,
riconoscibile in capo al beneficiario dell’amministrazione di sostegno” (Cass. 13584/2006 e 9628/2009). L’am-
ministrazione di sostegno, del resto, è concepita quale forma di tutela anche solo temporanea, come è chiarito
dalla possibile eventuale predeterminazione della relativa durata (art. 4055, n. 2).
105
Si ricordi pure come, alla luce della previsione di principio di cui all’art. 1 della L. 6/2004, la protezio-
ne del soggetto da sottoporre ad amministrazione di sostegno debba avvenire con la minore limitazione possi-
bile della capacità di agire.
106
Proprio in considerazione di ciò, Corte cost. 440/2005 ha evidenziato che “in nessun caso i poteri
dell’amministratore di sostegno possono coincidere ‘integralmente’ con quelli del tutore o del curatore” (e v.
anche supra, nota 91). Concepita essenzialmente con riferimento alla materia patrimoniale (come sembra dedu-
cibile dalla complessiva formulazione dell’art. 4055), l’amministrazione di sostegno potrà comportare limiti anche
alla capacità del beneficiario in campo non patrimoniale, data la ricordata possibilità che il relativo provvedimen-
to estenda a lui “limitazioni” previste per l’interdetto, come quelle relative al matrimonio ed al riconoscimento di
figli naturali (in mancanza di simili “limitazioni”, conservando, allora, il beneficiario, in particolare, “la capacità
di contrarre matrimonio, unicamente limitabile in presenza di situazioni eccezionali”: Trib. Modena 18-12-2013;
per la conservazione della capacità matrimoniale di persona con sindrome di Down, v. Trib. Varese 6-10-2009).
Le possibili limitazioni concernono, in particolare, gli atti personalissimi di carattere patrimoniale, quali il testa-
mento e la donazione, come evidenziato, ad es., da Cass. 21-5-2018, n. 12460, dato che “la previsione di tali in-
capacità può risultare strumento di protezione particolarmente efficace per sottrarre il beneficiario a potenziali
pressioni e condizionamenti da parte di terzi”. Così, Corte cost. 10-5-2019, n. 114, ha giudicato infondato il
dubbio di legittimità costituzionale concernente l’art. 7741 (XII, 1.3), reputando che esso non è da assumere nel
senso dell’esclusione della capacità di donare del beneficiario, dovendosi ritenere, piuttosto, che il giudice tutela-
re possa, ai sensi dell’art. 4114, “anche d’ufficio limitarla, con esplicita clausola, tramite l’estensione del divieto
previsto per l’interdetto e l’inabilitato dall’art. 7741, primo periodo”. Quanto agli atti di carattere non patrimo-
niale, Cass. 26-7-2018, n. 19866, ha, in via generale, concluso che “l’amministrazione di sostegno può essere di-
sposta anche nel caso in cui sussistano soltanto esigenze di cura della persona, senza la necessità di gestire un
patrimonio”. In una simile prospettiva, l’art. 34 L. 219/2017 prevede ora che, ove “sia stato nominato un ammi-
nistratore di sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sani-
tario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ul-
306 PARTE IV – SOGGETTI

Quanto alla sorte degli atti compiuti dal beneficiario o dall’amministratore di sostegno
in violazione di norme di legge o delle disposizioni del giudice nel provvedimento che isti-
tuisce l’amministrazione di sostegno 107, essi sono annullabili su istanza dell’amministratore
di sostegno, del pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi ed aventi causa. L’a-
zione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni a far data dal giorno in cui sia
cessato lo stato di sottoposizione ad amministrazione di sostegno (art. 412).
La cessazione dell’amministrazione di sostegno può derivare, oltre che dalla morte del be-
neficiario, esclusivamente da un provvedimento di revoca (che lo stesso interessato è ammes-
so a richiedere) o da un provvedimento con cui sia disposta l’interdizione giudiziale o l’ina-

timo” (comunque “tenendo conto della volontà del beneficiario”) (a tale disposizione si richiama, ad es., Trib.
Modena 23-3-2018). Peraltro, Trib. Pavia 24-3-2018 ha dubitato della legittimità costituzionale di tale disposi-
zione, nella parte in cui non prevede l’esigenza, con riguardo alla “possibilità di rifiutare trattamenti sanitari ne-
cessari al mantenimento in vita”, di un’autorizzazione del giudice tutelare. Corte cost. 13-6-2019, n. 144, ha giu-
dicato infondata la questione, rilevando che “le norme censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore
di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consen-
so informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale”, spettando comunque al giudice tutelare “attribuirglielo in
occasione della nomina … o successivamente, allorché il decorso della patologia del beneficiario specificamente
lo richieda”. E Trib. Roma 22-1-2021 evidenzia, in proposito, la necessità che l’eventuale rifiuto dei trattamenti
di sostegno vitale da parte dell’amministratore di sostegno a ciò autorizzato sia realmente espressivo della volontà
dell’assistito “da ricostruirsi sulla base delle sue precedenti dichiarazioni, ovvero della sua personalità, del suo
stile di vita e dei suoi convincimenti etici e religiosi”. Il ricorso all’istituto dell’amministrazione di sostegno, in
effetti, è stato ben presto diffusamente reputato idoneo ad assicurare il rispetto della volontà dell’interessato in
ordine ai trattamenti sanitari praticabili nei suoi confronti (ed al loro eventuale rifiuto), in caso di prevista susse-
guente incapacità ad esprimere la propria volontà (valorizzando – in sostanza, con gli effetti di un testamento
biologico, o, secondo la terminologia oggi più accreditata, di direttive, o disposizioni, anticipate di trattamento: IV,
2.5 – quanto disposto dall’art. 408, circa la possibile designazione dell’amministratore di sostegno da parte dello
stesso interessato: ad es., Trib. Modena 13-5-2008 e 14-5-2009; App. Cagliari 21-1-2009; Trib. Prato 4-5-2009).
Al fine indicato, peraltro, vi è stato contrasto circa la possibilità, oltre che di effettuare la mera designazione da
parte dell’interessato (in vista, cioè, di una eventuale futura nomina, nel caso in cui si realizzino le condizioni di
cui all’art. 404), anche di procedere già “alla nomina di un amministratore di sostegno per una persona attual-
mente capace e non affetta da alcuna patologia”: così, in senso favorevole, Trib. Firenze 22-12-2010; contrari, ad
es., Trib. Verona 4-1-2011 e Trib. Pistoia 8-6-2009, che sottolinea, per la nomina, la necessaria “attualità del re-
quisito dell’impossibilità del beneficiario di provvedere ai propri interessi”. La prospettiva negativa, al riguardo,
risulta accolta da Cass. 23707/2012, la quale – pur (cautamente) premettendo “l’irrilevanza ai fini della presente
decisione della problematica attinente alla natura ed agli effetti delle direttive anticipate di trattamento” – ritiene,
comunque, che il soggetto, nel designare (ai sensi dell’art. 408, come “esplicazione del principio dell’autodeter-
minazione della persona”) il proprio amministratore di sostegno, possa esprimere “intenzioni”, restando, così, il
designato “vincolato alle indicazioni manifestate nella condizione di capacità dal soggetto” (peraltro, “sempre
revocabili”), con “il potere ed il dovere di esternarle” in ordine “agli atti di cura che impongono trattamenti sani-
tari” (onde “orientare l’intervento del sanitario” e “imporne la delibazione da parte del giudice nell’esercizio dei
suoi poteri … in sede d’autorizzazione agli interventi che incidono sulla salvaguardia della salute del beneficiato
in caso di sua incapacità”). Effettivamente, la materia in questione, in Germania, è stata disciplinata nel 2009
proprio nel contesto dell’amministrazione di sostegno (col riconoscimento all’amministratore di sostegno di una
posizione di garanzia, nei rapporti con i sanitari, della volontà – espressa o presunta – precedentemente manife-
stata dall’interessato). La problematica sembra, comunque, destinata a risultare tendenzialmente superata dalla
disciplina, con la L. 219/2017, delle “disposizioni anticipate di trattamento”, data la prevista possibilità di indi-
care, nel relativo contesto, una “persona di fiducia”, cui resta affidato, in sostanza, il compito di interagire con i
sanitari nell’applicazione delle disposizioni stesse (art. 41-5; e v. anche l’art. 52-4, in relazione all’“eventuale indica-
zione di un fiduciario”, con riguardo alla “pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico”).
107
È da tenere presente che l’art. 4111 dichiara applicabili all’amministrazione di sostegno, sia pure “in quan-
to compatibili”, una serie di disposizioni concernenti la tutela (e v. anche l’art. 4112). Discussa, con riguardo a
quanto discende dai richiamati artt. 374 e 375, è la necessità dell’autorizzazione del giudice tutelare nel caso in
cui il decreto di nomina dell’amministrazione di sostegno si riferisca a singoli atti.
CAP. 1 – PERSONA FISICA 307

bilitazione del soggetto (la cui procedura può essere attivata anche d’ufficio) (art. 413) 108. Si
ricordi, tuttavia, anche la possibilità che l’amministratore di sostegno sia nominato a tempo
determinato (art. 4055, n. 2) 109.

15. Interdizione legale. – Radicalmente diversa dall’interdizione giudiziale, nel fon-


damento e nelle conseguenze, è la interdizione legale, cui sono sottoposti, ai sensi del-
l’art. 32 c.p., i soggetti condannati all’ergastolo o alla reclusione per un periodo di tempo
non inferiore a cinque anni (per delitto non colposo: art. 33 c.p.). L’interdizione, in tal
caso, viene definita legale in quanto costituisce un effetto che discende automaticamente
dalla sentenza di condanna, senza risultare dalla sentenza.
L’interdizione legale differisce da quella giudiziale, innanzitutto, quanto al fondamen-
to. Essa non è una forma di protezione predisposta in favore di un soggetto incapace di
provvedere ai propri interessi, bensì una pena accessoria rispetto alla condanna principa-
le. Si spiega, pertanto, la consistente differenza tra interdizione legale ed interdizione
giudiziale sotto il profilo delle conseguenze. L’interdetto legale subisce, sotto il profilo
della capacità di agire, limitazioni analoghe a quelle dell’interdetto giudiziale, con la si-
gnificativa particolarità, tuttavia, che dette limitazioni attengono solamente alla sfera pa-
trimoniale e non a quella personale del condannato. In altre parole, mentre costui potrà
disporre dei suoi beni e dei suoi diritti solo con le forme abilitative richieste dalla legge
per l’amministrazione dei beni dell’interdetto giudiziale, risulta ammesso a compiere li-
beramente gli atti di natura personale (matrimonio, riconoscimento di figlio naturale,
nonché testamento) 110.
La peculiarità dell’interdizione legale può essere colta soprattutto sotto il profilo del-
la sanzione che colpisce gli atti compiuti dall’interdetto legale al di fuori delle forme abi-
litative prescritte: detti atti sono annullabili, ma l’annullamento può essere chiesto da
chiunque vi abbia interesse (art. 14412). Si parla, al riguardo, di annullabilità assoluta,
come ipotesi che, eccezionalmente, si contrappone appunto a quella relativa (costituente
la regola), la quale può, in quanto tale, essere fatta valere solo dalla parte nel cui interes-
se è stabilita dalla legge (VIII, 9.8).
La ragione di una simile deviazione dal principio generale in materia è da cogliersi
proprio nel carattere sanzionatorio e non protettivo dell’interdizione legale. Il carattere
assoluto dell’annullabilità costituisce, infatti, un connotato che rende del tutto precario
per l’incapace lo stato in cui versano gli atti da lui conclusi senza l’osservanza delle pre-
scrizioni circa la sua rappresentanza. Potendo questi ultimi essere impugnati da chiun-

108
Corte cost. 440/2005 ha giudicato infondati anche i dubbi di illegittimità costituzionale legati alla pos-
sibile insorgenza di conflitti tra giudice tutelare, competente per l’amministrazione di sostegno, e tribunale,
competente per l’interdizione e l’inabilitazione: i “meccanismi processuali di composizione di siffatti eventua-
li conflitti” sono individuati nella possibilità di impugnazione dei relativi provvedimenti, nonché negli “speci-
fici strumenti di raccordo tra il procedimento di amministrazione di sostegno e quelli di interdizione o inabili-
tazione”, in forza dei quali “l’incapace … non rimane comunque privo di tutela” (il riferimento è agli artt.
4134, 4183 e 4293).
109
Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, le annotazioni effettuate in margine all’atto di nascita
e nel registro delle amministrazioni di sostegno devono essere cancellate alla scadenza del termine indicato
nel decreto di apertura o in quello eventuale di proroga (art. 4059).
110
Con la L. 24.11.1981, n. 689, è stata abrogata la previsione del codice penale che considerava il con-
dannato all’ergastolo incapace di testare (e nullo il testamento eventualmente già in precedenza fatto).
308 PARTE IV – SOGGETTI

que vi abbia interesse (e, di conseguenza, dalla stessa controparte contrattuale), all’inca-
pace è, in sostanza, inibito di operare convenientemente negli affari di persona (risol-
vendosi, insomma, la pena accessoria in una sorta di rimozione del condannato dalla vita
economica attiva, eco dell’antica morte civile).

16. Incapacità naturale. – Mentre l’amministrazione di sostegno, l’interdizione giu-


diziale e l’inabilitazione conferiscono al soggetto, ad esito di un attento vaglio dell’auto-
rità giudiziaria e in conseguenza di un provvedimento che ne accerta i presupposti, una
condizione legale, dalla quale derivano limitazioni più o meno ampie della sua capacità di
agire, l’incapacità naturale (o non dichiarata) consiste nella incapacità di fatto del sog-
getto di intendere o di volere. È incapace naturale, appunto, colui il quale, pur legal-
mente capace, nel momento del compimento di una attività giuridicamente rilevante, in
concreto, non è in grado di valutare la portata del suo contegno, consapevolmente de-
terminandosi al riguardo.
L’incapacità d’intendere o di volere, che può anche discendere da una causa
transitoria 111, assume rilievo ai fini della validità dell’atto compiuto, qualora ricorrano
determinate circostanze previste dal legislatore. In particolare, ai sensi dell’art. 4281, gli
atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata, per qualsiasi
causa, anche transitoria, incapace d’intendere o di volere al momento del compimento
dell’atto medesimo, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei
suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio per l’autore 112. Quanto ai con-
tratti conclusi dall’incapace d’intendere o di volere, gli stessi possono essere annullati solo
quando, per il pregiudizio che ne sia derivato o possa derivare all’incapace stesso o per la
qualità del contratto o altrimenti, risulti la malafede dell’altro contraente (art. 4282).
Le disposizioni contenute nei primi due commi dell’art. 428 e dianzi considerate
hanno dato luogo a delicati problemi di natura esegetica. La norma tende ad essere (so-
prattutto in giurisprudenza) interpretata restrittivamente: nel senso che, mentre ai fini
dell’annullamento degli atti (intesi, quindi, nell’accezione di negozi unilaterali) è richie-
sta la prova del grave pregiudizio per l’autore, per l’annullamento dei contratti risulta
sufficiente la prova della malafede dell’altro contraente, senza doversi dare una autono-
ma dimostrazione del grave pregiudizio per l’incapace 113. Una diversa lettura (estensiva)

111
Non occorre, in proposito, la sussistenza di “una malattia che escluda in modo totale ed assoluto le fa-
coltà psichiche del soggetto”, bastando un “perturbamento psichico, anche se transitorio e non dipendente
da una precisa forma patologica, tale da menomare gravemente le facoltà intellettive del soggetto medesimo,
in modo da impedirgli o da ostacolargli una seria valutazione dei propri atti e la formazione di una cosciente
volontà” (Cass. 6-4-1987, n. 3321, Cass. 8-6-2011, n. 12532, Cass. 30-5-2017, n. 13659). Si è pure sottolineato
che “una volta accertata la totale incapacità di un soggetto in due determinati periodi prossimi nel tempo, per
il periodo intermedio la sussistenza dell’incapacità è assistita da una presunzione iuris tantum” (Cass. 9-8-2011,
n. 17130, nonché, ad es., Cass. 3-1-2014, n. 59 e Cass. 4-3-2016, n. 4316). Alla rilevanza eventualmente deci-
siva di “indizi e presunzioni”, allude Cass. 13659/2017.
112
Cass. 4-3-1986, n. 1375, ha precisato, in relazione al concetto di grave pregiudizio, cui l’art. 4281 fa rife-
rimento, che non deve trattarsi necessariamente di un pregiudizio di natura economica o patrimoniale, ben
potendo esso consistere nella lesione di altri interessi del soggetto, in particolare personali.
113
Tale lettura della norma è correntemente riaffermata dalla Cassazione (ad es.: 17-6-2021, n. 17381;
8-2-2012, n. 1770; 9-8-2007, n. 17583; 12-7-1991, n. 7784), secondo cui, appunto, il grave pregiudizio per
l’autore non rileva, “a differenza che per i negozi unilaterali”, quale “elemento costitutivo e concorrente” per
CAP. 1 – PERSONA FISICA 309

dell’art. 4281 – tale, cioè, da intendere il termine atti nel senso di atti negoziali in genere
e non specificamente di negozi unilaterali – comporterebbe, invece, ai fini dell’annulla-
mento del contratto, la necessità di dimostrare il grave pregiudizio per l’incapace, oltre
che la malafede dell’altro contraente.
Un esempio può contribuire a chiarire meglio la differenza tra le conseguenze della
incapacità naturale e quelle dell’interdizione (quale forma di incapacità legale). Se l’in-
terdetto compie personalmente un atto al di fuori delle modalità abilitative richieste,
l’atto è sempre annullabile (anche qualora, insomma, l’interdetto risulti, in concreto, ca-
pace d’intendere e di volere al momento del compimento del medesimo, nonché a pre-
scindere dal pregiudizio arrecatogli e dalla consapevolezza della controparte). Qualora
lo stesso atto sia compiuto da una persona legalmente capace di agire, ma incapace di
intendere o di volere al momento del compimento dell’atto, esso sarà annullabile solo a
condizione che sia provato – con le precisazioni accennate – il pregiudizio per l’autore e,
nell’ipotesi del contratto, la malafede della controparte.
L’azione di annullamento del negozio compiuto dall’incapace di intendere o di volere
si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno del compimento dell’atto e non dal
giorno in cui sia cessata la causa dell’incapacità naturale (art. 4283) 114.
Quanto accennato in relazione all’art. 428, che può considerarsi quale disciplina gene-
rale degli atti negoziali compiuti da persona incapace d’intendere o di volere, non vale
per il matrimonio, per il testamento e per la donazione. In tali ipotesi, infatti, la sussi-
stenza dell’incapacità naturale assume un rilievo autonomo per l’annullabilità dell’atto,
senza che sia necessario fornire la prova del grave pregiudizio per l’autore o, eventual-
mente, della mala fede dell’altro contraente. Il matrimonio (art. 120), l’unione civile (art.
15 L. 76/2016), il testamento (art. 5912, n. 3) e la donazione (art. 775) compiuti in stato di
incapacità d’intendere o di volere sono, cioè, di per sé annullabili.
Nella materia degli atti illeciti, infine, la capacità d’intendere e di volere (e non la ca-
pacità legale di agire) rappresenta, come già accennato (IV, 1.6), presupposto di imputa-
bilità del fatto dannoso all’agente: non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi
non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno
che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa (art. 2046).

l’annullamento del contratto concluso da persona incapace d’intendere o di volere, risultando sufficiente la
dimostrazione della malafede dell’altro contraente: il pregiudizio rappresenta “solo uno degli indizi rivelatori
del requisito essenziale della malafede, la quale consiste unicamente nella consapevolezza che un contraente
abbia della menomazione dell’altro nella sfera intellettiva o volitiva”.
114
Secondo un indirizzo giurisprudenziale (peraltro non da tutti condiviso), in caso di condanna penale
per il reato di circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.), il contratto stipulato dalla vittima dovrebbe ritenersi
nullo, ai sensi dell’art. 14181 (per violazione di norme imperative, c.d. nullità virtuale: VIII, 9.5) e non sempli-
cemente annullabile (Cass. 20-4-2016, n. 7785, in linea, ad es., con Cass. 27-1-2004, n. 1427, nonché Cass.
20-3-2017, n. 7081), sottolineandosi come il “bene protetto” dalla norma penale non sia da ritenere il “patri-
monio dell’incapace”, la sanzione ricollegandosi, piuttosto, alla lesione della “libertà di autodeterminazione del-
l’incapace” (della “libertà negoziale”, cioè, “quale valore fondamentale riconosciuto dall’ordinamento”, come
tale rilevante anche in assenza dei rigorosi requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti per la ricorrenza della fatti-
specie di cui all’art. 428). Cass. 15-9-2017, n. 21449, evidenzia come il giudice – trattandosi di “una violazione
di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale” –
sia “tenuto a rilevare tale nullità d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio”.
CAPITOLO 2
DIRITTI DELLA PERSONALITÀ

Sommario: 1. Persona e diritti fondamentali. – 2. Caratteristiche. – 3. Tutela. – 4. Dignità della persona. –


5. Vita, integrità fisica e salute. – 6. Integrità morale. Onore e reputazione (e relativi limiti: cronaca,
critica, satira). – 7. Immagine e corrispondenza. – 8. Riservatezza. – 9. Trattamento e protezione dei
dati personali. – 10. Nome. – 11. Identità personale. – 12. Identità sessuale (di genere).

1. Persona e diritti fondamentali. – Con l’espressione diritti della personalità


(definiti anche diritti fondamentali o, semplicemente, diritti umani) si allude a quei diritti
il cui riconoscimento tende ad assicurare il pieno sviluppo della persona umana, tutelan-
done gli essenziali interessi esistenziali. Tali sono tanto quelli che concernono l’individuo
nella sua fisicità, quanto quelli che valgono a caratterizzarne la sfera morale, nei rapporti
con gli altri consociati.
L’individuazione e la definizione di simili interessi sono state, fino a tempi piuttosto
recenti, tradizionalmente affidate al diritto pubblico (in particolare, al diritto costituzio-
nale) e la relativa tutela essenzialmente demandata al sistema delle sanzioni di carattere
penale. L’idea che il diritto privato debba dedicare attenzione alla tutela della persona e
dei suoi valori pure al di fuori dell’ambito dei rapporti di natura strettamente patrimo-
niale, apprestando idonei strumenti a tal fine, ha trovato la sua prima concreta espres-
sione, nel nostro ordinamento, solo con l’inserimento, nel codice civile vigente (precisa-
mente nel libro I) e nella legislazione con esso coordinata, di talune previsioni indirizzate
a tal fine. Proprio l’affermarsi dell’esigenza di garantire la salvaguardia degli interessi di
natura personale del soggetto anche nei rapporti intersoggettivi ha determinato la neces-
sità (via via sentita in modo sempre maggiormente pressante) di elaborare nuovi e origi-
nali strumenti di tutela e di rivedere molte consolidate posizioni in ordine alla configura-
zione di quelli già esistenti (basti pensare all’avvertita insufficienza delle concezioni tra-
dizionali in materia di responsabilità civile e di risarcimento del danno: X, 2.1 e 2.4).
Anche se già oggetto di interessamento da parte dei redattori del codice civile, la pro-
blematica relativa ai diritti della personalità si è collocata al centro dell’attenzione gene-
rale in dipendenza dell’enunciazione contenuta nell’art. 2 Cost., il quale, con l’afferma-
zione del principio dell’integrale tutela della persona quale obiettivo prioritario dell’or-
dinamento, costituisce la pietra angolare del nostro sistema costituzionale.
La prospettiva che impone di finalizzare l’operatività degli strumenti giuridici alla tute-
la della persona e delle sue esigenze di pieno sviluppo (art. 32 Cost.), si è accreditata, peral-
tro, anche a livello sopranazionale, dopo le tragiche esperienze sfociate nel secondo conflit-
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 311

to mondiale. Alle generali affermazioni contenute nella Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, proclamata dalle Nazioni Unite (New York, 10.12.1948), quasi come manifesto
del nuovo ordine mondiale di valori, ha fatto seguito, nell’area europea, la Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU: Roma,
4.11.1950), i cui principi, attraverso la relativa ratifica (L. 4.8.1955, n. 848), si devono con-
siderare senz’altro operanti anche nel nostro ordinamento interno 1. Un ulteriore rafforza-
mento, in via generale, della protezione dei diritti fondamentali è da ricollegare, ovviamen-
te, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Nizza, 7.12.2000) 2.
Significativa si presenta la formulazione dell’art. 2 Cost. (“La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove
si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarie-
tà politica, economica e sociale”). I diritti in questione sono dichiarati senz’altro inviola-
bili e vengono solo riconosciuti dall’ordinamento, per promuoverne la garanzia: con ciò,
evidentemente, da un lato, si accoglie l’idea di una loro naturale inerenza alla persona (al
di fuori, quindi, di qualsiasi potere creativo dell’ordinamento); dall’altro, si abbandona
una visione tendente a considerare la persona e la sua tutela come mero riflesso delle esi-
genze di conservazione e di potenziamento dello Stato 3. L’attività della persona, poi, è
inquadrata nelle formazioni sociali, nelle aggregazioni, cioè, dove essa si trova ad operare
(famiglia e organizzazioni con le più diverse finalità: religiose, politiche, sindacali, cultu-
rali, ecc.), ritenendosi essenziale il loro apporto allo sviluppo della personalità, a condi-
zione, appunto, che la relativa azione si svolga nel rispetto dei valori fondamentali della
persona medesima. La tutela del godimento dei diritti fondamentali viene, infine, posta
in un rapporto di necessaria correlazione con l’assolvimento di doveri, ugualmente inde-
rogabili, di solidarietà: è attraverso simili doveri che risulta assicurata, infatti, la conte-
stuale salvaguardia delle esigenze di sviluppo della personalità altrui, in un’ottica di op-
portuno bilanciamento di interessi fondamentali di carattere individuale e collettivo 4.

1
La peculiare rilevanza della Convenzione in questione deriva dall’avere gli Stati contraenti (tra cui, ap-
punto, l’Italia) accettato un meccanismo di controllo del rispetto dei relativi principi, fondato sull’attività de-
cisionale della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ad essa si possono direttamente rivolgere – a seguito della
ratifica, con la L. 28.8.1997, n. 296, del Protocollo addizionale n. 11 (Strasburgo, 11.5.1994) – coloro che riten-
gano violati, da parte di uno Stato, i diritti sanciti dalla Convenzione stessa. Il rispetto (come “principi generali”
del diritto dell’Unione) dei “diritti fondamentali” quali “garantiti” dalla Convenzione risulta, inoltre, sancito
dall’art. 62 del Trattato sull’Unione europea (che prevede anche l’adesione dell’Unione alla Convenzione). La
rilevanza delle relative norme nel nostro sistema delle fonti (individuata nel carattere di “obblighi internazio-
nali” vincolanti ai sensi dell’art. 1171 Cost., “nell’interpretazione che di esse viene data dalla Corte euro-
pea”, ma operanti “pur sempre ad un livello sub-costituzionale”) è stata prospettata a partire da Corte
cost. 24-10-2007, nn. 348 e 349.
2
Circa il relativo valore giuridico, si ricordi come la Carta dir. fond. U.E. sia stata recepita dal Trattato di
Lisbona, entrato in vigore l’1.12.2009, attraverso l’art. 61 del Trattato U.E., il quale prevede che “L’Unione
riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7
dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”.
3
Tale atteggiamento, ispirato all’ideologia statalista e autoritaria del regime del tempo, risulta evidente, ad
es., nel passo della Relaz. cod. civ., n. 6, in cui si sottolinea, a giustificazione della tutela apprestata, che “lo
sviluppo della personalità individuale è assolutamente necessario per lo sviluppo della Nazione e la forza e la
potenza dello Stato si ripercuotono sulla floridezza e sul benessere dell’individuo”.
4
Proprio in una simile prospettiva sembrano da valutare i provvedimenti che si sono susseguiti – peraltro,
in un tutt’altro che chiaro (e, conseguentemente, oggetto di consistenti dubbi circa la relativa legittimità sul
312 PARTE IV – SOGGETTI

Il principio dell’incondizionato rispetto, nel loro complesso, dei valori fondamentali


della persona anche nei rapporti intersoggettivi fa propendere, in materia, per il supera-
mento della pur diffusa contrapposizione tra i diritti di libertà, storicamente affermatisi
per garantire la sfera di esplicazione delle scelte individuali nei confronti dello Stato
(proprio in quanto tali collocati in posizione centrale nelle esperienze costituzionali dei
diversi paesi) 5, e quei diritti della personalità tradizionalmente considerati come mag-
giormente suscettibili di violazioni nelle relazioni con altri soggetti. Così, ad es., signifi-
cative applicazioni della libertà di associazione (art. 18 Cost.) si sono avute in campo as-
sociativo per la disciplina dei rapporti tra ente e associati (IV, 3.1, 3.9) e la libertà perso-
nale (art. 13 Cost.) viene ormai da tempo invocata per condizionare al consenso informa-
to del paziente la liceità nei suoi confronti dei trattamenti sanitari (IV, 2.5) 6.

piano costituzionale, soprattutto alla luce della riserva di legge che, in linea di principio, assiste la possibilità
di limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali nella Costituzione: l’elenco delle situazioni coinvolte
comprende quelle cui si riferiscono gli, artt. 13, 14, 16, 17, 18, 19 e 32) accavallarsi e stratificarsi di fonti nor-
mative (a partire dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 31.1.2020, concernente la dichiarazione dello
stato di emergenza nazionale, e dal D.L. 23.2.2020, n. 6, conv. in L. 5.3.2020, n. 13, ove si indicano le modali-
tà di adozione di “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situa-
zione epidemiologica”) – in dipendenza della diffusione del Covid-19. Pare il caso di ricordare, in proposito,
come l’art. 521 della Carta dir. fond. U.E. disponga che le limitazioni “all’esercizio dei diritti e delle libertà”
da essa riconosciuti debbano “essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e
libertà”, comunque sempre “nel rispetto del principio di proporzionalità” e solo ove necessarie e rispondenti
“effettivamente a finalità di interesse generale … o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”. Per
una presa di posizione nel senso della illegittimità della delibera del Consiglio dei Ministri del 31.1.2010,
nonché, in particolare, del D.P.C.M. 9.3.2020, v., ad es., Giudice di Pace di Frosinone 29-7-2020. Comun-
que, Corte cost. 22-10-2021, n. 198, richiamandosi anche agli sviluppi di Corte cost. 12-3-2021, n. 37, ha giu-
dicato non fondati i dubbi di legittimità costituzionale in ordine alle modalità di intervento seguite in materia.
Oggetto di particolare attenzione sono stati, da una parte, i provvedimenti tendenti ad imporre l’obbligo vac-
cinale (IV, 2.5) e, dall’altra, quelli che hanno imposto e disciplinato il c.d. green pass (o “certificazione ver-
de”), a partire dal D.L. 22.4.2021, n. 52 (con il relativo D.P.C.M. 17.6.2021). Peraltro, la giurisprudenza, ri-
chiamandosi alla prospettiva dell’adeguato bilanciamento dei valori e interessi in gioco, ha respinto le do-
glianze in materia di green pass, fondate sull’addotta violazione “del diritto alla riservatezza sanitaria in ordine
alla scelta compiuta” (in senso contrario alla somministrazione del vaccino), sottolineando che “proprio la
graduale estensione della certificazione verde ha oggettivamente accelerato il percorso di riapertura delle atti-
vità economiche, sociali e istituzionali” (Cons. Stato, sez. III, 17-9-2021, n. 5130).
5
Pare opportuno sottolineare come delle stesse libertà, nel passaggio al moderno Stato sociale, tenda ad af-
fermarsi una configurazione non più solo negativa, ma positiva, nel senso di pretese ad un comportamento dello
Stato atto a garantirne l’effettività (in attuazione del principio di eguaglianza sostanziale, di cui all’art. 32 Cost.).
6
In un ordinamento che, come si è visto, pone lo sviluppo della persona quale suo obiettivo prioritario e
l’adempimento dei doveri di solidarietà in necessaria correlazione con la pretesa di vedere garantita la invio-
labilità dei diritti fondamentali, finisce col risultare sfumata anche l’ulteriore diffusa distinzione tra diritti civi-
li e diritti sociali: i primi, per definizione comportanti una pretesa del titolare al generalizzato rispetto delle
essenziali prerogative legate alla propria sfera esistenziale; i secondi (non a caso individuati anche come diritti
di solidarietà), finalizzati ad una più compiuta realizzazione della propria personalità, attraverso l’altrui inter-
vento e cooperazione che ne rendano possibile l’attuazione. Ai primi, viene correntemente riferita, in partico-
lare, la tutela della vita e dell’integrità fisica, dell’integrità morale, dell’immagine, della riservatezza, del nome,
dell’identità personale; ai secondi, la realizzazione di esigenze come quelle legate alla salute, al lavoro, all’abi-
tazione, alla sicurezza sociale, alla istruzione. Proprio la complessità dei valori che sono alla base dei secondi
ne rende evidente la difficoltà di una loro troppo netta contrapposizione ai primi, soprattutto una volta ac-
quisito che la relativa attuazione non esige solo interventi pubblici, ma anche adeguati comportamenti degli
altri consociati. Si pensi, così, al valore della salute (preso in considerazione dall’art. 32 Cost.), la cui tutela
comporta, da un lato, la salvaguardia del soggetto da qualsiasi altrui aggressione all’integrità psicofisica; dal-
l’altro, non solo la costruzione di un idoneo sistema di assistenza sanitaria (pure in relazione alla predisposi-
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 313

È il costante riferimento all’art. 2 Cost. che ha permesso alla giurisprudenza, attraver-


so tecniche interpretative sostanzialmente comuni all’esperienza di altri ordinamenti,
l’elaborazione e il continuo arricchimento del “catalogo” delle situazioni protette, appre-
stando – spesso con vera e propria opera creativa, sollecitata da un fruttuoso colloquio
con la dottrina – una garanzia adeguata a profili della personalità che ne erano ancora
privi, via via che l’evoluzione della coscienza sociale (anche sotto la spinta del progresso
scientifico e tecnologico) ha fatto emergere nuovi bisogni ed esigenze della persona, con
la conseguente necessità di assicurare, appunto, una idonea tutela dei relativi interessi 7.
Sul piano pratico ha finito, allora, in materia, col perdere gran parte del suo morden-
te la stessa tradizionale contrapposizione tra la tesi pluralistica e quella monistica: la pri-
ma, tendente a valorizzare la pluralità dei diritti della personalità, come espressione della
peculiarità delle esigenze di tutela che si ricollegano a ciascun interesse esistenziale fa-
cente capo alla persona; l’altra, favorevole, piuttosto, alla sussistenza di un unico diritto
della personalità, avente ad oggetto, quale valore unitario, la persona in quanto tale, in
ogni sua ipotizzabile manifestazione che della personalità costituisca svolgimento. In
proposito, dev’essere chiaro, in effetti, come il riconoscimento all’art. 2 Cost. del caratte-
re di clausola generale di garanzia della persona, in quanto tale “aperta” alla emersione di
nuovi profili della personalità (secondo la prospettiva monistica), sia destinato comun-
que a confrontarsi con l’esigenza di operare inevitabili bilanciamenti tra i diversi interessi
in gioco nei singoli casi, tra loro interferenti e pur eventualmente espressione di valori

zione del quale non si manca significativamente di individuare “un diritto soggettivo assoluto e primario” nei
confronti della stessa P.A., quando il “bene-salute” sia coinvolto nel suo “nucleo essenziale”: Cass., sez. un.,
1-8-2006, n. 17461; in materia di cure all’estero, Cass., sez. un., 6-9-2013, n. 20577), ma anche, ad es., l’ap-
prestamento di un confacente ambiente di lavoro da parte del datore di lavoro e di studio da parte degli enti
scolastici pubblici e privati (di “natura ancipite” del diritto alla salute – col suo corollario “del consenso in-
formato” – parla Cons. Stato, sez. III, 2-9-2014, n. 4460, alludendo alla relativa “indubbia valenza privatisti-
ca”, oltre che “innegabile connotazione pubblicistica”). Quanto, poi, al valore del lavoro (su cui l’art. 11 Cost.
dichiara fondarsi la Repubblica democratica), nella medesima prospettiva, la sua garanzia comporta, da un
lato, la tutela del soggetto in caso di comportamenti illeciti altrui che ne compromettano la capacità di presta-
zione; dall’altro, non solo interventi pubblici finalizzati alla formazione ed alla diffusione dell’accesso (artt. 41
e 35 Cost.), ma anche il riconoscimento, da parte del datore di lavoro, di condizioni contrattuali rispettose
della persona del lavoratore e, in particolare, la sufficienza della retribuzione (art. 36 Cost.). La esigenza abita-
tiva, ugualmente, al di là della promozione del relativo soddisfacimento attraverso l’azione della P.A. (anche
alla luce dell’art. 472 Cost.), costituisce il fondamento di incisivi interventi conformativi dei rapporti contrat-
tuali interprivati (IX, 4.3). Lo stesso valore della integrità morale, oltre che imporre un generalizzato atteg-
giamento di rispetto e di astensione da specifiche aggressioni, richiede sempre più l’attivazione di interventi e
comportamenti pubblici e privati, in particolare nel campo della comunicazione (ma anche, ad es., del lavo-
ro), onde non condizionarne negativamente le potenzialità di affermazione. L’inopportunità di contrapposi-
zioni concettuali nel campo dei diritti fondamentali della persona sembra emergere chiaramente, del resto,
anche dall’attuale testo dell’art. 1202 Cost., laddove allude unitariamente ai “diritti civili e sociali”, con ri-
guardo alle preminenti esigenze di “tutela dei livelli essenziali delle prestazioni” che li concernono. Circa il
“riparto di giurisdizione” in materia, rilevato che, in generale, “la categoria dei diritti fondamentali non deli-
mita un’area impermeabile all’intervento dei pubblici poteri autoritativi”, la relativa perimetrazione è operata da
Cass., sez. un., 25-11-2014, n. 25011, considerando ormai acquisita la idoneità pure del giudice amministrativo
“ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti” (Corte cost. 27-4-2007, n. 140).
7
Si è concluso, insomma, che, “in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve rite-
nersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valu-
tare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di
rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana” (Cass., sez. un., 11-11-2008, n.
26972, costantemente richiamata dalla giurisprudenza successiva: ad es., da Cass. 11-1-2011, n. 450).
314 PARTE IV – SOGGETTI

tutti riconducibili alla rilevanza costituzionale della tutela della persona. Ne deriva l’evi-
dente opportunità di una precisa individuazione e differenziazione dei diversi interessi
garantiti con l’attribuzione di pretese riconducibili alla categoria dei diritti della persona-
lità (in armonia con la concezione pluralistica), onde consentirne, sulla base di oggettivi
indici normativi di meritevolezza, una pur difficile – e, inutile nasconderlo, spesso lar-
gamente opinabile – gerarchia 8.

2. Caratteristiche. – L’inquadramento dei diritti della personalità nelle tradi-


zionali categorie del diritto privato continua a dar luogo a non pochi contrasti, essendo
state tali categorie ricostruite in vista della tutela di interessi di carattere essenzialmente
patrimoniale. Controversa è, in particolare, la loro configurabilità in termini di diritto
soggettivo (II, 3.2), sia per la scarsa rispondenza del tipico strumento di tutela di que-
st’ultimo – rappresentato dalla risarcibilità del danno in caso di violazione dell’interesse
protetto – alle relative esigenze di garanzia, sia per la difficoltà di individuarne l’oggetto.
L’opinione (comunque prevalente e pienamente condivisa dalla giurisprudenza) nel
senso della utilità del riferimento, anche in materia, alla figura del diritto soggettivo, in
vista di una più certa e piena tutela, ha finito col comportare la necessità di rilevanti
adattamenti della figura stessa e la perdita del relativo carattere di rigorosa unitarietà. Si
è dovuto, cioè, prendere conseguentemente atto, da una parte, dell’esistenza, al suo in-
terno, di modelli di disciplina diversi a seconda della natura dell’interesse, di volta in vol-
ta, tutelato (con una inevitabile differenziazione, in particolare, degli strumenti di tutela);
dall’altra, data l’impossibilità di considerare la persona, in quanto tale, oggetto di diritti,
della necessità di un deciso allargamento della nozione di bene, tale, appunto, da ricom-
prendere – con un sempre più chiaro tramonto della sua tradizionale concezione in ter-
mini materiali (II, 2.1) – le aspettative di godimento connesse alle varie manifestazioni
della propria personalità.
Secondo l’impostazione corrente, una volta considerati quali veri e propri diritti sog-
gettivi, i diritti della personalità vengono annoverati tra quelli assoluti (II, 3.5). Ad

8
La giurisprudenza tende a propendere, da tempo, per la concezione monistica: così, significativamente,
Cass. 25-8-2014, n. 18174, sottolinea che “è ormai acquisita una nozione ‘monistica’ dei diritti della personalità
umana, con fondamento costituzionale, nell’ambito della quale l’individuo” viene assunto “come un unicum”,
sul “fondamento normativo dell’art. 2 Cost. inteso quale precetto nella sua più ampia dimensione di clausola
generale, ‘aperta’ all’evoluzione dell’ordinamento e suscettibile, per ciò appunto, di apprestare copertura co-
stituzionale anche a nuovi valori emergenti della personalità”. Ripetutamente, allora, risulta affermato (Cass.
8-6-1998, n. 5658 e Cass. 10-5-2001, n. 6507) il carattere omogeneo – “essendo unico il bene protetto” – di dirit-
ti come quelli “all’immagine, al nome, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza”, in quanto “singoli aspetti
della rilevanza costituzionale della persona, nella sua unitarietà”. Una simile affermazione, comunque, sulla base
del rilievo che “non vi è coincidenza tra questi vari diritti”, si accompagna costantemente ad una precisa indivi-
duazione (operata sulla base del vigente sistema normativo: dato che, come sottolinea Corte cost. 13-4-2016, n.
84, è al “legislatore, quale interprete della volontà della collettività”, che compete istituzionalmente “il bilancia-
mento tra valori fondamentali in conflitto”) della maggiore o minore consistenza degli interessi, di volta in volta,
presi in considerazione, in vista della ritenuta necessità di operare, nei frequenti casi di conflitto, il relativo bilan-
ciamento con eventuali “opposti valori costituzionali”. La necessità del richiamo a specifiche disposizioni (del
codice o di altre leggi), del resto, viene costantemente avvertita per ricostruire la disciplina concreta dei diritti
individuati; e, una volta operato un “ancoraggio” immediato all’art. 2 Cost. (in correlazione con l’art. 32) della
singola figura, tali disposizioni si ritengono (ormai da tempo) “applicabili in via diretta – e non analogica – pro-
prio per l’interpretazione evolutiva ed adeguatrice di quelle norme che gli indicati precetti costituzionali consen-
tono e, anzi, impongono” (per una simile impostazione, Cass. 7-2-1996, n. 978).
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 315

essi risulta connaturale, in effetti, la pretesa del titolare, nei confronti della generalità dei
consociati (oltre che verso lo Stato), all’altrui astensione da qualsiasi violazione dell’in-
teresse tutelato 9.
Alla relativa inerenza, per definizione, alla persona (si parla, in proposito, di diritti
personalissimi), si ricollega strettamente il loro carattere di diritti innati, per cui essi
rappresentano, per ciascuno, un patrimonio comunque sussistente, non potendosi am-
mettere che una persona ne sia priva. Di qui pure la imprescrittibilità di tali diritti,
essendo il soggetto ammesso sempre a rivendicarne la titolarità, a prescindere dal manca-
to esercizio, anche protratto per un lungo tempo. Suscettibili di prescrizione, peraltro,
sono i diritti eventualmente spettanti in conseguenza della loro violazione (in particolare,
quello al risarcimento del danno).
All’inerenza si ricollega anche la intrasmissibilità, da intendere nel senso che la
possibilità di esercizio di simili diritti è destinata a venire meno con la morte del titolare.
Si è già visto (IV, 1.3) come il riconoscimento ad altri, dopo la morte del soggetto, del
potere di agire per la tutela di manifestazioni della personalità del defunto sia da riferire
all’intento dell’ordinamento di tutelare interessi di particolari soggetti viventi (o, al più,
interessi di carattere generale).
Sicuramente più delicato si presenta, di fronte all’attuale atteggiarsi dei rapporti so-
ciali (soprattutto nel campo della comunicazione), il problema del riconoscimento ai di-
ritti in questione dei caratteri dell’indisponibilità e della non patrimonialità.
La stretta inerenza alla persona si pone alla base della tradizionale e diffusa conclusione
dell’insussistenza di un potere generale del soggetto di incidere, con propri atti, sulla ti-
tolarità di simili diritti (indisponibilità), non ritenendosi, cioè, essergli consentito ce-
derli ad altri (inalienabilità) o rinunziarvi (irrinunciabilità). Prevale, peraltro, una
crescente tendenza a ritenere l’indisponibilità – anche quando non si voglia giungere ad
un più radicale ripensamento di tale caratteristica – in termini non eccessivamente rigidi,
ammettendosi, in relazione a talune manifestazioni della propria personalità, volontarie
limitazioni parziali e rinunzie al relativo esercizio 10, sia pure sempre entro il confine rap-
presentato dalla compatibilità, alla stregua della coscienza sociale, con l’insuperabile esi-
genza di rispetto della dignità dell’uomo (che finisce col costituire, in materia, una sorta
di generale clausola di salvaguardia: IV, 2.4). Inammissibile, di conseguenza, deve ritenersi
ogni impegno che si risolva in una abdicazione totale e/o definitiva: è da considerare sem-
pre garantito, così, il diritto al ripensamento dell’interessato, consistente nella pretesa alla
riaffermazione del rispetto del profilo della propria personalità coinvolto, nonostante qual-
siasi precedente atto dispositivo. E risulta, comunque, assolutamente incoercibile, attraver-

9
È evidente come una configurazione più marcatamente solidaristica – quale quella emergente dall’art. 2
Cost. – del sistema di tutela dei diritti in questione renda angusta e comunque solo parziale una simile loro
tradizionale caratterizzazione, di fronte alla constatazione che la piena attuazione dei fondamentali valori del-
la persona, se sicuramente impone l’astensione da aggressioni da parte di chiunque, richiede anche pubblici e
privati comportamenti cooperativi altrui (v. supra, nota 6).
10
In tale ordine di idee, Cass. 17-2-2004, n. 3014, ha ritenuto che (in tema di immagine) “il consenso alla
pubblicazione … costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalie-
nabile, all’immagine, ma soltanto il suo esercizio”: tale consenso, “sebbene possa essere occasionalmente inse-
rito in un contratto, da esso resta tuttavia distinto ed autonomo”, con le conseguenze che ne derivano, in par-
ticolare, “ai fini della sua revocabilità, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione
consentita” (analogamente, Cass. 19-11-2008, n. 27506 e Cass. 29-1-2016, n. 1748).
316 PARTE IV – SOGGETTI

so strumenti di attuazione coattiva, qualsiasi pretesa altrui dipendente dal consenso presta-
to dal soggetto, nonché invalida ogni clausola tendente a rendere troppo gravoso – per la
previsione, ad es., di forti penalità – il suo successivo ripensamento.
Se la consapevole e acconsentita tolleranza di limitazioni dei diritti della personalità 11
trova, in genere, minori resistenze, quando essa sia motivata da forti stimoli di solidarietà
(con conseguente carattere di relativa gratuità), i termini della questione si presentano
decisamente più controversi di fronte alla “commercializzazione” di aspetti della perso-
nalità: alla pattuizione, cioè, di un compenso per la prestazione del consenso al relativo
sacrificio. Si tratta della delicata problematica relativa alla connotazione in termini di
non patrimonialità dei diritti in esame, strettamente ricollegata, appunto, a quella
della loro indisponibilità. Problematica che si riflette in quella della delineazione dei mo-
delli di tutela, dato che, una volta – e in misura crescente – operata una patrimonializzazio-
ne di aspetti della personalità, l’intreccio tra profili di natura squisitamente morale e sociale
e profili di rilevanza economica induce spesso ad una strumentale invocazione dei primi,
pur in vista del più o meno evidente perseguimento delle finalità proprie dei secondi 12.
Indubbiamente, fenomeni come quello, in particolare, dello sfruttamento pubblicita-
rio – e, più in generale, finalizzato allo scopo di trarne un profitto – di immagini, com-
portamenti e notizie relative alla vita della persona (soprattutto, ovviamente, se nota)
hanno reso il sacrificio di aspetti della propria personalità un vero “valore economico”
per il soggetto 13. L’inerenza alla persona degli interessi tutelati con il riconoscimento dei
diritti della personalità induce, allora, a ritenere che, pure in ordine alla possibilità di con-
seguire un compenso per l’eventuale relativa limitazione, possa valere, in sostanza, quanto
dianzi prospettato circa il problema della disponibilità dei diritti in questione. La valuta-
zione in termini di liceità del sacrificio che l’interessato ne consenta in cambio di un com-
penso, quindi, non potrà prescindere da una valutazione di compatibilità, in concreto e
alla stregua della coscienza sociale 14, con il rispetto sempre dovuto alla dignità dell’uomo.

11
Le limitazioni cui si allude non sono, ovviamente, quelle già ragionevolmente imposte da interessi di ca-
rattere generale o in vista del necessario bilanciamento con la tutela di interessi altrui ugualmente riconduci-
bili a esigenze di sviluppo della personalità.
12
Correntemente, del resto, si sottolinea, ad es., che un diritto come quello all’immagine (IV, 2.7) è tutela-
to “sia come manifestazione del diritto alla riservatezza, sia come diritto a trarre dalla propria immagine un’uti-
lità economica” (Trib. Bari 13-6-2006).
13
In tale prospettiva, l’immagine e la notizia (nonché, oggi, i dati personali) finiscono col rivestire essi stes-
si la qualità di veri e propri beni economici, per l’utilità (appunto economica) che essi sono suscettibili di rap-
presentare per il soggetto cui si riferiscono e per coloro ai quali venga legittimamente riconosciuto il diritto
alla relativa utilizzazione. Nell’attuale realtà sociale, è addirittura alla stessa complessiva notorietà della perso-
na, per le potenzialità di lecito sfruttamento commerciale delle sue manifestazioni, che non si manca di rico-
noscere la qualità di bene di rilievo economico (II, 2.1).
14
In un simile ordine di idee, sembra muoversi già Cass. 10-11-1979, n. 5790. Essa, infatti, con riferimen-
to al diritto alla propria immagine e al proprio riserbo, alludendo al relativo carattere “disponibile – e quin-
di commerciabile – da parte del suo titolare, quando il disporne non costituisce atto illecito per contrarietà al
buon costume”, finisce con l’evidenziare, in effetti, proprio la necessità di una costante valutazione della licei-
tà dell’atto di disposizione, in concreto e alla luce della coscienza sociale, quando sottolinea che “il senso mo-
rale della società contemporanea non biasima colui che, in base ad una valutazione d’ordine personale, s’in-
duce al parziale sacrificio del suo riserbo per un corrispettivo economico”, concludendo come “il diritto di
esclusiva sulla propria immagine sia tutelato nel nostro ordinamento in tutti i suoi possibili riflessi, non sol-
tanto morali, ma anche patrimoniali”.
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 317

Così, ad esito di una simile valutazione, ben potrà concludersi, talvolta, anche per la liceità
di consentite e compensate interferenze negli interessi esistenziali del soggetto.
È da tenere presente come si ammetta ormai correntemente che la tutela dei diritti
della personalità competa anche agli enti (riconosciuti come persona giuridica o non
riconosciuti), quale riflesso, evidentemente, dell’attribuzione ad essi della qualità di sog-
getto di diritto e della loro dignità costituzionale di “formazioni sociali” funzionali allo
sviluppo della personalità umana (II, 1.1 e IV, 3.1). Ciò, ovviamente, sulla base di una
valutazione, di volta in volta, della compatibilità con la loro natura, restando sicuramente
estranei ad essi, di conseguenza, tutti quei diritti che presuppongono la fisicità del sog-
getto 15.

3. Tutela. – Come accennato, l’attenzione alle esigenze della persona, con la crescen-
te rilevanza attribuita alla materia dei diritti della personalità, ha condotto – pur senza
negare l’importanza della sanzione penale, cui era essenzialmente affidata, in passato, la
tutela del soggetto nelle manifestazioni della sua personalità di carattere non patrimonia-
le – all’individuazione di nuovi e peculiari strumenti di tutela, determinando anche una

15
Il problema della riferibilità dei diritti della personalità agli enti – che trovava una conferma normativa
anche in talune espresse indicazioni dell’art. 41 D.Lgs. 30.6.2003, n. 196, codice in materia di protezione dei
dati personali (IV, 2.9), peraltro soppresse già a seguito del D.L. 6.12.2011, n. 201, conv. in L. 22.12.2011, n.
214 (e v. ora l’art. 12 Regolamento U.E. 2016/67, che dichiaratamente limita la propria portata alla protezio-
ne dei “diritti e libertà fondamentali delle persone fisiche”) – si è posto frequentemente in materia di diritto
all’identità personale (IV, 2.11): così, già Pret. Roma 11-5-1981, sottolineava che “il soggetto (sia esso, indiffe-
rentemente, persona fisica, persona giuridica o entità associativa non personificata, ma rilevante per l’ordina-
mento), nella sua proiezione politica e sociale assume invero una peculiare connotazione, una specifica identi-
tà ideologica”. Cass. 22-6-1985, n. 3769, ha confermato un simile indirizzo, evidenziando che “anche le per-
sone giuridiche sono portatrici di una propria immagine sociale nell’ambito della realtà sociale nel cui conte-
sto operano”. Per la tutela in caso di fatti tali da “pregiudicare l’immagine e la credibilità anche di persona
giuridica”, cfr. Cass. 3-3-2000, n. 2367 (e v., ad es., di recente, Cass. 10-5-2017, n. 11446). Con chiarezza, nel
senso della titolarità dei diritti della personalità (in quanto – come il diritto all’identità, al nome e all’im-
magine sociale – “non supponenti la fisicità del soggetto”) anche da parte della “persona giuridica o del sog-
getto giuridico collettivo”, con conseguente risarcibilità del danno non patrimoniale in caso di relativa lesione
(“per diretta derivazione costituzionale dall’art. 2 Cost.”, inerendo essi “all’individuazione ed alla dimensione
sociale della formazione sociale”), si esprime Cass. 4-6-2007, n. 12929 (seguita, ad es., da Cass. 9-7-2014, n.
15609). Che “la tutela civilistica del nome e dell’immagine” sia “invocabile non solo dalle persone fisiche ma
anche da quelle giuridiche e dai soggetti diversi dalle persone fisiche”, è ribadito da Cass. 11-8-2009, n. 18218.
In linea di principio, insomma, si sottolinea che “la persona giuridica e l’ente collettivo in genere ha titolo al
risarcimento del danno non patrimoniale qualora l’altrui condotta ne leda i diritti della personalità, compati-
bili con l’assenza di fisicità e costituzionalmente protetti, che identificano il soggetto nell’ordinamento o ne indi-
viduano la dimensione nel contesto sociale” (“quali sono i diritti alla reputazione e all’identità”: Cass. 26-1-2018,
n. 2039). Significativa è, in una simile prospettiva, l’affermazione dell’esigenza di tutela della lesione arrecata
“all’immagine dello Stato”, con i conseguenti riflessi risarcitori, nei confronti dei responsabili della strage del
2.8.1980 (Trib. Bologna 18-11-2014). Circa la rilevanza della “lesione del diritto all’immagine degli enti pub-
blici derivante dal discredito sociale degli stessi”, a seguito di eventi corruttivi coinvolgenti suoi funzionari,
Cass. 16-2-2010, n. 3672. In tale prospettiva, del resto, si muove l’art. 162 L. 6.11.2012, n. 190, concernente il
“danno all’immagine della pubblica amministrazione” (“nel giudizio di responsabilità” contabile, ai sensi del-
l’art. 1 L. 14.1.1994, n. 20) e la relativa quantificazione. Orientamento consolidato è quello dell’ammissibilità
dell’equa riparazione per irragionevole durata del processo (ai sensi dell’art. 2 L. 24.3.2001, n. 89) anche “per
le persone giuridiche e, più in generale, per i soggetti collettivi” (Cass. 16-7-2004, n. 13163). Cass. 12929/2007
critica, peraltro, la tendenza a “ricondurre tale danno alla nozione di danno morale in senso soggettivo” (per
cui v. ancora, ad es., Cass. 7-1-2008, n. 31), giustamente non considerando ciò necessario ai fini del riconosci-
mento all’ente di un danno non patrimoniale in proposito.
318 PARTE IV – SOGGETTI

revisione della tradizionale configurazione di quello risarcitorio, quale istituzionalmente


finalizzato alla garanzia del diritto soggettivo.
a) Ove si consideri la tipologia degli interessi in gioco, appare chiaro, in proposito,
come sia da privilegiare un modello di tutela preventiva (atta, cioè, ad evitare la le-
sione o, almeno, a minimizzarne gli effetti), piuttosto che successiva (in quanto sostan-
zialmente indirizzata alla riparazione degli effetti della lesione), secondo il modello risar-
citorio. Così, in un quadro sempre più composito, lo strumento che in via elettiva si pre-
senta come particolarmente funzionale alla tutela di interessi di carattere – al di là dei
ricordati risvolti di natura economica – essenzialmente esistenziale, come quelli cui si ri-
feriscono i diritti della personalità, risulta l’azione inibitoria: con essa si tende, ap-
punto, a impedire lo stesso evento lesivo, prevenendo la condotta idonea a determinarlo,
ovvero a farlo cessare, evitando che il suo protrarsi aggravi la lesione degli interessi pro-
tetti (X, 2.1).
È significativo che il legislatore si sia riferito ad una simile azione proprio nel momen-
to in cui dava, nel codice civile, corpo alle emergenti istanze di tutela dei diritti della per-
sonalità. Essa, infatti, risulta espressamente prevista a proposito del diritto al nome e di
quello all’immagine (artt. 71 e 10, in cui si prevede che l’interessato possa chiedere al
giudice “la cessazione del fatto lesivo” e, rispettivamente, “che cessi l’abuso”) 16. L’au-
tonomia di questo tipo di tutela, rispetto a quella (successiva) di carattere risarcitorio,
emerge chiaramente, poi, dalla precisazione secondo cui resta comunque “salvo il risar-
cimento dei danni”. Sempre più diffusa è la tendenza a ritenere che l’azione inibitoria
abbia perso, ormai, ogni carattere di eccezionalità e sia da considerare, insomma, quale
strumento generale, applicabile (a prescindere, quindi, dalla relativa esplicita previsione)
in via analogica, a protezione di qualsiasi diritto della personalità. In tale prospettiva, si-
gnificative applicazioni si sono avute, in particolare, a tutela della riservatezza, dell’iden-
tità personale e della salute.
È pure da tenere presente come l’efficacia della tutela inibitoria, in vista della priorità
dell’esigenza di prevenire o arrestare il comportamento lesivo, sia notevolmente accre-
sciuta dalla possibilità, per l’interessato, di chiedere l’adozione di un provvedimento di
natura cautelare, ai sensi dell’art. 700 c.p.c.: chi teme che il proprio diritto sia esposto ad
un pregiudizio imminente e irreparabile nel tempo occorrente per far valere il proprio
diritto in via ordinaria, infatti, può chiedere che il giudice emani i provvedimenti d’ur-
genza che appaiano, nel caso concreto, più idonei ad assicurare una sua tutela provviso-
ria, in attesa della decisione definitiva.
Proprio il ricorso ad una simile tutela cautelare ha finito col costituire il principale
baluardo contro la violazione dei diritti della personalità, non solo per la celerità dello
strumento in questione, ma anche per la relativa peculiare duttilità, dato che al giudice
risulta consentita, al di fuori di qualsiasi tipizzazione legislativa, l’adozione dei provve-
dimenti che meglio si adattino, alla luce delle circostanze del caso concreto, a salvaguar-

16
Trib. Milano 9-3-2000, ad es., nel quadro di tali poteri inibitori del giudice, particolarmente efficaci
proprio per la loro adattabilità al caso concreto, ha ritenuto che l’interessato possa chiedere “la condanna a
consegnare i negativi di tutte le fotografie scattate, attesa l’effettiva efficacia che questa consegna ha di inibire
eventuali future indebite utilizzazioni dell’immagine”. Oltre che per il divieto di prosecuzione delle condotte
lesive, per la rimozione anche di quanto già pubblicato, v. Trib. Roma 23-12-2017 (in relazione a immagini e
notizie concernenti un minore coinvolto in una vicenda giudiziaria di separazione dei genitori).
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 319

dare l’interesse minacciato (si pensi, così, al divieto di distribuzione di un libro o di mes-
sa in onda di una trasmissione televisiva, all’imposizione del “taglio” di sequenze cine-
matografiche, ovvero all’ordine di sospensione di un’attività tale da mettere in pericolo
l’altrui salute). Problemi particolari pone, peraltro, l’utilizzazione del provvedimento di
sequestro, per il possibile conflitto che si può venire a determinare, al riguardo, tra la tu-
tela della situazione del titolare di diritti come quello all’immagine, alla riservatezza e
all’identità personale e la salvaguardia della libertà di manifestazione del pensiero, di cui
all’art. 21 Cost., il quale pone limiti rigorosi, appunto, per il sequestro della stampa, on-
de non venga pregiudicato il fondamentale interesse all’informazione 17.
b) Ulteriori strumenti di puntuale tutela degli interessi relativi alla sfera morale del
soggetto sono rappresentati (quale forma di reintegrazione in forma specifica del-
l’interesse leso), da una parte, dalla pubblicazione della sentenza in uno o più gior-
nali 18, che il giudice può ordinare secondo l’espressa previsione degli artt. 72 c.c., non-
ché 120 c.p.c. e 186 c.p.; dall’altra, dal diritto di rettifica, quale disciplinato, per la
stampa, dall’art. 42 L. 5.8.1981, n. 416, ed esteso, con i necessari adattamenti, all’infor-
mazione radiotelevisiva dall’art. 10 L. 6.8.1990, n. 223 (tale materia è stata successiva-
mente regolata dalla L. 31.7.1997, n. 249) 19. Quest’ultimo si presenta molto efficace per
assicurare condizioni di effettiva parità tra le parti nell’accesso all’informazione, attri-
buendo ai “soggetti di cui sono state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti
atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità” il
diritto “a fare inserire gratuitamente … le dichiarazioni o le rettifiche” reputate oppor-
tune (in tempi rapidi predefiniti e con una evidenza non inferiore a quella data alla noti-
zia considerata lesiva) 20.
c) Anche in conseguenza della lesione di diritti della personalità opera, ovviamente, il
rimedio generale del risarcimento del danno, ai sensi degli artt. 2043 ss. In proposi-
to, la riflessione non può che muovere dalla distinzione tra i profili – spesso strettamente
intrecciati – patrimoniali e non patrimoniali delle situazioni, di volta in volta, tutelate
(con i relativi riflessi sul danno risarcibile) 21.
L’immagine o la notizia concernente comportamenti privati, come accennato (II, 2.1

17
Il sequestro, secondo l’insegnamento di Corte cost. 12-4-1973, n. 38, viene ammesso anche nel caso di
materiale (in particolare, di immagini) che, “per essere nella disponibilità di un’impresa giornalistica, è da
reputarsi destinato alla pubblicazione per mezzo della stampa”, ma, come sottolineato da Cass. 27-5-1975, n.
2129, “non ancora stampato”, proprio in considerazione, in tal caso, della “prevalenza dell’interesse all’infor-
mazione”. Limiti rigorosi alla possibile operatività del sequestro delle pubblicazioni a stampa, “ancorché lesi-
ve dei diritti all’onore, alla riservatezza e all’identità personale”, pone, così, Trib. Roma 14-2-2008.
18
Con conseguente risarcibilità del danno derivante dall’eventuale relativa inottemperanza (Cass. 23-4-2020,
n. 8137, con indicazioni circa i criteri da seguire nella liquidazione).
19
Un generale “diritto di rettifica” relativamente ai propri dati personali nei confronti del titolare del trat-
tamento è stato previsto dall’art. 16 Regolamento U.E. 2016/679 (GDPR).
20
Il diritto di rettifica, quale strumento di “bilanciamento tra l’interesse del pubblico ad essere informati … e
l’interesse della persona, fisica o giuridica, a non essere lesa nella propria identità personale”, non può ritenersi,
ovviamente rispettato, “se la pubblicazione della rettifica avvenga con modalità o commenti tali da accrescere la
lesione dell’identità personale, o addirittura da provocarla essa stessa” (Cass. 24-4-2008, n. 10690).
21
Per la trasmissibilità agli eredi della tutela risarcitoria, v. Trib. Milano 21-1-2015, con riguardo ai “dan-
ni patrimoniali e morali derivanti dall’illecita utilizzazione pubblicitaria dell’identità personale di un perso-
naggio” (nel caso di specie, Audrey Hepburn nel film “Colazione da Tiffany”).
320 PARTE IV – SOGGETTI

e IV, 2.2), tendono sempre di più a configurarsi, nella società attuale, quali veri e propri
beni economici, con la conseguenza della risarcibilità del pregiudizio economico arreca-
to al soggetto interessato allo sfruttamento di simili espressioni della propria personalità.
Problema delicato, piuttosto, è qui quello dei criteri di determinazione del danno pa-
trimoniale risarcibile, nel caso in cui altri ne abbia indebitamente tratto profitto (come
avviene, in particolare, attraverso l’utilizzazione pubblicitaria dell’immagine della perso-
na nota o l’associazione ad essa di prodotti) 22.
Quanto ai profili di carattere non patrimoniale dei diritti della personalità, la pro-
blematica concernente la risarcibilità delle relative lesioni si identifica, in sostanza, con
quella della risarcibilità del danno non patrimoniale, sui cui sviluppi, negli anni più
recenti, ha influito in maniera determinante proprio la considerazione dei valori legati
alla persona e alle sue potenzialità di espressione e di sviluppo. Circa i percorsi che han-
no condotto dottrina e giurisprudenza a superare le strettoie dell’art. 2059, che limita la
risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge, fino alla rela-
tiva recente legittimazione sulla base del diretto riferimento ai valori tutelati dalla Costi-
tuzione, non si può qui che rinviare alla trattazione, in generale, relativa al danno alla
persona (X, 2.4) 23.

22
Con riferimento all’immagine, la Cassazione, una volta affermato che la relativa divulgazione non auto-
rizzata, “al pari di ogni altra ipotesi di non autorizzata utilizzazione di bene altrui, fa sorgere l’obbligazione di
risarcire il danno ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.” (Cass. 6-2-1993, n. 1503), ha ritenuto – anche prima che un
simile criterio risarcitorio fosse sostanzialmente recepito nell’art. 1582 L. 22.4.1941, n. 633, protezione del
diritto d’autore, quale risultante ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. 16.3.2006, n. 140 (X, 2.2) – commisurabile il risar-
cimento (nella prospettiva del “valore di mercato dell’uso”) a quanto ricavabile dal soggetto leso per il con-
senso a “un analogo sfruttamento nello stesso periodo” (11-10-1997, n. 9880). Cass. 16-5-2008, n. 12433, si
riferisce senz’altro “al pagamento di una somma corrispondente al compenso” che l’interessato “avrebbe pre-
sumibilmente richiesto per dare il suo consenso alla pubblicazione” (“somma da determinarsi in via equitati-
va”, in particolare “con riferimento al vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazio-
ne”). Ad una liquidazione dei danni “con riferimento agli utili presumibilmente conseguiti dall’autore del-
l’illecito”, anche con riguardo “alle finalità (pubblicitarie o d’altro genere) che esso intendeva persegui-
re”, allude Cass. 11-5-2010, n. 11353 (v. pure Cass. 15-4-2011, n. 8730). E in ordine alla prospettiva, in ma-
teria, “in base alla quale, quando il fatto illecito è fonte di arricchimento per il danneggiante, costui deve ri-
sarcire nella misura dell’arricchimento se superiore a quella del danno inferto”, v. le precisazioni di Cass.
8137/2020. Al “danno patrimoniale per la mancata percezione del prezzo del consenso” ha riguardo, ad es.,
Trib. Milano 21-1-2015. Trib. Torino 2-3-2000, in proposito, non esita a parlare, “per l’illecito sfruttamento
dell’immagine del personaggio notorio”, di danno che “deve essere parametrato al valore di mercato dell’im-
magine fotografica in questione”. La “perdita della reputazione professionale” derivante dall’utilizzazione
abusiva, comunque, è stata ritenuta eventuale fonte di un “pregiudizio ben più grave di quello corrispon-
dente al valore commerciale della specifica attività abusiva” (Cass. 1-12-2004, n. 22513, in un caso di espli-
cito rifiuto di consentire la pubblicazione).
23
Per la pacifica risarcibilità del danno non patrimoniale in caso di lesione di diritti della personalità, v., ad
es., Cass. 24-4-2008, n. 10690 (nella specie, diritto all’identità personale). In via generale, Cass. 11-11-2008, n.
26972, ha affermato che “dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona,
della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che
abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire il danno, quale che sia la fonte
della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale”. E si ritiene che lesione dei diritti in questione “fa sor-
gere in capo all’offeso il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, a prescindere dalla circostanza
che il fatto lesivo integri o meno un reato” (Cass. 15-6-2018, n. 15742). Circa la necessaria verifica, in ogni
caso, della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, Cass. 15-7-2014, n. 16133; 8-2-2017, n. 3311 e
20-8-2020, n. 17383 (con riguardo all’illecito trattamento dei dati personali; resta fermo, comunque, che
“come ogni danno non patrimoniale, non sussiste in re ipsa, non identificandosi il danno risarcibile con la
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 321

4. Dignità della persona. – La pretesa al rispetto della dignità del soggetto in quan-
to persona, più che costituire la sostanza di un autonomo diritto della personalità, rap-
presenta il reale tessuto connettivo della tutela della persona umana nella globalità delle
sue manifestazioni.
Manca, nella nostra Costituzione, una norma come quella che apre la Costituzione
tedesca del 23.5.1949, il cui art. 1 dichiara che “la dignità dell’uomo è intangibile”, quale
presupposto del riconoscimento, nello stesso articolo, degli “inviolabili e inalienabili di-
ritti dell’uomo come fondamento di ogni comunità umana”. È evidente, tuttavia, come la
fondamentale enunciazione dell’art. 2 Cost., secondo cui “la Repubblica riconosce e ga-
rantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, si riconnetta proprio all’esigenza di assicurare,
contro le aggressioni ad essa portate nell’anche recente passato del nostro stesso conti-
nente, la salvaguardia del rispetto della dignità umana, quale valore fondante e vero e
proprio “filtro” attraverso cui verificare l’apprezzabilità di ogni altro valore 24. Non a ca-
so, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea si apre, a sua volta, con la di-
chiarazione che “la dignità umana è inviolabile” e che “essa deve essere rispettata e tutela-
ta” (art. 1, intitolato alla “dignità umana”; alla “dignità” è intitolato l’intero capo I), così
come, del resto, pure la Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina
(4.4.1997, ratificata con la L. 28.3.2001, n. 145), il cui art. 1 enuncia la finalità di protegge-
re “l’essere umano nella sua dignità e nella sua identità” (e l’art. 2 sancisce che “l’interesse
e il bene dell’essere umano devono prevalere sull’interesse della società o della scienza”) 25.
Il costante riferimento al rispetto della dignità umana finisce, insomma, col costituire
il parametro cui riferire qualsiasi valutazione di interessi ruotanti intorno alla persona,
propri o altrui, soprattutto allo scopo di assicurare il bilanciamento di esigenze even-
tualmente in conflitto 26. Ciò assume una particolare rilevanza nei confronti dei soggetti
che, per definizione, si vengono a trovare coinvolti in una situazione di specifica debo-
lezza nei rapporti con altri, come il lavoratore o il malato. E la gerarchia di fondo dei va-
lori costituzionali, con la chiara sovraordinazione di quelli di carattere non patrimoniale
rispetto a quelli strettamente economici, trova compiuta espressione, non a caso, con la
delineazione, nell’art. 412 Cost., dei limiti all’iniziativa economica privata, la quale “non

mera lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, seppur può esse-
re provato anche attraverso presunzioni”: Cass. 10-6-2021, n. 16402 e 18-7-2019, n. 19434).
24
È da sottolineare come l’inscindibile collegamento tra rispetto della dignità e tutela dei diritti fonda-
mentali risultasse evidenziato già nell’originaria formulazione dell’art. 21 D.Lgs. 196/2003, codice in materia
di protezione dei dati personali, il cui art. 1, ai sensi del D.Lgs. 10.8.2018, n. 101, prevede ora che “il tratta-
mento dei dati personali avviene secondo le norme del Regolamento U.E. 2016/679 … e del presente codice,
nel rispetto della dignità umana, dei diritti e delle libertà fondamentali della persona”. Prospettiva, questa
condivisa dalla “Dichiarazione dei diritti in Internet”, elaborata dalla “Commissione per i diritti e doveri rela-
tivi a Internet” (Camera dei deputati, 14.7.2015), nella quale (art. 13) si evidenzia che “il riconoscimento dei
diritti in Internet deve essere fondato sul pieno rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza e della
diversità di ogni persona”.
25
L’art. 16 code civil, introdotto dalla L. 94-653 del 29.7.1994, ha stabilito il principio che “la legge assi-
cura la preminenza della persona, proibisce qualsiasi attacco alla dignità di questa e garantisce il rispetto
dell’essere umano dall’inizio della sua vita”. Si richiama alla dignità della persona, in particolare, l’art. 1 L.
22.12.2017, n. 219 (IV, 2.5).
26
È in una simile ottica che va guardato il riconoscimento anche al concepito, sia pure con le peculiarità
che non possono non contraddistinguere la sua situazione, della titolarità dei diritti che l’ordinamento ricol-
lega alla qualità di “uomo” (IV, 1.2).
322 PARTE IV – SOGGETTI

può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana” 27.
Soprattutto, la dignità umana, una volta assunta quale giustificazione della stessa in-
violabilità dei diritti umani fondamentali nella prospettiva del loro concorso allo svilup-
po della personalità 28, risulta costituire un valore il cui rispetto non può tollerare di ve-
nire completamente rimesso alle determinazioni dell’interessato, essendo la relativa di-
sponibilità destinata ad incontrare limiti invalicabili (IV, 2.2), di fronte all’assoluta irri-
nunciabilità almeno della propria qualità di uomo.

5. Vita, integrità fisica e salute. – a) Alla tutela del diritto alla vita alludono esplici-
tamente l’art. 2 della Costituzione tedesca, l’art. 2 Conv. eur. dir. uomo e l’art. 21 Carta
dir. fond. U.E. (“ogni individuo ha diritto alla vita”). Manca, invece, un’analoga previ-
sione nella nostra Costituzione, evidentemente in quanto ritenuta implicita nella clausola
generale di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, di cui all’art. 2 Cost. 29.
La tutela di tale diritto è affidata alla legislazione penale (artt. 575 ss. c.p.), dalla qua-
le si evince la sua indisponibilità. Solo così, infatti, si giustifica la grave sanzione prevista
per l’omicidio del consenziente (art. 579) e per l’istigazione o aiuto al suicidio (art. 580
c.p.). A simili disposizioni si è ricollegato, fino alla recente significativa apertura operata
dalla Corte costituzionale in ordine al c.d. “suicidio assistito” 30, nel nostro ordinamento

27
Di recente, Corte cost. 7-6-2019, n. 141, ha sottolineato come, “nella cornice della previsione dell’art.
41, secondo comma, Cost., il concetto di ‘dignità’ vada inteso in senso oggettivo: non si tratta, di certo, della
‘dignità soggettiva’, quale la concepisce il singolo imprenditore o il singolo lavoratore”.
28
Proprio in una simile prospettiva Corte cost. 141/2019 ha escluso che “la prostituzione volontaria
partecipi della natura di diritto inviolabile” (e, quindi, ricada nell’area della “garanzia apprestata dall’art. 2
Cost.”).
29
Si ricordi che l’art. 274 Cost. esclude la pena di morte, salvo che “nei casi previsti dalle leggi militari di
guerra”. Essa è stata abolita, poi, anche per i delitti previsti dal codice penale militare di guerra e dalle leggi
militari di guerra, ai sensi dell’art. 1 L. 13.10.1994, n. 589. La pena di morte risulta del tutto esclusa dall’art.
22 della Carta dir. fond. U.E.
30
La vicenda si è sviluppata, in un primo tempo, attraverso Corte cost. ord. 16-11-2018, n. 207, la quale,
dopo avere ribadito “che l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non può essere ritenuta incompatibile con la
Costituzione” (dato che “dall’art. 2 Cost. – non diversamente che dall’art. 2 CEDU – discende il dovere del-
lo Stato di tutelare la vita di ogni individuo”), ha reputato imporsi una limitazione della relativa portata nel-
le “ipotesi in cui il soggetto agevolato si identifichi con una persona (a) affetta da una patologia irreversibile
e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta
in via a mezzo di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. “Facendo
leva sui propri poteri di gestione del processo costituzionale”, la Corte, nell’intento di conformarsi ad orien-
tamenti emersi nel contesto di altri ordinamenti, ha reputato “doveroso” – per coinvolgere “la soluzione del
quesito di legittimità costituzionale … l’incrocio di valori di primario rilievo, il cui compiuto bilanciamento
presuppone, in via diretta ed immediata, scelte che anzitutto il legislatore è abilitato a compiere” – rinviare
la decisione in materia (fissando una nuova udienza per il 24.9.2019), per “consentire al Parlamento ogni
opportuna riflessione e iniziativa”. Corte cost. 22-11-2019, n. 242, preso “atto di come nessuna normativa in
materia sia sopravvenuta nelle more della nuova udienza”, ha reputato – in presenza di una situazione di
“menomata protezione di diritti fondamentali (suscettibile anch’essa di protrarsi nel tempo, nel perdurare
dell’inerzia legislativa)” – di poter intervenire “ricavando dalle coordinate del sistema vigente i criteri di
riempimento costituzionalmente necessari, ancorché non a contenuto costituzionalmente vincolato”. Simili
“coordinate” sono state desunte dalla “disciplina racchiusa negli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017”, in
una prospettiva atta a valorizzare anche nella materia in esame la “relazione tra medico e paziente”, affidan-
do, nell’attesa di una specifica disciplina legislativa, “la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiu-
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 323

(a differenza di diversi altri) 31, il divieto e la punizione dell’eutanasia (cui si riferisce pure
l’art. 17 del Codice di deontologia medica del 2014, disponendo che “il medico, anche
su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocar-
ne la morte”) 32.
È proprio in relazione alla spettanza del diritto alla vita che più vivace si presenta la
discussione circa la posizione del concepito ed il riconoscimento di una sua soggettività,
almeno per quanto concerne, appunto, la titolarità – in quanto uomo – dei diritti fonda-
mentali. La questione è stata già dianzi affrontata, nel quadro della trattazione concer-
nente la capacità giuridica e il relativo acquisto, pure con riguardo, in particolare, al
problema del bilanciamento tra il diritto alla vita del nascituro ed il diritto alla salute del-
la gestante (IV, 1.2).
b) Anche il diritto all’integrità fisica – strettamente connesso, da una parte, al diritto
alla vita, dall’altra, fino ad esserne, in sostanza, indistinguibile, al diritto alla salute (con la
sua energica sanzione costituzionale, di cui all’art. 321, “come fondamentale diritto dell’in-
dividuo e interesse della collettività”) – trova ampia tutela nella legislazione penale e, dal
punto di vista civilistico, soprattutto attraverso lo strumento del risarcimento del danno
(artt. 2043 ss.), come dianzi ricordato nella prospettiva del danno alla persona (X, 2.4).
Il diritto all’integrità fisica è disciplinato nel codice civile sotto il profilo dei limiti alla
sua disponibilità. L’art. 5 vieta gli atti di disposizione del proprio corpo, quando

to al suicidio … a strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale” (con l’intervento “di un organo colle-
giale terzo”, costituito dai “comitati etici territorialmente competenti” e “senza creare alcun obbligo di pro-
cedere” all’aiuto al suicidio in capo ai medici). In conclusione, L’art. 580 c.p. è stato dichiarato “costituzio-
nalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., nella parte in cui non
esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017” (ovvero,
“quanto ai fatti anteriori”, con “modalità equivalenti”), “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, au-
tonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affet-
ta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma
pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di
esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del
comitato etico territorialmente competente”. Evidentemente a seguito di simili prese di posizione (e per det-
tare una disciplina sistematica della materia, anche quanto a presupposti e condizioni della richiesta di assi-
stenza medica), si è mosso anche il legislatore. Così, il 10.3.2022, la Camera dei deputati ha approvato un
testo unificato delle numerose proposte in materia di “morte volontaria medicalmente assistita” (trasmesso
al Senato e ivi in discussione come D.D.L. n. 2553).
31
E v., ad es., in Spagna, la recente Ley Organica 3/2021 del 24.3.2021.
32
La materia dell’eutanasia è resa complessa dalla diversità delle situazioni che possono essere ricondotte
ad essa (cui si allude distinguendo la eutanasia attiva da quella passiva), anche in relazione alla linea di demar-
cazione rispetto alla pratica – speculare e pure vietata dagli artt. 16 e 392 del codice deontologico medico –
del c.d. accanimento terapeutico (con conseguente sicura legittimità della sospensione del sostentamento
strumentale, in caso di soggetto da considerarsi ormai clinicamente morto). Il dovere del medico di “astenersi
da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o spro-
porzionati” risulta ora, in effetti, sanzionato dall’art. 22-3 L. 219/2017, adeguato spazio conferendosi, piuttosto,
all’eventuale ricorso – significativamente preso in considerazione da Corte cost. 242/2019, per prestarsi esso “a
rimuovere le cause della volontà del paziente di congedarsi dalla vita” – alla “sedazione palliativa profonda con-
tinua in associazione con la terapia del dolore” (pratiche già disciplinate dalla L. 15.3.2010, n. 38). In conse-
guenza del ricordato intervento di Corte costituzionale, si è provveduto, con l’approvazione dei nuovi indiriz-
zi applicativi (6.2.2020), ad aggiornare, definendone corrispondentemente la portata (in termini, dunque, non
più assoluti), il divieto di cui all’art. 17 del codice deontologico medico. Comunque, Corte cost. 2-3-2022, n.
50, ha giudicato inammissibile una richiesta di referendum popolare in materia.
324 PARTE IV – SOGGETTI

da essi possa derivarne una diminuzione permanente dell’integrità fisica, ovvero quando
siano comunque contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume 33. Il divieto in
questione è da ritenere, nel suo insieme, immediata espressione della generale esigenza
di rispetto della dignità umana.
Entro i limiti in cui risultano consentiti, gli atti di disposizione del proprio corpo de-
vono avere sempre alla loro base il consenso libero e consapevole del soggetto e non sono
mai suscettibili di esecuzione forzata in forma specifica (in caso di inadempimento del-
l’obbligo lecitamente assunto, la controparte potrà pretendere, cioè, solo il risarcimento
del danno). Esempi tradizionali di atti consentiti sono quelli del contratto di baliatico o
della cessione dei capelli o dello stesso sangue. Già in relazione a quest’ultimo – e sempre
nei limiti in cui il prelievo non determini una menomazione permanente del soggetto – è
affermato, comunque, il principio, secondo il quale non è consentito trarne un vero e
proprio profitto, essendone ammessa solo la donazione (L. 4.5.1990, n. 107), in quanto
espressione di solidarietà sociale 34.
La necessità di leggere l’art. 5 alla luce dell’art. 2 Cost., con specifico riferimento al-
l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale, ha indotto a ritenere che l’atto di dispo-
sizione, anche ove tale da determinare una diminuzione permanente del soggetto, possa
trovare una propria giustificazione, appunto, nello spirito di solidarietà sociale. Ciò, pe-
raltro, solo ad esito di una valutazione complessiva degli interessi in gioco affidata al le-
gislatore, come avviene, in particolare, in tema di trapianti con prelievo di organi da
vivente. Principio fondamentale in materia è, allora, quello del carattere gratuito dell’atto
di disposizione, quale risulta espresso, ad es., nell’art. 1 L. 26.6.1967, n. 458, sul trapian-
to di rene 35. Successivamente, è stato disciplinato, secondo principi analoghi, il trapianto
parziale di fegato (L. 16.12.1999, n. 483), nonché il trapianto parziale di polmone, pan-
creas e intestino (L. 19.9.2012, n. 167).
Discussi restano i limiti in cui lo spirito di solidarietà possa consentire la legittimità
della sperimentazione scientifica, pur in presenza di un consenso consapevolmente
prestato dal soggetto che intenda sottoporsi ad essa, ove possa determinare una meno-
mazione all’organismo (il consenso informato risultando, comunque, valorizzato in mate-
ria già dal D.Lgs. 24.6.2003, n. 211, attuativo della direttiva 2001/20/CE, in tema di spe-
rimentazioni cliniche di medicinali, problematica successivamente disciplinata, alla luce
del Reg. U.E. 536/2014, dal D.Lgs. 14.5.2019, n. 52).

33
Tale disposizione rappresentò il risultato di un dibattito alimentato anche da un famoso caso di trapian-
to di una glandola sessuale, in una clinica napoletana, da un giovane studente ad un facoltoso straniero. La
previsione è, nella Relaz. cod. civ., n. 37, ricollegata a “imprescindibili esigenze di carattere morale e sociale”,
nell’allora predominante prospettiva (conforme, del resto, alla più generale concezione del rapporto tra per-
sona e Stato), quindi, tendente a vedere l’integrità fisica essenzialmente come dovere del singolo nei confronti
della società. La problematica affrontata da tale disposizione dev’essere, ovviamente, attualmente inquadrata
nel ben diverso contesto costituzionale della tutela della persona e del diritto alla salute (artt. 2 e 32 Cost.).
34
Il principio per cui “il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto”
è enunciato dall’art. 21 della Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina. Esso è ora espres-
samente sancito anche dall’art. 16-1 code civil e dall’art. 32 Carta dir. fond. U.E.
35
Circa il “contratto di espianto del rene”, Cass. 28-1-2013, n. 1874, ha osservato che esso “concreta una
deroga alla norma imperativa, di ordine pubblico interno, qual è l’art. 5 c.c., anche secondo una interpreta-
zione costituzionalmente orientata”, richiedendo “per essere valido ed efficace una protezione del donatore
per i rischi e un’assoluta gratuità”.
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 325

Ampia risonanza ha avuto il dibattito concernente i problemi connessi con la pro-


creazione assistita, attualmente disciplinata dalla L. 19.2.2004, n. 40 36. Per quanto
interessa in questa sede, se l’espresso divieto delle tecniche di tipo eterologo (art. 43) po-
teva ritenersi comportare anche l’illiceità della c.d. donazione di seme e di quella di ovu-
lo, la sua dichiarata illegittimità costituzionale evidentemente le ha rese lecite 37. Sulla ba-
se del disposto divieto delle pratiche di surrogazione di maternità (art. 126), risulta da
considerare risolto, poi, evidentemente nel senso della nullità, il discusso problema con-
cernete la validità o meno del relativo contratto (già, del resto, in prevalenza negata sulla
base della sua contrarietà all’ordine pubblico o, soprattutto se con la previsione di un
compenso, al buon costume). La nullità, in effetti, costituisce la sorte, in via generale, dei
negozi posti in essere in violazione dei limiti di ammissibilità degli atti di disposizione
del proprio corpo 38.
Diminuzioni permanenti dell’integrità fisica possono conseguire ai trattamenti
medici. L’essere l’intervento terapeutico per definizione finalizzato ad un miglioramen-
to complessivo delle condizioni di vita del soggetto ha consentito di superare, al riguar-
do, le limitazioni poste dall’art. 5 (del quale, anzi, si esclude diffusamente ogni residua
rilevanza in relazione a tale materia). Ciò a condizione – anche in considerazione di una
più attuale concezione di cura 39 – che l’intervento stesso abbia alla sua base il consenso

36
Come si è già altrove accennato (IV, 1.2), della legge è stata chiesta la verifica popolare mediante refe-
rendum. Ammesso in relazione a talune delle relative disposizioni (tra cui quella relativa al divieto delle tecni-
che eterologhe: Corte cost. 28-1-2005, nn. 45, 46, 47, 48 e 49), la sua validità è stata impedita dal mancato
raggiungimento del necessario quorum di elettori votanti.
37
Sugli sviluppi della questione di legittimità costituzionale concernente il divieto delle tecniche eterolo-
ghe, cfr. specificamente V, 4.6.
38
La Corte eur. dir. uomo (26-6-2014 e 27-1-2015, la cui impostazione, peraltro, è risultata oggetto di
precisazioni ed alquanto ridimensionata dalla decisione della Grande camera 24-1-2017), si è pronunciata,
comunque, nel senso che i divieti nazionali in materia (con la situazione di illegalità che ne consegue per i ge-
nitori), non possono mai riflettersi in un pregiudizio, in concreto, per “l’interesse superiore del minore”, ri-
sultando altrimenti violato il suo diritto al rispetto della vita privata e familiare, tutelato dall’art. 8 CEDU.
Corte cost. 18-12-2017, n. 272, ribadito “l’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla
surrogazione di maternità” (trattandosi di pratica “che offende in modo intollerabile la dignità della donna e
mina nel profondo le relazioni umane”), prospetta una regola di giudizio di tipo “comparativo” che, proprio
in quanto improntata alla “necessità di considerare il concreto interesse del minore”, tenga conto, ai fini della
relativa realizzazione, delle complesse “variabili” implicate, appunto, nel caso concreto. In materia, è interve-
nuta, poi, Cass., sez. un., 8-5-2019, n. 12193, la quale ha individuato, proprio nell’ottica delineata dalla Corte
costituzionale, un possibile bilanciamento tra gli interessi in gioco nel ricorso, da parte del c.d. “genitore
d’intenzione”, al meccanismo dell’adozione in casi particolari (art. 441, lett. d, L. 184/1983). In ogni caso, an-
che a seguito dei successivi interventi della Corte eur. dir. uomo (in particolare, con la decisione 16-7-2020),
Corte cost. 9-3-2021, n. 33, ha reputato, pur nel ribadire (secondo quanto ricordato da Cass. 31-3-2021, n.
9006) come “legittima finalità” quella del legislatore “di disincentivare il ricorso alla surrogazione di materni-
tà (sanzionandola penalmente), “significativa, ma non del tutto adeguata” una simile soluzione, formulando al
legislatore un monito ad intervenire per porre rimedio “all’attuale situazione di insufficiente tutela degli inte-
ressi del minore”. In proposito, V, 4.6.
39
Sottolinea Cons. Stato, sez. III, 2-9-2014, n. 4460, costituire “non un astratto concetto di cura, di bene,
di ‘beneficialità’, il valore primo e ultimo che l’intervento medico deve salvaguardare”, ribadendo che “la no-
zione statica e medicale di ‘salute’, legata ad una dimensione oggettiva e fissa del benessere psico-fisico della
persona, deve cedere il passo ad una concezione soggettiva e dinamica del concreto contenuto del diritto alla
salute, che si costruisce nella continua e rinnovata dialettica medico-paziente”: insomma, “è la cura a dover
adattarsi, nei limiti in cui ciò sia scientificamente possibile, ai bisogni del singolo malato e non il singolo mala-
to ad un astratto e monolitico concetto di cura”, la “cura” rappresentando “il contenuto, concreto e dinami-
326 PARTE IV – SOGGETTI

dell’interessato (e tale consenso, per legittimare l’attività sanitaria, deve essere frutto di
una consapevole adesione alla proposta terapeutica: si deve trattare, cioè, di un consen-
so informato) 40. Una carente informazione del paziente, vanificando l’efficacia del suo

co, dell’itinerario umano, prima ancora che curativo, che il malato ha deciso di costruire, nell’alleanza tera-
peutica con il medico e secondo scienza e coscienza di questo, per il proprio benessere psico-fisico”.
40
Gli orientamenti che, in materia, hanno prevalso sono sintetizzati già da Cass. 15-1-1997, n. 364, la qua-
le aderisce alla prospettiva secondo cui l’attività medica non dovrebbe essere valutata nel quadro dell’art. 5,
“in quanto essa stessa legittima, ai fini della tutela di un bene, costituzionalmente garantito, quale il bene salute”.
Una simile “autolegittimazione dell’attività medica, anche al di là dei limiti dell’art. 5”, non permette, comunque,
al medico di “intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente”. La “necessità del consenso si
evince, in generale, dall’art. 13 Cost., il quale sancisce l’inviolabilità della libertà personale, nel cui ambito deve
ritenersi compresa la libertà di salvaguardare la propria salute e la propria integrità fisica”. E la “formazione del
consenso presuppone una specifica informazione su quanto ne forma oggetto (consenso informato)”. È stato
sottolineato, in proposito, che “la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussi-
stenza dell’illecito per violazione del consenso informato”, rilevando solo che il paziente “non è stato messo in
condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni” (con viola-
zione degli artt. 322 e 13 Cost.: Cass. 14-3-2006, n. 5444). “Il principio del consenso informato esprime una
scelta di valore nel modo di concepire il rapporto tra medico e paziente, nel senso che detto rapporto appare
fondato prima sui diritti del paziente e sulla sua libertà di autodeterminazione terapeutica che sui doveri del
medico” (Cass. 16-10-2007, n. 21748). Insomma, “il consenso informato, inteso quale consapevole adesione al
trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona” (Corte cost.
23-12-2008, n. 438, che evidenzia “la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello
all’autodeterminazione e quello alla salute”). Conclude (secondo un indirizzo sostanzialmente condiviso dalla
successiva giurisprudenza: v., ad es., Cass. 23-12-2020, n. 29469; 11-11-2019, n. 28985 e 23-3-2018, n. 7248) –
alla luce di una puntuale distinzione tra lesione del diritto alla salute e del diritto all’autodeterminazione – che
“anche in caso di sola violazione del diritto all’autodeterminazione, pur senza correlativa lesione del diritto alla
salute ricollegabile a quella violazione per essere stato l’intervento terapeutico necessario e correttamente esegui-
to, può sussistere uno spazio risarcitorio”, Cass. 9-2-2010, n. 2847, in cui s’identifica, poi, il danno non patrimo-
niale in tal caso risarcibile in quello connesso al “turbamento e sofferenza che deriva al paziente sottoposto ad
atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perché non prospettate e, proprio per questo,
più difficilmente accettate”. In proposito, v. i recenti sviluppi, sul piano probatorio, di Cass. 15-5-2018, n. 11749,
14-11-2017, n. 26827, nonché, soprattutto, 28985/2019, che, sulla base dei possibili intrecci tra diritto alla salute
e diritto all’autodeterminazione, delinea, in relazione alle diverse situazioni, il regime degli oneri probatori gra-
vanti sul paziente. La mancanza del consenso del paziente si risolve, insomma, in “una lesione di quella dignità
che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica” (Cass. 28-7-2011, n. 16543; co-
me tale rendendo “l’intervento del medico sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente:
Cass. 10-12-2019, n. 32124). Circa la forma che deve rivestire la prestazione del consenso, mentre la relativa “tra-
sfusione in un documento scritto” è stata reputata “essenziale” a parere di Trib. Roma 11-2-2014, viene conside-
rato senz’altro ammissibile l’“espletamento di un intervento chirurgico sulla base di un consenso orale informa-
to” da Cass. 31-3-2015, n. 6439 (e Cass. 32124/2019, precisa come, in tal caso, siano da valutare “le modalità
concrete del caso”). Sul carattere, in ogni caso, necessariamente espresso della prestazione del consenso, anche in
relazione all’“onere del medico” di “provare l’adempimento dell’obbligazione” di fornire al paziente “un’infor-
mazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze”, Cass. 29-9-2015, n. 19212 (e
per la non idoneità della sottoscrizione di “un modulo di ‘consenso informato’ del tutto generico”, Cass.
26827/2017, nonché 19-9-2019, n. 23328 e 32124/2019). Sulla problematica in questione, v., comunque, gli svi-
luppi legislativi della L. 219/2017, di cui alla nota successiva. Al rispetto del “consenso libero e informato della
persona interessata” allude l’art. 32 Carta dir. fond. U.E. ed il codice di deontologia medica si riferisce alla neces-
sità di una “informazione comprensibile ed esaustiva”, art. 331, con l’obiettivo dell’acquisizione di un “consenso
informato” o di un “dissenso informato”, da prestare “in forma scritta e sottoscritta o con altre modalità di pari
efficacia documentale”, art. 352-3. La giurisprudenza francese parla, significativamente, di dovere di fornire al
paziente “une information loyale, claire et appropriée”. Esemplare si presenta, in proposito, la recente riforma
tedesca (Patientenrechtsgesetz del 2013), con i nuovi particolareggiati §§ 630 d e 630 e del BGB (rispettivamente
intitolati al “consenso” del paziente ed agli “obblighi di informazione” del medico, ove si privilegia il relativo
carattere orale e relazionale). In tema, v. anche infra, VII, 4.3.
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 327

consenso, determina il sorgere di una responsabilità del medico nei confronti del pazien-
te stesso. Ove il soggetto, poi, non sia in grado di prestare il proprio consenso, la liceità
dell’intervento tende ad essere fatta dipendere dall’esistenza di uno stato di necessità
(art. 54 c.p.). Il consenso è prestato, in caso di incapacità del soggetto cui necessitano
cure, dal suo rappresentante legale, crescente rilevanza essendo accordata, peraltro, alla
volontà del diretto interessato, purché, in concreto, capace di discernimento.
A simili direttive, in sostanza, quale coerente sviluppo del principio di autodetermina-
zione, si è ispirata la recente L. 22.12.2017, n. 219, dettando, appunto, “Norme in mate-
ria di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” 41.
Si è da tempo ritenuto – ed anche sotto un tale profilo la legge conferma orientamen-
ti nel tempo consolidatisi in dottrina e giurisprudenza – che proprio il carattere di neces-
saria volontarietà dell’intervento non consenta di intervenire contro la volontà consape-
volmente espressa dal soggetto, il quale, quindi, può rifiutare le cure nell’esercizio del-
la sua libertà personale (art. 13 Cost.) 42, alla cui luce va letto pure l’art. 322 Cost. (secon-
do il quale “nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per dispo-
sizione di legge”, che, comunque, “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal ri-
spetto della persona umana”) 43. Un simile rifiuto, legittimo quando concerna la propria

41
A fondamento di tale provvedimento – sulla base dell’invocazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost., nonché 1,
2 e 3 Carta dir. fond. U.E. – viene espressamente invocata la tutela del “diritto alla vita, alla salute, alla dignità
e all’autodeterminazione della persona”, ponendosi il principio per cui “nessun trattamento sanitario può
essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei
casi espressamente previsti dalla legge” (art. 11). Viene accolta la prospettiva della c.d. alleanza terapeutica,
promuovendo “la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico”, basata su di un “consenso informato
nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la
responsabilità del medico” (art. 12). Si prevede che l’informazione dev’essere fornita alla persona “in modo
completo, aggiornato e a lei comprensibile” (art. 13), anche, nell’eventuale fase terminale, con riguardo “alla
sedazione palliativa profonda” ed alla “terapia del dolore” (art. 22-3). Circa la forma, si allude alla documenta-
zione in “forma scritta o attraverso videoregistrazioni” (o comunque “attraverso dispositivi” che consentano
al paziente di comunicare, sempre, poi, “inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico”: art.
14). L’intervento nelle “situazioni di emergenza o di urgenza” è regolato dall’art. 17, con un richiamo “alla
prestazione delle “cure necessarie”, pur sempre (almeno in linea di principio) nel “rispetto della volontà del
paziente”. L’art. 3 tende a regolare, come si è già avuto modo di vedere, la materia con riferimento ai minori
ed agli incapaci (IV, 1.7, 11, 12, 13, 14). Con stretto collegamento alla disciplina del “rifiuto di trattamenti
sanitari necessari” e delle “disposizioni anticipate di trattamento” (v. infra), l’art. 5 contempla, inoltre, la “piani-
ficazione condivisa delle cure”, con riguardo alla “relazione tra medico e paziente … rispetto all’evolversi del-
le conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione”. In propo-
sito, decisiva è considerata la volontà in precedenza manifestata (ad esito di adeguata informazione e con la
forma dianzi accennata) dal paziente (anche con “l’eventuale indicazione di un fiduciario”), quando questi
venga a trovarsi “in una condizione di incapacità”.
42
Per il chiaro riferimento all’art. 13 Cost. della “esplicazione del potere della persona di disporre del pro-
prio corpo”, v. Corte cost. 22-10-1990, n. 471.
43
Sulla base della riserva di legge introdotta dalla Costituzione in materia di trattamenti sanitari obbliga-
tori, diversi provvedimenti legislativi hanno disciplinato, in particolare (e sempre “nel rispetto della dignità
della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione”), le problematiche connesse con le ma-
lattie mentali (L. 13.5.1978, n. 180 e L. 23.12.1978, n. 833) e con l’AIDS (L. 5.6.1990, n. 135). In relazione
alle possibili gravi conseguenze delle v a c c i n a z i o n i o b b l i g a t o r i e (oltre che delle t r a s f u s i o n i e della
somministrazione di e m o d e r i v a t i ), è stata coerentemente prevista la erogazione di un indennizzo (L.
25.2.1992, n. 210: nelle controversie concernenti l’“accertamento del diritto al beneficio sussiste la legitti-
mazione passiva del ministero della salute”, secondo Cass., sez. un., 9-6-2011, n. 12534). Il diritto all’inden-
nizzo – nei cui rapporti con l’eventuale pretesa al risarcimento del danno si ritiene operare il principio della
328 PARTE IV – SOGGETTI

persona (soprattutto ove sia fondato sulle convinzioni religiose del soggetto, costituenti,
a loro volta, espressione di una libertà fondamentale, tutelata dall’art. 19 Cost.) 44, non

compensatio lucri cum damno (X, 2.2): Cass. 30-8-2019, n. 21837 e 14-2-2019, n. 4309, nonché Cons. Stato,
sez. III, 24-6-2020, n. 4028 – è stato esteso, da Corte cost. 26-4-2012, n. 107, alle conseguenze derivanti da
vaccinazioni – al momento della relativa somministrazione – non obbligatorie (morbillo, parotite, rosolia),
in quanto comportamenti comunque sollecitati dalla collettività e finalizzati alla “protezione della salute
pubblica”. Analogamente, con riguardo alla vaccinazione antinfluenzale, Corte cost. 14-12-2017, n. 268,
quale “trattamento sanitario raccomandato”, nella prospettiva di un completamento del “‘patto di solida-
rietà’ tra individuo e collettività in tema di tutela del diritto alla salute” (“al fine della più ampia copertura
della popolazione”), nonché, in relazione alla vaccinazione contro l’epatite A, Corte cost. 23-6-2020, n.
118, a prescindere anche dal “carattere meramente regionale della campagna vaccinale (e v., applicativa-
mente, Cass. 16-3-2021, n. 7354). Nella medesima prospettiva, Cass. 25-10-2018, n. 27101, ha reputato
comunque – e, quindi, senza limiti temporali – estensibile il diritto all’indennizzo “ai soggetti danneggiati
da vaccinazione antipoliomielite” (richiamandosi a “esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute
del singolo”). In materia di vaccinazioni obbligatorie, da ultimo, è intervenuto, onde ampliarne la portata e
renderne più stringente il regime (anche sotto il profilo sanzionatorio), il D.L. 7.6.2017, n. 73, conv. con la L.
31.7.2017, n. 119. La problematica, ovviamente, ha finito con l’acquistare una notevole rilevanza in dipendenza
della situazione venutasi a determinare a seguito della diffusione del Covid-19, con l’imposizione (ai sensi del
D.L. 23.2.2020, n. 6, conv. in L. 5.3.2020, n. 13), tra l’altro, di rigorose misure di carattere sanitario, come, in
particolare, l’“utilizzo di dispositivi di protezione individuale” e l’“applicazione della misura della quarantena
con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva dif-
fusiva” (art. 12, lett. h). In dipendenza di tale situazione, alla previsione di un generalizzato obbligo vaccinale, si è
preferito il ricorso a misure di coazione indiretta, quale, in particolare quella della imposizione del c.d. green pass
per l’accesso alle attività di relazione sociale e per l’esercizio di attività professionali (IV, 2.1, nota 4). In effetti,
l’obbligo vaccinale è stato disposto solo per talune categorie professionali (come il personale sanitario, scolastico,
penitenziario e della difesa: D.L. 1.4.2021, n. 44, conv. dalla L. 28.5.2021, n. 76 e D.L. 26.11.2021, n. 172, conv.
dalla L. 21.1.2022, n. 3), nonché per gli ultracinquantenni (D.L. 7.1.2022, n. 1, conv. dalla L. 4.3.2022, n. 18).
Cons Stato, sez. III, 20-10-2021, n. 7045, ha reputato l’introduzione di un simile obbligo espressione di un eser-
cizio “ragionevole e proporzionato” della discrezionalità del legislatore, nell’ottica del “bilanciamento tra i valori
in gioco, la libera autodeterminazione del singolo, da un lato, e la necessità di preservare la salute pubblica e con
essa la salute dei soggetti più vulnerabili, dall’altro” (almeno una volta che “le risultanze statistiche evidenziano
un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile”). Con l’art. 20 D.L. 27.1.2022, n. 4, conv. dalla L.
28.3.2022, n. 25, l’indennizzo di cui alla L. 210/1992 è stato – per evitare ogni eventuale dubbio in proposito –
espressamente esteso anche al di fuori dei casi di obbligatorietà della vaccinazione.
44
E si è concluso nel senso che “deve escludersi che il diritto di autodeterminazione terapeutica del pa-
ziente incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio della vita” (Cass. 16-10-2007, n. 21748). Una
volta, insomma, verificato che il “rifiuto sia informato, autentico ed attuale”, “non c’è possibilità di disatten-
derlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico” (trattandosi di un “diritto di li-
bertà assoluto”: Cons. Stato n. 4460/2014, la cui impostazione risulta puntualmente confermata da Cons.
Stato, sez. III, 21-6-2017, n. 3058). Chiara nell’affermare “il diritto di ogni persona a rifiutare di consentire
ad un trattamento che potrebbe avere l’effetto di prolungare la sua vita” è Corte eur. dir. uomo 5-6-2015.
Fermo tale principio, Cass. 15-9-2008, n. 23676, ha precisato che “nell’ipotesi di pericolo grave ed immediato
per la vita del paziente, il dissenso del medesimo debba essere oggetto di manifestazione espressa, inequivoca,
attuale, informata”: pure con riguardo a soggetto “portatore di forti convinzioni etico-religiose (come è ap-
punto il caso dei testimoni di Geova)”, se è da escludere che ove costui “si trovi in stato di incoscienza, debba
per ciò solo subire un trattamento terapeutico contrario alla sua fede”, vi è, quindi, l’esigenza che “lo stesso
paziente rechi con sé una articolata, puntuale, espressa dichiarazione dalla quale inequivocamente emerga la
volontà di impedire la trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita”, ovvero che il suo dissenso venga con-
fermato, “all’esito della ricevuta informazione da parte dei sanitari”, da “un diverso soggetto da lui stesso in-
dicato quale rappresentante ad acta” (non essendo da reputare sufficiente, insomma, portare con sé un cartel-
lino recante la dicitura “niente sangue”). Di vera e propria “obbligazione negativa del sanitario di non ledere
la sfera giuridica vantata dal testimone di Geova”, in relazione al suo “diritto di rifiutare l’emotrasfusione”,
parla Cass. 29469/2020. La materia del r i f i u t o dei trattamenti sanitari è ora specificamente disciplinata dal-
l’art. 15-6 L. 219/2017, con cui si conferisce all’interessato, in proposito, un diritto di ampio contenuto, anche
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 329

può riguardare, però, l’integrità fisica di un altro soggetto in condizioni di incapacità,


come nell’ipotesi dei genitori che, per proprie convinzioni religiose, intendano vietare
(negando il consenso che essi dovrebbero prestare in quanto legali rappresentanti del
minore) interventi medici sui figli (il rifiuto, in tale ipotesi, già ritenuto comunque supe-
rabile attraverso l’intervento del Tribunale per i minorenni, ai sensi degli artt. 333 e 336,
viene ora preso in considerazione dall’art. 35 L. 219/2017, rimettendo la decisione, come
in ogni caso di rifiuto da parte del rappresentante legale di una persona incapace, al giu-
dice tutelare, eventualmente anche su ricorso del personale sanitario).
Al tema del rifiuto della terapia si collega strettamente quello delle cc.dd. direttive
(ovvero, con varianti lessicali non prive di significato, dichiarazioni o – secondo la
terminologia ora adottata dalla L. 219/2017 – disposizioni) anticipate di
trattamento (cui si allude correntemente con l’acronimo “DAT”, a proposito delle quali
si parla anche di testamento biologico). Si tratta di quelle esternazioni di volontà in
ordine alle possibili opzioni terapeutiche (con particolare riferimento anche all’eventuale
sospensione, in certe condizioni, delle tecniche artificiali di sostentamento), preventiva-
mente espresse per il caso in cui il soggetto si venga, successivamente, a trovare in condi-
zioni di incapacità di esprimere una propria volontà. In mancanza di una specifica disci-
plina legislativa della materia 45, la regola da osservare era sembrata quella secondo cui,
pur non essendo esse senz’altro vincolanti, il medico ne dovesse adeguatamente tenere
conto nelle sue valutazioni, da operare alla luce delle circostanze concrete 46.

con riguardo all’eventuale revoca del consenso precedentemente prestato al trattamento sanitario, con la con-
seguente interruzione (incluse – con un’opzione che ha suscitato contestazioni – “la nutrizione artificiale e
l’idratazione artificiale”). Si prevede, con riguardo ai “trattamenti sanitari necessari alla propria sopravviven-
za”, che “l’accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella sanitaria e nel fascicolo sanitario elet-
tronico” (risultando il medico, conseguentemente “tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente”, “e-
sente da responsabilità civile o penale”). Si dispone che, comunque, “il medico non ha obblighi professiona-
li”, in caso di richiesta di “trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale, o alle
buone pratiche clinico-assistenziali” (che, appunto, “il paziente non può esigere”). Con riguardo alle “situa-
zioni di emergenza o di urgenza”, devono essere assicurate comunque “le cure necessarie” (sempre, ovvia-
mente, “nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di
recepirla”: art. 17). L’art. 35, nel prevedere la competenza del rappresentante legale della persona minore (o
comunque incapace: in tale ipotesi in assenza di DAT) a rifiutare le cure proposte dal medico, rimette, ove
quest’ultimo le reputi “appropriate e necessarie”, la decisione sul contrasto di vedute al giudice tutelare.
45
Si ricordi come la materia sia stata disciplinata, in Germania nel 2009, modificando il BGB nella parte
relativa all’amministrazione di sostegno, con l’introduzione dell’istituto della “disposizione del paziente”
(Patientenverfügung: § 1901 a), consistente in una dichiarazione scritta, da parte di un soggetto capace di de-
cidere, per l’eventualità di una sua futura incapacità di determinarsi. In Italia, diversi comuni – con una prassi
di dubbia legittimità, nella carenza di una disciplina legislativa generale – avevano istituito, prima dell’inter-
vento operato con la L. 219/2017, registri in cui documentare eventuali manifestazioni di volontà in proposito.
46
Sostanzialmente nella prospettiva di quanto previsto dall’art. 9 della ricordata Convenzione di Oviedo
sui diritti dell’uomo e la biomedicina, alle “dichiarazioni anticipate di trattamento” è intitolato l’art. 38 del
codice di deontologia medica, in cui si dispone che “il medico tiene conto delle dichiarazioni anticipate di
trattamento espresse in forma scritta, sottoscritta e datata da parte della persona capace e successive a un’in-
formazione medica di cui resta traccia documentale”, verificandone la “congruenza con la condizione in atto”
e ispirando “la propria condotta al rispetto della dignità e della qualità della vita del paziente”. Con la pro-
blematica in questione si intrecciano, oltre al tema del rifiuto della terapia, quelli già accennati dell’accani-
mento terapeutico e dell’eutanasia. La Cassazione (16-10-2007, n. 21748), con una sua nota e discussa decisio-
ne, si è pronunciata (ricordando anche l’art. 1111-10 code de la santé publique francese) nel senso che “il rifiu-
to delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato con un’i-
330 PARTE IV – SOGGETTI

Ad esito di un tormentato dibattito su numerose – e tutt’altro che omogenee, anche


quanto a scelte di fondo, date le evidenti implicazioni di carattere etico e religioso – inizia-
tive parlamentari di disciplina della problematica, su di essa è intervenuta, comunque, la
L. 219/2017, concernente, appunto, oltre al “consenso informato” le “disposizioni anti-
cipate di trattamento” 47.

potesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la
morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua
il suo corso naturale”. La Corte, occupandosi del caso di un soggetto incapace per trovarsi in un c.d. stato
vegetativo permanente, era sembrata implicitamente considerare senz’altro vincolanti – nonostante le obie-
zioni da diversi punti di vista sollevate in proposito – le “dichiarazioni di volontà anticipate”, con le quali il
soggetto stesso abbia, “prima di cadere in tale condizione, allorché era nel pieno possesso delle sue facoltà
mentali, specificamente indicato quali terapie egli avrebbe desiderato ricevere e quali invece avrebbe inteso
rifiutare nel caso in cui fosse venuto a trovarsi in uno stato di incoscienza”. Risulta, in effetti, valorizzata, an-
che sulla base di taluni precedenti giurisprudenziali stranieri, la stessa “presunta volontà” del paziente, ove
costui “abbia manifestato, in forma espressa o anche attraverso i propri convincimenti, il proprio stile di vita
e i valori di riferimento, l’inaccettabilità per sé dell’idea di un corpo destinato, grazie a terapie mediche, a so-
pravvivere alla mente”: almeno “in una situazione cronica di oggettiva irreversibilità del quadro clinico di
perdita assoluta della coscienza”, “l’ordinamento dà la possibilità di far sentire la propria voce in merito alla
disattivazione di quel trattamento attraverso il rappresentante legale” (potendosi dare “corso, come estremo
gesto di rispetto dell’autonomia del malato in stato vegetativo permanente, alla richiesta, proveniente dal tu-
tore che lo rappresenta, di interruzione del trattamento medico che lo tiene artificialmente in vita”). In una
simile prospettiva (tendente a considerare decisiva pure una volontà implicitamente desumibile da compor-
tamenti tenuti dall’interessato prima del sopravvenuto stato di incoscienza, anche, quindi, in assenza di vere e
proprie disposizioni configurabili come “dichiarazioni anticipate di trattamento”: App. Milano 9-7-2008; cir-
ca l’ammissibilità della ricerca dei una “volontà presunta del paziente”, v. Corte eur. dir. uomo 5-6-2015),
non si era mancato di ritenere superati i dubbi circa la rilevanza delle direttive anticipate di trattamento, conclu-
dendosi addirittura per la “assoluta superfluità di un intervento del legislatore volto a introdurre e disciplinare il
c.d. testamento biologico”, già esistendo “il diritto sostanziale, lo strumento a mezzo del quale dare espressione
alle proprie volontà e, infine, l’istituto processuale di cui avvalersi” (Trib. Modena 13-5-2008 e 5-11-2008,
nonché, ad es., Trib. Prato 4-5-2009, sempre con riferimento alla disciplina della amministrazione di sostegno,
con riguardo alla quale Cass. 20-12-2012, n. 23707, ha precisato i limiti di rilevanza di eventuali determinazioni
dell’interessato circa i trattamenti sanitari cui venire sottoposto in caso di sua successiva incapacità: IV, 1.14).
47
Il relativo testo è stato definitivamente approvato dal Senato – in vista della ormai prossima fine della
XVII legislatura e nonostante la diffusamente avvertita opportunità di apportare ad esso almeno talune modi-
fiche – il 14.12.2017. La scelta nel senso di una decisa valorizzazione della volontà espressa, “in materia di
trattamenti sanitari”, da “persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventua-
le futura incapacità di autodeterminarsi” (“dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conse-
guenze delle sue scelte”: art. 41) risulta programmaticamente insita già nella preferenza per il riferimento
all’idea di “disposizioni”, piuttosto che a quella di “dichiarazioni”. L’impianto della disciplina finisce col ruo-
tare intorno all’indicazione (ovviamente sempre revocabile), da parte della persona interessata, di “una per-
sona di sua fiducia” (denominata, appunto, “fiduciario”), “che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni
con il medico e con le strutture sanitarie”. In effetti, è tale soggetto (“maggiorenne e capace di intendere e di
volere”, che deve accettare la nomina con la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo allegato ad esse e
che può rinunciare all’incarico) ad assicurare il rispetto della volontà dell’interessato da parte dei sanitari,
solo in accordo con lui essendo consentito al medico disattendere le DAT, “qualora esse appaiano palesemen-
te incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non
prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni
di vita” (l’essenziale funzione di un tale soggetto, in caso di sua mancanza, essendo assicurata attraverso la
prevista nomina, in ipotesi di necessità, di un amministratore di sostegno da parte del giudice tutelare). Peral-
tro, a salvaguardia dell’interessato, in caso di “conflitto tra il fiduciario e il medico”, la decisione è comunque
rimessa al giudice tutelare (art. 42-5). Circa la forma, le DAT “devono essere redatte per atto pubblico o per
scrittura autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello
stato civile del comune di residenza”. La relativa pubblicità è assicurata dall’“annotazione in apposito registro,
ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie” (secondo modalità di raccolta regolate in sede regionale nel
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 331

Sulla base di una moderna concezione di salute come benessere complessivo – an-
che, quindi, dal punto di vista psicologico – della persona 48, sono considerati senz’altro
legittimi gli interventi cui pure sia estranea una finalità strettamente terapeutica, come
quelli di chirurgia estetica (sempre, ovviamente, a condizione di un’adeguata informazio-
ne dell’interessato, da parte del medico, sui relativi possibili rischi e conseguenze). Così
anche gli interventi finalizzati alla sterilizzazione volontaria del soggetto (in passato costi-
tuente reato, ai sensi dell’art. 552 c.p., abrogato nel quadro della L. 22.5.1978, n. 194),
benché giustificati da finalità di carattere esclusivamente contraccettivo. La legge, poi,
(14.4.1982, n. 164), consentendo la rettifica dell’attribuzione di sesso nei registri dello
stato civile, ha provveduto a legittimare (sia pure con la previsione di appropriate caute-
le) gli interventi di chirurgia del transessualismo (sulla cui problematica e sui relativi svi-
luppi, v. specificamente IV, 2.12), i quali sicuramente comportano una trasformazione
anatomica permanente del soggetto 49.
Integrità fisica e salute del soggetto possono spesso essere messe in pericolo dall’atti-
vità sportiva. Essa risulta lecita solo ove il rispetto delle regole del gioco relative alla sin-
gola attività sportiva consenta di evitare l’eventualità di quelle diminuzioni permanenti, le
quali rappresentano il limite per qualsiasi assunzione, da parte del soggetto, dei rischi con-
nessi all’esercizio dell’attività stessa. Nel caso di lesioni provocate in violazione delle regole
in questione, al relativo comportamento saranno applicabili, indipendentemente dalle san-
zioni eventualmente previste dall’ordinamento sportivo, quelle penali previste per i reati
corrispondenti e il danno arrecato dovrà essere risarcito. Proprio per garantire uno svol-
gimento dell’attività sportiva – la cui utilità pare innegabile anche per lo stesso sviluppo
della persona – effettivamente rispettoso delle esigenze di tutela della salute, il legislatore
ha dettato, in materia, una disciplina molto articolata (a partire dalla L. 23.3.1981, n. 91).
c) È da tenere presente come il diritto alla salute, in quanto “fondamentale diritto del-
l’individuo” (oltre che “interesse della collettività”: art. 321 Cost.) – che si tende a ritenere
spettante anche al concepito (IV, 1.2) – trovi tutela non solo nei confronti della Stato, ma
anche nei rapporti intersoggettivi 50.

contesto della gestione elettronica dei dati sanitari, con l’inserimento delle informazioni rilevanti nella banca
dati) (art. 46-8). Importante è la previsione transitoria, secondo cui viene conservata rilevanza “ai documenti
atti ad esprimere la volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il comune di
residenza o presso un notaio” (art. 6). L’art. 1418 e 419 L. 27.12.2017, n. 205, ha previsto, in materia, l’istituzione
di una Banca dati nazionale presso il Ministero della Salute ed il D.M. 10.12.2019, n. 168, ha disciplinato –
con l’obiettivo di “assicurare la piena accessibilità” delle DAT, “sia da parte del medico che ha in cura il pa-
ziente”, “sia da parte del disponente sia da parte del fiduciario dal medesimo nominato” – le modalità di regi-
strazione delle DAT nella Banca dati nazionale. Si ricordi come, in assenza di DAT, l’art. 35 conferisca al rap-
presentante legale della persona incapace il rifiuto delle cure proposte, l’eventuale decisione in caso di contrasto
con l’opinione del medico (che le ritenga “appropriate e necessarie”) risultando rimessa al giudice tutelare.
48
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce, infatti, la salute quale “stato di completo benessere
fisico, mentale e sociale”, che “non consiste solo in un’assenza di malattia o di infermità”.
49
Nel considerare legittima la disciplina legislativa al riguardo, Corte cost. 24-5-1985, n. 161, ha sottoli-
neato che “gli atti dispositivi del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della salute, anche psichica, devono
ritenersi leciti”. Nel caso specifico, “l’intervento chirurgico e la conseguente rettificazione anagrafica riescono
a ricomporre l’equilibrio tra soma e psiche”.
50
Pare il caso di sottolineare come l’adozione dei provvedimenti finalizzati a disciplinare le relazioni coin-
volte dalla pandemia da Covid-19 (IV, 2.1, nota 4) abbia costituito occasione, in Italia come altrove, di un
vivace dibattito circa la preminenza assoluta o meno del diritto alla salute (oltre che del medesimo diritto alla
332 PARTE IV – SOGGETTI

Sotto il primo profilo, alla garanzia della salute (che si è visto dianzi dover essere in-
tesa in senso ampio) è finalizzata, oltre la legislazione specificamente concernente la ma-
teria della organizzazione sanitaria (onde assicurare alla generalità di cittadini – anche
“indigenti” – una adeguata assistenza sanitaria, pure in relazione alle diverse patolo-
gie) 51, quella, in particolare, di carattere ambientale, diretta a prevenire e a reprimere le
diverse attività inquinanti (parlandosi, al riguardo, pure in giurisprudenza, di un vero e
proprio diritto all’ambiente salubre, fondato sugli artt. 92 e 321 Cost.).
Quanto ai rapporti intersoggettivi, oltre che costituire oggetto di una particolare di-
sciplina con riguardo ai rapporti di lavoro ed a quelli in cui il soggetto assume la veste di
consumatore 52, il diritto alla salute trova tutela essenzialmente attraverso lo strumento
del risarcimento del danno (artt. 2043 ss.), nella configurazione che esso è venuto assu-
mendo nei tempi più recenti a garanzia dell’integrale rispetto della persona (X, 2.4). Di
particolare efficacia risulta, inoltre, la tutela di tipo inibitorio, resa più efficace dalla pos-
sibilità di anticiparne gli effetti con i provvedimenti d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c.
Di fronte ai dubbi (da reputarsi, invero, infondati) circa l’utilizzabilità di tale meccani-
smo in mancanza di una disposizione espressa in materia, non si è mancato di valorizzare
la tutela che nei confronti delle immissioni offre l’art. 844 (il quale, appunto, prevede
espressamente la tutela inibitoria: VI, 1.6). Un’ampia utilizzazione dei principi dell’art.
844 ha trovato, peraltro, ostacolo nella prospettiva tendente, in linea di principio, a rife-
rire la norma alla tutela della situazione del proprietario, onde garantirgli le utilità che il
bene è idoneo ad offrire 53. Ne è conseguito un notevole sforzo, anche da parte della giu-
risprudenza, per consentire l’utilizzazione di un simile strumento, pure attraverso l’ap-
plicazione, almeno in via analogica, della norma stessa (eventualmente congiuntamente
al rimedio rappresentato dal risarcimento del danno).
c) Il rispetto della dignità della persona giustifica anche l’attenzione che l’ordinamen-
to ha per il cadavere. Non si tratta qui di conferire una sorta di ultrattività alla tutela del-
la persona (la morte determinando la cessazione della soggettività giuridica: IV, 1.3), ma

vita), nella complessità della relativa dimensione sociale, rispetto agli altri diritti e libertà fondamentali della
persona, soprattutto alla luce dell’intangibilità del rispetto della dignità umana (IV, 2.4), quale valore destina-
to a filtrare la stessa apprezzabilità di ogni altro valore personale.
51
Di fronte alla discrezionalità della P.A. in materia, si tende tradizionalmente a considerare i soggetti
portatori di meri interessi legittimi. Ma “un diritto soggettivo assoluto e primario” si ritiene sussistere anche
nei suoi confronti, quando sia coinvolto il “nucleo essenziale” del “bene-salute” (Cass., sez. un., 1-8-2006, n.
17461). Alla valorizzazione della dignità della persona nella tutela del suo diritto alla salute, si indirizza la L.
15.3.2010, n. 38, con cui è stato garantito “l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” (significati-
vamente in modo espresso richiamata dall’art. 21 L. 219/2017).
52
Si ricordino, in relazione alla tutela del lavoratore, l’art. 9 L. 20.5.1970, n. 300, con riguardo alla tutela
del consumatore, la disciplina dettata dal D.Lgs. 6.9.2005, n. 206 (“Codice del consumo”), in tema di respon-
sabilità per danno da prodotti difettosi (artt. 114 ss.) e di sicurezza dei prodotti (artt. 102 ss.). L’art. 22 pone
significativamente, tra i “diritti dei consumatori”, al primo posto (lett. a) il diritto “alla tutela della salute” e al
secondo (lett. b) quello “alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi”.
53
Per Corte cost. 23-7-1974, n. 247, limitandosi l’art. 844 a “considerare solo l’interesse del proprietario
ad escludere ingerenze da parte del vicino sul fondo proprio”, “la norma è destinata a risolvere il conflitto tra
proprietari di fondi vicini per le influenze negative derivanti da attività svolte nei rispettivi fondi”, con esclu-
sione di ulteriori finalità, come quelle della tutela della salute e dell’ambiente, cui “è rivolto in via immediata
tutto un altro ordine di norme di natura repressiva e preventiva”, “salva in ogni caso l’applicabilità del prin-
cipio generale di cui all’art. 2043”.
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 333

di tutelare il sentimento collettivo di pietà (posto a base delle sanzioni previste, dagli artt.
407 ss. c.p., per i “delitti contro la pietà dei defunti”, che puniscono, tra l’altro, la distru-
zione, la sottrazione, l’occultamento e l’uso illegittimo di cadavere), ovvero di riconosce-
re al soggetto vivente un potere (da considerarsi inerente ad un diritto della personalità)
di determinare, con una manifestazione di volontà precisa ed univoca, la sorte delle
proprie spoglie (senza che un simile potere sia da reputare assimilabile a quello di de-
stinare i propri beni in dipendenza della morte, considerando il cadavere alla stregua
di una cosa futura) 54. Oltre che le modalità di trattamento delle spoglie (inumazione,
cremazione) 55, il soggetto potrà tradizionalmente prevedere il luogo della sepoltura
(ius eligendi sepulchrum) 56.
Un delicato problema di bilanciamento si viene a porre tra l’accennato diritto spet-
tante al soggetto di determinare la sorte delle proprie spoglie e l’interesse della collettivi-
tà ad utilizzare parti del cadavere a scopo di trapianto a vivente. Ad esito di lunghe di-
scussioni, è intervenuta la L. 1.4.1999, n. 91, la quale ha notevolmente innovato la mate-
ria, improntandone la disciplina – ai fini, appunto, di un simile bilanciamento – ad una
più decisa considerazione dei vincoli di solidarietà sociale. La legge ha, in proposito, ri-
dimensionato il ruolo della volontà del soggetto (e, soprattutto, quello in precedenza ri-
conosciuto alla volontà dei parenti), dato che per escludere il prelievo degli organi 57 ri-
sulta ora necessaria, da parte del soggetto in vita, una esplicita manifestazione di volontà
contraria all’espianto degli organi (la mancanza della dichiarazione, insomma, essendo va-
lutata dalla legge come assenso) 58. Si è anche visto come, proprio al fine di rendere pos-
sibile i trapianti, sia stato necessario un adeguamento della disciplina relativa all’accerta-
mento della morte (IV, 1.3).

54
Ai congiunti si ritiene spettare sul cadavere “un diritto privato non patrimoniale, di natura non eredita-
ria, fondato sulla consuetudine”, loro riconosciuto “in considerazione del sentimento di pietà che li lega al
defunto”: così, Cass. 5-8-2008, n. 21128, che lo reputa non configurabile in ordine ad un reperto biologico (su
cui era stata disposto l’esperimento di prove immuno-genetiche, dirette ad accertare un rapporto di filiazione
naturale dopo la morte del presunto padre).
55
La materia della cremazione e della conseguente eventuale dispersione delle ceneri (in esecuzione della
volontà al riguardo espressa dal soggetto) è stata regolata dalla L. 30.3.2001, n. 130. Per la considerazione
quale “familiare” del defunto (ai sensi dell’art. 3) – ai fini della richiesta di affidamento dell’urna contenente
le sue ceneri – del convivente (anche omosessuale), Trib. Treviso 15-12-2014.
56
Tale diritto, riferibile alla sfera morale del soggetto (quale vero e proprio diritto della personalità), è da
distinguere dallo ius inferendi in sepulchrum, consistente nel diritto (di discussa configurazione come reale:
per la “natura reale patrimoniale … suscettibile di tutela possessoria” del diritto al sepolcro, Cass. 18-1-2008,
n. 1009, nonché Cass. 20-8-2019, n. 21489) alla sepoltura nel sepolcro familiare, che compete al fondatore del
sepolcro stesso ed a tutti i suoi discendenti, in quanto membri della medesima famiglia (spettante pure alle figlie
coniugate e ai relativi discendenti, benché portanti un diverso cognome: Cass. 19-5-1995, n. 5547, che riconosce
comunque al fondatore “la facoltà di ampliare o restringere la sfera dei beneficiari del diritto”). Per la distinzione
tra lo ius sepulchri di carattere ereditario (trasmissibile, come ogni altro diritto, anche a persone non facenti parte
della famiglia) e quello – “tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio” – di carattere gentilizio o fa-
miliare (che si acquista, iure sanguinis e non iure successionis, in dipendenza del particolare rapporto col fondato-
re), Cass. 8-5-2012, n. 7000 (anche con riguardo alle relative vicende, su cui v. pure Cass. 27-9-2012, n. 16430;
con riguardo al relativo fondamento di carattere consuetudinario, Cass. 22-3-2021, n. 8020).
57
Viene, in materia, espressamente stabilito un divieto per l’encefalo, le gonadi e le manipolazioni geneti-
che degli embrioni a fini di trapianto di organi (art. 3).
58
Con la L. 10.2.2020, n. 10, è stata disciplinata, sulla base di una “dichiarazione di consenso” (ispirata al-
le previsioni della L. 219/207), la possibilità di disporre del proprio corpo o dei tessuti post mortem.
334 PARTE IV – SOGGETTI

6. Integrità morale. Onore e reputazione (e relativi limiti: cronaca, critica, sati-


ra). – Il generale rispetto dovuto alla integrità morale – non meno importante, per la
persona, dell’integrità fisica, in quanto concerne la considerazione della quale gode nella
società in cui opera e si sviluppa – costituisce lo sfondo che consente la delineazione di
una serie di profili di necessaria tutela della personalità, dai confini tra loro non sempre
ben definiti. Onore, reputazione, immagine, riservatezza, nome e identità personale val-
gono, in effetti, a comporre il complesso quadro della personalità morale del soggetto, le
esigenze di tutela delle cui varie manifestazioni sono inevitabilmente legate all’evoluzio-
ne della coscienza sociale. Significativamente, un problema di bilanciamento con interes-
si altrui, pure meritevoli di tutela sul piano dei valori costituzionali, si pone in termini in
larga misura omogenei per tutti questi aspetti della proiezione della persona sul piano
sociale, trattandosi, in sostanza, di equilibrarne la salvaguardia con la garanzia di quella
libertà di manifestazione del pensiero che, nelle sue diverse espressioni, costituisce uno
dei pilastri della democrazia (art. 211 Cost.).
L’onore e la reputazione hanno trovato tradizionalmente la loro tutela sul piano
penale, attraverso la repressione dei reati di ingiuria (art. 594 c.p.) e diffamazione (art.
595 c.p.), la dignità morale della persona risultando guardata, rispettivamente, dal punto
di vista soggettivo e oggettivo (si parla anche di onore in senso soggettivo e oggettivo), os-
sia, da una parte, quale considerazione (sentimento) che il soggetto ha di se stesso, della
propria dignità e del proprio valore sociale; dall’altra, quale considerazione (stima) di cui
il soggetto gode nella comunità nel cui contesto agisce. E si tenga presente che la tutela
penale è destinata ad operare indipendentemente dalla verità o meno dei fatti attribuiti
alla persona offesa, dovendo essere, almeno in linea di massima, l’offeso a consentire la
c.d. facoltà di prova (art. 5963, n. 3, c.p.). Peraltro, con il D.Lgs. 15.1.2016, n. 7 (attuativo
della L. 28.4.2014, n. 67), l’art. 594 c.p. è stato abrogato (artt. 1 e 41, lett. a), l’ingiuria
venendo, così, in termini comunque sostanzialmente corrispondenti a quelli della sop-
pressa previsione penale, sanzionata (solo) come un illecito civile, tale da comportare, pe-
rò, a carico del responsabile, l’assoggettamento – oltre che al “risarcimento del danno se-
condo le leggi civili” a favore dell’offeso: art. 3) – al pagamento di una “sanzione pecu-
niaria civile” (a favore dello Stato: per la cui natura, X, 1.1 e 2.1), in talune circostanze
inapplicabile (art. 42-3) o aggravata (art. 44, lett. f).
La tutela civile è affidata, in una col risarcimento del danno ai sensi degli artt. 2043
ss. (anche non patrimoniale: art. 2059), agli strumenti peculiari di tutela dei diritti della
personalità (IV, 2.3), rappresentati dall’azione inibitoria, i cui effetti possono essere anti-
cipati attraverso i provvedimenti d’urgenza, di cui all’art. 700 c.p.c., dalla pubblicazione
della sentenza, nonché, in caso di violazione avvenuta mediante i mezzi d’informazione,
dall’esercizio del diritto di rettifica. Negli anni più vicini, si è registrata una crescente uti-
lizzazione degli strumenti in questione (e, in particolare, di quello risarcitorio), eviden-
temente in conseguenza di una certa sfiducia nell’apparato sanzionatorio penale: la via
civile 59 è sembrata, in effetti, meglio prestarsi, per la sua maggiore duttilità, a soddisfare
l’esigenza della tutela dell’interesse leso 60.

59
La cui scelta è rimessa al titolare dell’interesse leso, dato che i reati dianzi accennati sono punibili solo a
querela della parte offesa: art. 597 c.p.
60
Così, già Cass. 18-10-1984, n. 5259, sulla base della constatazione della “sostanziale unitarietà dell’ille-
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 335

Proprio in conseguenza di tale preferenza per l’azionamento della tutela civilistica, la


giurisprudenza civile ha avuto modo di occuparsi diffusamente della relativa problema-
tica, affermando l’esistenza, nell’ambito della personalità umana, di un diritto alla repu-
tazione personale con fondamento costituzionale, quale diritto soggettivo perfetto, anche
al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge ordinaria 61. È stato approfon-
dito, in particolare, il controverso rapporto tra diritto alla reputazione e diritto alla riser-
vatezza (IV, 2.8), finendosi col ritenere che quest’ultimo abbia una estensione maggiore
del primo, evidentemente per assicurare una sfera più ampia ed elastica di protezione
all’intimità della vita personale in sede civile, rispetto a quella coperta dalla tutela della
reputazione (almeno quale correntemente individuata per l’applicazione della sanzione
penale) 62. Delicati problemi pone anche la linea di demarcazione del diritto alla reputa-
zione nei confronti del diritto all’identità personale (IV, 2.11): la tutela dell’identità viene
riferita essenzialmente al momento conoscitivo della proiezione sociale della personalità,
mentre quella della reputazione al momento critico del giudizio che della persona i con-
sociati sono portati a dare sulla base della rappresentazione proposta 63.
Il rispetto della sfera morale della persona, nei vari aspetti in cui si concretizza la sua tu-
tela, pone da sempre – ma ovviamente in maggiore misura con l’avvento e la diffusione de-
gli attuali mezzi di comunicazione – in primo piano, come accennato, la questione del suo
bilanciamento con le esigenze legate alla garanzia di quella fondamentale libertà di mani-
festazione del pensiero (art. 211 Cost.), cui si riconnettono, nella prospettiva della realiz-
zazione dell’interesse all’informazione (nella sua duplice prospettiva di diritto ad informare
e diritto ad essere informati) 64, in particolare, il diritto di cronaca ed il diritto di critica.
Il diritto di cronaca, espressione della libertà di stampa presidiata (ma anche delimita-
ta) dall’art. 212-6 Cost., proprio per i rischi cui espone la personalità morale dei soggetti
che coinvolge, risulta oggetto di una giustificata attenzione. La sua legittimità, quindi, qua-
le limite alla tutela dell’onore e della reputazione della persona, viene ricollegata corren-

cito”, ha evidenziato che “quando un reato è punibile solo a querela della persona offesa, nessuna norma o
principio di logica giuridica impedisce di preferire all’esercizio del diritto di querela e al conseguente eserci-
zio dell’azione penale contro l’autore dell’offesa, l’esercizio contro di lui dell’azione civile in sede civile per il
risarcimento dei soli danni conseguenti all’illecito in cui il reato medesimo si compendia”.
61
La tutela di un simile diritto viene fatta spesso operare pure per gli enti, siano essi riconosciuti come
persona giuridica o meno (IV, 2.1). In particolare, Trib. Roma 26-6-1993 ha ritenuto che “la lesione dell’o-
nore e della reputazione di un membro di partito politico può concorrere con quella arrecata al partito stes-
so”. Il diritto di una società di capitali a vedersi risarcito il danno non patrimoniale conseguente a diffama-
zione è chiaramente affermato da Cass. 3-3-2000, n. 2367.
62
Così, per Cass. 8-6-1998, n. 5658, mentre il “diritto alla riservatezza ha un’estensione maggiore del dirit-
to alla reputazione, ben configurandosi ipotesi di fatti di vita intima che, pur non influendo sulla reputazione,
devono restare riservati”, è anche vero che “il diritto all’onore ed alla reputazione è considerato generalmente
dall’ordinamento di maggiore spessore rispetto a quello della riservatezza, per cui la violazione del primo dà
sempre luogo anche ad una tutela penale”.
63
La reputazione “postula per la sua compromissione l’attribuzione di fatti suscettibili di causare un giu-
dizio di disvalore e non meramente alterativi – al limite anche in positivo – della personalità, come quelli che
incidono sulla ‘identità’” (Cass. 7-2-1996, n. 978). Si pensi, ad es., ad una illegittima levata di protesto (Cass.
31-5-2012, n. 8787) o ad una “denuncia-querela rivelatasi infondata” (considerata idonea a “ledere beni costi-
tuzionalmente tutelati, quali la dignità, l’onore e il prestigio della persona”: Cass. 17-1-2012, n. 543).
64
L’art. 111 Carta dir. fond. U.E. prevede esplicitamente che il “diritto alla libertà di espressione … in-
clude la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee”.
336 PARTE IV – SOGGETTI

temente al rispetto di talune condizioni essenziali, che ne rappresentano, a loro volta, i li-
miti invalicabili a salvaguardia della dignità della persona oggetto di attenzione (limiti del
pubblico interesse, della verità, della continenza) 65. Con riguardo ai dati personali, il relativo
trattamento nell’esercizio dell’attività giornalistica è specificamente disciplinato nel D.Lgs.
30.6.2003, n. 196 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”: IV, 2.9), il quale –
nel testo definito dalla L. 101/2018 – contempla, ai fini del trattamento con “finalità gior-
nalistiche” (art. 136), l’adozione di regole deontologiche, “che prevedono misure ed accor-
gimenti a garanzia degli interessati rapportate alla natura dei dati, in particolare per quanto
riguarda quelli relativi alla salute e alla vita o all’orientamento sessuale” (art. 139) 66.

65
Il c.d. “decalogo del giornalista” risulta con chiarezza delineato – e, successivamente costantemente ri-
badito – dalla Cassazione (18-10-1984, n. 5259, nonché, ad es., 4-9-2012, n. 14822 e 29-10-2019, n. 27592,
ovviamente con talune varianti, peraltro non sostanziali), che allude alla “1) utilità sociale dell’informazione;
2) verità (oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest’ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro
di ricerca); 3) forma ‘civile’ della esposizione dei fatti e della loro valutazione: cioè non eccedente rispetto allo
scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto
intento denigratorio”. Circa tale ultimo limite (continenza) – per il profilo del necessario interesse pubblico
all’informazione si parla anche di pertinenza – si evidenzia come l’informazione debba essere sempre “im-
prontata a leale chiarezza”, la quale manca quando il giornalista ricorra a “subdoli espedienti”, quali il “sot-
tinteso sapiente”, gli “accostamenti suggestionanti”, il “tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato
(specie nei titoli)”, le “vere e proprie insinuazioni, anche se più o meno velate”. Si precisa, così, che “il carat-
tere diffamatorio di un articolo non va valutato sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni,
ma con riferimento all’intero contesto della comunicazione, comprensiva di titoli e sottotitoli e di tutti gli altri
elementi che rendono esplicito, nell’immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significa-
to di un articolo” (pure per l’attitudine a “fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi”: Cass. 12-12-2017, n.
29640). Per la precisazione della sfuggente “esimente della verità putativa dei fatti narrati”, v., di recente,
Cass. 27592/2019 (con particolare riferimento alla necessità di indicare non solo la fonte delle informazioni,
ma anche il “contesto in cui, in quella fonte, esse erano inserite”, nonché di non sottacere “fatti collaterali
idonei a privare di senso o modificare il senso dei fatti narrati”). Al riguardo, v. anche Cass. 12-10-2020, n.
21969, che, se ritiene esonerato il giornalista da ulteriori verifiche circa “l’attendibilità della fonte informativa
nel caso in cui questa provenga dall’autorità investigativa o giudiziaria”, lo ritiene comunque tenuto ad “un
necessario aggiornamento temporale” circa “la veridicità della notizia nel momento della sua divulgazione”.
Ovviamente, sussiste “l’obbligo di risarcire il danno … non solo quando la persona diffamata sia nominata
nello scritto, ma anche quando – pur non essendo nominata – sia chiaramente ed univocamente identificabi-
le” (Cass. 28-9-2012, n. 16543). Si è sottolineato che la “presenza delle condizioni legittimanti l’esercizio del
diritto di cronaca non implica, di per sé, la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell’immagine
delle persone coinvolte” (risultando necessario “uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla cono-
scenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata”: Cass. 22-7-2015, n. 15360, nonché, da ultimo,
24-12-2020, n. 29583 e 19-2-2021, n. 4477). Comunque, il diritto di cronaca rappresenta un limite anche al
“diritto a richiedere che le notizie attinenti a vicende personali vengano rimosse dal web”, quando sussista un
“interesse pubblico ed attuale alla loro diffusione” (Trib. Roma 3-12-2015). Con la problematica del diritto
all’oblio (IV, 2.8) e con quella del trattamento dei dati personali (IV, 2.9) viene ad interferire l’esigenza del
doveroso aggiornamento “della notizia già di cronaca”, in relazione agli sviluppi successivi della relativa vi-
cenda (App. Milano 27-1-2014, secondo la fondamentale impostazione di Cass. 5-4-2012, n. 5525).
66
L’art. 1373, in relazione ai limiti del diritto di cronaca (a tutela dei diritti sanciti dall’art. 1, secondo cui
il trattamento dei dati personali deve avvenire “nel rispetto della dignità umana, dei diritti e delle libertà fon-
damentali della persona”), allude, in particolare, a “quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti
di interesse pubblico”. Si tenga presente che, ai sensi dell’art. 2 quater4, “il rispetto delle disposizioni conte-
nute nelle regole deontologiche … costituisce condizione essenziale per la liceità e la correttezza del tratta-
mento dei dati personali” (IV, 2.9). Per Cass. 18006/2018, “il trattamento dei dati personali con finalità gior-
nalistiche”, se “può essere effettuato anche senza il consenso dell’interessato”, deve pur sempre osservare
“modalità che garantiscano il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, della dignità dell’interessato, del
diritto all’identità personale”.
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 337

Con il diritto di cronaca è inevitabilmente destinato a confrontarsi il diritto di critica.


Esso, in quanto finalizzato, per definizione, alla valutazione (in chiave necessariamente
soggettiva) di fatti ed opinioni altrui, risulta svincolato, almeno in certa misura, dai più
rigorosi limiti caratterizzanti il diritto di cronaca (soprattutto con riferimento a quello
della continenza, concernente il modo civile della manifestazione del pensiero), con una
indubbiamente più intensa potenziale compromissione della reputazione altrui 67. Per
sua natura contraddistinto da una peculiare asprezza di toni viene, poi, considerato l’e-
sercizio del diritto di critica nel campo della politica, con conseguente tolleranza di ester-
nazioni di particolare durezza 68.
Tendono, ormai, ad essere riconosciute caratteristiche peculiari al diritto di satira, in
quanto espressione, pur nel suo indiscutibile intreccio con le esigenze della cronaca e della
critica politica, della libertà della creazione artistica (che trova, a sua volta, il proprio fon-
damento nell’art. 331 Cost.) 69. Ad esso, in quanto solo marginalmente connesso col diritto
all’informazione (e non assoggettabile, quindi, ai relativi limiti), si ritengono inapplicabili
gli usuali criteri di valutazione concernenti la correttezza dell’espressione, essendo la satira
dichiaratamente finalizzata all’irrisione del personaggio noto preso di mira. Un limite inva-
licabile risulta comunque quello del rispetto dei valori fondamentali della persona 70.

67
Secondo Cass. 14-1-1999, n. 334, anche se, indubbiamente, il diritto di critica assume una “maggiore
estensione rispetto al diritto di cronaca”, esso non si sottrae, comunque, all’esigenza di un “equo contempe-
ramento tra l’interesse pubblico e il diritto all’onore e alla reputazione”. Tale bilanciamento (cui allude anche
Cass. 10690/2008, accomunando nella relativa esigenza diritto di cronaca e di critica), per Cass. 25-7-2000, n.
9746 (e v. anche Cass. 28-2-2017, n. 5005), resta legato alla “pertinenza della critica di cui si tratta all’in-
teresse pubblico”, cioè all’“interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica …
ma di quella interpretazione del fatto”: non potendosi, comunque, travalicare “in una aggressione gratuita e
distruttiva del soggetto interessato” (Cass. 19-7-2016, n. 14694). Così anche Cass. 31-1-2018, n. 2357, che
sembra, peraltro, avvicinare molto le condizioni di legittimità richieste per il diritto di critica a quelle, dianzi
accennate, concernenti il diritto di cronaca. Ad una esigenza di “verità, sia pure ragionevolmente putativa”,
senza “la completezza richiesta quando si esercita, a scopo informativo, il diritto di cronaca”, allude Cass.
7-6-2018, n. 14727.
68
Posto che l’accertamento giudiziale “non può tradursi in una valutazione di merito dei giudizi politici
espressi” (anche se “in modo astrattamente offensivo e sgradito alla persona cui si riferisce”: Trib. Milano
26-8-2008), l’esercizio della critica politica, per Cass. 27-6-2000, n. 8733, “pur potendo sopportare toni aspri e
di disapprovazione, non può trasmodare nell’attacco personale e nella pura contumelia, con lesione del dirit-
to di altri all’integrità morale”. Circa il “consentito ricorso”, nel caso di critica politica, “a toni aspri e di di-
sapprovazione più pungenti e incisivi”, v. pure Cass. 5005/2017.
69
Problemi peculiari, proprio per l’intreccio tra esigenze di critica, di libertà della creazione artistica e di
tutela della sfera morale delle persone coinvolte, pone l’opera cinematografica e, in particolare, la fiction che
trae spunto da eventi reali. Trib. Roma 2-2-1994 ha avuto modo di precisare che “la possibilità di ampia rie-
laborazione e valutazione di vicende che abbiano avuto risalto nell’opinione pubblica”, da riconoscere “all’opera
cinematografica, costituente il frutto dell’attività creativa ed artistica”, “non può peraltro comportare la com-
pressione dell’altrui diritto costituzionalmente garantito all’onore ed alla reputazione”. Così, pure con riguardo
all’opera cinematografica, Cass. 19-6-2019, n. 16506, ha evidenziato come l’eventuale relativo (prevalente) carat-
tere realistico-informativo imponga una valutazione complessiva della verità putativa, alla luce “dell’uso di espe-
dienti stilistici, che possano trasmettere agli spettatori, anche al di là di una formale – ed apparente – correttezza
espositiva, connotazioni negative sulle persone e sul ruolo rivestito da loro in una più ampia vicenda”.
70
Non può, come sottolinea la Cassazione penale (20-10-1999), l’esercizio del diritto di satira esporre la
persona al “disprezzo”, alla luce del necessario rispetto di “un principio di coerenza tra dimensione pubblica
del personaggio e contenuto artistico dell’espressione”. Il diritto in questione, insomma, se pure inevitabil-
mente destinato “a prevalere sul configgente diritto all’onore e alla riservatezza del soggetto preso di mira,
non può trasformarsi in diritto del libero insulto … calpestando quel minimo di dignità che la persona umana
338 PARTE IV – SOGGETTI

7. Immagine e corrispondenza. – L’immagine costituisce, col nome, un aspetto


della personalità espressamente preso in considerazione già dal codice civile vigente (art.
10). La relativa tutela ha assunto, di conseguenza, una rilevanza notevole ai fini della de-
lineazione, in generale, della categoria dei diritti della personalità, costituendone quasi il
prototipo (pure sotto il profilo dell’elaborazione dei relativi strumenti di protezione). In
effetti, proprio dal suo esplicito riconoscimento ci si è mossi, nel nuovo contesto caratte-
rizzato dalla garanzia costituzionale globale dei diritti fondamentali della persona (art. 2
Cost.), per apprestare tutela a profili della personalità che ne erano ancora privi: in par-
ticolare ricostruendo, in quella prospettiva più complessiva della tutela dell’intimità e del
riserbo del soggetto di cui indubbiamente l’immagine costituisce specifica manifestazio-
ne, il diritto alla riservatezza.
Col diritto all’immagine viene tutelato l’interesse del soggetto ad esprimere il consenso
alla diffusione del proprio ritratto, al di fuori dei casi in cui prevalgano esigenze di caratte-
re generale e sociale alla relativa conoscenza. Esso salvaguarda un aspetto dell’intimità del-
la vita privata, al contempo valendo ad assicurare il rispetto dell’identità sociale della per-
sona, ovviamente sempre nel quadro della più generale garanzia della sua sfera morale. Il
diritto all’immagine, da tale ultimo punto di vista, nell’originario disegno codicistico, si
ricollegava strettamente al diritto sulla propria corrispondenza (art. 93 L. 22.4.1941, n. 633,
concernente la protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) ed
al diritto morale d’autore (come diritto a rivendicare la paternità dell’opera, opponendosi
anche ad ogni relativa modificazione pregiudizievole per il proprio onore e la propria re-
putazione: artt. 25772 e 20 L. 633/1941: VI, 1.10), trovando appunto disciplina, oltre che
nell’art. 10 del codice civile, negli artt. 96 e 97 della stessa L. 633/1941.
L’art. 10 vieta l’abuso dell’immagine altrui, attribuendo all’interessato la possibilità di
chiederne la cessazione, salvo il risarcimento del danno 71. Il principio fondamentale in
materia è quello secondo cui il ritratto della persona non può essere divulgato senza il
suo consenso (art. 96 L. 633/1941). Non solo il consenso è reputato sempre revocabile (in
tal caso ponendosi, al più, un problema di risarcimento dei danni conseguentemente sof-

reclama” (Trib. Trento 15-1-1999). La sottrazione della “satira, a differenza del diritto di cronaca, al parame-
tro della veridicità”, può giustificare espressioni “anche lesive della reputazione altrui, purché … non si
risolvano in aggressioni gratuite e distruttive dell’onore e della reputazione del soggetto interessato” (Cass.
28-11-2008, n. 28411; “espressioni”, comunque, sempre “strumentalmente collegate alla manifestazione di un
dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento preso di mira”: Cass. 20-3-2018, n. 6919). Peraltro, “ne
ricorre l’esercizio solo se il fatto è espresso in modo apertamente difforme dalla realtà, sicché possa apprezzarse-
ne subito l’inverosimiglianza e il carattere iperbolico” (Cass. 14822/2012). Il limite della continenza, così, è sta-
to da Cass. 7-11-2000, n. 14485, ritenuto superato, anche nei confronti di un personaggio noto, “quando nel-
lo scritto vengano poste in dileggio le fattezze fisiche e le qualità strettamente personali, senza alcun nesso col
contenuto ‘politico’ dello scritto”. Circa le condizioni di ricorrenza del “diritto di critica nella forma della
satira”, v. Cass. pen., sez. V, 22-7-2019, n. 32862 (in particolare, con riguardo al limite della continenza, nel
caso di specie in relazione ai rappresentanti di una minoranza etnica).
71
Si sottolinea come “la tutela dell’immagine della persona fisica possa estendersi a ricomprendere anche
elementi come … l’abbigliamento, ornamenti, trucco ed altro che per la loro peculiarità richiamino in va im-
mediata nella percezione dello spettatore proprio quel personaggio al quale tali elementi siano ormai indisso-
lubilmente legati” (Trib. Milano 21-5-2015, sulla scia, ad es., di Pret. Roma 18-4-1984). Sotto un diverso (ma
speculare) profilo, è stata reputata illecita, in quanto lesiva dell’immagine della persona ritratta (quale da lei
stessa volutamente offerta al pubblico anche “tramite dei segni permanenti” impressi sul proprio corpo), “la
riproduzione fotografica delle sembianze con la soppressione digitale dei tatuaggi” (Trib. Milano 6-6-2018).
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 339

ferti da chi sia stato autorizzato all’utilizzazione del ritratto), ma la sua efficacia è da con-
siderare ristretta al tempo, all’ambito spaziale, allo scopo, alle forme e alle modalità della
diffusione consentita 72.
Proprio perché il diritto all’immagine protegge il riserbo della persona e la sua proie-
zione sociale, i casi in cui l’art. 97 L. 633/1941 autorizza la diffusione dell’immagine sen-
za il consenso del soggetto interessato, comportando una limitazione alla tutela delle ma-
nifestazioni della sua personalità giustificata dalla prevalenza di un interesse pubblico
(consistente nel diritto di informare e di essere informati), sono da considerarsi tassativi
e devono essere interpretati in modo restrittivo 73.
Innanzitutto, la riproduzione e diffusione dell’immagine può avvenire a prescindere
dal consenso della persona ritrattata se giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico
ricoperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali. A
non pochi problemi ha dato luogo, in particolare, la giustificazione fondata sulla notorie-
tà della persona e sull’ufficio ricoperto. Opera, al riguardo, il limite di carattere generale
posto alla diffusione dell’immagine senza il consenso dell’interessato, costituito dal pre-
giudizio che ne possa derivare all’onore, al decoro ed alla reputazione della persona. La
notorietà, inoltre, si ritiene poter essere invocata solo con riferimento all’ambito territo-
riale in cui essa esiste ed in connessione con l’attività o le circostanze cui si ricollega la
notorietà stessa (solo entro tali limiti, infatti, prevale l’interesse pubblico alla conoscenza
dell’immagine, come elemento di una più completa informazione). La notorietà, comun-
que, non giustifica una diffusione dell’immagine fatta per sfruttarla a (mero o prevalen-
te) scopo di lucro (in particolare, attraverso la commercializzazione di oggetti riprodu-
centi le fattezze di personaggi noti), tale dovendosi intendere anche l’utilizzazione del-
l’immagine a fini pubblicitari 74.

72
Secondo Trib. Roma 7-10-1988, “l’efficacia del consenso, poiché si verte in tema di diritti della perso-
nalità, deve essere contenuta nei rigorosi limiti soggettivi ed oggettivi in cui il consenso venne dato” (si è
escluso, così, che il consenso dato da un’attrice all’inizio della propria carriera alla diffusione di sue fotografie
in cui era ritratta nuda possa ritenersi legittimare la divulgazione delle medesime a distanza di molti anni,
quando, cioè, non trovi più corrispondenza nell’evoluzione della sua personalità nella società). Una illiceità
della pubblicazione dell’immagine per violazione delle “modalità di divulgazione, cui il titolare del diritto al-
l’immagine ha subordinato il proprio consenso alla pubblicazione medesima”, è stata ipotizzata per non esse-
re essa avvenuta (come avuto di mira dalla “nota attrice” interessata ritratta “parzialmente nuda”) “su riviste
di prestigio internazionale” (Cass. 1-9-2008, n. 21995).
73
Alla luce del carattere “di stretta interpretazione” di tali casi, Cass. 28-3-1990, n. 2527, nega la necessa-
ria ricorrenza di un interesse pubblico, “ove siano pubblicate immagini di una persona tratte da un film e la
pubblicazione avvenga in un contesto (nella specie, rivista mensile Playmen), diverso da quello proprio del-
l’opera cinematografica e della sua commercializzazione”. Cass. 11-5-2010, n. 11353, nega la ricorrenza di
“scopi didattici o culturali” nella “pubblicazione dell’immagine di un ex allievo di una scuola di danza nella
locandina promozionale di uno spettacolo a pagamento della stessa scuola”.
74
Come è stato chiarito da Trib. Roma 11-6-1991, in relazione all’utilizzazione delle immagini di persone no-
te per la promozione delle vendite di un quotidiano, “il fine della pubblicità è preminentemente se non esclusi-
vamente scopo di lucro, in quanto diretto ad incrementare la vendita di un ‘prodotto’ rispetto a prodotti concor-
renti”. Evidenziato che la divulgazione dell’immagine senza il consenso dell’interessato è “lecita soltanto se ed in
quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione e non anche ove sia rivolta a fini pubblicitari” (Cass.
13-4-2007, n. 8838, Cass. 19-7-2018, n. 19311), si è precisato, peraltro, che “il consenso all’utilizzazione com-
merciale della propria immagine può essere anche tacito” (Cass. 16-5-2006, n. 11491). Cass. 27-11-2015, n.
24221 reputa senz’altro sussistere “lo sfruttamento commerciale o pubblicitario”, quando “il personaggio appaia
come involontario testimonial del prodotto reclamizzato”.
340 PARTE IV – SOGGETTI

La riproduzione può, poi, avvenire liberamente, ove collegata a fatti, avvenimenti, ce-
rimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. È assolutamente pacifico che vi debba
essere sempre, però, un collegamento funzionale tra la divulgazione dell’immagine e l’e-
vento (e ciò soprattutto ove si tratti di avvenimenti lontani nel tempo, in relazione ai
quali sicuramente meritevole di considerazione è anche l’interesse del soggetto all’oblio) 75.
Si tende fondatamente a dubitare che ad operare la c.d. contestualizzazione dell’imma-
gine possa essere sufficiente la sola didascalia.
Ricollegandosi, come accennato, la tutela dell’immagine della persona alle più gene-
rali esigenze di salvaguardia della sua intimità e di rispetto della sua identità sociale, l’in-
vocazione dell’illegittimità della sua diffusione senza il relativo consenso risulta spesso
operabile congiuntamente alla lesione del diritto alla riservatezza e del diritto all’identità
personale 76. L’abuso dell’immagine può avvenire anche attraverso il ricorso ad un sosia, i
cui atteggiamenti potrebbero prestarsi proprio a ledere l’identità personale del soggetto 77.
L’art. 10 prevede che anche i prossimi congiunti (coniuge, figli, genitori) possano in-
vocare la tutela del diritto all’immagine: oltre ad operare esigenze di solidarietà familiare,
il congiunto sembra essere qui ammesso a far valere un proprio interesse di carattere mo-
rale, ove ne ritenga avvenuta la lesione a seguito della pubblicazione. Dopo la morte del-
la persona ritrattata, i prossimi congiunti sono ammessi a far valere la tutela del diritto
alla sua immagine (art. 962 L. 633/1941).
Si tenga presente come si parli spesso semplicemente di diritto all’immagine (e di re-
lativa lesione) anche con riguardo alla tutela concernente non la rappresentazione delle
sembianze fisiche della persona, ma la considerazione dalla stessa (anche ove si tratti di
ente) goduta nell’ambiente in cui opera (immagine, quindi, intesa in senso sociale), in
una prospettiva, insomma, propria del diritto alla reputazione personale (IV, 2.6) e del
diritto all’identità personale (IV, 2.11) 78.
Tale ultima regola vale pure in materia di diritti relativi alla corrispondenza. Anche il
peculiare regime che gli artt. 93 ss. L. 633/1941 prevedono per la divulgazione della cono-

75
La legittimità della diffusione dell’immagine resta legata alla sussistenza di “un nesso di pertinenzialità
rispetto all’evento” (Trib. Roma 12-3-2004). Significativa è la vicenda relativa ad un tifoso la cui immagine,
ripresa durante una partita di calcio, era stata, per il suo carattere curioso, utilizzata durante sei anni nella
sigla di apertura della rubrica “90° minuto”: Cass. 15-3-1986, n. 1763, nega l’applicabilità dell’art. 97, sottoli-
neando che la “necessità sociale di informazione … deve non semplicemente sussistere al momento di fissa-
zione dell’immagine, ma seguire tutto l’arco temporale di divulgazione di essa, connotando tutti i successivi
episodi di riproduzione”. Per l’illegittimità della diffusione, in un videoclip musicale, dell’immagine di una
persona che si trovava a passare sul relativo set (in assenza del suo consenso), Cass. 25-11-2021, n. 36754.
76
La pubblicazione non autorizzata della fotografia di una persona è stata (da App. Milano 21-5-2002) repu-
tata “lesiva non solo del suo diritto all’immagine, ma anche del suo diritto all’identità personale, ove possa in-
durre il pubblico a credere che il soggetto ripreso abbia aderito ai valori espressi nella pubblicazione” (l’im-
magine di una conduttrice televisiva era stata riprodotta, senza il suo consenso, sulla copertina di una rivista
pornografica).
77
Trib. Roma 28-2-1992, così, ha ritenuto costituire, da una parte, “lesione del diritto all’immagine” di
una nota attrice la pubblicazione di fotografie di sosia, “con modalità tali da ingenerare in un lettore di media
avvedutezza l’erroneo convincimento che la persona effigiata sia l’attrice in questione”; dall’altra, “lesione del
diritto all’identità personale la pubblicazione delle fotografie di sosia di una nota attrice in atteggiamenti con-
trastanti con l’immagine professionale dell’interessata”.
78
Si pensi, al riguardo, al “danno all’immagine” di un noto calciatore, cui si riferisce (per la “risonanza
mediatica” dei controlli – considerati illeciti – su alcuni suoi comportamenti) App. Milano 22-7-2015, o al-
l’allusione di Trib. Bologna 18-11-2014, alla lesione arrecata alla “immagine dello Stato”.
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 341

scenza della corrispondenza costituisce una forma di tutela della intimità della vita privata
della persona, che manifesta, per tale via, in modo particolarmente immediato la propria
personalità. In effetti, è proprio quando le corrispondenze epistolari (e altri scritti simili)
abbiano carattere confidenziale o si riferiscano all’intimità della vita privata che la relativa
divulgazione richiede il consenso dell’autore e quello del destinatario 79. Non a caso, la ne-
cessità di un simile consenso risulta superata ove la conoscenza dello scritto sia richiesta
per scopi di giustizia o per esigenze di difesa dell’onore o della reputazione personale o
familiare 80.
Circa la tutela del diritto all’immagine, l’art. 10 prospetta (con l’art. 7 in tema di di-
ritto al nome) il modello di tutela dei diritti della personalità, poi applicato per la prote-
zione degli aspetti della personalità che si è inteso successivamente garantire: ciò in
quanto combina lo strumento inibitorio e quello risarcitorio (IV, 2.3).

8. Riservatezza. – L’esigenza di porre la sfera privata del soggetto al riparo dalle in-
gerenze altrui è stata avvertita in modo crescente, in dipendenza dello sviluppo dei mezzi
di comunicazione di massa e, in tempi più recenti, degli strumenti informatici. Anche
sulla base di esperienze straniere, così, la relativa tutela ha avuto modo di esprimersi nel-
la delineazione del diritto alla riservatezza e, in una prospettiva di più generale salva-
guardia della persona di fronte all’utilizzazione dei suoi dati personali, nella disciplina
del trattamento di questi ultimi.
Il riconoscimento del diritto alla riservatezza ha inteso garantire in modo comprensivo
l’intangibilità della intimità della vita privata della persona, la quale, in ultima analisi, solo
col rispetto di un sufficiente riserbo su situazioni, comportamenti e vicende che la riguar-
dano può riuscire a svilupparsi in piena libertà e senza intollerabili condizionamenti 81. Si
tratta, quindi, di un aspetto essenziale di quella tutela complessiva della persona e delle sue
potenzialità di sviluppo, che trova nell’art. 2 Cost. un decisivo punto di riferimento, tale da
consentirne il costante adeguamento all’evoluzione della coscienza sociale. È la valorizza-
zione del quadro costituzionale – e, in particolare, oltre che dell’art. 2, soprattutto dell’art.
3 Cost. 82 – ad aver consentito di argomentare dai numerosi dati legislativi che attengono
alla garanzia del riserbo personale e familiare 83, anche alla luce dei più risalenti ed espliciti

79
La necessità del consenso di entrambi è ribadita da Trib. Milano 27-6-2007, che applica il principio ai
messaggi di posta elettronica – reputati costituire “corrispondenza privata” – inviati a una mailing list, non
considerando “sufficiente il consenso di uno dei destinatari per la divulgazione delle e-mail ricevute”.
80
Una particolarmente energica affermazione del carattere riservato della corrispondenza epistolare priva-
ta di natura confidenziale – in senso contrario, quindi, “all’applicazione analogica di disposizioni limitative
dettate per altre ipotesi, come l’art. 97 l.d.a.” – è in Trib. Roma 22-5-2018.
81
L’esigenza in questione è stata espressa in termini evocativi, già in tempi alquanto risalenti, in altri am-
bienti, parlandosi di right to be let alone e, più in generale, di right to privacy. Fondamentale è la garanzia di
“quello spazio vitale che circonda la persona e senza il quale questa non può esistere e svilupparsi in armonia
con i postulati della dignità umana” (Corte cost. 23-7-1991, n. 366).
82
Come ha sottolineato Cass. 27-5-1975, n. 2129, riconoscendo l’art. 3 Cost. “la dignità sociale del citta-
dino, si rende necessaria una sfera di autonomia che garantisca tale dignità”: “nei limiti di fatto della libertà
ed eguaglianza dei cittadini” rientrano anche “quelle menomazioni cagionate dalle indebite ingerenze altrui
nella sfera di autonomia di ogni persona” (assicurata pure dal principio della inviolabilità della libertà perso-
nale, di cui all’art. 13 Cost.).
83
Richiamate sono state, in particolare, norme del codice civile che tutelano contro l’invadenza altrui (come
342 PARTE IV – SOGGETTI

riconoscimenti a livello sopranazionale 84, l’esistenza pure nel nostro ordinamento di un


vero e proprio diritto alla riservatezza.
Secondo la definizione riuscita prevalente (e consolidatasi) in giurisprudenza, tale di-
ritto concerne la tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le
quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un inte-
resse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi le-
citi, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l’onore, la reputazione o
il decoro, non siano giustificate da interessi pubblici preminenti 85.
Tale diritto, come si è visto per la tutela dei diversi aspetti della personalità morale del
soggetto (IV, 3.6-7), trova un limite nel suo necessario bilanciamento col diritto di infor-
mare e di essere informati, radicato nel principio di rango costituzionale della libertà di
manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) 86. Valgono, quindi, le stesse considerazioni
svolte a proposito della tutela dell’onore e della reputazione, nonché dell’immagine, il
cui modello è stato tenuto largamente presente nella ricostruzione della figura in esame,
dei suoi possibili limiti e degli strumenti utilizzabili per la sua tutela, anche per la fre-
quente interferenza tra le relative problematiche (azione inibitoria, provvedimenti d’ur-
genza, eventuale risarcimento del danno: IV, 2.3) 87.
Ciò pure per quanto concerne l’avvertita esigenza del rispetto del diritto all’oblio,
una volta che il trascorrere di un tempo adeguato debba reputarsi aver fatto venire meno
ogni effettivo interesse pubblico alla conoscenza di situazioni e vicende 88.

quelle in materia di immagine e di nome: artt. 10 e 6 ss.), norme di carattere penale contro intrusioni nella
vita privata (violazione del domicilio o della segretezza della corrispondenza – artt. 614 e 616 c.p. – e interfe-
renze illecite nella vita privata con strumenti di ripresa visiva o sonora: art. 615 bis c.p., introdotto con la L.
8.4.1974, n. 98), norme a garanzia del lavoratore (divieto di indagini sulle opinioni e limiti alle indagini sul
corpo del lavoratore: L. 20.5.1970, n. 300).
84
Peculiare rilevanza è stata riconosciuta all’art. 8 della Conv. eur. dir. uomo, secondo cui “ogni persona ha
diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”. Al necessario
“rispetto della vita privata e della vita familiare” è dedicato l’art. 7 Carta dir. fond. U.E. Esplicita è la previsione,
introdotta nel 1970, dell’art. 9 code civil, per il quale “ciascuno ha diritto al rispetto della sua vita privata”.
85
È questa la nota definizione offerta da Cass. 27-5-1975, n. 2129, la quale sottolinea anche che “il diritto
stesso non può essere negato ad alcune categorie di persone, solo in considerazione della loro notorietà, salvo
che un reale interesse sociale all’informazione od altre esigenze pubbliche lo esigano”. Più di recente, Cass.
25-3-2003, n. 4366, ha evidenziato che “il diritto alla riservatezza, consistente nella tutela di situazioni e vi-
cende personali e familiari dalla curiosità e dalla conoscenza pubblica, può essere leso sia con riguardo alla
persona nota, sia rispetto a chi sia sconosciuto al pubblico”.
86
Una più intensa tutela del diritto alla riservatezza viene delineata (Cass. 5-9-2006, n. 19069) a favore del
minore, essendo esso, in tal caso, “nel bilanciamento degli opposti valori costituzionali (diritto di cronaca e
diritto alla privacy), considerato assolutamente preminente”.
87
Un accurato elenco degli elementi da considerare ai fini risarcitori – con riferimento ad una vicenda
concernente un noto calciatore – è quello di App. Milano 22-7-2015, ove si sottolinea che, in proposito, “ap-
paiono di primario rilievo gli aspetti concernenti la maggiore o minore penetrazione della sfera privata, la
maggiore o minore diffusione delle notizie apprese”.
88
Si tratta, secondo Cass. 9-4-1998, n. 3679, di “un nuovo profilo del diritto di riservatezza”, da intendere
come “giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca
al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulga-
ta”. Sviluppando tale prospettiva pure in caso di memorizzazione nella rete Internet, Cass. 5-4-2012, n. 5525,
ha affermato la sussistenza di un diritto “alla verità della propria immagine nel momento storico attuale”, con
la necessità di garantire “la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia già di cronaca”, anche attra-
verso “la predisposizione di sistema idoneo a segnalare la sussistenza di un seguito e di uno sviluppo della
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 343

9. Trattamento e protezione dei dati personali. – All’esigenza di rispetto della riser-


vatezza aveva fatto significativamente riferimento il legislatore già nell’art. 1 L. 31.12.1996,
n. 675, relativa al trattamento dei dati personali, successivamente confluita nel D.Lgs.
30.6.2003, n. 196 (“Codice in materia dei dati personali”: c.d. “codice privacy”). La di-
sciplina di tale materia risulta ora radicalmente innovata, a seguito dell’emanazione del
Regolamento U.E. 2016/679 (General Data Protection Regulation: GDPR), del 27.4.2016
(applicabile dal 25.5.2018), per l’adeguamento al quale – anche in considerazione degli
spazi di manovra consentiti dal GDPR agli Stati membri – il testo del D.Lgs. 196/2003 è
stato ampiamente modificato col D.Lgs. 10.8.2018, n. 101. Così, il nostro ordinamento
ha fatto propria – nella prospettiva sopranazionale inevitabilmente destinata a caratteriz-
zare la materia – l’esigenza di essere dotato di un efficiente strumento di tutela del diritto
alla protezione dei dati personali, quale autonomamente contemplato dall’art. 8 Carta
dir. fond. U.E. 89. La disciplina risulta espressamente indirizzata ad assicurare che il
“trattamento dei dati personali” avvenga “nel rispetto della dignità umana, dei diritti e
delle libertà fondamentali” (art. 1 D.Lgs. 196/2003, in relazione all’art. 1 GDPR, che si

notizia, e quale esso sia stato” (nel caso di specie, il proscioglimento del soggetto cui si riferiva la notizia di un
arresto per corruzione). Un simile orientamento risulta coerente con le tendenze della giurisprudenza comu-
nitaria (Corte giust. U.E. 13-5-2014). Il problema del contemperamento del diritto di cronaca con le esigenze
proprie del diritto all’oblio, nel caso di notizie ormai datate, è affrontato nella prospettiva della relativa radi-
cale cancellazione da Cass. 24-6-2016, n. 13161. Al riguardo, Cass. 20-3-2018, n. 6919, nel contesto dell’e-
nunciazione dei presupposti in presenza dei quali, appunto, “il fondamentale diritto all’oblio può subire una
compressione a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca”, evidenzia, in particolare, la necessi-
tà di un “interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia”. “Violazione del diritto
all’oblio” è stata considerata la pubblicazione di notizie (peraltro, “attinte illegittimamente dagli atti di un fasci-
colo custodito nell’archivio del Csm”) relative a procedimenti disciplinari concernenti la vita privata di un
magistrato “assai risalenti nel tempo, in mancanza di interesse pubblico attuale alla conoscenza del fatto”
(Cass. pen. 7-7-2016, n. 39452). Per una rielaborazione dei rapporti “tra il diritto alla riservatezza (nella sua
particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende con-
cernenti eventi del passato”, v. Cass., sez. un., 22-7-2019, n. 19681, secondo cui il secondo prevale solo in
presenza “di un interesse pubblico, concreto ed attuale”, sussistente ove ci “si riferisca a personaggi che de-
stino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico
rivestito” (affermandosi, di conseguenza, la “prevalenza del diritto degli interessati alla riservatezza rispetto
ad avvenimenti del passato”, con riferimento ad “un omicidio avvenuto ventisette anni prima, il cui respon-
sabile aveva scontato la relativa pena detentiva, reinserendosi poi positivamente nel contesto sociale”). Per
ulteriori precisazioni circa le cautele da adottare per evitare la lesione del diritto all’oblio, v. Cass. 27-3-2020,
n. 7559, con riferimento alla tenuta dell’archivio storico digitale online di un quotidiano. In effetti, la nuova
frontiera della tutela del diritto all’oblio, in quanto collegato ai diritti alla riservatezza e all’identità personale,
ma da bilanciare col diritto della collettività all’informazione, è rappresentata dal diritto alla deindicizzazione
dai motori di ricerca, per la delineazione dei cui limiti e modalità v., estesamente, Cass. 8-2-2022, n. 3952,
21-7-2021, n. 20861, 31-5-2021, n. 15160, 19-5-2020, n. 9147. Un espresso riconoscimento dell’esistenza del
diritto all’oblio risulta ora dall’art. 17 del Regolamento U.E. 2016/679 del 27.4.2016, peraltro (e, quindi, tutto
sommato riduttivamente) nel contesto del diritto alla cancellazione dei dati personali (con un’articolata enun-
ciazione delle relative condizioni – in particolare, quella di non essere essi “più necessari rispetto alle finalità
per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati” e quella di non essere “stati trattati illecitamente” – e limi-
tazioni, tra cui di peculiare rilevanza la necessità del trattamento “per l’esercizio del diritto alla libertà di
espressione e di informazione”).
89
Secondo cui “ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano”
(art. 81) e “tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al
consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il
diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica” (art. 82). “Il rispetto di tali re-
gole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente” (art. 83).
344 PARTE IV – SOGGETTI

dichiara finalizzato a proteggere “i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche,


in particolare il diritto alla protezione dei dati personali”).
La disciplina in questione 90 si presenta come atta a dare una risposta, sul piano nor-
mativo, a molte delle problematiche tradizionalmente fatte rientrare nella generale tutela
della riservatezza 91. Essa, infatti, riguarda (secondo le definizioni contenute nell’art. 41
GDPR) 92 il “trattamento” (dei dati personali), inteso in senso decisamente molto
ampio (“qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di
processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la
raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adatta-
mento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso la comunicazione mediante tra-
smissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’in-
terconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione”) 93. Per “dato persona-
le”, si considera “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o
identificabile (“interessato”); si considera identificabile la persona fisica 94 che può essere
identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificati-
vo, come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identifica-
tivo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, gene-

90
Di rilevante portata si è presenta l’estensione ai motori di ricerca dei principi governanti la responsabili-
tà per il trattamento dei dati personali, con riferimento all’attività di selezione, indicizzazione, memorizzazio-
ne e messa a disposizione degli utenti di collegamenti a pagine di siti terzi (anche con riguardo all’obbligo di
deindicizzazione dei link reputati lesivi dall’interessato: Corte giust. U.E. 13-5-2013). Particolare rilievo as-
sume, in materia, la già ricordata “Dichiarazione dei diritti in Internet” (14.7.2015), nella quale, tra l’altro, si
prevede che “l’accesso a Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo sviluppo indi-
viduale e sociale” (art. 21), statuendosi anche il principio della c.d. “neutralità della rete” (art. 4). Circa l’ac-
cesso alla rete, v. ora il Regolamento U.E. 2015/2120, del 25.11.2015, concernente “misure riguardanti l’ac-
cesso a un’Internet aperta”.
91
La stessa pubblicazione dell’immagine senza il consenso della persona interessata è stata considerata, da
Trib. Roma 22-11-2002, tale da violare, oltre che la specifica disciplina in tema di diritto all’immagine, le
norme a tutela dei dati personali (con applicabilità del relativo regime risarcitorio). In termini generali, Cass.
2-9-2015, n. 17440, ritiene “l’immagine della persona dato personale rilevante ai sensi dell’art. 41”. Alla nor-
mativa in materia di protezione dei dati personali fa espressamente riferimento, ai fini del giudizio circa la
legittimità della pubblicazione su un quotidiano della foto di una persona al momento del suo arresto, Cass.
6-4-2014, n. 12834, che finisce con l’applicare i criteri caratteristici del bilanciamento tra diritto all’immagine
e diritto di cronaca (così, in particolare, la “essenzialità per illustrare il contenuto della notizia”). Si ricordi
come l’art. 851 GDPR demandi al “diritto degli Stati membri” la conciliazione della “protezione dei dati per-
sonali ai sensi del presente regolamento con il diritto alla libertà d’espressione e di informazione, incluso il
trattamento a scopi giornalistici o di espressione accademica, artistica o letteraria”.
92
L’art. 22 GDPR, peraltro, esclude dal campo di applicazione del regolamento, in particolare, i tratta-
menti dei dati personali “effettuati da una persona fisica per l’esercizio di attività esclusivamente personale o
domestico” (art. 22, lett. c, GDPR).
93
Una funzione di tutela della privacy e di protezione del consumatore dovrebbero svolgere anche gli artt.
48 ss. D.Lgs. 6.9.2005, n. 206 (ai sensi del D.Lgs. 21.2.2014, n. 21), che pongono una serie di “obblighi di
informazione” (art. 49) e di “requisiti formali per i contratti a distanza” (art. 51), prevedendo, inoltre, un det-
tagliato regime del “diritto di recesso” (artt. 53 ss.). Cass. 24-6-2014, n. 14326, reputa rientrare “nella nozione
di trattamento dei dati personali l’estrazione da un elenco telefonico di un numero di fax e il successivo utiliz-
zo del medesimo per fini commerciali” (con conseguente carattere illecito della relativa utilizzazione, “senza
aver reso la prescritta informativa al destinatario e raccolto il suo esplicito consenso”).
94
La disciplina in questione, quindi, non trova applicazione, almeno in quanto tale, agli enti di qualunque
tipo.
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 345

tica, psichica, economica, culturale, sociale” 95. Peculiari regole di cautela (art. 92-4 GDPR e
2 sexies e 2 septies D.Lgs. 196/2003) risultano stabilite, poi, per il trattamento di catego-
rie particolari di dati personali (i c.d. “dati sensibili”) 96, ossia per i “dati personali che
rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofi-
che, o l’appartenenza sindacale”, nonché per i “dati genetici, biometrici intesi a identifica-
re in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o al-
l’orientamento sessuale della persona” (art. 91 GDPR), così come per i “dati personali rela-
tivi alle condanne penali e ai reati” (art. 10 GDPR e 2 octies D.Lgs. 196/2003).
Il GDPR detta taluni “Principi” generali concernenti il trattamento dei dati personali 97.
Innanzitutto, essi devono essere “trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei
confronti dell’interessato” (“liceità, correttezza e trasparenza”) 98. Inoltre, devono essere:
“raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo
compatibile con tali finalità” (“limitazione della finalità”); “adeguati, pertinenti e limitati
a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati” (“minimizzazione dei
dati”); “esatti e, se necessario, aggiornati” (e “devono essere adottate tutte le misure ra-
gionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti rispetto alle finalità
per le quali sono trattati”: “esattezza”); “conservati in una forma che consenta l’iden-
tificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle
finalità per le quali sono trattati” (“limitazione della conservazione”); “trattati in maniera
tale da garantire un’adeguata sicurezza dei dati personali, compresa la protezione, me-
diante misure tecniche e organizzative adeguate, da trattamenti non autorizzati o illeciti e
dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentale” (“integrità e riservatezza”) (art.
51). Si precisa che “il titolare del trattamento è competente per il rispetto” dei principi
accennati (“e in grado di comprovarlo”: “responsabilizzazione”).
La chiave di volta della “liceità del trattamento” è costituita dal consenso 99, che l’in-

95
Circa l’estensione della nozione in questione, in vista dell’identificazione in via diretta o indiretta della
persona, Cass. 5-7-2018, n. 17665 (ai fini della necessità dell’informativa – di cui infra – e del consenso del-
l’interessato per la relativa utilizzazione).
96
Significativamente, è stata reputata “affetta da nullità la clausola con cui la banca ha subordinato il dar
corso alle operazioni richieste dal cliente al consenso al trattamento dei dati sensibili” (Cass. 21-10-2019, n.
26778). Si ricordi come proprio le problematiche concernenti il trattamento dei dati personali sensibili (e, in
particolare, di quelli relativi alla salute) siano state al centro del dibattito avente ad oggetto la introduzione –
sia pure “su base volontaria” e con le garanzie reputate opportune ai fini del rispetto dei principi governanti
la materia – di un “sistema di allerta COVID-19” (poi individuato, ai sensi dell’art. 6 D.L. 30.4.2020, n. 28,
nella applicazione “Immuni”), nonché all’origine delle perplessità in ordine all’imposizione del c.d. green pass
nelle attività sociali di relazione (IV, 1.1).
97
Fondamentale è la previsione dell’art. 2 decies D.Lgs. 196/2003, secondo cui “i dati personali trattati in
violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati”
(con possibili eccezioni nell’ambito di procedimenti giudiziari, secondo le “pertinenti disposizioni processua-
li”: art. 160 bis D.Lgs.).
98
Si è ritenuto, ad es., che “integra una fattispecie d’illecito trattamento dei dati personali … la pubblica-
zione, senza il consenso degli interessati, dei dati riguardanti la residenza ed il numero telefonico” (Trib. Mi-
lano 19-5-2005). Ugualmente “l’affissione nella bacheca dell’edificio condominiale, da parte dell’ammini-
stratore, dell’informazione concernente le posizioni di debito dei singoli partecipanti al condominio in ordine
all’onere di contribuzione alle spese condominiali” (Cass. 5-8-2011, n. 18279).
99
Definito come “qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell’in-
teressato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso mediante dichiarazione o azione positiva inequi-
346 PARTE IV – SOGGETTI

teressato deve avere espresso “al trattamento dei propri dati personali per una o più spe-
cifiche finalità” (art. 61 GDPR) e che il “titolare del trattamento deve essere in grado di
dimostrare” essere stato prestato (art. 71 GDPR), sempre che sia stata preventivamente (e
adeguatamente) resa allo stesso interessato la necessaria informativa (“in forma concisa,
trasparente, intellegibile e facilmente accessibile, con un linguaggio semplice e chiaro”,
“per iscritto o con altri mezzi, anche, se del caso, con mezzi elettronici”: art. 121 GDPR) 100,
relativamente ad una serie di informazioni (in particolare, tendenti ad identificare il tito-
lare del trattamento e le finalità del trattamento, differenziate a seconda che i dati siano
raccolti presso l’interessato o meno: artt. 13 e 14 GDPR) e comunicazioni 101.
Tra i diritti dell’interessato 102, paiono meritevoli di essere segnalati: il diritto di acces-
so, in forza del quale può ottenere la conferma dell’essere o meno “in corso un tratta-
mento dei dati personali che lo riguardano”, ricevendo copia dei dati oggetto di tratta-
mento con una serie di relative informazioni (come finalità, destinatari o categorie di de-
stinatari, durata della conservazione, ecc.) (art. 15 GDPR) 103; il diritto di rettifica, per cui
può ottenere, appunto, “la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano senza in-
giustificato ritardo”, anche con la relativa eventuale integrazione “fornendo una dichia-
razione integrativa” (art. 16 GDPR); il diritto all’oblio, inteso come possibilità di ottene-
re “la cancellazione dei dati personali … senza ingiustificato ritardo”, in una serie di casi

vocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento” (art. 41 GDPR). Circa il colle-
gamento tra validità del consenso e specifica chiara individuazione del trattamento, v. Cass. 2-7-2018, n.
17278, con riguardo al condizionamento di una “fornitura di un servizio al trattamento dei dati per finalità
pubblicitarie” (da parte di un gestore di sito internet per un servizio di newsletter su tematiche finanziarie).
100
È pacifico, così, che “l’istallazione di un impianto di videosorveglianza da parte di un esercizio com-
merciale, costituendo trattamento di dati personali, deve formare oggetto di previa informativa, resa ai sog-
getti interessati prima che facciano accesso nell’area videosorvegliata” (Cass. 5-7-2016, n. 13663).
101
L’art. 61 indica anche le ipotesi di liceità del trattamento a prescindere dal consenso dell’interessato, tra
cui, in particolare, la relativa necessità “per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’e-
sercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento”. La situazione del m i n o r e in relazione
alla “offerta diretta di servizi della società dell’informazione” è regolata dall’art. 81, che allude all’età minima
di 16 anni per la prestazione del relativo consenso (con possibilità, per gli Stati, di indicare un’età inferiore,
con il limite dei 13 anni) (in proposito, anche con riguardo alle misure contro il c.d. cyberbullismo, di cui alla
L. 71/2017, v. supra IV, 1.7).
102
L’art. 23 GDPR prevede la possibilità di apportare limitazioni alla portata dei diritti di seguito accen-
nati (oltre che dei principi di cui all’art. 5) – ma sempre “mediante misure legislative” e “qualora tale limita-
zione rispetti l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e sia una misura necessaria e proporzionata in
una società democratica” – per salvaguardare taluni interessi di carattere generale, quali sicurezza nazionale,
difesa, sicurezza pubblica, repressione di reati, nonché altri “importanti obiettivi di interesse pubblico gene-
rale dell’Unione o di uno Stato membro”, con riguardo, in particolare, alla “materia monetaria, di bilancio e
tributaria, di sanità pubblica e sicurezza sociale” (peraltro, con una serie di specificazioni circa i necessari
contenuti delle relative misure legislative). Proprio in tale disposizione, quindi, si tende a radicare – oltre che
in quelle concernenti la peculiare disciplina delle modalità di trattamento dei “dati sensibili”, di cui all’art. 9
GDPR, nonché 2 septies D.Lgs. 196/2003 – la legittimità dei provvedimenti adottati in occasione della pan-
demia da Covid-19.
103
È stato considerato, così, nei confronti del lavoratore dipendente sospettato di “uso indebito del com-
puter”, “illegittimo il monitoraggio del contenuto dei siti visitati, idoneo a rivelare dati sensibili” (Garante
prot. dati pers. 2-2-2006). Pure per Cass. 8-8-2013, n. 18980, illegittima è l’utilizzazione, a fini disciplinari, dei
dati (relativi alla indebita visita di “siti sindacali, di culto e pornografici”) attinti dal computer di un proprio
dipendente. Per limiti rigorosi alla possibilità, da parte del datore di lavoro, di “controllare la posta elettro-
nica e la navigazione internet dei dipendenti”, v. Garante prot. dati pers. 1-3-2007.
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 347

(tra cui in particolare, il venir meno della relativa necessità “rispetto alle finalità per cui
sono stati raccolti o altrimenti trattati”, la revoca del consenso “su cui si basa il tratta-
mento”, il carattere illecito del trattamento: art. 17 GDPR); il diritto di opposizione, in
relazione a taluni dei casi in cui il trattamento sia avvenuto a prescindere dal suo consen-
so, nonché ove il trattamento sia avvenuto “per finalità di marketing diretto” (art. 21); il
“diritto a non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento au-
tomatizzato, compresa la profilazione” (con talune eccezioni, tra cui, ovviamente, il con-
senso dello stesso interessato: art. 22 GDPR); il diritto alla sicurezza del trattamento dei da-
ti, dovendo chi tratta i dati personali mettere “in atto misure tecniche e organizzative ade-
guate per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio” (tra cui, ad esempio, “la
pseudonimizzazione e la cifratura dei dati personali”: art. 32 GDPR); il diritto alla co-
municazione di una violazione dei dati personali (con talune eccezioni: art. 34 GDPR).
Notevole rilevanza, nel contesto del nuovo sistema della tutela dei dati personali, so-
no destinati ad assumere i codici di condotta, la cui elaborazione (da parte di associa-
zioni e altri organismi rappresentanti categorie di soggetti interessati a trattare dati per-
sonali) è incoraggiata, onde “contribuire alla corretta applicazione” della normativa in
materia, “in funzione delle specificità dei vari settori di trattamento” (art. 40 GDPR, che
elenca possibili problematiche da affrontare, nonché la procedura finalizzata alla rela-
tiva definizione, con l’intervento dell’autorità di controllo). Significativamente, si preve-
de che “il rispetto delle disposizioni contenute nelle regole deontologiche costituisce con-
dizione essenziale per la liceità e la correttezza dei dati personali” (art. 2 quater4 D.Lgs.
196/2003) 104.
Il D.Lgs. 196/2003 assume una portata di rilievo in relazione al trattamento dei dati
personali in ambiti specifici, quali l’ambito giudiziario (artt. 50 ss.) 105, l’ambito pubblico
(artt. 59 ss.), l’ambito sanitario (caratterizzato, in particolare, da modalità particolari per
l’informazione dell’interessato e le prescrizioni di medicinali: artt. 75 ss.), l’ambito scola-
stico (art. 96), l’ambito lavorativo (artt. 111 ss., anche con particolare attenzione al telela-
voro, al lavoro agile ed al lavoro domestico: art. 115), il settore della fornitura di servizi di
comunicazione elettronica (con riguardo a profili delicati, quali l’identificazione della li-
nea, l’ubicazione, le chiamate di disturbo, gli elenchi dei contraenti, le comunicazioni inde-
siderate: artt. 121 ss.), l’attività giornalistica (e, in genere, di informazione e di manifesta-
zione del pensiero: artt. 136 ss., in relazione alla previsione dell’art. 85 GDPR), in rela-
zione alla quale assume particolare rilevanza la promozione, da parte del Garante, di re-
gole deontologiche (art. 139) 106.

104
Cass. 25-6-2004, n. 11864, ha sottolineato che il mancato rispetto della disciplina deontologica, in quanto
considerato dal legislatore “condizione essenziale per la liceità e la correttezza del trattamento dei dati persona-
li”, “non solo può dar luogo a provvedimenti disciplinari, ma, soprattutto, consente al garante di adottare tutta la
gamma dei provvedimenti delineati dalla legge sulla privacy”. Per la giurisprudenza (ad es., Cass. 6-6-2014, n.
12834), il codice deontologico costituisce “fonte normativa integrativa”. Circa l’applicazione anche al “blog, an-
corché gestito da persona che non esercita professionalmente l’attività giornalistica”, delle “disposizioni concer-
nenti il trattamento dei dati personali in ambito giornalistico”, v. Garante protezione dati personali 27-1-2016.
105
Circa la “domanda di oscuramento” della “indicazione delle generalità e di altri dati identificativi” del-
l’interessato (art. 52), Cass. 10-8-2021, n. 22561, precisa che essa “deve essere specificamente proposta e an-
che essere sostenuta dalla indicazione dei motivi legittimi che la giustificano”.
106
E v. l’organica delibera del Garante, in data 29.11.2018, concernente, appunto, le “regole deontologi-
che relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”. In materia di “trattamen-
348 PARTE IV – SOGGETTI

Il Garante per la protezione dei dati personali costituisce l’“autorità di con-


trollo” individuata per il nostro ordinamento (artt. 2 bis e 153 D.Lgs. 196/2003, ai sensi
dell’art. 51 GDPR) – operante “in piena indipendenza nell’esercizio dei rispettivi poteri”
(art. 52 GDPR) 107 – come preposta al funzionamento dell’intero complesso sistema della
protezione dei dati personali (con i diversi compiti e poteri – di carattere conoscitivo, auto-
rizzativo, inibitorio, decisorio e sanzionatorio – precisati negli artt. 55 ss. GDPR, nonché
154 e 154 bis D.Lgs. 196/2003). Esso è costituito (oltre che da un Ufficio) da un Collegio
(“che ne costituisce il vertice”), organo composto di quattro membri (eletti due dal Senato
e due dalla Camera dei deputati), i quali individuano, nel loro ambito, un presidente.
Sotto il profilo delle tutele, l’interessato che ritenga essere stati violati i suoi diritti
può, in via alternativa 108, proporre reclamo al Garante o ricorso dinanzi all’Autorità giu-
diziaria (art. 140 bis D.Lgs. 196/2003). La prevista possibilità del reclamo al Garante (ai
sensi degli artt. 77 GDPR e 141 ss. D.Lgs. 196/2003), insomma, non preclude all’in-
teressato l’opzione a favore del ricorso all’Autorità giudiziaria (ordinaria: art. 152 D.Lgs.
196/2003) 109. A tutela dell’interessato, è prevista l’eventuale irrogazione di sanzioni am-
ministrative pecuniarie (artt. 83 GDPR e 166 D.Lgs. 196/2003) 110, nonché di sanzioni
penali (artt. 167 ss. D.Lgs. 196/2003) 111. All’Autorità giudiziaria ordinaria può anche es-
sere anche chiesto il risarcimento dei danni e ci si riferisce espressamente al “danno ma-
teriale o immateriale” (art. 821 GDPR) 112. In tema di risarcimento dei danni cagionati per
effetto del trattamento dei dati personali, dunque, risulta senz’altro risarcibile il danno
non patrimoniale (trattandosi, insomma, di uno dei “casi determinati dalla legge”, cui
allude l’art. 2059) (X, 2.4) 113.

to dei dati personali per finalità giornalistiche”, in vista del rispetto del diritto alla riservatezza si richiama ad
un rigoroso rispetto del codice deontologico Cass. 24-12-2020, n. 29584.
107
Anche l’art. 83 Carta dir. fond. U.E. prevede che “il rispetto delle regole” in materia sia “soggetto al
controllo di un’autorità indipendente”.
108
A pena, cioè, di improponibilità del rimedio successivamente azionato (“alternatività delle forme di tutela”).
109
Al “diritto” dell’interessato di “proporre un ricorso giurisdizionale effettivo”, allude l’art. 79 GDPR.
110
Anche di notevole entità (fino a 20.000.000 di euro o, per le imprese, fino al 4% del fatturato mondia-
le, se superiore), secondo una pluralità di elementi.
111
Secondo Cass. pen. 3-2-2014, n. 5107, è da escludere la responsabilità penale – anche per “la mancanza
di un obbligo generale di sorveglianza” – dell’Internet host provider nel caso di caricamento da parte degli
utenti di materiali, solo costoro (c.d. uploaders) assumendo la qualifica di titolari del trattamento dei dati per-
sonali contenuti nei materiali caricati in rete (più rigorosa, peraltro, Cass. pen. 14-7-2016). In generale, per
una individuazione di carattere sistematico degli obblighi e responsabilità dell’hosting provider, anche sulla
base della relativa distinzione come “attivo” o “passivo”, Cass. 19-3-2019, n. 7708.
112
Il non più vigente art. 151 D.Lgs. 196/2003 richiamava testualmente, in materia, il particolare regime
di responsabilità dettato dal codice civile per l’esercizio delle attività pericolose (art. 2050: X, 1.9) e la giu-
risprudenza prevedeva taluni temperamenti in ordine al relativo regime probatorio (ad es., Cass. 26-6-2012, n.
10646 e Cass. 5-9-2014, n. 18812). L’art. 823 contempla, ora, una prova liberatoria estremamente rigorosa,
dato che chi tratta i dati personali “è esonerato dalla responsabilità” solo “se dimostra che l’evento dannoso
non gli è in alcun modo imputabile” (così da essere comunque ipotizzabile la riconduzione della fattispecie in
esame al paradigma della responsabilità oggettiva).
113
La risarcibilità anche del danno non patrimoniale è stata ammessa, già sulla base della disciplina della L.
675/1996 (corrispondente per materia a quella ricordata nel testo), ad es., da Trib. Roma 10-1-2003, per la
pubblicazione da parte di un quotidiano delle generalità e dell’indirizzo della vittima di un furto, in quanto
“dati personali privi di utilità ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca”. Ha precisato Cass. 15-7-2014,
n. 16133, che “il danno non patrimoniale risarcibile”, anche nella materia qui in esame, “non si sottrae alla
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 349

10. Nome. – Il nome, quale essenziale segno distintivo e identificativo del soggetto,
viene disciplinato, oltre che per esigenze di carattere generale e pubblicistico (un tempo
considerate prevalenti), in vista della tutela dell’interesse della persona alla propria iden-
tificazione sociale. È quest’ultima la prospettiva che emerge dall’art. 61, secondo cui quel-
lo al nome, quale attribuitogli per legge, costituisce un “diritto” del soggetto. E che si
tratti di un diritto fondamentale della persona è dimostrato dall’art. 22 Cost., il quale
prevede che nessuno, per motivi politici, può essere privato del nome (oltre che della
capacità giuridica e della cittadinanza) 114. Proprio in quanto considerato strumento di
identificazione sociale della persona 115, dalla sua garanzia ci si è mossi per la più genera-
le tutela della identità personale, attraverso il riconoscimento del relativo diritto della
personalità (IV, 2.11).
Nel nome si comprendono il prenome e il cognome (art. 62). Il prenome (spesso indi-
cato, anche legislativamente, semplicemente come nome) assume una rilevanza minore,
essendo destinato ad individuare il soggetto nel contesto del gruppo familiare. La relati-
va scelta compete ai genitori congiuntamente (in caso di mancato accordo applicandosi il
procedimento di cui all’art. 3162-3) e, in via subordinata, all’ufficiale dello stato civile (art.
294 D.P.R. 3.11.2000, n. 396, sull’ordinamento dello stato civile, che prevede, all’art. 34,
taluni limiti all’attribuzione del nome, come quello dell’imposizione del nome paterno,
di fratelli o di nomi ridicoli o vergognosi) 116. Il cognome viene acquistato in applicazione
dell’operatività di regole legali aventi riguardo al rapporto di filiazione (solo nel caso di
genitori sconosciuti è l’ufficiale dello stato civile ad imporre anche il cognome: art. 295

verifica della ‘gravità della lesione’ e della ‘serietà del danno’” (analogamente, già Cass. 8-2-2017, n. 3311).
Circa la non “automatica risarcibilità del danno”, comunque “trattandosi di un danno-conseguenza e non di
un danno-evento”, Cass. 3-7-2014, n. 15240 (e in ordine all’inammissibilità della ricorrenza di un danno in re
ipsa anche in materia di violazione dei diritti della personalità, v. IV, 2.4 e X, 2.4).
114
Il carattere fondamentale del diritto al nome risulta anche dall’art. 71 della Convenzione di New York
sui diritti del fanciullo (20-11-1989, ratificata con L. 27.5.1991, n. 176), che prevede, appunto, il suo “diritto
ad un nome” (oltre che all’acquisto di una cittadinanza). Per Corte cost. 11-5-2001, n. 120, avuto riguardo
alla portata dell’art. 2 Cost., deve ritenersi “principio consolidato nella giurisprudenza di questa corte
quello per cui il diritto al nome – inteso come primo e più immediato segno distintivo che caratterizza l’i-
dentità personale – costituisce uno dei diritti inviolabili protetti dalla menzionata norma costituzionale”.
Di uno “dei diritti fondamentali della persona, avente copertura costituzionale assoluta”, discorre senz’al-
tro Cass. 11-7-2017, n. 17139.
115
Cass. 26-5-2006, n. 12641, parla di “simbolo emblematico della identità personale di un individuo e
quindi aspetto, meritevole di protezione, della personalità umana”, traendone la conseguenza che “la tute-
la costituzionale del diritto al mantenimento del nome attribuito alla persona al momento della nascita de-
ve ritenersi assoluta”, nonostante il verificarsi delle condizioni previste dalla legge per la relativa modifica-
zione (ove, cioè, l’interessato intenda continuare ad essere con esso identificato; per tale prospettiva: Corte
cost. 3-4-1994, n. 13; 23-7-1996, n. 297; 11-5-2001, n. 120). Per la chiara delineazione dell’ottica del “cogno-
me, quale fulcro – insieme al prenome – dell’identità giuridica e sociale”, “che collega l’individuo alla forma-
zione sociale che lo accoglie tramite lo status filiationis”, v. Corte cost. 31-5-2022, n. 131 e 21-12-2016, n. 286.
116
Così, App. Genova 10-11-2007, ha reputato inammissibile l’imposizione del nome “Venerdì”, conside-
randone possibile la relativa rettifica. Invece, con riferimento all’imposizione del prenome “Andrea” ad una
neonata, Cass. 20-11-2012, n. 20385, ha ritenuto non violati gli artt. 34 e 35 (per cui “il nome imposto al
bambino deve corrispondere al sesso”), trattandosi di un prenome di “natura sessualmente neutra”, in quanto
utilizzato indifferentemente per soggetti femminili e maschili “nella maggior parte dei paesi europei ed ex-
traeuropei … e, pertanto, non produttivo di alcuna ambiguità”. L’art. 35 è stato novellato dall’art. 52 L.
10.12.2012, n. 219, precisandosi che, “nel caso siano imposti due o più nomi separati da virgola, negli estratti
e nei certificati … deve essere riportato solo il primo dei nomi”.
350 PARTE IV – SOGGETTI

D.P.R. 396/2000). Proprio per questo l’originaria “disciplina dettata in materia di ordi-
namento dello stato civile” dal D.P.R. 396/2000 è stata, ai sensi dell’art. 51 L. 10.12.2012,
n. 219, modificata per attuarne i principi. Al riguardo, si è rinviato ad un successivo re-
golamento, poi emanato con D.P.R. 30.1.2015, n. 26.
Secondo la disciplina operante fino ai più recenti interventi della Corte costituziona-
le, in caso di filiazione nel matrimonio, il figlio assume il cognome paterno sulla base di
una regola non espressa, ma immanente nel sistema e ricavabile, appunto, dal complessi-
vo sistema delle norme in materia, tutte ispirate al principio della prevalenza, appunto,
del cognome del padre: artt. 2372 (nel testo anteriore alla riforma), 2621 e 2993 c.c., 271 l.
adoz., nonché 331 D.P.R. 396/2000 (che, peraltro, concerne conseguenze dell’ormai sop-
presso istituto della legittimazione). Di tale soluzione è stata posta diffusamente in dubbio
l’opportunità, se non addirittura la legittimità costituzionale (soprattutto in relazione agli
artt. 3, 29 e 30 Cost.), in quanto considerata incompatibile con l’attuale struttura familiare
fondata sulla uguaglianza dei coniugi e sul relativo rapporto paritario con i figli (V, 2.9 e
4.9) 117. Di conseguenza, sono mancate, al riguardo, già dall’indomani della riforma del di-
ritto di famiglia del 1975, iniziative di riforma legislativa 118, tendenti ad introdurre anche

117
Corte cost. 11-2-1988, n. 176 (e v. anche Corte cost. 19-5-1988, n. 586), ha dichiarato manifestamente
inammissibile la questione di legittimità sollevata in proposito, ritenendo “questione di politica e di tecnica legi-
slativa di competenza esclusiva del conditor iuris” l’eventuale sostituzione della regola attualmente operante
(“implicita nel sistema del codice civile”), da non considerare, comunque, in contrasto con i principi costituzio-
nali. Pur convenendo che tale questione si fonda su solidi argomenti (anche alla luce dell’evoluzione in atto, in
materia, negli altri paesi e a livello sopranazionale), Corte cost. 16-2-2006, n. 61, la ha nuovamente dichiarata
inammissibile, poiché “richiede una operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte” (e Cass. 14-7-2006,
n. 16093, ha preso atto di tale conclusione, rilevando che, allo stato, l’adottato “meccanismo di automatica attri-
buzione non può essere derogato neanche dalla manifesta concorde volontà dei coniugi”, pur palesandosi, co-
munque, “non in sintonia con le fonti sopranazionali”). In vista della “esigenza di adeguare il diritto di famiglia
ai valori costituzionali”, la “crisi del principio dell’automatica attribuzione del cognome paterno” risulta, co-
munque, energicamente denunciata da Cass. 12641/2006 e Cass. 22-9-2008, n. 23934, ha auspicato l’intervento
delle sezioni unite, al fine di adottare una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme – con partico-
lare riguardo a quelle sopranazionali – in materia (ovvero di rimettere, a sua volta, la questione alla Corte costitu-
zionale), per consentire ai coniugi di decidere circa l’assunzione, da parte del figlio, del cognome materno in luo-
go di quello paterno. La pronuncia, in proposito, della Corte eur. dir. uomo (7-1-2014), con la sua conclusione
nel senso che – essendo (alla luce dei principi della CEDU, in particolare artt. 8 e 14) la “impossibilità di deroga-
re al momento della iscrizione nei registri dello stato civile” alla regola dell’attribuzione del cognome paterno,
“anche nel caso di accordo tra i coniugi a favore del nome materno”, “eccessivamente rigida e discriminatoria
verso le donne” – “nella legislazione e/o pratica italiane dovranno essere adottate riforme”, ha reso ora necessita-
ta e urgente la revisione della materia, per armonizzarla con le soluzioni che si sono affermate in materia negli
altri paesi. Corte cost. 21-12-2016, n. 286, rilevato il ritardo del legislatore (e pur dando atto degli interventi in
tema di cambiamento del cognome, che, però, “non hanno attinto la disciplina dell’attribuzione ‘originaria’ del
cognome, effettuata al momento della nascita”), anche alla luce della ricordata giurisprudenza sovranazionale, ha
giudicato illegittima – lasciando, peraltro, aperti delicati problemi applicativi (solo in parte rimediati dalla suc-
cessiva Circolare Min. Int. 14.6.2017, n. 7) – la disciplina attuale (in considerazione della “questione formulata
dal rimettente”, limitatamente “alla sola parte di essa in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di tra-
smettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno”), ma non mancando di esprimere un giu-
dizio negativo, dal punto di vista del rispetto del “principio di uguaglianza dei coniugi” (oltre che del “diritto
all’identità del minore”), sull’intero attuale sistema della “prevalenza del cognome paterno”, considerando, di
conseguenza, “indifferibile” un “intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secon-
do criteri finalmente consoni al principio di parità”.
118
Nella XVII legislatura è stato approvato dalla Camera dei deputati, il 24.9.2014 (trasmesso al Senato
come D.D.L. n. 1628), un testo tendente ad introdurre un art. 143 quater (“cognome del figlio nato nel ma-
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 351

nel nostro ordinamento una soluzione del tipo di quella accolta, ad es., fin dal 1976 (§§
1355 e 1616 ss. BGB) in Germania, e più di recente in Francia: artt. 311-21 ss. code civil,
sostanzialmente basata sull’autonoma concorde decisione dei coniugi in ordine alla scel-
ta del cognome da trasmettere ai figli 119.
Anche la disciplina risultante in dipendenza del proprio ultimo intervento 120 è sem-
brata, peraltro, alla Corte costituzionale comunque insufficiente ad assicurare la piena
attuazione dei principi costituzionali governanti i rapporti familiari, così da indurla a
programmarne uno ulteriore 121. Infine, quindi, nella constata persistente assenza di un
adeguamento della materia in via legislativa, essa ha, allora, sostanzialmente provveduto

trimonio”), modificando conseguentemente l’art. 262 (“cognome del figlio nato fuori del matrimonio”), l’art.
299 (“cognome dell’adottato”) e l’art. 27 L. 4.5.1983, n. 184 (e successive modificazioni). Il relativo art. 4
(“cognome del figlio maggiorenne”), poi, garantisce al figlio maggiorenne la possibilità di modificare, con
formalità ridotte, il proprio cognome, con l’aggiunta del cognome materno o paterno. Ai sensi dell’art. 143
quater, “I genitori coniugati, all’atto della dichiarazione di nascita del figlio, possono attribuirgli, secondo la
loro volontà, il cognome del padre o quello della madre, ovvero quelli di entrambi nell’ordine concordato. In
caso di mancato accordo tra i genitori, al figlio sono attribuiti i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfa-
betico. I figli degli stessi genitori coniugati, nati successivamente, portano lo stesso cognome attribuito al
primo figlio. Il figlio al quale è stato attribuito il cognome di entrambi i genitori può trasmetterne al proprio
figlio soltanto uno, a sua scelta”. Il testo è stato sostanzialmente riproposto nella XVIII legislatura come
P.D.L n. 106 e sono state assunte ulteriori iniziative legislative tendenti all’adeguamento complessivo della
materia ai principi costituzionali (anche con riguardo al cognome coniugale: DD.DD.LL. nn. 170 e 1025).
119
In particolare, per l’art. 311-21 code civil, i genitori possono decidere che venga trasmesso il cognome di
uno di essi o di entrambi, nell’ordine che credono: resta fermo che il cognome scelto per il primo figlio “vale per
gli altri figli comuni” (regola, quest’ultima, comune anche agli altri ordinamenti che rimettono all’accordo dei
genitori la decisione circa il cognome dei figli: § 16171 BGB e art. 1093 código civil). All’assunzione del cognome
di entrambi i genitori (secondo la soluzione prevista dall’ordinamento spagnolo, ai sensi della Ley 40/1999 e del-
la Ley 20/2011), come si vedrà ora consentita dal regime risultante a seguito degli interventi in materia della Cor-
te costituzionale, ovviamente consegue, per evitare l’allungamento dei cognomi nel succedersi delle generazioni,
il problema della determinazione di quali parti del cognome debbano trasmettersi alle generazioni successive.
Pure in vista di ciò, in Germania, si è optato per l’attribuzione di un solo cognome: quello scelto come coniugale
(Ehenamen), ai sensi del § 1355 BGB, ovvero – in assenza di un nome coniugale – quello concordato (o, in man-
canza di scelta comune, quello determinato da uno dei genitori su richiesta del tribunale).
120
Quello, cioè, operato da Corte cost. 286/2016, come dianzi accennato limitato al riconoscimento ai ge-
nitori della possibilità di trasmettere, di comune accordo, al momento della nascita anche il cognome mater-
no. E la ricordata successiva Circolare ministeriale ha (invero opinabilmente) limitato lo spazio di manovra
consentito ai genitori all’aggiunta del cognome materno a quello paterno, ad esso posponendolo.
121
Trib. Bolzano, ord. 17-10-2019 aveva sollevato questione di legittimità costituzionale in ordine all’art.
2621, nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della
nascita, il solo cognome materno (e ciò pure nel regime risultante a seguito di Corte cost. 286/2016). La Corte
(con “ordinanza di autorimessione” 11-2-2021, n. 18), constatato (in particolare richiamandosi alla concezione
della “esigenza di salvaguardia dell’unità familiare”, di cui all’art. 292 Cost., quale delineata da Corte cost.
13-7-1970, n. 133, fondata sull’assunto che “è proprio l’uguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è
la diseguaglianza a metterla in pericolo”: V, 1.3) che “gli inviti ad una sollecita rimodulazione della disciplina –
in grado di coniugare il trattamento paritario delle posizioni soggettive dei genitori con il diritto all’identità per-
sonale del figlio – non hanno avuto seguito” e preso atto del carattere limitato del proprio precedente intervento
sotto il profilo della realizzazione di “un’effettiva parità tra le parti” (“posto che una di esse non ha bisogno
dell’accordo per far prevalere il proprio cognome”), ha ritenuto opportuno – e consentito dai principi in tema di
giudizio di legittimità costituzionale – investirsi nuovamente del vaglio di legittimità dell’art. 2621, quale “espres-
sione … della disciplina dell’automatica acquisizione del solo patronimico” (in quanto non reputata “giustificata
dall’esigenza di salvaguardia dell’unità familiare”), evidentemente riproponendosi di operare, questa volta, attra-
verso il meccanismo della dichiarazione di illegittimità costituzionale “in via consequenziale”, una vera e propria
rimodulazione complessiva dell’intero regime di trasmissione familiare del cognome.
352 PARTE IV – SOGGETTI

ad una globale riformulazione del regime di trasmissione familiare del cognome 122.
In effetti, l’adeguamento concerne anche il caso di filiazione fuori del matri-
monio 123, in relazione alla quale il figlio assume il cognome del genitore che per primo
lo abbia riconosciuto, con la – fino all’intervento della Corte costituzionale – prevalenza
(pure reputata diffusamente discriminatoria, come per la filiazione nel matrimonio) di
quello paterno, ove il riconoscimento dei due genitori sia contestuale (art. 2621-2, che
prevede, per l’ipotesi di successivo accertamento della filiazione nei confronti del padre,
la possibilità, per il figlio, di decidere se “assumere il cognome del padre aggiungendolo,
anteponendolo o sostituendolo a quello della madre”) 124.

122
Corte cost. 31-5-2022, n. 131 – premesso l’essere caratterizzata la materia della disciplina del cognome
da un “intreccio fra il diritto all’identità personale del figlio e l’eguaglianza tra i genitori” – muove dalla con-
statazione del risultare l’attuale disciplina tale da determinare la “invisibilità della donna”, la madre trovando-
si posta “in una situazione di asimmetria, antitetica alla parità” (con l’evocazione della ricordata presa di po-
sizione in Corte cost. 133/1970), e sottolinea che “la proiezione sul cognome del figlio del duplice legame
genitoriale è la rappresentazione dello status filiationis”. Anche sulla base degli approdi della giurisprudenza
sopranazionale, si evidenzia, allora, come “il paradigma della parità” renda necessitata la soluzione secondo
cui “il cognome del figlio deve comporsi con i cognomi dei genitori, salvo loro diverso accordo”, con
l’adozione dell’“ordine concordato dai genitori” (all’eventuale mancanza di accordo dovendosi rimediare at-
traverso l’intervento del giudice, quale previsto dall’art. 3162,3, nonché, in caso di crisi della coppia, dagli artt.
337 ter3, 337 quater3 e 337 octies). Viene considerata ammissibile, quindi, anche il “diverso accordo” (comun-
que “non surrogabile in via giudiziale”), comportante la scelta, da parte dei genitori, dell’attribuzione del co-
gnome di uno di loro soltanto, quale “segno identificativo della loro unione, capace di permanere anche nella
generazione successiva e di farsi interprete di interessi del figlio”. In conclusione, l’art. 2621 viene dichiarato
costituzionalmente illegittimo (e, “in via consequenziale”, lo sono sia la norma – quale “presupposta” dal-
l’attuale disciplina complessiva della materia – concernente l’attribuzione del cognome ai figli nati nel matri-
monio, sia gli artt. 2993 e 271 della L. 184/1983, in tema di adozione) “nella parte in cui si prevede, con ri-
guardo all’ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio as-
sume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai me-
desimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di
loro soltanto” (come accennato, con estensione – negli stessi termini – della portata della dichiarazione di
illegittimità costituzionale all’analogo regime di prevalenza del cognome paterno, relativamente al figlio nato
nel matrimonio, e del cognome del marito della coppia adottante, relativamente all’adottato). Viene, infine,
rivolto “un duplice invito al legislatore”, in relazione al completamento della modificata disciplina della tra-
smissione del cognome. Da una parte, con riguardo alla necessità di “impedire che l’attribuzione del cogno-
me di entrambi i genitori comporti, nel succedersi delle generazioni, un meccanismo moltiplicatore che sa-
rebbe lesivo della funzione identitaria del cognome” (col suggerimento della “opportunità di una scelta, da
parte del genitore – titolare del doppio cognome che reca la memoria dei due rami familiari – di quello dei
due che vuole sia rappresentativo del rapporto genitoriale, sempre che i genitori non optino per l’attribuzione
del doppio cognome di uno di loro soltanto”); dall’altra, con riferimento al problema dell’omogeneità del
cognome tra “fratelli e sorelle”, col richiamo della soluzione – come si è visto corrente altrove – della vincola-
tività della scelta operata “al momento del riconoscimento contemporaneo del primo figlio della coppia (o al
momento della sua nascita nel matrimonio o della sua adozione)”, rispetto “ai successivi figli riconosciuti con-
temporaneamente dagli stessi genitori (o nati nel matrimonio o adottati dalla medesima coppia)”.
123
Investita risulta pure la problematica della trasmissione del cognome in caso di adozione (V, 4.8),
come già a seguito di Corte cost. 286/2016 (per l’estensione della portata anche del cui intervento v. la nota
successiva).
124
Ai fini della decisione che il giudice – evidentemente, dopo l’intervento della Corte costituzionale, te-
nendone presenti le conseguenze sul piano normativo – deve al riguardo adottare – ai sensi dell’art. 2624 nel
caso di minore età del figlio (con la precisazione del necessario “previo ascolto del figlio minore, che abbia
compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”) – si è sottolineato che, pre-
scindendo “da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome paterno”, e pure “a tutela del-
l’eguaglianza fra i genitori”, l’assunzione del patronimico non sarà da autorizzare, “non soltanto ove ne possa
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 353

La moglie, per effetto del matrimonio, secondo la regola introdotta dalla riforma del
1975 (sospettata di essere comunque ancora poco rispettosa del principio di eguaglianza
dei coniugi), aggiunge al proprio il cognome del marito e lo conserva nello stato vedovi-
le, fino alle eventuali nuove nozze (art. 143 bis) 125. Lo conserva in caso di separazione
personale, ma il giudice può vietarne l’uso, così come autorizzare la moglie a non usarlo
(art. 156 bis). Se ne deduce l’obbligatorietà dell’uso del cognome maritale, anche se cre-
scente spazio ha una prassi contraria, soprattutto in considerazione dell’inserimento pro-
fessionale della moglie. Col divorzio, la donna perde il cognome maritale, ma può essere
autorizzata a conservarlo, ove ricorra un interesse apprezzabile suo o dei figli (art. 52-4 L.
1.12.1970, n. 898: V, 3.5).
La materia del cognome è stata disciplinata, con riguardo all’unione civile, dall’art. 110
L. 20-7-2016, n. 76, adottando una prospettiva diffusamente reputata meritevole di atten-
zione anche ai fini di un’eventuale futura regolamentazione relativamente al matrimonio
(V, 2.17) 126.
La modificazione del nome è consentita solo nei casi previsti dalla legge (art. 63). A
parte le ricordate ipotesi di matrimonio e di successivo riconoscimento paterno del fi-

derivare danno per il minore, ma anche allorquando il cognome materno si sia radicato nel contesto sociale in
cui il minore si trova a vivere”, onde tutelare “l’interesse del minore alla propria identità” (Cass. 12641/2006,
che si riferisce, nel caso di specie, anche alla “cattiva reputazione della famiglia paterna”). Per la necessità che
il giudice abbia “riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all’interesse del minore”, v., ad es., Cass.
3-2-2011, n. 2645; 15-12-2011, n. 27069 e 17139/2017 (in cui, identificata la funzione della disciplina vigente
nell’esigenza “di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua persona-
lità sociale”, si valorizza, al riguardo, la volontà fermamente contraria del minore dodicenne). Per la legittimi-
tà, in caso di secondo riconoscimento da parte del padre, dell’aggiunta – con le cautele dianzi accennate – del
patronimico al cognome della madre, Cass. 16-1-2020, n. 772. Cass. 17-7-2007, n. 15953, ha ribadito la insin-
dacabilità della scelta effettuata dal figlio maggiorenne. Il nuovo art. 2623 ha previsto, in caso di riconosci-
mento successivo all’attribuzione del cognome da parte dell’ufficiale di stato civile, la possibilità del mante-
nimento, da parte del figlio, “del cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto au-
tonomo segno della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo” al cognome che
gli deriverebbe dall’applicazione dei criteri di cui al primo comma (così ispirandosi, in sostanza, a quanto de-
ciso da Corte cost. 297/1996). Corte cost. 286/2016 ha esteso la portata della dianzi ricordata dichiarazione di
incostituzionalità all’art. 2621 ed all’art. 2993, per la parte in cui non conferiscono rilievo alla comune volontà
dei genitori, nel senso di attribuire “anche il cognome materno” (rispettivamente, al momento della nascita o
dell’adozione). Si tenga presente come il più recente intervento della Corte costituzionale (131/2022) in mate-
ria di cognome del figlio sia stato occasionato proprio da una vicenda giudiziale concernente l’art. 2621, con
conseguente estensione, “in via consequenziale”, della soluzione prospettata al figlio nato nel matrimonio ed
al figlio adottivo (in relazione agli artt. 2993 e 271 L. 184/1983). Di recente, Trib. Torino 11-6-2018 ha appli-
cato il regime dell’art. 2622 anche nel caso di successivo riconoscimento del figlio (ove tale riconoscimento sia
stato registrato dall’ufficiale dello stato civile) da parte dell’“altra genitrice di sesso femminile”. App. Perugia
18-11-2019, poi, accogliendo la richiesta di rettificazione dell’atto di nascita (V, 4.2) da parte del “genitore
intenzionale”, ha disposto l’assunzione del doppio cognome da parte della bambina, nata in Italia in dipen-
denza di procreazione medicalmente assistita eterologa praticata (all’estero) nell’ambito di “un progetto geni-
toriale” condiviso da due donne.
125
Comunque, le vicende in questione non comportano alcuna variazione anagrafica, dato che “per le
donne coniugate o vedove le schede devono essere intestate al cognome da nubile” (art. 203, D.P.R. 30.5.1989, n.
223). Corte cost. 22-11-2018, n. 212, ricorda costituire “principio caratterizzante dell’ordinamento dello stato
civile che il cognome d’uso assunto dalla moglie a seguito di matrimonio non comporti alcuna variazione ana-
grafica del cognome originario”.
126
Si è stabilito che, con dichiarazione all’ufficiale di stato civile, le parti possano decidere di assumere,
“per la durata dell’unione civile”, “un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi” (potendo la parte, il
cui cognome non è stato scelto, “anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome”).
354 PARTE IV – SOGGETTI

glio, una modificazione può conseguire all’adozione (art. 271 L. 4.5.1983, n. 184, se-
condo cui l’adottato assume il cognome dei genitori e, quindi, fino ai più recenti gene-
rali interventi della Corte costituzionale dianzi esaminati, quello del padre adottivo,
nonché art. 299 c.c., per l’adozione di maggiorenni, richiamato pure per l’adozione in
casi particolari dall’art. 55 L. 184/1983). Il cambiamento volontario del cognome (an-
che con l’aggiunta di altro cognome) è ammesso solo a seguito di una procedura rego-
lata dagli artt. 89 ss. D.P.R. 396/2000 (quale modificato dal D.P.R. 13.3.2012, n. 54),
con decreto di concessione del prefetto: la medesima procedura concerne, ora, il cam-
biamento del nome, l’aggiunta di un altro nome, il cambiamento del cognome (anche
perché ridicolo o vergognoso o rivelatore dell’origine non matrimoniale) e l’aggiunta di
un altro cognome (art. 891) 127. Nel quadro, poi, della rettificazione degli atti dello stato
civile (da attuarsi con procedimento giudiziale, su impulso dell’interessato o del procura-
tore della Repubblica) – disciplinata dagli artt. 454 c.c. e 95 ss. D.P.R. 396/2000 – rien-
tra anche la problematica concernente la rettifica del nome, onde ripristinarne la con-
formità alla legge, eliminando le eventuali difformità tra le risultanze degli atti dello
stato civile e la realtà.
La tutela del diritto al nome, nella sua prospettiva di diritto della personalità 128, è
assicurata, dall’art. 7, con il complesso degli strumenti (inibizione del comportamento
lesivo, anche in via d’urgenza, eventuale risarcimento del danno, pubblicazione della
sentenza, cui è da aggiungere l’esercizio del diritto di rettifica) già dianzi esaminati, in via
generale, in materia di diritti della personalità (IV, 2.3). Tale tutela si ritiene spettare,
con riguardo alla relativa denominazione, anche agli enti (pubblici o privati). La tutela
opera in caso di contestazione o di uso indebito del nome.
Contro la contestazione, che si ritiene avvenire con l’attribuzione di un nome diver-
so al soggetto, ovvero frapponendo impedimenti materiali o giuridici all’uso del nome
a lui spettante, può essere esercitata l’azione di reclamo. Quanto all’uso indebito (con-
trastato con l’azione di usurpazione), esso consiste nell’appropriazione di un nome al-
trui, attribuendoselo (usurpazione in senso stretto), ovvero nell’utilizzazione del nome
altrui per identificare enti, prodotti o personaggi di fantasia (usurpazione in senso am-
pio o utilizzazione abusiva). La tutela opera non per la mera coincidenza del nome del
personaggio (letterario, teatrale, cinematografico) con quello di una persona reale, ma

127
Un favore per l’accoglimento della richiesta manifesta, ad es., Cons. Stato, sez. I, 17-3-2004, n. 515,
con l’affermare che “l’amministrazione non può sostituirsi alla concorde valutazione dei genitori nell’apprez-
zamento dell’interesse del minore al cambiamento del proprio cognome”. La necessità di una motivazione
rigorosa del diniego viene prospettata, da Cons. Stato, sez. IV, 27-4-2004, n. 2572, in particolare, con riguar-
do all’“aggiunta all’originario cognome paterno di quello materno”. E le ragioni addotte dalle parti sono da
vagliare “sotto il profilo della loro significatività, piuttosto che per la loro eccezionalità” (Cons. Stato, sez. I,
24-4-2013, n. 521). Soprattutto l’esigenza di semplificare il conseguimento di un simile (diffusamente richie-
sto) cambiamento è alla base del D.P.R. 54/2012. Una particolare ipotesi di modificazione del proprio co-
gnome è stata prevista dall’art. 12 L. 11.1.2018, n. 4, nell’interesse dei figli della vittima del reato di cui all’art.
575 c.p. (aggravato ai sensi dell’art. 5771, n. 1, e 5772 c.p.: omicidio del coniuge, della parte dell’unione civile
e del convivente, nonché del divorziato), ove il cognome sia “coincidente con quello del genitore condannato
in via definitiva”.
128
In considerazione dei risvolti pubblicistici della disciplina del nome, alla luce dell’esigenza di identifi-
cazione del soggetto, è apprestata anche una disciplina penalistica, diretta alla repressione dei reati di falsità
personale (artt. 494-496 c.p.).
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 355

solo se ne derivi un – anche se solo eventuale – pregiudizio per l’onore, il decoro o la


reputazione del soggetto. La tutela, come per l’immagine, opera anche per impedire lo
sfruttamento non autorizzato del nome (ovviamente delle persone note) a fini econo-
mici (in particolare, associandolo a prodotti).
La tutela è riconosciuta anche a chi, pur non portando il nome contestato o indebi-
tamente utilizzato, abbia un interesse fondato su ragioni familiari meritevoli di protezio-
ne (art. 8). Tali ragioni – da ritenere tutelate in vista di esigenze analoghe a quelle consi-
derate in tema di immagine (IV, 3.7) – devono essere valutate con riferimento alla loro
effettiva incidenza nella sfera del soggetto che invoca la tutela.
L’art. 9 estende allo pseudonimo la tutela accordata al nome, ove abbia acquistato
l’importanza del nome. Come tale si intende un nome – o, più in generale, una espres-
sione verbale – che, in sostituzione del nome civile, il soggetto utilizza come proprio mezzo
di identificazione personale (eventualmente con riferimento ad una specifica attività pro-
fessionale, letteraria o artistica). Esso, quindi, è tutelato nella sua funzione identificativa
quale segno distintivo della persona al pari del nome, condividendone, di conseguenza,
la natura di diritto della personalità. Caratteristica dello pseudonimo è quella di costitui-
re un modo di autodesignazione del soggetto, che lo distingue dal soprannome, quale
modo di designazione del soggetto attribuitogli dagli altri in un certo ambito sociale
(che, peraltro, riceve la medesima tutela, se abbia assunto la funzione di identificare il sog-
getto nei suoi rapporti sociali).
Per l’opinione tradizionale, che pare riflettersi nella lettera dell’art. 9 (in cui si allude
alla necessità che lo pseudonimo “abbia acquistato l’importanza del nome”), la tutela
dello pseudonimo opera solo nel caso in cui esso risulti utilizzato per un tempo sufficien-
temente lungo 129.

11. Identità personale. – Prendendo le mosse dal diritto al nome, in quanto stru-
mento di identificazione sociale della persona, la sempre più avvertita esigenza – in una
società dominata dai mezzi di comunicazione di massa e dalla conseguente possibilità di
manipolazione della pubblica opinione – di garantire che la personalità del soggetto sia
rappresentata in modo fedele e adeguatamente completo ha condotto alla delineazione,
quale autonomo diritto della personalità, del diritto alla identità personale. Si tratta, in-
dubbiamente, di una delle più interessanti espressioni di quella creatività della giuri-
sprudenza in materia di diritti della personalità, consentita dalla maturazione della con-
sapevolezza circa le crescenti necessità di tutela della persona, nella prospettiva di globa-
le protezione emergente dall’art. 2 Cost.
Col riconoscimento del diritto all’identità personale si è voluto, così, secondo la de-
finizione ormai corrente in giurisprudenza e condivisa dalla dottrina, assicurare la tu-
tela della proiezione sociale della personalità dell’individuo: del suo interesse, cioè, ad
essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identità, senza che ne risul-

129
Così, secondo Trib. Roma 24-9-1973, per la tutela dello pseudonimo, occorre “l’uso pubblico, prolun-
gato e costante di esso”. Tale prospettiva, peraltro, tende ad essere reputata troppo restrittiva, alla luce della
considerazione per cui, talvolta, “l’importanza del nome” (formula dell’art. 9) può essere acquistata dallo
pseudonimo contestualmente al suo impiego (ad es., in caso di opera letteraria pubblicata con pseudonimo),
nello stesso senso deponendo anche il rispetto di esigenze di tutela della riservatezza (evidentemente indi-
pendenti dall’essere stato lo pseudonimo durevolmente impiegato).
356 PARTE IV – SOGGETTI

ti, all’esterno, modificato, offuscato o comunque alterato il proprio patrimonio intel-


lettuale, ideologico, etico, professionale, quale già estrinsecatosi – o destinato, comun-
que, ad estrinsecarsi – nell’ambiente sociale. L’interesse (come è stato detto, “ad essere
se stesso” o, secondo la felice espressione impiegata altrove, a non essere messo in “fal-
se light” agli occhi del pubblico) in questione trova, allora, tutela in quanto tale, indi-
pendentemente, insomma, dalla circostanza che il travisamento della personalità sia
lesivo dell’onore o della reputazione del soggetto (potendosi presentare illegittimo, al
limite, addirittura un travisamento migliorativo).
La tutela del diritto all’identità personale – che viene sempre più estesamente ricono-
sciuto anche agli enti 130 – non deve essere confusa, pur essendo spesso destinata ad in-
trecciarsi con esse, con la tutela del nome, dell’immagine e della riservatezza. Anzi, pro-
prio l’enucleazione di una protezione autonoma della identità personale, nella prospetti-
va di identificazione della persona sul piano strettamente morale e sociale che la con-
traddistingue, ha consentito di conferire una più puntuale configurazione e delimitazio-
ne degli interessi personali ricollegati al nome (come strumento di identificazione in sen-
so più spiccatamente materiale del soggetto nella vita civile), all’immagine (come rappre-
sentazione delle sembianze fisiche del soggetto), alla reputazione (come limite a rappre-
sentazioni atte a suscitare un giudizio sociale di disvalore) e alla riservatezza (come esi-
genza, di carattere sostanzialmente negativo, di non esposizione del soggetto alla cono-
scenza e curiosità del pubblico) 131.
È pure chiaro come esigenze di garanzia dell’identità personale si facciano avvertire,
in modo sempre più imperioso, in materia di trattamento dei dati personali (IV, 2.9). An-
che al suo rispetto deve ritenersi risultare finalizzata, allora, la ricordata legislazione con-
cernente la protezione dei dati personali 132.
La concreta disciplina del diritto in questione (ritenuto ormai, pur dopo talune esita-

130
In proposito, v. anche IV, 2.2. Secondo Cass. 22-6-1985, n. 3769, il diritto alla identità personale
spetta, “oltre che alle persone fisiche, anche alle persone giuridiche” e “pure agli enti non aventi personali-
tà giuridica”, dato che “anche le persone giuridiche sono portatrici di una propria immagine sociale
nell’ambito della realtà sociale nel cui contesto operano”. La questione si è posta, in particolare, con rife-
rimento all’identità politica nelle ipotesi di scissione di partiti politici, con riguardo alla pretesa di utilizza-
zione di denominazioni e simboli (con delicati problemi di giudizio circa la continuità politica degli enti
interessati). Trib. Roma 26-4-1991, così, ha esaminato le conseguenze – circa la preclusione del relativo
eventuale impiego da parte di altre formazioni politiche – dell’utilizzazione del vecchio simbolo del Pci
all’interno di quello nuovo del Pds. Trib. Roma 21-3-1995, a sua volta, ha considerato legittima l’utiliz-
zazione dei simboli distintivi del Msi-Dn da parte di An. La “tutela della propria identità”, di cui “ogni
partito politico beneficia”, viene, insomma, considerata “riassumibile nella denominazione e nel segno di-
stintivo”, onde “evitare nel dibattito pubblico il pericolo di confusione in ordine agli elementi che caratte-
rizzano un partito come centro di espressione di idee e di azioni” (Cass. 16-6-2020, n. 11635, in relazione
alla utilizzazione, reputata illegittima, del “simbolo della fiamma tricolore”).
131
Secondo Cass. 22-6-1985, n. 3769, “il diritto all’identità personale si distingue da quello alla riservatezza: il
primo assicura la fedele rappresentazione alla propria proiezione sociale, il secondo, invece, la non rappresenta-
zione all’esterno delle proprie vicende personali non aventi per i terzi un interesse socialmente apprezzabile”.
132
Questo, già con l’allusione, nell’art. 1 D.Lgs. 196/2003, quale risultante ai sensi del D.Lgs. 101/2018 (e
nell’art. 12 Regolamento U.E. 679/2016), alla relativa finalità di assicurare il rispetto “dei diritti e delle libertà
fondamentali della persona”, nonché alla luce della stessa definizione del “dato personale” con riferimento, in
genere, agli “elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, cultura-
le o sociale” (art. 41 Regolamento U.E. 679/2016).
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 357

zioni, di carattere fondamentale ed a base costituzionale) 133, secondo quanto si è visto


anche con riguardo al diritto alla riservatezza, viene in sostanza mutuata da quella deli-
neata dal codice civile (e dalla legge sul diritto di autore) con riferimento alla tutela del
nome e dell’immagine. Disciplina che, così, finisce con l’acquistare una portata tenden-
zialmente generale in materia di diritti della personalità. Ciò vale tanto per gli strumenti
di tutela (azione inibitoria, anche in via d’urgenza, risarcimento del danno, pubblicazio-
ne della sentenza, esercizio del diritto di rettifica: quest’ultimo qui elettivamente effica-
ce), quanto per i limiti cui la tutela del diritto stesso va incontro, nel conflitto con altrui
interessi antagonistici, pure garantiti sul piano costituzionale. Circa tali limiti, è evidente
trattarsi essenzialmente di quelli che si riferiscono alla libertà di manifestazione del pen-
siero, garantita dall’art. 211 Cost. 134.

12. Identità sessuale (di genere). – Il diritto all’identità personale trova una specifica-
zione in considerazione del rispetto che si ritiene dovuto alla identità sessuale del sog-
getto 135, quale manifestazione di peculiare rilevanza della personalità nei rapporti sociali.
Al riguardo, è da tenere presente come, tradizionalmente, pure da parte della giuri-
sprudenza, si reputasse consentita la revisione dell’accertamento del sesso, quale risul-
tante dall’atto di nascita (attualmente ai sensi dell’art. 292 D.P.R. 396/2000), solo nel ca-
so in cui il sesso stesso, al momento della nascita, apparisse non ben definito 136, ovvero
in quello di una naturale (e non artificiale) evoluzione morfologica del soggetto, tale da
rivelare una realtà diversa da quella inizialmente apparente. Alla luce di una concezione
della salute sempre più attenta ai relativi profili psicologici (quale situazione, cioè, di
complessivo benessere della persona, in una prospettiva che ne valorizza l’autodeter-
minazione al riguardo: IV, 2.5), nonché delle esperienze di altri ordinamenti, il legislato-
re è, allora, intervenuto con la L. 14.4.1982, n. 164 (norme in materia di rettificazione di

133
Per Corte cost. 3-2-1994, n. 13, “tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona
umana l’art. 2 Cost. riconosce e garantisce anche il diritto all’identità personale”, l’identità personale costi-
tuendo “un bene per se medesimo, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai
difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata”.
Cass. 7-2-1996, n. 978, ha confermato tale diretto “ancoramento” all’art. 2 Cost. del diritto in questione, su-
perando le riserve di Cass. 3769/1985. Considera senz’altro “l’identità personale in quanto diritto fondamen-
tale della persona, come tale costituzionalmente protetto”, Cass. 24-4-2008, n. 10690. Per la necessaria salva-
guardia del “diritto all’identità personale” nell’esercizio dell’attività giornalistica (nel contesto del “rispetto
dei diritti e delle libertà fondamentali”), v. Cass. 9-7-2018, n. 18006.
134
Alla “dialettica che viene ad instaurarsi tra il diritto alla identità personale ed i contrapposti diritti di criti-
ca, di cronaca e di creazione artistica (a loro volta riconducibili alla comune matrice costituzionale dell’art. 21)”
allude Cass. 978/1996, quale ipotesi di “quel fenomeno di confliggenza di interessi … che trova soluzione attra-
verso il contemperamento e l’equo bilanciamento delle libertà antagonistiche, per modo che la tutela dell’una
non sia esclusiva di quella dell’altra” (la prevalenza del diritto di cronaca viene subordinata alla sussistenza delle
condizioni correntemente individuate per la legittimità del relativo esercizio: IV, 2.6).
135
In proposito, si tende da qualche tempo a preferire, piuttosto, la terminologia di diritto alla identità di
genere (in particolare, Cass. ord. 6-6-2013, n. 14329 e Corte cost. 5-11-2015, n. 221, ove si parla senz’altro di
“diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale”). Ad assicurare,
appunto, “ad ogni persona … la propria identità di genere”, sono stati finalizzati, nella XVII legislatura, il
D.D.L. n. 405 e la P.D.L. n. 246. Si ricordi come la Carta dir. fondamentali U.E., all’art. 211, vieti “qualsiasi
discriminazione fondata”, tra l’altro, sull’“orientamento sessuale”.
136
Si tenga presente come, in Germania, il vigente § 223 Personenstandsgesetz consenta – in caso di incer-
tezza – l’iscrizione anagrafica senza precisazione del sesso (o con l’indicazione “divers”).
358 PARTE IV – SOGGETTI

attribuzione di sesso), parzialmente modificata dal D.Lgs. 1.9.2011, n. 150.


Con tale provvedimento, è stata prevista la possibilità di una rettificazione di at-
tribuzione di sesso, in forza di sentenza del tribunale (art. 1), anche previo trattamen-
to medico-chirurgico finalizzato all’adeguamento dei caratteri sessuali (art. 3, sostanzial-
mente trasfuso nell’art. 31 D.Lgs. 150/2011). In considerazione della rilevanza degli in-
teressi in gioco (integrità fisica e salute, nome, identità personale), è il tribunale, in com-
posizione collegiale, che decide su domanda del soggetto interessato, ad esito di un ac-
certamento delle condizioni psico-sessuali del richiedente. Simile cautela risulta, in effet-
ti, opportuna soprattutto in vista della prevista autorizzazione al trattamento medico-
chirurgico, per sua natura irreversibile.
La possibilità accordata, per tale via, al soggetto transessuale di vedere riconosciuta
anche giuridicamente l’appartenenza all’altro sesso è stata ritenuta non contrastante con
i principi costituzionali invocati per contestarne la legittimità (artt. 2, 3, 29, 30, 32 Cost.),
in quanto rivolta a consentire proprio la piena realizzazione della personalità dell’inte-
ressato, attraverso un inserimento nei rapporti sociali realmente rispettoso della sua iden-
tità, tale, quindi, da salvaguardarne libertà e dignità 137.
Proprio la salvaguardia, in particolare, del diritto all’autodeterminazione in materia ha
indotto – a seguito di una interpretazione “alla luce dei diritti della persona” dell’art. 1,
laddove individua il presupposto per la rettificazione anagrafica del sesso della persona
nelle “intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”, e dell’art. 3 (ora 31 D.Lgs.
150/2011), laddove si prevede che “quando risulta necessario un adeguamento dei carat-
teri sessuali da realizzare mediante trattamento medico chirurgico, il tribunale lo auto-
rizza” – ad “escludere la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettifica-
zione anagrafica, del trattamento chirurgico”, reputando quest’ultimo solo “possibile mez-
zo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico”, non potendo che es-
sere rimessa all’interessato “la scelta delle modalità attraverso cui realizzare, con l’assi-
stenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione” 138.

137
Per Corte cost. 24-5-1985, n. 161, la legge “si colloca nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzio-
ne, sempre più attenta ai valori, di libertà e di dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nel-
le situazioni minoritarie ed anomale”. Infatti, “l’intervento chirurgico e la conseguente rettificazione ana-
grafica riescono nella grande maggioranza dei casi a ricomporre l’equilibrio tra soma e psiche, consenten-
do al transessuale di godere di una situazione di, almeno relativo, benessere, ponendo così le condizioni
per una vita sessuale e di relazione quanto più possibile normale”. La disciplina, insomma, assicura “a cia-
scuno il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, da ritenere aspetto e fattore
di svolgimento della personalità”, che gli altri membri della collettività “sono tenuti a riconoscere, per do-
vere di solidarietà sociale”. Si ricordi come l’art. 4 abbia previsto che “la sentenza di rettificazione di sesso …
provoca lo scioglimento del matrimonio” (l’art. 31 D.Lgs. 150/2011, nel contesto della disciplina proces-
suale delle controversie in materia di rettificazione e attribuzione di sesso, lasciando sostanzialmente inal-
terato il senso della disposizione, impiega ora il termine “determina”) (in proposito, per la connessione
della relativa problematica con quella delle cause di divorzio, cfr. V, 3.4).
138
Così, Corte cost. 5-11-2015, n. 221, secondo un orientamento già indicato dalla giurisprudenza di merito
– tendente a “consentire la rettifica dell’atto di nascita” senza la necessità dell’intervento chirurgico, ove, “in caso
di transessualismo accertato”, non sussista “un atteggiamento di rifiuto dei propri organi sessuali” (Trib. Roma
22-3-2011, Trib. Rovereto 3-5-2013, Trib. Trento 29-9-2017; sulla base, specificamente, di un’accezione della
“identità di genere” come “costituita da tre componenti: il corpo, l’autopercezione e il ruolo sociale”, Trib. Mes-
sina 11-11-2014; più di recente, in linea con la posizione espressa dalla Corte costituzionale, v., ad es., Trib. Na-
poli 3-12-2019, considera il trattamento chirurgico solo “possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un
pieno benessere psicofisico”) – e, poi, sostanzialmente avallato da Cass. 20-7-2015, n. 15138. La Cassazione, in
CAP. 2 – DIRITTI DELLA PERSONALITÀ 359

particolare, ha affermato che “l’interesse pubblico alla definizione certa dei generi … non richiede il sacrificio
del diritto alla conservazione della propria integrità psicofisica sotto lo specifico profilo dell’obbligo dell’in-
tervento chirurgico”, purché “la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia
accertata, se necessario, mediante rigorosi accertamenti tecnici in sede giudiziale”. Rilevato che l’art. 1 non speci-
fica se i “caratteri sessuali da mutare siano primari o secondari”, l’accento viene posto, anche in applicazione del
“canone della proporzionalità”, sul “mutamento significativo se non irreversibile dei propri caratteri sessuali se-
condari”, nella prospettiva di “una scelta personale tendenzialmente immutabile, sia sotto il profilo della perce-
zione soggettiva, sia sotto il profilo delle oggettive mutazioni dei caratteri sessuali secondari estetico-somatici e
ormonali”. Il “carattere definitivo” del “cambiamento” – secondo quanto sottolineato pure dalla Corte costitu-
zionale – finisce, insomma, comunque risulti conseguito, col rappresentare l’elemento sufficiente per legittimare
la rettificazione anagrafica. Si tenga presente, al riguardo, come ricorda la stessa Cassazione, che la Corte eur. dir.
uomo (in particolare, 10-3-2015) ha concluso nel senso della illegittimità di una eventuale previsione del requisi-
to della preventiva sterilizzazione, onde poter accedere alla rettificazione del sesso, in una prospettiva seguita
anche dalla Corte costituzionale tedesca nel 2008. Peraltro, proprio alla luce di tali ultime decisioni e di docu-
menti come, in particolare, la Risoluzione 1728/2010 del Consiglio d’Europa, con la relativa ferma valorizzazione
della essenzialità e decisività solo dell’autodeterminazione e dell’elemento psicologico dell’appartenenza all’altro
sesso, pare difficile contestare l’incoerenza, riguardo all’ottica di fondo cui sembrano intendere aderire anche
Cassazione e Corte costituzionale, di ogni persistente richiesta – implicita nel postulato “carattere definitivo” e
“irreversibile” del cambiamento per la riattribuzione anagrafica del sesso – di preventivi trattamenti medici (te-
rapie ormonali, trattamenti estetici), sempre gravemente invasivi, pur se limitati alla modificazione dei caratteri
sessuali secondari. Comunque, Corte cost. 13-7-2017, n. 180, ha confermato un simile orientamento, sottoli-
neando la “necessità di un accertamento rigoroso non solo della serietà e univocità dell’intento, ma anche dell’in-
tervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere” (“prioritario o esclusivo rilievo ai fini dell’accertamento
della transizione” non potendo essere rivestito dal “solo elemento volontaristico”: al giudice, in effetti, viene de-
mandato “il compito di accertare la natura e l’entità delle intervenute modificazioni dei caratteri sessuali, che
concorrono a determinare l’identità personale e di genere”). Il dianzi ricordato D.D.L. n. 405, allora, si è mosso,
appunto, nella direzione, già riscontrabile, ad es., in una legge di Malta dell’aprile 2015, nella quale, ai fini dell’af-
fermazione del “diritto al riconoscimento della propria identità di genere”, la “persona non è tenuta a fornire la
prova di aver effettuato” un qualsiasi “trattamento psichiatrico, psicologico o medico”, essendo esclusivamente
necessaria una “dichiarazione chiara e inequivocabile”, per atto pubblico, “che la propria identità di genere non
corrisponde al sesso assegnato nell’atto di nascita”, con una conseguente richiesta all’ufficio anagrafico (e v. an-
che già la legge argentina n. 26743 del 2012, in cui si esclude, ai fini dell’esercizio del diritto al “riconoscimento
della propria identità di genere”, la necessità di un intervento chirurgico, di terapie ormonali o di altro trattamento
psicologico o medico). Di recente, in Francia, l’art. 56 della loi 2016-1587 del 18.11.2016 ha novellato il code civil,
prevedendo la possibilità di ottenere la modificazione della menzione anagrafica del sesso (sulla base di un “con-
corso sufficiente di fatti”, quali il presentarsi pubblicamente come appartenente al sesso rivendicato, l’essere co-
nosciuto sotto il sesso rivendicato nel proprio ambiente familiare, amicale e professionale, l’avere ottenuto il cor-
rispondente cambiamento del nome: art. 61-5), mediante una domanda al tribunal de grande instance (che non
può essere respinta per il “fatto di non avere subito dei trattamenti medici, un’operazione chirurgica o una steri-
lizzazione”: art. 61-6), precisandosi pure che la modificazione anagrafica del sesso “è senza effetto sulle obbliga-
zioni contratte nei confronti dei terzi né sulle filiazioni stabilite anteriormente alla modificazione” (art. 61-8). Da
segnalare, in materia di diritto alla libera autodeterminazione del genere, sono le prese di posizione, in Spagna,
con l’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri (29.6.2021), del testo della c.d. ley trans (il cui iter, peral-
tro, è risultato alquanto accidentato), nonché, in Germania, con la “Legge per la protezione dai trattamenti di
conversione” (KonvBG, 12.6.2020), quest’ultima in una prospettiva di salvaguardia degli orientamenti personali,
per cui v., in Francia, la loi 2022-92 del 31.1.2022. Di recente è stata affrontata (Corte eur. dir. uomo 11-10-2018,
che ha reputato, in proposito, il nostro ordinamento in contrasto con l’art. 8 CEDU) anche la questione concer-
nente il diritto della persona transessuale ad ottenere il cambiamento del nome durante il processo di transizione
sessuale. Si è ammessa la possibilità che la domanda giudiziale di rettificazione dell’attribuzione del sesso (con
conseguente variazione del nome) e di autorizzazione al trattamento medico-chirurgico di adeguamento dei ca-
ratteri sessuali possa “essere proposta anche dai genitori in rappresentanza del figlio minore, che abbia manife-
stato la propria consapevole volontà al riguardo” (Trib. Frosinone 25-7-2017).
CAPITOLO 3
ENTI

Sommario: A) PROFILI GENERALI. – 1. Persona fisica e persona giuridica. – 2. Elementi costitutivi. Ente
e soggettività giuridica. – 3. Tipologia degli enti. – 4. Riconoscimento. – 5. Capacità. – 6. Attività. –
7. Responsabilità per illecito. – B) FIGURE. – 8. Associazione riconosciuta. – 9. Associazione non ri-
conosciuta. – 10. Fondazione. – 11. Estinzione della persona giuridica. Liquidazione e devoluzione
dei beni. Trasformazione. – 12. Comitato. – 13. Gli enti non profit nella legislazione speciale ed il
“Terzo settore”. – 14. Particolari categorie di enti del Terzo settore.

A) PROFILI GENERALI
1. Persona fisica e persona giuridica. – La persona fisica non è, per l’ordinamen-
to, l’unica entità dotata di capacità giuridica, considerata, cioè, in grado di essere titolare
di situazioni giuridiche. Il concetto di soggetto di diritto, come rilevato (II, 1.1-2),
non coincide con quello di persona fisica. Accanto alle persone fisiche, quali soggetti do-
tati di capacità giuridica si collocano gli enti, vale a dire le organizzazioni di beni e di
persone, cui l’ordinamento riconosce la qualità di centri di imputazione di situazioni giu-
ridiche soggettive, al pari delle persone fisiche.
Storicamente, l’individuazione di un centro di imputazione di situazioni giuridiche
diverso dalla persona fisica si riassume nella espressione persona giuridica (“Delle
persone giuridiche” risulta rubricato, in effetti, il titolo II del libro I del codice civile).
Espressione che attualmente, peraltro, come si avrà modo di constatare alla luce del-
l’evoluzione del quadro normativo, sembra aver perso quel valore sistematico che ne ha
caratterizzato l’impiego in passato, onde alludere a tutte quelle entità le quali, ancorché
prive dell’attributo della fisicità (connotante la persona fisica), sono nondimeno conside-
rate dall’ordinamento giuridico soggetti di diritto.
Analizzando le differenti teorie che, nel tempo, hanno cercato di fornire una spiega-
zione del fenomeno per cui, in favore di entità diverse dalle persone fisiche, l’ordina-
mento riconosce e tutela l’imputazione di situazioni soggettive, è possibile individuare
due contrapposte impostazioni di fondo. Un primo orientamento (c.d. teoria della fin-
zione) è quello che, movendo dalla riflessione che esclusivamente l’uomo, in quanto do-
tato di volontà, sia in grado di essere titolare di situazioni soggettive, reputa, appunto,
una finzione la considerazione da parte dell’ordinamento di soggetti diversi dalla perso-
na fisica (risultando la capacità giuridica, insomma, connotato tipico della sola persona
fisica). Secondo un diverso orientamento (c.d. teoria della realtà), la persona giuridica è
concepita quale entità realmente esistente, sia pure sulla base di una creazione da parte
CAP. 3 – ENTI 361

dell’ordinamento, dotata, al pari dell’uomo, di propria volontà e, in quanto tale, giuridi-


camente capace come la persona fisica. La rigida contrapposizione tra le due teorie, co-
munque, tende attualmente a venire alquanto ridimensionata, soprattutto alla luce di
concezioni che privilegiano una visione essenzialmente strumentale della – peraltro repu-
tata di insostituibile utilità – nozione di persona giuridica, in quanto funzionale a rias-
sumere una speciale disciplina normativa di rapporti intercorrenti pur sempre tra perso-
ne fisiche 1.
La motivazione che (ha indotto e) induce l’ordinamento a considerare gli enti quali
soggetti di diritto distinti dalle persone fisiche che ne promuovono la formazione e ne
assicurano il funzionamento (il gruppo, cioè, in contrapposizione ai singoli) sembra radi-
carsi nell’insuperabile constatazione che il singolo, isolatamente, può perseguire solo una
certa gamma di interessi, ma non può spingersi fino alla realizzazione di tutti quegli ulte-
riori interessi che, invece, necessitano di un’organizzazione di gruppo (o, più in generale,
eccedente le sue possibilità di azione personale). In altre parole, gli individui avvertono
la necessità di ricorrere alla forma dell’ente, allorché i propri interessi perseguiti – perché
di complessa realizzazione, o in quanto proiettati in un arco temporale che trascende la
vita della persona fisica, ovvero per altre ragioni positivamente apprezzate dall’ordina-
mento – non possano trovare adeguato soddisfacimento mediante l’esplicazione di una
mera attività individuale.
L’aggregazione delle energie individuali per scopi economici ha, fin da tempi risalenti,
incontrato il favore dell’ordinamento, per gli sperati positivi effetti dell’attivazione di co-
spicui capitali in vista dello sviluppo dei traffici e del commercio (con conseguente age-
volata concessione, da parte dell’ordinamento stesso, di rilevanti benefici agli interessati:
in particolare, di quello consistente – appunto attraverso il riconoscimento di una distin-
ta soggettività all’organizzazione costituita per l’esercizio dell’attività economica – nella
limitazione della propria responsabilità patrimoniale personale a quanto conferito per la
singola specifica impresa) 2.

1
Nella prospettiva accennata nel testo, la giurisprudenza tende, in effetti, a rilevare come sia “ormai chiarito
che la soggettività dei gruppi organizzati non può essere messa sullo stesso piano di quella degli individui perso-
ne fisiche”, dovendosi ravvisare “nella personalità giuridica (non lo statuto di un’entità reale diversa dalle perso-
ne fisiche, ma) una particolare normativa avente ad oggetto pur sempre relazioni tra uomini” (Cass. 26-10-1995,
n. 11151). Sostanzialmente nella medesima ottica, Cass. 30-8-2005, n. 17500, che parla di “soggettività meramen-
te transitoria e strumentale”, essendo “le situazioni giuridiche imputate” agli enti “destinate a tradursi, secondo
le regole dell’organizzazione interna, in situazioni giuridiche riferite (e questa volta definitivamente) ad individui
persone fisiche”. È da tenere comunque presente che l’ordinamento non può tollerare che i soggetti si nascon-
dano dietro lo schermo dell’ente, per conseguire risultati riprovati dalla legge, aggirandone i divieti (c.d. abuso
della personalità giuridica: Cass. 25-1-2000, n. 804). Superando la distinta personalità giuridica dell’ente, in tal
caso, come si suole dire, il velo può essere sollevato, coinvolgendo direttamente i soggetti interessati, con l’appli-
cazione, nei relativi confronti, delle norme che essi intendevano, appunto, così eludere.
2
Ricorrente, in proposito, è il richiamo, in tempi più lontani, all’esperienza delle compagnie coloniali, fina-
lizzate allo sfruttamento (con il necessario apporto di grandi capitali e una notevole rischiosità per gli investi-
tori) delle ricchezze dei territori aperti alla penetrazione politica ed economica europea, a seguito delle sco-
perte geografiche. In tempi più vicini, il riferimento è all’esigenza – in modo crescente recepita nei codici di
commercio della seconda metà dell’800 – di assicurare il reperimento delle ingenti risorse economiche neces-
sarie alla costituzione (in forma, quindi, di società anonima) di imprese innovative (e, quindi, inevitabilmente
tali da esporre a rilevanti rischi), di dimensione adeguata al nuovo sistema produttivo di tipo capitalistico
conseguente alla rivoluzione industriale.
362 PARTE IV – SOGGETTI

Non così è stato per il perseguimento, attraverso organizzazioni di varia natura, di


scopi ideali e morali. Con sospetto è stata, cioè, guardata la destinazione di beni a simili
finalità, paventandosi i pericoli della sottrazione, per tale via, di attività patrimoniali rile-
vanti ai traffici commerciali, con conseguente danno per l’economia nazionale. Di qui,
addirittura, lo smantellamento, agli albori dello Stato liberale, delle preesistenti organiz-
zazioni (prevalentemente di carattere religioso) di tale tipo, ovvero, successivamente, la
marcata connotazione di carattere pubblicistico della regolamentazione delle attività di
assistenza e beneficenza, con la previsione di un regime di rigoroso inquadramento e pe-
netrante controllo statale sulle relative istituzioni 3.
Un indubbio mutamento di prospettiva si è avuto con il codice civile del 1942, nel
cui libro I risulta introdotta, a differenza che nel codice civile del 1865, una organica di-
sciplina delle persone giuridiche private, evidentemente in considerazione del riconosci-
mento della crescente rilevanza sociale del fenomeno anche al di fuori dell’area dell’or-
ganizzazione degli interessi con finalità economico-produttive. Alla luce della ideologia
statalistica e autoritaria del regime dell’epoca, comunque, il perseguimento di qualsiasi
finalità ideale non poteva che essere assoggettato ad uno stringente controllo di congruità
rispetto agli indirizzi dell’azione, appunto, statale, al raggiungimento dei cui obiettivi
doveva risultare strettamente funzionale anche l’attività degli enti privati (e dei soggetti
in essi coinvolti) 4.
L’ulteriore, decisiva, evoluzione della materia è conseguita al nuovo sistema delineato
dalla Costituzione, la quale, nel porre la persona al centro dell’ordinamento, come pri-
vilegiato punto di riferimento delle relative valutazioni, ha riconosciuto il carattere irri-
nunciabile del contributo che le formazioni sociali e la relativa attività sono idonee
ad apportare allo sviluppo della personalità dell’uomo ed all’esercizio dei suoi diritti
fondamentali (art. 2 Cost.). Inevitabilmente oggetto di una forte tutela è risultata, di ri-
flesso, la libertà di associazione, senza alcuna prefissione di finalità ulteriori rispetto al
beneficio che possa derivarne per la persona stessa, la quale, nel gruppo, si trovi a svol-
gere la propria personalità (art. 18 Cost.) 5. Ed è evidente come una simile prospettiva di
istituzionale funzionalizzazione esclusiva delle formazioni sociali allo sviluppo della per-

3
L’atteggiamento di chiusura dell’ordinamento nei confronti delle organizzazioni (prevalentemente, ma
non esclusivamente, ecclesiastiche) con finalità ideali e morali ebbe modo di manifestarsi, in particolare, pri-
ma dell’unità nazionale, con la nota legge Siccardi del 5.6.1850. Il codice civile del 1865, in materia, si limita-
va ad un rinvio alla regolamentazione della materia “secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico”
(art. 2), anche sotto il profilo del riconoscimento della capacità (art. 433). La disciplina del settore – caratte-
rizzata da uno stringente controllo (iniziale e continuo), da parte degli organi statali, sulle finalità perseguite
dalle organizzazioni con finalità di carattere non economico – fu resa, poi, sistematica con la L. 17.7.1890, n.
6972, sulle istituzioni pubbliche di beneficenza.
4
L’inserimento nel codice civile di una dettagliata disciplina delle persone giuridiche private si caratteriz-
zò, così, per la previsione di una regolamentazione di tipo concessorio (ampiamente discrezionale) per il rela-
tivo riconoscimento, nonché di un regime comportante la necessità di autorizzazioni per gli acquisti più rile-
vanti e rigorosi controlli sulla vita dell’ente. Dell’atteggiamento del legislatore pare sintomatica l’affermazione,
contenuta nella Relaz. cod. civ., n. 6, per cui “tutte le organizzazioni sono nello Stato e sono elementi dello
Stato”. In una simile prospettiva, pur non mancandosi di prendere in considerazione realtà associative prive
di riconoscimento, quest’ultimo resta considerato momento imprescindibile per l’acquisto, da parte dell’ente,
della “qualità di soggetto di diritto” (n. 60).
5
L’unico limite consistendo nella proibizione (attuata con la L. 25.1.1982, n. 17) delle associazioni segrete
e di quelle che perseguano scopi politici mediante organizzazioni di tipo militare (art. 182 Cost.).
CAP. 3 – ENTI 363

sona abbia comportato, da una parte, la necessità di un ripensamento del sistema codici-
stico dei controlli (iniziali e successivi) sugli enti (controlli da ritenere destinati, ormai,
non ad un vaglio di conformità degli scopi e dell’azione dell’ente agli indirizzi prefigurati
in sede politica, ma esclusivamente alla garanzia di un’effettiva finalizzazione dell’azione
dell’ente stesso alla promozione della personalità dei soggetti che essa coinvolge); dall’al-
tra, il positivo apprezzamento del fenomeno associativo come tale, a prescindere, pro-
prio in quanto espressione di libertà, dall’imposizione di vincoli di carattere formale
(con connessa tendenza al superamento, quindi, dei meccanismi volti a subordinare ad
essi le potenzialità di azione degli enti).
La conseguente diffusione delle organizzazioni di gruppo – sempre più articolate e di
sempre maggiore rilievo socio-economico nella comunità – risulta porsi, così, alla base di
un mutato atteggiamento da parte del legislatore, il quale, lungi dal vedere nei gruppi
stessi e nel riconoscimento (e tutela) dei diritti dei medesimi un fenomeno da contenere
e tenere sotto controllo, pare oggi deciso ad incentivare il ricorso alle più diverse forme
di aggregazione 6. L’evoluzione del quadro normativo, intimamente legata alla evoluzio-
ne dei rapporti economico-sociali e delle relative dinamiche, propizia, allora, una oppor-
tuna rimeditazione circa gli stessi elementi tradizionalmente identificati quali costitutivi
della persona giuridica.

2. Elementi costitutivi. Ente e soggettività giuridica. – Nella impostazione tradi-


zionale (e ancora corrente), gli elementi costitutivi della persona giuridica sono
distinti in una componente materiale (il c.d. substrato materiale), comprensiva di persone,
patrimonio e scopo e in una componente formale (il riconoscimento). Ai fini della esistenza
della persona giuridica, infatti, appare indefettibile la sussistenza di persone fisiche, por-
tatrici degli interessi non perseguibili attraverso l’azione individuale del singolo (così
come necessaria è l’attività di persone fisiche per la vita dell’ente): è questo l’elemento
personale. Simili interessi, poi, per essere realizzati, necessitano di una attività spesso
complessa e articolata, che a sua volta richiede la predisposizione di un’organizzazione
altrettanto complessa ed articolata. Di qui l’esigenza che la persona giuridica sia dotata
di un’adeguata massa di beni, che possa economicamente sostenere il peso dello svolgi-
mento dell’attività istituzionale dell’ente: è questo il patrimonio. L’aggregazione di
persone e di beni, inoltre, avviene in vista della realizzazione di determinate finalità
che, a seconda delle tipologie degli enti, possono essere le più varie: è questo lo scopo.
A tutti questi elementi – che, come accennato, costituiscono il substrato materiale del-
l’ente – secondo la prospettiva corrente viene dato rilievo mediante il riconoscimento da
parte dell’ordinamento giuridico, quale momento formale di attribuzione della personali-
tà giuridica.
Pur non intendendo disconoscere l’importanza che ha tradizionalmente rivestito – e
che continua a rivestire, sia pure essenzialmente a fini classificatori e didattici – l’iden-
tificazione degli elementi costitutivi della persona giuridica, può senza esitazione sottoli-

6
È anche all’atteggiamento in questione che può essere riferita la prospettiva accolta nell’art. 1184 Cost.
(ai sensi della L. cost. 18.10.2001, n. 3), nel senso di un istituzionale favore per “l’autonoma iniziativa dei cit-
tadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. Per quanto riguarda, in partico-
lare, l’attività degli enti nel c.d. “terzo settore”, anche alla luce del D.Lgs. 3.7.2017, n. 117, v. infra, IV, 3.13.
364 PARTE IV – SOGGETTI

nearsi come attualmente si assista soprattutto ad una progressiva svalutazione dell’ele-


mento formale del riconoscimento da parte dell’ordinamento. La formale attribuzione
della personalità giuridica non risulta più, in altre parole, momento essenziale ai fini del-
la considerazione dell’ente quale soggetto di diritto. Il rilievo sociale assunto dalle orga-
nizzazioni di gruppo, ancorché non sottoposte al riconoscimento statale, giustifica sen-
z’altro la relativa considerazione quali centri di imputazione di situazioni giuridiche sog-
gettive, autonomi soggetti di diritto, cioè, distinti dai propri membri e dotati, appunto in
quanto tali, di capacità giuridica.
Al concetto di personalità giuridica, pertanto, va sempre più a sostituirsi quello
di soggettività giuridica: concetto, quest’ultimo, più ampio, che dovrebbe valere ad
includere nel novero dei soggetti giuridicamente capaci, le persone fisiche, le persone giu-
ridiche e gli enti non riconosciuti quali persone giuridiche (II, 1.1-2). La espressione per-
sona giuridica, che storicamente si proponeva quale esclusiva alternativa concettuale alla
nozione di persona fisica, finisce, così, col limitarsi attualmente a indicare solo un parti-
colare profilo di disciplina dell’ente riconosciuto rispetto all’ente non riconosciuto (la
peculiare qualificazione, cioè, che gli deriva dal riconoscimento, con le conseguenze che
ne scaturiscono dal punto di vista dell’autonomia patrimoniale: IV, 3.8-9), ma non rive-
ste più il decisivo valore sistematico che aveva un tempo.
Un impulso determinante nel senso dell’affermazione del concetto sempre più ampio
di soggettività giuridica è stato offerto, come accennato, dal fondamentale precetto con-
tenuto nell’art. 2 Cost., secondo cui “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti invio-
labili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua perso-
nalità”. Tale previsione, pure alla luce del principio della libertà di associazione (sancito
dall’art. 18 Cost.), ha fornito una essenziale chiave di lettura per l’interprete, che è pro-
gressivamente pervenuto a concepire con sempre maggiore chiarezza anche l’ente non
riconosciuto quale autonomo soggetto di diritto 7. Le situazioni giuridiche che spettano al-
l’associazione non riconosciuta o alla società di persone, quali modelli di enti non personi-
ficati, sono ritenute rientrare, cioè, nell’autonoma sfera giuridica dell’ente e non formare
oggetto di una forma di contitolarità da parte dei membri dell’ente medesimo. Coeren-
temente, anche nella legislazione speciale, come non si mancherà di sottolineare (IV, 3.13),
il momento del riconoscimento dell’ente tende a venire drasticamente svalutato, assu-
mendo un ruolo sempre più determinante i caratteri e le finalità dell’attività svolta dal-
l’ente medesimo.

3. Tipologia degli enti. – Soprattutto per comodità espositiva, ancora oggi conti-
nuano a proporsi, alla luce dell’impianto del codice civile (sempre meno rispondente, in-

7
La giurisprudenza, così, sulla base di una interpretazione evolutiva del tessuto normativo codicistico, già da
tempo (ad es., Cass. 16-11-1976, n. 4252) ha sostituito alla rigida contrapposizione tra persone fisiche e persone
giuridiche, la “distinzione tra persone fisiche, persone giuridiche e soggetti collettivi o gruppi organizzati non
personificati”, concludendo nel senso di riconoscere la qualità di soggetto di diritto pure all’associazione non rico-
nosciuta. Pacifica, insomma, è l’affermazione per cui “l’associazione non riconosciuta, ancorché sfornita di per-
sonalità giuridica, è considerata dall’ordinamento come centro di imputazione di situazioni giuridiche distinto
dagli associati” (ad es., Cass. 23-1-2007, n. 1476). Analogamente, anche con riferimento alla società di persone, si
individua, ormai, un soggetto distinto dai relativi soci, quale centro autonomo di situazioni giuridiche a lei facenti
capo (e v., ad es., Cass. 24-7-1989, n. 4252, Cass. 2-2-2018, n. 2575: “pur essendo prive di personalità giuridica
… munite di propria soggettività” le considera senz’altro Cass. 10-4-2003, n. 5664).
CAP. 3 – ENTI 365

vero, tanto alla realtà sociale, quanto allo stesso ordinamento considerato nel suo com-
plesso), alcune classificazioni degli enti, in considerazione dello scopo dell’ente e della
sussistenza o meno del riconoscimento. Tali classificazioni possono essere tenute ferme,
purché si abbia piena consapevolezza che la prassi, di cui il legislatore medesimo tende a
prendere sempre di più atto, ha permesso di assistere alla nascita ed allo sviluppo di enti
che, per la loro struttura e per il loro concreto modo di operare nel mondo del diritto,
sfuggono a simili schemi classificatori.
a) Una prima distinzione di fondo che si riscontra nel codice risulta quella tra enti
pubblici (persone giuridiche pubbliche: art. 11) ed enti privati (persone giuridiche private:
art. 12, abrogato dal D.P.R. 10.2.2000, n. 361, nel quadro della riforma delle modalità di
riconoscimento, cui corrisponde ora il relativo l’art. 11) 8. È questa una classificazione
che, tradizionalmente, veniva essenzialmente ricollegata allo scopo dell’ente: persone
giuridiche pubbliche, alla stregua di tale impostazione, dovrebbero reputarsi quelle
che perseguono istituzionalmente fini di rilevanza generale, di carattere pubblico, in
contrapposizione alle persone giuridiche private che, invece, per loro natura perse-
guirebbero scopi di carattere, appunto, privato e non di rilevanza generale.
Da tempo, tuttavia, la distinzione, così come formulata, è apparsa insoddisfacente, in
quanto non aderente alla realtà, che vede in misura sempre maggiore perseguire interessi
di indubbio rilievo generale anche da parte di enti dal carattere privato. Il carattere ge-
nerale e pubblico dei fini dell’attività, di fronte ad una simile interscambiabilità, in altre
parole, non può considerarsi indice affidabile per distinguere la persona giuridica pub-
blica dalla persona giuridica privata. Incerto si tende a ritenere anche l’ulteriore profilo
di distinzione, costituito dal collegamento del carattere pubblico della persona giuridica
con la relativa investitura di poteri di imperio. Sicuro tratto caratterizzante – oltre a quel-
lo dei peculiari controlli cui l’attività dell’ente pubblico risulta assoggettata – finisce, per-
tanto, con l’attenere al profilo dell’atto costitutivo, il quale, nell’ipotesi di persona giuri-
dica privata, è, come si vedrà, un atto di autonomia privata; l’ente pubblico, invece, vie-
ne ad esistenza per effetto di una previsione normativa o di un atto amministrativo 9.
Gli enti pubblici, a loro volta, si distinguono in enti pubblici territoriali (Stato,
Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni: art. 114 Cost.) ed enti pubblici non
territoriali, a seconda della sussistenza o meno di un legame della rispettiva attività
con una determinata sfera territoriale. È da sottolineare come, in relazione alla seconda

8
Tra le persone giuridiche private tendono ad essere attualmente inquadrati anche gli enti ecclesiastici (i
quali sono tenuti, infatti, intervenuta l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, all’iscrizione nel registro
delle persone giuridiche per divenire “enti ecclesiastici civilmente riconosciuti”), sia pure con talune pecu-
liarità che si ricollegano alla disciplina per essi specificamente dettata in considerazione delle loro finalità
(v. la L. 20.5.1985, n. 222, col relativo regolamento di esecuzione, D.P.R. 13.2.1987, n. 33, nonché, con
riguardo agli enti finalizzati agli scopi delle confessioni religiose diverse da quella cattolica, le varie intese
adottate in base all’art. 8 Cost.). Una disciplina specifica viene dettata per tale tipologia di enti (con l’im-
piego della più comprensiva terminologia di enti religiosi) nel contesto della disciplina degli “enti del Terzo
settore” (art. 43 D.Lgs. 117/2017: IV, 3.13), anche, in particolare, con riguardo alle “imprese sociali” (art. 13
D.Lgs. 112/2017).
9
Del resto, si tende ormai a ritenere che, “nel nostro ordinamento, anche in ragione dell’influenza del di-
ritto europeo, non esiste una definizione unitaria e omogenea di ente pubblico”, dovendo essere comunque
affidato il giudizio in proposito al riscontro, nel singolo caso, di una pluralità di “indici normativi” (così, ad
es., Cons Stato, sez. VI, 1-6-2016, n. 2326).
366 PARTE IV – SOGGETTI

categoria di enti pubblici, sia da tempo in corso un processo tendente alla loro drastica
riduzione o – in particolare con riguardo ai c.d. enti pubblici economici, anche nel campo
dell’erogazione dei servizi pubblici – trasformazione in enti privati (c.d. privatizzazione:
per un tentativo di intervento organico in materia, v. l’art. 14 L. 15.3.1997, n. 59 e il con-
seguente D.Lgs. 29.10.1999, n. 419).
b) Altra distinzione è quella tra enti lucrativi ed enti non lucrativi. Si tratta di una
differenziazione (cui si riferisce l’art. 13, rinviando per la regolamentazione delle società
al libro V: l’art. 2247 ne individua il tratto caratterizzante nell’“esercizio in comune di
un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”) che, se dal punto di vista teorico
ha tuttora sicuramente ragione di essere – anche alla luce della diversa collocazione nel
corpo del codice civile delle norme che disciplinano gli enti non lucrativi (libro I), rispet-
to a quelle che regolano gli enti lucrativi (libro V) –, da un punto di vista pratico, tutta-
via, almeno nella sua tradizionale categoricità, desta non poche perplessità. La prassi 10
offre un panorama in modo crescente caratterizzato, in una prospettiva di interscambia-
bilità, da enti che, ancorché sorti nelle forme istituzionalmente previste per il persegui-
mento di finalità non lucrative, svolgono, invece, pure (o, addirittura, essenzialmente)
attività di tipo economico-imprenditoriale, nonché, all’inverso, da enti che, ancorché
(per le forme in cui risultano costituiti) si presentano contraddistinti da scopo di profitto,
svolgono, in realtà, attività di tipo non lucrativo.
In ogni caso, enti non lucrativi, anche definiti enti con scopi ideali o morali (o, se-
condo una sempre più diffusa terminologia, non profit), sono le associazioni, le fondazio-
ni e i comitati, disciplinati, appunto, nel libro I del codice civile. Enti lucrativi – lo
studio dei quali è materia rientrante nel diritto commerciale – sono, invece, le società,
regolate nel libro V del codice civile, il cui scopo, appunto definito lucrativo, è quello di
dividere gli utili prodotti dall’“esercizio in comune di un’attività economica” (art. 2247).
c) Anche la classificazione degli enti in enti riconosciuti ed enti non riconosciuti come
persona giuridica (c.d. enti di fatto) – che in passato assumeva un consistente rilievo, so-
prattutto in considerazione dell’assai diversa capacità che conseguiva all’attribuzione
formale, appunto attraverso il riconoscimento, della personalità giuridica – ha oggi perso
importanza: l’unica sostanziale differenza di disciplina degli enti riconosciuti rispetto agli
enti non riconosciuti attiene, ormai, come si vedrà, al diverso regime di responsabilità
per le obbligazioni assunte in nome e per conto dell’ente stesso.
Per quel che concerne gli enti del libro I del codice civile, enti riconosciuti quali per-
sone giuridiche sono le associazioni riconosciute, le fondazioni ed i comitati riconosciuti 11;
enti non riconosciuti sono le associazioni non riconosciute e i comitati non riconosciuti.
Quanto agli enti del libro V del codice civile, enti riconosciuti come persone giuridiche

10
Ma il discorso vale pure, a livello legislativo, per una tendenza da tempo in atto (di recente, anche in
maniera sistematica avallata dal legislatore col D.Lgs. 117/2017, applicativo della L. 106/2016) con particola-
re riferimento ai c.d. enti del “Terzo settore”, che investe pure il profilo della rilevanza del riconoscimento
(IV, 3.13-14).
11
La formula dell’art. 12, peraltro abrogato dal D.P.R. 10.2.2000, n. 361 (il cui art. 11, comunque, impiega la
medesima terminologia), accomunava, in realtà, alle associazioni ed alle fondazioni “le altre istituzioni di caratte-
re privato”. Tale espressione (nella Relaz. cod. civ., n. 42) era riferita, in via esemplificativa, ai comitati, ma veni-
va, invero, reputata di portata più comprensiva, in quanto tale eventualmente da abbracciare, “nella varietà della
vita moderna”, “altre creazioni giuridiche non perfettamente aderenti né alle associazioni, né alle fondazioni”.
CAP. 3 – ENTI 367

sono le società di capitali (società per azioni, società in accomandita per azioni e società a
responsabilità limitata) e le società cooperative; enti privi di riconoscimento sono le socie-
tà di persone (società semplice, società in nome collettivo e società in accomandita sem-
plice).

4. Riconoscimento. – In passato, la distinzione tra enti lucrativi ed enti non lucrativi


era indice anche di un sistema di attribuzione della personalità giuridica radicalmente
differente. Al sistema di riconoscimento c.d. normativo, previsto (e tuttora vigente)
per le società di capitali, in base al quale queste ultime acquistano la personalità giuridi-
ca con l’iscrizione nel registro delle imprese (art. 23311, per le società per azioni, e art.
24633, per le società a responsabilità limitata) 12, si contrapponeva il sistema di ricono-
scimento c.d. concessorio, caratteristico degli enti del libro I, per cui associazioni,
fondazioni e comitati acquistavano la personalità giuridica mediante il riconoscimento
concesso con decreto del Presidente della Repubblica (art. 12, oggi abrogato).
L’attribuzione della personalità giuridica, cioè, secondo l’originario sistema concesso-
rio, era rimessa ad una valutazione ampiamente discrezionale da parte della Pubblica
Amministrazione (sfociante, appunto, nel provvedimento dell’organo di vertice dell’orga-
nizzazione statale), concernente, con riguardo al singolo caso, lo scopo e la congruità,
rispetto ad esso, del patrimonio dell’ente 13. Al riconoscimento, poi, seguiva la registra-
zione, ovvero l’iscrizione dell’ente nell’apposito registro. L’ente, pertanto, acquistava la
personalità giuridica per effetto del riconoscimento, dalla registrazione derivandogli,
poi, la c.d. autonomia patrimoniale perfetta.
Il D.P.R. 10.2.2000, n. 361, nell’intento di evitare il protrarsi nel tempo (e la ritenuta
eccessiva discrezionalità) delle valutazioni della Pubblica Amministrazione, che caratte-
rizzava il sistema concessorio, ha introdotto una disciplina profondamente innovativa,
sostituendo il precedente sistema con uno nuovo. Ai sensi del relativo art. 11, le associa-
zioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giu-
ridica mediante il riconoscimento “determinato dall’iscrizione” nel registro delle

12
L’acquisto della personalità avviene, in sostanza, in modo automatico, essendo subordinata l’iscrizione
nel registro delle imprese – tenuto dall’ufficio del registro delle imprese istituito presso la camera di commer-
cio (art. 2188 e L. 29.12.1993, n. 580) – solo ad una verifica, da parte dell’ufficio del registro delle imprese,
della “regolarità formale della documentazione” depositata dal notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo (art.
23301-3), comprovante la sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione, tra quelli previsti,
del tipo di società cui si vuole dar vita (onde la qualifica di normativo per tale sistema di riconoscimento della
personalità giuridica).
13
Mentre lo scopo lucrativo, insomma, risultava reputato senz’altro meritevole di tutela (in considerazione
dell’attivazione di fattori produttivi derivante dalla creazione di un’organizzazione a ciò destinata), quello non
lucrativo (morale) si riteneva opportuno assoggettarlo, di volta in volta, in seguito alla richiesta di riconosci-
mento della personalità di ciascun ente, ad una valutazione discrezionale di meritevolezza. Si rifletteva in ciò,
evidentemente, una scelta ideologica, nel senso di considerare di per sé conforme all’interesse generale ogni
contributo dei privati funzionale all’incremento della produzione, secondo un ordine di priorità che la Costi-
tuzione ha ribaltato, concentrando l’attenzione, piuttosto, come punto di riferimento della positiva valutazio-
ne dell’ordinamento, sulla persona e sulle sue esigenze di sviluppo, cui è reputata funzionale l’attività delle
formazioni sociali (art. 2 Cost.). Di qui la spinta alla promozione dell’azione degli enti destinati ad operare
per il perseguimento di scopi non lucrativi, ma di carattere ideale e morale, con l’avvertita necessità di agevo-
larne la creazione, anche attraverso l’introduzione, appunto, di un nuovo, meno discrezionale e più rapido,
regime di riconoscimento.
368 PARTE IV – SOGGETTI

persone giuridiche, istituito presso le prefetture 14. Al prefetto residua, comunque, in


vista dell’iscrizione, un certo margine di discrezionalità nella valutazione della possibilità
e liceità dello scopo, nonché della adeguatezza del patrimonio alla realizzazione del mede-
simo scopo (art. 13). Proprio tale margine di (sia pur limitata) discrezionalità impedisce
di definire l’attuale sistema di attribuzione della personalità giuridica agli enti del libro I
quale sistema di tipo senz’altro normativo: non a caso, esso tende ad essere definito qua-
le sistema di tipo quasi normativo 15.
Va opportunamente evidenziato, comunque, come, nel passaggio dal sistema origina-
rio a quello attualmente vigente, sia venuta meno quella duplicazione di fasi, caratteristi-
ca del sistema previgente (riconoscimento e registrazione), che, come dianzi rilevato,
comportava una differenziazione, sotto il profilo temporale, dei due momenti dell’attri-
buzione della personalità giuridica e dell’acquisizione dell’autonomia patrimoniale perfet-
ta. Oggi, infatti, l’ente, acquista la personalità giuridica al momento dell’iscrizione nel re-
gistro delle persone giuridiche e nello stesso momento acquista altresì l’autonomia pa-
trimoniale perfetta. In tal modo, viene meno il peculiare regime di responsabilità che
l’art. 334, ormai abrogato, sanciva per le obbligazioni assunte in nome e per conto del-
l’ente non registrato, benché riconosciuto 16.

5. Capacità. – Dal punto di vista patrimoniale, l’ente ha una capacità giuridica


sostanzialmente analoga a quella delle persone fisiche 17. Nella sua sfera di titolarità pos-
sono, infatti, rientrare tutte le situazioni giuridiche soggettive, attive e passive, che po-
trebbero fare capo ad un soggetto persona fisica. Alla persona giuridica risulta riferibile
pure la titolarità di situazioni giuridiche soggettive di contenuto non patrimoniale,
tutelate al pari di quelle corrispondenti della persona fisica (come il suo segno distintivo:

14
Secondo l’art. 71 D.P.R. 361/2000, il riconoscimento delle persone giuridiche private che operano nelle ma-
terie (ai sensi dell’art. 14 D.P.R. 24.7.1977, n. 616) attribuite alla competenza delle regioni (e le cui finalità si
esauriscono nell’ambito di una sola regione) è determinato dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche isti-
tuito presso la stessa regione. L’art. 73 si riferisce alle analoghe competenze delle regioni a statuto speciale e delle
province autonome di Trento e Bolzano. È da sottolineare come l’art. 5 abbia demandato alle prefetture (o re-
gioni o province autonome) competenti le funzioni amministrative precedentemente attribuite all’autorità gover-
nativa. Nell’ambito di tali funzioni rientra, ovviamente, l’esercizio dei poteri di controllo (come si vedrà, più pe-
netranti con riferimento alle fondazioni) riconosciuti in materia all’autorità amministrativa.
15
Comunque, Cass., sez. un., 8-5-2014, n. 9942, ha ritenuto che la nuova procedura “non ha alterato il ca-
rattere essenzialmente concessorio dell’attribuzione della personalità giuridica”, conservando l’amministra-
zione prefettizia “un rilevante ambito di apprezzamento” e, in particolare un “significativo margine di valuta-
zione concernente il requisito della ‘adeguatezza’ del patrimonio”. Si tenga presente come, con riguardo agli
enti operanti nel c.d. “terzo settore” (IV, 3.13), l’art. 22 D.Lgs. 117/2017, abbia dato vita ad un meccanismo
sostanzialmente alternativo di “acquisto della personalità giuridica”.
16
L’art. 334, come rilevato nel testo, prevedeva una particolare forma di responsabilità per le obbligazioni as-
sunte in nome e per conto dell’ente non registrato, benché riconosciuto: delle obbligazioni rispondevano perso-
nalmente e solidalmente, insieme con la persona giuridica, gli amministratori dell’ente. Tale disposizione è stata
abrogata dal D.P.R. 361/2000. Contestualmente, è stato abrogato anche l’art. 34, concernente la “registrazione di
atti”, con conseguenti dubbi esegetici in ordine al regime di relativa opponibilità (in particolare, con riguardo
alle modificazioni dell’atto costitutivo e dello statuto).
17
Di una “capacità giuridica” di carattere tendenzialmente “generale” (in quanto operante “in mancanza
di specifiche limitazioni stabilite dalla legge”) parla, anche con riferimento alle società, Cass. 21-9-2015, n.
18449, alludendo alla conseguente possibilità di porre in essere “qualsiasi atto o rapporto giuridico, inclusa la
donazione”.
CAP. 3 – ENTI 369

la denominazione). Oggi, poi, come si è avuto modo di evidenziare anche in relazione alle
singole figure (in particolare, con riguardo al diritto all’identità personale), si tende sempre
più ad ampliare l’ambito della tutela dei diritti della personalità di cui la persona giuridica è
ritenuta possibile titolare (con la conseguente tutela risarcitoria: IV, 2.2 e X, 2.4).
L’ente, ovviamente, a differenza della persona fisica, non ha l’idoneità ad essere tito-
lare delle situazioni giuridiche soggettive che presuppongono la fisicità del soggetto. Ciò
si comprende agevolmente, ad es., con riferimento alle situazioni soggettive di natura
familiare, le quali, per loro natura, sono assolutamente insuscettibili di afferire alla sfera
giuridica di titolarità dei soggetti diversi dalle persone fisiche.
In campo patrimoniale, sono scomparsi preclusioni e ostacoli che, in passato, limi-
tavano fortemente la capacità dell’ente. In particolare, l’art. 17, oggi abrogato 18, subor-
dinava l’acquisto di beni immobili, l’accettazione di donazioni o eredità, nonché il con-
seguimento di legati, da parte di associazioni riconosciute e fondazioni, alla preventiva
autorizzazione governativa. Venuta meno questa rilevante restrizione 19, associazioni e
fondazioni hanno oggi la piena capacità di compiere acquisti immobiliari e di beneficiare
di attribuzioni a titolo gratuito, senza che, pertanto, la consistenza patrimoniale dell’ente
debba, di volta in volta, essere sottoposta ad un controllo di carattere pubblicistico.
Con riguardo, poi, alle associazioni non riconosciute (IV, 3.9), in assenza di una norma
di contenuto analogo a quello dell’art. 17, si discuteva se esse avessero la capacità di ac-
quistare beni immobili. A tale controversia ha posto fine la L. 27.2.1985, n. 52, la quale,
nel sostituire l’art. 2659, n. 1, e, quindi, nel dettare il contenuto della nota di trascrizio-
ne, ha specificamente previsto l’indicazione della denominazione e del numero di codice
fiscale delle associazioni non riconosciute. In tal modo è risultata legislativamente sanci-
ta, dunque, la possibilità di intestazione del bene immobile direttamente in capo alla stessa
associazione non riconosciuta. Quanto agli atti a titolo gratuito, gli artt. 600 e 786 subor-
dinavano l’efficacia delle disposizioni testamentarie e delle donazioni a favore di ente
non riconosciuto all’istanza del medesimo per ottenere il riconoscimento. Già a seguito
dell’abrogazione dell’art. 17, non si mancò di dubitare circa la persistente operatività de-
gli artt. 600 e 786, che continuavano ancora a prevedere il riconoscimento quale momen-
to propedeutico all’autorizzazione all’acquisto. Ogni discussione in proposito è venuta
ormai, comunque, definitivamente meno per l’intervento del legislatore, il quale, con la
L. 22.6.2000, n. 192, ha abrogato espressamente gli artt. 600 e 786.
In conclusione, stando all’attuale quadro normativo, gli enti del libro I, riconosciuti o
meno, possono liberamente acquistare beni immobili e conseguire attribuzioni a titolo
gratuito, senza la necessità dell’autorizzazione governativa.

6. Attività. – La circostanza che anche gli enti diversi dalle persone fisiche siano do-
tati di una propria capacità giuridica, che li rende idonei ad essere titolari delle più
varie situazioni giuridiche attive e passive, è alla base dell’esigenza di mettere in grado gli
enti stessi di muoversi nel complesso mondo dei traffici giuridici, onde disporre delle
proprie situazioni giuridiche, ovvero acquistarne di nuove.

18
L’art. 17 è stato abrogato dall’art. 13 L. 15.5.1997, n. 127 (e v. anche art. 11 L. 22.6.2000, n. 192).
19
Retaggio di un clima storico di diffidenza verso gli enti con scopi di carattere non lucrativo, per il timo-
re di una immobilizzazione della ricchezza non destinata all’attività economica ma a scopi ideali.
370 PARTE IV – SOGGETTI

È evidente che l’ente, in quanto, per sua natura, non dotato dell’attributo della fisici-
tà, ha la necessità di servirsi di altri soggetti (persone fisiche), non solo per organizzare la
propria vita interna, ma, soprattutto, al fine di determinare la propria volontà e manife-
starla all’esterno: l’esercizio della capacità di agire di cui l’ente risulta fornito è reso
possibile dai suoi organi. La delineazione del concetto di organo affonda, storicamente,
le sue radici in quelle teorie che, come già rilevato, individuavano nella persona giuridica
una entità realmente esistente, al pari della persona fisica (IV, 3.1). Sono gli organi, ap-
punto, a permettere all’ente di formare la propria volontà e di proiettarla all’esterno. Al-
la stregua di tale impostazione, la volontà dell’ente, ancorché derivante, a sua volta, dalla
confluenza delle volontà dei singoli membri (ad es., degli associati riuniti in assemblea),
viene riferita immediatamente all’ente medesimo. Allo stesso modo, tutti i comportamen-
ti giuridicamente rilevanti posti in essere dagli organi dell’ente sono allo stesso diretta-
mente imputati 20.
Con riguardo all’attività negoziale dell’ente, il compito di proiettare all’esterno la
sua volontà, perché si incontri con quella di altri soggetti nella conclusione di negozi giu-
ridici, è demandato, in via generale, all’organo amministrativo. Sono gli amministratori,
cioè, quali organi dell’ente, che consentono all’ente medesimo di intrattenere rapporti
negoziali. La determinazione della volontà dell’ente, invece, può spettare all’assemblea,
organo peculiare degli enti del tipo associativo, o agli stessi amministratori, cui compete,
in particolare, concretizzare durante la vita degli enti di tipo fondazionale la volontà
promanante dal fondatore (ipotesi, questa, che si verifica, appunto, nella fondazione, in
cui manca l’assemblea).
Il fenomeno in base al quale l’attività negoziale posta in essere dall’organo dell’ente
viene imputata all’ente stesso (che solo attraverso i propri organi una simile attività può
svolgere) prende il nome di rappresentanza organica (o istituzionale). Ancorché, in-
somma, la dichiarazione negoziale provenga da un soggetto diverso dall’ente (appunto
l’amministratore), essa è imputata direttamente all’ente medesimo (in una prospettiva,
quindi, di immedesimazione dell’organo con l’ente). Il concetto di rappresentanza orga-
nica, peraltro, è stato sottoposto a revisione critica da una parte della dottrina, secondo
cui, nei confronti dei terzi, non sussisterebbe la possibilità di distinguere l’attività dell’or-
gano da quella del normale rappresentante (sul concetto di rappresentanza, VIII, 8.1).

7. Responsabilità per illecito. – Risulta superata la concezione alla cui stregua, in re-
lazione agli atti illeciti compiuti dai propri organi nell’esercizio delle loro attribuzioni
istituzionali, l’ente risponderebbe – indirettamente – ai sensi dell’art. 2049, che disciplina
l’ipotesi della responsabilità dei padroni e dei committenti (X, 1.8): l’ente, cioè, in una
simile prospettiva, dovrebbe reputarsi quale committente del proprio organo e, quindi,
responsabile per fatto illecito altrui. Contrariamente a una simile impostazione, si tende
oggi a configurare una responsabilità diretta dell’ente, ex art. 2043, per gli illeciti com-
messi dai suoi organi 21.

20
Ciò vale anche per la eventuale rilevanza, per l’ente, di stati psicologici (come quelli di “scienza” o di
“ignoranza”: Cass. 22-10-1997, n. 10383).
21
Ormai da tempo, per la giurisprudenza, l’ente (pubblico o privato che sia) è pacificamente considerato
responsabile per i fatti illeciti “a titolo di responsabilità diretta in virtù del rapporto organico che immedesi-
CAP. 3 – ENTI 371

Quanto agli illeciti penali, il recente D.Lgs. 8.6.2001, n. 231, in contrasto con la
tradizionale relativa esclusione, afferma la responsabilità dell’ente per i reati commessi
nel suo interesse o a suo vantaggio dalle persone che rivestono funzioni di rappresentan-
za, di amministrazione o di direzione dell’ente stesso, nonché da persone che esercitano,
anche di fatto, la gestione e il controllo del medesimo. A carico dell’ente responsabile
sono previste sanzioni di tipo pecuniario, di tipo interdittivo (l’interdizione, cioè, tempo-
ranea o, addirittura, definitiva dall’esercizio dell’attività cui si riferisce l’illecito), la confi-
sca del prezzo o del profitto del reato e la pubblicazione della sentenza. Va ulteriormen-
te precisato che le sanzioni così previste si applicano sia agli enti forniti di personalità
giuridica che a quelli privi.

B) FIGURE

8. Associazione riconosciuta. – L’associazione riconosciuta rappresenta la fat-


tispecie paradigmatica di ente, tradizionalmente assunta dalla dottrina quale modello per
la formulazione delle teorie della persona giuridica. Nell’associazione riconosciuta, infat-
ti, al contrario – come si vedrà – del differente modello rappresentato dalla fondazione,
sono presenti e con chiarezza identificabili tutti quei tratti che generalmente sono repu-
tati elementi costitutivi della persona giuridica (persone, patrimonio, scopo, riconosci-
mento).
Il ruolo dell’associazione riconosciuta, tuttavia, all’indomani delle modifiche che han-
no profondamente inciso sulla disciplina degli enti (basti pensare al profilo della relativa
capacità: IV, 2.5), sembra oggi assumere un peso diverso soprattutto con riferimento al
modello dell’associazione non riconosciuta, la quale, appunto, non è più sottoposta a
quelle limitazioni di azione che, in passato, rendevano maggiormente appetibile il rico-
noscimento. Ciò perché l’unica sostanziale differenza sussistente tra l’associazione rico-
nosciuta e quella non riconosciuta è da individuarsi, ormai, nella disciplina della respon-
sabilità per le obbligazioni che fanno capo all’ente: a rispondere delle medesime soltanto
col proprio patrimonio è esclusivamente l’associazione riconosciuta (autonomia patri-
moniale perfetta). Di conseguenza, esclusivamente con riguardo all’associazione rico-
nosciuta i creditori dell’associazione stessa non possono vantare alcuna pretesa non solo
nei confronti degli associati, ma neppure verso coloro che hanno agito in nome e per
conto dell’associazione; così come, reciprocamente, i creditori personali degli associati
non possono aggredire il patrimonio dell’ente (come si avrà modo di vedere, le associa-
zioni non riconosciute sono caratterizzate, invece, da un’autonomia patrimoniale imperfet-
ta: IV, 3.9).
L’associazione riconosciuta nasce mediante un contratto, il contratto associativo,
che, ai sensi dell’art. 141, deve rivestire la forma dell’atto pubblico. La forma dell’atto
pubblico risulta, peraltro, propedeutica esclusivamente in vista del successivo ricono-
scimento: ecco perché si tende a ritenere che l’associazione esista comunque, a prescin-
dere, cioè, dall’adozione dell’atto pubblico. Il contratto associativo è una tipica ipotesi di

ma l’attività degli organi con quella dell’ente” (nel caso di specie, si trattava della responsabilità per il fatto il-
lecito del medico dipendente da un ospedale: Cass. 5-1-1979, n. 31).
372 PARTE IV – SOGGETTI

contratto plurilaterale (VIII, 2.15) ed è caratterizzato da una struttura aperta, nel senso,
cioè, che ad esso possono prestare adesione, in un momento successivo al suo perfezio-
namento, altri contraenti (il carattere aperto della struttura è, anzi, ritenuto da taluni in-
dispensabile – secondo il principio della c.d. “porta aperta” – per la ricorrenza del mo-
dello dell’associazione, con l’applicabilità della relativa disciplina, come sarebbe attesta-
to dall’art. 161, che contempla quale necessaria la previsione delle condizioni dell’ammis-
sione degli associati) 22.
Correntemente, si distingue l’atto costitutivo, che racchiude la volontà dei con-
traenti di dare vita all’ente ed individua gli elementi principali e caratterizzanti l’ente me-
desimo (denominazione, scopo, patrimonio, sede), dallo statuto, che contiene le norme
destinate a regolare la futura vita ed il funzionamento dell’ente 23. Normalmente, atto co-
stitutivo e statuto sono racchiusi in due distinti documenti e lo statuto viene allegato
all’atto costitutivo; essi, comunque, si integrano, come sembra attestato dal complessivo
e indifferenziato riferimento al relativo (necessario o possibile) contenuto da parte del-
l’art. 16.
Quanto allo scopo, esso rappresenta l’elemento che giustifica l’aggregazione del grup-
po di persone che danno vita all’ente, assicurandone la necessaria coesione 24: secondo
una suggestiva immagine, lo scopo rappresenterebbe per l’ente ciò che per la persona
fisica è rappresentato dalla corporalità. Lo scopo dell’associazione deve essere non lu-
crativo: caratteristica, questa, che vale a distinguere la figura dell’associazione da quella
della società. L’essere lo scopo dell’associazione istituzionalmente di tipo non lucrativo,
peraltro, non vale ad escludere che, in concreto, l’associazione stessa possa svolgere atti-
vità economica, proprio in vista del perseguimento dello scopo ideale che la caratterizza
(si pensi, ad es., all’attività editoriale di un’associazione culturale o alla vendita di bigliet-
ti da parte di un’associazione sportiva). L’importante è che una tale attività non sia svolta
in via esclusiva o principale e che, soprattutto, i proventi e gli utili percepiti dall’asso-
ciazione siano destinati agli scopi dell’ente e non distribuiti tra gli associati 25. In caso

22
Cass. 7-5-1997, n. 3980, comunque, ha ritenuto che non sussiste, “a carico di un’associazione, un obbligo
di accogliere le domande di ammissione di volta in volta presentate da chi si dimostri in possesso dei requisiti
richiesti”: “l’ammissione resta, pur sempre, sia da parte dell’associazione, sia da parte di chi aspiri ad entrarvi, un
atto di autonomia contrattuale” (con la conseguente necessità del “requisito dell’accordo”). Si tenga presente
come, per gli enti associativi operanti nel c.d. “terzo settore” (IV, 3.13), l’art. 211 D.Lgs. 117/2017 preveda speci-
ficamente che la procedura di ammissione dei nuovi associati, in applicazione dei requisiti richiesti, debba svol-
gersi “secondo criteri non discriminatori”.
23
È da tenere presente che, secondo la giurisprudenza, “le disposizioni dello statuto e dell’atto costitutivo
di una persona giuridica hanno natura negoziale e sono regolate dai principi generali del negozio giuridico,
salve le deroghe imposte dai particolari caratteri propri del contratto di associazione” (o dell’atto di fonda-
zione) (Cass. 13-1-1976, n. 89). Così, per l’applicabilità dei criteri di cui agli artt. 1362 ss. all’interpretazione
dello statuto (nel caso di specie, di una fondazione), Cass. 4-7-2017, n. 16409.
24
Il contratto associativo si caratterizza per essere le prestazioni degli associati “dirette al perseguimento
di uno scopo collettivo, da realizzarsi attraverso lo svolgimento, in comune, di un’attività, ogni contraente
trovando il corrispettivo della propria prestazione nella partecipazione al risultato a cui tende l’intera associa-
zione” (Cass. 26-7-2007, n. 16600).
25
Secondo Cass. 9-11-1979, n. 5770, lo svolgimento di “attività imprenditoriale accessoria e strumentale
rispetto alle finalità istituzionali dell’ente” non comporta per l’associazione o la fondazione l’assunzione della
“qualifica di imprenditori”. Una simile impostazione è ritenuta applicabile anche all’associazione non ricono-
sciuta da Cass. 8-3-2013, n. 5836, ove si sottolinea, al riguardo, il carattere necessariamente “non prevalente”
CAP. 3 – ENTI 373

contrario, l’associazione, assumendo carattere imprenditoriale, sarà assoggettata a tutte


le norme che disciplinano l’impresa commerciale (svolta in forma collettiva) e, in parti-
colare, esposta al fallimento.
L’art. 13 D.P.R. 361/2000 attualmente richiede, ai fini del riconoscimento, solo che lo
scopo dell’ente sia possibile e lecito (oltre che l’adeguatezza del patrimonio alla realizza-
zione dello scopo). Si discute se, con ciò, si sia inteso escludere una necessaria apprezza-
bilità, sul piano sociale, dello scopo, prima diffusamente ritenuta costituire condizione
necessaria per il riconoscimento dell’ente 26.
Elementi costitutivi dell’associazione riconosciuta – che valgono a delineare quel-
lo che si tende ad identificare come il substrato sostanziale dell’ente – sono altresì l’ele-
mento patrimoniale (patrimonio) e l’elemento personale (persone). Secondo l’imposta-
zione corrente, nell’associazione il rapporto tra questi due elementi si atteggerebbe in
modo tale da conferire prevalenza al profilo personale su quello patrimoniale: sarebbe
proprio questo, in effetti, il principale tratto distintivo tra l’associazione (universitas per-
sonarum) e la fondazione, in cui si ritiene prevalere, piuttosto, l’elemento patrimoniale
(universitas bonorum).
Perché l’associazione ottenga il riconoscimento, la relativa dotazione patrimoniale,
come già rilevato, deve essere adeguata alla realizzazione dello scopo (art. 13 D.P.R.
361/2000). In altre parole, gli associati, all’atto della costituzione dell’ente, devono con-
tribuire alla formazione del patrimonio, che garantirà all’ente i mezzi economici per lo
svolgimento della propria attività (assicurando anche la necessaria provvista in seguito).
Ciò non esclude che alla formazione del patrimonio dell’ente possano contribuire anche
soggetti che non rivestano la qualità di associati, mediante sovvenzioni ed altre forme di
finanziamento.
Si è avuto modo di sottolineare l’importanza dell’elemento personale. In effetti, l’asso-
ciazione non solo nasce per volontà degli associati, che ne determinano le caratteristiche,
ma perviene alla formazione delle proprie determinazioni volitive sempre attraverso
l’attività degli associati stessi, i quali, a tal fine, si riuniscono nell’assemblea. Di qui il dif-
fuso rilievo del carattere interno, nelle associazioni, della volontà (in contrapposizione al
carattere esterno dell’elemento volitivo nelle fondazioni, in quanto promanante, una volta
per tutte, dal fondatore).
L’assemblea è l’organo sovrano dell’associazione, all’interno del quale trova espres-
sione la volontà dell’ente stesso. L’assemblea, alla quale hanno diritto di partecipare tutti

dell’attività economica svolta e l’assenza “di una comune volontà di ripartire gli utili fra i soci”. Più rigorosa
sembra la posizione assunta, in altra ipotesi, dalla Cassazione (11-9-1997, n. 8963), per cui l’associazione “può
essere costituita per vari scopi, culturali, sociali, ricreativi, ecc., ma esclude istituzionalmente tra i suoi fini
l’esercizio di attività commerciale” (tale essendo anche quella – nel caso concreto propria di un’associazione
di produttori ortofrutticoli – che pur “senza perseguire la realizzazione di profitti in proprio”, intenda garan-
tire “migliori condizioni di mercato per l’espletamento dell’attività dei suoi membri”).
26
È da tenere anche presente come, secondo la ricostruzione più tradizionale (ma non sempre aderente
alla realtà attuale dei fenomeni in esame, come dimostra, in particolare, l’associazionismo nel c.d. “terzo set-
tore”, quale configurato alla luce degli artt. 4 e 5 D.Lgs. 117/2017, ove si allude indistintamente alla finalizza-
zione degli enti ivi disciplinati all’esercizio di “attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo
di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”), uno dei tratti distintivi dell’associazione dalla
fondazione si ritenga essere rappresentato dal carattere interno dello scopo nelle prime (in quanto destinate a
realizzare interessi degli associati) ed esterno nelle seconde (in quanto destinate a soddisfare interessi dei sog-
getti cui si rivolge l’attività dell’ente).
374 PARTE IV – SOGGETTI

gli associati, adotta le decisioni di maggior rilievo relative all’associazione, fino, addirittu-
ra, al mutamento dello scopo dell’ente o, eventualmente, allo scioglimento. Proprio in
considerazione dell’essenzialità dell’organo assembleare (e delle sue attribuzioni) nella
struttura associativa, si ritiene che in nessun caso lo statuto possa comprimere le fonda-
mentali competenze dell’assemblea, attribuendole ad altro organo (amministratori) o a
soggetti terzi.
L’assemblea deve essere convocata dagli amministratori almeno una volta l’anno per
l’approvazione del bilancio, nonché quando se ne ravvisi la necessità o quando ne sia fat-
ta richiesta motivata da almeno un decimo degli associati (art. 20) 27.
La determinazione volitiva adottata dall’assemblea viene definita deliberazione. La
deliberazione, secondo l’opinione prevalente, è atto collegiale (II, 5.7), avente natura ne-
goziale: alla stessa si applicano, quindi, in quanto compatibili, le norme dettate in mate-
ria di contratto. La deliberazione viene adottata dall’assemblea secondo il principio mag-
gioritario. Le maggioranze richieste per l’approvazione della delibera variano a seconda
dell’importanza della delibera medesima. La regola generale è che le deliberazioni del-
l’assemblea sono prese a maggioranza di voti e con la presenza di almeno la metà degli
associati; qualora non si raggiunga il quorum richiesto, l’assemblea viene convocata nuo-
vamente (seconda convocazione) e la deliberazione è valida qualunque sia il numero de-
gli intervenuti (art. 211). Per le modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto, salvo diver-
sa disposizione statutaria, occorre la presenza di almeno i tre quarti degli associati ed il
voto favorevole della maggioranza dei presenti (art. 212). Per deliberare lo scioglimento
anticipato dell’associazione e la devoluzione del patrimonio, è necessario, addirittura, il
voto favorevole di almeno tre quarti degli associati (art. 213). All’assemblea competono,
poi, le deliberazioni relative alla responsabilità degli amministratori per fatti da loro
compiuti (art. 22) e alla esclusione dell’associato (art. 243).
Si ricordi che le deliberazioni dell’assemblea comportanti modificazioni dell’atto co-
stitutivo e dello statuto devono – con efficacia costitutiva – essere iscritte nel registro delle
persone giuridiche, essendo da approvare con le modalità e nei termini previsti per l’ac-
quisto della personalità giuridica (art. 2 D.P.R. 361/2000).
Può accadere che le determinazioni volitive dell’assemblea siano contrarie alla legge,
all’atto costitutivo o allo statuto. In tal caso, le stesse sono annullabili su istanza degli or-
gani dell’ente, di qualunque associato o del pubblico ministero (art. 231) 28. Per esigenze
di tutela dell’affidamento dei terzi, l’art. 232 dispone che l’annullamento della delibera-
zione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede, in base ad atti compiuti
in esecuzione della deliberazione medesima 29.

27
Ai sensi dell’art. 8 disp. att. c.c., la convocazione dell’assemblea deve farsi nelle forme stabilite dallo sta-
tuto e, se questo non dispone, mediante avviso personale che deve contenere l’ordine del giorno degli argo-
menti da trattare.
28
Si è precisato (Cass. 10-4-2014, n. 8456) che a tale disciplina restano estranee le decisioni concernenti
l’esclusione del singolo associato, in relazione alle quali “l’azione è esperibile esclusivamente dall’interessato”
(secondo il regime di cui all’art. 243).
29
È riconosciuto all’autorità giudiziaria il potere di sospendere, su istanza di colui che ha proposto l’impu-
gnazione della deliberazione e sentiti gli amministratori, l’esecuzione della deliberazione impugnata, quando
sussistono gravi motivi (art. 233). L’esecuzione delle deliberazioni contrarie all’ordine pubblico o al buon co-
stume può essere sospesa anche dall’autorità governativa (art. 234). Si ricordi che l’art. 5 D.P.R. 361/2000
CAP. 3 – ENTI 375

L’altro organo dell’associazione è quello amministrativo, che può essere monocratico


(amministratore unico) o collegiale (consiglio di amministrazione). L’organo amministrati-
vo ha il compito di gestire le risorse dell’associazione, di rappresentare l’ente nei con-
fronti dei terzi e, più in generale, di porre in essere tutti gli atti necessari allo svolgimento
della vita dell’ente e alla realizzazione del suo scopo. Secondo la regola posta dall’art. 18,
gli amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le regole del mandato (artt.
1703 ss.) (in particolare, essi devono eseguire il proprio incarico con la diligenza del
buon padre di famiglia). La circostanza che l’art. 18 rinvii alle norme dettate in tema di
mandato non vale ad individuare negli amministratori una sorta di mandatari dell’ente.
Ben più ampie risultano, infatti, le attribuzioni dell’organo amministrativo rispetto a
quelle del mandatario: il rinvio intende solo richiamare le norme del mandato in tema di
responsabilità, per estenderle all’attività degli amministratori, senza con ciò volere equi-
parare la figura dell’amministratore a quella del mandatario. È importante sottolineare
come sia esente da responsabilità quello degli amministratori il quale non abbia parteci-
pato all’atto che ha causato il pregiudizio, salvo il caso in cui, essendo a conoscenza che
l’atto si stava per compiere, egli non abbia fatto constare del proprio dissenso.
Quanto all’attività rappresentativa, si è già avuto modo di esaminare il carattere pecu-
liare della c.d. rappresentanza organica (IV, 3.6). L’art. 19 stabilisce che le limitazio-
ni del potere di rappresentanza, che non risultino dal registro delle persone giuridiche,
non possono essere opposte ai terzi, salvo che si provi che essi ne erano a conoscenza. La
norma – comunque da ritenersi ancora attualmente operante, nonostante l’avvenuta
abrogazione (ai sensi dell’art. 111 D.P.R. 361/2000) dell’art. 342, con cui originariamente
pure si coordinava – intende bilanciare l’interesse dell’ente alla caducazione dell’atto po-
sto in essere dall’amministratore, ove risulti esorbitante rispetto ai poteri attribuitigli,
con la protezione dell’affidamento incolpevole che il terzo abbia fatto sui poteri e sulla
legittimazione dell’amministratore.
Per effetto della partecipazione al contratto associativo o per effetto della successiva
adesione all’ente, il soggetto acquista lo stato di associato, dal quale derivano diritti e
obblighi intimamente connessi all’attività dell’ente e, quindi, alla realizzazione degli inte-
ressi perseguiti dal gruppo degli associati. Lo statuto dell’ente deve indicare con chiarez-
za quali siano i diritti e gli obblighi derivanti dalla situazione di associato, nonché le con-
dizioni dell’ammissione degli associati all’ente (art. 161). L’art. 1332, norma caratteristica
dei contratti aperti all’adesione di altre parti, dispone che l’adesione al contratto (e, quindi,
anche a quello associativo) deve essere diretta all’organo che sia stato costituito per l’at-
tuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti originari.
La qualità di associato conferisce al medesimo il diritto di prendere parte all’attività
dell’ente. Si è già sottolineato, in effetti, che l’aggregazione in gruppi da parte dei conso-
ciati consente di perseguire interessi che, altrimenti, l’attività del singolo sarebbe inido-
nea a realizzare. In questa prospettiva vanno intesi il diritto dell’associato di partecipare
all’assemblea e quello, strettamente connesso, di contribuire, mediante il voto, alla for-
mazione della volontà dell’associazione. Quanto agli obblighi, il principale è di natura

demanda l’esercizio delle funzioni amministrative (e, quindi, anche l’esercizio dei poteri di controllo) prece-
dentemente attribuite all’autorità governativa alle prefetture (ovvero alle regioni o province autonome) com-
petenti.
376 PARTE IV – SOGGETTI

patrimoniale e consiste nell’apporto, cui l’associato è tenuto in vista della formazione del
patrimonio dell’ente. Tale conferimento può essere iniziale o (in aggiunta o esclusiva-
mente) periodico (generalmente consistente in una somma di denaro: c.d. quota associa-
tiva). È essenziale sottolineare che gli associati, i quali abbiano esercitato il diritto di re-
cesso o siano stati esclusi, non possono ripetere i contributi versati, né vantano diritti sul
patrimonio dell’associazione (art. 244): questa costituisce una delle differenze più rile-
vanti dell’associazione rispetto all’ente di tipo societario, nel quale, in considerazione
della finalità lucrativa istituzionalmente caratterizzante la sua partecipazione, il socio ha
diritto alla liquidazione della propria quota in dipendenza della cessazione del rapporto
sociale 30.
La qualità di associato, salvo che l’atto costitutivo o lo statuto non dispongano diver-
samente, è intrasmissibile (art. 241). Quanto al recesso, consistente nello scioglimento
del rapporto associativo per volontà dell’associato, l’art. 242 dispone che l’associato può
sempre recedere dall’associazione. Tale regola appare ispirata al principio secondo cui la
libertà di associazione, garantita e tutelata dall’art. 18 Cost., comprende anche la libertà
di liberarsi unilateralmente dal vincolo associativo 31. La dichiarazione di recesso deve
essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto con lo scadere dell’anno in
corso, purché sia fatta almeno tre mesi prima.
Con riguardo, poi, all’esclusione, l’art. 243 pone la regola secondo cui la esclusione
di un associato non può essere deliberata dall’assemblea che per gravi motivi. Contro la
delibera di esclusione, l’associato può ricorrere all’autorità giudiziaria entro sei mesi dal
giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione di esclusione 32.
La disposizione ora menzionata, quindi, individua nell’esclusione dell’associato un
carattere di eccezionalità, col riferimento ai gravi motivi che devono necessariamente es-
sere alla base della relativa delibera: l’interesse tutelato dal legislatore è quello dell’asso-

30
Non si manca di sottolineare che “l’assenza di qualunque diritto da parte dell’associato, nel caso di re-
cesso o di esclusione dalla stessa associazione, ad avere rimborsato, pro quota, parte del patrimonio associati-
vo”, si riconnette alla “ratio e finalità non lucrativa dell’associazione stessa” (così, ad es., Trib. Ascoli Piceno
22-6-2016).
31
Quale eccezione al principio della libertà di recedere dall’associazione in ogni momento, è consentito
all’associato assumere l’obbligo di farne parte per un tempo determinato. Secondo Cass. 14-5-1997, n. 4244,
tuttavia, anche qualora l’associato abbia assunto l’obbligo di far parte dell’associazione per un tempo deter-
minato, resterebbe comunque salvo il suo diritto di recedere per giusta causa: quando, cioè, il perdurare del
vincolo associativo possa comportare una violazione della libertà del singolo, senza che ciò venga ragionevol-
mente richiesto dalla tutela della “libertà degli altri partecipi di svolgere la loro attività nell’organizzazione
associativa … fidando nella relativa stabilità organizzativa”. Sempre nella prospettiva di garantire l’effettivo
esercizio del diritto di recesso, si ritiene che lo stesso non possa essere reso eccessivamente gravoso per l’as-
sociato. Per Cass. 9-5-1991, n. 5191, sono da reputarsi nulle quelle clausole dello statuto “che escludano o
rendano oneroso in modo abnorme il recesso”, in quanto lesive del “principio costituzionale della libertà di
associazione” (e v. anche Cass. 11-11-2015, n. 23098, con riferimento alle associazioni non riconosciute). Che
la libertà di recedere dall’ambito associativo costituisca “principio” che “certamente investe anche le associa-
zioni religiose”, sottolinea Cass. 13-4-2017, n. 9561, la quale richiama pure l’art. 19 Cost.
32
Ai fini del relativo annullamento, il giudice – cui si ritiene attribuito un sindacato non di merito, ma di
“legittimità sostanziale” (Cass. 4-9-2004, n. 17907) – non può “valutare l’opportunità intrinseca della delibe-
razione stessa”, dovendo limitarsi ad accertare “se si sia avverata in concreto una delle ipotesi previste dalla
legge e dall’atto costitutivo per la risoluzione del singolo rapporto associativo” (Cass. 9-5-1991, n. 5192). Al-
l’associato illegittimamente escluso (“in assenza di gravi motivi”), è stata riconosciuta la possibilità di conse-
guire il risarcimento del danno (Cass. 29-7-2016, n. 15784).
CAP. 3 – ENTI 377

ciato a che la permanenza del proprio vincolo associativo non sia fatta dipendere da una
scelta arbitraria dell’assemblea. Nella inderogabilmente riconosciuta possibilità di ricor-
rere all’autorità giudiziaria avverso la delibera di esclusione si trova conferma, del resto,
del principio costituzionale secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei
propri diritti (art. 241 Cost.).

9. Associazione non riconosciuta. – Si è già avuto modo di accennare (IV, 3.2) al


processo evolutivo che ha condotto al superamento dell’originaria rigida dicotomia di
persona fisica e persona giuridica, con l’affermazione del concetto di soggettività giuridica,
tale da ricomprendere anche quegli enti che, pur privi del formale riconoscimento da
parte dell’ordinamento giuridico, siano considerati quali centri di imputazione di situa-
zioni giuridiche, distinti dai membri che ne fanno parte. Restando al campo degli enti
disciplinati nel libro I del codice civile (con esclusione, quindi, dei fenomeni di esercizio
associato dell’impresa), deve ribadirsi come oggi, alla luce dei mutamenti verificatisi nel-
la disciplina della materia, la distanza tra associazioni riconosciute ed associazioni non ri-
conosciute si sia drasticamente ridotta.
Sotto il profilo della capacità patrimoniale, ormai, non sussiste più quel differente
trattamento normativo che, in passato, poteva decisamente incentivare gli interessati ad
optare per l’attribuzione della personalità giuridica: l’abrogazione degli artt. 600 e 786
(IV, 3.5) ha rappresentato l’ultimo importante passo compiuto dal legislatore nella dire-
zione del progressivo accostamento dell’associazione non riconosciuta a quella ricono-
sciuta. Come si è accennato e meglio si vedrà, l’unica differenza sostanziale che vale a di-
stinguere in termini di disciplina applicabile l’associazione non riconosciuta dall’associa-
zione riconosciuta è oggi, in effetti, da individuarsi nel diverso grado di autonomia pa-
trimoniale.
Va rilevato che, nella prassi, il modello dell’associazione non riconosciuta ha as-
sunto, continua ad assumere e, con buona probabilità, continuerà ad assumere un ruolo
di assoluta centralità nel complesso mosaico delle formazioni sociali – cui fa esplicito ri-
ferimento l’art. 2 Cost. – all’interno delle quali si svolge la personalità dell’uomo 33. In-
trodotta nel codice civile vigente per la regolamentazione di realtà associative di portata
limitata (quali associazioni sportive, culturali e simili), la normativa dettata in materia di
associazioni non riconosciute negli artt. 36-38 ha mostrato, così, la sua inadeguatezza.
Ciò soprattutto in vista della disciplina di quelle fondamentali formazioni sociali (e si
pensi, in particolare, ai partiti e ai sindacati, quali realtà associative di rilevanza costitu-
zionale), che nello schema dell’associazione non riconosciuta hanno finito col trovare il
proprio inquadramento giuridico.
La tipologia delle associazioni non riconosciute appare assai variegata. Si pensi, al ri-
guardo, alla semplice struttura che può assumere un’associazione con finalità ricreative
per gli associati, rispetto alla complessità delle associazioni sindacali e dei partiti, quale
immediata conseguenza dell’importante ruolo economico-sociale e politico-istituzionale
ricoperto dai medesimi nella società contemporanea. In relazione ai sindacati, in parti-

33
E ciò anche in dipendenza dell’atteggiamento del legislatore, il quale sembra sempre più propenso a
dettare una disciplina calibrata più sugli scopi che sulle forme in cui si esprime il fenomeno dell’associa-
zionismo (IV, 3.13).
378 PARTE IV – SOGGETTI

colare, pare significativo osservare come sia andata disattesa la previsione dell’art. 39
Cost., che contemplava l’attribuzione ad essi della personalità giuridica, con un modello
di riconoscimento basato sul meccanismo della registrazione, condizionata al riscontro
della sussistenza di un “ordinamento interno a base democratica”. Le associazioni sinda-
cali hanno, evidentemente, preferito assumere e mantenere la forma dell’associazione
non riconosciuta proprio per sottrarsi ai controlli (iniziali e successivi) conseguenti ad un
simile riconoscimento. Ciò induce ad identificare, in via generale, oltre che nella libertà
delle forme costitutive e nella maggiore duttilità della struttura organizzativa, appunto
nell’assenza dei controlli previsti per l’associazione riconosciuta il motivo che ha indotto
(e induce) a privilegiare il ricorso alla forma dell’associazione non riconosciuta 34.
Il troppo esiguo materiale normativo contenuto nei ricordati articoli del codice è sta-
to necessariamente integrato in via interpretativa. E, onde ritenere applicabile alle asso-
ciazioni non riconosciute la ben più articolata disciplina dettata con riferimento alle as-
sociazioni riconosciute, decisiva è risultata la valorizzazione di quella loro identità strut-
turale, che inevitabilmente sembra conseguire all’unitario fondamento costituzionale del
fenomeno associativo negli artt. 2 e 18 Cost. (in quanto apprezzato – ovviamente nei li-
miti della sua liceità, ai sensi dell’art. 182 Cost. – quale fattore essenziale di potenziamen-
to della personalità degli associati).
Proprio alla luce di ciò, non si è mancato, ai fini di una simile integrazione, di pro-
porre diffusamente il ricorso all’applicazione, piuttosto che attraverso lo strumento del-
l’analogia (ai sensi, cioè, dell’art. 122 disp. prel. c.c.), in via diretta (quale esito, insomma,
di interpretazione estensiva) delle disposizioni dettate in materia di associazioni ricono-
sciute 35. Né c’è da meravigliarsi, allora, che tale prospettiva sia stata decisamente privile-
giata quando il ricorso alla disciplina relativa a queste ultime abbia avuto quale dichiara-
to obiettivo un’adeguata tutela dell’associato all’interno del gruppo contro eventuali
prevaricazioni nei suoi confronti.
Anche l’associazione non riconosciuta, al pari di quella riconosciuta, nasce per con-
tratto (contratto associativo). Vale, pertanto, pure al riguardo, quanto già osservato in
relazione alla struttura aperta ed ai caratteri fondamentali di tale contratto (IV, 3.8). Una
importante differenza deve essere registrata, peraltro, sotto il profilo della forma: la costi-
tuzione dell’associazione non riconosciuta non è soggetta a nessuna forma particolare 36,

34
Circa l’articolazione strutturale di simili enti, si tende a ritenere che “le associazioni locali di un’associa-
zione avente carattere nazionale” non siano “organi di quest’ultima”, ma siano “dotate di autonoma legitti-
mazione negoziale e processuale” (Cass. 10-10-2013, n. 23088). Si tenga presente che, con il D.L. 28.12.2013,
n. 149, conv. con L. 21.2.2014, n. 13, i benefici economici previsti per i partiti sono stati espressamente con-
dizionati all’essersi essi dotati di uno statuto contemplante una serie di elementi denotanti l’“osservanza dei
principi fondamentali di democrazia”. “Le formazioni e associazioni politiche” e “i sindacati”, comunque,
sono stati esclusi, ai sensi dell’art. 32 D.Lgs. 117/2017, dalla sfera di applicazione della disciplina dettata, in
generale, per gli enti del “terzo settore” (IV, 3.13).
35
Corrente, comunque, resta l’affermazione per cui all’associazione non riconosciuta “sono analogica-
mente applicabili, in mancanza di diversa previsione di legge o degli accordi associativi, le norme stabilite in
materia di associazioni riconosciute”: ad es., Cass. 23-1-2007, n. 147, che allarga la portata del riferimento
anche alle nome in tema di società (nel caso di specie, trattandosi di “unificazioni di due associazioni non ri-
conosciute”, quelle sulla fusione); non diversamente, più di recente, Cass. 30-9-2019, n. 24214.
36
L’applicazione del principio di libertà della forma all’atto costitutivo dell’associazione non riconosciuta è sta-
to chiaramente affermato da Cass. 30-10-1975, n. 3693, secondo cui, appunto, “la costituzione di un’associazione
CAP. 3 – ENTI 379

salva la forma eventualmente richiesta dalla legge ai fini della validità dei singoli apporti
degli associati. Così, ad es., solo se uno degli associati intendesse aderire all’associazione,
contestualmente apportando all’ente un bene immobile, sarà necessaria la forma scritta,
richiesta per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili o la costituzione
di diritti reali immobiliari.
Quanto al profilo organizzativo-strutturale, nell’associazione non riconosciuta esso, in
linea di massima, non diverge rispetto a quello dell’associazione riconosciuta, con parti-
colare riferimento alla dialettica tra assemblea e organo amministrativo 37. È riconosciuto
agli associati dal legislatore, peraltro, un maggiore margine di autonomia nella scelta del-
le regole disciplinanti l’ordinamento interno dell’ente. Ai sensi dell’art. 361, infatti, l’or-
dinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone
giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati 38.
Comunque, proprio in considerazione della identità strutturale con l’associazione ri-
conosciuta, si ritiene che all’associazione non riconosciuta, come dianzi accennato, siano
senz’altro applicabili quelle norme dettate in tema di associazioni riconosciute che risul-
tino atte a qualificare imprescindibilmente il modello associativo in quanto tale. L’auto-
nomia statutaria trova, così, limiti di rilievo soprattutto quando in gioco sia la tutela
dell’associato – proprio in vista del contributo allo sviluppo della cui personalità, non si
dimentichi, trova riconoscimento costituzionale il fenomeno associativo – all’interno del
gruppo 39.

non riconosciuta, così come la successiva adesione all’associazione medesima, non è soggetta per legge ad alcuna
forma particolare, la quale, pertanto, può essere prescritta solo in forza di espresso accordo degli associati”.
37
La necessaria presenza dell’assemblea, quale organo sovrano dell’associazione non riconosciuta non
sembra posta in dubbio dalla giurisprudenza. In tal senso, si è chiaramente pronunciata Cass. 10-7-1975, n.
2714, per la quale, “nonostante la disposizione contenuta nell’art. 36 cod. civ., secondo cui le associazioni
non riconosciute sono regolate dagli accordi degli associati”, “la struttura organizzativa non sembra poter
prescindere dalla esistenza, accanto agli organi esecutivo e rappresentativo, di un organo deliberante (assem-
blea) formato da tutti i membri od associati”. Alla luce dell’accennata prospettiva di integrazione, in via in-
terpretativa, della disciplina specificamente dettata in materia, al silenzio, al riguardo, dell’atto costitutivo,
“sopperiscono le norme che disciplinano le persone giuridiche in genere, e le associazioni riconosciute in par-
ticolare, e quindi, nella specie, gli artt. 20 e 21 cod. civ.”.
38
Circa la notevole ampiezza riconosciuta agli accordi in questione, precisa, ad es., Cass. 2-2-2018, n.
2575, che essi “ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquistare la
titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati” (con riferimento ad
un’associazione di carattere professionale). L’art. 362 prevede – con ciò attribuendo loro una piena capacità in
campo processuale, quale espressione di soggettività giuridica – che le associazioni non riconosciute possono
stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la dire-
zione.
39
Significativa si presenta l’esperienza giurisprudenziale relativa all’art. 24, concernente il recesso e l’esclu-
sione degli associati, proprio in relazione al quale Cass. 14-5-1997, n. 4244, ha sottolineato che “poiché il ri-
conoscimento dell’associazione come persona giuridica non incide sulla natura giuridica della qualità di asso-
ciato … si ritiene applicabile, quanto meno analogicamente, la disciplina dell’art. 24 cod. civ., specificamente
dettata per le associazioni riconosciute”. La giurisprudenza, così, si è costantemente orientata ad estendere le
garanzie previste dall’art. 243 in ordine alla esclusione dell’associato (anche in via cautelare: Trib. Genova
10-4-2017), in particolare affermando – pur nel quadro di quella maggiore autonomia statutaria dell’associa-
zione non riconosciuta, che consente l’attribuzione della “potestà deliberativa in punto di esclusione del socio
ad organo diverso dall’assemblea” (v. pure Trib. Mantova 12-6-2007 e Trib. Napoli 14-7-2016, in cui si defi-
nisce, con riguardo ad una formazione politica, la portata dell’autonomia statutaria in materia e le conseguen-
ze dell’operatività, nel caso di specie, dell’art. 243; per la validità di clausola statutaria che attribuisca al capo
380 PARTE IV – SOGGETTI

L’elemento patrimoniale dell’associazione non riconosciuta è rappresentato dal fon-


do comune, costituito dai contributi degli associati e dai beni acquistati con i contribu-
ti. Il fondo comune appartiene non in comunione agli associati, come si riteneva in pas-
sato (e potrebbe indurre a pensare la relativa denominazione, appunto retaggio di passa-
te concezioni), bensì all’ente non riconosciuto, secondo la già sottolineata tendenza ad
individuare in quest’ultimo un vero e proprio soggetto di diritto, distinto dagli associati.
Nonostante la diversa (e peculiare) espressione impiegata dal legislatore per identificare
l’elemento patrimoniale dell’associazione non riconosciuta, il fondo comune si presenta,
insomma, come pienamente assimilabile al patrimonio dell’associazione riconosciuta. An-
che in tale prospettiva, appare condivisibile, allora, la tendenza a considerare sussistente
una identità strutturale dell’associazione non riconosciuta rispetto all’associazione rico-
nosciuta, le quali differirebbero, quindi, non sotto il profilo strutturale, bensì solo in
considerazione della presenza o meno del riconoscimento formale da parte dell’ordina-
mento giuridico (con i limitati riflessi che si vedranno). La separazione del patrimonio del-
l’associazione da quello degli associati risulta, del resto, evidenziata dal principio secon-
do cui, finché l’associazione non riconosciuta dura, i singoli associati non possono chie-
dere la divisione del fondo comune, né pretendere la quota in caso di recesso (art. 37).
Superate sono, da tempo, le remore nei confronti della possibile titolarità, da parte
delle associazioni non riconosciute, di diritti reali immobiliari: ciò specialmente a seguito
della L. 27.2.1985, n. 52, che, modificando l’art. 26591, n. 1, ne ha senz’altro consentito
la trascrivibilità a loro favore (IV, 3.5). Remore tradizionalmente connesse all’art. 17 e al
regime autorizzatorio ivi stabilito per gli acquisti di immobili da parte degli enti ricono-
sciuti (oltre che per l’acquisizione di attribuzioni testamentarie e di donazioni: regime
venuto meno con l’art. 13 L. 15.5.1997, n. 127). Lo stesso legislatore ha, poi, portato a
compimento il processo di superamento delle residue discriminazioni, sul piano patri-
moniale, nei confronti degli enti non riconosciuti rispetto a quelli riconosciuti, con l’a-
brogazione (art. 11 L. 22.6.2000, n. 192), in particolare, degli artt. 600 e 786, che subor-
dinavano al riconoscimento la possibilità, per l’ente, di conseguire attribuzioni testamen-
tarie e donazioni 40.

politico ampi poteri valutativi, Trib. Roma 19-2-2018) – “il principio dell’invalidità della clausola statutaria
comportante l’esclusione ad nutum dell’iscritto”, della clausola, cioè, che “non subordina all’esistenza di gravi
motivi il potere di esclusione del socio e non imponga la preventiva formale contestazione degli addebiti”
(Trib. Torino 15-2-1996, che si richiama, in proposito, ai “diritti costituzionalmente sanciti dagli artt. 2, 18 e
24 della Costituzione”). Ciò per assicurare all’associato l’esercizio dell’insopprimibile diritto di difesa, anche
attraverso l’eventuale ricorso all’autorità giudiziaria, ai fini della sospensione e dell’annullamento delle relati-
ve deliberazioni dell’assemblea, ai sensi dell’art. 23 (Trib. Bologna 6-5-1988, in cui l’intervento degli organi
giurisdizionali a garanzia dei diritti inviolabili dell’associato concerne un organismo tradizionalmente refratta-
rio ad ogni ingerenza esterna, come la Massoneria). La valutazione del giudice verterà sulla gravità dei fatti
addebitati all’associato, “cioè se si sia avverata in concreto una delle ipotesi previste dalla legge e dall’atto co-
stitutivo per la risoluzione del singolo rapporto associativo, prescindendo dall’opportunità intrinseca della
deliberazione stessa” (Cass. 9-9-2004, n. 18186).
40
Notevole interesse presenta per la delineazione dell’iter che ha condotto all’affermazione della piena
capacità patrimoniale degli enti non riconosciuti, prima dei citati radicali interventi legislativi, la decisione di
Cass. 23-6-1994, n. 6032, che ha valorizzato, appunto, in ordine alla possibile titolarità di beni immobili da
parte dell’ente non riconosciuto, l’intervento operato con la L. 27.2.1985, n. 52, nonché lo stesso testo del-
l’art. 37, “il quale non distingue tra mobili ed immobili a proposito dei beni con il cui acquisto si incrementa
il patrimonio degli enti di fatto”.
CAP. 3 – ENTI 381

Quanto alla responsabilità per le obbligazioni assunte in nome e per conto dell’as-
sociazione non riconosciuta, si tratta del profilo che, attualmente, esaurisce, in sostanza,
la diversità di trattamento normativo di quest’ultima rispetto al modello dell’ente ricono-
sciuto. Per le obbligazioni assunte in rappresentanza dell’associazione non riconosciuta,
infatti, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune; delle medesime obbliga-
zioni, però, rispondono anche personalmente e solidalmente “le persone che hanno agito
in nome e per conto dell’associazione” (art. 38). In ciò consiste il regime di autonomia
patrimoniale imperfetta, che si contrappone a quello di autonomia patrimoniale per-
fetta, derivante dal riconoscimento dell’ente come persona giuridica (IV, 3.8).
È importante sottolineare come il legislatore preveda, innanzitutto, la responsabilità
dell’associazione non riconosciuta col suo patrimonio (il fondo comune). Ad essa affianca
la responsabilità pure di coloro che hanno assunto l’obbligazione in nome e per conto
dell’ente, che non è responsabilità per debito proprio, ma responsabilità per debito altrui
(ovvero, dell’ente). Responsabilità, si badi bene, che viene addossata non agli associati in
quanto tali, ma solo a chi abbia concretamente agito, di volta in volta, in rappresentanza
dell’associazione non riconosciuta (e neppure, quindi, agli amministratori o rappresen-
tanti istituzionali dell’ente solo per tale loro qualità) 41.
Una simile forma di responsabilità (solidale e accessoria, ma non sussidiaria) 42 trova, e-

41
È questa una differenza sostanziale tra l’associazione non riconosciuta, quale ente non riconosciuto con
scopo non lucrativo, e le società di persone, quali enti non riconosciuti, ma con scopo lucrativo. Nella società
semplice, infatti, ferma la garanzia offerta ai creditori sociali dal patrimonio della società, per le obbligazioni
sociali rispondono anche, personalmente e solidalmente, i soci che hanno agito in nome e per conto della so-
cietà, nonché, salvo patto contrario, gli altri soci (art. 22671). Nella società in nome collettivo, invece, senz’al-
tro tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali (art. 22911).
42
La giurisprudenza ribadisce che “la responsabilità solidale prevista dall’art. 38 c.c. per colui che ha agi-
to in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non concerne, neppure in parte, un debito proprio
dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria
dell’associazione stessa”: Cass. 6-8-2002, n. 11759; Cass. 24-10-2008, n. 25748, che sottolinea non essere una
simile responsabilità “collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività
negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa e
i terzi” (analogamente, ad es., Cass. 25-8-2014, n. 18188 e Cass. 4-4-2017, n. 8752, con i conseguenti oneri
probatori a carico dei terzi). Evidenzia la differenza, al riguardo, della posizione del legale rappresentante di
una associazione non riconosciuta rispetto a quella del socio illimitatamente responsabile delle società di per-
sone, Cass. 14-5-2019, n. 12714. Per le obbligazioni tributarie, peraltro, si precisa che, in quanto derivanti ex
lege, “sia chiamato a risponderne solidalmente il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la ge-
stione complessiva dell’associazione” (Cass. 15-10-2018, n. 25650 e Cass. 22-1-2019, n. 1602, che parla, al
riguardo, di “un principio di presunzione”; ciò, ovviamente, “nel solo periodo di relativa investitura”: Cass.
24-2-2020, n. 4747). Alla configurazione dell’ente – cui da tempo è pervenuta esaminando la problematica in
questione la Cassazione (26-2-1985, n. 1655) – quale “centro di imputazione di situazioni giuridiche del tutto
distinto ed autonomo rispetto ai rapporti inerenti alla sfera giuridica propria degli associati” (come soggetto,
cioè, considerato titolare di un proprio patrimonio, con cui rispondere dell’adempimento delle proprie obbli-
gazioni, ai sensi dell’art. 27401), si ricollega la ricostruzione per cui l’obbligazione, avente natura solidale (co-
me accennato, di carattere accessorio, ma non sussidiario), di chi ha agito risulta inquadrabile “tra quelle di
garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione” (con conseguente applicabilità, in particolare, del regime dell’art.
1957). Cass. 29-12-2011, n. 29733, poi, sottolinea che, fondandosi la responsabilità personale di chi abbia
agito in nome e per conto dell’associazione sulla “esigenza di tutela dei terzi che, nell’instaurazione del rap-
porto negoziale, abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio dei detti soggetti”, non può “il
semplice avvicendamento nelle cariche sociali comportare alcun fenomeno di successione del debito in capo
al soggetto subentrante, con l’esclusione di quello che aveva in origine contratto l’obbligazione”. L’art. 6 bis
L. 3.6.1999, n. 157 (aggiunto dal D.L. 30.12.2005, n. 273, convertito nella L. 23.2.2006, n. 51) ha disposto,
382 PARTE IV – SOGGETTI

videntemente, la sua razionale giustificazione nell’assenza di controlli sull’associazione non


riconosciuta (specificamente concernenti, già ai fini del riconoscimento, come accennato,
proprio l’adeguatezza del patrimonio dell’ente rispetto allo scopo che lo caratterizza: IV,
3.4) e, di conseguenza, nello scarso affidamento che i terzi possono fare sulla sua consi-
stenza patrimoniale (anche per il non assoggettamento dell’ente a forme di pubblicità lega-
le): il carattere imperfetto dell’autonomia patrimoniale dell’ente finisce, insomma, col rap-
presentare la contropartita cui deve sottostare chi voglia evitare i controlli dell’autorità
competente (ed il regime di pubblicità), in sede di riconoscimento e successivamente.

10. Fondazione. – Il connotato peculiare della figura della fondazione viene tradi-
zionalmente individuato nel risultare essa un complesso di beni destinato alla realizzazio-
ne di un determinato scopo, prefissato dal fondatore. Quello tenuto presente dal nostro
legislatore è il modello della c.d. fondazione erogatrice, essenzialmente caratterizzato dal-
l’attività di gestione di un patrimonio, al fine, appunto, di erogarne le rendite secondo le
direttive del fondatore (art. 161, ove si allude alla necessaria previsione dei criteri e moda-
lità “di erogazione delle rendite”).
Se l’associazione riconosciuta, come rilevato (IV, 3.8), rappresenta il paradigma del-
l’ente dotato di personalità giuridica (tanto da costituire l’indubbio punto di riferimento
di numerose teorie della persona giuridica), diversamente stanno le cose in relazione alla
fondazione, soprattutto in dipendenza della difficoltà di inquadrare con certezza, riguardo
alla stessa, l’elemento personale: elemento, questo, reputato essenziale, secondo la conce-
zione corrente, ai fini dell’individuazione di quel c.d. substrato materiale (IV, 3.2), che del-
la persona giuridica si ritiene costituire base imprescindibile. In effetti, mentre le teorie più
risalenti tendevano ad identificare l’elemento personale della fondazione addirittura nei
beneficiari dell’attività della fondazione medesima, oggi esso risulta generalmente indivi-
duato nell’apparato amministrativo dell’ente, che consente lo svolgimento dell’attività, in
vista della quale viene destinato il patrimonio da parte del fondatore.
L’evoluzione concettuale dell’istituto ha favorito – pur non senza resistenze e dissen-
si 43 – la riconduzione dell’associazione e della fondazione nella comune categoria delle
persone giuridiche, in quanto, appunto, anche nella fondazione si è avuto modo di evi-
denziare il ruolo di quell’apparato organizzativo che è caratteristico della nozione stessa
di persona giuridica. La scelta del codice civile di racchiudere la disciplina delle associa-
zioni e delle fondazioni nel medesimo capo II del titolo II del libro I (rubricato, signifi-
cativamente, “Delle associazioni e delle fondazioni”) appare inequivocabile testimonian-
za di un simile processo evolutivo 44. Nonostante ciò, resta diffusa in dottrina l’afferma-

salvo che non abbiano agito con dolo o colpa grave, l’esonero degli amministratori dei partiti politici dalla
responsabilità ex art. 38 (con una disposizione di “carattere evidentemente eccezionale”, quanto alla “indivi-
duazione dei soggetti che, pur avendo assunto obbligazioni in nome per conto del partito, sono esonerati dal-
la relativa responsabilità”: Cass. 23-6-2009, n. 14612). L’art. 38, comunque, viene ritenuto applicabile a “colui
che agisca in nome e per conto di un gruppo parlamentare il quale … ha natura di associazione non ricono-
sciuta” (Cass. 6-6-2014, n. 12817).
43
Giustificati anche dalla diversità, sul piano storico, oltre che dal punto di vista strutturale e funzionale,
delle due figure: di origine romana l’associazione, di origine medioevale, invece, la fondazione.
44
La pur proposta separazione di disciplina tra le due figure è stata ritenuta inopportuna, “perché la mag-
gior parte delle disposizioni è comune ai due tipi di persone giuridiche” (Relaz. cod. civ., n. 43).
CAP. 3 – ENTI 383

zione di una radicale differenziazione delle due figure, data la prevalenza, nella fonda-
zione (universitas bonorum), al contrario di quanto si verifica nell’associazione (universi-
tas personarum), dell’elemento patrimoniale sull’elemento personale.
Pare, poi, importante sottolineare che, mentre l’ordinamento ammette, con riguardo
all’ente di carattere associativo, la possibilità di dar vita anche ad associazioni non rico-
nosciute quali persone giuridiche, per la fondazione analoga alternativa non risulta presa
in considerazione da parte del legislatore. La fondazione, pertanto, può sussistere solo se
riconosciuta 45, secondo le modalità contemplate nel D.P.R. 361/2000. In quanto neces-
sariamente riconosciuta, essa risulterà sempre caratterizzata dall’autonomia patrimoniale
perfetta, nel senso che delle obbligazioni assunte in nome e per conto dell’ente risponde
soltanto questo col suo patrimonio.
La fondazione è costituita con un negozio unilaterale (negozio di fondazione), posto in
essere da un soggetto (fondatore), il quale crea l’ente in vista della realizzazione di uno
scopo, all’uopo destinando una determinata quantità di beni, che andranno a costituire il
patrimonio della fondazione stessa 46. Alla luce di quanto dianzi accennato, pare oppor-
tuno evidenziare come la fondazione, a differenza di quanto si verifica per l’associazione
(giuridicamente esistente, quale associazione non riconosciuta, anche prima e indipen-
dentemente dal riconoscimento), venga ad esistenza solo per effetto del riconoscimento.
Il negozio di fondazione, quale atto costitutivo dell’ente, se compiuto in vita dal
fondatore, deve rivestire la forma dell’atto pubblico (art. 141) 47; tuttavia, la fondazione
può essere disposta anche con testamento (art. 142). Le regole disciplinanti la futura atti-
vità della fondazione sono contenute nello statuto, in cui devono essere indicati, in par-
ticolare, i criteri e le modalità di erogazione delle rendite (art. 161). L’art. 151, poi, disci-
plina l’ipotesi della revoca dell’atto costitutivo della fondazione: il negozio di fondazione
può essere revocato dal fondatore fino a quando non sia intervenuto il riconoscimento,
ovvero il fondatore non abbia fatto iniziare l’attività dell’opera da lui disposta. La facoltà
di revoca non si trasmette agli eredi (art. 152).

45
Deve rilevarsi che, secondo parte della dottrina, l’assenza di una esplicita previsione normativa non sa-
rebbe ostativa alla giuridica ammissibilità, nel nostro ordinamento, della figura della fondazione non ricono-
sciuta (o fondazione di fatto). La giurisprudenza, tuttavia, sembra decisamente propendere per la soluzione
negativa accennata nel testo (in questo senso, ad es., Trib. Napoli 26-6-1998).
46
In dottrina – anche se i due atti sono nella prassi contestuali e pacificamente considerati funzionalmente
interdipendenti – si suole distinguere, pur con voci contrarie, il negozio di fondazione, che darebbe impulso
alla costituzione dell’ente (con la relativa organizzazione), dal negozio di dotazione, di contenuto prettamente
patrimoniale, mediante il quale il fondatore provvederebbe a fornire la massa patrimoniale necessaria al-
l’attività dell’ente. La distinzione risulta accolta, ad es., da App. Ancona 14-4-2014, che reputa il (“collegato e
accessorio”) negozio di dotazione integrare, ove “disposto per atto tra vivi … una vera e propria donazione”.
Peraltro, Cass. 4-7-2017, n. 16409, sulla base della ravvisata “unitarietà dell’atto di fondazione”, in quanto,
“ad un tempo, atto di disposizione patrimoniale … nonché atto di organizzazione della struttura”, prospetta
il superamento di una simile distinzione, con le conseguenze di cui alla nota successiva. Cass. 8-10-2008, n.
24813, ha precisato, comunque, che “nell’ipotesi di fondazione istituita per testamento, non si applicano le
disposizioni sull’accettazione con beneficio d’inventario delle eredità devolute alle persone giuridiche”.
47
Si è evidenziato che, anche con riferimento all’originario regime dell’art. 48 della legge notarile (L.
89/1913), poi modificato dalla L. 28.11.2005, n. 246, “l’atto pubblico costitutivo di una fondazione, avendo
struttura di negozio unilaterale ed autonoma causa, consistente nella destinazione di beni per lo svolgimento
in forma organizzata dello scopo statutario, non dà luogo ad un atto di donazione e non rientra, pertanto, fra
gli atti per i quali è sempre necessaria la presenza di due testimoni” (Cass. 16409/2017).
384 PARTE IV – SOGGETTI

Lo scopo della fondazione, stabilito dal fondatore e destinato a caratterizzare l’ente


nell’arco della sua durata, deve necessariamente presentare carattere non lucrativo. L’art.
13 D.P.R. 361/2000 si limita a richiedere, ai fini del riconoscimento, che lo scopo del-
l’ente sia possibile e lecito (oltre che l’adeguatezza del patrimonio alla realizzazione dello
scopo). È discussa, quindi, la persistente attualità della tradizionale impostazione, ten-
dente ad individuare la pubblica utilità quale carattere necessario dello scopo della
fondazione: per tale concezione, indiscutibilmente posta alla base della disciplina del
codice in materia e con essa complessivamente coerente (onde la preferibilità della tesi
della sua attualità, almeno fino alla eventuale riforma globale della disciplina del settore),
il riconoscimento dovrebbe risultare comunque subordinato alla utilità, sul piano sociale,
dello scopo perseguito dall’ente (si pensi alla ricerca scientifica, all’assistenza, alla pro-
mozione culturale, ecc.). Anche con riferimento alla fondazione, poi, vale quanto rileva-
to con riguardo all’associazione in ordine al carattere non lucrativo dello scopo: qualora
la fondazione svolga, in concreto (e sia pure nel quadro del perseguimento del proprio
scopo istituzionale, quale prefissato dal fondatore), a titolo prevalente o esclusivo, attivi-
tà di tipo economico in forma d’impresa, essa sarà soggetta alle norme che disciplinano
quest’ultima ed andrà soggetta, eventualmente, pure al fallimento.
Non hanno avuto diffusione, nella prassi, le fondazioni di famiglia, menzionate
dall’art. 283 e caratterizzate dall’essere “destinate a vantaggio soltanto di una o più fami-
glie determinate”. Esse, al pari di ogni altra fondazione, da costituire – secondo il model-
lo avuto di mira dal nostro legislatore – con funzione erogatrice, dovrebbero comunque
presentare, nella prospettiva accennata, uno scopo di utilità sociale (sia pure limitato agli
appartenenti al gruppo), che non si esaurisca, cioè, nella mera conservazione di un pa-
trimonio a vantaggio di determinate famiglie.
Diversa è l’ipotesi in cui sia il legislatore a determinare lo scopo della fondazione, co-
me è avvenuto nel caso delle fondazioni bancarie. Con la L. 30.7.1990, n. 218, fu di-
sposta la trasformazione degli enti creditizi in società per azioni, con contestuale attribu-
zione del relativo pacchetto azionario, appunto, a fondazioni bancarie. Enti, questi, so-
stanzialmente destinati a limitare la propria attività alla gestione del pacchetto azionario
in questione. Il D.Lgs. 17.5.1999, n. 153, con una disciplina su cui il legislatore non ha
mancato d’incidere anche successivamente, ha previsto, poi, l’obbligo per le fondazioni
bancarie di dismettere il pacchetto azionario di controllo, affermandone la natura di per-
sone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestiona-
le, con scopi di utilità sociale 48. Il legislatore ha dato vita, così, ad enti contraddistinti, in
realtà, da tratti del tutto peculiari rispetto al modello della fondazione di diritto comune,
data la rigorosa predeterminazione delle loro caratteristiche strutturali, nonché delle re-
gole di relativo funzionamento. Indirizzo seguito, del resto, pure in materia di enti liri-
ci, trasformati in fondazioni, definite di diritto privato, ma destinatarie anch’esse di una
disciplina specifica assai rigida (D.Lgs. 29.6.1996, n. 367, D.Lgs. 23.4.1998, n. 134 e

48
Per la precisazione delle modalità della relativa attività istituzionale, con la scelta, nell’ambito dei settori
ammessi, dei c.d. settori rilevanti, v. il D.M. 18.5.2004, n. 150, nonché, ora, l’art. 62 D.Lgs. 3.7.2017, n. 117.
Si tenga presente che il D.Lgs 117/2017, da una parte, ha escluso l’applicabilità della relativa disciplina alle
fondazioni bancarie (art. 33), dall’altra, le ha coinvolte nel sistema di finanziamento dei Centri di servizio per
il volontariato (art. 62).
CAP. 3 – ENTI 385

D.L. 24.11.2000, n. 345, conv. con L. 26.1.2001, n. 6), nonché di fondazioni univer-
sitarie, anch’esse qualificate di diritto privato, disciplinate ai sensi dell’art. 593 L.
23.12.2000, n. 388 e dal D.P.R. 24.5.2001, n. 254.
Si è già avuto modo di sottolineare la tradizionale importanza che, nella fondazione,
viene attribuita all’elemento patrimoniale, rispetto all’elemento personale. In effetti, dal
punto di vista storico, la fondazione risulta concepita essenzialmente quale patrimonio de-
stinato ad uno scopo. Come in tema di associazione riconosciuta, ai sensi dell’art. 13 D.P.R.
361/2000, il patrimonio deve risultare adeguato alla realizzazione dello scopo dell’ente.
Nella fondazione non è presente l’assemblea: manca, cioè, l’organo nel cui ambito,
nell’associazione, si forma la volontà dell’ente. Tale rilevante differenza strutturale, ri-
spetto all’ente del tipo associativo, si giustifica in considerazione del carattere peculiare
del negozio di fondazione, mediante il quale è il fondatore a determinare, con tendenzia-
le stabilità, i caratteri dell’attività che, in concreto, sarà svolta dall’ente. Nel modello co-
dicistico, una volta che la fondazione sia venuta ad esistenza, il fondatore, in quanto tale,
non potrà più incidere, con la sua volontà, sulla vita dell’ente, non potendo, in particola-
re, modificare lo scopo indicato nell’atto di fondazione – quale favorevolmente valutato
col riconoscimento – e, di riflesso, influire sull’attività strumentale alla realizzazione del-
lo scopo stesso 49.
In conseguenza della rilevata assenza di un organo di tipo assembleare, nella fonda-
zione pure il ruolo dell’organo amministrativo, per certi versi, appare diverso rispetto a
quello rivestito dallo stesso organo all’interno dell’associazione (anche se la prassi mostra
come le nette differenze che, sul piano concettuale, emergono dal confronto della fonda-
zione con l’associazione tendano sovente ad affievolirsi).
In primo luogo, gli amministratori, nella fondazione, non costituiscono emanazio-
ne della volontà assembleare e, come tali, la loro posizione non è intimamente connessa
alle (e condizionata dalle) determinazioni degli associati: l’attività degli amministratori,
nella fondazione, è vincolata solo al conseguimento dello scopo prefissato, in origine, dal
fondatore. In secondo luogo, è proprio in considerazione della mancanza di quel dialogo
tra assemblea ed amministratori, il quale si risolve in una istituzionale dialettica tra gli
organi dell’associazione 50, che il legislatore prevede un penetrante regime di controllo
– assai più esteso, cioè, che in materia di associazioni – della pubblica autorità sull’am-
ministrazione delle fondazioni 51.
L’art. 251 attribuisce, appunto, all’autorità amministrativa il controllo e la vi-

49
In proposito, tradizionalmente si contrappone, come accennato (IV, 3.8), al carattere interno della
volontà nelle associazioni, quello esterno nelle fondazioni (in quanto promanante, una volta per tutte, dal
fondatore).
50
Il diverso ruolo dell’organo amministrativo nella struttura dell’ente si ripercuote anche sulla disciplina
applicabile: nell’associazione, l’azione di responsabilità contro gli amministratori viene deliberata dall’assem-
blea (art. 22); nella fondazione, l’azione di responsabilità contro gli amministratori viene autorizzata dall’auto-
rità governativa (art. 253).
51
Si è già ricordato come, ai sensi dell’art. 5 D.P.R. 361/2000, le funzioni amministrative già attribuite al-
l’autorità governativa siano, ora, esercitate dalle prefetture (o dalle regioni o dalle province autonome) com-
petenti. Le funzioni in questione, relativamente alle fondazioni del Terzo settore sono esercitate, ai sensi del-
l’art. 90 del D.Lgs. 3.7.2017, n. 117, dall’Ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore (di cui al rela-
tivo art. 45).
386 PARTE IV – SOGGETTI

gilanza sull’amministrazione delle fondazioni. Compito che ricomprende: la nomina e la


sostituzione degli amministratori (quando le disposizioni contenute in proposito nell’atto
di fondazione non possano attuarsi); l’annullamento delle deliberazioni adottate dall’or-
gano amministrativo (ove contrarie a norme imperative, all’atto di fondazione, all’ordine
pubblico o al buon costume) 52; lo scioglimento dell’amministrazione e la nomina di un
commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello
statuto e dello scopo della fondazione o della legge.
La giustificazione del conferimento di simili incisivi poteri di controllo all’autorità
amministrativa competente 53 tende ad essere ricercata nella diffidenza con la quale l’or-
dinamento ha tradizionalmente guardato all’istituto della fondazione, per la temuta im-
mobilizzazione delle entità patrimoniali apportate (in contrasto con l’esigenza, considera-
ta prioritaria, di favorire la circolazione della ricchezza) 54. Ovviamente, una tale impo-
stazione si ricollega strettamente al modello di fondazione avuto di mira (e disciplinato)
dal legislatore nel codice civile, incentrato sulla erogazione di rendite prodotte da un pa-
trimonio (a ciò destinato dal fondatore).
Il discorso non potrebbe che essere diverso (e di qui recenti prospettive di riforma
legislativa della materia), ove si prendessero in considerazione figure differenti di fonda-
zione, quali quelle promosse e istituzionalmente – oltre che funzionalmente – collegate
in modo stabile ad organizzazioni di carattere imprenditoriale ed eventualmente eserci-
tanti, con varie modalità, attività economica (c.d. fondazioni d’impresa). Figure, que-
ste, affermatesi altrove, ma già presenti anche da noi nella prassi, con una diffusamente
avvertita inadeguatezza della disciplina attuale a regolarne le dinamiche (soprattutto con
riguardo ai meccanismi interni di controllo sulla vita dell’ente da parte dei soggetti che
provvedono, anche con continuità, all’apporto delle risorse economiche necessarie) 55.

52
L’art. 252 precisa che l’annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buo-
na fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima. La ratio della previsione in parola è
da ricercarsi nella tutela dell’affidamento dei terzi che, all’oscuro dell’illegittimità o illiceità della deliberazione,
abbiano comunque acquistato diritti per effetto dell’esecuzione della medesima.
53
Si sottolinea, comunque, che, “alla luce delle riforme liberalizzatrici del 1997/2000, deve ritenersi che
le forme di controllo pubblico cui sono assoggettate le fondazioni – trovando ragione nell’assenza di un
controllo interno analogo a quello esercitato nelle associazioni dai membri o da appositi organi a ciò depu-
tati – sono funzionalmente e restrittivamente preordinate alla tutela dell’ente, senza estendersi al merito o
all’opportunità delle determinazioni o gestionale o di indirizzo”, in un’ottica, quindi, di “funzione di vigilan-
za, cioè di controllo di legittimità rispetto alla legge e all’atto di fondazione” (Cons. Stato, sez. VI, 13-7-2018,
n. 4288).
54
L’autorità competente, non a caso, può disporre, addirittura, il coordinamento dell’attività di più fonda-
zioni, ovvero l’unificazione della loro amministrazione, peraltro rispettando, per quanto possibile, la volontà
del fondatore (art. 26). La suddetta disposizione, peraltro, non si applica alle fondazioni di famiglia (art. 283).
Simili interventi sono, evidentemente, indirizzati ad evitare la sovrapposizione di più enti in attività analoghe,
con conseguente dispersione di mezzi: hanno una funzione, insomma, di razionalizzazione dell’attività delle
fondazioni nello stesso settore o in settori analoghi (in considerazione di quel carattere di pubblica utilità ne-
cessariamente rivestito – secondo la dianzi accennata prospettiva accolta nel codice e sola coerente con la relativa
disciplina – dallo scopo delle fondazioni, che risulta alla base anche della disciplina della eventuale trasformazio-
ne della fondazione, ai sensi dell’art. 28).
55
Nella prassi, in effetti, sembra sempre maggiormente affermarsi, anche con riferimento alla fondazione,
la tendenza alla creazione di una stabile e complessa organizzazione in vista di un più efficiente perseguimento
delle finalità dell’ente: ciò con la valorizzazione del ruolo dell’elemento personale, come si è visto invece sfu-
mato e di incerta caratterizzazione nella figura tradizionale di fondazione. La presenza, accanto all’organo
CAP. 3 – ENTI 387

11. Estinzione della persona giuridica. Liquidazione e devoluzione dei beni.


Trasformazione. – L’atto costitutivo e lo statuto dell’associazione e della fondazione
possono contenere norme volte ad individuare preventivamente possibili cause e modali-
tà di estinzione dell’ente, nonché a disciplinare la devoluzione del relativo patrimo-
nio (art. 162).
In linea generale, la persona giuridica si estingue quando lo scopo è stato raggiunto
o è divenuto impossibile (art. 271). In considerazione del ruolo centrale rivestito dalle
persone degli associati, l’associazione si estingue anche quando tutti gli associati siano
venuti a mancare (art. 272), ovvero quando lo scioglimento anticipato dell’ente sia deli-
berato dall’assemblea (nel qual caso, ai sensi dell’art. 213, occorre il voto favorevole di al-
meno tre quarti degli associati) 56.
Verificatasi l’estinzione della persona giuridica, si apre la fase della liquidazione del
patrimonio dell’ente (art. 30) 57, diretta a definire i rapporti giuridici che vincolano l’ente
nei confronti di terzi (in particolare, i debiti), nonché la sorte delle sue attività patrimo-
niali. È il presidente del tribunale a nominare i liquidatori (art. 111 disp. att. c.c.), i quali
esercitano la propria funzione sotto la sua diretta sorveglianza (art. 121, disp. att. c.c.).
Per effetto della estinzione dell’ente, viene meno il potere degli amministratori di com-
piere nuove operazioni: le eventuali trasgressioni al suddetto divieto saranno fonte di re-
sponsabilità personale e solidale degli amministratori trasgressori (art. 29). Chiusa la
procedura di liquidazione, il presidente del tribunale provvede che ne sia data comuni-
cazione ai competenti uffici per la cancellazione dell’ente dal registro delle persone giuri-
diche (art. 62 D.P.R. 361/2000) 58.

amministrativo, di organi collegiali – variamente denominati: assemblee, comitati, consigli, ecc. – in cui risul-
tano istituzionalmente rappresentati i soggetti che contribuiscono (non solo inizialmente, ma pure) durante la
vita dell’ente alla relativa provvista economica vale indubbiamente ad accentuare il carattere interno della vo-
lontà sovrana (precipuamente sotto il profilo del controllo sull’operato degli amministratori e della relativa
nomina e revoca, nonché in ordine all’eventuale estinzione e trasformazione dell’ente). Trattandosi di caratte-
ristica reputata propria del fenomeno associativo, il nuovo modello di fondazione (c.d. f o n d a z i o n e d i p a r -
t e c i p a z i o n e ) finisce col presentarsi, in realtà, come figura mista di fondazione e di associazione (così da
porre, appunto, delicati problemi di disciplina) (“strutturalmente atipica”, con “alcune caratteristiche proprie
della fondazione in senso tradizionale … combinate con alcune caratteristiche delle associazioni”, la definisce
T.A.R. Piemonte 7-11-2012; così, ad es., Trib. Belluno 15-2-2018, con riguardo – una volta reputate applica-
bili “per analogia le norme in materia di fondazione e di associazione, purché compatibili” – al possibile eser-
cizio del recesso, ai sensi dell’art. 242). Pare il caso di segnalare come, nel contesto della nuova disciplina con-
cernente gli enti del “Terzo settore”, abbia finito con l’essere ora sostanzialmente consacrata la diffusa prassi in
questione, disponendosi l’applicabilità – almeno “in quanto compatibili” – delle più significative norme dettate
per gli enti di carattere associativo anche “alle fondazioni del Terzo settore il cui statuto preveda la costituzione
di un organo assembleare o di indirizzo, comunque denominato” (IV, 3.13).
56
L’art. 61 D.P.R. 361/2000 dispone che la prefettura (o la regione o la provincia autonoma) competente
accerta, su istanza di qualunque interessato, o anche d’ufficio, l’esistenza di una delle cause di estinzione della
persona giuridica previste dall’art. 27.
57
La specifica disciplina della fase di liquidazione, soprattutto in relazione alle funzioni dei liquidatori ed
agli adempimenti cui i medesimi sono tenuti, è dettata dagli artt. 11 ss. disp. att. c.c.
58
Le differenze di disciplina, quanto a procedure di scioglimento dell’ente (e relativi esiti), sono evidenzia-
te da Cass. 21-5-2018, n. 12528, secondo cui, “le associazioni riconosciute, con il completarsi del procedi-
mento liquidatorio, si estinguono”, non trovando applicazione, quindi, “il principio affermato per le associa-
zioni non riconosciute secondo il quale lo scioglimento non comporta l’estinzione dell’associazione che resta
in vita finché tutti i suoi rapporti non siano definiti” (Cass. 21-5-2018, n. 12528).
388 PARTE IV – SOGGETTI

L’art. 311 pone la regola secondo cui i beni della persona giuridica che residuano do-
po la liquidazione sono devoluti in conformità dell’atto costitutivo o dello statuto 59. In
considerazione dello scopo di pubblica utilità reputato caratterizzante la fondazione nel-
la disciplina del codice, deve convenirsi con quanti escludono che l’atto di fondazione
possa prevedere, per l’ipotesi di sussistenza di beni a seguito della fase della liquidazio-
ne, il ritorno dei beni stessi nella sfera giuridica del fondatore o dei suoi eredi. Parimenti,
si tende ad escludere che lo statuto dell’associazione o l’eventuale deliberazione di scio-
glimento anticipato possano prevedere la distribuzione dei beni residui ai singoli associa-
ti (principio della c.d. devoluzione disinteressata). Qualora lo statuto dell’ente nulla di-
sponga, nelle fondazioni è l’autorità amministrativa competente che provvede ad attri-
buire i beni residui ad enti che abbiano fini analoghi a quello estinto; nelle associazioni si
osservano le deliberazioni dell’assemblea che ha stabilito lo scioglimento e, quando que-
ste manchino, provvede nello stesso modo l’autorità preposta al controllo (art. 312).
Diversa è l’ipotesi della trasformazione, che il legislatore prevede per la fondazio-
ne: in primo luogo, già nello statuto il fondatore può predisporre delle norme relative
alla trasformazione della fondazione (art. 162). Ma è l’art. 281 a fissare una più puntuale
disciplina della trasformazione delle fondazioni. Quando lo scopo è esaurito o è divenuto
impossibile o di scarsa utilità, ovvero il patrimonio è divenuto insufficiente, l’autorità, an-
ziché dichiarare estinta la fondazione, può provvedere, appunto, alla sua trasformazione,
allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore. Il potere riconosciuto al-
l’autorità amministrativa di disporre la trasformazione 60, quale alternativa – tutto som-
mato, privilegiata dall’ordinamento, evidentemente in considerazione dell’utilità genera-
le dello scopo perseguito – alla mera estinzione dell’ente e, quindi, alla cessazione di qual-
siasi attività, sembra radicarsi in quello che può essere indicato come principio di conser-
vazione dell’ente e del suo scopo.
È evidente che, nell’ipotesi disciplinata dall’art. 281, si dovrà tener conto dello scopo
originario dell’ente: l’autorità, così, non potrà dar vita, in particolare, ad un ente che per-
segua uno scopo notevolmente distante rispetto ad esso. Il necessario rispetto della vo-
lontà manifestata dal fondatore nel negozio di fondazione ispira, poi, la regola secondo
cui la trasformazione non è ammessa quando i fatti che vi darebbero luogo sono consi-
derati nell’atto di fondazione quale causa di estinzione della persona giuridica e di devo-
luzione dei beni a terze persone (art. 282).
La nuova disciplina del diritto societario (inserita nel corpo del codice civile con il
D.Lgs. 17.1.2003, n. 6) ha reso possibile la trasformazione (definita eterogenea) di
associazioni riconosciute e fondazioni in società di capitali (art. 2500 octies) 61, superando

59
Si ritiene che la devoluzione dei beni dell’ente a terzi dia luogo ad una sorta di fenomeno di successione
a titolo universale, soprattutto in considerazione della previsione contenuta nell’art. 313, secondo cui i credi-
tori che durante la liquidazione hanno fatto valere il loro credito possono chiedere il pagamento a coloro ai
quali i beni sono stati devoluti, entro l’anno alla chiusura della liquidazione, in proporzione e nei limiti di ciò
che hanno ricevuto. La limitazione della responsabilità a quanto ricevuto (c.d. responsabilità intra vires) resta,
peraltro, come non si è mancato di sottolineare in dottrina, un principio caratteristico della successione a tito-
lo particolare.
60
Ai sensi dell’art. 283, la disposizione sulla trasformazione delle fondazioni non si applica alle fondazioni
destinate a vantaggio soltanto di una o più famiglie determinate (fondazioni di famiglia).
61
L’art. 2500 septies contempla il fenomeno inverso della trasformazione eterogenea da società di capitali,
tra l’altro, in associazioni non riconosciute e fondazioni.
CAP. 3 – ENTI 389

quelle barriere che, in passato, avevano, per lo più, indotto la dottrina a negare la possi-
bilità che un ente non lucrativo potesse trasformarsi in un ente con fine di lucro, come,
appunto, le società (con conseguente presa d’atto e conferma, da parte del legislatore, di
una certa – proprio nella pratica – crescente potenziale interscambiabilità tra gli enti del
libro I e quelli del libro V, sotto il profilo dello svolgimento di attività economico-pro-
duttiva) 62. L’associazione delibera la trasformazione in società di capitali con la stessa
maggioranza richiesta dalla legge o dall’atto costitutivo per lo scioglimento anticipato
(art. 2500 octies2); la trasformazione di fondazioni in società di capitali, invece, è disposta
dall’autorità amministrativa su proposta dell’organo competente (art. 2500 octies4).
Non risultava esplicitamente prevista l’ipotesi della trasformazione da associazione in
fondazione (e viceversa). Peraltro, pur in assenza di esplicita previsione normativa, veniva
diffusamente ammessa la trasformazione dell’associazione in fondazione, mediante delibe-
ra dell’assemblea e successiva approvazione da parte della competente autorità ammini-
strativa 63. A seguito dell’introduzione dell’art. 42 bis, ai sensi dell’art. 98 D.Lgs. 3.7.2017,
n. 117, è ora testualmente previsto che – almeno ove ciò non sia “espressamente escluso dal-
l’atto costitutivo o dallo statuto” – “le associazioni riconosciute e non riconosciute e le fon-
dazioni … possono operare reciproche trasformazioni, fusioni e scissioni” (art. 42 bis1) 64.
L’art. 32, infine, prevede che, nel caso di trasformazione o di scioglimento di un ente,
al quale siano stati donati o lasciati beni con destinazione particolare (a scopo diverso,
cioè, da quello proprio, in genere, dell’ente) 65, l’autorità amministrativa devolva tali be-
ni, con lo stesso onere, ad altre persone giuridiche aventi fini analoghi 66.

12. Comitato. – L’ultimo tipo di ente disciplinato nel libro I del codice civile è il co-
mitato, sulla cui natura la dottrina non ha mai manifestato concordia di opinioni. Ora

62
Una simile interscambiabilità, con riguardo allo svolgimento “senza scopo di lucro” di attività economi-
ca “in via principale”, sembra, in particolare, ora presupposta dalla disciplina concernente l’“impresa sociale”
(prima, ai sensi del D.Lgs. 14.3.2006, n. 155, attuativo della L. 13.6.2005, n. 118, e ora del D.Lgs. 3.7.2017, n.
112, attuativo della L. 6.6.2016, n. 106: IV, 3.13).
63
L’ammissibilità della trasformazione diretta in questione, dopo essere stata vagliata positivamente da
Cons. Stato, sez. V, 23-10-2014, n. 5226 (e già T.A.R. Lombardia 14-2-2013, n. 445), era peraltro risultata, in
seguito, categoricamente negata da Cons. Stato, sez. I, par. 30-1-2015, n. 296, ritenendosi imposto, quindi, il
più complesso procedimento consistente nella “estinzione dell’associazione e costituzione della fondazione”.
Per “l’applicazione analogica della disciplina in tema di fusione tra società all’ipotesi di fusione tra fondazio-
ni”, v. Trib. Roma 25-1-2016.
64
Quanto al relativo regime, si rinvia quasi per intero alla disciplina della trasformazione in materia societa-
ria, di cui vengono richiamati, sia pure con la riserva di “compatibilità”, numerosi articoli (oltre ad intere sezioni:
II e III del capo X, titolo V, libro V, con riguardo alle fusioni e scissioni) (art. 42 bis2-3). Per gli atti in questione,
l’iscrizione nel Registro delle imprese risulta sostituita dalla corrispondente iscrizione nel “Registro delle Persone
Giuridiche” e, “nel caso di enti del Terzo settore, nel Registro unico nazionale del Terzo settore” (42 bis4).
65
In tale ipotesi pare da ravvisarsi la formazione di un vero e proprio patrimonio separato (II, 2.9), trat-
tandosi di beni vincolati al perseguimento di un peculiare scopo (pur senza doversene necessariamente dedurre
il sorgere di un autonomo soggetto di diritto).
66
Diversa dalla trasformazione è la f u s i o n e , per effetto della quale due o più enti si estinguono dando vi-
ta ad un nuovo ente, che diviene titolare dei rapporti giuridici in precedenza rientranti nella sfera giuridica
degli enti estinti; ovvero, si estingue solo uno degli enti, che viene incorporato nella struttura dell’altro (c.d.
fusione per incorporazione). Differente è, altresì, la scissione, che consiste nella creazione di due o più enti di-
stinti a seguito dell’estinzione dell’originario ente, essendo, altresì, possibile che l’ente originario sopravviva e
che dallo stesso si distacchi un’entità autonoma.
390 PARTE IV – SOGGETTI

accostato all’associazione, ora alla fondazione, ora ad entrambe 67, sembra cogliere nel
segno l’opinione che individua nel comitato un ente sui generis, che presenta affinità con
le differenti tipologie di enti non lucrativi, ma che, in sostanza, appare dotato di propria
specificità.
Esso consiste in un’organizzazione di persone (i c.d. promotori) che perseguono un
determinato fine altruistico facendo ricorso alla raccolta di fondi presso il pubblico. L’art.
39 enuclea, con elencazione dal carattere meramente esemplificativo, tra gli scopi possi-
bili del comitato (spesso di carattere temporaneo), il soccorso, la beneficenza, la promo-
zione di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti, e simili 68.
Il legislatore propone l’alternativa tra comitato riconosciuto come persona giuridica
e comitato non riconosciuto come tale. L’attribuzione di personalità giuridica al comita-
to incide, secondo i principi già esaminati per gli altri tipi di enti, sulla responsabilità.
Così, se il comitato è riconosciuto, delle obbligazioni assunte in nome e per conto del-
l’ente risponderà solo quest’ultimo col suo patrimonio, con esclusione, quindi, della
responsabilità personale dei componenti. Qualora, invece, il comitato non sia ricono-
sciuto (ipotesi, questa, più comune e che sembra tenuta essenzialmente presente da
parte del legislatore), tutti i suoi componenti risponderanno personalmente e solidal-
mente delle obbligazioni (art. 411) 69. Resta ferma, in entrambi i casi (di attribuzione o
meno, cioè, al comitato della personalità giuridica), la responsabilità personale e solida-
le degli organizzatori e di coloro che assumono la gestione dei fondi raccolti – che co-
stituiscono, anche nell’ipotesi di comitato non riconosciuto, un patrimonio vincolato
alla sua specifica destinazione – per la conservazione dei fondi e la loro destinazione al-
lo scopo annunziato (art. 40) 70.
I sottoscrittori (o oblatori), vale a dire coloro che procedono alle sovvenzioni a favo-
re del comitato (oblazioni), sono obbligati, invece, soltanto ad eseguire la prestazione
promessa (art. 411), con esclusione, dunque, di qualsiasi forma di responsabilità per le
obbligazioni del comitato. In relazione alla natura delle oblazioni, si è ampiamente di-
scusso in dottrina: tende a prevalere la tesi che si tratti di atti di liberalità (in particolare,
donazioni modali) non assoggettati a rigore formale (anche data l’usuale modicità del re-

67
Cass. 23-6-1994, n. 6032, sembra propensa ad accogliere la prospettiva dualistica, fondata su un’osser-
vazione della figura in chiave dinamica, per cui “all’origine del fenomeno vi è un contratto associativo avente
ad oggetto l’esercizio in comune dell’attività di raccolta dei mezzi finanziari presso il pubblico; sui fondi rac-
colti viene poi a costituirsi un vincolo di destinazione analogo a quello che inerisce al patrimonio di una fon-
dazione” (riconoscendo, peraltro, che “le due fasi non sempre si presentano in modo cronologicamente di-
stinto”, pur essendo, comunque, in ogni caso “logicamente distinguibili”).
68
Con una previsione analoga a quella contenuta nell’art. 362 in relazione all’associazione non riconosciu-
ta, anche il comitato può stare in giudizio nella persona del suo presidente (art. 412).
69
In ciò deve ravvisarsi una rilevante differenza rispetto al regime previsto in materia di associazioni non ri-
conosciute (art. 38), nelle quali si è visto rispondere per le obbligazioni dell’ente solo coloro che, in ordine alla
relativa assunzione, abbiano, di volta in volta, agito in nome e per conto del medesimo (IV, 3.9).
70
Anche il comitato privo di personalità giuridica è considerato soggetto di diritto diverso dai suoi membri,
come affermato dalla già ricordata Cass. 6032/1994 (e con chiarezza confermato da Cass. 8-5-2003, n. 6985 e
da Cass. 22-6-2006, n. 14453): il comitato che non si sia evoluto, attraverso il riconoscimento, in persona giu-
ridica è qualificabile come comitato non riconosciuto e costituisce “soggetto collettivo distinto dal substrato
personale da cui è composto e dà luogo ad un centro autonomo di imputazione di situazioni giuridiche”, “cui
può essere attribuita la titolarità di diritti, sia obbligatori che di natura reale” (tra questi, anche di diritti reali
immobiliari, l’acquisto dei quali viene senz’altro reputato direttamente trascrivibile a nome dell’ente).
CAP. 3 – ENTI 391

lativo valore), con deroga, quindi, rispetto alla regola che prescrive, in genere, l’atto pub-
blico per la donazione (XIII, 1.3).
L’art. 42, infine, prevede, quali ipotesi di estinzione del comitato, l’insufficienza dei
fondi rispetto allo scopo dell’ente, l’impossibilità di realizzare lo scopo medesimo o il
conseguimento dello stesso. In tal caso, qualora siano residuati dei fondi, l’autorità am-
ministrativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa non è stata disciplinata al
momento della costituzione del comitato.

13. Gli enti non profit nella legislazione speciale ed il “Terzo settore”. – Con ri-
guardo alla locuzione “non profit” – importata dall’esperienza anglosassone e impiegata
per qualificare un settore di attività e gli enti che la svolgono – deve darsi atto dell’estre-
ma difficoltà cui si è incorsi nell’elaborare una sicura definizione, in assenza di esplicite
univoche indicazioni da parte del legislatore. In un primo momento, essa veniva impie-
gata per indicare l’attività svolta in settori di più specifica ed accentuata rilevanza e utili-
tà sociale. Successivamente, si è affermata la tendenza ad intendere per “enti non pro-
fit”, più in generale, tutta la vasta gamma di enti che non perseguono fini di lucro (con
progressiva identificazione, quindi, del concetto di non profit con quello di assenza di lu-
cratività e conseguente coincidenza della relativa area, in sostanza, con quella degli enti
del libro I del codice civile).
Al di là delle considerazioni di carattere terminologico, pare opportuno evidenziare
come, negli anni più recenti, il legislatore si sia orientato a favorire la sempre maggiore
diffusione di enti che svolgano attività di rilevanza sociale, mediante agevolazioni fiscali e
incentivi di vario tipo. In proposito, si è effettivamente verificata una conseguente diffu-
sione crescente degli enti, soprattutto di natura associativa, che si segnalano per lo svol-
gimento di attività di tal genere (c.d. terzo settore) 71.
Dal punto di vista della disciplina, peraltro, è da rilevare come gli interventi del legi-
slatore succedutisi nel tempo non abbiano inciso sulla originaria architettura normativa
degli enti del libro I, la quale è stata lasciata sostanzialmente intatta (anche se è da evi-
denziare la sperimentazione di opzioni normative, in un secondo momento generalizza-
te). Sistematica, questa, del resto destinata a persistere pur dopo l’intervento legislativo
programmaticamente finalizzato a dare una disciplina organica al “Terzo settore”, ai

71
Con tale espressione, si tende da tempo ad individuare il fenomeno del perseguimento di fini di utilità
sociale, attraverso l’attività svolta senza fini di lucro da enti di carattere privato, come espressione di solidarietà
sociale: fenomeno, la cui espansione – collocandone gli ambiti tra “Stato” e “Mercato”, quale significativa
presa d’atto dei relativi “fallimenti” – viene usualmente ricondotta, oltre che al venir meno della capacità del-
la istituzione familiare – pure per la sua crescente instabilità – a rispondere ai bisogni assistenziali specialmen-
te dei soggetti più deboli, al programmatico ritiro degli apparati pubblici – conseguenza di crisi economica e
di sfiducia in essi – dallo svolgimento delle attività in questione. È proprio in una simile prospettiva che, si-
gnificativamente, si muove l’art. 1184 Cost. (ai sensi della L. cost. 18.10.2001, n. 3), per cui “Stato, Regioni,
Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per
lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Comunque, una defi-
nizione di quello che viene correntemente designato in termini di privato sociale si rinviene ora nell’art. 11 L.
6.6.2016, n. 106, secondo cui “per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il per-
seguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del
principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attivi-
tà di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scam-
bio di beni e servizi”.
392 PARTE IV – SOGGETTI

sensi della L. 6.6.2016, n. 106 (“Delega al Governo per la riforma del Terzo settore,
dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”), nonché del conse-
guente D.Lgs. 3.7.2017, n. 117 (“Codice del Terzo settore”) 72.
Se l’intento è stato, indubbiamente, quello di por fine al precedente accumularsi di
frammenti di legislazione speciale, spesso non coordinati tra di loro, non si può fare a
meno di segnalare immediatamente, in effetti, come il provvedimento delegato – nono-
stante che l’art. 12, lett. a, L. 106/2007 ponesse al primo posto tra i compiti demandati ai
decreti legislativi attuativi proprio quello della “revisione della disciplina del titolo II del
libro I del codice civile, in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni private
senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o non riconosciute” (e l’art.
3, poi, specificasse i profili su cui operare) – non abbia toccato la disciplina codicistica
(salvo che per l’introduzione di un art. 42 bis, ai sensi dell’art. 98 del “Codice”: IV,
3.11) 73. Di conseguenza, tradendo le diffuse aspettative al riguardo 74, si è venuta, così, a
determinare una evidente sovrapposizione tra tale disciplina (anche quale risultante alla
luce del D.P.R. 361/2000) e quella, pur se nelle intenzioni organica 75, da considerarsi
comunque connotata da specialità, ora dettata per gli “enti del Terzo settore”, il cui rac-
cordo finisce col risultare affidato – con tutte le difficoltà e le responsabilità che, in tal
modo, si sono conseguentemente addossate all’interprete – all’art. 32, secondo cui “per
quanto non previsto dal presente Codice, agli enti del Terzo settore si applicano, in
quanto compatibili, le norme del Codice civile e le relative disposizioni di attuazione”.
Quanto alla sua struttura, il “Codice” (in attuazione dei principi della legge-delega ed
in larga misura sistematizzando quanto già in precedenza previsto nelle singole normative
speciali di settore) si articola, dopo alcune dichiarazioni di principio 76, in: una parte gene-

72
Pare opportuno sottolineare, sotto il profilo terminologico, l’impiego (cui di seguito ci si atterrà nella
trattazione), nella nuova disciplina, della lettera maiuscola in relazione all’indicazione del relativo oggetto
(“Terzo settore”).
73
Si avverte che, nel presente paragrafo, gli articoli del “Codice del Terzo settore” saranno di seguito cita-
ti senza il richiamo a tale provvedimento.
74
Tendenti ad auspicare un riordino – ispirandosi a quanto avvenuto con la radicale riforma delle società
di capitali (D.Lgs. 17.1.2003, n. 6) – dell’intera regolamentazione degli enti del libro I, nel cui contesto inseri-
re la disciplina delle attività concernenti il “Terzo settore”. Alla carenza, da tale punto di vista, dell’intervento
qui in esame, intenderebbe rimediare il D.D.L. n. 1151 (XVIII legislatura, “Delega al Governo per la revisio-
ne del codice civile”), prospettando l’esigenza di “integrare la disciplina delle associazioni e fondazioni, ad
esclusione delle fondazioni di origine bancaria, con i necessari coordinamenti con la disciplina del terzo setto-
re e nel rispetto della libertà associativa, con particolare riferimento alle procedure per il riconoscimento, ai
limiti allo svolgimento di attività lucrative e alle procedure di liquidazione degli enti” (art. 1, lett. a).
75
Come programmaticamente affermato nell’art. 1 ed esplicitato nell’art. 31, ove si dichiara che “le dispo-
sizioni del presente Codice si applicano, ove non derogate ed in quanto compatibili, anche alle categorie di
enti del Terzo settore che hanno una disciplina particolare”. Significativamente, comunque, il legislatore
sembra avere avuto consapevolezza delle carenze che sarebbero state immediatamente venute allo scoperto:
l’art. 17, così, ha previsto che “entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legisla-
tivi”, possano essere emanate “disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle
evidenze attuative nel frattempo emerse” (come, in effetti, è avvenuto, operando diversi interventi integrativi,
col D.Lgs. 3.8.2018. n. 105).
76
Oltre al già ricordato art. 3 (“norme applicabili”), si tratta dell’art. 1, delimitante “finalità ed oggetto”
del provvedimento (col richiamo all’esigenza di sostenere “l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono,
anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e
protezione sociale”, onde favorire “la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona” e “valo-
CAP. 3 – ENTI 393

rale (titolo II); un titolo III, tendente a chiarire la nozione di “volontario” e di “attività di
volontariato”; un titolo IV, concernente le “associazioni e le fondazioni del Terzo settore”
(in cui con maggiore evidenza si manifesta l’accennata sovrapposizione con la disciplina
codicistica); un titolo V, dedicato alla specifica regolamentazione “di particolari categorie
di enti del terzo settore”; un titolo VI, rivolto all’istituzione del “registro unico nazionale
del Terzo settore”; un titolo VII, finalizzato al coordinamento “con gli enti pubblici”. Il
titolo VIII, poi, concerne lo strumentario destinato alla “promozione” e “sostegno degli
enti del Terzo settore”, mentre il titolo IX istituisce, a fini di finanziamento, il c.d. “titolo
di solidarietà” ed il titolo X organizza il regime fiscale (di favore) per gli enti in questione.
a) Nella parte generale (titolo II) si prevede, innanzitutto, la tipologia degli “enti del
Terzo settore” (art. 41). Si allude, con una specifica tipizzazione di figure, almeno in pre-
valenza, già emergenti dalla precedente legislazione speciale in materia, a “organizzazioni
di volontariato”, “associazioni di promozione sociale”, “enti filantropici”, “imprese so-
ciali, incluse le cooperative sociali”, “reti associative”, “società di mutuo soccorso”. Ma
ci si riferisce anche, con una sorta di indicazione di residuale, a “le associazioni, ricono-
sciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle
società, costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidari-
stiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse gene-
rale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di
mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi” 77.
Significative sono le esclusioni operate dall’art. 42, soprattutto per quanto riguarda, ol-
tre alle “amministrazioni pubbliche”, “le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati,
le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche”. L’art. 43, poi,

rizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118,


quarto comma, della Costituzione”), nonché dell’art. 2, tendente a riconoscere il “valore e la funzione sociale
degli enti del Terzo settore, dell’associazionismo, dell’attività di volontariato e della cultura e pratica del dono
quali espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo” (promuovendone “lo sviluppo”, in un’ottica di
“spontaneità ed autonomia”, e favorendone “l’apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, soli-
daristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province
autonome e gli enti locali”). Si tenga presente che l’art. 33 ha espressamente escluso l’applicazione della nuova
disciplina alle fondazioni bancarie (IV, 3.10), pur coinvolgendole nel finanziamento dei Centri di servizio per
il volontariato (art. 62).
77
La finale precisazione dell’art. 41 (“ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”) pare da ri-
ferire non solo a tale ultima categoria (la cui individuazione finisce, del resto, con l’abbracciare, dal punto di
vista strutturale, l’intera fenomenologia delle organizzazioni in questione), ma a tutti gli enti che intendano
condividere il peculiare regime predisposto, appunto, per gli “enti del Terzo settore”. Peraltro, anche l’in-
dicazione delle “finalità” da perseguire (“civiche”, “solidaristiche” e “di utilità sociale”, secondo una formula-
zione che si ritrova anche nell’art. 51), così come quella, negativa, relativa all’assenza dello “scopo di lucro”,
sono da leggere in chiave di caratterizzazione, in via generale, degli “enti del Terzo settore”. Il “Codice” non
prevede la figura dei comitati, ma è da ritenere che essa risulti ricompresa nell’accennato ampio riferimento
agli “altri enti di carattere privato diversi dalle società”, anche per la sua palese assonanza con la formula
adottata, col richiamo alle “altre istituzioni di carattere privato”, dall’abrogato art. 12 c.c. (e ora dall’art. 1
D.P.R. 361/2000), in cui si tende, infatti, ad inquadrare (anche sulla scia della Relaz. cod. civ., n. 42), appunto,
i comitati (IV, 3.3, 12). Per superare le possibili riserve in ordine ad una simile (estensiva) opzione esegetica,
che potrebbero fondarsi, in proposito, sul carattere (almeno tendenzialmente) limitato nel tempo della relati-
va attività, anche ove si voglia trascurare la pur sempre prevista legittimazione dei comitati al riconoscimento
come persona giuridica (secondo quanto risulta esplicitato nell’art. 41 c.c.: IV, 3.12), sembra poter valere pu-
re l’espressa ammissione, nell’art. 211, di una eventuale previsione statutaria circa la “durata dell’ente”.
394 PARTE IV – SOGGETTI

unificando le regole in proposito dettate dalla previgente legislazione speciale, assoggetta a


talune condizioni l’applicazione delle norme del Codice (peraltro “limitatamente allo svol-
gimento delle attività di cui all’articolo 5”) agli “enti religiosi civilmente riconosciuti” 78.
È chiaro come la disciplina generale finisca col ruotare, da una parte, intorno a quel-
la specifica indicazione – che l’art. 52 considera comunque suscettibile di futuri aggior-
namenti – delle “attività di interesse generale”, che vale a dare consistenza alla previ-
sione delle “finalità” da perseguire (“finalità civiche, solidaristiche e di utilità generale”)
(art. 51) 79; dall’altra, alla chiara, e significativamente ripetuta con insistenza, necessaria
“assenza di scopo di lucro” (rubrica dell’art. 8, ma anche artt. 41 e 51, non a caso con
l’esplicita esclusione della categoria delle “imprese sociali incluse le cooperative socia-
li”, comunque contemplate, come accennato, tra gli “enti del Terzo settore”). Tale
“assenza di scopo di lucro” è concretizzata attraverso l’imposizione della utilizzazione
esclusiva delle attività patrimoniali dell’ente per perseguimento delle ricordate “finalità”
(art. 81), nonché del divieto di distribuzione, anche indiretta (nelle forme, cioè, specifi-
cate nell’art. 83), di qualsiasi attività patrimoniale a chiunque operi nell’ente (“anche in
caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associati-
vo”: art. 82).
Risultano, poi, disciplinati momenti e profili di particolare significato per la vita
dell’ente, onde improntarne la regolamentazione alla funzione istituzionale. Così, in par-
ticolare: la “raccolta fondi” (art. 7); la “devoluzione del patrimonio in caso di sciogli-
mento” (art. 9) 80; la possibilità di costituire “patrimoni destinati ad uno specifico affare”
(“ai sensi e per gli effetti degli articoli 2447 bis e seguenti del codice civile”: art. 10); la
necessaria iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore (art. 11, con conse-
guente menzione dei relativi estremi in tutto gli atti e comunicazioni; per gli enti “che
esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa com-
merciale”, viene disposta anche l’iscrizione nel registro delle imprese; per le “imprese so-
ciali”, peraltro, è prevista la sola iscrizione “nell’apposita sezione del registro delle im-

78
In particolare, da una parte, s’impone la costituzione di un “patrimonio destinato” e la connessa sepa-
razione delle scritture contabili; dall’altra, l’adozione di un “regolamento” che recepisca le norme del Codice
(con connessa separazione delle scritture contabili) e sia depositato nel registro unico nazionale del Terzo
settore.
79
Si tratta di ben ventisei settori di attività, elencati dalla lett. a alla lett. z, della più diversa natura (in ma-
teria di servizi sociali, beneficienza, ambiente, cultura, istruzione, turismo, tutela dei diritti umani, immigra-
zione, legalità, sport, lavoro, ecc.), spesso precisata attraverso rinvii normativi. Comunque, l’art. 6 non esclu-
de il possibile esercizio – sia pure “secondo criteri e limiti” da stabilirsi successivamente con decreto ministe-
riale – di “attività diverse da quelle di cui all’articolo 5”, a condizione che esse si vengano a configurare come
“secondarie e strumentali” (con ciò sembrandosi alludersi – non a caso finendo col coordinarsi tale previsione
con quella dell’art. 7, concernente la tipica attività di finanziamento dell’ente non profit, consistente nella
“raccolta fondi” – all’esercizio di attività commerciali produttive di utili, in una prospettiva già sperimentata
con riguardo agli enti del libro primo: IV, 3.8). Il carattere non commerciale dell’attività costituisce, poi, og-
getto di attenta individuazione, a fini tributari, nell’art. 79.
80
“In caso di estinzione o di scioglimento”, la devoluzione – previo parere favorevole (a pena di nullità)
dell’Ufficio provinciale del Registro unico nazionale del Terzo settore” (di cui all’art. 451) – deve avvenire a
favore di “altri enti del Terzo settore” o alla “Fondazione Italia Sociale” (istituita, ai sensi dell’art. 101 L.
106/2016, per “sostenere, mediante l’apporto di risorse finanziarie e di competenze gestionali, la realizzazione
e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del Terzo settore”, con particolare attenzione “ai territo-
ri e ai soggetti maggiormente svantaggiati”: per l’approvazione del relativo statuto, v. il D.P.R. 28.7.2017).
CAP. 3 – ENTI 395

prese”); la “denominazione sociale”, necessariamente allusiva al carattere di “ente del


Terzo settore” (anche attraverso l’acronimo ETS: art. 12); la necessaria articolazione del-
le scritture contabili e del bilancio (anche con specifico riferimento agli “enti del Terzo
settore che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di
impresa commerciale”: art. 13), nonché dei libri sociali obbligatori (art. 15); il “lavoro
negli enti del Terzo settore” (art. 16, con una equiparazione retributiva a quanto previsto
nei contratti collettivi, nonché con la limitazione delle differenze salariali non superiori
ad un rapporto di uno a otto).
b) Nel titolo III ci si sofferma sulle nozioni di volontario e di attività di volontariato,
trattandosi di profili evidentemente considerati dal legislatore – del resto, secondo la
prospettiva tradizionale, che ha contrassegnato fin dall’inizio, con la L. 11.8.1991, n. 266
(“Legge-quadro sul volontariato”), il fenomeno del “Terzo settore” – vitali ai fini del
funzionamento degli enti qui in esame e del perseguimento delle relative “finalità” istitu-
zionali.
Dopo la previsione della possibilità di avvalersi del relativo apporto (art. 171), viene
offerta una (assai articolata) definizione della figura del volontario (art. 172) 81, limitan-
do ogni sua pretesa economica al rimborso delle “spese effettivamente sostenute e docu-
mentate per l’attività prestata” (art. 173), eventualmente anche a seguito di autocertificazio-
ne (purché non superino l’ammontare giornaliero do 10 euro e mensile di 150 euro: art.
174), nonché prevedendo rigorose forme di incompatibilità lavorativa “con l’ente di cui il
volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria” (art.
175). Sono contemplate, poi, talune esclusioni in relazione a specifiche categorie (art. 177).
Viene prevista l’“assicurazione obbligatoria” dei volontari da parte degli enti che se
ne avvalgano (“contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività di
volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi”: art. 181), rinviando ad ap-
posito decreto ministeriale i relativi meccanismi e controlli (art. 182).
Infine, viene previsto un articolato sistema di interventi tendenti alla “promozione della
cultura del volontariato (art. 191), anche col riconoscimento di benefici di varia natura –
pure in ambito scolastico e universitario – a chi abbia svolto una simile attività (191-4).
c) Come accennato, la parte del “Codice” in cui maggiormente si fa avvertire la so-
vrapposizione (e il mancato coordinamento in un unitario quadro testuale sistematico)
con la disciplina del codice civile risulta quella di cui al titolo IV, dedicata alle associa-
zioni e fondazioni del terzo settore. Con le relative disposizioni, in effetti, lasciando in
vita la regolamentazione codicistica, si è inteso assoggettare a specifici requisiti gli enti
intenzionati ad operare nel Terzo settore, evidentemente per godere dei particolari bene-
fici apprestati dal legislatore (in particolare, ma non solo, in materia tributaria), non
mancando di dettare regole peculiari relativamente al loro ordinamento e amministra-
zione, fino a giungere a creare, come non si è mancato subito di rilevare, una sorta di
“doppio binario” per il riconoscimento della personalità giuridica degli enti.

81
Il volontario è individuato in “una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della co-
munità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il pro-
prio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficia-
rie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti ed esclusi-
vamente per fini di solidarietà”.
396 PARTE IV – SOGGETTI

Un primo punto da sottolineare pare quello di essersi ulteriormente contribuito, col


provvedimento in esame (e non a caso sulla linea evolutiva propria della precedente legi-
slazione di settore, con le successive ricadute sulla disciplina codicistica degli enti: IV,
3.3, 8-9), a portare a compimento quel processo di progressiva svalutazione dell’attribu-
zione, col riconoscimento, della personalità giuridica. In effetti, la qualità di “ente del Ter-
zo settore”, con quel trattamento di favore che rende appetibile il relativo inquadramento,
risulta svincolata dal conseguimento della personalità giuridica, anche gli enti non rico-
nosciuti essendo ammessi ad operare come tali, adeguandosi alle prescrizioni del “Codi-
ce” (e, in particolare, del suo titolo IV), non a caso indifferenziatamente riferite agli enti
riconosciuti ed a quelli non riconosciuti. Insomma, il legislatore dimostra sempre più
quella chiara propensione (già manifestata a partire dalla L. 266/1991) nel senso della
valorizzazione dell’aspetto sostanziale del tipo di attività (e dei requisiti richiesti in fun-
zione di essa) concretamente svolta, assai più che dei profili formali e strutturali delle or-
ganizzazioni attraverso cui l’attività medesima viene svolta.
Così, l’art. 211 contiene, in relazione all’atto costitutivo, un elenco di elementi, ten-
dente ad integrare l’elenco di cui all’art. 16 c.c., soprattutto con riguardo alla precisazio-
ne delle finalità (quelle indicate nell’art. 51) perseguite e dell’apertura non discriminato-
ria della struttura a nuovi ingressi (evidentemente ritenendola funzionale ad un migliore
svolgimento delle attività di interesse generale avute di mira). Non mancano, inoltre, in-
dicazioni ulteriori, come quella concernente l’eventuale predeterminazione della durata
dell’ente e quella relativa alla “nomina dei primi componenti degli organi sociali ob-
bligatori”. Significativamente, inoltre, manca ogni differenziazione anche con riguardo a
quanto separatamente previsto, appunto dall’art. 16 c.c., per associazioni e fondazioni
(l’attenzione del legislatore, in effetti, essendo concentrata – come sembra attestato dalla
parsimonia dei richiami alle “fondazioni del Terzo settore” 82 – sul fenomeno associativo,
essendo proprio l’associazionismo da sempre considerato il motore del Terzo settore) 83.
A dettare regole specifiche in tema di ordinamento e di amministrazione provvedono
gli artt. 23-31.
In ordine all’ammissione di nuovi associati, l’art. 23 dettaglia compiutamente le com-
petenze e le procedure. Invero, però, disponendosi che quanto al riguardo previsto valga
solo “se l’atto costitutivo o lo statuto non dispongano diversamente”, si finisce – e in
singolare contrasto con la minuziosità della previsione – col non chiarire se, almeno per
gli “enti del Terzo settore”, valga effettivamente (e inderogabilmente, quale caratteristi-
ca, cioè, connaturata al tipo di organizzazione ed alla relativa funzione) il principio della
“porta aperta” (IV, 3.8) (come, invero, sembrerebbe potersi dedurre da quanto in pro-
posito contemplato, relativamente allo statuto, dall’art. 211).

82
Pare da segnalare, peraltro, come il legislatore abbia qui finito per operare una (alquanto surrettizia e
pur sempre col difetto del carattere comunque speciale proprio della disciplina qui in esame) consacrazione
della prassi (dianzi segnalata: IV, 3.10) tendente ad aprire spazi, ignoti al codice civile, ad organi collegiali nel-
le fondazioni, prevedendo una estensione, appunto alle fondazioni che li contemplino, disposizioni dettate
per le strutture di tipo associativo (in particolare, relativamente all’ammissione di nuovi associati, art. 234, di
funzionamento dell’assemblea, art. 246, di competenze dell’assemblea, art. 253, di nomina dell’organo ammi-
nistrativo, art. 268).
83
L’art. 212, poi, sembra recepire l’idea di sostanziale unitarietà funzionale dell’atto costitutivo e dello sta-
tuto (IV, 3.8), peraltro conferendo la prevalenza, in caso di contrasto, alle clausole del secondo.
CAP. 3 – ENTI 397

L’art. 24 si articola in diverse previsioni concernenti l’intervento in assemblea, peral-


tro, e forse alquanto opinabilmente (come nel caso di quanto disposto per il voto del-
l’associato e per la possibilità di rappresentare e farsi rappresentare), costantemente con-
dizionate dalla regolamentazione statutaria. Si tratta, almeno entro certi limiti, di previ-
sioni (talvolta richiamanti la disciplina societaria) semplicemente rivolte ad avallare pras-
si già diffuse e tendenzialmente considerate pienamente legittime (come l’intervento in
assemblea e la votazione a distanza, nonché la previsione di assemblee separate nel caso
delle associazioni numericamente più consistenti) 84, con conseguente sicura estensibilità
al piano della generale disciplina codicistica degli enti.
Sempre a prescindere dal carattere riconosciuto o meno dell’ente, vengono, in questo
caso inderogabilmente, disciplinate, nell’art. 25, le competenze dell’assemblea, largamente
ispirate alle corrispondenti previsioni codicistiche (e forse proprio per questo foriere di
future difficoltà di coordinamento) 85. Circa la nomina degli amministratori, nonché i lo-
ro poteri di rappresentanza e relativi adempimenti pubblicitari, dispone in maniera assai
più articolata della disciplina dettata dal codice civile (e anche al riguardo facendo tesoro
della prassi statutaria in materia) l’art. 26, l’intera materia, poi, del conflitto di interessi
(art. 27) e della responsabilità (art. 28) risultando, anche attraverso numerosi richiami
normativi, mutuata dalla disciplina relativa alle società (sicuramente più raffinata di
quella dettata per gli enti del libro primo del codice civile e, forse, mutuata proprio te-
nendo presente la – pure attraverso la nuova normativa perseguita – crescente rilevanza
economica, anche nel tessuto produttivo generale del paese, degli enti del Terzo settore).
Anche la disciplina dei poteri di iniziativa, in vista del controllo dell’operato degli ammi-
nistratori, è largamente mutuata dalla materia commerciale (art. 29), richiamata pure per
talune previsioni concernenti il funzionamento dell’organo di controllo (art. 30), la neces-
sità della cui presenza è stabilita, al pari di quanto disposto circa la revisione legale dei
conti (art. 31), per le associazioni di maggiore consistenza numerica.
Ma soprattutto degno della massima attenzione si presenta il profilo dell’acquisto del-
la personalità giuridica. Al riguardo, in effetti, la sovrapposizione ed il mancato serio
coordinamento con la disciplina generale del codice, quale risultante in dipendenza del
D.P.R. 361/2000 (IV, 3.4), ha immediatamente suscitato allarme negli interpreti, in rela-
zione ad una ipotizzabile casistica propiziata dall’interferenza tra le due discipline.
In effetti, ai sensi dell’art. 22, “le associazioni e le fondazioni del Terzo settore posso-
no, in deroga al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, acqui-
stare la personalità giuridica mediante l’iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo
settore”. Insomma, risulta introdotto un meccanismo alternativo di riconoscimento, ca-
ratterizzato, oltre che dalla peculiarità dello strumento da utilizzare (l’iscrizione nel “re-
gistro unico nazionale del Terzo settore”), da specifiche prescrizioni in ordine agli ele-

84
Una disciplina peculiare è riservata, sotto diversi profili, alle “associazioni che hanno un numero di as-
sociati non inferiore a cinquecento”.
85
Anche qui, comunque, il legislatore sembra aver voluto approfittare dell’occasione per risolvere una
questione persistentemente fonte di contrasti, quale quella concernente la possibilità che sia statutariamente
prevista la competenza di un organo diverso dall’assemblea per deliberare l’esclusione degli associati (IV, 3.8-
9). Nulla, peraltro, viene specificato in relazione al recesso e, soprattutto, relativamente alla delicata proble-
matica concernente – sotto il profilo delle relative garanzie – l’esclusione dell’associato (che certamente avrebbe
meritato, in questa, sede una specifica riflessione).
398 PARTE IV – SOGGETTI

menti – anche patrimoniali – che devono concorrere ai fini dell’iscrizione e da peculiari


competenze in ordine alla verifica della relativa sussistenza. Un tentativo di coordina-
mento, allora, è stato operato con l’art. 6 del D.Lgs. 105/2018 86.
Sotto il profilo strutturale, di particolare evidenza risulta, a differenza che per gli enti
del libro primo del codice civile (per i quali si prevede solo una necessaria adeguatezza
del patrimonio allo scopo istituzionalmente perseguito), la quantificazione in via norma-
tiva dell’entità minima del patrimonio (15.000 euro per le associazioni e 30.000 per le
fondazioni), cui si ricollegano conseguenze rilevanti sulla vita dell’ente (in caso, cioè, di
diminuzione del patrimonio). Ove si tenga presente che gli enti riconosciuti (e, quindi,
dotati di personalità giuridica) secondo la disciplina generale, i quali intendano operare
nel Terzo settore, avvalendosi delle relative prerogative, dovranno iscriversi nel relativo
registro unico nazionale, si comprende facilmente come ciò potrà dare luogo a delicati
problemi applicativi nel coordinamento tra la disciplina generale e quella speciale 87.
L’assenza, ai fini dell’iscrizione, di profili di discrezionalità amministrativa (pur sem-
pre presenti nel sistema instaurato con il D.P.R. 361/2000) avvicina indubbiamente il
regime qui introdotto a quello previsto per le società (per il quale, si ricordi, si parla di
sistema di riconoscimento c.d. normativo) 88. Ai sensi dell’art. 222-3, infatti, è il notaio a
risultare investito della responsabilità di verificare la sussistenza dei requisiti previsti
(con una evidente assonanza, appunto anche da tale punto di vista, con la materia socie-
taria). Solo ove il notaio non ritenga sussistenti le condizioni richieste per la costituzione
dell’ente, è riconosciuta agli interessati la possibilità di rivolgersi direttamente all’ufficio
competente, cui, di conseguenza, viene allora a spettare il controllo in questione 89.
d) Già da quanto in precedenza accennato, un ruolo centrale nel funzionamento del
nuovo sistema del Terzo settore e degli enti che in esso intendano operare è rivestito dal
Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS) (art. 45). È in esso 90, in effetti,

86
In particolare, oltre ad essersi completata la formulazione dell’art. 221 (aggiungendosi una finale preci-
sazione “ai sensi del presente articolo”), con l’introdotto art. 221bis si è prevista, per le associazioni e le fonda-
zioni “già in possesso della personalità giuridica” (ai sensi del D.P.R. 361/2000) “che ottengono l’iscrizione
nel registro unico nazionale del Terzo settore”, la sospensione dell’“efficacia dell’iscrizione nei registri delle
persone giuridiche … fintanto che sia mantenuta l’iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore”.
In questo periodo, ad esse “non si applicano le disposizioni” di cui al D.P.R. 361/2000. Dell’avvenuta iscri-
zione al RUNTS, nonché dell’eventuale successiva relativa cancellazione, “è data comunicazione”, da parte
del competente ufficio del RUNTS, “entro 15 giorni, alla Prefettura o alla Regione o Provincia autonoma
competente”.
87
Anche l’apparentemente ovvia precisazione dell’art. 227, secondo cui “nelle fondazioni e nelle associa-
zioni riconosciute come persone giuridiche, per le obbligazioni dell’ente risponde soltanto l’ente col suo pa-
trimonio”, in effetti, si potrebbe dimostrare atta a suscitare interrogativi in ordine all’autonomia patrimoniale
perfetta o meno dell’ente (IV, 4. 8-9) nell’interferenza tra le due discipline.
88
Secondo l’art. 222, l’ufficio del registro deve verificare esclusivamente la regolarità formale della docu-
mentazione presentata dal notaio. Peraltro, l’art. 472 sembra demandare in via generale all’ufficio il controllo
almeno della sussistenza delle condizioni richieste (anche relativamente alla sezione in cui sia da inserire
l’ente): l’art. 471, che fa salvo quanto previsto dall’art. 22, si riferisce, in effetti, al (solo) profilo della presenta-
zione della domanda di iscrizione.
89
In caso di mancata comunicazione del relativo esito entro sessanta giorni, l’“iscrizione si intende nega-
ta” (è da credere con conseguente possibilità di ricorso al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 476).
90
Il registro (pubblico ed accessibile in modalità telematica), istituito presso il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, è operativamente gestito su base territoriale (regionale e provinciale, per le province auto-
CAP. 3 – ENTI 399

che devono iscriversi gli enti, inserendosi in una delle relative sezioni (secondo la tipolo-
gia di cui all’art. 41: art. 46) 91, osservando una procedura disciplinata dall’art. 47 (e che
dovrà, comunque, essere successivamente specificata, nel quadro della regolamentazio-
ne, in dettaglio, del funzionamento del registro, con decreto ministeriale: art. 53), quanto
a domanda, relativo controllo (della “sussistenza delle condizioni previste dal presente
Codice”), eventuale rifiuto dell’iscrizione e conseguente possibile ricorso degli interessa-
ti (al T.A.R. competente).
L’art. 48 elenca le informazioni che devono risultare dal registro per ciascun ente (e
che, quindi, dovranno essere necessariamente fornite ai fini dell’iscrizione). In particola-
re, dato che l’iscrizione prescinde dal relativo possesso, si allude alla sussistenza o meno
della personalità giuridica (e del “patrimonio minimo” di cui all’art. 224) 92. Prevede, inol-
tre, i relativi aggiornamenti conseguenti alle più rilevanti vicende dell’ente (modifiche
statutarie, trasformazioni, fusioni, scissioni, estinzione, ecc.) 93. Gli artt. 49 e 50 prevedo-
no, inoltre, poteri di iniziativa e formalità relativamente all’estinzione dell’ente, nonché
alla sua cancellazione (in particolare per sopravvenuta carenza dei previsti requisiti) 94 ed
eventuale “migrazione in altra sezione”.
Di particolare interesse risulta l’art. 52, che dispone in ordine alla opponibilità ai terzi
degli atti dell’ente, dando vita ad un regime sostanzialmente analogo a quello anteriore
all’abrogazione dell’art. 34 c.c. e della sua sostituzione con l’art. 2 D.P.R. 361/2000 (IV,
3.4): tale opponibilità è, infatti, fatta dipendere dall’iscrizione nel registro, “salvo che
l’ente provi che i terzi ne erano a conoscenza”.
e) Buona parte del “Codice” è dedicata alla valorizzazione del ruolo degli enti del Ter-
zo settore, sia riservando ad essi una particolare attenzione nei rapporti con gli enti pub-
blici, sia attivando strumenti di promozione e sostegno della loro attività, anche attra-
verso i proventi dell’emissione di specifici titoli di solidarietà, nonché quale riflesso di
una fiscalità notevolmente privilegiata.
Circa i rapporti con gli enti pubblici, vengono prospettate favorevolmente for-

nome) attraverso un “Ufficio regionale” (o provinciale) “del Registro unico nazionale del Terzo settore” (art.
45). Il RUNTS è stato concretamente attivato dal 23.11.2021 (data individuata, con la precisazione dei detta-
gli operativi anche in vista del superamento del regime transitorio previsto dall’art. 1012, dal D. Direttoriale
26.10.2021).
91
Solo per le reti associative è consentita l’iscrizione in più di una sezione (art. 462).
92
Per gli enti che ne sono privi, e che non intendano conseguirla, sarà quindi sufficiente, da parte degli in-
teressati, utilizzare una scrittura privata (anche con l’impiego di “modelli standard tipizzati, predisposti da
reti associative” ed approvati con decreto ministeriale: art. 475). Oltre al dato dell’eventuale possesso della
personalità giuridica è richiesto anche quello del “patrimonio minimo di cui all’articolo 22, comma 4”.
93
Anche al riguardo, risultando destinati a sorgere delicati problemi di coordinamento con la disciplina
generale per quegli enti che abbiano acquistato, prima di iscriversi nel registro in questione, la personalità
giuridica attraverso il meccanismo del D.P.R. 361/2000 (a seguito, cioè, dell’iscrizione nel registro delle per-
sone giuridiche): problemi che, invero forse troppo semplicisticamente si è inteso risolvere col ricordato (nota
86) meccanismo della sospensione dell’efficacia dell’iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
94
La possibilità di continuare ad operare, nonostante l’avvenuta cancellazione dal registro in questione,
sia pure senza le prerogative proprie degli enti del Terzo settore (e, quindi, “ai sensi del codice civile”: è da
credere restando pure dotati della personalità giuridica, se già acquistata secondo la disciplina generale prima
dell’iscrizione nel registro del Terzo settore), risulta espressamente prevista dall’art. 502, che dispone, in tal
caso, l’obbligo di devolvere, in conformità di quanto stabilito nell’art. 9, l’“incremento patrimoniale realizzato
negli esercizi in cui l’ente è stato iscritto nel Registro unico nazionale”.
400 PARTE IV – SOGGETTI

me di co-programmazione, co-progettazione e accreditamento (art. 55), anche attraverso la


sottoscrizione di convenzioni, finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o
servizi sociali di interesse generale (peraltro a condizione di maggiore convenienza ri-
spetto al mercato e con la previsione del solo rimborso “delle spese effettivamente soste-
nute e documentate”: art. 56), in particolare con riguardo ai “servizi di trasporto sanita-
rio di emergenza e urgenza” (art. 57).
Ai fini del sostegno e della promozione degli enti del Terzo settore, un ruolo di
rilievo è conferito, da una parte, alla istituzione del Consiglio nazionale del Terzo setto-
re (art. 58), con componenti in larga misura espressione dello stesso Terzo settore (art.
59), cui sono riconosciute diverse attribuzioni di natura varia (essenzialmente attraver-
so pareri, peraltro non vincolanti: art. 60). Dall’altra, alla possibilità di accreditamento
di centri di servizio per il volontariato, a carattere associativo (caratterizzati da uno sta-
tuto di contenuto rigorosamente prefigurato: art. 61). Per il finanziamento dei relativi
variegati compiti e funzioni (art. 63), è istituito il Fondo Unico Nazionale (FUN), ali-
mentato da cospicui contributi annuali a carico delle fondazioni di origine bancaria e
costituito in forma di “patrimonio autonomo e separato”, sostanzialmente governato
dall’organismo nazionale di controllo (art. 62). Quest’ultimo, di composizione articolata
(in particolare espressione degli enti finanziatori), svolge numerose importanti funzio-
ni (art. 63), anche attraverso una rete di uffici territoriali di controllo (a base regionale:
art. 65).
Ovviamente, l’inserimento tra gli enti del Terzo settore si presenta particolarmente
appetibile per una serie di specifiche misure (talune a favore, in particolare, delle orga-
nizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale): un privilegiato ac-
cesso al credito agevolato (art. 67); la previsione di un privilegio per i crediti (art. 69); un
privilegiato accesso ai finanziamenti europei (art. 68); l’utilizzazione gratuita di beni mobi-
li e immobili dello Stato e degli enti territoriali (art. 70), anche durevolmente per lo svol-
gimento delle attività istituzionali (art. 71). Risulta, inoltre, prevista l’istituzione di un fondo
per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale (art. 72), nonché ulteriori
risorse finanziarie (art. 73), in particolare a favore delle organizzazioni di volontariato
(art. 73) e delle associazioni di promozione sociale (art. 75), anche per lo specifico scopo
dell’acquisto di ambulanze e autoveicoli per attività sanitarie (art. 76).
Viene, poi, introdotta, ai sensi dell’art. 77, la figura dei titoli di solidarietà, anche
i cui proventi sono finalizzati al finanziamento, da parte degli istituti di credito emittenti)
degli enti del Terzo settore (non commerciali). Le caratteristiche di tali titoli (obbliga-
zioni e altri titoli di debito, nonché certificati di deposito) sono descritte con precisione,
pure quanto a durata, (vantaggioso) rendimento e trattamento fiscale. Un regime fiscale
di favore è previsto, poi, per gli operatori di social lending finalizzato al finanziamento
delle attività di interesse generale, di cui all’art. 5 (art. 78).
Non è questa la sede, ovviamente, per analizzare in dettaglio la complessa disciplina
del regime fiscale degli enti del Terzo settore. Basti evidenziare come particolarmente
favoriti siano gli enti non commerciali, in quanto svolgenti “in via esclusiva o prevalente”
le attività di cui all’art. 5 (dal regime delineato per le imposte sui redditi, l’art. 791 esclu-
de espressamente le imprese sociali, e l’art. 821, con talune eccezioni, le esclude da quan-
to previsto per le imposte indirette e i tributi locali). È, poi, previsto un rilevante credito
d’imposta a titolo di social bonus per le erogazioni liberali finalizzate al recupero, da par-
CAP. 3 – ENTI 401

te di enti del Terzo settore, di immobili pubblici inutilizzati e di quelli confiscati alla
criminalità (art. 81), nonché, in genere, per le erogazioni a favore degli enti qui in esame
(art. 83). Disposizioni particolari sono dettate per le organizzazioni di volontariato e per
le associazioni di promozione sociale (con specifico riferimento a talune attività econo-
miche: artt. 84 e 85), anche attraverso la previsione di uno specifico regime forfetario per
le attività commerciali (art. 86, a fronte di quello disposto, in generale, dall’art. 80). Cir-
ca il particolare regime (agevolato) di tenuta e conservazione delle scritture contabili, di-
spone organicamente l’art. 87.
Infine, una funzione di coordinamento, in sede politica, relativamente alle attività de-
gli enti del Terzo settore, anche in vista di monitorare lo stato di attuazione (e l’efficien-
za) del “Codice”, è affidato ad una Cabina di regia, istituita presso la Presidenza del Con-
siglio dei ministri (art. 97).

14. Particolari categorie di enti del Terzo settore. – In adempimento del compito
di provvedere al “riordino e alla revisione organica della disciplina speciale e delle altre
disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore” (art. 12, lett. b, L. 106/2016), il
“Codice”, come si è visto, ha inteso superare la precedente frammentazione normativa,
dando vita ad una regolamentazione tendenzialmente unitaria dei profili essenziali della
materia. Non si è mancato, peraltro, di conservare elementi di disciplina specifici per le
diverse figure individuate nell’art. 41, con una relativa ulteriore specializzazione, per così
dire, a cascata. Se, infatti, l’art. 32 dispone, con riguardo agli enti del Terzo settore, “per
quanto non previsto dal presente Codice”, l’applicazione, “in quanto compatibili”, delle
“norme del Codice civile”, l’art. 31 prevede l’applicabilità delle “disposizioni del presen-
te Codice … ove non derogate ed in quanto compatibili, anche alle categorie di enti del
Terzo settore che hanno una disciplina particolare”.
Insomma, come emerge anche dall’organizzazione del Registro unico nazionale del
Terzo settore (le cui sezioni, ai sensi dell’art. 461, in effetti, corrispondono fedelmente
alla tipologia delineata nell’art. 41), si è inteso conservare quegli elementi di specificità
ormai – in vista del carattere variegato delle esigenze (e degli interessi) in gioco – acquisi-
ti, nel tempo, all’operatività del settore, sulla base della previsione (e disciplina) delle
singole figure. E ciò pur procedendo all’abrogazione della relativa legislazione particola-
re (art. 102).
a) La prima categoria presa in considerazione è, non a caso, quella delle organizza-
zioni di volontariato, in relazione alla cui disciplina (con l’ora obrogata L. 11.8.1991, n.
266, “Legge-quadro sul volontariato”) ebbe modo di farsi avvertire per la prima volta,
con pretese di sistematicità, quel favor per l’associazionismo (cui si è fatto riferimen-
to dianzi: IV, 3.13), in una prospettiva di promozione dello sviluppo del volontaria-
to, finalizzato al conseguimento di obiettivi di carattere sociale, civile e culturale 95.
Indubbiamente, si tratta di una delle figure in cui con maggiore frequenza finiranno
col risultare inquadrati gli enti a struttura associativa del Terzo settore. L’art. 32 ne trat-
teggia i connotati, alludendo, appunto, ad enti costituiti come associazione riconosciuta

95
E proprio tale disciplina valse ad attestare la sempre più chiara propensione dell’ordinamento a presta-
re scarsa attenzione al profilo formale del riconoscimento degli enti, privilegiando, piuttosto, quello sostanzia-
le del tipo di attività svolta.
402 PARTE IV – SOGGETTI

o non riconosciuta, con un numero minimo di membri 96, “per lo svolgimento prevalen-
temente in favore di terzi di una o più attività di cui all’articolo 5”, precisandosi che ciò
deve avvenire “avvalendosi in modo prevalente delle prestazioni dei volontari associati”.
Ovviamente, l’indicazione di “organizzazione di volontariato” (ODV) nella denomina-
zione sociale è riservata agli enti stessi.
Peraltro, non manca di emergere l’importanza dello sviluppo del Terzo settore anche
nella prospettiva del soddisfacimento di esigenze occupazionali. Pur entro il limite della me-
tà del numero dei volontari, infatti, possono essere assunti lavoratori dipendenti (o utilizza-
te “prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura”), in vista del “regolare funzionamen-
to” dell’ente e del più efficiente svolgimento della propria attività (331). Le risorse (art. 332)
possono essere della più varia natura (alludendosi anche ai proventi delle attività previste
all’art. 6 e, quindi, “diverse da quelle di cui all’articolo 5”), restando comunque consentito
all’ente, almeno “per l’attività di interesse generale prestata”, di “ricevere soltanto il rim-
borso delle spese effettivamente sostenute e documentate” (art. 333).
b) L’altra figura destinata, anche in futuro, a particolare fortuna è rappresentata dalle
associazioni di promozione sociale (già regolate dalla, pure ora abrogata, L. 7.12.2000, n.
383). Qui, in effetti, a differenza che con riguardo alla categoria precedente, il carattere
(eventualmente pure solo) interno dello scopo emerge dall’essere l’attività dell’ente –
anch’esso di natura associativa, riconosciuto o meno – svolta “in favore dei propri asso-
ciati, di loro familiari o” (quindi solo eventualmente) “di terzi” (peraltro “avvalendosi in
modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati”: art. 351) 97.
Si è inteso comunque evitare, delimitando corrispondentemente i confini della figura,
sue possibili utilizzazioni sostanzialmente dissonanti con i principi fondamentali del Ter-
zo settore, in quanto (almeno palesemente) discriminatorie nella composizione del corpo
sociale (352). Anche qui si è riservata l’indicazione di “associazione di promozione socia-
le” (APS), nella denominazione sociale, agli enti stessi (art. 355).
In relazione alla figura in questione, il carattere, per così dire, interno dello scopo as-
sociativo, sotto il peculiare profilo del soddisfacimento di esigenze occupazionali, finisce
con l’emergere – in sostanziale continuità con quanto già ammesso in passato – dal risul-
tare consentito all’ente, sia pur sempre “ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse
generale”, comunque da perseguire “avvalendosi in modo prevalente dell’attività di vo-
lontariato dei propri associati”), “assumere lavoratori dipendenti o avvalersi prestazioni
di lavoro autonomo o di altra natura, anche dei propri associati” (art. 361) 98.

96
In particolare, almeno 7 persone fisiche o 3 organizzazioni di volontariato (in tal caso, evidentemente,
trattandosi di un ente di secondo livello). È prevista la possibilità ammettere come associati anche altri enti,
comunque senza scopo di lucro, in numero non superiore “al cinquanta per cento del numero delle organiz-
zazioni di volontariato”.
97
Circa l’entità minima del corpo sociale, valgono tendenzialmente le stesse regole nella nota precedente.
98
Si pongono, peraltro, dei limiti, anche in vista del carattere programmaticamente privilegiato, in tutto il
terzo settore, dell’attività di volontariato (e, in ogni caso, del coinvolgimento personale degli associati nelle attivi-
tà associative). Così, da una parte, il numero dei lavoratori impiegati nell’attività (e ciò dovrebbe valere anche per
prestazioni di lavoro autonomo) non può “essere superiore al cinquanta per cento del numero dei volontari o al
cinque per cento del numero degli associati”; dall’altra, col richiamo all’art. 175 (che preclude al volontario rap-
porti di lavoro dipendente o autonomo “con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge
la propria attività volontaria”), si tende ad evitare che possa esserci confusione circa il carattere disinteressato
della figura del volontario (sostanzialmente distinguendola, così, da quella dell’associato in quanto tale).
CAP. 3 – ENTI 403

c) Viene introdotta, evidenziandone (fin troppo) pochi tratti distintivi (e, quindi, per
il resto trovando applicazione la disciplina di carattere generale delineata dal “Codice”
per gli “enti del Terzo settore”, nonché, in subordine, nella prospettiva indicata dall’art.
32, la disciplina codicistica degli istituti di riferimento), la figura degli enti filantropici. Si
tratta (necessariamente) di enti riconosciuti (associazioni o fondazioni), aventi il fine (in-
vero alquanto generico) “di erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a so-
stegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale” (art. 371).
Si ribadisce, pure per tali enti, l’utilizzabilità in via riservata, nella denominazione so-
ciale, dell’indicazione di “enti filantropici” (art. 372). Le ulteriori indicazioni finiscono
con l’apparire alquanto ovvie, nella loro genericità: così, da una parte, si prevede che
l’atto costitutivo indichi i principi da osservare nella gestione del patrimonio, nella rac-
colta delle (pure del tutto genericamente – in modo, cioè, tutt’altro che caratterizzante –
individuate nell’art. 381) risorse e nella destinazione (e modalità di erogazione) del dena-
ro, beni o servizi e nelle attività di investimento, “a sostegno degli enti del Terzo settore”
(art. 382); dall’altra, si forniscono scarne (ed in larga misura superflue) indicazioni circa il
bilancio sociale (art. 39).
d) Nel sistema del Terzo settore, un ruolo di un certo rilievo sembra risultare affidato
alle reti associative. In applicazione della direttiva di cui all’art. 41, lett. p, L. 106/2016, si
è inteso delineare (nell’art. 41) una complessa figura di vero e proprio ente di secondo
livello 99, di notevole consistenza (di natura associativa, riconosciuto o meno), in quanto
destinato ad associare (anche indirettamente) almeno 100 enti del Terzo settore (o, in
alternativa, almeno 20 fondazioni del Terzo settore) e, ove si tratti di rete associativa
nazionale, almeno 500 enti (o 100 fondazioni).
L’attività è essenzialmente di coordinamento, rappresentanza, tutela, promozione e,
in genere, supporto, aggiungendosi anche, per le reti associative nazionali, funzioni di
monitoraggio dell’attività degli enti associati, nonché di promozione delle relative attività
di controllo e di assistenza tecnica. L’importanza se ne coglie nella previsione secondo
cui si tratta della via (è da credere) elettiva per accedere a partenariati con le pubbliche
amministrazioni e a finanziamenti da parte del Fondo di cui all’art. 72 (e di qui anche la
previsione di rigorosi requisiti di onorabilità per i rappresentanti legali e quanto alla de-
stinazione delle risorse) (art. 414-5).
La consistenza e la peculiare struttura degli enti in questione sembrano alla base della
possibilità loro accordata, oltre che di essere iscritti in più sezioni del Registro unico
nazionale del Terzo settore (art. 462), di godere di un notevole margine statutario di
manovra in ordine alla disciplina del diritto di voto degli associati in assemblea, delle
deleghe di voto in assemblea e, addirittura, delle competenze dell’assemblea degli as-
sociati (art. 418-10).
e) Con gli artt. 42-44 si è inteso, in sostanza (e con indubbio spirito pragmatico), in-
serire nel nuovo sistema del Terzo settore la risalente figura delle società di muto soccor-

99
Caratteristica, questa della istituzionale soggettività, che già vale a differenziare – anche a prescindere
dalle palesi diversità sul piano funzionale – la figura in esame da quella, di struttura per sua definizione essen-
zialmente contrattuale, del contratto di rete, di cui all’art. 3 D.L. 10.2.2009, n. 5, come conv. con la L.
9.4.2009, n. 33, per il quale la soggettività risulta, ove siano previste la nomina di un organo comune e l’isti-
tuzione di un fondo patrimoniale comune, comunque solo eventuale (secondo quanto innovativamente stabi-
lito dal D.L. 179/2012, conv. con la L. 17.12.2012, n. 221).
404 PARTE IV – SOGGETTI

so, lasciando in vigore la relativa specifica disciplina (di cui alla L. 15.4.1886, n. 3818, e
successive modificazioni) e dando vita ad un regime transitorio (ai sensi dell’art. 51, lett.
i, L. 106/2016).
Entro tre anni, infatti, le società di mutuo soccorso già esistenti possono trasformarsi in
associazioni di promozione sociale o in associazioni del Terzo settore 100, mantenendo il
possesso del proprio patrimonio. Nella disciplina del “Codice”, invero, manca l’accenno
alla necessaria destinazione del patrimonio “al raggiungimento di finalità solidaristiche”
(secondo la previsione della legge-delega), ma tale aspetto sembra risultare implicitamente
dall’inserimento stesso dell’ente nel Terzo settore (con conseguente necessario assoggetta-
mento ai relativi principi generali).
f) Il “Codice” si limita, con riguardo alla figura della impresa sociale (già regolata, in
attuazione della L. 13.6.2005, n. 118, dall’ormai abrogato D.Lgs. 24.3.2006, n. 155), ad
una mera norma di rinvio allo specifico provvedimento delegato, da adottare in vista del-
la relativa disciplina (art. 40, ai sensi dell’art. 12, lett. c, e 6 L. 106/2016). Tale provvedi-
mento ha preso corpo, in effetti, nel D.Lgs. 3.7.2017, n. 112. La figura, quindi, pur non
disciplinata dal “Codice”, si inserisce tra gli enti del Terzo settore (come risulta dagli artt.
41 e 461), ma con una sua marcata specificità (che si riflette, in campo tributario, nella inap-
plicabilità della disciplina comune agli altri enti del Terzo settore: art. 791 e 821).
La disciplina è molto ampia, emergendone una chiara intenzione di stimolare il ricor-
so ad un simile strumento nel mondo dell’economia, sempre, evidentemente, nella pro-
spettiva di una programmatica valorizzazione del ruolo del Terzo settore. Fin dall’art. 11
del D.Lgs. 112/2017, risulta palese come la figura non si caratterizzi per peculiarità di
carattere strutturale, bensì sotto il profilo funzionale: infatti, “tutti gli enti privati” (con o
senza personalità giuridica, inclusi quelli di natura societaria di qualsiasi tipo, anch’essi
personificati o meno, di cui al libro V del codice civile) 101 possono acquistare “la qualifi-
ca di impresa sociale”, purché l’“attività di impresa” (esercitata “in via stabile e principa-
le”) sia “d’interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e
di utilità sociale” 102.
In effetti, la chiave di volta della disciplina risulta essere, da una parte, l’articolato
elenco di “attività di impresa di interesse generale”, che vengono presunte tali (art. 21, il

100
L’allusione sembra alla figura residuale di cui all’art. 41 (IV, 3.13), quasi a sottolineare la conservazione,
comunque, di una qualche specificità all’ente (del resto, lasciando indubbiamente spazio a future incertezze,
in tale disposizione tipologicamente distinto, così come anche nell’elenco delle sezioni, di cui all’art. 461), pur
a seguito della trasformazione in ente del Terzo settore.
101
Sembra indubbio che il legislatore, fin dall’iniziale disciplina della figura, abbia inteso muoversi in una
prospettiva di interscambiabilità tra gli enti del libro I e quelli del libro V, con riguardo allo svolgimento del-
l’attività economica, evidentemente ritenuta pienamente compatibile, anche se esercitata in forma imprendi-
toriale (in quanto “in via stabile e principale”), con quell’assenza istituzionale dello scopo di lucro (soggetti-
vo), che pure ha rappresentato tradizionalmente la caratteristica qualificante degli enti del libro I: IV, 3. 3).
La disciplina si applica anche agli enti religiosi civilmente riconosciuti, alle stesse condizioni previste, in gene-
re, dall’art. 43 del “Codice” (IV, 3.13).
102
Con ciò operandosi un chiaro coordinamento con le finalità generali caratterizzanti l’intero sistema del
Terzo settore, ai sensi degli artt. 41 e 51 del “Codice”. Un simile profilo di finalizzazione a interessi di natura
generale e sociale viene ulteriormente evidenziato dalle prospettate “modalità di gestione responsabili e tra-
sparenti” e dall’auspicato “coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alla loro at-
tività” (secondo quanto specificato nell’art. 11 e in un’ottica indubbiamente assonante con le prospettive co-
stituzionali emergenti dagli artt. 41 e 43).
CAP. 3 – ENTI 405

cui pur già lungo elenco, come quello dell’art. 51 del “Codice”, è considerato suscettibile
di aggiornamenti: art. 22); dall’altra, il fermo principio della destinazione esclusiva degli
attivi economici dell’impresa sociale “allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incre-
mento del patrimonio” (art. 31), con una rigorosa formulazione dell’assoluto divieto di
relativa distribuzione (“anche indiretta”) a chiunque sia inserito, in qualsiasi qualità, nel-
la struttura dell’ente (“fondatori, soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministra-
tori ed altri componenti degli organi sociali”: art. 32, con una elencazione presuntiva al
riguardo, che richiama, integrandola, l’elencazione contenuta nella norma generale del-
l’art. 83 del “Codice”) 103. Inoltre, le società con un solo socio persona fisica e gli enti con
scopo di lucro, nonché le amministrazioni pubbliche, non possono esercitare funzioni di
direzione, coordinamento e controllo di un’impresa sociale (art. 43).
La costituzione deve avvenire per atto pubblico (art. 5, anche per il relativo contenuto
ed il necessario deposito presso l’ufficio del registro delle imprese) e, quanto alla deno-
minazione sociale, l’indicazione (doverosa in tutti gli atti) di “impresa sociale” è ovvia-
mente riservata ai relativi enti (art. 6). Dettagliata è, poi, la regolamentazione delle cari-
che sociali (art. 7), dell’ammissione ed esclusione dei soci (con richiamo al principio di non
discriminazione: art. 8), delle scritture contabili (art. 9), degli organi di controllo interno
(art. 10), delle vicende societarie (art. 12), del lavoro nell’impresa sociale (art. 13, anche
con riferimento all’eventuale attività di volontariato, non potendo comunque il numero
dei volontari superare quello dei lavoratori), delle funzioni di monitoraggio (art. 15). In
caso di insolvenza, le imprese sociali sono assoggettate alla liquidazione coatta ammini-
strativa (art. 14).
g) Proseguendo nel processo di ibridazione degli enti disciplinati nel libro V con gli
scopi tipicamente caratterizzanti quelli del libro I, con l’art. 1376-382 della L. 28.12.2015, n.
208, si è disciplinata, la figura della società benefit, caratterizzata dal perseguimento, nel-
l’“esercizio di una attività economica”, oltre che dello “scopo di dividerne gli utili” 104, di
“una o più finalità di beneficio comune” (operando “in modo responsabile, sostenibile e
trasparente nei confronti di persone, comunità territori e ambiente, beni ed attività cultu-
rali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interessi”). La società, comunque nel
rispetto della relativa disciplina del libro V, deve perseguire simili finalità, da indicarsi spe-
cificamente nell’oggetto sociale, “mediante una gestione volta al bilanciamento con l’in-
teresse dei soci e con l’interesse di coloro sui quali l’attività sociale possa avere impatto” 105.
Le società diverse sono tenute, ove intendano assumere la qualifica in questione (eviden-
temente al fine di promuovere la propria immagine) 106, a modificare corrispondentemente
il proprio atto costitutivo (o lo statuto).

103
Una certa (limitata) possibilità di destinazione interessata risulta, peraltro, comunque prevista dal-
l’art. 33.
104
E, quindi, con un riferimento a quello scopo di lucro (soggettivo) che rende sostanzialmente estranea la
figura in questione – coerentemente non contemplata nella disciplina fin qui esaminata – all’area degli enti
del Terzo settore.
105
Vengono specificamente definiti i concetti di: “beneficio comune”; “altri portatori di interesse”; “stan-
dard di valutazione esterno”; “aree di valutazione”.
106
In effetti, si dispone che la società che ne abbia i previsti requisiti possa utilizzare, accanto alla de-
nominazione sociale, le parole “Società benefit” o l’abbreviazione “SB”, avvalendosi di “tale denominazio-
ne nei titoli emessi, nella documentazione e nelle comunicazioni verso i terzi”. Di recente, si è preso atto
406 PARTE IV – SOGGETTI

Vengono, poi, disciplinate le conseguenze dell’inosservanza degli obblighi connessi


alla peculiare caratterizzazione della società, in particolare con riguardo alle eventuali
responsabilità degli amministratori. Per la sanzione – è da ritenere essenzialmente di na-
tura reputazionale – del mancato perseguimento del “beneficio comune” 107, sono ri-
chiamate (invero del tutto genericamente) le disposizioni in materia di pubblicità ingan-
nevole (D.Lgs. 2.8.2007, n. 145) e quelle del codice del consumo (D.Lgs. 6.9.2005, n.
206), delegando lo svolgimento dei relativi compiti e attività all’Autorità garante della
concorrenza e del mercato.

dell’opportunità di riconoscere taluni vantaggi idonei ad incoraggiare la diffusione della figura. Così, con
l’art. 38 ter L. 17.7.2020, n. 77, da una parte, si è riconosciuto un credito d’imposta per la relativa costitu-
zione o trasformazione; dall’altra, si è istituito un (modesto) fondo per la promozione di una simile tipolo-
gia di ente.
107
Risulta prevista l’annuale redazione di un’articolata “relazione concernente il perseguimento del bene-
ficio comune, da allegare al bilancio societario” (con relativa pubblicazione, ove esistente, “nel sito internet
della società”).
PARTE V
FAMIGLIA

CAPITOLO 1
FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO

Sommario: 1. La famiglia nella società e la sua disciplina giuridica. – 2. Nozione giuridica di famiglia. –
3. La disciplina della famiglia: Costituzione, codice civile e altre fonti. – 4. Convivenza, famiglia di
fatto e unioni registrate. – 5. Caratteri degli atti e dei diritti familiari. – 6. Parentela e affinità. – 7.
Gli alimenti. – 8. Ordini di protezione contro gli abusi familiari.

1. La famiglia nella società e la sua disciplina giuridica. – Rappresenta osservazio-


ne comune quella secondo cui la famiglia costituisce un fenomeno sociale che, proprio in
quanto tale, l’ordinamento giuridico non crea, ma col quale è chiamato a confrontarsi.
La famiglia, indubbiamente, si inserisce tra le “formazioni sociali ove si svolge la per-
sonalità” dell’uomo, cui allude l’art. 2 Cost. Nel contesto di tali formazioni sociali, essa
occupa una posizione sicuramente primaria, per il carattere di necessarietà che la con-
traddistingue, quale nucleo fondamentale dell’organizzazione della società.
L’idea della famiglia come realtà sociale, prima che giuridica, emerge, del resto, con
chiarezza dall’art. 29 Cost., che allude alla “famiglia come società naturale”. Il suo ruolo
fondamentale nell’organizzazione sociale, poi, anche nella prospettiva costituzionale, ri-
sulta di tutta evidenza già dalla stessa collocazione prioritaria che si è voluto conferire
(con gli artt. 29-31 Cost.) ai rapporti familiari, nel quadro di quei “rapporti etico-so-
ciali”, cui è dedicato il titolo II della nostra Costituzione.
Le valutazioni dell’ordinamento non possono, quindi, prescindere dai modi in cui il
fenomeno familiare si atteggia concretamente nella società. Di qui la difficoltà del com-
pito del legislatore, soprattutto nei periodi nei quali il ritmo delle trasformazioni sociali
si presenti – come a partire dal secolo XIX, per giungere fino ai nostri anni – fortemente
accelerato. Abbandonata, infatti, l’idea che la materia familiare possa ritenersi rientrare
nell’esclusiva competenza dei costumi, della morale e della religione, il legislatore si tro-
va inevitabilmente a dover fare i conti con un duplice ordine di pericoli, di segno oppo-
sto: da una parte, quello dell’incapacità di prendere atto dell’evoluzione dei rapporti so-
ciali, con il risultato che l’ordinamento finisca col rispecchiare una realtà sociale non più
408 PARTE V – FAMIGLIA

esistente; dall’altra, quello di intervenire avventatamente, in assenza di condizioni tali,


nella società, da renderne realmente avvertita l’esigenza, col rischio di svolgere una fun-
zione meramente destabilizzatrice e di esporre i consociati a crescenti incertezze.
Cercando di evitare tali pericoli, l’ordinamento deve trovare una propria via, in vista
di quella giuridificazione dei rapporti familiari, che vale a conferire ad essi una garanzia
sociale. Via, che se non può essere quella della mera astensione 1, neppure può essere
quella di una eccessiva intromissione all’interno della organizzazione familiare – non a
caso tipica dei regimi autoritari anche di un recente passato – allo scopo di renderne fun-
zionale l’attività (e, in particolare, quella educativa) al perseguimento delle finalità pro-
prie di una particolare ideologia di cui lo Stato si faccia portatore.
Il necessario rispetto dell’autonomia della famiglia, che rappresenta una delle più
sicure attestazioni di democraticità dell’ordinamento, non può precludere, allora, un
interessamento da parte dell’ordinamento stesso: un intervento, le cui coordinate de-
vono essere enucleate, in un sistema costituzionale come il nostro, proprio da quell’art.
2 Cost., dianzi ricordato, secondo il quale “i diritti inviolabili dell’uomo” sono da ga-
rantire anche (e, forse, soprattutto) “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua perso-
nalità”. La disciplina giuridica della famiglia, così, pure attraverso la previsione di
eventuali opportuni interventi degli organi pubblici competenti, è investita del delicato
compito di assicurare che la famiglia stessa svolga la sua funzione essenziale di forma-
zione sociale atta a garantire adeguate condizioni per lo sviluppo della personalità dei
suoi membri, in modo coerente con i valori costituzionali di libertà ed effettiva egua-
glianza (art. 32 Cost.) 2.
Questa, del resto, sembra essere l’ottica dei rapporti tra ordinamento giuridico e fa-
miglia che non solamente ha trionfato nell’esperienza dei paesi caratterizzati da uno svi-
luppo sociale ed economico storicamente più simile a quello che si è avuto da noi, ma
che tende ad imporsi, ormai, a livello sopranazionale e mondiale. Basti, al riguardo, ri-
cordare come, nel preambolo della Convenzione sui diritti del fanciullo (New York,
20.11.1989, ratificata con L. 27.5.1991, n. 176), si evidenzi che la famiglia “deve ricevere
la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo
nella collettività”, che è quello, appunto, di “unità fondamentale della società ed am-
biente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei
fanciulli”.

2. Nozione giuridica di famiglia. – La considerazione, nella prospettiva costituzio-


nale, della famiglia quale formazione sociale in cui è destinata elettivamente a svilupparsi

1
Secondo la nota immagine con cui A.C. Jemolo, anche quale reazione agli atteggiamenti di eccessiva in-
tromissione da parte dei regimi autoritari, paragona la famiglia a “un’isola che il mare del diritto può lambire
soltanto”, sottolineando che “la sua intima essenza rimane metagiuridica”.
2
Anche ove questo comporti la necessità di superare i condizionamenti derivanti da più o meno diffusi
costumi. Come, infatti, ha sottolineato Corte cost. 19-12-1968, n. 127, l’ordinamento “non può avallare o,
addirittura, consolidare col presidio della legge (la quale, peraltro, contribuisce, essa stessa, in misura rilevan-
te alla formazione della coscienza sociale) un costume che risulti incompatibile con i valori morali verso i qua-
li la Costituzione volle indirizzare la nostra società”. Con ciò viene anche evidenziata con chiarezza quella
funzione promozionale (quale fattore, cioè, a sua volta atto ad influenzare i comportamenti sociali), che la re-
gola giuridica è chiamata a svolgere qui forse più che in altri settori della vita associata.
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 409

la personalità dei suoi membri 3 implica la valorizzazione della convivenza come espres-
sione di una concreta esperienza di solidarietà e di vita. Ciò comporta che il modello di
famiglia cui, in linea di principio, si riferisce l’ordinamento vigente sia quello della fa-
miglia nucleare, della comunità, cioè, dei coniugi e dei loro eventuali figli. È, in effet-
ti, tale modello di famiglia a risultare coperto dalla garanzia costituzionale dell’art. 29
Cost.: il gruppo, insomma, che trae la sua origine dal matrimonio (rapporto di coniugio) 4,
eventualmente arricchito dai figli generati (rapporto di filiazione), con l’esclusione di altri
parenti (ascendenti e collaterali: V, 1.6) 5.
Il recepimento di un simile modello di famiglia da parte dell’attuale ordinamento ri-
specchia l’evoluzione del modello familiare nella società (e, in particolare, nella nostra
area geografica), quale risultato dei fenomeni di imponente trasformazione economico-
sociale che hanno caratterizzato la vita associata negli ultimi due secoli e, soprattutto, nel
periodo successivo alle codificazioni ottocentesche.
Il modello della grande famiglia o famiglia patriarcale, quale aggregazione di soggetti
accomunati da una medesima discendenza, era, infatti, legato ad una organizzazione so-
ciale incentrata su attività economiche di tipo essenzialmente agricolo ed artigianale, nel
cui quadro il gruppo familiare finiva col rappresentare anche la fondamentale unità pro-
duttiva. Il gruppo medesimo era, poi, chiamato a svolgere non solo la funzione di alle-
vamento e di educazione delle nuove generazioni, ma anche funzioni – riservate, appun-
to, alla famiglia, in quanto all’epoca considerate estranee all’attività dell’organizzazione
pubblica – formative, assistenziali e previdenziali nei confronti dei suoi membri (e, in
particolare, di quelli più deboli, per età e condizioni fisiche) 6.
La complessità della struttura organizzativa familiare comportava, secondo una tra-
dizione legata all’esperienza riflessa negli ordinamenti dell’epoca, che la coesione del
gruppo – visto essenzialmente come luogo di trasmissione di un patrimonio – restasse
affidata all’autorità del capofamiglia: a vincoli di carattere gerarchico, cioè, più che affet-
tivo. Necessaria risultava, inoltre, una rigorosa ripartizione di ruoli, in particolare, tra le
componenti maschili e femminili del gruppo stesso.

3
La realizzazione dei relativi interessi nella famiglia, e non il perseguimento di un presunto interesse supe-
riore di essa, rappresenta, quindi, l’obiettivo avuto di mira dall’ordinamento. L’allusione alla “prevalenza co-
stante degli interessi familiari e sociali su quelli individuali” vale, invece, a definire il ben diverso atteggiamen-
to nei confronti del rapporto tra individuo e famiglia dominante al momento della redazione del codice civile
nella sua originaria formulazione (secondo quanto si legge nel preambolo della Relazione ad esso).
4
Pare opportuno fin d’ora sottolineare come la identificazione della “famiglia” con quella “fondata sul
matrimonio”, secondo la formula impiegata dall’art. 29 Cost., non possa ritenersi escludere dalla relativa
nozione – alla luce di una evoluzione della coscienza sociale che trova espressione, anche sul piano sopra-
nazionale, nell’art. 9 della Corta dir. fond. U.E. (V, 1.3) – le formazioni sociali cui lo stesso ordinamento
ha ormai riconosciuto analoga dignità ai fini della promozione della personalità nel rapporto affettivo di
coppia (v. infra).
5
Corte cost. 14-4-1969, n. 79, ha evidenziato come il carattere nucleare della famiglia presa in considera-
zione dalla Costituzione emerga, oltre che dal relativo art. 29, anche dall’art. 31, “dove la famiglia e i suoi
compiti sono quelli che derivano dal matrimonio”, nonché dall’art. 30, “che riconosce doveri e diritti dei ge-
nitori nei confronti dei figli”, con conseguente esclusione dal novero dei membri della “famiglia legittima”, di
cui al co. 3 della stessa norma, di ascendenti e collaterali.
6
L’adesione ad una simile concezione nel codice civile del 1865 emerge, ad es., dai poteri riconosciuti al
consiglio di famiglia (in cui erano presenti ascendenti, fratelli e zii: artt. 249 ss.), in ordine alle decisioni con-
cernenti gli interessi personali e patrimoniali dei minori privi dei genitori (e, come tali, sottoposti a tutela).
410 PARTE V – FAMIGLIA

Fenomeni tra loro collegati (destinati a farsi sempre più marcati tra il secolo XIX ed
il XX), come quelli della industrializzazione, della urbanizzazione e dell’inserimento an-
che della donna in attività produttive extradomestiche, hanno inciso profondamente sul-
la struttura e sulla vita del gruppo familiare, determinandone, appunto, quale manifesta-
zione più appariscente, la contrazione al nucleo composto da genitori e figli. La trasfor-
mazione degli assetti economico-sociali ha comportato pure la perdita, da parte della
famiglia, di molte delle sue, dianzi accennate, tradizionali funzioni, trasferite ad altri enti
pubblici e privati (con affidamento ad essi dei compiti di sicurezza sociale), risultando, in
conclusione, valorizzata, nell’esperienza familiare, essenzialmente la dimensione perso-
nale ed affettiva, che si esprime nella comunità di vita.
L’avere riguardo, in linea di principio, l’ordinamento vigente alla famiglia nucleare
(sia a livello costituzionale, sia nel codice civile, quando, ad es., l’art. 144 allude all’“in-
dirizzo della vita familiare” ed alla “residenza della famiglia”) non esclude, talvolta, l’al-
largamento della sfera soggettiva cui conferire rilevanza, in vista di una migliore tutela
degli interessi fondamentali dei suoi membri: ciò proprio per l’essere identificato il valo-
re dell’esperienza familiare nel relativo contributo allo sviluppo della loro personalità.
Da un tale punto di vista, se può sembrare oggi anacronistico il prendere in considera-
zione la parentela fino al sesto grado (mentre il codice civile del 1865 considerava, addi-
rittura, la parentela fino al decimo grado) con riguardo al fenomeno della successione
legittima (artt. 77 e 572), nella prospettiva della tutela del minore significativi risultano,
in particolare: il concorso degli ascendenti negli oneri di mantenimento, ove i genitori
non abbiano mezzi sufficienti (artt. 148 e 316 bis1); la possibilità riconosciuta ai parenti
di ricorrere al tribunale per l’assunzione di provvedimenti, nel caso di turbamento della
relazione tra genitori e figli (art. 336); l’importanza conferita ai rapporti del minore con
ascendenti e parenti in caso di separazione personale dei genitori (art. 337 ter1: la rile-
vanza dei “rapporti con gli ascendenti” è alla base anche del nuovo art. 317 bis1); il rilie-
vo accordato agli eventuali rapporti del minore con i parenti dalla legislazione in materia
di adozione (artt. 8 ss. L. 4.5.1983, n. 184).
La considerazione di peculiari interessi ritenuti meritevoli di tutela è alla base anche
della rilevanza riconosciuta ad una aggregazione più vasta, quando ricorre – in funzione
di quei fini produttivi che, come accennato, un tempo condizionavano la dimensione
della famiglia – l’esigenza di assicurare a coloro che lavorano nell’impresa familiare (artt.
230 bis e 230 ter) un’adeguata tutela economica e partecipativa 7. La valorizzazione del
legame di lealtà tra soggetti legati da parentela giustifica l’allargamento del concetto di
“prossimi congiunti”, con riguardo alle valutazioni della legge penale (art. 307 c.p.).
Mentre la solidarietà familiare, che è a fondamento della obbligazione degli alimenti (V,
1.7), vale ad includere tra gli obbligati anche taluni affini ed i fratelli (art. 433).
È evidente come resti estraneo a quanto sin qui illustrato circa la nozione giuridica di
famiglia il concetto, rilevante esclusivamente a fini pubblicistici di controllo della popo-
lazione residente nel territorio e statistici, di famiglia anagrafica, intesa (art. 4 D.P.R.

7
Quella che possiamo definire famiglia lavorativa viene presa in considerazione anche ai fini della nozione
di “piccoli imprenditori”, come coloro che esercitano un’attività economica “organizzata prevalentemente
con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia” (art. 2083). Una particolare nozione di famiglia è offer-
ta pure dall’art. 1023, in relazione ai diritti di uso e di abitazione (VI, 3.5).
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 411

30.5.1989, n. 223) quale “insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela,


affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora nello stesso
comune”: una simile unità – di significato, quindi, esclusivamente anagrafico e di con-
trollo della popolazione sul territorio – può anche “essere costituita da una sola persona”.
La “famiglia” che la Costituzione, all’art. 29, assume come modello è quella “fondata
sul matrimonio”, ossia la famiglia legittima (cui allude anche l’art. 303 Cost.). Ciò secon-
do quel tradizionale collegamento, appunto, tra famiglia e matrimonio, quale suo mo-
mento costitutivo, che relegava ai margini dell’ordinamento (se non, addirittura, fuori di
esso) la convivenza non matrimoniale e l’eventuale generazione di figli (significativamen-
te definiti illegittimi) ad opera di soggetti non legati dal vincolo del coniugio. Anche se
non senza resistenze – in considerazione del concreto atteggiarsi dei rapporti personali
nella società e in una prospettiva aperta alle relative dinamiche nel contesto sopranazio-
nale 8 – si è accreditato pure nel linguaggio giurisprudenziale (più che in quello legislati-
vo, in cui si tende a parlare di convivenza: ad es., art. 64 L. 4.5.1983, n. 184, in relazione
ai requisiti di coloro che aspirano a diventare genitori adottivi, nonché, da ultimo, già
nella sua intitolazione, la L. 20.5.2016, n. 76), l’impiego del termine famiglia e, in parti-
colare, l’espressione famiglia di fatto, per indicare il gruppo costituito, senza matrimonio,
dalla coppia e dai figli eventualmente procreati. Nucleo, questo, assunto anch’esso, nella
prospettiva dell’art. 2 Cost., quale “formazione sociale” e luogo di sviluppo della perso-
nalità dei suoi membri (V, 1.4), cui pure si ritiene che si riferiscano, quindi, le garanzie
previste per la famiglia in alcune norme costituzionali (artt. 31, 34, 36 e 37) 9.

3. La disciplina della famiglia: Costituzione, codice civile e altre fonti. – La disci-


plina dei rapporti familiari, a partire dal code civil francese del 1804 (I, 2.3), ha trovato la
sua collocazione elettiva nel codice civile (dovendosi, peraltro, ricordare come anche la
legislazione penale dedichi ampio spazio alla tutela dei rapporti familiari: “Dei delitti
contro la famiglia”, artt. 556 ss. c.p.).

8
Per l’affermazione, così, di una “nozione di famiglia … non limitata alla relazione basata sul matrimo-
nio”, nella prospettiva di una concezione estensiva della relazione di “vita familiare” (di cui all’art. 8 della
Convenzione del 4.11.1950, su cui infra, V, 1.3), tanto eterosessuale che omosessuale, v. Corte eur. dir. uomo
24-6-2010 e, sulla sua linea, Cass. 15-3-2012, n. 4184.
9
Si tende attualmente, per alludere ai delicati problemi che essa pone, a parlare di f a m i g l i a r i c o m p o -
s t a , con riferimento al fenomeno del nucleo formato da una coppia (coniugata o meno) e dai figli nati da
precedenti unioni di ciascuno dei relativi membri (oltre che, eventualmente, da quelli comuni): l’esigenza di
tenere in debito conto i rapporti che si instaurano al suo interno ne sollecita un’adeguata considerazione da
parte del legislatore (come già accaduto altrove, con particolare riguardo alla opportunità – in caso di disso-
luzione del nucleo familiare – della conservazione di relazioni personali significative per i minori). La giuri-
sprudenza, comunque, non manca di dimostrare sensibilità al fenomeno. Così, in materia risarcitoria (con
riguardo al c.d. “danno da perdita del rapporto parentale”: X, 2.4), si prende significativamente in considera-
zione – in caso di “intenso rapporto affettivo” – anche il legame “con i figli del coniuge o del convivente”
(Cass. 24-3-2021, n. 8218 e 11-11-2019, n. 28989). Con riferimento, poi, alle problematiche legate ai rapporti
col c.d. genitore sociale a seguito del venir meno della convivenza familiare, v. infra, V, 4.10. Il rappresentare
indubbiamente la famiglia bigenitoriale il modello di riferimento dell’ordinamento non deve indurre a trascura-
re – con la conseguente necessità di adattamento della disciplina che nei più diversi settori ha riguardo all’e-
sperienza familiare – la sempre maggiore diffusione, nella realtà sociale, del fenomeno costituito dalla famiglia
monogenitoriale, quale nucleo formato da un solo genitore con i suoi figli (nelle diverse situazioni in cui ciò
può verificarsi).
412 PARTE V – FAMIGLIA

Alla luce di quanto accennato nel paragrafo precedente, è da ritenere che la discipli-
na del code civil e quella del codice civile del 1865 rispecchiassero con coerenza il
modello familiare dell’epoca e, in particolare, quello della famiglia borghese, la cui eco-
nomia, del resto, in larga misura rappresentava il punto di riferimento dell’intera rego-
lamentazione dei rapporti privati.
Il codice civile del 1942 (ma è da ricordare come il relativo libro primo, intitolato
“Delle persone e della famiglia”, sia entrato in vigore già nel 1939), pur non mancando
di aperture innovative, delinea un modello familiare che, non a torto, è stato considerato
già sfasato, al tempo della redazione del codice, rispetto all’effettivo atteggiarsi dei rap-
porti familiari nella società (in particolare, per la mutata posizione in essa della donna).
Il modello familiare che emerge dal codice è quello ancora fondato su una struttura ge-
rarchica, tendente a far convergere nel marito (definito “capo della famiglia”: art. 143) po-
teri autoritari nei confronti della moglie (potestà maritale) e nei confronti dei figli (patria
potestà), nonché su una chiara ripartizione di ruoli tra i coniugi, che, nel riconoscere alla
moglie una funzione eminentemente domestica, in sostanza la emarginava, oltre che dal
governo della famiglia, nelle relazioni economiche del gruppo familiare verso l’esterno 10.
Restava, poi, in vista della perseguita tutela, anche economica, della famiglia legitti-
ma, un atteggiamento di marcato sfavore per la filiazione fuori del matrimonio (definita
senz’altro come illegittima). Ne derivavano, in particolare, l’irriconoscibilità dei figli
adulterini (art. 252), drastici limiti alla possibilità di accertamento giudiziale della pater-
nità (artt. 269 ss.) e una posizione deteriore dei figli illegittimi, non solo nei confronti dei
figli legittimi, ma, addirittura, nei confronti di altri parenti.
Per quanto concerne il sistema matrimoniale, nel codice civile risulta (pure attual-
mente) disciplinato il matrimonio civile, rinviandosi (art. 82) al Concordato con la Santa
Sede (11.2.1929), modificato con l’accordo del 18.2.1984, ed alla relativa legislazione
applicativa (legge matrimoniale: L. 27.5.1929, n. 847), per la disciplina del c.d. matrimo-
nio concordatario 11.
Una vera rottura col sistema di disciplina dei rapporti familiari, quale emergente dal
codice civile (nella sua originaria formulazione sin qui esaminata), è da ricollegare al-
l’avvento della Costituzione, entrata in vigore il giorno 1.1.1948. L’adeguamento ai re-
lativi principi in materia familiare è stato lento, probabilmente proprio per la vischiosità
indotta dalla presenza di una legislazione sistematica (quella, cioè, del codice civile) an-
cora molto recente. Così, in attesa di una riforma organica del diritto di famiglia (inter-
venuta solo nel 1975), il delicato compito di adeguare la disciplina vigente ai principi co-
stituzionali e all’evoluzione in atto della coscienza sociale è toccato, da una parte, ai nu-
merosi interventi della Corte costituzionale, dall’altra, ad un’opera di interpretazione
evolutiva della giurisprudenza ordinaria.

10
È da tenere presente che solo con la L. 17.7.1919, n. 1176, relativa alla “capacità giuridica della donna”,
furono abrogati quegli articoli del codice civile del 1865 (134 ss.), i quali ponevano la moglie addirittura in
una posizione di sostanziale incapacità, assoggettandola all’autorizzazione maritale per gli atti economicamen-
te più rilevanti (come donazioni ed alienazioni immobiliari).
11
La materia matrimoniale nei rapporti con le confessioni religiose diverse da quella cattolica (art. 83),
originariamente regolata dalla L. 24.6.1929, n. 1159, è attualmente disciplinata nel quadro delle numerose
intese che, ai sensi dell’art. 8 Cost., lo Stato ha via via stipulato con esse (a partire da quella con le Chiese
rappresentate nella Tavola valdese: L. 11.8.1984, n. 449).
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 413

Circa i principi costituzionali, destinati a guidare la successiva elaborazione della


nostra legislazione, l’art. 29, col proclamare nel suo primo comma che “la Repubblica
riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, valoriz-
za, innanzitutto, contro ogni possibile eccessiva invadenza dell’ordinamento, l’autonomia
della famiglia nella organizzazione della propria vita (in quanto, appunto, società natura-
le, proprio come tale riconosciuta) 12: autonomia che trova espressione, tra l’altro, nel di-
ritto dei genitori di educare i figli senza condizionamenti ideologici (autonomia educati-
va) 13. Il secondo comma dello stesso art. 29 Cost. fissa, poi, il principio della “eguaglian-
za morale e giuridica dei coniugi”, sia pure con “i limiti stabiliti dalla legge a garanzia
dell’unità familiare” 14.
L’art. 30 Cost., ponendo in posizione di evidente preminenza l’interesse del minore,
contempla unitariamente, sotto il profilo del “dovere e diritto dei genitori” di “mantene-
re, istruire ed educare i figli”, il rapporto di filiazione, indipendentemente dalla circo-
stanza che la generazione sia avvenuta nel o “fuori del matrimonio”. Inoltre, ai figli “nati
fuori del matrimonio” viene garantita “ogni tutela giuridica e sociale”, sia pure in quanto
“compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima” (per la cui ristretta nozio-
ne: V, 1.2).
Il sostegno alla famiglia, in particolare se numerosa, e la promozione della sua forma-
zione, in una con la protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù (art. 31
Cost.), completano il quadro costituzionale di riferimento della materia familiare 15 (che
deve essere apprezzato, ovviamente, tenendo sempre presente l’esigenza fondamentale,
valorizzata dall’art. 2 Cost., di assicurare, all’interno di ogni formazione sociale – e, quindi,
in primo luogo, della famiglia – condizioni idonee allo sviluppo della personalità di ciascu-
no dei membri: V, 1.1).
L’attuazione dei principi costituzionali, come accennato, ha richiesto tempi non bre-
vi. La tappa fondamentale è rappresentata, indubbiamente, dalla laboriosa riforma del
diritto di famiglia (L. 19.5.1975, n. 151), con la quale l’intero impianto codicistico
della disciplina dei rapporti familiari è stato (col meccanismo della novellazione, com-
portante la modificazione o, più spesso, la riscrittura integrale di gran parte delle dispo-
sizioni originarie) ridisegnato, appunto, nell’intento di adeguare il sistema della legge or-
dinaria ai principi costituzionali. Il diritto di famiglia vigente (qui oggetto di studio) tro-

12
La formula costituzionale ha stimolato la discussione circa la possibilità di riferire anche alla famiglia la
nozione di “personalità giuridica”, da intendere, comunque, in un peculiare senso esclusivamente morale.
13
Si ricordi, al riguardo, come, ai sensi dell’art. 147, nella sua originaria formulazione, “l’educazione e l’i-
struzione” dei figli dovessero “essere conformi ai principi della morale e al sentimento nazionale fascista”. Il
riferimento al “sentimento nazionale fascista” fu soppresso già col D.Lgs.Lgt. 14.9.1944, n. 287.
14
È da sottolineare come il significato di una simile formula, diffusamente ritenuta di carattere compro-
missorio, sia stato precisato in una prospettiva storico-evolutiva dalla stessa Corte costituzionale (13-7-1970,
n. 133), la quale si è orientata a non ravvisare in quello dell’unità familiare un valore necessariamente antiteti-
co rispetto all’affermazione della eguaglianza dei coniugi, evidenziando, anzi, che “è proprio l’eguaglianza che
garantisce quella unità e, viceversa, è la disuguaglianza a metterla in pericolo”. Significativamente, è proprio
ad una simile prospettiva ad essersi riferita Corte cost. 11-2-2021, n. 18, onde sollecitare un proprio nuovo inter-
vento in materia di disciplina dell’attribuzione del cognome, nonché la stessa Corte (Corte cost. 31-5-2022, n.
131) nella sua conseguente pronuncia (IV, 2.10).
15
La famiglia e le sue condizioni di vita risultano destinatarie di peculiare protezione anche negli artt. 344,
361 e 371 Cost. (in tema di diritto allo studio, di sufficienza della retribuzione e di lavoro femminile).
414 PARTE V – FAMIGLIA

va, dunque, in larga misura, la sua fonte principale nel codice civile, quale risultante dal-
la riforma in questione, nonché, in materia di filiazione, dalla L. 10.12.2012, n. 219 (e
dalla conseguente disciplina delegata, di cui al D.Lgs. 28.12.2013, n. 154).
Peraltro, la riforma è stata preceduta e seguita da altri importanti provvedimenti 16,
regolanti materie che si è ritenuto opportuno, per motivi di ordine diverso, lasciare al di
fuori del codice civile 17.
In primo luogo, è da ricordare la legislazione in tema di affidamento e di adozione dei
minori, a partire dalla L. 5.6.1967, n. 431, attraverso la riforma organica, di cui alla L.
4.5.1983, n. 184, fino alla relativa estesa revisione, che ha investito pure taluni articoli del
codice civile (in materia di potestà dei genitori), ad opera della L. 28.3.2001, n. 149 (la
materia dell’adozione internazionale essendo stata già toccata dalla L. 31.12.1998, n. 476
e talune significative modifiche risultando apportate, poi, dalla L. 19.10.2015, n. 173).
Importanza fondamentale assume, inoltre, la legislazione sul divorzio, con la legge intro-
duttiva (L. 1.12.1970, n. 898), prima oggetto di un limitato intervento con la L. 1.8.1978,
n. 436, successivamente di una revisione estesa, con la L. 6.3.1987, n. 74 e, infine, di un
nuovo intervento con la L. 6.5.2015, n. 55 (indubbia rilevanza, anche sistematica, assu-
mendo, in materia di separazione e divorzio, pure le novità procedurali introdotte dal
D.L. 11.9.2014, n. 132, quale convertito con la 10.11.2014, n. 162). Da ultimo, una svolta
in materia di disciplina dei rapporti familiari è stata operata con la L. 20.5.2016, n. 76,
concernente le “unioni civili tra persone dello stesso sesso” e le “convivenze”.
Nel codice civile sono state, invece, inserite disposizioni concernenti “misure contro
la violenza nelle relazioni familiari” (artt. 342 bis e ter, introdotti dalla L. 4.4.2001, n.
154: V, 1.8). Così pure la modificata disciplina concernente i provvedimenti relativi ai
figli in conseguenza del venir meno della convivenza familiare (L. 8.2.2006, n. 54, sui cui
contenuti il legislatore è ritornato nel nuovo contesto normativo di estesa revisione del-
l’intera materia della filiazione, ai sensi della L. 10.12.2012, n. 219, con la relativa disci-
plina delegata di cui la D.Lgs. 28.12.2013, n. 154). Col codice stesso interferisce la L.
19.2.2004, n. 40, in materia di procreazione medicalmente assistita (spec. artt. 8 e 9).
Si deve, infine, ricordare come l’esigenza di improntare a principi comuni le legisla-
zioni dei diversi paesi in materie attinenti alla famiglia – in aree omogenee o, addirittura,
a livello mondiale – abbia condotto, da una parte, nell’area europea 18, a talune previsioni

16
Complesso di provvedimenti da cui emerge, in un quadro coerente con i principi costituzionali e con la
riforma del 1975, l’immagine di una famiglia vista non più come struttura gerarchico-autoritaria e luogo di
trasmissione di patrimoni, ma come comunità di vita, il cui valore va ricercato sul piano dell’attitudine al po-
tenziamento della personalità dei suoi membri.
17
Pare opportuno ricordare come, a seguito di un lungo e animato dibattito (via via concretizzatosi, nel
tempo, anche in numerose iniziative di intervento legislativo), la marcata specificità della materia dei rapporti
personali e familiari, abbia convinto nel senso dell’opportunità, nel contesto di un’articolata legge di delega in
materia di processo civile (L. 26.11.2021, n. 206), di introdurre – con conseguente novellazione del codice di
procedura civile – apposite “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglia” (art. 123),
nonché, soprattutto, di procedere – attraverso la riorganizzazione del funzionamento e delle competenze del
tribunale per i minorenni – alla istituzione del “tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie”
(art. 124, con l’allusione alle “famiglie” dichiaratamente intendendosi, come emerge dal testo delle Proposte
normative e note illustrative del 24.5.2021, “dare evidenza alla molteplicità di modelli di famiglia presenti nel-
l’attuale contesto sociale”).
18
Sulla scia delle previsioni già contenute nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 415

della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (7-12-2000) (artt. 7, “Rispetto
della vita privata e della vita familiare”; 9, “Diritto di sposarsi e di costituire una fami-
glia”; 21, “Non discriminazione”; 23, “Parità tra uomini e donne”; 24, “Diritti del mino-
re”; 33, “Vita familiare e vita professionale”) 19; dall’altra, a numerose convenzioni inter-
nazionali, come quelle sui diritti del fanciullo (New York, 20-11-1989, ratificata con L.
27.5.1991, n. 176; Strasburgo, 25-1-1996, ratificata con L. 20.3.2003, n. 77), in tema di
adozione (v., in particolare, Strasburgo, 24-4-1967, ratificata con L. 22.5.1974, n. 357, e
L’Aja, 29-5-1993, ratificata con L. 31.12.1998, n. 476), nonché in tema di riconoscimen-
to di divorzi e separazioni personali pronunciate all’estero (L’Aja, 1-6-1970, ratificata
con L. 10.6. 1985, n. 301).

4. Convivenza, famiglia di fatto e unioni registrate. – La valorizzazione, nella fa-


miglia, dell’esperienza di vita nella sua effettività e della continuità della relazione affetti-
va ha determinato un profondo mutamento di atteggiamento nei confronti del fenomeno
della convivenza fuori del matrimonio. La considerazione dei valori personali che la con-
vivenza non matrimoniale è indiscutibilmente atta a realizzare ne ha propiziato, così, l’in-
quadramento, anche da parte della giurisprudenza costituzionale, tra le “formazioni so-
ciali ove si svolge la personalità” dell’uomo, di cui all’art. 2 Cost. 20.
Notevoli, comunque, sono rimasti i contrasti circa l’atteggiamento che l’ordinamento
dovrebbe assumere nei suoi confronti, oscillandosi tra l’auspicio di un intervento legisla-
tivo (più o meno) organico e la tendenza a ritenere appagante una disciplina da ricostrui-
re in via interpretativa, muovendo da quella dettata in materia matrimoniale (eviden-
temente con largo ricorso all’analogia), ovvero frutto di una autoregolamentazione da
parte degli stessi diretti interessati.

libertà fondamentali (Roma, 4-11-1950, ratificata con L. 4.8.1955, n. 848), in particolare agli artt. 8 (“Diritto
al rispetto della vita privata e familiare”) e 12 (“Diritto al matrimonio”), 14 (“Divieto di discriminazione”).
19
Sono anche in corso studi in vista dell’eventuale elaborazione di un diritto di famiglia europeo uniforme.
Approdo – al di là di quanto pare effettivamente imposto dall’indubbia esigenza di una armonizzazione dei
principi di fondo – forse neppure del tutto auspicabile, dato il sacrificio che esso correrebbe il rischio di
comportare per quella diversità di tradizioni culturali, etiche e religiose, la quale rappresenta, proprio in una
materia come la disciplina della famiglia, una ricchezza per una unione di popoli che non voglia correre il ri-
schio di essere avvertita quale forzosa omologazione. Già non mancano, comunque, raccomandazioni del Par-
lamento europeo e importanti regolamenti, come quelli (adottati nel quadro della cooperazione giudiziaria in
materia civile tra i paesi membri, ai sensi dell’art. 81 TFUE) 27.11.2003, n. 2201 e 25.6.2019, n. 2019/1111, in
tema di competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di re-
sponsabilità genitoriale, oltre che di sottrazione di minori, nonché 20.12.2010, n. 1259/2010, in tema di legge
applicabile al divorzio e alla separazione personale, e 24.6.2016, nn. 1103 e 1104, in tema di competenza, leg-
ge applicabile, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia, rispettivamente, di regimi patrimonia-
li tra coniugi e di effetti patrimoniali delle unioni registrate.
20
Tale da tempo corrente – tanto nella giurisprudenza costituzionale (e v., ad es., Corte cost. 16-1-1996,
n. 8), quanto in quella ordinaria – prospettiva è data per scontata da Corte cost. 15-4-2010, n. 138 (la cui im-
postazione è stata fatta successivamente propria da Corte cost. 11-6-2014, n. 170), la quale, sulla base del-
l’accolta nozione di formazione sociale (come “ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a con-
sentire o favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del
modello pluralistico”), ritiene che in essa sia “da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile
convivenza di due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una con-
dizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuri-
dico con i connessi diritti e doveri”.
416 PARTE V – FAMIGLIA

Anche a prescindere dal diffuso rilievo dell’intrinseca contraddittorietà della esten-


sione di vincoli di tipo coniugale a chi, consapevolmente, non abbia voluto far propri gli
affidamenti socialmente garantiti col matrimonio 21, permane il dubbio di fondo se la isti-
tuzionalizzazione di una famiglia di serie inferiore (di “serie B”, come è stato detto) rap-
presenti realmente un arricchimento della dignità degli interessati. Del resto, la difficoltà
di qualsiasi tentativo di considerazione unitaria del fenomeno, ai fini di un eventuale in-
tervento legislativo (in vista del quale innumerevoli sono state le proposte avanzate nelle
ultime legislature, fino all’espresso intervento legislativo in materia, con la L. 20.5.2016,
n. 76), deriva dal suo carattere polimorfo, data la varietà delle situazioni che esso tende a
comprendere, essenzialmente accomunate dal solo dato negativo dell’assenza di matri-
monio tra i conviventi.
Chiarita la diversità della situazione di convivenza rispetto a quella conseguente al
matrimonio, soprattutto alla luce della garanzia costituzionale che, ai sensi dell’art. 29
Cost., sostiene nel nostro ordinamento il matrimonio 22, la giurisprudenza si è sforzata di
precisare i tratti distintivi della convivenza cui riconnettere eventuali conseguenze giuri-
diche, in modo da distinguerla, appunto quale famiglia di fatto, dal semplice rappor-
to occasionale. Il carattere ritenuto decisivo è, ovviamente, quello della stabilità 23 e non
si è mancato, in passato, pure di alludere, onde considerare giuridicamente rilevante la
convivenza, al dover essa risultare instaurata tra due soggetti di sesso diverso 24.

21
Proprio sul fatto che le parti “nel preferire un rapporto di fatto hanno dimostrato di non voler assumere i
diritti e i doveri nascenti dal matrimonio”, Corte cost. 13-5-1998, n. 166, fa leva per negare la possibilità di
estendere ai conviventi (eventualmente attraverso lo strumento dell’analogia) la disciplina dettata in materia ma-
trimoniale, concludendo che se “la convivenza more uxorio rappresenta l’espressione di una scelta di libertà dalle
regole che il legislatore ha sancito in dipendenza del matrimonio … l’estensione automatica di queste regole alla
famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti”.
22
Nell’intento di riassumere la propria posizione, Corte cost. 8/1996 ha sottolineato che qualsiasi tentati-
vo di equiparazione tra le due situazioni “non corrisponde alla visione fatta propria dalla Costituzione”, do-
vendosi ricondurre il “consolidato rapporto di convivenza” alla protezione offerta dall’art. 2 Cost. e la pecu-
liare garanzia dell’art. 29 Cost. essendo da riservare, invece, al solo rapporto coniugale, in quanto istituzio-
nalmente caratterizzato da “stabilità e certezza e dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri” (mentre
la convivenza di fatto resta “fondata sull’affectio quotidiana, liberamente e in ogni istante revocabile”) (e v.
anche, ad es., Corte cost. 11-6-2003, n. 204 e Corte cost. 8-5-2009, n. 140).
23
Solo tale carattere, infatti, come evidenzia già Cass. 4-4-1998, n. 3503, “può conferire un sufficiente
grado di certezza alla vicenda fattuale, tale da renderla rilevante sotto il profilo giuridico”. Una definizione dei
caratteri della famiglia di fatto – come “portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della
personalità di ogni componente, e di educazione e istruzione dei figli” – tenta, in particolare, Cass. 3-4-2015, n.
6855 (sulla scia di Cass. 11-8-2011, n. 17195), riferendosi ad una situazione in cui la “convivenza assuma i
connotati di stabilità e continuità, e i conviventi elaborino un progetto ed un modello di vita comune (analo-
go a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio)”. La ricorrenza di una “famiglia di
fatto”, nella complessità del rapporto di vita che deve ritenersi contraddistinguerne la sussistenza, viene po-
stulata anche ai fini della rilevanza, dal punto di vista del risarcimento del danno non patrimoniale, del “rap-
porto affettivo tra il figlio del partner e il compagno del suo genitore” (Cass. 21-4-2016, n. 8037).
24
Alla “convivenza di due soggetti di sesso diverso al di fuori del matrimonio” si riferiva, ad es., Cass.
28-3-1994, n. 2988, in tema di risarcibilità del danno conseguente all’uccisione del convivente. Peraltro, la
prospettiva posta a base dell’accennata distinzione risulta ormai radicalmente superata da Corte cost. 138/2010,
seguita da Corte cost. 170/2014, sotto tale profilo esaminate e valorizzate da Cass. 15-3-2012, n. 4184, nonché
da Cass. 9-2-2015, n. 2400, dove si allude ad un “processo di costituzionalizzazione delle unioni tra persone
dello stesso sesso” nella direzione della “riconducibilità di tali relazioni nell’alveo delle formazioni sociali di-
rette allo sviluppo, in forma primaria, della personalità umana”.
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 417

Nei tempi più recenti, in effetti, sulla problematica della rilevanza giuridica della fami-
glia di fatto si è innestata quella del riconoscimento delle unioni omosessuali, renden-
do ancora più complessa l’eventuale definizione di un quadro normativo atto a soddisfare,
contestualmente, le esigenze dei conviventi eterosessuali e la realtà di tali ultime unio-
ni. Non può sfuggire, al riguardo, come dai partners omosessuali non sia stato persegui-
to quello statuto minimo della convivenza, eventualmente compatibile con la scelta della
coppia eterosessuale in senso contrario all’assunzione degli obblighi matrimoniali, bensì
proprio una situazione il più possibile simile a quella derivante dal matrimonio (in quanto
ad essi precluso), programmaticamente rifuggita, invece, dai conviventi eterosessuali.
I diversi ordinamenti, non a caso, hanno percorso vie differenti, pur nella comune
prospettiva di una possibile formalizzazione della convivenza, in vista del riconoscimen-
to di conseguenze giuridicamente rilevanti per le relative parti. Così, mentre in Francia si
è optato per una disciplina unitaria delle convivenze registrate 25, eterosessuali od omo-
sessuali che siano, con la loi 99-944 del 15.11.1999 (e successive modifiche) sul pacte civil
de solidarité (approdando, infine, con la loi 2013-404 del 17.5.2013 e la modificazione
dell’art. 143 code civil, all’ammissione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma
lasciando comunque in vigore la disciplina del PACS, come modello di unione registrata
di contenuti più limitati) 26, in Germania si è preferito, prendendo atto della diversità delle
problematiche, intervenire solo con riferimento alle unioni omosessuali, con la L. 16.2.2001,
sulla Lebenspartnerschaft (con successive modifiche, entrate in vigore l’1.1.2005, tenden-
ti, peraltro, anche a seguito di interventi del Bundesverfassungsgericht, ad una sostan-
ziale equiparazione della posizione delle parti a quella dei coniugi, con l’apertura, infine,
del matrimonio anche alle persone dello stesso sesso, con la L. 20.7.2017, Eheöffnungs-
Gesetz, e la conseguente modificazione del § 1353 BGB). Crescentemente diffusa, poi, si
presenta la previsione – in diversi paesi, tra cui, oltre quelli nordeuropei, indicativamen-
te, Olanda, Belgio, Spagna, Portogallo, Austria e, come accennato, Francia e Germania –
dell’apertura alle coppie omosessuali del medesimo istituto matrimoniale (sia pure, tal-
volta, con talune circoscritte limitazioni di effetti), quale esito finale dell’intento di non
discriminare i cittadini sulla base delle relative tendenze sessuali 27. Lo stesso discusso
art. 9 Carta dir. fond. U.E., del resto, distingue il “diritto di sposarsi” da quello di “costi-
tuire una famiglia”, evidentemente intendendo rispecchiare le articolate esperienze dei

25
Non mancandosi, comunque, di definire, ai fini delle relative eventuali conseguenze giuridiche, i carat-
teri del concubinage quale union de fait (art. 515-8 code civil).
26
Con la loi 2016-1547 del 18.12.2016 la competenza a raccogliere la dichiarazione degli interessati è stata
attribuita all’ufficiale dello stato civile.
27
Ci si richiama correntemente, al riguardo, al divieto di “qualsiasi discriminazione fondata” anche sul-
l’“orientamento sessuale” (art. 21 Carta dir. fond. U.E.), la Corte eur. dir. uomo, da parte sua, avendo energica-
mente chiarito come pure la convivenza fra persone dello stesso sesso costituisca “vita familiare”, meritevole di
riconoscimento giuridico e tutela (24-6-2010, ampiamente ricordata, nel quadro della propria cospicua giuri-
sprudenza in materia, nella sentenza del 21-7-2015, in una prospettiva accolta anche da Cass. 4148/2012, che
ritiene, appunto, i conviventi dello stesso sesso “titolari del diritto alla vita familiare”). La Corte Suprema degli
Stati Uniti (26-6-2015), “ai sensi delle clausole del giusto processo e dell’eguale protezione del XIV Emendamen-
to” della Costituzione, ha concluso che, costituendo “il diritto al matrimonio un diritto fondamentale insito nella
libertà della persona … le coppie del medesimo sesso non possono essere private di quel diritto e di quella liber-
tà”, dovendo potere, quindi, per non “svilire le loro scelte e diminuire la loro personalità”, “esercitare il diritto
fondamentale al matrimonio” (proprio in quanto istituto considerato “fondamento del nostro ordine sociale”).
418 PARTE V – FAMIGLIA

diversi paesi membri e rinviando, comunque, alle legislazioni nazionali la scelta del mo-
dello di disciplina da attuare (sempre, comunque, nel rispetto dei diritti fondamentali
degli interessati) 28.
Nel quadro di un pur indubbiamente crescente riconoscimento di rilevanza giuridica
della convivenza, il nostro legislatore e la giurisprudenza hanno continuato – e, forse,
non a torto, alla luce di quanto dianzi accennato circa la complessità della materia e la
conseguente difficoltà di definire una disciplina atta a fornire un soddisfacente riscontro
alle diverse istanze – a muoversi con cautela 29, limitandosi ad offrire risposta a singole
questioni, la cui soluzione non è stata tanto dedotta, quindi, da scelte generali e di prin-
cipio, quanto ricercata, piuttosto, nella valorizzazione di interessi ed esigenze di tutela
peculiari ad ogni specifico rapporto considerato, in dipendenza del relativo carattere
fondamentale per la persona 30.

28
Per la valorizzazione di un simile “rinvio alle leggi nazionali”, con conseguente “discrezionalità del Par-
lamento”, così da escludere che la citata norma imponga senz’altro “la concessione dello status matrimoniale
a unioni tra persone dello stesso sesso” ed una “piena equiparazione alle unioni omosessuali delle regole pre-
viste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna” (pur confermandosi, come dianzi accennato, per l’unione
omosessuale il carattere di “formazione sociale”, ai sensi dell’art. 2 Cost., e rappresentandosi con chiarezza
l’esigenza di “individuare”, da parte del “Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità”, “le forme
di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette”), v. Corte cost. 138/2010 e Corte cost. 170/2014 (che
ritiene il legislatore, comunque, “chiamato ad assolvere con la massima sollecitudine” il suo compito di inter-
venire in materia) (cfr. anche V, 2.4). È da ricordare come taluni statuti regionali, anticipando il legislatore na-
zionale, abbiano contemplato tra le finalità prioritarie da perseguire “il riconoscimento delle altre forme di con-
vivenza”, pure omosessuali (così, ad es., art. 4, lett. f, Statuto reg. Toscana del 2004). La questione di legittimi-
tà costituzionale della statuizione, sollevata dal governo proprio in considerazione della sua comprensività, è
stata giudicata inammissibile da Corte cost. 2-12-2004, n. 372 (e v. anche Corte cost. 6-12-2004, n. 378, in rela-
zione ad analoga previsione dello Statuto reg. Umbria), sulla base del “carattere non prescrittivo e non vincolan-
te delle enunciazioni statutarie di questo tipo”, aventi solo “una funzione, per così dire, di natura culturale o an-
che politica, ma certo non normativa”.
29
Cautela, peraltro, evidentemente non più giustificabile dopo i ricordati interventi della Corte costitu-
zionale (n. 138/2010 e n. 170/2014), nonché, soprattutto, della Corte eur. dir. uomo (21-7-2015), che ha re-
putato senz’altro contrario all’art. 8 CEDU il ritardo del legislatore italiano nell’intervenire a por fine all’at-
tuale “stato di incertezza”, sulla base del principio per cui “le coppie omosessuali necessitano di riconosci-
mento giuridico e tutela della loro relazione”, senza alcun “margine di discrezionalità” – neppure temporale –
almeno con riguardo alla sfera dei “diritti fondamentali”.
30
Nel confermare la competenza del legislatore, al fine di “individuare le forme di garanzia e di riconosci-
mento per le unioni suddette” (riferendosi a quelle omosessuali, ma nella prospettiva più generale di tutela delle
stabili convivenze), Corte cost. 138/2010 ha ritenuto, in effetti, comunque “riservata alla Corte costituzionale la
possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni”. Circa le numerose iniziative parlamentari di disciplina
della materia, pare qui il caso di limitarsi a quella che ha avuto maggiore risonanza (e che non ha mancato di ave-
re una rilevante influenza sulla parte della L. 76/2016 dedicata alle “convivenze”): si tratta del D.D.L. n. 1339
(Senato, XV legislatura), intitolato ai “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi” (conosciuto con
l’acronimo “DICO”), fondato sulla valorizzazione della convivenza, anche tra persone dello stesso sesso (quale
emergente, in particolare, dalle risultanze anagrafiche, ai sensi dell’art. 4 D.P.R. 223/1989: c.d. famiglia anagrafi-
ca, V, 1.2). La indifferibilità dell’intervento legislativo, a seguito delle ricordate prese di posizione della Corte
costituzionale e della Corte eur. dir. uomo, ha propiziato, nella XVII legislatura, iniziative tendenti alla formaliz-
zazione (e conseguente disciplina) delle unioni di sesso diverso o uguale (sul modello francese dei “PACS”,
DD.DD.LL. nn. 2069 e 2084, Senato), ovvero, secondo il modello tedesco, solo dello stesso sesso (ma con una
parte dedicata alla disciplina del rapporto di convivenza), con il D.D.L. n. 2081, su cui ha finito per essere con-
centrata la discussione, in vista dell’esame in aula. Tale ultimo testo si componeva di due capi, rispettivamente
intitolati “Delle unioni civili” e “Della disciplina della convivenza”. Come risultato di complesse mediazioni di
carattere ideologico-politico, esso è stato, infine, in una confusa sequenza di commi di un unico articolo, appro-
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 419

Ad esito di un acceso dibattito, il legislatore si è deciso ad intervenire con la L.


20.5.2016, n. 76, con la quale, come emerge dalla sua stessa intitolazione (“Regolamenta-
zione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”), da
una parte, si è inteso accogliere i ricordati, sempre più pressanti richiami, della Corte co-
stituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, nella direzione del necessario ri-
conoscimento di un adeguato statuto alle coppie di persone dello stesso sesso; dall’altra, si
è conferito esplicito riconoscimento al rapporto di mera convivenza (sia pure, come si
vedrà, qualificato da peculiari requisiti), dettando anche una specifica disciplina del con-
tratto di convivenza.
La scelta, dunque, è stata, in primo luogo, nel senso di non estendere alle coppie di per-
sone dello stesso sesso l’istituto matrimoniale, consentendo loro di contrarre una “unione
civile”, la quale, peraltro, risulta in larga misura rispecchiare la disciplina del matrimonio,
attraverso la riproduzione (o il richiamo) delle relative regole (art. 12-35). Conseguentemen-
te, pare più rispondente alla regolamentazione di tale (nuovo) istituto – ed all’esigenza di
comprenderne il (delicato e controverso) rapporto con il matrimonio – dedicare ad esso
una specifica trattazione nel capitolo dedicato, appunto, al matrimonio (V, 2.15-17).
La seconda parte della L. 76/2016 concerne, come accennato, la disciplina della con-
vivenza (di coppia eterosessuale o omosessuale) (art. 136-49, 65), nonché del contratto di
convivenza (art. 150-64). A differenza della prima, la cui definizione si è visto essere stata
ormai sostanzialmente imposta con urgenza al legislatore, si tratta di un corpo normati-
vo, l’opportunità della cui adozione è stata oggetto di pareri contrastanti (e diffusamente
negativi, soprattutto dato il relativo carente approfondimento in sede parlamentare e la
mancanza di una reale urgenza di intervenire legislativamente al riguardo, una volta di-
sciplinata l’unione civile tra persone dello stesso sesso).
La regolamentazione introdotta – unanimemente identificata in termini di disciplina,
per così dire, “leggera” della materia – si presenta ampiamente riproduttiva di pregressi
approdi legislativi e giurisprudenziali sulle singole questioni, ma muove da una definizio-
ne, nell’art. 136 (anche a voler tacere del peso da riconoscere alla prescrizione della formali-
tà anagrafica, di cui all’art. 137), di “conviventi di fatto” indubbiamente restrittiva, così da
avere immediatamente indotto la generalità degli interpreti a porsi come inevitabile la que-
stione del trattamento da riservare – in quanto “formazioni sociali” pur sempre permeate
da intima interdipendenza esistenziale e conseguente intensa solidarietà – a quelle “convi-
venze” risultanti, sotto qualche profilo, estranee alla fattispecie di “convivenza”, per così
dire, “formalizzata” dal legislatore (per la quale, quindi, non sembra neppure più attagliar-
si la qualificazione “di fatto”). Ciò, in particolare, di fronte alle accennate numerose prece-
denti previsioni normative e prese di posizione giurisprudenziali venutesi a stratificare in
materia, con riguardo alle quali – ma l’interrogativo concerne, invero, anche l’applicabilità
di talune previsioni nuove (o quasi) della legge in questione, nonché di future disposizioni
che non facciano esplicito riferimento all’accennata definizione legislativa di “convivenza”
– risulta, non a caso, opinione prevalente la relativa persistente operatività pur in assenza
di taluni dei requisiti ora legislativamente enunciati 31.

vato dal Senato il 25.2.2016: trasmesso alla Camera dei deputati come P.D.L. n. 3634, il testo è stato approvato –
senza alcuna delle modificazioni pure unanimemente reputate necessarie (anche solo sotto il profilo strettamente
tecnico-giuridico) – l’11.5.2016 con il meccanismo della fiducia parlamentare, diventando la L. 20.5.2016, n. 76.
31
Con questo, evidentemente, sembrando chiaro come dovrebbe (o, ormai, avrebbe dovuto) costituire
420 PARTE V – FAMIGLIA

In questa fase di transizione, pare, allora, senz’altro preferibile – in attesa del formarsi
di affidabili indirizzi interpretativi – procedere ad una trattazione del tema della rilevan-
za giuridica della “convivenza”, facendo prima cenno a quanto sin qui è risultato costi-
tuire “diritto vivente” in materia (a seguito degli interventi legislativi e giurisprudenziali
succedutisi nel tempo), per procedere, poi, al sintetico esame della disciplina ora dettata
nel contesto della L. 76/2016.
a) Iniziando dagli interventi legislativi, anche alle coppie conviventi, così, ma solo se
di sesso diverso, è stato consentito l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assi-
stita (art. 5 L. 19.2.2004, n. 40) e la convivenza prematrimoniale (evidentemente, quindi,
tra soggetti di sesso diverso) è stata presa in considerazione, al fine di ammettere al-
l’adozione i coniugi che, appunto, “abbiano convissuto in modo stabile e continuativo
prima del matrimonio per un periodo di tre anni” (art. 64 L. 4.5.1983, n. 184, quale no-
vellato dalla L. 28.3.2001, n. 149).
Il “convivente more uxorio” può opporsi al prelievo di organi (artt. 32 e 232 L.
1.4.1999, n. 91). La stabile convivenza consente, a seguito della L. 9.1.2004, n. 6 (che ha
corrispondentemente modificato l’art. 417), la promozione delle procedure finalizzate
alla amministrazione di sostegno, alla interdizione e alla inabilitazione (per la scelta del-
l’amministratore di sostegno, del tutore e del curatore, v. analogamente gli artt. 408 e
424). Sul rispetto di evidenti vincoli di lealtà si fonda, poi, la estensione della facoltà di
astensione dalla testimonianza a chi “pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale
conviva o abbia convissuto con esso” (art. 199 c.p.p.). Ancora più comprensiva risulta la
previsione degli artt. 342 bis e ter, in tema di ordini di protezione contro gli abusi familia-
ri, ai sensi della L. 4.4.2001, n. 154, che allude alla “condotta del coniuge o di altro con-
vivente” 32. Del resto, anche la recente disciplina in tema di “consenso informato” non
manca di contemplare (semplicemente) “il convivente” tra i soggetti (eventualmente) da
coinvolgere nella “relazione di cura” (art. 12 L. 22.12.2017, n. 219).
Se anche alla famiglia di fatto sono da ritenere riferibili le garanzie che gli artt. 31, 34,
36 e 37 Cost. apprestano alla vita familiare (dal punto di vista, rispettivamente, della
formazione della famiglia, delle provvidenze per rendere effettivo il diritto allo studio,
della sufficienza della retribuzione e della posizione della donna lavoratrice), giustificate
si presentano le previsioni tendenti ad estendere anche alle convivenze non matrimoniali

oggetto di adeguatamente attenta riflessione la pretesa stessa di pervenire ad una nozione unitaria di “convi-
venza”, valevole per gestire le innumerevoli problematiche giuridiche che possano coinvolgere la relazione
affettivo-solidaristico (per le più diverse circostanze e motivazioni personali) non formalizzata: solo un’ac-
cezione differenziata di essa, adeguatamente (e sensibilmente) attenta alla concreta natura degli interessi e dei
valori personali di volta in volta in gioco sembrerebbe, in effetti, maggiormente rispondente all’intrinseca na-
tura del fenomeno (la via, ora battuta da noi, di una definizione di portata generale in via legislativa presen-
tandosi, di conseguenza, come sicuramente la meno idonea – in una società notoriamente refrattaria, quale
quella attuale, all’accettazione della imposizione di modelli in materia personale e familiare – a dar conto del-
la possibile relativa polimorfa caratterizzazione, soggettiva ed oggettiva, nella realtà sociale).
32
Le indicazioni del testo non sono, ovviamente, esaustive. Così, ad es., l’art. 42 L. 20.10.1990, n. 302, tra gli
aventi diritto all’elargizione prevista per i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata,
annovera anche i conviventi more uxorio (analogamente l’art. 81 L. 23.2.1999, n. 44, in materia di vittime di ri-
chieste estorsive e di usura, nonché l’art. 1460 L. 28.12.2015, n. 208, ai fini della spettanza dell’indennizzo a favore
dei familiari delle vittime dell’alluvione di Sarno del 1998). Come nei casi accennati nel testo, in mancanza di una
esplicita precisazione legislativa circa la necessaria diversità di sesso, si pone la questione – che comunque si tende,
ormai, a risolvere in senso positivo – della rilevanza anche di convivenze omosessuali.
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 421

forme di tutela (statali, regionali o comunali) nel campo dell’accesso all’abitazione ed in


quello assistenziale, soprattutto quando gli interessi in gioco finiscano con l’essere, in so-
stanza, quelli dei figli 33.
La disciplina del fenomeno della convivenza non matrimoniale è restata, a lungo, affi-
data, al di fuori degli specifici interventi legislativi, all’opera della giurisprudenza, costi-
tuzionale ed ordinaria, spesso chiamata a confrontarsi con esso. Ciò tanto nei rapporti
dei conviventi nei confronti dei terzi, quanto in quelli reciproci.
Dal primo punto di vista, in particolare, la rilevanza della convivenza è stata ricono-
sciuta sia ai fini della successione del convivente nel contratto di locazione stipulato dal-
l’altro, nel caso di morte di quest’ultimo o di cessazione della convivenza (almeno in caso
di esistenza di prole) 34, sia per accordare al convivente il risarcimento del danno, patri-
moniale e non patrimoniale, nel caso di uccisione, da parte di un terzo, del partner (mu-

33
In proposito, pare opportuno puntualizzare come la problematica concernente la rilevanza giuridica
della famiglia di fatto non debba andare confusa – nonostante la relativa indubbia connessione – con il rilievo
da accordare, fuori del matrimonio, al rapporto di filiazione: si tratta, in effetti, di una problematica specifica
che, con maggiore precisione, è da identificare in termini di riconoscimento della f a m i g l i a n a t u r a l e . L’or-
dinamento si limita, infatti, a regolare (già nel contesto della riforma del 1975 con l’art. 317 bis2 e, ora, nel
quadro della unitarietà di disciplina del rapporto di filiazione, a seguito della L. 219/2012) l’adempimento
degli obblighi nei confronti dei figli nati fuori del matrimonio, adattandolo alle circostanze concrete, tra cui,
ovviamente, non può essere trascurata – come, del resto, nel caso di filiazione matrimoniale – la convivenza
eventualmente in atto tra i genitori. Una simile prospettiva – facente leva sulla pari dignità del rapporto di
filiazione indipendentemente dalla “natura del vincolo che lega i genitori” – risulta con chiarezza sviluppata,
ad es., da Corte cost. 13-5-1998, n. 166, al fine di assicurare ai figli la permanenza nell’abitazione dove si svol-
geva la vita domestica, in caso di dissoluzione della convivenza di fatto, senza dovere ricorrere all’appli-
cazione, in via analogica, della disciplina dettata con riguardo alla separazione ed al divorzio (e v. anche Corte
cost. 21-10-2005, n. 394). In proposito, è da ricordare come una disciplina unitaria dell’assegnazione della
casa familiare si sia inteso introdurre con l’art. 155 quater1 (ora art. 337 sexies), proprio in quanto incentrata
sul carattere prioritario dell’interesse dei figli (al pari di tutta la nuova regolamentazione dell’affidamento dei
figli stessi in caso di crisi familiare, applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati)
(V, 4.10-11).
34
Una tale rilevanza è stata da Corte cost. 7-4-1988, n. 404, significativamente fondata sul carattere di
essenzialità dell’abitazione e sul valore in genere accordato dal legislatore, onde assicurarne la stabilità ad
estese categorie di soggetti (con l’art. 6 L. 27.7.1978, n. 392, che si riferisce indistintamente ai parenti, agli
affini e anche agli eredi, pur se estranei), al fatto, di per se stesso considerato, della convivenza abituale col
conduttore dell’immobile. Corte cost., ord. 11-6-2003, n. 204 (confermata da Corte cost., ord. 14-1-2010,
n. 7), ha negato, invece, l’equiparabilità della situazione del convivente a quella del coniuge in relazione
alla successione nel contratto di locazione in caso di cessazione della convivenza in mancanza di prole (sul
punto assumendo rilievo, allora, la nuova disciplina di cui all’art. 144). La “convivente per un lasso di tem-
po non trascurabile del comodatario”, in quanto “codetentrice dell’appartamento destinato ad abitazio-
ne”, è stata ammessa, “quale detentrice qualificata”, ad esercitare l’azione di spoglio nei confronti del co-
modante (fratello del convivente) (Cass. 2-1-2014, n. 7). Ciò nella prospettiva secondo cui “il convivente
gode della casa familiare, di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfare un interesse pro-
prio, oltre che della coppia”, venendosi a trovare, nel contesto di una “unione libera che tuttavia abbia
assunto – per durata, stabilità, esclusività e contribuzione – i caratteri di comunità familiare”, in una situa-
zione ben diversa da “quella di un ospite” e “riconducibile alla detenzione autonoma”, che lo legittima,
quindi, all’azione di spoglio (Cass. 21-3-2013, n. 7214, nonché 15-9-2014, n. 19423, che parla di “una de-
tenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare”, alludendo al “negozio a con-
tenuto personale alla base della scelta di vivere insieme e di instaurare un consorzio familiare”; v. anche
Cass. 27-4-2017, n. 10377 e 11-9-2015, n. 17971, secondo la quale, comunque, la situazione di detenzione
in questione “viene meno con la cessazione della famiglia per decesso del convivente”). Peraltro, viene ne-
gata, sulla base della convivenza, una situazione “qualificabile possesso” (Cass. 18-10-2016, n. 21023).
422 PARTE V – FAMIGLIA

tando un precedente prevalentemente contrario orientamento giurisprudenziale, anche


come espressione della recente tendenza nel senso dell’abbandono di più rigide conce-
zioni tradizionali in tema di ingiustizia del danno) 35.
Sotto il profilo dei rapporti tra conviventi, dal carattere di dovere morale e sociale re-
putato proprio dell’impegno di assistenza reciproca tra i conviventi more uxorio, si è de-
dotta l’applicabilità del regime delle obbligazioni naturali (art. 2034) – con conseguente
irripetibilità di quanto spontaneamente prestato – alle contribuzioni da ciascuno di essi
effettuate per soddisfare le esigenze del ménage familiare 36.
La diversità delle rispettive situazioni del convivente e del coniuge, costantemente

35
Cass. 2988/1994 (alla cui impostazione di fondo si richiama, più di recente, ad es., Cass. 16-9-2008, n.
23725), ha rilevato che, quanto al danno morale, “non può esservi dubbio che anche la perdita del convi-
vente more uxorio determina nell’altro una particolare sofferenza, un patema analogo a quello che si inge-
nera nell’ambito della famiglia”; quanto al danno patrimoniale, è determinante “la prova del contributo
patrimoniale e personale apportato in vita, con carattere di stabilità, dal convivente e che è venuto a man-
care in conseguenza della sua morte”. Ciò ove la “convivenza di due soggetti” – la Corte precisa (ancora)
“di sesso diverso” – abbia dato realmente vita ad una famiglia di fatto, quale “relazione interpersonale, con
carattere di tendenziale stabilità, di natura affettiva e parafamiliare”, che “si esplichi in una comunanza di
vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale”. Con specifico riferimento al risarcimento
del danno derivato dalla “lesione materiale, cagionata alla persona” del convivente, Cass. 29-4-2005, n.
8976, posto che “il dato comune che emerge dalla legislazione vigente e dalle pronunce giurisprudenziali,
è che la convivenza assume rilevanza sociale, etica e giuridica in quanto somiglia al rapporto di coniugio,
anche nella continuità nel tempo”, richiede che sia dimostrata “l’esistenza e la durata di una comunanza di
vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale”, la prova, cioè, “della assimilabilità della
convivenza di fatto a quella stabilita dal legislatore per i coniugi” (ad una “relazione caratterizzata da stabi-
lità e da mutua assistenza morale e materiale”, allude Cass. 23725/2008; una relazione di vita “assimilabile al
rapporto matrimoniale”, richiede Cass. 7-6-2011, n. 12278; analogamente, in sostanza, Cass. 16-6-2014, n.
13654). Peraltro, Cass. 31-3-2013, n. 7128, oltretutto con riguardo ad un’ipotesi di danno riflesso da lesio-
ni personali (per cui v., già, Cass. 8976/2005 e, poi, implicitamente, Cass. 7-3-2016, n. 4386), prende in
considerazione – precisando che “la convivenza non ha da intendersi necessariamente come coabitazione”
ed alludendo alla rilevanza pure “di relazione prematrimoniale o di fidanzamento” – anche uno “stabile
legame tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti”, pur se non
necessariamente strutturato, al momento dell’altrui fatto illecito, come un rapporto di coniugio. Così, una
volta riscontrata la presenza di “un legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale” le parti “ab-
biano spontaneamente e volontariamente assunto reciproci impegni di assistenza morale e materiale”,
Cass. 13-4-2018, n. 9178, ritiene senz’altro che, “ai fini del risarcimento del danno da perdita del familiare,
la coabitazione non è elemento costitutivo della famiglia di fatto, bensì semplice indizio o elemento pre-
suntivo della sua ricorrenza” (e v. anche Trib. Firenze 25-3-2015, con riferimento al diritto al risarcimento
della fidanzata, pur non coabitante con la vittima). Il risarcimento si tende a considerare da tempo senz’altro
dovuto anche al convivente more uxorio di ugual sesso (Trib. Milano 12-9-2011). Alla posizione del convivente
more uxorio allude l’art. 1292 D.Lgs. 7.9.2005, n. 209, in tema di esclusione dai benefici dell’assicurazione
obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti (con esclusione della sua qualità di “terzo”, al pari del coniu-
ge, “limitatamente ai danni a cose”). Circa la rilevanza di una relazione qualificabile quale “famiglia di fatto”
(nella prospettiva propria della c.d. famiglia ricomposta: V, 1.2), ai fini del risarcimento del danno non patri-
moniale a favore del convivente del genitore del figlio, in conseguenza dell’uccisione di quest’ultimo, v. Cass.
21-4-2016, n. 8037 (e, in proposito, v. pure Cass. 28989/2019).
36
In tale prospettiva, v., ad es., Cass. 22-1-2014, n. 1277, a proposito di periodiche dazioni di danaro nel
corso del rapporto, considerate irripetibili se, oltre che caratterizzate da “spontaneità”, avvenute “nel rispetto
dei principi di proporzionalità e adeguatezza” (e v. anche Cass. 1-7-2021, n.18721, con riguardo a spese effet-
tuate per la ristrutturazione di un immobile di proprietà della convivente destinata a residenza familiare).
Nella medesima prospettiva, quale adempimento di un’obbligazione naturale, Cass. 20-1-1989, n. 285, ha
configurato anche la dazione di una somma di danaro da parte di un convivente all’altro in occasione della
cessazione di una duratura convivenza.
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 423

(almeno in linea di principio) ribadita dalla giurisprudenza (come accennato, anche co-
stituzionale) 37, è stata ritenuta idonea a legittimare, dal punto di vista della legittimità
costituzionale, l’attuale limitazione ai coniugi del reciproco diritto di successione a causa
di morte 38, così come di escludere l’applicazione, in via analogica, alla famiglia di fatto
del regime patrimoniale legale, quale disciplinato negli artt. 177 ss. 39 (non mancandosi,
peraltro, per ovviare alla inapplicabilità delle regole previste per i rapporti tra coniugi, di
invocare il principio dell’arricchimento senza causa 40, ai sensi dell’art. 2041) 41.
Diffusa, piuttosto, è stata la tendenza a indirizzare i conviventi, ai fini della definizio-
ne degli assetti patrimoniali della convivenza, nella direzione della utilizzazione degli stru-
menti negoziali, anche in vista della relativa eventuale cessazione (e, quindi, in un’ottica
di autoregolamentazione dei propri rapporti, che, in effetti, sola è sembrata realmente
compatibile con la volontà di gestirli al di fuori dei vincoli che l’ordinamento ricollega al
matrimonio) 42.

37
Di recente, comunque, Cass. 20-6-2013, n. 15481, muovendo, da una parte, dalla giurisprudenza secondo
cui “il principio di indefettibilità della tutela risarcitoria trova spazio applicativo anche all’interno dell’istituto
familiare” (V, 2.9), dall’altra, dai “segnali di una crescente attenzione del legislatore verso fenomeni di consorzio
solidaristico e modelli familiari in cui per libera scelta si è escluso il vincolo, e con esso, le conseguenze legali del
matrimonio”, pur reputando dovere restare “ferma la ovvia diversità dei rapporti personali e patrimoniali na-
scenti dalla convivenza di fatto rispetto a quelli originati dal matrimonio”, ha concluso che “la violazione dei di-
ritti fondamentali della persona è configurabile all’interno di una unione di fatto, che abbia, beninteso, caratteri-
stiche di serietà e stabilità, avuto riguardo alla irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti, riconosciuti,
ai sensi dell’art. 2 Cost., in tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo”. Corte cost.
23-9-2016, n. 213, poi, in una prospettiva non dissimile (di tutela, cioè, di un diritto fondamentale, quello alla
salute, “nell’ambito della comunità di vita”), ha reputato costituzionalmente illegittima la mancata inclusione del
convivente tra i soggetti legittimati a fruire di permessi retribuiti per l’assistenza a persone affette da grave handi-
cap (art. 333 L. 5.2.1992, n. 104 come risultante ai sensi della L. 4.11.2010, 183).
38
Corte cost. 26-5-1989, n. 310, al riguardo, evidenzia come la pacifica riferibilità della garanzia di cui al-
l’art. 2 Cost. anche ai conviventi, non può ritenersi implicare anche la garanzia di un “diritto reciproco di succes-
sione mortis causa, il quale certo non appartiene ai diritti inviolabili dell’uomo, i soli presidiati dall’art. 2”.
39
In proposito, all’opportunità – al di là della disomogeneità delle situazioni – di evitare “un inammissibi-
le appiattimento” tra famiglia di fatto e famiglia legittima si richiama Trib. Pisa 20-1-1988 (e v. anche App.
Firenze 12-2-1991, reputando anch’essa infondata la relativa questione di legittimità costituzionale).
40
L’ingiustificato arricchimento sarebbe sussistente solo quando le prestazioni del convivente esorbitino
dai limiti di “proporzionalità e adeguatezza”, rispetto a quanto da reputarsi confacente all’adempimento “dei
doveri di carattere morale e civile di solidarietà e reciproca assistenza”, considerati gravare sui conviventi (ri-
sultando, quindi, priva di giustificazione la conseguente locupletazione dell’altro convivente: Cass. 15-5-2009,
n. 11330, nonché Cass. 25-1-2016, n. 1266). Cass. 7-6-2018, n. 14732, ha precisato che, in caso di “conferi-
mento effettuato a favore del partner in pendenza di una relazione sentimentale non finalizzato al vantaggio
esclusivo di quest’ultimo, ma alla formazione e poi alla fruizione di un progetto comune” (nel caso di specie,
una dimora comune), una volta “venuto meno il rapporto sentimentale tra i due”, il depauperato ha “diritto a
recuperare quanto versato per quella determinata finalità, in piena applicazione e nei limiti dei principi
dell’ingiustificato arricchimento” (ma v. la rilevanza accordata, onde escludere una simile ripetibilità, al risul-
tare “la prestazione adeguata alle circostanze e proporzionale all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali
del solvens”: Cass. 18721/2021).
41
Quanto alla peculiare disciplina della impresa familiare, all’atteggiamento negativo di Cass. 2-5-1994, n.
4204, si contrappone l’apertura di Cass. 15-3-2006, n. 5632, secondo cui “l’art. 230 bis c.c. è applicabile an-
che in presenza di una famiglia di fatto, che costituisce una formazione sociale atipica a rilevanza costituzio-
nale”. In proposito, v., comunque, infra, in relazione al nuovo art. 230 ter, quale introdotto ai sensi dell’art.
146 L. 76/2016.
42
Sulla base delle esperienze di altri paesi, si è a lungo discusso degli attuali limiti di liceità dei c o n t r a t t i
d i c o n v i v e n z a , proponendosene anche, onde conferire certezza ad una prassi che tende a diffondersi, una
424 PARTE V – FAMIGLIA

b) L’art. 136 L. 76/2016 definisce i “conviventi di fatto” come “due persone maggio-
renni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e
materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o
da un’unione civile”. Ai fini dell’“accertamento della stabile convivenza”, nella ricorren-
za delle accennate condizioni, l’art. 137 rinvia “alla dichiarazione anagrafica”, resa ai sensi
dell’art. 4 D.P.R. 223/1989 (concernente l’anagrafe della popolazione residente) 43. In
dipendenza di una simile avvenuta “giuridicizzazione” della situazione di “convivenza”,
prevale l’opinione che si possa parlare, ormai, di un vero e proprio nuovo stato familiare
(II, 1.3): quello, appunto, di “convivente” 44.
Risulta istituzionalizzata, innanzitutto, la relativa posizione verso la pubblica ammini-
strazione, nel campo delle esigenze di assistenza reciproca, comunque già ampiamente
tutelate a livello legislativo e regolamentare (in materia penitenziaria e sanitaria, peraltro
anche, in certa misura, anticipandosi quanto ora previsto, in genere, in ordine alle “di-
chiarazioni anticipate di trattamento”: art. 138-41) 45.

eventuale regolamentazione e tipizzazione in via legislativa. Pure prima dell’intervento legislativo in materia (con
l’art. 150-64 L. 76/2016, su cui infra), in considerazione della meritevolezza degli interessi perseguiti (e, quindi,
nella prospettiva dell’art. 13222, letto alla luce dell’art. 2 Cost.), un’articolata proposta è stata elaborata nell’ot-
tobre 2011 a cura del Consiglio Nazionale del Notariato (proposta, questa, destinata ad avere ragguardevoli ri-
flessi su successive iniziative di riforma legislativa e, attraverso queste, sotto molti aspetti, sulla stessa disciplina
ora adottata della materia). In argomento, Cass. 8-6-1993, n. 6381, ha ritenuto che, in linea di principio, “la con-
vivenza more uxorio tra un uomo ed una donna in stato libero non costituisce causa di illiceità e quindi di nullità
di un contratto attributivo di diritti patrimoniali dall’uno a favore dell’altra o viceversa solo perché il contratto
sia collegato a tale relazione”, concludendo, in particolare, per la validità di un contratto col quale si sia attribui-
to all’altra parte “il diritto di comodato di un appartamento”, anche se “vita natural durante”. I contratti aventi
ad oggetto la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i componenti di una famiglia di fatto, da considerar-
si “atipici” ai sensi dell’art. 1322, sono stati reputati, come tali, senz’altro ammissibili e validi, in quanto volti a
regolare interessi meritevoli di tutela, in particolare, da Trib. Savona 24-6-2008.
43
Particolarmente controverso risulta il peso da riconoscere alle risultanze anagrafiche, ai fini dell’ap-
plicabilità della disciplina riferibile alla situazione di convivenza. Escluso il relativo carattere costitutivo
della fattispecie legale di “convivenza”, tende a prevalere – e v., infatti, Trib. Milano 31-5-2016 – l’idea di
una loro valenza di carattere probatorio (e, più specificamente, meramente presuntivo, con riferimento, in par-
ticolare, all’inizio della convivenza; diversamente, peraltro, Trib. Verona 2-12-2016, che ritiene poter essere pro-
vata la “stabile convivenza” solo attraverso le risultanze anagrafiche, non essendone ammessi “equivalenti”).
E ciò anche per avere la Corte eur. dir. uomo 7-11-2013, ai fini delle esigenze di tutela giuridica della “vita
familiare”, negato potersi attribuire peso decisivo alla stessa “convivenza”, almeno se intesa nel senso formali-
stico delle risultanze anagrafiche. Di recente, Cass. 9178/2018, ha ritenuto senz’altro “il dato della coabita-
zione attualmente un dato recessivo”, da intendere “come semplice indizio o elemento presuntivo dell’esi-
stenza di una convivenza di fatto” (e v. anche Trib. Milano 30-1-2018). Il carattere esclusivamente probatorio
delle risultanze anagrafiche sembra avallato, del resto, pure da Cass., sez. un., 5-11-2021, n. 32198, laddove
vengono posti sul suo stesso piano, ai fini dell’accertamento del “fatto della nuova convivenza”, “altri indici
di stabilità in concreto”.
44
Il perseguimento di un simile obiettivo da parte del legislatore – ispirato a precedenti iniziative di ri-
forma della materia, come, in particolare, quella dianzi accennata dei DICO – sembra emergere, in particola-
re, dalla perimetrazione della nozione derivante dalla richiesta libertà di stato: limitazione, questa, che ha im-
mediatamente suscitato fondate perplessità e preoccupazioni, di fronte alla frequenza del fenomeno della
convivenza proprio tra persone ancora legate da vincoli di coniugio (e, ora, di unione civile), con conseguente
proporsi del dianzi accennato problema del trattamento di simili situazioni.
45
Nella medesima prospettiva può essere inteso quanto previsto dall’art. 145, in tema di accesso alle gra-
duatorie per “l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare”. Del resto, anche quanto disposto dall’art. 148 in
materia di funzioni di protezione in caso di incapacità dell’altra parte rispecchia (oltretutto lacunosamente) la
già vigente disciplina.
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 425

Vengono, poi, previsti una serie di diritti nei confronti dei terzi e dell’altra parte. Tra
i primi, pare il caso di sottolineare il diritto a succedere nel contratto in caso “di morte
del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residen-
za” (art. 144), nonché, in caso di fatto illecito comportante il decesso del convivente, l’ap-
plicazione dei “medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge su-
perstite” (art. 149) 46. Tra i secondi, spiccano i nuovi diritti in campo abitativo, in caso di
morte del convivente (art. 142-43) 47, nonché la pretesa agli alimenti, ove ne ricorra il pre-
supposto dello stato di bisogno (V, 1.7), in caso di cessazione della convivenza, “per un
periodo proporzionale alla durata della convivenza” (art. 165) 48. L’art. 146, poi, ha intro-
dotto nel codice civile un art. 230 ter, concernente i diritti derivanti al convivente dalla
partecipazione all’impresa familiare (dell’altro convivente) 49.
Notevole rilevanza assume l’opzione a favore della possibilità, per i conviventi, di
“disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione
di un contratto di convivenza” (art. 150) 50. Per la forma del contratto di convivenza
(così come per le relative modifiche e risoluzione), si prevede, sotto pena di nullità, l’atto
pubblico o la scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvo-
cato, che, assumendo le conseguenti responsabilità, “ne attestano la conformità alle nor-
me imperative e all’ordine pubblico” (art. 151). L’opponibilità ai terzi viene, poi, fatta di-

46
Previsione, quest’ultima, sintomatica di uno scarso approfondimento della problematica affrontata e,
oltretutto, palesemente regressiva, a fronte dei dianzi ricordati approdi giurisprudenziali in materia, caratte-
rizzati da una più ampia portata della tutela apprestata a favore della vittima dell’illecito (in quanto riferita,
da una parte, anche alle lesioni personali, dall’altra, ad una sfera soggettiva non ristretta a quella emergente
dalla nozione di “convivente”, quale delineata nell’art. 136-37).
47
Un simile (limitato) effetto successorio della convivenza richiama indubbiamente il diritto spettante al
coniuge, ai sensi dell’art. 5402 (XII, 3.2), pur avendo il diritto del convivente superstite carattere temporaneo
(due anni, ovvero pari al periodo di convivenza, comunque non oltre i cinque anni, essendone prevista, inol-
tre, la cessazione in caso di matrimonio, unione civile o nuova convivenza). Cass. 27-4-2017, n. 10377, esclusa
comunque l’operatività a favore del familiare di fatto dell’art. 5402, ha ritenuto applicabile la nuova disciplina
solo ove il rapporto di convivenza sia cessato dopo la relativa entrata in vigore.
48
Tale disposizione, a ragione diffusamente reputata inderogabile, pare rappresentare (come anche quella
in precedenza accennata) il riflesso di una conseguita – sia pure attenuata – giuridicità del dovere di solidarietà
tra conviventi, destinato ad emergere, quindi, almeno nel momento del venir meno dell’unione. Discutibile
pare, allora, la scelta di collocare l’adempimento dell’obbligo alimentare in questione, nell’ordine degli obbli-
gati ai sensi dell’art. 433 (V, 1.7), con precedenza (solo) sui fratelli e sorelle. In considerazione del suo carat-
tere sicuramente innovativo, si è ritenuto che il diritto agli alimenti possa sorgere solo ove la convivenza sia
cessata dopo l’entrata in vigore della L. 76/2016 (Trib. Milano 23-1-2017). Evidenzia i presupposti affinché
sorga il diritto in questione, richiedendone una prova rigorosa, Trib. Milano 17-7-2019.
49
Si tratta di una previsione che, nell’intento di colmare una lacuna (ispirandosi a precedenti iniziative
ormai lontane nel tempo), si presenta fin troppo carente, sotto diversi profili, rispetto al modello dell’art. 230
bis (V, 2.14), rendendo, così, prevedibilmente necessaria una sua interpretazione adeguatrice: ci si riferisce, in
particolare, al silenzio circa il “diritto al mantenimento”, nonché alla mancata considerazione di diritti gestio-
nali. Sicuramente più lineare, quindi, sarebbe stato limitarsi ad inserire il “convivente” tra i soggetti da tutela-
re elencati nell’art. 230 bis (con ciò, oltretutto, prendendo atto delle dianzi richiamate pregresse aperture in
proposito della giurisprudenza).
50
In proposito, non si può fare a meno di sottolineare l’assenza, nella disciplina ora apprestata alla “con-
vivenza”, di una qualsiasi regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra conviventi, dovendosi, di conse-
guenza, ritenere persistentemente operanti – in mancanza, appunto, di un “contratto di convivenza” – i (dian-
zi accennati) principi fin qui elaborati, in materia, dalla giurisprudenza.
426 PARTE V – FAMIGLIA

pendere dall’iscrizione all’anagrafe del comune di residenza dei conviventi, ai sensi del
D.P.R. 223/1989 (art. 152) 51.
Peraltro, la portata dell’istituto si presenza decisamente angusta, almeno alla luce dei
suoi possibili contenuti, quali enunciati nell’art. 153, concernendo essi, oltre che la (di
oscura funzione) “indicazione della residenza”, essenzialmente, le “modalità di contribu-
zione alle necessità della vita comune” 52 e l’eventuale scelta del regime patrimoniale le-
gale della comunione dei beni 53: manca, infatti, qualsiasi riferimento, in particolare, alla
materia delle conseguenze economiche della dissoluzione della convivenza, soprattutto
in ordine alla quale si tende a mostrare interesse per la figura in questione 54. Ciò induce,
allora, a riflettere circa il carattere tassativo o meno della previsione e ad interrogarsi sul
valore conseguentemente da riconoscere ad eventuali pattuizioni al riguardo.
Singolare si presenta la previsione di cause di “nullità insanabile” del contratto di
convivenza (art. 156-57), riecheggianti – anche quanto a regime – veri e propri impedimen-
ti matrimoniali (V, 2.4), quasi, insomma, da indurre a credere che il legislatore abbia fi-
nito col sovrapporre due (peraltro tradizionalmente reputate alternative) concezioni del
contratto di convivenza stesso: la prima, tendente a individuare in esso (solo) un possibi-
le arricchimento della situazione di convivenza, di per se stessa giuridicizzata e, come ta-
le, fondativa (secondo quanto dianzi accennato) di uno stato personale (di natura fami-
liare); l’altra, invece, propensa a riconoscere il contratto di convivenza quale unica via
consentita agli interessati – nella prospettiva di valorizzazione della loro autonomia – per
conseguire un peculiare status personale e familiare 55.
L’intrinseca debolezza dei vincoli derivanti dal contratto di convivenza emerge, co-
munque, dalla relativa risolubilità, oltre che in caso di morte di uno dei contraenti o di
matrimonio (o unione civile) “tra i contraenti o tra un contraente ed altra persona”, non

51
In effetti, una simile esigenza di carattere pubblicitario si ricollega soprattutto alla possibile scelta del
regime legale di comunione dei beni (v. infra). Peraltro, quasi unanime è stato il rilievo dell’inadeguatezza
dello strumento cui si è affidato il soddisfacimento dell’esigenza in questione (solo in parte rimediata da un
intervento amministrativo, con la circolare del Ministero dell’Interno n. 7/2016).
52
Si aggiunge, “in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo”,
con evidente allusione al principio contributivo, di cui all’art. 1433 (V, 2.10), che, quindi, i conviventi sono così
in grado adottare come (vincolante) regola di fondo dei reciproci rapporti economici.
53
L’art. 154 prevede che il regime scelto può essere successivamente modificato (con la forma prevista dal-
l’art. 151).
54
L’altra finalità su cui si è concentrata tradizionalmente l’attenzione per i contratti di convivenza risulta
quella di accordare all’autonomia degli interessati spazi di regolamentazione in ordine ad aspetti successori del
loro rapporto (non essendo presa in considerazione dalla legge la posizione di convivente ai fini della succes-
sione mortis causa): obiettivo in vista del quale sarebbe stata necessaria, ovviamente, una (diffusamente auspi-
cata, ma qui omessa) deroga al divieto dei patti successori (XII, 1.2).
55
In tale ultima ottica non possono che essere lette, in particolare, la condizione dell’esclusività del rap-
porto (assenza di vincolo matrimoniale o di unione civile, ma anche di “altro contratto di convivenza”), la
rilevanza dell’impedimento di “delitto” (di cui all’art. 88), la non assoggettabilità a termine o a condizione
(con evidente richiamo al divieto in materia matrimoniale, di cui all’art. 108). Il contorto rapporto, ai fini del
conseguimento di uno stato familiare, tra “convivenza” e “contratto di convivenza” emerge, poi, dal riferi-
mento, come autonoma causa di nullità (oltre che alla minore età ed all’interdizione giudiziale), alla “viola-
zione del comma 36”, in cui sono elencati i requisiti – i quali sembrerebbero assurgere, così, a requisiti di va-
lidità del contratto – richiesti per la ricorrenza della situazione di “convivenza”, quale ora (almeno dichiara-
tamente) suscettibile di essere presa in considerazione.
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 427

solo a seguito di “accordo delle parti”, ma anche per “recesso unilaterale” (art. 159). In
effetti, unica sicura forma di tutela resta la (dianzi accennata) eventuale insorgenza del-
l’obbligo alimentare 56. Per la dichiarazione risolutiva della convivenza è richiesta la stes-
sa forma del contratto di convivenza (art. 160). Un peculiare (e macchinoso) regime di no-
tifiche è stabilito per il caso di recesso unilaterale (art. 161), così come nell’ipotesi di ma-
trimonio o di unione civile di uno dei contraenti (ovviamente se con altri: art. 162), non-
ché in quella di morte di uno dei contraenti (art. 163) 57.

5. Caratteri degli atti e dei diritti familiari. – Gli atti concernenti i rapporti fa-
miliari devono ritenersi contrassegnati da caratteri peculiari, quale riflesso della pecu-
liarità degli interessi coinvolti nelle vicende familiari.
Indubbiamente, ai fini della caratterizzazione degli atti in questione e delle situazioni
giuridiche che ne derivano, è destinato ad assumere rilievo il superamento della tenden-
za a ravvisare l’esistenza di un “interesse superiore” della famiglia (V, 1.2): l’accreditarsi,
cioè, di una visione della famiglia come formazione sociale, la cui meritevolezza di rico-
noscimento da parte dell’ordinamento dipende dalla sua concreta funzionalità ad assicu-
rare lo sviluppo della personalità dei relativi membri, nel rispetto dei valori di libertà e di
eguaglianza. L’intimità e l’essenzialità dei vincoli esistenziali che legano i membri del grup-
po familiare sembrano imporre, comunque, che tali valori siano equilibrati con quelli di
responsabilità e di solidarietà.
Di qui la marcata specificità che è da ritenere continui a contraddistinguere gli atti
familiari. Specificità alla luce della quale, pur in un indubbio quadro di valorizzazione
dell’autonomia degli interessati nella disciplina dei reciproci rapporti, pare inaccettabi-
le – almeno senza un adeguato controllo di compatibilità – l’estensione ad essi dei prin-
cipi e delle regole considerate proprie dell’autonomia negoziale, in quanto elaborati con
riferimento alla materia contrattuale 58.
Ne consegue che, se all’accordo dei coniugi deve, oggi, essere riconosciuta una por-
tata ben maggiore che in passato, tanto nella fase fisiologica della vita familiare, quanto
in quella patologica 59, esso è destinato ad operare, pur sempre, entro una griglia di prin-

56
Ipotizzabile si presenta anche l’invocazione del meccanismo risarcitorio, già ammesso, come dianzi rile-
vato, dalla giurisprudenza pure a tutela del convivente more uxorio. Peraltro, i limiti intrinseci di operatività
di tale strumento nello stesso ambito matrimoniale (V, 2.9) risultano qui accentuati in dipendenza dell’incerta
sussistenza – e comunque perimetrazione – della doverosità dei comportamenti cui sono reciprocamente te-
nuti i conviventi.
57
In tale ultimo caso, ricevuta la notifica dell’estratto dell’atto di morte, il professionista intervenuto alla
stipula deve provvedere “ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del con-
tratto” (oltre che ad informarne l’anagrafe del comune di residenza, presso il quale devono essere effettuate,
come accennato, le formalità pubblicitarie, ai sensi dell’art. 152).
58
Così, in particolare, sono state ritenute applicabili le “norme generali che disciplinano la materia dei vi-
zi della volontà”, ma sempre “nei limiti in cui dette norme risultino compatibili con la specificità” del negozio
di diritto familiare considerato (nella specie, l’accordo di separazione consensuale: V, 3.2), con la conseguente
esperibilità dell’azione di annullamento, in quanto “non limitata all’istituto contrattuale ma estensibile ai ne-
gozi che riguardano i rapporti giuridici non patrimoniali, cui appartengono quelli appunto di diritto fami-
liare”, a presidio della “libertà del consenso come effetto del libero incontro della volontà delle parti” (Cass.
20-3-2008, n. 7450; circa la dichiarazione di riconciliazione, Cass. 12-1-2012, n. 334).
59
Particolarmente significativa, al riguardo, pare l’opzione legislativa nel senso di rimettere alla scelta dei
428 PARTE V – FAMIGLIA

cipi inderogabili (quali, in particolare, quello della preminenza dell’interesse del minore e
quello di necessaria contribuzione ai bisogni della famiglia).
La specificità risulta, ovviamente, maggiore per gli atti su cui venga a fondarsi la stessa
società coniugale (o se ne produca la dissoluzione) e si determini l’acquisto (o la modifi-
cazione) degli stati familiari (status di coniuge, unito civilmente, figlio, genitore) (II, 1.3).
Tali atti sono annoverabili tra quelli puri (non ammettendo l’apposizione di termini o
condizioni) e personalissimi (non ammettendo rappresentanza nel relativo compimento,
ma solo eccezionali ipotesi di intervento di un nunzio, come ai sensi dell’art. 111 per il
matrimonio), oltre che tipici (in quanto prefigurati secondo rigidi modelli legali) e forma-
li (o solenni, in considerazione dell’importanza che essi rivestono per le parti e di quella
loro rilevanza sociale che ne impone spesso il compimento con l’intervento di organi
pubblici).
La tipicità dell’atto tende a riflettersi anche in quella degli effetti, disposti con norme,
almeno in linea di massima, inderogabili. Una simile inderogabilità è più marcata per gli
effetti di natura personale 60, mentre, quanto agli assetti patrimoniali della famiglia, sicu-
ramente più estesa è la sfera di operatività riconosciuta all’autonomia degli interessati
(tanto da essere consentita, con la forma prescritta, la stipulazione di convenzioni che
diano vita a regimi patrimoniali atipici, ma, non a caso, con una serie di limiti sostanziali:
artt. 159 ss.) (V, 2.11).
La natura degli interessi esistenziali in gioco nei rapporti familiari condiziona i carat-
teri delle situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari, in quanto tali, i membri della
famiglia. Quali diritti fondamentali della persona, i diritti familiari 61 presentano i ca-
ratteri della indisponibilità (non potendo la volontà degli stessi titolari incidere sulle rela-
tive vicende: essi risultano, quindi, irrinunciabili e inalienabili) e della imprescrittibilità,
nonché della intrasmissibilità e della non patrimonialità (pur potendo, infatti, avere un
contenuto economicamente rilevante, essi sono riconosciuti in vista della funzione che
svolgono a tutela di esigenze esistenziali fondamentali della persona).

6. Parentela e affinità. – Il matrimonio e la generazione costituiscono la fonte dei


rapporti che legano i membri della famiglia, sia in quella nozione più ristretta che rap-
presenta il privilegiato punto di riferimento dell’ordinamento vigente, sia in quella più
allargata che, pur maggiormente rilevante in passato, ancora viene presa talvolta in con-
siderazione (V, 1.2).
Dal matrimonio scaturisce, così, tra i coniugi, il rapporto di coniugio, derivandone

coniugi l’utilizzazione dello strumento della “negoziazione assistita” (art. 6) – che circoscrive drasticamente lo
spazio riconosciuto all’intervento giudiziale nelle procedure tradizionali – o, addirittura, della via amministra-
tiva della procedura “innanzi all’ufficiale di stato civile” (art. 12), per definire la propria crisi familiare (D.L.
12.9.2014, n. 132, quale convertito con la L. 10.11.2014, n. 162) (V, 3.2-5). Per la valutazione di tali istituti
nella prospettiva di forte “valorizzazione dell’autonomia privata anche nella fase della crisi matrimoniale”,
Cons. Stato, sez. III, 26-10-2016, n. 4478.
60
A tale riguardo, peraltro, è da rilevare una spinta nel senso di accordare crescente rilievo alla volontà
degli interessati anche con riferimento a materie sin qui estranee a qualsiasi loro potere decisionale. Significa-
tive, così, risultano le recenti prospettive in tema di scelta del cognome familiare (IV, 2.10).
61
Tra cui è da annoverare anche lo stesso diritto di ciascuno al godimento ed al riconoscimento della
propria posizione (status: II, 1.3) nell’ambito della famiglia, come presupposto e sintesi di diritti e doveri alla
posizione medesima connessi.
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 429

anche quello di affinità, che lega ciascun coniuge ai parenti dell’altro. La generazione si
pone alla base del rapporto di parentela.
La parentela è il “vincolo tra le persone che discendono dallo stesso stipite” (art. 74).
Ai sensi dell’art. 75, sono parenti in linea retta coloro che discendono l’uno dall’altro,
immediatamente (genitori e figli), o per generazioni successive (nonni e nipoti); sono pa-
renti in linea collaterale coloro che, pur avendo un ascendente comune, non discendono
l’uno dall’altro (fratelli e sorelle, zii e nipoti, cugini) 62.
Circa i gradi che misurano la prossimità della parentela (art. 76), nella linea retta, si
computano tanti gradi quante sono le generazioni, non contando lo stipite (il rapporto
tra genitore e figlio è di primo grado, di secondo quello tra nonno e nipote); nella linea
collaterale, i gradi si computano sulla base delle generazioni, risalendo da un parente fi-
no all’ascendente comune e da questo discendendo all’altro parente (sempre escludendo
lo stipite: di secondo grado è la parentela tra fratelli e sorelle, di terzo quella tra zio e ni-
pote, di quarto quella tra cugini).
Il rapporto di parentela è giuridicamente rilevante, in linea di massima 63, fino al sesto
grado (art. 77) (in particolare, ai fini della successione legittima: art. 572).
Modificando l’art. 74, la L. 219/2012, ha precisato – in applicazione del principio di
cui al nuovo art. 315, per cui “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” – che il vincolo
di parentela sussiste “sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimo-
nio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adotti-
vo” 64. Il sorgere del vincolo di parentela viene escluso solo “nei casi di adozione di per-
sone maggiori di età, di cui agli artt. 291 ss.” 65.

62
I fratelli si definiscono germani, se hanno in comune ambedue i genitori, unilaterali, se hanno in comu-
ne un solo genitore (consanguinei il padre, uterini la madre). La distinzione assume rilievo in relazione all’ob-
bligazione alimentare (art. 433, n. 6) ed in materia successoria (artt. 5702 e 5712).
63
Riferito, peraltro, alla parentela “in linea retta all’infinito” è il vincolo che determina la necessità dell’auto-
rizzazione giudiziale ai fini del riconoscimento, ai sensi dell’art. 2511.
64
Risulta superata, così, la discussione circa la necessità o meno di distinguere, alla luce del precedente quadro
normativo, la parentela legittima da quella naturale, a seconda che il rapporto di generazione, il quale è alla sua
base, si radichi o meno nel matrimonio: distinzione – essenzialmente fondata sull’originario art. 2581, per cui il
riconoscimento del figlio naturale produceva i suoi effetti solo nei riguardi del genitore (e non dei suoi parenti),
“salvo i casi previsti dalla legge” (in particolare, nella previgente formulazione, artt. 871, 433, n. 2, 4671) – contesta-
ta sulla base della comprensività della (originaria) formulazione dell’art. 74, da interpretare alla luce del principio
costituzionale (di cui all’art. 303) del superamento di ogni discriminazione nei confronti dei figli nati fuori del ma-
trimonio (con conseguente inammissibilità di qualsiasi trattamento della loro posizione in contrasto col principio
di eguaglianza rispetto ai figli nati nel matrimonio e, quindi, anche con riguardo alla rilevanza del rapporto di pa-
rentela con i parenti del genitore). Solo una limitata rilevanza della parentela naturale, in effetti, era stata ricono-
sciuta dalla Corte costituzionale (4-7-1979, n. 55 e 12-4-1990, n. 184), ammettendo la successione legittima (ai sen-
si dell’art. 565) tra fratelli e sorelle naturali, prima dello Stato, ma esclusivamente in mancanza di altri successibili
(in assenza, quindi, di altri parenti legittimi entro il sesto grado). Pur prendendo atto, allora, della posizione nega-
tiva assunta dalla Corte costituzionale (anche con la sentenza 23-11-2000, n. 532) e dell’impossibilità di “svolgere
un non consentito ruolo di supplenza del legislatore”, Cass. 10-9-2007, n. 19011, aveva formulato l’auspicio di un
intervento legislativo nel senso “della completa parificazione di tutti i parenti naturali a quelli legittimi, con tutte le
conseguenze che ne derivano, tra l’altro, in ambito successorio”, attraverso “una nuova definizione dell’istituto
della parentela, riferibile a tutte le persone che discendono da uno stesso stipite”. Ovvie, in effetti, si presentano le
conseguenze dell’intervenuta riforma sulla disciplina della successione per causa di morte.
65
Tale formulazione ha suscitato un contrasto di opinioni circa la riferibilità o meno dell’accennata esclu-
sione pure all’ipotesi di adozione in casi particolari, dato il rinvio, disposto per essa dall’art. 55 L. 184/1983,
430 PARTE V – FAMIGLIA

Meno rilevante del rapporto di parentela è quello di affinità (art. 78), quale “vincolo
tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge” 66. Linee e gradi di affinità corrispondono a
quelli di parentela: il coniuge è affine di secondo grado in linea collaterale (cognato), ri-
spetto al fratello del proprio coniuge (parente di secondo grado in linea collaterale di co-
stui); i genitori sono affini in linea retta di primo grado (suoceri), rispetto al coniuge del
proprio figlio (di cui sono, appunto in quanto genitori, parenti in linea retta di primo
grado). Il rapporto di affinità (che assume, in particolare, rilievo in materia di impedi-
menti al matrimonio, art. 87, nonché di alimenti, art. 433, e di indennità in caso di morte
del lavoratore, art. 2122) non cessa con la morte del coniuge da cui deriva (e, si ritiene,
neppure col divorzio); cessa, invece, in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio
(salvo quanto previsto dall’art. 87, n. 4).

7. Gli alimenti. – L’obbligo di prestare gli alimenti, quale tipica ipotesi di obbliga-
zione legale (XI, 1.1), trova il proprio fondamento nella solidarietà familiare (art. 433).
Esso, peraltro, grava pure – e, anzi, con precedenza su ogni altro obbligato – sul donata-
rio (art. 437) 67. Tale obbligo, comunque, può avere quale fonte anche l’autonomia priva-
ta (contratto, testamento: legato di alimenti, art. 660).
L’obbligazione alimentare tra i componenti della famiglia è disciplinata, quanto
all’identificazione degli obbligati, dall’art. 433, che stabilisce un ordine tra di essi, po-
nendo al primo posto il coniuge 68, quindi i soggetti legati da un rapporto di discendenza
(figli e discendenti prossimi, genitori e ascendenti prossimi), poi gli affini in linea retta
(generi e nuore, suoceri) e, infine, i fratelli e le sorelle.
Nell’ambito della famiglia nucleare, in realtà, l’obbligo alimentare finisce con l’avere
una funzione residuale: tra i coniugi (e tra le parti dell’unione civile: art. 111 L. 76/2016)
opera, ai sensi dell’art. 1433, il dovere (reciproco) di contribuzione (V, 2.9-10), cui è
tenuto anche il figlio finché dura la convivenza (evidentemente, proprio in considerazio-
ne di essa: art. 315 bis4); a favore dei figli (art. 315 bis) 69 e del coniuge, in ipotesi di sepa-

artt. 300 e 304, disciplinanti proprio gli effetti dell’adozione di persone maggiori di età (V, 4.8). In proposito, Cass.
29-4-2020, n. 8325, sembra dare (incidentalmente) per scontata l’interpretazione secondo cui “l’adozione in casi
particolari non crea legami parentali con i congiunti dell’adottante ed esclude il diritto a succedere nei loro confron-
ti”. Corte cost. 9-3-2021, n. 33 reputa “ancora controverso” – appunto alla luce dell’art. 55 L. 184/1984 – “se anche
l’adozione in casi particolari consenta di stabilire vincoli di parentela tra il bambino e coloro che appaiono, e lui stes-
so percepisce, come i propri nonni, zii, ovvero addirittura fratelli e sorelle, nel caso in cui l’adottante abbia già altri
figli propri” (e Corte cost. 9-3-2021, n. 32 parla di “incerta incidenza della modifica dell’art. 74”). Peraltro, Trib.
min. Bologna 3-7-2020 propende per l’essere stata operata “un’abrogazione tacita dell’art. 55 della legge n. 184/
1983, nella parte in cui richiama l’art. 300, comma 2” (solo limitandosi, per motivi di competenza, “a riconoscere il
legame di parentela tra fratelli”). Comunque la questione risulta, infine, superata da Corte cost. 28-3-2022, n. 79, che
ha reputato costituzionalmente illegittimo l’art. 55 della L. 184/1983, nella parte in cui rinvia all’art. 300.
66
La costituzione del rapporto di affinità è da ritenere esclusa tra le parti dell’unione civile, mancando,
nella L. 76/2016, uno specifico riferimento all’art. 78.
67
Sulla rilevanza pur indubbiamente accordata in tale ipotesi alla riconoscenza, sembra prevalere, tutto
sommato, l’idea di una sorta di restituzione del beneficio ricevuto: gli alimenti, infatti, sono dovuti dal donata-
rio solo nei limiti del “valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio”, art. 4383.
68
Alla cui posizione risulta assimilata quella dell’unito civilmente, ai sensi dell’art. 119 della L. 76/2016, il
cui art. 165, poi, colloca con precedenza (solo) di quello dei fratelli e sorelle l’obbligo alimentare eventualmen-
te gravante sul convivente in caso di cessazione della convivenza (V, 1.4).
69
Il dovere di mantenimento dei genitori nei confronti del figlio (al cui venir meno residua l’operatività della
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 431

razione a lui non addebitata (ove ne ricorrano i presupposti: V, 3.3), è dovuto il mante-
nimento. L’obbligazione di mantenimento si ritiene caratterizzata, in effetti, da un con-
tenuto più ampio di quella alimentare (non trovando il proprio presupposto in uno stato
di bisogno, cui sono destinati a sopperire gli alimenti), in quanto riferita al parametro del
tenore di vita familiare, al quale il beneficiario, quindi, deve essere messo in grado di par-
tecipare (o di continuare a partecipare) 70.
Il presupposto del sorgere del diritto a ricevere gli alimenti (art. 438) è costituito dallo
stato di bisogno di chi non sia in grado di soddisfare le proprie necessità di vita (an-
che se una simile condizione derivi da comportamenti del soggetto medesimo). La relati-
va misura si determina in proporzione del bisogno dell’alimentando e delle condizioni
economiche di chi deve somministrarli: le necessità di vita, che rappresentano il parame-
tro di riferimento per la relativa concreta determinazione, non si reputano limitate allo
stretto essenziale per la sopravvivenza, ma estese a tutto quanto consenta, alla luce delle
valutazioni correnti, una vita dignitosa (pure, in particolare, in considerazione di even-
tuali esigenze di istruzione e formazione professionale), anche tenendo conto della posi-
zione sociale del soggetto (in una prospettiva, quindi, di relatività, che esclude la possibi-
lità di utilizzare criteri uniformi per tutti). Allo stretto necessario sono limitati, peraltro,
gli alimenti tra fratelli (art. 4391).
Gli alimenti sono dovuti solo dal momento della domanda giudiziale o dalla costituzio-
ne in mora dell’obbligato (art. 445), possibile essendo, fino alla relativa determinazione de-
finitiva, un assegno provvisorio (art. 446). Circa le modalità di somministrazione, essi posso-
no essere prestati, a scelta dell’obbligato, mediante un assegno periodico, ovvero mante-

sola obbligazione alimentare), come costantemente sostenuto dalla Cassazione (ad es., 11-3-1998, n. 2670; 25-7-
2002, n. 10898; 8-2-2012, n. 1773), non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae “fino a quan-
do non sia in grado di provvedere direttamente alle proprie esigenze, o non versi in colpa per il mancato raggiun-
gimento dell’indipendenza economica”. Ciò assume, ovviamente, particolare rilevanza con riguardo alle esigenze
derivanti dalla necessaria acquisizione di una adeguata istruzione e formazione professionale. Si tende a ritenere
che, una volta venuto meno in conseguenza dell’espletamento di attività lavorativa, il diritto del figlio maggiorenne
al mantenimento non risorga nel caso di un successivo abbandono dell’attività lavorativa medesima, che pure lo
renda privo di autosufficienza economica (fermo restando, ove ne ricorrano i presupposti, il diritto agli alimenti:
Cass. 7-7-2004, n. 12477; più di recente, 9-2-2021, n. 3163 e 14-3-2017, n. 6509). Circa la persistenza dell’obbligo
di mantenimento, Cass. 4-6-2014, n. 12477, accenna alla necessità di applicare “criteri di rigore proporzionalmente
crescente in rapporto all’età dei beneficiari” (e Cass. 22-6-2016, n. 12952, sottolinea il peso da conferire
all’“avanzare dell’età” – almeno “in mancanza di ragioni individuali specifiche” – come “indicatore forte d’inerzia
colpevole” nel conseguimento dell’“autosufficienza”; in prospettiva sostanzialmente analoga, Cass. 5-3-2018, n.
5088). Da ultimo, per l’accentuazione della “autoresponsabilità” del figlio per il proprio mantenimento, con un
suo “obbligo”, una volta finiti gli studi, di attivarsi per cercare un “qualsiasi lavoro”, v. Cass. 29-7-2021, n. 21817 e
14-8-2020, n. 17183. Nel ribadire che è il genitore interessato alla declaratoria di cessazione dell’obbligo a dover
provare la conseguita indipendenza del figlio (o la imputabilità allo stesso del relativo mancato conseguimento:
Cass. 1-2-2016, n. 1858), Cass. 20-8-2014, n. 18076, anche ai fini della persistenza del diritto ad abitare la casa fa-
miliare, valorizza la rilevanza delle “circostanze di fatto da cui desumere in via presuntiva l’estinzione
dell’obbligazione”, tenendo presente che “il diritto del figlio” – dato che “l’obbligo non può essere protratto oltre
ragionevoli limiti di tempo e di misura” – “si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di
un percorso di formazione”. Per l’accentuazione del peso della prova presuntiva, v. anche Cass. 17183/2020 (se-
condo cui, peraltro, “l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del ri-
chiedente”). Per i problemi posti, al riguardo, dalla crisi familiare, v. l’art. 337 septies (V, 4.10).
70
In caso di divorzio, è previsto, a carico di uno dei coniugi, l’eventuale sorgere – in applicazione di comples-
si criteri – di un’obbligazione (quella di corrispondere un assegno di divorzio: V, 3.5), quando l’altro coniuge
“non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive” (art. 56 l. div.).
432 PARTE V – FAMIGLIA

nendo direttamente l’alimentando nella propria casa: in ultima analisi, in caso di divergenti
vedute tra le parti, è il giudice a determinare il modo di somministrazione (art. 443).
L’obbligazione degli alimenti è destinata a restare collegata alla sussistenza dei rela-
tivi presupposti. Di conseguenza, se dopo la relativa assegnazione “mutano le condizioni
economiche di chi li somministra o di chi li riceve”, sarà l’autorità giudiziaria a provve-
dere, secondo le circostanze, nel senso della cessazione, riduzione o aumento (art. 440) 71.
L’obbligazione ha natura personale e, quindi, cessa con la morte dell’obbligato (art.
448) 72, dovendosi, in conseguenza di ciò, individuare, in tal caso, un altro obbligato, in
applicazione dell’ordine stabilito dall’art. 433.
Il diritto agli alimenti, per la sua peculiare funzione, si ritiene rientrare tra i diritti
fondamentali della persona e avere – nonostante la rilevanza economica del relativo con-
tenuto – natura non patrimoniale (dato il carattere esistenziale dell’interesse che deve
soddisfare). Proprio per questo, è da reputare irrinunciabile (e imprescrittibile, anche se
si prescrivono le relative rate scadute da almeno 5 anni: art. 2948, n. 2), essendone previ-
sta la incedibilità, oltre che l’inammissibilità di compensazione (art. 447), pure ove si tratti
di prestazioni arretrate. Il credito alimentare, inoltre, è impignorabile (tranne che per causa
di alimenti dovuti ad altri: art. 545 c.p.c.) e, di riflesso, insequestrabile (art. 671 c.p.c.).

8. Ordini di protezione contro gli abusi familiari. – Nel corpo del codice civile,
con la L. 4.4.2001, n. 154 (recante “misure contro la violenza nelle relazioni familiari”),
sono stati inseriti gli artt. 342 bis e ter, che contemplano la possibile adozione di ordini
di protezione contro gli abusi familiari, in caso di condotte “causa di grave pre-
giudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”,
precisandone il relativo, duttile, contenuto.
Tali disposizioni si presentano inserite in un contesto di misure finalizzate a dare ri-
sposta ad un problema particolarmente avvertito in una società percorsa da una innega-
bile incertezza di valori, anche familiari, e da rilevanti diversità culturali: misure quali, in
particolare, l’eventuale allontanamento dalla casa familiare, con provvedimento del giu-
dice penale, nei confronti dell’imputato (art. 282 bis c.p.p.) e la previsione di un peculia-
re procedimento per l’emanazione dei provvedimenti in questione (art. 736 bis c.p.c.).
Il complesso delle misure introdotte dalla L. 154/2001 risulta coordinato, per quanto
riguarda la posizione familiare dei minori 73, con il contemporaneo intervento – inqua-
drato nella L. 28.3.2001, n. 149 (V, 4.8) – diretto a consentire, attraverso la modifica de-
gli artt. 330 e 333, l’ordine di allontanamento dalla residenza familiare del genitore o
convivente che maltratti o abusi del minore (con la relativa competenza del tribunale per
i minorenni, invece che del tribunale ordinario) 74.

71
Lo stesso regime di rivedibilità si estende anche al mantenimento nei confronti del coniuge separato e
dei figli, nonché all’assegno di divorzio (artt. 1567, 337 quinquies e 91 l. div.).
72
L’art. 448 bis stabilisce che il figlio non è tenuto a prestare gli alimenti al genitore decaduto dalla re-
sponsabilità genitoriale (per il contenuto di tale disposizione, con riguardo ai relativi profili successori, v. in-
fra, XII, 1.4).
73
La disciplina in questione è coordinata pure con le procedure di separazione e divorzio, nel cui quadro
è stato previsto che possano venire adottati provvedimenti aventi i contenuti indicati all’art. 342 ter (art. 8).
L’art. 123, lett. b, L. 206/2021 prevede l’introduzione di misure procedurali peculiari nel caso di violenza do-
mestica o di genere, anche con specifico riguardo al minore ed all’esigenza di rispetto della sua volontà.
74
Ciò pone un problema di possibile sovrapposizione di competenze, in particolare, nei casi di violenza
CAP. 1 – FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO 433

Per coprire l’intera area di possibile esplicazione di violenza nelle relazioni familiari,
da una parte, lo strumentario di tutela risulta allargato ad ogni situazione di convivenza –
non solo, quindi, matrimoniale o di unione civile (art. 114 L. 76/2016) – caratterizzata da
una certa stabilità della relazione di vita (anche tra persone dello stesso sesso) 75. Dal-
l’altra, la disciplina risulta applicabile – con una scelta pragmaticamente sensibile alla va-
rietà delle situazioni esistenti nella realtà – pure nel caso di condotta pregiudizievole te-
nuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o convivente, ovvero
nei relativi confronti (art. 5) 76.
Gli ordini che possono essere adottati concernono essenzialmente la cessazione della
condotta pregiudizievole e l’allontanamento del responsabile dalla casa familiare, oltre
alla inibizione di avvicinarsi ai luoghi in cui si svolge la vita della vittima. Risulta anche
possibile imporre il pagamento di un assegno periodico a favore delle persone conviventi
destinate a restare prive di mezzi adeguati (con l’eventuale corresponsione diretta da
parte del datore di lavoro dell’obbligato). Puntuale è la disciplina tendente ad assicurare
l’osservanza dei provvedimenti, la cui elusione espone il responsabile alle sanzioni penali
previste dall’art. 388 c.p. (concernente la mancata esecuzione dolosa di un provvedimen-
to del giudice) (art. 6).

indiretta, ossia di condotte abusive nei confronti del coniuge o convivente, atte a cagionare pregiudizio al mi-
nore costretto ad assistervi (e v. Trib. Genova 7-1-2003, per la rilevanza della considerazione della situazione
del minore, ai fini dell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 342 ter).
75
È da ritenere, quindi, anche indipendentemente dalla ricorrenza degli specifici requisiti cui l’art. 136 del-
la L. 76/2016 ricollega la qualifica di “conviventi di fatto” (V, 1.4).
76
Ad un caso di allontanamento della figlia dalla casa familiare su richiesta della madre (per “violenze fi-
siche e morali”) ha riguardo Cass. 5-1-2005, n. 208 (e v. anche Trib. Messina 24-9-2005), che ha concluso nel
senso della inammissibilità, in materia, del ricorso per Cassazione, pure ai sensi dell’art. 111 Cost. A rapporti
conflittuali tra fratelli allude Trib. Padova 31-5-2006.
CAPITOLO 2
MATRIMONIO

Sommario: 1. Matrimonio e famiglia. – A) ATTO. – 2. Le forme matrimoniali. – 3. Libertà matrimoniale


e promessa di matrimonio. – 4. Il matrimonio civile. Requisiti. – 5. Formalità e celebrazione. – 6.
Invalidità del matrimonio. – 7. Conseguenze della invalidità. – 8. Il matrimonio concordatario. – B)
EFFETTI. – 9. Rapporti personali tra coniugi. – 10. Regime patrimoniale della famiglia. Il regime
primario. – 11. Convenzioni matrimoniali. – 12. Comunione legale. – 13. Regimi convenzionali. –
14. Impresa familiare. – C) UNIONE CIVILE. – 15. Unione civile e matrimonio. – 16. Costituzione
della unione civile. – 17. Effetti della unione civile.

1. Matrimonio e famiglia. – Per l’art. 291 Cost., il matrimonio costituisce il fonda-


mento della famiglia, secondo la tradizionale prospettiva che ravvisa un imprescindibile col-
legamento, appunto, tra la nascita dell’organismo familiare (col relativo riconoscimento e ga-
ranzia da parte dell’ordinamento giuridico) e l’istituto matrimoniale. Certo, come si è ac-
cennato (V, 1.4), l’esperienza familiare e la sua positiva valutazione da parte dell’ordina-
mento, in vista dello sviluppo della personalità dei soggetti in essa coinvolti, da tempo ten-
dono a non essere più subordinate alla celebrazione del matrimonio. Questo, tuttavia, conti-
nua a rivestire un ruolo centrale anche nella società attuale, quale momento di stabilizzazione
e di conferimento di rilevanza sociale all’impegno di vita che le parti con esso assumono 1.
Manca una definizione del matrimonio, ma esistono elementi per individuarne l’es-
senza già in quella proclamazione di esso come “fondamento” di una “società naturale”
(la famiglia: art. 291 Cost.), che trova, poi, la propria puntualizzazione con la delineazio-
ne dei tratti salienti della società coniugale quale operante comunità di vita (artt. 143 ss.)
e, forse ancor più, con l’identificazione del valore tutelato dall’ordinamento nella “comu-
nione spirituale e materiale dei coniugi” (sul cui venir meno gli artt. 1 e 2 L. 1.12.1970,
n. 898, non a caso, fondano il divorzio).
Il matrimonio può essere, quindi, considerato l’atto col quale gli sposi assumono l’im-
pegno di realizzare una comunione di vita stabile e socialmente garantita, caratterizzata
dalla esclusività della relazione personale e dalla reciprocità dell’assistenza e della contri-
buzione al soddisfacimento delle esigenze comuni.

1
Una simile persistente rilevanza sociale del matrimonio sembra essere oggi confermata, forse alquanto
paradossalmente, proprio dalle istanze ovunque insistentemente rivolte – e in crescente misura via via realiz-
zate – ad estenderlo anche a persone dello stesso sesso, le quali, evidentemente, riconnettono all’ammissione
al matrimonio il riconoscimento di una reale piena dignità sociale della loro unione (proprio in una simile
prospettiva, del resto, essendosi mossa la Corte Suprema degli Stati Uniti, 26-6-2015, per ammettere al ma-
trimonio le persone dello stesso sesso).
CAP. 2 – MATRIMONIO 435

Se la stabilità dell’impegno non ne implica la indissolubilità, essendo ammesso il di-


vorzio, la garanzia sociale che l’impegno stesso consegue col matrimonio 2 si manifesta
conferendo quel connotato di doverosità ai comportamenti delle parti, che si riflette an-
che nella tutela apprestata dall’ordinamento ai relativi interessi personali e patrimoniali
pure in caso di dissoluzione della comunità familiare.
Il matrimonio, allora, si presta ad essere visto (e viene tradizionalmente considerato)
sia nella prospettiva dell’atto, nel quale si esprime l’impegno di fondare la famiglia, sia in
quella del rapporto che ne deriva, da intendere come complesso dei diritti e dei doveri
che sostanziano lo stato coniugale.
Si tratta di una distinzione che assume una particolare rilevanza proprio in un sistema
giuridico come il nostro, il quale risulta caratterizzato, come si vedrà (V, 2.2), da una
pluralità di forme matrimoniali: una simile pluralità, infatti, riguarda la disciplina dell’at-
to matrimoniale e non quella degli effetti che ne derivano, regolati unitariamente dall’or-
dinamento civile 3.
Il matrimonio, come atto, è un negozio bilaterale, concorrendo alla sua formazione la
volontà dei due nubendi. Esso ha le caratteristiche proprie degli atti familiari (V, 1.5), di
cui costituisce l’ipotesi esemplare. Come tale rifugge da ogni assimilazione concettuale al
contratto, quale strumento tipico di esplicazione dell’autonomia privata in campo patri-
moniale. Non solo, dunque, il matrimonio ha una propria regolamentazione, significati-
vamente in larga misura divergente da quella dettata per il contratto, ma l’eventuale di-
sciplina di aspetti non specificamente regolati, data la peculiare natura personale degli
interessi coinvolti, non può mai essere individuata attraverso la diretta applicazione di
disposizioni dettate in materia contrattuale.
La prospettazione, con la legislazione seguita alla rivoluzione francese, della natura
contrattuale del matrimonio 4, in effetti, ha avuto il senso di una reazione contro la pre-
cedente riserva alla disciplina confessionale della materia matrimoniale e di una rivendi-
cazione dell’autorità statale – nei confronti di quella ecclesiastica – pure in ordine ad un
istituto, quello del matrimonio, essenziale per la vita dei cittadini. Non si è mancato, pe-
raltro, già nel code civil del 1804, di dettare una normativa del tutto peculiare, rispetto a
quella generale del contratto, anche dell’atto matrimoniale, oltre che dei suoi effetti.
L’elemento costitutivo del matrimonio è rappresentato dalla sola volontà manifestata
personalmente ed incondizionatamente dagli sposi nelle forme previste dalla legge (trat-
tandosi di negozio solenne): l’atto è, infatti, personalissimo e puro. Ciò si deduce, in parti-
colare, dall’art. 111, data l’eccezionalità della celebrazione per procura (con la partecipa-

2
Proprio il carattere di impegno socialmente garantito vale a differenziare l’esperienza familiare fondata
sul matrimonio dalla famiglia di fatto (V, 1.4), nella quale, secondo la ricordata impostazione della Corte co-
stituzionale (18-1-1996, n. 8 e 13-5-1998, n. 166), la comunità di vita resta pur sempre legata alla “affectio
quotidiana – liberamente e in ogni istante revocabile – di ciascuna delle parti”, che, così, dimostrano di “non
voler assumere i diritti ed i doveri che nascono dal matrimonio”.
3
L’esclusiva competenza dell’ordinamento civile in ordine alla disciplina degli effetti del matrimonio (cioè,
del rapporto matrimoniale) ha avuto modo di essere con chiarezza ribadita dalla Corte costituzionale (5-4-1971,
n. 169 e 11-12-1973, n. 176) in occasione dell’introduzione del divorzio (V, 3.4), onde escluderne il contrasto
con gli obblighi assunti in materia matrimoniale dallo Stato nei confronti della Chiesa cattolica col Concordato.
4
Fu la Costituzione francese del 1791 ad enunciare il principio per cui “la loi ne considère le mariage que
comme un contrat civil”.
436 PARTE V – FAMIGLIA

zione di un altro soggetto quale mero portavoce) e dall’art. 108 (divieto di apposizione
di termini o di condizioni).
Tendono ad essere, ormai, radicalmente superate le teorie che vedevano nel matri-
monio un negozio plurilaterale (al cui perfezionamento, cioè, concorrerebbe la dichiara-
zione del celebrante), ovvero, addirittura, un atto di natura pubblicistica, espressione di
poteri statali. La partecipazione del celebrante, pertanto, risulta necessaria, ma si pone
non sul piano sostanziale della volontà costitutiva dell’atto, bensì su quello formale della
richiesta solennità dell’atto (significativamente, l’art. 106 allude alla celebrazione “davan-
ti all’ufficiale dello stato civile”) 5.

A) ATTO
2. Le forme matrimoniali. – A seguito della rivendicazione della competenza del-
l’autorità statale anche con riguardo all’atto matrimoniale, l’unico matrimonio ricono-
sciuto come produttivo di effetti per l’ordinamento dello Stato restò quello contratto se-
condo le condizioni e le formalità previste dalla legislazione civile. Un tale sistema fu
quello seguito, sulle orme del code civil, dal nostro codice civile del 1865, con la conse-
guenza che il cittadino interessato a vedere pure consacrato religiosamente il proprio
vincolo matrimoniale doveva ricorrere ad una doppia celebrazione (restando solo quella
civile rilevante per il conseguimento, appunto, degli effetti civili) 6.
Il sistema fu profondamente mutato, nel quadro dei Patti Lateranensi, dal Concorda-
to fra Stato e Chiesa cattolica dell’11.2.1929, ratificato con L. 27.5.1929, n. 810, cui die-
de attuazione, per la parte relativa al matrimonio (art. 34), la c.d. legge matrimoniale del
27.5.1929, n. 847. La contemporanea L. 24.6.1929, n. 1159, poi, consentì e regolamentò
la celebrazione del matrimonio secondo i riti religiosi diversi da quello cattolico.
A fronte della conservazione dell’unicità della disciplina degli effetti del matrimonio,
il nostro ordinamento è risultato, così, caratterizzato da una pluralità di forme ma-
trimoniali. Fin dall’entrata in vigore del nuovo sistema, si è, peraltro, evidenziato co-
me, in realtà, le forme matrimoniali – almeno ove con ciò si intenda alludere a distinti
modelli dell’atto matrimoniale e non ad una mera differenziazione di formalità celebrati-
ve – fossero da ritenere solo due, quella civile e quella c.d. concordataria (in quanto
regolata dal Concordato e dalla relativa legislazione attuativa). Esclusivamente, cioè,
quello concordatario, richiamato dal codice civile all’art. 82, sarebbe assurto alla digni-
tà di peculiare modello di atto matrimoniale, essendosi l’ordinamento statale impegna-
to a riconoscere – con modesti limiti ed a condizione dell’osservanza di talune formali-
tà – effetti civili al matrimonio quale disciplinato dal diritto canonico, non solo dal

5
Ne costituisce riprova il perfezionamento dell’atto anche in caso di “matrimonio celebrato davanti a un
apparente ufficiale dello stato civile” (art. 113).
6
È da tenere presente che, dopo la restaurazione, la legislazione degli Stati preunitari (tra cui il codice civile
per il Regno delle Due Sicilie e quello del Regno di Sardegna) era nuovamente ritornata al riconoscimento della
competenza ecclesiastica in materia di contrazione del matrimonio. La diversa scelta del codice civile italiano
unitario fu giustificata sulla base del principio liberale di “libera Chiesa in libero Stato”, sottolineandosi nella
Relazione al codice civile che “il matrimonio, che è fondamento della famiglia, e perciò un’alta istituzione sociale,
deve cadere sotto le prescrizioni dello Stato … Può il matrimonio avere una sanzione più alta, la sanzione religio-
sa; ma questa è fuori della competenza dello Stato”.
CAP. 2 – MATRIMONIO 437

punto di vista delle modalità della celebrazione, ma (e soprattutto) sotto il profilo del
regime dei relativi requisiti sostanziali, riservando, inoltre, proprio all’ordinamento
confessionale la competenza giurisdizionale esclusiva sulla validità del matrimonio stesso
(V, 2.8).
Il matrimonio celebrato secondo i riti religiosi dei culti diversi da quello catto-
lico (cui rinvia il codice civile all’art. 83), invece, altro non sarebbe, nel sistema del
1929, che un matrimonio civile nella sostanza, solo la cui celebrazione avviene con le for-
malità proprie delle singole confessioni religiose, onde consentire ai nubendi di evitare
una doppia celebrazione: la disciplina dei requisiti dell’atto e la competenza a giudicare
circa la relativa validità spetta, infatti, esclusivamente all’ordinamento statale.
La revisione del Concordato del 18.2.1984 (ratificata con L. 25.3.1985, n. 121) – inter-
venuta in applicazione dell’art. 7 Cost., il quale, nel dare una copertura costituzionale ai
Patti Lateranensi, prevede che solo le relative modificazioni accettate dalle due parti non
richiedono procedimento di revisione costituzionale – e la nuova disciplina dei rapporti
con le confessioni religiose diverse da quella cattolica 7, hanno mutato il quadro ordina-
mentale di riferimento. È opinione diffusa che l’autonomia della forma matrimoniale
concordataria sia stata intaccata: da una parte, risultando assoggettato l’atto matrimonia-
le, ai fini del relativo riconoscimento agli effetti civili, ad un più penetrante controllo di
carattere sostanziale; dall’altra, reputandosi superata la riserva di giurisdizione a favore
degli organi ecclesiastici sulla validità dell’atto stesso (V, 2.8). Al contempo, le procedure
previste per il matrimonio dei culti acattolici e per il conseguimento della relativa effica-
cia civile si presentano alquanto modificate, proprio per renderle tendenzialmente omo-
genee rispetto a quelle stabilite per il matrimonio concordatario.
Resta, comunque, una rilevante diversità, costituita dalla competenza – anche se or-
mai solo concorrente – degli organi giurisdizionali ecclesiastici in ordine al giudizio sulla
validità dell’atto matrimoniale, con conseguente applicazione delle norme del diritto ca-
nonico anche per quanto riguarda la ricorrenza dei suoi requisiti 8.

3. Libertà matrimoniale e promessa di matrimonio. – In considerazione della fun-


zionalità dell’esperienza familiare a contribuire allo sviluppo della personalità del sogget-
to, il diritto alla formazione di una famiglia (e, quindi, anche a contrarre matrimonio) rap-
presenta un vero e proprio diritto fondamentale della persona, garantito dall’ordinamento
come espressione della sua libertà. Significativamente, un tale diritto è sancito, a livello so-

7
Tale nuova disciplina dei rapporti con le confessioni religiose diverse dalla cattolica è intervenuta con
leggi basate su i n t e s e con le relative rappresentanze (in applicazione dell’art. 83 Cost.). Simili intese sono,
ormai, numerose, a partire da quella con le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese (L. 11.8.1984, n. 449), fino
a quella con la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (L. 29.11.1995, n. 520), particolare rilevanza assumendo
l’intesa con le Comunità ebraiche italiane (L. 8.3.1989, n. 101).
8
È evidente come indubbio rilievo, ai fini di una persistente considerazione di quella concordataria
quale vera e propria forma matrimoniale, assumano, da un lato, i criteri adottati – alla luce del nuovo qua-
dro ordinamentale – dagli organi giurisdizionali statali deputati al controllo delle decisioni ecclesiastiche
per il relativo riconoscimento agli effetti civili; dall’altro, l’utilizzazione da parte dei giudici statali, per le
valutazioni da operare circa la validità dell’atto matrimoniale (ora consentite dato il venir meno della riser-
va di giurisdizione e la conseguente concorrenza della giurisdizione civile e di quella ecclesiastica), della
normativa civile statale o della disciplina canonistica (come pure ritenuto – peraltro senza reale riscontro
nella pratica – preferibile da taluni) (V, 2.8).
438 PARTE V – FAMIGLIA

pranazionale, dall’art. 12 Conv. eur. dir. uomo e dall’art. 9 Carta dir. fond. U.E. 9.
La libertà matrimoniale è garantita contro ogni tentativo di influenzarla. Così,
l’art. 636 considera espressamente illecita la condizione testamentaria rivolta ad impedi-
re “le prime nozze e le ulteriori” (XII, 2.12), dovendosi considerare pure illecita (per
contrarietà all’ordine pubblico) qualunque clausola negoziale tendente al medesimo fine
di condizionare la volontà matrimoniale.
È in tale prospettiva, che la promessa di matrimonio, non solo non obbliga a contrar-
lo, ma neppure ad adempiere prestazioni cui ci si sia eventualmente impegnati per il caso
di ripensamento (art. 79). Essa – se reciproca e formale (tale essendo considerata quella
fatta per atto pubblico o scrittura privata, ovvero risultante dalla richiesta delle pubbli-
cazioni) – obbliga esclusivamente a risarcire il danno cagionato all’altra parte per le spese
fatte e per le obbligazioni assunte in vista del matrimonio. Ciò, peraltro, solo se il rifiuto
a contrarre il matrimonio non sia stato determinato da un giusto motivo e sempre entro i
limiti della relativa congruità rispetto alla condizione sociale delle parti (art. 81, ove si
prevede che la domanda di risarcimento deve essere proposta entro l’anno dal rifiuto di
celebrare il matrimonio) 10.
Devono essere in ogni caso restituiti i doni che i fidanzati si siano fatti a causa della
promessa di matrimonio (art. 80, ove pure si prevede, per la relativa richiesta, un termi-
ne annuale dal rifiuto di celebrazione, ovvero dalla morte dell’altro fidanzato) 11. Si ritie-
ne che vi sia, inoltre, un obbligo di restituzione delle fotografie e della corrispondenza (ed
altri oggetti simili), non tanto in quanto doni, ma in osservanza di una consuetudine 12.

4. Il matrimonio civile. Requisiti. – Per assicurare che il matrimonio sia idoneo a


porsi a base di una compagine familiare atta ad assolvere il suo ruolo di formazione so-

9
Mentre nella prima disposizione si allude al “diritto di sposarsi e di fondare una famiglia” da parte di
“uomini e donne”, nella seconda, più recente, “garantiti” risultano “il diritto di sposarsi e il diritto di costitui-
re una famiglia”, nel chiaro intento – con una simile distinzione di “diritti” – di registrare la tendenza a non
ritenere ormai limitata la rilevanza della esperienza familiare alla famiglia (eterosessuale) fondata sul matri-
monio (con conseguente riconoscimento alle “leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio” della competen-
za ad articolare la relativa regolamentazione, evidentemente prestando attenzione alle concrete realtà sociali
dei diversi paesi).
10
Cass. 15-4-2010, n. 9052, ha considerato quella dell’art. 81 “una singolare obbligazione ex lege a carico
della parte che si avvale del diritto di recesso dalla promessa di matrimonio … una particolare forma di ripa-
razione riconosciuta al di fuori di un presupposto di illiceità”, l’onere della prova dell’esistenza di un giusto
motivo “incombendo sul recedente”. Parla “non di una piena responsabilità per danni, ma di un’obbligazione
ex lege”, anche Cass. 2-1-2012, n. 9, con esclusione della risarcibilità di voci di danno diverse da quelle con-
template dall’art. 81, “e men che mai di eventuali danni non patrimoniali”. Il necessario collegamento delle
spese di cui si chiede il ristoro con il matrimonio è chiarito da Cass. 15-10-2015, n. 20889 (con riferimento
all’abito da sposa, agli arredi ed ai lavori di ristrutturazione relativi alla casa destinata ad essere coniugale).
11
Cass. 8-2-1994, n. 1260, ha precisato che l’obbligo di restituzione in questione – da escludere per i beni
consumabili o deteriorabili – sorge comunque, a prescindere, quindi, da requisiti di forma della promessa e
indipendentemente dalle cause del mancato matrimonio.
12
Si è arrivati – invero discutibilmente, soprattutto per le conseguenze che se ne sono tratte – a identifica-
re, “nella fase precedente il matrimonio”, “nella prospettiva della costituzione di tale vincolo un obbligo di
lealtà, di correttezza e di solidarietà, che si sostanzia anche in un obbligo di informazione di ogni circostanza
inerente le proprie condizioni psicofisiche e di ogni situazione idonea a compromettere la comunione mate-
riale e spirituale alla quale il matrimonio è rivolto” (Cass. 10-5-2005, n. 9801, che reputa risarcibile, quindi, la
lesione della personalità connessa alla eventuale frustrazione del “diritto alla sessualità” di uno dei coniugi).
CAP. 2 – MATRIMONIO 439

ciale fondamentale per lo sviluppo della personalità del soggetto, l’ordinamento richiede
che i nubendi abbiano taluni requisiti (tradizionalmente, al riguardo, si parla di impe-
dimenti matrimoniali, mentre il codice usa la terminologia di “condizioni necessarie per
contrarre matrimonio”). In taluni casi, la mancanza del requisito può essere superata
mediante autorizzazione (impedimenti dispensabili) 13.
Non risulta esplicitamente annoverata tra i requisiti del matrimonio la diversità di ses-
so, la cui rilevanza viene ricavata da una interpretazione sistematica dell’intera disciplina
matrimoniale vigente, quale principio inespresso, ma posto a fondamento dell’insieme
delle disposizioni dettate in materia matrimoniale (si pensi a quelle che alludono a “ma-
rito” e “moglie”, come gli artt. 1071, 1081, 1431 e 143 bis) 14.

13
Il catalogo degli impedimenti matrimoniali si presenta alquanto differente nell’ordinamento canonico,
comportando ciò delicati problemi, affrontati in sede di disciplina concordataria (e di relativa interpretazio-
ne), sia ai fini del riconoscimento dell’atto agli effetti civili, sia per quanto concerne la delibazione delle sen-
tenze ecclesiastiche relativamente alla validità del matrimonio (V, 2.8).
14
La d i v e r s i t à d i s e s s o è stata da Cass. 22-2-1990, n. 1304, ritenuta, anzi, addirittura costituire (peral-
tro, in una prospettiva, come più oltre si vedrà, ormai superata) uno dei requisiti minimi per l’esistenza stessa
del matrimonio. Proprio in considerazione di una tale essenzialità, Trib. Latina 10-6-2005 ha reputato non
trascrivibile nei registri dello stato civile il matrimonio contratto tra cittadini italiani dello stesso sesso
all’estero (in un paese – nella specie l’Olanda – la cui legislazione pure lo consente): “allo stato dell’evolu-
zione della società italiana, il matrimonio tra persone dello stesso sesso contrasta con la storia, la tradizione, la
cultura della comunità italiana, secondo una valutazione recepita dal legislatore e trasfusa nelle norme di leg-
ge, sia di rango costituzionale sia ordinarie”. E ciò per contrasto con il limite che l’ordine pubblico pone al
riconoscimento degli atti e dei provvedimenti anche degli altri Stati membri della C.E. (limite considerato sussi-
stente alla luce della vigente disciplina interna e comunitaria). App. Roma 13-7-2006, pur non escludendo la
possibilità di una futura “ricezione in ambito giuridico di nuove figure alle quali sia la società ad attribuire il
senso ed il valore della esperienza ‘famiglia’”, ha confermato tale decisione, assumendo come inammissibile,
allo stato, “una forzatura in via interpretativa dell’istituto matrimoniale” (in senso sostanzialmente analogo,
App. Firenze 30-6-2008). Comunque, Trib. Venezia, ord. 3-4-2009, ha considerato fondato il dubbio di legit-
timità costituzionale della disciplina preclusiva del matrimonio tra persone dello stesso sesso (anche alla luce
della tendenza sopranazionale per “una nozione di relazioni familiari tale da includere le coppie omosessua-
li”). Corte cost. 15-4-2010, n. 138 (che ha trovato conferma in Corte cost., ord. 22-7-2010, n. 276, in una pro-
spettiva condivisa da Corte cost. 11-6-2014, n. 170), nel ritenere spettante “al Parlamento, nell’esercizio della
sua piena discrezionalità, individuare forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando
riservata alla Corte costituzionale la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni”, ha affermato
che ogni interpretazione evolutiva dei precetti costituzionali “non può spingersi fino al punto d’incidere sul
nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non conside-
rati in alcun modo quando fu emanata”: si deve, insomma, ribadire – non essendo consentito “procedere ad
un’interpretazione creativa” – che l’art. 29 “non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese
riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto” (la normativa del codice civile contem-
plante “esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna” non potendo, allora, “considerarsi illegittima sul
piano costituzionale”, trovando fondamento proprio nell’art. 29 e non dando luogo “ad una irragionevole
discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”).
Quanto, poi, alla disciplina sopranazionale (artt. 12 CEDU e 9 Carta dir. fond. U.E.), la Corte sottolinea che
essa “non impone la piena equiparazione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimo-
niali tra uomo e donna” (dato il relativo “rinvio alle leggi nazionali”, con conseguente riconoscimento della
“discrezionalità del Parlamento”). Anche la Corte europea dir. uomo (24-6-2010), con un iter argomentativo
in parte simile, pur ritenendo rientrare nel concetto della “vita familiare” tutelata dall’art. 8 CEDU l’unione
tra persone dello stesso sesso, ha escluso che gli Stati siano vincolati ad estendere l’istituto matrimoniale alle
unioni omosessuali, riconoscendo ai diversi legislatori – in un quadro europeo persistentemente caratterizzato
da scelte molto differenziate sul punto – discrezionalità in proposito. Per contrasto con l’ordine pubblico (cui
si riferisce l’art. 18, D.P.R. 396/2000, sull’ordinamento dello stato civile), il matrimonio celebrato all’estero
tra persone dello stesso sesso, una delle quali cittadino italiano, non è stato ritenuto trascrivibile dalla circola-
440 PARTE V – FAMIGLIA

Proprio l’importanza che assume il matrimonio, quale atto fondativo della famiglia,
ha indotto, in sede di riforma del 1975, a richiedere che gli sposi abbiano una età tale da
farne presumere una adeguata maturità di determinazione volitiva. L’art. 84, pertanto,
prendendo le distanze dal sistema precedente 15, ammette al matrimonio, in linea di prin-
cipio, solo il maggiorenne. Può essere ammesso al matrimonio, su istanza dell’interessato,
anche il sedicenne, ma solo a seguito di autorizzazione del Tribunale per i minorenni, ove
ricorrano gravi motivi, previo accertamento – ad esito di un procedimento rigoroso –
della sua maturità psico-fisica e della fondatezza delle ragioni addotte 16.

re del Ministero dell’interno del 26.3.2001 (nonché da quella del 18.10.2007). L’orientamento contrario alla
trascrivibilità risulta mantenuto fermo anche nella successiva circolare del 7.10.2014, contro l’atteggiamento
favorevole assunto nei provvedimenti di alcuni Sindaci. In proposito, Cons. Stato, sez. III, 26-10-2015, n.
4899 (comunque cassata da Cass., sez. un. 27-6-2018, n. 16959), esclusa la configurabilità di “un diritto fon-
damentale della persona al matrimonio omosessuale”, ha smentito le conclusioni di T.A.R. Lazio 9-3-2015,
che si era pronunciato nel senso della illegittimità dell’annullamento prefettizio delle trascrizioni effettuate. E
ciò pur considerando la portata della sentenza della Corte eur. dir. uomo (21-7-2015), con cui è stata ritenuta
illegittima, per contrasto con l’art. 8 CEDU, la persistente inerzia, da parte dell’Italia, nella introduzione di una
adeguata regolamentazione delle unioni tra persone dello stesso sesso, in conseguenza del – considerato necessa-
rio – “riconoscimento giuridico e tutela della loro relazione”. Peraltro, Cons. Stato, sez. III, 1-12-2016, n. 5047,
ha confermato l’annullamento della circolare da ultimo ricordata (da parte di T.A.R. Friuli Venezia Giulia
21-5-2015, n. 228). Notevole interesse presenta Cass. 15-3-2012, n. 4184, la quale, ad esito di una vasta rico-
gnizione della disciplina nazionale e sopranazionale (con particolare riferimento all’art. 12 CEDU), ha ritenu-
to di poter giungere alla conclusione per cui una simile intrascrivibilità dipenderebbe non dalla “finora ripe-
tutamente affermata ‘inesistenza’ di un matrimonio siffatto” e neppure – una volta esclusa anche una sua
“contrarietà all’ordine pubblico” – “dalla ‘invalidità’, ma dalla inidoneità a produrre, quale atto di matrimo-
nio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”. La trascrivibilità di un “matrimonio con-
tratto in Francia da due cittadine francesi (di cui una anche cittadina italiana iure sanguinis)” è stata comun-
que ammessa, pur alla luce dell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale, nazionale e sopranazionale, per
le peculiari caratteristiche della relativa fattispecie, da App. Napoli decr. 8-7-2015. Il rifiuto di procedere alle
pubblicazioni matrimoniali tra persone dello stesso sesso è stato ritenuto persistentemente legittimo da Cass.
9-2-2015, n. 2400, nonostante il riconosciuto indubbio “processo di costituzionalizzazione delle unioni tra
persone dello stesso sesso”. In ogni caso, Corte eur. dir uomo 14-12-2017, nel considerare, in prospettiva fu-
tura, la nuova legislazione italiana in tema di unione civile tale da “apprestare più o meno la stessa protezione
rispetto al matrimonio con riguardo alle fondamentali esigenze di una coppia in stabile ed impegnativa rela-
zione” (e, quindi, implicitamente avallando la legittimità dell’eventuale riconoscimento, in Italia, degli effetti
dell’unione civile ai matrimoni contratti all’estero), ha reputato, quanto al passato, contrario all’art. 8 CEDU
il (pregresso) rifiuto di trascrizione del matrimonio contratto all’estero. In proposito, si ricordi come l’art. 128,
lett. b, L. 76/2016 abbia demandato ad un decreto delegato la modificazione della disciplina di diritto inter-
nazionale privato, “prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso
regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero
matrimonio, unione civile o altro istituto analogo”. Con il conseguente D.Lgs. 19.1.2017, n. 7, è stato intro-
dotto nella L. 31.5.1995, n. 218, un art. 32 bis, il quale dispone che “il matrimonio contratto all’estero da cit-
tadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana”.
Cass. 14-5-2018, n. 11696, premesso come, in tal modo, “il legislatore italiano abbia inteso esercitare piena-
mente la libertà di scelta del modello di riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive”, ha concluso che,
mentre i matrimoni contratti all’estero tra cittadini entrambi stranieri possono essere trascritti come tali in
Italia, conservando la propria efficacia originaria (di matrimonio), quelli contratti all’estero tra cittadini italia-
ni, ovvero tra cittadini l’uno italiano e l’altro straniero (c.d. “matrimoni misti”), sono trascrivibili solo come
unioni civili, producendo i relativi effetti.
15
Nella sua formulazione originaria, il codice civile, evidentemente ponendosi nell’ottica della maturità ses-
suale (secondo la tradizionale prospettiva del diritto canonico), fissava l’età matrimoniale a 14 ed a 16 anni,
rispettivamente per la donna e per l’uomo (e, con apposita dispensa, rispettivamente a 12 e 14).
16
Particolarmente delicato, ovviamente, è il giudizio relativo alla gravità dei motivi addotti, per il pericolo
CAP. 2 – MATRIMONIO 441

Preclude il matrimonio l’interdizione per infermità di mente (art. 85), trattandosi di


forma di incapacità che l’ordinamento ricollega, con finalità protettive del soggetto stes-
so (art. 414), ad una totale inettitudine a provvedere ai propri interessi, anche di caratte-
re personale (IV, 1.12). Possono, invece, contrarre matrimonio l’interdetto a seguito di
condanna penale e l’inabilitato 17.
Il requisito della libertà di stato, per cui non può contrarre matrimonio chi sia già
vincolato matrimonialmente (art. 86), costituisce, poi, espressione di uno dei principi
cardine, più che del nostro sistema familiare, della nostra stessa organizzazione sociale,
storicamente fondata, appunto, sulla monogamia (la bigamia è prevista anche come reato
dall’art. 556 c.p.).
Addirittura su uno dei pilastri della nostra civiltà, l’esogamia, si fonda il divieto ma-
trimoniale dipendente dalla esistenza di uno stretto rapporto di parentela e affinità (art.
87). Il divieto è ricollegato anche alla esistenza di un rapporto di filiazione adottiva 18. Il
divieto, non dispensabile, riguarda gli ascendenti e i discendenti, i fratelli e le sorelle (an-
che se unilaterali), gli affini in linea retta (per i quali la dispensa è ammessa se l’affinità
deriva da un matrimonio dichiarato nullo), nonché l’adottante e l’adottato (e i suoi discen-
denti), i figli adottivi della stessa persona, il figlio adottivo ed i figli della stessa persona,
l’adottato e il coniuge dell’adottante (e viceversa). Può essere autorizzato dal tribunale il
matrimonio tra zii e nipoti e quello tra affini in linea collaterale di secondo grado (cognati).
L’art. 88 preclude il matrimonio tra le persone delle quali l’una sia stata condannata
per omicidio consumato o tentato nei confronti del coniuge dell’altra (delitto). L’omici-
dio deve essere stato commesso dolosamente (non sembra valere, cioè, a determinare il
divieto se colposo o preterintenzionale).
L’insorgere di eventuali difficoltà nell’attribuzione della paternità (la c.d. turbatio san-
guinis), in conseguenza dell’eventuale concorso di presunzioni contrastanti (quelle, in par-
ticolare, di cui all’art. 2321), si pone storicamente a base del divieto temporaneo di nuove
nozze. Esso è disposto, con una previsione (art. 89) complessa e ripetutamente modificata
(forse, ormai, addirittura inutile), per la donna prima che siano trascorsi 300 giorni dallo
scioglimento (per morte o divorzio) o dall’annullamento del precedente matrimonio (con
numerose limitazioni, giustificate dalla non ricorrenza, in taluni casi, delle ragioni del divie-
to stesso). Si tratta di una ipotesi tipica di mera irregolarità, dato che la relativa trasgressio-
ne comporta solo l’irrogazione di una (modesta) sanzione pecuniaria (art. 140).

di finire col perpetuare, di fatto, la situazione precedente alla riforma, avallando costumi (come il c.d. matri-
monio riparatore), che si è inteso superare. Così, fughe d’amore e gravidanze, almeno di per se stesse (in
mancanza, cioè, di ulteriori circostanze concrete, anche di carattere ambientale), tendono a non essere consi-
derate sempre decisive. Nel senso, peraltro, dell’opportunità di “interpretare restrittivamente la nozione di
‘gravi motivi’”, in un’ottica di decisa valorizzazione – alla luce dell’univoca tendenza in tale direzione dell’or-
dinamento – della volontà del minore nubendo, almeno se libera da condizionamenti, Trib. min. Caltanissetta
26-10-2017.
17
Anche al beneficiario dell’amministrazione di sostegno (IV, 1.14) potrà essere precluso il matrimonio
nel contesto del relativo provvedimento, estendendo a lui (ai sensi dell’art. 4114) la limitazione sussistente, in
proposito, per l’interdetto.
18
Si ritiene che i divieti di cui ai nn. 6, 7, 8 e 9 dell’art. 87 concernano pure l’adozione di persone maggio-
renni. I divieti matrimoniali continuano a gravare anche sul minore adottato, nonostante la generale cessazio-
ne dei suoi rapporti con la famiglia di origine (art. 27 L. 4.5.1983, n. 184).
442 PARTE V – FAMIGLIA

5. Formalità e celebrazione. – Le formalità che precedono la celebrazione del ma-


trimonio, rispondono alla funzione di rendere nota la relativa intenzione dei nubendi,
consentendo a chi ne sia a conoscenza di proporre opposizione. Si tratta, peraltro, di una
funzione, almeno in larga misura, superata nell’odierna società.
La pubblicazione (la cui complessa regolamentazione – artt. 93 ss. – è stata alquanto
snellita dal D.P.R. 3.11.2000, n. 396) consiste nell’affissione per almeno otto giorni (a cura
dell’ufficiale dello stato civile), in appositi spazi presso la porta della casa comunale, di un
avviso contenente i dati identificativi di chi intende sposarsi. La formalità (considerata ipo-
tesi di pubblicità-notizia) può essere abbreviata od omessa con autorizzazione del tribunale.
La celebrazione in sua mancanza, comunque, non inficia il matrimonio, essendo prevista
per i trasgressori (sposi e ufficiale di stato civile) solo una sanzione pecuniaria.
L’art. 102 elenca le persone che possono fare opposizione (in genere, genitori e paren-
ti prossimi; il pubblico ministero deve fare opposizione), ove siano a conoscenza di un
impedimento. Sull’opposizione, da proporre con ricorso al presidente del tribunale del
luogo dove è stata eseguita la pubblicazione (che può sospendere, se lo ritiene opportu-
no, la celebrazione), decide il tribunale con decreto motivato.
Trascorsi tre giorni successivi alla pubblicazione senza che sia stata fatta alcuna opposi-
zione (art. 99), l’ufficiale dello stato civile può procedere alla celebrazione del matrimonio.
Questa avviene pubblicamente, in linea di massima nella casa comunale (art. 106 e, per le
eccezioni, art. 110), alla presenza di due testimoni, con le relative dichiarazioni, fatte perso-
nalmente 19, di ciascuno degli sposi, previa lettura degli artt. 143, 144 e 147, cui segue la
dichiarazione dell’ufficiale dello stato civile che essi sono uniti in matrimonio (art. 107).
Il matrimonio è atto puro, che non ammette, cioè, termini o condizioni. Ove le parti
le appongano, l’ufficiale di stato civile non può procedere alla celebrazione del matri-
monio, che, comunque, ove ugualmente celebrato, produrrà i suoi effetti normali, il ter-
mine o la condizione dovendosi considerare non apposti (art. 108).
L’ufficiale dello stato civile redige, quindi, l’atto di matrimonio, nel quale sono even-
tualmente inserite le dichiarazioni consentite (artt. 1622 e 283, rispettivamente, scelta del
regime patrimoniale di separazione dei beni e riconoscimento di un figlio naturale). L’at-
to viene, poi, iscritto nell’archivio informatico del Comune. L’atto di matrimonio (inteso
qui nel senso di documento) assume notevole rilevanza, dato che la sua presentazione
rappresenta l’essenziale strumento di prova del matrimonio (art. 130) 20. Il possesso di
stato 21, pur valendo a sanare i vizi di forma dell’atto (se ad esso conforme: art. 131), non
può, però, supplire alla sua mancanza, ma solo consentire la prova della celebrazione, nel
caso in cui l’atto non risulti essere stato inserito nei registri a ciò destinati (art. 1322) 22.

19
Del tutto eccezionale è la possibilità che la dichiarazione matrimoniale sia fatta da altri per conto del-
l’interessato. Ciò risulta ammesso solo in tempo di guerra, ovvero, previa autorizzazione del tribunale, se uno
degli sposi risiede all’estero e concorrono gravi motivi (art. 111). Anche se si parla, in tal caso, di celebrazione
per procura, qui, in realtà, non si è in presenza di un’ipotesi di rappresentanza, assumendo il terzo che inter-
viene alla celebrazione la veste di un mero portavoce (nuncius) dello sposo.
20
Tanto che nell’atto di matrimonio, in considerazione del fatto che la mancanza di tale documento impe-
disce, in sostanza, la rivendicazione dello stato coniugale, si tende a ravvisare il titolo dello stato matrimoniale.
21
Elementi costitutivi del possesso di stato sono il nome (corrente identificazione della coppia col cogno-
me previsto in conseguenza del matrimonio), il trattamento (reciproco rispetto dei doveri) e la fama (ricono-
scimento nella società dei due soggetti come marito e moglie).
22
Sono disciplinati, assoggettandoli al rispetto dei requisiti previsti per il matrimonio, il matrimonio del
CAP. 2 – MATRIMONIO 443

6. Invalidità del matrimonio. – Taluni difetti del procedimento di celebrazione del


matrimonio danno luogo a mera irregolarità, con conseguente esclusiva irrogazione di
una sanzione pecuniaria a carico dell’ufficiale dello stato civile e, eventualmente, degli
sposi (artt. 134 ss.: omissione delle pubblicazioni, mancata presenza dei testimoni, in-
competenza dell’ufficiale dello stato civile e mancato rispetto da parte sua di altre forma-
lità, inosservanza del divieto temporaneo di nuove nozze).
La violazione delle prescrizioni in materia di requisiti richiesti per contrarre matri-
monio e la difettosità del consenso determinano l’inettitudine dell’atto matrimoniale a
produrre i suoi effetti, con la relativa possibilità, accordata ad una più o meno ampia sfe-
ra di soggetti, di contestarne la validità. L’invalidità del matrimonio si ricollega, appun-
to, ai difetti genetici dell’atto matrimoniale, mentre un difettoso svolgimento del rapporto
matrimoniale (che provoca la crisi della famiglia) consente, nei casi ed alle condizioni
stabilite dall’ordinamento, la richiesta della separazione personale e del divorzio (cui con-
segue lo scioglimento del rapporto stesso) 23.
Si parla, talvolta, anche di inesistenza del matrimonio, per alludere alla situazione in
cui risultino, nel procedimento seguito, carenze tali da impedire la stessa identificabilità
come atto matrimoniale di quanto sia stato posto in essere dalle parti (con impossibilità,
quindi, in particolare, di ricollegarvi anche quegli effetti che l’ordinamento riconosce
pure al matrimonio invalido: V, 2.7) 24.
Proprio la disciplina della invalidità dell’atto matrimoniale rappresenta la conferma
della peculiarità della materia familiare rispetto a quella contrattuale (e della conseguen-
te inammissibilità – almeno senza un adeguato controllo di compatibilità di principi e
regole – di una relativa assimilazione in via interpretativa: V, 1.5). Le categorie generali

cittadino all’estero (art. 115) e il matrimonio dello straniero nello Stato (art. 116, secondo cui lo straniero deve
presentare una dichiarazione di nulla-osta del proprio paese: la previsione della necessità – ai sensi della L.
15.7.2009, n. 94, per contrastare il fenomeno dei c.d. matrimoni di comodo – di presentare anche “un docu-
mento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano” è stata dichiarata costituzionale illegittima
da Corte cost. 25-7-2011, n. 245).
23
Pur essendo concettualmente chiara la distinzione dei piani su cui operano l’invalidità e lo scioglimento
del matrimonio (rispettivamente, l’atto ed il rapporto matrimoniale), è da sottolineare che non mancano inter-
ferenze tra i due piani, come risulta evidente già dalla rilevanza accordata dall’ordinamento a valutazioni rela-
tive al profilo funzionale del matrimonio (all’attuazione, cioè, del rapporto) per sopperire a difetti del relativo
atto (artt. 1116, 1172, 1192, 1202, 1224, 1232). Risulta evidente, inoltre, come la possibilità di sciogliere il matri-
monio con il divorzio, consentendo di raggiungere (e, in genere, più agevolmente) un risultato, dal punto di
vista pratico, analogo a quello della relativa dichiarazione di nullità (cioè, la libertà di stato), valga a rendere
meno avvertita – rispetto a quanto si verifica in regime di indissolubilità del matrimonio, in cui si tratta
dell’unica via offerta per conseguire il risultato avuto di mira – l’esigenza di far valere l’invalidità dell’atto ma-
trimoniale (con conseguente notevole diminuzione della rilevanza delle regole concernenti la validità dell’atto
matrimoniale ed il relativo azionamento).
24
Secondo Cass. 22-2-1990, n. 1304, i requisiti minimi per la stessa configurabilità giuridica del matrimonio
(e, quindi, per la sua esistenza) sono rappresentati dalla “manifestazione di volontà matrimoniale, da parte di due
persone di sesso diverso, ad un ufficiale celebrante”, “in caso contrario, verificandosi una situazione di inesisten-
za”. Tale situazione si verifica, cioè, “nella sola ipotesi … di totale assenza di quella realtà fenomenica che costi-
tuisce la base naturalistica della fattispecie” (Cass. 9-6-2000, n. 7877). Si tenga presente, peraltro, come Cass. 15-
3-2012, n. 4184, particolarmente in considerazione dell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale soprana-
zionale, abbia escluso che si possa parlare di “inesistenza” del matrimonio in conseguenza dell’identità di sesso
dei nubendi, “essendo radicalmente superatala concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è pre-
supposto indispensabile, per così dire ‘naturalistico’, della stessa ‘esistenza’ del matrimonio”.
444 PARTE V – FAMIGLIA

dell’invalidità quali previste per il contratto (nullità e annullabilità: VIII, 9.4-10) risulta-
no, in effetti, estranee alla disciplina dettata per il matrimonio (artt. 117 ss.): ciò pare at-
testato già dal contestuale impiego della terminologia di “nullità” (nell’intitolazione della
relativa sezione del codice) e di quella di “impugnazione” (con riguardo alle singole ipo-
tesi considerate) 25, per indicare l’azione finalizzata a far valere le carenze dell’atto ma-
trimoniale (si parla, peraltro, anche di domanda e di azione di nullità, artt. 125 e 126, e di
annullamento, art. 1172), alludendosi, poi, per regolarne gli effetti comunque prodotti, al
matrimonio dichiarato nullo (art. 128).
Sembra preferibile, quindi, limitarsi a constatare come, in materia matrimoniale, lun-
gi dal ricorrere la netta contrapposizione al riguardo esistente in materia contrattuale tra
il regime degli artt. 1421 (per la nullità) e 1441 (per l’annullabilità), assai articolato risulti
la regolamentazione della legittimazione ad agire 26: il matrimonio può essere impu-
gnato, in alcuni casi, oltre che dai coniugi, dagli ascendenti prossimi e dal pubblico mini-
stero, anche da tutti coloro che abbiano “un interesse legittimo e attuale” (art. 1171: con-
trasto con le regole concernenti la libertà di stato, delitto e vincolo derivante da parente-
la, affinità e adozione) 27; in altri casi, dal tutore, dal pubblico ministero e da tutti coloro
che abbiano “un interesse legittimo” (art. 119, che, in caso di interdizione, legittima an-
che la persona che era interdetta dopo la revoca dell’interdizione), ovvero dai coniugi,
dai genitori e dal pubblico ministero (art. 1172, difetto di età); in altri casi ancora, dai
due coniugi (art. 123, simulazione) o solo dal coniuge il cui consenso risulti viziato (art.
120, incapacità naturale, nonché art. 122, violenza, timore ed errore).
La distinzione tra nullità ed annullabilità 28 può essere utilizzata, al più, per contrap-
porre le ipotesi di invalidità insanabile (come in caso di mancanza della libertà di
stato, di delitto, nonché di vincolo di parentela, affinità, adozione e affiliazione, non su-
perabile con autorizzazione) a quelle in cui il vizio dell’atto matrimoniale sia rimediabile
(sanabile, secondo la terminologia corrente). La sanatoria del vizio opera, in genere, in
conseguenza della coabitazione (da intendersi, comunque, non come mera condivisione
dell’alloggio, ma nel senso di vera e propria convivenza come coniugi, secondo la più

25
Si ricordi come di impugnazione si tenda correntemente a parlare, in materia contrattuale, con riferi-
mento all’azione indirizzata alla contestazione degli effetti del contratto annullabile (VIII, 9.8).
26
L’azione per impugnare il matrimonio si trasmette agli eredi solo quando il giudizio è già pendente alla
morte del soggetto che lo abbia promosso (in quanto legittimato) (art. 127). Cass. 30-6-2014, n. 14794, nel
considerare conseguentemente non legittimati alla proposizione dell’azione di annullamento gli eredi di chi,
al momento delle nozze, versava in stato di incapacità naturale (art. 120) – come pure in caso di matrimonio
contratto in presenza di vizi della volontà (artt. 122 e 123) – e sia deceduto senza aver proposto tale azione,
sottolinea come “rimane comunque impregiudicata la legittimazione all’impugnazione da parte degli eredi nei
casi in cui la legge la riconosca a tutti coloro che abbiano un interesse legittimo e attuale, a norma degli artt.
117 e 119 c.c.”. Circa la regola per cui l’azione di nullità non può essere promossa dal pubblico ministero do-
po la morte di uno dei coniugi (art. 115), Cass. 28-2-2018, n. 4653.
27
Cass. 6-2-1986, n. 720, ha cercato di meglio precisare i limiti della portata di una simile legittimazione,
estesa a “tutti coloro che abbiano … un interesse legittimo e attuale”, sottolineando come un interesse rile-
vante sia configurabile solo ove la posizione del terzo, che intenda far valere la invalidità, inerisca a “rapporti
che attengono alla famiglia”, trattandosi, quindi, “di interessi omogenei alla natura del rapporto che forma
oggetto dell’azione di nullità” (si è, così, in particolare, negata la legittimazione dell’I.N.P.S. ad impugnare il
matrimonio per bigamia).
28
Una tale distinzione emerge esplicitamente dalla nuova intitolazione del capo II del titolo IX (libro I),
in relazione all’esercizio della responsabilità genitoriale (V, 4.9-10).
CAP. 2 – MATRIMONIO 445

puntuale espressione impiegata nell’art. 1232), successivamente al venir meno del motivo
di invalidità (protratta per almeno un anno, per i vizi cui si riferiscono gli artt. 1192, in-
terdizione, 1202, incapacità di intendere o di volere, e 1224, violenza, timore ed errore;
anche solo temporanea in tema di effetti della revoca della procura, art. 1116; al fatto
stesso dell’instaurarsi della convivenza dopo la celebrazione del matrimonio si allude nel
caso di simulazione, art. 1232) 29. A un effetto sanante del mero trascorrere del tempo si
riferisce, per la simulazione, in alternativa alla convivenza, l’art. 1232 (un anno dalla ce-
lebrazione del matrimonio); non diversamente, l’art. 1172 (un anno dal raggiungimento
della maggiore età), onde precludere l’azione al minore divenuto maggiorenne 30, e l’art.
1174 (un anno dalla celebrazione), per i casi in cui si sarebbe potuto autorizzare il ma-
trimonio, nonostante il relativo divieto (ai sensi dell’art. 874).
Tenendo presente quanto appena precisato circa la legittimazione all’azione e la sana-
bilità o meno del vizio dell’atto nelle diverse ipotesi, il matrimonio è considerato impu-
gnabile ove sia stato contratto in assenza di uno dei suoi requisiti (su cui ci si è soffermati
dianzi: V, 2.4): innanzitutto (art. 117), in violazione degli artt. 84 (età), 86 (libertà di sta-
to), 87 (parentela, affinità, adozione e affiliazione), 88 (delitto). Esso può essere impugna-
to (art. 119) pure nell’ipotesi di interdizione per infermità di mente (art. 85).
Sempre in tema di cause di invalidità del matrimonio, poi, è da sottolineare come la
riforma del 1975 abbia inteso valorizzare l’integrità e l’effettività della volontà matrimo-
niale, estendendo, in particolare, la rilevanza invalidante dei vizi del consenso 31.
Dal punto di vista delle carenze del profilo volitivo, il matrimonio risulta impugnabile,
in primo luogo, per incapacità di intendere o di volere (incapacità naturale), qualunque
sia la causa, anche transitoria, della menomazione della sfera decisionale del soggetto,
purché sussistente al momento della celebrazione (art. 120) 32.
Quali vizi del consenso, l’art. 122 contempla la violenza, il timore e l’errore. Resta

29
Le disposizioni che prevedono l’improponibilità dell’azione in dipendenza della convivenza sono sem-
brate – secondo un indirizzo seguito anche dalla Cassazione, poi sostanzialmente sconfessato dalle sezioni
unite (V, 2.8, pure per i recenti sviluppi della questione) – espressione di un principio generale, di carattere fon-
damentale, del nostro ordinamento: quello, cioè, secondo cui la perfezione iniziale del consenso ed i conseguenti
vizi dell’atto matrimoniale risultano destinati a perdere rilievo di fronte all’effettiva realizzazione di una comunità
familiare funzionante. Ciò perché è da ritenere che siano i valori legati al concreto funzionamento della compa-
gine familiare a venire privilegiati in un ordinamento, come il nostro, che tutela (sia a livello di legislazione costi-
tuzionale che ordinaria) la famiglia come luogo di operante comunità di vita.
30
Per l’art. 1172, la domanda proposta dal genitore o dal pubblico ministero deve, inoltre, essere respinta
al raggiungimento della maggiore età del minore (evidentemente, al fine di consentire a lui di decidere), ovve-
ro se vi sia stato concepimento o procreazione, sempre che sia accertata la volontà del minore di mantenere in
vita il matrimonio.
31
Si osserva diffusamente come ciò sia avvenuto, oltre che per l’esigenza di valorizzare i profili di liber-
tà e responsabilità dell’atto matrimoniale, anche nel tentativo di depotenziare la pressione a favore del di-
vorzio, ancora non introdotto al momento della presentazione delle prime iniziative di riforma del diritto
di famiglia. Non a caso, tale dilatazione della sfera della invalidità matrimoniale è risultata notevolmente
ridimensionata nella fase finale della riforma, a seguito di quel definitivo recepimento del divorzio nel no-
stro ordinamento, che ha reso non più obbligata la via dell’impugnazione (e della conseguente dichiara-
zione di invalidità) del matrimonio per conseguire il risultato della libertà di stato.
32
L’incapacità naturale, nell’art. 120, viene in considerazione di per se stessa, indipendentemente, cioè, dal-
la malafede della controparte, che in materia contrattuale è richiesta, invece, dall’art. 428 (ove si allude anche alla
rilevanza dell’esistenza di un pregiudizio, qui trascurata in quanto profilo attinente ai rapporti di natura pa-
trimoniale) (IV, 1.16).
446 PARTE V – FAMIGLIA

privo di una propria autonoma incidenza il dolo: l’errore indotto, quindi, può essere fat-
to valere solo nei limiti in cui risulta rilevante l’errore spontaneo.
a) La violenza, consiste nella minaccia di un male finalizzata all’estorsione del con-
senso: la tendenza a riferirsi, per definirne le caratteristiche, alla disciplina dettata in ma-
teria di contratto (artt. 1434 ss.: VIII, 2.12) trascura l’esigenza di assicurare comunque la
libertà del consenso matrimoniale (sembrando, allora, preferibile tenere conto, data la
natura personale ed esistenziale degli interessi in gioco, delle concrete condizioni psichi-
che del soggetto minacciato) 33.
b) Il timore è considerato, a seguito della riforma, causa di invalidità del matrimonio
quando sia di eccezionale gravità e derivi da cause esterne allo sposo: con ciò si è esclusa
la rilevanza del mero timore reverenziale, consistente nell’influenza esercitata sul sogget-
to dalla sua soggezione nei confronti di altri. Circa il timore invalidante, si considerano i
casi in cui il matrimonio sia avvertito come mezzo per sottrarsi a situazioni quali guerre
civili e persecuzioni politiche, religiose o razziali.
c) L’errore, consiste nella falsa rappresentazione della realtà che induce a prestare il
consenso: la sua rilevanza è stata notevolmente ampliata in sede di riforma. Oltre alla
ipotesi, già in precedenza reputata causa di invalidità, dell’errore sull’identità della per-
sona (l’ipotesi poco realistica, cioè, di uno scambio fra la persona che si intendeva sposa-
re e quella sposata), è considerata quella dell’errore essenziale su qualità personali dell’al-
tro coniuge. Essenziale è l’errore che, oltre ad essere, in concreto, determinante del con-
senso (che non sarebbe stato, quindi, prestato se la ignoranza non vi fosse stata), cada
sulle qualità – si ritiene tassativamente 34 – previste.
Si tratta, innanzitutto, dell’esistenza di malattie (fisiche o psichiche) o di anomalie o
deviazioni sessuali, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale (impotenza co-
eundi o generandi, omosessualità, gravi malattie sessualmente trasmissibili) 35. Sono rile-
vanti, poi, la condanna per delitto non colposo ad almeno cinque anni di reclusione, la
dichiarazione di delinquenza abituale o professionale, nonché la condanna per delitti
concernenti la prostituzione. Infine, il marito può invocare l’essere stata la gravidanza
causata da altri (purché vi sia stato disconoscimento di paternità, se la gravidanza sia sta-
ta portata a termine).
Con la riforma, ha trovato accoglimento la possibilità, prima correntemente negata in
assenza di una specifica previsione, di impugnare il matrimonio in caso di simulazione:

33
Con la L. 19.7.2019, n. 69, dopo l’art. 558 c.p. (“induzione al matrimonio mediante inganno”), è stato
introdotto un art. 558 bis cod. pen, per sanzionare (soprattutto nell’ottica della tutela delle donne nei con-
fronti dei c.d. matrimoni forzati connessi ai flussi migratori nel nostro paese) la “costrizione o induzione al
matrimonio” (con violenza o minaccia, ovvero in presenza di altre circostanze, quali l’approfittamento delle
condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona).
34
È stato soppresso, infatti, in sede di finale approvazione della riforma, il riferimento, inizialmente previ-
sto, ad “altri fatti di analoga rilevante gravità”.
35
Alla ignoranza della sieropositività dell’altro coniuge allude Trib. Belluno 9-3-1993; alla sua transessua-
lità, cui sia conseguita – in dipendenza di adeguato trattamento medico-chirurgico – la rettificazione di attri-
buzione di sesso, ai sensi della L. 14.4.1982, n. 164, Trib. Bari 1-10-1993; a gravi psicosi, Trib. Napoli 9-5-1986.
La omosessualità (non come “malattia o anomalia o deviazione sessuale”, ma quale “orientamento” atto a
“definire l’identità sessuale”) è presa in considerazione da Trib. Milano 13-2-2013. Irrilevante è stato conside-
rato “l’errore che cada sulla mera incapacità psicologica dell’altro coniuge di concepire in termini di condivi-
sione e di rispetto reciproco il piacere erotico e l’affettività” (Cass. 12-2-2013, n. 3407).
CAP. 2 – MATRIMONIO 447

quando, cioè, “gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non
esercitare i diritti” discendenti dal matrimonio (art. 1231). L’accordo – non è, infatti, suf-
ficiente che una sola delle parti abbia inteso escludere gli effetti tipici del matrimonio
(c.d. riserva mentale) – deve riguardare l’esclusione della comunione di vita nel suo in-
sieme e non di singoli diritti e doveri matrimoniali 36.
Le parti, attraverso quello che per loro si presenta quale matrimonio meramente ap-
parente, perseguono gli scopi più diversi. Le ipotesi maggiormente ricorrenti sono quelle
dei matrimoni contratti (spesso con anziani) per ottenere permessi di soggiorno, di espa-
trio o, sulla base delle legislazioni dei differenti paesi in materia, una diversa cittadinanza
(c.d. matrimoni di cittadinanza), nonché per conseguire vantaggi nell’attribuzione di al-
loggi e posti di lavoro. La disposta improponibilità dell’azione (comunque riservata ai so-
li coniugi) trascorso un anno dalla celebrazione del matrimonio, oltre che nel caso di con-
vivenza, pur se di breve durata, circoscrive drasticamente, peraltro, la reale portata della
simulazione matrimoniale nel nostro ordinamento 37.

7. Conseguenze della invalidità. – La pronuncia di invalidità del matrimonio do-


vrebbe comportare l’azzeramento (la relativa eliminazione, cioè, retroattiva) degli effet-
ti del matrimonio, come se esso non fosse mai stato contratto. Il rilievo che il matrimo-
nio assume come fondamento di una comunità familiare, anche in vista della procreazio-
ne, ha peraltro indotto, fin da tempi risalenti, a superare qui – risultando pure da ciò
confermata la peculiarità delle problematiche familiari – la rigidità dei principi in mate-
ria negoziale che imporrebbero tale risultato. Già nel quadro della riforma, poi, in ar-
monia con la valorizzazione, nella famiglia, della concreta esperienza di vita, nonché in
vista di una più piena tutela dei figli (da non pregiudicare per comportamenti tenuti dai
genitori), sono stati ricollegati al matrimonio dichiarato nullo effetti più rilevanti di quelli
già antecedentemente riconosciutigli nella prospettiva del c.d. matrimonio putativo (tale
essendo considerato quello contratto in buona fede dai coniugi) 38.
Quanto ai figli, è ora affermato il principio secondo cui gli effetti del matrimonio va-
lido si producono nei loro confronti (art. 1282). E questo, per i figli nati o concepiti du-
rante il matrimonio dichiarato nullo, anche in caso di matrimonio contratto in malafede

36
Secondo l’interpretazione dominante (ad es., Trib. Pavia 15-10-1982), esclusa la rilevanza della mera riser-
va mentale, si ritiene poter essere presa in considerazione, appunto, solo la simulazione assoluta, reputando, inol-
tre, irrilevante il motivo per cui sia stato simulato il matrimonio (nel caso di specie, si trattava del desiderio di
compiacere un genitore morente). Anche se la vicenda processuale e la conseguente decisione risultano diversa-
mente impostate (in chiave, cioè, di violenza e di timore, data l’addotta previsione contrattuale di penali), ad un
fenomeno simulatorio sembra riconducibile il caso esaminato da Trib. Pavia 4-4-2019 (si trattava di matrimonio
dichiaratamente contratto nel contesto della partecipazione ad un programma televisivo: l’affermazione secondo
cui “ciò che le parti hanno voluto è stato esattamente contrarre il vincolo” pare, nel caso di specie, contrastare
con la contestuale ammissione che esse avessero inteso solo “partecipare al programma”).
37
Con una disposizione considerata discutibile nel quadro dei principi del nostro ordinamento, l’art.
1 bis
30 del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286, come novellato dalla L. 30.7.2002, n. 189, ha previsto, per contrastare il
fenomeno dei c.d. matrimoni di comodo, che il permesso di soggiorno per motivi familiari, rilasciato allo stra-
niero in conseguenza del suo matrimonio nello Stato, “è immediatamente revocato qualora sia accertato che
al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole”.
38
Per la ricorrenza della buona fede, l’art. 1281 parifica all’ignoranza del vizio dell’atto l’essere stato il con-
senso estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da causa estranea agli sposi.
448 PARTE V – FAMIGLIA

da entrambi i coniugi, salvo che la nullità dipenda da incesto (art. 1284) 39. Per i provve-
dimenti da assumere relativamente ai figli, l’art. 1292 rinvia a quanto previsto per disci-
plinare le conseguenze della separazione personale dei genitori (art. 155) (V, 4.10).
Per quanto concerne i coniugi, gli effetti del matrimonio valido si producono, fino
alla sentenza che pronunzia la nullità, in favore dei coniugi che lo abbiano (o del solo
coniuge che lo abbia) contratto in buona fede (art. 1281,3) 40. Ove ambedue i coniugi sia-
no in buona fede, può essere disposto (per un periodo non superiore a tre anni) a carico
di uno di essi l’obbligo di corrispondere all’altro, se costui non abbia adeguati redditi
propri, un assegno determinato in proporzione delle sue sostanze (art. 1291). È evidente
l’analogia con l’assegno di mantenimento, spettante in dipendenza della separazione per-
sonale (art. 1561-2), finendo, così, il matrimonio col proiettare effetti tra i coniugi anche
oltre la relativa dichiarazione di invalidità.
Ai sensi dell’art. 129 bis, il coniuge in buona fede ha diritto ad ottenere da quello cui
sia imputabile l’invalidità del matrimonio una congrua indennità (in ogni caso, pure in
mancanza, cioè, di prova del danno sofferto) 41. L’indennità deve essere commisurata al-
meno – ma, quindi, può risultare eventualmente superiore – a quanto necessario al mante-
nimento per tre anni. Tale indennità deve essere corrisposta dal terzo, ove a lui sia imputa-
bile l’invalidità del matrimonio (se costui abbia concorso con uno dei coniugi a determina-
re l’invalidità, sarà con lui responsabile solidalmente). Quale ulteriore effetto destinato a
proiettarsi al di là della dichiarazione di invalidità, il coniuge responsabile è anche tenuto a
prestare all’altro, che versi in (o cui sopravvenga uno) stato di bisogno, gli alimenti, sempre
che non vi siano altri obbligati (insomma, dopo i soggetti indicati nell’art. 433).

8. Il matrimonio concordatario. – L’originaria disciplina concordataria – coerentemen-


te con l’intento, enunciato nell’art. 34 del Concordato dell’11.2.1929 (V, 2.2), di riconosce-
re “al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili” – limi-
tava l’intervento dell’ordinamento statale, da una parte, ai fini della efficacia civile del ma-
trimonio, alla formalità della trascrizione nei registri dello stato civile (preclusa solo in caso
di matrimonio contratto da persona interdetta per infermità di mente o già legata da altro
matrimonio valido agli effetti civili); dall’altra, ai fini del riconoscimento delle sentenze in
tema di validità del matrimonio dei tribunali ecclesiastici (cui era riservata la giurisdizione
in materia) 42, ad un’attività (della competente Corte di appello) correntemente intesa co-
me di mera presa d’atto della regolarità formale del procedimento in sede ecclesiastica.
La regolamentazione risulta mutata a seguito dell’Accordo di revisione del 18.2.1984,

39
L’art. 1285 dispone che, in tale ultimo caso, si applichi l’art. 251 (ove si prevede la possibilità del ricono-
scimento del figlio previa autorizzazione giudiziale, in considerazione del suo interesse: V, 4.4).
40
Il coniuge in buona fede conserva, in particolare, i diritti successori nei confronti dell’altro, se deceduto
anteriormente alla sentenza (art. 584).
41
Ai fini della ricorrenza di tale imputabilità, Cass. 10-5-1984, n. 2862 (analogamente, ad es., Cass. 18-4-2013,
n. 9484), ritiene non essere “sufficiente la riferibilità oggettiva della causa di invalidità e non basta neppure la
consapevolezza (certa o probabile) di essa, ma occorre altresì, un comportamento ulteriore (commissivo od
omissivo) del responsabile, contrario al generale dovere di correttezza, che abbia contribuito alla celebrazione
del matrimonio nullo” (in particolare, la “omessa comunicazione (deliberata o semplicemente volontaria) al
coniuge in buona fede del fatto invalidante”).
42
Con conseguente applicazione, quindi, delle norme del diritto canonico concernenti i requisiti e la vali-
dità dell’atto matrimoniale.
CAP. 2 – MATRIMONIO 449

con il cui art. 8 (completato dall’art. 4 del Protocollo addizionale) 43 si è modificato il re-
gime della trascrizione (assoggettandola a più rigorose condizioni), nonché soppressa
la riserva di giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici per le cause di nullità
matrimoniale (prevedendosi anche un più incisivo controllo per il relativo riconoscimen-
to) 44. Un fattore di incertezza del sistema che ne deriva è rappresentato dalla persistente
mancata riformulazione della c.d. legge matrimoniale (L. 27.5.1929, n. 847, applicativa
dell’originaria disciplina concordataria).
Circa le formalità preliminari al matrimonio, sono necessarie le pubblicazioni civili su
richiesta dei nubendi – che, così, effettuano la scelta per la forma matrimoniale concor-
dataria – e del parroco che ha provveduto a quelle religiose. Ad esse segue il rilascio del
nulla-osta alla celebrazione, col quale viene assicurata la trascrizione agli effetti civili del
matrimonio. La celebrazione avviene col rito religioso, con prevista lettura degli articoli
del codice civile relativi ai diritti e doveri dei coniugi. La celebrazione è seguita dalla re-
dazione dell’atto di matrimonio – in cui possono essere inserite le dichiarazioni dei co-
niugi relative alla scelta della separazione dei beni ed al riconoscimento di figli naturali – in
doppio originale, per consentire la trasmissione (con la richiesta di trascrizione, da fare en-
tro cinque giorni dall’avvenuta celebrazione) di uno di essi all’ufficiale dello stato civile 45.
La trascrizione, diversamente dal precedente regime, non può avere luogo quando
gli sposi non abbiano l’età prescritta dalla legislazione civile e, in genere, in tutti i casi in
cui sussista un impedimento al matrimonio che l’ordinamento civile considera inderoga-
bile (V, 2.4) 46. Il matrimonio, intervenuta la trascrizione (trascrizione ordinaria o tempe-
stiva, in quanto preceduta dal rilascio del prescritto nulla-osta e richiesta entro cinque
giorni dalla celebrazione, anche se effettuata dall’ufficiale di stato civile oltre il termine
previsto di ventiquattro ore dal ricevimento dell’atto), produce effetti civili dal momento
della celebrazione. È ammessa anche la trascrizione tardiva, ove l’atto di matrimonio non
venga trasmesso entro cinque giorni dalla celebrazione: occorre, a tal fine, la richiesta dei
due sposi (o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro) 47 e

43
Nella nuova disciplina concordataria è significativamente scomparso il precedente riferimento al rico-
noscimento del matrimonio quale “sacramento … disciplinato dal diritto canonico”.
44
Risulta, inoltre, eliminata la possibilità di riconoscere, in caso di inconsumazione del matrimonio (previ-
sta come causa di divorzio dall’art. 3, n. 2, lett. f, L. 1.12.1970, n. 898: V, 3.4), efficacia civile ai provvedimenti
ecclesiastici di dispensa dal matrimonio rato e non consumato (possibilità di riconoscimento già reputata ille-
gittima da Corte cost. 2-2-1982, n. 18, essendo quello ecclesiastico, nell’ipotesi in questione, “un procedimen-
to, il cui svolgimento e la cui conclusione trovano dichiaratamente collocazione nell’ambito della discre-
zionalità amministrativa, e nel quale non vengono quindi garantiti alle parti un giudice e un giudizio in
senso proprio”). Il superamento della riserva di giurisdizione è stato considerato pacifico a partire da Cass.,
sez. un., 13-2-1993, n. 1824 (più di recente, con chiarezza, Cass., sez. un., 18-7-2008, n. 19809; Cass. 6-7-2011, n.
14893; Cass., sez. un., 17-7-2014, n. 16379; Cass. 3-9-2014, n. 18627 e, da ultimo, 25-2-2020, n. 5078).
45
Le accennate formalità sono sostanzialmente analoghe a quelle ora previste, nelle diverse intese stipulate
dallo Stato (V, 2.2), per i matrimoni da celebrare con riti religiosi diversi da quello cattolico.
46
La trascrizione può essere impugnata (dal pubblico ministero) in tutte le ipotesi in cui essa non si sarebbe
potuta effettuare, data la sussistenza di una causa ostativa (art. 16 L. 847/1929). Secondo Corte cost. 1-3-1971, n.
32, la trascrizione è impugnabile anche in caso di incapacità naturale di una dei parti al momento della celebra-
zione, per non essere la stessa in grado di compiere la scelta a favore della forma matrimoniale concordataria.
47
La richiesta comune (o quella di uno degli sposi conosciuta e non contestata dall’altro) assume il valore
di una necessaria conferma della scelta per la forma matrimoniale concordataria e la conseguente produzione
degli effetti civili. A differenza, quindi, che nel regime precedente (in cui si ammetteva che l’iniziativa per la
450 PARTE V – FAMIGLIA

che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della
celebrazione a quello della richiesta 48.
Nell’originario sistema concordatario – caratterizzato dalla riserva alla giurisdizione
dei tribunali ecclesiastici dei giudizi circa la validità del matrimonio contratto secondo le
norme del diritto canonico e ammesso a produrre effetti civili – la esecutorietà agli ef-
fetti civili delle decisioni ecclesiastiche era subordinata a un intervento della Corte di
appello competente, correntemente inteso quale vaglio meramente formale della regola-
rità del procedimento 49.
La Corte costituzionale è, però, intervenuta 50, concludendo per la illegittimità della
legislazione applicativa del Concordato, laddove essa non prevedeva che spettasse alla
Corte di appello “accertare che nel procedimento innanzi ai tribunali ecclesiastici sia sta-
to assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio a difesa dei propri diritti, e
che la sentenza non contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano”.
A seguito della sopravvenuta revisione del Concordato, la Corte di appello – diver-
samente che in passato, solo su domanda delle parti o di una di esse – provvede alla di-
chiarazione di efficacia per l’ordinamento statale delle sentenze ecclesiastiche, control-
lando, in particolare, che sia stato assicurato alle parti il diritto di agire e di difendersi in
giudizio in conformità dei principi fondamentali dell’ordinamento, nonché che ricorrano
le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia del-
le sentenze straniere (il riferimento è alle prescrizioni degli artt. 796 e 797 c.p.c., relativi
alla delibazione delle sentenze straniere) 51.
Ne consegue che, in particolare, le sentenze ecclesiastiche non sono suscettibili di es-
sere rese esecutive in caso di contrarietà all’ordine pubblico italiano, da valutare, però, te-
nendo presente la peculiarità dei rapporti tra Stato e Chiesa e la specificità dell’ordi-
namento canonico (dal quale è regolato il vincolo matrimoniale, che in esso ha avuto ori-
gine: art. 4 del ricordato Protocollo addizionale), così da non potersi quest’ultimo ritene-

trascrizione tardiva potesse essere assunta da qualunque interessato e dalla stessa autorità ecclesiastica), come
ha sottolineato Cass. 24-3-1994, n. 2893 (seguita da Cass. 4-5-2010, n. 10734), essendo prescritta, in caso di
istanza da parte di uno solo degli sposi, “l’attuale conoscenza e l’attuale mancanza di opposizione dell’altro”,
è da escludere che ciò possa avvenire dopo la morte di quest’ultimo, non potendo esse “dedursi da una di-
chiarazione degli sposi stessi, resa in occasione del loro matrimonio, di consentire alla trascrizione del vinco-
lo” (rimane, insomma, preclusa la trascrizione post mortem). Circa la necessità dell’accertamento del “consen-
so integro – espresso o tacito – dell’altro coniuge, da accertare con riguardo al momento” della domanda di
trascrizione (formulata da un solo dei coniugi), v. Cass. 12-3-2018, n. 5894.
48
Gli effetti civili si producono anche in tal caso dalla celebrazione, ma sono fatti espressamente salvi gli
eventuali diritti nel frattempo acquistati dai terzi.
49
La Corte d’appello era attivata (anche indipendentemente, quindi, da una richiesta delle parti) dalla tra-
smissione ad essa della sentenza ecclesiastica definitiva, col relativo decreto del Supremo Tribunale della Se-
gnatura.
50
Corte cost. 2-2-1982, n. 18, ha giustificato il proprio intervento sulla base degli artt. 12 e 71 (sovranità
dello Stato), nonché 24 Cost. (diritto di agire e resistere in giudizio a tutela dei propri diritti).
51
Tali ultime disposizioni sono state abrogate con l’entrata in vigore della riforma del sistema italiano di
diritto internazionale privato (L. 31.5.1995, n. 218). Per la loro persistente applicabilità nella materia in esame
(e, quindi, ultrattività), si è pronunciata Cass. 30-5-2003, n. 8764 (confermata da Cass., sez. un., 18-7-2008, n.
19809), proprio sulla base del relativo richiamo da parte della normativa di revisione concordataria. Si era,
comunque, in via generale, già escluso che la L. 218/1995 abbia avuto ricadute sulla delibazione delle senten-
ze ecclesiastiche (Cass. 10-7-1999, n. 7276; analogamente, ad es., Cass. 1-12-2004, n. 22514).
CAP. 2 – MATRIMONIO 451

re senz’altro violato in caso di qualsiasi divergenza tra la disciplina delle cause di nullità
nei due ordinamenti 52.
Ciò ha condotto ad una applicazione fin troppo permissiva, rispetto a quanto si sa-
rebbe potuto attendere, di un simile “filtro”. Considerata sostanzialmente pacifica – in
linea di principio, ma senza effettivo riscontro nella pratica – la contrarietà all’ordine
pubblico di sentenze eventualmente fondate su impedimenti di carattere tipicamente re-
ligioso (come l’ordine sacro o il voto di castità), una simile contrarietà è stata affermata
soprattutto in caso di esclusione, da parte di uno solo degli sposi, di uno dei caratteri che
l’ordinamento canonico considera essenziali per il matrimonio (c.d. bona matrimonii:
prolificità, indissolubilità e fedeltà), ovvero di apposizione unilaterale di una condizione,
purché non manifestate all’altro coniuge, né da lui conosciute o conoscibili 53. Non è sta-
to reputato tale da impedire la delibazione un errore su qualità dell’altro coniuge sicu-
ramente irrilevanti per l’ordinamento civile 54, né si è persistentemente ritenuta (pur do-
po contrasti anche giurisprudenziali) – e almeno fino ad un recente mutamento di indi-
rizzo – ostativa della delibazione la circostanza che l’azione sia stata esercitata quando,
data l’instaurazione della convivenza e la relativa persistente stabilità, essa non avrebbe
più potuto essere proposta per l’ordinamento civile, in considerazione dell’effettiva rea-
lizzazione di una operante comunità di vita familiare 55.

52
Secondo l’impostazione di Cass., sez. un., 1-10-1982, n. 5026, richiamata dalla successiva giurispruden-
za, una tale violazione si ha solo in caso di “contrarietà ai canoni essenziali cui si ispira in un determinato
momento storico il diritto dello Stato ed alle regole fondamentali che definiscono la struttura dell’istituto ma-
trimoniale così accentuata da superare il margine di maggiore disponibilità che l’ordinamento statuale si è
imposto rispetto all’ordinamento canonico”. Cass. 19809/2008, pur affermando che l’ordine pubblico cui rife-
rirsi in sede di riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale deve ritenersi “quello ‘ita-
liano’ e non anche quello ‘internazionale’” (dunque, quello “interno”), ha precisato che “non ogni incompa-
tibilità con l’ordine pubblico italiano rileva a impedire l’efficacia di esse in Italia, dovendo il giudice della de-
libazione tenere conto della specificità dell’ordinamento canonico” (“specificità” espressamente considerata
dal Protocollo addizionale all’accordo del 1984), con la conseguenza che “la delibazione va negata soltanto se
i giudici ecclesiastici abbiano dato rilievo a valori assolutamente incompatibili con quelli cogenti” per il no-
stro ordinamento (solo in caso, cioè, di incompatibilità “assoluta” e non “relativa”). Peraltro, una interpreta-
zione drasticamente riduttiva dell’accennato riferimento alla “specificità dell’ordinamento canonico” opera
Cass. 16379/2014, ritenendo che ad esso non possa attribuirsi altro senso che quello “di fungere da mera
premessa generale, esplicativa delle ragioni per le quali vengono indicate, ‘in particolare’, le tre prescrizioni
vincolanti il giudice della delibazione” (“relative alla competenza, al giudicato e al divieto di riesame del meri-
to della sentenza canonica”).
53
Per una sintesi degli orientamenti giurisprudenziali, di recente, v., ad es., Cass. 14-2-2019, n. 4517 e 25-
6-2019, n. 17036, che ricorda anche non essere comunque consentita “in fase di delibazione alcuna integra-
zione di attività istruttoria”. La giurisprudenza ha precisato che la sentenza ecclesiastica può essere comunque
delibata, ove lo sposo che ha manifestato una volontà valida chieda la delibazione (o non si opponga ad essa: ad
es., Cass. 2-3-2001, n. 3056 e Cass. 25-6-2009, n. 14906).
54
Un caso limite è stato quello in cui è stata ammessa la delibazione di una sentenza dichiarativa di nullità
per errore di uno dei coniugi sulla qualità di laureato dell’altro (Cass. 26-5-1987, n. 4707). Cass. 19809/2008,
affermato il principio della riconoscibilità delle sole sentenze ecclesiastiche di nullità “fondate su errori ri-
guardanti fatti oggettivi, anche diversi da quelli di cui all’art. 122, purché incidenti su connotati o ‘qualità’
ritenute significative in base ai valori usuali e secondo la coscienza comune”, ha reputato, invece, non deliba-
bile la sentenza ecclesiastica basata sulla ignoranza, da parte di uno dei nubendi, circa la infedeltà dell’altro
prima del matrimonio (per il carattere marcatamente soggettivo dell’errore).
55
Cass., sez. un., 20-7-1988, n. 4700, seguita dalla successiva giurisprudenza, ha ritenuto, al riguardo, che
una disposizione come quella dell’art. 1232, pur essendo norma imperativa interna, non costituisce “espres-
452 PARTE V – FAMIGLIA

Con la revisione del Concordato, come dianzi accennato, si considera venuta meno la
riserva di giurisdizione, precedentemente sussistente in materia. Pure i tribunali civili
possono, dunque, nel quadro di quella che risulta, ormai, una giurisdizione concorrente,
sindacare la validità del matrimonio concordatario 56. Ciò ha anche indotto a concludere
che la sentenza ecclesiastica, pure una volta delibata, non travolga senz’altro la sentenza
di divorzio 57 (o, almeno, come si accennerà più oltre, i suoi effetti economici).
Indubbiamente, la via del procedimento innanzi ai giudici ecclesiastici, con la succes-
siva delibazione della relativa sentenza, viene spesso battuta per evitare le conseguenze
patrimoniali del divorzio (V, 3.5), maggiormente onerose per la parte economicamente
più forte: all’efficacia civile della sentenza ecclesiastica si ricollega, infatti, l’applicabilità

sione di principi o di regole fondamentali” preclusivi della delibazione, contraddicendo quanto già sostenuto
dalla stessa Cassazione (ad es., 18-6-1987, n. 5358 e 14-1-1988, n. 192). Essa aveva, infatti, reputato tale di-
sposizione (e quelle analoghe: V, 2.6) espressione di un principio fondamentale in un ordinamento, come il
nostro, il quale privilegia – a differenza di quello canonico che considera decisivo, data la sacramentalità del
matrimonio, solo il suo momento genetico – nell’esperienza familiare il “momento sociale e dinamico” e la
“stabilità della comunanza di vita spirituale e materiale”, con conseguente irrilevanza dei vizi del consenso,
propri del matrimonio-atto, una volta che abbia avuto effettiva attuazione il matrimonio-rapporto. In questa
ultima direzione, peraltro, si è più di recente orientata, almeno in via di enunciazione di principio, la ricordata
Cass. 19809/2008, la cui impostazione è stata condivisa da Cass. 20-1-2011, n. 1343, secondo la quale, con
riguardo “a date situazioni invalidanti dell’atto di matrimonio, la successiva prolungata convivenza è conside-
rata espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito e con questa volontà è incompati-
bile il successivo esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge”. Do-
po ripetute conferme di tale orientamento (ad es., Cass. 8-2-2012, n. 1780), le difformi conclusioni di Cass.
4-6-2012, n. 8926 (che ha, in sostanza, pedissequamente riproposto le pur datate argomentazioni di Cass.
4700/1988) hanno convinto Cass. 14-1-2013, n. 712, a rimettere alle sezioni unite la composizione del così
insorto contrasto di giurisprudenza. Le sezioni unite (n. 16379/2014) – evidenziato che “la distinzione tra
‘matrimonio-atto’ e ‘matrimonio-rapporto’ e la situazione giuridica di ‘convivenza tra coniugi’ o ‘come coniu-
gi’, da ricondurre senza dubbio alcuno al matrimonio-rapporto, hanno … un nitido e solido fondamento nel-
la Costituzione, nelle Carte Europee dei diritti e nella legislazione italiana” (tale “convivenza ‘come coniugi’”
dovendosi intendere “quale elemento essenziale del ‘matrimonio-rapporto’, che si manifesta come consuetu-
dine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo, ed esteriormente riconoscibile”) – hanno conclu-
so che “la convivenza ‘come coniugi’, protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimo-
nio ‘concordatario’ regolarmente trascritto … è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italia-
na delle sentenze definitive di nullità pronunciate di tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del ma-
trimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell’ordine canonico nonostante la sussistenza di det-
ta convivenza coniugale”. Una simile “convivenza coniugale” (la cui rilevanza ostativa alla delibazione risulta
condivisa, ad es., da Cass. 26-11-2019, n. 30900; 28-1-2015, n. 1621; 27-1-2015, n. 1494), comunque, può es-
sere rilevata “soltanto ad istanza di parte” (non, quindi, d’ufficio: così, ad es., pure Cass. 19-12-2016, n.
26188; 8-10-2018, n. 24729 e 12-9-2018, n. 22218, che ricorda trattarsi di “eccezione in senso stretto”, con le
relative conseguenze sul piano procedurale) e, di conseguenza, non impedisce la delibabilità della sentenza
ecclesiastica in caso di “domanda di delibazione, per così dire, ‘congiunta’” (tali ultime precisazioni sono con-
divise, in particolare, da Cass. 13-2-2015, n. 2942 e Cass. 1-4-2015, n. 6611).
56
Sembra prevalere la tendenza a considerare applicabile, da parte del giudice statale, la disciplina civile
del matrimonio, pur non mancando validi argomenti a favore della necessità che anche il giudice statale ap-
plichi, ai fini del sindacato di validità, la disciplina canonistica dei requisiti matrimoniali (sempre, comunque,
nei limiti della relativa conformità all’ordine pubblico italiano). Circa la possibilità – sulla base del principio
di prevenzione – per il giudice italiano di statuire, in difetto di delibazione della sentenza ecclesiastica, sulla
domanda di nullità del matrimonio concordatario, v., ad es., Cass. 18627/2014.
57
Reputando applicabile il principio della prevenzione temporale, la Cassazione (18-4-1997, n. 3345 e
25-6-2003, n. 10055) non ha mancato di considerare – con un indirizzo controverso e successivamente conte-
stato (Cass. 4-2-2010, n. 2600 e 24-7-2012, n. 12989) – decisiva, al riguardo, l’anteriorità del momento della
instaurazione del procedimento (di delibazione o di divorzio).
CAP. 2 – MATRIMONIO 453

del regime delle conseguenze dell’invalidità, quali disciplinate per il matrimonio civile
dagli artt. 128 ss. e, in particolare, artt. 129 e 129 bis (V, 2.7) 58. Una migliore tutela del
coniuge debole, allora, nei casi in cui non sia addirittura da considerarsi radicalmente
preclusa la delibazione della sentenza ecclesiastica di invalidità, può derivare solo dal ri-
tenere persistentemente operanti le statuizioni economiche adottate in sede di giudizio
di divorzio, nonostante la eventuale successiva delibazione della sentenza di invalidità. E
proprio in tale direzione si è mossa la giurisprudenza, nell’attesa, per ora vana, di un dif-
fusamente auspicato intervento legislativo chiarificatore 59.

58
Così, ad es., Cass. 13-1-2010, n. 399, con riferimento agli effetti del passaggio in giudicato della senten-
za di delibazione in pendenza del giudizio di separazione dei coniugi (si tenga presente, comunque, che “la
pronuncia che rende esecutiva la sentenza ecclesiastica di nullità, successiva al passaggio in giudicato della
sentenza di separazione, fa venir meno le statuizioni economiche relative al rapporto tra i coniugi in essa pre-
viste”, dato che, “venuto meno il vincolo matrimoniale, non possono sopravvivere le statuizioni dal quale esse
dipendono”: Cass. 11-5-2018, n. 11553; per la cessazione della materia del contendere, relativamente al giudi-
zio di separazione, in caso di sopraggiunta delibazione, Cass. 19-12-2017, n. 30496). Corte cost. 27-9-2001, n.
329 – alle cui conclusioni si richiama Cass. 8-11-2010, n. 22677 – ha ritenuto costituzionalmente legittimo
l’attuale sistema che esclude, pur in presenza “fra i coniugi di una consolidata comunione di vita”, l’appli-
cabilità della stessa disciplina prevista in conseguenza del divorzio. Ciò, peraltro, non mancando di evidenzia-
re come, “per garantire effettività di tutela al soggetto economicamente più debole, il legislatore – nell’eserci-
zio della sua discrezionalità – ben potrebbe intervenire sulla disciplina attuale degli effetti patrimoniali della
nullità del matrimonio, affrancandola dalle rigidità che nel sistema vigente ne circoscrivono il contenuto entro
limiti angusti (cfr., ad es., l’art. 129 cod. civ.)”.
59
Cass. 23-3-2001, n. 4202 e Cass. 4-3-2005, n. 4795, così, hanno concluso che, divenuta definitiva la
statuizione relativa all’assegno di divorzio, per essersi su di essa formato il giudicato, tale statuizione resti
comunque intangibile anche nel caso di successiva – da reputare comunque ammissibile (e v. pure, ad es.,
Cass. 12989/2012 e 12-9-2018, n. 22218) – delibazione della sentenza ecclesiastica di invalidità del matri-
monio. Il principio è stato avallato da Cass. 18-9-2013, n. 21331, che ha anche precisato come la deliba-
zione della sentenza ecclesiastica non costituisca un “giustificato motivo” sopraggiunto, legittimante, ai
sensi dell’art. 91 l. div., la revisione dei provvedimenti economici quali definiti dalla sentenza di divorzio.
Invece, il sopraggiungere della delibazione della sentenza ecclesiastica prima del formarsi del giudicato
sulle conseguenze economiche del divorzio, determinando “il venir meno del vincolo coniugale”, si è rite-
nuto essere tale da impedire alla relativa procedura di proseguire (Cass. 7-10-2019, n. 24933). Peraltro,
Cass. 23-1-2019, n. 1882, ha concluso che, quando sia passata in giudicato la cessazione degli effetti civili
del matrimonio ed il processo prosegua per la definizione delle statuizioni economiche (ai sensi dell’art. 412
l. div.), “la valutazione di spettanza e quantificazione dell’assegno divorzile è ben ammissibile”, nonostante
il sopraggiungere della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità. Di conseguenza, Cass. 25-2-2020,
5078, ha ritenuto sussistere un contrasto giurisprudenziale, investendo le sezioni unite del quesito se, una
volta formatosi – a seguito della sentenza parziale – il giudicato sulla cessazione degli effetti civili del ma-
trimonio, risulti indifferente la successiva delibazione della sentenza ecclesiastica “solo in presenza di sta-
tuizioni economiche assistite dal giudicato o anche in assenza di dette statuizioni” (restando, cioè, persi-
stentemente consentito al giudice di regolare i rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi secondo la disciplina
prevista in materia di divorzio). Cass., sez. un., 31-3-2021, n. 9004, confermata l’ammissibilità della deliba-
zione della sentenza ecclesiastica di nullità pur dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione
degli effetti civili, ha concluso che la delibazione stessa, anche se intervenuta prima che sia divenuta defini-
tiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, “non comporta la cessazione della mate-
ria del contendere nel giudizio civile avente ad oggetto lo scioglimento del vincolo coniugale, il quale può
dunque proseguire ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile” (e
ciò perché “il giudicato formatosi in ordine all’impossibilità della ricostruzione della comunione tra i co-
niugi investe il titolo stesso del diritto all’assegno, la cui incontestabilità esclude, quanto meno ai fini che
qui interessano, l’operatività della dichiarazione di nullità del matrimonio”).
454 PARTE V – FAMIGLIA

B) EFFETTI
9. Rapporti personali tra coniugi. – La riforma del 1975 ha dato piena attuazione –
nei rapporti tra i coniugi (e di questi nei confronti dei figli) – al principio costituzionale
per cui “il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi” (art.
292): la riserva dei “limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare” è stata sciol-
ta nel senso di una loro mera eventualità, di fronte all’effettivo atteggiarsi dei rapporti
familiari nella coscienza sociale, la valutazione delle cui dinamiche evolutive rappresenta
il delicato compito del legislatore in materia (V, 1.1) 60.
La disciplina ora contenuta nel codice civile istituzionalizza un modello di famiglia
paritario e partecipativo, in cui i valori di rispetto reciproco e solidarietà sono affidati so-
prattutto all’impegno profuso dai suoi membri. I necessari interventi disposti dall’ordi-
namento, lungi dal tendere ad assicurare un presunto interesse superiore della famiglia
stessa, risultano finalizzati esclusivamente ad assicurare che anche la formazione sociale
fondamentale sia veramente luogo di promozione e sviluppo della personalità di ciascuno.
Invece di concentrare, come nel precedente modello gerarchico ed autoritario, i poteri
di governo della famiglia nel marito (quale capo della famiglia e, di conseguenza, titolare
della potestà maritale e della patria potestà), ogni predefinita ripartizione di ruoli è supe-
rata dalla perentoria affermazione, secondo cui “con il matrimonio il marito e la moglie
acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri” (art. 1431): al loro accordo
viene demandata la concreta articolazione degli assetti organizzativi della vita familiare
(art. 1441).
Gli obblighi reciproci che derivano dal matrimonio sono quelli di fedeltà, assisten-
za morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia, coabitazione e contribu-
zione ai bisogni della famiglia (art. 1432-3). La famiglia ne risulta organismo la cui vitalità
è da ricercare nel reciproco rispetto della dignità di ciascuno, attraverso quell’impegno
di solidarietà, che riflette il carattere anche collettivo degli interessi, dei quali ognuno è
portatore in quanto membro del gruppo. Pure i doveri verso i figli (art. 147) (V, 4.9) 61,
del resto, sono regolati anche nel quadro della delineazione dei contenuti del rapporto
coniugale, in quanto assunti ad oggetto di reciproca pretesa dei coniugi, nell’ambito del-
la dimensione solidaristica del matrimonio 62.

60
L’idea che l’unità non rappresenti necessariamente un valore antitetico rispetto a quello dell’eguaglian-
za, dovendo il relativo rapporto essere valutato alla luce delle concrete dinamiche sociali, è stata espressa,
prima della riforma e quasi quale suo viatico, da Corte cost. 13-7-1970, n. 133, in cui si sottolinea che “è pro-
prio l’eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è la disuguaglianza a metterla in pericolo”, raffor-
zandosi, insomma, l’unità “nella misura in cui i reciproci rapporti tra i coniugi sono governati dalla solidarietà
e dalla parità”.
61
È da sottolineare come i doveri verso i figli, pur enunciati anche in sede di rapporto coniugale, non di-
pendano dalla sua ricorrenza, inerendo alla relazione che scaturisce dalla generazione in quanto tale (come
reso evidente dal rinvio, nell’art. 147, al principio generale dell’art. 315 bis). In relazione al concorso negli one-
ri connessi a tali doveri, l’art. 148 rinvia senz’altro a quanto stabilito dall’art. 316 bis.
62
Per Cass. 2-9-2005, n. 17710, i comportamenti tali da costituire “violazione degli obblighi del genitore
nei confronti dei figli” sono atti a risolversi “nella violazione dell’obbligo nei confronti dell’altro coniuge di
concordare l’indirizzo della vita familiare e, in quanto fonte di angoscia e di dolore per l’altro coniuge, nella
violazione del dovere di assistenza morale e materiale”. Così, ad es., nel contesto di un complesso quadro di
stravolgimento del “legame di fiducia con il marito”, quale violazione dei doveri coniugali è stato considerato
“l’esempio/incitamento alla figlia, vista quasi come compagna di avventure” (Trib. Prato 28-10-2016).
CAP. 2 – MATRIMONIO 455

La fedeltà rappresenta imprescindibile espressione della esclusività del rapporto


personale, che si è visto essere connaturale all’idea di matrimonio (V, 2.1) 63. Più che al-
l’angusta prospettiva dei rapporti sessuali, pare doversi avere riguardo a quella comples-
siva del necessario rispetto, in un’ottica di leale dedizione reciproca, della dignità del-
l’altro coniuge nei rapporti sociali 64.
Il dovere di assistenza morale e materiale si presenta quale espressione partico-
larmente significativa di quel legame di solidarietà che è alla base del matrimonio e che
impone il vicendevole aiuto (personale, oltre che economico), soprattutto nei momenti,
per ciascuno, più difficili 65. Non a caso, il diritto all’assistenza morale e materiale è so-
speso nei confronti del coniuge che si allontani ingiustificatamente dalla residenza fami-
liare (art. 1461). I doveri di assistenza familiare (legati alla qualità di coniuge e di genito-
re) sono tutelati penalmente (art. 570 c.p.).
Il dovere di collaborazione, poi, vale a precisare il precedente dovere, nel senso
della promozione di un’attiva partecipazione, secondo le proprie capacità ed attitudini,
alla vita del gruppo familiare nella sua dimensione collettiva 66. In tale prospettiva, ad es-
so si ricollega strettamente quello di contribuzione, che rappresenta il pilastro su cui la
riforma ha fondato l’assetto economico della famiglia ed il relativo regime (esaminato
specificamente più oltre: V, 2.10).
L’importanza del dovere di coabitazione e della conseguente localizzazione della
vita familiare (cui allude l’art. 337 sexies, disciplinando la sorte della “casa familiare” in
caso di crisi del matrimonio) è attestata dalla insistenza del legislatore nel riferirsi alla re-
sidenza familiare (art. 144, per la relativa scelta; art. 1461, per l’allontanamento ingiustifi-

63
Significativamente, secondo Cass. 14-2-2012, n. 2059, la comprovata violazione dell’“obbligo di fedeltà
coniugale fa presumere che abbia reso la convivenza intollerabile” (e v., ad es., Trib. Lecce 22-4-2020). Così,
in particolare, ovviamente, in caso di “stabile relazione extraconiugale”: Cass. 5-2-2014, n. 2539. Più cauta
Cass. 9-10-2012, n. 17196, in cui si richiama la necessaria prova, comunque, di “uno stretto rapporto di causa
ad effetto” rispetto all’intollerabilità della convivenza.
64
Proprio al carattere di “offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge”, “in considerazione degli aspet-
ti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono”, si riferisce Cass. 13-7-1998, n. 6834, per
ritenere contraria al dovere di fedeltà la relazione di un coniuge con estranei, “anche se non si sostanzi in un
adulterio” (e circa la rilevanza, al riguardo, della convinzione indotta nei terzi dal comportamento del coniu-
ge, v. pure Cass. 12-12-2008, n. 29249). Ad “un impegno globale di devozione, che presuppone una comu-
nione spirituale e materiale, di cui la fedeltà sessuale è soltanto un aspetto”, allude Cass. 11-8-2011, n. 17193.
Una contrarietà al dovere in questione non è stata ritenuta ricorrere, a carico della moglie, nell’ipotesi di “le-
game platonico, essenzialmente concretatosi in contatti telefonici o via internet, e non connotato da reciproco
coinvolgimento sentimentale, con condivisione e ricambio di lei dell’eventuale infatuazione di lui” (Cass.
12-4-2013, n. 8929).
65
La ricorrenza di un motivo di addebito è stata negata nel caso in cui uno dei coniugi, pur non avendone
la necessità, si sia dedicato ad una attività lavorativa, al fine di affermare la propria personalità (sempre che
tale decisione non risulti incompatibile con l’adempimento dei fondamentali doveri familiari): Cass. 11-7-2013,
n. 17199. La giurisprudenza (Cass. 9-4-2015, n. 7132) fa anche riferimento alla “violazione del dovere di leal-
tà … così da minare il nucleo imprescindibile di fiducia reciproca che deve caratterizzare il vincolo coniuga-
le” (in relazione alla dimostrata indisponibilità al superamento di situazioni incompatibili con l’osservanza dei
doveri coniugali).
66
Sono state, così, ritenute “espressione del dovere di solidarietà familiare”, con la conseguenza che “non
può chiedersene il compenso all’altro coniuge”, “le prestazioni professionali effettuate da un coniuge nell’in-
teresse della famiglia” (nel caso di specie, progettazione e direzione di lavori di ristrutturazione della casa fa-
miliare da parte del coniuge architetto) (Trib. Napoli 4-7-2000).
456 PARTE V – FAMIGLIA

cato da essa) 67, con i possibili risvolti pure penali del suo abbandono (art. 570 c.p.). Alle
ipotesi patologiche della convivenza ha riguardo la disciplina degli ordini di protezione
contro gli abusi familiari (artt. 342 bis e ter, introdotti nel codice civile dalla L. 4.4.2001,
n. 154), che possono comportare anche l’imposizione dell’allontanamento dalla casa fa-
miliare (V, 1.8). Coerente con una considerazione della coabitazione come funzionale
alla realizzazione di valori comunitari di vita sembra, poi, la previsione per cui la propo-
sizione di domande giudiziali dirette alla constatazione della crisi coniugale costituisce
giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare (art. 1462).
Problema discusso è quello della sanzione per l’inosservanza dei doveri familiari,
una volta ritenuta pacifica la loro incoercibilità. Al di là della ricordata tutela di carattere
penale (artt. 570 ss. c.p.), l’avere il comportamento tenuto dal coniuge in violazione di
tali doveri causato la crisi coniugale rende a lui eventualmente addebitabile la separazio-
ne personale (art. 1512) (V, 3.2), rientrando, inoltre, la valutazione delle ragioni della de-
cisione anche tra gli elementi da considerare per la determinazione dell’assegno di divor-
zio (art. 56 L. 1.12.1970, n. 898) (V, 3.5) 68.

67
La gravità dell’allontanamento dalla casa familiare, in assenza di giusta causa, quale violazione di un fon-
damentale dovere coniugale, viene evidenziata da Cass. 23-6-2020, n. 12241; 15-1-2020, n. 648 e 15-12-2016,
n. 25966 (che lo considerano, di conseguenza, “di per sé sufficiente a giustificare l’addebito della separazione
personale”). Di recente, Cass. 16-4-2018, n. 9384, ha considerato giustificato l’allontanamento della moglie
dalla casa coniugale, a seguito della “scoperta della condotta del marito, consistita nella navigazione su siti
internet dedicati alla ricerca di relazioni extraconiugali”.
68
Un consistente indirizzo giurisprudenziale di merito (ad es., Trib. Firenze 13-6-2000, Trib. Milano
4-6-2002, Trib. Venezia 14-5-2009) si è orientato a favore dell’ammissibilità dell’attribuzione di un risarci-
mento del danno a favore del coniuge nei cui confronti sia avvenuta la violazione dei doveri coniugali (in occa-
sione della separazione personale e in aggiunta alla dichiarazione di addebitabilità della stessa al coniuge re-
sponsabile). Ciò contro la impostazione tradizionale (di cui è espressione, in particolare, Cass. 6-4-1993, n.
4108), tendente a negare una simile possibilità, in considerazione della specificità della materia matrimoniale,
anche per quanto concerne la disciplina dei relativi doveri e delle conseguenze della loro inosservanza. Pure
la Cassazione (10-5-2005, n. 9801), una volta evidenziata l’esistenza di un vero e proprio “diritto soggettivo di
un coniuge nei confronti dell’altro” a comportamenti conformi ai “doveri che derivano dal matrimonio”, ha
abbandonato la tradizionale “impostazione volta ad esaltare la specificità e completezza del diritto di fami-
glia”, cui consegue che la violazione dei relativi obblighi trovi esclusivamente “la propria sanzione nelle misu-
re tipiche in esso previste”. Si è ritenuto, cioè, che tali specifici rimedi “non sono strutturalmente incompati-
bili con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti” (tra cui è da annoverare “il rispetto della
dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare”, dovuto da parte di
ogni altro componente della famiglia), “non escludendo la rilevanza che un determinato comportamento può
rivestire ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e delle conseguenti statuizioni di
natura patrimoniale la concorrente rilevanza dello stesso comportamento quale fatto generatore di responsa-
bilità aquiliana”. Viene negato, comunque, che “la mera violazione dei doveri matrimoniali o anche la pro-
nuncia di addebito della separazione possano di per sé ed automaticamente integrare una responsabilità risar-
citoria” (e v. Cass. 6-8-2020, n. 16740). Cass. 1-6-2012, n. 8862, ha sostanzialmente confermato tale imposta-
zione, sottolineando, allora, che “la responsabilità tra coniugi o nei confronti del figlio non si fonda sulla mera
violazione dei doveri, matrimoniali o di quelli derivanti dal rapporto di genitorialità, ma sulla lesione, a segui-
to dell’avvenuta violazione di tali doveri, di beni inerenti la persona umana, come la salute, la privacy, i rap-
porti relazionali, ecc.” (per cui “possono sicuramente coesistere pronuncia di addebito e risarcimento del
danno, considerati i presupposti, i caratteri, le finalità radicalmente differenti”). Con riguardo alla violazione del
dovere di fedeltà, Cass. 15-9-2011, n. 18853, così, richiede, ai fini del sorgere di una responsabilità a fini risarci-
tori (ritenuta, peraltro, azionabile – con una soluzione che desta perplessità – anche in caso di avvenuta sepa-
razione consensuale; alla compatibilità – in quanto “azione del tutto autonoma rispetto alla domanda di sepa-
razione e di addebito” – con la mancanza di una domanda di addebito o con la relativa rinuncia allude Trib.
Bari 18-3-2019), “la compromissione di un interesse costituzionalmente protetto … evenienza che può verifi-
CAP. 2 – MATRIMONIO 457

In conseguenza del matrimonio, la moglie aggiunge al proprio cognome quello del


marito (art. 143 bis), mentre, prima della riforma, era previsto che essa lo sostituisse al
proprio. Anche così configurata, la disciplina del cognome nella famiglia (ispirata ad esi-
genze di tutela dell’unità familiare nella sua identificazione sociale), pure per i riflessi re-
lativi ai figli (ai fini della cui identificazione attualmente prevale, secondo la tradizione, la
linea maschile di discendenza), è sembrata poco rispettosa del principio di eguaglianza
dei coniugi, proponendosi anche da noi – come già avvenuto altrove – l’eliminazione
della necessaria assunzione, da parte della moglie, del cognome maritale e l’introduzione
della possibilità di una scelta, concordata nel momento del matrimonio, in ordine al co-
gnome da trasmettere ai figli (IV, 2.10) 69.
Il conferimento ai coniugi di una simile possibilità di scelta si risolverebbe, indub-
biamente, in un ulteriore potenziamento di quella autonomia, della quale già essi di-
spongono nella definizione dei rispettivi rapporti e nell’organizzazione della vita familia-
re, sempre, comunque, entro la cornice dei diritti e dei doveri imposti in modo indero-
gabile ai coniugi medesimi (art. 160) 70.
Secondo quella che viene correntemente definita come regola dell’accordo nel go-
verno della famiglia, i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fis-

carsi in casi e contesti del tutto particolari”, in cui si sia determinata una “lesione della salute del coniuge” o
un’offesa alla “dignità della persona” (e sempre ad esito della “necessaria prova del nesso di causalità”). A
tale prospettiva si è allineata pure Cass. 7-3-2019, n. 6598, che ha negato la sussistenza di “un diritto alla fe-
deltà coniugale costituzionalmente protetto”, la relativa violazione essendo “sanzionabile civilmente”, appun-
to, solo “quando, per le modalità dei fatti, uno dei coniugi ne riporti un danno alla propria dignità personale,
o eventualmente un pregiudizio alla salute” (quanto, poi, alla relativa posizione, “non può escludersi, in
astratto, la configurabilità di una responsabilità a carico dell’amante”, ma solo ove “abbia leso o concorso a
violare diritti inviolabili – quali la dignità e l’onore – del coniuge tradito”). La problematica in questione si
ricollega a quella più generale, attualmente oggetto di notevole attenzione e di persistenti contrasti, concer-
nente i rimedi applicabili in caso di c.d. i l l e c i t o e n d o f a m i l i a r e (con il ruolo da riconoscere, in materia,
allo strumento del risarcimento del danno, con specifico riguardo al danno non patrimoniale). Proprio in una
simile ottica, un “obbligo di risarcimento dei danni non patrimoniali” è stato ritenuto riferibile anche alla “viola-
zione dei doveri inerenti al rapporto di filiazione” (Cass. 10-4-2012, n. 5652; 22-7-2014, n. 16657; 22-7-2014, n.
16657, nonché 16-2-2015, n. 3079, in relazione all’obbligo di mantenimento gravante sul genitore naturale fin
dalla nascita del figlio e, quindi, anche anteriormente alla dichiarazione di paternità o maternità; e v., in ter-
mini molto comprensivi, Trib. Matera 7-12-2017, per la mancanza di “un’adeguata partecipazione e sostegno
alla vita del figlio”) (V, 4.9). In proposito, è da evidenziare come lo stesso legislatore abbia previsto, nell’art. 709
ter c.p.c. (introdotto con la L. 8.2.2006, n. 54), la possibilità di disporre, a carico del genitore responsabile di gra-
vi inadempienze ai propri doveri verso i figli in conseguenza della crisi matrimoniale, un risarcimento a favore dei
figli stessi e dell’altro genitore. Si ricordi come Cass. 5-5-2020, n. 8459 abbia anche ritenuto ammissibile un
eventuale risarcimento del danno a favore del padre, cui non sia stato comunicato dalla madre consapevole
della paternità l’avvenuto concepimento di un figlio, per il pregiudizio del “diritto del padre naturale di af-
fermare la propria identità genitoriale”.
69
In ricorrenti proposte di riforma della materia del cognome familiare (e v. anche IV, 2.10), è stata pro-
spettata la modificazione dell’art. 143 bis, nel senso che “ciascun coniuge conserva il proprio cognome” (con
le conseguenze destinate a derivarne rispetto all’attuale disciplina del cognome della moglie in caso di separa-
zione personale e di divorzio) (così, ad es., già il D.D.L. n. 86 della XVI legislatura).
70
L’art. 143 ter disciplinava la cittadinanza della moglie (con particolare riferimento alla conservazione di
quella italiana). Tale disposizione è stata abrogata dalla L. 5.2.1992, n. 91, che regola in via generale la mate-
ria della cittadinanza. L’art. 5 (come sostituito dalla L. 15.7.2009, n. 94) disciplina l’acquisto della cittadinan-
za italiana da parte del coniuge straniero o apolide di cittadino italiano (l’acquisto si produce quando costui
“risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del
matrimonio se residente all’estero, qualora … non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessa-
zione degli effetti civili del matrimonio e non sussista separazione personale dei coniugi”).
458 PARTE V – FAMIGLIA

sano la residenza della famiglia, alla luce delle esigenze di entrambi e quelle collettive
(art. 1441). La necessità di soluzioni concordate riguarda, dunque, le scelte da cui dipende
l’organizzazione della vita familiare, quali, in particolare, oltre che appunto la determina-
zione della residenza familiare, la precisazione del ruolo che ogni membro deve svolgere
nel quadro dell’organizzazione stessa (senza, quindi, alcuna predefinizione), innanzitutto
con riguardo allo svolgimento di attività lavorative extradomestiche ed alla relativa com-
patibilità con gli impegni familiari 71. Il rispetto dell’accordo, comunque, non può essere
preteso quando mutino le circostanze, essendo espressione del dovere di leale collabora-
zione la ricerca di nuove adeguate soluzioni, nel rispetto delle esigenze di tutti.
A ciascuno dei coniugi spetta, poi, per ovvi motivi di opportunità pratica nello svol-
gimento della vita familiare, il potere di attuare l’indirizzo concordato (art. 1442). Di-
scusso è se un tale potere abbia anche una rilevanza esterna e comporti, quindi, la possi-
bilità di impegnare, in attuazione del reciproco dovere di contribuzione, pure l’altro co-
niuge per le obbligazioni assunte per soddisfare le necessità della famiglia (e ciò a pre-
scindere dal regime patrimoniale operante tra i coniugi, trattandosi di questione concer-
nente il c.d. regime primario: V, 2.10).
Indubbiamente, il governo della famiglia fondato sulla regola dell’accordo pone il pro-
blema delle conseguenze della relativa mancanza. Essendosi rinunciato a perpetuare la
prevalenza della volontà di uno dei coniugi, la soluzione, in vista della salvaguardia del-
l’unità familiare, è stata trovata nel prevedere un intervento del giudice in caso di di-
saccordo (art. 145). Per evitare che un simile intervento determini una lesione dell’au-
tonomia dei coniugi, si è previsto che esso abbia carattere essenzialmente conciliativo, in
quanto mirato al raggiungimento di una soluzione concordata. Ove tale tentativo non rie-
sca ed il contrasto concerna la fissazione della residenza o altri affari essenziali, solo su
richiesta espressa e congiunta dei coniugi – i quali, così, esercitano pur sempre il loro po-
tere di scelta, sia pure rimettendo al giudice la decisione – il giudice adotterà la soluzione
più opportuna 72.

10. Regime patrimoniale della famiglia. Il regime primario. – La disciplina del


regime patrimoniale della famiglia costituisce un elemento di rilevanza fonda-
mentale nella delineazione del modello familiare che il legislatore intende vedere realiz-
zato. Si tratta, infatti, del complesso delle norme destinate a regolare i rapporti di natura

71
È sulla base dell’accordo che devono essere risolti simili problemi: Cass. 9-5-1982, n. 2882, sottolinea che
“il rifiuto di sottostare al metodo dell’accordo può essere valutato come motivo di addebito della separazione,
sotto il profilo della violazione del più ampio dovere di collaborazione”. Cass. 7-5-1992, n. 5415, indica come
doverosa via da percorrere, in caso di disaccordo, quella del ricorso alla procedura dell’art. 145.
72
Pur essendo stato reputato da Cass. 5415/1992, il “provvedimento … insuscettibile di coercizione, in
quanto privo di efficacia esecutiva”, è da ritenere che il suo mancato rispetto da parte di uno dei coniugi pos-
sa costituire elemento di valutazione ai fini della pronuncia di addebito della separazione personale even-
tualmente seguita al perpetuarsi della crisi. Comunque, la disposizione ha trovato limitatissimi richiami nella
pratica, tanto da farla diffusamente considerare una sorta di “ramo secco”: del resto, pure il suo significato –
peraltro sicuramente importante nel contesto (anche temporale) della riforma – di dichiarata rottura con i
pregressi assetti familiari discriminatori assume, ormai, una sempre minore pregnanza, a fronte dell’avvenuta
evoluzione dei rapporti all’interno della famiglia nella realtà sociale. Comunque, l’art. 123, lett. ii, L. 206/2021
ha previsto un intervento in materia di art. 145 (oltre che di art. 316: V, 4.9) in sede di normativa delegata
(dalle finalità invero alquanto oscure in rapporto alla disciplina attualmente vigente).
CAP. 2 – MATRIMONIO 459

patrimoniale dei coniugi proprio in considerazione di tale loro specifica condizione: risul-
tano determinati, così, in ultima analisi, i riflessi che il matrimonio produce sul patrimo-
nio (passato, presente e futuro) di ciascuno di essi.
La scelta della riforma è stata nel senso di privilegiare il momento comunitario e par-
tecipativo anche nello svolgimento delle relazioni economiche interessanti i membri della
famiglia 73. L’esigenza avuta di mira è stata quella della tutela della eguaglianza sostanzia-
le dei coniugi, cui è stata ritenuta funzionale la previsione, quale regime legale, del re-
gime di comunione (appunto, legale) dei beni. Si è ritenuto opportuno, peraltro, con-
ciliare una simile esigenza col rispetto di una certa indipendenza economica di ciascun
coniuge (pure dal punto di vista delle sue iniziative), quale espressione di quella libertà
che, a salvaguardia della dignità personale, non può essere conculcata in conseguenza
del matrimonio. Ciò ha avuto riflessi tanto dal punto di vista della conformazione dello
stesso regime legale di comunione dei beni 74, quanto sotto il profilo della sfera di auto-
nomia riconosciuta agli interessati nella determinazione del proprio regime patrimoniale
coniugale, in considerazione della molteplicità delle tipologie degli assetti economici fa-
miliari in una società complessa come la nostra.
Il regime patrimoniale legale di comunione risulta, così, destinato ad operare
solo ove le parti non abbiano scelto, nei limiti consentiti, un diverso regime con apposita
convenzione (art. 159) (V, 2.11), in tal senso dovendosi intendere il suo carattere legale
(e non in quello, dunque, della relativa inderogabilità).
Indipendentemente dal regime patrimoniale esistente tra i coniugi (comunione legale
o regime convenzionale), a salvaguardia degli obiettivi di eguaglianza e perequazione
avuti di mira dal legislatore, in ogni caso opera, comunque, il principio contributivo:
regolamentazione inderogabilmente finalizzata – in quanto immediata espressione della
solidarietà coniugale – ad assicurare un livello essenziale di integrazione delle sfere patri-
moniali dei coniugi in quanto tali. È proprio in una tale prospettiva che si parla di regi-
me primario (inderogabile) con riferimento, appunto, al dovere di contribuzione, per
il quale “entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla
propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della fami-
glia” (art. 1433) 75. Principio, questo, che si innerva nella quotidiana vita familiare attra-

73
La disciplina in esame concerne per definizione i rapporti tra coniugi, ma il legislatore non manca di
tenere presente la posizione di altri soggetti (e, in particolare, dei figli) nella regolamentazione degli assetti
economici complessivi della famiglia (basti pensare al dovere contributivo che grava sui figli conviventi, art.
315 bis4, nonché alla regolamentazione del fondo patrimoniale, artt. 167 ss., e dell’impresa familiare, art.
230 bis).
74
La prospettiva in cui si è mosso il legislatore risulta sintetizzata, di recente, da Cass. 17-5-2022, n. 15889, in
cui si sottolinea che “se la finalità dell’istituto è quella di garantire l’uguaglianza delle sorti economiche dei
coniugi in relazione agli eventi verificatisi dopo il matrimonio, il legislatore ha avuto anche ben presente
l’esigenza di assicurare al singolo coniuge un adeguato spazio di autonomia nell’esercizio delle proprie attività
professionali o imprenditoriali, ed in generale nella gestione dei propri redditi da lavoro come pure dei frutti
ricavati dai bei personali. L’obiettivo era quello di fornire una disciplina che operasse un necessario ed equi-
librato bilanciamento fra alcuni principi, tutti di rango costituzionale e, come tali, meritevoli in ugual modo
di tutela, quali la tutela della famiglia (art. 29 Cost.), il principio di uguaglianza dei cittadini (art. 3 Cost.), la
libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), la remunerazione del lavoro (art. 35)”.
75
Al regime primario così inteso vengono contrapposti – seguendo una corrente terminologia di origine
francese – i diversi possibili regimi patrimoniali, sulla scelta e concreta conformazione dei quali può incidere
la volontà degli interessati, definiti, appunto, regimi secondari (di cui uno, quello di comunione, avente la di-
460 PARTE V – FAMIGLIA

verso il meccanismo gestionale di cui all’art. 144 (regola dell’accordo nelle scelte di indi-
rizzo e potere disgiunto di relativa attuazione: V, 2.9).
Viene, così, sancita espressamente la pari dignità, ai fini dell’assolvimento del proprio
dovere contributivo da parte di ciascuno dei coniugi, del lavoro prestato all’interno della
famiglia, rispetto a quello extradomestico. Pure il coniuge impegnato, in via esclusiva o
prevalente, nell’attività lavorativa domestica (come tale improduttiva di reddito) è parte-
cipe, allora, durante la convivenza matrimoniale, del tenore di vita consentito dalla com-
plessiva economia familiare (e deciso d’accordo, ai sensi dell’art. 1441) 76. Il regime suc-
cessorio e quello delle conseguenze patrimoniali della crisi familiare valgono (o, almeno,
dovrebbero valere) ad assicurargli, poi, pure per il tempo successivo al venir meno della
convivenza, un’adeguata partecipazione agli incrementi patrimoniali venutisi a realizzare
nel corso della vita familiare.
Per garantire una reale posizione di eguaglianza dei coniugi, peraltro, pare impre-
scindibile riconoscere loro, in ogni caso, poteri paritari di iniziativa economica nei con-
fronti dei terzi, in vista del soddisfacimento delle necessità familiari. Solo conferendo
una rilevanza esterna al dovere di contribuzione – legittimando, cioè, ciascun coniuge
alla stipulazione di obbligazioni nell’interesse della famiglia, con efficacia diret-
tamente vincolante nei confronti dei terzi anche per l’altro (pure, quindi, ove il regime
operante sia quello della separazione dei beni) – si sottrae, in effetti, il coniuge meno
provveduto di mezzi economici a condizionamenti da parte di quello più provveduto,
tali da svuotare, di fatto, la regola dell’accordo della sua valenza egalitaria (così da ren-
derla di valore esclusivamente formale). Una simile conclusione, anche in assenza di una
disposizione espressa come quelle esistenti in altri ordinamenti, può essere argomentata
proprio sulla base della vigenza del principio contributivo (quale emerge dagli artt. 1433
e 144) 77.
Al piano del regime primario vengono diffusamente ricondotte, inoltre, le vicende re-
lative alla casa familiare, sulla base delle numerose disposizioni che ad essa conferi-
scono autonoma considerazione – in conseguenza, appunto, di tale sua peculiare desti-
nazione – rispetto agli altri beni di cui i coniugi (individualmente o insieme) siano titola-
ri: art. 1441, per l’accordo di fissazione della residenza della famiglia; art. 5402, per la sor-
te della casa adibita a residenza familiare in caso di morte del coniuge che ne sia proprie-
tario; art. 142 L. 76/2016, per il diritto spettante al convivente superstite sulla casa di co-

gnità di regime legale). Essi sono definiti tali proprio perché destinati ad operare al di fuori delle regole inde-
rogabili del primo e subordinatamente ad esse.
76
Tale tenore di vita assume, ovviamente, rilevanza in ordine alla individuazione dei bisogni della famiglia,
cui deve essere rapportato il dovere di contribuzione.
77
La Cassazione si orienta, però, ad escludere che un coniuge possa, in regime di separazione dei beni,
impegnare solidalmente l’altro – in mancanza di una deroga al principio generale secondo cui il contratto non
produce effetti rispetto ai terzi (art. 1372) – “per le obbligazioni contratte, pur se riconducibili all’interesse
della famiglia” (Cass. 7-7-1995, n. 7501 e 28-4-1992, n. 5063), anche se, facendo leva “sull’obbligo di ciascu-
no dei coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia”, la stessa ha talvolta (Cass. 25-7-1992, n. 8995) ammes-
so “l’invasione della sfera giuridico patrimoniale di un coniuge da parte dell’altro”, con conseguente responsa-
bilità solidale pure del primo per le spese effettuate dal secondo. Ai fini del sorgere di una responsabilità del
marito, pur in assenza di una sua procura espressa o tacita alla moglie, si tende a considerare necessaria la
ricorrenza di “una situazione di apparenza giuridica che facesse ritenere che questa operasse – pur senza spen-
derne il nome – per conto del marito” (Cass. 15-2-2007, n. 3471 e 6-10-2004, n. 19947).
CAP. 2 – MATRIMONIO 461

mune residenza”; art. 337 sexies1, per l’assegnazione della casa familiare a seguito di ces-
sazione della convivenza della famiglia (anche ove non sussista il vincolo coniugale).

11. Convenzioni matrimoniali. – Le convenzioni matrimoniali sono gli accordi


coi quali gli sposi – eccezionalmente con l’intervento di un terzo (art. 1671-2) – adottano un
regime patrimoniale della famiglia diverso da quello legale di comunione (art. 159), ovvero
modificano quello in atto 78. Si tratta di atti di natura negoziale, caratterizzati da una propria
disciplina (artt. 159 ss.), ai quali quella generale in materia di contratto sembra poter essere
applicata solo in quanto compatibile con tale specifica disciplina (una peculiare regolamen-
tazione è prevista espressamente, comunque, per la simulazione: art. 164) 79.
L’autonomia delle parti – cui è consentito avvalersi dei regimi tipizzati dal legislato-
re 80, ma anche dar vita a regimi atipici – incontra il limite del carattere inderogabile dei
diritti e doveri conseguenti al matrimonio (art. 160). L’allusione è, in particolare, a quel
dovere di contribuzione, che sostanzia il regime primario (V, 2.10) e che svolge, così, la

78
Si discute se possano essere considerati come convenzioni matrimoniali – ai fini dell’applicabilità della
relativa disciplina, in particolare riguardo alla forma – gli accordi tra coniugi concernenti beni determinati e,
di conseguenza, privi di un contenuto programmatico in ordine al regime patrimoniale della famiglia (in quan-
to, cioè, non concernenti la sorte di categorie di beni). Cass. 24-4-2007, n. 9863 e 12-9-1997, n. 9034, ritengo-
no, in effetti, che tale qualifica dipenda dal riferimento ad una “generalità dei beni, anche di futura acquisi-
zione”. Pure per Cass. 27-2-2003, n. 2954, le convenzioni in questione “riguardano sempre il regime patri-
moniale complessivo della famiglia e non possono essere limitate a beni specifici”. Avendo dubitato, quindi,
Cass. 27-10-2008, n. 25857, che per l’atto costitutivo di fondo patrimoniale (V, 2.13) possa parlarsi di conven-
zione matrimoniale, l’orientamento favorevole a tale qualificazione è stato, comunque, confermato da Cass.
25-3-2009, n. 7210, nonché da Cass., sez. un., 13-10-2009, n. 21658.
79
Controversi si presentano i limiti di ammissibilità, nel vigente contesto normativo, dei c.d. a c c o r d i
p r e m a t r i m o n i a l i , essenzialmente finalizzati a disciplinare, già prima di contrarre matrimonio, le conse-
guenze economiche di una eventuale crisi familiare. La materia di tali accordi, quindi, non coincide con quel-
la tipica delle convenzioni matrimoniali e finisce con l’interferire con l’operatività di regole inderogabili con-
cernenti i rapporti patrimoniali tra coniugi (dovere di contribuzione, anche nei suoi riflessi post-matrimoniali:
V, 3.5) e la successione mortis causa (con particolare riguardo al divieto dei patti successori ed alla tutela dei
legittimari: XII, 1.2). Proprio in vista di ciò, una volta considerata apprezzabile la relativa funzione (anche alla
luce delle esperienze straniere: Prenuptial Agreements), tende ad essere reputato opportuno, al riguardo, uno
specifico intervento legislativo (e v., infatti, la P.D.L. n. 2669, Camera dei deputati, XVII legislatura, ripro-
dotta nella P.D.L. n. 244 della XVIII legislatura, che prevede – peraltro senza sufficiente attenzione alla com-
plessità della materia ed all’esigenza di un adeguato bilanciamento dei delicati interessi personali in gioco –
l’introduzione della figura con un art. 162 bis). La materia di simili “accordi” risulta tra quelle prese in consi-
derazione dal D.D.L. n. 1151, Senato, XVIII legislatura, avente ad oggetto la “Delega al Governo per la revi-
sione del codice civile” (con estensione della portata della figura considerata ai “rapporti personali e quelli
patrimoniali, anche in previsione dell’eventuale crisi del rapporto”, nonché ai “criteri per l’indirizzo della vita
familiare e l’educazione dei figli”). Una qualche cauta apertura della giurisprudenza può ravvisarsi, comun-
que, in decisioni che hanno utilizzato il meccanismo della condizione per riconoscere alla volontà degli inte-
ressati la possibilità di ricollegare preventivamente la produzione di effetti di natura patrimoniale al verificarsi
dell’evento rappresentato dalla loro eventuale futura separazione (Cass. 21-8-2013, n. 19304 e 21-12-2012, n.
23713). Assai più decisa (nel senso, cioè, dell’ammissibilità in materia, già allo stato, di una larga autonomia
degli interessati) risulta la posizione di Trib. Torino 20-4-2012.
80
Solo quelli di comunione legale e di separazione dei beni sono regimi patrimoniali generali, coinvolgenti,
cioè, la globalità dei rapporti patrimoniali dei coniugi. Sul loro sfondo, si possono eventualmente innestare,
quali regimi patrimoniali particolari (in quanto limitati a disciplinare esclusivamente taluni rapporti patrimo-
niali dei coniugi), la comunione convenzionale ed il fondo patrimoniale. Ad una peculiare regolamentazione è
sottoposta, poi, l’impresa familiare.
462 PARTE V – FAMIGLIA

funzione di “cerniera” tra i profili personali e quelli economici del rapporto matrimonia-
le. Gli sposi, poi, non possono, per la disciplina dei propri rapporti patrimoniali, rinviare
genericamente a regimi previsti da altri ordinamenti o agli usi, dovendo enunciare speci-
ficamente le regole che intendono adottare (anche se corrispondenti a quelle altrove vi-
genti) (art. 161). Sono vietate, infine, le convenzioni tendenti a far comunque rivivere il
regime della dote (art. 166 bis), soppresso dalla riforma, in quanto tipicamente espres-
sione del modello di organizzazione familiare sconfessato (perché fondato sulla premi-
nenza del ruolo del marito).
Le convenzioni possono essere stipulate e modificate in ogni tempo (art. 1623) e,
quindi, non solo prima, ma anche dopo la celebrazione del matrimonio, a differenza di
quanto previsto, in linea di principio, anteriormente alla riforma.
Circa la capacità di agire richiesta, anche il minore ammesso a contrarre matrimo-
nio è reputato capace di stipulare le relative convenzioni, con l’assistenza dei genitori o
del tutore (ovvero di un curatore speciale, ove nominato ai sensi dell’art. 90) (art. 165).
L’inabilitato deve essere assistito dal curatore (art. 166).
La forma richiesta, sotto pena di nullità, è quella dell’atto pubblico (art. 1621). La scel-
ta del regime di separazione di beni, prima della riforma costituente regime legale, è facili-
tata, potendo essere semplicemente dichiarata nell’atto di celebrazione del matrimonio (e
ciò anche in caso di matrimonio concordatario) (art. 1622). Una normale convenzione oc-
correrà, in tal caso, per optare, successivamente, a favore del regime di comunione.
Poiché il regime patrimoniale della famiglia interessa i rapporti dei coniugi coi terzi, è
previsto, a loro tutela, un peculiare regime di pubblicità, per metterli a conoscenza del
regime patrimoniale di chi sia coniugato. Ai fini della opponibilità ai terzi, le convenzioni
devono risultare da annotazione a margine dell’atto di matrimonio, contenente l’indica-
zione della relativa data, del notaio rogante e delle generalità dei contraenti (ovvero della
scelta del regime di separazione dei beni) (art. 1624). L’art. 2647 prescrive, inoltre, se
abbiano per oggetto beni immobili, la trascrizione nei registri immobiliari delle conven-
zioni costitutive del fondo patrimoniale, ovvero tendenti ad escludere tali beni dalla co-
munione, nonché degli atti di scioglimento della comunione e degli atti di acquisto di
beni personali 81. In mancanza di annotazioni a margine dell’atto di matrimonio, il terzo
può senz’altro ritenere che tra i coniugi operi il regime di comunione legale (si parla, al
riguardo di pubblicità negativa).
L’art. 1623, originariamente, subordinava il mutamento delle convenzioni, dopo il
matrimonio, ad autorizzazione giudiziale. La relativa necessità è stata eliminata dalla L.
10.4.1981, n. 142.

81
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, peraltro in contrasto con una diffusa opinione
dottrinale, solo l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio vale a rendere la convenzione – e, in particola-
re, quella costitutiva di fondo patrimoniale – opponibile ai terzi, mentre la trascrizione ha funzione di “mera
pubblicità-notizia, inidonea ad assicurare detta opponibilità” (Cass. 19-11-1999, n. 12864; Cass. 16-11-2007,
n. 23745). Il regime di doppia pubblicità è stato ritenuto legittimo da Corte cost. 6-4-1995, n. 111. Di una si-
mile ricostruzione del regime pubblicitario in tema di convenzioni matrimoniali, con specifico riferimento alla
costituzione del fondo patrimoniale, ha dubitato Cass. 25857/2008, ma l’orientamento dianzi accennato è sta-
to confermato da Cass. 7210/2009 e da Cass., sez. un., 21658/2009, che ha concluso costituire l’annotazione
“l’unica formalità pubblicitaria rilevante agli effetti della opponibilità della convenzione ai terzi” (e v. anche
Cass. 12-12-2013, n. 27854).
CAP. 2 – MATRIMONIO 463

Le convenzioni modificative di convenzioni precedenti richiedono il consenso


(manifestato per atto pubblico) di tutti coloro che ne erano parti e la relativa pubblicità è
operata con annotazione in margine all’atto di matrimonio, nonché con annotazione a
margine della trascrizione, ove prescritta, della convenzione originaria (art. 163).

12. Comunione legale. – Il regime di comunione è stato, in sede di riforma del 1975,
ritenuto meglio rispondere all’esigenza di rispecchiare, anche nel campo dei rapporti pa-
trimoniali, un modello familiare che valorizzi la comunità di vita tra i coniugi. Con tale
regime si è inteso, in effetti, assicurare a costoro una partecipazione, in piena eguaglianza,
all’accumulo ed alla gestione delle ricchezze familiari: l’obiettivo risulta perseguito, peral-
tro, in modo da salvaguardare (per la conformazione del contenuto e la non obbligatorie-
tà del nuovo regime) una certa autonomia di ciascun coniuge.
La comunione legale ha un carattere non universale, sia in quanto non si estende
ai beni di cui i coniugi erano titolari anteriormente al matrimonio, sia perché lascia cia-
scuno dei coniugi comunque titolare di taluni beni essenziali per garantirgli una sfera di
libertà in campo personale e professionale (e ciò inderogabilmente: art. 2103).
a) Quanto all’oggetto, essa si atteggia – secondo l’esempio francese tenuto presente
dal legislatore – come comunione degli acquisti: ne costituiscono oggetto, per l’art. 1771,
appunto, gli acquisti compiuti dai coniugi, insieme o separatamente (in tal caso, l’acquisto
si ritiene comunicarsi automaticamente ex lege all’altro coniuge), durante il matrimonio
(lett. a). La sua disciplina (e, quindi, la sua natura), comunque, si discosta in maniera in-
cisiva da quella generale della comunione, quale risulta regolata dagli artt. 1100 ss. 82.
Da una simile comunione immediata restano esclusi i frutti dei beni propri ed i
proventi dell’attività separata (stipendi, onorari e simili) (lett. b e c). Tali beni (e, quindi, i
risparmi non utilizzati per acquisti) sono destinati a rientrare nella comunione solo al
momento del suo scioglimento ed esclusivamente in quanto ancora non consumati (c.d.
comunione di residuo) 83.

82
Corte cost. 17-3-1988, n. 311, ha sottolineato che, in vista delle sue peculiari finalità, “la disciplina della
comunione legale fra i coniugi non è riconducibile a quella della comunione ordinaria”, trattandosi di “co-
munione senza quote” e risultando, così, “giustificata la diversità di regime” (nel caso di specie, concernente
gli atti compiuti senza il necessario consenso di entrambi i coniugi, con riferimento all’art. 184). Ribadisce la
“netta distinzione tra comunione ordinaria e comunione legale tra coniugi”, ad es., Cass., sez. un., 24-8-2007,
n. 17952.
83
L’opinione prevalente è nel senso che il coniuge percipiente tali frutti e proventi possa utilizzarli (e
consumarli) come meglio creda, una volta assolto il proprio dovere di contribuzione (fermo restando che gli
acquisti con essi effettuati – ma non quando si tratta di forme di mero accantonamento dei redditi, come
pare da ritenere per l’acquisto di BOT e simili – cadono immediatamente in comunione). Un tale orienta-
mento risulta condiviso da Cass. 12-9-2003, n. 13441. Peraltro, Cass. 17-11-2000, n. 14897, nonché già Cass.
10-10-1996, n. 8865, hanno sostenuto che tra i redditi non consumati al momento dello scioglimento della
comunione, oggetto di comunione di residuo, sono da comprendere non solo i redditi ancora sussistenti in
tale momento, “ma anche quelli, percetti e percipiendi, rispetto ai quali il titolare non riesca a dimostrare
che siano stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in
comunione”. Espressamente contro simili conclusioni, comunque, si è pronunciata Cass. 7-2-2006, n. 2597
(cui adesivamente si riferisce, di recente, da Cass. 12-2-2021, n. 3767), per la quale la legge “non prevede
vincoli di destinazione, né impone limiti o controlli al diritto di ciascun coniuge di disporre del surplus dei
propri redditi”, non esistendo “alcun diritto di ciascun coniuge sui proventi dell’altro e sul modo in cui
questi li amministra” e risultando avere il coniuge percettore, “manente communione, rispetto ai proventi
464 PARTE V – FAMIGLIA

Un regime analogo, per rispettare la sua autonomia di iniziativa economica (ma anche
per meglio tutelare i creditori), si applica ai beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno
dei coniugi costituita dopo il matrimonio ed agli incrementi dell’impresa costituita anche
prima di esso (art. 178) 84. Costituiscono oggetto di comunione immediata, invece, le azien-
de gestite insieme dai coniugi, se costituite dopo il matrimonio (lett. d); mentre se essi ge-
stiscono insieme l’azienda già appartenente ad uno dei coniugi prima del matrimonio,
competono ad entrambi gli utili e gli incrementi (art. 1772).
Controverso, peraltro, è il concetto di acquisti destinati ad entrare in comunione. La
giurisprudenza tende ad escludere, pur contro una diffusa opinione, che tali siano taluni
acquisti a titolo originario come, in particolare, gli acquisti per accessione 85 (nella comu-
nione ritenendosi quasi pacificamente rientrare, comunque, quelli per usucapione) 86. Pu-
re esclusi dalla comunione sarebbero i diritti di credito (anche, in particolare, con riguar-
do a quelli nascenti da un contratto preliminare stipulato da uno solo dei coniugi) 87.

dell’attività personale, un potere di godimento, amministrazione e disposizione pieno, salvo il limite di con-
tribuire ai bisogni della famiglia, che peraltro sussiste anche con riferimento ai beni personali”.
84
Al riguardo, Cass., sez. un., 17-5-2022, n. 15889 ha risolto la questione, oggetto di contrasto di vedute e
rimessagli da Cass. 19-10-2021, n. 28872, relativa alla natura giuridica della comunione de residuo, tra la tesi
“che attribuisce al coniuge non imprenditore un diritto di credito – pari alla metà del valore dell’azienda al
momento dello scioglimento della comunione – e quella che invece opta per il riconoscimento di un diritto di
compartecipazione alla titolarità dei singoli beni individuali”. Contro una simile configurazione di quello
spettante al coniuge (non imprenditore) in termini di diritto reale, si è (coerentemente) optato per la relativa
natura di diritto di credito, riconoscendogli, insomma, “un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azien-
da, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed
al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data”.
85
Cass., sez. un., 27-1-1996, n. 651, cui si è allineata la successiva giurisprudenza (ad es., Cass. 9-3-2000,
n. 2680 e, di recente, Cass. 29-10-2018, n. 27412), infatti, ritiene che occorrerebbe una deroga espressa all’art.
934, statuente il principio dell’acquisto per accessione: se ne deduce il carattere di bene personale della costru-
zione realizzata sul suolo personale di un coniuge.
86
Circa tali ultimi acquisti, Cass. 23-7-2008, n. 20296 (in un’ottica condivisa da Cass. 11-8-2016, n. 17033),
ha precisato che “il momento determinante l’acquisto del diritto ad usucapionem da parte dell’altro coniuge,
attesa la natura meramente dichiarativa della domanda giudiziale, s’identifica con la maturazione del termine
legale d’ininterrotto possesso”.
87
Secondo la Cassazione (ad es., 11-9-1991, n. 9513, 27-1-1995, n. 987 e, ancora, 24-1-2008, n. 1548), “i
diritti di credito, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all’acquisizione di una res,
non sono suscettibili di cadere in comunione”, non risultando essi “qualificabili come beni in senso proprio”.
Invece, si è senz’altro favorevoli “all’inclusione nella comunione legale immediata delle acquisizioni di parte-
cipazioni societarie rappresentate da azioni e quote in virtù della prevalenza del carattere di investimento pa-
trimoniale di tali operazioni che le rende del tutto rispondenti alla categoria degli ‘acquisti’ prevista dall’art.
177 c.c.”: Cass. 23-9-1997, n. 9355 (e per Cass. 2-2-2009, n. 2569, dovendo pure la quota sociale essere “ri-
condotta nella nozione di beni mobili fornita dall’art. 810”, “l’iniziale partecipazione di uno dei coniugi ad
una società di persone ed i suoi successivi aumenti … rientrano conseguentemente tra gli acquisti che … co-
stituiscono oggetto della comunione legale tra i coniugi, anche se effettuati durante il matrimonio ad opera di
uno solo di essi”; diversamente, oggetto di comunione de residuo ritiene gli acquisti di quote di società di per-
sone, Cass. 20-3-2013, n. 6876). Cass. 9-10-2007, n. 21098, peraltro, si è orientata nel senso che “anche i dirit-
ti di credito possono essere oggetto di acquisto alla comunione legale ai sensi dell’art. 177, comma 1, lett. a)”
(traendone la conseguenza che pure “l’acquisto di obbligazioni societarie” con denaro costituente provento
di attività separata del coniuge, trattandosi di una “forma d’investimento”, “trasforma il ‘provento’ dell’at-
tività separata in un quid alii che … entra a far parte della comunione legale immediata e non della comunio-
ne de residuo”). Ma Cass. 15-1-2009, n. 799, ha inteso ridimensionare una simile apertura di principio, preci-
sando che “l’atto deve avere ad oggetto l’acquisizione di un ‘bene’, ai sensi degli artt. 810, 812 e 813, doven-
dosi escludere, pertanto, che la comunione degli acquisti possa comprendere tutti indistintamente i diritti di
CAP. 2 – MATRIMONIO 465

Sono beni personali, esclusi dalla comunione legale, ai sensi dell’art. 1791: i beni
posseduti anteriormente al matrimonio; i beni acquisiti successivamente per donazione o
successione (quando non specificamente destinati dal disponente alla comunione); i beni
di uso strettamente personale (vestiti, ornamenti, ecc.); i beni che servono all’attività pro-
fessionale del singolo coniuge (attrezzature, suppellettili, ecc.); i beni ottenuti a titolo di
risarcimento del danno (nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della
capacità lavorativa); i beni acquistati con il prezzo (o con lo scambio) di beni personali
(c.d. acquisti per surrogazione), purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’ac-
quisto 88. Per l’esclusione dalla comunione dei beni immobili o mobili registrati è neces-
sario che partecipi all’atto, dal quale espressamente risulti l’esclusione stessa, anche l’al-
tro coniuge (art. 1792) 89.

credito che ciascun coniuge può acquistare” (e concludendo che “se ben possono ritenersi acquisiti alla co-
munione legale i titoli di partecipazione azionaria, le quote di fondi d’investimento o i titoli obbligazionari
acquistati con proventi di attività separata, in quanto entità che hanno una componente patrimoniale suscet-
tibile di acquistare un valore di scambio, restano esclusi i meri diritti di credito, come quelli derivanti da un
contratto preliminare di vendita, dalla partecipazione ad una cooperativa edilizia a contributo erariale o dal
deposito bancario”). A favore dell’immediata caduta in comunione delle azioni di una banca popolare coope-
rativa si è pronunciata Cass. 18-9-2014, n. 19689, nel contesto di un regime articolato per i titoli di partecipa-
zione ad una società cooperativa. Nel senso che pure i fondi comuni d’investimento possano ritenersi oggetto
di comunione legale immediata, anche se acquistati con proventi dell’attività separata di uno dei coniugi,
Cass. 15-6-2012, n. 9845 e App. Venezia 24-9-2013. In tema di acquisto a seguito di preliminare, una volta
ritenuto escluso dalla comunione legale il diritto scaturente dal relativo contratto (essendo destinato a operare
a favore della comunione solo il successivo trasferimento della proprietà del bene), si è reputato estraneo alla
comunione legale l’immobile che, pur promesso in vendita a persona coniugata in regime di comunione lega-
le, sia stato oggetto, poi, in conseguenza dell’inadempimento del promittente venditore, di trasferimento coat-
tivo (ex art. 2932) “al promissario acquirente, con sentenza passata in giudicato dopo la pronuncia della sepa-
razione” (Cass. 3-6-2016, n. 11504). In analoga prospettiva, si ritiene che in tema di assegnazione di alloggi di
cooperative edilizie a contributo statale, l’“acquisto della titolarità dell’immobile” (con la conseguente ricadu-
ta in comunione) avviene solo nel momento della “stipula del contratto di trasferimento del diritto dominica-
le (contestualmente alla convenzione di mutuo individuale)”, mentre “la qualità di socio, e la correlata ‘pre-
notazione’, dell’alloggio” danno luogo solo a “diritti di credito nei confronti della cooperativa”, come tali ini-
donei a costituire oggetto di comunione legale (Cass. 30-5-2018, n. 13570).
88
Si tende a ritenere, comunque, che la dichiarazione in questione sia necessaria, ai fini dell’esclusione
dell’acquisto dalla comunione legale, solo “quando possano sorgere dubbi circa la natura personale del bene
impiegato per l’acquisto” (Cass. 5-5-2010, n. 10855).
89
Cass. 2-6-1989, n. 2688, ha discutibilmente ritenuto che, “quando all’acquisto proceda uno solo dei co-
niugi”, l’altro possa, prestando il proprio consenso al riguardo, “impedire la caduta del bene nella comunio-
ne” (indipendentemente, quindi, dalla ricorrenza di una delle ipotesi di carattere personale del bene, ai sensi
dell’art. 1791: c.d. rifiuto del coacquisto ex lege). Contro una simile conclusione, che ha incontrato un certo
favore in dottrina (in un’ottica di valorizzazione dell’autonomia degli interessati, invero difficilmente conci-
liabile con l’impianto normativo complessivo della comunione legale), Cass. 27-2-2003, n. 2954, si è orientata,
invece, nel senso della indisponibilità del diritto alla comunione legale, data la natura meramente ricognitiva
dell’atto di intervento previsto nella disposizione accennata (e v. anche Cass. 6-3-2008, n. 6120). In presenza
di un simile contrasto (animato anche in dottrina), Cass., sez. un., 28-10-2009, n. 22755, ha concluso che
“l’effetto limitativo della comunione si produce … solo se i beni sono effettivamente personali”, “l’intervento
adesivo del coniuge non acquirente” potendo “rilevare solo come prova dei presupposti di tale effetto limita-
tivo” e non “come atto negoziale di rinuncia alla comunione” (è solo, allora, “la natura effettivamente perso-
nale del bene a poterne determinare l’esclusione dalla comunione”, l’insussistenza di tale natura essendo su-
scettibile anche di un accertamento successivo ad istanza del coniuge non acquirente, pur “intervenuto nel
contratto per aderirvi”: un simile “intervento adesivo”, comunque, assumendo natura di “confessione giudi-
ziale”, con i connessi limiti – ai sensi dell’art. 2732 – alla relativa revocabilità). Insomma, l’intervento adesivo
del coniuge si presenta quale “condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comu-
466 PARTE V – FAMIGLIA

b) L’amministrazione dei beni della comunione spetta (inderogabilmente: art. 2103),


di regola, ai coniugi disgiuntamente; congiuntamente, invece, per gli atti eccedenti l’ordi-
naria amministrazione (in linea di massima, quelli comportanti una significativa modifi-
cazione della consistenza del patrimonio) (art. 180) 90. Il rifiuto del consenso dell’altro
coniuge può essere superato con un’autorizzazione giudiziaria, richiesta dal coniuge inte-
ressato, nel caso di atto necessario nell’interesse della famiglia o dell’azienda comune
(art. 181). In talune circostanze (lontananza od altro impedimento di un coniuge), il
compimento di atti di amministrazione richiedenti il consenso di entrambi i coniugi può
essere affidato – con apposita autorizzazione del giudice e con le cautele eventualmente
da questo stabilite – ad uno solo di essi (art. 182); in altre (minore età, interdizione, im-
pedimento durevole, cattiva amministrazione), il giudice può addirittura escludere uno
dei coniugi dall’amministrazione (restando salva la sua possibile reintegrazione, una volta
venute meno le ragioni dell’esclusione) (art. 183).
Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro (art. 184), ove
concernano beni immobili o mobili registrati, sono annullabili, su richiesta del coniuge il
cui consenso era necessario (e in mancanza di convalida da parte sua), entro un anno
(decorrente dalla data in cui quest’ultimo abbia avuto conoscenza dell’atto, ovvero dalla
data della relativa trascrizione; comunque, non oltre un anno dallo scioglimento della
comunione) 91. Se l’atto ha ad oggetto beni mobili, esso resta valido (a tutela dei terzi),
ma il coniuge che lo ha compiuto deve ripristinare la comunione nello stato in cui si tro-
vava precedentemente.
c) Ai fini della responsabilità per i debiti, rileva la distinzione tra i creditori personali

nione”, essendo necessaria “l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione” (Cass.
14-11-2018, n. 29342; e, a tal fine, si reputa necessaria la “tracciabilità” del danaro utilizzato per il pagamento
del bene: Cass. 24-10-2018, n. 26981 e 12-3-2019, n. 7027). Peraltro, nel caso di “bene destinato all’esercizio
dell’impresa o professione” (art. 1791, lett. d), l’eventuale “dichiarazione” (da parte del coniuge non acquiren-
te) “esprime la mera condivisione dell’altrui intento”, con conseguente possibilità di una successiva “prova
dell’effettiva (diversa)” destinazione del bene, indipendentemente da ogni indagine circa la sincerità dell’in-
tento manifestato (Cass. 2-2-2012, n. 1523). Di recente, Cass. 14-8-2020, n. 17175 sembra allinearsi – anche se
alquanto oscuramente – all’indirizzo riuscito prevalente, concludendo che “i coniugi in regime di comunione
legale, al fine di effettuare l’acquisto anche di un solo bene in regime di separazione, sono tenuti a stipulare
previamente una convenzione matrimoniale derogatoria del loro regime ordinario, ai sensi dell’art. 162, sot-
toponendola alla specifica pubblicità per essa prevista”.
90
Si è sottolineato che la disciplina dettata per gli atti di amministrazione “non è applicabile anche ai ne-
gozi di acquisto della proprietà (o di altri diritti reali)”, facendo sorgere l’atto di acquisto, “in virtù del relati-
vo contratto, stipulato da un solo coniuge, … la contitolarità del bene in capo al coniuge rimasto estraneo
all’atto – in quanto beneficiario ex lege degli effetti reali del negozio – pur non essendosi instaurato alcun
rapporto contrattuale con il terzo” (Cass., sez. un., 23-4-2009, n. 9660).
91
La regola, che si allontana da quanto vale in materia di comunione ordinaria (in cui l’atto abusivo sa-
rebbe senz’altro inefficace per mancanza di legittimazione del disponente), è stata ritenuta legittima da Corte
cost. 17-3-1988, n. 311, proprio in considerazione della peculiare natura della comunione legale. In essa, quale
“comunione senza quote”, i coniugi sono “solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente ad oggetto i
beni della comunione” e “ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione”, costituendo il
negozio posto in essere da uno solo dei coniugi senza il previsto consenso dell’altro – che si atteggia come “ne-
gozio (unilaterale) autorizzativo” – “negozio efficace e sottoposto alla semplice sanzione di annullabilità per
iniziativa del titolare pretermesso” (così, Cass., sez. un., 9660/2009, seguendo, appunto, l’impostazione di Cor-
te cost. 311/1988). Si è precisato che, dovendosi il regime dell’art. 184 applicare “a tutti gli atti dispositivi
compiuti senza il consenso e in assenza di convalida”, anche “la donazione del bene in regime di comunione
effettuata da parte di uno solo dei coniugi è invalida” (Cass. 31-8-2018, n. 21503).
CAP. 2 – MATRIMONIO 467

di ciascun coniuge (anche per obbligazioni anteriori al matrimonio: art. 187) e quelli per
obblighi gravanti sui beni della comunione (c.d. creditori della comunione) 92. I primi pos-
sono rivalersi sui beni personali del coniuge debitore e solo sussidiariamente, fino al va-
lore corrispondente alla sua quota (metà), sui beni comuni (sui quali, peraltro, sono pre-
feriti i creditori della comunione) (art. 189) 93. I secondi hanno a disposizione il patrimo-
nio comune e solo sussidiariamente possono agire sui beni personali di ciascun coniuge
(per la metà del credito non soddisfatto) (art. 190).
d) Lo scioglimento della comunione è determinato da eventi che comportano il venir
meno della comunità di vita (morte, dichiarazione di assenza o di morte presunta, annul-
lamento del matrimonio, divorzio, separazione personale) 94, oltre che dal mutamento
convenzionale del regime patrimoniale (con passaggio al regime di separazione dei beni)
e dal fallimento di uno dei coniugi (art. 191) 95. Esso è determinato, su richiesta di uno
dei coniugi, anche dalla separazione giudiziale dei beni (in caso di interdizione, inabilita-
zione, cattiva amministrazione della comunione, disordine negli affari e condotte di un

92
Sono obblighi gravanti sui beni della comunione (art. 186), oltre ai pesi ed agli oneri gravanti su di essi al
momento dell’acquisto ed ai carichi dell’amministrazione, quelli derivanti da debiti assunti, anche separata-
mente, nell’interesse della famiglia e quelli contratti congiuntamente (per qualunque finalità, pure se estranea
ad esigenze familiari).
93
Cass. 14-3-2013, n. 6575, in relazione alla controversa problematica dell’espropriazione forzata di beni
della comunione legale da parte del creditore personale di uno dei coniugi, ha concluso – senza nascondersi
che ciascuna delle soluzioni prospettate al riguardo “presta il fianco ad inconvenienti” – che essa deve avere
“ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitata-
mente al bene … e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del
bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione”. Nella medesima prospettiva, v. anche, da ultimo,
Cass. 13-5-2021, n. 12879.
94
Pur contro un diffuso avviso dottrinale, la giurisprudenza (Cass. 27-2-2001, n. 2844) si era orientata nel
senso che, in caso di separazione personale dei coniugi, “lo scioglimento della comunione legale di beni si verifi-
ca, con effetto ex nunc, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l’omologa degli ac-
cordi di separazione consensuale”, “non spiegando alcun effetto al riguardo il provvedimento presidenziale ex
art. 708 c.p.c.” (a maggior ragione ininfluenti, agli effetti dello scioglimento della comunione, considerandosi,
quindi, la separazione di fatto e la proposizione della domanda di separazione personale). Comunque, si era re-
putato possibile – contro un precedente indirizzo – proporre la domanda giudiziale di scioglimento della comu-
nione e divisione anche in pendenza della causa di separazione personale (e purché il relativo passaggio in giudi-
cato sopravvenga nelle more del giudizio: Cass. 26-2-2010, n. 4757). Per risolvere definitivamente le incertezze in
materia, nella prospettiva quasi concordemente auspicata per motivi di opportunità e coerenza, il legislatore è
intervenuto con l’art. 2 L. 6.5.2015, n. 55, inserendo nell’art. 191, dopo il primo comma, la previsione secondo
cui “nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del
tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separa-
zione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono
autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento
della comunione”. Si ritiene, poi, che, in caso di riconciliazione dei coniugi successivamente alla separazione per-
sonale, la comunione dei beni “si ripristini automaticamente tra i coniugi, una volta rimossa con la riconciliazio-
ne la causa di scioglimento della comunione”. Tale ripristino del regime di comunione, “con sovrapposizione a
quello di separazione dei beni (conseguente alla precedente separazione personale dei coniugi), pur già operante
tra i coniugi stessi dalla data della loro riconciliazione”, non può, però, “in difetto di alcuna segnalazione esterna
di quell’evento”, secondo le norme che governano la pubblicità delle vicende giuridiche a tutela dei terzi, “essere
opposto ai terzi che abbiano acquistato in buona fede a titolo oneroso” un immobile dal coniuge “che risultava
unico ed esclusivo titolare dell’immobile” medesimo, benché lo avesse acquistato successivamente alla riconcilia-
zione (Cass. 5-12-2003, n. 18619).
95
Tende a prevalere l’opinione della tassatività delle cause di scioglimento della comunione.
468 PARTE V – FAMIGLIA

coniuge tali da esporre a pericolo gli interessi dell’altro e della famiglia, carente contri-
buzione alle necessità familiari) (art. 193).
Con lo scioglimento si tende a ritenere che subentri, fino alla divisione, un regime di
comunione ordinaria sui beni già oggetto di comunione legale 96 (e se, in considerazione
del tipo di causa di scioglimento, il rapporto matrimoniale persiste, il regime sarà, suc-
cessivamente, quello di separazione dei beni). La divisione dei beni (art. 1941) avviene
ripartendo in parti (inderogabilmente: art. 2103) eguali l’attivo e il passivo, dopo gli op-
portuni rimborsi e restituzioni (art. 192) (in sede di divisione, i coniugi hanno diritto al
prelevamento dei beni mobili ad essi appartenenti prima della comunione o ad essi per-
venuti durante la medesima per successione o donazione: artt. 195 ss.) 97. Il giudice può
costituire, in relazione alle necessità della prole, a favore di uno dei coniugi l’usufrutto
(c.d. usufrutto giudiziale) su una parte dei beni spettanti all’altro (art. 1942) 98.

13. Regimi convenzionali. – a) Ai sensi dell’art. 2101, le parti, con una convenzio-
ne matrimoniale, possono modificare il regime della comunione legale. È discusso, di
conseguenza, se quello della comunione convenzionale costituisca un regime autonomo,
ovvero una mera comunione legale modificata. Si tende a ritenere che gli interessati, in
realtà, possano sia limitarsi ad apportare modifiche al regime legale, sia dar vita ad un
modello atipico di comunione.
Alle parti è consentito ampliare l’oggetto della comunione, allargandola a beni che
non vi rientrerebbero (beni posseduti prima del matrimonio, comunione immediata di
frutti e redditi professionali), ma anche restringere la relativa portata (con riferimento a
categorie di beni) 99. Sono insuscettibili di essere ricompresi nella comunione (risultando,
così, inammissibile una comunione universale) i beni di uso strettamente personale, quelli
che servono all’esercizio della professione e quanto ottenuto a titolo di risarcimento del
danno (art. 2102).
Le regole di funzionamento della comunione legale possono essere modificate, ma con
limiti rilevanti: sono inderogabili quelle concernenti l’amministrazione e l’uguaglianza delle
quote (sia pure limitatamente ai beni che formerebbero comunque oggetto della comu-
nione) (art. 2103) 100.

96
Con conseguente possibilità, per ciascun coniuge, “divenuto titolare della sua quota del diritto o del
bene a suo tempo acquistato alla comunione legale”, di potere “liberamente e separatamente disporne” (Cass.
28-12-2018, n. 33546, in adesione all’impostazione prevalente; peraltro, per la persistente applicabilità delle
norme del regime originario di comunione propende Cass. 28-2-2018, n. 4676).
97
In mancanza di prova contraria si presume – e, trattandosi di una presunzione relativa (o iuris tantum),
è ammissibile qualsiasi mezzo di prova (comprese le presunzioni semplici) (III, 2.3) – che i beni mobili fac-
ciano parte della comunione.
98
Cass. 9-4-1994, n. 3350, ha ritenuto che “l’usufrutto giudiziale … si estingue con il raggiungimento del-
la maggiore età da parte della prole” (secondo un avviso non condiviso da chi ne sostiene la possibile durata
anche oltre tale momento, secondo quanto vale per il dovere di mantenimento: V, 4.9). Tale usufrutto è acco-
stato all’usufrutto legale (IV, 1.8), con riguardo ai caratteri di incedibilità e inespropriabilità.
99
Dubbia è la possibilità dell’estromissione di singoli beni dalla comunione. La già ricordata Cass. 2954/2003
si è orientata negativamente, sulla base del ritenuto carattere necessariamente programmatico delle conven-
zioni matrimoniali.
100
Nonostante il silenzio dell’art. 2103, prevale l’opinione – fondata sui principi generali relativi alla re-
sponsabilità patrimoniale – di considerare indisponibile anche il regime della responsabilità patrimoniale pre-
CAP. 2 – MATRIMONIO 469

b) Diffusa è l’opzione degli sposi per la separazione dei beni, costituente regime legale
fino alla riforma e, attualmente, unico regime patrimoniale generale alternativo a quello
di comunione 101. Essa, indubbiamente agevolata dalla possibilità di dichiarane la scelta
nell’atto di celebrazione del matrimonio (art. 1622), attribuisce una maggiore autonomia
individuale ai coniugi, restando ciascuno titolare esclusivo dei beni acquistati durante il ma-
trimonio (art. 215) e potendo goderli e amministrarli liberamente (art. 2171) 102. L’in-
derogabile dovere di contribuzione resta comunque a garanzia delle finalità perequative e
partecipative cui si è ispirata la riforma (V, 2.10) 103.
Regole particolari disciplinano i rapporti tra i coniugi per il caso in cui il patrimonio
di uno di essi sia, a seguito di procura, amministrato dall’altro (artt. 2172-4 e 218). Di no-
tevole rilevanza è il principio per cui, ove manchi la prova della proprietà esclusiva di un
bene (che può essere fornita dal coniuge con ogni mezzo: art. 2191), esso si presume in
comunione (ordinaria) per quote uguali (art. 2192).
c) Una certa diffusione (anche se spesso con intenti frodatori nei confronti dei credi-
tori) ha assunto il fondo patrimoniale. Con esso, determinati beni immobili o mobili regi-
strati o titoli di credito (resi nominativi per assicurare la conoscibilità del vincolo: art.
1674) sono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia (art. 1671) 104. La proprietà dei
beni spetta ai coniugi (nel cui patrimonio si ritiene venirsi a determinare, così, un patri-
monio separato), salvo che sia diversamente stabilito nell’atto costitutivo (art. 1681).
La costituzione avviene con una convenzione matrimoniale, come tale assoggettata al-
le relative regole generali di forma e pubblicità (V, 2.11) 105. A destinare i beni (art. 1671),

visto in materia di comunione legale (artt. 189 e 190). Discussa è la possibilità di stabilire convenzionalmente
ulteriori cause di scioglimento della comunione, oltre a quelle stabilite dall’art. 191.
101
Non manca chi si orienta nel senso che la separazione dei beni non possa considerarsi – al di là della
stessa enunciazione legislativa – un vero e proprio regime patrimoniale matrimoniale, ritenendo con essa veri-
ficarsi, piuttosto, una situazione di assenza di regime, data l’operatività delle regole comuni del diritto patri-
moniale. Ciò sembra trascurare, peraltro, oltre all’inderogabile assoggettamento dei coniugi al dovere di con-
tribuzione, le peculiari regole dettate negli artt. 215 ss.
102
La separazione dei beni si instaura tra i coniugi, oltre che per accordo dei coniugi stessi (anche attra-
verso la peculiare possibilità di scelta iniziale prevista dall’art. 1622), pure nei casi di scioglimento della comu-
nione stabiliti dall’art. 191 (V, 2.11-12).
103
Si ricordi come controversa sia, in regime di separazione dei beni, l’estensione al coniuge di una re-
sponsabilità solidale per le obbligazioni contratte dall’altro nell’interesse della famiglia (V, 2.10).
104
Dei “bisogni della famiglia” tende ad essere offerta una nozione “non restrittiva”, così da “ricompren-
dere in tali bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia,
nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratte-
rizzate da intenti meramente speculativi” (ad es., Cass. 11-7-2014, n. 15886). Alla necessità, onde consentire
“l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso”, di una “inerenza diretta ed immediata” della “fonte e
ragione del rapporto obbligatorio” con i bisogni della famiglia, allude Cass. 19-6-2018, n. 16176. E, dovendo
risultare l’obbligazione “sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari”, restano escluse quelle contratte
“per esigenze di natura voluttuaria o meramente speculativa” (Cass. 27-2-2920, n. 5369). Per la rilevanza, ai
fini dell’individuazione, dei “bisogni della famiglia”, della “regola dell’accordo” e, quindi, del “relativo indi-
rizzo, concordato ed attuato dai coniugi”, v. Cass. 8-2-2021, n. 2904. Non si ritiene “idonea ad escludere, in
via di principio, che il debito si possa dire contratto per soddisfare tali bisogni” la circostanza che esso “sia
sorto nell’esercizio dell’impresa” (Cass. 28-5-2020, n. 10166). La finalità del soddisfacimento di bisogni familiari
non è stata esclusa neppure per debiti di natura tributaria (inerenti ad attività a ciò finalizzate: Cass. 7-6-2021, n.
15741; 24-2-2016, n. 3600, anche per ampi riferimenti).
105
Non mancano, peraltro, dubbi circa la possibilità di considerare il fondo patrimoniale quale convenzio-
470 PARTE V – FAMIGLIA

i cui frutti sono impiegati per i bisogni della famiglia (art. 1682), possono essere i coniugi,
insieme o individualmente, ovvero un terzo (anche con testamento). Il consenso di en-
trambi coniugi pare necessario in ogni caso (art. 1672). La forza del vincolo di destinazio-
ne deriva dal risultare l’esecuzione sui beni e sui relativi frutti esclusa per i debiti che i
creditori conoscevano essere estranei ai bisogni familiari (art. 170) 106, con conseguente
eventuale pregiudizio alle loro ragioni (ed esperibilità dell’azione revocatoria, ove ne ri-
corrano le condizioni, contro l’atto costitutivo) 107.
L’amministrazione spetta ad entrambi i coniugi, con applicabilità delle stesse regole
dettate per la comunione legale (art. 1683). Gli atti di disposizione dei beni devono essere
compiuti, in linea di principio, congiuntamente e, se vi sono figli minori, con l’autoriz-
zazione giudiziale, nei soli casi di necessità o utilità evidente (art. 169) 108.
La cessazione del fondo consegue all’annullamento, scioglimento o cessazione degli
effetti civili del matrimonio (art. 1711) 109. Peraltro, se vi sono figli minori, la destinazione

ne matrimoniale, con il relativo regime pubblicitario. I dubbi, in proposito, di Cass. 27-10-2008, n. 25857,
risultano, comunque, superati da Cass. 25-3-2009, n. 7210 e Cass., sez. un., 13-10-2009, n. 21658, che ha ri-
badito essere “la costituzione di fondo patrimoniale … compresa tra le convenzioni matrimoniali”, come tale
“soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c. circa le forme delle convenzioni medesime” (anche ai fini della
opponibilità ai terzi: V, 2.11). Così, Cass. 10-5-2019, n. 12545 sottolinea come sia inopponibile al creditore
ipotecario il fondo patrimoniale “trascritto nei pubblici registri immobiliari, ma annotato a margine dell’atto
di matrimonio successivamente all’iscrizione dell’ipoteca sui beni del fondo medesimo” (“la trascrizione del
vincolo per gli immobili, ai sensi dell’art. 2647” essendo da reputare “degradata a pubblicità notizia e non
sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile”).
106
Si precisa correntemente che “l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c. gra-
va sulla parte che intende avvalersi” del relativo regime (Cass. 29-1-2016, n. 1632; 15886/2014; 19-2-2013, n.
4011).
107
Infatti, secondo una costante giurisprudenza (Cass. 7-10-2008, n. 24757; 7-7-2007, n. 15310; 23-9-2004, n.
19131), risultando “l’atto di costituzione del fondo patrimoniale … un atto a titolo gratuito”, esso “può esse-
re dichiarato inefficace nei confronti del creditore, qualora ricorrano le condizioni di cui al n. 1 dell’art. 2901
c.c.” (concernente, appunto, le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria). E ciò anche quando “pro-
venga da entrambi i coniugi” e “non comporti un effetto traslativo”, determinando, comunque, “l’assogget-
tamento del bene ad un vincolo di destinazione” (Cass. 22-3-2013, n. 7259, con riferimento alla destinazione,
da parte dei coniugi, mediante costituzione di fondo patrimoniale, di un appartamento di loro proprietà alle
esigenze della famiglia della figlia). Si tenga presente come non si sia mancato di ritenere utilizzabile – dando
luogo, comunque, a problemi sostanzialmente analoghi a quelli dianzi accennati – il meccanismo di cui all’art.
2645 ter, “al fine di rendere opponibile ai terzi la destinazione funzionale a casa familiare (anche) anteriormen-
te all’apertura della successione che la riguardi ovvero della crisi che affetti il rapporto di coniugio o more
uxorio” (come ricorda Cass. 18-6-2013, n. 15113).
108
L’art. 169 fa salva la volontà espressa nell’atto costitutivo in senso contrario alla necessità dell’agire
congiunto per gli atti di disposizione. È dubbio se nell’atto costitutivo possa venire esclusa anche la necessità
dell’autorizzazione giudiziale per gli atti dispositivi in presenza di minori: in senso favorevole, Trib. Verona
30-5-2000, nonché, di recente, Cass. 4-9-2019, n. 22069, secondo cui “la disciplina legale sancita dall’art.
169” – e, quindi, “la preventiva autorizzazione del giudice alla alienazione di beni del fondo” – è “applicabile
solo in mancanza di deroga prevista nell’atto di costituzione”. Si tende a ritenere che il giudice abbia il pote-
re-dovere di disporre circa il reimpiego delle somme ricavate dall’eventuale alienazione dei beni del fondo (ad
es., App. Bari 15-7-1999). Cass. 22069/2019 ha chiarito che i figli – anche ormai maggiorenni, ma non eco-
nomicamente autosufficienti – “quali beneficiari del fondo patrimoniale, sono legittimati ad agire in giudizio
in relazione agli atti dispositivi eccedenti l’ordinaria amministrazione che incidano sulla destinazione dei beni
del fondo”.
109
Sulla base del ritenuto carattere non tassativo dell’elencazione contenuta nell’art. 171, si è ammesso
che, “in mancanza di figli, lo scioglimento del fondo patrimoniale può intervenire anche sulla base del solo
consenso dei coniugi”: Cass. 8-8-2014, n. 17811, che ravvisa, comunque, “in capo ai figli minori una posizio-
CAP. 2 – MATRIMONIO 471

dei beni dura fino alla maggiore età dell’ultimo figlio (art. 1712), con ciò risultando esal-
tata quella funzionalizzazione dei beni alle esigenze dell’intera famiglia, che consente al
giudice, a seguito della cessazione del fondo, addirittura di attribuire ai figli, in godimen-
to o in proprietà, una quota dei beni (art. 1713).

14. Impresa familiare. – Nel contesto del regime patrimoniale della famiglia, è stato
disciplinato quel particolare tipo di impresa, l’impresa familiare, caratterizzata dal
fatto che in essa collaborano familiari dell’imprenditore (tali essendo considerati il co-
niuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo) (art. 230 bis3) 110. La fina-
lità perseguita è quella di garantire una tutela adeguata a costoro, ove prestino continua-
tivamente (cioè non occasionalmente) la propria attività di lavoro nella famiglia o nel-
l’impresa 111, senza che sia giuridicamente configurabile un rapporto di diversa natura (in
particolare, di lavoro dipendente o di società) 112 (art. 230 bis1). La famiglia viene qui,
appunto in vista del perseguimento di una simile finalità di tutela del familiare-lavo-
ratore, intesa in una accezione allargata (V, 1.2).
In tal caso, pur non assumendo la veste di imprenditori (l’impresa è preferibilmente
da ritenere che resti individuale di chi la organizza e la gestisce a proprio rischio, assu-
mendo egli solo la qualifica di imprenditore) 113, i familiari partecipanti hanno, da una
parte, il diritto al mantenimento, secondo la condizione patrimoniale della famiglia; dal-

ne giuridicamente tutelata in ordine agli atti di disposizione del fondo”, estendendo tale posizione anche al
nascituro.
110
Si ricordi come controversa sia stata la possibilità di considerare anche il convivente destinatario della
disciplina in questione (V, 1.4, anche per l’introduzione, con riguardo alla posizione del convivente, ai sensi
dell’art. 146 L. 76/2016, di un nuovo specifico art. 230 ter).
111
Discussa è l’identificazione delle mansioni che individuano la partecipazione all’impresa familiare. La
prevalente tendenza (Cass. 19-2-1997, n. 1525) – non essendosi mancato di precisare che “il mero svolgimen-
to di mansioni in ambito domestico, costituendo adempimento degli obblighi che derivano dal matrimonio,
non è sufficiente a dare luogo ad un’impresa familiare” (Cass. 16-12-2005, n. 27839) – è di ritenere che l’atti-
vità del familiare, a tal fine, “sebbene diretta a soddisfare, in via immediata, esigenze domestiche e personali
della famiglia”, debba risultare rilevante per l’attività dell’impresa, “in quanto funzionale e strumentale all’at-
tuazione dei fini propri di produzione o di scambio di beni o di servizi” (in particolare, col sollevare dai com-
piti familiari, anche su lui gravanti, chi gestisce l’impresa, ponendolo “in condizione di dedicarsi totalmente
all’accrescimento della produttività dell’impresa”: Cass. 3-11-1998, n. 11007). All’insufficienza, ai fini di tale
individuazione, dell’avere il familiare fornito “contributi finanziari ed occasionali consulenze professionali”
allude Cass. 15-6-2020, n. 11533.
112
Il regime di cui all’art. 230 bis è, quindi, da considerarsi residuale, in quanto destinato ad operare, co-
me appunto discende dall’inciso iniziale del primo comma, “salvo che sia configurabile un diverso rappor-
to”. Riaffermato, appunto la “natura residuale” (e v., di recente, ad es., Cass. 11533/2020) e la “natura indi-
viduale dell’impresa familiare”, Cass., sez. un., 6-11-2014, n. 23676, per la relativa “incompatibilità con la
disciplina delle società di qualunque tipo”, ne ha escluso la “configurabilità … quando già in limine
l’esercizio dell’impresa rivesta forma societaria” (e, quindi, con riguardo al “lavoro prestato dal familiare del
socio”, in tale situazione restando solo “applicabile il rimedio sussidiario, di chiusura, dell’arricchimento sen-
za causa”).
113
Ciò secondo la prospettiva delineata da Cass. 27-6-1990, n. 6559, tendente a distinguere “un aspetto
interno, costituito dal rapporto associativo del gruppo familiare quanto alla regolamentazione dei vantaggi
economici di ciascun componente, ed un aspetto esterno, nel quale ha rilevanza la figura del famigliare, im-
prenditore, effettivo gestore dell’impresa, che assume in proprio i diritti e le obbligazioni nascenti dai rappor-
ti con i terzi e risponde illimitatamente con i suoli beni personali” (non estendendosi, quindi, “il fallimento di
detto imprenditore automaticamente al semplice partecipante all’impresa familiare”).
472 PARTE V – FAMIGLIA

l’altra, quello a partecipare agli utili ed agli incrementi dell’azienda 114, in proporzione alla
quantità e qualità del lavoro prestato (precisandosi che il lavoro femminile è da conside-
rarsi equivalente a quello maschile: art. 230 bis2) 115. Inoltre, le decisioni di maggiore rile-
vanza per la vita dell’impresa (impiego di utili ed incrementi, gestione straordinaria, in-
dirizzi produttivi, cessazione dell’impresa), devono essere adottate a maggioranza dai fami-
liari partecipanti (art. 230 bis1).
Oltre ad avere diritto, ove venga a cessare il rapporto o sia alienata l’azienda, alla li-
quidazione in danaro del proprio diritto di partecipazione, il familiare ha pure un diritto
di prelazione sull’azienda, in caso di divisione ereditaria o di relativo trasferimento (art.
230 bis5) 116.

C) UNIONE CIVILE

15. Unione civile e matrimonio. – Si è avuto modo di vedere (V, 1.4) come, di fron-
te all’emersione dell’istanza di tutela della relazione di vita instaurata tra persone dello
stesso sesso, gli ordinamenti abbiano battuto vie diverse, considerate dalla giurispruden-
za della Corte europea dei diritti dell’uomo comunque conformi ai principi della CEDU,
se tali da garantire il rispetto dei “diritti fondamentali” degli interessati (non imponen-
dosi, quindi, come via obbligata, quella del superamento del tradizionale principio di ete-
rosessualità del matrimonio: V, 2.4) 117.
In una simile prospettiva 118, il nostro legislatore ha preferito, allora, non allinearsi
all’indirizzo di apertura del matrimonio alle coppie di persone dello stesso sesso, muo-
vendosi, piuttosto, nella direzione dell’introduzione di un peculiare (nuovo) istituto,
quello della “unione civile”, appunto finalizzato a regolamentare il rapporto di vita tra
costoro (e considerando, comunque, anche le persone dello stesso sesso destinatarie del-
la contestualmente introdotta “disciplina delle convivenze”). Nel far ciò, ci si è dichiara-
tamente ispirati alle opzioni di altri paesi (in primo luogo, la Germania) 119, nei quali, pe-

114
Efficacia di prova presuntiva è riconosciuta, da Cass. 5-9-2012, n. 14908, alla “predeterminazione delle
quote di partecipazione agli utili” (quale eventualmente risultante, cioè, dall’“atto di predeterminazione delle
quote formato ai fini fiscali”: Cass. 17-6-2003, n. 9683).
115
Cass. 23-6-2008, n. 17057, sottolinea che “gli utili da attribuire ai partecipanti all’impresa familiare
vanno calcolati al netto delle spese di mantenimento, pure gravanti sul familiare che esercita l’impresa”.
116
Si è ritenuto trattarsi di una ipotesi di prelazione legale (VIII, 2.20), tale da consentire – attraverso
l’operato richiamo dell’art. 732 – “il riscatto nei confronti del terzo acquirente (fino al momento della liqui-
dazione della quota del partecipe), senza che all’applicazione di tale istituto possa essere d’ostacolo la man-
canza di un sistema legale di pubblicità dell’impresa familiare, avendo il legislatore inteso tutelare il lavoro
più che la circolazione dei beni” (Cass. 19-11-2008, n. 27475).
117
In tal senso, si richiamano qui ancora una volta Corte eur. dir. uomo 21-7-2015 e Corte eur. dir. uomo
14-12-2017, che, più di recente, ha reputato soddisfacentemente rispondere alle esigenze di tutela della rela-
zione tra persone dello stesso sesso la recente legislazione italiana.
118
Fatta sostanzialmente propria da Corte cost. 15-4-2010, n. 138, che ha imposto al legislatore di inter-
venire in materia, chiarendo il relativo contesto costituzionale.
119
Si è ricordato (V, 1.4) come, anche in tale paese, nel 2017, sia stato ormai esteso l’istituto matrimoniale
pure alle persone dello stesso sesso (corrispondentemente modificando il § 1353 BGB, secondo cui, ora, con
una formulazione simile a quella impiegata dal legislatore francese nel 2013 novellando l’art. 143 code civil, il
matrimonio è contratto “da due persone di differente o uguale sesso”).
CAP. 2 – MATRIMONIO 473

raltro, la tendenza sembra nel senso di avvicinare progressivamente – in funzione antidi-


scriminatoria – al modello matrimoniale la disciplina specificamente introdotta al fine di
regolamentare i rapporti tra le persone dello stesso sesso (con l’eventuale approdo finale
della loro ammissione al matrimonio) 120.
Il testo della L. 20.5.2016, n. 76 (“Regolamentazione delle unioni civili tra persone
dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”) risente del suo travagliato iter parla-
mentare 121, con la finale necessità di complesse mediazioni di carattere ideologico-po-
litico, le quali non hanno certo contribuito alla relativa qualità e linearità, oltretutto fi-
nendo col demandare implicitamente alla giurisprudenza scelte di indubbia rilevanza di
principio (oltre che al legislatore delegato la necessaria opera di completamento). La strut-
tura stessa del provvedimento, consistente nell’alquanto confuso succedersi di 69 commi
in un unico articolo, costituisce fedele specchio di ciò.
Delle due parti di cui si compone la legge, la prima, di cui all’art. 11-35, è quella dedi-
cata all’introduzione dell’istituto della unione civile tra persone dello stesso sesso, i contra-
sti, anche dell’ultim’ora, vertendo, in buona sostanza, su come riuscire a differenziarlo
dal matrimonio: differenziazione, ovviamente, che gli uni tendevano ad emarginare, men-
tre gli altri ad esaltare, col risultato del ricorso a formule, la cui ambiguità ha finito, tal-
volta, col rispecchiare le (incrociate) riserve mentali di ciascuno. E quasi inutile pare sot-
tolineare come ciò abbia determinato non pochi contrasti anche tra coloro che si sono da
subito cimentati nella valutazione ed interpretazione del testo legislativo.
Il tentativo di superare le resistenze nei confronti di una completa assimilazione, al-
meno quanto a concreta regolamentazione, dell’unione civile al matrimonio si è tradot-
to in alcune dichiarazioni di principio (invero, alquanto ridondanti e, nella sostanza, di
scarso peso 122, come quella, di cui al co. 1, consistente nel definire “l’unione civile tra
persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3
della Costituzione”) 123 e differenziazioni, peraltro di sapore più che altro formale, attra-
verso l’eliminazione di taluni rinvii originariamente operati (salvo, poi, a trascrivere, più
o meno fedelmente, il contenuto delle corrispondenti disposizioni), con un disordinato

120
Significativa, in tal senso, è la recente esperienza austriaca, anche in tale paese essendo stata, infine, ri-
mossa la limitazione dell’accesso al matrimonio alle persone di sesso diverso (Corte cost. Rep. fed. austriaca
4-12-2017, n. 258, ritenendosi la “differenziazione in due istituti giuridici” non poter “essere mantenuta senza
discriminare inammissibilmente le coppie omosessuali con riguardo al loro orientamento sessuale”).
121
Incentrato, almeno nella sua fase finale, sulla discussione del D.D.L. n. 2081 (Senato, XVII legislatura).
122
Nonostante, cioè, la fiducia riposta da taluni – tanto in sede di approvazione del provvedimento, quan-
to di suo successivo apprezzamento – nella carica, per così dire, “diversificatoria” rispetto al matrimonio di
una simile definizione.
123
Così come la formulazione del co. 20, in cui, nel disporre l’applicabilità anche alle parti dell’unione ci-
vile di tutte le disposizioni comunque contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” (o termini equivalenti), si
premette, con un certo gusto per l’ovvietà, “ciò al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il
pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso”. Si ricordi come
nel medesimo comma si sia escluso, dando origine alla conseguente inevitabile frammentarietà della discipli-
na, che una simile regola valga per “le norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente
legge” (oltre che per le disposizioni in tema di adozione: punto, questo, su cui si tornerà infra, V, 2.17).
Quanto alla materia penalistica, essa è stata considerata ricompresa nella delega di cui all’art. 128, lett. c
(concernente “modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente
legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge e nei decreti”), attuata col D.Lgs.
19.1.2017, n. 6.
474 PARTE V – FAMIGLIA

(oltre che talvolta incomprensibilmente lacunoso e contraddittorio) accatastamento di


proposizioni normative.

16. Costituzione della unione civile. – La disciplina è introdotta dall’art. 12, in cui si
prevede che “due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile
mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testi-
moni”, precisandosi nel co. 3 che “l’ufficiale di stato civile provvede alla registrazione
degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile”.
Manca, quindi, una disciplina delle “formalità preliminari al matrimonio” (ed è stato
ridotto all’essenziale il momento della manifestazione della volontà degli interessati), con
ciò, evidentemente, essendosi inteso operare sul valore simbolico della relativa regola-
mentazione in materia matrimoniale (V, 2.5). Ma, anche a prescindere dallo scarso valo-
re che ormai assume tale aspetto della normativa matrimoniale, non si può mancare di
sottolineare come la disciplina attuativa della delega contenuta nell’art. 128, lett. a (con-
cernente l’“adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell’ordi-
namento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni”), con il
D.Lgs. 19.1.2017, n. 5, abbia finito – probabilmente andando al di là, nell’ansia di soddi-
sfare esigenze funzionali integrative, delle stesse intenzioni del legislatore – proprio con
l’omologare la disciplina dell’unione civile a quella del matrimonio, in particolare facen-
dosi rivivere quella tempistica bifasica, nel matrimonio funzionale all’accertamento delle
relative cause ostative 124. Né si è mancato, addirittura, di rispecchiare la celebrazione
matrimoniale, con la menzione dei commi relativi ai diritti ed ai doveri delle parti, deli-
neando, del resto, i contenuti del “documento attestante la costituzione dell’unione” sul-
la falsariga dell’“atto di matrimonio” (di cui all’art. 19) 125.
Essendovi un diffuso consenso circa la sostanziale omogeneità – al di là della farragi-
nosità della disciplina, come accennato avvitatasi tra rinvii alle disposizioni del codice in
materia di matrimonio e loro più o meno fedele riproduzione – delle cause ostative e
dell’invalidità (compreso il relativo regime dell’azionabilità e delle conseguenze) in ordi-
ne alla costituzione dell’unione civile, rispetto al modello matrimoniale, pare qui il caso
di limitarsi ad accennare le (scarse) divergenze, per il resto rinviando alla trattazione
precedentemente svolta (V, 2.4, 6-7).
Non si è fatto riferimento, innanzitutto, alla “inapponibilità di termini e condizioni”,
di cui all’art. 108. Difficile è pensare, però, che non si sia trattato di una mera svista 126,

124
In effetti, dopo essersi contemplata espressamente la richiesta di costituzione (art. 70 bis D.P.R.
396/2000), con un termine di trenta giorni (solo alla scadenza del quale si può procedere alla costituzione del-
l’unione civile: art. 70 octies) per effettuare le necessarie verifiche ed il conseguente possibile il rifiuto dell’uf-
ficiale di stato civile a procedere alla costituzione dell’unione civile (art. 70 ter), si è giunti a delineare espres-
samente una disciplina delle opposizioni (artt. 70 undecies ss.).
125
Si allude, in particolare, agli artt. 70 octies e 70 quaterdecies. È da sottolineare come la normativa se-
condaria abbia finito anche con superare le remore del legislatore a conferire alla unione civile quella solenni-
tà sociale del matrimonio, in vista della quale l’art. 1071 prevede la dichiarazione dell’ufficiale dello stato civile
che le parti “sono unite in matrimonio”. Infatti, la formula adottata (e di cui dare atto nel registro degli atti di
unione civile: D.M. 27.2.2017, a sua volta attuativo del D.Lgs. 5/2017) contempla proprio una corrisponden-
te dichiarazione.
126
È immediatamente risultato chiaro come, in dipendenza della discutibile tecnica legislativa adottata (e
CAP. 2 – MATRIMONIO 475

come tale inidonea a determinare una qualche reale diversità rispetto al matrimonio: l’i-
napponibilità in questione deve, infatti, ritenersi implicita caratteristica degli atti fonda-
tivi di uno status familiare, quale sicuramente è da considerare quello che deriva alle par-
ti dalla costituzione dell’unione civile 127.
Quanto all’età, una scelta precisa è stata quella nel senso di limitare alle “persone
maggiorenni” l’accesso all’unione civile. In ciò, indubbiamente, la relativa disciplina vie-
ne a differenziarsi rispetto a quella matrimoniale (e di qui, di conseguenza, rilievi nel
senso di un suo carattere discriminatorio). Peraltro, non si può mancare di evidenziare
come lo stesso legislatore della riforma abbia considerato, ai fini del matrimonio, quale
principio quello della maggiore età (841), la previsione del matrimonio del minore risul-
tando ridotta – rispetto al passato – al rango di ipotesi eccezionale: un residuo di passate
concezioni, quindi, la cui liquidazione con riferimento all’unione civile sembra allinearsi
ad altre previsioni (che si avrà modo di esaminare), a ben vedere adombranti innovative
prospettive in materia familiare.
Piuttosto, non può sfuggire come, l’art. 17, nel riprodurre (invero alquanto contorta-
mente) l’art. 122 (relativo ai vizi del consenso matrimoniale) e, in particolare, l’art. 1223, n.
1, abbia omesso il riferimento, ai fini della rilevanza dell’errore sulle qualità personali, alla
esistenza di una “anomalia o deviazione sessuale” (V, 2.6). Comunque, onde considerare
concretamente ininfluente una simile – qui è da credere non casuale – lacuna, può ricor-
darsi come la stessa omosessualità tenda ad essere ormai presa in considerazione, in mate-
ria matrimoniale, non in una simile prospettiva, ma in termini di “orientamento” atto a
“definire l’identità sessuale” della persona (IV, 2.12): ricostruzione, questa 128, in chiave di
rilevanza dell’identità sociale della persona, che sembrerebbe, invero, riferibile – risultando
così privata di conseguenze pratiche l’omissione in questione – anche alla costituzione di
una unione civile, ove viziata sotto il profilo della ricorrenza, appunto, di un (ignorato)
orientamento sessuale – o di una (ignorata) anomalia sessuale – di una delle parti incom-
patibile con un progetto di vita comune conforme alla ratio dell’istituto qui in esame 129.

17. Effetti della unione civile. – Anche in relazione alla regolamentazione degli ef-
fetti della costituzione dell’unione civile, vi è una sostanziale equiparazione della posi-
zione della parte dell’unione civile a quella del coniuge. Così, in particolare, attraverso il
richiamo integrale della disciplina in materia di regime patrimoniale (113) 130 e successorio

della fretta di concludere l’iter parlamentare del provvedimento), siano rimaste vistose lacune, quale, in parti-
colare, quella relativa alla “donazione in riguardo di matrimonio”, di cui all’art. 785 (ma anche con rifermen-
to alla materia societaria).
127
Ciò che sembra risultare confermato dalla previsione dell’art. 156, in cui – lasciandosi così intravedere
una funzione, almeno lato sensu, costitutiva di uno status del “contratto di convivenza” (V, 1.4) – si dispone,
appunto, il divieto in questione.
128
Per cui v., in particolare, Trib. Milano 13-2-2013.
129
Venendo in gioco, insomma, la stessa identità della persona.
130
Peraltro, manca, per coerenza con l’ammissione all’unione civile dei soli maggiorenni, il richiamo al-
l’art. 165 (circa la capacità del “minore ammesso a contrarre matrimonio” alla stipula delle convenzioni ma-
trimoniali). Manca anche un richiamo all’art. 166 bis (concernente il divieto di costituzione di dote), forse in
quanto ritenuto ricollegato ad una problematica peculiare allo squilibrio un tempo legalmente sanzionato tra
marito e moglie, nonché, inspiegabilmente, all’art. 161 (relativo all’inammissibilità del “riferimento generico a
leggi o agli usi”).
476 PARTE V – FAMIGLIA

(art. 121). Solo a complicazioni interpretative prestandosi, del resto, l’essersi voluto (ap-
prossimativamente) trascrivere la disciplina concernente la protezione degli incapaci (115)
e quella relativa agli “ordini di protezione contro gli abusi familiari” (114). Assai più li-
neare, in effetti, sarebbe stato semplicemente inserire anche la parte dell’unione civile, in
aggiunta al coniuge, nelle corrispondenti disposizioni codicistiche 131.
Vi sono, peraltro, taluni profili in ordine ai quali il legislatore sembra aver voluto
prendere le distanze dalla disciplina matrimoniale.
Manca, innanzitutto, un riferimento all’art. 78 (concernente il vincolo di affinità: V,
1.6). Ma c’è da chiedersi se, trattandosi di un vincolo certamente legato a concezioni fa-
miliari storicamente datate 132, non si sia anche qui in presenza dell’emersione di una
possibile linea di tendenza evolutiva dell’ordinamento.
Indubbiamente, l’ansia di differenziazione ha finito col trionfare – abbandonata ad
evidenti fini compromissori l’iniziale idea di un mero richiamo – nella riformulazione,
nell’art. 111-12, del contenuto degli artt. 143 e 144 133. Scarsa rilevanza, dal punto di vista
sostanziale, assume, in proposito, il tentativo di espunzione di ogni riferimento al carat-
tere “familiare” dell’unione civile (parlandosi qui di “bisogni comuni” cui orientare il do-
vere di contribuzione e di “residenza comune” come oggetto di necessaria fissazione) 134.
Resta l’espunzione del dovere di “collaborazione” e di quello di “fedeltà” (V, 2.9), eviden-
temente da ricollegare all’idea (latente) che l’unione civile sia caratterizzata, rispetto al
matrimonio, da un vincolo di minore intensità.
Poco significativa pare l’omissione concernente il dovere di collaborazione, data la re-
lativa incerta perimetrazione a fronte del “dovere di assistenza morale e materiale” (di
cui si tende a considerare, al più, mera specificazione).
Sicuramente di maggiore pregnanza – ideologica (e, non a caso, in tale ottica valoriz-
zata) – si presenta l’omissione relativa al dovere di fedeltà. Comunque, la relativa scarsa
portata concreta emerge da due ordini di considerazioni. In primo luogo, in relazione a
tale dovere, è da tempo tramontata (come si è visto) la sua angusta prospettiva legata alla
sfera della sessualità, finendo esso col risolversi nella valorizzazione di esigenze di lealtà,
di dedizione (e fiducia) reciproca e di rispetto della dignità dell’altra parte: esigenze che
non possono non considerarsi connaturate anche al rapporto di unione civile, come ri-
flesso indefettibile dell’essere esso assunto proprio quale unione di coppia, caratterizzata

131
Sembra, insomma, che l’intento – alla base anche degli artt. 116 (in tema di rilevanza della “violenza”
nel contratto: art. 14361), 117 (concernente la materia delle indennità di cui all’art. 2122), 118 (relativo alla so-
spensione della prescrizione: art. 29411) e 119 (in cui si accatastano residualmente, ma non senza omissioni,
riferimenti a materie disparate, tra cui quella degli alimenti: V, 1.7) – sia stato quello di evitare l’ingresso nel
codice civile di riferimenti all’unione civile (ed alle relative parti). Comunque, evidentemente nella confusione
finale, gli artt. 132 e 133 (rispettivamente con riguardo agli artt. 86, libertà di stato, e 124, vincolo di precedente
matrimonio) hanno finito col farlo.
132
Si allude all’idea del matrimonio come ad una vicenda destinata – per fini che nulla hanno a che vedere
con l’attuale prospettiva affettiva e solidaristica della relazione personale di vita che lega i componenti del
nucleo familiare ristretto (V, 1.2) – ad intrecciare (e unire) gruppi familiari.
133
Il mancato richiamo all’art. 145, concernente l’“intervento del giudice” in caso di disaccordo tra i co-
niugi, sembra, almeno in larga misura, da ricollegare all’esaurimento della sua stessa funzione storico-sistema-
tica (V, 2.9).
134
Neppure del tutto riuscito, dato che nell’art. 112 si qualifica proprio come “familiare” l’“indirizzo della
vita” da concordare.
CAP. 2 – MATRIMONIO 477

da esclusività (art. 14, lett. a), in quanto fondata su forti legami di affetto e solidarietà. In
secondo luogo, adeguato rilievo pare da accordare anche al risultare estraneo alla disci-
plina dettata per la crisi dell’unione civile (V, 3.6) ogni riferimento all’istituto della sepa-
razione personale, con quella possibilità di relativo addebito (V, 3.2), in cui finisce tradi-
zionalmente col risolversi l’eventuale sanzione della violazione del dovere in questione
(da intendere, comunque, nella dianzi delineata prospettiva) 135.
Anche in relazione a quanto previsto, dall’art. 110, con riguardo alla problematica del
cognome, come elemento funzionale all’identificazione del gruppo familiare nella sua
unitarietà, la ricerca di soluzioni originali – rispetto a quelle attualmente vigenti per i co-
niugi (art. 143 bis, “cognome della moglie”) – nella regolamentazione dell’unione civile
ha finito col risolversi nell’anticipazione di modelli di disciplina, prevedibilmente desti-
nati ad estendersi al rapporto matrimoniale (nella prospettiva, evidentemente, del supe-
ramento di residue discriminazioni tra coniugi in materia: IV, 2.10 e V, 2.9). Infatti, con
una soluzione rispettosa dell’uguaglianza delle parti (in quanto fondata sul loro accordo,
secondo una tendenza ormai prevalente negli ordinamenti a noi più vicini), si stabilisce
che esse 136, “per la durata dell’unione civile”, “possono stabilire di assumere un cogno-
me comune scegliendolo tra i loro cognomi” (restando comunque consentito alla parte il
cui cognome non è stato scelto di “anteporre o posporre al cognome comune il proprio
cognome”) 137.
La disciplina dell’unione civile ha finito col lasciare (intenzionalmente) del tutto in
ombra ogni questione legata all’eventuale presenza di figli nel relativo nucleo familiare.
Ovviamente, una simile scelta di principio è destinata a demandare alla giurisprudenza
di colmare la lacuna, in quei casi in cui, già attualmente, un comune rapporto di filiazio-
ne giuridicamente rilevante venga comunque a sorgere, in particolare attraverso l’ado-
zione (secondo la legge italiana o all’estero: V, 4.8) 138. In effetti, da una parte, manca un
riferimento agli artt. 147 e 148, conservati in sede di novellazione della disciplina della
filiazione, per evidenziare che i doveri verso i figli costituiscono anche oggetto di una re-
ciproca pretesa nel contesto del rapporto coniugale (V, 2.9). Dall’altra, in sede di finale

135
Anche nel caso di unione civile, comunque, sembra poter operare – nei limiti e con le precisazioni in
cui ciò è ipotizzabile per il matrimonio (V, 2.9) – il rimedio rappresentato dal risarcimento del danno per vio-
lazione dei doveri connessi all’instaurazione del relativo rapporto.
136
Mediante “dichiarazione all’ufficiale di stato civile” (e v. quanto, al riguardo, operativamente prevede il
D.Lgs. 5/2017: nuovi artt. 70 octies3 e 70 quaterdecies2 D.P.R. 396/2000).
137
I dubbi di illegittimità della disciplina applicativa del regime accennato – intestazione della scheda
anagrafica individuale alla parte dell’unione civile con il cognome posseduto prima della relativa costituzione
(indipendentemente, quindi, dall’opzione eventualmente operata ai sensi dell’art. 110 L. 76/2016: nuovo art.
203 bis D.P.R. 30.5.1989, n. 223) – sono stati superati da Corte cost. 22-11-2018, n. 212, richiamandosi alla
uguale disciplina anagrafica – intestazione della scheda anagrafica “al cognome da nubile” – operante per il
cognome della moglie, in ordine all’“aggiunta” al proprio del cognome del marito (considerato in termini di
“cognome d’uso”). Pare il caso di evidenziare, comunque, come la Corte significativamente accenni, con ri-
guardo a quella introdotta in materia di unione civile, alla “natura paritaria e flessibile della disciplina del co-
gnome comune”.
138
Ma pare inevitabile come, in simili situazioni, non possa che farsi ricorso alla comune disciplina dettata
per regolare l’esercizio della responsabilità genitoriale (anche con riguardo all’eventuale venir meno della con-
vivenza familiare). Sembra da sottolineare, del resto, come pure la situazione dei figli inseriti in nuclei familia-
ri costituiti con l’unione civile sia stata presa in considerazione dalla L. 11.1.2018, n. 4, recante misure “in
favore degli orfani per crimini domestici”.
478 PARTE V – FAMIGLIA

definizione del testo del provvedimento è caduta l’inizialmente contemplata 139 – sul mo-
dello di altri ordinamenti – possibilità di adozione del figlio dell’altra parte, nella pro-
spettiva dell’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 441, lett. b, L. 184/1983. Peral-
tro, con una formula carica di ambiguità, nell’art. 120 si è previsto, una volta testualmente
esclusa l’estensibilità alle parti dell’unione civile delle “disposizioni di cui alla legge 4 mag-
gio 1983, n. 184”, che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione
dalle norme vigenti” 140.

139
Ai sensi dell’art. 5 D.D.L. n. 2801.
140
Circa gli esiti cui ha portato, in un clima di conseguente incertezza nella pratica, la formula in questio-
ne nella successiva giurisprudenza, v. infra, V, 4.8.
CAPITOLO 3
CRISI CONIUGALE

Sommario: 1. Unità e crisi della famiglia. – 2. Separazione personale dei coniugi. – 3. Effetti della sepa-
razione personale. – 4. Divorzio. – 5. Effetti del divorzio. – 6. Scioglimento della unione civile.

1. Unità e crisi della famiglia. – La disciplina della crisi del rapporto coniugale
rappresenta, probabilmente, l’aspetto più delicato della regolamentazione complessiva
del fenomeno familiare 1. Il legislatore è chiamato, in effetti, nel momento in cui più ac-
centuate sono le tensioni all’interno del gruppo, ad assicurare il rispetto della piena egua-
glianza dei coniugi, garantendo, allo stesso tempo, l’interesse dei figli ad idonee condizio-
ni di sviluppo della personalità. L’esigenza di realizzare un giusto equilibrio tra i valori di
libertà e responsabilità, tende, allora, a indirizzare l’intervento legislativo verso forme di
prevenzione e risoluzione dei confitti familiari fondate sulla valorizzazione dell’impegno
degli interessati ad una consapevole ricerca di soluzioni condivise, quale via maestra per
assicurare una migliore tutela di tutti i soggetti coinvolti nella crisi.
Nel nostro ordinamento, non poche difficoltà interpretative sono legate alla persistente
segmentazione della regolamentazione (per così dire, a doppio binario) della crisi familiare,
tra codice civile, novellato nel 1975, in cui è contemplata la separazione personale, e legisla-
zione sul divorzio del 1970, a sua volta, prima integrata nel 1978, poi profondamente rivisi-
tata nel 1987 (nonché oggetto di anche successivi interventi). Impegno esegetico notevo-
le, quindi, ai fini del relativo coordinamento sistematico, ha richiesto la frammentazione
e stratificazione della disciplina dettata con riferimento a problematiche caratterizzate da
omogeneità di esigenze, in caso di venir meno della famiglia come comunità di vita 2.
Il principio dal quale non può prescindere qualsiasi intervento legislativo è sicura-
mente quello rappresentato dalla protezione costituzionale del matrimonio e della fami-

1
La trattazione che segue si riferisce alla famiglia fondata sul matrimonio, ma le problematiche concer-
nenti la crisi familiare investono, evidentemente, anche i rapporti personali e patrimoniali che si radicano
nell’unione civile e nella convivenza. Quanto all’unione civile, trattandosi, in sostanza, di verificare entro che
limiti la disciplina dettata dalla L. 76/2016 si discosti da quella prevista per il matrimonio, il relativo esame è
svolto infra, V, 3.6. Sulla convivenza e sulle questioni legate al suo venir meno, anche alla luce di quanto di-
sposto dalla L. 76/2016, ci si è soffermati supra, V, 1.4.
2
Una disciplina programmaticamente unitaria delle problematiche più chiaramente caratterizzate da
omogeneità di esigenze (in particolare, tutela dei figli e sorte della casa familiare) è stata introdotta, peral-
tro, con i nuovi artt. 337 bis ss. (riproduttivi degli artt. 155 ss., ai sensi della L. 8.2.2006, n. 54: V, 4.10-11).
Una disciplina di carattere unitario sul piano processuale viene ora prospettata nel contesto dell’art. 123,24 della
L. 26.11.2021, n. 206.
480 PARTE V – FAMIGLIA

glia, nella relativa interdipendenza (V, 2.1). Il carattere fondamentale della garanzia del-
l’unità familiare si presenta, in effetti, come valore chiaramente emergente dall’art.
291 Cost. Prioritario risulta, quindi, nel caso di situazione di crisi, la promozione del re-
cupero del fisiologico funzionamento della comunità familiare, nella pienezza del suo
significato di “comunione spirituale e materiale” (secondo la formula impiegata dagli
artt. 1 e 2 L. 1.12.1970, n. 898) 3.
I prodromi della crisi del rapporto coniugale tendono, il più delle volte, a farsi avver-
tire attraverso l’insorgere di una conflittualità in relazione alle decisioni concernenti la
gestione della comunità familiare. In proposito, ha prevalso, con la previsione del mec-
canismo dell’art. 145 (V, 2.9), l’idea dell’utilità di un possibile intervento giudiziale, fina-
lizzato ad indirizzare conflitti ancora non denotanti una vera e propria frattura della
compagine familiare sulla via dell’accordo.
Nel senso della promozione del ristabilimento di una funzionante comunione coniu-
gale depongono, poi, tutte quelle previsioni, di carattere essenzialmente processuale, che,
nelle procedure di separazione personale e di divorzio, sono indirizzate espressamente
alla riconciliazione dei coniugi: in particolare, attraverso l’apertura di spazi di riflessione
e di ripensamento contro iniziative avventate e dettate dal prevalere di fattori emoziona-
li, spesso per loro stessa natura transitori.
La necessità di garantire ai membri della famiglia – pur una volta venuta meno la
funzionalità della formazione sociale a realizzare valori comunitari – condizioni di vita
tali da non pregiudicarne in maniera decisiva personalità e dignità ha indotto, da tempo
(e ovunque), a propendere per una disciplina della crisi familiare che pone in primo pia-
no l’esigenza di non esasperare la situazione di conflittualità esistente tra i coniugi 4. L’a-
dozione di soluzioni della crisi familiare congegnate in modo tale da smussare (piuttosto
che massimizzare) l’esistente conflittualità, in quanto fondate sulla valorizzazione del
consenso delle parti, si impone specialmente per la tutela degli interessi dei figli. In una
simile prospettiva, non si manca, allora, di prevedere anche il ricorso a nuovi strumenti,
come quello della mediazione familiare 5, funzionale – con l’ausilio di esperti nelle scienze
relazionali – a ristabilire tra i coniugi condizioni di accordo, almeno in vista dei futuri
reciproci rapporti e, soprattutto, dei rapporti con i figli (V, 4.10).

2. Separazione personale dei coniugi. – Nel regime di indissolubilità del matrimo-


nio, vigente fino all’introduzione del divorzio nel 1970, il venir meno della comunione di
vita coniugale e le sue conseguenze erano disciplinati esclusivamente attraverso la sepa-

3
Evidentemente illegittima si presenterebbe, quindi, ogni disposizione – per dirla con Corte cost. 22-7-1976,
n. 181 – che “impedisca od ostacoli il perseguimento od il conseguimento dell’unità familiare”.
4
Prospettiva chiarissima, ad es., in Inghilterra, nella s. 1 del Family Law Act 1996, ove si prevede che, in
caso di irrimediabile fallimento del matrimonio, esso debba essere chiuso “con il minimo di sofferenza per le
parti e per i figli coinvolti”. Anche in una simile prospettiva – oltre che al dichiarato fine di rimediare all’in-
golfamento della giustizia civile – può essere inteso l’intervento legislativo, col D.L. 12.9.2014, n. 132, quale
conv. con la L. 10.11.2014, n. 162, tendente a valorizzare, attraverso il meccanismo della “negoziazione assi-
stita” (art. 6), il momento stragiudiziale nella definizione della crisi familiare, fino a giungere alla previsione,
ricorrendone le condizioni, di procedure di carattere meramente amministrativo (art. 12).
5
Il ricorso alla quale risulta indubbiamente incentivato nel quadro dell’intervento operato con la L.
206/2021 (v. art. 123, lett. f, n, o, p).
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 481

razione personale, comportante una modificazione dei rapporti tra i coniugi, destinati
a restare, comunque, tali (destinati, cioè, a rimanere nella condizione di separati a tempo
indeterminato, in caso di mancanza di riconciliazione). Con l’introduzione del divorzio, la
separazione personale, con la relativa conservazione del rapporto coniugale, ha assunto i
connotati di situazione funzionalmente provvisoria, dato che essa vale a determinare una
pausa di riflessione nei rapporti tra i coniugi, destinata a sfociare nel superamento della
conflittualità, con la riconciliazione, ovvero, in caso di constatata irreversibilità della crisi
coniugale, nel divorzio: nell’attuale quadro ordinamentale, quindi, l’eventuale persistenza
della situazione di separazione, al di là di quanto necessario per una meditata riflessione
sulla sorte del rapporto (e, comunque, al di là di quanto imposto dalle modalità tempo-
rali stabilite dal legislatore per il divorzio), costituisce frutto di una libera scelta di am-
bedue le parti nel senso della conservazione del rapporto stesso.
La riforma del 1975 ha abbandonato il previgente modello di separazione basato, al-
meno in mancanza dell’accordo circa l’interruzione della convivenza e le relative conse-
guenze, sulla necessaria dimostrazione, da parte del coniuge richiedente, di una respon-
sabilità dell’altro (secondo un catalogo tassativo di colpe coniugali: adulterio, volontario
abbandono, eccessi, sevizie, minacce, ingiurie gravi) (separazione per colpa). L’opzione è
stata per un modello di separazione fondato sulla mera constatazione di una situazione
di intollerabilità della convivenza, in quanto più aderente alle normali dinamiche della
crisi coniugale e atto ad evitare la massimizzazione delle lacerazioni, in vista sia di una
possibile riconciliazione, sia dello stabilimento di pacifici e dignitosi futuri rapporti reci-
proci, soprattutto nell’interesse dei figli.
Se rilevanti effetti l’ordinamento ricollega alla separazione legale, quale momento di
formalizzazione della crisi familiare anche nella prospettiva – in mancanza del ripristino
della comunione di vita in quel necessario periodo di riflessione nel quale la separazione
stessa si traduce – del successivo divorzio, taluni effetti derivano pure dalla mera sepa-
razione di fatto, che consegue alla decisione di interrompere la convivenza, presa d’ac-
cordo o unilateralmente.
L’allontanamento dalla residenza familiare, se non fondato sull’accordo e privo di giu-
sta causa (come, in particolare, comportamenti contrari ai doveri matrimoniali dell’altro
coniuge: V, 2.9) 6, determina la sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale nei
confronti del coniuge che, allontanatosi, rifiuti di tornarvi (art. 1461), il quale vi resta in-
vece tenuto. Costituisce giusta causa di allontanamento, in particolare, la proposizione
della domanda di separazione, annullamento e divorzio (art. 1462).
La situazione di separazione di fatto, ritenuta ostativa all’adozione (art. 61 L. 4.5.1983,
n. 184), risulta parificata – in virtù di un intervento della Corte costituzionale (7-4-1988,
n. 404) – a quella legale ai fini della successione nel contratto di locazione ed è stata con-
siderata causa di divorzio, se iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970 (art.
31, n. 2, lett. b, L. 1.12.1970, n. 898).

6
L’abbandono della residenza familiare, “senza aver proposto domanda di separazione personale”, è rite-
nuto, sotto il profilo probatorio, assumere senz’altro una “incidenza causale sulla crisi del matrimonio”: Cass.
14-2-2012, n. 2059. Comunque, Cass. 15-12-2016, n. 25966, richiama l’attenzione sull’onere, da parte di chi
richieda la pronuncia di addebito, “di provare il rapporto di causalità tra la violazione e l’intollerabilità della
convivenza”. Per Cass. 24-2-2011, n. 4540, la “giusta causa” è ravvisabile pure “nei casi di frequenti litigi do-
mestici della moglie con la suocera convivente e nel conseguente progressivo deterioramento dei rapporti tra
gli stessi coniugi, anche in assenza di tradimento o di violenze da parte del marito”.
482 PARTE V – FAMIGLIA

La separazione legale, nella sistematica del codice civile, può essere consensuale o
giudiziale 7. Il legislatore, con il D.L. 12.9.2014, n. 132, conv. nella L. 10.11.2014, n. 162,
ha messo a disposizione degli interessati – pur senza modificare i profili sistematici e gli
effetti degli istituti coinvolti – due nuove procedure di definizione della crisi coniugale,
comuni alla separazione personale e al divorzio, nella ipotesi di cui all’art. 31, n. 2, lett. b, l.
div. (utilizzabili anche per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio): quel-
la consistente nella conclusione di una convenzione di negoziazione assistita (la
quale prevede pur sempre un intervento giudiziale di controllo) (art. 6) e, in presenza di
specifiche condizioni, quella fondata su un accordo innanzi all’ufficiale dello sta-
to civile (che si esaurisce, quindi, sul piano amministrativo) (art. 12).
a) La separazione consensuale si fonda su un accordo dei coniugi, necessariamente
esteso sia alla decisione di separarsi, sia alla regolamentazione dei propri futuri rapporti
reciproci e di quelli con i figli 8. L’accordo produce effetti solo con l’omologazione giudi-
ziale (art. 1581), che è data con decreto del tribunale, ad esito di un procedimento (in cui
interviene il pubblico ministero) che inizia con un tentativo di conciliazione e consiste in
un controllo delle condizioni pattuite dai coniugi (non, invece, delle ragioni che hanno
indotto i coniugi a chiedere la separazione).
Ove gli accordi relativi all’affidamento ed al mantenimento dei figli siano reputati
contrari ai loro interessi, il tribunale indica le modificazioni che considera opportune
(senza, peraltro, potersi sostituire alle parti nell’apportarle) e, nel caso di inadeguata so-
luzione adottata dai coniugi, può rifiutare l’omologazione (art. 1582). Anche se non e-
spressamente previsto, pare corretto ritenere che il controllo giudiziale si estenda pure al

7
Il procedimento relativo alla separazione personale dei coniugi (disciplinato dagli artt. 706 ss. c.p.c.) è
stato modificato dalla L. 14.5.2005, n. 80 (che ha convertito il D.L. 14.3.2005, n. 35) e ulteriormente modifi-
cato da taluni interventi legislativi successivi (in particolare, dalla L. 54/2006 è stato introdotto l’art. 709 ter
c.p.c., in tema di controversie conseguenti all’affidamento dei figli). Il provvedimento di separazione viene
annotato nell’atto di matrimonio, ai sensi dell’art. 69, lett. d, D.P.R. 3.11.2000, n. 396.
8
Accordo considerato quale “negozio giuridico bilaterale a carattere non contrattuale” (Cass. 12-4-2006,
n. 8516) o di “natura negoziale (quand’anche non contrattuale)”, con conseguente applicabilità, in particola-
re, delle “norme generali che disciplinano la materia dei vizi della volontà e della simulazione” (da far valere nelle
forme di un giudizio ordinario: Cass. 20-3-2008, n. 7450; e v. Cass. 1-10-2012, n. 16664, per l’applicabilità,
“nei limiti di compatibilità”, dei “criteri esegetici dettati per i negozi giuridici dagli artt. 1362 ss.”). Peraltro,
occupandosi specificamente della questione, l’impugnabilità della separazione consensuale per simulazione è
stata esclusa da Cass. 12-9-2014, n. 19319, essendo da ritenere la “iniziativa processuale diretta ad acquisire la
condizione formale di coniugi separati … come atto incompatibile con la volontà di avvalersi della simulazio-
ne”. La giurisprudenza (Cass. 20-8-2014, n. 18066), ha ritenuto che “nella separazione consensuale, così co-
me nel divorzio congiunto, ma pure in caso di precisazioni comuni che concludano e trasformino il procedi-
mento contenzioso di separazione e divorzio, si stipula un accordo, di natura sicuramente negoziale, che, fre-
quentemente, per i profili patrimoniali si configura come un vero e proprio contratto”: ciò richiamando
l’impostazione secondo cui, nell’accordo tra le parti, “si ravvisa un contenuto necessario”, relativo alla con-
formazione dei rapporti con i figli, alla casa coniugale ed all’eventuale riconoscimento di un assegno di man-
tenimento o divorzile, “ed uno eventuale (la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o persona-
le tra i coniugi)”. Le “ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il contenuto tipico” (“essenziale”)
sarebbero negozi non aventi “causa” nella separazione, ma “semplicemente assunti ‘in occasione’ della separa-
zione medesima … espressione di libera autonomia contrattuale” (Cass. 19-8-2015, n. 16909; 26-1-2018, n.
2036). Come tali, simili pattuizioni, in quanto tendenti a “dare un assetto generale alle relazioni” tra i coniugi
(andando “ben oltre la necessità di definire l’obbligo di mantenimento”), potrebbero, a differenza dell’ac-
cordo nel suo “contenuto essenziale”, essere impugnate per simulazione (Cass. 30-8-2019, n. 21839, circo-
scrivendo le conclusioni di Cass. 19319/2014).
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 483

rispetto dei diritti indisponibili nei rapporti reciproci dei coniugi (in particolare, con ri-
guardo all’assistenza economica nei confronti del coniuge più debole) 9.

9
Secondo Cass. 22-1-1994, n. 657, il controllo giudiziale “involge anche le altre parti dell’accordo di se-
parazione, come verifica del non travalicamento del canone di inderogabilità posto dall’art. 160” (“il limite
del rispetto dei diritti indisponibili” è evocato da Cass. 24-7-2018, n. 19540, 13-2-2018, n. 10463, 20-8-2014,
n. 180, e ribadito da Cass., sez. un., 29-7-2021, n. 21761). Con tale limite, viene ammessa la validità di even-
tuali accordi modificativi successivi all’omologazione, indipendentemente dal relativo controllo preventivo (la
conformità all’art. 160 sarà, cioè, eventualmente verificata ad istanza della parte che ne lamenti la violazione).
Sono considerate ammissibili anche le pattuizioni intervenute tra i coniugi anteriormente o contemporanea-
mente all’omologazione della separazione consensuale, pur non trasfuse nell’accordo omologato (solo, però,
se “riguardano un aspetto che non è disciplinato nell’accordo formale e che è sicuramente compatibile con
esso”, ovvero si collocano “in posizione di conclamata e incontestabile maggiore o uguale rispondenza al-
l’interesse tutelato attraverso il controllo di cui all’art. 158”: Cass. 23-9-2013, n. 21736, 24-10-2007, n. 22329,
20-10-2005, n. 20290). Quanto al controllo sui contenuti dell’accordo, ad es., non è stata ritenuta omologabi-
le la separazione consensuale, evidentemente per contraddittorietà, nel caso di prevista “persistenza della
coabitazione da ‘separati in casa’” (pur contemplandosi “il venir meno di gran parte dei doveri nascenti dal
matrimonio”: Trib. Como 6-6-2017). Circa i consentiti “accordi di separazione fra i coniugi contenenti attri-
buzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili”, non si è
mancato di ritenere che essi “rispondono, di norma, ad un … proprio originario spirito di sistemazione dei
rapporti in occasione dell’evento”, che svela “una sua ‘tipicità’ propria” (Cass. 14-3-2006, n. 5473), pur ten-
dendo la stessa giurisprudenza ad intendere simili pattuizioni – comunque non configuranti “una convenzio-
ne matrimoniale” – in termini di “contratto atipico, valido sempre che non incida negativamente sui diritti e
doveri nascenti dal matrimonio” (Cass. 24-4-2007, n. 9863, nonché Cass. 24321/2007 e 21736/2013, che ri-
corda come simili accordi possano concernere anche l’adempimento dell’obbligo di mantenimento dei figli,
escludendo che essi realizzino una donazione, in quanto aventi “una funzione solutoria”). Si è ammesso (ad
es., Trib. Reggio Emilia 26-3-2007) anche il ricorso, nel quadro degli accordi in questione, a vincoli di destina-
zione, ai sensi dell’art. 2645 ter (II, 2.9; XIV, 2.11). Pare il caso di sottolineare come, essendo rimasta persi-
stentemente oggetto di contrastanti vedute da parte della giurisprudenza di merito – in conseguenza degli
adempimenti specificamente richiesti dalla disciplina in materia di trasferimenti immobiliari – la questione
concernente la possibilità che i provvedimenti che definiscono consensualmente la crisi coniugale (separazio-
ne consensuale, sentenza di divorzio su ricorso congiunto o su conclusioni conformi delle parti), nel prevede-
re (concordati) trasferimenti immobiliari, possano senz’altro attuarli (ovvero possano solo contenere un im-
pegno al trasferimento stesso), Cass. 10-2-2020, n. 3089, la ha rimessa al primo presidente della Corte, per la
relativa assegnazione alle sezioni unite. Le sezioni unite (21761/2021) – anche nell’ottica di “una lettura costi-
tuzionalmente orientata, che tenga conto del fondamento costituzionale dell’autonomia privata, ravvisabile
negli artt. 2, 3, 41 Cost.” – hanno premesso, a seguito di una complessiva ricognizione della materia degli ac-
cordi in sede di separazione e divorzio, che “sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda con-
giunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di
beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei
figli, al fine di assicurarne il mantenimento”. Sulla questione particolare ad esse rimessa, hanno stabilito che
“il suddetto accordo, in quanto inserito nel verbale di udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato
a far fede di ciò che in essa è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 e
ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi
dell’art. 416 della legge n. 898 del 1970, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni ine-
renti la prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo
rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657” (e sarà compito del cancelliere attesta-
re, ai fini della relativa validità, “che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni” richieste in ma-
teria di trasferimenti immobiliari, ma non di verificare “l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua con-
formità con le risultanze dei registri immobiliari”). Discussa resta la questione della esperibilità dell’azione
revocatoria nei riguardi dei negozi traslativi immobiliari costituenti contenuto accessorio dell’accordo di sepa-
razione consensuale. L’indirizzo di fondo favorevole (per cui v., ad es., Cass. 12-4-2006, n. 8516), viene, co-
munque, reputato – ai fini della individuazione della disciplina da applicarsi, ai sensi dell’art. 2901 – da va-
gliare alla luce del riscontro, “nel concreto”, dei “tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che quelli della ‘gra-
tuità’, in ragione dell’eventuale ricorrenza dei connotati di una sistemazione ‘solutorio-compensativa’ più am-
484 PARTE V – FAMIGLIA

b) Ciascuno dei coniugi può chiedere la separazione giudiziale sul fondamento di si-
tuazioni tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da esporre a grave
pregiudizio la educazione della prole (art. 1511) 10. L’accento posto dalla stessa norma, poi,
sul poter essere una simile situazione indipendente dalla volontà di uno o di entrambi i
coniugi attesta come la separazione, lungi dall’essere considerata, come in passato, quale
sanzione nei confronti di uno dei coniugi (per la violazione di doveri coniugali), sia vista
quale rimedio ad una situazione di crisi familiare. Di conseguenza, si è ritenuto necessa-
rio – almeno come affermazione di principio (via via sempre più sfumata, fino a presen-
tarsi, almeno nella sostanza, superata) – che l’intollerabilità abbia carattere oggettivo e
non meramente soggettivo 11.
Un compromesso dell’ultimo momento in sede di riforma ha, però, indiscutibilmente
nuociuto alla linearità del sistema, incentrato su quel carattere rimediale della separazio-
ne, che dovrebbe valere ad evitare, nell’interesse dei coniugi e (soprattutto) della prole,
la conflittualità inevitabilmente innescata da giudizi condotti in termini di responsabilità.
Ci si riferisce alla conservazione della possibilità di perpetuare la prospettiva sanzionato-
ria della separazione, attraverso la richiesta e la conseguente dichiarazione di addebita-
bilità della separazione al coniuge, “in considerazione del suo comportamento contrario
ai doveri che derivano dal matrimonio” (art. 1512). L’addebito (che può essere pure dichia-
rato, su reciproca richiesta, a carico di entrambi i coniugi), infatti, produce conseguenze
tanto rilevanti (V, 3.3) da indurre le parti, nella prassi, a richiederne correntemente la pro-
nuncia 12. L’abrogazione dell’art. 1512 risulta, quindi, a ragione insistentemente proposta.

pia e complessiva” (Cass. 5473/2006, in una prospettiva per cui v., di recente, Cass. 15-4-2019, n. 10443 e 25-10-
2019, n. 27409, secondo cui l’atto “sfugge alle connotazioni classiche sia dell’atto di donazione, sia dell’atto di
vendita” e, in considerazione della sua “tipicità propria”, “la qualificazione dell’atto come oneroso o gratuito
risponde esclusivamente al fine dell’applicazione della disciplina differenziata di cui all’art. 2901, senza inci-
dere sulla giustificazione causale dell’attribuzione patrimoniale, riferibile alla sistemazione patrimoniale tra gli
ormai ex coniugi”).
10
Nel nuovo quadro normativo, si è senz’altro ritenuto che anche il coniuge che abbia determinato, col
proprio comportamento, la crisi familiare possa chiedere la separazione personale (Cass. 17-1-1983, n. 364,
che ha reputato costituzionalmente legittima la disciplina, conferendo essa comunque rilievo alle “rispettive
responsabilità”).
11
Per Cass. 10-6-1992, n. 7148, la situazione di intollerabilità dovrebbe risultare “oggettivamente apprezzabi-
le e giuridicamente controllabile”, la separazione non potendo essere pronunciata per “il mero atteggiamento
soggettivo di rifiuto della convivenza da parte di uno dei coniugi” (Cass. 10-1-1986, n. 67). Più di recente, co-
munque, accogliendo “un’interpretazione aperta a valorizzare elementi di carattere soggettivo, costituendo la
‘intollerabilità’ un fatto psicologico squisitamente individuale”, Cass. 9-10-2007, n. 21099, ha concluso che “ove
la situazione di intollerabilità” – per “fatti obiettivi emersi” e giudizialmente accertabili – “si verifichi, anche ri-
spetto ad un solo coniuge, questi ha diritto di chiedere la separazione” (sussistendo, “per ciascun coniuge”, “il
diritto di ottenere la separazione e interrompere la convivenza”). Tende, in effetti, ormai a prevalere (trionfando
con Cass. 5-8-2020, n. 16698, 29-4-2015, n. 8713 e, già, 21-1-2014, n. 1164) una simile concezione, per così dire
soggettivistica della intollerabilità della convivenza, fondata su una situazione di “disaffezione e distacco di una
delle parti, tale da rendere per essa intollerabile la convivenza”, di cui può essere ritenuta senz’altro “espressione
… la presentazione stessa del ricorso e il successivo comportamento processuale”.
12
La portata innovativa della riforma in materia sembra affidata ad una equilibrata utilizzazione, da parte
della giurisprudenza, della dichiarazione di addebitabilità. Al riguardo, significativamente, Cass. 9-10-2012, n.
17196, sottolinea “il carattere di eccezionalità dell’addebito”. In una simile direzione sembra muoversi, ad es.,
già Cass. 28-9-2001, n. 12130, quando ritiene necessario, a tal fine, “accertare se tale violazione abbia assunto
efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale” (non rilevando, insomma, le condotte, anche gra-
vi, intervenute dopo il maturare della situazione di intollerabilità della convivenza: Cass. 30-5-2014, n. 12812;
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 485

Solo abbastanza di recente, del resto, la giurisprudenza ha ritenuto inammissibile il


c.d. mutamento del titolo della separazione, la possibilità, cioè, di chiedere una pronuncia
di addebitabilità per comportamenti successivi alla separazione, trasformando una sepa-
razione consensuale (o giudiziale senza addebito) in separazione con addebito. Possibili-
tà – incentivo ad una persistente conflittualità e fonte di ricatti nei confronti del coniuge
economicamente più debole – che risulta in contrasto con la lettera dell’art. 1512, ove
l’ammissibilità della richiesta e della dichiarazione di addebitabilità risulta ristretta al
giudizio di separazione 13.
La tendenza a disciplinare la separazione personale in modo tale da non esasperare la
conflittualità, causa della crisi coniugale, si presenta evidentemente funzionale alla con-
servazione degli ancora sussistenti elementi di coesione tra i coniugi, in vista di una even-
tuale ripresa, nella sua pienezza, del consorzio coniugale o, almeno, di successivi rappor-
ti collaborativi, soprattutto nell’interesse dei figli.
Una indubbia valorizzazione dei profili di consensualità nella definizione della crisi
familiare – anche se in un contesto normativo dichiaratamente funzionale al deconge-
stionamento della giustizia civile, attraverso misure di “degiurisdizionalizzazione” – si è
avuta con il ricordato recente intervento del legislatore, tendente a introdurre (con una
disciplina concordemente reputata approssimativa, equivoca e, sotto molti profili, lacu-
nosa) due nuove procedure, come dianzi accennato, comuni a separazione personale e di-
vorzio (e utilizzabili anche per la modifica delle relative condizioni) (artt. 6 e 12 D.L.
132/2014, conv. nella L. 162/2014).

e gravando “l’onere di provare la condotta” dell’altro coniuge “e la sua efficacia causale nel rendere intollera-
bile la prosecuzione della convivenza” sulla parte che richiede l’addebito: Cass. 19-2-2018, n. 3923; nella me-
desima prospettiva, 5-8-2020, n. 16691, in una fattispecie caratterizzata dalla circostanza che la moglie “dopo
le asserite violazioni del dovere di fedeltà da parte del marito, aveva continuato la convivenza con il marito
per più di quindici anni”), ad esito di una “comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non poten-
do la condotta dell’uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell’altro” (Cass. 14-2-2012, n.
2059; 14-11-2001, n. 14162). Peraltro, “ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazioni di
norme di condotta imperative ed inderogabili – traducendosi nell’aggressione a beni e diritti fondamentali
della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale dell’altro coniuge, ed oltrepassando quella
soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner – essi
sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest’ultimo, e si sot-
traggono anche alla comparazione con tale comportamento” (Cass. 5-8-2004, n. 15101, nonché 22-3-2017, n.
7388 e 19-2-2018, n. 3925, con riferimento, appunto, alla perpetrazione di “violenze fisiche e morali”). Nel
mentre non si è mancato di conferire rilevanza alle valutazioni concernenti anche il “periodo di convivenza
prematrimoniale” (Cass. 20-6-2013, n. 1546), si sottolinea che, comunque, non può conferirsi alla “eventuale
‘tolleranza’ del coniuge a fronte delle intemperanze” dell’altro (anche se di lunga durata) “una sorta di effica-
cia di esimente oggettiva (il consenso dell’avente diritto)” (Cass. 20-9-2007, n. 19450, con riguardo ad un
rapporto protrattosi per oltre venti anni, nonostante i comportamenti “vessatori e violenti” di uno dei coniu-
gi). Per l’indisponibilità dei valori di rango costituzionale (come quelli “di uguaglianza morale e giuridica tra i
coniugi e di partecipazione paritaria alla conduzione familiare”), si è evidenziato, “ai fini dell’addebito”, che
essi, nonostante “l’atteggiamento di tolleranza del coniuge che subisce la lesione dei propri diritti”, “non pos-
sono tollerare deroghe in virtù della permanenza, in alcune aree sociali, di quel ruolo gerarchico che legitti-
mava l’autorità del marito nelle società patriarcali” (Cass. 21-4-2015, n. 8094). Circa i doveri coniugali (e, in
particolare, quello di fedeltà), la cui violazione viene qui in considerazione, supra, V, 2.9.
13
La svolta si è avuta con Cass. 7-12-1994, 10512, secondo cui “è il rilievo fondante che l’ordinamento at-
tribuisce, ai fini della separazione, all’intollerabilità della convivenza (o al grave pregiudizio all’educazione
della prole) che impone che la responsabilità di essa sia accertata solo all’atto del verificarsi della causa di in-
terruzione dell’unione familiare” (e che, quindi, la dichiarazione di addebito sia “richiesta e adottata soltanto
nell’ambito del giudizio di separazione”: Cass. 20-3-2008, n. 7450).
486 PARTE V – FAMIGLIA

c) La convenzione di negoziazione assistita (art. 6) è conclusa, con l’assistenza di al-


meno un avvocato per parte, “al fine di raggiungere una soluzione consensuale” di sepa-
razione personale (nonché – nell’ipotesi di cui all’art. 31, n. 2, lett. b – di divorzio o di
modifica delle condizioni di separazione o di divorzio). Fondamentale, in tale procedura
risulta il ruolo degli avvocati 14: essi, infatti, devono operare un tentativo di conciliazione
delle parti, informarli circa la possibilità di esperire la mediazione familiare e, in presenza
di figli minori, informarli “dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati
con ciascuno dei genitori”. Essi devono, altresì, assicurare l’attuazione del necessario
l’intervento di controllo in sede giudiziale, nonché adempimenti nei confronti dei compe-
tenti uffici dello stato civile.
In relazione all’accennato controllo giudiziale, esso si presenta più semplice in assenza di
figli (minori, nonché maggiorenni economicamente non autosufficienti, incapaci o portato-
ri di handicap grave). L’accordo dev’essere trasmesso al procuratore della repubblica pres-
so il tribunale competente e, ove non siano riscontrate – secondo l’equivoca terminologia
impiegata – irregolarità, viene comunicato agli avvocati, per i successivi adempimenti, un
nullaosta. In presenza di figli (rientranti nelle accennate categorie), la procedura risulta più
complessa. L’accordo pure sarà trasmesso all’ufficio del pubblico ministero, che ne valuta
la rispondenza agli interessi dei figli e, in caso di esito positivo di tale controllo, lo autoriz-
za. In caso di valutazione negativa, l’accordo viene comunicato al presidente del tribunale,
che fissa la comparizione delle parti e – come oscuramente disposto – provvede senza ritar-
do 15. L’accordo produce gli stessi effetti del corrispondente provvedimento giudiziale (di
separazione personale, divorzio o modifica delle relative condizioni).
d) L’accordo innanzi all’ufficiale dello stato civile (art. 12, specifica “innanzi al sinda-
co, quale ufficiale dello stato civile”), che contempla l’assistenza facoltativa dell’avvocato,
concerne la separazione personale (nonché – nell’ipotesi di cui all’art. 31, n. 2, lett. b, l.
div. – il divorzio o la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio). Tale proce-

14
Ad essi, ai sensi dell’art. 52 del D.L. 132/2014, è demandato, in ogni procedura di “negoziazione assisti-
ta”, un doveroso controllo circa la conformità dell’accordo alle norme imperative ed all’ordine pubblico, con
le conseguenze che qui, allora, si deve ritenere derivarne anche in ordine al non travalicamento dei limiti che
incontra l’autonomia dei coniugi in materia di diritti indisponibili (V, 1.5, 2.11, 3.2, 3.5). L’art. 135 L.
206/2021 prospetta un ampliamento delle materie per cui può ricorrersi alla procedura in questione (anche,
cioè, in materia “di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, e loro modifica, e di ali-
menti”). Peraltro, non risulta accolta nel testo approvato la proposta di demandare agli avvocati “la valuta-
zione di equità di cui all’art. 5, ottavo comma” L. 898/1970 (relativo alla corresponsione, su accordo delle
parti, delle contribuzioni post-matrimoniali in unica soluzione: V, 3.5), nonché quella concernente la trascri-
vibilità degli accordi (e la relativa conservazione da parte dei Consigli dell’ordine degli avvocati).
15
Quasi inutile sottolineare la lacunosità della disciplina, tanto in relazione al contenuto dell’accordo (che,
comunque, si tende a ritenere possa corrispondere a quello ammesso in sede di separazione consensuale: è stato
puntualizzato da Cass. 21-1-2020, n. 1202 che ove “l’accordo stabilito tra i coniugi ricomprenda anche il trasfe-
rimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili … per procedere alla trascrizione dell’accordo è neces-
saria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”, con relativa atte-
stazione della “coerenza dei dati catastali con le risultanze dei registri immobiliari e con lo stato di fatto
dell’immobile”), quanto, soprattutto, con riguardo alla posizione dei figli, in relazione alla previsione dell’art. 315
bis3 e in stridente contrasto con l’attenzione ad essi riservata, in un’ottica partecipativa, nelle procedure giudiziali
(V, 4.10), ai sensi dell’art. 337 octies1 (prevedendosi solo che gli avvocati debbano informare le parti “della possi-
bilità di esperire la mediazione familiare” e “dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con cia-
scuno dei genitori”).
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 487

dura – di carattere, quindi amministrativo – non è ammessa, però, in presenza di figli


(rientranti, anche in questo caso, nelle accennate categorie).
Per assicurare il carattere ponderato della loro comune decisione, è stato previsto – in
caso di procedura concernente separazione o divorzio – che l’ufficiale dello stato civile,
il quale riceve le dichiarazioni dei coniugi, li invita a comparire nuovamente, per confer-
mare l’accordo (la mancata comparizione equivalendo a mancata conferma). Si è previsto
– con una formula di discussa portata 16 – che, in questa procedura, “l’accordo non può
contenere patti di trasferimento patrimoniale”. Qui, ovviamente, è lo stesso ufficiale del-
lo stato civile a curare i successivi necessari adempimenti. Anche in questo caso, l’ac-
cordo produce gli stessi effetti del corrispondente provvedimento giudiziale.
La separazione personale, come dianzi accennato, lascia sussistere – sia pure eroso
nei suoi contenuti – il vincolo coniugale. Per riconciliazione si intende l’accordo con cui i
coniugi fanno cessare gli effetti della separazione, non essendo richiesto, a tal fine, l’in-
tervento giudiziale. Non solo, infatti, è sufficiente una dichiarazione espressa 17, ma il me-
desimo risultato è conseguibile, addirittura, tacitamente con un comportamento non equi-
voco che sia incompatibile con lo stato di separazione, in quanto attestante, appunto, il
ripristino della comunione di vita (art. 1571) 18.
La riconciliazione vale a privare di rilevanza quanto verificatosi in precedenza, po-
tendo la separazione essere nuovamente pronunciata solo per fatti e comportamenti in-
tervenuti successivamente ad essa (art. 1572). Interrompe, inoltre, il decorso del periodo
di separazione richiesto per il divorzio (ai cui fini, occorrerà, quindi, una nuova procedu-
ra di separazione ed il decorso, da essa, del periodo di tempo richiesto).

16
In effetti, dopo un intervento orientato diversamente, il Ministero dell’Interno (al rispetto delle cui in-
dicazioni sono tenuti gli ufficiali dello stato civile), con circolare n. 6/15 del 24.4.2015, ha disposto che l’ac-
cordo può contenere la previsione – insindacabile da parte dell’ufficiale dello stato civile – di un assegno (di
mantenimento o di divorzio), nonché, in sede di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, una
sua diversa quantificazione o attribuzione ex novo, solo restando esclusa, quindi, la relativa liquidazione una
tantum (ed è da ritenere, in genere, ogni attribuzione consentita in sede di separazione consensuale e di di-
vorzio su domanda congiunta). Una simile prospettiva ha trovato conferma da parte di Cons. Stato, sez. III,
27-10-2016, n. 4478, in chiave di “valorizzazione dell’autonomia privata anche nella fase della crisi matrimo-
niale” (e una volta reputata, nel vigente assetto legislativo, comunque complessivamente a sufficienza salva-
guardata la posizione del “coniuge economicamente ‘più debole’”).
17
Ai sensi dell’art. 631 D.P.R. 3.11.2000, n. 396, la dichiarazione in questione è iscritta nell’archivio infor-
matico del comune, mentre l’art. 69, lett. f, ne dispone l’annotazione nell’atto di matrimonio. Tale forma di
pubblicità è stata ritenuta da Cass. 5-12-2003, n. 18619, necessaria, al fine di rendere opponibile ai terzi il ri-
pristino, in dipendenza della riconciliazione, del regime di comunione legale, venuto meno in conseguenza
della separazione (V, 2.12).
18
Cass. 12-1-2012, n. 334, sottolinea che “la dichiarazione espressa di riconciliazione dei coniugi separa-
ti”, considerata quale “convenzione di diritto familiare, alla quale sono applicabili i principi generali in tema
di formazione del consenso”, ha efficacia riconciliativa autonoma rispetto al comportamento delle parti” (a
nulla rilevando, quindi, che, per qualsiasi motivo, “l’effettiva ripresa della convivenza non sia seguita”). Ai fi-
ni della riconciliazione “per fatti univocamente incompatibili con la separazione”, l’accento viene posto sulla
“concretezza degli atti, dei gesti e dei comportamenti posti in essere dai coniugi, valutati nella loro effettiva
capacità dimostrativa della disponibilità alla ripresa e alla costituzione di una rinnovata comunione”, non essen-
do “sufficiente una mera ripresa della coabitazione, di carattere temporaneo ed occasionale” (Cass. 24-12-2013,
n. 28655). Nel giudizio di separazione, l’accertamento dell’intervenuta riconciliazione “può avvenire anche
d’ufficio da parte del giudice”, a differenza che nel procedimento di divorzio, in cui la “interruzione della
separazione deve essere eccepita dal convenuto” (Cass. 9-6-2015, n. 11885).
488 PARTE V – FAMIGLIA

3. Effetti della separazione personale. – Come accennato, la disciplina vigente si


presenta fondata su una articolazione della crisi coniugale tra separazione e divorzio, alla
luce della quale la separazione personale non può non ritenersi conservare, nella sua tran-
sitorietà, una propria autonomia funzionale rispetto al divorzio: sembra contraddittoria,
quindi, ogni assimilazione, in via interpretativa, delle relative conseguenze. Non può,
cioè, per coerenza col sistema legislativo attuale, svuotarsi di ogni contenuto la persisten-
za – a seguito della separazione a differenza che del divorzio – del vincolo coniugale.
La separazione determina, con la cessazione della convivenza, una modificazione del
rapporto coniugale, soprattutto con riguardo ai rapporti personali. Contro la diffusa ten-
denza a considerare, in dipendenza di essa, totalmente estinti i doveri di natura persona-
le, è da ritenere che permanga – in quel periodo che l’ordinamento assume come neces-
saria fase di riflessione – tra i coniugi un rapporto solidaristico, destinato a cessare solo
col divorzio (ed il conseguente riacquisto dello stato libero), i cui riflessi sul piano patri-
moniale sono espressione di un rapporto personale ancora rilevante, alla luce del quale
doverosa si presenta l’assistenza morale, oltre che quella materiale, ed operante un pecu-
liare dovere di rispetto reciproco 19.
Sicuramente coerenti con la situazione di cessazione della convivenza in cui si risolve
la separazione sono, sul piano personale, il venir meno della presunzione di concepimento
durante il matrimonio (art. 2322), nonché l’esclusione della possibilità di adozione, ai
sensi dell’art. 61 L. 4.5.1983, n. 184; su quello patrimoniale, lo scioglimento della comu-
nione legale (art. 1911).
La separazione, a conferma della sopravvivenza del rapporto coniugale, non priva la
moglie del diritto all’uso del cognome del marito, salvo divieto giudiziale, quando tale
uso sia a lui gravemente pregiudizievole. Il giudice può autorizzare, nelle stesse condizio-
ni, la moglie a non farne uso (da ritenere, quindi, per lei, in linea di principio, doveroso)
(art. 156 bis).
Se con la separazione, venendo meno la convivenza, si ritiene cessare il dovere (reci-
proco) di contribuzione, sulle sue ceneri, in considerazione del vincolo solidaristico ed
assistenziale che continua a legare i coniugi, sorge il dovere di sopperire alle esigenze del
coniuge economicamente meno provveduto. Al coniuge cui non sia addebitabile la sepa-
razione spetta, così, un assegno di mantenimento, qualora non abbia adeguati reddi-
ti propri, dovendosi determinare l’entità della somministrazione in rapporto alle risorse

19
Se Cass. 7-12-1994, n. 10512, anche per argomentare l’inammissibilità del mutamento del titolo della sepa-
razione, sostiene che “non sussistono più a carico dei coniugi separati gli obblighi di carattere morale derivan-
ti dal matrimonio”, la Corte costituzionale ha chiarito che la separazione costituisce “in conformità alla sua
natura … una semplice fase del rapporto coniugale” (14-11-2000, n. 491) e che “la cessazione della convivenza
non comporta immediatamente ed automaticamente il totale venir meno della comunione materiale e spirituale
di vita e la separazione legale introduce una fase di sospensione della convivenza – con la permanenza di diritti e
di obblighi – e di riflessione sulla possibilità di ripristinarla”, in cui sono destinati a persistere “il contributo per-
sonale e le esigenze di solidarietà” (24-1-1991, n. 23). Peraltro, con un giudizio di valore che sembra non del
tutto aderente al persistentemente vigente complessivo quadro normativo dell’istituto, considerano “oggi
ampiamente superata” una simile impostazione, ritenendo rappresentare la separazione “il momento della
sostanziale esautorazione dei principali effetti del vincolo matrimoniale”, Cass. 4-4-2014, n. 7981 e 20-8-2014,
n. 18078 (le quali, di conseguenza, concludono nel senso che la sospensione della prescrizione, di cui all’art.
2941, n. 1, non si applica ai coniugi legalmente separati, comunque contro l’avviso, ancora, di Cass. 1-4-2014,
n. 7533, che si richiama all’insegnamento, in materia, di Corte cost. 19-2-1976, n. 35).
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 489

economiche dell’altro coniuge (art. 1561-2). Per la valutazione della disparità economica
tra i due coniugi, occorre tenere presente la situazione patrimoniale complessiva di cia-
scuno, da ritenere comprensiva non solo dei redditi ma anche dei cespiti (soprattutto se
facilmente monetizzabili) e di ogni altra utilità a disposizione (non essendo da trascurare,
in particolare, le concrete attitudini e potenzialità in campo lavorativo).
L’obiettivo è quello di consentire al coniuge economicamente più debole la conserva-
zione di un tenore di vita analogo a quello goduto in precedenza 20: la persistente rilevan-
za del vincolo coniugale si fa avvertire in pieno – oltre che nella conservazione dei diritti
successori (su cui v. più oltre) – nella tendenza ad ammettere il coniuge più debole a par-
tecipare all’evoluzione positiva, successivamente alla separazione, della situazione eco-
nomica dell’altro 21. L’ammessa rivedibilità del contributo riconosciuto in sede di separa-
zione (art. 1567) assicura il perseguimento di un simile obiettivo (proteggendo, peraltro,

20
Cass. 26-11-1996, n. 10465 (v. pure, ad es., 7-2-2006, n. 2626 e 4-4-2002, n. 4800), ha precisato, anzi,
accentuando la valenza partecipativa di tale prestazione, che il tenore di vita rilevante quale parametro di rife-
rimento dell’assegno di mantenimento “è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi, non già
quello tollerato o subito o anche concordato con l’adozione di particolari criteri di suddivisione delle spese
familiari e di disposizione dei redditi personali residui”: quello consono, insomma, all’effettiva “posizione
economica” del coniuge più abbiente (Cass. 30-3-2009, n. 7614 e 18-8-1994, n. 7437). Che, ai fini dell’attribu-
zione dell’assegno al coniuge separato, criterio decisivo sia quello del mantenimento del “tenore di vita analo-
go a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi”, ha ribadito anche di recente Cass. 16-5-2017,
n. 12196, sottolineandone, peraltro, la “sostanziale diversità” rispetto all’assegno divorzile (in quanto esso, a
differenza di quest’ultimo, “presuppone la permanenza del vincolo coniugale”: e v., infatti, nello sviluppo
della stessa – invero per i suoi protagonisti nota – vicenda, la negazione del diritto all’assegno di divorzio, da
parte di App. Milano 16-11-2017, confermata da Cass. 30-8-2019, n. 21926, una volta accertata “un’attuale
condizione non solo di autosufficienza, ma di benessere economico, tale da consentire un tenore di vita eleva-
tissimo”). Circa la delicata questione concernente la portata degli oneri di attivazione professionale gravanti
sul coniuge, al fine di sopperire alle proprie esigenze economiche dopo la separazione, v., da ultimo, Cass.
4-3-2021, n. 5932. Pure in relazione all’assegno di mantenimento, si tende, come con riguardo a quello di di-
vorzio (V, 4.5), a negarne l’attribuzione, nel caso in cui, dopo il matrimonio, non si sia “instaurata alcuna co-
munione di vita” (Cass. 10-1-2018, n. 402 e 26-3-2015, n. 6164). Circa l’incidenza della convivenza intrapresa
dal coniuge sul suo diritto all’assegno di mantenimento, Cass. 27-6-2018, n. 16982, ha concluso che tale dirit-
to può “essere negato o eliminato se il coniuge debitore dimostri che l’altro coniuge abbia instaurato una
convivenza more uxorio con altra persona che assuma i caratteri della stabilità, continuatività ed effettiva pro-
gettualità di vita” (salvo che “il coniuge richiedente l’assegno” dimostri “che quella convivenza non influisca
in melius sulle proprie condizioni economiche”). Peraltro, Cass. 19-12-2018, n. 32871, ha ritenuto che “anche
in caso di separazione legale dei coniugi, e di formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera
del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, si opera una rottura tra il preesistente tenore e model-
lo di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza familiare ed il nuovo assetto fattuale avente rilievo
costituzionale”, “con il conseguente riflesso incisivo dello stesso diritto alla contribuzione periodica, facendo-
la venire definitivamente meno”. La persistenza del diritto all’assegno di mantenimento è stata negata anche
in assenza di una “stabile convivenza” con altri, ove si sia dato vita, comunque, ad una relazione di vita quali-
ficabile quale “famiglia di fatto” (integrando “il legame una comunione di vita interpersonale”: Trib. Como
12-4-2018). Simili esiti giurisprudenziali, indubbiamente, dovranno essere comunque verificati – pur tenendo
presente la diversità delle situazioni conseguenti alla separazione e al divorzio, nonché della natura e pre-
supposti delle contribuzioni radicate nelle situazioni stesse – alla luce dell’atteggiamento che Cass., sez.
un., 5-11-2021, n. 32198 ha assunto in ordine alla questione dell’incidenza della convivenza da parte dell’ex
coniuge sul suo diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio (V, 3.5).
21
È in tale prospettiva che Cass. 22-4-1998, n. 4094, ha sottolineato come, durante la separazione, non
venga “meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio e che comporta la condivisio-
ne delle reciproche fortune nel corso della convivenza”, con conseguente possibile modifica dell’assegno in
questione in caso di “notevole incremento dei redditi di uno dei coniugi, verificatosi successivamente alla se-
parazione”.
490 PARTE V – FAMIGLIA

anche il coniuge obbligato, tanto nel caso di modificazione peggiorativa delle sue condi-
zioni economiche, quanto in quello di un eventuale miglioramento delle condizioni eco-
nomiche dell’altro).
All’assegno di mantenimento viene, poi, applicata, in via analogica, la disposizione
dettata per l’assegno di divorzio (art. 57 L. 1.12.1970, n. 898), relativa all’adeguamento
monetario automatico in dipendenza della svalutazione. È da ricordare come l’art. 1564-6
preveda pure incisive garanzie per la corresponsione dei contributi dovuti in conseguen-
za della separazione (in particolare, il sequestro dei beni dell’obbligato e l’ordine giudizia-
le di pagamento rivolto a terzi, a loro volta, suoi debitori) 22. Inoltre, l’art. 570 bis c.p.
sanziona penalmente, in quanto tale, la violazione degli “obblighi di natura economica in
materia di separazione dei coniugi”.
Il coniuge cui sia stata addebitata la separazione non gode, invece, del diritto all’as-
segno di mantenimento, potendo vedersi attribuire solo un più esiguo assegno alimenta-
re, se versi (o venga successivamente a versare) in condizione di bisogno, secondo la ge-
nerale disciplina dettata, per gli alimenti, dagli artt. 433 ss. (art. 1563) 23.
Si tratta di una conseguenza di notevole rilevanza della dichiarazione di addebitabili-
tà, in considerazione della diversità sia delle condizioni che consentono, rispettivamente,
l’attribuzione dell’assegno di mantenimento e di quello alimentare, sia della relativa entità.
Evidente è lo stimolo alla conflittualità che ne deriva, accresciuta dai gravi riflessi che l’ad-
debito ha, per il coniuge nei cui confronti viene pronunciato, sotto il profilo successorio.
Mentre, infatti, il coniuge cui non è addebitata la separazione – secondo una scelta del
legislatore sicuramente significativa sul piano della complessiva configurazione dell’isti-
tuto – continua a godere in pieno dei diritti successori che gli derivano dalla qualità, ap-
punto, di coniuge (artt. 5481 e 5851), quello al quale la separazione sia stata addebitata ha
diritto solo ad un assegno vitalizio, ove al momento della morte dell’altro coniuge goda
degli alimenti a suo carico. Tale assegno (da commisurare alle sostanze ereditarie ed alla
qualità e al numero degli eredi legittimi) non può, inoltre, essere di ammontare superiore
a quello alimentare goduto in precedenza (artt. 5482 e 5852).

22
L’art. 1414-416 della L. 28.12.2015, n. 208 (per la cui attuazione è stato emanato il D.M. 15.12.2016), ha
previsto, in linea con talune esperienze straniere, “in via sperimentale” e con una dotazione, invero, esigua,
un “Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno”, destinato ad aiutare “il coniuge in stato di
bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli mag-
giorenni portatori di handicap grave, conviventi, qualora non abbia ricevuto l’assegno determinato ai sensi
dell’articolo 156 del codice civile per inadempienza del coniuge che vi era tenuto” (ad esito di un’apposita
procedura giudiziale e salvo rivalsa “sul coniuge inadempiente per il recupero delle risorse erogate”). In pro-
posito, a prescindere dall’erroneità del riferimento all’art. 156 per le esigenze di mantenimento dei figli, sicu-
ramente criticabile risulta l’essersi trascurata la situazione, nella pratica più ricorrente e grave, conseguente al-
l’omesso pagamento, da parte dell’ex coniuge tenutovi, dell’assegno di divorzio.
23
Si ricordi come la giurisprudenza, da qualche tempo, tenda a non esaurire, in sede di separazione per-
sonale, sul piano della pronuncia di addebito (e dei relativi riflessi economici) le conseguenze della violazione
dei doveri coniugali, eventualmente sanzionando il comportamento del coniuge responsabile anche con l’ap-
plicazione del generale strumento risarcitorio (in aggiunta all’addebito e, addirittura, indipendentemente da
esso: V, 2.9). Precisa, in proposito, Cass. 8-9-2014, n. 18870, che “le domande di risarcimento dei danni e di
separazione personale con addebito sono soggette a riti diversi e non sono cumulabili nello stesso giudizio”. Si
ritiene che anche al coniuge separato al quale sia stata addebitata la separazione spetti la pensione di reversibilità
(“indipendentemente che versi o meno in stato di bisogno” e dall’attribuzione di un assegno: Cass. 2-2-2018, n.
2606, in linea, ad es., con Cass. 12-5-2015, n. 9649).
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 491

4. Divorzio. – Difficile è stato, nel nostro ordinamento, il passaggio, con la L. 1.12.1970,


n. 898, dal regime di indissolubilità del matrimonio a quello di dissolubilità: l’esigenza di
rendere meno traumatico possibile un simile passaggio ha finito col condizionare molte
scelte in proposito, addirittura sconsigliando lo stesso impiego del termine “divorzio”
nella relativa legislazione, non a caso lasciata fuori del codice civile, nell’iniziale incertez-
za, oltretutto, della sua sorte (chiarita dal referendum del 12.5.1974, oltre che da nume-
rosi interventi della Corte costituzionale).
Il matrimonio, secondo il vigente art. 149, si scioglie con la morte di uno dei coniugi e
negli altri casi previsti dalla legge (nel testo originario, invece, era presa in considerazio-
ne solo la morte). Alla “disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” è intitolata,
appunto, la legge ricordata, la quale distingue la pronuncia di scioglimento del matrimo-
nio civile (art. 1) da quella di cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del
matrimonio concordatario (art. 2), per chiarire che il provvedimento giudiziale incide qui
non sull’atto, ma sugli effetti del matrimonio (cioè sul rapporto). Ciò soprattutto, in con-
siderazione della peculiarità del nostro sistema matrimoniale (V, 2.2), per fugare ogni
dubbio di legittimità costituzionale in ordine all’intervento statale in materia, in presenza
delle competenze riconosciute dalla disciplina concordataria (garantita dall’art. 7 Cost.)
alla Chiesa in ordine all’atto matrimoniale ed all’accertamento della relativa validità 24.
Il modello di divorzio accolto nel nostro ordinamento ed il suo fondamento si colgo-
no nell’essere la relativa pronuncia conseguente all’accertamento “che la comunione spi-
rituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita” (artt. 1 e 2). Un
tale modello, che vede il divorzio quale presa d’atto dell’irreversibilità della crisi del rap-
porto coniugale e rimedio alla sua definitiva frattura (c.d. divorzio-rimedio), si contrap-
pone a quello tendente a configurarlo quale sanzione per la violazione dei doveri matri-
moniali (c.d. divorzio-sanzione). Proprio una simile concezione del divorzio – ovunque
ormai trionfante, in quanto legata alla valorizzazione, nell’esperienza familiare, dell’effet-
tività della comunione di vita 25 – ha consentito, del resto, la conclusione nel senso della
legittimità dell’istituto, pur in presenza della garanzia costituzionale della famiglia e del
matrimonio, di cui all’art. 29 Cost. 26.

24
La Corte costituzionale (5-4-1971, n. 169 e 11-12-1973, n. 176), onde escludere ogni violazione degli
accordi con la Chiesa circa la disciplina della forma matrimoniale concordataria, ha evidenziato che “lo Stato
ha assunto unicamente l’impegno di riconoscere al matrimonio contratto secondo il diritto canonico, e rego-
larmente trascritto, gli stessi effetti civili del matrimonio celebrato davanti all’ufficiale dello stato civile: libero
restando, peraltro, di regolare tali effetti, anche quanto alla loro permanenza nel tempo ed ai limiti che que-
sta, secondo il suo proprio diritto, può incontrare in casi determinati”.
25
La prospettiva del divorzio quale rimedio alla definitiva frattura coniugale è evocata anche dalla termi-
nologia, al riguardo, altrove impiegata (marital breakdown, Zerrüttungsprinzip). Sempre più diffusa nei diversi
ordinamenti, comunque, è la tendenza a valorizzare l’accordo dei coniugi ai fini della constatazione del caratte-
re irreversibile della crisi matrimoniale, con la conseguenza di accreditare – in vista dell’esigenza di rendere
rapide le procedure dirette alla dissoluzione del vincolo coniugale – modelli di vero e proprio divorzio consen-
suale. Nel nostro ordinamento, anche alla luce delle recenti riforme dell’istituto (su cui v. oltre), l’accordo dei
coniugi risulta destinato ad operare – fermo restando il regime delle relative cause – solo sui suoi aspetti pro-
cedurali (peraltro, fino al punto di autorizzare ad escludere, in presenza di talune condizioni, lo stesso carat-
tere giurisdizionale della procedura).
26
Dato che, secondo quanto sottolinea Corte cost. 22-7-1976, n. 181, “la famiglia come società natura-
le fondata sul matrimonio è una realtà sociale e giuridica che presuppone, richiede e comporta che tra i
soggetti che ne costituiscono il nucleo essenziale, e cioè tra i coniugi, esista e permanga la comunione spiri-
492 PARTE V – FAMIGLIA

La pronuncia di divorzio – una volta esperito il tentativo di conciliazione 27 – richiede


la necessaria ricorrenza di una delle cause elencate (tassativamente) nell’art. 3 (in modo,
invero, alquanto asistematico) 28. Su di esse ha inciso la riforma del divorzio operata con
la L. 6.3.1987, n. 74, la quale, in particolare, ha abbreviato il periodo di separazione per-
sonale, il cui decorso rappresenta, nella più gran parte dei casi, la causa su cui si basa,
appunto, la pronuncia (valendo, evidentemente, la persistenza della separazione, al di là
del tempo reputato dall’ordinamento necessario per un’adeguata riflessione delle parti in
ordine alla sorte del proprio rapporto matrimoniale, ad attestare l’irreversibilità della re-
lativa frattura). Il periodo di separazione è stato, poi, ulteriormente e drasticamente ab-
breviato – oltre che differenziato – dall’art. 1 L. 6.5.2015, n. 55.
La separazione legale rappresenta, dunque, la più diffusa causa di divorzio (la separa-
zione di fatto rileva solo se iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970). Essa de-
ve essersi protratta ininterrottamente 29 per almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione
dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale 30,
ovvero per sei mesi nel caso di separazione consensuale. Il decorso del termine finisce col
coincidere, quindi, con lo svolgimento della procedura di separazione, la quale deve risul-
tare anche conclusa prima della domanda di divorzio (col passaggio in giudicato della rela-
tiva sentenza o con la omologazione della separazione consensuale) (art. 3, n. 2, lett. b) 31.

tuale e materiale”, coerentemente Cass., sez. un., 26-4-1974, n. 1194, ha concluso che il riconoscimento e
la protezione della famiglia “restano condizionati alla persistenza del nucleo familiare come realtà natural-
mente operante, venuta meno la quale, la tutela costituzionale cessa di operare”.
27
Peraltro, l’esperimento di un tale tentativo, già reputato di dubbia configurabilità in caso di domanda
congiunta di divorzio (in senso senz’altro negativo, Cass. 2-5-2018, n. 10463), risulta non più previsto nelle nuo-
ve procedure stragiudiziali (circa le quali, v. infra). Si tenga presente che l’art. 123, lett. hh, della L. 206/2021, nel
prospettare l’introduzione di “un unico rito per i procedimenti su domanda congiunta di separazione personale
dei coniugi, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio modellato sul procedimento previsto
dall’art. 711 c.p.c.”, contempla “la possibilità che l’udienza per il tentativo di conciliazione delle parti si svolga
con modalità di scambio di note scritte e che le parti possano a tal fine rilasciare una dichiarazione contenente la
volontà di non volersi riconciliare”.
28
La giurisprudenza ha persistentemente sostenuto il carattere autonomo dell’accertamento concernente la
irreversibilità della crisi del rapporto coniugale (dell’accertamento, cioè, del presupposto del divorzio, quale
risulta configurato ai sensi degli artt. 1 e 2: ad es., Cass. 3-8-1990, n. 7799 e 6-11-1986, n. 6485), ma ha finito,
poi, col privare un simile accertamento di qualsiasi contenuto sostanziale, ritenendolo implicitamente provato
dalla durata medesima della separazione (causa del divorzio, secondo l’art. 3, n. 2, lett. b) o dallo stesso com-
portamento processuale delle parti (come, in particolare, il fallimento del tentativo di conciliazione).
29
Non deve essere, quindi, intervenuta riconciliazione (V, 3.3) tra i coniugi (v., ad es., Cass. 14-9-2017, n.
21345). Si prevede che l’eventuale interruzione della separazione debba essere eccepita dalla parte convenuta.
30
L’art. 124 del D.L. 132/2014 (conv. nella L. 162/2014) ha integrato tale disposizione, facendo riferimen-
to, come termine iniziale, in alternativa, “dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito
di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione con-
cluso innanzi all’ufficiale di stato civile”.
31
La necessità del passaggio in giudicato del provvedimento di separazione potrebbe comportare – soprat-
tutto in considerazione della drastica abbreviazione del periodo di tempo richiesto – un allungamento dei
tempi necessari per il divorzio, soprattutto nel caso in cui, nell’ambito della procedura di separazione (giudi-
ziale), vi sia controversia circa l’addebitabilità. Per evitare un simile inconveniente, la giurisprudenza aveva
sancito, da una parte, l’ammissibilità di una c.d. sentenza parziale di separazione (una volta passata in giudica-
to, idonea a rendere proponibile la domanda di divorzio), con prosecuzione del processo solo sull’eventuale
richiesta di addebito (Cass., sez. un., 3-12-2001, n. 15248); dall’altra, il passaggio in giudicato del capo sulla
separazione, in caso di “impugnazione proposta con esclusivo riferimento all’addebito contro la sentenza che
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 493

Inoltre, il divorzio può essere chiesto da uno dei coniugi quando l’altro sia stato con-
dannato, dopo la celebrazione del matrimonio, con sentenza passata in giudicato (anche
per fatti precedenti), all’ergastolo o a pena superiore a quindici anni, ovvero a qualsiasi
pena detentiva per incesto, per reati sessuali, per reati connessi alla prostituzione, per
reati gravissimi contro la persona del figlio o dello stesso coniuge, per reati contro l’as-
sistenza familiare (art. 3, n. 1, lett. a, b, c, d). In tutte queste ipotesi, la domanda non è
proponibile in caso di concorso nel reato e ove la convivenza coniugale sia ripresa. Il di-
vorzio può essere chiesto, poi, anche se l’altro coniuge è stato assolto per infermità di
mente da taluni dei delitti dianzi accennati (art. 3, n. 2, lett. a), nonché nel caso di estin-
zione del reato per gli stessi delitti (art. 3, n. 2, lett. c) e di procedimento per incesto per
il quale non vi sia stata condanna per carenza del “pubblico scandalo” (art. 3, n. 2, lett. d).
Altre cause di divorzio sono rappresentate: dall’avere l’altro coniuge, cittadino stra-
niero, ottenuto all’estero l’annullamento del matrimonio o il divorzio, ovvero contratto al-
l’estero nuovo matrimonio (art. 3, n. 2, lett. e); dalla mancata consumazione del matrimo-
nio (art. 3, n. 2, lett. f ) 32; dall’essere passata in giudicato sentenza di rettificazione di at-
tribuzione di sesso, a norma della L. 14.4.1982, n. 164 (art. 3, n. 2, lett. g: IV, 2.11). Con
tale ultima previsione, si è inteso riportare nell’alveo della disciplina generale del divor-
zio la previsione dell’art. 4 della legge citata, per cui “la sentenza di rettificazione di ses-
so … provoca lo scioglimento del matrimonio” (lo “determina”, secondo la terminologia
impiegata dall’art. 31 D.Lgs. 1.9.2011, n. 150) 33.

abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato l’addebitabilità” (Cass., sez. un., 4-
12-2001, n. 15279). Indirizzo confermato da Cass. 1-8-2008, n. 21001. Comunque, l’art. 709 bis c.p.c., introdot-
to dalla L. 14.5.2005, n. 80, ha previsto espressamente la possibilità di una sentenza non definitiva di separa-
zione (suscettibile di passare in giudicato, ai fini del divorzio), con continuazione del giudizio “per la richiesta
di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche”. Per evitare – diffusamente reputati
inutili – tempi di attesa, non si è mancato di ipotizzare, almeno in taluni casi (ricorso congiunto in assenza di
figli minori o equiparati), un divorzio immediato (senza, cioè, necessità di un previo provvedimento di separa-
zione personale): il relativo D.D.L. n. 1504 bis della XVII legislatura, però, non ha avuto seguito. L’art. 123,
lett. bb, L. 206/2021 contempla la possibilità di cumulare in uno stesso processo la domanda di separazione e
quella di divorzio, precisando, comunque, che “quest’ultima sia procedibile solo all’esito del passaggio in
giudicato della sentenza parziale che abbia pronunciato la separazione e fermo il rispetto del termine previsto
dall’articolo 3, della legge 1° dicembre 1970, n. 898”.
32
L’ipotesi fu introdotta per sanare la sperequazione tra cittadini, conseguente all’applicabilità, nell’ori-
ginario regime concordatario, dello scioglimento – a seguito di dispensa ecclesiastica resa efficace nell’or-
dinamento civile – del matrimonio rato e non consumato solo per coloro che avessero contratto il matrimo-
nio nella forma concordataria. La relativa disciplina, dichiarata illegittima da Corte cost. 2-2-1982, n. 18,
non risulta ripresa dall’accordo di revisione del Concordato del 1984. Cass. 10-5-2005, n. 9801, alla luce
dell’ammessa sanzionabilità con il risarcimento del danno delle violazioni dei doveri matrimoniali (V, 2.9),
in caso di divorzio per inconsumazione ha ritenuto possibile la condanna del coniuge (marito), il quale ab-
bia in mala fede taciuto prima del matrimonio la sua incapacità coeundi, al risarcimento del danno subito
dall’altro coniuge, “per lesione del diritto fondamentale a realizzarsi pienamente nella famiglia e nella so-
cietà come donna, come moglie ed eventualmente come madre”.
33
Cass. 6-6-2013, n. 14329, ha ritenuto – seguendo, peraltro, una tesi non da tutti condivisa – ricollegabile
a tale previsione (anche quale risultante a seguito dell’art. 31 D.Lgs. 150/2011) l’“operatività automatica” del-
lo scioglimento del matrimonio in conseguenza del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione: di
qui il sospetto di illegittimità costituzionale, corroborato dall’esame della giurisprudenza costituzionale di
altri paesi e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo, date le “conseguenze irreparabili sulla conser-
vazione del vincolo anche nei confronti dell’altro coniuge”. Corte cost. 11-6-2014, n. 170, muovendo dall’im-
postazione di Corte cost. 138/2010 (V, 1.4), ha concluso – condividendo la premessa dei giudici rimettenti,
rappresentata dalla conseguente automaticità dello scioglimento del matrimonio – nel senso della illegittimità
494 PARTE V – FAMIGLIA

Notevoli sono state, pure in sede di riforma del 1987, le remore nei confronti della
valorizzazione – secondo una tendenza indubbiamente sempre più diffusa altrove – del-
l’elemento consensuale in relazione allo scioglimento del matrimonio, temendosi uno
snaturamento dell’esistente (dianzi accennato) modello di divorzio. Quale soluzione di
compromesso, è stata consentita la proposizione di una domanda congiunta di divor-
zio, “che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti
economici” (art. 416) 34: da essa non viene fatta dipendere un’abbreviazione del necessa-
rio periodo di separazione, ma una mera semplificazione della procedura di divorzio.
Non si è, così, introdotto un divorzio consensuale, dato che “i presupposti di legge”, la
cui ricorrenza il tribunale deve verificare (non risultando, cioè, il giudice vincolato dal-
l’accordo delle parti, a differenza che nella separazione consensuale), sono le cause pre-
viste in generale dall’art. 3. Si è inteso, piuttosto, offrire una via più rapida della procedu-
ra ordinaria, quando l’infruttuoso trascorrere del periodo di separazione convinca della
irreversibilità della frattura coniugale, indirizzando le parti nel senso di una gestione con-
cordata delle conseguenze della – appunto concordemente perseguita – dissoluzione del

della disciplina in questione, data la mancanza, nel caso in cui entrambi i coniugi richiedano “di mantenere in
vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato”, di un’“altra forma di convivenza registrata, che tuteli
adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia”: “compito del legislatore” essendo, allora, quello, “di intro-
durre” – “con la massima sollecitudine” – una “forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai
due coniugi di passare da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione di assoluta indetermi-
natezza”. Così, Cass. 21-4-2015, n. 8097, pur ritenendo che le conclusioni della Corte costituzionale siano di
ostacolo alla “estensione del modello di unione matrimoniale alle unioni omoaffettive”, ha ammesso i coniugi
ad una provvisoria “conservazione dello statuto dei diritti e dei doveri propri del modello matrimoniale”, fino
all’intervento del legislatore con una “nuova regolamentazione”, atta a “colmare il deficit di tutela” esistente
(e v. anche Trib. Roma 3-5-2016). L’art. 127 L. 76/2016, nel contesto della disciplina delle “unioni civili” (e in
attuazione delle indicazioni di Corte cost. 170/2014), prevede ora, nel caso in cui i coniugi abbiano manifesta-
to la volontà di non far venir meno il loro rapporto, “l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone
dello stesso sesso” (e si tenga presente come Corte eur. dir. uomo 14-12-2017 abbia reputato – implicitamen-
te legittimando il meccanismo accennato – la nuova disciplina delle unioni civili tale da “offrire più o meno la
stessa protezione rispetto al matrimonio con riguardo alle esigenze fondamentali di una coppia in stabile ed
impegnativa relazione”).
34
L’art. 4, disciplinante la procedura di divorzio, è stato ulteriormente modificato dalla L. 80/2005, do-
po la sua rilevante “semplificazione”, dichiaratamente perseguita – come si legge nella relativa relazione – nel
contesto della riforma del 1987. Tra le disposizioni acceleratorie più significative, è da annoverare quella
dell’art. 412 (secondo la nuova numerazione dei commi conseguente alla novellazione dell’art. 4), per cui, nel
caso che il processo debba continuare (esclusivamente) per la definizione dell’assegno (ma anche, in genere,
con riguardo alle questioni concernenti i rapporti, patrimoniali e non, con i figli, alla luce dell’interpretazione
estensiva accreditata già da Cass. 18-4-1991, n. 4193 e Cass. 20-2-1996, n. 1314), il tribunale emette sentenza
non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio (contro cui è am-
messo solo appello immediato), suscettibile di passare autonomamente in giudicato (con conseguente appli-
cazione del regime previsto dall’art. 10). Risolvendo un contrasto di giurisprudenza sul punto, Cass., sez. un.,
24-6-2022, n. 20494 – preso atto che, “pur dopo il decesso del coniuge in corso di causa, un interesse di fatto
alla prosecuzione del giudizio possa esistere in capo al coniuge aspirante all’assegno divorzile a vari fini,
estranei di per sé al processo stesso: per conseguire l’assegno periodico a carico dell’eredità ai sensi dell’art. 9-
bis l. n. 898 del 1970; per costituirsi il presupposto ai fini dell’attribuzione della pensione di reversibilità ex
art. 9 l. 898 del 1970; oppure quale premessa per la quota di indennità di fine rapporto dell’altro coniuge ex
art. 12-bis l. 898 del 1970” (infra, V, 3.5) – ha concluso che “nel caso di pronunzia parziale di divorzio sullo
status, con prosecuzione del giudizio al fine dell’attribuzione dell’assegno divorzile, il venir meno di un co-
niuge nel corso del medesimo non ne comporta la declaratoria di improseguibilità, ma il giudizio può prose-
guire nei confronti degli eredi, per giungere all’accertamento della debenza dell’assegno dovuto sino al mo-
mento del decesso” (decorrendo “il diritto a percepire l’assegno … dal passaggio in giudicato della sentenza
di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”).
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 495

matrimonio, quale soluzione atta a meglio evitare presenti e future conflittualità (anche
nell’interesse dei figli).
Il procedimento di divorzio su domanda congiunta si svolge con rito abbreviato
(“in camera di consiglio”): il tribunale, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presup-
posti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni concordate all’interesse dei figli,
decide con sentenza (con la quale vengono disposti, sulla base degli accordi, i provvedi-
menti concernenti i coniugi ed i loro rapporti con i figli). Ove, peraltro, il tribunale rav-
visi che le condizioni concordate relativamente ai figli siano in contrasto con i loro inte-
ressi, il procedimento prosegue con la procedura ordinaria 35.
Pure sul solo profilo procedurale (e non, quindi, sulla necessaria sussistenza dei pre-
supposti del divorzio) 36 ha inciso – con l’introduzione della procedura di convenzione
di negoziazione assistita (art. 6) e di quella di accordo innanzi all’ufficiale di
stato civile (art. 12), limitatamente alla ipotesi di cui all’art. 31, n. 2, lett. b – l’inter-
vento operato con il D.L. 132/2014 (conv. con la L. 162/2014), già preso in considera-
zione, in quanto comune alla materia della separazione personale (per cui v. il relativo
esame supra, V, 3.2).

5. Effetti del divorzio. – Il tribunale, con l’intervento obbligatorio del pubblico mi-
nistero, pronuncia (in ogni caso) con sentenza lo scioglimento del matrimonio, ordinando
la relativa annotazione all’ufficiale dello stato civile competente (art. 51). Il divorzio, in-
fatti, ha “efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell’annotazione della sentenza” (art.
102) 37. Da tale momento, riacquistato lo stato libero, ciascuno degli ex coniugi può con-
trarre nuove nozze.
In conseguenza del divorzio, la donna perde il cognome del marito (aggiunto al pro-
prio in dipendenza del matrimonio) (art. 52), ma può essere autorizzata (dal tribunale nella
sentenza di divorzio) a conservarlo, ove sussista un interesse meritevole di tutela suo o
dei figli (art. 53) 38.

35
Opera una netta differenziazione della procedura di divorzio su domanda congiunta (“l’accordo sotteso
alla relativa domanda” rivestendo “natura meramente ricognitiva con riferimento ai presupposti necessari per
lo scioglimento del vincolo coniugale”), rispetto a quella di separazione consensuale, Cass. 24-7-2019, n.
19540 (in adesione all’impostazione di Cass. 10463/2018), con la conseguenza dell’esclusione della revocabili-
tà unilaterale del consenso e la possibilità, per il tribunale, di “provvedere ugualmente all’accertamento dei
presupposti per la pronuncia di divorzio”, nonché “all’esame delle condizioni concordate dai coniugi, valu-
tandone la conformità a norme inderogabili ed agli interessi dei figli”.
36
Anche se appare chiaro quanto una simile (consentita) degiurisdizionalizzazione della procedura di di-
vorzio finisca con l’assumere un significato di rilievo nel senso di una valorizzazione, anche nel nostro ordi-
namento, della tendenza (diffusa pure negli altri ordinamenti: v., ad es., in Francia, la riforma, operata con la
L. 2016-1547, in materia di “divorzio per mutuo consenso”) ad una sempre più marcata contrattualizzazione
dell’istituto.
37
Si ritiene, peraltro, che la disposizione sia da interpretare “nel senso che gli effetti personali e patrimo-
niali della sentenza si producono tra le parti al passaggio in giudicato, mentre l’annotazione attiene unicamen-
te agli effetti erga omnes della pronuncia stessa” (Cass. 4-8-1992, n. 9244): la formalità si presenta, così, neces-
saria ai fini dell’ottenimento del certificato di stato libero e della conseguente possibilità di contrarre nuove noz-
ze (ma non, ad es., agli effetti successori, facendo il passaggio in giudicato della sentenza, nei reciproci rapporti,
già “perdere alle parti la qualità di coniuge”: Cass. 9-6-1992, n. 7089).
38
Più che all’ipotesi di interesse alla conservazione del cognome maritale per esigenze di carattere profes-
sionale (assicurata già dalla disciplina generale del nome come strumento di identificazione del soggetto), si
496 PARTE V – FAMIGLIA

Per quanto concerne gli effetti patrimoniali, il legislatore è chiamato ad una diffi-
cile mediazione tra l’esigenza di tutela del coniuge più debole – il più delle volte, per i
persistenti condizionamenti economico-sociali, ancora la moglie – ed il perseguimento
dell’obiettivo, a seguito dello scioglimento del matrimonio, di un’effettiva eliminazione
del vincolo coniugale (pure, quindi, nei suoi riflessi sul piano economico). A tale ultimo
riguardo, non si può trascurare di sottolineare come alla base del riconoscimento del di-
vorzio sia proprio l’accoglimento di una istanza di libertà (cui consegue inevitabilmente
una valorizzazione dell’autoresponsabilità di ciascuno per le proprie necessità di vita nel
tempo successivo).
Anche a seguito della riforma del 1987, esplicitamente finalizzata – come si legge nel-
la relazione ad essa – alla “tutela del coniuge economicamente più debole”, ha continua-
to a sussistere, comunque, la contraddittoria convivenza di due modelli di tutela: l’uno,
fondato su istanze solidaristico-assistenziali (diffusamente evocate col richiamo ad una
pretesa solidarietà postconiugale, con contenuti, peraltro, non univocamente precisati
nelle diverse impostazioni); l’altro, invece, sul riconoscimento a ciascun coniuge di una
vera e propria aspettativa ad una compartecipazione (in vista del soddisfacimento delle
future necessità) alla complessiva situazione economica della famiglia, quale venutasi a
realizzare col contributo di ambedue i coniugi alla vita familiare 39.
Una simile contraddittorietà ha finito col condizionare, nella contorta configurazione
datagli dall’art. 56, la ricostruzione della figura dell’assegno di divorzio, quale essen-
ziale strumento finalizzato ad assicurare, appunto, la tutela del “coniuge economica-
mente più debole” in dipendenza del divorzio. In tale disposizione, il suo presupposto
viene individuato nella mancanza di mezzi adeguati 40 e nella impossibilità di procurar-
seli per ragioni oggettive (in particolare, per l’impossibilità di svolgere un’idonea atti-
vità lavorativa), essendo inoltre prescritto che si debba tenere conto, in vista del relati-
vo riconoscimento, di una serie di criteri, rispecchianti il concreto “vissuto” matrimo-
niale (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed econo-

tende a considerare rilevante il particolare interesse a vedere identificati, nei rapporti sociali, con lo stesso
cognome tutti i componenti del nucleo familiare residuo (formato dalla donna e dai figli affidatigli). L’auto-
rizzazione è modificabile per gravi motivi (art. 54). Di “ipotesi straordinaria”, che non può assecondare “il
mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento ad una relazione familiare ormai chiusa
quanto alla sua rilevanza giuridica”, parla Cass. 12-2-2020, n. 3454.
39
Col divorzio, infatti, vengono meno quelle reciproche aspettative successorie, che risultano finalizza-
te a riequilibrare, nel caso di scioglimento del matrimonio per morte, le disparità di allocazione della ric-
chezza familiare tra i coniugi: il regime delle conseguenze patrimoniali del divorzio dovrebbe, allora, al-
meno tendenzialmente, svolgere proprio una simile funzione perequativa (pure in considerazione della de-
rogabilità del regime legale di comunione, a ciò istituzionalmente finalizzato), nonché compensativa, nei
limiti del possibile, dello squilibrio tra le condizioni dei coniugi, quale venutosi a determinare, al momento
del venir meno della comunità coniugale, in dipendenza delle condivise scelte concernenti la conduzione
della vita familiare. Proprio in tale ultima prospettiva, del resto, si muovono dichiaratamente, ad es., gli
artt. 270 e 271 code civil. In proposito, v. infra i recenti significativi sviluppi in materia di contribuzioni
economiche post-matrimoniali.
40
Da intendere in una prospettiva ampia, comprensiva oltre che dei redditi, dei cespiti patrimoniali e
di ogni altra utilità disponibile. A “qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica, compreso l’uso
di una casa di abitazione”, allude, ad es., Cass. 23-7-2020, n. 15773 (ma con esclusione della “rilevanza
dell’entità dei patrimoni delle famiglie di appartenenza ovvero del loro apporto economico ai coniugi, in
quanto trattasi di ulteriore criterio non previsto dall’art. 5 L. n. 898 del 1970”: Cass. 23-7-2020, n.
15774).
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 497

mico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di
ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi: indici, tutti da apprezzare in rap-
porto alla durata del matrimonio). La discussione si è incentrata, allora, sul diverso
modo di intendere il rapporto tra l’accennato presupposto e i criteri in questione, le
diverse soluzioni risultando, ovviamente, condizionate dai differenti punti di vista cir-
ca il valore da conferire alla pregressa relazione di vita matrimoniale – con l’intrecciar-
si in essa dei profili economici con quelli personali – nella valutazione, ai fini della de-
finizione delle contribuzioni post-matrimoniali, della situazione delle parti al momento
del venir meno della comunità di vita.
In giurisprudenza, ha prevalso a lungo, ai fini del giudizio di adeguatezza dei mezzi
disponibili (decisivo per l’attribuzione dell’assegno), l’indirizzo tendente a prescindere,
in un’ottica dichiaratamente assistenziale (piuttosto che perequativa e compensativa), dal-
la valutazione degli indici indicati nel corpo dell’art. 56, in quanto ritenuti essere destina-
ti ad incidere solo sulla quantificazione dell’assegno: salvo, poi, ad adottare quale para-
metro di valutazione dell’adeguatezza – e, quindi, in sostanza, come obiettivo da perse-
guire attraverso il riconoscimento dell’assegno – quello della (almeno tendenziale) con-
servazione del tenore di vita matrimoniale, ovvero quello di una dignitosa autosufficienza
economica (indipendentemente, insomma, dal tenore di vita goduto durante la conviven-
za). La prima di tali prospettive è risultata a lungo dominante 41, fino ad una sua recente
contestazione, tendente alla riproposizione della seconda.
Il contrasto venutosi, così, a determinare ha finito, peraltro, con l’indurre la giurispru-
denza ad un radicale ripensamento della stessa concezione bifasica del giudizio concer-
nente il riconoscimento l’assegno, in quanto reputato fondato, cioè, su di una scissione
tra il giudizio relativo all’attribuzione (improntato a un parametro – tenore di vita o esi-
stenza dignitosa – comunque estraneo al dettato normativo) e quello relativo alla quanti-
ficazione (da condurre applicando i diversi criteri contemplati dall’art. 56). Si è concluso,
allora, nel senso della non incompatibilità – in relazione alla individuazione della natura
dell’assegno e della relativa finalizzazione – della funzione assistenziale e di quella pere-
quativo-compensativa, dovendo l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi disponibili –
così come la conseguente determinazione dell’assegno – avvenire proprio attraverso l’ap-
plicazione dei criteri individuati nell’art. 56, da considerare, quindi, decisivi, allo stesso
tempo, tanto per l’attribuzione, quanto per la quantificazione dell’assegno: criteri, questi,
atti a sostanziare una valutazione complessiva e comparativa della situazione delle parti
al momento del venir meno della compagine coniugale, quale venutasi a determinare in
dipendenza del condiviso modello di vita familiare e dei conseguentemente attuati assetti

41
Il giudizio di “inadeguatezza” – rispetto al tenore di vita matrimoniale – è stato operato, nella prospetti-
va accennata, raffrontando i mezzi del coniuge richiedente “ad un tenore di vita analogo a quello avuto in
costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, o
quale poteva legittimamente e ragionevolmente prefigurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del
rapporto” (Cass. 22-2-2010, n. 4079). Anche con riferimento all’assegno di divorzio, è stato rilevato che il tenore
di vita “cui rapportare il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente dovrebbe esse-
re quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e
delle loro disponibilità patrimoniali, e non già quello tollerato o subito o anche concordato con l’adozione di
particolari criteri di suddivisione delle spese familiari e di disposizione dei redditi personali residui” (Cass.
16-5-2005, n. 10210; Cass. 16-10-2013, n. 23442).
498 PARTE V – FAMIGLIA

personali e patrimoniali (con specifica attenzione, ovviamente, agli apporti concretamente


forniti da ciascuno – e, in particolare, da chi richiede l’assegno – alla relativa conduzio-
ne) 42.

42
Per la giurisprudenza accreditatasi – contro un diverso indirizzo, tendente ad orientare “la valutazione
relativa all’adeguatezza dei mezzi economici … ad un modello di vita economicamente autonomo e digni-
toso (Cass. 2-3-1990, n. 1652) – a partire da Cass., sez. un., 29-11-1990, n. 11490 (e sintetizzata, ad es., da
Cass. 2-7-2007, n. 14965 e 5-2-2014, n. 2546), la disciplina in materia – secondo una ricostruzione fondata
su “una duplice indagine, attinente all’an ed al quantum” (sulla distinzione, cioè, tra il presupposto dell’as-
segno, rappresentato dalla inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante a conservare un tenore di vita analo-
go a quello goduto in costanza di matrimonio, ed i suoi criteri di quantificazione, da valutare in maniera
“ponderata e bilaterale”) – avrebbe dovuto valere, senza creare confusioni tra l’assegno di divorzio e quel-
lo di mantenimento, ad offrire “una duttile risposta a tutti i vari modelli concreti di matrimonio”, evitando
la creazione di “situazioni di eccessivo vantaggio (di ‘pura rendita’)”. Comunque, nonostante l’affermata
natura “esclusivamente assistenziale” dell’assegno, si sottolineava come l’applicazione dei criteri di quanti-
ficazione dell’assegno stesso possa giungere “fino anche ad eliminare, in date condizioni, il diritto” ad es-
so. Così, in particolare, si è ritenuto che l’assegno sia da negare in caso di brevissima durata del matrimo-
nio (per essere una comunità di vita “in realtà mai esistita”: Cass. 29-10-1996, n. 9439; peraltro, al para-
dossale riconoscimento di un assegno in conseguenza di un matrimonio sciolto per inconsumazione dopo
una convivenza di appena una settimana è pervenuta Cass. 4-2-2009, n. 2721). Non si è mancato di attri-
buire, con funzione “assistenziale e integrativa”, un assegno anche in caso di coniuge benestante, ma co-
munque non in grado di conservare l’elevatissimo tenore di vita consentito dalle ragguardevoli ricchezze
dell’altro coniuge (Cass. 28-10-2013, n. 24252 e 4-2-2011, n. 2747, in una prospettiva, insomma, riequili-
brativa, in dipendenza del “notevole dislivello economico”). Si tenga presente come la questione di legit-
timità costituzionale, sollevata nei confronti dell’art. 56 l. div., in quanto, secondo il giudice rimettente
(Trib. Firenze, ord. 22-5-2013, n. 239), da intendere – alla luce del “diritto vivente” – come finalizzato a
“garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matri-
monio”, sia stata dichiarata infondata da Corte cost. 11-2-2015, n. 11, in considerazione del consolidato
orientamento giurisprudenziale, secondo cui i diversi criteri indicati dalla disposizione “agiscono come
fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto” – secondo il parametro, cioè,
del “tenore di vita” matrimoniale – potendo “valere anche ad azzerarla”. Riprendendo in larga misura gli
argomenti addotti nella ricordata ordinanza di Trib. Firenze (e sulla scia del risalente orientamento di
Cass. 1652/1990), Cass. 10-5-2017, n. 11504 (seguita, ad es., da Cass. 22-6-2017, n. 15481, concernente un
giudizio di revisione dell’assegno, ai sensi dell’art. 91, e dalla successiva giurisprudenza della stessa prima
sezione della Cassazione) ha inteso superare il ricordato (consolidato) indirizzo esegetico delle sezioni uni-
te, pur muovendo dalla stessa strutturazione “bifasica” di principio del giudizio attributivo dell’assegno
divorzile. Nell’evidenziare come, a seguito del divorzio, gli ex coniugi debbano ormai considerarsi, a tutti
gli effetti, “persone singole” (con conseguente negazione di qualsiasi valore al parametro della “conserva-
zione del tenore di vita matrimoniale” e valorizzazione, invece, del “principio di ‘autoresponsabilità’”),
quale criterio decisivo ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno (“fase dell’an debeatur) viene assun-
to – a prescindere, insomma, da qualsiasi considerazione circa i riflessi del pregresso rapporto coniugale
sulla condizione degli interessati al momento del divorzio – quello della mancanza, in capo al richiedente,
della “indipendenza o autosufficienza economica”, solo “all’esito positivo di tale prima fase” (e senza,
quindi, quella “indebita commistione tra le predette due ‘fasi’ del giudizio”, che viene addebitata all’impo-
stazione in precedenza seguita) potendosi passare “alla determinazione quantitativa dell’assegno (fase del
quantum debeatur)”, con l’applicazione dei diversi criteri stabiliti nell’art. 56. A fronte delle diffuse – anche
nella giurisprudenza di merito (ad es., Trib. Udine 1-6-2017, Trib. Roma 15-9-2017 e 26-9-2017, App.
Genova 12-10-2017) – perplessità per il nuovo orientamento (e in attesa dell’intervento chiarificatore delle
sezioni unite), con la P.D.L. n. 4605 (Camera dei deputati, XVII legislatura, esaminata solo in sede refe-
rente dalla Commissione Giustizia per la fine della legislatura) è stata prospettata una modifica dell’art. 56,
tale da imprimere all’assegno divorzile una curvatura dichiaratamente riequilibrativa, così da consentire di
tenere adeguatamente conto, nel momento dello scioglimento del matrimonio e in vista della vita definiti-
vamente separata delle parti, delle loro reciproche condizioni, quali venutesi concretamente a determinare
in dipendenza degli assetti personali e patrimoniali condivisi nel corso del rapporto coniugale. Come ac-
cennato nel testo, Cass., sez. un., 11-7-2018, n. 18287, ha inteso superare, sia il precedente indirizzo, quale
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 499

consolidatosi a partire da Cass. 11490/1990, sia quello teorizzato da Cass. 11504/2017, abbandonando “la
rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno” e valorizzando – ove sussista uno
“squilibrio”, alla luce della comparazione tra le posizioni delle parti – la circostanza che “la disparità della
situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo” si presenti co-
me “dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matri-
monio”, con l’eventuale “sacrificio delle aspettative personali e reddituali di una delle parti”. Ciò con la
conseguenza – imposta da una “declinazione costituzionale del principio di solidarietà” (di cui all’art. 29
Cost.) – che il “profilo assistenziale deve essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva
nella quale s’inserisce la fase di vita postmatrimoniale, in particolare in chiave perequativa-compensativa”,
così da soddisfare, “in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contribu-
to”, le “legittime aspettative reddituali conseguenti al contributo personale ed economico fornito da cia-
scun coniuge alla conduzione familiare” (in applicazione di un “criterio … per la sua natura composita”,
caratterizzato da una “elasticità necessaria per adeguarsi alle fattispecie concrete” rispecchianti la “plurali-
tà dei modelli familiari”). La giurisprudenza successiva – pur riproponendosi qualche tentativo di riesumare
surrettiziamente l’impostazione di Cass. 11504/2017 (e v., ad es., Cass. 9-8-2019, n. 21234, 7-10-2019, n.
24935, fino a 8-9-2021, n. 24250) – non ha mancato – accogliendo convintamente le scelte di fondo delle
sezioni unite – di precisare l’accennata ricostruzione, sottolineando, in particolare, la necessaria ricorrenza
di uno “squilibrio effettivo e di non modesta entità” e che la disparità debba essere “causalmente ricondu-
cibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione
dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno
dei coniugi” (così, Cass. 30-8-2019, n. 21926, la quale richiama l’attenzione anche sulla necessità di accer-
tare se “il riconoscimento della funzione endofamiliare” del richiedente risulti già “attuato grazie agli in-
terventi in corso di matrimonio dell’ex coniuge”; così pure Cass. 17-2-2021, n. 4215; alla rilevanza, ai fini
del riconoscimento dell’assegno, dell’operatività dell’adottato regime patrimoniale di comunione allude
Cass. 5-5-2021, n. 11787, sulla scia di 9-8-2019, n. 21228). Significativa, poi, è la negazione dell’assegno
in caso di matrimonio di breve durata e senza figli (data la conseguente sostanziale irrilevanza del contri-
buto alla vita familiare: Cass. 7-5-2019, 12041; la rilevanza essenziale, nella nuova impostazione della ma-
teria dell’assegno, del profilo della “durata del matrimonio”, anche quale criterio funzionale all’“accerta-
mento del relativo diritto”, così da poterne “giustificare l’esclusione”, viene evidenziata da Cass., sez. un.,
31-3-2021, n. 9004, che sottolinea dover essere essa riferita “all’intera durata del vincolo matrimoniale,
anziché a quella effettiva della convivenza”, per tener conto pure del contributo “prestato in regime di
separazione, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli”). La
giurisprudenza di merito, ovviamente, tende a muoversi entro la cornice delineata dalle sezioni unite, in
particolare con un drastico ridimensionamento dei profili assistenziali dell’assegno: App. Napoli 10-1-
2019; Trib. Treviso 1-3-2019, che individua rigorose condizioni per il relativo riconoscimento in “fun-
zione assistenziale”. E per la tendenza ad ammettere – “in virtù del rilievo primario dei principi solidari-
stici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali familiari” – l’attribuzione di un as-
segno in funzione esclusivamente assistenziale, nel solo caso di vera e propria indigenza economica del
richiedente, v., ad es., Cass. 30-8-2019, n. 21926. A consolidare e sistematizzare – contro i tentativi di
ridimensionarne la portata, travisandone le scelte di fondo – la ricostruzione accennata, radicata nella
pronuncia 1828/2018 (e considerata imperniata sulla decisa valorizzazione, nel contesto della “funzione
composita” e “non solo assistenziale dell’assegno”, della sua “componente compensativo-perequativa”),
con la precisazione dei relativi tratti salienti – anche alla luce dei dianzi ricordati successivi apporti giuri-
sprudenziali – ha provveduto Cass., sez. un., 5-11-2021, n. 32198. Il 14.5.2019, la Camera dei deputati
(XVIII legislatura) ha approvato la P.D.L. n. 506-A, risultante dalle modificazioni apportate alla P.D.L. n.
506 (riproduttivo del ricordato testo approvato dallo stesso ramo del Parlamento nella legislatura prece-
dente). Nel testo in questione, largamente ispirato alla corrispondente disciplina francese dell’art. 271 code
civil (e sostanzialmente allineato alle recenti conclusioni delle sezioni unite) si prevede che, ai fini del rico-
noscimento dell’assegno, devono essere valutati “in rapporto alla durata del matrimonio”, una serie di in-
dici, tra cui, in aggiunta a quelli già attualmente contemplati (ma con la discutibile soppressione delle “ra-
gioni della decisione”), sono da segnalare l’autonoma menzione della “età e stato di salute del richiedente”
e, soprattutto, “la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche in considerazione della
mancanza di un’adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa, quale conseguenza dell’a-
dempimento dei doveri coniugali nel corso della vita matrimoniale”, nonché “l’impegno di cura di figli
comuni minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti”. Si prevede, inoltre, la – attualmen-
500 PARTE V – FAMIGLIA

Dell’assegno, in quanto periodico e, quindi, destinato a durare nel tempo, deve essere
assicurato l’adeguamento automatico con riferimento agli indici di svalutazione monetaria
(art. 57). La sua corresponsione è garantita, oltre che dall’eventuale imposizione di garan-
zie all’obbligato, dalla possibilità, per il beneficiario, di ottenerne il pagamento diretto da
chi deve corrispondere periodicamente all’obbligato stesso somme di danaro (in partico-
lare, dal suo datore di lavoro) (art. 8), nonché, in quanto tale, dall’irrogazione di sanzioni
penali a carico dell’ex coniuge inadempiente (originariamente ai sensi dell’art. 12 sexies
e, ora, dell’art. 570 bis c.p.).
Le disposizioni concernenti l’assegno per l’ex coniuge (così come quelle relative al-
l’affidamento dei figli ed ai contributi a loro favore) possono essere, ove sopravvengano
giustificati motivi (legati alla evoluzione delle condizioni personali ed economiche degli
ex coniugi), assoggettate a revisione (art. 91), con conseguente possibile modificazione del
relativo ammontare. L’obbligo di corrisponderlo cessa, poi, se il beneficiario contrae un
nuovo matrimonio (art. 510) 43.

te discussa – possibilità di predeterminare la durata dell’assegno (introducendo, insomma, in una prospettiva


diffusa altrove, la figura dell’assegno temporaneo).
43
La giurisprudenza (Cass. 30-10-1996, n. 9505) si è orientata a lungo nel senso che il diritto all’assegno
non cessi senz’altro in caso di convivenza more uxorio del beneficiario, pur ritenendo (Cass. 27-3-1993, n.
3720) che le eventuali prestazioni del nuovo partner, incidendo sulle sue condizioni economiche, possano
far venire meno il presupposto del riconoscimento dell’assegno stesso (come pure di quello attribuito in
dipendenza della separazione), ponendo il relativo obbligo in uno stato di quiescenza (Cass. 11-8-2011, n.
17195): insomma, “l’incidenza economica della convivenza deve essere valutata in relazione al complesso
delle circostanze che la caratterizzano” e tenendo sempre presente che “i relativi, eventuali, benefici eco-
nomici” hanno “natura intrinsecamente precaria” (Cass. 28-6-2007, n. 14921; e per la rilevanza dell’assun-
zione di nuovi carichi familiari da parte dell’obbligato, v. Cass. 22-3-2012, n. 4551). Peraltro, Cass. 3-4-2015,
n. 6855 (e v. pure 29-9-2016, n. 19345 e 8-2-2016, n. 2466), ha – con il risultato di estendere corrisponden-
temente, in sostanza, la portata dell’art. 510 – senz’altro ricollegato alla instaurazione di una convivenza
avente i caratteri della famiglia di fatto (in quanto atta a “rescindere ogni connessione con il tenore ed il
modello di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale”) il definitivo venir meno di
ogni possibile pretesa nei confronti dell’ex coniuge, con l’“assunzione piena di un rischio” dell’eventuale
cessazione del nuovo rapporto. Sollecitate a rimeditare un simile orientamento da Cass. 17-12-2020, n.
28995, le sezioni unite (32198/2021), alla luce del (ricordato nella nota precedente) nuovo indirizzo in ma-
teria di attribuzione dell’assegno di divorzio, hanno concluso – risultando il diverso orientamento “mancante
di un saldo fondamento normativo attuale” e “neppure compatibile con la funzione dell’assegno divorzile,
come delineata attualmente dalla giurisprudenza” – che, pur incidendo “l’instaurazione da parte dell’ex
coniuge di una stabile convivenza sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o sulla sua revi-
sione nonché sulla quantificazione del suo ammontare”, essa “non determina necessariamente la perdita
automatica ed integrale del diritto all’assegno”, se non quanto alla sua “componente assistenziale”, poten-
dosi, insomma, riconoscere un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge in funzione “perequativo-
compensativa”, tenuto conto, in particolare, “della durata del matrimonio”. Le sezioni unite non manca-
no, comunque, di rilevare l’inadeguatezza dell’attuale disciplina, non solo accennando alla migliore fun-
zionalità a governare situazioni del genere con un “assegno temporaneo” (ammissibile, però, solo su “ac-
cordo” delle parti, non potendo essere imposta una simile modalità di corresponsione – peraltro prevista
nella proposta approvata da uno dei rami del parlamento, ricordata nella nota precedente – “per provve-
dimento del giudice”), ma alludendo anche alla opportunità di una eventuale modificazione dell’attuale
regime. Viene auspicata, così – “in un’ottica di pacificazione e di prevenzione della conflittualità” – una
revisione, improntata al modello diffuso altrove, dell’attuale disciplina della materia, col privilegiare, in
via generale (e, quindi, anche giudizialmente), l’attribuzione, “in funzione compensativa, di una somma
equitativamente determinata” (risultando ammissibile, allo stato, una simile sistemazione definitiva delle
aspettative dell’ex coniuge meritevole di tutela economica, attraverso una prestazione una tantum, ai sensi
dell’art. 58, solo “su accordo delle parti”: accordo, la cui definizione, di conseguenza, viene fortemente
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 501

Su accordo delle parti, l’assegno periodico può essere sostituito da una prestazione
c.d. una tantum (consistente in somme di danaro, titoli obbligazionari e azionari o beni
immobili). Si tratta di una soluzione, corrente in altri ordinamenti (in cui è, anzi, con-
siderata normale o, addirittura, privilegiata), sicuramente più rispettosa dell’opportu-
nità di non perpetuare, pure a tempo indeterminato, rapporti (anche solo economici)
tra gli ex coniugi. Poiché nessuna pretesa economica ulteriore – anche di carattere solo
alimentare – può essere successivamente avanzata, la prestazione pattuita (è da ritenere
anche in caso di domanda congiunta di divorzio) 44 deve essere ritenuta equa dal tribu-
nale (art. 58) 45.
Il divorzio determina il venir meno dei diritti in ordine alla successione del coniuge.
Spetta, peraltro, un assegno periodico a carico dell’eredità, di natura alimentare,
all’ex coniuge cui sia stato, in precedenza, riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio e
che versi in stato di bisogno. Esso non compete in caso di corresponsione una tantum di
quanto dovuto in dipendenza del divorzio e si estingue nel caso di passaggio del benefi-
ciario a nuove nozze o ove venga meno il bisogno (in tale ultima ipotesi, con possibilità
di reviviscenza) (art. 9 bis).
Il riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio condiziona, inoltre, la tutela pre-
videnziale del divorziato. Solo in quanto titolare di esso, infatti, quest’ultimo, in caso di
morte dell’ex coniuge (e, ovviamente, se non passato a nuove nozze), ha diritto alla pen-
sione di reversibilità (art. 92) 46. Ove esista – nell’ipotesi, evidentemente, di successi-

sollecitata dalle sezioni unite agli interessati, eventualmente anche a seguito di un “suggerimento” in tal
senso da parte del giudice).
44
Nel senso che “tale accertamento e valutazione di equità dell’accordo vanno compiuti anche in sede di
divorzio ad istanza congiunta”, Cass. 5-5-2016, n. 9054. Circa la necessità della verifica giudiziale di equità
dell’accordo di corresponsione una tantum, v. Cass. 28-2-2018, n. 4764 e 30-1-2017, n. 2224.
45
La giurisprudenza si è indirizzata nel senso della nullità, per illiceità della causa, degli accordi conclusi –
in sede (e, comunque, in regime) di separazione personale – in vista del divorzio, tra l’altro, “per violazione del
principio di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale espresso dall’art. 160” (Cass. 18-2-2000, n.
1810 e 10-3-2006, n. 5302, con riguardo agli accordi implicanti la rinuncia all’assegno di divorzio): ad una tale
conclusione non ritenendosi ostare neppure l’introduzione del divorzio su domanda congiunta, dato che, in
tal caso, “le intese raggiunte dalle parti sul relativo assetto economico attengono ad un divorzio che esse han-
no già deciso di conseguire e non semplicemente prefigurato” (Cass. 11-8-1992, n. 9494). Un simile orienta-
mento (la cui ratio sembra ostacolare, allo stato, anche corrispondenti accordi prematrimoniali: V, 2.11) – con-
fermato, da ultimo, da Cass. 2224/2017 e, in precedenza, da Cass. 14-6-2000, n. 1809, precisato nel senso del
carattere relativo dell’affermata nullità (invocabile, quindi, solo da chi richieda le prestazioni economiche) –
risulta, peraltro, contestato da Trib. Torino 20-4-2012, in adesione ad una conforme posizione prospettata in
dottrina.
46
La disciplina si presenta, invero, contraddittoria, in quanto, nonostante l’autonomia riconosciuta ai di-
ritti pensionistici del divorziato (trattandosi di una forma di partecipazione diretta a quel particolare tipo di
ricchezza familiare rappresentato dagli accantonamenti a scopo previdenziale: Cass., sez. un., 12-1-1998, n.
159), la loro concreta realizzazione viene subordinata al godimento dell’assegno di divorzio, attribuito sulla
base di valutazioni relative alle condizioni economiche del soggetto (le quali, invece, dovrebbero risultare
irrilevanti ai fini del godimento differito di quanto economizzato dalla famiglia nel suo insieme, da parte di
chi vi abbia contribuito partecipando al ménage familiare). Le medesime considerazioni valgono – forse, a
maggior ragione, dato il criterio proporzionale di partecipazione stabilito dall’art. 12 bis2, rigorosamente og-
gettivo e automatico – pure per la disciplina del diritto ad una quota della indennità di fine rapporto (ai fini
del cui riconoscimento legislativo, del resto, si è convenuto che depongono “soprattutto criteri di carattere
compensativo”: Corte cost. 24-1-1991, n. 23). Comunque, per eliminare le residue persistenti incertezze ese-
getiche in materia, l’art. 5 L. 28.12.2005, n. 263, ha stabilito che “per titolarità dell’assegno ai sensi del-
502 PARTE V – FAMIGLIA

vo matrimonio dell’ex coniuge – anche un coniuge superstite, il trattamento di reversibi-


lità deve essere dal tribunale ripartito tra gli aventi diritto (eventualmente più di due,
nell’ipotesi di una pluralità di successivi matrimoni) (art. 93). Per la ripartizione è previ-
sto il criterio della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali 47.
Il divorziato ha anche diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto
percepita dall’altro ex coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. Anche a
tal fine, il divorziato deve essere titolare dell’assegno di divorzio. La quota è pari al qua-
ranta per cento della indennità, con riferimento agli anni in cui il matrimonio sia coinciso
col rapporto di lavoro (art. 12 bis) 48.

6. Scioglimento della unione civile. – La disciplina della crisi dell’unione civile 49, in-
dubbiamente presenta, rispetto a quella fin qui esaminata concernente il matrimonio,
tratti di notevole originalità: tratti che, pur riconducibili forse ad una visione dell’unione
civile come destinata ad una maggiore instabilità del matrimonio (in quanto caratterizza-
ta da una pretesa minore intensità solidaristica), finiscono col risolversi nella prospetta-
zione di un modello di disciplina della crisi familiare, il quale, recependo diffuse istanze

l’articolo 5 deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi
del predetto articolo 5”. In proposito, Cass. 20-2-2018, n. 4107, ha precisato che basta un riconoscimento
giudiziale con “pronuncia non ancora passata in giudicato”. Sempre al riguardo, Cass. 28-5-2010, n. 13108,
disattendendo un consistente indirizzo giurisprudenziale e dottrinale in senso contrario, aveva considerato
comunque ricorrente il requisito della “titolarità dell’assegno” anche nel caso di accordo “di corresponsione,
in unica soluzione, dell’assegno di divorzio”, ai sensi dell’art. 58. A fronte, peraltro, delle divergenti conclu-
sioni riproposte da Cass. 5-5-2016, n. 9054 e 8-3-2012, n. 3635, la questione è stata rimessa alle sezioni unite.
Cass., sez. un., 24-9-2018, n. 22434, ha discutibilmente aderito all’indirizzo tendente a negare la possibilità di
attribuire la pensione di reversibilità in caso di “corresponsione in unica soluzione” delle contribuzioni post-
matrimoniali, ritenendo da intendere l’allusione dell’art. 92-3 alla “titolarità dell’assegno … come titolarità at-
tuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come
titolarità astratta del diritto all’assegno che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in
un’unica soluzione”. In una prospettiva sostanzialmente non dissimile, Cass. 28-9-2020, n. 20477 ha ritenuto
assente il (reputato necessario) “requisito della titolarità dell’assegno divorzile” nel caso in cui esso sia stato
“determinato in misura minima o anche meramente simbolica” (contrariamente, peraltro, a quanto a suo
tempo sostenuto dalle sezioni unite 159/1998). In relazione all’interesse del coniuge aspirante alla pensione di
reversibilità (o ad una sua quota) alla prosecuzione del giudizio concernente il riconoscimento dell’assegno
(in quanto presupposto del diritto ad essa), pur dopo la morte del coniuge (e sempre che si sia già formato il
giudicato sullo status ai sensi dell’art. 412), decisiva risulta la soluzione positiva offerta a tale ultima questione
da Cass., sez. un., 24-6-2022, n. 20494 (supra, nota 34). Sul punto, v. pure Corte cost. 28-1-2022, n. 25.
47
Ha prevalso, a seguito dell’intervento di Corte cost. 4-11-1999, n. 419, la tesi che il risultato cui con-
duce il criterio della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali (da applicarsi matematicamente, invece, se-
condo Cass., sez. un., 12-1-1998, n. 159) sia da sottoporre a correttivi (in particolare, in considerazione delle
condizioni economiche dei soggetti interessati). Ci si riferisce, in proposito, alla necessaria ponderazione, in
aggiunta al criterio della durata del matrimonio, di “ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che
presiede al trattamento di reversibilità” (Cass. 18-8-2006, n. 18199, secondo una prospettiva consolidata, per
cui, ad es., Cass. 5-3-2014, n. 5136 e 28-4-2020, n. 8263). È stato precisato che “la ripartizione della pensione
di reversibilità tra ex coniuge e coniuge superstite deve essere determinata in base alla situazione esistente al
momento del decesso al quale è collegato il beneficio previdenziale, e non può tenere conto di fatti sopravve-
nuti” (Cass. 28-7-2006, n. 17248).
48
Si è ritenuto risultare irrilevante la relativa eventuale “rinuncia in sede di separazione”, “poiché in vio-
lazione del principio fondamentale, espresso dall’art. 160, di indisponibilità dei diritti in materia matrimonia-
le” (Trib. Napoli 10-6-2019).
49
L’art. 122 prevede l’ovvio scioglimento dell’unione civile in caso di morte (o dichiarazione di morte pre-
sunta) di una delle parti.
CAP. 3 – CRISI CONIUGALE 503

già emerse a livello normativo e giurisprudenziale, appare probabilmente destinato ad


imporsi – pure alla luce degli sviluppi al riguardo di altri ordinamenti – anche in materia
matrimoniale 50.
In primo luogo, così, non si è esteso all’unione civile l’istituto della separazione perso-
nale. Opzione, questa, ragionevole, dato che, nel nostro ordinamento, tale istituto, con la
relativa disciplina (V, 3.2-3), sembra ancora troppo largamente condizionato dalla sua
(obsoleta) storica funzione di alternativa al divorzio, risultandone anche largamente con-
testata la (ormai temporalmente ristretta, ma comunque pur sempre necessitata) funzio-
ne nella dinamica della regolamentazione della crisi familiare destinata a sfociare nel di-
vorzio (V, 3.4).
In una simile prospettiva, allora, pare soluzione ragionevole l’essersi limitato il legi-
slatore a prevedere una pausa di riflessione di tre mesi tra una prima manifestazione di
volontà di scioglimento dell’unione civile, “dinanzi all’ufficiale dello stato civile”, e la
successiva proposizione della domanda di scioglimento (art. 124 L. 76/2016) 51. È chiaro
come si sia, in tal modo, introdotta una nuova causa di divorzio 52, sostitutiva, limita-
tamente all’unione civile, di quella rappresentata, in materia matrimoniale, dalla pre-
gressa separazione personale (V, 3.4), che lascia comunque ferma, ovviamente, la ne-
cessità di azionare una delle procedure attualmente previste per lo scioglimento del
vincolo.
In proposito, l’art. 125 richiama in blocco, appunto, l’art. 4 L. 898/1970, discipli-
nante (con l’art. 51, 5, pure richiamato) la procedura di divorzio, nonché, le recentemen-
te introdotte procedure, di cui agli artt. 6 e 12 D.L. 132/2014, conv. con L. 162/2014
(rispettivamente, convenzione di negoziazione assistita e accordo innanzi all’ufficiale di
stato civile), evidentemente ove ne ricorra la condizione, rappresentata dall’accordo
circa il ricorso ad una delle procedure extragiudiziali di definizione della crisi familia-

50
Non può sfuggire come, in particolare, sia stato omesso qualsiasi richiamo agli artt. 1 e 2 L. 898/1970
(con l’ivi prevista necessità dell’accertamento “che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può
essere mantenuta o ricostituita”), recependosi, così, la tendenza, anche giurisprudenziale, a valorizzare deci-
samente il carattere potestativo della dissoluzione del nucleo familiare (con conseguente emarginazione dell’
accertamento in questione, ove comunque ricorra una delle cause di cui all’art. 3: accertamento, del resto, la
richiesta del cui autonomo accertamento ha finito, come accennato supra, V, 2.4, con l’assumere in giurispru-
denza un sapore esclusivamente formale).
51
Spazio di tempo di attesa, il cui decorso sembra, quindi, configurarsi – in una con la fase amministra-
tiva preliminare (art. 631, lett. g-quinquies, D.P.R. 3.11.2000, n. 396) – come condizione di procedibilità del-
la domanda di scioglimento dell’unione civile. Diversamente, peraltro, le azzardate conclusioni di Trib.
Novara 5-7-2018 (che ritiene surrogabile la fase amministrativa dall’avvio della procedura giudiziale e dal
relativo iter).
52
In aggiunta, cioè, a quelle di cui all’art. 3, n. 1 e n. 2, lett. a, c, d, ed e L. 898/1970, richiamate dall’art.
23
1 . Oltre all’omissione, appunto, della causa di cui alla lett. b (fondata sulla pregressa separazione), in sostanza
sostituita, appunto, da quella in cui si risolve l’art. 124, non è stata, quindi, richiamata la causa di cui all’art. f,
concernente la mancata consumazione del matrimonio (in ciò rinvenendosi, probabilmente, le tracce di una
certa ambiguità – oltre che ritrosia – nell’affrontare le problematiche connesse alla sessualità delle persone
dello stesso sesso che si uniscono civilmente). Manca anche il richiamo della causa di cui alla lett. g, concer-
nente lo scioglimento del matrimonio conseguente alla rettificazione di attribuzione di sesso: la fattispecie ri-
sulta corrispondentemente disciplinata dall’art. 126, il quale prevede che “la sentenza di rettificazione di attri-
buzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”. È da ricordare
come, con l’art. 127, si sia inteso superare i problemi cui ha dato luogo l’applicazione della causa di divorzio,
di cui alla lett. g (V, 3.4).
504 PARTE V – FAMIGLIA

re. Di conseguenza, in caso d’iniziativa unilaterale (prevedendo l’art. 124 che la manife-
stazione della “volontà di scioglimento” possa avvenire pure “disgiuntamente” e, quin-
di, provenire anche da una sola delle parti dell’unione civile), la via non potrà che esse-
re quella della procedura giudiziale (sulla base, appunto, della nuova peculiare causa di
divorzio) 53.
Quanto agli effetti dello scioglimento dell’unione civile, l’art. 125 rinvia in toto alla
disciplina dettata dalla L. 898/1970, con la sola esclusione delle relative parti concernen-
ti il cognome della moglie (art. 52-4) 54, nonché le problematiche che investono i rapporti
con i figli (art. 6 L. 898/1970, in coerenza con l’atteggiamento accennato supra, V, 2.17) 55.
Di conseguenza, in relazione ai riflessi patrimoniali dello scioglimento dell’unione civile
non si può qui che rinviare alla trattazione svolta supra, V, 3.5 56.

53
Le alternative cui può dar luogo l’applicazione dell’art. 124-25 sono rispecchiate nelle formule adottate
(per la redazione degli atti dello stato civile) col D.M. 27.2.2017. Trib. Milano 3-6-2020 ricorda che la sola
“manifestazione di volontà resa difronte all’ufficiale di stato civile” non determina il cambiamento dello status
delle parti, con conseguente necessità, a tal fine (e anche in vista della produzione delle conseguenze econo-
miche dello scioglimento della unione civile), di azionare la procedura di divorzio.
54
Una tale esclusione, peraltro applicativa dell’art. 110 (laddove limita alla “durata dell’unione civile” l’as-
sunzione di “un cognome comune”), sembra finire con l’introdurre una irragionevole discriminazione tra la
posizione della parte dell’unione civile e quella del coniuge.
55
Peraltro, pur nel silenzio del legislatore, in tutti quei casi in cui comunque sussista un rapporto di fi-
liazione giuridicamente rilevante con due persone dello stesso sesso unite civilmente (una comune genito-
rialità essendosi venuta ad instaurare, in particolare, attraverso l’adozione in casi particolari, il riconosci-
mento di efficacia di provvedimenti stranieri di adozione o la trascrizione di atti di nascita stranieri: V, 4.2;
V, 4.8), si pone, ovviamente, la questione – pare da risolvere positivamente nell’interesse dei minori coin-
volti – dell’operatività della disciplina comune concernente l’esercizio della responsabilità genitoriale (an-
che, appunto, in relazione alle problematiche che si ricollegano al venir meno della convivenza familiare:
V, 4.10-11).
56
Per coerenza con la dinamica procedimentale della causa di divorzio – fondata sulla pregressa separa-
zione personale (art. 3, n. 2, lett b, L. 898/1970) – che l’art. 124 finisce col sostituire, è da ritenere sistematica-
mente corretto – nella prospettiva del recentemente introdotto art. 1912 (V, 2.12) – che lo scioglimento della
comunione legale operi in coincidenza con la fase presidenziale del giudizio (se non già con la manifestazione
della “volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile”). Per una delle prime applicazioni della
disciplina concernente gli effetti dello scioglimento della unione civile, v. Trib. Pordenone 13-3-2019, che si
richiama, ai fini della considerazione del rapporto di vita, in materia di riconoscimento dell’assegno di divor-
zio, ai più recenti approdi giurisprudenziali (valorizzando anche la “fase di convivenza di ‘fatto’ anteriore alla
celebrazione dell’unione civile”, dato che solo con l’introduzione della relativa disciplina la coppia “ha potuto
‘legalizzare’ il proprio rapporto”).
CAPITOLO 4
FILIAZIONE

Sommario: 1. Filiazione: attuale articolazione della disciplina. – 2. L’atto di nascita. – 3. Accertamento


della filiazione. – 4. Accertamento della filiazione fuori del matrimonio. – 5. Legittimazione dei figli
(cenni storici). – 6. Procreazione medicalmente assistita. – 7. Tutela del minore privo di assistenza.
Affidamento. – 8. Adozione. – 9. Il rapporto di filiazione. – 10. Crisi familiare e tutela dell’interesse
dei figli. – 11. Assegnazione della casa familiare.

1. Filiazione: attuale articolazione della disciplina. – La disciplina della filiazio-


ne è forse quella su cui più ha inciso la legislazione in materia familiare.
Si tratta di una progressiva e globale revisione che, muovendo dai principi posti
dall’art. 30 Cost. (da leggere in stretta connessione con gli artt. 2, 3, 29 e 31), trova il
suo fulcro nella riforma del 1975 e il suo completamento nell’intervento operato dalla
L. 10.12.2012, n. 219 (con la relativa dettagliata disciplina delegata, di cui al D.Lgs.
28.12.2013, n. 154) 1.
I principi fondamentali sono quelli risultanti dall’art. 30, il cui primo comma sancisce
che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati
fuori del matrimonio”. L’attenzione è incentrata, così, sull’essenziale esigenza del figlio
di essere messo in condizione di sviluppare le sue potenzialità di persona (art. 2), non
trascurandosi, comunque, di evidenziare come la genitorialità rappresenti espressione, a
sua volta, della personalità del genitore. Il “diritto” all’esercizio delle funzioni che la ca-
ratterizzano non può, quindi, essergli sottratto se non in caso di irrimediabile incapacità
(art. 302) e solo riuscito vano ogni intervento di sostegno (imposto al legislatore dall’art.
31): ciò a garanzia del necessario rispetto dell’autonomia della famiglia, garantita dall’art.
291, nello svolgimento del suo fondamentale ruolo di luogo di formazione e socializza-
zione primaria delle nuove generazioni.
È chiaro come, assunto quale obiettivo principale la tutela della personalità in via di
formazione del figlio, nessuno spazio possa residuare alle passate odiose discriminazioni tra
figli (legate alla preoccupazione di assicurare la solidità della struttura familiare, garanten-

1
L’art. 2 della L. 219/2012 ha, in effetti, demandato al Governo l’adozione di una normativa tendente alla
“modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità per
eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi, nel rispetto dell’art. 30 della costituzione, osservan-
do, oltre ai principi di cui agli articoli 315 e 315 bis del codice civile, come rispettivamente sostituito e intro-
dotto dall’articolo 1 della presente legge”, i “principi e criteri direttivi” dettagliatamente di seguito enunciati.
Il D.Lgs. 154/2013 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del giorno 8.1.2014 (con entrata in vigore al
trentesimo giorno successivo alla pubblicazione: art. 108).
506 PARTE V – FAMIGLIA

done la continuità del patrimonio), a prescindere dalle circostanze della relativa generazio-
ne: in particolare, quindi, con riguardo a quelle nei confronti dei figli generati fuori del ma-
trimonio. Il terzo comma dell’art. 30 affida, appunto, al legislatore il compito di assicurare
a questi ultimi – quale evidente corollario del principio di eguaglianza (formale e sostanzia-
le) sancito dall’art. 3 – “ogni tutela giuridica e sociale”. La portata della prevista riserva di
compatibilità con “i diritti dei membri della famiglia legittima”, apprezzata alla luce del ca-
rattere eminentemente personale dei valori considerati nell’art. 30, è stata intesa, in sede di
riforma del 1975, come essenzialmente limitata alla esigenza di evitare conflitti di lealtà
nell’ambito del nucleo familiare ristretto fondato sul matrimonio (ad esso dovendosi in-
tendere riferita la riserva in questione: V, 1.2) 2. Né il richiamo dei limiti dettati dalla legge
per la ricerca della paternità (art. 304) può essere visto, in aderenza a modelli familiari ormai
superati, come strumento di attuazione di interessi superiori o di tutela di soggetti diversi
dallo stesso generato, trovando la discrezionalità del legislatore un argine invalicabile pro-
prio nel necessario rispetto del principio di eguaglianza 3.
I risultati conseguiti in sede di riforma del 1975, per l’attuazione dei principi costitu-
zionali, sono stati oggetto di unanime apprezzamento, esaurendosi i rilievi critici ad alcune
limitate opzioni normative. La raggiunta equiparazione sostanziale 4 tra filiazione nel ma-
trimonio e fuori del matrimonio (definite, nel contesto della riforma del 1975, rispettiva-
mente, filiazione legittima e filiazione naturale) ha, soprattutto, sfrondato lo stato di figlio
legittimo dai suoi attributi di privilegio, facendo venir meno la stessa giustificazione del
tradizionale favor legitimitatis (consistente nella preferenza accordata dall’ordinamento al-
l’acquisto e alla conservazione dello stato di figlio legittimo, pure in contrasto con la realtà
biologico-naturale): con ciò essa ha contribuito, in tema di accertamento della filiazione, al-
la decisa valorizzazione della realtà naturale (del favor veritatis, cioè, inteso nel senso di
propensione dell’ordinamento per la corrispondenza tra verità biologica e verità legale) 5.

2
Esemplare di simili possibili conflitti di lealtà, presi in considerazione dal legislatore, si presenta la pro-
blematica relativa all’inserimento del figlio nato fuori del matrimonio di uno dei coniugi nella famiglia legittima
di quest’ultimo (art. 252), pure la cui disciplina è stata ora oggetto di rimeditazione (V, 4.9).
3
Rimediando alla discriminazione in ordine alla ricerca (e conseguente dichiarazione giudiziale) della
paternità e maternità del figlio nato a seguito di incesto (ai sensi del previgente art. 278), Corte cost. 28-11-2002,
n. 494, ha sottolineato che “non è il principio di uguaglianza a dover cedere di fronte alla discrezionalità del
legislatore, ma l’opposto”, chiarendo che il figlio è titolare di un “diritto, ove non ricorrano costringenti ra-
gioni contrarie al suo stesso interesse, al riconoscimento formale di un proprio status filiationis”, quale “ele-
mento costitutivo dell’identità personale”.
4
Secondo Corte cost. 13-5-1998, n. 166, “nello spirito della riforma del 1975, il matrimonio non costitui-
sce più elemento di discrimine nei rapporti tra genitori e figli – legittimi e naturali riconosciuti – identico es-
sendo il contenuto dei doveri, oltre che dei diritti, degli uni nei confronti degli altri”. Comunque, a “elimina-
re ogni residua discriminazione tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori del matrimonio o da matrimo-
nio putativo, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 30 della costituzione”, sono state finalizzate le pro-
poste di riforma, sfociate, infine, nella L. 219/2012.
5
La connessione tra l’accennata equiparazione sostanziale e gli sviluppi in tema di accertamento della filiazio-
ne è stata con chiarezza evidenziata, ad es., da Corte cost. 14-5-1999, n. 170, in tema di azione di disconoscimen-
to di paternità. Peraltro, è stata ritenuta “coessenziale all’ordinamento l’esigenza di un bilanciamento” di princi-
pi, dato che “il superamento della finalità, che permeava l’originaria impostazione legislativa, di preservare lo
status di figlio legittimo, non elide la necessità di garantire i valori inerenti alla certezza e alla stabilità degli sta-
tus” (con riferimento, evidentemente, al perseguimento del favor minoris), proprio l’art. 304 Cost. deponendo,
contro l’attribuzione di un “valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale”, nel
senso che “il favor veritatis non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comun-
CAP. 4 – FILIAZIONE 507

Nonostante tale equiparazione sostanziale, diffusa è restata l’insoddisfazione per


una sistematica legislativa della materia, fondata su una persistente distinzione dei figli
in diverse categorie, con la contrapposizione, in particolare, della filiazione naturale
alla filiazione legittima. Anche se la riforma del 1975 ha abbandonato l’originaria
terminologia del codice del 1942, implicante un palese giudizio di disvalore, di “filia-
zione illegittima” a proposito della nascita fuori del matrimonio 6, una simile contrap-
posizione, in effetti, ha continuato a costituire motivo di discriminazione – soprattutto
per i relativi significativi risvolti sul piano successorio, data la diversa rilevanza del
rapporto di filiazione in ordine alla parentela – sulla base di una circostanza (il matri-
monio dei genitori) che non dovrebbe comportare conseguenze sulla posizione del fi-
glio, in quanto a lui del tutto estranea. La disciplina anche formalmente unitaria del
rapporto di filiazione (fondata sull’esclusiva rilevanza della procreazione e della relazio-
ne tra generante e generato), con una differenziazione limitata ai criteri governanti l’ac-
certamento del rapporto stesso, è quella, del resto, che si è affermata in tutte le più re-
centi riforme straniere della materia.
L’obiettivo perseguito dal legislatore con la L. 219/2012 è stato, appunto, quello di su-
perare qualsiasi residua discriminazione tra i figli, abbandonando, in particolare, la pro-
spettiva (propria della riforma del 1975) della equiparazione della situazione dei figli nati
fuori del matrimonio a quella dei figli nati nel matrimonio, a favore dell’ottica della unifica-
zione dello status di figlio 7. Principio che, enunciato in termini che non lasciano spazio a
possibili equivoci nel nuovo art. 315 (“Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”) 8, trova

que” (così, Cass. 30-5-2013, n. 13638, sintetizzando il percorso seguito, in materia, dalla giurisprudenza costitu-
zionale e ordinaria, anche alla luce degli orientamenti della L. 219/2012, in una prospettiva ampiamente condivi-
sa, più di recente, da Corte cost. 25-6-2020, n. 127 e 18-12-2017, n. 272). In effetti, in proposito indubbia sembra
– una volta posto in evidenza che “il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito
della famiglia” (Corte cost. 10-6-2014, n. 162) – la tendenza recente dell’ordinamento a privilegiare comunque,
anche a discapito del rispetto da prestare al favor veritatis (per la riaffermazione, comunque, della cui persistente
rilevanza, v., ad es., Cass. 21-2-2018, n. 4194, in relazione alla tutela del “diritto all’identità personale”, nonché
Cass. 10-7-2018, n. 18140 e 14-12-2017, n. 30122, che ne parlano in termini di “fondamentale criterio valutativo
in tutti i casi sia di accertamento che di rimozione della filiazione, salvo che non sia previsto diversamente a tute-
la di interessi di rango superiore”), e quindi al di là del dato biologico, la tutela dell’interesse superiore del mino-
re, nella prospettiva di un’adeguata considerazione, onde risolvere le questioni relative al suo status, del principio
di responsabilità genitoriale. Posto, insomma, che “in tutti i casi di possibile divergenza tra identità genetica e
identità legale, la necessità del bilanciamento tra esigenze di accertamento della verità e interesse concreto del
minore è resa trasparente dall’evoluzione dell’ordinamento”, Corte cost. 272/2017 (seguita da Corte cost.
127/2020) sottolinea come “la necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo
riguardano” imponga sempre “un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello
status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore”. In pro-
posito, v. infra, V, 4.3-4).
6
Di figli “nati fuori del matrimonio”, parla semplicemente l’art. 30 Cost., secondo una terminologia, del re-
sto, già presente (promiscuamente con quella di “figli naturali”) nel codice civile del 1865.
7
Alquanto dissonante rispetto alle finalità di generale revisione del quadro normativo concernente la filia-
zione, concretamente perseguite attraverso l’ampia articolazione dei relativi contenuti, sembra risultare, inve-
ro, la intitolazione della L. 219/2012, con la sua riduttiva allusione a “Disposizioni in materia di riconosci-
mento di figli naturali” (oltretutto, tale da evocare – attraverso l’impiego della relativa terminologia – proprio
la prospettiva sistematica che si è inteso superare).
8
Ovvia conseguenza dell’affermazione di un simile principio è stata la soppressione dell’istituto della le-
gittimazione, che sulla diversificazione – ancora sussistente ad esito della riforma del 1975, con i suoi risvolti
essenzialmente successori – dello stato di figlio trovava il suo fondamento (V, 4.5).
508 PARTE V – FAMIGLIA

la sua più significativa espressione – con tutte le conseguenze che ne derivano essenzial-
mente sul piano successorio – nella riscrittura dell’art. 74, con l’esplicita considerazione
accordata, ai fini della sussistenza del vincolo di parentela e della sua rilevanza giuridica (V,
1.6), alla discendenza in quanto tale, radicata o meno che sia nel matrimonio 9.
La realizzata unitarietà dello stato di figlio risulta affermata anche sul piano lessi-
cale, con la previsione della sostituzione, nel codice civile, della terminologia di “figli le-
gittimi” e di “figli naturali” con quella di “figli” (art. 111 L. 219/2012), affidandosi alla
normativa delegata il compito di attuare una simile sostituzione anche nel resto della le-
gislazione vigente (art. 21 lett. a). Non si è, comunque, inteso superare la rilevanza tradi-
zionalmente accordata al matrimonio ai fini dell’attribuzione al nato dello stato di figlio,
continuando ad articolare di conseguenza la relativa materia a seconda che la nascita av-
venga nel matrimonio o fuori di esso. Anche al riguardo, quindi, è rimasta l’esigenza di
una eventuale diversità di qualificazione, recepita nell’art. 21, lett. a, laddove si fa “salvo
l’utilizzo delle denominazioni di ‘figli nati nel matrimonio’ o di ‘figli nati fuori del ma-
trimonio’ quando si tratta di disposizioni a essi specificamente relative”.
Si può, ormai, ritenere pienamente attuata nell’ordinamento l’impostazione di fondo
emergente dall’art. 301 Cost., che conferisce rilevanza al fatto della procreazione 10, assi-
curando incondizionatamente al procreato il soddisfacimento delle sue esigenze esisten-
ziali. Lo stesso accertamento formale dello status filiationis, attraverso procedure ammini-
strative e, se del caso, giudiziali, risulta oggetto di un vero e proprio diritto del procreato,
che non può trovare limiti se non nel suo stesso interesse: le residue limitazioni alla rela-
tiva affermazione, ancora presenti nel testo del codice novellato nel 1975, erano state, del
resto, significativamente erose anche prima del recente intervento legislativo 11.
Pure l’instaurazione di un rapporto di filiazione in mancanza di procreazione natu-
rale (secondo una tradizionale terminologia, c.d. filiazione civile) viene, del resto, at-
traverso l’istituto dell’adozione, disciplinata dall’ordinamento esclusivamente quale
strumento di tutela dell’interesse del nato che si trovi irrimediabilmente privo di assisten-
za (fin dal momento della nascita o successivamente), avendo l’adozione stessa da tempo
perso la sua più risalente finalizzazione alla perpetuazione (sociale e patrimoniale) dell’or-
ganismo familiare.
Ovviamente, la disarticolazione del processo generativo – rispetto ai fattori ed alle
condizioni che ne caratterizzano le procedure naturali – consentita dai recenti progressi
in campo bio-medico è destinata a porre la società di fronte a problematiche del tutto

9
La prospettiva di unificazione dello stato di figlio risulta, nel nuovo art. 74, estesa anche al “caso in cui il
figlio è adottivo”. La concreta portata di una simile estensione dipende, peraltro, dall’interpretazione del se-
condo periodo della disposizione, ove viene escluso che il vincolo di parentela sorga “nei casi di adozione di
persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti”. Si discute, infatti, se, per coerenza sistematica (e,
quindi, al di là del dato testuale: V, 1.6), tale esclusione debba o meno intendersi come riferita anche all’ado-
zione in casi particolari.
10
Chiarissima, in tal senso, ad es., Cass. 30-7-2014, n. 17277, laddove rileva che “l’ordinamento riconnette
al fatto della procreazione la posizione del figlio e del relativo status, a tutela di una fondamentale esigenza
della persona, dalla quale deriva il diritto all’affermazione pubblica di tale posizione”.
11
Come attestato, in particolare, dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’esclusione della possi-
bilità di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità in caso di procreazione incestuosa, con la già ricorda-
ta presa di posizione di Corte cost. 494/2002, secondo cui mai la Costituzione può ritenersi giustificare “una
concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti”.
CAP. 4 – FILIAZIONE 509

nuove, schiudendo orizzonti spesso inquietanti ed imponendo difficili scelte a legislatori


ed interpreti. Anche in tema di procreazione medicalmente assistita 12, peraltro, l’u-
nico interesse rilevante non può che essere quello del generato (nella prospettiva della pre-
minenza del favor minoris), dovendosi conseguentemente adattare, in vista della sua migliore
tutela, i principi – anche di recente valorizzazione, come quello dianzi accennato del favor
veritatis – che governano il rapporto tra derivazione biologica e responsabilità genitoriale.

2. L’atto di nascita. – È chiaro come, di fronte alla estesamente riconosciuta possibi-


lità di fare emergere in seguito uno status filiationis conforme a quello cui per legge il
soggetto ha diritto, la formazione iniziale dell’atto di nascita finisca con l’assumere
una rilevanza minore che in passato. Esso continua, comunque, a svolgere la sua funzio-
ne di strumento di accertamento formale del rapporto di filiazione, anche attraverso il re-
gime delle prescritte annotazioni degli atti relativi alle vicende via via incidenti sulla si-
tuazione personale del soggetto (art. 49 D.P.R. 3.11.2000, n. 396, sull’ordinamento dello
stato civile) 13. Proprio per la sua peculiare efficacia probatoria, onde potersi avvalere dei
diritti inerenti alla qualità di figlio, lo si definisce correntemente in termini di titolo
dello stato di figlio.
L’atto di nascita è formato sulla base della dichiarazione di nascita (corredata da una
attestazione di avvenuta nascita, contenente le generalità della puerpera, nonché le indi-
cazioni relative alla nascita), resa all’ufficiale dello stato civile da parte di uno dei genito-
ri, di un loro procuratore speciale o di chi ha assistito al parto.
La madre può esprimere la volontà di non essere nominata, che deve essere rispettata
nella formazione dell’atto di nascita (V, 4.8). Nell’atto di nascita sono menzionate generali-
tà, cittadinanza e residenza dei genitori coniugati (come padre, risulterà indicato il marito
della puerpera, madre del nato), ovvero di chi intende rendere la dichiarazione di ricono-
scimento di filiazione fuori del matrimonio (artt. 29 e 30 del citato D.P.R., anche per i rela-
tivi termini) 14.

12
In relazione alla quale si finisce col delineare – accanto a quelli dianzi accennati, di carattere biologico o
adottivo – un nuovo modello di filiazione, identificabile in termini di filiazione consensuale.
13
Si tenga presente che l’art. 51 L. 219/2012 prevede, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del de-
creto legislativo attuativo della delega di cui all’art. 2, l’emanazione di un regolamento apportante le “neces-
sarie e conseguenti modifiche alla disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regola-
mento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396”. La regolamentazione in
questione è intervenuta col D.P.R. 30.1.2015, n. 26.
14
Gli artt. 95 e 96 D.P.R. 396/2000 prevedono la r e t t i f i c a z i o n e degli atti dello stato civile (e la relativa
procedura), applicabile anche agli atti di nascita. Si tratta di una materia divenuta di viva attualità – come, del
resto, quella della t r a s c r i z i o n e degli “atti di nascita ricevuti all’estero” (art. 282, lett. b, soprattutto alla luce
del principio della intrascivibilità degli atti dello stato civile formati all’estero “se sono contrari all’ordine
pubblico”, di cui all’art. 18) – in relazione alle problematiche poste, in tema di filiazione, dalla procreazione
medicalmente assistita (V, 4.6), oltre che con riguardo alle pratiche post mortem (infra, nota 54), in dipenden-
za della diffusione di richieste, appunto, di rettificazione da parte del c.d. genitore intenzionale. In senso favo-
revole alla utilizzabilità di tale procedura, ai fini dell’indicazione, come genitori, sia della madre biologica che
della sua compagna (essendo il procreato frutto di un condiviso “progetto genitoriale” ed avendo, di conse-
guenza, a tutela della sua “identità personale”, il “fondamentale diritto di essere riconosciuto” come tale),
Trib. Bologna 6-7-2018 e App. Perugia 18-11-2019 (che conclude anche nel senso della possibile “attribuzio-
ne del doppio cognome”) (contra, comunque, Trib. Agrigento 15-5-2019). Chiamata ad intervenire già da
Trib. Pisa 15-3-2018, circa la legittimità della disciplina concernente la formazione dell’atto di nascita (nella
510 PARTE V – FAMIGLIA

parte in cui, appunto, non consentirebbe di formarlo riconoscendo la comune genitorialità da parte di due
persone dello stesso sesso, nonostante il consenso prestato dalla “madre intenzionale” alla fecondazione ete-
rologa della partner), Corte cost. 15-11-2019, n. 237, ha evitato di prendere chiaramente posizione, giudican-
do la questione inammissibile. Più di recente, con riguardo alla richiesta di rettificazione dell’atto di nascita
(formato in Italia, anche se sulla base di pratica fecondativa applicata all’estero), Cass. 3-4-2020, n. 7668, ri-
chiamandosi ampiamente agli sviluppi argomentativi di Corte cost. 23-10-2019, n. 221 (infra, V, 4.6, nota 48),
ha negato – evidenziando, così, in sostanza, i limiti da ritenere connaturati alla c.d. filiazione consensuale – la
possibile rilevanza fondativa di una comune genitorialità al consenso prestato dalla c.d. madre intenzionale in
sede di applicazione della procreazione medicalmente assistita, reputando sempre attuale il principio secondo
cui “una sola persona abbia diritto ad essere menzionata come madre nell’atto di nascita, in virtù di un rap-
porto di filiazione che presuppone il legame biologico e/o genetico con il nato”. E ciò pure con l’eviden-
ziazione dei tratti distintivi – dal punto di vista delle esigenze di tutela dell’interesse del procreato – della si-
tuazione considerata, rispetto a quella che si ricollega all’eventuale operatività dell’adozione, ovvero al rico-
noscimento di atti stranieri dichiarativi del rapporto di filiazione tra due donne: situazione, quest’ultima, cui,
comunque, non risulterebbe omologabile quella della coppia omosessuale maschile che abbia fatto ricorso
alla surrogazione di maternità (sostanzialmente nella stessa prospettiva Cass. 22-4-2020, n. 8029, nonché
23-8-2021, n. 23321, con l’esclusione, in particolare, del “ricorso alla nozione di ordine pubblico internazio-
nale”, trattandosi di “nato in Italia da una cittadina italiana” e, quindi, “in possesso della cittadinanza italia-
na”, con conseguente applicazione dei principi fondamentali nazionali in materia di filiazione). Peraltro, Trib.
Venezia 3-4-2019, in una situazione simile, ha sollecitato l’intervento della Corte costituzionale, in ordine
alla (reputata) impossibilità, per due donne che abbiano fatto ricorso alla procreazione medicalmente assi-
stita, di risultare (anagraficamente) come “genitori” del nato. Al riguardo, Corte cost. 4-11-2020, n. 230,
ha concluso che “se il riconoscimento della omogenitorialità, all’interno di un rapporto tra due donne uni-
te civilmente, non è imposto dagli evocati precetti costituzionali” – con conseguente dichiarazione di
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale – “vero è anche che tali parametri neppure so-
no chiusi a soluzioni di segno diverso, in base alle valutazioni che il legislatore potrà dare alla fenomenolo-
gia considerata” (anche alla luce dell’essere stata “l’annotazione di una duplice genitorialità femminile ri-
conosciuta dalla giurisprudenza non contraria a principi di ordine pubblico”). L’interesse del minore, poi,
viene considerato comunque sufficientemente tutelato dalla possibilità di adozione in casi particolari in
favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore, ai sensi dell’art. 441, lett. d, L.
184/1983. È da sottolineare, in effetti, come al risultato dell’instaurazione di una relazione genitoriale giu-
ridicamente rilevante da parte di persone dello stesso sesso si sia giunti, oltre che attraverso il meccanismo
dell’adozione in casi particolari (e, in genere, della trascrizione di provvedimenti stranieri di adozione) (V,
4.8, nota 74), a seguito della trascrizione in Italia – sulla base di una nozione di ordine pubblico ristretta e
tale, quindi, da non essere a ciò di ostacolo – di atti di nascita formati all’estero, in ordinamenti dove risulta
consentito (come in Spagna e in Belgio) una simile c.d. co-genitorialità. Una trascrizione del genere è stata
reputata ammissibile da Cass. 30-9-2016, n. 19599 (e v. anche Trib. Napoli 6-12-2016), in considerazione
sia del diritto del minore “a conservare lo status di figlio, riconosciutogli da un atto validamente formato
in un altro Paese dell’Unione Europea”, sia dell’interesse del figlio “ad avere due genitori e non uno solo”
(oltretutto alla luce, nel caso di specie, dei sussistenti legami genetici, trattandosi di figlio partorito da una
donna coniugata con altra donna in Spagna, a seguito della donazione di ovulo da parte di quest’ultima),
nell’assenza, “a livello costituzionale”, di “un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere e anche
di generare figli”. In una simile prospettiva (di conferma, cioè, degli effetti giuridici altrove ricollegati a
nascite conseguenti ad “un progetto condiviso della coppia, espressione di affetto e di solidarietà recipro-
ca”), si è mossa pure Cass. 15-6-2017, n. 14878, in relazione ad un atto di nascita (inglese) di un minore,
partorito da una donna e considerato figlio anche della donna con lei coniugata (ma priva di legami biolo-
gici con il nato), non senza considerare rilevante, in materia, anche l’evoluzione che il nostro ordinamento
ha avuto con la L. 76/2016. Decisiva, ai fini della soluzione favorevole al recepimento nei registri di stato
civile italiani delle indicazioni emergenti dagli atti di nascita stranieri, è risultata la considerazione secondo
cui essa “non si pone in contrasto con l’ordine pubblico internazionale” (Cass. 23-8-2021, n. 23319). Co-
munque, sollecitata ancora ad intervenire da Trib. Padova 9-12-2019 (con riguardo, appunto, alla impos-
sibilità di far riconoscere, in assenza di un atto di nascita straniero da trascrivere, attraverso corrispondenti
risultanze anagrafiche la propria qualità genitoriale da parte della partner della madre biologica), la Corte
costituzionale (9-3-2021, n. 32), muovendosi nell’ottica esclusiva dell’interesse del minore, anche valoriz-
zando il finale richiamo di Corte cost. 230/2020 al doversi orientare il legislatore “in direzione di più pene-
CAP. 4 – FILIAZIONE 511

3. Accertamento della filiazione. – Per l’attribuzione dello stato di figlio 15, si con-
tinua a seguire il tradizionale indirizzo, tendente a valorizzare il rapporto coniugale della
madre: è considerato padre il marito della madre, se il concepimento o la nascita 16 sono
avvenute durante il matrimonio (presunzione di paternità: art. 231) 17.
Al fine di fissare il tempo del concepimento, è prevista una presunzione di conce-
pimento durante il matrimonio (art. 2321). Si presume – con una presunzione cor-
rentemente considerata assoluta – concepito durante il matrimonio il figlio nato non oltre
300 giorni dall’annullamento del matrimonio, dal relativo scioglimento (per morte o di-
vorzio), dalla separazione personale, ovvero dalla data dell’udienza di prima comparizio-
ne in tali giudizi (ove i coniugi siano stati autorizzati a vivere separatamente) (art. 2322).
Del nato dopo i 300 giorni, per il quale non opera tale presunzione, ciascuno dei coniugi
ed i loro eredi possono provare il concepimento durante il matrimonio (o la convivenza
nei casi considerati dall’art. 2322, concernenti la situazione conseguente alla separazione

tranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la ‘madre intenzionale’”, ha posto l’accento sulla
presenza di “una preoccupante lacuna dell’ordinamento nel garantire tutela ai minori e ai loro migliori
interessi”. In particolare, viene riconosciuta “l’insufficienza del ricorso all’adozione in casi particolari”
(per la sua attuale configurazione legislativa, inadeguata soprattutto in caso di crisi della coppia), chia-
mando, di conseguenza, il legislatore ad intervenire prontamente, onde “colmare il denunciato vuoto di
tutela”, in ordine al riconoscimento di “legami affettivi stabili … nei confronti della madre intenzionale”:
ciò attraverso “una riscrittura delle previsioni in materia di riconoscimento”, ovvero la “introduzione di
una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con una procedura tempestiva ed efficace, la pienezza dei
diritti connessi alla filiazione”. Nel sollecitare, allora, “un intervento del legislatore, che disciplini in modo
organico la condizione dei nati da PMA da coppie dello stesso sesso”, la Corte, conclusivamente, adombra
l’eventualità di un proprio intervento sostitutivo, dato che “non sarebbe più tollerabile il protrarsi
dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore”. Comunque,
App. Cagliari 16-4-2021, in motivato disaccordo con la giurisprudenza dianzi esaminata (e sulla base di
“una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8” L. 184/1983), ha senz’altro ammesso
l’annotazione sull’atto di nascita del riconoscimento da parte dell’altro genitore dello stesso sesso della
madre (partoriente). Sui problemi specificamente concernenti, in proposito, la maternità surrogata, v. in-
fra, V, 4.6, nota 56.
15
L’art. 7 D.Lgs. 154/2013 ha ristrutturato il titolo VII del libro I, espungendo, in particolare, dalla inti-
tolazione dei suoi capi (e dalle rubriche degli articoli) ogni allusione al carattere di legittimità dei figli (in rela-
zione alle previsioni in precedenza specificamente riferite alla filiazione legittima e già disciplinate, appunto,
nel capo I, intitolato “Della filiazione legittima”) e solo impiegando l’espressione “figli nati fuori del matri-
monio” con riferimento all’accertamento dello stato nei loro confronti (capo IV).
16
Con la previsione, ai fini dell’operatività della presunzione di paternità, anche della nascita durante il
matrimonio si è inteso superare la possibilità precedentemente accordata al marito di disconoscere la pater-
nità del figlio – pur “reputato legittimo” – nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebra-
zione del matrimonio (con conseguente revisione dell’art. 2321 e soppressione del previgente art. 233). Tale
nuova disciplina è stata, da Corte cost. 10-6-2014, n. 162, ritenuta significativa espressione di una “nuova
concezione della paternità”.
17
La presunzione, secondo un’opinione condivisa da Cass. 5-4-1996, n. 3194 e 27-8-1997, n. 8059 (la cui
terminologia è, ovviamente, quella riferita al quadro normativo previgente), opera solo “quando vi sia un
atto di nascita di figlio legittimo” (onde la rilevanza della formazione di tale atto e delle dichiarazioni rese a
tal fine). Invece, “ove la madre abbia dichiarato il figlio come naturale, resta esclusa l’operatività della pre-
sunzione e difetta lo status di figlio legittimo”, senza che sia necessario l’esercizio dell’azione di disconosci-
mento di paternità: ciò anche per permettere l’accertamento – volontario o giudiziale – “della paternità na-
turale di persona diversa dal marito”. Ovviamente, la presunzione in questione risulta posta fuori gioco an-
che nel caso in cui la madre, avvalendosi della possibilità accordata dall’art. 301 D.P.R. 396/2000, manifesti
la “volontà di non essere nominata”.
512 PARTE V – FAMIGLIA

personale) (art. 2341-2) 18. Il figlio può, comunque, proporre azione per provare di essere
stato concepito durante il matrimonio (art. 2343).
La prova della filiazione avviene attraverso l’atto di nascita (quale titolo dello stato)
(V, 4.2) e, in sua mancanza, dimostrando il continuo possesso di stato di figlio (art. 236) 19.
Quest’ultimo risulta da un serie di fatti, dai quali sia complessivamente consentito de-
sumere, per il soggetto, la relazione di filiazione e di parentela con la famiglia a cui pre-
tende di appartenere (art. 2371). Devono concorrere il trattamento (l’essere sempre stato
trattato come figlio, risultando assolti, nei suoi confronti, gli obblighi che la legge pone a
carico dei genitori), la fama (l’essere sempre stato considerato come figlio nei rapporti
sociali e riconosciuto come tale in famiglia, da intendere qui in una accezione allargata)
(art. 2372).
L’atto di nascita preclude, in linea di massima, la pretesa all’attribuzione di uno stato
diverso (art. 238): è necessario, a tal fine, l’esercizio di una delle azioni (definite azioni
di stato, in cui deve intervenire il pubblico ministero), che la legge prevede tassativa-
mente per l’accertamento, appunto, di uno stato diverso da quello risultante dall’atto di
nascita (con la sua conseguente modificazione).
a) La presunzione di paternità del marito (evidentemente con riferimento alla filiazio-
ne nel matrimonio) può essere vinta – in quanto presunzione relativa – con l’azione di
disconoscimento di paternità. L’azione si presenta ora disciplinata in modo diverso dal
passato, risultando superate, in particolare, le limitazioni previste in precedenza (ai sensi
dell’abrogato art. 235, contenente – in ossequio alla tradizionale operatività in materia
del favor legitimitatis: V, 4.1 – una elencazione, reputata tassativa, di casi), non a caso
intaccate dall’intervento della giurisprudenza costituzionale e di quella ordinaria 20. Nel
confermare, infatti, che l’azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel ma-
trimonio può essere esercitata, oltre che dal marito, anche dalla madre e dal figlio (art.
243 bis1), il legislatore ha optato per una formulazione elastica e comprensiva, richie-
dendo semplicemente che chi agisce provi (evidentemente con ogni mezzo, in particola-
re avvalendosi delle attuali acquisizioni della scienza) “che non sussiste rapporto di filia-
zione tra il figlio e il presunto padre” (art. 243 bis2). Si è ribadito, inoltre, che la sola di-

18
Non operando la presunzione di concepimento durante il matrimonio, ove al figlio nato oltre i trecento
giorni l’udienza presidenziale di separazione “sia stato attribuito impropriamente lo status di figlio nato nel
matrimonio”, il marito separato “può esercitare l’azione residuale e imprescrittibile di contestazione dello
stato di figlio” (“e non quella di disconoscimento di paternità, che presuppone l’operatività della presunzione
surrichiamata”: Cass. 21-2-2018, n. 4194, con una interpretazione – anche se non dichiaratamente – analogica
della disciplina dettata relativamente all’ambito dell’azione di contestazione: v. infra).
19
La disciplina del possesso di stato non viene riferita, come in precedenza, solo ai figli nati nel matrimo-
nio (come emerge anche dal collegamento sistematico con la nuova disciplina del reclamo e della contestazio-
ne dello stato di figlio).
20
Così, in relazione alla necessità – desumibile dal previgente art. 2351, n. 3 – della previa dimostrazio-
ne dell’adulterio, rispetto all’ammissione delle prove ematologiche e genetiche, Corte cost. 6-7-2006, n.
266, aveva reputato fondata la questione, valorizzando specificamente “i progressi della scienza biomedica
che, ormai, attraverso le prove genetiche od ematologiche, consentono di accertare la esistenza o la non
esistenza del rapporto di filiazione”. Facendo leva su tale decisione, in base di una “lettura costituzional-
mente orientata” dell’intero art. 2351, Cass. 6-6-2008, nn. 15088 e 15089, avevano sganciato, poi, la possi-
bilità del ricorso alla prova ematologica e genetica dalla “previa dimostrazione”, rispettivamente, del cela-
mento della gravidanza da parte della moglie e della impotenza del marito nel periodo compreso tra i 300
ed i 180 giorni prima della nascita.
CAP. 4 – FILIAZIONE 513

chiarazione della madre (in particolare, quindi, l’ammissione di avere commesso adulte-
rio) non vale ad escludere la paternità del marito (art. 243 bis3).
I termini per l’esercizio dell’azione – correntemente considerati di decadenza – sono
diversi a seconda del soggetto legittimato 21.
Il marito può agire entro un anno decorrente dalla nascita, quando egli si trovava
nel luogo di essa, ovvero, in caso di lontananza, dal giorno del suo ritorno (e, in ogni
caso, se prova di non aver avuto notizia della nascita al momento del ritorno, dal gior-
no in cui ne abbia avuto notizia). Se prova di avere ignorato la propria impotenza di
generare, ovvero l’adulterio della moglie al tempo del concepimento, il termine decor-
re solo dal giorno in cui ne abbia avuto conoscenza (art. 2442-3): così recependosi, in
sostanza, gli esiti della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale della previ-
gente disciplina 22.
La madre può agire entro sei mesi dalla nascita (art. 2441), ovvero – anche in questo caso
in applicazione di un orientamento della Corte costituzionale in ordine alla previgente disci-
plina 23 – dal giorno in cui sia venuta a conoscenza dell’impotenza di generare del marito.
Con una marcata valorizzazione dell’esigenza di certezza e stabilità dello status in pre-
cedenza acquisito dal figlio (e, quindi, in ossequio ad un favor minoris, visto come ostati-
vo ad una rilevanza del favor veritatis, tale da porre in pericolo un assetto relazionale

21
Gli artt. 245, 246 e 247 disciplinano, rispettivamente, la sospensione del termine in caso di interdizione
del legittimato, la trasmissibilità dell’azione in caso di sua morte, la legittimazione passiva.
22
La Corte costituzionale era, infatti, intervenuta due volte (6-5-1985, n. 134 e 14-5-1999, n. 170), argo-
mentando, in particolare, la rilevanza della conoscenza delle circostanze contrarie alla paternità dall’essere
venute, ormai, meno “le remore all’accertamento della verità biologica”, data l’avvenuta “equiparazione della
filiazione naturale a quella legittima” (col conseguente tramonto delle ragioni giustificative del favor legitimi-
tatis): “la crescente considerazione del favor veritatis” non si è ritenuta entrare in “conflitto con il favor mino-
ris”, dato che “la verità biologica della procreazione” risulta “componente essenziale dell’interesse del mede-
simo minore”, il suo “diritto alla propria identità” realizzandosi nella “affermazione di un rapporto di filiazio-
ne veridico”. Cass. 23-10-2008, n. 25623, aveva confermato che il termine annuale per la proposizione del-
l’azione – considerato di decadenza (e, come tale, rilevabile d’ufficio) – decorre dalla conoscenza, da parte del
marito, dell’adulterio della moglie (su di lui incombendo l’onere di provare la tempestività della proposta
azione). Cass. 30-5-2013, n. 13638, ha precisato che, anche in vista della – ancora attuale, pur nel bilancia-
mento con il favor veritatis – “necessità di garantire i valori inerenti alla certezza a alla stabilità degli status”, il
termine annuale di decadenza dall’azione “decorre dalla data di acquisizione della conoscenza dell’adulterio
della moglie e non da quella di raggiunta ‘certezza’ negativa della paternità biologica” (evidentemente in con-
seguenza di ulteriori approfondimenti bio-medici in sede extragiudiziale). Diversamente sembra, peraltro, più
di recente, Cass. 9-2-2018, n. 3263 (sostanzialmente seguita da Cass. 6-3-2019, n. 6517), la quale ha avallato le
conclusioni dei giudici d’appello, che avevano ricollegato la decorrenza del termine dall’acquisita “certezza”
in ordine all’adulterio – pur già in precedenza conosciuto – solo “all’esito dell’espletamento dell’esame del
Dna”. Nel ritenere introdotta nell’ordinamento, a seguito della L. 40/2004 (V, 3.6), “una nuova ipotesi, per
certi versi tipica, di disconoscimento”, Cass. 11-7-2012, n. 11644 (le cui conclusioni risultano avallate da Cass.
28-3-2017, n. 7965), ha ritenuto che l’azione possa essere esercitata dal coniuge non consenziente all’insemi-
nazione eterologa, decorrendo comunque il termine annuale di decadenza dal “momento in cui sia acquisita
la certezza del ricorso a tale metodo di procreazione”. Per Cass. 18-12-2017, n. 30294, una volta prestato, da
parte del marito, il consenso alla pratica di procreazione medicalmente assistita (inseminazione eterologa del-
la moglie), la relativa revoca, che l’art. 63 L. 40/2004 consente “fino al momento della fecondazione del-
l’ovulo”, successiva a tale momento deve ritenersi inefficace (ai fini dell’operatività dell’art. 91, preclusivo del-
l’esercizio di disconoscimento della paternità).
23
Corte cost. 14-5-1999, n. 170, aveva esteso anche alla madre la rilevanza, in proposito, del momento del-
la conoscenza dell’impotenza di generare del marito.
514 PARTE V – FAMIGLIA

ormai consolidato), si è preclusa – prevedendo un ulteriore termine di decadenza – la


possibilità di proporre, da parte della madre e del marito, l’azione di disconoscimento
oltre i cinque anni dal giorno della nascita (art. 2444) 24.
Essendo evidentemente prevista una simile limitazione temporale alla proponibilità
dell’azione nel suo interesse, il figlio non è stato ad essa assoggettato e, quindi, l’azione
si atteggia come per lui imprescrittibile (art. 2445) 25. Per il figlio minorenne, l’azione può
essere promossa da un curatore speciale, nominato dal tribunale (ordinario) su istanza
dello stesso minore che abbia compiuto i quattordici anni, ovvero del pubblico ministe-
ro, se di età inferiore (art. 2446) 26.
b) L’azione di reclamo dello stato di figlio può essere proposta, per far valere uno
stato di figlio diverso da quello emergente dall’atto di nascita, qualora vi siano state
supposizione di parto (quando, cioè, la donna indicata nell’atto di nascita come madre
non è tale) o sostituzione di neonato (art. 2391). Con riguardo alla filiazione nel matri-
monio, si prevede che l’azione di reclamo possa essere esercitata anche da chi sia nato
nel matrimonio, ma sia stato iscritto anagraficamente come figlio di ignoti (come acca-
de tipicamente quando la madre non abbia voluto essere nominata nell’atto di nascita)
(art. 2392, che fa salvo il caso di intervenuta sentenza di adozione). Si prevede pure,
sempre con riguardo alla filiazione nel matrimonio, che possa essere reclamato uno
stato di figlio conforme alla presunzione di paternità da chi sia stato riconosciuto in
contrasto con tale presunzione, nonché da chi sia stato iscritto anagraficamente in con-
formità di altra presunzione di paternità (art. 2393). Con riguardo al primo caso, si
pensi alla possibile – secondo la giurisprudenza – denuncia, da parte di donna coniu-
gata, del figlio come nato fuori del matrimonio, con conseguente suo riconoscimento
da parte di un terzo come proprio figlio; con riguardo alla seconda ipotesi, un conflitto
di presunzioni di paternità è ipotizzabile nel caso in cui la madre abbia contratto un
nuovo matrimonio in violazione del divieto temporaneo di nuove nozze (art. 89: V,
2.4). Caso particolare di reclamo dello stato di figlio nato nel matrimonio è quello, già
accennato, di cui all’art. 2343. Viene anche previsto, quale criterio finale di esercizio

24
Il termine in questione non viene esteso, peraltro, evidentemente per motivi di ragionevole opportunità,
all’ipotesi del marito lontano dal luogo della nascita al momento dell’evento.
25
Significativamente, Cass. 26-6-2014, n. 14557, ha ritenuto applicabile il nuovo regime anche ai giudizi
pendenti.
26
Tale ultima disposizione, introdotta dalla L. 4.5.1983, n. 184, per evitare possibili elusioni della disciplina
dell’adozione, è stata ritenuta costituzionalmente legittima da Corte cost. 27-11-1991, n. 429, ove interpretata nel
senso della necessaria valutazione, da parte del giudice (cui sia stata richiesta dal pubblico ministero la nomina
del curatore speciale), dell’interesse del minore all’esercizio dell’azione. È stata pure esclusa l’illegittimità della
mancata attribuzione al preteso padre naturale della possibilità di agire (che, quindi, potrà solo rivolgersi al pub-
blico ministero). Cass. 8-2-2012, n. 1784, ha senz’altro definito costui portatore “di un interesse di mero fatto”
(che, come tale, non lo legittima a intervenire nel procedimento di disconoscimento della paternità). Proprio con
riferimento alle azioni proposte dal curatore speciale, si è venuto ad affermare, nel contesto di una generale sem-
pre maggiore valorizzazione dell’interesse del minore nelle azioni di stato, l’indirizzo tendente ad affermare, ai fini
del relativo accoglimento o meno, la costante necessità, appunto, “di un accertamento in concreto dell’interesse
del minore … con riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di uno sviluppo
armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale” (Cass. 22-12-2016, n. 26767), senza, quin-
di, potersi conferire rilevanza decisiva a “considerazioni meramente economiche” (Cass. 6517/2019). In una si-
mile prospettiva, Cass. 3-4-2017, n. 8617, sottolinea che la “verifica” dell’interesse del minore debba essere sem-
pre “condotta in termini di attualità, anche in sede di appello”.
CAP. 4 – FILIAZIONE 515

dell’azione, che essa può essere esercitata, altresì, per reclamare un diverso stato di fi-
glio, quando il precedente sia stato comunque rimosso (art. 2394).
È da sottolineare che, ove il soggetto risulti avere uno stato di figlio diverso da quello re-
clamato, dovrà preventivamente rimuovere tale stato mediante l’esercizio (è da ritenere pure
contestuale) delle opportune azioni (di contestazione dello stato di figlio o impugnazione
del riconoscimento). L’azione spetta al figlio (art. 2491) ed è imprescrittibile (art. 2492).
c) L’azione di contestazione dello stato di figlio, che è imprescrittibile (art. 2482), spet-
ta a chi, dall’atto di nascita, risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse (art. 2481).
Il legislatore, evidentemente per risolvere l’incertezza che ne ha da sempre caratterizzato
la portata, la dichiara esercitabile nei (soli) casi in cui l’art. 2391-2 ammette l’azione di re-
clamo dello stato di figlio (art. 240: supra, lett. b), non mancando, peraltro, interpreta-
zioni in senso estensivo del relativo ambito (in particolare, con riguardo al caso di man-
canza del matrimonio dei genitori o di non concepimento durante il matrimonio). L’a-
zione in esame, comunque, si ritiene aver carattere residuale 27.
Sul piano della prova della filiazione, infine, il nuovo art. 241, superando le limi-
tazioni del previgente sistema, ha senz’altro ammesso, in mancanza dell’atto di nascita e
del possesso di stato, la possibilità di fornirla in giudizio con ogni mezzo.

4. Accertamento della filiazione fuori del matrimonio. – L’attribuzione dello stato di


figlio, nel caso di nascita fuori del matrimonio, avviene o con un atto di accertamento volon-
tario della procreazione da parte del genitore (riconoscimento) o con un accertamento giu-
diziale (dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità) di tale fatto 28.
La dichiarazione giudiziale della filiazione fuori del matrimonio produce gli stessi ef-
fetti del riconoscimento (art. 2771) e, quindi, l’attribuzione dello status di figlio, inteso
nella sua unitarietà, ai sensi dell’art. 315, anche con riguardo all’instaurazione del vincolo
di parentela (art. 2581, con riferimento al nuovo art. 74).
a) Discussa è la natura del riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio. Di fronte
al vero e proprio diritto del generato allo stato di figlio, data l’attuale possibilità di espe-
rire l’azione di dichiarazione giudiziale senza i tradizionali limiti, è da negare, ormai, una
sua efficacia costitutiva dello stato. Esso si presenta, quindi, come atto volontario inqua-
drabile, pur con le peculiarità che gli sono proprie (per la natura degli interessi che coin-

27
Con ciò, Cass. 8-9-1995, n. 9463, vuole intendere che essa concerne solo “le contestazioni diverse dalla
paternità” (per la cui negazione risulta, insomma, esperibile esclusivamente l’azione di disconoscimento). Cass.
21-2-2018, n. 4194, peraltro, ha precisato che è con questa azione che deve agire il marito separato, nel caso
in cui al figlio – nato oltre trecento giorni dopo l’udienza presidenziale del giudizio di separazione – sia stato
attribuito impropriamente (non operando in tal caso la presunzione di paternità di cui all’art. 2321) lo status
di figlio nato nel matrimonio (e non con quella di disconoscimento di paternità, che presuppone l’operatività
della relativa presunzione). In particolare (con riferimento alle categorie previgenti), non è esercitabile dal
preteso padre naturale “del figlio che, nato da madre coniugata, abbia lo stato di figlio legittimo del marito di
questa, in forza dell’atto di nascita … per contrastare tale paternità legittima” (Cass. 24-3-2000, n. 3529).
28
Peraltro, il peso dell’accertamento formale in questione sembra risultare sempre più eroso, come attesta
la tendenza a ritenere “l’obbligazione di mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio … collegata allo
status genitoriale”, sorgendo essa “con la nascita per il solo fatto di averli generati” (Cass. 22-7-2014, n. 16657,
che ravvisa nel disinteresse del genitore “gli estremi dell’illecito civile”). Circa il necessario rimborso delle
spese sostenute per il mantenimento del figlio a carico del genitore di cui sia stata successivamente accertata
la paternità, v. Trib. Roma 26-2-2016 (che dispone anche il risarcimento del danno non patrimoniale a favore
della madre, “per aver dovuto crescere un figlio “nella colpevole assenza del padre”).
516 PARTE V – FAMIGLIA

volge ed in quanto punto di riferimento di una specifica, alquanto dettagliata, discipli-


na), nella categoria del negozio di accertamento.
Si tratta di un atto unilaterale, pur se può avvenire congiuntamente da parte dei due
genitori (art. 2501), sempre personalissimo. La sua irrevocabilità è così marcata da farlo
sopravvivere, addirittura, alla revoca del testamento in cui sia eventualmente contenuto
(art. 256). Si tratta di atto puro, come emerge dall’art. 257, che dichiara nulle – senza, pe-
raltro, che ne risulti viziato l’atto – le clausole (quindi, anche condizione e termine) di-
rette a limitarne gli effetti.
Già con la riforma del 1975 era venuto meno il divieto di riconoscimento da parte di
chi fosse coniugato, al tempo del concepimento, con persona diversa dall’altro genitore
(c.d. filiazione adulterina) (art. 2501): barriera invalicabile eretta, in precedenza, a tutela
degli interessi (essenzialmente economici) della famiglia legittima (e del suo “capo”). Era
rimasto (quale unica ipotesi, dunque, di irriconoscibilità), invece, il divieto relativo ai figli
incestuosi (con una limitata eccezione in conseguenza dell’eventuale buona fede dei geni-
tori e previa autorizzazione giudiziale). Con riguardo ai figli che si trovino nella corri-
spondente condizione, in quanto nati da persone legate da un vincolo di parentela in li-
nea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado (fratelli e sorelle), ovvero di
affinità in linea retta, il nuovo art. 251 (che ha eliminato anche ogni riferimento – indub-
biamente odioso per il figlio – alla previgente terminologia) ha ammesso la possibilità del
riconoscimento. La necessità della previa autorizzazione giudiziale (in caso di minore di
competenza del tribunale per i minorenni: art. 2511-2 e art. 381 disp. att.) – “avuto riguar-
do all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio” – vale
a chiarire come decisiva in materia non possa che essere la protezione della personalità
del figlio, di fronte ai rischi connessi alla divulgazione della sua origine.
Per effettuare il riconoscimento, il genitore deve avere compiuto i sedici anni: art.
2505, che ammette anche la possibilità di autorizzazione giudiziale ad una età inferiore,
“valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio”. La preminente rilevanza
accordata – pur eventualmente in contrasto col favor veritatis – all’interesse del figlio al
riconoscimento (e, quindi, alla instaurazione del rapporto di filiazione col genitore) e-
merge anche nella previsione secondo cui il riconoscimento del figlio che abbia compiu-
to i quattordici anni resta inefficace senza il suo assenso (art. 2502). Inoltre, il (secondo)
riconoscimento del figlio infraquattordicenne non può avvenire (è inefficace) senza il con-
senso dell’altro genitore che già lo abbia riconosciuto (art. 2503). In caso di rifiuto del
consenso, il genitore che intenda effettuare il riconoscimento – diffusamente reputato tito-
lare, al riguardo, di un proprio diritto costituzionalmente garantito (c.d. diritto alla genito-
rialità) – può rivolgersi al tribunale, il quale, con le modalità procedimentali previste 29,
autorizzerà il riconoscimento, evidentemente se lo ritenga rispondente, in concreto, al-
l’interesse del figlio (art. 2504) 30.

29
In particolare, disponendo, nel giudizio che consegue all’opposizione del genitore che per primo lo ha
riconosciuto, l’audizione del minore, se dodicenne, o anche di età inferiore se capace di discernimento (IV,
1.7). Corte cost. 11-3-2011, n. 83, ha riconosciuto al minore, in detto giudizio (essendo qui in gioco “l’ac-
certamento del rapporto genitoriale con tutte le implicazioni connesse”), la qualità di parte, con le connesse
prerogative di rappresentanza sostanziale e processuale.
30
Posto che “l’interesse del minore al riconoscimento da parte di entrambi i genitori naturali si presume”,
avendo il figlio “diritto al riconoscimento del proprio status filiationis e alla propria identità biologica” (quale
CAP. 4 – FILIAZIONE 517

Il riconoscimento può avvenire anche prima della nascita. Il riconoscimento del nasci-
turo da parte del padre può avvenire o contestualmente a quello della gestante o dopo il
riconoscimento di quest’ultima (e col suo consenso, ai sensi dell’art. 2503) (art. 44 D.P.R.
3.11.2000, n. 396). È ammesso anche, nell’interesse dei suoi discendenti, il riconoscimento
del figlio premorto (art. 255).
Il riconoscimento è atto formale. Esso può avvenire: nell’atto di nascita (con dichiara-
zione resa all’ufficiale dello stato civile); con dichiarazione al momento del matrimonio
(inserita nell’atto di matrimonio: art. 64 D.P.R. 396/2000); con apposita dichiarazione re-
sa all’ufficiale dello stato civile o ad un notaio; in un testamento, qualunque sia la relativa
forma (art. 2541). In tale ultima ipotesi, il riconoscimento – avente effetto dal giorno del-
la morte del testatore – ha valore di atto autonomo (solo incluso nel testamento), onde la
sua irrevocabilità, nonostante l’eventuale revoca del testamento (art. 256).
Il riconoscimento è inammissibile (e, quindi, inefficace) se in contrasto con il già esi-
stente stato di figlio (art. 253). Esso può essere impugnato per violenza (dall’autore del
riconoscimento, entro un anno dalla cessazione della violenza o dal conseguimento del-
l’età maggiore, se l’autore è minore: art. 265), per interdizione giudiziale 31 (dal rappre-
sentante dell’interdetto o dallo stesso autore dopo la revoca dell’interdizione, entro un
anno da essa: art. 266), per difetto di veridicità (art. 263). In tale ultimo caso, l’azione
può essere proposta dal suo autore, dal riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse 32.

“elemento costitutivo della sua identità personale”), e che anche “il diritto del genitore ad effettuare il ricono-
scimento è un diritto soggettivo primario, che trova le sue fonti nell’art. 30 Cost.”, Cass. 27-5-2008, n. 13830,
ha concluso che, data “la concorrenza di questi due diritti primari”, “l’uno o l’altro possono essere sacrificati
solo nel caso in cui venga dimostrata l’esistenza di fatti gravi e irreversibili, caratterizzati da connotazione di
eccezionalità, tali da far ritenere che il riconoscimento da parte del genitore naturale potrebbe compromettere
seriamente lo sviluppo psicofisico del minore” (sostanzialmente analoghi sviluppi in Cass. 30-7-2014, n. 17277 e
in Cass. 2-2-2018, n. 4763, che reputa non ostative anche condotte moralmente censurabili o pendenze penali,
accordando rilievo, piuttosto, all’accertamento di “gravi carenze come figura genitoriale”; per Cass. 14-2-2019, n.
4526, non assumerebbe rilievo neppure l’essere stato mosso l’autore “dal proposito di conseguire vantaggi per-
sonali, quanto all’ottenimento del permesso di soggiorno”; ma eventualmente ostativa è stata riconosciuta
l’“abituale condotta prevaricatrice e violenta” del padre biologico: Cass. 30-6-2021, n. 18600). Circa l’aggiunta,
in ipotesi di secondo riconoscimento paterno, del patronimico al cognome della madre, Cass. 16-1-2020, n. 772
ne ha ammessa la legittimità, “purché non gli arrechi pregiudizio in ragione della cattiva reputazione del padre e
purché non sia lesivo della sua identità personale, ove questa si sia definitivamente consolidata con l’uso del solo
matronimico nella trama dei rapporti personali e sociali”. In tale contesto (tendente, insomma, a rendere sostan-
zialmente eccezionale la preclusione del secondo riconoscimento), ovviamente, “l’audizione del minore assume
un particolare rilievo” (Cass. 27-3-2017, n. 7762).
31
È controversa l’ammissibilità dell’impugnazione del riconoscimento anche per incapacità naturale. Cass.
8-10-1970, n. 1869, contro l’avviso di parte della dottrina, non la ritiene consentita: resterebbe possibile, se
del caso, come in ipotesi di errore (e di dolo), solo l’impugnazione per difetto di veridicità.
32
La giurisprudenza ha tradizionalmente condiviso la tesi, secondo la quale l’impugnazione “è ammessa in
ogni caso in cui il riconoscimento sia obiettivamente non veridico” e, quindi, pure da parte di chi, in malafede, lo
abbia “effettuato con la consapevolezza dell’altrui paternità” (Cass. 24-5-1991, n. 5886, avallata, da ultimo, da
Cass. 21-2-2019, n. 5242). Comunque, essa ha accordato, in tal caso (c.d. riconoscimento di compiacenza), al figlio
successivamente rinnegato una tutela risarcitoria, per la “lesione al diritto all’identità personale” (Cass. 31-7-2015, n.
16222). Peraltro, non si è mancato di concludere – nel caso in cui, appunto, “il riconoscimento sia stato effettua-
to nella piena consapevolezza della sua falsità biologica” – nel senso della relativa irretrattabilità “non solo da chi
lo ha effettuato … ma anche da parte dei terzi” (così, in contrasto con l’accennato orientamento, sulla base di
una “interpretazione costituzionalmente orientata”, Trib. Roma 5-10-2012 e Trib. Firenze 30-7-2015). La Corte
costituzionale (25-6-2020, n. 127), richiamandosi alle conclusioni della propria precedente pronuncia n.
272/2017 (v. infra), ha giudicato infondata la relativa questione di legittimità costituzionale, ritenendo che, pure
518 PARTE V – FAMIGLIA

Durante la minore età, l’impugnazione per difetto di veridicità può essere promossa da
un curatore speciale (art. 264) 33. La imprescrittibilità dell’azione – a differenza di quanto
originariamente previsto – risulta ora disposta esclusivamente riguardo al figlio: in so-
stanziale analogia con quanto previsto per l’azione di disconoscimento di paternità, l’au-
tore del riconoscimento lo può impugnare solo entro un anno (dall’annotazione del rico-
noscimento sull’atto di nascita), salvo che provi di avere ignorato la propria impotenza al
tempo del concepimento, il termine decorrendo, allora, dalla relativa conoscenza (analo-
go regime si applica anche alla madre che, a sua volta, abbia effettuato il riconoscimen-
to). Comunque – e ciò vale anche per gli altri legittimati – l’azione non può essere pro-
posta oltre i cinque anni dall’annotazione del riconoscimento 34.

“nel caso dell’impugnazione del riconoscimento consapevolmente falso da parte del suo autore”, occorra –
nell’ormai consolidata ottica secondo cui è sempre necessario “bilanciare la verità del concepimento con l’in-
teresse concreto del figlio alla conservazione dello status acquisito” – evitare soluzioni costituenti “il risultato di
una valutazione astratta e predeterminata”, operando, piuttosto, ai fini dell’accoglimento dell’azione, “una razio-
nale comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti” (con riguar-
do, in particolare, alla “durata del rapporto di filiazione e del consolidamento della condizione identitaria acqui-
sita per effetto del falso riconoscimento”). Circa la legittimazione alla impugnazione, Cass. 22-11-1995, n. 12085,
ha ritenuto, in particolare, ammissibile anche l’azione del vero genitore. Quanto alla prova da fornire, il prece-
dente indirizzo tendente ad irrigidirne particolarmente il regime (richiedendo il raggiungimento della prova del-
l’“assoluta impossibilità di concepimento”: ad es., Cass. 11-9-2015, n. 17970) risulta superato da Cass. 14-12-2017,
n. 30122 e 10-7-2018, n. 18140 (col richiamo ai criteri considerati operanti per ogni altra azione di stato). La di-
sciplina dell’azione in questione (dato che la “verità del rapporto di filiazione” rappresenta “un valore necessa-
riamente da tutelare … in funzione di un’imprescindibile esigenza di certezza dei rapporti di filiazione” e “la
falsità del riconoscimento lede il diritto del minore alla propria identità”) era stata ritenuta costituzionalmente
legittima da Corte cost. 22-4-1997, n. 112, pure sotto il profilo della relativa (previgente) generalizzata imprescrit-
tibilità (in ordine alla quale, neanche Corte cost. 12-1-2012, n. 7, aveva ritenuto di potere intervenire, trattandosi
di materia la cui disciplina è riservata al legislatore). Con riguardo ad un caso di surrogazione di maternità (e,
quindi, di impugnazione dell’avvenuto riconoscimento da parte della c.d. madre sociale o committente), App.
Milano, ord. 25-7-2017 ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 263, in quanto, “prescindendo dalla
valutazione in concreto dell’interesse del minore a conservare lo status acquisito”, avrebbe “una funzione sanzio-
natoria”, inammissibile proprio perché finisce col riflettersi sul figlio”. Corte cost. 18-12-2017, n. 272, ha conclu-
so nel senso della infondatezza della questione, una volta ritenuto, però, che, anche in relazione all’azione di cui
all’art. 263, salvo che in caso di azione proposta dal figlio stesso, si debba comunque operare un bilanciamento
tra le esigenze in gioco, attraverso “un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità
dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore” (ai
cui fini si deve tener conto, senza automatismi, di “variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o
falso”, quali “oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi alla condizione identitaria già da esso
acquisita”, “le modalità del concepimento e della gestazione e la presenza di strumenti legali che consentano la
costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, che pur diverso da quello derivante dal riconosci-
mento, quale è l’adozione in casi particolari, garantisca al minore un’adeguata tutela”: una valutazione compara-
tiva cui non può rimanere estranea “la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento
riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale”).
33
La relativa istanza può provenire dal figlio stesso che abbia compiuto il quattordicesimo anno, ovvero dal
pubblico ministero o dall’altro genitore che abbia riconosciuto il figlio, quando si tratti di figlio di età inferiore.
L’art. 74 L. 4.5.1983, n. 184, per evitare elusioni delle regole in materia di adozione attraverso falsi riconoscimenti,
ha prescritto la comunicazione al tribunale per i minorenni, da parte dell’ufficiale dello stato civile, del ricono-
scimento ad opera di persona coniugata di un figlio nato fuori del matrimonio non riconosciuto dall’altro genito-
re. Nel caso in cui, ad esito delle opportune indagini, vi siano fondati motivi di non veridicità del riconoscimen-
to, il tribunale, anche d’ufficio, nomina un curatore speciale per l’esercizio dell’azione.
34
Corte cost. 25-6-2021, n. 133 ha concluso nel senso della illegittimità costituzionale dell’art. 2633, “nella
parte in cui non prevede che, per l’autore del riconoscimento, il termine annuale per proporre l’azione di im-
pugnazione decorra dal giorno in cui ha avuto conoscenza della non paternità” (“qualsivoglia ragione l’abbia
CAP. 4 – FILIAZIONE 519

b) Nel codice civile del 1865, la dichiarazione giudiziale della paternità era ammessa
solo in caso di ratto o di stupro. In quello del 1942, si provvide ad un allargamento dei
casi di esperibilità dell’azione, che rimasero, comunque, tassativi. Per la preminente rile-
vanza accordata all’interesse del figlio a godere dello stato che gli compete in dipendenza
della procreazione, già con la riforma del 1975 è stato sancito il principio per cui la di-
chiarazione giudiziale della paternità e della maternità è consentita in tutti i casi in cui è
ammesso il riconoscimento (art. 2691), potendo la relativa prova essere fornita con ogni
mezzo (art. 2692) 35. Il nuovo art. 278, poi, ha previsto che, nel caso in cui ricorra la situa-
zione considerata nell’art. 251 (supra, lett. a), la soluzione sia la medesima e, quindi, oc-
corra l’autorizzazione giudiziale per promuovere l’azione 36. Al figlio, così, sembra effet-
tivamente riconosciuto un vero e proprio diritto a vedere accertato il suo stato 37.
La maternità è dimostrata provando l’identità di chi si pretende essere figlio e di
colui che fu partorito dalla donna che si pretende essere madre (art. 2693) 38. La sola di-
chiarazione della madre e la sola esistenza di suoi rapporti col preteso padre all’epoca
del concepimento non costituiscono prova della paternità (art. 2694), in considerazione
dell’eventualità di una pluralità di partners.
Il giudice gode di ampia discrezionalità in relazione all’ammissione e valutazione dei
mezzi di prova (art. 2693). Dato che i progressi scientifici hanno reso altamente attendibi-

determinata”): ciò, in particolare, per la diversità di trattamento rispetto a quanto consentito al padre coniu-
gato per l’esercizio dell’azione di disconoscimento di paternità, ai sensi dell’art. 2442-3 (v. supra, V, 4.3). In-
fondata, invece, è stata reputa la questione concernente la preclusione dell’azione una volta che siano trascor-
si cinque anni dall’annotazione del riconoscimento: operando una simile decadenza solo dopo “un così lungo
decorso del tempo”, l’avvenuto consolidamento dello status filiationis giustifica, in effetti, “che la prevalenza
di tale interesse sia risolta in via automatica dalla fattispecie normativa” (anche perché “l’interesse a far valere
la verità biologica … può essere fatto valere dallo stesso figlio, per il quale l’azione di impugnazione del rico-
noscimento risulta imprescrittibile”.
35
Si sottolinea che “la giurisprudenza è univoca nell’affermare che, nell’ipotesi di nascita per fecondazio-
ne naturale, la paternità è attribuita come conseguenza del concepimento, sicché è esclusivamente decisivo
l’elemento biologico, non occorrendo anche una cosciente volontà di procreare del presunto padre” (dato “il
principio della responsabilità che necessariamente accompagna ogni comportamento potenzialmente procrea-
tivo”: Cass. 25-9-2013, n. 21882). Cass. 13-12-2018, n. 32308, ha considerato manifestamente infondati i
dubbi di illegittimità costituzionale della disciplina in esame, laddove “attribuisce la paternità naturale in base
al mero dato biologico, senza alcun riguardo alla volontà contraria alla procreazione del presunto padre”.
36
I limiti ancora posti all’esercizio dell’azione erano stati rimossi da Corte cost. 28-11-2002, n. 494, che
aveva riconosciuto lesiva del figlio, in quanto non responsabile, e del suo interesse, unico da considerare rile-
vante, la discriminazione nei confronti di costui, legata al carattere incestuoso della filiazione. Il suo interesse
al relativo accertamento, infatti, risultando comunque protetto, dato che solo a lui è riconosciuta l’iniziativa
(art. 270) e, in caso di minore, occorre il suo consenso (se già in età tale da poterlo esprimere) o la valutazione
di rispondenza al suo interesse dell’azione.
37
Proprio in una simile prospettiva, si è affermato un indirizzo tendente ad ammettere il risarcimento del
danno non patrimoniale – talvolta definito “da privazione della figura genitoriale” – subito dal figlio per la
(colpevole) carente partecipazione del genitore, fin dall’inizio, alla sua vita (V, 2.9, nel contesto della proble-
matica del c.d. illecito endofamiliare).
38
Nega, peraltro, che tale regola costituisca “principio fondamentale di rango costituzionale”, Cass.
30-9-2016, n. 19599 (in vista del riconoscimento in Italia di un atto di nascita straniero da genitori dello stesso
sesso: V, 4.8). Facendo sostanzialmente applicazione dei recenti approdi in materia di anonimato della madre (V,
4.2 e 4.8), Cass. 22-9-2020, n. 19824 ha precisato che l’azione di accertamento della maternità ex art. 269, “ove la
madre abbia esercitato il diritto al c.d. parto anonimo, è sottoposta alla condizione della revoca della rinuncia
alla genitorialità giuridica da parte della madre, ovvero della morte di quest’ultima, non essendovi più in en-
trambi i casi elementi ostativi per la conoscenza del rapporto di filiazione”.
520 PARTE V – FAMIGLIA

li i risultati delle prove ematologiche e genetiche, queste hanno finito con l’assumere un
ruolo di primo piano (e spesso decisivo): il rifiuto ingiustificato di sottoporsi ad esse è
valutabile come significativo elemento di prova (ai sensi dell’art. 1162 c.p.c.) 39. Il giudice,
comunque, può fondare il proprio convincimento anche altrimenti (pure escludendo, quin-
di, tale genere di prove) 40.
L’azione è considerata imprescrittibile per il figlio (art. 2701) 41 e può essere proseguita,
dopo la sua morte, dai suoi discendenti (art. 2703); può anche essere promossa da costoro
dopo la sua morte entro due anni (art. 2702) 42. L’azione può essere promossa, nell’inte-
resse del minore, dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale su di lui (avendolo
già riconosciuto) o dal tutore (con l’autorizzazione giudiziale) (art. 2731). Per promuovere
o proseguire l’azione, se il figlio ha compiuto i quattordici anni, occorre il suo consenso
(art. 2732). Nel caso di minore infraquattordicenne, spetta al tribunale preliminarmente va-
lutare la corrispondenza dell’azione promossa dal genitore all’interesse del figlio 43.
Il giudizio di ammissibilità dell’azione, originariamente previsto dall’art. 274, era stato
piegato anche a tale finalità dalla Corte costituzionale 44. La riforma del 1975 aveva la-
sciato sopravvivere, in effetti, una simile fase preliminare (ritenuta costituire autonomo

39
In tal senso, ad es., Cass. 21-5-2014, n. 11223. Cass. 5-6-2018, n. 14458, ha reputato manifestamente in-
fondata una questione di legittimità costituzionale sollevata in proposito. Il peso anche determinante di tale
condotta processuale, “posta in correlazione con le dichiarazioni della madre”, risulta evidenziato da Cass.
9-4-2009, n. 8733. Si precisa che, data la non sussistenza “di un ordine gerarchico delle prove riguardanti l’ac-
certamento giudiziale della paternità e maternità”, “il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami
ematologici … può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell’art. 1162 c.p.c, anche in assenza della
prova dei rapporti sessuali tra le parti” (Cass. 28-3-2017, n. 7958).
40
Rilevanza è accordata, a tal fine, in particolare, alla convivenza more uxorio dei genitori ed al possesso
di stato da parte del figlio. Cass. 3-4-2007, n. 8355, prospetta l’opportuna integrazione, a fini probatori, di
“risultanze probatorie di valore indiziario” e degli “esiti della consulenza tecnica” relativa alle “prove emato-
logiche e genetiche” (per la cui efficacia, v. Cass. 25-3-2015, n. 6025, purché effettuate nel rispetto delle c.d.
“linee guida” in materia: Cass. 31-7-2015, n. 16229).
41
Cass. 29-11-2016, n. 24292, ha considerato manifestamente infondata la relativa questione di legittimità
costituzionale, costituendo “il diritto del figlio ad uno status filiale corrispondente alla verità biologica … una
delle componenti più rilevanti del diritto all’identità personale che accompagna senza soluzione di continuità
la vita individuale e relazionale, non soltanto nella minore età, ma in tutto il suo svolgersi”.
42
L’art. 276, nel disporre che la domanda deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in
sua mancanza dei suoi eredi, ha ora previsto pure che, in mancanza di questi ultimi, essa debba essere propo-
sta nei confronti di un curatore speciale nominato dal giudice (ovviando, così, alla possibile situazione di
inammissibilità dell’azione in cui si risolveva la rigorosa interpretazione di Cass., sez. un., 3-11-2005, n.
21287). La nuova disciplina è stata ritenuta applicabile, sulla base di ampie considerazioni circa la ratio della
riforma, anche ai giudizi pendenti alla sua entrata in vigore (Cass. 19-9-2014, n. 19790). Cass. 24-1-2020, n.
1667 ha reputato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 270, “nella parte
in cui prevede termini differenziati, quando l’azione sia proposta dal figlio o dai suoi discendenti dopo la sua
morte”, per “l’evidente disomogeneità delle situazioni considerate”.
43
Al riguardo, la contrarietà all’interesse del figlio viene reputata sussistere “solo in caso di concreto ac-
certamento di una condotta del preteso padre che sarebbe tale da giustificare una dichiarazione di decadenza
dalla responsabilità genitoriale, ovvero della prova dell’esistenza di gravi rischi per l’equilibrio affettivo e psi-
cologico del minore e per la sua collocazione sociale” (senza che rilevino, in particolare, “le intenzioni mani-
festate dal presunto genitore di non voler comunque adempiere i doveri morali inerenti la responsabilità geni-
toriale”: Cass. 21-6-2018, n. 16356).
44
Ragionando nella prospettiva dell’art. 2504, Corte cost. 20-7-1990, n. 341, aveva allargato, cioè, la porta-
ta di tale giudizio anche al controllo della “convenienza al minore dell’accertamento formale del rapporto di
filiazione”.
CAP. 4 – FILIAZIONE 521

procedimento contenzioso), tradizionalmente destinata a verificare il carattere non teme-


rario o, addirittura, ricattatorio nei confronti del convenuto – la sussistenza, insomma,
del c.d. fumus boni iuris – dell’azione. La duplicazione delle attività e l’allungamento dei
tempi conseguenti alla previsione di un giudizio (pur sommario) sull’ammissibilità dell’a-
zione sono stati oggetto di serrata critica, giungendosi, infine, alla dichiarazione di illegit-
timità costituzionale della norma 45.
Al divieto di indagini sulla paternità e maternità naturali in caso di filiazione incestuosa
irriconoscibile si coordinava originariamente la previsione – attuativa del principio dell’art.
301 Cost. – della possibilità, per il figlio, “in ogni caso in cui non può proporsi l’azione per
la dichiarazione di paternità o maternità”, di agire (previa autorizzazione giudiziale) per
ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione (e se maggiorenne in stato di bisogno,
gli alimenti) (art. 279): senza costituire, così, lo stato di filiazione, essendo escluso, in parti-
colare, l’acquisto, da parte del soggetto dichiarato obbligato, di qualsiasi diritto o potestà
nei confronti del figlio. Il sostanziale superamento del divieto sembra finire col limitare il
ruolo della – pur ora mantenuta – azione a situazioni del tutto marginali 46.

5. Legittimazione dei figli (cenni storici). – L’unificazione dello status di figlio ha


comportato, per coerenza, la soppressione della sezione II, capo II, titolo VII del libro
primo, relativa al tradizionale istituto della legittimazione dei figli naturali (art.
110 L. 219/2012). Istituto, questo, di evidente notevole importanza in un sistema, come
quello originario del codice civile, che discriminava incisivamente la posizione dei figli
nati fuori del matrimonio rispetto a quella dei figli nati nel matrimonio, ma di rilevanza
già marginale a seguito della relativa sostanziale equiparazione, a seguito della riforma
del 1975. La legittimazione, in effetti, valeva ad attribuire “a colui che è nato fuori del
matrimonio la qualità di figlio legittimo” (“per susseguente matrimonio dei genitori”:
abrogato art. 2801-2), consentendo di superare ogni residua differenza ancora riscontrabi-
le tra lo stato dei figli: in particolare, quella dipendente dall’instaurare la filiazione fuori
del matrimonio effetti solo riguardo al genitore nei cui confronti l’accertamento stesso
fosse avvenuto (originario art. 2581) (negandosi, infatti, l’instaurazione – pure con i ri-
flessi successori – di un generale rapporto di parentela con i relativi congiunti).

6. Procreazione medicalmente assistita. – La possibilità, offerta dal progresso scienti-


fico, di intervenire nel processo riproduttivo ha determinato l’insorgere di ovvi problemi
in ordine allo stato dei figli così generati. Di fronte alla vasta gamma delle situazioni cui
può dar luogo la combinazione artificiale dei fattori della riproduzione (gameti maschili
e femminili), arduo è il compito del legislatore e dell’interprete, comunque destinato a

45
Cass. 4-7-2003, n. 10625, aveva sollecitato un giudizio di legittimità costituzionale, per il carattere inu-
tilmente defatigatorio della procedura. La questione, giudicata inammissibile da Corte cost. 11-6-2004, n.
169, fu accolta da Corte cost. 10-2-2006, n. 50, che ha ritenuto il giudizio di ammissibilità – soprattutto aven-
done la “evoluzione della disciplina procedimentale totalmente vanificato la funzione in vista della quale tale
giudizio era stato originariamente previsto” – “un inutile duplicato idoneo solo a favorire istanze dilatorie”
(precisando che l’esigenza della rispondenza dell’azione all’interesse del minore “potrà essere eventualmente
delibata prima dell’accertamento della fondatezza dell’azione di merito”).
46
A parte il caso di mancata autorizzazione giudiziale al riconoscimento, ai sensi dell’art. 251, si ipotizza di ri-
tenere, in proposito, consentito al figlio non riconosciuto optare – sulla base di personali scelte di convenienza –
per far valere i diritti derivanti dall’art. 279, pur quando potrebbe altrimenti conseguire lo stato di figlio.
522 PARTE V – FAMIGLIA

doversi confrontare con questioni intorno alle quali si agitano concezioni etiche diver-
genti.
Le tecniche di procreazione medicalmente assistita (p.m.a) finiscono inevita-
bilmente con lo scontrarsi con i principi e le regole fin qui affermatisi in materia di filia-
zione, in particolare con riguardo al rapporto tra derivazione biologica e responsabilità
nei confronti del generato. Ad essere posti in discussione sono soprattutto il principio di
verità (della corrispondenza, cioè, tra realtà naturale e stato giuridico del nato, una volta
minato lo stesso presupposto sostanziale di tale principio, rappresentato dalla costante
convergenza tra realtà naturale e realtà genetica) e quello della indisponibilità degli status
personali e delle relative azioni (la volontà di chi si avvale delle nuove tecniche finendo,
infatti, col potere incidere sullo stato del generato) 47.
Con la L. 19.2.2004, n. 40, anche il nostro legislatore, tra prevedibili polemiche e di-
scussioni di principio non sempre costruttive, ha dettato una – subito diffusamente (e sotto
vari profili) contestata – regolamentazione della procreazione medicalmente assistita 48.

47
Non esitandosi, di conseguenza, a parlare, in proposito, di una genitorialità consensuale (V, 1.1), nella
prospettiva di un vero e proprio “sistema alternativo” (“speciale”) di “attribuzione dello status”, con conse-
guente inapplicabilità della disciplina del codice civile (prospettiva per cui v., ad es., Trib. Messina 28-9-2017,
avallata da Cass. 15-5-2019, n. 13000).
48
L’accesso alle tecniche di p.m.a. è riservato alle coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in
età potenzialmente fertile (peraltro, a seguito di Corte cost. 5-6-2015, n. 96, una tale limitazione risulta rimossa – in
quanto ritenuta in contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost. – per le coppie fertili portatrici di gravi malattie genetiche
trasmissibili: IV, 1.2), entrambi viventi (art. 5). Circa tali condizioni, si è dubitato, in particolare della legittimità
costituzionale della relativa limitazione alle coppie eterosessuali (con l’irrogazione della sanzione previste dall’art.
122 a chi applichi le tecniche di p.m.a.). Con un’ampia motivazione, Corte cost. 23-10-2019, n. 221, ha reputato
infondata la relativa questione (ritenendola comunque implicitamente limitata alle coppie omosessuali femminili).
Una volta individuato il senso profondo della questione nella legittimità o meno di prevedere limitazioni al “diritto
a procreare” (o “alla genitorialità”), in quanto “declinabile anche come diritto a procreare con metodi diversi da
quello naturale”, ha ritenuto, in effetti, la limitazione in discussione costituire applicazione ragionevole – in consi-
derazione della discrezionalità consentita al legislatore nel “trovare un punto di equilibrio tra le diverse istanze” –
delle due “idee di base” della L. 40/2004. Da una parte, posta la finalizzazione della legge a rimediare “alla sterilità
o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimovibile”, non si è giudicata “omologabile
all’infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive” la “inferti-
lità ‘fisiologica’ della coppia omosessuale (femminile)” (come, del resto, quella analoga “della donna sola e della
coppia eterosessuale di età avanzata”). Dall’altra, una volta reputata “non irrazionale e ingiustificata, la preoccupa-
zione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori
per lo sviluppo della personalità del nuovo nato”, ragionevole è stata considerata la scelta tendente ad assicurare
che la “struttura del nucleo familiare scaturente dalle tecniche in questione … riproduca il modello della famiglia
caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre” (non risultando inficiata una simile conclusione “dai più
recenti orientamenti della giurisprudenza comune sui temi dell’adozione di minori da parte di coppie omosessuali
e del riconoscimento in Italia di atti formati all’estero dichiarativi del rapporto di filiazione in confronto a genitori
dello stesso sesso”: l’elemento di ragionevole differenziazione essendo rappresentato dalla circostanza che “l’ado-
zione” – ma il ragionamento sembra valere anche per l’altra situazione considerata – “presuppone l’esistenza in
vita dell’adottando”, col suo “interesse a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate”, mentre
“la p.m.a. serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza ad una coppia, o a un singolo, realizzandone le
aspirazioni genitoriali”, non presentandosi irragionevole, allora, “che il legislatore si preoccupi di garantirgli
quelle che, secondo le sue valutazioni e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono,
in astratto, come le migliori condizioni ‘di partenza’”). Simili sviluppi risultano sostanzialmente avallati da Corte
cost. 4-11-2020, n. 230, la quale, comunque, non manca di evidenziare come, se la soluzione nel senso del “ricono-
scimento della omogenitorialità, all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente, non è imposto dai pre-
cetti costituzionali”, l’ordinamento risulti aperto “a soluzioni di segno diverso, in base alle valutazioni che il legisla-
tore potrà dare alla fenomenologia considerata”. Tale impostazione argomentativa risulta ampiamente utilizzata da
CAP. 4 – FILIAZIONE 523

Per limitarsi qui alle norme più direttamente incidenti sullo stato del generato (su al-
tri aspetti di tale regolamentazione, cfr. IV, 1.2; IV, 2.5 e V, 4.2), pare opportuno, innan-
zitutto, sottolineare come, pur avendo la legge vietato il ricorso a tecniche di tipo etero-
logo (comportanti l’utilizzazione di gameti estranei alla coppia che accede al tratta-
mento) 49 (art. 43), non avesse mancato di disciplinarne le conseguenze sullo stato del
procreato (art. 91). Ciò ha consentito di assicurare la piena operatività della preminente

Cass. 3-4-2020, n. 7668, al fine di negare – in caso di “atto di nascita formato in Italia” – la possibilità di una co-
genitorialità (femminile), in conseguenza dell’applicazione di tecniche di p.m.a. (V, 4.2, nota 14).
49
Il divieto delle tecniche eterologhe rientra tra i profili della legge sottoposti al referendum che, ammesso
da Corte cost. 28-1-2005, nn. 45, 46, 47, 48, 49, è risultato invalido per il mancato raggiungimento del richie-
sto quorum di elettori votanti. Successivamente, Trib. Milano, 23-11-2009 ha considerato infondata la relativa
questione di legittimità costituzionale, dato che “la tutela esclusiva della genitorialità biologica, pur potendo
non essere condivisibile, non risulta sindacabile poiché attiene alla discrezionalità riservata al legislatore che
così ha voluto proteggere il diritto del nascituro alla propria identità biologica”, in una ragionevole prospetti-
va di “preminenza dell’interesse del minore nell’ambito di un bilanciamento con gli altri interessi coinvolti”.
A riaprire la discussione in proposito, è stata Corte eur. dir. uomo 1-4-2010, la quale ha reputato contraria
alla Conv. eur. dir. uomo (art. 8, diritto al rispetto della vita privata e familiare; art. 14, divieto di discrimina-
zione) la legislazione austriaca, laddove prevede il divieto delle tecniche di procreazione assistita con ricorso
alla donazione di ovuli, nonché il divieto di donazione di sperma nel caso di fecondazione in vitro (ma non in
quello di fecondazione in vivo). Tale presa di posizione, pur riguardando una legislazione alquanto diversa
dalla nostra (che vieta la fecondazione eterologa in ogni caso), è stata ritenuta atta a fornire supporto alla ri-
proposizione della questione di legittimità costituzionale, sia sotto il profilo del contrasto con l’art. 1171 Cost.,
per violazione degli artt. 8 e 14 CEDU (alla luce dei “principi di ordine generale” enunciati dalla Corte eur.
dir. uomo), sia sotto quello del contrasto con l’art. 3 Cost., per essere stati irragionevolmente esclusi dalla
procreazione medicalmente assistita “proprio i soggetti completamente sterili” (Trib. Firenze, 6-9-2010; v.
anche Trib. Milano, 2-2-2011). Trib. Catania, 21-10-2010 ha prospettato la questione di legittimità per con-
trarietà, oltre che all’art. 1171, agli artt. 2, 3, 31 e 32, per essere – una volta qualificate “le tecniche di PMA
come rimedi terapeutici” – “trattate in modo diverso le coppie con problematiche di procreazione a seconda
del tipo di sterilità che le colpisce”, restando escluse “paradossalmente proprio le coppie che presentano un
quadro clinico più grave”. Nelle more del giudizio di costituzionalità, è intervenuta, però, la decisione della
Grande Camera della Corte eur. dir. uomo (3-11-2011), la quale, diversamente da quanto precedentemente so-
stenuto dalla sentenza (della Prima Sezione) del 2010, ha affermato che “gli Stati hanno il diritto di scegliere le
regole interne idonee a disciplinare l’accesso alla procreazione assistita di carattere eterologo” (dovendo, co-
munque, “tenere conto dei mutamenti introdotti dalla scienza medica”). La Corte costituzionale (ord. 7-6-2012,
n. 150) ha, di conseguenza, ordinato la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, affinché, in considerazione
della indiscutibile “incidenza sulle questioni di legittimità costituzionale del novum costituito dalla sentenza
della Grande Camera” (dovendo la questione dell’eventuale “contrasto della disposizione interna con le nor-
me della CEDU” essere risolta avendo riguardo alle “norme della CEDU, quali interpretate dalla Corte di
Strasburgo”), “procedano ad un rinnovato esame dei termini della questione”. La questione di legittimità è
stata riproposta da Trib. Firenze, 29-3-2013, Trib. Milano, 3-4-2013 e Trib. Catania, 13-4-2013, per la discri-
minazione delle coppie sterili, necessitate al ricorso alla fecondazione eterologa, “nel proprio diritto di de-
terminare la propria condizione genitoriale”. E la Corte costituzionale (10-6-2014, n. 162), ha censurato –
programmaticamente distinguendo, comunque, la questione concernente la “donazione di gameti”, qui in
discussione, da quella della “surrogazione di maternità” – il divieto in questione, con conseguente sua elimi-
nazione dalla disciplina complessiva della materia, valorizzando la “fondamentale e generale libertà di auto-
determinarsi” della “coppia assolutamente sterile o infertile” nel senso di un “progetto di formazione di una
famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico”: “irrazionale” risul-
tando, in particolare, che una legge avente “il dichiarato scopo ‘di favorire la soluzione dei problemi riprodut-
tivi derivanti dalla sterilità o infertilità umana’” neghi il “diritto a realizzare la genitorialità … in danno delle
coppie affette dalle patologie più gravi” (ben potendo, con gli ordinari strumenti interpretativi, il tessuto
normativo della legge stessa risultare idoneo, senza alcun pericolo di determinare un “vuoto normativo”, a
disciplinare l’intera materia, pur nella nuova estensione, anche, in particolare, con riguardo allo “stato giuri-
dico del nato ed i rapporti con i genitori”).
524 PARTE V – FAMIGLIA

tutela dell’interesse del generato – nella prospettiva, del resto, già precedentemente in-
dicata dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione 50 – anche nel nuovo contesto (deter-
minato dall’intervenuta pronuncia di incostituzionalità dell’art. 43) della riconosciuta
liceità delle tecniche eterologhe, assumendo l’esigenza di assicurare una simile tutela
un peso decisivo nei confronti di chi abbia prestato il proprio consenso all’applicazione
delle tecniche in esame (debitamente informato in ordine alle problematiche connesse con
la p.m.a.: art. 61) 51: risulta precluso, così, se si tratta di coppia coniugata, l’esercizio
dell’azione di disconoscimento della paternità, adducendo la mancata coabitazione o la
propria impotenza (V, 4.3) 52, ovvero, se si tratta di coppia convivente, l’esercizio del-
l’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (di cui all’art. 263)
(V, 4.4). Il c.d. donatore di gameti resta estraneo comunque a qualsiasi rapporto col
nato (senza acquisto di diritti o assunzione di obblighi) (art. 93).
In relazione alla procreazione a seguito di tecniche omologhe e, ora, anche etero-
loghe, non si può mancare di evidenziare come, attribuendo ai nati “lo stato di figli nati
nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere
alle tecniche” (art. 8) 53, si sia anche conferito un carattere di automaticità al riconosci-
mento del figlio nato fuori del matrimonio, sostituendosi, in sostanza, il consenso preven-
tivamente prestato al trattamento alla dichiarazione (appunto di riconoscimento), altri-
menti sempre necessaria – e, ovviamente, dopo il concepimento – per l’attribuzione al
nato dello stato di figlio nato fuori del matrimonio (V, 4.4).
È stato, inoltre, vietato alla “madre del nato a seguito di applicazione delle tecniche”
in questione la possibilità, in genere riconosciutagli (ai sensi dell’art. 301 D.P.R. 3.11.2000,
n. 396), di avvalersi della facoltà di non essere nominata, restando anonima (art. 92): an-

50
Posta da Corte cost. 26-9-1998, n. 347, in primo piano l’esigenza di “tutelare la persona nata a seguito
di fecondazione assistita”, Cass. 16-3-1999, n. 2315, aveva, infatti, precluso al marito già consenziente alla
fecondazione eterologa (con seme, cioè, di soggetto sconosciuto) della moglie il successivo esercizio del-
l’azione di disconoscimento della paternità, ai sensi dell’art. 2351, n. 2.
51
L’art. 63 prescrive la forma scritta per la prestazione del consenso e impone uno spazio di tempo di al-
meno sette giorni tra la prestazione del consenso e l’applicazione della tecnica. Prevede, inoltre, che il con-
senso possa essere revocato, ma solo “fino al momento della fecondazione dell’ovulo”. La materia della pre-
stazione del consenso risulta disciplinata, in dettaglio, dal D.M. 28.12.2016, n. 265. Si ricordi come l’art. 91
ammetta anche un “consenso ricavabile da atti concludenti”. Cass. 18-12-2017, n. 30294, ne ha dedotto l’i-
nefficacia della revoca del proprio consenso, da parte del marito, ove successiva, appunto, a tale momento
(con la conseguente improponibilità, da parte sua, dell’azione di disconoscimento di paternità). Trib. S.M.
Capua Vetere 27-1-2021 ha ritenuto, allora, legittima la prosecuzione – nonostante l’opposizione del marito
che aveva inizialmente prestato il proprio consenso alla fecondazione in vitro degli ovociti della moglie –
dell’applicazione delle tecniche di p.m.a., su richiesta della moglie, con lo scongelamento degli embrioni crio-
conservati ed il relativo inserimento in utero, anche dopo l’avvenuta separazione personale dei coniugi (es-
senzialmente nella prospettiva della “tutela dell’embrione”). Pare il caso di ricordare come l’art. 311-20 code
civil preveda che “il consenso è privato di effetto in caso di decesso, di deposito di una istanza di divorzio o di
separazione personale o di cessazione della comunione di vita, sopravvenuti prima della realizzazione della pro-
creazione medicalmente assistita” (intesa nella dinamica delle diverse fasi che la caratterizzano: art. 2141-2 code
de la santé publique, che si riferisce espressamente a quella del “trasferimento dell’embrione”).
52
Peraltro, Cass. 11-7-2012, n. 11644, ha escluso “che possano sussistere limiti per l’esercizio di tale azio-
ne da parte del figlio, certamente estraneo al consenso eventualmente prestato dal genitore e portatore di un
interesse alla verità biologica che deve considerarsi meritevole di tutela”.
53
Inevitabili tensioni nell’applicazione dei principi enunciati dal legislatore si sono registrate in relazione
al noto caso dello scambio di embrioni, ricordato supra, IV, 1.2.
CAP. 4 – FILIAZIONE 525

che per tale via, così, si è finito col delineare una peculiare condizione del nato a seguito
di tecniche di procreazione assistita.
Pare opportuno, infine, ricordare come il divieto di applicare post mortem le tecniche
di procreazione assistita (artt. 5 e 122) 54, nonché quello, anche penalmente sanzionato
(nei confronti di chi le realizzi, organizzi o pubblicizzi) 55, concernente le pratiche di sur-
rogazione di maternità (art. 126) lascino comunque aperto – nel comportare, in que-
st’ultimo caso, la nullità di qualsiasi accordo al riguardo – il problema dello stato di chi
sia stato eventualmente generato in violazione di tali divieti 56.

54
L’impianto di un embrione crioconservato dopo la morte del marito è stato considerato comunque atto a
produrre conseguenze sullo status del procreato da Trib. Messina 28-9-2017, con riconoscimento (in applicazione
dell’art. 8) della paternità del nato – da un embrione impiantato all’estero – al marito della madre, defunto da oltre
trecento giorni e che aveva manifestato il proprio consenso alla pratica. Contro l’avviso di App. Ancona 12-3-2018,
che aveva assunto un diverso atteggiamento, Cass. 15-5-2019, n. 13000, giunge sostanzialmente alle stesse con-
clusioni, allargando le maglie del procedimento di rettificazione dell’atto di nascita (V, 4.2) e dichiaratamente
prescindendo – la pratica era avvenuta in Spagna, dove risulta consentita (sia pure con limitazioni temporali) –
dalla “illiceità, o meno, della pratica in Italia” (dato che ciò “non potrebbe certamente riflettersi, in negativo, sul
nato e sull’intero complesso dei diritti a lui riconoscibili”). Quale presupposto dell’operatività della regola del-
l’art. 8 è considerato il consenso del marito, non solo al momento dell’accesso alla pratica di p.m.a. (e “persistito
fino al suo decesso”), ma pure “arricchito dall’espressa autorizzazione all’utilizzo, post mortem, del proprio seme
crioconservato” (peraltro, alla luce dell’art. 91, “anche solo mediante atti concludenti”).
55
Al riguardo, è da ricordare come la giurisprudenza abbia escluso l’applicazione della sanzione penale
per la coppia che vi abbia fatto ricorso all’estero (i cui componenti, comunque, non rientrano tra i soggetti
punibili ai sensi dell’art. 126), anche in ordine al reato di alterazione di stato (di cui all’art. 5672 c.p.): Cass.
pen. 10-3-2016, n. 13525.
56
Nella giurisprudenza di merito non ha mancato di manifestarsi una propensione a valorizzare la c.d. ma-
ternità sociale – conseguente all’attuazione della surrogazione di maternità – in ordine all’esclusione delle condi-
zioni, nei confronti del procreato, per la pronuncia dello stato di abbandono (ai fini dell’adozione: V, 3.8) e di
quelle per disporre interventi in materia di responsabilità genitoriale (ai sensi dell’art. 333: IV, 1.8): rispettiva-
mente, Trib. min. Milano 6-9-2012 e 1-8-2012. Peraltro, Cass. 11-11-2014, n. 24001, riaffermato il carattere di
“ordine pubblico del divieto di pratiche di surrogazione di maternità”, almeno nel caso – specificamente in esa-
me – di “surrogazione eterologa” (caratterizzata dall’assenza di qualsiasi “legame genetico con il nato”), ha con-
fermato la dichiarazione di adottabilità del procreato. La delicata problematica è stata affrontata, nei confronti
dell’Italia, da Corte eur. dir. uomo 27-1-2015, con una discutibile conclusione nel senso della illegittimità
dell’allontanamento, a fini adottivi, dai genitori committenti del bambino nato all’estero a seguito di maternità
surrogata (senza alcun legame genetico con i genitori committenti stessi), contestando le motivazioni dei giudici
nazionali – soprattutto dal punto di vista di una pretesa eccessiva valorizzazione, da parte loro, della “esigenza di
mettere fine ad una situazione di illegalità” – e ritenendo violato l’“interesse superiore del bambino” (nonostan-
te, invero, una convivenza di pochi mesi con i committenti), ma non reputando, comunque, necessaria “la ricon-
segna del bambino agli interessati”. La Grande Camera (24-1-2017), tuttavia, ha ritenuto insussistente la viola-
zione dell’art. 8 CEDU (concernente il “diritto al rispetto della vita privata e familiare”), conferendo, ai fini del
necessario bilanciamento degli interessi coinvolti, un peso rilevante, rispetto all’interesse dei ricorrenti “ad assi-
curare il proprio sviluppo personale proseguendo la loro relazione con il minore”, all’“interesse generale in gio-
co” ed all’esigenza di evitare di “legalizzare la situazione da essi creata in violazione di norme importanti
dell’ordinamento italiano” (oltretutto, l’esistenza di “una vita familiare de facto” risultando esclusa, data
“l’assenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori, la breve durata della relazione con il minore e
l’incertezza dei legami dal punto di vista giuridico”). In una prospettiva tutto sommato simile, che nella “valuta-
zione comparativa”, comunque necessaria quando sia in discussione l’esigenza di tutela dell’interesse del minore
nella definizione del suo status giuridico, non possa non rientrare “la considerazione dell’elevato grado di disva-
lore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale”
(in particolare, per l’intollerabile vulnus alla “dignità della donna”), viene sottolineato da Corte cost. 18-12-2017,
n. 272 (su cui supra, V, 4.4, nota 32). Proprio a tali ultime considerazioni si è ricollegata Cass., sez. un., 8-5-2019,
n. 12193, la quale è stata chiamata a pronunciarsi (da Cass. 22-2-2018, n. 4382) in ordine al riconoscimento di
526 PARTE V – FAMIGLIA

7. Tutela del minore privo di assistenza. Affidamento. – L’accentuata attenzione


per l’interesse del minore – il cui carattere superiore lo rende criterio esclusivo di risolu-

efficacia nel nostro ordinamento al provvedimento giurisdizionale straniero che abbia accertato il rapporto di
filiazione tra un cittadino italiano (quale c.d. “genitore d’intenzione” o “sociale”) e due gemelli, nati all’estero,
appunto, da maternità surrogata (provvedimento canadese riconosciuto efficace anche nel nostro ordinamento
da App. Trento 23-2-2017, in considerazione dell’interesse dei minori “alla conservazione di una identità ormai
legittimamente acquisita all’estero”). La Corte ha concluso che l’interesse del minore “alla conservazione dello
status filiationis legittimamente acquisito all’estero … è destinato ad affievolirsi in caso di surrogazione di mater-
nità”, il relativo divieto “segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di auto-responsabilità fondato
sul consenso alla relativa pratica, e torna ad operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell’identità ge-
netica e biologica”: un simile divieto è di ostacolo al richiesto riconoscimento, essendo “qualificabile come prin-
cipio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e
l’istituto dell’adozione”, “non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un
bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazio-
ne”. Ciò anche perché residua – fermo restando “il rapporto di filiazione col genitore genetico” – “la possibilità
di conferire rilievo al rapporto genitoriale” (del genitore sociale) “mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici,
quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 441, lett. d, L. 184/1983”, atta ad “assicurare una tutela com-
parabile a quella ordinariamente ricollegabile allo status filiationis” (lo spunto per una simile considerazione è
offerto da Corte cost. 272/2017). Resta disatteso, così, l’indirizzo possibilista riproposto, ad es., da Trib. Roma
11-5-2018. Del resto, anche la Grande Camera della Corte eur. dir. uomo (parere consultivo del 10-4-2019, su
richiesta dell’Adunanza Plenaria della Corte di cassazione francese), ha concluso che il diritto al rispetto della
vita privata del minore, ai sensi dell’art. 8 CEDU, se impone di riconoscere una relazione legale di filiazione col
“genitore intenzionale” (oltre che, ovviamente, con quello “biologico”, i cui gameti siano stati impiegati nella
procedura di maternità surrogata), non impone che ciò avvenga attraverso la registrazione del certificato di nasci-
ta straniero (in cui il genitore d’intenzione è designato come genitore legale), risultando sufficiente che l’interesse
superiore del minore sia tutelato anche attraverso l’operatività di altri strumenti, come l’adozione, a condizione
che la relativa procedura sia caratterizzata da effettività e rapidità nella tutela dell’interesse stesso (e v. anche Cor-
te eur. dir. uomo 16-7-2020). Destinata a porsi, allora, è la questione se, nel nostro ordinamento, l’adozione in
casi particolari, cui la giurisprudenza tende – ora pure con l’avallo di Cass. 12193/2019 con riguardo alle relazio-
ni radicate nella surrogazione di maternità – a fare ricorso per conferire rilevanza al rapporto genitoriale (del ge-
nitore d’intenzione) (V, 4.8), valga a soddisfare le indicazioni della Corte europea. Così, Cass. 29-4-2020, n.
8325, reputando inadeguato alla “imprescindibile” adesione “alle prescrizioni del parere consultivo” il meccani-
smo alternativo – rispetto alla trascrizione del provvedimento straniero – di tutela dell’“interesse superiore del
minore”, quale identificato da Cass. 12193/2019 nella eventuale operatività dell’adozione in casi particolari, ha
sollevato – oltre che per contrasto “con i principi di inviolabilità dei diritti fondamentali del minore,
d’uguaglianza, non discriminazione, ragionevolezza e proporzionalità” (artt. 2, 3, 30 e 31 Cost.) – questione di
legittimità costituzionale della disciplina in materia (intesa, appunto, “secondo l’interpretazione attuale del dirit-
to vivente” risultante dalla ricostruzione delle sezioni unite). Corte cost. 9-3-2021, n. 33, esclusa la rilevanza di
“un preteso ‘diritto alla genitorialità’” della coppia promotrice della pratica in discussione e concentrata l’atten-
zione sul solo “interesse del minore”, non ha ritenuto che esso possa ritenersi “soddisfatto dal riconoscimento
del rapporto di filiazione con il solo genitore ‘biologico’”. Alla luce della ricordata giurisprudenza della Corte
eur. dir. uomo, allora, se pure può essere considerato legittimo l’orientamento contrario alla trascrivibilità di e-
ventuali atti stranieri di accertamento della filiazione, la tutela dell’interesse del minore, che esige il riconosci-
mento del legame giuridico anche col “genitore d’intenzione”, non è parsa risultare adeguatamente assicurata –
soprattutto nel caso di sopravvenuta crisi della coppia – dal meccanismo dell’adozione in casi particolari, non ga-
rantendo questo “la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato” (ovviamente, “allorché ne sia stata
accertata in concreto la rispondenza agli interessi del bambino”). Così, nel riconoscere che spetta – ma si precisa
significativamente “in prima battuta” (evidentemente prospettando l’eventualità di futuri interventi della Corte
al riguardo in caso di persistente inerzia legislativa) – al legislatore il “bilanciamento tra la legittima finalità di di-
sincentivare il ricorso a questa pratica e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti del minore”,
si conclude nel senso della “ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attua-
le situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore”. Effettivamente, infine, anche per porre rimedio ad
una simile situazione è intervenuta Corte cost. 28-3-2022, n. 79, con la dichiarazione di illegittimità costituzionale
dell’art. 55 della L. n. 184/1983, nella parte in cui rinvia all’art. 300, con la relativa esclusione – nell’ipotesi di
adozione in casi particolari – di rapporti tra l’adottato ed i parenti dell’adottante (e v. V, 4.8).
CAP. 4 – FILIAZIONE 527

zione di tutte le questioni che lo concernono (esemplare, in tal senso, l’art. 3 della già più
volte ricordata Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20.11.1989) – pone
di fronte a difficili scelte nel delicato rapporto tra la sua tutela ed il rispetto dell’auto-
nomia della famiglia. Il quadro dei principi costituzionali vale a fornire le coordinate pu-
re per gli interventi del legislatore di tipo, in senso lato, sostitutivo, previsti dall’art. 302
Cost. nelle situazioni di incapacità dei genitori ad assolvere la loro essenziale funzione nei
confronti dei figli: si impone, al riguardo, quella gradualità che costituisce, non a caso, la
direttiva di fondo della legislazione in materia di affid amento e ad ozione, nella privi-
legiata prospettiva del diritto del minore ad una famiglia (secondo l’intitolazione della L.
4.5.1983, n. 184, quale sostituita dalla L. 28.3.2001, n. 149) 57.
Posto il principio per cui “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nella
propria famiglia” (art. 11), ad assicurare il rispetto dell’autonomia di questa devono esse-
re finalizzati gli opportuni “interventi di sostegno e di aiuto”, dato che le eventuali
“condizioni di indigenza dei genitori … non possono essere di ostacolo all’esercizio del
diritto del minore alla propria famiglia” (art. 12). Solo nel caso in cui, nonostante tali in-
terventi di supporto, “la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’edu-
cazione del minore” (art. 14), sono chiamati, allora, ad operare gli interventi con funzione
sostitutiva, il cui spazio, evidentemente, nel disegno del legislatore, dovrebbe essere de-
stinato ad un progressivo auspicabile restringimento 58.
In una simile prospettiva, il minore “temporaneamente privo di un ambiente familiare
idoneo” può essere affidato ad una famiglia o ad una persona singola, ovvero, solo in via su-
bordinata, inserito in una comunità di tipo familiare (il ricovero in un istituto di assistenza è
stato considerato rimedio del tutto residuale e da superare in ogni caso entro il 31.12.2006)

57
Nell’impianto originario del codice civile, a fornire risposta all’esigenza di “assistenza all’infanzia mo-
ralmente o materialmente abbandonata” (Relaz. cod. civ., n. 194) era finalizzato, in particolare, l’istituto
della a f f i l i a z i o n e (artt. 404 ss.), risultato, però, di scarso successo e definitivamente soppresso dalla L.
184/1983. L’art. 403, ora radicalmente riformulato ai sensi dell’art. 127 della L. 206/2021, prevede un even-
tuale “intervento della pubblica amministrazione a favore dei minori”, “quando il minore è moralmente o
materialmente abbandonato o si trova esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per
la sua incolumità fisica e vi è dunque emergenza di provvedere”. Ciò nell’attesa dell’adozione degli oppor-
tuni provvedimenti da parte del tribunale per i minorenni (di cui il nuovo testo della disposizione discipli-
na minuziosamente tempi, procedure e possibili contenuti).
58
Rileva Cass. 14-5-2005, n. 10126 (in una prospettiva uniformemente seguita dalla giurisprudenza suc-
cessiva: ad es. 16-2-2018, n. 3915), che “in questo contesto – di valorizzazione e di recupero, finché possibi-
le, del legame di sangue, ed anche dei vincoli, come quelli con i nonni, che affondano le loro radici nella
tradizione familiare, la quale trova il suo riconoscimento nella Costituzione (art. 29) – si rende necessario un
particolare rigore, da parte del giudice del merito, nella valutazione di abbandono del minore quale presup-
posto per la dichiarazione dello stato di adottabilità”, da limitare alle situazioni di carenze, “da parte dei
genitori e degli stretti congiunti”, tali “da pregiudicare, in modo grave e non transeunte, lo sviluppo e l’e-
quilibrio psico-fisico del minore stesso”. Significativamente, così, Cass. 4-11-2019, n. 28257, sottolinea la
necessità che l’affidatario sia scelto valorizzando il mantenimento del rapporto con la famiglia di origine
(“che è criterio guida di ogni scelta in tema di affido minorile”: contestando, allora, la mancata valutazione,
nel caso considerato, della possibilità dell’affido ai nonni). La priorità dell’affidamento “ai membri della c.d.
‘famiglia allargata’” (nella specie, zia) viene evidenziata anche da Cass. 11-6-2021, n. 16569. Per la necessa-
ria “previa e rigorosa verifica delle eventuali possibilità di recupero della famiglia biologica di provenienza”,
v., ad es. Cass. 8-9-2008, n. 22640, che sottolinea, peraltro, come ciò sia comunque da “rendere compatibile
con i cruciali (e ben diversamente stringenti) tempi dettati dai delicati meccanismi dell’età evolutiva del mi-
nore”. Circa la rilevanza, ai fini delle valutazioni in materia, della “mancata assistenza prestata” per aiutare
il genitore “nel recupero della genitorialità”, Cass. 22-8-2018, n. 20954 (in proposito, V, 4.8).
528 PARTE V – FAMIGLIA

(art. 2). L’affidamento, come risulta chiarito anche dalla sua necessaria temporaneità (art.
44), è finalizzato ad assicurare un’adeguata tutela dell’interesse del minore, nel tempo stret-
tamente necessario a consentire, attraverso opportuni interventi, il recupero della famiglia di
origine, gli sforzi dei servizi sociali dovendo indirizzarsi, innanzitutto, nel senso di agevolare
i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore (art. 52).
Peraltro, di fronte alla realtà rappresentata da affidamenti protratti a lungo nel
tempo, senza il venir meno delle difficoltà della famiglia d’origine e con il conseguente
realizzarsi delle condizioni dello stato di abbandono (di cui all’art. 8), il legislatore ha
ritenuto opportuno disporre che, ove la famiglia affidataria del minore (ovviamente se
in possesso dei relativi requisiti) chieda di poterlo adottare, “il tribunale per i mino-
renni, nel decidere sull’adozione, tiene conto, dei legami affettivi significativi e del
rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria” (confe-
rendosi, così, un certo valore di titolo preferenziale al “prolungato periodo di affida-
mento”: art. 45 bis, quale introdotto dalla L. 19.10.2015, n. 173). E si è pure stabilito
che in ogni caso – anche, cioè, ove il minore rientri nella sua famiglia, sia affidato ad
altra famiglia o sia adottato da altra famiglia – dev’essere tutelata (sempre, ovviamente,
se rispondente all’interesse del minore) la “continuità delle positive relazioni socio-
affettive consolidatesi durante l’affidamento” (evidentemente, per evitare che la vicen-
da dell’affidamento resti priva di qualsiasi traccia nella vita successiva dei soggetti in
essa coinvolti) (art. 45 ter) 59.
Viene favorito l’affidamento previo consenso dei genitori, solo in mancanza del quale
provvede il tribunale per i minorenni (art. 41-2) 60: nel provvedimento di affidamento,
comunque, devono essere sempre disciplinati il mantenimento dei rapporti del minore
con i genitori e gli altri componenti della sua famiglia (art. 43). Lo stesso affidatario, il
quale ha il dovere di provvedere al mantenimento ed all’educazione e istruzione del mi-
nore (esercitando, in sostanza, i poteri connessi con la responsabilità genitoriale), deve
tener conto delle indicazioni dei genitori (salvo che costoro non siano incorsi in provve-
dimenti incidenti sulla loro responsabilità genitoriale) (art. 51).
Sono tali profili dell’affidamento in questione ad evidenziarne la netta differenza ri-

59
Circa la realizzazione della tutela dell’interesse del minore alla continuità affettiva, assicurandogli co-
munque incontri regolari con i già affidatari, v. App. Catania 6-2-2018 (provvedimento di cui Cass. 14-2-2019, n.
4524, ha negato la ricorribilità per cassazione, approfittando dell’occasione per definire il ruolo e i diritti de-
gli affidatari in applicazione della L. 173/2015, precisando che “il loro ‘diritto’ non è certo quello di ottenere
l’adozione, bensì, esclusivamente, di vedere assicurata/valutata la continuità affettiva, coincidente col superio-
re ‘interesse’ dei minori”).
60
Ovviamente nell’attesa dell’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, ai
sensi dell’art. 124, lett. a, L. 206/2021. Una sorta di dettagliato “vademecum” in tema di affidamento familiare
disposto giudizialmente (in ordine ai relativi presupposti applicativi ed all’iter procedurale) si rinviene in
Cass. 16569/2021. L’affidamento è stato reputato ammissibile anche nei riguardi di una coppia di fatto omo-
sessuale da Trib. min. Bologna 31-10-2013 e Trib. min. Palermo 9-12-2013 (che valorizza, in proposito, pure
la circostanza dell’“entusiastica adesione” del ragazzo, ormai prossimo al raggiungimento della maggiore età).
Un’ipotesi particolare di affidamento è stata introdotta dall’art. 10 L. 11.1.2018, n. 4, con riguardo “al mi-
nore rimasto privo di un ambiente familiare idoneo a causa della morte del genitore, cagionata volontaria-
mente dal coniuge, anche legalmente separato o divorziato, dall’altra parte dell’unione civile, anche se l’u-
nione civile è cessata, dal convivente o da persona legata al genitore stesso, anche in passato, da relazione
affettiva” (art. 45 quinquies). In tal caso, il tribunale deve provvedere privilegiando “la continuità delle relazioni
affettive consolidatesi tra il minore stesso e i parenti fino al terzo grado”.
CAP. 4 – FILIAZIONE 529

spetto all’affidamento preadottivo, con cui non deve essere confuso, data la finalizzazione
di quest’ultimo all’inserimento definitivo – a seguito dell’adozione, del cui procedimento
costituisce una fase necessaria (artt. 22 ss.) – in un’altra famiglia (anche se, indubbiamen-
te, la L. 173/2015 finisce col superare l’originaria prospettiva di una rigorosa totale in-
comunicabilità tra affidamento e adozione).
È da sottolineare come la L. 149/2001 abbia molto ampliato lo spazio riconosciuto
alla partecipazione del minore alle procedure che lo coinvolgono, in applicazione delle
direttive delle ricordate Convenzioni internazionali in materia di tutela dei minori. In re-
lazione all’affidamento, così, è prescritta l’audizione del minore dodicenne o anche di età
inferiore, in considerazione – secondo una prospettiva ormai diffusa nella maggior parte
degli ordinamenti – della sua capacità di discernimento (art. 41, 6). Anche con riguardo al-
l’adozione, non solo è stata mantenuta la necessità del consenso ad essa da parte del mi-
nore che abbia compiuto i 14 anni, ma risulta costantemente prevista la necessità del-
l’audizione del minore dodicenne o anche di età inferiore, sempre in considerazione della
sua capacità di discernimento (artt. 72-3, 226, 231, 251, 354, 451-2) 61. Al minore deve essere,
inoltre, assicurata l’assistenza legale fin dall’inizio (e nel corso) del procedimento di adot-
tabilità (art. 84) 62.

8. Adozione. – L’incremento delle garanzie processuali, tanto per il minore, quanto


per i suoi genitori e per i suoi parenti la cui posizione viene considerata rilevante (quelli,
cioè, entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore: art. 102), rap-
presenta la novità più appariscente della nuova disciplina dell’adozione (ai sensi della
ricordata L. 149/2001) 63. Tali soggetti, infatti, immediatamente avvertiti dell’apertura
del procedimento, in applicazione del principio del contraddittorio (prima, invece, scar-
samente rispettato) sono messi in grado di far valere i propri interessi, legalmente assisti-
ti, in ogni fase del procedimento stesso (artt. 84, 102). Il legislatore sembra, così, tenere
adeguatamente conto della gravità, per i soggetti coinvolti, del sacrificio della relazione
fondata sul legame di sangue che l’adozione comporta, sia pure al fine di assicurare al
minore la tutela della sua personalità, nei casi in cui l’ambiente familiare (o, addirittura,
la relativa mancanza) ne mettano in pericolo lo sviluppo.
La finalità che l’adozione dei minori risulta chiamata ad assolvere attualmente nel no-
stro ordinamento è, in effetti, l’inserimento del fanciullo in una nuova famiglia, con
l’acquisto dello stato di figlio legittimo nella pienezza del relativo rapporto con gli adot-

61
Secondo Cass. 26-3-2010, n. 7282, l’attuale disciplina dell’audizione del minore (IV, 1.8) “riflette una
nuova considerazione del minore quale portatore di bisogni e interessi che, se consapevolmente espressi, pur
non vincolando il giudice, non possono essere da lui ignorati”: ciò onde renderlo “parte attiva del procedi-
mento”, riconoscendogli “l’esercizio sempre più effettivo dei diritti fondamentali”.
62
Cass. 17-2-2010, n. 3805, negando la necessaria sussistenza di un conflitto di interessi tra la posizione
del tutore e quella del minore, ha ritenuto ammissibile – ove non ricorrano i presupposti per la nomina di un
curatore speciale che a ciò provveda – la designazione del difensore del minore stesso da parte del tutore.
63
Sterilizzando proprio la parte più significativa della riforma, già col D.L. 24.4.2001, n. 150 (convertito
in L. 23.6.2001, n. 240), l’applicabilità delle regole procedurali previgenti è stata prorogata “in via transitoria,
fino alla emanazione di una specifica disciplina della difesa di ufficio nei procedimenti” in questione. Tale
proroga, sulla base di provvedimenti successivamente via via emanati, è risultata operante fino al 30.6.2007
(art. 12 L. 12.7.2006, n. 228, che ha convertito il D.L. 12.5.2006, n. 173).
530 PARTE V – FAMIGLIA

tanti (tradizionalmente definito di filiazione civile). Ciò a partire dalla L. 5.6.1967, n.


431, cui si deve l’introduzione della c.d. adozione speciale 64, destinata ad essere, poi, su-
perata (anche sotto il profilo terminologico, parlandosi in essa semplicemente di “ado-
zione”) dalla L. 184/1983 (ampiamente novellata dalla L. 149/2001). Della più risalente
funzione dell’adozione, quale strumento di perpetuazione del cognome e del patrimonio
familiare, resta traccia, peraltro, nell’adozione di persone maggiori di età, mentre la disci-
plina dell’adozione in casi particolari è destinata a dare una soluzione alle problematiche
poste da situazioni, nelle quali l’adozione legittimante si presenta inopportuna od impos-
sibile. La regolamentazione del fenomeno dell’adozione internazionale completa, poi, il
vigente quadro sistematico dell’adozione.
a) L’adozione dei minori è prevista a favore dei minori dichiarati in stato di adot-
tabilità (art. 71), a seguito dell’accertamento di una “situazione di abbandono, perché
privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provve-
dervi” 65. La mancata assistenza – per il rispetto che si ritiene dovuto alla famiglia di ori-
gine ai fini della formazione di chi vi è nato (V, 4.7) – non rileva, ove sia dovuta a causa
di forza maggiore di carattere transitorio (art. 81) 66.

64
È con la L. 431/1967 che, per dirla con Corte cost. 10-2-1981, n. 11, si è verificato lo spostamento del
“centro di gravità dell’adozione dall’interesse dell’adottante a quello dell’adottato”, chiarendosi “il carattere
funzionale del diritto dei genitori del sangue, che sta e viene meno in relazione alla capacità di assolvere i
compiti previsti nel primo comma dell’art. 30 Cost.”.
65
Per Cass. 23-5-1997, n. 4619, ai fini della sussistenza della situazione di abbandono, “non è necessario
che da parte dei genitori vi sia una precisa volontà di abbandonare il figlio, essendo sufficiente che essi tenga-
no un comportamento inconciliabile con i doveri loro imposti dall’art. 147 c.c. e dall’art. 30 Cost.” (con rife-
rimento, nel caso di specie, ad “anomalie della personalità … che si traducano in incapacità di allevare ed
educare i figli”). All’idea di “inadeguatezza genitoriale”, allude, ad es., Cass. 14-2-2018, n. 3594. Più in gene-
rale, ci si riferisce alla sussistenza di una “situazione familiare tale da compromettere in modo grave e irrever-
sibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino” (così, ad es., Cass. 11-12-2019, n. 32412). Alla necessi-
tà di operare “un giudizio prognostico teso a verificare l’effettiva ed attuale capacità di recupero delle capaci-
tà e competenze genitoriali”, allude Cass. 3-10-2019, n. 24790. Circa l’opportunità che, comunque, la proce-
dura dia – in vista delle relative indagini – spazio adeguato anche all’esercizio di un eventuale “diritto di ri-
pensamento” da parte di chi pure abbia abbandonato il figlio nell’immediatezza del parto (“in un momento
di particolare fragilità psicologica”), v. App. Catania 8-7-2021. In un contesto normativo (come quello attuale
in materia, improntato al principio per cui “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito del-
la propria famiglia”: art. 11) di valorizzazione delle potenzialità offerte – in vista della tutela dell’interesse del
minore a godere di un ambiente di vita consono allo sviluppo della sua personalità – dall’apporto dei parenti
(artt. 81 e 94), pienamente giustificata appare la tendenza giurisprudenziale ad evitare, ove possibile, l’“adozione
ultrafamiliare”, con conseguente favore nella valutazione di eventuali “figure vicariali dei parenti più stretti”, a
condizione, ovviamente, “che abbiano rapporti significativi con il bambino e si siano resi disponibili alla sua cura
ed educazione” (nella prospettiva, cioè, degli artt. 101 e 121): Cass. 16-2-2018, n. 3915 (e v. anche 27-3-2018, n.
7559; sull’esigenza di “rapporti significativi pregressi” insiste, ad es., Cass. 11-4-2018, n. 9021).
66
La L. 219/2012 ha posto l’attenzione sulla necessità di precisazioni in ordine alla nozione di abbandono
morale e materiale, con particolare riguardo alla “irrecuperabilità delle capacità genitoriali in un tempo ragione-
vole” e alle “condizioni di indigenza dei genitori” (art. 21, lett. n). Il D.Lgs. 154/2013 ha conseguentemente
modificato l’art. 15, lett. c, relativo alla dichiarazione dello stato di adottabilità, introducendo un riferimento
alla “provata irrecuperabilità delle capacità genitoriali dei genitori in un tempo ragionevole”. Risulta, inoltre,
aggiunto un art. 79 bis, finalizzato alla segnalazione ai comuni, da parte del giudice, delle “situazioni di indi-
genza di nuclei familiari che richiedono interventi di sostegno”. Si ritiene, in effetti, che la transitorietà “debba
essere necessariamente correlata al tempo di sviluppo compiuto e armonico del minore” (Cass. 18-6-2012, n.
9949). Circa la necessità, comunque, di un “bilanciamento (dell’interesse del minore) con quello dei genitori a
conservare il legame filiale, ove tale scelta non determini danni irreversibili nello sviluppo psicofisico del mino-
CAP. 4 – FILIAZIONE 531

Pure a seguito dell’intervento legislativo del 2001, l’adozione resta consentita solo ai
coniugi. Ai fini della necessaria stabilità del relativo rapporto, è richiesto che il matrimo-
nio duri da almeno tre anni (senza separazione, neppure di fatto), pur essendo sufficien-
te, ai fini della ricorrenza del requisito della stabilità, una convivenza stabile e continuati-
va per almeno tre anni prima del matrimonio (art. 61, 4). Ai singoli è consentita, invece,
solo l’adozione in casi particolari 67. I coniugi “devono essere affettivamente idonei e ca-
paci di educare, istruire i minori che intendano adottare” (art. 62) e possono adottare più
volte (art. 67, che prevede anche criteri preferenziali) 68.
Diffusamente criticata era la precedente rigidità dei requisiti di età degli aspiranti
adottanti, conseguentemente oggetto di numerosi interventi della Corte costituzionale.
Proprio seguendo le direttive di questa, se la differenza di età minima tra adottanti e adot-
tato viene fissata, in linea di principio, in 18 anni e quella massima in 45 anni, è stata pu-

re”, Cass. 22-11-2013, n. 26204. Proprio alla luce del carattere di “misura eccezionale” dell’adozione comportan-
te la recisione di ogni legame con la famiglia d’origine (carattere di “eccezionalità”, quale “extrema ratio”, del
resto univocamente sottolineato nella nostra giurisprudenza: ad es., Cass. 14-4-2016, n. 7391, 30-6-2016, n.
13435, 3915/2018 e 22-8-2018, n. 20954, che sintetizza le conclusioni, al riguardo, della giurisprudenza della
Corte eur. dir. uomo; e v. infra le conseguenze che ne trae il recente indirizzo dichiaratamente favorevole al
possibile ricorso alternativo alla c.d. “adozione mite”), Corte eur. dir. uomo (21-1-2014) ha preso posizione a
favore della necessità di prevedere, anche da parte del nostro ordinamento, una forma di adozione – sostan-
zialmente corrispondente alla francese adoption simple (artt. 360 ss. code civil) – da utilizzare in quei casi in cui
potrebbero essere sufficienti misure “meno invasive” della vita familiare (il cui rispetto è imposto dall’art. 8
CEDU) dei genitori di sangue. Il richiamo è a quella c.d. a d o z i o n e m i t e , che, nelle situazioni di “semiab-
bandono permanente”, dovrebbe consentire di garantire al minore una famiglia idonea alla sua crescita, evi-
tando, al contempo, una completa rottura del legame con la famiglia d’origine. Si tratta di una figura – in una
prospettiva di gradualità del percorso adottivo – sperimentata, in effetti, già da Trib. min. Bari 7-5-2008 (e da
qualche altro giudice minorile, come Trib. min. Brescia 21-12-2010), legittimata essenzialmente attraverso una
lettura estensiva dell’art. 441, lett. d, in materia di “adozione in casi particolari”, laddove si riferisce alla “con-
statata impossibilità di affidamento preadottivo”, così da considerare una simile impossibilità riferita anche alla
“impossibilità giuridica” (e non solo a quella di fatto). Proprio nella prospettiva di una simile “adozione mite”
si muove dichiaratamente, ora, Cass. 16-4-2018, n. 9373, evidenziando che essa “non presuppone una situazio-
ne di abbandono dell’adottando” e, di conseguenza, “non rappresenta una extrema ratio” (dato che “non com-
porta la recisione dei rapporti del minore con la famiglia di origine”), andando disposta per “salvaguardare, in
concreto, la continuità affettiva ed educativa dei legami in atto” del minore con i soggetti che se ne prendono
cura. Così, pure Cass. 13-2-2020, n. 3643 (che allude alla necessità, in proposito, di “una completa indagine
sulla concreta condizione di abbandono morale e materiale del minore”), la cui impostazione argomentativa
risulta condivisa da Cass. 25-1-2021, n. 1476, Su di una lettura evolutiva dell’art. 27, poi, si fonda quella che
viene da alcuni (a partire già da Trib. min. Roma 5-7-1988) indicata come a d o z i o n e a p e r t a , in modo da in-
tendere in senso strettamente giuridico la disposta cessazione dei rapporti verso la famiglia d’origine (e lasciando,
quindi, spazio a persistenti relazioni di carattere affettivo).
67
Il nostro sistema di adozione è stato considerato, sotto tale profilo, costituzionalmente legittimo da Corte
cost. 16-5-1994, n. 183, nonostante i dubbi manifestati circa la sua conformità alla Convenzione europea in ma-
teria di adozione di minori (Strasburgo, 24.4.1967, ratificata con L. 22.5.1974, n. 357), ritenendo che tale Con-
venzione si limiti a conferire al legislatore nazionale “una semplice facoltà” di consentire l’adozione al singolo:
facoltà di cui il legislatore italiano, in effetti, si è avvalso con riferimento all’adozione in casi particolari (oltre che
con riguardo alle peculiari circostanze di cui all’art. 254-5). Tale prospettiva risulta confermata da Cass. 21-7-1995, n.
7950, 18-3-2006, n. 6078 e 14-2-2011, n. 3572 (secondo cui “le persone non coniugate non possono ottenere il
riconoscimento del provvedimento di adozione di un minore pronunciato all’estero con gli effetti di dell’ado-
zione legittimante, ma solo con gli effetti dell’adozione in casi particolari”).
68
Sulla questione della trascrizione dei provvedimenti stranieri di adozione (e di atti di nascita stranieri),
con particolare riferimento a quelli disposti a favore di coniugi dello stesso sesso, v. supra, V, 4.2, nota 14,
nonché infra, nota 74.
532 PARTE V – FAMIGLIA

re prevista la relativa derogabilità, ove risulti che dalla mancata adozione derivi un danno
grave e non altrimenti evitabile al minore. Viene consentita l’adozione, inoltre: quando il
limite massimo di età sia superato di non più di 10 anni da uno solo degli adottanti; quan-
do gli adottanti abbiano già figli, anche adottivi, dei quali almeno uno sia minore; quando
l’adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già da essi adottato (art. 63, 5, 6).
Come già accennato (V, 4.7), il minore che abbia compiuto i 14 anni deve prestare
personalmente il proprio consenso all’adozione e deve essere personalmente sentito il mi-
nore dodicenne o comunque capace di discernimento (art. 72-3).
A differenza di quanto accade in altri ordinamenti, l’adozione prescinde da qualsiasi
rilevanza del consenso dei genitori (o dei parenti). Non è accordata, poi, alcuna facoltà
di scelta agli aspiranti adottanti, che possono solo dichiarare la propria disponibilità e,
ove reputati idonei, essere selezionati dal tribunale per i minorenni per l’affidamento
preadottivo di un minore dichiarato in stato di adottabilità (art. 22), destinato a sfociare
(dopo un periodo di un anno, prorogabile di un altro anno), se non revocato (art. 23),
nella vera e propria dichiarazione di adozione (art. 25).
Lo stato di adottabilità del minore è dichiarato a seguito dell’accertamento delle
condizioni dianzi ricordate, attraverso una procedura che la riforma del 2001, come ac-
cennato, ha reso più idonea a garantire gli interessi del minore e quelli dei suoi genitori
(o parenti), assicurando il rispetto del contraddittorio 69 e distinguendo nettamente il ruo-
lo del giudice (tribunale per i minorenni) da quello dell’organo motore della procedura
(il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni) (artt. 9 ss.).
Al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni compete, infatti,
proporre al tribunale per i minorenni il ricorso che mette in moto la procedura (art. 92).
Tale procedura, in relazione alla quale il tribunale dispone dei più ampi poteri istruttori
per accertare la sussistenza dello stato di abbandono del minore (art. 101), si svolge in co-
stante contraddittorio, ove risulti la relativa esistenza, con i genitori e i parenti la cui posi-
zione è considerata rilevante (quelli “entro il quarto grado che abbiano rapporti significati-
vi con il minore”: art. 102) (art. 12) 70. La sentenza che dichiara lo stato di adottabilità del
minore viene pronunciata ad esito di una rigorosa verifica delle condizioni previste (art.

69
Fondamentale, al riguardo, è la previsione secondo cui “il procedimento di adottabilità deve svolgersi
fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti, di cui al comma 2 dell’art.
10” (art. 84), nonché quella che prevede il necessario avvertimento circa l’apertura del procedimento ai geni-
tori ed ai parenti, con l’invito alla nomina di un difensore (e la nomina di uno di ufficio ove essi non vi prov-
vedano) (art. 102).
70
Ovviamente, la dichiarazione dello stato di adottabilità sarà immediata ove non esistano genitori (perché
deceduti o il figlio non sia stato riconosciuto) e parenti (art. 111-2) (ma v. le ricordate considerazioni di App. Ca-
tania 8-7-2021). La procedura è rinviata, nel caso di figlio non riconoscibile per difetto di età del genitore, fino al
compimento del sedicesimo anno di quest’ultimo, purché il figlio risulti comunque assistito convenientemente
nel frattempo (art. 113). Cass. 7-2-2014, n. 2802, ha ammesso la chiusura del procedimento (ai sensi dell’art. 115)
in un caso in cui la madre, che inizialmente si era avvalsa della facoltà di non voler essere nominata, ai sensi
dell’art. 301 D.P.R. 396/2000, ma successivamente aveva riconosciuto il figlio nel concesso termine di sospensio-
ne della procedura. Ha precisato Cass. 3-12-2018, n. 31196, che, in conseguenza di un parto anonimo, il diritto
della madre biologica non risulta precluso dalla declaratoria di adottabilità del minore, “a meno che alla stessa
non sia seguito l’affidamento preadottivo del minore”. Si sottolinea che “la dichiarata disponibilità di uno dei
parenti entro il quarto grado ad occuparsi del minore non è sufficiente, di per sé, ad escludere la situazione di
abbandono”, detta disponibilità non dovendo risultare “meramente velleitaria e obiettivamente inattuabile”, ma
“suffragata da elementi oggettivi che la rendano credibile” (Cass. 31-10-2008, n. 26371).
CAP. 4 – FILIAZIONE 533

15): debitamente notificata (art. 162), essa può essere impugnata dal pubblico ministero o
dalle altre parti avanti la Corte d’appello, sezione per i minorenni, contro la cui decisione è
ammesso ricorso per Cassazione (art. 17). Divenuta definitiva, la sentenza è trascritta a cura
del cancelliere su apposito registro conservato presso la cancelleria del tribunale (art. 18).
A seguito dell’adozione, l’adottato acquista, a tutti gli effetti, lo stato di figlio nato nel
matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome, mentre cessa ogni
suo rapporto con la famiglia di origine (restando salvi i soli divieti matrimoniali, fondati
sulla parentela) (art. 271-3) 71. Al contrario di quanto in precedenza previsto, è ora stabili-
to che l’adottato ha diritto di essere informato di tale sua condizione dai genitori adottivi
(art. 281), essendo pure ammesso a conoscere l’identità dei suoi genitori biologici, dopo i
25 anni (o la maggiore età se concorrono gravi motivi di salute psico-fisica), previa auto-
rizzazione del tribunale per i minorenni (art. 285-8: c.d. “diritto alle origini”) 72.
b) A prescindere dall’essere stato dichiarato in stato di adottabilità (e, quindi, senza
la necessaria ricorrenza di una “situazione di abbandono”), ai sensi dell’art. 71, il mino-
re può essere adottato ove ricorrano particolari circostanze (adozione in casi particola-

71
Pare opportuno sottolineare come il nuovo art. 74, delineando la nozione di parentela (V, 1.6), abbia
voluto riferire espressamente la posizione dell’adottato all’unitario stato di figlio. Si ricordi come anche la
materia del cognome dell’adottato sia stata coinvolta nel generale intervento di riscrittura, da parte della Cor-
te costituzionale, della disciplina vigente in materia di trasmissione del cognome ai figli (IV, 2.10 e V, 4.9).
72
Informazioni circa l’identità dei genitori biologici possono essere fornite anche ai genitori adottivi per gravi
motivi, sempre su autorizzazione del tribunale per i minorenni, che potrà fornirle anche ai sanitari, ove ricorra un
grave pericolo per la salute dell’adottato (art. 284). Corte cost. 25-11-2005, n. 425, aveva ritenuto costituzionalmen-
te legittimo l’art. 287, che preclude l’accesso alle informazioni nei confronti della madre che abbia dichiarato alla
nascita di non voler essere nominata, ai sensi dell’art. 301 D.P.R. 396/2000: ciò per la tutela sia della gestante, sia
dello stesso figlio, ponendolo al riparo “da decisioni irreparabili” della madre, per lui evidentemente “ben più gra-
vi”. Peraltro, Corte eur. dir. uomo 25-9-2012, ha reputato violare l’art. 8 CEDU, concernente il diritto al rispetto
della vita privata, la disciplina italiana, per non assicurare un equo bilanciamento tra l’interesse della madre biologi-
ca a mantenere l’anonimato e quello del figlio adulto, adottato da terzi, ad accedere alle informazioni sulle sue ori-
gini. Comunque è successivamente intervenuta, in materia, Corte cost. 22-11-2013, n. 278, che ha dichiarato la
illegittimità costituzionale della ricordata disposizione, “nella parte in cui non prevede – attraverso un procedi-
mento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la ma-
dre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata – su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di
tale dichiarazione”. E, nel persistente silenzio del legislatore (peraltro almeno attivatosi, nella XVII legislatura, con
l’approvazione, da parte della Camera dei deputati, di un testo, passato al Senato come D.D.L. n. 1978), non si è
mancato immediatamente di ammettere, su istanza del figlio, l’interpello della madre (App. Catania 5-12-2014).
Cass., sez. un., 25-1-2017, n. 1946, ha confermato un simile indirizzo, nel senso, cioè, della necessità di assicurare
comunque al figlio, con una procedura rispondente alle prescrizioni della Corte costituzionale, la possibilità di
“conoscere le proprie origini” (per cui v., anche con riferimento all’ipotesi di morte della genitrice biologica, Cass.
21-7-2016, n. 15024 e 9-11-2016, n. 22838; il “diritto all’interpello” è stato negato, peraltro, nell’ipotesi in cui “la
madre versi in uno stato di incapacità, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la
propria scelta”: Cass. 9-8-2021, n. 22497, che, in una tale situazione, ha comunque riconosciuto – sia pure con
“l’osservanza di tutte le cautele necessarie a garantire la massima riservatezza, e quindi la non identificabilità, della
madre biologica” – il diritto di accesso ai dati sanitari della madre), con il solo limite rappresentato, a seguito
dell’interpello, da un persistente “diniego della madre di svelare la propria identità”. Cass. 20-3-2018, n. 6963,
reputando la formulazione dell’art. 285 tale da consentirlo, ha considerato estensibile il diritto (pure di carattere
“fondamentale”) dell’adottato alla conoscenza dell’identità anche di “sorelle e fratelli biologici adulti”, previa ac-
quisizione – in un’ottica di “corretto bilanciamento tra le due posizioni almeno astrattamente in conflitto” – del
loro “consenso all’accesso alle informazioni richieste” (o constatazione del relativo “diniego”, “mediante procedi-
mento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti
da interpellare”).
534 PARTE V – FAMIGLIA

ri) 73: a) da persone a lui (orfano di madre e di padre) unite da vincolo di parentela fino al
sesto grado o da un rapporto stabile e duraturo, preesistente alla morte dei genitori; b)
dal coniuge del genitore (anche adottivo), così da favorire, nel suo interesse, l’unità della
famiglia; c) se si tratta di minori (orfani di padre e di madre) portatori di handicap; d)
quando sia stata constatata l’impossibilità di affidamento preadottivo (art. 441) 74. L’ado-

73
Tende ad affermarsi – anche sulla scia della giurisprudenza della Corte eur. dir. uomo (supra, nota 66) –
la prospettiva tendente a considerare – superando la tradizionale idea di una sua marginalità ed eccezionalità
– l’adozione in casi particolari quale vero e proprio modello alternativo di adozione, definibile (secondo una
terminologia corrente in altri ambienti) quale a d o z i o n e s e m p l i c e , in contrapposizione a quella legittiman-
te (qualificata, nell’intitolazione del titolo II L. 184/1983, semplicemente come “adozione”), a sua volta indi-
viduata in termini di a d o z i o n e p i e n a (per una simile ottica, in chiave di “diversa genitorialità adottiva”, v.,
ad es., Cass. 22-6-2016, n. 12962).
74
Pare il caso di evidenziare come, in relazione alla fattispecie di adozione disciplinata dall’art. 441, lett. d, anche
la stessa Cassazione non abbia mancato di riferirsi alla terminologia di adozione mite (Cass. 9373/2018 e 1476/2021):
supra, nota 66. L’adozione ai sensi dell’art. 441, lett. d, sulla base di una interpretazione del riferimento alla “impos-
sibilità” come estensibile a quella giuridica, per mancanza dello stato di abbandono, è stata ritenuta ammissibile an-
che a favore della convivente dello stesso sesso della genitrice biologica di una minore (Trib. min. Roma 30-7-2014,
confermata da App. Roma 23-12-2015). La Cassazione (22-6-2016, n. 12962, che non ha reputato necessitata la
chiamata in causa delle sezioni unite) ha avallato una simile impostazione (fatta propria anche da App. Torino 27-5-
2016, in riforma di provvedimenti diversamente orientati, come Trib. min. Piemonte e Valle d’Aosta 11-9-2016, ma
espressamente contestata da Trib. min. Milano 17-10-2016) e la relativa prospettiva interpretativa – dichiaratamente
di carattere evolutivo – con riguardo a “tutte le ipotesi in cui, pur in difetto di uno stato di abbandono, sussista in
concreto l’interesse del minore a vedere riconosciuti i legami affettivi sviluppatisi con altri soggetti, che se ne pren-
dono cura”, senza possibilità di conferire “rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e della conseguente natu-
ra della relazione da questo stabilita con il partner” (e v. i richiami di Corte cost. 221/2019). Una remora al-
l’utilizzazione del meccanismo dell’adozione in casi particolari (per le coppie non coniugate, come sono ovviamente
quelle omosessuali) è stata, peraltro, individuata nell’art. 481, secondo cui la responsabilità genitoriale finirebbe col
competere al solo adottante (Trib. min. Palermo 7-7-2017). Nel senso, invece, di una possibile condivisione della
responsabilità genitoriale (con conseguente possibilità di disporre l’adozione anche nel caso di partner dello stesso
sesso del genitore biologico), alla luce della generale previsione dell’art. 315 bis, Trib. min Bologna 31-8-2017 e App.
Napoli 4-7-2018. Pare il caso di sottolineare come la via dell’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 441, lett. d,
sia stata considerata – come accennato non senza contrasti – trovare legittimazione, per gli uniti civilmente, nella
(volutamente) ambigua formulazione dell’art. 120, L. 76/2016, laddove, esclusa l’operatività, per le persone unite
civilmente, delle “disposizioni” di cui alla L. 184/1983, si precisa che “resta fermo quanto previsto e consentito in
materia di adozione dalle norme vigenti” (V, 3.17). Del riconoscimento dell’efficacia di provvedimenti stranieri di
adozione (nel caso di specie statunitense e concernente l’adozione da parte di due uomini) in cui sono indicati come
adottanti due persone dello stesso sesso, si è occupata Cass. 16-6-2017, n. 14987, la quale richiama la rilevanza, al
riguardo, della Convenzione dell’Aja del 29.5.1993 (ratificata con la L. 476/1998), il cui art. 24 stabilisce che “il ri-
conoscimento dell’adozione può essere rifiutato da uno Stato contraente solo se essa è manifestamente contraria
all’ordine pubblico, tenendo presente l’interesse superiore del minore”). Per il riconoscimento di adozioni pronun-
ciate all’estero (problematica, questa, i cui termini ha cercato di chiarire Corte cost. 7-4-2016, n. 76), v., comunque,
App. Milano 16-10-2015 e App. Napoli 5-4-2016 (relativamente all’adozione legittimante “incrociata” di due mino-
ri, ciascuno da parte della coniuge della rispettiva madre biologica), confermata da Cass. 31-5-2018, n. 14007 (risul-
tando la sentenza straniera di adozione non contraria all’ordine pubblico, “valutato in relazione al superiore interes-
se dei minori ed al mantenimento della stabilità della vita familiare venutasi a creare con entrambe le figure genito-
riali”). Un riconoscimento analogo, ma con riguardo all’adozione di due minori da parte di una coppia omosessuale
maschile, ha operato, ad es., Trib. min. Firenze 8-3-2017. Peraltro, con riguardo alla dichiarazione di efficacia in
Italia di provvedimenti stranieri di adozione legittimante da parte di una coppia di due uomini, Cass. 11-11-2019, n.
29071, ha sollecitato l’intervento delle sezioni unite (in particolare, evidenziando la diversità della fattispecie in esa-
me rispetto a quella decisa in senso favorevole da Cass. 14007/2018, concernendo quest’ultima “un contesto familia-
re caratterizzato dalla presenza di almeno un genitore biologico”). Cass., sez. un., 31-3-2021, n. 9006, con ampia
motivazione, ha ritenuto che si possa riconoscere efficacia al provvedimento giurisdizionale straniero, non risultando
in contrasto con i principi dell’ordine pubblico internazionale l’essere gli adottanti una coppia omoaffettiva maschi-
CAP. 4 – FILIAZIONE 535

zione (salvo che nel caso di adozione da parte del coniuge del genitore) è consentita an-
che a chi non è coniugato 75.
È chiaro come, per tale via, l’ordinamento abbia cercato di rendere più elastico il si-
stema dell’adozione, sempre in vista della realizzazione del preminente interesse del mi-
nore, attraverso la salvaguardia degli affetti consolidati o in situazioni di difficile attua-
zione, altrimenti, dell’adozione stessa: l’accertamento della ricorrenza dell’interesse del
minore condiziona, appunto, la dichiarazione di adozione, ad esito di una procedura,
nella quale sono chiamati ad intervenire tutti i soggetti i cui interessi risultano coinvolti,
rivolta a vagliare la peculiarità della concreta situazione (artt. 56 s.).
Gli effetti di questo tipo di adozione non sono quelli dell’adozione legittimante 76,
ma, salvo che per l’esercizio delle tipiche funzioni del genitore da parte dell’adottante
(art. 48), quelli dell’adozione delle persone maggiorenni (art. 55, che richiama, in propo-
sito, le relative disposizioni del codice civile) 77. A ciò viene fatta conseguire anche la pos-
sibilità della revoca della adozione (non ammessa, invece, in genere, per l’adozione dei
minori), in caso di indegnità dell’adottato o dell’adottante, oltre che per la violazione dei
doveri degli adottanti (artt. 51 ss.).
c) L’originaria disciplina dell’adozione, nonostante diffuse perplessità al riguardo, è
stata conservata, con talune modificazioni, mantenendone la sua collocazione nel codi-
ce (artt. 291 ss.) e limitandone la portata ai maggiorenni. Lo scopo dell’adozione del-
le persone maggiori di età resta essenzialmente quello tradizionale (pur non mancando-
si, nella pratica, di piegarla a scopi diversi), consistente nell’assicurare la continuazione

le, almeno “ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità a fondamento della filiazione”
e una volta accertato che il provvedimento non si sia basato “solo sul consenso dei genitori biologici”, ma “abbia
valutato positivamente l’idoneità genitoriale in concreto degli adottanti”. Sui problemi che si pongono, con riguardo
all’omogenitorialità, in sede di formazione, rettificazione e trascrizione dell’atto di nascita, v. supra, V, 4.2, nota 14
(nonché, per quanto concerne l’ipotesi di maternità surrogata, V, 4.6, nota 56).
75
I requisiti degli adottanti sono specificati, in relazione alle diverse ipotesi, nell’art. 442-4. Per l’adozione è
necessario l’assenso dei genitori e del coniuge dell’adottando (461), anche se la relativa negazione può essere
superata (nell’interesse del minore), salvo che l’assenso sia rifiutato dai genitori esercenti la responsabilità ge-
nitoriale o dal coniuge convivente (462). La giurisprudenza, peraltro, ha interpretato restrittivamente la porta-
ta del dissenso del genitore, reputandolo non avere valenza preclusiva quando sia stata “accertata una situa-
zione di disgregazione del contesto familiare d’origine del minore in conseguenza del protratto venir meno
del concreto esercizio di un rapporto effettivo con il minore stesso da parte del genitore esercente la respon-
sabilità” (Cass. 16-7-2018, n. 18827). Comunque, in relazione alle difficoltà riconducibili proprio alla disposi-
zione in questione, in vista di un’applicazione del meccanismo dell’adozione in casi particolari da considerare
atta a soddisfare pienamente l’interesse del minore, v., da ultimo, Corte cost. 9-3-2021, nn. 32 e 33.
76
Si sottolinea derivarne una situazione che “nega comunque al figlio e all’adottante il diritto a una rela-
zione pienamente equiparata alla filiazione” (Cass. 29-4-2020, n. 8325).
77
Il nuovo art. 74, nel considerare espressamente estesa l’operatività del vincolo della parentela anche al
figlio adottivo, ne esclude il sorgere “nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli artt. 291 e se-
guenti”. Una interpretazione letterale della disposizione deporrebbe, allora, nel senso della instaurazione del
vincolo di parentela anche nel caso di adozione in casi particolari (peraltro, dovendosi una simile conclusione –
e di qui le divergenze di vedute immediatamente sorte al riguardo – conciliare, sotto il profilo sistematico,
con l’art. 55 e, in particolare, con il richiamo ivi operato all’art. 300 c.c.) (sul punto, v. supra, V, 1.6). Comun-
que, da ultimo, Corte cost. 28-3-2022, n. 79, ha giudicato costituzionalmente illegittimo – per la privazione
che ne deriva al minore della relativa “rete di tutele personali e patrimoniali” – l’art. 55, nella parte in cui,
mediante il rinvio all’art. 300, prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto tra
l’adottato ed i parenti, dell’adottante, con i conseguenti riflessi sulla portata dell’art. 74.
536 PARTE V – FAMIGLIA

della famiglia dell’adottante, come emerge dall’essere stata essa consentita – almeno
nella previsione codicistica, il cui senso, però, è stato profondamente mutato dal ripe-
tuto intervento della Corte costituzionale – solo alle persone prive di discendenti (le-
gittimi o legittimati: art. 2911) 78.
L’adozione richiede una differenza di età di almeno 18 anni 79; può avvenire anche da
parte di due coniugi ed è ammessa l’adozione di più persone, pure con atti successivi
(art. 294). Occorre, ovviamente, il consenso dell’adottante e dell’adottato (art. 296), non-
ché l’assenso dei genitori dell’adottando e del coniuge dell’adottante e dell’adottando
(art. 297). L’adozione viene pronunciata dal tribunale (ordinario) (art. 313), verificatane
la corrispondenza all’interesse dell’adottando (art. 312).
Quanto agli effetti dell’adozione, l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo an-
tepone al proprio (art. 2991; in caso di adozione compita da coniugi, art. 2993, assumeva
quello del marito, fino al recente intervento della Corte costituzionale in materia di tra-
smissione del cognome: IV, 2.9 e V, 4.9) e acquista gli stessi diritti spettanti ai figli legit-
timi in ordine alla successione dell’adottante (mentre quest’ultimo non vanta diritti suc-
cessori nei confronti dell’adottato) (art. 304). L’adottato conserva tutti i diritti e i doveri
verso la propria famiglia di origine e l’adozione non vale ad instaurare rapporti di paren-
tela tra l’adottato e i parenti dell’adottante (art. 300) 80. L’adozione, poi, può essere revo-
cata per indegnità dell’adottato o dell’adottante (artt. 305 ss.).
d) La L. 184/1983 ha regolato anche il fenomeno dell’adozione internazionale, la cui
diffusione è legata soprattutto alla difficoltà del ricorso all’adozione di minori italiani
(del tutto marginale risultando l’ipotesi inversa, pure contestualmente disciplinata, del-
l’espatrio di minori italiani a scopo di adozione). La normativa originaria è stata ampia-
mente modificata dalla L. 31.12.1998, n. 476, con cui è stata ratificata la Convenzione
dell’Aja del 29.5.1993, onde accrescere le garanzie a favore dei minori, evitando abusi e
assicurando in ogni caso la tutela degli interessi dei minori stranieri coinvolti (spesso og-
getto di un vero e proprio mercato).
Per evitare gli inconvenienti del passato (legati alla ricerca personale del minore al-
l’estero o all’intervento di intermediari non sempre operanti in modo corretto), è stato
fissato un iter procedurale rigoroso. Gli aspiranti all’adozione di un minore straniero,
aventi i requisiti previsti, in genere, per l’adozione di minori, devono, a seguito di una
propria dichiarazione di disponibilità (art. 29 bis1) 81, ottenere un decreto – emesso dal

78
Corte cost. 19-5-1988, n. 557, in effetti, ha dichiarato tale previsione costituzionalmente illegittima,
consentendo l’adozione in questione anche a persone che abbiano “discendenti legittimi o legittimati maggio-
renni e consenzienti”. Corte cost. 20-7-2004, n. 245, ha ritenuto, poi, illegittima la disposizione anche nella
parte in cui non prevede che l’adozione di maggiorenni sia vietata “in presenza di figli naturali riconosciuti
dall’adottante, minorenni o, se maggiorenni, non consenzienti”. Una nuova formulazione della disposizione
sarebbe stata sicuramente opportuna, quindi, nel contesto della recente revisione della disciplina della filia-
zione (che non risulta, invece, essere intervenuta in proposito), eventualmente anche accogliendo le proposte
di limitarne, sul modello di altre esperienze, l’applicabilità alla ricorrenza di più stringenti condizioni, come,
in particolare, la pregressa sussistenza di significativi rapporti personali tra le parti.
79
Cass. 3-4-2020, n. 7667, comunque, ha concluso che tale divario minimo di età può essere “ragionevol-
mente ridotto”, attraverso una interpretazione dell’art. 291 costituzionalmente orientata, al fine di “tutelare
situazioni familiari consolidatesi da tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris”.
80
Tale principio risulta espressamente ora ribadito dal nuovo art. 74 (supra, V, 1.6).
81
La disciplina dei requisiti degli aspiranti all’adozione internazionale è stata reputata costituzionalmente le-
CAP. 4 – FILIAZIONE 537

tribunale per i minorenni sulla base di una approfondita relazione dei servizi sociali –
attestante l’idoneità ad adottare (art. 30). Successivamente, essi devono conferire l’inca-
rico a curare la procedura di adozione ad uno degli enti a ciò autorizzati dalla Commis-
sione per le adozioni internazionali (costituita presso la Presidenza del Consiglio dei mi-
nistri e composta ai sensi dell’art. 38, la quale ha emanato “linee guida” per gli enti auto-
rizzati in data 1.3.2005): l’ente svolge tutte le pratiche necessarie all’estero e le attività
necessarie a consentire l’incontro tra gli aspiranti all’adozione ed il minore, trasmettendo
alla Commissione la documentazione richiesta (art. 31).
La Commissione, valutate le conclusioni dell’ente incaricato, dichiara che l’adozio-
ne risponde al superiore interesse del minore e ne autorizza l’ingresso e la residenza in
Italia, a condizione che il minore si trovasse in situazione di abbandono (e fosse impos-
sibile l’adozione all’estero) e che anche nel Paese straniero l’adozione abbia gli stessi
effetti di quella italiana, consistenti nell’acquisto dello stato di figlio legittimo e nella
cessazione dei rapporti con la famiglia di origine (in caso contrario, occorre che i geni-
tori naturali consentano espressamente alla produzione di tali effetti e che il tribunale
per i minorenni riconosca la conformità dell’adozione alla Convenzione dell’Aja) (art.
32). L’adozione pronunciata all’estero produce gli stessi effetti dell’adozione dei minori
(di cui all’art. 27), una volta che il tribunale abbia accertato che sussistono i requisiti
previsti dalla Convenzione e che il provvedimento sia conforme ai principi fondamen-
tali del nostro diritto di famiglia e dei minori, ordinandone la trascrizione nei registri
dello stato civile (art. 35). Ne consegue anche l’acquisto, da parte dell’adottato, della
cittadinanza italiana (art. 343).
9. Il rapporto di filiazione. – La trattazione della materia degli effetti della filia-
zione non può che essere ora condotta unitariamente, in considerazione dell’afferma-
zione del principio della unicità della condizione di figlio, alla luce del nuovo art. 315,
per cui “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” 82. Nel nuovo quadro normativo 83 –
in coerente sviluppo, del resto, di quanto già previsto dalla L. 8.2.2006, n. 54, con ri-
guardo alle conseguenze della crisi familiare – il legislatore, per dare una configurazione
sistematicamente coerente a tale materia, nel titolo IX del codice civile (“Della respon-
sabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio”), al capo I intitolato “Dei diritti e do-
veri del figlio”, ha affiancato, nel capo II, la disciplina concernente l’“Esercizio della re-
sponsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti ci-
vili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli
nati fuori del matrimonio” (V, 4.10).
L’art. 315 bis, nella prospettiva dell’art. 301 Cost. 84, ma guardando – secondo la tendenza

gittima da Corte cost. 29-7-2005, n. 347, dovendo essa venire interpretata nel senso di “ritenere ammissibile
l’adozione internazionale negli stessi casi in cui è ammessa l’adozione nazionale legittimante o in casi particolari”.
82
Peraltro, è da ritenere che una simile trattazione potesse già essere sostanzialmente unitaria, dato il rife-
rimento dell’originario art. 261 all’assunzione, da parte del genitore, quale conseguenza del riconoscimento del
figlio naturale, di tutti i doveri e i diritti che egli aveva nei confronti dei figli legittimi (e comportando l’ado-
zione dei minori l’acquisto dello stato di figlio legittimo).
83
Si tenga presente che il D.Lgs. 154/2013 ha disposto, con l’art. 1047-10, la retroattività – “fermi gli effetti
del giudicato formatosi prima dell’entrata in vigore della L. 10.12.2012, n. 219” – della nuova disciplina delle
azioni di stato e del riconoscimento dei figli.
84
È da ricordare come l’art. 301 Cost. accosti al “dovere” il “diritto” dei genitori di mantenere, istruire ed
538 PARTE V – FAMIGLIA

ovunque trionfante a concentrare l’attenzione sull’interesse del figlio e sulla sua preminenza
– al rapporto che deriva dalla generazione dal punto di vista del generato, riconosce al fi-
glio il “diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori nel
rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni” 85. Con
tale ultima precisazione si è inteso, evidentemente, richiamare i genitori al rispetto della
personalità in via di formazione del minore, cui deve essere assicurata progressivamente
una crescente autonomia (in conformità, del resto, a quanto previsto dalle più volte ri-
chiamate Convenzioni internazionali in materia di tutela dei minori) 86. L’affermazione,
poi, del “diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”
formalizza, in termini di principio generale, l’esigenza che il figlio sia sempre inserito in un
contesto relazionale adeguato ad assicurarne pienamente lo sviluppo della personalità 87.
Il mantenimento deve essere conforme, ovviamente, al tenore di vita della famiglia. Il
diritto di mantenimento (e il corrispondente dovere dei genitori) – ma è da ritenere che ciò
valga anche per gli altri diritti (e corrispondenti) doveri, con gli opportuni adattamenti in
relazione all’età del figlio – perdura anche oltre il raggiungimento della maggiore età da
parte del figlio (e si ricordi come la convivenza del figlio maggiorenne influisca anche sul-
l’assegnazione della casa familiare, in caso di crisi della famiglia: V, 4.11) 88.
L’obbligazione di mantenimento – che si ritiene avere, verso l’esterno, carattere di so-
lidarietà – è, ai sensi dell’art. 316 bis1 (cui rinvia ora l’art. 148 con riguardo ai doveri co-
niugali) ripartita tra i genitori (con evidente riferimento al criterio posto a base del dove-

educare i figli, intendendo evidenziare, così, che la genitorialità rappresenta un aspetto fondamentale della
personalità del soggetto (v. anche V, 4.4).
85
Si è visto come l’art. 147 consideri il rispetto delle prerogative che l’art. 315 bis riconosce ai figli quale
oggetto di un dovere – e di conseguente reciproca pretesa – dei coniugi (V, 2.9).
86
La prospettiva fatta propria dal legislatore emerge con chiarezza, in particolare, dalla previsione dell’art.
315 bis3 (secondo cui il figlio minore dodicenne, e anche di età inferiore se capace di discernimento, ha diritto
di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano), da leggere in stretto coordinamento
con quella intitolata, appunto, all’ascolto del minore (art. 336 bis: IV, 1.8). Nessuno spazio residua, ovviamen-
te, in vista del rispetto da prestare all’autonomia della famiglia nello svolgimento della funzione educativa, per
qualsiasi finalizzazione della relativa attività a scopi prestabiliti. L’originaria formulazione dell’art. 147 si ri-
chiamava alla necessaria conformità di tale attività, oltre che “ai principi della morale” (riferimento conserva-
to fino alla riforma del 1975), “al sentimento nazionale fascista”.
87
Al principio in questione si ricollegano, evidentemente, la dichiarazione dell’art. 11 L. 184/1983 (con la
conseguente articolazione della disciplina dettata in tema di affidamento e adozione: V, 4.7-8), nonché la discipli-
na dei rapporti del figlio con i membri della famiglia in dipendenza del venir meno della convivenza familiare (V,
4.10). Nell’ottica accennata non può che essere inquadrato anche quanto ora disposto dall’art. 317 bis, relativa-
mente ai rapporti con gli ascendenti. Pare opportuno sottolineare come al tradizionale elenco dei diritti del mi-
nore (e corrispondenti doveri dei genitori) sia stato aggiunto quello relativo all’assistenza morale, con il quale si è
inteso, evidentemente, esaltare l’essenzialità, ai fini di un armonico sviluppo della personalità del figlio, del rap-
porto personale di vita: ciò in una prospettiva che sembra essere stata anche in precedenza privilegiata con la
previsione della cura del figlio tra gli obiettivi cui si deve tendere nella conformazione del suo rapporto con i ge-
nitori in conseguenza della crisi familiare (art. 337 ter1-2, già art. 1551-2, a seguito della L. 54/2006).
88
Il dovere di mantenimento si ritiene pacificamente persistere, oltre la maggiore età, finché il figlio “ha
raggiunto l’indipendenza economica o è stato posto nelle condizioni concrete per conseguirla” (così, ad es.,
Cass. 25-7-2002, n. 10898), tendendosi, di recente, ad accentuare notevolmente il profilo della “autorespon-
sabilità” dello stesso per il proprio mantenimento (con un suo “obbligo”, una volta finiti gli studi, di attivarsi
per cercare un “qualsiasi lavoro”: Cass. 14-8-2020, n. 17183). Successivamente, i genitori restano tenuti a cor-
rispondere gli alimenti, ai sensi dell’art. 433, n. 3, ove ne ricorrano i presupposti (comunque, in proposito, v.
più ampiamente supra, V, 1.7).
CAP. 4 – FILIAZIONE 539

re di contribuzione) in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di


lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, sono gli
ascendenti, in ordine di prossimità, a dover fornire ad essi i mezzi necessari all’adempi-
mento dei loro doveri nei confronti dei figli 89. Ove vi sia inadempimento da parte del ge-
nitore, può essere ordinato che una quota dei redditi dell’obbligato venga versata diret-
tamente all’altro coniuge o a chi sopporta le spese (art. 316 bis2) 90.
Quanto al cognome , secondo la disciplina anteriore ai recenti interventi della Cor-
te costituzionale (cui è auspicabile segua tempestivamente il necessario – anche secon-
do la stessa Corte – intervento sistematico del legislatore) 91 (IV, 2.10), nel caso di filia-
zione nel matrimonio (cui è da assimilare l’ipotesi di adozione del minore), il figlio as-
sumeva quello del padre in forza di un principio considerato implicito nella legislazio-
ne civile. Nel caso di filiazione fuori del matrimonio, il figlio assume il cognome del ge-
nitore che per primo lo riconosce e assumeva (sempre prima dell’accennato intervento
della Corte costituzionale) quello del padre nell’ipotesi di riconoscimento fatto con-
temporaneamente dai due genitori. Il figlio può decidere, ove la filiazione nei confron-
ti del padre sia stata accertata successivamente al riconoscimento da parte della madre,
circa l’assunzione del cognome del padre, aggiungendolo, anteponendolo o sostituen-
dolo a quello della madre. Se il figlio è minore, sarà il giudice a decidere circa l’assun-
zione del cognome del padre (art. 262) 92.
Il figlio ha il – peraltro non sanzionabile – d overe di rispettare i propri genitori e,
finché convive in famiglia, deve contribuire al relativo mantenimento, in ragione delle
sue sostanze e del suo reddito (art. 315 bis4). Tali obblighi non cessano col raggiungi-
mento della maggiore età.

89
L’obbligazione degli ascendenti, secondo Cass. 23-3-1995, n. 3402, ha carattere sussidiario e non sorge
“per il solo fatto che uno dei genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli se l’altro genito-
re è, nonostante ciò, in grado di mantenerli”.
90
L’accertamento giudiziale della filiazione (fuori del matrimonio) determina, per il genitore, “l’obbligo di
provvedere al mantenimento del figlio a partire dalla nascita di quest’ultimo” e l’altro genitore – che abbia “so-
stenuto interamente tutte le spese per il mantenimento” – ha diritto ad ottenere “il rimborso delle spese, consi-
stendo il mantenimento in una obbligazione solidale di entrambi i genitori, sottoposta pertanto alla disciplina
dell’art. 1299” (Cass. 23-11-2007, n. 24409). Tende a diffondersi, nella prospettiva della risarcibilità del c.d. ille-
cito endofamiliare (V, 2.9), il riconoscimento di un risarcimento del danno (patrimoniale e non patrimoniale) a
favore del figlio ed a carico del genitore (solo successivamente dichiarato tale e, quindi, fino ad allora inadem-
piente ai propri obblighi personali e patrimoniali), per non aver potuto godere delle potenzialità – anche con
riguardo alla propria preparazione – consentite dall’inattuato rapporto col genitore (pure in relazione alla relati-
va posizione sociale: App. Bologna 10-2-2004; Trib. Venezia 18-4-2006). In ipotesi del genere, alla “violazione
dei doveri inerenti al rapporto di filiazione” è stato, anche dalla Cassazione (10-4-2012, n. 5652, Cass. 16-2-2015,
n. 3079), ricollegato un eventuale “obbligo di risarcimento dei danni non patrimoniali”.
91
Si ricordi come Corte cost. 31-5-2022, n. 130 (completando la portata dell’intervento di Corte cost. 21-12-
2016, n. 286, limitato a consentire ai genitori di trasmettere ai figli, al momento della nascita, di comune accordo,
“anche il cognome materno”) abbia dichiarato costituzionalmente illegittimi l’art. 2621, nonché, “in via conse-
quenziale”, la norma emergente dal sistema normativo complessivo della trasmissione del cognome al figlio nato
nel matrimonio, l’art. 2993 e l’art. 271 L. 184/1983, nella parte in cui prevedono l’assunzione del cognome del
padre (o del marito), anziché prevedere che il figlio (o l’adottato) assuma i cognomi dei genitori (o degli adottan-
ti), nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo – al momento, rispettivamente, del riconoscimen-
to, della nascita o nel procedimento di adozione – per attribuire il cognome di uno di loro soltanto.
92
Dovendosi avere “solo cura dell’interesse del minore” (Cass. 17-7-2007, n. 15953, nonché, ad es., 3-2-2011,
n. 2645, 15-12-2011, n. 27069 e 11-7-2017, n. 17139) (e v. più ampiamente, nel contesto della trattazione
concernente il cognome, IV, 2.10).
540 PARTE V – FAMIGLIA

L’esercizio della responsabilità genitoriale (secondo la terminologia, implicante


evidenti risvolti concettuali, introdotta a seguito della recente riforma della materia) 93 è di-
sciplinato dagli artt. 316 ss. 94. Già con la riforma del 1975, comunque, risultava abbandona-
to e sostituito con quello alla potestà dei genitori – in conformità all’accolto modello di fa-
miglia fondato sulla parità dei coniugi – il previgente riferimento alla patria potestà, quale
prerogativa del marito-padre, esercitabile dalla madre solo in sua mancanza (o in altri casi
particolari). Alla responsabilità genitoriale, la cui titolarità compete ad entrambi i genitori
(salvo il caso di decadenza), il figlio è soggetto sino alla maggiore età o all’emancipazione.
Essa è esercitata – nel doveroso riconoscimento al figlio di spazi di autonomia deci-
sionale via via crescenti 95 – dai genitori di comune accordo. Ciò ha indotto ad introdur-
re un meccanismo atto a superare, nell’interesse del figlio, le eventuali situazioni di di-
saccordo (cui sia estranea la ricorrenza di un vero e proprio pregiudizio per il minore,
tale da giustificare i provvedimenti sulla potestà, di cui agli artt. 330 ss.) (IV, 1.8), sen-
za violare l’autonomia decisionale dei genitori e assicurando, al contempo, la loro pari-
tà (art. 3162-3). È stata prevista, quando il contrasto verte su questioni di particolare
importanza, la possibilità di ricorrere al giudice 96. Il giudice svolge, innanzitutto,
ascoltato pure il figlio (maggiore di dodici anni e anche di età inferiore ove capace di

93
Altri ordinamenti, per evitare di evocare – già nella relativa identificazione sotto il profilo terminologico –
qualsiasi connotazione autoritaria della posizione dei genitori nel rapporto con i figli, hanno da tempo preferito
adottare espressioni come quella di “cura genitoriale” (elterliche Sorge) o di parental responsibility. In Francia, si
parla di autorité parentale, quale “insieme di diritti e di doveri finalizzati all’interesse del figlio”, prevedendo ora,
con una direttiva pienamente rispettosa della dignità e della autonomia del figlio, che i genitori “associano il fi-
glio alle decisioni che lo concernono, secondo la sua età ed il suo grado di maturità” (art. 371-1 code civil, ai sensi
della L. 2002-305 del 4.3.2002). Alla “responsabilità genitoriale” si riferisce pure il già ricordato regolamento
comunitario 27.11.2003, n. 2201, con riguardo, evidentemente, alla terminologia ritenuta più consona a rappre-
sentare la posizione dei genitori nei confronti del figlio, quale titolare di veri e propri diritti in vista della realizza-
zione degli interessi di cui è considerato portatore. Secondo un diffuso auspicio (che trovava, del resto, già ri-
scontro nella stessa giurisprudenza, la quale non aveva mancato spesso di parlare senz’altro di “responsabilità
genitoriale”: ad es., Cass. 15-9-2011, n. 18863), allora, il D.Lgs. 154/2013, nella prospettiva indicata dall’art. 21,
lett. h, L. 219/2012, ha sistematicamente sostituito tutti i precedenti richiami alla potestà dei genitori col riferi-
mento alla nozione, appunto, di responsabilità genitoriale. Peraltro, la pregressa terminologia non manca di esse-
re ancora spesso (erroneamente) evocata in notiziari, discussioni e (autorevoli) dichiarazioni.
94
Quella spettante ai genitori è da ritenere che costituisca, pure nella prospettiva ora privilegiata dal
legislatore, esempio significativo di potestà, quale peculiare situazione giuridica complessa attribuita dall’ordi-
namento in vista della tutela di interessi altrui reputati meritevoli di peculiare protezione (II, 3.7; IV, 1.8).
Pare il caso di sottolineare come con l’applicazione della disciplina comune in materia di responsabilità geni-
toriale siano da risolvere anche le problematiche concernenti la c.d. omogenitorialità, con riguardo, cioè, alle
ipotesi in cui sia venuto a costituirsi un rapporto di filiazione giuridicamente rilevante – e, quindi, una situa-
zione di bigenitorialità – con due persone dello stesso sesso (V, 4.2; V, 4.8).
95
È, appunto, alla luce del necessario rispetto della crescente autonomia del minore (IV, 1.7) che deve
essere comunque intesa e applicata, attualmente, la disciplina dell’art. 318, in tema di abbandono della casa
del genitore (col potere riconosciuto loro di richiamare, anche ricorrendo al giudice tutelare, il minore che
se ne sia allontanato senza permesso). Tale disposizione si ricollega a quanto previsto dall’art. 3161, secon-
do cui i genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore.
96
Risulta ora soppresso, evidentemente in considerazione delle diffuse perplessità al riguardo sotto il
profilo del rispetto della uguaglianza dei genitori, il previgente riconoscimento al padre del potere di adot-
tare i provvedimenti indifferibili, in caso di incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio. L’art.
123, lett. ii, L. 206/2021 dispone “di procedere al riordino della disciplina di cui agli articoli 145 e 316” (si
aggiunge “attribuendo la relativa competenza al giudice anche su richiesta di una sola parte”: precisazione,
invero, poco chiara, dato che già attualmente al giudice può rivolgersi “ciascuno dei genitori”).
CAP. 4 – FILIAZIONE 541

discernimento), una funzione persuasiva e solo se il contrasto permane (non decide egli
stesso ma) attribuisce il potere di decisione al genitore che, nel caso concreto, ritiene
più idoneo a curare l’interesse del figlio.
L’esercizio della responsabilità genitoriale 97 si concentra in uno dei genitori nel caso
di lontananza, incapacità o altro impedimento dell’altro. La responsabilità genitoriale co-
mune non cessa con il venir meno della convivenza (a seguito di separazione, annulla-
mento del matrimonio o divorzio) ed il relativo esercizio è disciplinato nel contesto degli
effetti della crisi familiare (art. 317) (V, 4.10).
Risulta ora riconosciuto agli ascendenti il diritto di mantenere significativi rapporti
con i nipoti minorenni, con possibilità di ricorso al giudice per l’adozione dei provve-
dimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore (317 bis1-2). Tale ultimo richiamo
all’interesse del minore – in una con la competenza attribuita, in proposito, al tribunale
per i minorenni (come, in genere, nell’attesa della istituzione, ai sensi dell’art. 124 L.
206/2021, lett. a, del “tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie”, per i
provvedimenti in materia di controllo della responsabilità genitoriale: art. 381 disp.
att.) – induce a ritenere che, alla base della valorizzazione della posizione dell’ascen-
dente, vi sia pur sempre la preminente considerazione delle esigenze relazionali del
minore stesso 98.
Il legislatore, pur nel contesto della perseguita unicità dello stato di figlio, ha preso in
considerazione, nell’interesse del figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, oltre
alla (dianzi accennata) problematica concernente il suo cognome (art. 262), i problemi
peculiari che l’esercizio della responsabilità genitoriale presenta nei relativi confronti (e,
quindi, con riguardo alla c.d. famiglia naturale: V, 1.4). Al riconoscimento (e, in generale,
ai sensi dell’art. 2771, all’accertamento) della filiazione fuori del matrimonio consegue, per
il genitore, la titolarità della responsabilità genitoriale sul figlio. Se il riconoscimento è av-
venuto da parte di uno solo dei genitori, è solo a lui che ne compete l’esercizio. Ove il fi-

97
La trattazione degli aspetti di carattere più specificamente patrimoniale della regolamentazione della re-
sponsabilità genitoriale, nonché l’esame dei meccanismi concernenti il relativo controllo, ai sensi degli artt. 330
ss., sono stati svolti a proposito della condizione giuridica del minore (e della protezione che ai suoi interessi
viene apprestata, appunto, attraverso la previsione e la disciplina della responsabilità genitoriale), supra, IV,
1.8.
98
Indubbiamente più opportuna sembra presentarsi, allora, la formulazione dell’art. 337 ter1, che dichia-
ratamente si muove, appunto, nell’ottica dell’esigenza del minore (e del corrispondente suo “diritto”) di
conservare significativi rapporti con gli ascendenti (e gli altri parenti) (V, 4.10). Anche la Corte eur dir.
uomo (20-1-2015 e 7-12-2017), la quale sembra far rientrare nel rispetto dovuto alla loro “vita familiare” (ai
sensi dell’art. 8 CEDU) un vero e proprio “diritto di visita” dei nonni, onde conservare il “legame familiare”
coi nipoti, riconosce, comunque, il carattere non incondizionato di tale diritto. Insomma, l’esercizio del dirit-
to degli ascendenti (i provvedimenti che incidono sui quali sono ritenuti impugnabili con ricorso per cassa-
zione, ai sensi dell’art. 1117 Cost.: Cass. 25-7-2018, n. 19780 e 12-11-2018, n. 19001) resta pur sempre subor-
dinato ad una valutazione avente di mira “l’esclusivo interesse del minore”, sussistente solo “quando il coin-
volgimento degli ascendenti si sostanzi in una fruttuosa cooperazione con i genitori per l’adempimento dei
loro obblighi educativi” (Cass. 12-6-2018, n. 15238; valutazione che, ovviamente, dovrà essere particolarmen-
te rigorosa in caso di “contestazione da parte dei genitori”. Cass. 19-5-2020, n. 9144). Così, Cass. 25-7-2018,
n. 19779 non esita a parlare, in proposito, di “posizione recessiva nei confronti dei minori” (sempre dovendo-
si tener debito conto “della volontà espressa” dai nipoti). Cass. 19780/2018 ha ritenuto competere il diritto in
questione anche a chi si affianchi al “nonno biologico”, ove “abbia instaurato con il minore una stabile rela-
zione affettiva, dalla quale lo stesso possa trarre beneficio sul piano della formazione” (con riferimento alla
seconda moglie del nonno).
542 PARTE V – FAMIGLIA

glio nato fuori del matrimonio sia stato riconosciuto da entrambi i genitori, il relativo eser-
cizio spetta ad entrambi (art. 3164) 99.
Con riguardo al caso del riconoscimento di un figlio nato fuori del matrimonio da
parte di persona coniugata, effettuato durante il matrimonio, spetta al giudice la decisio-
ne circa il relativo affidamento e l’adozione di ogni altro provvedimento a tutela del suo
interesse morale e materiale (art. 2521). In tale ipotesi, può essere autorizzato, nell’inte-
resse del figlio, il suo inserimento nella famiglia del genitore, con le cautele stabili-
te dal giudice, una volta accertato il consenso dell’altro coniuge convivente, dei figli ul-
trasedicenni conviventi, nonché dell’altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento.
Nel caso di riconoscimento anteriore al matrimonio, oltre al consenso dell’altro genitore,
occorre solo il consenso del coniuge (salvo che costui fosse a conoscenza dell’esistenza del
figlio o che il figlio già convivesse col genitore all’atto del matrimonio) (art. 2522-4) 100.
Si tratta di una disciplina, la cui eventuale incidenza negativa sulla posizione del figlio
nato fuori del matrimonio trova la propria ragione nel rispetto della unità e lealtà interna
del nucleo familiare (con la conseguente giustificazione della sua legittimità costituziona-
le, alla luce della riserva di compatibilità con “i diritti dei membri della famiglia legitti-
ma”, prevista – dall’art. 303 Cost. – come unico possibile limite alla “tutela giuridica e
sociale” dei figli nati fuori del matrimonio) 101.

10. Crisi familiare e tutela dell’interesse dei figli. – Preso atto dell’inevitabilità del
verificarsi di crisi familiari, il legislatore concentra, da tempo, la sua attenzione sulla sorte
dei figli, correntemente indicati, con espressione che rischia di diventare un luogo comune,
quali “vittime incolpevoli” della crisi familiare dei genitori. La direttiva di fondo seguita in
materia – dal nostro legislatore come dagli altri che si sono occupati, di recente, di una si-
mile problematica – è nel senso di assicurare ai figli, nei limiti del possibile, al di là della
rottura della compagine familiare, l’effettivo apporto personale, oltre che economico, di
ambedue i genitori (principio della bigenitorialità): di promuovere, cioè, in una prospettiva
di superamento della conflittualità (soprattutto in ordine alla sorte della stessa prole), il
sorgere di una comunità parentale, che sopravviva al fallimento di quella familiare.
Data per scontata la continuità, al di là della crisi familiare, dei doveri dei genitori
connessi alla responsabilità genitoriale nei confronti dei figli (art. 3172), il principio basi-

99
L’art. 3165 dispone che il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale vigila sull’istruzione, sul-
l’educazione e sulle condizioni di vita del figlio. Tale previsione sembra riferirsi alle ipotesi in cui il giudice, in
caso di mancanza – iniziale, dato che, se si tratta di venire meno della convivenza, deve applicarsi, in materia
di esercizio della responsabilità genitoriale, la disciplina del capo II del titolo IX – della convivenza dei geni-
tori, abbia adottato provvedimenti circa l’esercizio della responsabilità genitoriale.
100
Con l’art. 2525 si è ora stabilito – in applicazione del principio dell’art. 21, lett. e, n. 1, L. 219/2012,
tendente a demandare “esclusivamente al giudice la valutazione di compatibilità di cui all’art. 30, terzo com-
ma, della Costituzione” – che, in caso di disaccordo tra i genitori, ovvero di mancato consenso degli altri figli
conviventi, la decisione sia rimessa al giudice (previo ascolto dei figli minori che abbiano compiuto dodici
anni o anche di età inferiore ove capaci di discernimento), ovviamente sempre tenendo conto dell’interesse
dei minori.
101
Un analogo ordine di motivazioni era collocato tradizionalmente a base del c.d. diritto di commutazione,
spettante ai figli legittimi del defunto nei confronti di quelli naturali (art. 5373: XII, 3.2). Non si mancava di dubi-
tare già della legittimità della sua conservazione anche nel quadro normativo previgente: di qui le istanze per la
relativa soppressione, ora evidentemente avvenuta in applicazione del principio della unicità dello stato di figlio.
CAP. 4 – FILIAZIONE 543

lare è quello per cui tutti i provvedimenti relativi alla prole devono essere adottati “con
esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” (art. 337 ter2).
Era criticabile, nel nostro ordinamento, data l’unitarietà della problematica dei rapporti
tra genitori e figli in dipendenza della dissoluzione della comunità di vita familiare, la du-
plicazione della relativa disciplina (in sede, cioè, sia di separazione personale che di divor-
zio), cui si aggiungeva la ancora diversa disciplina dei rapporti con i figli in conseguenza
del venir meno della convivenza dei genitori non coniugati. Una simile frammentazione –
peraltro in larga misura ovviata dagli interventi della giurisprudenza (costituzionale e ordi-
naria) – il legislatore aveva inteso superare con la L. 8.2.2006, n. 54, recante disposizioni in
materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli. Tale provvedimento,
nel sostituire l’originario art. 155 (quale già novellato nel quadro della riforma del diritto di
famiglia del 1975), integrandolo con taluni articoli aggiuntivi, prevedeva espressamente
(nel suo art. 42) l’applicabilità della nuova disciplina “anche in caso di scioglimento, di
cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti rela-
tivi ai figli di genitori non coniugati”: risultava eliminata così, in particolare, quella di-
versità di regolamentazione con riguardo ai figli di genitori non coniugati, che finiva
col rappresentare per essi una forma di discriminazione 102. Il superamento definitivo,
anche sotto il profilo sistematico, dell’accennata frammentazione si è avuto, infine, con
la L. 10.12.2012, n. 219 e la relativa normativa applicativa (D.Lgs. 28.12.2013, n. 154),
le quali hanno disciplinato unitariamente la problematica connessa alla crisi familiare
negli artt. 337 bis ss. (peraltro riproduttivi, quanto a contenuti, della da poco riformata
normativa in materia), inseriti nel capo II, titolo IX (“Della responsabilità genitoriale e
dei diritti e doveri dei figli”), libro I, intitolato, appunto, “Esercizio della responsabili-
tà genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, an-
nullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati
fuori del matrimonio”.
Alla luce di quanto accennato, è da sottolineare come ovunque contestato sia risulta-
to il tradizionale assetto dei rapporti con la prole incentrato sull’affidamento ad uno dei
genitori (c.d. monogenitoriale), prevalendo il favore per modelli di affidamento congiunto
o, addirittura, per il superamento dell’idea (e della terminologia) stessa di affidamento.

102
Ciò soprattutto se la portata dell’accennata disposizione fosse stata intesa nel senso di attribuire al tri-
bunale ordinario anche la competenza per i provvedimenti concernenti i figli dei genitori non coniugati, in
precedenza considerati rientrare nella competenza del tribunale per i minorenni quanto agli aspetti relativi ai
rapporti personali e in quella del tribunale ordinario quanto agli aspetti relativi ai rapporti economici. In sen-
so contrario, però, Cass., ord. 3-4-2007, n. 8362, aveva concluso che “la competenza ad adottare i provvedi-
menti nell’interesse del figlio naturale spetta al tribunale per i minorenni”, comunque, rispetto al passato, con
“una attrazione, in capo allo stesso giudice specializzato, della competenza a provvedere, altresì, sulla misura
e sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al mantenimento del figlio” (onde evitare
un “evidente sacrificio del principio di concentrazione delle tutele”). Una simile soluzione è stata considerata
avere assunto dignità di “diritto vivente” (e v. anche Cass. 27-10-2010, n. 22001) da Corte cost. 5-3-2010, n. 82.
Per superare la situazione venutasi a creare in conseguenza dell’accennato orientamento giurisprudenziale,
data la relativa diffusamente lamentata incongruenza con lo spirito della legge e con le prospettive di unifica-
zione sistematica dello stato di figlio, dopo diverse iniziative legislative tendenti a concentrare ogni compe-
tenza nel tribunale ordinario (e nell’attesa che si concretizzi la diffusamente auspicata istituzione del tribunale
della famiglia, ora programmata, come già accennato, quale “tribunale per le persone, per i minorenni e per le
famiglie”, dall’art. 124, lett. a, L. 206/2021), tale risultato risulta conseguito, nel quadro degli interventi della L.
219/2012, con l’avvenuta novellazione dell’art. 38 disp. att. (ulteriormente modificato dall’art. 128 L. 206/2021).
544 PARTE V – FAMIGLIA

Solo con la riforma del divorzio del 1987, da noi, era stata prevista la possibilità – estesa
dalla giurisprudenza anche in materia di separazione – di disporre, ove reputato utile al-
l’interesse dei minori, l’affidamento congiunto o alternato, mentre il modello dominante
nella prassi ha continuato ad essere quello dell’affidamento ad uno solo dei genitori, col
riconoscimento all’altro, attraverso il c.d. diritto di visita, della conservazione di rapporti
personali con i figli.
Questo modello presenta ora tendenzialmente superato, in ossequio alla finalità che
l’art. 337 ter1 espressamente individua nel diritto del figlio minore, in caso di separazione
dei genitori, “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi,
di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare
rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” 103. A
tal fine, carattere prioritario si è attribuito all’affidamento del figlio ad ambedue i genito-
ri (art. 337 ter2) (definito affidamento condiviso) 104. Carattere eccezionale è inevita-

103
Nel nostro ordinamento, a differenza che in altri, non si prende in considerazione la sempre più fre-
quente realtà delle c.d. f a m i g l i e r i c o m p o s t e (V, 1.2), anche, e soprattutto, con riguardo all’interesse dei
figli alla conservazione di rapporti con figure significative di riferimento diverse dai genitori e parenti. Così,
ad es., in Francia, l’art. 371-41 code civil prevede che il giudice, ove lo ritenga nel suo interesse, “fissa le moda-
lità delle relazioni tra il minore ed un terzo, parente o meno” e, in Germania, il §1626 BGB si riferisce alla
“frequentazione di altre persone, con le quali il figlio ha legami, se la loro conservazione giova al suo svilup-
po” (il §1685 risultando intitolato alla “frequentazione del figlio con altre persone di riferimento”, tra cui so-
no contemplati espressamente il precedente coniuge ed il precedente convivente registrato del genitore). Nel
vuoto normativo, il diritto del minore alla conservazione di rapporti col c.d. genitore sociale – attraverso una
“interpretazione certamente evolutiva ma costituzionalmente e convenzionalmente conforme dell’art. 337 ter”
– è stato prospettato da Trib. Palermo 15-4-2015 (nel caso di specie, si trattava della ex convivente, quindi
dello stesso sesso, della madre biologica). Successivamente, App. Palermo 31-8-2015, nel ritenere impossibile
una simile interpretazione, pur condividendone la sostanza, ha sollevato, in proposito, la questione di legitti-
mità costituzionale. Peraltro, Corte cost. 20-10-2016, n. 225, non ha reputato sussistere “il vuoto di tutela
dell’interesse del minore presupposto dal giudice rimettente”, richiamando – invero alquanto riduttivamente, a
fronte della specificità della problematica coinvolta (relativa alla posizione, in genere, del genitore sociale,
soprattutto, poi, ove si tratti di partner dello stesso sesso del genitore biologico) – l’applicabilità, in casi del
genere, del rimedio di cui all’art. 333 (IV, 1.8), ove si ritenga che gli ostacoli posti alla conservazione di rap-
porti significativi costituiscano una “condotta comunque pregiudizievole al figlio” (alla persona interessata
risultando, così, aperta solo la via consistente nella sollecitazione dell’intervento del pubblico ministero, ai
sensi dell’art. 336). In applicazione dell’itinerario indicato dalla Corte costituzionale, v. App. Palermo 7-4-2017.
Proprio alla luce di tali interventi giurisprudenziali, pare il caso di evidenziare come la problematica concer-
nente la valorizzazione del ruolo del genitore sociale abbia finito, nei tempi più recenti, con l’intrecciarsi con
quella della c.d. omogenitorialità, con riguardo alle ipotesi in cui non si sia comunque realizzata, anche in tal
caso, quella situazione di co-genitorialità (v. supra, V, 4.2, nota 14, anche per ulteriori rinvii), che sembra ren-
dere operante la disciplina comune concernente l’esercizio della responsabilità genitoriale nelle situazioni di
crisi familiare (e v. infra, in questo stesso paragrafo). Comunque, Trib. Como 18-4-2019, non ha esitato a di-
sporre – a seguito del riscontro di un “grave disturbo della personalità” della madre – il collocamento di una
minore presso il marito (e sia pure nel contesto dell’affidamento ai servizi sociali), quale “genitore sociale”.
104
Le persistentemente diffuse – ma ingiustificate – remore nei confronti dell’affidamento congiunto han-
no indotto a ricorrere a una simile variante lessicale: resta il dubbio dell’inutilità di continuare a riferirsi alla
idea stessa di “affidamento” (non a caso abbandonata altrove), una volta che si sia inteso dare piena attuazio-
ne al principio della continuità del rapporto parentale con i figli al di là della crisi familiare. Ovviamente, in
considerazione della mancata convivenza dell’intero nucleo familiare, dovranno essere pur sempre stabiliti i
tempi e le modalità della permanenza del figlio presso ciascun genitore (così come misura e modalità del rela-
tivo contributo personale e materiale). Nella prospettiva della “condivisione” del rapporto col figlio, è evi-
dente come peso decisivo, al riguardo, sia destinato ad avere – non meno che nella fase fisiologica della vita
familiare – l’accordo dei genitori, potendo il giudice (oltre che intervenire in caso di disaccordo) discostarsene
CAP. 4 – FILIAZIONE 545

bilmente destinato a residuare, in una simile prospettiva, all’affidamento ad uno solo dei
genitori: per disporlo, infatti, occorre un provvedimento motivato con riguardo alla contra-
rietà all’interesse del minore dell’affidamento ad ambedue i genitori (art. 337 quater1) 105.

solo (come evidenzia, ad es., Cass. 20-6-2012, n. 10174) in caso di contrarietà all’interesse del figlio stesso
(art. 337 ter2). È da tenere presente che, a riprova della delicatezza della materia e della difficoltà di una sua
regolamentazione soddisfacente per tutti, risultano già proposte – anche in conseguenza di sue pretese di-
sfunzioni applicative – modifiche della disciplina introdotta dalla L. 54/2006 (e ora confermata dalla L.
219/2012 e dal D.Lgs. 154/2013). In proposito, un dibattito particolarmente ampio è stato quello occasiona-
to, di recente, dal D.D.L. n. 735 (Senato, XVIII legislatura: “Norme in materia di affido condiviso, manteni-
mento diretto e garanzia di bigenitorialità”).
105
Per Cass. 18-6-2008, n. 16593 (secondo un indirizzo successivamente confermato: ad es., 26-3-2015, n.
6132 e 2-1-2017, n. 27), posto che “l’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso, di
per sé, dalla mera conflittualità fra i coniugi”, la relativa esclusione “dovrà risultare sorretta da una motiva-
zione non più solo in positivo sull’idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sull’inidoneità edu-
cativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale” (dato che ciò potrà
avvenire “solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore”: Cass. 11-7-2017, n.
17137). Tale impostazione risulta uniformemente seguita dalla giurisprudenza. Così, è stato affermato che
“l’oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori non preclude la possibilità di un affida-
mento condiviso” (Cass. 2-12-2012, n. 24526, con la precisazione che ciò non risulta incompatibile “con il
mantenimento della collocazione del minore presso l’abitazione della madre”; al carattere di per se stesso non
decisivo del trasferimento della residenza da parte del genitore collocatario allude Cass. 12-5-2015, n. 9633;
ma un affidamento esclusivo è stato reputato più adeguato in un caso in cui uno dei genitori viva ormai sta-
bilmente in un lontano paese straniero, trascurando anche il minimo degli incontri previsti, insufficienti es-
sendo considerati i contatti – anche frequenti – via cellulare o skype: Cass. 17-1-2017, n. 977) e che anche la
rilevanza di gravi “vicende relative ai rapporti personali” di uno dei genitori con l’altro resta condizionata alla
“enunciazione delle ragioni per le quali tali vicende renderebbero, in rapporto all’attualità, del tutto evidente
la inidoneità” del genitore (Cass. 7-12-2010, n. 24841). Comunque, la difficoltà di mantenimento di un profi-
cuo rapporto con l’altro genitore non ha mancato di spingere – in regime di affidamento condiviso – ad un
divieto di trasferimento del genitore collocatario in altro paese (Trib. Roma 7-7-2017). In ogni caso, ci si è
riferiti ad una possibile rilevanza ostativa di un “comportamento gravemente denigratorio” assunto dal padre
e dalla sua famiglia nei confronti della madre (Cass. 11-8-2011, n. 17191). Per la (dubbia) rilevanza, ai fini
della determinazione del regime dell’affidamento (e, in particolare, ai fini di quello esclusivo), della sindrome
di alienazione parentale (PAS, presa in considerazione nel D.D.L. n. 735) o sindrome della madre malevola
(MMS), v. Cass. 16-5-2019, n. 13274 e 17-5-2021, n. 13217, che si richiama, comunque, alla necessaria ricor-
renza “di accertate, irrecuperabili carenze d’espressione delle capacità genitoriali”. Corrente è la conclusione
per cui “l’affidamento condiviso non impone una ripartizione paritaria e perfettamente simmetrica dei tempi
di permanenza” presso i due genitori (ad es., Trib. Messina 27-11-2012 e, di recente, Cass. 13-2-2020, n.
3652) e che, quindi, il carattere condiviso dell’affidamento “non esclude che il minore possa essere prevalen-
temente collocato presso uno dei genitori, anche se l’altro dovrà avere ampia possibilità di vederlo e tenerlo
con sé” (Cass. 20-1-2012, n. 785; 10-12-2014, n. 26060; 12-5-2015, n. 9633; 30-7-2018, n. 20151; 10-10-2018,
n. 25134: sempre sottolineandosi l’esigenza, ai fini del rispetto del “principio di bigenitorialità, da intendersi
quale presenza comune nei genitori nella vita del figlio”, di garantire “al genitore non collocatario ampi pe-
riodi di tempo per tenere il figlio presso di sé”; alla necessaria considerazione della complessità degli interessi
in gioco, comunque partendo dall’esigenza di assicurare il benessere del minore, alludono Cass. 3652/2020 e
16-6-2021, n. 17221). Usuale, nella prassi, si presenta, allora, l’individuazione, appunto, di un genitore c.d.
c o l l o c a t a r i o (non necessariamente, però, da individuare secondo la tesi della c.d. maternal preference: App.
Catania 3-7-2017). Per un fermo richiamo, comunque, nel senso che le autorità competenti devono garantire
l’effettività del mantenimento della relazione tra il genitore non (abitualmente) convivente e il figlio, Corte
eur. dir. uomo 15-9-2016. Contro l’accennata prassi risultano, peraltro, di recente orientate le (discusse) “Li-
nee guida” in materia del Tribunale di Brindisi, elaborate in data 3.3.2017. Analogamente, in sostanza, il (dif-
fusamente criticato per la sua eccessiva rigidità e difficoltà operativa) D.D.L. n. 735, tendente a ripartire tra i
genitori la permanenza del minore secondo “tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità mate-
riale” (e, in ogni caso, non inferiori a dodici giorni presso ciascun genitore: art. 111-2). L’attuazione del princi-
pio di bigenitorialità (nel senso dianzi accennato) rende inevitabili, ovviamente, spostamenti tanto del minore,
546 PARTE V – FAMIGLIA

In tale ipotesi, evidentemente, l’assetto dei rapporti resta fondato, come nel sistema pre-
cedente, su di un affidamento sostanzialmente monogenitoriale (con la previsione, comun-
que, di adeguate modalità di frequentazione e di contribuzione dell’altro genitore, sempre
in considerazione dell’accennato diritto del figlio alla continuità del rapporto con ambe-
due i genitori).
È stato chiarito come, ai fini dell’affidamento, non possa conferirsi alcuna rilevanza agli
eventuali giudizi di responsabilità per la crisi (come l’addebito della separazione), né, al-
meno in quanto tali, a circostanze quali la religione professata, il trasferimento in altra città
o Stato, ovvero l’attività svolta dal genitore: decisivo deve restare solo il riscontro della ido-
neità – nell’interesse del minore all’armonico sviluppo della personalità – a svolgere i com-
piti connessi alla qualità di affidatario. La esclusiva finalizzazione dei provvedimenti in ma-
teria alla realizzazione dell’interesse del minore sconsiglia di parlare di “diritti” dei genitori
(all’affidamento e alla visita), trattandosi in ogni caso di situazioni le quali, più corretta-
mente, sono da identificare in termini di diritto-dovere (munus) dei genitori stessi 106.

quanto dei genitori. La riduzione della possibilità di circolazione delle persone in dipendenza del (caotico)
susseguirsi – a partire dal D.P.C.M. 8.3.2020 – dei provvedimenti occasionati dall’epidemia di Covid-19 non
ha mancato di determinare, quindi, nel silenzio dei provvedimenti stessi sul punto (e nella conseguente situa-
zione di grave incertezza per interessati e operatori), l’insorgere di problemi al riguardo. Significativamente,
Trib. Milano 11.3.2020 ha senz’altro ritenuto che “alcuna ‘chiusura’ di ambiti regionali può giustificare viola-
zioni di provvedimenti di separazione o divorzio” (in materia di “attuazione delle disposizioni di affido e col-
locamento dei minori”). Del resto, prima in chiarimenti governativi, poi nel modello di “autocertificazione”
prescritto per giustificare gli spostamenti, tra le motivazioni ammesse è stata presto inserita quella concernen-
te gli “obblighi di affidamento di minori”. Comunque, l’accennata situazione di incertezza ha propiziato una
notevole confusione e diversità di atteggiamenti – inevitabilmente condizionati da valutazioni del tutto perso-
nali – da parte dei giudicanti. Così, da una parte, nonostante l’accennata consentita possibilità di spostamenti
per assicurare l’attuazione del principio di bigenitorialità, una certa diffusione ha avuto la tendenza ad am-
mettere i contatti col genitore diverso da quello collocatario prevalente (solo) attraverso strumenti telematici
(in particolare, Trib. Bari 3-4-2020, ritenendosi, nel “bilanciamento tra due diritti costituzionali”, “assoluta-
mente prevalente … quello a tutela della salute dei minori”, su quello “dell’esercizio del diritto di visita che
risponde all’interesse primario della prole”, da considerarsi, quindi, “recessivo”; in senso analogo, più som-
mariamente, ad es., Trib. Napoli 26-3-2020, Trib. Vasto 2-4-2020 e Trib. Monza 17-4-2010); dall’altra, non si
è mancato senz’altro di valorizzare – con un richiamo, in ogni caso, ad un “grande senso di responsabilità ge-
nitoriale” – gli spazi di consentita circolazione personale, “a garanzia del rispetto del principio di bigenitoria-
lità” (Trib. Brescia 31-3-2020). Peculiari modalità con riguardo agli “incontri tra genitori e figli in spazio neu-
tro, ovvero alla presenza di operatori del servizio socio-assistenziale” sono state temporaneamente previste
dall’art. 837 bis della L. 24-4-2020, n. 27.
106
Si sottolinea da tempo correntemente (v., ad es., già Cass. 9-5-1985, n. 2882) che, in materia di affidamen-
to (e, secondo una terminologia che continua ad essere utilizzata, di “diritto di visita”), “esula da tali provvedi-
menti qualsiasi aspetto sanzionatorio” e che lo stesso diritto di visita, in quanto diretto esclusivamente a realizza-
re l’interesse dei figli, “costituisce espressione di un munus del coniuge non affidatario” (per lui, cioè, “un obbli-
go”). Così, anche di recente, Cass. 20151/2018 (che ricorda come sia tale, comunque, pure la posizione dell’af-
fidatario). Significativo è, allora, il giudizio di compatibilità, senza preclusioni di principio, dell’ufficio di affida-
tario con l’esercizio di una attività professionale come quella di pornostar (App. Firenze 3-3-1995), ovvero la
stessa collocazione presso il genitore che pure si era reso responsabile di “condotte aggressive, irrispettose ed
infedeli” verso l’altro, anche se atte a determinare l’addebito della separazione (Cass. 10-7-2013, n. 17089). In
relazione poi, all’affidamento al genitore che abbia dato vita ad una convivenza omosessuale, Cass. 11-1-2013, n.
601, bolla senz’altro come “mero pregiudizio” quello “che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il
fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”. L’essere ora fondata la tutela del figlio mi-
nore sul riconoscimento di un suo “diritto” alla continuità del rapporto con (ambedue) i genitori non può, ov-
viamente, che rafforzare la prospettiva dell’assenza, in materia, di “diritti” dei genitori stessi. La giurisprudenza
(in particolare, Cass. 25-9-1998, n. 9606) aveva già da tempo convenuto pure sull’utilità, per il fanciullo, del-
CAP. 4 – FILIAZIONE 547

Secondo la precedente disciplina, pur conservando entrambi i genitori la titolarità


della potestà sui figli, il relativo esercizio spettava, almeno di regola, al solo genitore affi-
datario. Pur prevedendosi ora che anche l’esercizio della responsabilità genitoriale com-
pete senz’altro ad entrambi i genitori (art. 337 ter3), è stato (invero discutibilmente) af-
fermato il principio per cui, in caso di affidamento esclusivo ad uno dei genitori (e sem-
pre “salva diversa disposizione del giudice”), è a lui che spetta “l’esercizio esclusivo della
responsabilità” (art. 337 quater3) 107.
Il tribunale dispone di ampi poteri: pur dovendo prendere atto degli accordi dei geni-
tori, può adottare soluzioni diverse rispetto a quelle concordate (in caso di loro contra-
rietà all’interesse dei figli). Il tribunale, inoltre, può disporre d’ufficio l’assunzione di
mezzi di prova che reputi opportuni per formare il proprio convincimento (consulenze
tecniche, relazioni dei servizi sociali) 108. Importante è il ruolo del pubblico ministero, la
cui partecipazione viene assicurata in tutte le procedure che toccano gli interessi dei figli
minori (e quale ulteriore strumento di relativa garanzia, non essendo riconosciuta ad essi
la qualità di parte nei procedimenti qui in esame) 109.

l’intrattenimento di rapporti personali con i n o n n i . Si è continuato a negare, però, che questi siano titolari di un
proprio diritto di visita, trattandosi di conferire, anche al riguardo, esclusiva rilevanza alle esigenze relazionali del
minore e, quindi, ad un suo interesse. La nuova disciplina (che pure non si è ritenuto attribuire “agli ascendenti
del minore un autonomo diritto di visita”: Cass. 17191/2011, con riferimento al testo del 2006, sul punto immo-
dificato nel 2013) correttamente configura espressamente quale diritto del figlio la conservazione di “rapporti
significativi” con gli ascendenti (oltre che con gli altri parenti di entrambi i genitori: art. 337 ter1). Indubbiamente,
allora, suscita perplessità (nonché inevitabili problemi di compatibilità con la prospettiva accennata e di coordi-
namento sistematico) il nuovo art. 317 bis, che configura come diritto degli ascendenti quello di “mantenere rap-
porti significativi con i nipoti minorenni”, con possibilità di ricorso al giudice in caso di impedimento al relativo
esercizio (V, 4.9). E si ricordi, al riguardo, come sia stata persistentemente negata la possibilità di “un intervento
dei nonni o di altri familiari” nei procedimenti di separazione e di divorzio coinvolgenti minori (conferma il con-
solidato orientamento, Cass. 27-12-2011, n. 28902).
107
Il superamento della precedente divaricazione, a seguito della separazione, tra titolarità ed esercizio
della potestà, avrebbe dovuto rendere ultronea, a differenza che in passato, l’espressa previsione per cui le de-
cisioni di maggiore interesse per il figlio (quali quelle relative a istruzione, educazione e salute) devono essere
adottate di comune accordo da entrambi i genitori (337 ter3). La persistente rilevanza della prescrizione si ri-
collega, peraltro, all’accennata previsione in tema di affidamento esclusivo. L’art. 123, lett. d, L. 206/2021,
prospetta che, in materia di cambio di residenza e di scelta dell’istituto scolastico (“anche prima della separa-
zione dei genitori”), si debba prevedere essere “sempre necessario il consenso di entrambi i genitori, ovvero,
in difetto, del giudice”. In caso di disaccordo, inevitabilmente la decisione è rimessa al giudice (art. 337 ter3).
Così, ad es., in relazione al “regime alimentare del figlio minore” (Trib. Roma 7-10-2016), ovvero con riguar-
do alla condivisione di particolari pratiche religiose (nel caso di specie, quelle inerenti al credo dei testimoni
di Geova, Cass. 24-5-2018, n. 1295). E, per evitare conseguenze pregiudizievoli per il figlio, non si è man-
cato di ammettere che i provvedimenti in materia possano anche restringere i diritti individuali di libertà
dei genitori (ad es., in tema di libertà religiosa: Cass. 30-8-2019, n. 21916). Con riferimento alla delicata (e
controversa) problematica concernente la somministrazione di vaccini, essendo in gioco “il rischio di un
pregiudizio grave al minore”, si è ritenuto comunque applicabile il rimedio di cui all’art. 333 (App. Napo-
li, sez. min., 30-8-2017) (IV, 1.8).
108
Risultano correntemente evidenziati gli ampi poteri istruttori e decisori d’ufficio del giudice (“attese le
esigenze pubblicistiche in gioco”: Cass. 24-8-2018, n. 21178).
109
Peraltro, Cass., sez. un., 21-10-2009, n. 22238, ha ritenuto che i minori, in quanto “portatori di interes-
si contrapposti o diversi da quelli dei genitori”, possano essere, comunque, “qualificati parti in senso sostan-
ziale”. La “mancata assunzione, da parte dei minori portatori dell’interesse tutelato, della formale qualità di
parte” risulta ribadita, ad es., da Cass. 28902/2011, 30-7-2020, n. 16410 e 31-3-2014, n. 7478 (che reputa “la
partecipazione del minore nel conflitto genitoriale” come destinata a “esprimersi … mediante il suo ascolto”:
548 PARTE V – FAMIGLIA

Pure in dipendenza di quanto disposto da Convenzioni internazionali 110, è sembrata


imporsi la necessità di conferire attenzione alle opinioni ed ai desideri dei figli, ovviamen-
te da raccogliere nelle forme procedurali più opportune (direttamente o indirettamente,
in relazione alla loro età e capacità di discernimento). Risulta previsto, quindi, che il giu-
dice sia tenuto a disporre l’ascolto del figlio ultradodicenne e anche se di età inferiore,
ove capace di discernimento (art. 337 octies1) 111.
Al fine di evitare il perpetuarsi di situazioni di conflittualità (durante e ad esito della
crisi familiare), un ruolo rilevante tende a riconoscersi alla mediazione familiare, quale stru-
mento funzionale a ristabilire tra i coniugi condizioni di accordo spontaneo, almeno in
vista dei futuri rapporti reciproci e con i figli. Le aperture in tale direzione di altri ordi-
namenti, dopo avere trovato riscontro, da noi, nella prassi di taluni tribunali, risultano ora
condivise dall’art. 337 octies2: il percorso della mediazione può essere indicato dal giudi-
ce, ove lo ritenga opportuno, alle parti (sempre col loro consenso ed in vista della miglio-
re tutela dell’interesse dei figli) 112.
Sotto il profilo economico, i genitori restano tenuti a provvedere al mantenimen-
to dei figli in misura proporzionale alle proprie possibilità (in applicazione del prin-
cipio dell’art. 316 bis1): ove necessario, allora, potrà essere stabilita, appunto “al fine

l’“imprescindibilità dell’audizione”, è stata considerata senz’altro idonea a soddisfare le prerogative del mino-
re quale “parte sostanziale” del procedimento da Cass. 10-11-2014, n. 19007).
110
Si allude all’art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York, 20.11.1989, ratificata con
L. 176/1991, e agli artt. 3, 5, 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli di Strasburgo,
25.1.1996, ratificata con L. 77/2003, i quali garantiscono al minore, ove capace di discernimento, il diritto di
esprimere la sua opinione, ovviamente una volta adeguatamente informato, nelle procedure che lo interessano
(v. anche art. 241 Carta dir. fond. U.E.) (IV, 1.7). Tali disposizioni garantiscono pure che le opinioni stesse
vengano “debitamente prese in considerazione”, evidentemente come espressione della libertà di autodeter-
minazione da riconoscere al minore: da tale punto di vista sembra presentarsi riduttiva anche la nuova disci-
plina, apparendo posta l’audizione del minore essenzialmente sul piano degli altri “mezzi di prova”. L’art. 123,
lett. dd, opportunamente, allora, prevede – appunto “anche alla luce della normativa sovranazionale di rife-
rimento” – che si proceda, in sede di normativa delegata, al “riordino delle disposizioni in materia di ascolto
del minore”
111
Reputando costituire “violazione del principio del contraddittorio … il mancato ascolto dei minori”
interessati, Cass., sez. un., 22238/2009 (nonché, ad es., Cass. 7478/2014), ha concluso nel senso della invali-
dità della decisione adottata in caso di (immotivata) assenza di una simile audizione. Sull’ascolto del minore,
v. pure supra, IV, 1.8 e V, 4.9. Pare il caso di sottolineare come, nel caso in cui si tratti semplicemente di
prendere “atto di un accordo dei genitori, relativamente alla condizioni di affidamento dei figli”, sia stato
consentito al giudice – così finendo discutibilmente con l’affievolire la portata generale del principio della
necessità dell’ascolto – di non procedere all’ascolto, non solo se “in contrasto con l’interesse del minore”,
ma anche ove lo ritenga “manifestamente superfluo” (art. 337 octies1). Del resto, si è già segnalato (V, 3.2)
come, nella procedura di definizione della crisi familiare attraverso la “negoziazione assistita”, di cui all’art. 6
D.L. 132/2014 (conv. in L. 162/2014), sia stato conferito peso del tutto inadeguato alla posizione del minore
ed all’esigenza del suo ascolto.
112
Un ruolo ancora maggiore al “procedimento di mediazione familiare” tenderebbe, peraltro, a ricono-
scere – quale vera e propria condizione di procedibilità – l’accennato D.D.L. n. 735, che prevede anche l’isti-
tuzionalizzazione della figura (non ignota alla giurisprudenza: v., ad es., Trib. Milano 29-7-2016) del coordina-
tore genitoriale, in funzione di “risoluzione alternativa delle controversie” coinvolgenti il minore. Oltre che
prevedere, come già accennato (V, 3.1), una implementazione del ruolo della mediazione familiare, pure la L.
206/2021 prospetta, in effetti (art. 123, lett. ee), di introdurre “la facoltà per il giudice, anche istruttore, su ri-
chiesta concorde di entrambe le parti, di nominare un professionista … dotato di specifiche competenze in
grado di coadiuvare il giudice per determinati interventi sul nucleo familiare, per superare conflitti tra le par-
ti, per fornire ausilio per i minori e per la ripresa o il miglioramento delle relazioni tra genitori e figli”.
CAP. 4 – FILIAZIONE 549

di realizzare il principio di proporzionalità”, la corresponsione di un assegno periodi-


co – automaticamente rivalutabile – a carico di uno dei genitori (art. 337 ter4-5, che
prevede analiticamente i criteri di determinazione di tale assegno) 113.
Tutti i provvedimenti concernenti i figli (in tema di affidamento, responsabilità geni-
toriale, contribuzioni economiche e casa familiare) sono assoggettabili a revisione (artt.
337 quinquies, 91 l. div., 710 e 7115 c.p.c.) 114.
Pare il caso, inoltre, di sottolineare come, in tutti i casi in cui sia venuto a costituirsi
un rapporto di filiazione giuridicamente rilevante – e, quindi, bigenitoriale – con due
persone dello stesso sesso (V, 4.2; V, 4.8), pur nel silenzio del legislatore, sia da ritenere
comunque operante – non diversamente, del resto, che nella fase fisiologica della convi-

113
Posto il principio secondo cui, “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti” (i limiti della
cui possibile portata risultano, peraltro, controversi), “ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei
figli in misura proporzionale al proprio reddito”, quali criteri di determinazione dell’assegno – finalizzati alla
realizzazione del “principio di proporzionalità” – sono contemplati: “le attuali esigenze del figlio”; “il tenore
di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori”; “i tempi di permanenza presso
ciascun genitore”; “le risorse economiche di entrambi i genitori”; “la valenza dei compiti domestici e di cura
assunti da ciascun genitore”. Il legislatore sembrerebbe privilegiare, ai fini del mantenimento, forme di soddi-
sfacimento diretto delle esigenze dei figli (anche se il punto non viene esplicitato come nel progetto di riforma
sfociato nella L. 54/2006). La giurisprudenza, peraltro (e pur non senza contrasti: v. infatti, anche di recente,
nel senso che “la forma privilegiata dal legislatore è quella diretta”, Trib. Salerno18-4-2017, nonché le ricor-
date “Linee guida” del Tribunale di Brindisi e, de iure condendo, l’accennato D.D.L. n. 735), ha negato che
“il contributo diretto da parte di ciascuno dei genitori costituisca la regola” (Cass. 785/2012). Cass. 18-8-2006, n.
18187, aveva già evidenziato, comunque, come la previsione della corresponsione di un assegno sia da ritene-
re senz’altro compatibile – ovviamente “ove ne sussistano i presupposti” – con l’affidamento congiunto e, ora,
con quello condiviso (in tal senso sembrando effettivamente deporre lo stesso art. 337 ter4 ed i criteri di de-
terminazione in esso indicati). Cass. 26060/2014 ha esplicitamente escluso, anche alla luce del nuovo quadro
normativo, “che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo”, al
soddisfacimento delle esigenze dei figli. In applicazione del principio per cui l’obbligo di mantenimento dei
genitori persiste oltre la maggiore età nei confronti dei figli non economicamente indipendenti (V, 1.7 e 4.9, cui
si rinvia per l’approfondimento della problematica), il giudice può disporre un assegno periodico pure a favo-
re dei figli maggiorenni (da versare, salvo diversa determinazione del giudice, direttamente all’avente diritto)
(art. 337 septies1). L’art. 337 septies2 parifica, peraltro, la situazione dei figli maggiorenni “portatori di handi-
cap grave” a quella dei figli minori (l’art. 37 bis disp. att. specifica che tali sono da considerare quelli cui si
riferisce l’art. 33 L. 5.2.1992, n. 104). A favore dell’ammissibilità di un eventuale intervento del figlio maggio-
renne nei processi di separazione e di divorzio dei genitori, onde far valere le proprie ragioni, si è pronunciata
Cass. 19-3-2012, n. 4296.
114
L’introdotto art. 709 ter2 c.p.c. prevede la possibilità dell’adozione di gravi sanzioni nei confronti del
genitore che non adempia ai propri obblighi nei confronti del minore (ammonizione; risarcimento del danno
nei confronti del minore; risarcimento del danno nei confronti dell’altro genitore; sanzione amministrativa
pecuniaria). L’art. 123, lett. mm, L. 206/2021 prospetta, comunque, il riordino della disciplina di cui all’art.
709 ter c.p.c.”. Una sanzione penale in tutti i casi di violazione degli obblighi di natura economica era stata
introdotta dall’art. 3 L. 54/2006. Tale disposizione è stata abrogata contestualmente all’introduzione (col
D.Lgs. 1.3.2018, n. 21) del nuovo art. 570 bis c.p.c., il quale prevede l’assoggettamento del coniuge alle pene
previste dall’art. 570 c.p., in caso di mancata “corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di
scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio”, ovvero di violazione degli “obbli-
ghi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”. L’espresso
riferimento alla figura del coniuge ha fatto dubitare che la portata della disposizione possa estendersi all’as-
segno di mantenimento disposto a favore dei figli di genitori non coniugati (ad es., Trib. Treviso 8-5-2018:
con applicabilità del regime – di meno agevole operatività – dell’art. 570 c.p.). Peraltro, La Cassazione – su-
perando, così, possibili dubbi di legittimità costituzionale – ha ritenuto comunque operante la ricordata di-
sposizione, sulla base della (non abrogata) comprensiva norma di rinvio dell’art. 42 L. 54/2006 (Cass. pen.
17-10-2018, n. 56080 e 24-10-2018, n. 55744).
550 PARTE V – FAMIGLIA

venza – la disciplina comune concernente l’esercizio della responsabilità genitoriale in


dipendenza della crisi familiare.

11. Assegnazione della casa familiare. – Pure la disciplina dell’assegnazione della


casa familiare concerne una problematica che si pone in termini omogenei in tutti i
casi di dissoluzione della famiglia come comunità di vita. La regolamentazione della
materia è intervenuta prima, nel 1975, con riguardo alla separazione e, poi, con la ri-
forma del 1987, anche in tema di divorzio. La disciplina dettata dall’art. 337 sexies1
(come già l’art. 155 quater1, ai sensi della L. 54/2006), al pari delle altre disposizioni
concernenti le conseguenze della crisi familiare nei rapporti tra genitori e figli (V,
4.10) 115, assume portata generale, come tale estesa – oltre che alla separazione, al di-
vorzio e alla invalidità del matrimonio – anche al venir meno della convivenza di geni-
tori non coniugati 116.
L’ordinamento conferisce rilevanza alla destinazione dell’immobile a casa familiare e
le relative vicende tendono ad essere correttamente ricondotte al piano del regime pri-
mario (V, 2.10): un’autonoma considerazione della sorte di tale bene, rispetto a quella
di ogni altro, emerge oltre che nell’ipotesi, appunto, di cessazione della convivenza fa-
miliare, in quella di morte di uno dei coniugi (art. 5402) (XII, 3.2).
L’assegnazione dell’abitazione nella casa familiare presuppone, ovviamente, che i co-
niugi (o i conviventi) fossero, in precedenza, legittimati a goderne insieme (e con i fi-
gli): ne avessero, cioè, la disponibilità. Ciò sulla base di un titolo, che può essere rap-
presentato dal diritto di proprietà comune o di uno di essi, da un altro diritto reale
(usufrutto, abitazione), da un diritto di locazione (in tal caso si reputa operare, ai sensi
dell’art. 62-3 L. 27.7.1978, n. 392, una cessione ex lege del contratto) o (come spesso
accade) di comodato 117.

115
Non si può mancare di sottolineare come il D.Lgs. 154/2013, nell’abrogare – in perfetta coerenza
con la portata generale conferita alla disciplina degli artt. 337 ter ss., secondo l’impostazione già seguita
dall’art. 42 L. 54/2006 circa la sfera applicativa dei previgenti artt. 155 ss. – le disposizioni dell’art. 6 l.
div. in materia di conseguenze del divorzio per i figli, abbia lasciato sopravvivere proprio il relativo co. 6,
concernente, appunto, l’assegnazione della casa familiare. Una simile soluzione – sicuramente inoppor-
tuna sul piano sistematico generale – potrebbe acquistare senso solo ponendola in relazione con la pro-
blematica concernente la opponibilità dell’assegnazione (alla luce del dettato dell’art. 337 sexies1: v. infra,
nota 125).
116
Si ricordi come Corte cost. 13-5-1998, n. 166 (la cui portata fu completata da Corte cost. 21-10-2005,
n. 394), avesse ritenuto già consentita anche in caso di cessazione di un rapporto di convivenza more uxo-
rio l’assegnazione della casa familiare al genitore affidatario: ciò sulla base dei principi generali governanti
i rapporti personali ed economici tra genitori e figli, in vista delle esigenze di piena tutela delle necessità
materiali e psicologiche di questi ultimi. Per l’assegnazione in dipendenza di situazioni di convivenza, v.,
ad es., Cass. 11-9-2015, n. 17971. Si ricordi come l’art. 142 L. 20.5.2016, n. 76, in relazione alla sorte della
“casa di comune residenza” (in caso di morte del proprietario), faccia espressamente “salvo quanto previ-
sto dall’art. 337 sexies”.
117
Circa l’ammissibilità dell’assegnazione – da taluni contestata – nell’ipotesi di comodato (IX, 4.6), la
soluzione favorevole (con opportune precisazioni) di Cass., sez. un., 21-7-2004, n. 13603 (fondata sulla
configurabilità di un “vincolo di destinazione dell’immobile alle esigenze abitative familiari idoneo a con-
ferire all’uso cui la casa doveva essere destinata il carattere di termine implicito della durata del rappor-
to”), seguita dalla successiva giurisprudenza (ad es. Cass. 14-2-2012, n. 2103 e 2-10-2012, n. 16769; diver-
samente, senza alcuna motivazione del dissenso, Cass. 7-7-2010, n. 15986), risulta posta in dubbio da Cass.
18-6-2013, n. 15113, che ha concluso per la opportunità della rimessione della questione alle sezioni unite.
CAP. 4 – FILIAZIONE 551

L’interesse rilevante ai fini dell’assegnazione si ritiene essere (solo) quello dei figli,
anche per la collocazione delle disposizioni in materia tra quelle concernenti, appunto, i
relativi rapporti con i genitori 118. Alla luce della disciplina previgente, l’affidamento dei
figli o la convivenza con figli maggiorenni ancora non economicamente autosufficienti
erano, così, senz’altro considerati costituire presupposto necessario per l’assegnazione (al
coniuge non titolare, o titolare esclusivo, del diritto sul bene). Tale prospettiva sembra
destinata a rimanere sicuramente ferma pure in applicazione dell’attuale disciplina, la
quale si limita a prevedere, al riguardo, che il godimento della casa familiare è attribuito
tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli (art. 337 sexies1) 119.
L’esclusiva attenzione riservata all’interesse dei figli, così, ha finito col far esclude-
re che – sia pure subordinatamente e ad esito di un giudizio di bilanciamento con es-
so – possano essere presi in considerazione, ai fini della decisione circa l’assegnazione,
interessi di diversa natura (come, ad es., nel caso di immobile indispensabile per l’atti-
vità professionale del coniuge che sia titolare del diritto su di esso o specificamente
attrezzato per una sua grave infermità) 120.

Cass., sez. un., 29-9-2014, n. 20448, ha confermato l’indirizzo favorevole, condividendo (e specificando
ulteriormente) le considerazioni svolte nel 2004, in ordine agli oneri probatori gravanti sulle parti e – in
relazione alle diverse situazioni prospettabili – alla corretta applicazione delle regole governanti il comoda-
to, ai sensi dell’art. 1809. Per l’esigenza secondo cui “la volontà di assoggettare il bene a vincoli d’uso par-
ticolarmente gravosi, quali la destinazione a residenza familiare, non può essere presunta ma va positiva-
mente accertata”, Cass. 18-8-2017, n. 20151.
118
Cass., sez. un., 26-7-2002, n. 11096, è sembrata intenzionata a ribadire definitivamente (sulle orme
di Corte cost. 13-5-1998, n. 166) che l’assegnazione “costituisce una misura di tutela esclusiva della pro-
le, diretta ad evitare … l’ulteriore trauma di un allontanamento dall’abituale ambiente di vita”. Con ri-
guardo alla disciplina del 2006 (come riprodotta in quella attualmente vigente), Cass. 22-3-2007, n. 6979,
evidenzia che “la nuova disposizione mostra di volere dare consacrazione legislativa, con il riferimento
all’‘interesse dei figli’ in genere, proprio al consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte”
(e per il successivo univoco orientamento in tal senso della giurisprudenza, v., ad es., Cass. 29-9-2016, n.
19347; 12-10-2018, n. 25604 e 13-12-2018, n. 32231, secondo cui, peraltro, non rileva, ai fini dell’assegnazione
alla madre collocataria, che questa si fosse – “in conseguenza della crisi dei rapporti col padre del bambino” –
allontanata dall’abitazione prima dell’introduzione del giudizio). Insomma, il giudice non può “prescindere dal-
l’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti che funge da
presupposto inderogabile dell’assegnazione” (Cass. 15-1-2018, n. 772). Anche la Corte costituzionale, del resto,
sembra volersi muovere in tale ottica (Corte cost. 30-7-2008, n. 308). È da sottolineare come, in considerazione
del tipo di interesse da tutelare, oggetto di assegnazione sia dalla giurisprudenza (ad es., già Cass. 9-12-1983, n.
7303) intesa la casa familiare non come mero immobile, ma come tutto quanto vale ad identificare “lo standard di
vita familiare oggettivato in quella organizzazione di beni”, comprendente, quindi, anche “i beni mobili, gli arre-
di, gli elettrodomestici ed i servizi”.
119
La mancanza del precedente riferimento all’affidamento dei figli minori (o alla convivenza di figli mag-
giorenni) pare dipendere dal carattere ormai normale, nella prospettiva propria dell’affidamento condiviso,
della conservazione di un rapporto paritario nei confronti dei figli da parte di entrambi i genitori. La scelta
tra costoro, ai fini dell’assegnazione, non può che ricollegarsi, quindi, al concreto atteggiarsi, nelle diverse
ipotesi, dell’interesse dei figli in proposito, evidentemente con specifico riguardo alla loro abituale collocazio-
ne abitativa: il carattere condiviso dell’affidamento, in effetti, non può essere inteso come comportante, quasi
per logica necessità, una sorta di pendolarismo della residenza dei figli per periodi tendenzialmente uguali.
Sembra, poi, difficile da ipotizzare – almeno in assenza di un accordo in tal senso dei genitori – la previsione
della conservazione del godimento della casa familiare ai figli, con una “turnazione” della presenza in essa dei
genitori (per gli evidenti disagi che ne conseguirebbero ai genitori). In caso di affidamento monogenitoriale, la
situazione pare presentarsi sostanzialmente invariata rispetto al passato.
120
Si tratta di un indirizzo, fermo a partire da Cass., sez. un., 28-10-1995, n. 11297, secondo cui “l’asse-
gnazione della casa familiare”, in quanto “strumento di protezione della prole”, “non può conseguire altre e
552 PARTE V – FAMIGLIA

Comunque, l’assegnazione, per contemperare gli interessi e le esigenze di tutti i


membri della famiglia, può essere limitata ad una parte soltanto dell’immobile 121.
Si è espressamente previsto – recependo, in sostanza, un precedente indirizzo giuri-
sprudenziale – che dell’assegnazione si debba tenere conto nella regolazione dei rapporti
economici tra i coniugi, considerando, in particolare, la titolarità della proprietà del be-
ne 122. Il diritto di godimento della casa familiare, poi, “viene meno” nel caso che l’asse-
gnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxo-
rio o contragga nuovo matrimonio 123.
Quanto, infine, al discusso problema della opponibilità ai terzi della situazione conse-

diverse finalità” (Cass. 22-7-2015, n. 15367, richiamata da Cass. 772/2018). Peraltro, un contrario risalente in-
dirizzo (per cui v., ad es., Cass. 9-6-1990, n. 5632) sembra avere trovato consenso pure più di recente, risul-
tando riproposto – in un’ottica, quindi, polifunzionale dell’assegnazione – da App. Venezia 6-3-2013 (con ri-
guardo al caso di un “genitore presso il quale il minore non vive stabilmente”, ma “non vedente”, da non pri-
vare “della continuità abitativa essenziale alle sue abitudini di vita ed alle esigenze lavorative”).
121
Una soluzione in tal senso, una volta considerata “esperibile in relazione del lieve grado di conflittuali-
tà coniugale”, è vista come funzionale ad agevolare in concreto “la condivisione della genitorialità” (Cass.
12-11-2014, n. 24156 e 11-4-2014, n. 8580). Cass. 15-10-2020, n. 22266 richiama l’attenzione sul profilo della
necessità che, a tal fine, l’abitazione sia “agevolmente divisibile”, affinché l’unità abitativa da destinare al ge-
nitore non affidatario “sia del tutto autonoma”.
122
Circa i riflessi che il venir meno del diritto di abitazione in questione determina in ordine alla conse-
guente modifica dell’ammontare dell’assegno di mantenimento disposto a favore del coniuge, rimasto senza
casa, Cass. 21-7-2015, n. 15272 (e v. pure 23-7-2020, n. 15773), conclude che tale modifica non dev’essere
necessariamente proporzionale al canone di mercato dell’immobile che il coniuge risulti tenuto a lasciare. Si
ritiene che “la gratuità dell’assegnazione dell’abitazione non si estende alle spese correlate” al relativo uso
(come, in particolare, la tassa sui rifiuti e gli oneri condominiali: Cass. 7-5-2018, n. 10927).
123
L’estinzione del diritto derivante dall’assegnazione sembra comunque richiedere un provvedimento
giudiziale di revoca (anche in considerazione di quanto stabilito nell’ultimo periodo dell’art. 337 sexies1). La
previsione, nella sua formulazione letterale, risulta criticabile, in quanto il soddisfacimento dell’interesse dei
figli, ritenuto costituire esclusiva ratio dell’assegnazione, corre il rischio di essere pregiudicato da situazioni
personali del genitore assegnatario (tali da non far necessariamente venire meno le esigenze dei figli stessi po-
ste a fondamento dell’assegnazione). Già Trib. Napoli 9-11-2006, aveva evidenziato, quindi, che “una lettura
costituzionalmente orientata” della norma impone di interpretarla nel senso per cui “non vi è alcun automati-
smo, nonostante l’apparente tenore letterale della legge: anche in caso di nuove nozze o di convivenza more
uxorio del genitore assegnatario la revoca dell’assegnazione va disposta solo se corrisponda all’interesse dei
figli”. Per Corte cost. 30-7-2008, n. 308, così, la “coerenza della disciplina e la sua costituzionalità possono
essere recuperate ove la normativa sia interpretata nel senso che l’assegnazione della casa coniugale non venga
meno al verificarsi degli eventi di cui si tratta (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio),
ma che la decadenza dalla stessa sia subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore”. La per-
sistenza del diritto ad abitare la casa coniugale resta, ovviamente, comunque legata alla persistenza del presuppo-
sto relativo, consistente nella presenza di figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti convi-
venti (con conseguente possibilità, per l’altro coniuge, di azionare la procedura di revisione, ai sensi degli artt.
710-711 c.p.c. e 91 l. div.). L’art. 337 sexies2, inoltre, dispone che, nel caso di cambiamento di residenza o di do-
micilio di uno dei coniugi, l’altro possa chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la
ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati (anche di carattere economico). Risolvendo un contra-
sto giurisprudenziale in proposito, Cass., sez. un., 9-6-2022, n. 18641 ha ritenuto che “l’attribuzione dell’im-
mobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva dell’assegnatario in sede di divisione configura una causa
automatica di estinzione del diritto di godimento con tale destinazione”, con il conseguente “conferimento
allo stesso immobile di un valore economico pieno corrispondente a quello venale di mercato”. Quindi, il
diritto di godimento dell’immobile derivante dall’assegnazione – venendo esso appunto meno con l’attribu-
zione in sede divisoria al coniuge già assegnatario – “non potrà avere alcuna incidenza sulla determinazione
del conguaglio dovuto all’altro coniuge” comproprietario dell’immobile.
CAP. 4 – FILIAZIONE 553

guente all’assegnazione 124, si è stabilito che il provvedimento di assegnazione e quello di


revoca sono “trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’articolo 2643” 125.

124
Tale situazione tende ad essere configurata quale diritto personale di godimento (peraltro “variamente
segnato da tratti di atipicità”: Cass., sez. un., 11096/2002 e 13603/2004). Si è ritenuto che il provvedimento di
assegnazione non sia opponibile “al creditore ipotecario che abbia acquistato il suo diritto sull’immobile in
base ad un atto iscritto anteriormente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione” (Cass. 20-4-2016,
n. 7776).
125
È da tenere presente come la disciplina anteriore alla L. 54/2006, anche – e soprattutto – alla luce delle
sue finalità di tutela di interessi esistenziali preminenti dei figli, fosse interpretata nel senso di considerare
necessaria la trascrizione solo per assicurare l’opponibilità dell’assegnazione oltre (e non entro) il novennio (Cass.
11096/2002, cui si è allineata la giurisprudenza successiva). Ha suscitato perplessità e propiziato dubbi esegetici,
di conseguenza, la portata della nuova prescrizione (riproduttiva dell’art. 155 quater1, di controversa interpre-
tazione proprio sul punto) in materia di opponibilità del provvedimento di assegnazione (che si presta ad es-
sere intesa nel senso della necessità in ogni caso della relativa trascrizione ai fini della opponibilità ai terzi, se-
condo quanto pare propensa a ritenere Cass. 15113/2013). La conservazione dell’art. 66 l. div. (pur nel conte-
sto del quadro legislativo complessivamente conseguente alla normativa del 2013) potrebbe assumere il signi-
ficato, allora, di intenzionale mantenimento, nel sistema delle conseguenze della crisi familiare (e, in partico-
lare, dell’assegnazione della casa familiare), di quell’espresso richiamo (nella seconda frase della disposizione:
“l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente, ai sensi dell’art. 1599 del codice civile”)
all’art. 1599 (IX, 4.1), cui non aveva mancato di riferirsi il ricordato indirizzo giurisprudenziale, onde giunge-
re ad una soluzione più rispettosa dell’interesse del figlio. Risultato, comunque, che è ritenuto conseguibile,
anche valorizzando, pur di fronte alla lettera della nuova disposizione, il carattere preminente dell’interesse
del figlio alla conservazione dell’habitat domestico. E, in effetti, la giurisprudenza sembra intenzionata a dare
continuità all’indirizzo accennato, nel senso, cioè, dell’opponibilità “nei limiti del novennio” dell’assegnazio-
ne non trascritta (Cass. 17-3-2017, n. 7007; 24-1-2018, n. 1744). Peraltro diversamente, ora, Cass. 15-4-2022,
n. 12387, la quale si orienta a ritenere che l’assegnazione, ormai, “sarà opponibile solo in quanto trascritta”.
Si tenga presente che la relativa opponibilità assicura la stabilità dell’assegnazione dell’immobile, senza impe-
dire al creditore del coniuge proprietario, fermo restando il vicolo di destinazione, “di pignorarlo e di determinar-
ne la vendita coattiva” Cass. 11-7-2014, n. 15885). Isolata è rimasta Cass. 11-9-2015, n. 17971, secondo cui l’op-
ponibilità infranovennale opererebbe nei confronti del terzo acquirente dell’immobile sulla base della sua
mera consapevolezza della pregressa situazione di convivenza. V., infatti, le precisazioni di Cass. 10-4-2019, n.
9990, secondo cui il provvedimento di assegnazione successivo alla cessione, da parte del coniuge esclusivo
proprietario, al terzo può essergli opposto solo in caso di pregressa “instaurazione di un rapporto, in corso di
esecuzione, tra il terzo medesimo ed il predetto coniuge, dal quale quest’ultimo derivi il diritto di godimento
funzionale alle esigenze della famiglia”, sul cui “contenuto viene a conformarsi il successivo vincolo disposto
dal provvedimento di assegnazione” (escludendosi, quindi, la sufficienza della “mera consapevolezza da parte
del terzo, al momento dell’acquisto, della pregressa situazione di fatto di utilizzo del bene immobile da parte
della famiglia”). Da ultimo, peraltro, Cass. 30-9-2021, n. 26541 ha richiamato l’attenzione sulla possibile rile-
vanza – ai fini dell’opponibilità dell’assegnazione al terzo avente causa pure in caso di trasferimento immobi-
liare anteriormente al provvedimento di assegnazione – dell’eventuale riscontro, tra proprietario disponente e
terzo, di “un intento elusivo riconducibile ad ipotesi di abuso del diritto”. Distinguendosi “tra opponibilità
ed efficacia” della pronuncia giudiziale di assegnazione, si è ritenuto che il terzo acquirente possa instaurare
“un ordinario giudizio di cognizione”, onde accertare “l’insussistenza delle condizioni per il mantenimento
del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario” (con particolare riferimento al presup-
posto rappresentato dalla presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni non economicamente autosufficien-
ti conviventi: Cass. 1744/2018 e 22-7-2015, n. 15367). Da un simile accertamento dell’illegittimità dell’occupa-
zione, deriva il diritto del proprietario alla conseguente indennità (a decorrere dalla data di deposito della
sentenza, per Cass. 15367/2015, ovvero dalla data di costituzione in mora, per Cass. 1744/2018). Si è anche
precisato che, se debitamente trascritto, il diritto dell’assegnatario continua ad essere opponibile al terzo an-
che dopo la morte dell’altro coniuge (Cass. 1744/2018: quale “vicolo di destinazione collegato all’interesse
dei figli”).
554 PARTE V – FAMIGLIA
PARTE VI
PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

CAPITOLO 1
PROPRIETÀ

Sommario: 1. Nozione. – 2. Contenuto e caratteri. – 3. Atti emulativi. – 4. Contenuto della proprietà e


garanzia costituzionale. – 5. Proprietà fondiaria. – 6. Immissioni. – 7. Rapporti di vicinato. – 8.
Proprietà agraria. – 9. Proprietà edilizia. – 10. “Appartenenza” e beni immateriali: la c.d. proprietà
intellettuale.

1. Nozione. – Lo studio della proprietà nell’ordinamento vigente trova i suoi fon-


damentali punti di riferimento nella definizione che ne offrono l’art. 42 della Costituzio-
ne e l’art. 832 del codice civile. Ad essi, nel nuovo quadro sistematico-giuridico determi-
nato dall’inserimento del nostro paese nel contesto comunitario e dal tentativo di dotare
l’Unione europea di strumenti politico-istituzionali di respiro costituzionale, non si può
fare a meno di aggiungere l’art. 17 della Carta dir. fond. U.E. La comprensione della por-
tata di tali testi normativi, nella loro diversità, richiede almeno un breve cenno a taluni
sviluppi storici dell’istituto della proprietà, sia pure limitatamente a quelli in cui più im-
mediatamente le relative formulazioni si radicano.
L’art. 436 del codice civile del 1865, traducendo il corrispondente art. 544 code
civil, definiva la proprietà come “il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera
più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti”. L’e-
nunciazione legislativa in questione risultava basata, così, sull’idea di assolutezza della
proprietà e la rilevanza decisiva di una simile connotazione può essere colta ponendo
mente al fatto che la proprietà, in tal modo configurata, costituiva il centro di gravità del
codice civile (e, quindi, secondo la concezione fatta propria dai codificatori ottocente-
schi, dell’intero sistema della legislazione civile) 1. A chiarire il significato di tale enuncia-

1
Si ricordi, in proposito, come il code civil del 1804 ed il codice civile italiano del 1865 ruotassero proprio
intorno all’istituto della proprietà: la disciplina – secondo la terminologia impiegata nelle intestazioni dei li-
bri del codice civile italiano – “delle persone” (libro I), infatti, era sostanzialmente funzionale all’indivi-
duazione dei possibili titolari “dei beni, della proprietà e delle sue modificazioni” (libro II), per effetto
“dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose” (libro III) (I, 2.3).
556 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

zione – vero e proprio baricentro, dunque, della organizzazione giuridica dei rapporti
economici dell’epoca – contribuisce, poi, il suo necessario collegamento con l’art. 291
dello Statuto albertino del 1848, secondo cui “tutte le proprietà, senza alcuna eccezione,
sono inviolabili”, venendosi la proprietà a collocare tra i fondamentali diritti di libertà 2,
nella prospettiva della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, in cui
era sancito il carattere “inviolable et sacré” del diritto di proprietà.
Tale configurazione della proprietà rappresentava il risultato dello sconvolgimento
che la rivoluzione francese e l’ideologia borghese che ne era riuscita trionfatrice avevano
prodotto nei rapporti politico-economici.
Nel corso dei secoli, la concentrazione in un solo soggetto delle prerogative relative ai
beni, secondo il modello del dominium romano (almeno quale affermatosi ad esito di un
lungo processo storico), aveva lasciato il posto ad un diverso assetto. Sui beni – con par-
ticolare riguardo a quelli di maggiore rilevanza economica e, quindi, soprattutto alle ter-
re – si era finito col determinare il concorso di una molteplicità di posizioni giuridica-
mente rilevanti, come riflesso dell’organizzazione politica feudale. A caratterizzare il re-
gime di appartenenza e di utilizzazione dei beni stessi era, in effetti, una commistione di
situazioni giuridiche, di incerta collocazione tra il diritto pubblico e quello privato, in
quanto in larga misura espressione di sovranità (risultando originate da poteri di supre-
mazia riconosciuti, spesso a cascata e con interferenze reciproche, a soggetti investiti di
autorità in campo civile e religioso). Si trattava di una stratificazione di diritti sui beni
che, proprio perché radicata nell’organizzazione politica della società e legata all’ere-
ditarietà, tendeva a perpetuarsi, con una rigidità tale da impedire, in sostanza, la circola-
zione e rendere notevolmente problematico lo sfruttamento ottimale dei beni medesimi.
La concorrenza su di essi di diritti della più differente natura e origine – signorili e priva-
ti, individuali e collettivi 3 – si risolveva, insomma, in una istituzionalizzata ed immodifi-
cabile frammentazione delle facoltà di godimento e dei poteri decisionali, che finiva col
precludere la possibilità di qualsiasi modificazione degli assetti produttivi e di un reale
sviluppo della economia.
Ad una simile situazione reagirono le correnti di pensiero illuministiche e giusnatura-
listiche che propugnavano una netta separazione della sovranità dalla proprietà, ricono-
scendo, con una sorta di regolamento di competenze, la prima all’autorità politica e la
seconda ai privati, cui avrebbe dovuto essere in esclusiva riservata, di conseguenza, l’a-
zione in campo economico. La proprietà veniva, così, assumendo il carattere della asso-
lutezza, in quanto posta al riparo da qualsiasi intromissione di altri privati e della stessa
autorità politica, nei confronti della quale, dunque, la proprietà medesima era rivendica-
ta quale manifestazione di libertà della persona: attributo fondamentale atto a garantire
ad essa la necessaria sfera di autonomia nella società, anche al fine dello sviluppo della
propria personalità, nell’interesse privato e generale, attraverso l’iniziativa economica.

2
L’articolo in questione seguiva, in effetti, quelli relativi alla libertà individuale (art. 26), all’inviolabilità
del domicilio (art. 27) e alla libertà di stampa (art. 28).
3
La moltiplicazione delle situazioni definibili reali trovava espressione, oltre che nella distinzione tra dominio
diretto e dominio utile (di cui è rimasta ancora eco nella disciplina vigente dell’enfiteusi), nell’accatastamento
sui beni produttivi di canoni, censi, livelli, decime, tendenzialmente perpetui, nonché di pretese, anch’esse tipica-
mente illimitate nel tempo, fondate su forme di appartenenza collettiva e usi civici.
CAP. 1 – PROPRIETÀ 557

La liberazione della proprietà dai passati condizionamenti – come strumento di effi-


ciente sfruttamento dei beni e di rafforzamento delle categorie economicamente più atti-
ve – rappresentò, allora, il programma portato avanti in contrasto con l’assetto socio-
economico esistente, inevitabilmente destinato a soccombere di fronte alla vitalità delle
nuove correnti della società. Ad esito del relativo processo storico, il codice civile france-
se del 1804 ha costituito, con la sua ricordata definizione della proprietà, avente valore
di dichiarazione di portata sostanzialmente costituzionale, e con la sistematica impressa
alla intera legislazione civile, la definitiva sanzione dei nuovi equilibri della società.
L’eccezionalità di ogni compressione delle facoltà e dei poteri del proprietario, deri-
vante esclusivamente da precisi divieti, si proietta anche nella drastica delimitazione dei
poteri pubblici ablativi della proprietà, esercitabili solo “per causa di utilità pubblica le-
galmente riconosciuta e dichiarata” e dietro “pagamento di una giusta indennità”, tale
da salvaguardarne il valore economico nel patrimonio, secondo la previsione dell’art.
438 cod. civ. 1865.
A testimoniare, comunque, il mutamento degli scenari in corso già all’epoca della re-
dazione del codice postunitario, rispetto a quelli in cui si inquadrava il code civil, non si
può mancare di sottolineare come, tra la definizione della proprietà dell’art. 436 e l’ap-
pena ricordata precisazione della portata dei poteri pubblici su di essa, si collocasse la
previsione per cui “le produzioni dell’ingegno appartengono ai loro autori secondo le
norme stabilite da leggi speciali” (art. 437).
L’affiorare di nuove forme di ricchezza – di cui si iniziava, così, il faticoso tentativo di
inserimento nelle categorie tradizionali dell’appartenenza – e la mobilizzazione della ric-
chezza stessa, in dipendenza dello sviluppo dell’economia industriale e creditizia, deter-
minano il, sia pur lento, tramonto dell’importanza della proprietà terriera. Le nuove for-
me di ricchezza, poi, si presentano come espressione di una sempre più marcata preva-
lenza dell’attività organizzativo-produttiva, rispetto a quella essenzialmente legata al me-
ro godimento dei beni. E il fenomeno si salda, del resto, con l’importanza progressiva-
mente riconosciuta al lavoro (anche come reale legittimazione dell’appartenenza dei be-
ni). Ciò, evidentemente, sotto la spinta della pressione di forze sociali emergenti, con
conseguente avvertita inadeguatezza della concezione (ancora privilegiata dal codice del
1865) tendente a considerare la proprietà refrattaria a controlli e interventi pubblici, fi-
nalizzati ad assicurarne un esercizio consono alle nuove esigenze di una moderna eco-
nomia complessa e alla realizzazione di equilibri socialmente accettabili tra gli interessi
antagonistici 4.
È questo lo scenario in cui si inserisce l’elaborazione e l’emanazione del codice civi-
le vigente, il quale, con una scelta significativa, non definisce più la proprietà, ma la
posizione attribuita al proprietario in ordine ai beni. L’art. 832 stabilisce che “il proprie-
tario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti
e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. All’idea (che di
per se stessa esclude qualsiasi possibilità di modulazione) di assolutezza si sostituisce, co-
sì, quella di pienezza ed esclusività, per di più subito temperata dal richiamo di quei

4
In tale direzione si muovono, a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, e via via sempre più decisamente poi,
il marcato condizionamento pubblico dei rapporti economici, attraverso incentivazioni e piani di sviluppo,
nonché la stessa gestione pubblica diretta di rilevanti attività economico-produttive.
558 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

limiti, la cui generica previsione sembra assumere il senso di una generale possibilità di
adattamento legislativo del contenuto della proprietà alla complessità degli interessi,
pubblici e privati, incidenti sui beni. La normalità della imposizione di obblighi, che
emerge dalla nuova formula legislativa, allontana ulteriormente e decisamente, poi, il
modello di proprietà del codice civile del 1942 da quello tradizionalmente fondato sul
riconoscimento al proprietario di un potere tendenzialmente illimitato e discrezional-
mente esercitabile, a prescindere da ogni sua compatibilità col perseguimento di finalità
ritenute essenziali dall’ordinamento.
Norme quali quelle (che verranno esaminate più oltre) relative al divieto degli atti d’e-
mulazione (art. 833), non a caso previsto immediatamente dopo la definizione del contenu-
to del diritto (e quasi a chiarirne ulteriormente la portata), ovvero alla estensione vertica-
le della proprietà fondiaria (art. 840) valgono ad evidenziare il significato che assume,
ormai, la proprietà, indubbiamente intesa come ampio riconoscimento di interessi repu-
tati meritevoli di tutela, ma solo nei limiti in cui l’esercizio del diritto sia effettivamente
indirizzato alla relativa realizzazione. Il contenuto stesso del diritto, così, viene ad essere
considerato non predefinibile in astratto, risultandone demandata la determinazione alla
disciplina concretamente dettata dal legislatore con riguardo ai vari tipi di beni, in tal
senso presentandosi condizionato anche il riferimento alla pienezza del diritto 5.
Già dalle disposizioni generali (capo I, titolo II, libro III) è dato cogliere il carattere
programmaticamente poco significativo di qualsiasi definizione generale della proprietà,
se non arricchita di sostanza in considerazione, appunto, della disciplina specificamente
concernente il regime delle diverse tipologie di beni. Discusso è se ciò abbia addirittura
finito col determinare quel superamento dell’unità concettuale della proprietà, cui si ten-
de diffusamente ad alludere parlando, nel nuovo quadro ordinamentale, piuttosto che
della proprietà, delle proprietà. Certo è che la conformazione del contenuto della pro-
prietà viene, in relazione ai diversi beni, articolata in maniera decisamente differenziata e
tale da assicurare il soddisfacimento degli interessi, generali e individuali, a ciascun tipo
di bene specificamente riferibili.
L’ideologia produttivistica alla base del codice, concentrata sull’obiettivo del persegui-
mento – quale valore fondamentale da realizzare – dell’incremento della ricchezza na-
zionale complessiva attraverso lo sviluppo dell’attività produttiva, impone, allora, un pe-
culiare regime dei beni produttivi 6. Viene già avvertita, comunque, pure la rilevanza delle
esigenze – che oggi definiremmo legate alla salvaguardia della qualità della vita – di ca-

5
Come si legge nella Relaz. cod. civ., n. 402, la proprietà non è più considerata “diritto primigenio o natu-
rale dell’individuo”, dato che “la misura stessa del diritto si desume organicamente dalle finalità per cui il po-
tere è riconosciuto e varia quindi in relazione ai diversi beni suscettibili di appropriazione”. “I mezzi idonei
alla tutela dell’interesse pubblico in concorso con l’interesse privato possono essere, secondo le varie catego-
rie di beni e le diverse situazioni di fatto, o di carattere negativo, come i limiti legali, o di carattere positivo,
come gli oneri in senso stretto e gli obblighi imposti al privato” (n. 405).
6
Ricordando i principi della Carta del lavoro (21.4.1927), la Relaz. cod. civ., n. 403, sottolinea che la pro-
prietà deve essere intesa non come “la proprietà passiva, ma la proprietà attiva, che non si limita a godere i
frutti della ricchezza, ma li sviluppa, li aumenta, li moltiplica”. Rispetto ai “beni che interessano la produ-
zione nazionale”, a differenza che per quelli “che servono all’uso o al godimento individuale”, “la proprietà
assume una configurazione nella quale riescono modificate le note fondamentali di pienezza ed esclusività del
diritto dichiarate nella definizione e meglio emerge quell’aspetto di diritto-dovere, pur dichiarato nella defini-
zione stessa” (n. 386, ad illustrazione dell’abrogato art. 811: II, 2.2 e II, 2.10).
CAP. 1 – PROPRIETÀ 559

rattere culturale e urbanistico-ambientale, come attesta la prevista generale possibilità di


espropriazione non solo dei beni che interessano la produzione nazionale (quando il pro-
prietario ne “abbandona la conservazione, la coltivazione o l’esercizio”), ma anche di quelli
considerati di prevalente interesse pubblico (in quanto concernenti il decoro delle città e
la tutela dell’arte, della storia e della salute pubblica) (art. 838).
Esemplare di una simile nuova concezione del riconoscimento ai privati di una pro-
prietà adeguata nel suo contenuto alla garanzia degli interessi, anche generali, concor-
renti sui beni, risulta l’assoggettamento a regole particolari dei beni d’interesse storico e
artistico (art. 839), col rinvio alla relativa legislazione speciale nello stesso periodo varata.
La pianificazione urbanistica (per la prima volta organizzata sistematicamente con la legi-
slazione del 1942) è, poi, fonte di significativi obblighi collegati alla proprietà immobilia-
re urbana (artt. 869 ss.) e l’attenzione alla proprietà dei fondi rustici ne determina la sot-
toposizione a incisivi obblighi, non solo ai fini dell’incremento produttivo (artt. 846 ss.,
sul riordinamento della proprietà rurale, e 857 ss., sulla bonifica integrale), ma anche per
evitare, attraverso la previsione di vincoli idrogeologici e difese fluviali, il pericolo di “dan-
no pubblico” (art. 866).
La disciplina del codice civile, in tale prospettiva, si presenta quale centro di riferi-
mento dell’articolato sistema della legislazione speciale, cui è affidata, in misura sempre
più larga, la specifica configurazione del regime di appartenenza dei beni socialmente
rilevanti, in quanto importanti ai fini produttivi o per il soddisfacimento di concorrenti
interessi di carattere generale e individuale. E si tratta di una prospettiva destinata ad es-
sere decisamente rafforzata nel momento in cui la posizione di centralità nel sistema vie-
ne assunta dalla Costituzione della Repubblica.
La proprietà che interessa la Costituzione è essenzialmente quella, appunto, dei be-
ni socialmente rilevanti, in quanto finalizzati all’attività produttiva – anche in funzione di
garanzia dell’accesso al “lavoro” su cui è dichiaratamente “fondata” la Repubblica (art. 11)
– o al soddisfacimento di esigenze sociali primarie (come nel caso dell’abitazione), se-
condo quanto emerge dalla stessa enunciazione per cui “la proprietà è pubblica o priva-
ta” e “i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati” (art. 421). Solo ri-
spetto a tali beni, in effetti, acquista concreto significato l’art. 422, ove si sancisce che “la
proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acqui-
sto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla ac-
cessibile a tutti”.
Si tratta di una formula, invero, non del tutto limpida: da una parte, si avverte an-
cora l’eco della risalente concezione della proprietà privata quale diritto fondamentale
(sono i diritti fondamentali ad essere riconosciuti e garantiti, secondo l’art. 2 Cost.); dal-
l’altra, emerge come, in quanto mero rapporto economico (la materia è affrontata nel cor-
rispondente titolo della Costituzione), relativamente ad essa, attribuzione (acquisto), uti-
lizzazione (godimento) e conformazione (limiti) vengano fatti dipendere unicamente dal-
le scelte legislative, cui risulta assegnato l’obiettivo di indirizzarla nel senso della realiz-
zazione della funzione sociale e della promozione di un accesso generalizzato. Non c’è da
meravigliarsi, allora, che con particolare urgenza sia stato avvertito il problema relativo
alla possibilità o meno di dedurre dalla normativa costituzionale in questione la garan-
zia di un contenuto minimo della proprietà (VI, 1.4), che non possa essere conculcato, se
non nel puntuale rispetto del principio per cui “la proprietà privata può essere, nei casi
560 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”
(art. 423).
Pare innegabile che ne derivi una marcata funzionalizzazione del diritto di proprietà,
nel senso di un suo riconoscimento, anche quanto a modi di atteggiarsi in concreto, co-
me strumento di tutela dell’interesse particolare del titolare, ma da esercitare sempre com-
patibilmente con la realizzazione di finalità economico-sociali imposte dall’ordinamento,
perché considerate espressione dell’interesse generale. Diventa, allora, essenziale indivi-
duare simili finalità, a chiarire le quali sembrano valere – rendendo, così, meno evane-
scente di quanto possa apparire la formula della funzione sociale – le disposizioni suc-
cessive della stessa Costituzione, soprattutto laddove si allude, oltre che a quello dell’in-
cremento produttivo, all’obiettivo del conseguimento di equi rapporti sociali (art. 44, che si
riferisce ai conseguenti obblighi e vincoli alla proprietà terriera), anche attraverso l’accesso
alla (e l’avvicendamento nella) proprietà, sulla base della valorizzazione del lavoro e del
connesso risparmio (art. 472, che finalizza il risparmio popolare, in particolare, alla proprie-
tà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e all’azionariato popolare).
La funzione sociale della proprietà e la generalizzazione dell’accesso ad essa finisco-
no, insomma, per integrarsi nella definizione delle finalità che il legislatore deve avere di
mira nella disciplina della proprietà. A loro volta, poi, esse sono da apprezzare alla luce
della più generale scelta della Costituzione nel senso della valorizzazione della persona
umana e delle sue esigenze di sviluppo, in un’ottica solidaristica (art. 2), atta ad assicura-
re una reale eguaglianza sostanziale (art. 32). Non si dimentichi, del resto, come sicurezza,
libertà e dignità umana rappresentino pure i parametri di valutazione della legittimità
dell’iniziativa economica privata (art. 412, elencazione cui la L. cost. 11.2.2022, n. 1, ha
aggiunto espressamente salute e ambiente). Il miglioramento della qualità della vita, an-
che in vista della sua proiezione nel futuro, costituisce parte essenziale del programma
che la Costituzione demanda al legislatore (cui non può, quindi, mancarsi di rapportare
la proprietà privata), promovendo “lo sviluppo della cultura e la ricerca” e tutelando “il
paesaggio” (già nel testo originario della norma da intendere pure nel senso di patrimo-
nio ambientale, secondo quanto ora reso esplicito dall’espresso riferimento nell’aggiunto
co. 3 – sempre ai sensi della L. cost. 1/2022 – alla tutela dell’“ambiente”, della “biodi-
versità” e degli “ecosistemi”, “anche nell’interesse delle future generazioni”) e “il patri-
monio storico e artistico della Nazione” (art. 9) 7.
La nozione di proprietà che ne emerge – e che ha rappresentato la direttiva seguita
dal legislatore in oltre mezzo secolo, in una prospettiva dinamica inevitabilmente deter-
minata da quegli avvicendamenti politici che costituiscono la vera ricchezza della demo-
crazia – deve raffrontarsi, ora, con la definizione che del diritto di proprietà offre, all’art.
17, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Indubbiamente, la materia è trattata nel contesto del relativo capo II, dedicato alla
“libertà”. Il sospetto di un ritorno a concezioni del passato pare peraltro da fugare, trat-
tandosi di una collocazione essenzialmente da ricollegare alle tradizioni costituzionali di
taluni paesi, che continuano ad annoverare la proprietà tra i diritti fondamentali, pur of-

7
Si ricordi come “un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente” costituisca
uno dei compiti cui allude l’art. 3 del TUE (secondo quanto previsto anche dall’art. 37 Carta dir. fond. U.E.).
Ad un riconoscimento esplicito dell’esigenza di tutela dell’ambiente risulta finalizzata la L. cost. 1/2022.
CAP. 1 – PROPRIETÀ 561

frendone una definizione in larga misura assimilabile a quella della nostra Costituzione 8.
L’affermazione per cui “ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che
ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità” – oltre che già di
per sé alludere, in sostanza, alla necessità che l’acquisto della proprietà avvenga in con-
formità della disciplina legislativa relativa all’accesso ai beni – viene precisata nel senso
che “l’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse gene-
rale”. Riconoscendosi, con ciò, al legislatore l’esercizio di una generale funzione confor-
mativa del contenuto della proprietà, difficilmente dubitabile si presenta la compatibilità
del relativo modello di proprietà con quello delineato dall’art. 42 della nostra Costitu-
zione (ai diversi legislatori nazionali, in realtà, sembra così essersi inteso proprio affidare
il compito di caratterizzare più specificamente il richiamato interesse generale, quale pa-
rametro di riferimento per la disciplina del contenuto del diritto di proprietà) 9.

2. Contenuto e caratteri. – Il diritto di proprietà, che costituisce tradizionalmen-


te il prototipo delle situazioni giuridiche soggettive con carattere di assolutezza e rea-
lità (II, 3.5) (nonché, in prospettiva storica, il modello concettuale della figura stessa del
diritto soggettivo), vede il suo contenuto definito, come dianzi accennato, dall’art. 832
(secondo cui “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed
esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuri-
dico”). L’art. 42 Cost., in effetti, presuppone la relativa formulazione codicistica, per pre-
cisarne senso e portata con riferimento al quadro d’insieme dei valori costituzionali ed alla
loro effettiva attuazione, affidata all’azione legislativa.
Per contenuto del diritto di proprietà, si intendono, come si è avuto modo di ap-
profondire in generale parlando di contenuto del diritto soggettivo (II, 3.3), l’insieme
delle facoltà e dei poteri riconosciuti al titolare, in vista della realizzazione del suo inte-
resse. Proprio dalla definizione offerta dall’art. 832, è stato possibile cogliere, del resto,
l’accresciuta complessità del contenuto del diritto soggettivo, alla cui concreta determina-
zione, secondo quanto sottolineato nel precedente paragrafo con specifico riferimento
alla proprietà, concorre in maniera crescente la previsione di limiti e, addirittura, di ob-
blighi, in una prospettiva di bilanciamento dell’interesse – ritenuto dall’ordinamento me-
ritevole di tutela – del titolare con gli altri interessi, individuali e generali, con cui si tro-
va a confrontarsi.
L’art. 832 riconosce al proprietario “il diritto di godere e disporre delle cose in modo

8
L’art. 14 della Legge Fondamentale tedesca (Grundgesetz) del 1949, che colloca la disciplina della pro-
prietà nel quadro dei diritti fondamentali, stabilisce che di essa “contenuto e limiti vengono stabiliti dalla leg-
ge” e che “la proprietà impone degli obblighi. Il suo uso deve al tempo stesso servire al bene della collettività”.
9
Quanto, poi, all’enunciato principio per cui “nessuno può essere privato della proprietà se non per cau-
sa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una
giusta indennità per la perdita della stessa”, pare da sottolineare, piuttosto, la carica garantistica del profilo
della tempestività del ristoro del proprietario. Si ricordi che anche l’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla
Conv. eur. dir. uomo del 1950, nel sancire che “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi
beni” (e che “nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condi-
zioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”), fa salvo il diritto degli Stati di le-
giferare “per regolamentare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale”. Significativamente, l’art.
345 TFUE, enuncia il principio – del quale discussa, peraltro, è l’effettiva portata – per cui “i trattati lasciano
del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”.
562 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

pieno ed esclusivo”. Secondo quanto già sottolineato (II, 3.3), è da precisare, innanzitut-
to, come risulti più corretto parlare, al riguardo, di facoltà di godimento e di potere di di-
sposizione, rispettivamente con riferimento alla possibilità, appunto attribuita al proprie-
tario, di utilizzare il bene e di determinare la relativa condizione giuridica (anche di ap-
partenenza) con propri atti giuridici (costituendo diritti reali limitati su di esso, alienan-
dolo, locandolo, ecc.) 10. È chiaro, comunque, come a caratterizzare la situazione del pro-
prietario rispetto a quella del titolare di qualsiasi altro diritto, anche di natura reale, sia-
no i caratteri di pienezza ed esclusività.
La pienezza è da intendere nel senso che al proprietario, a differenza che nel caso
degli altri diritti reali, non sono specificamente attribuiti facoltà e poteri (più o meno
estesi), ma è conferita la generalità delle forme di godimento e disposizione che il bene
consente (gli altri diritti reali, in effetti, risultano definiti nel loro contenuto proprio per
la determinatezza delle facoltà e dei poteri del titolare, in contrapposizione ad una simile
generalità delle prerogative del proprietario) (VI, 3.1). La pienezza non può, peraltro,
essere intesa in senso astratto e naturalisticamente assoluto (secondo quanto, invece, in
passato si riteneva insito nel carattere di assolutezza della proprietà: VI, 1.1): il proprieta-
rio vede delimitate le sue possibilità di utilizzazione e di disposizione del bene dall’in-
sieme delle regole che ne disciplinano il regime quanto, appunto, a utilizzabilità e dispo-
nibilità (che valgono a delineare, quindi, i tratti della natura del bene stesso sotto il profi-
lo giuridico). Solo in relazione alle modalità di utilizzazione e disposizione consentite dal-
l’ordinamento nei confronti del bene, cioè, al proprietario è riconosciuta una situazione
di preminenza rispetto ad ogni altro soggetto, potendo egli tenere ogni comportamento
(di carattere materiale e giuridico) che rientri in tali limiti.
È l’ordinamento, insomma, in relazione ai diversi beni, a conformare, in concreto,

10
La sempre maggiore gravosità degli oneri incombenti sulla proprietà tende, da qualche tempo, a rende-
re oggetto di particolare attenzione la questione (individuata con terminologia varia, tra cui quella di abban-
dono semplice o mero del fondo), pur da sempre discussa, concernente la possibilità, per il proprietario, di
rinunciare semplicemente al suo diritto di proprietà sul bene immobile (l’abbandono dei beni mobili dando
luogo al relativo eventuale acquisto di altri – quale res derelicta e, quindi, nullius – mediante occupazione: VI,
2.2), con la conseguente operatività del principio dell’art. 827 (per cui “i beni immobili che non sono in pro-
prietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato”: II, 2.1). In proposito, Trib. Rovereto ord. 22-5-2015 ha
ritenuto senz’altro ricavabile “un principio generale”, nel senso della (diffusamente condivisa) ammissibilità
di una “rinuncia alla proprietà” del fondo (con “funzione meramente abdicativa/dismissiva”), mediante un
“atto unilaterale non recettizio, con il quale si esprime in maniera massima il potere dispositivo insito nel di-
ritto di proprietà e rappresentato dalla volontà di non avere più un determinato bene” (problematico restan-
do solo l’aspetto pubblicitario dell’acquisto, nel caso di specie, a favore della regione Trentino-Alto Adige, ai
sensi dell’art. 67 del relativo statuto). La rinuncia abdicativa “esprime un interesse meritevole di tutela per
l’ordinamento, coincidente con la sola dismissione del diritto”, per Trib. Trieste 27-2-2017. App. Genova
27-11-2018 ha confermato (contro il divergente avviso di T.A.R. Piemonte 28-3-2018, fondato essenzialmente
sulla invocazione della funzione sociale della proprietà) un simile orientamento, concludendo che “siano tra-
scrivibili gli atti rinuncia in questione” e che “la trascrizione sarà effettuata solo contro lo Stato” (“avvenendo
l’acquisto da parte dello Stato a titolo originario”). Peraltro, Trib. Genova 1-3-2018 ha precisato che “anche
dell’atto unilaterale, tra cui quello della rinuncia abdicativa, va esaminato l’aspetto causale”, con conseguente
eventuale sua “nullità per illiceità della causa” (da intendere come “causa in concreto”: VIII, 3.5). In proposi-
to, si ricordi come Cons. Stato, ad. plen., 20-1-2020, n. 4, pur ritenendo di non dovere affrontare la questione
“dell’astratta ammissibilità nell’ordinamento generale, sotto uno stretto profilo civilistico, della rinuncia al
diritto di proprietà su un bene immobile” (ai fini della soluzione da dare alla problematica specificamente
oggetto di attenzione: quella, cioè, della c.d. occupazione acquisitiva: VI, 2.4), abbia rilevato essere prevalente
la propensione dottrinale “per l’ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto dominicale”.
CAP. 1 – PROPRIETÀ 563

la portata delle facoltà e dei poteri del proprietario (in tal senso essendo da intendere il
riferimento dell’art. 832 ai limiti e agli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico, ov-
viamente in vista, attualmente, del perseguimento delle finalità precisate dall’art. 42 Cost.).
Egli, poi, a sua volta, può anche dar vita, con proprie manifestazioni di volontà (che rien-
trano nel suo potere di disposizione), a vincoli di natura reale od obbligatoria, i quali val-
gono a delimitare le sue possibilità di godimento (si pensi ad un usufrutto, ad una servi-
tù, ad un comodato) o di disposizione (si pensi ad un divieto di alienazione stabilito con-
trattualmente o alle limitazioni derivanti dalla costituzione di un fondo patrimoniale). Il
carattere di pienezza della proprietà, in considerazione delle motivazioni economiche
che ne hanno portato storicamente all’affermazione (come si è visto nel precedente pa-
ragrafo), si pone alla base della tendenziale limitazione temporale (oltre che di conte-
nuto, come attestato dal principio della tipicità dei diritti reali: VI, 3.1) dei vincoli gra-
vanti su di essa, sia sotto il profilo delle facoltà di godimento (ad es., durata dell’usu-
frutto: art. 979), che del potere di disposizione (ad es., temporaneità del divieto di alie-
nazione: art. 1379).
Proprio al carattere di pienezza si ricollega l’elasticità del diritto di proprietà. Il di-
ritto di proprietà rimane tale anche se le possibilità di godimento e di disposizione con-
sentite al proprietario si trovino ad essere compresse, attualmente, dall’esistenza di un di-
ritto altrui avente ad oggetto il bene. La peculiare forza della proprietà è rinvenibile nella
sua attitudine a riespandersi automaticamente al venir meno della situazione giuridica
che ne limiti le potenzialità rispetto al bene, riassumendo in pieno il contenuto di facoltà
e poteri che la caratterizzano (come accade, ad es., in conseguenza dell’estinzione di un
diritto di usufrutto costituito sul bene, col riespandersi della nuda proprietà a proprietà
piena).
Qualificando il diritto di proprietà in termini di esclusività, ci si riferisce alla possi-
bilità riconosciuta al proprietario di escludere chiunque altro (salvo che non si tratti del
titolare di un diritto che comprime, allo stato, il contenuto della proprietà) dal godimen-
to del bene (ius excludendi alios): per la proprietà, più che per qualsiasi altro diritto rea-
le, si avverte il senso del carattere assoluto del diritto (II, 3.5). Tradizionale espressione
(e retaggio nel codice) di tale attributo della proprietà è rappresentato dal diritto di chiu-
dere il fondo (art. 841). Alla esclusività, viene tradizionalmente ricondotta anche l’inam-
missibilità del concorso di una pluralità di diritti di proprietà sullo stesso bene, essendo,
invece, ammissibile la contitolarità del diritto, secondo le regole della comunione (art.
1100) (VI, 4.1).
A caratterizzare il diritto di proprietà contribuiscono anche altre norme. Così, il ca-
rattere della imprescrittibilità emerge implicitamente 11 dall’art. 9483, laddove si pre-
vede l’imprescrittibilità di quell’azione di rivendicazione, che costituisce lo strumento
elettivo posto a disposizione del proprietario per far valere le sue ragioni (VI, 2.6). Con-
testualmente si prevede anche, peraltro, che nel conflitto tra un proprietario inerte e un
utilizzatore sia da preferire quest’ultimo, una volta realizzatesi a suo favore le condizioni
della usucapione (VI, 5.7). L’inerzia del proprietario, poi, quando si tratti dei beni che
interessano la produzione nazionale o di prevalente interesse pubblico, risulta sanziona-

11
Il carattere della imprescrittibilità risulta, invece, enunciato espressamente nell’attuale art. 2227 code
civil.
564 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

ta, nel sistema del codice, dall’art. 838, il quale dispone, in tal caso, la possibilità di espro-
priazione 12.
Al carattere dell’imprescrittibilità si ricollega logicamente quello della perpetuità,
tradizionalmente considerato proprio della proprietà. Sono state, però, individuate ipo-
tesi in cui la proprietà, pur non perdendo i suoi connotati caratteristici sul piano sostan-
ziale (e, in particolare, la pienezza), non si presenta tale (c.d. proprietà temporanea). Esem-
pi vengono indicati nella situazione conseguente alla sostituzione fedecommissaria (artt.
692 s.) e nella proprietà superficiaria a termine (art. 953).
Si è ricordato (VI, 1.1) come già nel codice civile del 1865 cominciasse ad emergere
l’attenzione per nuove forme di ricchezza estranee alla materialità propria delle cose: si
tratta dei c.d. beni immateriali (II, 2.1), circa la peculiare collocazione dei diritti che li con-
cernono all’interno delle tradizionali categorie della “appartenenza” si accennerà più ol-
tre (VI, 1.10).

3. Atti emulativi. – Ripetutamente, si è evidenziato come particolarmente indicativa


del nuovo atteggiamento del legislatore in ordine all’idea di proprietà (e, più in generale,
di diritto soggettivo) sia la norma, che significativamente segue quella rivolta a definirne
il contenuto e di cui assume la veste di completamento, con la quale viene sancito il di-
vieto degli atti emulativi. Si tratta dell’art. 833, che vieta al proprietario di “fare atti i
quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o di recare molestia ad altri”.
In tale norma si individua correntemente un’applicazione della figura dell’abuso del
diritto, quale limite di carattere generale del diritto soggettivo: limite per cui al titolare si
ritengono consentiti esclusivamente i modi di esercizio del diritto conformi allo scopo in
vista del quale il diritto stesso sia stato riconosciuto al soggetto, a seguito della valutazio-
ne di meritevolezza del relativo interesse (II, 3.4) 13. La fattispecie qui prevista si pone
indiscutibilmente in tale prospettiva. Il compimento dell’atto emulativo, in effetti, non è
diretto a soddisfare alcun interesse meritevole di tutela e, in particolare, quell’interesse
economico in vista del quale il diritto di proprietà è riconosciuto, in quanto posto in es-
sere non al fine di trarre una qualche utilità dal bene, ma semplicemente allo scopo di
nuocere ad altri 14.
È da sottolineare come il legislatore abbia programmaticamente inteso restringere la
portata della regola in questione, limitandola agli atti esclusivamente finalizzati a nuocere
ad altri 15. Con ciò, indubbiamente, risulta fortemente attenuata la stessa utilizzabilità
della norma ai fini della ricostruzione in termini generali del divieto dell’abuso del dirit-
to. E la giurisprudenza, a sua volta, si è orientata nel senso di un’applicazione decisamente

12
Proprio in tale prospettiva, il legislatore non ha mancato di prevedere, in particolare, la possibilità di as-
sicurare l’utilizzazione delle terre incolte (o non sufficientemente sfruttate) (L. 4.8.1978, n. 440).
13
Come si è a suo tempo sottolineato (II, 3.4), il legislatore ha preferito rinunciare ad una enunciazione di
carattere generale della figura dell’abuso del diritto, facendone, piuttosto, applicazione nella delineazione de-
gli istituti fondamentali del diritto privato (proprietà e obbligazione: artt. 833 e 1175).
14
È questo il senso che sembra sinteticamente riconoscere all’art. 833 la Relaz. cod. civ., n. 408, secondo
cui “tale divieto afferma un principio di solidarietà tra privati e nel tempo stesso pone una regola conforme
all’interesse della collettività nell’utilizzazione dei beni”.
15
Sempre nella Relaz. cod. civ., n. 408, si evidenzia essersi ritenuto “opportuno, per evitare eccessi peri-
colosi nell’applicazione della norma, esigere espressamente il concorso dell’animus nocendi”.
CAP. 1 – PROPRIETÀ 565

restrittiva della norma, richiamandola (dunque raramente, pure per il suo reputato carat-
tere residuale) solo nel caso di riscontrata assenza di un qualsiasi vantaggio del proprieta-
rio: al di fuori, quindi, di qualunque tentativo di utilizzarla in un’ottica di reale bilancia-
mento tra l’interesse del proprietario agente e gli interessi altrui pregiudicati dalla sua
attività 16. Proprio una così rigorosa accezione accolta dell’inutilità dell’atto per il pro-
prietario è alla base, in genere, della mancata applicazione della norma, che poco ha con-
tribuito, allora, a contenere i comportamenti arbitrari tenuti dai proprietari nell’esercizio
del proprio diritto 17.
La difficoltà, da parte del soggetto che lamenta la lesione del proprio interesse, di
dimostrare il carattere emulativo dell’atto deriva, soprattutto, dalla necessità di provare
l’intenzione lesiva del proprietario (animus nocendi) 18. La prevalente dottrina, peraltro,
ritiene infondato l’orientamento giurisprudenziale in tal senso. Indubbiamente, comun-
que, in una certa agevolazione della posizione del soggetto leso si risolve l’ammissione
della possibilità di presumere l’elemento intenzionale dalle caratteristiche oggettive del-
l’atto lamentato 19.
Poiché l’atto di cui sia accertato il carattere emulativo è da considerare illecito, contro
chi lo ha posto in essere può essere chiesta non solo l’eliminazione di quanto compiuto
in violazione del relativo divieto (ad es., la rimozione di piante collocate solo per impedi-
re la veduta del vicino o l’abbattimento del manufatto costruito al solo scopo di chiudere
le luci esistenti nel muro altrui), ma anche il risarcimento del danno.

16
Nel ribadire che “non può ritenersi emulativo l’atto che comunque risponda a un interesse del proprie-
tario”, Cass. 22-1-2016, n. 1209, esclude che “il giudice possa compiere una valutazione comparativa discre-
zionale fra gli interessi in gioco ovvero formulare un giudizio di meritevolezza e di prevalenza fra l’interesse
del proprietario e quello di terzi”.
17
Cass. 5-3-1984, n. 1515, afferma senz’altro non essere sufficiente “che il comportamento del soggetto
attivo arrechi nocumento o molestia ad altri, occorrendo altresì che il fatto sia posto in essere per tale esclusi-
va finalità senza essere sorretto da alcuna giustificazione di natura utilitaristica dal punto di vista economico e
sociale”, bastando che gli atti “siano soggettivamente intesi a procurargli un vantaggio”. Dovendosi il caratte-
re emulativo dell’attività “valutare in termini restrittivi”, il divieto la colpisce solo se “manifestamente priva di
utilità” (Cass. 7-3-2012, n. 3598 e, in sostanza, Cass. 19-3-2013, n. 6823, in relazione alla creazione di un ter-
rapieno in un terreno agricolo; Cass. 31-10-2018, n. 27916, ribadisce la necessaria assenza “di qualsiasi utilità
in capo al proprietario”). Inoltre, si ritiene che “gli atti di emulazione possono consistere solo in comporta-
menti positivi e non omissivi”: dato che “una condotta attiva comporta di per sé un costo in termini di spesa
o di esplicazione di energie psicofisiche, l’astensione da essa non può, di per sé, essere ispirata solo ed esclusi-
vamente dall’animus nocendi” (Cass. 20-10-1997, n. 10250, in un caso di omessa potatura di piante). Pur sen-
za operare un giudizio di proporzionalità tra il vantaggio ricavabile dall’atto e l’altrui nocumento (come diffu-
samente auspicato in dottrina, la quale tende ad orientarsi nel senso di prospettare un vero e proprio obbligo
di attivazione nell’interesse altrui, fondato su una lettura della norma ispirata agli artt. 2 e 422 Cost.), non si è
mancato, comunque, di alludere alla necessaria ricorrenza “di un apprezzabile vantaggio del proprietario”
(Cass. 25-3-1995, n. 3558).
18
Corrente è l’affermazione per cui, ai fini della ricorrenza dell’atto emulativo, occorre, oltre ad un elemento
oggettivo (consistente nell’inutilità dell’atto per il proprietario), “un elemento soggettivo costituito dall’animus
nocendi, ossia l’intenzione di nuocere o recare molestia ad altri” (Cass. 3558/1995; 27-6-2005, n. 13732).
19
In applicazione di tale principio, ad es., Trib. Napoli 20-2-1997 ha ritenuto ricorrente l’ipotesi dell’atto
emulativo nel caso di collocazione su un terrazzo di piante di alto fusto (nella specie, di lauro), tali da impedi-
re la veduta del vicino, senza “una qualche utilità, da valutarsi oggettivamente, per la convenuta” (in quanto
inutili ai fini di una migliore privacy e ingiustificate dal punto di vista dell’amenità).
566 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

4. Contenuto della proprietà e garanzia costituzionale. – Con riguardo al conte-


nuto del diritto di proprietà, delicata problematica risulta quella che si è posta in pre-
senza del già richiamato art. 42 Cost. (VI, 1.1). Tale norma, da una parte, demanda al
legislatore – con la previsione in materia, quindi, di una riserva di legge – la disciplina di
tutti i profili della proprietà, in vista (e, ovviamente, nei limiti) della realizzazione delle
contemplate finalità di carattere sociale (c.d. conformazione del contenuto del diritto
di proprietà); dall’altra, fa ciò sulla premessa di una dichiarata garanzia della proprietà
stessa, che impone il relativo indennizzo, nel caso in cui l’interesse generale ne renda ne-
cessaria la sottrazione al privato (mediante il trasferimento coattivo: espropriazione). Si è
posto, allora, il problema dei limiti entro cui il contenuto del diritto di proprietà possa
essere compresso, almeno senza il riconoscimento, appunto, di un ristoro economico a
favore del proprietario, discutendosi, in proposito, della configurabilità o meno, alla luce
dei principi costituzionali, di un contenuto minimo della proprietà, intangibile dallo
stesso legislatore.
Indubbiamente, le concrete possibilità di utilizzazione del bene da parte del proprieta-
rio vengono a dipendere dalla disciplina delle relative modalità ad opera del legislatore,
sulla base di valutazioni compiute in vista del necessario bilanciamento tra gli interessi del
proprietario e quelli, generali e individuali, eventualmente considerati meritevoli di tutela,
che i diversi beni si presentano atti a soddisfare. Il diritto di proprietà non si può, quindi,
ritenere sottratto al privato, almeno fin quando l’anche notevole riduzione del suo contenu-
to di facoltà e poteri – comunque costantemente nel dovuto rispetto del principio di egua-
glianza – ne consenta un sia pur ristretto esercizio. Il problema si pone, invece, quando le
limitazioni imposte svuotino di ogni sostanza economicamente apprezzabile il diritto del
proprietario (con una sorta di espropriazione non ablativa o anomala), riducendolo ad una
mera apparenza (per di più fonte di obblighi, come quelli di carattere fiscale).
Determinante, in proposito, è risultato, ovviamente, il ruolo della Corte costituziona-
le, le cui prese di posizione sono state inevitabilmente oggetto di contrastanti apprezza-
menti, data la indubbia forte valenza politico-ideologica del problema in esame. Da una
parte, essa ha ammesso la legittimità di drastiche limitazioni (senza indennizzo) del con-
tenuto della proprietà – di carattere sempre obiettivo e generale – in relazione a determi-
nate intere categorie di beni (come, ad es., quelli qualificabili quali bellezze naturali) 20;
dall’altra, però, ha fermamente sostenuto che il proprietario si deve considerare espro-
priato (con conseguente diritto all’indennizzo) quando i vincoli (anche per il loro caratte-

20
In tale prospettiva, Corte cost. 29-5-1968, n. 56, ha ritenuto, in particolare, non indennizzabili i vincoli
di inedificabilità previsti relativamente a taluni beni a salvaguardia del paesaggio (tutelato dall’art. 92 Cost.): in
quanto simili beni, per le loro peculiari caratteristiche intrinseche, si presentano già “originariamente di inte-
resse pubblico”, il vincolo deve reputarsi connaturale ad essi. Il peculiare regime dei beni culturali e paesaggi-
stici, in relazione alla loro specifica natura, è ora organicamente disciplinato dal D.P.R. 22.1.2004, n. 42, che li
considera rientrare nel “patrimonio culturale” del paese (art. 2), assoggettandoli a significative forme di tutela
“anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti” ad essi relativi (art.
3). Una volta avvenuta la dichiarazione di interesse culturale dei beni (artt. 13 ss.), incisivi limiti e obblighi
gravano sul proprietario (e, in genere, sul possessore) dal punto di vista della loro conservazione e circolazio-
ne (regole particolari concernono la prelazione e l’espropriazione), con gravi sanzioni, anche penali, in caso di
inosservanza. Si ricordi come già il codice civile (art. 839) consideri necessario prevedere una specifica disci-
plina con riguardo alla proprietà privata di beni d’interesse storico e artistico. La definizione, l’individuazione
ed il regime dei beni paesaggistici sono disciplinati negli artt. 131 ss.
CAP. 1 – PROPRIETÀ 567

re a tempo indeterminato) si traducano in un sacrificio tale da incidere sul diritto di pro-


prietà al di là di quanto possa reputarsi tollerabile, in considerazione della natura dei va-
ri beni, secondo le correnti valutazioni sociali (le quali, insomma, assumerebbero la fun-
zione di limite per la discrezionalità dell’intervento del legislatore) 21. In particolare, così,
con riguardo all’evoluzione della legislazione urbanistica tendente a considerare estraneo al
contenuto della proprietà il diritto di edificare (ius aedificandi, su cui anche VI, 1.9), è stato
ritenuto insuperabile il riconoscimento di adeguata rilevanza alle relative facoltà del pro-
prietario 22.
È evidente come, una volta garantito il proprietario assicurandogli almeno l’inden-
nizzo, la discussione concernente il contenuto minimo della proprietà finisca col risolver-
si in quella relativa alla congruità dell’indennizzo spettante in caso di espropriazione
(dato che, come si è a ragione sottolineato, la tutela del valore economico della proprietà
si presenta quale riflesso della tutela del contenuto del relativo diritto). Il codice civile
parla, in proposito, di giusta indennità (art. 834), mentre l’art. 423 allude, senza specifi-
cazioni, all’indennizzo. L’art. 17 Carta dir. fond. U.E. si riferisce ad una giusta indennità
(da pagare in tempo utile). Anche a tale riguardo, essenziale è stato il ruolo della Corte
costituzionale, la quale è dovuta intervenire ripetutamente, per vagliare la legittimità dei
criteri di determinazione degli indennizzi espropriativi via via previsti dal legislatore (con
interventi necessitati proprio dalle pronunce della Corte).
L’orientamento che si è affermato risulta nel senso che l’indennizzo, pur non do-
vendosi necessariamente sempre commisurare al valore venale del bene (dato che, altri-
menti, potrebbe restare trascurata la natura generale dell’interesse perseguito con la
espropriazione, con cui è da bilanciare l’interesse particolare del privato), da questo non
possa mai prescindere 23: esso, cioè, deve rappresentare, in ogni caso, un serio ristoro per
il proprietario privato del suo diritto. Tale non può essere certo considerata una indenni-
tà meramente simbolica o irrisoria, ma solo una indennità congrua, seria e adeguata. Di
conseguenza, il legislatore si è mosso, in anni vicini, tra i due poli rappresentati dal va-
lore venale del bene e dal reddito dominicale rivalutato e moltiplicato per dieci (in so-

21
Deve ritenersi espropriata la proprietà, secondo la nota posizione della Corte costituzionale (20-1-1966, n.
6 e 29-5-1968, n. 55), quando “il sacrificio imposto venga ad incidere sul bene oltre ciò che è connaturato al
diritto di proprietà, quale viene riconosciuto nell’attuale momento storico”.
22
Per Corte cost. 30-1-1980, n. 5, “il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà … anche se di
esso sono stati compressi e limitati portata e contenuto, nel senso che l’avente diritto può solo costruire entro
i limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti urbanistici”: “la concessione di edificare non è attributiva di
diritti nuovi, ma presuppone facoltà preesistenti”. Successivamente, peraltro, si è sottolineato (ai fini della
legittimità dei criteri di quantificazione dell’indennizzo dovuto in caso di espropriazione) che, comunque,
“la destinazione urbanistica comporta un valore aggiunto (rendita di posizione) rispetto al contenuto essen-
ziale del diritto di proprietà”, da considerare adeguatamente nel “bilanciamento tra interesse generale ed in-
teresse privato” (Corte cost. 16-6-1993, n. 283). Chiara, in proposito, si presenta la recente affermazione di
Cass., sez. un., 9-6-2021, n. 16080, secondo cui “nell’attuale ordinamento, il diritto di edificare è insito nella
proprietà del suolo”, quale “naturale estrinsecazione del diritto di proprietà del suolo, sebbene sottoposto al-
le condizioni conformative e di utilità sociale previste dalle leggi e dagli strumenti urbanistici” (“essendo dato
all’amministrazione soltanto di regolarne l’esercizio conformemente ai piani ed agli strumenti urbanistici e di
governo territoriale, non già di discrezionalmente ‘costituirlo’ e neppure ‘trasferirlo’”).
23
Con conseguente sicura illegittimità delle disposizioni eventualmente determinative dell’indennizzo di
aree urbane sulla base del mero valore agricolo (come l’art. 16 L. 22.10.1971, n. 865, quale modificato dal-
l’art. 14 L. 28.1.1977, n. 10).
568 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

stanza, secondo la prospettiva adottata già dalla L. 15.1.1885, n. 2892, sul risanamento
della città di Napoli), col determinare l’indennità – in caso di esproprio di area fabbri-
cabile, nelle rimanenti ipotesi venendo essa determinata senz’altro secondo il valore
venale del bene – nella relativa media, percentualmente diminuita del 40 per cento in
mancanza del consenso del privato ad un accordo di cessione (originario art. 37 D.P.R.
8.6.2001, n. 327) 24.
Infine, a seguito dell’ulteriore intervento della Corte costituzionale e in vista di una
soluzione definitiva, anche in quanto compatibile con le prescrizioni sopranazionali in
materia, con la Legge finanziaria 2008 (art. 289 L. 24.12.2007, n. 244, modificativo del ri-
cordato art. 37) l’indennità di espropriazione delle aree fabbricabili è stata senz’altro de-
terminata nella misura del valore venale del bene 25 (con una possibile riduzione del ven-
ticinque per cento in caso di espropriazione finalizzata ad interventi di riforma economi-
co-sociale e un eventuale aumento del dieci per cento in caso di accordo di cessione).

5. Proprietà fondiaria. – Una disciplina articolata il codice civile detta per la proprie-
tà fondiaria, quella cioè concernente i beni immobili (urbani e agricoli). L’importanza da
sempre riconosciuta alla proprietà di tali beni giustifica l’estensione della relativa rego-
lamentazione (e ciò pure in un momento storico in cui, come ripetutamente accennato,

24
Corte cost. 5/1980, aveva richiamato il principio per cui la misura dell’indennizzo deve essere “riferita
al valore effettivo del bene espropriato, determinato in relazione alle sue caratteristiche e alla sua destinazione
economica”. Successivamente, Corte cost. 283/1993, riassumendo i propri precedenti (tendenti a considerare
legittima la combinazione di più criteri, purché almeno uno agganciato al valore venale), ha concluso nel senso
che “il rischio dell’astrattezza del criterio di quantificazione dell’indennità di espropriazione è evitato quando
uno dei parametri che concorrono sia ancorato al valore venale”. La previsione di una determinazione più
favorevole in caso di cessione volontaria da parte del proprietario si è ritenuta, poi, legittima, dato che “la
spinta della valutazione verso valori più vicini a quelli reali contribuisce ad accelerare l’acquisizione del bene
espropriando”, con l’indubbio vantaggio di una più sollecita definizione delle procedure espropriative, risul-
tandone anche deflazionato il relativo contenzioso. La legittimità costituzionale del ricordato nuovo sistema
di liquidazione dell’indennità di espropriazione delle aree fabbricabili è rimasta, comunque, dubbia, dato l’at-
teggiamento negativo assunto dalla Corte eur. dir. uomo (29-3-2006), in sede di interpretazione dell’art. 1 del
Protocollo addizionale n. 1 alla Conv. eur. dir. uomo. Così, in applicazione dell’art. 1171 Cost. (che impone,
nell’esercizio della “potestà legislativa”, il rispetto dei vincoli derivanti “dagli obblighi internazionali”), la Corte
costituzionale (24-10-2007, n. 348), preso atto che la propria precedente giurisprudenza doveva ritenersi con-
nessa al “carattere transitorio” della disciplina dell’indennizzo, divenuta, invece, ormai definitiva, ha concluso
per la relativa illegittimità costituzionale. L’art. 37 D.P.R. 327/2001, infatti, attribuisce una indennità “infe-
riore alla soglia minima accettabile di riparazione dovuta ai proprietari espropriati”, in quanto avulsa da un
“ragionevole legame con il valore venale”. Sottolineandosi che il legislatore, peraltro, “non ha il dovere di
commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato del bene”, viene additata (al
legislatore nuovamente chiamato a intervenire) come possibile una soluzione atta a realizzare “l’equilibrio tra
l’interesse individuale dei proprietari e la funzione sociale della proprietà … in modo differenziato, in rappor-
to alla qualità dei fini di utilità pubblica perseguiti” (fermo restando che il “valore del bene” dev’essere preso
in considerazione “quale emerge dal suo potenziale sfruttamento non in astratto, ma secondo le norme ed i
vincoli degli strumenti urbanistici vigenti nei diversi territori”). In ossequio a tale decisione, come di segui-
to accennato nel testo, il legislatore ha modificato l’art. 37 D.P.R. 327/2001 con la L. 244/2007. Corte
cost. 10-6-2011, n. 181, ha, poi, dichiarato illegittimo anche l’art. 402-3 D.P.R. 327/2001, concernente l’in-
dennità di espropriazione di aree non edificabili, dato che “il criterio del valore agricolo medio corrisponden-
te al tipo di coltura prevalente nella zona”, “ignorando ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del
bene”, “elude il ‘ragionevole legame’ con il valore di mercato”, essenziale ai fini della ricorrenza del “serio risto-
ro” richiesto dalla consolidata giurisprudenza della corte.
25
Il “valore venale del bene” viene inteso come “valore di mercato” (Cass. 31-10-2018, n. 27934).
CAP. 1 – PROPRIETÀ 569

indubbiamente la scena economica tendeva ormai sempre più a vedere protagonisti altri
beni). I beni immobili, infatti, risultano per propria natura atti a costituire il punto di ri-
ferimento di una molteplicità di interessi, sia individuali (dei soggetti, cioè, interessati al-
la loro utilizzazione, con gli inevitabili riflessi che ciò comporta per la vicinanza dei fondi
altrui) che superindividuali (ricollegabili alle esigenze generali dello sviluppo economico-
sociale o a quelle, più specifiche, delle collettività che dalla loro utilizzazione e conserva-
zione risentono immediate conseguenze sul piano economico-sociale).
Il codice si propone il coordinamento di tali interessi, in una prospettiva globale di
continuità – ben rispecchiata dal susseguirsi delle sezioni all’interno del medesimo capo
II del titolo relativo alla proprietà – che finisce col superare i tradizionali steccati ricolle-
gati alla natura privatistico-individuale o meno dell’interesse regolato. E l’ottica adottata
è indubbiamente attenta, oltre che al complessivo incremento delle potenzialità produttive
dei beni (dichiarato motivo conduttore della disciplina dei beni di rilievo economico), an-
che ai problemi posti, in genere, dall’uso del territorio (extraurbano e urbano) e delle sue
risorse 26. Non a caso, al generale perseguimento, in materia di proprietà fondiaria, di scopi
di pubblico interesse si riferisce comprensivamente l’art. 845, che rinvia, in proposito, alla
legislazione speciale e al complesso della disciplina dettata di seguito nel codice.
Innovativa, innanzitutto, si presenta già la norma – che significativamente apre la se-
zione dedicata alle “disposizioni generali” del capo relativo alla “proprietà fondiaria” –
destinata a regolare la estensione verticale della proprietà. Il principio tradizionale in
materia era quello per cui “chi ha la proprietà del suolo ha pur quella dello spazio sovra-
stante e di tutto ciò che si trova sopra o sotto la superficie” (art. 440 cod. civ. 1865). An-
cora sostanzialmente in linea con un simile principio si presenta l’affermazione secondo
cui la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che esso contiene, poten-
dovi il proprietario svolgere qualsiasi attività di utilizzazione che non rechi danno ai vi-
cini (già, comunque, con la significativa riserva del rispetto, in particolare, della legisla-
zione speciale in tema di miniere, cave e torbiere, nonché di antichità e belle arti, di ac-
que, di opere idrauliche) (art. 8401). La novità si rinviene nella previsione secondo cui il
proprietario del suolo non può impedire attività altrui che si svolgano a tale profondità
nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante che egli non abbia interesse ad
escluderle (art. 8402).
Una simile regola segna l’evidente distacco dall’idea della proprietà come astratta si-
gnoria assoluta sulla cosa, a favore, piuttosto, di una concezione che ricollega il ricono-
scimento della meritevolezza del suo esercizio, quale diritto di escludere gli altri, alla sus-
sistenza di un interesse effettivo del soggetto che ne è investito: a segnare i limiti del-
l’espansione del diritto di proprietà nel sottosuolo e nello spazio sovrastante al suolo, è
l’interesse che deriva al titolare della proprietà sul fondo dalla ricorrenza di una concreta
possibilità di relativa utilizzazione. Costui, insomma, è tutelato solo se viene invasa la sfe-
ra di utilizzabilità (secondo un criterio di normalità) del sottosuolo e dello spazio sovra-
stante, al più tenendosi conto delle possibili destinazioni future del bene. Si pensi, al ri-
guardo, quali consentite attività altrui, all’apertura di gallerie o canalizzazioni (per even-
tuali servizi) a profondità tale da non pregiudicare l’utilizzabilità del fondo; ovvero, se

26
Di sempre più viva attualità risultano attualmente, con riguardo allo sfruttamento del territorio, le pro-
blematiche relative alla tutela ambientale (II, 2.1; II, 3.10; VI, 1.1; X, 2.1).
570 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

non addirittura al sorvolo, al caso del passaggio del braccio di una gru (evidentemente
temporaneo, in quanto destinato alla costruzione di un’opera in altro fondo) 27.
Con riferimento alla disciplina generale della proprietà fondiaria, si è ricordato (VI,
1.2) come al principio dell’esclusività del diritto di proprietà si ricolleghi la possibilità,
per il proprietario, di chiudere in qualunque tempo il fondo (art. 841). L’esercizio di tale
facoltà dovrà avvenire, comunque, nel rispetto degli eventuali diritti di terzi sul bene, co-
me nel caso dell’esistenza su di esso di una servitù di passaggio (in tale ipotesi, in linea di
massima, ammettendosi la chiusura, con contestuale offerta al titolare della servitù delle
chiavi del cancello, in applicazione dell’art. 10642).
Tradizionale è la regola per cui il proprietario del fondo non può impedire (secondo
quanto deve ritenersi a lui in genere consentito) l’accesso ad esso per l’esercizio della cac-
cia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legislazione in materia di cac-
cia o vi siano colture suscettibili di derivarne danno (art. 8421). Ciò a condizione che chi
pretende di accedere al fondo sia munito della licenza rilasciata dalle competenti autori-
tà amministrative (art. 8422). L’accesso al fine dell’esercizio della pesca, invece, presup-
pone il consenso del proprietario del fondo (art. 8423) 28.
L’accesso ed il passaggio nel fondo non possono essere impediti, ove necessari, al fine
di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino o comune (art. 8431), ov-
vero a chi intenda recuperare la cosa che vi si trovi accidentalmente o l’animale che vi sia
riparato sfuggendo alla custodia. Il proprietario può, peraltro, impedire l’accesso conse-
gnando la cosa o l’animale (art. 8433). L’accesso, nei casi indicati, giustificato da tradizio-
nali esigenze di opportuna collaborazione tra vicini, deve ritenersi senz’altro lecito, do-
vendone, ovviamente, ricorrere le previste condizioni (come il carattere di necessarietà del-
l’accesso o la non intenzionalità dell’immissione del bene o dell’animale nel fondo al-
trui) 29. Ovviamente, se l’accesso cagiona danno, è dovuta un’adeguata indennità (art.

27
In relazione alle “concrete possibilità di utilizzazione dello spazio”, Cass. 26-2-1996, n. 1484, ha esclu-
so, ad es., che possa considerarsi lesiva del diritto del proprietario dell’area sottostante la collocazione di un
condotto pluviale all’altezza di metri 3,60 da un’area destinata a posto macchina, “in considerazione del fatto
che ogni sfruttamento a scopo edificatorio del suolo era inipotizzabile riguardo al contesto edilizio in cui esso
era inserito” (analogamente, Cass. 16-12-2012, n. 17680, con riguardo alla “immissione di sporti nello spazio
aereo sovrastante il fondo del vicino”, nonché Cass. 28-2-2018, n. 4664, relativamente “a un cornicione sporgen-
te per circa 60 cm”). Insomma, vi è sempre la necessità di una puntuale valutazione della sussistenza “di un con-
creto interesse del proprietario sottostante ad opporsi alla occupazione della colonna d’aria” (Cass. 5-6-2012, n.
9047): valutazione da effettuare “con riferimento non soltanto all’attuale situazione e destinazione del suolo,
ma anche alle sue possibili, future utilizzazioni, sia pure in concreto non individuate, purché compatibili con le
caratteristiche e la normale destinazione del suolo medesimo” (Cass. 11-8-2011, n. 17207; 23-7-2020, n. 15698).
Circa il sottosuolo, Cass. 16-1-2020, n. 779, in considerazione della estensione ad esso della proprietà, ha conclu-
so che “incombe alla parte che assuma di avere la proprietà separata sul sottosuolo fornire la relativa prova,
avente ad oggetto l’atto di trasferimento separato del suolo proveniente da colui che, mediante successivi atti di
trasferimento, ha trasferito a terzi la proprietà del suolo”.
28
Ciò appare giustificato nel caso di pesca in acque di proprietà privata, mentre non manca di destare ta-
lune perplessità nell’ipotesi che il transito sul fondo sia necessario esclusivamente per accedere ad acque
pubbliche. È da tenere presente che Corte cost. 25-3-1976, n. 57, ha reputato infondata la questione di legit-
timità di tale disciplina, laddove esclude dal diritto di accesso “coloro che intenderebbero avvalersene per fini
di ordine artistico e scientifico”, come nel caso di fotografi di animali vaganti.
29
La situazione del titolare del fondo è ritenuta da Cass. 27-2-1995, n. 2274 (e v. anche Cass. 2-3-2018, n.
5012), avere “il carattere di una obbligazione propter rem che si risolve in una limitazione legale del diritto del
titolare del fondo per una utilità occasionale e transeunte del vicino”. L’eventuale pronuncia del giudice, ove
resasi necessaria dal mancato consenso all’accesso, quindi, è “meramente dichiarativa e non costitutiva”.
CAP. 1 – PROPRIETÀ 571

8433). È da sottolineare come qui il codice non parli di risarcimento, ma di indennità,


trattandosi, secondo l’interpretazione preferibile, di una ipotesi di c.d. responsabilità da
atto lecito (X, 2.2) 30.

6. Immissioni. – Tra le “disposizioni generali” in tema di proprietà fondiaria spicca


quella disciplinante le immissioni. Tale previsione, nell’attestare come il legislatore
fosse indubbiamente attento ad adeguare la regolamentazione della proprietà alle tra-
sformazioni economiche in atto, assume (soprattutto nel secondo comma) una rilevanza
esemplare dell’atteggiamento del codice a favore dello sviluppo delle attività produttive.
L’art. 8441 dispone che il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni
derivanti dal fondo del vicino, se non superino la normale tollerabilità, avuto anche ri-
guardo alla condizione dei luoghi. Per immissioni si intendono tutte le propagazioni,
come quelle (esemplificate dal codice) consistenti in fumo, calore, esalazioni, rumore,
scuotimenti (e, in generale, in tutto ciò che abbia una materialità, fino a comprendere
radiazioni e onde elettromagnetiche). Le immissioni cui si ha riguardo sono quelle indi-
rette: si deve trattare, cioè, di ripercussioni sul proprio fondo di attività poste in essere
sul fondo altrui (e non dell’intromissione di altri sul proprio fondo). La vicinanza dei
fondi è intesa in senso lato, dato che le propagazioni in questione, soprattutto in relazio-
ne a quelle industriali, possono avere una rimarchevole portata.
Il proprietario è tenuto a sopportare le immissioni altrui, nei limiti, però, della norma-
le tollerabilità, la quale deve essere giudicata dal punto di vista del fondo che le riceve.
Ai fini di tale giudizio, assume rilevanza la condizione dei luoghi. Si tratta, quindi, di un
criterio di carattere relativo 31, che tiene conto della situazione economico-ambientale
della zona in cui si trova il fondo, anche alla luce della sua disciplina urbanistica (eviden-
temente diversa sarà la soglia della tollerabilità in una zona ospedaliera, residenziale,
commerciale o industriale). Delicato, al riguardo, è il rapporto con la legislazione di tute-
la ambientale (come, ad es., la L. 13.7.1966, n. 615, in tema di inquinamento atmosferico
o la L. 26.10.1995, n. 447, con il conseguente D.P.C.M. 14.11.1997, in tema di inquina-
mento acustico). La giurisprudenza ha chiarito la diversità di oggetto dell’art. 844 rispet-
to a simili normative: ne deriva che anche la loro (necessaria) osservanza, con la conse-
guente assenza di pericoli per la salute della collettività, non vale ad impedire un even-
tuale giudizio di intollerabilità, ai sensi – e in vista dell’applicazione – dell’art. 844 32.

30
Che si tratti di “un’ipotesi di responsabilità da atto lecito” risulta confermato, di recente, da Cass.
29-9-2020, n. 20540.
31
Come ribadito, ad es., da Cass. 29-10-2015, n. 22105 (con riguardo al rumore di una lavatrice in fase di
centrifuga, dovendosi il limite in questione essere apprezzato “con riguardo al caso concreto, tenendo conto
delle condizioni naturali e sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione”).
32
In questo senso, Cass. 25-8-2005, n. 17281; 17-1-2011, n. 939 e 16-10-2015, n. 20927, con riferimento
anche a Corte cost. 24-3-2011, n. 103, concernente la portata dell’art. 6 ter della L. 27.2.2009, n. 13 (relativo
all’accertamento della tollerabilità delle immissioni acustiche), dalla Corte non considerata tale da superare un
simile indirizzo esegetico (analogamente, Cass. 7-10-2016, n. 20198 e 12-11-2018, n. 28893). Sulla continuità
dell’indirizzo stesso non pare avere inciso – nonostante dubbi in senso contrario – neppure la novellazione
dell’art. 6 ter da parte della L. 30.12.2018, n. 145. Nella stessa prospettiva, Cass. 1-7-1994, n. 6242, ha ritenuto
ininfluenti (o comunque non decisive), in ordine all’operatività dell’art. 844, le autorizzazioni amministrative
all’esercizio dell’attività e le normative comunitarie (in materia di inquinamento acustico). “Da ritenersi sen-
z’altro illecite” e, quindi, sempre “non tollerabili”, sono, comunque, le immissioni che “superano i limiti di
572 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

La norma in questione, pur se indubbiamente interferisce con la problematica della


salvaguardia della salute, tende ad essere considerata istituzionalmente destinata a risol-
vere conflitti tra proprietari di fondi 33. Peraltro, la giurisprudenza non manca di ammet-
tere, se ne ricorrano le condizioni (ove si tratti, cioè, di una relazione tra titolari di diritti
su fondi vicini), l’utilizzabilità dell’art. 844 anche a difesa della salute (soprattutto in vi-
sta della tutela di tipo inibitorio che essa consente) 34. Un deciso ampliamento della por-
tata operativa dell’art. 844 deriva dall’orientamento che consente di avvalersene, non so-
lo – oltre che ovviamente al proprietario – ai titolari di un diritto reale (enfiteuta, super-
ficiario, usufruttuario) sul fondo, ma anche (in via di applicazione analogica) ai titolari di
un diritto personale di godimento (come il locatario). In tale ultimo caso non si ritiene
consentita, però, in vista dell’eliminazione delle immissioni, la richiesta di interventi tali
da importare modificazioni strutturali dell’immobile da cui provengono 35.
L’art. 8442 dispone che, nell’applicare l’accennato principio, il giudice debba contem-
perare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, potendo tenere conto
della priorità di un determinato uso. Sulla base di tale disposizione (oggetto di non po-
che perplessità e preoccupazioni), si ritiene (sia pure con diffusi dissensi, soprattutto in
dottrina) che il giudice, ad esito di un simile giudizio, possa consentire anche la prosecu-
zione di immissioni – solo, peraltro, ove non eliminabili con idonei accorgimenti tecnici
– tali da superare la soglia della normale tollerabilità, imponendo un indennizzo a carico
di chi provoca le immissioni (e venendo a costituire, così, una situazione giuridica so-
stanzialmente corrispondente ad una servitù coattiva). È da escludere, comunque, che le
esigenze della produzione (anche se considerate prevalenti su quelle legate al godimento
della proprietà) possano giustificare la prosecuzione di immissioni lesive della salute, le
quali devono essere considerate, quindi, sempre illecite e, come tali, senz’altro vietate 36.

tollerabilità che le leggi e i regolamenti fissano nel pubblico interesse” (Cass. 8-3-2010, n. 5564; 939/2011;
20-12-2018, n. 32943).
33
Per Corte cost. 23-7-1974, n. 247, in effetti, l’art. 844 “si limita a considerare solo l’interesse del pro-
prietario ad escludere ingerenze da parte del vicino sul fondo proprio … senza riguardare, ma anche senza
pregiudicare, la protezione di interessi diversi, eventualmente spettanti anche ad altre persone o ad intere
collettività”. Alla tutela della salute e dell’ambiente “è rivolto in via immediata un altro ordine di norme”,
restando “salva in ogni caso l’applicabilità del principio generale di cui all’art. 2043”.
34
Così, già per Cass., sez. un., 15-10-1998, n. 10186, trattandosi di azione esercitata dal proprietario, “l’a-
zione inibitoria ex art. 844 può essere esperita dal soggetto leso per consentire la cessazione delle esalazioni
nocive alla salute, salvo il cumulo con l’azione per la responsabilità aquiliana prevista dall’art. 2043”.
35
Cass. 11-11-1992, n. 12133, ribadito che “l’art. 844 è posto a tutela del diritto (reale) di godimento di
un fondo, sia questo compreso nel fascio di facoltà di cui è costituito il dominio ovvero costituisca specifico
oggetto di uno ius in re aliena”, ritiene legittima, per il conduttore, “l’applicazione analogica … sussistendo
l’identica ragione di tutela”, con l’esclusione, però, in tale ultimo caso, della possibilità di chiedere, “per
ricondurre le immissioni nei limiti della normale tollerabilità”, “l’adozione di accorgimenti tecnici compor-
tanti modificazione delle strutture dell’immobile da cui le propagazioni derivano”.
36
Secondo la dominante giurisprudenza, “le immissioni disciplinate dall’art. 844 c.c. vanno distinte in tre
categorie e cioè: a) immissioni non superanti la normale tollerabilità, le quali debbono essere tollerate; b) im-
missioni eccedenti la normale tollerabilità ma giustificate dalle esigenze della produzione, le quali non posso-
no essere vietate in quanto si ricollegano ad esigenze produttive delle imprese e corrispondono alle esigenze
di un certo tipo di società da valutarsi secondo le circostanze di tempo e di luogo; c) immissioni eccedenti la
normale tollerabilità e non giustificate da esigenze produttive, le quali sono pertanto illecite e vanno senz’al-
tro vietate” (così, ad es., già Cass. 23-2-1982, n. 1115). Qualsiasi contemperamento di esigenze, comunque, si
arresta di fronte al rilievo che “i diritti alla tranquillità, alla salute ed al normale svolgimento della vita familia-
CAP. 1 – PROPRIETÀ 573

L’azione esercitata ai sensi dell’art. 844 ha carattere inibitorio e reale e si ritiene cor-
rentemente rientrare nello schema dell’azione negatoria 37. Il giudice, oltre a poter ordi-
nare l’eliminazione della fonte delle immissioni, può subordinare la prosecuzione dell’at-
tività da cui derivano le immissioni stesse all’adozione di idonei accorgimenti tecnici, or-
dinandone la messa in opera (anche quale condizione per il giudizio di contemperamen-
to previsto dall’art. 8442). Chi si trovi nel possesso del fondo può agire pure in via pos-
sessoria con l’azione di manutenzione (trattandosi di molestie: art. 1170). Se dalle immis-
sioni è derivato un danno alle persone o alle cose, può essere chiesto contestualmente il
relativo risarcimento 38.
Resta fermo che l’azione risarcitoria, di carattere personale, compete anche indipen-
dentemente dalla ricorrenza delle dianzi accennate condizioni per l’esercizio dell’azione
ai sensi dell’art. 844 (si pensi, in particolare, a chi subisca danno dalle altrui immissioni
trovandosi sul fondo esposto ad esse per motivi di lavoro).

re all’interno di una casa di abitazione non possono trovare equivalente in una somma di denaro, trattandosi
di diritti primari e non surrogabili” (Cass. 30-7-1984, n. 4523). Insomma, “in relazione al fattore salute, che
è ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato”, resta escluso ogni possibile
“contemperamento delle esigenze della produzione con le esigenze della proprietà” e perde rilevanza la stessa
“priorità di un determinato uso” (Cass. 11-4-2006, n. 8420), dovendo “sempre considerarsi prevalente – ri-
spetto alle esigenze della produzione – la soddisfazione di una normale qualità della vita” (Cass. 31-8-2018, n.
21504): “il contemperamento delle esigenze della produzione” potendo, così, “assumere rilevanza soltanto al
fine di adottare quei rimedi tecnici che consentano l’esercizio dell’attività nel rispetto del diritto dei vicini a
non subire immissioni superiori alla normale tollerabilità” (Cass. 5564/2010). La “priorità dell’uso” costitui-
sce, in ogni caso, solo “criterio sussidiario e facoltativo” (Cass. 11-5-2005, n. 9865). Per un invito a prendere
in considerazione, nel bilanciamento degli interessi, anche la natura di spiccata utilità sociale dell’attività svol-
ta nel fondo da cui provengono le immissioni (nella specie, attività ricreative e sportive parrocchiali), Trib.
Palermo 17-2-2021.
37
In quanto “posta a tutela del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento” (Cass. 31-10-2014,
n. 23283; 22-10-2019, n. 26882).
38
Risarcimento esteso al danno non patrimoniale: Cass. 13-3-2007, n. 5844, che ritiene, “in presenza di un’at-
tività illegittima”, non applicabili, in sede risarcitoria, i criteri “di contemperamento di interessi contrastanti e
di priorità d’uso”. Cass. 23283/2014 considera il “danno da immissione sussistente in re ipsa” (così anche
Cass. 11-3-2019, n. 6906, ma contra 1-10-2018, n. 23754) e Cass. 5-2-2018, n. 2668, reputa il “danno non pa-
trimoniale risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico, quando sia riferibile alla salu-
brità ambientale” (da quantificare “secondo un giudizio di pura equità”). La giurisprudenza (Cass. 28-5-2015, n.
11125, sulla scia di Cass., sez. un., 27-2-2013, n. 4848) ha distinto nettamente l’azione reale, da esperirsi “nei
confronti del proprietario del fondo da cui le immissioni provengono … per l’accertamento dell’illegittimità
delle immissioni e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di fare cessare le stesse”,
dall’azione personale, da proporsi “secondo i principi della responsabilità aquiliana e cioè nei confronti del
soggetto individuato dal criterio di imputazione della responsabilità” (colpa o dolo, ex art. 2043, o custodia
della cosa, ex art. 2051; non, quindi, nei confronti del proprietario, per “il solo fatto di essere” tale; Cass.
15-11-2016, n. 23245, ritiene comunque possibile il cumulo dell’azione di natura reale nei confronti del pro-
prietario del fondo di provenienza delle immissioni, con quella, “verso altro convenuto, per responsabilità
aquiliana”). Cass. 20927/2015, ricordato come la giurisprudenza abbia già considerato danno risarcibile la
“lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione” e la
“lesione al diritto al riposo notturno” (in particolare, Cass. 19-12-2014, n. 26899, con riguardo “alla serenità”
ed “all’equilibrio della mente”), ha reputato “rafforzata dal fondamento normativo costituito dall’art. 8 CEDU”
– in quanto ritenuto tale da garantire anche la “vivibilità dell’abitazione e la qualità della vita all’interno di
essa” – “la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite anche a prescindere
dalla sussistenza di un danno biologico documentato”. Tale orientamento, risulta confermato da Cass., sez.
un., 1-2-2017, n. 2611, che considera tutelati, quali “diritti costituzionalmente garantiti”, il “diritto al normale
svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione” ed il “diritto alla libera e piena esplica-
zione delle proprie abitudini quotidiane”.
574 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

7. Rapporti di vicinato. – Nel quadro della proprietà fondiaria, il codice dedica una
specifica disciplina alla proprietà rurale (con riguardo al suo riordinamento) (artt. 846
ss.) e alla proprietà edilizia (con riferimento alla disciplina urbanistica) (artt. 869 ss.); de-
dica, poi, attenzione alle problematiche legate alla bonifica integrale (artt. 857 ss.) e ai
vincoli idrogeologici e difese fluviali (artt. 866 ss.), in relazione alle quali gli interessi di
carattere individuale sono considerati decisamente subordinati a quelli collettivi e gene-
rali (igiene, salute, sviluppo economico, sicurezza); disciplina minuziosamente, infine, i
c.d. rapporti di vicinato (artt. 873 ss.), dettando regole atte a consentire l’ordinata coesi-
stenza tra le proprietà fondiarie vicine. Regole, queste, certamente indirizzate a risolvere
conflitti individuali, ma con indubbi riflessi di carattere economico-sociale generale, so-
prattutto con riguardo all’esigenza di assicurare alla proprietà fondiaria nel suo comples-
so un efficiente assetto produttivo.
Le sezioni dedicate ai rapporti di vicinato concernono: le distanze nelle costru-
zioni, piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra i fondi; le luci e vedute; lo
stillicidio; le acque. Si tratta di una disciplina assai dettagliata, spesso di remota tradizio-
ne, qui ovviamente esaminata solo nelle linee generali.
Pare opportuno premettere, al riguardo, come i limiti legali della proprietà derivanti
dai rapporti di vicinato si distinguano dalle servitù (anche legali) e come tale autonomia
sia stata evidenziata dal codice vigente, il quale li ha regolati in relazione alla proprietà (a
differenza del codice del 1865 che se ne occupava nel quadro delle servitù), ritenendoli
manifestazione di essa e inerenti al suo normale contenuto. Tali limiti, infatti, hanno ca-
rattere di reciprocità (con conseguente gratuità) e di automaticità (in quanto derivano di-
rettamente dalla legge, in presenza della prevista situazione dei fondi), non consistendo
in un peso imposto su fondo a vantaggio di un altro fondo, come si verifica per la servitù
(anche legale), la cui costituzione richiede uno specifico titolo (VI, 3.6-7). In quanto ine-
renti al contenuto del diritto di proprietà, tali limiti legali sono imprescrittibili (la pretesa
alla relativa osservanza è, infatti, destinata a cedere solo in caso di usucapione, da parte
del vicino, di una facoltà con essi incompatibile) e tutelabili mediante l’azione negatoria
(dato che il vicino, violandoli, fa implicitamente valere una pretesa tendente a compri-
mere l’altrui diritto di proprietà) (VI, 2.7) 39. Chi invoca la violazione di un limite di
buon vicinato, potrà ottenere, quindi, oltre al risarcimento del danno eventualmente su-
bito, provvedimenti di tipo inibitorio e tendenti alla riduzione in pristino della situazione
dei luoghi (in particolare, con l’eliminazione delle opere illegittimamente realizzate) (art.
8722). Ci si potrà avvalere anche, in quanto possessori, dell’azione di manutenzione.
La disciplina delle distanze riguarda, innanzitutto, quella da osservare nelle costru-
zioni. Il principio generale dettato dal codice è quello dell’osservanza, tra le costruzioni,

39
Dato il “carattere reale dell’azione medesima, qualificabile come negatoria servitutis”, essa “è esperibile
esclusivamente nei confronti del proprietario confinante” (Cass. 18-9-2006, n. 20126; “attuale proprietario”,
precisa Cass. 7-2-2017, n. 3236). In quanto “modellata sullo schema dell’actio negatoria servitutis”, l’azione
per ottenere il rispetto delle distanze legali è, salvo gli effetti dell’eventuale usucapione, imprescrittibile” (Cass.
23-1-2012, n. 871; 31-5-2021, n. 15142). Proprio in dipendenza della equiparabilità all’actio negatoria servitu-
tis dell’“azione intesa a far valere i limiti legali della proprietà”, si è concluso per la relativa trascrivibilità, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 2653, n. 1 (Cass., sez. un., 12-6-2006, n. 13523). Si tenga presente che “anche il
comproprietario può agire a tutela della proprietà comune al fine di far valere l’osservanza delle distanze legali,
senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari” (Cass. 23-6-2020, n.
12325).
CAP. 1 – PROPRIETÀ 575

di una distanza non minore di tre metri (art. 873). Ciò per evitare, tra le costruzioni stes-
se, intercapedini troppo anguste e antigieniche. L’accennata determinazione della di-
stanza ha carattere, comunque, solo residuale e minimo, rinviando la citata disposizione
alle indicazioni dei regolamenti edilizi locali che prevedano una distanza maggiore. Si
tratta di una materia in cui sono preminenti gli interessi di carattere generale, legati al
corretto sviluppo urbanistico degli abitati, secondo le scelte degli organi istituzionalmen-
te responsabili in materia, con conseguente prevalenza delle previsioni contenute negli
strumenti urbanistici su quelle del codice (e inderogabilità da parte delle convenzioni
private, a differenza di queste ultime) 40.
Il rinvio operato dall’art. 873 ai regolamenti locali acquista notevole rilevanza sotto il
profilo dei rimedi riconosciuti ai privati contro le violazioni altrui. L’art. 8722, infatti,
prevede che chi abbia risentito un danno dall’abuso edilizio di altri – in quanto la edifi-
cazione sul fondo vicino, avvenuta in contrasto con la disciplina urbanistica, gli abbia
arrecato un pregiudizio 41 – possa senz’altro chiedere, trattandosi di atto illecito, il risar-
cimento del danno 42. La riduzione in pristino (e, quindi, la demolizione dei manufatti co-
struiti in violazione delle prescrizioni di legge), invece, può essere chiesta solo per la vio-
lazione delle norme dettate dal codice in materia di distanze, ovvero di quelle richiamate
dal codice in funzione integrativa 43.
Il criterio seguito dal codice è quello della c.d. prevenzione temporale (nel senso che
chi costruisce per primo condiziona le possibilità edificatorie del vicino) 44. Quando si

40
Ciò perché le prescrizioni di tali strumenti sono “dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tu-
tela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico” (Cass. 18-10-2018, n. 26270). Cass. 16-3-2015,
n. 5163, ha ribadito che “la nozione di costruzione, agli effetti dell’art. 873, è unica e non può subire deroghe,
sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme secondarie” (“per ‘costruzio-
ne’ deve intendersi qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobiliz-
zazione rispetto al suolo”; così, ad es., anche Cass. 8-8-2019, n. 21173).
41
Come accade per la violazione delle prescrizioni relative ai divieti di edificare, nonché ai volumi e alle
altezze delle costruzioni, da cui risulti diminuita la panoramicità e la luminosità del proprio edificio.
42
A prescindere, ovviamente, dall’esperimento dei rimedi in via amministrativa, in quanto titolare di un
interesse legittimo all’osservanza della disciplina urbanistica dettata a tutela dell’interesse generale. In propo-
sito, si ritiene che, determinando “la violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni” un “danno
in re ipsa”, si debba, “di norma, presumere, sia pure iuris tantum”, il “pregiudizio patrimoniale subito al dirit-
to di proprietà” (Cass. 9-11-2020, n. 25082).
43
La giurisprudenza considera tali le norme di fonte legislativa e regolamentare (regolamenti edilizi locali)
che impongano distanze maggiori tra gli edifici, anche se determinate in funzione dell’altezza degli edifici
stessi (ma non quelle concernenti solo le altezze), nonché distanze comunque da osservare dai confini, esclu-
dendo del tutto l’edificabilità sul confine, ovvero distanze particolari in caso di pareti con finestre (in tali ul-
timi due casi risulta inoperante il principio della prevenzione temporale, essendo radicalmente preclusa la
possibilità di costruire edifici in aderenza: ciascuno deve osservare, infatti, la prescritta distanza dal confine).
È da sottolineare come Cass. 3-2-1999, n. 886, limitando, così, notevolmente la portata attuale della regola del
codice, abbia stabilito che “qualora il regolamento edilizio sia privo di disposizioni sulle distanze legali tra
fabbricati si devono applicare quelle previste dall’art. 17 L. 6.8.1967, n. 765 e non già la disciplina dell’art.
873”. La disposizione indicata (che ha aggiunto l’art. 41 quinquies alla L. 17.8.1942, n. 1150) prevede che “la
distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire”.
44
Problematica – ferma “l’inoperatività del criterio della prevenzione allorquando la disciplina regola-
mentare imponga il rispetto di una distanza inderogabile delle costruzioni dai confini” – è stata considerata
l’applicabilità del criterio in questione nella “ipotesi in cui le disposizioni locali prevedano una distanza tra
costruzioni maggiore di quella codicistica” (Cass. 12-3-2015, n. 4965). In proposito, Cass., sez. un., 19-5-2016, n.
10318 (e v., ad es., Cass. 9-9-2019, n. 22447), ha concluso che, in tal caso, in presenza dei presupposti stabiliti
576 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

costruisce, si può scegliere se costruire rispettando la metà della distanza prescritta (quindi
un metro e mezzo o la metà della maggiore distanza risultante dalla normativa edilizia),
costruire ad una distanza inferiore o, addirittura, sul confine. Il vicino dovrà rispettare la
distanza legale tra le costruzioni (tre metri o maggiore, se così prescritto): se la prima co-
struzione è a un metro e mezzo dal confine, altrettanto dovrà fare anche lui. Se la costru-
zione è stata fatta sul confine, però, egli ha la scelta tra arretrare a tre metri dal confine,
ovvero avanzare anche la propria costruzione fino al confine, chiedendo la comunione
forzosa del muro (previo pagamento della metà del relativo valore, ai sensi dell’art. 874: si
tratta di un diritto potestativo), ovvero costruendo in aderenza (art. 877). Se il muro è sta-
to costruito ad una distanza inferiore alla metà di quella legale (ma non sul confine), il
vicino può chiedere (ove non intenda arretrare corrispondentemente per rispettare la
distanza legale) di avanzare fino alla costruzione altrui, chiedendo la comunione del mu-
ro o costruendo in aderenza, salvo che chi per primo ha costruito non preferisca demoli-
re la sua costruzione o estenderla fino al confine (art. 875: dovrà essere pagato il valore
del suolo eventualmente da occupare con la nuova costruzione).
Regole peculiari sono dettate per muri di cinta, muri divisori e utilizzazione del muro
comune. Altre disposizioni prescrivono le distanze da osservare per opere diverse dalle
costruzioni (come pozzi, canali, fossi) e per le piantagioni. Importante è l’art. 890 che
impone, per manufatti o depositi di sostanze nocivi o pericolosi, l’osservanza di una di-
stanza tale da preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.
Minutamente è disciplinata la distanza da osservare per piantare siepi ed alberi, a secon-
da delle relative caratteristiche (art. 892), prevedendosi la relativa estirpazione in caso di
piantagione a distanza inferiore a quella prescritta (art. 894). Disciplinata, inoltre, è la
comunione di fossi, siepi ed alberi.
Un problema di osservanza di distanze si pone anche in relazione alle aperture degli
edifici, destinate a illuminare, dare aria e possibilità di vista agli ambienti, a tale ri-
guardo distinguendosi tra luci e vedute. Luci sono le aperture che consentono il pas-
saggio di luce ed aria, ma non l’affaccio sul fondo vicino 45. Vedute (o prospetti) sono le
aperture che permettono di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente
(art. 900). L’apertura di luci non deve rispettare distanze, potendosi esse aprire anche
sul muro posto sul confine (art. 903). Le luci (che vengono, infatti, definite luci di tol-
leranza), però, possono essere chiuse ad iniziativa del vicino, ove sussistano le condi-
zioni (dianzi accennate) per acquistare la comunione del muro o per costruire in ade-

dal codice, operi comunque il principio della prevenzione, ovviamente adattato alla distanza prescritta dai rego-
lamenti edilizi, cui è da riconoscere “portata integrativa delle disposizioni dettate in materia dal codice civile”.
45
Data l’importanza della distinzione tra i due tipi di apertura, il codice indica i requisiti delle luci. Esse
devono essere munite di inferriata e di rete, avere il lato inferiore a un’altezza dal pavimento del locale non
minore di due metri e mezzo se al piano terreno o di due metri se ai piani superiori, avere il lato inferiore ad
un’altezza dal suolo del fondo vicino non inferiore a due metri e mezzo (salvo che si tratti di locale in tutto o
in parte interrato e non sia possibile rispettare tale altezza) (art. 901). A scanso di equivoci, poi, si stabilisce
che l’apertura priva dei caratteri di veduta o prospetto è senz’altro considerata quale luce (art. 902). Si precisa
che “la natura di veduta o di luce (regolare o irregolare) deve essere accertata alla stregua delle caratteristiche
oggettive dell’apertura, rimanendo irrilevante l’intenzione del suo autore o la finalità dal medesimo persegui-
ta” (Cass. 5-11-2011, n. 233). Inoltre, “affinché sussista una veduta, è necessario, oltre al requisito della inspectio,
anche quello della prospectio sul fondo del vicino … assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globa-
le” (Cass. 21-5-2012, n. 8009). Si è precisato, così, che “non è qualificabile come veduta la soletta di copertura di
un fabbricato, normalmente accessibile e praticabile, priva di parapetto” (Cass. 10-2-2020, n. 3043).
CAP. 1 – PROPRIETÀ 577

renza (art. 904). Le vedute, se dirette (o frontali) possono essere aperte solo ad una di-
stanza di un metro e mezzo dal fondo del vicino (o sopra il suo tetto) (art. 905); se la-
terali od oblique, a non meno di settantacinque centimetri, dal più vicino lato della fi-
nestra o sporto (art. 906).
Il carattere di veduta dell’apertura è rilevante, in quanto determina conseguenze in
ordine alla distanza delle costruzioni. Chi ha acquistato il diritto di avere vedute verso
il fondo vicino (essendo stata costituita una servitù, contrattualmente o per usucapio-
ne, in tale ultimo caso a seguito dell’apertura della veduta e del suo mantenimento per
il tempo a ciò necessario) può pretendere che il proprietario di questo si astenga dal
fabbricare a distanza minore di tre metri (art. 9071). Ciò vale anche in ipotesi di costru-
zione in appoggio, che dovrà comunque arrestarsi ad almeno tre metri sotto la soglia
della veduta (art. 9073).
In caso di apertura di vedute abusive, il proprietario del fondo pregiudicato può eser-
citare l’azione negatoria (in quanto possessore anche l’azione di manutenzione). Dell’ope-
ra che violi il diritto di veduta può essere chiesta la rimozione o la modificazione per quanto
necessario ad assicurare il normale esercizio del diritto leso.
Circa lo stillicidio, vale il principio per cui il proprietario deve costruire i tetti in mo-
do che le acque piovane scolino sul suo terreno e non su quello altrui (art. 9081).
Quanto, infine, alle acque, la tradizionale distinzione tra acque pubbliche e acque pri-
vate, solo alle quali ultime si riferisce la normativa dettata dal codice (artt. 909 ss.), è sta-
ta radicalmente innovata dalla sopravvenuta disciplina del settore. L’importanza dell’ac-
qua, quale risorsa di essenziale interesse sociale, costituisce il fondamento della disciplina
codicistica 46, come emerge con chiarezza dall’art. 912. All’autorità giudiziaria è, infatti,
demandata la risoluzione dei conflitti tra privati relativi alla sua utilizzazione, sulla base
della valutazione dei loro reciproci interessi, con riferimento ai previsti vantaggi che pos-
sano derivarne all’agricoltura o all’industria. Viene prevista la costituzione di consorzi (artt.
914 e 918 ss.), anche coattivi (art. 921). Poteri sostitutivi sono riconosciuti, poi, in caso di
inerzia dei proprietari nel compimento delle opere necessarie (art. 915).
Accanto all’interesse all’incremento produttivo – su cui pure qui si polarizza l’atten-
zione del codice – si è venuto, più di recente, ad affermare, in materia, l’interesse am-
bientale. È in tale prospettiva che l’art. 1 L. 5.1.1994, n. 36 (disposizioni in materia di
risorse idriche, rifluito nell’art. 144 D.Lgs. 3.4.2006, n. 152), afferma che “tutte le acque
superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche” (costi-
tuendo “una risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà”) 47.
Dubbia è risultata – a fronte della specifica e articolata disciplina dettata dalla normativa
accennata in ordine alla “gestione delle risorse idriche” – la situazione derivatane in or-
dine all’applicabilità della disciplina del codice. Anche a volerne considerare una persi-
stente attualità, la sua rilevanza risulta, comunque, del tutto marginale, pure alla luce del
D.P.R. 18.2.1999, n. 238, il quale, nell’individuare la categoria residuale delle acque (di

46
Nella Relaz. cod. civ., n. 428, si sottolinea, in proposito, che “nella determinazione dei limiti di utilizza-
zione delle acque domina sempre il principio di socialità e di subordinazione dell’interesse privato all’inte-
resse nazionale della produzione”.
47
Ne consegue – “tutte le acque, per essere state espressamente dichiarate pubbliche”, dovendosi ormai ri-
tenere “ricomprese tra i beni indicati dall’art. 822”, relativo al “demanio pubblico” (II, 2.10) – “l’inalienabilità di
detti beni, quali beni pubblici” (Cass., sez. un., 17-9-2015, n. 18215, a proposito del lago di Lucrino).
578 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

origine piovana) private, ha espressamente abrogato l’art. 910 (concernente l’uso delle
acque che limitano o attraversano un fondo).

8. Proprietà agraria. – Nel quadro della proprietà fondiaria, come accennato, il codi-
ce civile affronta problematiche legate al perseguito incremento produttivo dei terreni
agricoli, prestando notevole attenzione, peraltro, soprattutto attraverso il rinvio alla legi-
slazione speciale in materia, anche al soddisfacimento di ulteriori interessi generali, legati
allo sviluppo sociale ed alla sicurezza del territorio.
Sotto tale ultimo profilo, particolare rilevanza è attribuita alla disciplina dei vincoli
idrogeologici e delle difese fluviali, con la previsione dell’assoggettabilità dei terreni, ap-
punto, al vincolo idrogeologico (art. 866), pure con specifico riferimento al rimboschimen-
to (art. 867), in vista del quale sono prospettati penetranti interventi dell’autorità compe-
tente (fino all’espropriazione dei terreni interessati). I proprietari di terreni rivieraschi
sono sottoposti, poi, ad obblighi di attivazione per evitare l’eventualità di danni all’a-
gricoltura o agli abitati (art. 868).
Al conseguimento “di fini igienici, demografici, economici o di altri fini sociali” è fi-
nalizzata la disciplina della bonifica integrale (artt. 857 ss.). Ai privati viene imposto l’o-
nere di partecipare alle spese a ciò necessarie (art. 860), gravando su di loro anche l’ob-
bligo di eseguire opere ritenute necessarie (art. 861). Lo strumento per perseguire le fina-
lità avute di mira è rappresentato dalla costituzione di consorzi di bonifica (art. 862) e di
miglioramento fondiario (art. 863). Anche in materia, in linea con la generale previsione
dell’art. 838, è prevista la possibilità di procedere alla espropriazione nei confronti dei
proprietari che non osservino gli obblighi imposti in vista dell’attuazione dei piani di bo-
nifica (art. 865).
Il riordino della proprietà rurale (con finalità di incremento produttivo, ma anche di
sviluppo demografico e sociale) era, nel disegno del codice, affidato essenzialmente alla
disciplina della minima unità colturale 48. L’intero sistema è rimasto paralizzato, però,
dalla mancata determinazione della minima unità colturale 49. L’art. 5 bis D.Lgs. 18.5.2001,
n. 228 (sull’orientamento e modernizzazione del settore agricolo), quale inserito dall’art.
7 D.Lgs. 29.3.2004, n. 99, ha abrogato le previsioni del codice relative alla minima unità
colturale (artt. 846-848), perseguendo lo scopo della “conservazione dell’integrità azien-
dale” attraverso la disciplina del compendio unico (definito con riferimento a livelli
minimi di redditività determinati in sede regionale). Alla ricomposizione di tale unità
produttiva sono ricollegate agevolazioni fiscali (oltre che relativamente agli onorari nota-
rili per gli atti a ciò necessari). Il compendio unico (terreni e relative pertinenze, compre-

48
Tale era definita la estensione di terreno non frazionabile a seguito di trasferimenti, anche in sede di
successione (art. 8461), determinata con riferimento alle potenzialità di lavoro di una famiglia agricola (art.
8462). Per gli atti lesivi di tale unità produttiva risultava prevista l’annullabilità, ad istanza del pubblico mini-
stero (art. 848). La ricomposizione fondiaria era perseguita attraverso la costituzione di consorzi (art. 850), con
piani di riordinamento e possibilità di trasferimenti coattivi (art. 851).
49
In proposito, pare opportuno ricordare anche l’istituto tirolese del m a s o c h i u s o , quale unità poderale
trasmissibile solo unitariamente anche in sede successoria. Le previsioni in materia dello Statuto della Regione
Trentino-Alto Adige sono state attuate nel quadro della legislazione della Provincia autonoma di Bolzano, da
ultimo con la L. prov. Bolzano 28.11.2001, n. 17. La disciplina precedente, in relazione a taluni suoi profili
discriminatori tra discendenza maschile e femminile (e, quindi, in applicazione dell’art. 31 Cost.), è stata di-
chiarata costituzionalmente illegittima da Corte cost. 14-7-2017, n. 193.
CAP. 1 – PROPRIETÀ 579

si i fabbricati) costituisce una unità indivisibile per dieci anni dal momento della sua co-
stituzione, infrazionabile per effetto di trasferimenti a causa di morte o per atti tra vivi
(con conseguente nullità degli atti aventi per effetto il suo frazionamento) 50.
Alla proprietà agraria è stato dato particolare rilievo dalla Costituzione, in applica-
zione dei ricordati principi concernenti la proprietà privata e la relativa funzione sociale
(art. 422). L’art. 44 pone, in materia, il duplice obiettivo del razionale sfruttamento del suolo
e del perseguimento di equi rapporti sociali. A tal fine è demandata al legislatore la previ-
sione di obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, la fissazione di limiti alla sua esten-
sione, l’attuazione della bonifica, la trasformazione del latifondo, la ricostituzione delle uni-
tà produttive, anche nella prospettiva dell’aiuto alla piccola e media proprietà. L’art. 472,
poi, prescrive di favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà diretta coltivatrice.
Alla eliminazione del fenomeno del latifondo ed alla conseguente trasformazione
delle colture (onde evitare il fenomeno delle terre incolte), con la diffusione della pro-
prietà agricola in vista del soddisfacimento di evidenti esigenze economico-sociali, si è
provveduto attraverso i provvedimenti finalizzati ad attuare la riforma agraria, come la L.
12.5.1950, n. 230 (colonizzazione della Sila e territori ionici) e la L. 21.10.1950, n. 841
(espropriazione, trasformazione e assegnazione di terreni ai contadini). Sugli assegnatari
delle proprietà risultanti dall’applicazione di provvedimenti di questo tipo si sono fatti
gravare incisivi limiti e obblighi, in particolare con divieti di trasferimento (sanzionati
anche con l’eventuale decadenza dall’assegnazione). Su questa linea, più di recente, è in-
tervenuta la L. 4.8.1978, n. 440, relativa alla utilizzazione delle terre incolte, abbandonate
o insufficientemente coltivate, anche attraverso la loro assegnazione, per la coltivazione,
a chi ne faccia domanda.
È da ricordare come, in tale ultima legge, centrale si presenti il ruolo delle Regioni, in
applicazione delle competenze, pure di carattere legislativo, ad esse demandate, in mate-
ria di agricoltura, dall’art. 117 Cost. (già nella sua originaria formulazione). Alle Regioni
risultano, quindi, riconosciute funzioni assorbenti nella materia in questione, sulla quale
non poca incidenza hanno avuto anche le fonti normative comunitarie e la relativa appli-
cazione interna.
La protezione della posizione di chi dedica la propria attività lavorativa all’agricoltura è
alla base – pur non mancando ulteriori motivazioni legate al miglioramento delle modalità
imprenditoriali di sfruttamento dei terreni agricoli – dei numerosi interventi che hanno in-
cisivamente condizionato i contratti agrari, assicurando la stabilità nel godimento (a
condizioni di favore) dei terreni sui quali si opera. Ne è risultata una considerevole limita-
zione dei poteri del proprietario di fondi agricoli, fino alla stessa perdita del diritto, come
nel caso della legislazione tendente ad agevolare l’affrancazione delle enfiteusi (VI, 3.3).
Basti pensare, al riguardo, ai limiti posti alla mezzadria (e ad altri contratti associativi analo-
ghi), con la promozione della relativa trasformazione in affitto, nonché la tendenza ad assi-
curare l’acquisizione della proprietà (in particolare attraverso un diritto di prelazione: c.d.
prelazione agraria) a beneficio dei coltivatori diretti (significative, in tal senso, sono la
L. 15.9.1964, n. 756 e la L. 26.5.1965, n. 590, con le successive modificazioni) 51.

50
La disciplina in questione è dichiarata applicabile anche ai piani di ricomposizione fondiaria e di rior-
dino fondiario promossi dalle regioni, province, comuni e comunità montane.
51
La disciplina della prelazione agraria a favore del coltivatore in caso di trasferimento oneroso del fondo,
580 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

Un quadro organico della materia dei contratti agrari è quello derivante dalla L.
3.5.1982, n. 203, a sua volta successivamente integrata e modificata, con la quale si è in-
teso incidere sulla durata dei contratti di affitto (anche in corso), in particolare a coltiva-
tore diretto, determinando autoritativamente il canone (c.d. equo canone) e promovendo
ulteriormente la conversione in affitto dei contratti associativi (v. anche IX, 4.4). Taluni
eccessivi (e irragionevoli) squilibri nelle posizioni delle parti hanno, peraltro, determina-
to la necessità di interventi della Corte costituzionale 52.

9. Proprietà edilizia. – Sempre nel quadro della proprietà fondiaria, il codice civile si
sofferma sulla proprietà edilizia, quasi contemporaneamente assoggettata ad una in-
novativa disciplina organica con la fondamentale legge urbanistica (L. 17.8.1942, n.
1150), la quale ha, poi, persistentemente costituito il punto di riferimento di successivi
continui interventi legislativi. Gli interessi che ruotano intorno all’edificazione dei suoli
ed alla proprietà degli edifici sono numerosi e fin troppo noti, pubblici e privati, generali
e individuali. Con l’interesse allo sfruttamento economico privato dei suoli si devono
conciliare le esigenze di salvaguardia dell’ambiente, di razionalizzazione del fenomeno
della urbanizzazione (per assicurare un accettabile livello di qualità di vita nelle città), di
soddisfacimento dell’essenziale bisogno abitativo (col necessario sviluppo dell’attività
edificatoria, anche pubblica, onde garantire l’accesso a costi ragionevoli al godimento di
abitazioni). La materia è, quindi, di singolare vastità ed è oggetto di una consistente legi-
slazione speciale, cui, del resto, rinvia il codice, anche per quanto concerne le regole da
osservarsi nelle zone sismiche (art. 8712).
In esso si accenna ai piani regolatori comunali (oltre che ai regolamenti edilizi co-
munali: art. 8711), i quali costituiscono lo strumento essenziale di pianificazione urbani-
stica (art. 869). Il piano regolatore generale conserva, anche attualmente, una posizione
centrale nella pianificazione territoriale, tra quella di livello più ampio (regionale e pro-
vinciale) e quella più particolareggiata (piano regolatore particolareggiato, che trova nel
primo il proprio quadro di riferimento, costituendone strumento attuativo). Allo stru-
mento in questione è rimessa la previsione delle zone di espansione urbana, con la de-

di cui all’art. 8 L. 590/1965, è stata integrata dall’art. 7 L. 14.8.1971, n. 817 (e v. anche il D.Lgs. 228/2001 e la
L. 99/2004), prevedendosi l’estensione del relativo diritto anche al coltivatore diretto proprietario di fondi
confinanti con i fondi offerti in vendita. È da tenere presente che, ai fini della prelazione da parte del confi-
nante, è richiesta una “contiguità fisica e materiale, per contatto reciproco lungo la comune linea di demarca-
zione” (ad es., Cass. 20-1-2006, n. 1106 e 13-2-2018, n. 3409). La destinazione a “utilizzazione edilizia, indu-
striale o turistica” in base a piani regolatori, che esclude la prelazione ai sensi dell’art. 82 L. 590/1965, è
intesa come “possibilità” e non come “certezza di uno sfruttamento del terreno diverso da quello agricolo”
(Cass. 6-3-2006, n. 4797).
52
Corte cost. 7-5-1984, n. 138, così, ha ritenuto non “rispondente all’imprescindibile requisito dell’uti-
lità sociale, voluto dall’art. 41 ed esplicitato per la proprietà fondiaria dall’art. 44, una conversione indiscri-
minatamente disposta anche per i casi in cui il concedente abbia adempiuto i suoi oneri, e in cui quindi,
funzionando il rapporto normalmente, risulta senza dubbio ingiustificata la trasformazione forzosa disposta
dal legislatore”. Corte cost. 5-7-2002, n. 318, ha, poi, dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 9 e 62,
in quanto disciplinanti l’equo canone di affitto in modo “privo di qualsiasi razionale giustificazione”, fon-
dandosi il relativo meccanismo su dati catastali obsoleti, così da non potere “sicuramente essere posto a ba-
se di una disciplina dei contratti agrari rispettosa della garanzia costituzionale della proprietà terriera priva-
ta e tale da soddisfare, nello stesso tempo, la finalità della instaurazione di equi rapporti sociali, imposta dal-
l’art. 44 Cost.”.
CAP. 1 – PROPRIETÀ 581

terminazione, in particolare, delle diverse destinazioni all’interno dell’area urbana stessa


(edificazione privata e pubblica, verde, parcheggi, attività industriali, servizi pubblici,
ecc.). La legislazione nazionale non ha mancato di stabilire degli standards – finalizzati a
determinare i limiti di edificabilità consentiti, a seconda delle caratteristiche dei suoli dal
punto di vista urbanistico – validi sull’intero territorio nazionale e tali da ovviare all’e-
ventuale mancanza dei piani regolatori (L. 6.8.1967, n. 765).
Il quadro che deriva dalla legislazione in materia urbanistica ed edilizia 53 determina
una rigorosa delimitazione dei poteri di iniziativa edificatoria del proprietario del suolo,
concretamente condizionati, appunto, dagli strumenti urbanistici. L’attività edificatoria
del privato ha costituito oggetto di interventi ispirati, nel tempo, a diversi orientamenti
di fondo da parte del legislatore, nei cui confronti è, a sua volta, ripetutamente interve-
nuta la Corte costituzionale, a garanzia, come accennato, della salvaguardia del c.d. con-
tenuto minimo del diritto di proprietà, da ritenersi coperto dalla garanzia costituzionale
dell’art. 422, pur nel perseguimento degli obiettivi della funzione sociale e della accessi-
bilità generalizzata della proprietà (VI, 1.4).
La facoltà di edificare (ius aedificandi) era originariamente considerata senz’altro
rientrante nel contenuto del diritto di proprietà, solo essendo assoggettata ad un provve-
dimento autorizzatorio (non oneroso) del Comune (licenza edilizia) il concreto esercizio
di tale facoltà, al fine di assicurarne la conformità con i criteri stabiliti dagli strumenti
urbanistici. Anche per superare le perplessità conseguentemente manifestate dalla Corte
costituzionale circa la legittimità dell’imposizione senza indennizzo, da parte degli stru-
menti urbanistici stessi, di vincoli di inedificabilità di durata indefinita, una riforma radi-
cale della materia dell’edificabilità dei suoli fu operata con la L. 28.1.1977, n. 10 (cui fu
affiancata la L. 5.8.1978, n. 457, in tema di edilizia residenziale). Con essa si sostituì alla
licenza edilizia la concessione edilizia, provvedimento di diversa natura, in quanto avente
alla base della relativa previsione l’idea che la facoltà di edificare non inerisca al diritto di
proprietà dei suoli, come profilo del suo contenuto, ma costituisca oggetto di una attri-
buzione (concessione) da parte del Comune, quale unico titolare del diritto allo sfrutta-
mento edilizio del suo territorio. Proprio in quanto tale, la concessione edilizia compor-
tava, per chi intendesse costruire, il pagamento di ragguardevoli somme di danaro, in con-
siderazione tanto della situazione di vantaggio conseguente al riconoscimento della pos-
sibilità di costruire, quanto dei costi gravanti sull’ente locale per le opere di urbanizzazio-
ne (godute anche dal costruttore) 54.

53
Si ricordi come già l’originario art. 117 Cost. riconoscesse competenza legislativa alle Regioni in materia
urbanistica. Il relativo nuovo testo (ai sensi dell’art. 3 L. cost. 18.10.2001, n. 3) affida più comprensivamente
alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, peraltro con delicati problemi di delimitazione delle rispettive
competenze, il “governo del territorio”.
54
L’essenzialità, ai fini del legittimo esercizio dell’attività costruttiva, del provvedimento amministrativo è
stata energicamente confermata dalla L. 28.2.1985, n. 47, relativa al controllo dell’attività urbanistico-edilizia,
finalizzata alla repressione (sul piano penale, amministrativo e civile) del fenomeno dell’abusivismo edilizio.
Nel quadro della materia (su cui hanno inciso i ripetuti provvedimenti tendenti a consentire la sanatoria delle
opere abusive), conglobata nel D.P.R. 380/2001, particolare rilievo assumono, sotto il profilo sanzionatorio,
le notevoli limitazioni cui è assoggettata la circolazione degli edifici abusivi, specialmente con la previsione di
ipotesi di nullità dei relativi atti (VIII, 3.3; IX, 1.6). Comunque, gli effetti dell’eventualmente intervenuto
condono edilizio “sono limitati al campo pubblicistico e non pregiudicano i diritti dei terzi”, potendo, quindi,
il proprietario del fondo contiguo “chiedere l’abbattimento o la riduzione a distanza legale della costruzione”,
in applicazione della disciplina codicistica in materia di distanze tra edifici (Cass. 26-9-2005, n. 18728).
582 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

La Corte costituzionale, comunque, ha ribadito che “la concessione di edificare non è


attributiva di diritti nuovi, ma presuppone facoltà preesistenti”, continuando il diritto di
edificare ad inerire alla proprietà. Successivamente la stessa Corte non ha mancato di ri-
conoscere come la destinazione urbanistica (operata dai relativi strumenti) comporti, pe-
raltro, pur sempre un “valore aggiunto (rendita di posizione) rispetto al contenuto es-
senziale del diritto di proprietà” 55. Anche in considerazione di tali interventi della Corte
(e della corrispondente posizione della Cassazione e del Consiglio di Stato), il legislatore
è intervenuto nuovamente, riordinando l’intera problematica col testo unico delle dispo-
sizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 6.6.2001, n. 380, successi-
vamente a più riprese modificato e integrato). L’attività edificatoria, almeno nel caso in
cui consista in interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (nuove co-
struzioni, ristrutturazione urbanistica, ristrutturazione edilizia) 56, è ora subordinata all’ot-
tenimento del permesso di costruire (art. 10), sembrando volersi dare atto, in sostan-
za, che la facoltà di costruire inerisca al diritto di proprietà. Il rilascio del permesso, pe-
rò, comporta la corresponsione di un contributo, secondo il principio introdotto dalla le-
gislazione precedente (rapportato, quindi, agli oneri di urbanizzazione ed al costo di co-
struzione) (art. 16).
La proprietà edilizia (qui intesa come proprietà degli edifici) è stata assoggettata a pe-
netranti limiti e obblighi anche sotto il profilo dell’esercizio, da parte del proprietario,
delle possibilità di sfruttamento del bene attraverso l’attribuzione ad altri del relativo
godimento (IX, 4.3). L’autonomia contrattuale in materia di locazioni, così, è stata no-
tevolmente incisa, soprattutto per realizzare la tutela del locatario di immobili destinati
ad uso abitativo, tanto per assicurargli la stabilità nel godimento del bene (di fronte al
non agevole reperimento di abitazioni), quanto per garantirgli condizioni economiche fa-
vorevoli. La funzione sociale della proprietà è, in effetti, destinata a farsi avvertire in tut-
ta la sua portata in relazione ad un bene, come l’abitazione (all’accesso alla proprietà del
quale l’art. 472 Cost. considera finalizzato il risparmio popolare), con cui viene soddisfat-
to un bisogno della persona sicuramente essenziale. Anche l’attenzione per le esigenze
dello svolgimento delle attività economiche ha determinato interventi legislativi sul-
l’autonomia privata nel campo delle locazioni (quelle ad uso non abitativo), onde garan-
tire la stabilità del rapporto, l’indennizzo per la perdita dell’avviamento e l’eventuale ac-
cesso alla stessa proprietà del bene utilizzato per la propria attività (attraverso il diritto di
prelazione) 57.

55
Si tratta, rispettivamente, delle già ricordate sentenze 30-1-1980, n. 5 e 16-6-1993, n. 283 (VI, 1.4, cui si
rinvia, in generale, per la problematica relativa all’espropriazione e al relativo indennizzo; ivi anche il riferi-
mento alle decise considerazioni di Cass., sez. un., 9-6-2021, n. 16080, circa la “attuale” inerenza dello ius
aedificandi al contenuto del diritto di proprietà).
56
Anche alla luce delle modificazioni successivamente intervenute nella disciplina in materia, l’art. 6 defi-
nisce l’attività edilizia libera, mentre gli interventi di minore rilevanza urbanistica, se non soggetti a mera co-
municazione di inizio lavori asseverata (art. 6 bis), sono specificati nell’art. 22 e sono subordinati alla sola se-
gnalazione certificata di inizio di attività (almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, art. 23).
57
La materia (IX, 4.3), anche a prescindere dalla legislazione più immediatamente legata alle conseguenze
degli eventi bellici, è stata contrassegnata dalla frequenza degli interventi legislativi, culminati, nella comples-
sa prospettiva dianzi accennata, nella organica L. 27.7.1978, n. 392, tra l’altro introduttiva, per le locazioni ad
uso abitativo, del meccanismo dell’equo canone. La successiva maggiore considerazione delle ragioni della
proprietà ha indotto il legislatore, dopo numerosi ulteriori interventi non sistematici (con particolare riguardo
CAP. 1 – PROPRIETÀ 583

Il rilievo sociale dell’accesso alla proprietà delle abitazioni, con le connesse esigenze di
tutela di chi intenda investirvi i propri risparmi (art. 47 Cost.), è alla base della disciplina
in tema di acquisto di immobili da costruire (D.Lgs. 20.6.2005, n. 122) (IX, 1.5).
Ciò attraverso l’imposizione al costruttore di adeguata garanzia fideiussoria (art. 2) e di
obblighi assicurativi (art. 4), nonché la dettagliata previsione del contenuto del contratto
preliminare (art. 6) e di un regime privilegiato per l’acquirente in caso di procedura ese-
cutiva avente ad oggetto l’immobile (artt. 9 ss., in cui si prevede anche l’istituzione di un
Fondo di solidarietà per gli acquirenti di beni immobili da costruire).
Nella prospettiva, poi, di una migliore organizzazione economica – e del conseguente
relativo sviluppo – dell’attività edificatoria privata, anche attraverso la valorizzazione del-
l’autonomia degli interessati, il legislatore ha inteso sostanzialmente confermare la diffusa
prassi contrattuale della c.d. cessione di cubatura, disponendo, nell’art. 2643, n. 2 bis
(introdotto dal D.L. 13.5.2011, n. 70, conv. in L. 12.7.2011, n. 106), la trascrivibilità dei
contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori, “previsti
da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale” 58.

alla durata del rapporto di locazione, assoggettato ripetutamente ad un regime di proroga, tendenzialmente in
considerazione della peculiare situazione soggettiva del locatario), a rimeditare la problematica delle locazioni
ad uso abitativo, disciplinandole in modo articolato e tale da assicurare un più adeguato bilanciamento degli
interessi contrapposti. Ciò è avvenuto con la L. 9.12.1998, n. 431, che ha anche previsto misure di sostegno al
mercato delle locazioni, mentre con la legislazione successiva si sono adottate ulteriori misure per ridurre il
disagio abitativo e incrementare l’offerta di alloggi in locazione, pure attraverso adeguate forme di incentiva-
zione e una più efficiente attivazione dei meccanismi dell’edilizia residenziale pubblica e, in genere, sovven-
zionata e agevolata (a partire dalla L. 12.11.2004, n. 269).
58
Con riferimento alle previsioni dei dianzi ricordati standards urbanistici, disciplinanti, tra l’altro, la cubatu-
ra edificabile da parte dei proprietari dei suoli (in particolare, ai sensi della disciplina della L. 765/1967), si sono
diffusi nella pratica, in effetti, contratti tendenti a cedere, da parte dei proprietari di terreni, quote di cubatura a
favore dei proprietari di fondi contigui, onde incrementare la cubatura ivi edificabile ai sensi della regolamenta-
zione urbanistica in atto. La giurisprudenza ha reputato meritevoli di tutela le finalità perseguite con tali contratti
operanti la c.d. cessione di cubatura, peraltro oscillando – come, del resto, la dottrina – in ordine alla relativa qua-
lificazione giuridica ed ai conseguenti effetti. Da una parte, cioè, una simile “cessione” è stata assimilata “al tra-
sferimento di un diritto reale immobiliare” (essenzialmente ai fini del suo assoggettamento “ad imposta propor-
zionale di registro”: ad es., Cass. 14-5-2007, n. 10979); dall’altra, “la natura di contratto traslativo di un diritto
reale” è stata – anche in ordine alla esclusione della necessità della forma scritta ad substantiam – negata, sottoli-
neandosi che “a determinare il trasferimento di cubatura … è esclusivamente il provvedimento concessorio che,
a seguito della rinuncia del cedente, può essere emanato dall’ente pubblico a favore del cessionario, non essendo
configurabile tra le parti un contratto traslativo” (Cass. 24-9-2009, 20623, quindi nell’ottica di una “efficacia solo
obbligatoria ed interna tra gli stipulanti” dell’accordo di cessione, per cui v., ad es., Cass. 10-10-2018, n. 24948).
L’introduzione della citata disposizione (su cui v. anche IX, 1.5 e XIV, 2.7), comunque, pur indiscutibilmente
confermando la meritevolezza della prassi accennata (e, almeno in qualche misura, tipizzandone gli strumenti),
non pare aver conseguito il risultato di dare alla materia la perseguita – e diffusamente auspicata dagli operatori –
certezza (anche in relazione agli aspetti tributari della problematica). A ciò, allora, risulta finalizzato il tentativo
di sistemazione della materia da parte di Cass., sez. un., 9-6-2021, n. 16080, ad esito di una esaustiva ricostruzio-
ne dei vari indirizzi giurisprudenziali e dottrinali. Pur prestando indubbia attenzione all’impostazione di Cass.
20623/2009, circa una “natura” della vicenda “non traslativa né costitutiva di un diritto reale, bensì meramente
obbligatoria”, la Corte reputa non poterne condividerne la marginalizzazione dell’“accordo privatistico”, deri-
vante dalla relativa ricostruzione nell’ottica di una “fattispecie a formazione progressiva”, avente il proprio bari-
centro sul lato pubblicistico-amministrativo del “rilascio del permesso di costruire per cubatura aumentata”. Co-
sì, in ordine alla cessione di cubatura, viene rivendicato il suo carattere di “atto di disposizione patrimoniale di
estremo rilievo sul piano privatistico”, concernente, sia pure in un’ottica estranea all’“ambito della realità” (la
“non realità dell’atto di cessione di cubatura” risultando ad esito di una puntuale critica di tutte le ipotizzate va-
rianti ricostruttive in tal senso), “diritti” (appunto, i diritti edificatori), i quali, quindi, “tra le parti vengono costi-
584 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

10. “Appartenenza” e beni immateriali: la c.d. proprietà intellettuale. – La carat-


teristica della esclusività – quale possibilità riconosciuta al titolare di escludere chiunque
altro dallo sfruttamento del bene (VI, 1.2) – rappresenta il profilo che vale a ricollegare
al tema della proprietà la delicata problematica concernente l’appropriazione delle utilità
economiche di cui l’ordinamento considera possibile fonte anche quanto sia privo della
materialità.
Si è accennato, al riguardo, come, in dipendenza della evoluzione della realtà econo-
mico-sociale, il concetto di bene giuridico si sia allargato al di là delle cose materiali, per
ricomprendere tutto ciò che, pur in assenza di materialità, l’ordinamento ha preso via via
in considerazione, assumendolo quale fonte di utilità e, di conseguenza, potenziale og-
getto di conflitti di interessi da comporre mediante l’attribuzione di situazioni giuridiche
soggettive (e, in particolare di diritti soggettivi) (II, 2.1).
L’attenzione a tali nuove forme di ricchezza, cui genericamente ci si riferisce in ter-
mini di beni immateriali, è testimoniata, già nel codice civile del 1865, dal ricordato
art. 437, per il quale “le produzioni dell’ingegno appartengono ai loro autori secondo le
norme stabilite da leggi speciali”. Da tale disposizione, che significativamente segue im-
mediatamente la definizione del diritto di proprietà, da una parte, emerge il tentativo di
dare una qualche consistenza oggettiva alle nuove forme di ricchezza, al fine di poterle
ricondurre al sistema del diritto patrimoniale (con l’utilizzazione di una terminologia
evocativa come quella di “produzioni” dell’ingegno), attraverso una evidente dilatazione
del concetto di “appartenenza”; dall’altra, affiora la consapevolezza della peculiarità dei
nuovi fenomeni, che ne impone una disciplina specifica mediante “leggi speciali” da la-
sciare fuori dal contesto del codice.
Il codice civile del 1942 – nell’intento di assolvere anche in proposito alla funzione di
centro di gravità dell’intero sistema giuridico e punto di riferimento sistematico della le-
gislazione speciale – ha optato per l’inclusione nel proprio ambito almeno dei principi
fondamentali concernenti l’ormai consolidata fenomenologia delle creazioni dell’ingegno,
disciplinandola nel libro V, dedicato al lavoro (artt. 2575 ss.). Con ciò il legislatore ha
certamente voluto chiarire la lontananza dei diritti riconosciuti in materia dal modello
proprietario, storicamente costruito per adeguarsi alla materialità dell’oggetto di diritti:
preferibile è parso conferire rilevanza decisiva al titolo riconosciuto quale fondamento
della legittimazione allo sfruttamento delle utilità economiche di cui l’idea è ritenuta
possibile fonte, costituito dal lavoro 59. Non certo casuale è la collocazione della sobria
normativa in materia subito dopo la disciplina dell’azienda e, nel suo ambito, dei segni

tuiti, trasferiti e modificati direttamente per effetto” del contratto (con estensibilità “alla materia del principio
consensualistico”, “netta rivalutazione del sostrato privatistico” dell’operazione economica e ridimensionamento
del ruolo del permesso di costruire, in termini di “elemento esterno di regolamentazione pubblicistica di un di-
ritto di origine privatistica”). Da una simile ricostruzione vengono fatte conseguire: la non necessità della “forma
scritta ad substantiam ex art. 1350”; la trascrivibilità ex art. 2643, n. 2 bis; l’assoggettabilità “ad imposta propor-
zionale di registro come atto ‘diverso’ avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale” (e non quale atto
traslativo della proprietà immobiliare ovvero traslativo o costitutivo di diritti reali immobiliari), nonché, “in caso
di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa”.
59
Nella Relaz. cod. civ., n. 1043, si sottolinea che “per quanto questa materia nel nostro diritto e nei diritti
stranieri formi tradizionalmente oggetto di leggi speciali, è parso che il nuovo codice civile, nel libro dedicato
al lavoro, non potesse ignorare quella suprema tutela del lavoro, che trova espressione nel diritto di autore e
nei diritti sulle invenzioni industriali”.
CAP. 1 – PROPRIETÀ 585

distintivi dell’impresa e del marchio, a loro volta tutelati come beni essenziali in quel
moderno assetto dei rapporti produttivi, il cui progresso resta in larga misura affidato
proprio alla innovatività delle idee.
Quella dei beni immateriali costituisce, comunque, una categoria per sua natura aper-
ta all’estensione a sempre nuove tipologie di fenomeni, via via che l’evoluzione della real-
tà economico-sociale ne prospetti il possibile sfruttamento come nuove fonti di utilità.
Basti pensare all’irruzione sulla scena economica del software e delle banche dati, nonché
alla sempre maggiore estensione dell’area di protezione riconosciuta a tutto ciò che, nel
mercato, vale a conferire maggior pregio alla produzione (si pensi, ad es., alle indicazioni
geografiche e alle denominazioni di origine).
Tali potenzialità di sfruttamento il legislatore provvede a disciplinare con specifiche
normative – ormai di origine prevalentemente comunitaria, trattandosi di problematiche
tipicamente di portata sopranazionale in una economia sempre più globalizzata – in un
delicato equilibrio tra esigenze individuali di appropriazione del valore (anche come sti-
molo del progresso) ed esigenze sociali di utilizzazione: questo, sempre in una difficile rin-
corsa con la realtà economica e con la tecnologia.
Il tenace sforzo di impiegare le tradizionali e collaudate categorie dell’appartenenza e,
in particolare, il concetto di proprietà, ha indotto ad avvalersi correntemente di terminolo-
gie come quella comprensiva di proprietà intellettuale, per indicare genericamente le
situazioni giuridiche soggettive riconosciute in ordine allo sfruttamento della creazione
intellettuale, specificate, poi, con riferimento alla proprietà letteraria e artistica e alla pro-
prietà industriale. Significativamente, il legislatore ha intitolato “codice della proprietà
industriale” il D.Lgs. 10.2.2005, n. 30, con cui si è tentato il riordino della disciplina
concernente la relativa materia (per la proprietà letteraria e artistica, v. la L. 22.4.1941, n.
633, “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”, su cui nu-
merosi sono stati, anche di recente, gli interventi legislativi modificativi e integrativi).
Deve essere chiaro, peraltro, che il riferimento terminologico alla “proprietà”, come
accennato, pare valere (e in ciò esaurire il proprio reale significato) solo ad evocare l’idea
di esclusività dello sfruttamento della creazione eventualmente accordato al soggetto sul-
la base della ricorrenza di specifici requisiti e ad esito di particolari formalità e procedu-
re, con il corrispondente ampliamento del concetto di “appartenenza”. Opportuno risul-
ta, in proposito, il diffuso richiamo alla necessaria cautela nella utilizzazione di concet-
tualizzazioni e regole proprie della proprietà con riguardo ai c.d. nuovi beni, al più po-
tendosi fare, prestando adeguata attenzione alla specificità dei problemi da risolvere nei
singoli casi, un cauto ricorso allo strumento dell’analogia (I, 3.14), onde supplire ai ritar-
di che qui spesso inevitabilmente contraddistinguono l’intervento del legislatore.
È solo alla luce di simili considerazioni che deve intendersi (e può anche ritenersi uti-
le), allora, l’uso dell’espressione nuove proprietà – traduzione della felice formula new
properties – per alludere a tutte le nuove forme di ricchezza, estranee alla materialità che
caratterizza la cosa come tradizionale oggetto di diritti (e specificamente di proprietà).
Con essa, insomma, ci si vuole semplicemente richiamare alla esigenza di riconoscere la
esclusività dello sfruttamento economico in ordine a fenomeni, di tipologia estremamen-
te variegata e in continua evoluzione, in relazione ai quali la nozione di bene tende a
sfumarsi, allargandosi a comprendere, nella prospettiva di valore economicamente rile-
vante, la prestazione di un servizio (con una sempre meno chiara demarcazione, oltretut-
to, tra la categoria del diritto reale e quella del diritto di credito).
586 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

Anche il carattere di esclusività riconosciuto ai diritti concernenti i beni in questione


si è sempre atteggiato, del resto, in maniera del tutto peculiare, alla luce della rilevanza
necessariamente da accordare alle esigenze sociali di utilizzazione di innovazioni capaci
di contribuire al progresso comune. Così, all’idea tradizionale di perpetuità della pro-
prietà si sostituisce qui quella di temporaneità delle prerogative riconosciute al titolare
del diritto di sfruttamento: una temporaneità tanto più accentuata, quanto più forte si fa
avvertire il peso delle accennate esigenze sociali (v., ad es., artt. 15, 24 e 60 D.Lgs. 30/2005
e artt. 25 ss. L. 633/1941), le quali inevitabilmente determinano, inoltre, una marcata
funzionalizzazione dei diritti accordati 60. Resta, in ogni caso, indiscutibilmente utile il ri-
chiamo alla disciplina proprietaria per dare una risposta a problemi come, ad es., quello
della eventuale contitolarità del diritto, risolto, infatti, col rinvio alle regole proprie della
comunione (art. 10 L. 633/1941 e art. 6 D.Lgs. 30/2005, che significativamente pone, al
riguardo, il limite della compatibilità).
La peculiarità delle situazioni giuridiche che l’ordinamento ricollega alla creazione in-
tellettuale risulta, poi, notevolmente accentuata dall’intreccio dei profili patrimoniali,
concernenti il relativo sfruttamento, con quelli morali, legati alla rivendicazione della
qualità di autore dell’opera (c.d. diritto morale d’autore) o dell’invenzione quale contenu-
to di un vero e proprio diritto della personalità (art. 20 L. 633/1941 e art. 62 D.Lgs.
30/2005) (IV, 2.7) 61.
La eterogeneità degli interessi che si ricollegano ai fenomeni considerati (ed al cui bi-
lanciamento è finalizzato l’intervento del legislatore) si rispecchia nella diversità delle
fonti legislative che, in continuo fermento, li regolano. Proprio per l’importanza assunta
da una simile regolamentazione, essa costituisce materia di indagine di specifiche disci-
pline (diritto d’autore, diritto industriale).
Si tratta di una fenomenologia refrattaria, per la novità dei caratteri con cui emerge
nella realtà, ad ogni tentativo di ricostruzione sistematica ai fini della relativa disciplina.
La stessa distinzione di fondo operata dal codice civile tra la materia del diritto di autore
sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche (artt. 2575 ss.) e quella delle invenzioni in-
dustriali (artt. 2584 ss.), rispecchiata nella legislazione speciale (L. 633/1941, concernen-
te il diritto di autore; D.Lgs. 30/2005, codice della proprietà industriale) 62, finisce col

60
Si pensi, in proposito, per le invenzioni industriali, all’onere di attuazione e alla licenza obbligatoria per
mancata attuazione su istanza di chi sia interessato all’attuazione (artt. 69 ss. D.Lgs. 30/2005).
61
Come tale disciplinato diversamente, sotto il profilo della legittimazione a farlo valere dopo la morte
dell’autore, dai diritti patrimoniali che l’ordinamento ricollega alla creazione intellettuale (art. 23 L. 633/1941
e art. 62 D.Lgs. 30/2005).
62
È opportuno almeno ricordare l’estensione della materia regolata in tali testi normativi. L’art. 1 D.Lgs.
30/2005 specifica che “ai fini del presente codice, l’espressione proprietà industriale comprende marchi ed
altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli
di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali”.
La L. 633/1941, nella sua vigente formulazione, considera protette “le opere dell’ingegno di carattere creativo
che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, alla architettura, al teatro ed alla cinemato-
grafia, qualunque sia il modo o la forma di espressione. Sono altresì protetti i programmi per elaboratore …
nonché le banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellet-
tuale dell’autore” (art. 1, più in dettaglio specificato dall’art. 2). Tale ultima legge, tra i “diritti connessi all’e-
sercizio del diritto di autore”, regola anche i diritti concernenti: la produzione di fonogrammi; l’emissione
radiofonica e televisiva; le opere cinematografiche o audiovisive; l’interpretazione ed esecuzione artistica; i
CAP. 1 – PROPRIETÀ 587

mostrare i propri limiti di fronte a fenomeni del tutto nuovi, come quelli legati alle
tecnologie informatiche. Così, in relazione al software, controverso è stato l’inqua-
dramento della sua regolamentazione, discussa restando la scelta legislativa di discipli-
nare i programmi per elaboratore nel contesto della materia delle opere dell’ingegno
regolate dalla legislazione sul diritto di autore (D.Lgs. 29.12.1992, n. 518: artt. 64 bis
ss. L. 633/1941) 63.

bozzetti di scene teatrali; le fotografie; la corrispondenza epistolare ed il ritratto; il titolo, le rubriche, l’aspetto
esterno dell’opera, gli articoli e le notizie.
63
Per restare nel campo dei fenomeni di meno chiaro inquadramento, anche la protezione delle banche
dati ha trovato collocazione nel contesto delle materie disciplinate dalla L. 633/1941 (artt. 64 quinquies ss.,
con la relativa novellazione da parte del D.Lgs. 6.5.1999, n. 169), non diversamente da quella delle opere del
disegno industriale “che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico” (art. 2, n. 10, aggiunto dal
D.Lgs. 2.2.2001, n. 95).
CAPITOLO 2
ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ

Sommario: 1. Modi di acquisto. – 2. Occupazione. – 3. Invenzione. – 4. Accessione. – 5. Unione e


commistione. Specificazione. Accessioni fluviali. – 6. Azioni a difesa della proprietà. Azione di ri-
vendicazione. – 7. Altre azioni a tutela della proprietà. – 8. Azioni di nunciazione.

1. Modi di acquisto. – La disciplina dei modi di acquisto rappresenta uno dei


profili fondamentali della regolamentazione generale dell’istituto della proprietà. Alla
relativa determinazione, in una con quella dei modi di godimento e dei limiti, non a caso
allude l’art. 422 Cost. come strumento idoneo ad assicurarne la funzione sociale e la dif-
fusione generalizzata dell’accesso 1.
L’art. 922 traccia il quadro dei modi di acquisto della proprietà, offrendone un elenco
(“per occupazione, per invenzione, per accessione, per unione e commistione, per usu-
capione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte”) di carattere non tas-
sativo, come è chiarito dal rinvio finale agli “altri modi stabiliti dalla legge”. Il codice ac-
comuna nell’elencazione modi di acquisto a titolo originario e modi di acquisto a titolo de-
rivativo 2, non tutti caratteristici della sola proprietà, ma anche di ogni altro diritto (o,
come nel caso della usucapione, dei soli diritti reali di godimento su cosa altrui). Tra i
modi di acquisto non menzionati dall’art. 922, basti pensare, nel contesto della disciplina
codicistica, alla fruttificazione e all’acquisto in buona fede del possesso di beni mobili
(art. 1153). Sono almeno da ricordare, poi, l’aggiudicazione all’asta giudiziaria, nonché i
trasferimenti coattivi di carattere giudiziale (come, ad es., quello previsto, in materia di
fondo patrimoniale, dall’art. 1713), ovvero quelli basati su provvedimenti amministrativi
(espropriazione, requisizione, confisca, prelazione artistica).
Pare il caso di ricordare come la distinzione tra modi di acquisto a titolo originario e
modi di acquisto a titolo derivativo (II, 4.7) sia basilare, data la diversità dei principi di
fondo che li governano. Modi di acquisto a titolo originario sono quelli in cui l’acquisto
del diritto in capo al soggetto non dipende dalla precedente titolarità del diritto in capo
ad un altro soggetto. Modi di acquisto a titolo derivativo sono quelli in cui, invece, vi è
una tale dipendenza dell’acquisto dal diritto di un altro soggetto, che ne era precedente-

1
Si ricordi come, ai sensi dell’art. 472, risulti in particolare favorito l’accesso, attraverso il risparmio, “alla
proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei
grandi complessi produttivi del Paese”.
2
Per titolo si intende correntemente la fattispecie cui l’ordinamento ricollega l’acquisto del diritto (II, 4.7).
CAP. 2 – ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ 589

mente titolare (vi è, cioè, una trasmissione del diritto dal precedente al nuovo titolare).
Decisivo risulta che l’ordinamento consideri o meno rilevante il collegamento tra la nuo-
va situazione di titolarità e la precedente.
La rilevanza, negli acquisti derivativi (e, rispettivamente, l’irrilevanza in quelli origina-
ri), di un simile collegamento (ossia la realizzazione, con gli acquisti derivativi, di un fe-
nomeno di trasmissione del diritto, che è tecnicamente definito successione) 3 determina,
con riferimento ad essi, l’operatività del principio per cui nessuno può trasmettere ad
altri un diritto che non ha o un diritto di contenuto più ampio di quello di cui risulti ti-
tolare (nemo plus iuris in alium tranferre potest quam ipse habet), nonché del principio
secondo il quale i difetti e le vicende pregiudizievoli (nullità, annullabilità, rescissione,
risoluzione) concernenti il titolo del diritto di colui che lo trasmette si ripercuotono – al-
meno in linea di massima – sulla posizione dell’acquirente (resoluto iure dantis resolvitur
et ius accipientis).
A ciò consegue la difficoltà della prova del diritto di proprietà (VI, 2.6), almeno ove il
soggetto non possa dimostrare di avere acquistato a titolo originario. In caso di acquisto
a titolo derivativo, infatti, non è sufficiente la dimostrazione dell’idoneità (della mancan-
za, cioè, di difetti) del titolo del proprio acquisto, ma occorre analoga dimostrazione con
riguardo all’acquisto del proprio dante causa e, via via, ininterrottamente fino a un ac-
quisto a titolo originario (che, per così dire, rappresenta il solido aggancio della catena
dei trasferimenti successivi dello stesso diritto). Non a caso, al riguardo, si parla di pro-
batio diabolica e l’ordinamento, come si avrà modo di vedere, facilita il compito di chi
voglia dimostrare il proprio diritto di proprietà attraverso la disciplina del possesso e dei
suoi effetti (in particolare, ai fini dell’usucapione, quale fondamentale modo di acquisto
a titolo originario).
Come accennato, accanto all’usucapione (la quale, oltre che della proprietà, è modo
generale di acquisto a titolo originario dei diritti reali di godimento su cosa altrui), l’art.
922 – che si riferisce anche all’acquisto a titolo derivativo mediante il contratto e la
successione a causa di morte – contempla, come modi di acquisto a titolo originario
peculiari della proprietà, l’occupazione, l’invenzione, l’accessione, la specificazio-
ne, l’unione o commistione. Nel presente capitolo saranno esaminati esclusivamente
questi ultimi, rinviando l’approfondimento della usucapione al capitolo quinto (dedicato
al possesso ed ai suoi effetti) e lo studio del contratto e della successione a causa di mor-
te, rispettivamente, alla Parte VIII e alla Parte XII.

2. Occupazione. – L’occupazione costituisce forse il modo di appropriazione pri-


migenio: il comportamento di materiale impossessamento, ricorrendo le condizioni previ-
ste dall’art. 923, produce l’acquisto della proprietà della cosa.
Suscettibili di occupazione sono le cose mobili che non sono di proprietà di alcuno

3
La successione avviene tra il soggetto che trasmette il diritto (autore o dante causa) ed il soggetto che ac-
quista il diritto (successore o avente causa). La successione può essere inter vivos (vi allude l’art. 922 riferendo-
si al contratto) o mortis causa (vi allude l’art. 922 riferendosi alla successione a causa di morte). Può riguardare
situazioni giuridiche determinate (a titolo particolare) o l’insieme delle situazioni giuridiche patrimoniali (tra-
smissibili) facenti capo a un soggetto (a titolo universale). Nel concetto di acquisto a titolo derivativo si com-
prende anche la costituzione di diritti reali limitati su cosa altrui da parte del proprietario: diritti nuovi, ma il
cui acquisto dipende pur sempre dal diritto di cui sia titolare un altro soggetto (successione costitutiva).
590 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

(art. 9231). Non possono, quindi, acquistarsi per occupazione gli immobili, i quali, ove
non siano di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio dello Stato (art. 827).
Oltre all’attività di materiale apprensione (adprehensio) della cosa, si reputa neces-
saria, ai fini dell’acquisto della proprietà sulla cosa, l’intenzione di appropriarsi della
cosa stessa, escludendone tutti gli altri (animus occupandi). L’occupazione, valendo l’ac-
cennata intenzione a qualificare un comportamento materiale del soggetto, si ritiene
rientrare tra i c.d. atti reali (o operazioni materiali), a loro volta inquadrati tra gli atti
giuridici in senso stretto (II, 4.5). È da escludere che si tratti di un atto negoziale (e, in
particolare, di un negozio di attuazione), dato che non occorre la volontarietà del-
l’effetto giuridico dell’acquisto della proprietà sul bene, tale effetto ricollegandosi al
materiale impossessamento. Ne consegue la sufficienza, perché l’effetto in questione si
produca (come, del resto, perché si producano, più in generale, gli effetti dell’impos-
sessamento ai fini dell’acquisto del possesso), della capacità di intendere e di volere (c.d.
capacità naturale) del soggetto 4.
Possono costituire oggetto di occupazione solo le res nullius, tali perché mai apparte-
nute ad alcuno, ovvero le cose abbandonate (res derelictae) con l’intenzione di dismetter-
ne la proprietà (animus derelinquendi) 5.
L’art. 9232, accanto alle cose abbandonate, contempla “gli animali che formano og-
getto di caccia e di pesca”. Per la caccia, è da ricordare come la fauna selvatica sia con-
siderata (dalla L. 11.2.1992, n. 157, sulla linea della L. 27.12.1977, n. 968) costituire, nel
suo complesso, patrimonio indisponibile dello Stato, essendone, peraltro, consentita l’ap-
propriazione di singoli capi da parte di privati, ma solo nei limiti in cui l’attività venato-
ria risulti permessa (a stretto rigore, quindi, si dovrebbe, al riguardo, parlare di – consen-
tita, secondo quanto è da ritenere anche per fiori, frutti selvatici e funghi esistenti sul
fondo altrui – occupazione di cosa altrui: res alicuius).
Regole peculiari esistono per l’acquisto della proprietà di sciami di api (art. 924),
animali mansuefatti (art. 925), colombi, conigli e pesci di peschiera (art. 926) 6.

4
Cass. 18-6-1986, n. 4072, ha avuto modo di chiarire che “sia nell’occupazione che nell’atto di acquisto
del possesso è indispensabile la volontà del soggetto di esercitare la propria signoria sulla cosa mentre l’effetto
è determinato direttamente dalla legge in relazione a circostanze che esulano del tutto dall’elemento interiore
o spirituale e cioè al fatto che non esista alcun diritto di proprietà alieno sul bene oggetto dell’adprehensio”.
Quest’ultima “postula la mera volontà del soggetto di esercitare la propria signoria sulla cosa, mentre l’effetto
giuridico che ne deriva ex lege non è affatto voluto dall’agente”. Ne consegue che, “per l’acquisto del posses-
so (come per l’occupazione), non è affatto necessaria la capacità di agire ma basta la capacità naturale di in-
tendere e di volere”. Negli atti giuridici in senso stretto, tra cui rientra l’ipotesi in questione, è richiesta “la
consapevolezza e la volontà dell’agente e perciò si distinguono dai fatti giuridici in senso stretto”, ma “gli ef-
fetti derivano direttamente dalla legge e non sono affatto stabiliti dalla volontà privata”, come, invece, nei ne-
gozi giuridici, in cui “gli effetti sono quelli cui è diretta la volontà dell’agente”. Dato che “per acquistare il
possesso è sufficiente la capacità di intendere e di volere (capacità naturale)”, Cass. 3-12-2004, n. 22776, sot-
tolinea che di essa “può essere dotato in concreto anche il minore di età”.
5
Posto che l’abbandono assume la portata di modo di estinzione della proprietà dei beni mobili, discussa è
la possibilità, con analogo effetto, della semplice rinuncia al diritto di proprietà sui beni immobili (VI, 1.2).
6
Pare interessante ricordare come la prospettiva dell’impossessamento, quale modo di acquisto di una si-
tuazione giuridica tutelata rispetto al bene, abbia trovato applicazione, di fronte alla carenza di una specifica
disciplina legislativa, per assicurare l’utilizzazione esclusiva delle bande di trasmissione radio-televisiva, confi-
gurando la giurisprudenza, al riguardo, una situazione di possesso, “suscettibile di spoglio o molestia” (Cass.
6-10-1987, n. 7440) (VI, 5.3).
CAP. 2 – ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ 591

3. Invenzione. – La disciplina dell’invenzione concerne le cose smarrite (o sottratte


al proprietario o da lui dimenticate), ancora oggetto, quindi, di proprietà, a differenza di
quelle abbandonate. Anche tale modo di acquisto della proprietà interessa solo le cose
mobili.
Chi trova la cosa non ne acquista la proprietà, ma ha l’obbligo di restituirla al pro-
prietario e, se non lo conosce, di consegnarla immediatamente al sindaco del luogo in cui
la ha ritrovata, indicando le circostanze del ritrovamento (art. 927) 7. Il sindaco procede
a pubblicizzare il ritrovamento nei modi indicati dall’art. 928 e, trascorso un anno da ta-
le formalità, il ritrovatore acquista la proprietà della cosa trovata (o ha diritto al relativo
prezzo, se vi è stata necessità di venderla) (artt. 9291). Il ritrovatore, in caso di restituzio-
ne della cosa al proprietario, ha diritto a chiedere un premio, pari al decimo della somma
(o del valore della cosa) ritrovata (fino a euro 5,16, per il sovrappiù il premio è del vente-
simo) (art. 930). È da tenere presente che, agli effetti della disciplina relativa all’invenzio-
ne, al proprietario sono equiparati – in sua eventuale sostituzione – il possessore e il de-
tentore (art. 931).
Dettagliate norme particolari (cui rinvia espressamente l’art. 933) sono dettate dal
codice della navigazione (artt. 510 ss. e 993 ss.) relativamente ai relitti marini e aerei, il
cui ritrovamento non ne comporta mai l’acquisto della proprietà da parte del ritrovatore,
ma solo il diritto ad un premio. Una disciplina specifica è anche dettata, ad es., per le co-
se ritrovate in treno (D.P.R. 30.3.1961, n. 197).
Un particolare regime è previsto per il ritrovamento del tesoro. Tale è considerata
qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno possa provare di
essere proprietario (art. 9321), in conseguenza del tempo trascorso. Il tesoro appartiene
al proprietario del fondo in cui si trova (e al proprietario è parificato il solo enfiteuta: art.
959). Il ritrovatore, a condizione che il ritrovamento sia avvenuto casualmente 8, ha dirit-
to alla metà del tesoro. La stessa regola vale anche in caso di scoperta del tesoro in una
cosa mobile altrui (si pensi all’ipotesi dell’occultamento in un doppiofondo di un arma-
dio) (art. 9322). Per il ritrovamento di oggetti di interesse storico, archeologico, paletno-
logico, paleontologico e artistico, dispone dettagliatamente la legislazione specificamente
dettata in tale materia (art. 9323: artt. 42 ss. D.Lgs. 22.1.2004, n. 42).

4. Accessione. – L’accessione può essere intesa, in senso lato, come modo di acqui-
sto della proprietà in conseguenza dell’unione di altre cose alla propria, in considerazione
del carattere principale riconosciutogli. È in tale prospettiva – come espansione, cioè, del-

7
Il ritrovatore si considera detentore della cosa (nell’interesse altrui), salvo che non la trattenga consape-
volmente con l’intenzione di farla propria: in tal caso egli è possessore in mala fede. Il ritrovatore che non ri-
spetti gli obblighi previsti dall’art. 927 (nonché dall’art. 932, relativo al ritrovamento del tesoro), oltre che re-
sponsabile di un illecito civile (con conseguente risarcimento del danno), era ritenuto suscettibile di essere
punito ai sensi dell’art. 647 c.p. (appropriazione di cose smarrite, del tesoro e di cose avute per errore o caso
fortuito). Tale disposizione è stata abrogata dall’1 del D.Lgs. 15.1.2016, n. 7, risultando i relativi comporta-
menti qualificati (solo) come illeciti civili, ai sensi dell’art. 41, lett. d, e, f, assoggettati anche ad una “sanzione
pecuniaria civile” (su cui, X, 1.1 e 2.1), “oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi
civili” (art. 31).
8
È dubbio se possa essere considerato tale il ritrovamento a seguito di ricerca, eventualmente sulla base
di indagini e di documenti reperiti in proposito.
592 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

la proprietà (e, quindi, nel contesto delle relative “disposizioni generali”) – che il feno-
meno era regolato dal codice civile del 1865 (art. 443), specificandolo, poi, con riferi-
mento all’incorporazione di cose mobili ad immobili, all’unione di cose mobili tra loro,
alle conseguenze dello scorrere delle acque sugli immobili. Il codice civile vigente ha
riordinato radicalmente la materia, disciplinando l’accessione tra i “modi di acquisto del-
la proprietà” e concentrando l’attenzione soprattutto sul problema dell’incorporazione di
mobili ad immobili, cui si riferisce la nozione di accessione intesa in senso stretto.
Con una norma che costituisce un vero e proprio principio generale, l’art. 934 dispone
che “qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appar-
tiene al proprietario di questo”. È fatto salvo quanto previsto nelle disposizioni successive
per bilanciare, nelle diverse situazioni ipotizzabili, gli interessi del proprietario del fondo e
del proprietario delle cose incorporate (tenendo presente anche l’eventualità di incorpora-
zione ad opera di un soggetto diverso dal proprietario del fondo e dal proprietario delle
cose incorporate) (artt. 935, 936 e 937). È fatta salva, poi, la possibile esclusione del-
l’operatività del principio nel caso che “risulti diversamente dal titolo”. Tale esclusione
può dipendere dalla legge (come si ritiene, ad es., nel caso delle opere fatte sul fondo ser-
vente dal proprietario del fondo dominante, ai sensi dell’art. 1069), ma, soprattutto, da una
volontà espressa con un contratto, che attribuisca al costruttore la proprietà delle cose
realizzate (con la costituzione di un diritto di superficie, ai sensi dell’art. 952: VI, 3.2).
L’acquisto evidentemente si fonda su un giudizio di preminenza, in linea di principio,
del bene immobile rispetto ai mobili che vi possono essere incorporati e al risultato del-
l’opera: bilanciamento degli interessi in gioco, invero, non sempre rispondente alle di-
namiche economiche attuali, che vedono nel terreno su cui si elevano solo una compo-
nente del valore delle costruzioni. Per aversi l’acquisto, l’incorporazione deve essere sta-
bile. L’acquisto, inoltre, è definitivo, quali che siano, cioè, le successive vicende interes-
santi le cose incorporate 9.
Le disposizioni successive disciplinano, in dettaglio, le ipotesi di opere fatte dal pro-
prietario del suolo con materiali altrui (art. 935), di opere fatte da un terzo con materiali
propri (art. 936) 10, di opere fatte da un terzo con materiali altrui (art. 937). La disciplina,
estremamente articolata, privilegia indubbiamente la posizione del proprietario del fon-
do, alla luce dell’esigenza generale di evitare che le pretese contrapposte degli interessati
finiscano col risolversi in una perdita di rilevanti valori economici, in quanto già comun-
que realizzatisi attraverso l’attività produttiva dell’opera.
Peraltro, la prevalenza del valore da riconoscere all’opera realizzata rispetto al suolo,

9
Si ritiene che l’acquisto a favore del proprietario del suolo operi automaticamente (Cass. 12-6-1987, n.
5135; 10-3-2011, n. 5739; 29-10-2018, n. 27412), conseguendo esso alla incorporazione, da intendere quale
fatto giuridico in senso stretto (II, 4.4). Cass., sez. un., 16-2-2018, n. 3873, ha precisato che “la costruzione
realizzata dal comproprietario sul suolo comune diviene di proprietà comune agli altri comproprietari del
suolo, salvo contrario accordo, traslativo della proprietà del suolo o costitutivo di un diritto reale su di esso,
che deve rivestire la forma scritta ad substantiam”.
10
Viene precisato che il regime ivi previsto “si applica ai soli casi di opere realizzate da soggetto che non
abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico, di natura personale o reale” (Cass. 18-12-2015,
n. 25449, che ne esclude, quindi, l’applicabilità nel caso in cui “la fonte dell’attività costruttiva era costituita
da un’obbligazione nascente da contratto, sebbene successivamente caducato”, dovendosi allora applicare la
disciplina dell’art. 1458).
CAP. 2 – ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ 593

sia pure a determinate condizioni, è alla base della regola enunciata dall’art. 938 per l’i-
potesi di occupazione di porzione di fondo attiguo. Se nella costruzione di un edificio si
sconfina nel terreno attiguo, occupandone in buona fede una porzione, l’autorità giudi-
ziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell’edi-
ficio e del suolo occupato (a condizione che il proprietario di quest’ultimo non abbia fat-
to opposizione entro tre mesi dall’inizio della costruzione) 11. L’opera e il suo valore sono
riconosciuti prevalenti, insomma, sulle ragioni della proprietà del suolo (cui è conferita
preminenza, in sostanza, solo nel caso di una tempestiva interruzione dell’attività di rea-
lizzazione dell’opera stessa): il principio dell’incorporazione funziona qui, allora, in ter-
mini sostanzialmente inversi rispetto alla regola generale e per questo si parla corrente-
mente, al riguardo, di accessione invertita (l’opera, cioè, attrae la proprietà del suolo
su cui insiste).
Tale regola si applica solo ove sia una parte della costruzione ad occupare il fondo al-
trui (e non l’intera costruzione, applicandosi, in tal caso, invece, la regola dettata dall’art.
936 per la costruzione fatta con propri materiali sul suolo altrui). La parte in questione
deve essere essenziale per l’idoneità della costruzione realizzata a svolgere la sua funzione
(tale non sarebbe, ad es., un muro di cinta o un piazzale asservito alla costruzione per
migliorarne l’uso) 12. Occorre, poi, che l’occupazione sia avvenuta in buona fede. Prevale
l’opinione secondo cui, in questo caso, non operi la presunzione di buona fede prevista
dall’art. 1147 (in materia di possesso, ma con una portata ritenuta di carattere generale).
Il soggetto interessato all’acquisizione della proprietà del suolo occupato ha, quindi,
l’onere di provare la propria buona fede 13. Il costruttore, infine, è tenuto a pagare al pro-
prietario del suolo il doppio del valore del suolo occupato (con una soluzione considerata
– nonostante le sue radici storiche – da taluno ingiustificata), oltre il risarcimento dei
danni (ove il suolo residuo abbia subito un deprezzamento a seguito della sottrazione
della parte occupata) 14.
Alla prospettiva dell’accessione invertita si è ispirato (a partire dal 1983) un discusso –
ma via via consolidatosi (sia pure con successive precisazioni, con un progressivo abban-
dono, peraltro, dell’impostazione originaria) – indirizzo giurisprudenziale tendente ad
assicurare alla Pubblica Amministrazione l’acquisto della proprietà su beni immobili uti-
lizzati per scopi di interesse pubblico, in caso di occupazione illegittima (cioè, in assenza di
un provvedimento autorizzativo o nel caso in cui un tale provvedimento sia viziato e

11
L’attribuzione della proprietà avviene, su domanda del costruttore che abbia sconfinato, con una sen-
tenza costitutiva, a seguito di una valutazione, da parte del giudice, dell’apprezzabilità dei contrapposti inte-
ressi in gioco (come è chiarito dall’espressione “tenuto conto delle circostanze”).
12
Cass. 14-12-2012, n. 23018, puntualizza che la possibile “attribuzione al costruttore della proprietà del-
l’opera realizzata e del suolo si riferisce esclusivamente alla costruzione di un edificio, cioè di una struttura
muraria complessa idonea alla permanenza al suo interno di persone e di cose” (e non, quindi, di “opere di-
verse, quali un muro di contenimento o di divisione”: Cass. 16-9-2019, n. 22997).
13
Nel confermare che qui “la buona fede non è presunta, ma deve essere provata dal costruttore”, Cass.
10-1-2011, n. 345, si riferisce, ai fini della ricorrenza di “un ragionevole convincimento del costruttore di edi-
ficare sul proprio suolo”, “alla ragionevolezza dell’uomo medio” (e v. anche Cass. 12-4-2018, n. 9093).
14
L’orientamento nel senso di reputare “l’azione nascente dall’art. 938” esperibile anche “dallo stesso
proprietario del suolo occupato per ottenere il pagamento dell’indennità”, risulta avallato da Cass. 14-2-2017,
n. 3899, “in quanto il dominus soli abbia contemporaneamente domandato l’acquisto coattivo della proprietà
del suolo in favore del costruttore convenuto (ferma l’opzione per la demolizione da parte di quest’ultimo”).
594 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

successivamente annullato, ovvero quando, occupato d’urgenza un suolo privato per la


costruzione di un’opera, l’occupazione stessa sia diventata illegittima per scadenza dei
termini entro cui è prescritta l’emanazione del provvedimento definitivo di espropriazio-
ne). Si è parlato correntemente, al riguardo, di occupazione acquisitiva (o appropriati-
va) da parte della Pubblica Amministrazione, almeno fino al più recente tentativo di ri-
condurre la vicenda della occupazione sine titulo nell’alveo delle procedure ablative della
proprietà privata, di cui all’art. 423 Cost. Tale controversa problematica ha determinato la
necessità di ripetuti interventi del legislatore, anche a seguito di prese di posizione della
Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo 15.

15
A partire da una nota decisione (Cass., sez. un., 26-2-1983, n. 1464), la giurisprudenza ha ritenuto che
la proprietà dell’immobile illegittimamente occupato si acquisti (a titolo originario) alla pubblica amministra-
zione, a seguito della sua radicale trasformazione e della conseguente irreversibile destinazione all’opera pub-
blica (che vale ad estinguere il diritto di proprietà del privato): trattandosi di un comportamento illecito, al
privato spetta il risarcimento del danno, con prescrizione quinquennale. Tale indirizzo ha trovato recepimento
da parte del legislatore, al fine di regolarne il profilo economico. Un primo criterio riduttivo del risarcimento
del danno (L. 8.8.1992, n. 359 e L. 28.12.1995, n. 549) è stato reputato illegittimo da Corte cost. 2-11-1996, n.
369. Il legislatore è dovuto nuovamente intervenire, prima in via temporanea (L. 23.12.1996, n. 662), poi
dando vita ad un nuovo assetto normativo complessivo della materia (art. 43 D.P.R. 8.6.2001, n. 327, t.u. in
materia di espropriazione per pubblica utilità, intitolato alla “utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di
interesse pubblico”). Con tale normativa è stata prevista l’emanazione di un atto di acquisizione da parte della
P.A. e confermata espressamente la natura risarcitoria del credito del privato: l’ammontare del risarcimento
dovuto al proprietario è stato fissato, in via generale, “nella misura corrispondente al valore del bene utilizza-
to per scopi di pubblica utilità”. Cass., sez. un., 6-5-2003, n. 6853, ha concluso – anche in considerazione della
distinzione operata dalla stessa Cassazione tra occupazione appropriativa e occupazione usurpativa (ricorrente
quando nel comportamento della P.A. non sia ravvisabile l’esercizio di alcun potere amministrativo, data la
carenza, originaria o sopravvenuta, di una dichiarazione di pubblica utilità: v. Corte cost. 11-5-2006, n. 191),
con conseguenze differenti nei rapporti col privato – che l’istituto dell’occupazione appropriativa “si colloca in
un contesto di regole sufficientemente chiare, precise e prevedibili” circa la posizione del privato ed il risar-
cimento che gli compete, pure sotto il profilo della prescrizione (quinquennale), avendo esso, da tempo, an-
che “trovato previsione normativa espressa”: con ciò ritenendo superata la situazione che la Corte eur. dir.
uomo (30-5-2000) aveva considerato contrastare con la Conv. eur. dir. uomo (art. 1 del Protocollo addizionale
n. 1, relativo al “diritto al rispetto dei propri beni”). La Corte europea dei diritti dell’uomo, peraltro (6-3-2007),
ha continuato a reputare contraria alla Convenzione anche la nuova disciplina (introduttiva della c.d. acquisi-
zione sanante e considerata soddisfacente da Cons. Stato, ad. plen., 29-4-2005, n. 2) di questo tipo di “espro-
priazione indiretta” e ciò, al fondo, per non poter essere considerato ammissibile permettere alla “ammini-
strazione di trarre vantaggio dal suo comportamento illegale”. Sulla problematica è intervenuta, allora, Corte
cost. 24-10-2007, n. 349, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la disciplina della L. 662/1996, pre-
cedente a quella vigente di cui all’art. 43 D.P.R. 327/2001, concludendo con l’affermazione di principio che
“il giusto equilibrio tra interesse pubblico ed interesse privato non può ritenersi soddisfatto da una disciplina
che permette alla pubblica amministrazione di acquisire un bene in difformità dallo schema legale e di con-
servare l’opera pubblica realizzata, senza che almeno il danno cagionato, corrispondente al valore di mercato
del bene, sia integralmente risarcito”. Lo stesso art. 43 è stato, infine, dichiarato illegittimo da Corte cost.
8-10-2010, n. 293: pur risultando fondata tale dichiarazione sul contrasto con l’art. 76 Cost. (per avere il legi-
slatore delegato ecceduto i limiti della delega conferitagli), la Corte non manca di esprimere dubbi circa la
conformità del regime previsto ai principi della CEDU, evidenziando come “il legislatore avrebbe potuto …
disciplinare in modi diversi la materia, ed anche espungere del tutto la possibilità di acquisto connessa esclu-
sivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato, in analogia con altri ordinamenti
europei”. Il legislatore è intervenuto nuovamente con l’art. 34 D.L. 6.7.2011, n. 98, conv. in L. 15.7.2011, n.
111, introducendo l’art. 42 bis nel D.P.R. 327/2001. Si prevede la possibilità di un provvedimento di acquisi-
zione, solo, però, a seguito di una valutazione della ricorrenza di “attuali ed eccezionali ragioni di interesse
pubblico”, comparativamente con gli interessi del proprietario alla restituzione del bene (ed in “assenza di
ragionevoli alternative”), con il riconoscimento di un indennizzo in misura pari al valore venale del bene, au-
mentato del dieci per cento o, in alcuni casi, del venti per cento (a titolo di liquidazione forfetaria del pregiu-
CAP. 2 – ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ 595

dizio non patrimoniale; forfetariamente – nella misura del cinque per cento sul valore determinato del bene –
è anche indennizzato, “se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno”, il
pregiudizio conseguente alla pregressa occupazione senza titolo). Un simile modo di acquisizione – comun-
que non retroattiva (il passaggio del diritto di proprietà restando sospensivamente condizionato al pagamen-
to delle somme dovute o al loro deposito) – del bene dovrebbe assumere, così, pure per la sua onerosità per
la pubblica amministrazione, un carattere eccezionale. Anche alla luce della nuova disciplina (oltre che della
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo), Cass. 14-1-2013, n. 705, ha ritenuto definitiva-
mente da superare il “principio”, pur fino a tempi recenti ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, “se-
condo cui l’occupazione appropriativa per fini di pubblica utilità non seguita da espropriazione determina,
comunque, l’acquisto della proprietà, in capo alla P.A., dell’area occupata per effetto della realizzazione
dell’opera pubblica” (essendo “la realizzazione dell’opera pubblica in sé un mero fatto, non idoneo ad as-
surgere a titolo dell’acquisto”). Di fronte al carattere illecito dello spossessamento ed alla conseguente
inammissibilità dell’acquisto dell’area da parte della P.A. (“anche quando vi sia stata dichiarazione di pub-
blica utilità”), Cass., sez. un, 19-1-2015, n. 735, ha ribadito che “il privato ha diritto a chiederne la restitu-
zione salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno”. Peraltro, Cass.,
sez. un., ord. 13-1-2014, n. 441, ha sollevato questione di legittimità costituzionale pure sulla nuova disci-
plina, reputando l’introdotto meccanismo di “procedimento espropriativo semplificato” – particolarmente
in relazione alla discrezionalità lasciata alla stessa P.A. circa la scelta tra la restituzione del bene o il relativo
acquisto – ancora lesivo della garanzia di cui all’art. 42 Cost. (anche relativamente alla natura ed ai criteri di
liquidazione del previsto “indennizzo”). La questione è stata giudicata infondata da Corte cost. 30-4-2015,
n. 71: rilevato trattarsi di “un istituto diverso da quello precedentemente disciplinato dall’art. 43” e tale da
consentire “una tutela giurisdizionale parzialmente ‘conformata’, in modo da garantire comunque un serio
ristoro economico”, la Corte ha ritenuto delineata dalla norma “una procedura espropriativa”, data la pecu-
liarità della “situazione fattuale chiamata a risolvere”, “eccezionale”, la quale, “sebbene necessariamente
‘semplificata’ nelle forme, si presenta ‘complessa’ negli esiti”, “l’adozione del provvedimento acquisitivo”
presupponendo “una valutazione comparativa degli interessi in conflitto” e risultando “consentita esclusi-
vamente allorché costituisca l’‘extrema ratio’ per la soddisfazione di attuali ed eccezionali ragioni di interes-
se pubblico”, al fine proprio di “eliminare definitivamente il fenomeno delle ‘espropriazioni indirette’”
(sempre assistita, comunque, da uno “stringente obbligo motivazionale”, in ordine al non presentarsi “ra-
gionevolmente possibile la restituzione, totale o parziale, del bene, previa riduzione in pristino”). L’intera
vicenda è stata ripercorsa da Cons. Stato, sez. IV, 7-11-2016, n. 4636 (sulle tracce di Cons. Stato, ad. plen.,
9-2-2016, n. 2), evidenziando come l’“illecito permanente” in cui si risolve la condotta dell’amministratore
venga a cessare – con la conseguenza che ne derivano sul piano della “determinazione del quantum del ri-
sarcimento” – anche a seguito “della rinuncia abdicativa da parte del proprietario implicita nella richiesta di
risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte dell’irreversibile trasformazione del fondo” (per
la problematica della rinuncia abdicativa, VI, 1.2). E, “qualora il privato abdichi alla proprietà, il risarcimen-
to del danno da mancato godimento del bene può essere chiesto per il periodo compreso tra l’inizio
dell’occupazione e la proposizione della domanda risarcitoria che segna la perdita della proprietà” (Cass.
24-5-2018, n. 12961). Circa il carattere di danno in re ipsa di quello conseguente all’occupazione illegittima
di un immobile (da quantificare “in base all’integrale valore di mercato del bene”: Cass. 7-9-2020, n. 18584)
v., diversamente, Cass. 6-8-2018, n. 20545 (in senso favorevole) e Cass. 25-5-2018, n. 13071 (in senso con-
trario). Al riguardo, in un’ottica compromissoria, Cass. 20-11-2018, n. 29990 ha preferito parlare di “una
presunzione iuris tantum” (e sostanzialmente in tal senso, con precisazioni, Cass. 7-7-2020, n. 18566). Peral-
tro, un radicale mutamento di prospettiva risulta impresso ora alla materia da Cons. Stato, ad plen., 20-1-2020,
nn. 2 e 4. Facendo leva sulle indubbie problematicità della soluzione da ultimo accennata, in quanto ten-
dente ad “attribuire al privato una sorta di diritto potestativo direttamente ricadente nella sfera giuridica
dell’amministrazione”, si è concluso nel senso che “la rinuncia abdicativa del proprietario” non sia strumen-
to atto a far cessare l’“illecito permanente dell’occupazione sine titulo”. L’unica soluzione possibile viene,
allora, individuata nella piena – e non surrogabile – operatività del meccanismo di cui all’art. 42 bis, nella
sua configurazione di “procedimento ablatorio sui generis”, ma, comunque, atto ad inserirsi nel quadro
dell’art. 423 Cost., dovendo essere rimessa sempre all’amministrazione, nell’ottica dell’esercizio di un suo
“potere-dovere” (“in ordine alla scelta finale, all’esito della comparazione degli interessi”), “il potere di va-
lutare se apprendere il bene definitivamente” (ovviamente, “sulla base degli stringenti criteri motivazionali
delineati dal 4° comma dell’art. 42 bis” e “verso la corresponsione dell’indennizzo parametrato ai criteri
stabilito nel 1° comma”), “o restituirlo al privato” (“con salvezza, in entrambe le ipotesi, del diritto al risar-
596 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

5. Unione e commistione. Specificazione. Accessioni fluviali. – Nella prospettiva


più ampia dell’accessione, accennata all’inizio del paragrafo precedente, l’art. 939 disci-
plina, alludendo all’unione e commistione, il fenomeno dell’accessione di mobile a
mobile. Se cose (mobili) appartenenti a diversi proprietari sono state unite o mescolate,
in modo da formare un sol tutto, ma sono separabili senza notevole deterioramento, cia-
scuno conserva la proprietà della sua cosa e ha diritto a chiederne la separazione. Se le
cose sono diventate inseparabili, la proprietà ne diventa comune in proporzione al valore
delle cose spettanti a ciascuno (art. 9391). È da rilevare che la commistione, caratterizzata
dalla perdita di identità delle cose, determina sempre l’inseparabilità (uova, farina e zuc-
chero in un dolce). L’unione, invece, lasciando sussistere l’identità delle cose, può de-
terminare una situazione di separabilità (pietra preziosa e anello) o di inseparabilità (in-
fisso e vernice).
La regola esposta non opera se una delle cose può essere considerata principale o vi è
una notevole sproporzione di valore tra le cose: in tal caso il proprietario della cosa prin-
cipale acquista la proprietà del tutto. Il proprietario della cosa principale deve corri-
spondere un indennizzo pari al valore della cosa che vi è unita o mescolata. Se, però,
l’unione o la mescolanza sia avvenuta senza il suo consenso ad opera del proprietario
della cosa unita o mescolata, l’indennizzo è pari alla somma minore tra l’aumento di va-
lore della cosa principale ed il valore della cosa accessoria (art. 9392).
Il codice ha disciplinato anche l’ipotesi della trasformazione della cosa ad opera del-
l’uomo. L’art. 940 parla, al riguardo, di specificazione. Se taluno ha adoperato una mate-
ria altrui per dar vita ad una cosa nuova, ne acquista la proprietà pagandone il prezzo al
proprietario, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente il valore della mano
d’opera. Solo in tal caso la proprietà della cosa, quale risultante dalla trasformazione del-
la materia che gli apparteneva, spetta al proprietario di quest’ultima, il quale deve pagare
il prezzo della mano d’opera. La disciplina del fenomeno risulta coerente con la valoriz-
zazione del lavoro produttivo 16: è esso, infatti, ad attribuire alla materia, trasformandola,

cimento dei danni per il periodo dell’occupazione illegittima e degli eventuali danni ulteriori”). Di conse-
guenza, per il privato inciso, escluso “il ricorso ad un istituto di natura prettamente privatistica, limitativo e
derogatorio all’istituto dell’art. 42 bis” (“di chiara matrice pretoria”), l’unica via aperta resta quella di “com-
pulsare la pubblica amministrazione, attraverso una correlativa istanza-diffida, all’esercizio del potere-dove-
re di porre comunque termine alla situazione di illecito permanente costituita dall’occupazione senza titolo
e di ricondurla a legalità” (azionando, se del caso, “lo strumentario processuale efficace per reagire all’inerzia
della pubblica amministrazione”). Anche a fronte della continuità dell’orientamento ora contestato nella giu-
risprudenza della Cassazione (da ultimo, Cass. 19-2-2020, n. 4252 e 18566/2020), una simile presa di posizio-
ne (pur dichiarandosi con essa “offerta al privato una tutela celere, concentrata e definitiva dell’interesse le-
so”), sarà chiamata, prevedibilmente, a confrontarsi con dubbi di legittimità costituzionale e di effettiva ade-
renza – rimettendo, in buona sostanza, proprio allo stesso autore del comportamento illecito ogni decisione –
ai rilievi in precedenza avanzati dalla Corte eur. dir. uomo. Cass., sez. un., 20-7-2021, n. 20691, acclarata la
“natura intrinsecamente indennitaria del credito vantato dal proprietario del bene e globalmente inteso dal
legislatore, come un unicum non scomponibile nelle diverse voci”, ha confermato la generale competenza del
giudice ordinario per “le controversie sulla determinazione e corresponsione dell’indennizzo dovuto” ai sensi
dell’art. 42 bis (anche, quindi, con riferimento a quanto spettante per la pregressa occupazione senza titolo: la
determinazione di una simile indennità “nella misura del cinque per cento sul valore venale del bene
all’attualità” non viene reputata, comunque, “foriera di un deficit di tutela per le parti, avendo il legislatore
previsto una clausola di salvaguardia che fa salva la prova di una diversa entità del danno”).
16
Non a caso, l’art. 468 cod. civ. 1865, nel quadro della generale valorizzazione della proprietà che ca-
ratterizzava il codice stesso, adottava la soluzione inversa (prevalendo, quindi, la prestazione della mano
CAP. 2 – ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ 597

la qualità di cosa nuova (onde solo se il valore della materia sia notevolmente superiore a
quello della mano d’opera impiegata la proprietà della prima prevale sul riconoscimento
del lavoro) 17.
L’accessione di immobile ad immobile è stata disciplinata dal codice – secondo
una tradizione che affonda le sue radici nel diritto romano e che attesta la rilevanza che
hanno, da sempre, avuto da noi i fenomeni idrogeologici – con riferimento alle c.d. ac-
cessioni fluviali. La materia è stata, peraltro, radicalmente innovata dalla L. 5.1.1994, n.
37, la quale ha attratto nella sfera del demanio pubblico, nella prospettiva di una più effi-
ciente salvaguardia ambientale, taluni degli incrementi del suolo conseguenti all’azione
dell’acqua sul suolo.
Hanno ancora riflessi sulla proprietà privata, determinandone l’acquisto: l’alluvione,
consistente nelle unioni di terra e negli incrementi che si formano progressivamente e
impercettibilmente nei fondi rivieraschi di fiumi e torrenti (attribuiti, di regola, al pro-
prietario del fondo: art. 941); l’abbassamento del livello di laghi e stagni che lasci sco-
perti terreni (la cui proprietà viene riconosciuta ai proprietari del lago o dello stagno:
art. 943); l’avulsione, che consiste nel distacco, causato dalla corrente, di una parte
considerevole e riconoscibile di un fondo rivierasco e nel relativo trasporto altrove (la
proprietà ne è acquistata dal proprietario del fondo cui si è unita la parte staccata, il
quale deve pagare al proprietario del fondo che ha subito l’avulsione un’indennità nel-
la misura del maggior valore conseguito dal proprio fondo: art. 944). Appartengono al
demanio pubblico: i terreni abbandonati dalle acque correnti che insensibilmente si riti-
rano da una riva portandosi sull’altra (come pure i terreni abbandonati da mare, laghi,
lagune e stagni appartenenti al demanio pubblico: art. 942); le isole e le unioni di terra
che si formano nel letto di fiumi o torrenti (art. 945); l’alveo abbandonato da fiumi e
torrenti (art. 946).

6. Azioni a difesa della proprietà. Azione di rivendicazione. – Il codice disciplina,


nello stesso capo, quattro azioni: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria, l’azione di
regolamento di confini, l’azione per apposizione di termini. Tali azioni – tendenti a garan-
tire le prerogative connesse alla titolarità del diritto – sono definite azioni petitorie, in
contrapposizione alle azioni a difesa del possesso (azioni possessorie). Esse sono azioni
reali, in quanto caratterizzate dalla esperibilità nei confronti di chiunque interferisca –
impedendolo, contestandolo od ostacolandolo – con l’esercizio del diritto reale sulla co-
sa. Come tali si distinguono dalle azioni personali, che competono al titolare di un diritto
di credito nei confronti del solo soggetto passivo, ove costui non tenga il comportamento
attraverso cui si realizza l’interesse del primo 18. Vi sono, poi, due azioni riconosciute al

d’opera sulla proprietà della materia solo se tale “da sorpassare di molto il valore della materia adoperata”:
art. 470).
17
Si tende a ritenere che la specificazione produca l’effetto acquisitivo che gli è proprio indipendentemen-
te dalla buona fede e dalla consapevolezza (e, a maggior ragione, dalla volontarietà) della trasformazione della
materia altrui. L’attività umana sarebbe qui da prendere in considerazione solo quale forza materiale modifica-
trice dello stato delle cose preesistente e, quindi, come fatto giuridico in senso stretto.
18
Dubbio, peraltro, è diffusamente considerato, come si avrà modo di vedere, il carattere reale dell’azione
di apposizione di termini (VI, 2.7). Carattere petitorio e reale ha anche l’azione confessoria, prevista a tutela dei
diritti reali di godimento su cosa altrui (VI, 3.1).
598 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

proprietario, al titolare di altro diritto reale di godimento su cosa altrui e al possessore: la


denunzia di nuova opera e la denunzia di danno temuto (azioni di nunciazione).
Fondamentale è l’azione di rivendicazione (rei vindicatio), disciplinata dall’art. 948.
Essa può essere esercitata dal proprietario nei confronti di chiunque possieda o detenga
la cosa, al fine di ottenerne la restituzione: come tale, essa rappresenta il prototipo del-
l’azione reale. Legittimato attivo è il proprietario che non sia in possesso del bene e og-
getto dell’azione (c.d. petitum) è la condanna del convenuto (l’attuale possessore o de-
tentore) 19 alla restituzione della cosa (posseduta o detenuta illegittimamente), previo ac-
certamento del diritto di proprietà dell’attore 20.
L’azione di rivendicazione è dichiarata imprescrittibile (art. 9483). Il codice, dunque,
non sancisce esplicitamente il principio per cui la proprietà non si perde per inerzia del
titolare, ma qualifica espressamente come imprescrittibile l’azione diretta al recupero, da
parte del proprietario, delle sue prerogative rispetto al bene: con ciò, allora, indiretta-
mente risultando sancita l’imprescrittibilità del diritto di proprietà, dato che una delle re-
lative facoltà essenziali è rappresentata proprio dall’esperibilità dell’azione in questione.
Il codice avverte, comunque, che, se l’azione di rivendicazione non si prescrive, ciò non
esclude che altri possa acquistare per effetto del proprio possesso la proprietà per usuca-
pione, prevalendo, di conseguenza, sul proprietario persistentemente inerte.
L’art. 9481 precisa anche che, se il convenuto, dopo la domanda (e, quindi, nel corso
del giudizio), abbia cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa (cercando
di sottrarsi all’obbligo di restituzione, ad es., cedendola ad altri), l’azione può essere pro-
seguita nei suoi confronti e costui resta obbligato a recuperare la cosa stessa a proprie
spese per l’attore o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il dan-
no. Se, peraltro, il proprietario riesce a conseguire ugualmente la restituzione della cosa
direttamente dal nuovo possessore o detentore, è tenuto a restituire al precedente posses-
sore o detentore (contro cui aveva agito) la somma ricevuta in luogo di essa (art. 9482).
Come si è dianzi accennato (VI, 2.1), la prova richiesta all’attore per la dimostrazione
della proprietà si presenta difficile, almeno ove costui non possa dimostrare di avere acqui-
stato a titolo originario. La dimostrazione di un proprio valido acquisto a titolo derivativo
(ad es., per contratto o testamento) non è sufficiente, dati i ricordati limiti caratterizzanti
tale tipo di acquisto: occorre, perciò, provare che, a sua volta, il dante causa abbia valida-
mente acquistato da altri, e così via, risalendo fino ad un soggetto che abbia acquistato a
titolo originario, cui riferire (e da cui far partire) la serie dei successivi (eventualmente nu-

19
Rilevante è solo che il soggetto contro cui si agisce sia attualmente possessore o detentore della cosa: co-
stui potrà o meno opporre l’esistenza di un titolo alla base della sua situazione possessoria, ben potendosi
anche limitare a far valere il proprio possesso in quanto tale (gravando in ogni caso sull’attore la dimostrazio-
ne del suo diritto di proprietà, con la conseguente illegittimità del possesso del convenuto).
20
Il proprietario può anche agire non per ottenere la restituzione della cosa, ma solo per rimuovere
una situazione di incertezza sulla titolarità del diritto, con un’azione di (mero) accertamento della proprietà.
In tal caso, la giurisprudenza, ove l’attore abbia insomma il possesso della cosa (ma non si tratti di “posses-
so acquistato con violenza o clandestinità, ovvero sulla cui legittimità sussista uno stato di obiettiva e seria
incertezza”: Cass. 30-12-2011, n. 30606), lo ritiene “esonerato dall’onere della prova richiesta per la riven-
dicazione” (e tenuto, quindi, solo ad “allegare e provare il titolo del proprio acquisto”: Cass. 14-4-2005, n.
7777), “perché tale azione tende non già alla modifica di uno stato di fatto, ma solo alla eliminazione di
uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito” (Cass.
9-6-2000, n. 7898).
CAP. 2 – ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ 599

merosi) trasferimenti (c.d. probatio diabolica) 21. L’ordinamento, comunque, facilita il com-
pito di chi intende dimostrare il proprio diritto di proprietà, consentendo di far valere,
quale modo di acquisto a titolo originario, l’intervenuta usucapione: ciò attraverso l’invo-
cazione della successione nel possesso e dell’accessione del possesso (VI, 5.3), così da creare
una continuità del possesso stesso – col conseguente cumulo dei periodi di relativo eserci-
zio da parte dei successivi possessori – ai fini del completamento del tempo necessario per
maturarla (ventennale o, in presenza delle richieste condizioni, decennale. Per i beni mobi-
li l’onere probatorio risulta meno gravoso, per la possibile invocazione delle conseguenze
dell’acquisto in buona fede del possesso, ai sensi dell’art. 1153) (VI, 5.6-7).
È da tenere presente come l’accertamento della qualità di proprietario e la condanna
alla restituzione siano inopponibili a chi abbia conseguito il possesso o la detenzione suc-
cessivamente alla domanda (restando sempre salvo il ricordato obbligo del convenuto di
recuperare la cosa o pagarne il valore). L’attore, però, ove si tratti di proprietà avente ad
oggetto un bene immobile, potrà conseguire una simile opponibilità attraverso la trascri-
zione della domanda di rivendicazione (art. 2653, n. 1), assicurandosi, così, che la senten-
za produca effetto pure nei confronti dei terzi aventi causa dal convenuto successiva-
mente alla trascrizione stessa.
Se la domanda non viene accolta (in particolare, per non essere stata ritenuta rag-
giunta la prova della proprietà), essa potrà essere successivamente riproposta anche nei
confronti dello stesso convenuto (adducendo nuove prove). La sentenza, infatti, non è
diretta ad accertare – e non vale a costituire giudicato sul punto – la legittimità del pos-
sesso (del convenuto), ma l’esistenza del diritto di proprietà (dell’attore).

7. Altre azioni a tutela della proprietà. – Al proprietario spetta anche l’azione nega-
toria. Egli può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa,
quando abbia motivo di temerne pregiudizio (art. 9491). Se sussistono anche turbative o
molestie, ne può chiedere la cessazione, oltre l’eventuale risarcimento del danno (art. 9492) 22.
Essa, dunque, è esperibile (esclusivamente) contro chi affermi sulla cosa un diritto reale
di godimento su cosa altrui (negatoria servitutis) 23. Si tratta essenzialmente di un’azione
di accertamento (negativo), il cui oggetto, peraltro, può eventualmente ampliarsi a finalità

21
Si ritiene che il rigore di un simile principio risulti “attenuato in caso di mancata contestazione da parte
del convenuto dell’originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, ben potendo in tale ipotesi il
rivendicante assolvere l’onere probatorio su di lui incombente limitandosi a dimostrare di avere acquistato
tale bene in base ad un valido titolo di acquisto” (Cass. 5-11-2010, n. 22598). Comunque, “la prova della
proprietà dei beni immobili non può esser fornita con la produzione dei certificati catastali, i quali sono solo
elementi sussidiari in materia di regolamento di confini ai sensi dell’art. 950” (Cass. 4-3-2011, n. 5257).
22
È da ricordare come essa si ritenga competere non esclusivamente al proprietario, ma anche all’enfiteuta
e all’usufruttuario (art. 10122, secondo cui egli deve, comunque, chiamare in giudizio il proprietario). Al “tito-
lare di un diritto reale di godimento sul fondo servente diverso da quello di proprietà” allude Cass. 15-5-2018, n.
11823.
23
Cass. 29-5-2001, n. 7277, precisa che l’azione “non soccorre il proprietario del bene nell’ipotesi in cui,
ancorché si verifichi una molestia o un turbamento del possesso o godimento del bene medesimo, la turbativa
non si sostanzi in una pretesa di diritto sulla cosa” (così anche Cass. 5-12-2018, n. 31382). Comunque, l’azione
è esperibile anche in assenza “di atti materialmente lesivi della proprietà dell’attore … a fronte di inequivoche
pretese reali affermate dalla controparte sulla stessa”, onde “far chiarezza al riguardo con l’accertamento del-
l’infondatezza di dette pretese” (Cass. 8-3-2010, n. 5569). Si esclude correntemente che essa possa essere espe-
rita nei confronti di chi si presenti come titolare di un diritto di godimento di natura personale.
600 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

di tipo inibitorio (in relazione ai comportamenti lesivi) e ripristinatorio (come la elimina-


zione delle opere lesive) 24.
L’azione è imprescrittibile. La prova non è rigorosa come quella richiesta in materia di
rivendicazione, bastando che l’attore fornisca la dimostrazione del proprio diritto sulla
base di un valido titolo di acquisto (anche di carattere derivativo). Sarà il convenuto, ove
intenda far valere la titolarità di un diritto limitativo di quello dell’attore (e da lui dimo-
strato), a dover fornire – secondo i principi generali in tema di distribuzione dell’onere
della prova (art. 26972) – la prova dell’esistenza del suo preteso diritto 25.
In caso di incertezza del confine tra due fondi, ciascuno dei proprietari può chie-
dere che il confine stesso sia fissato giudizialmente (art. 9501). Si tratta dell’azione di re-
golamento di confini (actio finium regundorum), che è anch’essa un’azione reale e impre-
scrittibile, con natura dichiarativa e ricognitiva 26. Essa presuppone, quindi, l’incertezza
del confine (che può riguardare o meno una zona di terreno ben delimitata di cui sia in-
certa l’appartenenza) 27. L’azione in questione si distingue, quindi, da quella di rivendi-
cazione, in quanto la contestazione non verte sul diritto di proprietà di ciascuno dei
proprietari dei fondi finitimi, ma sulla delimitazione dei rispettivi fondi, in dipendenza di
una situazione di relativa incertezza (oggettiva o soggettiva) 28.
Ogni mezzo di prova risulta ammesso (art. 9502). Ci si è riferiti, in proposito, a testimo-
nianze in ordine alla pregressa esistenza di termini o a consuetudini circa la reciproca posi-
zione dei fondi. In mancanza di altri elementi, il giudice si attiene – quale prova, dunque, di
natura solo sussidiaria – al confine delineato nelle mappe catastali (art. 9503) 29. Quella in
esame è un’azione duplice, nella quale, cioè, entrambe le parti hanno reciprocamente l’onere

24
Alla possibile “condanna alla trasformazione o demolizione dell’opera”, allude Cass. 31-12-2014, n. 27564.
È da sottolineare come, a differenza che con l’azione (possessoria) di manutenzione (VI, 5.8), l’attore ottenga
qui una tutela definitiva, in quanto non limitata alla conservazione della sua situazione possessoria, ma fonda-
ta sull’accertamento del suo diritto.
25
Per l’attore, infatti, “l’azione non mira all’accertamento dell’esistenza della titolarità della proprietà, ma
a chiedere la cessazione dell’attività lesiva, mentre al convenuto incombe l’onere di provare l’esistenza del
diritto di compiere tale attività” (Cass. 27-12-2004, n. 24028; 15-10-2014, n. 21851; 28-3-2019, n. 8694).
26
Si ritiene che tale azione spetti, oltre cha al proprietario, a chiunque agisca come titolare di un diritto
reale di godimento su cosa altrui (enfiteusi, servitù, usufrutto, uso).
27
Si parla, al riguardo, secondo la ricostruzione storica della figura, di actio finium regundorum qualificata,
in contrapposizione a quella simplex, ricorrente, invece, ove la contestazione non concerna una zona di terre-
no determinata.
28
Viene sottolineato che “la natura dell’azione non muta per il fatto che l’attore chieda il rilascio dell’area di
sua proprietà occupata dal convenuto”, essendo “l’effetto recuperativo una conseguenza dell’accertamento
del confine” (9-10-2006, n. 21686; 8-3-2010, n. 5569; 22-2-2011, n. 4288, che ne trae la conseguenza del non
costituire domanda nuova la richiesta di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in caso di “opere illegit-
timamente realizzate dal convenuto nella porzione di terreno posseduta senza alcun titolo”; Cass. 28-3-2019,
n. 8693, parla di un “intrinseco effetto recuperatorio” dell’azione). Dalla diversa natura delle due azioni (ri-
vendica e regolamento di confini) deriva la conseguenza che solo in caso di “conflitto tra i rispettivi titoli di
proprietà … sull’attore incombe l’onere di fornire la prova del suo diritto di proprietà in forza di un titolo di
acquisto originario” (Cass. 24-4-4-2018, n. 10066).
29
Si precisa che, peraltro, “qualora si tratti di fondi appartenenti originariamente come unico appezza-
mento ad un solo proprietario, deve necessariamente farsi riferimento agli atti di frazionamento allegati ai
contratti di vendita o di divisione” (e, in caso di risultanze discordanti, “al confine indicato nel tipo di frazio-
namento indicato nel titolo di acquisto formatosi e trascritto in epoca più risalente”): Cass. 23-6-2020, n.
12322.
CAP. 2 – ACQUISTO E TUTELA DELLA PROPRIETÀ 601

di provare la rispettiva estensione dei fondi, indipendentemente, insomma, da quale dei


proprietari abbia, in concreto, preso l’iniziativa tendente a rimuovere la situazione di incer-
tezza (non si applica, quindi, il principio per cui actore non probante reus absolvitur).
Mentre con l’azione in precedenza esaminata si tende ad eliminare una situazione di
incertezza in ordine ai confini dei fondi, con l’azione di apposizione di termini ciascuno
dei proprietari, se tra i fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili i termini,
ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni (art. 951). Essa
presuppone, quindi, la certezza dei confini, ma la mancanza attuale di segni (cippi, pali,
siepi, reti metalliche) che li attestino con chiarezza (evidentemente al fine di evitare futu-
re incertezze e contestazioni) 30.
È anch’essa considerata (pur se non concordemente) un’azione duplice, in quanto
può essere intentata indifferentemente da uno qualunque dei proprietari dei fondi conti-
gui e l’interesse che tende a soddisfare è comune (onde la suddivisione a metà delle spe-
se per l’apposizione dei termini). Discussa è la natura di tale azione. Si ritiene diffusa-
mente che essa abbia carattere personale, tendendo semplicemente a costringere il vicino
a partecipare alla spesa necessaria per l’apposizione dei termini. Si è rilevato, peraltro, a
supporto del suo carattere reale, che il proprietario, prendendone l’iniziativa, esercita
una facoltà insita nel suo diritto di proprietà (quella, cioè, che venga assicurata una visi-
bile e certa delimitazione dei fondi, al cui esercizio consegue il sorgere dell’obbligo
dell’altro proprietario di contribuirvi paritariamente). La competenza per materia spetta
attualmente al giudice di pace (art. 71, n. 1, c.p.c.).

8. Azioni di nunciazione. – Come accennato, le azioni di nunciazione competo-


no al proprietario (pur se non si trovi nel possesso del bene), al titolare di altro diritto
reale di godimento su cosa altrui e al possessore (ma, almeno secondo l’opinione dominan-
te, non al detentore). Tali azioni sono due: denunzia di nuova opera e denunzia di danno
temuto. Sono azioni cautelari, indirizzate, cioè, a prevenire il pericolo di danni derivanti
da opere intraprese o da cose esistenti su altri fondi.
Quanto alla denunzia di nuova opera, chi abbia ragione di temere che da una nuova
opera (come costruzioni, demolizioni, scavi), intrapresa da altri su un fondo proprio o
altrui, sia per derivare danno ad una sua cosa può denunziare all’autorità giudiziaria la
nuova opera, purché questa non sia terminata e non sia trascorso un anno dal suo inizio
(art. 11711). Non occorre, dunque, che il realizzarsi del danno sia certo, considerandosi
sufficiente un timore ragionevole che esso si verifichi 31.
A seguito di una sommaria cognizione della situazione, l’autorità giudiziaria può
vietare la continuazione dell’opera, ovvero permetterla, prescrivendo, in ogni caso, le
cautele che ritenga opportune (art. 11712). Si ritiene che, con ciò, il legislatore alluda
alla prestazione di una cauzione pecuniaria da parte di chi abbia avuto provvisoriamen-
te ragione, così da garantire la controparte nel caso che, nel prosieguo, siano ricono-

30
Secondo Cass. 30-4-2014, n. 9512, tale azione presupponendo la certezza del confine, “implicitamente
contiene l’azione di regolamento del confine, e in questa si modifica, ove, per le eccezioni del convenuto, in-
sorga contrasto circa la linea di confine, lungo la quale i termini devono essere apposti”.
31
L’azione può essere proposta “anche con riferimento ad opere che, pur non immediatamente lesive,
siano suscettibili di essere ritenute fonte di un futuro danno in forza dei caratteri obiettivi che potrebbero
assumere se condotte a termine” (Cass. 30-11-2012, n. 21491).
602 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

sciute le sue ragioni (nel caso di sospensione, quindi, a carico di chi abbia agito, per il
risarcimento del danno eventualmente derivante al convenuto in dipendenza della so-
spensione stessa, qualora le ragioni della denunzia si rivelino infondate nella decisione
definitiva; nel caso di autorizzazione alla continuazione, invece, a carico del convenu-
to, per la demolizione o riduzione dell’opera e per il risarcimento del danno che ne
soffra il denunziante, se costui ottenga una sentenza favorevole, nonostante la permes-
sa continuazione) (art. 11712).
Con la denunzia di danno temuto, chi abbia ragione di temere che da qualsiasi edifi-
cio, albero o altra cosa derivi il pericolo di un danno grave e prossimo (che l’evento temu-
to possa, cioè, verificarsi da un momento all’altro) ad una sua cosa può denunziare il fat-
to all’autorità giudiziaria e ottenere, secondo le circostanze, che si provveda per ovviare
al pericolo (art. 11721) 32. Tale azione non presuppone, cioè, come la precedente, un’at-
tività di trasformazione della situazione dei luoghi, bensì una situazione dei luoghi dalla
quale si ha ragione di temere un danno, ove non si intervenga su di essa 33.
Il giudice dispone qui di poteri più ampi, avendo una estesa discrezionalità nella scel-
ta delle misure reputate maggiormente idonee a far cessare la situazione di pericolo (an-
che, ad es., abbattimenti e demolizioni). Non è posto alcun termine per la esperibilità del-
l’azione in questione, la quale può, quindi, essere esercitata finché perduri il pericolo che
ne costituisce il presupposto. È anche previsto che l’autorità giudiziaria, qualora ne sia il
caso, possa disporre idonea garanzia per i danni eventuali che il denunziante potrebbe
subire (art. 11722).
Le azioni di nunciazione si caratterizzano per la presenza di due fasi. La prima ha ca-
rattere cautelare (in quanto rivolta ad assicurare gli effetti della futura decisione con l’e-
manazione di provvedimenti provvisori e urgenti), mentre la seconda, di merito (tendente
ad accertare l’esistenza o meno dei presupposti della situazione giuridica per cui sia stato
chiesto l’intervento cautelare del giudice), distinta dalla prima, potrà essere di natura pe-
titoria o possessoria, a seconda della natura della situazione giuridica dedotta in giudizio
a fondamento dell’azione 34.

32
La condizione dell’azione “non deve individuarsi in un danno certo o già verificatosi, bensì anche nel
(solo) ragionevole pericolo che il danno si verifichi” (Cass. 28-5-2004, n. 10282).
33
Come evidenzia Cass. 9-10-1997, n. 9783, “l’azione di danno temuto postula un rapporto di cosa a cosa,
nel senso che il fondo altrui deve costituire pericolo per quello proprio”.
34
Per Cass. 5-7-1999, n. 6950, “le azioni di nunciazione (artt. 1171 e 1172 c.c.), che possono avere natura
possessoria o petitoria, si articolano in una prima fase di natura cautelare, che si esaurisce con il provvedi-
mento provvisorio, ed in una seconda che si svolge secondo le regole di un ordinario giudizio di cognizione”
(di “natura petitoria o possessoria a seconda che la domanda risulti volta a perseguire la tutela della proprietà
o del possesso”: Cass. 26-1-2006, n. 1519). Si precisa che, esauritasi la fase cautelare, “il successivo processo
di cognizione richiede un’autonoma domanda di merito” (Cass. 31-8-2018, n. 21491).
CAPITOLO 3
DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI

Sommario: 1. La categoria. La tutela. – 2. Superficie. – 3. Enfiteusi. – 4. Usufrutto. – 5. Uso e abitazio-


ne. – 6. Servitù prediali. Caratteri e tipologia. – 7. Servitù coattive (o legali). – 8. Servitù volontarie. –
9. Usi civici e proprietà collettive. – 10. Oneri reali.

1. La categoria. La tutela. – Si è visto come, nel quadro dei diritti assoluti, la catego-
ria dei diritti reali valga ad abbracciare, da una parte, la proprietà, dall’altra, i diritti reali
su cosa altrui, relativamente ai quali si distingue, poi, a seconda del tipo di interesse tute-
lato, tra diritti reali di godimento e diritti reali di garanzia (II, 3.5). I primi conferiscono al
titolare la possibilità di esercitare sulla cosa di proprietà di altri facoltà di godimento che
tipicamente rientrano nel contenuto del diritto di proprietà, di cui, conseguentemente,
determinano una compressione. I secondi (pegno, ipoteca), invece, conferiscono al credi-
tore che ne sia titolare il diritto di essere soddisfatto, con preferenza rispetto agli altri
creditori, sul valore del bene oggetto del relativo diritto (il loro approfondimento, quin-
di, trova più opportuna collocazione nel contesto dello studio degli strumenti che l’ordi-
namento pone a disposizione del creditore per assicurare la realizzazione del suo interes-
se: VII, 6.4 ss.).
È con riferimento al diritto di proprietà (e in contrapposizione al suo carattere di
pienezza), col quale vengono a concorrere nello sfruttamento delle utilità che il bene ri-
sulta atto ad offrire, che i diritti reali di godimento su cosa altrui – in quanto conferisco-
no al relativo titolare solo talune determinate facoltà di godimento – sono correntemente
definiti come diritti reali limitati o parziari. Soprattutto tale ultima qualificazio-
ne, invero, potrebbe far credere che, a seguito della loro costituzione, una parte delle
facoltà in cui si articola il contenuto della proprietà venga da essa scorporata e trasferita
al titolare del nuovo diritto. In realtà, la proprietà, pur in presenza di simili diritti, con-
serva inalterata la sua essenza, come risulta attestato dal fatto che, ove il diritto reale li-
mitato venga meno (per una qualsiasi delle cause in cui ciò può verificarsi), essa si rie-
spande automaticamente nella sua pienezza. Ecco perché, per rappresentare la situazione
conseguente alla costituzione di un diritto reale limitato 1, in relazione alla proprietà ed

1
Si sottolinea che il contratto cui si ricollega l’acquisto della titolarità di un diritto reale su cosa altrui non
ha carattere traslativo, non comportando il trasferimento di facoltà del proprietario, ma derivativo-costitutivo:
esso vale, cioè, a costituire ex novo il diritto, sia pure quale derivazione (e di qui il carattere derivativo e non
originario di tale costituzione) dalla proprietà e in dipendenza dell’esercizio dei poteri che ne costituiscono il
contenuto (II, 4.7).
604 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

alla relativa concorrenza sul bene, correttamente si allude ad una compressione del diritto
di proprietà, il cui carattere di elasticità consiste, appunto, in questa sua attitudine a rie-
spandersi ed a riappropriarsi di ogni potenzialità di sfruttamento delle utilità del bene,
venute meno le situazioni giuridiche che ne determinano una limitazione (VI, 1.2) 2.
Proprio per il risolversi i diritti reali limitati in una stabile compressione del diritto di
proprietà, si è storicamente affermato, in materia, il principio della inammissibilità della
creazione di nuove figure ad opera dei privati (numerus clausus), in stretta connessione
con quello della tipicità dei relativi contenuti 3. Caratteristica del diritto reale – e, quin-
di, anche di quelli su cosa altrui – è, come accennato (II, 3.5), l’immediatezza, in quanto
al titolare è consentito di realizzare il suo interesse direttamente sulla cosa, attraverso l’e-
sercizio delle facoltà e dei poteri conferiti dall’ordinamento rispetto alla cosa stessa (per
questo è riconosciuta una corrispondente situazione di possesso). L’inerire il diritto reale
alla cosa (c.d. inerenza del diritto reale) vale a conformare stabilmente – e nei confronti
della generalità dei consociati – l’assetto delle utilità che la cosa è atta ad offrire (e che a
ciascuno dei titolari di diritti concorrenti su di essa è consentito trarre). Non si tratta, al-
lora, solo dell’esigenza di assicurare la concentrazione in un soggetto, il proprietario, del-
le decisioni rilevanti per lo sfruttamento della cosa (con la valorizzazione della nozione
di proprietà come libertà riconosciuta al soggetto rispetto al bene stesso, punto di forza
dell’ideologia economico-sociale costituente il fondamento delle codificazioni ottocente-
sche): alla base del principio di tipicità sembra effettivamente (e persistentemente, nono-
stante i diffusi dissensi) porsi la opportunità che esclusivamente al legislatore sia consentito
dar vita a modelli di diritti del tipo in questione, a seguito del necessario bilanciamento, se-
condo schemi frutto di scelte rientranti nella sua competenza, delle posizioni soggettive
riconosciute rispetto alla cosa.
Che alle parti non sia consentito dar vita a diritti reali diversi da quelli previsti e di-
sciplinati dall’ordinamento – pur in mancanza di una esplicita preclusione in tal senso –
pare conseguire anche dal principio dell’art. 13722, per cui “il contratto non produce ef-
fetti rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge”: in una incidenza sulla posizione dei
terzi si risolve, indubbiamente, la costituzione di un diritto reale, in quanto ad essi per
definizione opponibile (col dovere di astensione che ne deriva). Liberi restano gli inte-
ressati, peraltro, sulla base della loro autonomia contrattuale, di costituire, rispetto al
bene, i più svariati vincoli di carattere (non reale ma) personale, con efficacia meramente
obbligatoria e, quindi, limitata ai propri rapporti 4.

2
È per questo che, nel caso in cui la situazione di proprietario e quella di titolare di un diritto reale limita-
to si riuniscano nella stessa persona, il proprietario non eserciterà le facoltà (già) costituenti il contenuto di
quest’ultimo come titolare di esso, ma in quanto proprietario, verificandosi il fenomeno dell’estinzione del
diritto reale limitato per confusione (il diritto reale limitato, in quanto per definizione su cosa altrui, non può,
infatti, in tale ipotesi, continuare a sussistere).
3
Costituisce, in effetti, affermazione tuttora corrente quella per cui – in considerazione del “principio di
tipicità necessaria dei diritti reali” (Cass. 26-2-2008, n. 5034) – “i diritti reali di godimento costituiscono un
numerus clausus” (Cass. 26-9-2000, n. 12765). Rilevato, allora, doversi considerare “fermo nella giurispruden-
za il principio della tipicità dei diritti reali, con quello sovrapponibile del numerus clausus”, la relativa persi-
stente vitalità risulta ribadita, ad esito di un esame critico dell’indirizzo critico (tendente ad ammettere, cioè,
“diritti reali creati per contratto”), da Cass., sez. un., 17-12-2020, n. 28972.
4
In tal caso, peraltro, non potendosi conseguire, in materia di beni immobili, il risultato dell’opponibilità erga
omnes con la trascrizione, dato il principio di tipicità degli atti assoggettabili a tale forma di pubblicità (XIV, 2.7).
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 605

Nella prospettiva della limitazione della perpetuità dei vincoli di carattere reale sui
beni, all’imprescrittibilità del diritto di proprietà si contrappone la previsione di una pie-
na operatività della prescrizione con riguardo ai diritti reali limitati, ove il relativo manca-
to esercizio sia protratto per un periodo di venti anni: ciò con la conseguente riespansio-
ne del diritto del proprietario nella pienezza delle relative facoltà a seguito dell’estin-
zione del diritto che lo comprimeva.
Un simile effetto (correntemente identificato come consolidazione) oltre che ricol-
legarsi alla scadenza del termine finale (nel caso di costituzione del diritto a tempo deter-
minato), può ritenersi discendere (automaticamente) anche dalla espressa rinunzia da
parte del titolare (la quale richiede la forma scritta sotto pena di nullità, art. 1350, n. 5, ed è
soggetta a trascrizione, art. 2643, n. 5; v. anche XIII, 2.3). I diritti reali limitati, inoltre, si
estinguono per confusione, quando nella medesima persona si riunisce la titolarità della
proprietà e di uno di tali diritti (come nel caso in cui, in tema di servitù, il proprietario
del fondo servente acquisti la proprietà di quello dominante). Si tratta, infatti, di situa-
zioni giuridiche che assumono significato proprio rispetto al diritto del proprietario (di-
ritti su cosa altrui), quali relativi limiti, con la conseguenza dell’inconcepibilità della con-
testuale titolarità della proprietà e del diritto che la limita (nemini res sua servit).
La tutela del titolare dei diritti reali limitati è tradizionalmente affidata all’azione con-
fessoria, la quale tende a fare riconoscere l’esistenza del diritto stesso, data l’assolutezza
dei diritti in questione (tutelati, quindi, erga omnes), tanto nei confronti del proprietario,
quanto nei confronti di chiunque ne contesti l’esercizio. Tale azione (petitoria e reale: VI,
2.6) risulta espressamente prevista solo in materia di servitù prediali (art. 1079), ma la sua
portata viene considerata generalizzabile ed estesa, appunto, alla tutela di tutti i diritti
reali su cosa altrui (quasi che la legislazione, a proposito delle servitù, ne abbia inteso di-
sciplinare il prototipo) 5. I diritti reali limitati, inoltre, sono suscettibili di tutela possesso-
ria, attraverso l’esercizio delle relative azioni (risultando ammesso il c.d. possesso di dirit-
ti, 11401: VI, 5.1).
Il codice civile disciplina, nell’ordine, superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione e
servitù prediali. Un simile ordine pare dettato da una motivazione logico-sistematica, da-
to che alle prime due figure (superficie ed enfiteusi) si riconnettono, anche sul piano sto-
rico, particolari forme di proprietà (o di situazioni ad essa in larga misura assimilabili).

2. Superficie. – Il fenomeno che con la disciplina del diritto di superficie il legi-


slatore ha inteso regolare è quello della proprietà delle costruzioni separata dalla pro-
prietà del suolo su cui insistono. Si tratta, cioè, di una divisione orizzontale della pro-
prietà, in deroga al principio di fondo che governa l’estensione (in senso verticale) del-
la proprietà immobiliare: il principio (su cui si fonda l’accessione come modo di acqui-
sto della proprietà: VI, 2.4), enunciato dall’art. 934, per cui tutte le costruzioni (come
pure le piantagioni e, in genere, le opere) che insistono sul suolo appartengono al pro-
prietario. Principio, questo, già prospettato nel codice civile del 1865 come derogabile,
con la conseguenza che dottrina e giurisprudenza ammettevano la possibilità di una pro-

5
La Relaz. cod. civ., n. 514, ricorda come il codice civile del 1865 addirittura non prevedesse espressa-
mente tale azione – anche se tradizionalmente ammessa a tutela dei diritti reali limitati – neppure in materia
di servitù. Circa la necessaria prova attraverso “un titolo derivativo ad substantiam proveniente dal proprieta-
rio del fondo preteso servente o da un suo dante causa”, Cass. 2-5-2013, n. 10238.
606 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

prietà divisa, appunto, per piani orizzontali. Proprio le esigenze economiche che spinge-
vano ad una simile soluzione hanno indotto il legislatore a disciplinare espressamente il
fenomeno 6, che affonda, peraltro, le sue radici nel diritto romano e in quello intermedio.
Il codice distingue due situazioni riferibili alla figura del diritto di superficie. L’art.
9521 prevede la costituzione, da parte del proprietario del suolo, del diritto di fare e man-
tenere una costruzione al di sopra del suolo a favore di altri, che ne acquista la proprietà.
Si parla, a tale riguardo, di concessione di costruzione (ius ad aedificandum), quale
diritto reale di godimento su cosa altrui. A seguito dell’effettuazione della costruzione, il
titolare del diritto in questione (superficiario) acquista la proprietà della costruzione. Tale
proprietà, in quanto separata dalla proprietà del suolo e consentita dall’esistente diritto
di superficie (da cui, quindi, dipende e che viene, per così dire, ad incorporarsi con la
proprietà della costruzione), è definita proprietà superficiaria 7. Ai sensi dell’art.
9522, poi, è consentito al proprietario di una costruzione già esistente di alienarla separa-
tamente dalla proprietà del suolo su cui essa insiste, determinando, così, la situazione di
proprietà superficiaria (la quale, comunque, comporta implicitamente l’attribuzione del re-
lativo diritto di superficie da cui dipende).
La costituzione di un diritto di superficie può riguardare anche costruzioni al disotto
del suolo altrui (art. 955) (come talvolta si verifica, ad es., per le cantine). Non è ammes-
sa, invece, una proprietà delle piantagioni separata da quella del suolo (art. 956), per il
possibile pregiudizio che si è ritenuto poterne derivare all’efficienza dell’agricoltura ed al
suo sviluppo. La costituzione può essere fatta a tempo indeterminato o determinato. In
tale ultimo caso, allo scadere del termine, a seguito della estinzione del diritto di superfi-
cie, il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione (art. 953), riprenden-
do ad operare, in sostanza, il principio dell’accessione, non più paralizzato dall’esistenza
del diritto di superficie. La costituzione a tempo determinato si presenta particolarmente
utile, da una parte, nel caso in cui vi sia un interesse del proprietario a non spogliarsi in
modo tendenzialmente perpetuo della possibilità di dare una nuova destinazione al suo-
lo (anche al fine di sfruttarne nuove potenzialità economiche) 8; dall’altra, quando le esi-
genze del superficiario siano legate ad una situazione dei luoghi soggetta a mutamenti
nel tempo, influenti sul loro possibile sfruttamento (si pensi alle costruzioni relative a di-
stributori di carburanti o al servizio di piste di sci).
Il diritto in questione può essere acquistato per contratto o per testamento: nella pri-
ma ipotesi 9, trattandosi di diritto reale relativo ad un immobile, il contratto dovrà avere

6
Le ragioni dell’intervento legislativo sono chiarite nella Relaz. cod. civ., n. 444, ove si allude alla “impor-
tanza dell’istituto, che ha avuto tanta accresciuta applicazione nell’edilizia moderna”, con chiaro riferimento
alla crescente importanza, nell’edilizia, degli edifici divisi per piani di proprietà individuale di differenti sog-
getti, insistenti su un suolo normalmente di proprietà comune (art. 1117) (VI, 4.2).
7
Proprio tale dipendenza della proprietà superficiaria dall’esistenza del diritto di superficie e dalla relativa
concessione di costruzione induce a preferire la tesi secondo cui la proprietà stessa si acquisti a titolo derivati-
vo (e non originario). Cass. 17-10-2013, n. 23593, per differenziare le due figure, evidenzia che “l’usufrutto è
un diritto reale limitato nel tempo e nelle facoltà, mentre la superficie può essere perpetua ed attribuisce al
superficiario facoltà dominicali piene e stabili”.
8
L’istituto della superficie (con durata fino a novantanove anni) è stato, così, utilizzato per consentire, su
suoli di proprietà comunale, la costruzione di edifici residenziali (L. 22.10.1971, n. 865).
9
Il contratto potrà essere a titolo gratuito od oneroso, prevedendo un corrispettivo. Tale corrispettivo si
ritiene da taluni possa assumere la forma di un canone periodico, anche di carattere perpetuo (solarium). Ciò è
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 607

la forma scritta, sotto pena di nullità (art. 1350, n. 2), ed è soggetto a trascrizione (art.
2643, n. 2). È discussa la possibilità di una usucapione del diritto di superficie (e, in par-
ticolare, della proprietà superficiaria), dato che il possesso della costruzione (realizzata o
già esistente) sembra implicare quello del suolo e, quindi, l’usucapione anche della pro-
prietà relativa 10. Quanto alle conseguenze dell’estinzione del diritto di superficie per sca-
denza del termine, è previsto, da un lato, che essa comporti l’estinzione dei diritti reali
eventualmente costituiti dal superficiario sulla costruzione (si pensi ad un usufrutto);
dall’altro, che i diritti gravanti sul suolo si estendano alla costruzione, con la sola esclu-
sione della ipoteca (art. 9541, che rinvia anche all’art. 28161). I contratti di locazione sti-
pulati dal superficiario durano solo per l’anno in corso alla scadenza (art. 9542).
Il diritto di superficie non si estingue, salvo patto contrario, in conseguenza del peri-
mento della costruzione (art. 9543). Si prescrive, per effetto del non uso protratto per
venti anni, il diritto di fare la costruzione sul suolo altrui (art. 9544), evidentemente in
quanto considerato diritto reale di godimento su cosa altrui. Da ciò deriva che il superfi-
ciario, la cui costruzione – da lui edificata sulla base del diritto concessogli o acquistata
separatamente dalla proprietà del suolo – sia perita, può, entro tale limite di tempo, an-
che ricostruire sul suolo altrui. Il perimento della costruzione, cioè, facendo venire meno
la relativa proprietà superficiaria (per sua natura, trattandosi di proprietà, imprescrittibi-
le), determina una sorta di riviviscenza del diritto di superficie come diritto di fare la co-
struzione sul suolo altrui, con conseguente necessità per il superficiario, onde evitarne
l’estinzione per prescrizione, di provvedere tempestivamente ad un suo esercizio (effet-
tuando una nuova costruzione).

3. Enfiteusi. – L’istituto della enfiteusi, di origine romana e molto diffuso per lo


sfruttamento delle terre nei tempi e nei luoghi in cui dominava il latifondo, fu radical-
mente escluso dal code civil, il quale vi vedeva il residuo di una organizzazione economi-
co-produttiva da superare, in quanto legata a modelli di proprietà diversi da quello, ca-
ratterizzato dalla libertà da vincoli eccessivi, che intendeva privilegiare. Fu disciplinato,
invece, pur con un certo sfavore, dal codice civile del 1865, che lo conservò anche in
aderenza alla sua persistente diffusione in alcune zone del paese. Il codice civile del 1942
intese rivitalizzare l’enfiteusi, ritenendola utile nell’interesse generale 11, se opportuna-
mente disciplinata in modo tale da realizzare un adeguato bilanciamento tra gli interessi
delle parti (concedente ed enfiteuta), così da renderne attraente la costituzione. La legi-
slazione più recente, nella prospettiva di un aperto favore per la posizione del lavorato-
re-coltivatore (e, quindi, nel quadro della nuova legislazione agraria), ha finito, modifi-
candone profondamente la disciplina codicistica, con l’emarginare l’istituto, promoven-
do l’estinzione delle enfiteusi ancora in corso (a beneficio della piena proprietà da parte
dell’enfiteuta-coltivatore) 12.

espressamente previsto dalla disciplina dell’istituto (Erbbaurecht) in Germania (nel codice civile e nella legi-
slazione successiva), dove l’istituto ha trovato un più ampio favore.
10
Si sottolinea, al riguardo, che conseguentemente ipotizzabile sarebbe solo una usucapione avente a proprio
fondamento l’invocazione di un titolo, come nel caso di quella abbreviata decennale (art. 11592).
11
Tale interesse generale viene individuato, nella Relaz. cod. civ., n. 447, in quello “del miglioramento dei
fondi e dell’incremento della produzione nazionale”.
12
In materia, sono da ricordare, in particolare, la L. 22.7.1966, n. 607, e la L. 18.12.1970, n. 1138 (le quali
608 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

È da tenere presente come l’enfiteusi, pur finalizzata essenzialmente all’organizzazio-


ne dell’assetto produttivo – in situazioni caratterizzate dall’opportunità del relativo miglio-
ramento – dei fondi rustici (e come tale concepita e disciplinata dal codice civile: enfiteu-
si rustica), si ritenga potere avere come oggetto anche fondi urbani (enfiteusi urbana o
edificatoria) 13, per assicurarne lo sfruttamento edilizio (cui pare, comunque, meglio atta-
gliarsi lo strumento del diritto di superficie).
Il codice non definisce la enfiteusi, pur regolando minuziosamente i vari aspetti del
relativo rapporto e dichiarando inderogabili diverse tra le norme dettate in materia (art.
9572): norme alcune delle quali, comunque, abrogate o modificate dalla legislazione suc-
cessiva. Dalla disciplina in questione si ricavano i tratti essenziali della figura, che corri-
spondono, del resto, alla sua configurazione tradizionale: il proprietario (concedente) ce-
de il godimento di un immobile (in linea di massima, come accennato, un fondo rustico)
ad un altro soggetto (enfiteuta), che acquista su di esso facoltà e poteri sostanzialmente
corrispondenti a quelli spettanti al proprietario, con l’obbligo di migliorare il fondo e di
pagare un canone. L’art. 9591 esplicitamente riconosce all’enfiteuta “gli stessi diritti che
avrebbe il proprietario” su frutti, tesoro e sottosuolo (l’art. 9592 estende il diritto dell’en-
fiteuta anche alle eventuali accessioni). Non c’è da meravigliarsi, quindi, che sia da sem-
pre materia di discussione se, in considerazione delle prerogative accordategli, il proprie-
tario in senso sostanziale (in quanto titolare della situazione soggettiva preminente sul
bene) possa essere identificato nel concedente o nell’enfiteuta, non a caso ambedue de-
finiti come titolari di un vero e proprio dominio sulla cosa (dominio diretto il proprieta-
rio-concedente, denominato anche direttario, dominio utile l’enfiteuta, denominato anche
utilista).
La durata dell’enfiteusi può essere perpetua o temporanea. La durata minima è fissata,
comunque, in venti anni, essendosene ritenuta una inferiore non rispondente alle finalità
(anche di carattere generale) dell’istituto (art. 958). L’enfiteuta ha, innanzitutto, l’obbli-
go di migliorare il fondo. Significativamente, tale obbligo è considerato per primo dal-
l’art. 9601, in quanto strettamente connesso con la funzione economica stessa dell’istituto
(essenzialmente destinato, appunto, a consentire un miglioramento produttivo dei fondi,
con beneficio per l’agricoltura). Inoltre, l’enfiteuta ha l’obbligo di pagare un canone, con-
sistente in una somma di danaro o in una quantità fissa di prodotti naturali (non, quindi,
proporzionata alla produzione complessiva), senza poterne mai pretendere una remis-
sione o riduzione in conseguenza di eventi concernenti la produzione (art. 9602). Tale ca-
none tende ad essere – pur non senza contrasti – considerato quale ipotesi di onere reale
(VI, 3.10).
Prima di esaminare ulteriormente la disciplina vigente, pare opportuno sottolineare
come la conformazione del rapporto (ed il conseguente bilanciamento degli interessi del-
le parti) sia stata radicalmente alterata dalla soppressione (con la L. 1138/1970) dei pri-
mi tre commi dell’art. 971, che precludevano l’affrancazione del fondo per almeno venti

hanno rivoluzionato, ad esclusivo beneficio dell’enfiteuta-coltivatore, la disciplina dell’istituto), nonché la L.


14.6.1974, n. 270, cui si aggiungono numerosi interventi della Corte costituzionale.
13
Le enfiteusi urbane sono state prese in considerazione, in particolare, dalla L. 1138/1970, per esten-
dere ad esse, nella stessa prospettiva seguita per le enfiteusi rustiche, restrittivi criteri di determinazione dei
relativi canoni: criteri, peraltro, difficilmente giustificabili in materia di rapporti legati non all’agricoltura ma
all’edilizia (e dichiarati, almeno parzialmente, illegittimi dalla Corte costituzionale).
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 609

anni e prima dell’effettuazione dei miglioramenti pattuiti, nonché dalla modificazione


(con la L. 607/1966) dell’art. 9722, che faceva prevalere la devoluzione sull’affranca-
zione in caso di grave inadempimento dell’enfiteuta ai suoi obblighi. Nella stessa pro-
spettiva, si inserisce la soppressione dell’art. 962 (con la L. 607/1966), il quale preve-
deva i criteri per la revisione periodica del canone, che il legislatore ha sostituito con la
fissazione di coefficienti di rivalutazione del tutto inidonei ad assicurare un ragionevo-
le adeguamento dei canoni alla realtà economica (come tali, dichiarati illegittimi dalla
Corte costituzionale, per contrasto con l’art. 42 Cost., a salvaguardia della posizione
del proprietario).
L’enfiteusi può essere costituita per contratto o testamento. Nel caso di contratto, esso
richiede la forma scritta sotto pena di nullità (art. 1350, n. 2) ed è soggetto a trascrizione
(art. 2643, n. 2). L’enfiteuta (a cui carico sono le imposte e gli altri pesi gravanti sul fon-
do: art. 964) può disporre del proprio diritto sia per atto tra vivi che per testamento (art.
9651) (nel caso di contratto, esso è soggetto alle stesse regole del contratto costitutivo
della enfiteusi). Nell’atto costitutivo può essere pattuito il divieto di cessione per atto tra
vivi per un tempo non maggiore di venti anni (art. 9653) 14. Nell’ipotesi di alienazione del
proprio diritto da parte dell’enfiteuta, il nuovo enfiteuta resta obbligato in solido col
precedente per il pagamento dei canoni non soddisfatti (art. 9671). Non è ammessa, in-
vece, la subenfiteusi (art. 968). In quanto possessore, sono ovviamente esperibili da
parte dell’enfiteuta le azioni possessorie.
Il concedente ha diritto di richiedere la ricognizione del proprio diritto da chi si
trova nel possesso del fondo enfiteutico un anno prima del compimento del ventennio
(art. 9691): ciò per evitare al proprietario la perdita del suo diritto, in conseguenza del-
l’eventuale usucapione altrui (si ricordi, infatti, come l’attività dell’enfiteuta rispetto al
bene sia difficilmente distinguibile da quella di un proprietario) 15.
Sono espressamente previste, come cause di estinzione dell’enfiteusi, il perimento to-
tale del fondo (art. 9631, che disciplina, nei commi successivi, le conseguenze del peri-
mento parziale), nonché la prescrizione per non uso protratto per venti anni (art. 970).
Alla cessazione dell’enfiteusi, all’enfiteuta sono dovuti rimborsi per i miglioramenti ap-
portati al fondo e per le addizioni fatte (art. 975). Per le locazioni concluse dall’enfiteuta
è richiamato il regime di quelle concluse dall’usufruttuario (art. 977: esse continuano fi-
no alla scadenza, ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell’enfiteusi).
Nello schema dell’enfiteusi, assumono un ruolo centrale, quali modi di cessazione del
rapporto, con effetti opposti, l’affrancazione e la devoluzione.
a) Il diritto di affrancazione (o riscatto) è il potere dell’enfiteuta di conseguire la
proprietà del fondo, mediante la corresponsione al concedente di una somma di danaro.
Circa la natura di tale diritto, è controverso se si tratti di un diritto potestativo, ritenendo
senz’altro ricollegati alla manifestazione unilaterale di volontà dell’enfiteuta i relativi ef-
fetti, ovvero – ove si ammetta la categoria – di un diritto potestativo giudiziale (II, 3.6),
dato che la L. 607/1966 ne disciplina l’esercizio in via giudiziale, con un provvedimento

14
L’art. 9654 dispone che, in caso di alienazione compiuta contro il divieto, l’enfiteuta non è liberato dai
suoi obblighi verso il concedente, restandovi tenuto in solido con l’acquirente.
15
Le spese dell’atto di ricognizione sono a carico del concedente (art. 9692). Circa la natura di tale atto, è
discusso se si tratti di una dichiarazione di scienza o di un negozio di accertamento. Esso, in ogni caso, si ritiene
faccia piena prova, tra le parti, della esistenza e del contenuto del rapporto.
610 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

che “dispone … l’affrancazione” (art. 44). Se l’affrancazione viene esercitata consensual-


mente, essa richiede la forma scritta (art. 1350, n. 6).
Il favore per l’affrancazione, col conseguimento della proprietà del fondo da parte
del coltivatore-enfiteuta, risulta marcatamente accentuato nella legislazione successiva al
codice, alterando in modo decisivo l’equilibrio tra la posizione di tale soggetto e quella
del concedente. Ai sensi dell’art. 9722, l’affrancazione prevale attualmente in ogni caso
sulla devoluzione, a prescindere dalla gravità degli inadempimenti dell’enfiteuta, e non
può essere neppure mai ostacolata da una clausola risolutiva espressa (art. 973). Inoltre,
il diritto di affrancazione può essere fatto valere indipendentemente da qualsiasi consi-
derazione della pregressa durata del rapporto e dall’effettuazione dei miglioramenti (co-
me in precedenza stabilito dalla parte abrogata dell’art. 971). Quanto all’ammontare del-
la somma da corrispondere ai fini del suo esercizio, la determinazione riferita alla capita-
lizzazione del canone annuo sulla base dell’interesse legale (venti volte, in considerazione
dell’originario tasso legale del cinque per cento) è stata sostituita da una capitalizzazione
riferita a quindici volte l’ammontare del canone, a sua volta determinato con criteri pale-
semente estranei alla realtà economica 16.
b) Al concedente compete il diritto di devoluzione, cioè il potere di far cessare il
rapporto di enfiteusi sul fondo (art. 972). Dovendo essere esercitato in via giudiziale,
un simile potere viene considerato un diritto potestativo giudiziale. La devoluzione può
essere chiesta in due casi: se l’enfiteuta deteriora il fondo o non lo migliora; se l’enfi-
teuta è in mora nel pagamento di due annualità del canone. Come si è accennato, la do-
manda di devoluzione, attualmente, non preclude mai all’enfiteuta il diritto di affrancare
il fondo.

4. Usufrutto. – L’usufrutto ha rappresentato, in passato, un modello diffuso di


configurazione giuridica dei modi di godimento dei beni (e ciò giustifica la minuziosità
della sua disciplina). La sostanziale dissociazione che esso comporta (sia pure in misura
minore dell’enfiteusi) tra la proprietà del bene e le facoltà di relativo godimento – con la
drastica compressione della prima, ma anche con l’impossibilità, per il titolare dell’usu-
frutto, di avvalersi delle opportunità offerte dall’eventuale evoluzione della realtà econo-
mica – rende l’istituto largamente inadeguato alle esigenze di un’economia dinamica co-
me l’attuale, facendone risultare alquanto marginale il ruolo 17.
Tale situazione emerge con chiarezza dall’art. 981, relativo al contenuto del diritto di
usufrutto. L’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, traendone tutte le utilità che es-

16
I successivi criteri di ragguaglio del canone, con i relativi riflessi sul computo del capitale di affrancazio-
ne, individuati dal legislatore nelle LL. 607/1966, 1138/1970 e 270/1974, sono stati via via sconfessati dalla
Corte costituzionale (in particolare, 7-4-1988, n. 406, nonché, più di recente, 23-5-1997, n. 143), per la manca-
ta previsione “di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssi-
mazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica”. Corte cost. 20-5-2008, n. 160, ha concluso ana-
logamente in materia di enfiteusi urbane. Sul problema dell’individuazione dei criteri di determinazione del
capitale di affrancazione per le enfiteusi (costituite prima del 28.10.1941) con canone originariamente pattui-
to in natura, Cass. 26-5-2014, n. 11700.
17
Non a caso, la Relaz. cod. civ., n. 466, sottolinea che le “innovazioni principali in materia di usufrutto
tendono a temperare gli inconvenienti economici di questo istituto”, ritenendosi, in particolare, a giustifica-
zione della limitazione della sua durata, “antieconomico consentire un prolungamento dello stato di disinte-
grazione della proprietà, nel quale il titolare di questo diritto non ne ha l’esercizio” (n. 468).
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 611

sa sia atta ad offrire (ed il suo diritto si estende anche alle accessioni della cosa, art. 983,
ma non al tesoro, art. 988, come, invece, nell’enfiteusi), spettandogli tutti i frutti naturali
e civili per la durata del suo diritto (art. 9841) 18. Per essere messo in grado di realizzare
le utilità che gli spettano, egli ha diritto di conseguire il possesso della cosa (art. 982).
Significativamente, di conseguenza, la tradizionale definizione della figura del proprie-
tario è quella di nudo proprietario. L’usufruttuario, però, deve rispettare la destina-
zione economica della cosa: non può, cioè, mutare la organizzazione produttiva e di
sfruttamento della cosa rispetto a quella operata dal proprietario 19, restando precluse,
del resto, anche a quest’ultimo ulteriori decisioni al riguardo per la durata del diritto.
Precluse, ad es., risultano la trasformazione del fondo rustico destinato a colture semina-
tive in vigneto o frutteto (e viceversa, essendo consentite solo le rotazioni agrarie), il
cambio d’uso dell’immobile urbano da abitativo a commerciale, la trasformazione di un
edificio alberghiero in clinica.
La temporaneità è caratteristica fondamentale dell’usufrutto (per limitarne gli incon-
venienti sul piano economico). La sua durata non può eccedere la vita dell’usufruttuario
(e l’usufrutto costituito a favore di persona giuridica ha un limite di trenta anni) (art.
979). L’usufrutto, quindi, non è mai ereditariamente trasmissibile da parte dell’usufrut-
tuario e, se ceduto, si estingue comunque con la morte del soggetto a cui favore sia stato
originariamente costituito (anche ove non fosse ancora scaduto il termine finale fissato
nel negozio costitutivo del diritto) 20.
Espressamente vietata è la disposizione mortis causa con cui l’usufrutto sia lasciato a più
persone successivamente (ad un soggetto e, alla sua morte, ad un altro soggetto: c.d. usu-
frutto successivo), tale disposizione valendo solo a favore di chi si trovi, alla morte del testa-
tore, per primo chiamato a goderne (art. 698). Si tende ad ammettere ciò, invece, in caso di
atto tra vivi a titolo oneroso 21, ritenendosi, comunque, che la costituzione possa avvenire
esclusivamente a favore di più persone tutte già viventi al momento della costituzione.

18
L’art. 9842-3 stabilisce il criterio della proporzionalità con i periodi di rispettivo godimento per la riparti-
zione dei frutti (e relative spese) tra proprietario e usufruttuario, in caso di successione nel godimento nel pe-
riodo produttivo. Circa i frutti civili, l’usufruttuario può locare le cose oggetto del suo diritto e le locazioni
concluse, purché risultanti da atto pubblico o da scrittura privata di data certa, continuano al di là della ces-
sazione dell’usufrutto, ma non oltre un quinquennio, salvo che la cessazione dell’usufrutto avvenga per sca-
denza del termine stabilito (art. 999). In relazione alla durata del rapporto di locazione, è controverso se deb-
bano trovare comunque applicazione i termini previsti dalla legislazione in materia di locazione urbana e di
affitto di fondi rustici (in senso contrario, ad es., Cass. 10-4-2008, n. 9345, secondo cui “la regola prevista dal-
l’art. 999 … vale in ogni caso e non può dirsi abrogata dalla legislazione successiva”).
19
Secondo la giurisprudenza, con ciò si intende alludere alla “utilità che la cosa presentava al momento
della costituzione dell’usufrutto, non con riguardo alla funzione cui la cosa sarebbe oggettivamente idonea,
bensì alla funzione a cui la cosa era adibita in concreto in precedenza dal pieno proprietario” (Cass. 19-6-
1962, n. 1550). Il codice civile del 1865 parlava di “obbligo di conservarne la sostanza, tanto nella materia
quanto nella forma” (art. 477, con una trasposizione della formula tradizionale, per cui la facoltà di godimen-
to deve essere esercitata salva rerum substantia).
20
Fermo ciò, l’usufrutto, in caso di premorienza del cessionario, “fino alla morte dell’originario e primo
usufruttuario, diviene suscettibile di successione mortis causa” (Cass. 27-3-2002, n. 4376; per l’applicazione di
un simile principio nell’ipotesi di cessione di quota di usufrutto non congiuntivo, Cass. 4-5-2016, n. 8911).
21
L’art. 795, infatti, preclude al donante sostituzioni vietate nel testamento. L’art. 796 consente, peraltro,
al donante di riservare l’usufrutto a sé e, dopo di lui, a vantaggio di un’altra persona o di più persone, ma non
successivamente.
612 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

L’art. 678 consente il legato di usufrutto a favore di più soggetti, con diritto di accrescimento
tra loro (art. 678) e la costituzione di un simile c.d. usufrutto congiuntivo (nel quale la quota
di ciascuno si accresce, cioè, ai superstiti, concentrandosi l’intero diritto in capo al più lon-
gevo ed estinguendosi con la sua morte) è senz’altro consentita anche per atto tra vivi.
Con riguardo alla costituzione, l’art. 978 stabilisce che l’usufrutto – che rappresenta
una figura paradigmatica di diritto reale di godimento su cosa altrui – si costituisce per
legge o volontariamente (per atto tra vivi, a titolo oneroso o gratuito, ovvero per testamen-
to) e può acquistarsi anche per usucapione. Ipotesi di usufrutto legale, una volta sop-
presso (con la riforma del diritto di famiglia) quello prima spettante al coniuge supersti-
te, è ora solo l’usufrutto dei genitori sui beni dei figli minori (art. 324: IV, 1.8), peraltro
contrassegnato da indubbie peculiarità rispetto alla figura generale. La riforma del 1975
ha introdotto anche un caso di usufrutto giudiziale, a seguito dello scioglimento del-
la comunione legale (a favore del coniuge affidatario dei figli su beni spettanti all’altro
coniuge) (art. 1942: V, 2.12). Se relativo ad immobili, il contratto costitutivo di usufrutto
richiede la forma scritta (art. 1350, n. 2) e deve essere trascritto (art. 2643, n. 2).
L’usufrutto può avere ad oggetto qualsiasi bene, mobile o immobile, comprese le uni-
versalità di fatto (ad es., un gregge o una mandria) 22 e quelle di diritto (eredità: 1010),
nonché le aziende (art. 2561) 23. In caso di miglioramenti, l’usufruttuario ha diritto a una
indennità, ove essi sussistano al momento della restituzione della cosa (art. 985). Egli
può eseguire anche addizioni che non alterino la destinazione economica del bene (art.
986: le addizioni possono essere dall’usufruttuario tolte alla fine dell’usufrutto, salvo che
il proprietario preferisca tenerle indennizzandolo).
Se l’usufrutto comprende cose deteriorabili (quelle, cioè, “che senza consumarsi in un
tratto, si deteriorano poco a poco”: vestiti, apparecchi elettrici, ecc.), l’usufruttuario può
servirsene normalmente, dovendole, alla fine dell’usufrutto, restituire nello stato in cui si
trovano (art. 996). Regole peculiari vengono dettate per impianti e macchinari (art. 997)
e per le scorte vive e morte (art. 998). L’usufrutto può avere ad oggetto anche cose con-
sumabili (come, ad es., le derrate alimentari e tale è considerato anche il danaro) (c.d.
quasi usufrutto: art. 995). In questo caso, l’usufruttuario ha diritto di servirsi di esse
(potendole, quindi, consumare), in quanto ne acquista la proprietà, con l’obbligo di pa-
garne il valore al termine dell’usufrutto secondo la stima convenuta (in mancanza di sti-
ma, è a sua scelta pagarne il valore al tempo della fine dell’usufrutto o restituirne altre in
eguale qualità e quantità) 24.
L’usufruttuario può cedere ad altri il suo diritto per un certo tempo o per tutta la sua
durata, purché ciò non sia vietato dal titolo costitutivo (cessione dell’usufrutto: art.
980). L’usufrutto cessa comunque anche in capo al cessionario in caso di morte dell’ori-
ginario usufruttuario cedente. L’usufruttuario, inoltre, può ipotecare il suo diritto (art.
28101, n. 2). Non è suscettibile di cessione, peraltro, l’usufrutto legale che compete ai ge-

22
In tal caso, l’usufruttuario deve sostituire gli animali periti, onde conservare, almeno tendenzialmente,
l’universalità di fatto nella sua consistenza originaria (art. 994).
23
In relazione a taluni beni, il codice detta norme di estremo dettaglio: così relativamente, ad es., a minie-
re (art. 987), boschi (art. 989), alberi (artt. 990 e 991), semenzai (art. 993).
24
Per le sue caratteristiche, si tende a ritenere che il quasi usufrutto abbia una natura giuridica diversa rispet-
to all’usufrutto, con conseguente applicabilità delle relative norme solo in quanto compatibili.
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 613

nitori sui beni dei figli minori. Il contratto di cessione dell’usufrutto su beni immobili
deve avere la forma scritta (art. 1350, n. 2) ed è assoggettato alla formalità pubblicitaria
della trascrizione (art. 2643, n. 2).
L’usufruttuario, il quale prende le cose (acquistandone il possesso) nello stato in cui si
trovano, ha l’obbligo di restituire le cose oggetto del suo diritto al termine di esso e nel loro
godimento deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1001). È tenuto a fare a
sue spese l’inventario dei beni (10022) e, se non ne è dispensato, deve prestare anche ido-
nea garanzia (art. 10023: alla prestazione della garanzia non sono tenuti i genitori per l’usu-
frutto legale sui beni dei figli). Deve effettuare le spese per la custodia, l’amministrazione e
la manutenzione ordinaria (art. 1004), mentre le spese per la manutenzione straordinaria
sono a carico del proprietario, che, però, ha diritto a ricevere i relativi interessi finché dura
l’usufrutto (art. 1005) 25. È tenuto al pagamento dei carichi annuali (art. 1008: imposte, ca-
noni, rendite fondiarie), nonché a denunciare al proprietario, per non incorrere in respon-
sabilità nei suoi confronti, le eventuali usurpazioni sul fondo commesse da terzi (art. 1012).
A tutela del suo diritto, l’usufruttuario può esercitare l’azione confessoria (VI, 3.1),
competendogli, anche, in quanto possessore, l’esercizio delle azioni possessorie. Ha, inol-
tre, il diritto di ritenzione sui beni fino al rimborso delle somme a lui dovute dal proprie-
tario per anticipazioni effettuate in sua vece (art. 1011).
Il proprietario può, ovviamente, cedere e ipotecare il suo diritto (nuda proprietà) e fa
propri il tesoro (art. 988) e gli alberi di alto fusto (art. 990). Ha diritto agli interessi sulle
somme pagate, in particolare, per le riparazioni straordinarie (art. 10053) e per i carichi
imposti sulla proprietà (art. 10091). Egli può, inoltre, agire nei confronti dell’usufruttua-
rio, nel caso in cui costui abusi del suo diritto (art. 1015).
L’estinzione dell’usufrutto si verifica: per scadenza del termine eventualmente apposto
ad esso (nonché per morte dell’usufruttuario) 26; per prescrizione per non uso ventennale;
per riunione dell’usufrutto e della proprietà nella stessa persona; per perimento totale
della cosa (art. 1014). In tale ultimo caso, come in caso di requisizione o di espropriazio-
ne (art. 1020), l’usufrutto si trasferisce sull’indennità eventualmente dovuta (artt. 1017 e
1019). L’usufrutto può anche cessare ove l’usufruttuario abusi del suo diritto, alienando i
beni o deteriorandoli o lasciandoli perire per mancanza di ordinarie riparazioni (art.
10151) 27. La cessazione avviene a seguito di un provvedimento giudiziale. Il giudice di-
spone di ampi poteri, dato che, in luogo di pronunciare la cessazione dell’usufrutto, può
imporre garanzie all’usufruttuario, porre sotto amministrazione di terzi i beni o, addirit-
tura, darli in possesso al proprietario, con l’obbligo di pagare all’usufruttuario una rendi-
ta annua determinata (art. 10152).

5. Uso e abitazione. – L’uso e l’abitazione sono diritti reali di godimento su cosa


altrui affini all’usufrutto. L’art. 1026, di conseguenza, dichiara applicabili ad essi le stes-

25
Tale disposizione contiene una elencazione delle spese per riparazioni straordinarie a carico del pro-
prietario (reputata non tassativa: Cass. 12-9-2019, n. 22797).
26
In caso di usufrutto acquistato dai coniugi in comunione legale, “ove la cessazione della comunione legale
avvenga per decesso di uno dei coniugi, la quota di usufrutto spettante a quest’ultimo si estingue … salvo che il
titolo non abbia previsto il suo accrescimento a favore del coniuge più longevo” (Cass. 28-12-2018, n. 33546).
27
Si ritiene che l’abuso debba essere di notevole gravità e che possa consistere anche nel mutamento arbi-
trario della destinazione economica.
614 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

se disposizioni dettate in tema di usufrutto, in quanto compatibili 28. Caratteristica fon-


damentale dei diritti in questione è il loro carattere strettamente personale, dato che non
possono essere ceduti o dati in locazione (art. 1024) 29. Essi sono intrinsecamente tempo-
ranei, in quanto comunque limitati alla vita del soggetto. Possono essere costituiti per con-
tratto (in forma scritta e soggetto a trascrizione per quanto concerne l’abitazione e l’uso
su beni immobili) e testamento, essendone ammissibile anche l’usucapione. I titolari go-
dono della normale tutela dei diritti reali, con l’azione confessoria e, in quanto possessori,
possono esperire le azioni possessorie.
Il titolare del diritto d’uso può servirsi della cosa (di cui gli compete il possesso) e, se
essa è fruttifera, può fare suoi i frutti, nei limiti di quanto occorra per soddisfare i bisogni
suoi e della sua famiglia (art. 10211) 30. Tali bisogni devono essere valutati tenendo pre-
sente la condizione sociale del titolare (art. 10212). In considerazione del carattere limita-
to del godimento dell’usuario, rispetto a quello più ampio spettante all’usufruttuario, si
parla tradizionalmente di una modica perceptio da parte sua. È da tenere presente che la
facoltà di servirsi della cosa non incontra i limiti posti per il godimento dei frutti. Quan-
to a questi ultimi, limitati comunque a quelli naturali, secondo taluni l’usuario potrebbe,
addirittura (ma tale interpretazione appare eccessivamente restrittiva), far suoi solo i
frutti destinati al consumo materiale e diretto (con esclusione, cioè, della possibilità di
alienare i frutti, destinando ai propri bisogni il relativo ricavato).
Il diritto di abitazione è un peculiare diritto d’uso, il quale conferisce al titolare la pos-
sibilità di abitare la casa che ne costituisce oggetto (esclusivamente, quindi, utilizzandola in
modo diretto), pure in tal caso limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia (art. 1022).
Per il suo carattere reale, il diritto in questione si distingue dalla situazione derivante dalla
locazione (con conseguente inapplicabilità della relativa specifica disciplina).
La famiglia, i cui bisogni sono presi in considerazione, comprende espressamente
(art. 1023) i figli (anche se nati successivamente all’inizio del diritto d’uso o abitazione),
compresi i figli adottivi e riconosciuti (pure se l’adozione o il riconoscimento siano suc-
cessivi al sorgere del diritto), nonché i collaboratori familiari conviventi. Si ritiene senz’al-
tro compreso nel novero dei soggetti da considerare anche il coniuge e si tende ad allar-
gare la cerchia dei soggetti al convivente more uxorio e ad altri stretti parenti (ascendenti,
fratelli) ed affini (in linea retta), in quanto conviventi.
Con la riforma del diritto di famiglia del 1975, sono stati riservati al coniuge superstite
(e pure all’unito civilmente: art. 121 L. 20.5.2016, n. 76) 31, anche quando concorra con
altri chiamati, i diritti di abitazione sulla casa familiare e di uso sui mobili che la correda-
no, se di proprietà del defunto o comuni (art. 5402: XII, 3.2). Attraverso tale formula-
zione, si ritiene che il legislatore abbia voluto alludere, proprio in senso tecnico, alle fi-
gure di diritti qui in esame, alla cui disciplina ci si dovrà, dunque, riferire anche nel caso

28
Senz’altro compatibile è stata ritenuta, così, la disposizione (art. 9791) per cui “la durata dell’usufrutto
non può eccedere la vita dell’usufruttuario” (Cass. 12-10-2012, n. 17491).
29
Peraltro, Cass. 27-4-2015, n. 8507, ritiene tale divieto derogabile, “non avendo natura pubblicistica e at-
tenendo a diritti patrimoniali disponibili”.
30
Cass. 26-2-2008, n. 5034, ha ammesso la costituzione del diritto di uso a favore di persona giuridica,
“non trovando essa ostacolo nel carattere personale del relativo diritto”.
31
L’art. 142-43 L. 76/2016 prevede un diritto abitativo del convivente superstite in caso di morte del pro-
prietario della casa di comune abitazione (V, 1.4).
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 615

accennato. È pure da ricordare come, in conseguenza del venir meno della convivenza
familiare, con una disposizione collocata nel quadro delle relative conseguenze riguardo
ai figli (art. 337 sexies), il godimento della casa familiare venga “attribuito tenendo
prioritariamente conto dell’interesse dei figli” (V, 4.11). Prevale, peraltro, la configura-
zione di tale diritto come diritto di carattere personale, anche se la questione sembra ave-
re perso di peso, avendone il legislatore assicurato la opponibilità ai terzi. Circa la rico-
struzione della relativa disciplina sembra, comunque, acquistare rilievo decisivo la consi-
derazione da riservare alla peculiare natura degli interessi (in particolare quelli dei figli)
che il legislatore ha inteso energicamente tutelare.

6. Servitù prediali. Caratteri e tipologia. – Le servitù hanno mantenuto, nel codi-


ce civile vigente, la loro storica qualificazione come prediali, in quanto la relativa titola-
rità si ricollega (e non può che ricollegarsi) alla proprietà su un fondo (praedium). Una
simile caratteristica risuona con chiarezza proprio nella definizione che ne offre l’art.
1027, secondo cui la servitù prediale “consiste nel peso imposto sopra un fondo per
l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario”. Il rapporto appare, quindi,
enunciato quasi come intercorrente tra due fondi (quello dominante destinato a godere
della utilità e quello servente gravato dal relativo peso), invece che, come sarebbe stato
sicuramente più corretto dal punto di vista tecnico-giuridico, tenendo presenti le posi-
zioni dei soggetti che dei due fondi sono proprietari (e solo ai quali possono essere impu-
tate situazioni giuridiche) 32.
Si tratta di un vero e proprio diritto reale di godimento su cosa altrui, in quanto al tito-
lare (proprietario del fondo dominante) è riconosciuto sul fondo di proprietà altrui (il
fondo servente) l’esercizio, in via diretta, di facoltà di godimento, per trarne una deter-
minata utilità: posizione di vantaggio che tutti sono tenuti a rispettare (assolutezza), indi-
pendentemente dalle vicende che possano interessare – e dai rapporti che altri soggetti
vengano ad avere con – il fondo servente. Insito nel concetto stesso di servitù (e nella de-
finizione che ne offre l’art. 1027) è che essa non possa essere costituita (o continuare a
sussistere) tra fondi appartenenti al medesimo proprietario (nemini res sua servit) 33.
Il codice vigente ha inteso estendere, rispetto al passato, l’ambito delle servitù, preve-
dendo non solo che l’utilità possa consistere pure nella maggiore comodità o amenità del
fondo dominante, ma anche che essa possa essere inerente alla destinazione industriale del
fondo (c.d. servitù industriali) (art. 1028). L’utilità deve essere obiettiva: consistere,
cioè, in un vantaggio che il fondo dominante trae dal fondo servente, riconducibile alla sua
destinazione economica. L’esistenza della servitù deve valere a conferire ai fondi una vera e
propria qualità (positiva per il fondo dominante, negativa per quello servente), inerendo
l’utilità da essa offerta, insomma, al fondo di cui viene ad accrescere il valore. Ecco perché
si sottolinea che, nel caso di servitù industriale, la figura della servitù ricorrerà solo ove
l’industria sia inscindibilmente legata al fondo ed alla sua destinazione economica (per

32
La Relaz. cod. civ., n. 488, riconosce trattarsi “di un’immagine, la quale raffigura l’aspetto economico
del rapporto, più che di una definizione rispondente al rigore del tecnicismo giuridico”, valendo la parola peso
ad esprimere “con maggiore immediatezza il carattere reale della servitù” e soprattutto a porre “in risalto il di-
stacco delle vere e proprie servitù prediali dalle limitazioni della proprietà”.
33
Diversamente, peraltro, nel caso in cui il proprietario di un fondo sia (solo) comproprietario dell’altro
Cass. 6-8-2019, n. 21020.
616 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

cui la servitù risulta strumentale ad una più proficua utilizzazione del fondo) 34.
Lo stesso criterio deve essere utilizzato, in particolare quando l’utilità in gioco consi-
sta nella maggiore comodità o amenità, per distinguere la ricorrenza di una servitù pre-
diale da un rapporto di natura esclusivamente personale tra le parti, di carattere, quindi,
obbligatorio e non reale (si parla, al riguardo, invero alquanto impropriamente ed equi-
vocamente, di servitù personali o irregolari). Il proprietario di un fondo può pat-
tuire col proprietario del fondo vicino il diritto di passeggiare o cavalcare nel suo bosco,
ma si tratterà di un diritto di natura pur sempre personale, salvo che simili utilità non
siano da considerare oggettivamente ricollegate (quali utilità fondiarie) alla particolare de-
stinazione economica del fondo, realizzabili a carico dell’altro fondo asservitovi (divenen-
do, così, relative qualità, rispettivamente positive o negative), come nel caso di esercizio
sul fondo (dominante) di un’attività di tipo turistico-alberghiero (sicuramente avvantag-
giata da una simile opportunità offerta agli ospiti) 35.
L’art. 10291 consente che la servitù sia costituita per assicurare al fondo un vantag-
gio futuro. La destinazione economica cui l’utilità deve inerire può, quindi, essere an-
che non attuale, ma potenziale, dovendo rientrare, comunque, nella normalità. È am-
messa anche la costituzione di servitù a vantaggio e a carico di un edificio da costruire o
di un fondo da acquistare: in tal caso l’effetto costitutivo (mancando ancora il fondo
dominante) si verificherà solo dal giorno della costruzione dell’edificio o dell’acquisto
del fondo (art. 10292) 36.
È da sottolineare come i fondi, perché possa realizzarsi (a vantaggio e, reciprocamen-
te, a carico) l’utilità che caratterizza la servitù, debbano essere sufficientemente vicini, an-
che se non necessariamente contigui (si pensi a una via verso una strada pubblica a servi-
zio di un fondo, che attraversa in successione più fondi). Proprio in quanto deve trattarsi
di utilità che assurge a vera qualità del fondo, l’utilità stessa deve avere, inoltre, un carat-
tere, anche se non necessariamente perpetuo (si parlava, un tempo, di perpetua causa), al-
meno durevole nel tempo. Si ammette che l’utilità per i fondi possa essere anche recipro-
ca: simili servitù reciproche – che restano pur sempre diritti reali su cosa altrui di ca-

34
Ne deriva l’esclusione dal novero delle servitù delle c.d. servitù aziendali, in cui il vantaggio concerne
un’attività economica svolta sul fondo, ma non inscindibilmente legata al fondo ed alla sua destinazione eco-
nomica (ad es., l’appoggio dell’insegna di un ristorante vicino).
35
Peraltro, Cass. 27-9-2012, n. 16427, sembra considerare anche una ipotesi del tipo di quella da ultimo
considerata come riconducibile al concetto di servitù aziendale (v. nota precedente), in quanto semplicemen-
te funzionale “all’offerta di maggiori servizi (consistenti, nella specie, nel servizio di balneazione marittima)”.
In ordine al controverso tema dell’ammissibilità di una servitù di parcheggio, Cass. 18-3-2019, n. 7561 (con-
fermando l’impostazione di Cass. 6-7-2017, n. 16698), ha “escluso un’assoluta preclusione alla configurabili-
tà” di essa (in quanto – secondo la contestata ricostruzione di Cass. 7-3-2013, n. 5769 e 6-11-2014, n. 23708 –
servitù irregolare), reputando, nell’ottica “di strumentalità e di servizio tra gli immobili” che caratterizza la
servitù, potere “esser legittimamente prevista dal titolo a diretto vantaggio del fondo dominante (per la sua
migliore utilizzazione), piuttosto che delle persone che concretamente ne beneficino” (risultando, quindi,
“mera quaestio facti stabilire, in base all’esame del titolo, se le parti abbiano inteso costituire una servitù o un
diritto meramente obbligatorio”).
36
Cass. 29-8-1997, n. 8227, ritiene che, in tale ultimo caso, “il patto costitutivo della servitù ha efficacia
meramente obbligatoria, in quanto la servitù sorge con la realizzazione della costruzione e non si trasferisce
quindi con il puro e semplice trasferimento del suolo ancora inedificato”. Dato che la servitù si costituisce
“soltanto al momento in cui l’edificio è costruito”, “solo da questo momento inizia a decorrere il termine di
prescrizione per non uso del diritto di servitù” (Cass. 3-5-2018, n. 10486).
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 617

rattere autonomo – sono frequenti nel caso di lottizzazioni di aree edificabili 37.
Quale qualità del fondo (inerente ad esso), la servitù non può essere trasmessa sepa-
ratamente: con l’alienazione del fondo si trasferiscono automaticamente le servitù attive
e passive ad esso, appunto, inerenti (inscindibilità della servitù) 38. Altro carattere della ser-
vitù è prevalentemente ravvisato nella indivisibilità, in quanto considerata inerente, sem-
pre nella sua interezza, all’intero fondo. Da ciò si deduce (non senza contrasti) che la ser-
vitù non possa costituire oggetto di comunione (anche se più siano i comproprietari del
fondo dominante o servente), sussistendo per intero a favore o a carico di ciascun pro-
prietario. L’art. 1071 prevede espressamente che, se il fondo dominante viene diviso, la
servitù spetti ad ogni porzione per l’intero (a condizione, però, che ciò non renda troppo
gravosa la condizione del fondo servente) 39. La stessa regola vale per il fondo servente
(in caso di sua divisione, cioè, la servitù spetta per l’intero su ciascuna porzione), salvo
che si tratti di servitù localizzata su una parte del fondo servente, dato che, in tal caso, le
altre parti sono liberate.
Gli interessati hanno la possibilità di dar vita a servitù conformemente alle proprie
esigenze. Il principio di tipicità dei diritti reali è qui da intendere nel senso che ci si do-
vrà sempre muovere entro lo schema proposto dagli artt. 1027 ss. (in cui vengono deli-
neati, insomma, i caratteri essenziali della servitù come tipo di diritto reale), con partico-
lare riferimento alla necessaria ricorrenza di una utilità, così come dianzi tratteggiata. In
proposito, è da sottolineare il carattere fondamentale del principio per cui la servitù non
si può mai risolvere nell’imposizione di un comportamento positivo al proprietario del
fondo servente (servitus in faciendo consistere nequit), il quale, insomma, può essere te-
nuto solo ad un comportamento negativo, consistente nel sopportare (pati) o nel non fare
(non facere). Risulta consentita, peraltro, l’imposizione di prestazioni positive, ma solo ove
abbiano un carattere accessorio. In tal senso depone l’art. 1030 (intitolato, appunto, pre-
stazioni accessorie), secondo cui “il proprietario del fondo servente non è tenuto a com-
piere alcun atto per rendere possibile l’esercizio della servitù da parte del titolare, salvo
che la legge o il titolo disponga diversamente” 40. È significativo che a costui sia comun-
que sempre consentito liberarsi dagli obblighi impostigli dal titolo o dalla legge (per l’uso

37
Le reciproche limitazioni (ed i corrispondenti vantaggi) convenzionalmente previsti in ordine alla utiliz-
zabilità dei lotti vengono ad inerire agli stessi come relative qualità, “ossia con caratteristiche di realità inqua-
drabili nello schema delle servitù” (Cass. 24-5-1996, n. 4770; 10-4-2018, n. 8817, secondo cui “affinché tali
limitazioni siano efficaci, è sufficiente che nei singoli atti di acquisto venga richiamato il piano di lottizzazione
e di sviluppo con i diritti e gli obblighi in esso previsti”).
38
Si ammette generalmente che “per il principio della c.d. ambulatorietà”, la servitù “si trasferisca assie-
me alla titolarità del fondo dominante anche in assenza di una sua espressa menzione nell’atto di trasferimen-
to” (Cass. 5-11-2012, n. 18909; 14-5-2019, n. 12798).
39
Precisa Cass. 3-7-2019, n. 17884, che, “poiché un simile effetto si determina ex lege, non occorre alcuna e-
spressa menzione, a tale riguardo, negli atti traslativi attraverso cui si determina la divisione del fondo dominante”.
40
Si pensi, al riguardo, agli obblighi imposti al concedente dell’acqua di una fonte o di un canale (art. 1091).
Cass. 13-6-1995, n. 6683, sottolinea come l’obbligo di un facere possa essere imposto al proprietario del fondo
servente, purché esso costituisca “solo una obbligazione accessoria che non esaurisce l’intero contenuto della
servitù, essendo volto solo a consentirne il concreto esercizio” (nella specie, con una servitù di non impedire con
alberi la veduta è stato ritenuto compatibile l’obbligo di rimuovere o potare quelli esistenti). Si ritiene che le ob-
bligazioni accessorie in questione abbiano natura di obbligazioni reali (o propter rem) (VI, 3.10 e VII, 1.5). Cass.
24-4-2018, n. 10046, precisa che la “prestazione accessoria imposta al proprietario del fondo servente dalla legge
o dal titolo … costituisce oggetto di una obbligazione propter rem autonoma, ancorché ad essa accessoria”.
618 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

o per la conservazione della servitù), rinunziando alla proprietà del fondo servente a fa-
vore del proprietario del fondo dominante, anche solo limitatamente alla parte del fondo
interessata dall’esercizio della servitù (abbandono del fondo servente: art. 1070).
Il titolare della servitù è tutelato con l’azione confessoria, disciplinata dell’art. 1079
(VI, 3.1). Egli può farne riconoscere in giudizio l’esistenza contro chi ne contesti l’eser-
cizio (erga omnes, contro chiunque, quindi, contesti la legittimità dell’esercizio della ser-
vitù) e può far cessare eventuali impedimenti e turbative. Oltre il risarcimento degli e-
ventuali danni, egli può chiedere la rimessione delle cose in pristino. In quanto possesso-
re, al titolare della servitù spetta anche l’esercizio delle azioni possessorie.
Con riferimento ai diversi aspetti della relativa disciplina (in particolare, costituzione
ed estinzione) (VI, 3.7-8), risulta possibile (ed è considerato correntemente opportuno)
operare talune distinzioni di fondo tra le servitù.
a) È espressamente prevista dall’art. 10612 (ed è rilevante in ordine ai modi di acqui-
sto) la distinzione tra servitù apparenti e non apparenti, fondata sulla esistenza o
meno di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù. L’opera (da in-
tendere non necessariamente come artificiale) deve consistere in segni materiali obietti-
vamente denotanti l’esistenza della servitù, dovendone risultare inequivoca, dato lo stato
dei luoghi, la funzionalità per il relativo esercizio 41. Si pensi ad una strada, a condutture,
ad un ponte, ad un balcone. Non apparenti sono, invece, servitù come quelle di pascolo,
di passaggio (se non vi sia un tracciato specificamente a ciò destinato) 42, di non edificare
o di non sopraelevare. Le opere visibili devono essere tali dal fondo servente, ma non
trovarsi necessariamente su di esso, potendo essere la parte visibile dell’opera sul solo
fondo dominante (sbocco di un canale sotterraneo) 43.
b) In vista dell’operatività della prescrizione, si distingue tra servitù continue e di-
scontinue: per l’esercizio delle prime non è necessario il fatto dell’uomo (ossia il com-
pimento di un apposito atto di godimento da parte del titolare) (art. 10732). Continue
sono servitù apparenti, come quella di acquedotto, o non apparenti, come quella di non
sopraelevare. Discontinue sono servitù apparenti, come quella di via, o non apparenti,
come quella di pascolo.
c) Allo stesso fine, si distingue anche tra servitù positive (o affermative) e negati-

41
Circa l’essenzialità della “destinazione all’esercizio” della servitù dell’opera, cfr. Cass. 11-7-2007, n. 10861.
Cass. 22-9-2009, n. 20409, ricorda che “il requisito dell’apparenza … deve dipendere dalle oggettive caratte-
ristiche dell’opera e non dal modo in cui questa è utilizzata” (negando la configurabilità e la usucapibilità di
una servitù di parcheggio per il semplice fatto del “parcheggio di autovetture su di un’area”).
42
Secondo Cass. 29-8-1998, n. 8633, “il requisito dell’apparenza può legittimamente dirsi esistente nel ca-
so in cui destinato all’esercizio di una servitus viae risulti un sentiero campestre formatosi, nel tempo, per ef-
fetto del continuo calpestio degli utenti, a condizione che esso si articoli secondo un tracciato tale da denota-
re, senza incertezze o ambiguità di sorta, la sua visibile e permanente destinazione all’esercizio della servitù”
(e v. per chiarimenti Cass. 27-4-2004, n. 8039).
43
Per Cass. 16-1-1998, n. 321 (e Cass. 26-11-2004, n. 22290), è “apparente quella servitù al cui esercizio
risultino obiettivamente destinate opere non soltanto permanenti, ma anche visibili dal fondo servente, sì da
rendere presumibile la conoscenza delle medesime da parte del proprietario del fondo”. Si è ulteriormente
precisato non solo che le opere visibili e permanenti possono ricadere “esclusivamente sul fondo dominante”
(Cass. 27-1-2014, n. 1616), se inequivocabilmente funzionali all’esercizio della servitù, ma pure che la relativa
visibilità “può far capo ad un punto di osservazione non necessariamente coincidente col fondo servente,
purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da
una vicina via pubblica” (Cass. 17-11-2014, n. 24401).
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 619

ve. Nelle prime, il fondo servente deve sopportare un’attività positiva di ingerenza sul
fondo del proprietario del fondo dominante (via, passaggio, pascolo, presa d’acqua). Le
seconde, non apparenti, precludono al proprietario del fondo servente l’esercizio di fa-
coltà inerenti al suo diritto di proprietà (ad es., non edificare o sopraelevare).
d) Fondamentale è la distinzione, a seconda che abbiano o meno la loro fonte nella
legge, tra servitù coattive e volontarie (art. 1031). La disciplina delle prime è pecu-
liare, come si vedrà, sotto il profilo tanto della costituzione, quanto della estinzione.

7. Servitù coattive (o legali). – Sono denominate servitù coattive o legali quelle


che possono essere imposte al proprietario di un fondo, a prescindere dal suo consenso.
Ciò si verifica in dipendenza di una previsione legislativa, ricollegata alla valutazione del-
le peculiari esigenze di un altro fondo, tali da renderne necessaria la costituzione a suo
vantaggio (anche in considerazione dell’interesse generale allo sviluppo delle attività
economiche).
Secondo l’art. 1032, quando, in forza di legge, il proprietario di un fondo ha diritto
di ottenere la costituzione di una servitù a carico di un altro fondo, ove il proprietario
di questo non vi consenta (con la stipulazione di un contratto), la servitù è costituita
con una sentenza. Nei casi previsti dalla legge, la costituzione può avvenire anche con
un atto amministrativo. Ove la costituzione avvenga con sentenza, questa stabilisce le
modalità della servitù 44 e determina l’indennità dovuta al proprietario del fondo ser-
vente, quale compenso per la perdita di valore che il fondo stesso subisce, in conse-
guenza delle utilità a suo carico riconosciute all’altro fondo (e ugualmente in caso di
costituzione che avvenga con atto amministrativo). Al proprietario del fondo servente
è attribuito il potere di opporsi all’esercizio della servitù prima del pagamento di tale
indennità 45.
Sono espressamente contemplate – con evidente favore per lo svolgimento e l’incre-
mento delle attività produttive – le servitù di acquedotto e di scarico coattivo, di appog-
gio e infissione di chiuse, di somministrazione coattiva di acqua, di passaggio coattivo, di
elettrodotto e di passaggio coattivo di linee teleferiche. La servitù di elettrodotto, in par-
ticolare, è regolata da leggi speciali, che ne prevedono la costituzione mediante prov-
vedimento amministrativo. Altre ipotesi di servitù coattive, con uguale modalità di co-
stituzione, sono previste e disciplinate da leggi speciali (ad es., l’appoggio ed il passag-
gio di linee telefoniche).

44
Il giudice deve curare “l’equo contemperamento dell’utilità del fondo dominante e dell’aggravio del
fondo servente”, ogni dubbio – come, del resto, anche in materia di modalità di esercizio di servitù con-
venzionale – andando “risolto alla stregua della legge economica del minimo mezzo” (Cass. 27-8-2020, n.
17940). In ordine alla determinazione della “indennità dovuta dal proprietario del fondo a cui favore è
stata costituita la servitù” (nel caso di specie, di passaggio coattivo), Cass. 11-3-2022, n. 7972 ha precisato
che essa “costituisce un indennizzo dovuto da ragguagliare al danno cagionato al fondo servente” (non
dovendosi avere “riguardo esclusivamente al valore della superficie di terreno assoggettata alla servitù”,
ma anche ad “ogni altro pregiudizio subito dal fondo servente in relazione alla sua destinazione a causa del
transito di persone e di veicoli”).
45
Le servitù coattive, pur potendo essere considerate annoverabili tra i limiti legali della proprietà fondia-
ria (con conseguente diffusa tendenza a considerare eccezionali le relative fattispecie), sono comunque diffe-
renti dai limiti legali di vicinato, dato che esse non presentano i caratteri tipici di questi ultimi, rappresentati
dalla reciprocità, gratuità, automaticità (VI, 1.7).
620 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

La legge costituisce fonte della servitù coattiva, ma non nel senso che questa venga ad
esistenza ope legis. In presenza delle condizioni previste dalla legge, sorge, infatti, il diritto
potestativo di chiedere la costituzione della servitù, che verrà ad esistenza solo in conse-
guenza di un contratto tra i proprietari dei fondi (in forma scritta e soggetto a trascrizio-
ne: artt. 1350, n. 4, e 2643, n. 4), ovvero di una sentenza (di carattere costitutivo) pro-
nunciata su domanda dell’interessato (contratto o sentenza, quindi, rappresentano il tito-
lo della servitù). È da ritenere – anche se il punto risulta controverso – che la natura
coattiva della servitù resti tale (con conseguente applicazione, in particolare, della pecu-
liare disciplina relativa all’estinzione) anche ove la costituzione della servitù avvenga con-
trattualmente 46.
Oltre che dal punto di vista della costituzione, la disciplina delle servitù coattive si
presenta peculiare per quanto concerne la relativa estinzione. Se il diritto alla loro co-
stituzione si ricollega ad una valutazione di necessità, legata alla particolare situazione
del fondo, risulta coerentemente stabilito che il venir meno delle condizioni di legge
ne consente la soppressione su istanza della parte interessata. Tale soppressione, che
non impedisce una nuova costituzione coattiva nel caso in cui le condizioni di legge si
ripresentino, avviene, in mancanza di accordo, con sentenza (di carattere costitutivo).
Una simile modalità estintiva è prevista per la somministrazione di acqua (art. 10494)
e per il passaggio coattivo (art. 1055), ma è da ritenere generalizzabile in materia di
servitù coattive. L’art. 1055 prevede anche che il proprietario del fondo servente
debba restituire il compenso ricevuto (eventualmente ridotto in considerazione della
pregressa durata della servitù e del danno sofferto dal fondo servente) e, per il caso di
indennità convenuta in annualità, che essa cessi dall’anno successivo. Ciò chiarisce
anche il senso dell’attribuzione ad entrambe le parti del diritto alla soppressione della
servitù.
Almeno un accenno – anche quale esemplificazione della categoria – merita la ser-
vitù di passaggio coattivo. Essa è prevista nel caso in cui un fondo sia circondato da
fondi altrui (intercluso) e non abbia accesso alla via pubblica (o non possa procurarse-
lo se non con eccessivo dispendio) (art. 10511). Il passaggio deve essere stabilito nella
parte in cui la distanza sia minore e in modo tale da minimizzare il danno per il fondo
servente (art. 10512). Sono esenti dal passaggio coattivo le case, i cortili, le aie e i giar-
dini ad esse adiacenti (art. 10514). La servitù può essere costituita anche per consenti-
re l’ampliamento del passaggio già esistente sul fondo altrui, onde permettere il transi-
to ad ogni specie di veicoli (art. 10513), nonché per concedere un passaggio diverso
dall’accesso alla via pubblica di cui il proprietario del fondo già disponga, ove esso sia
insufficiente o inadatto per le esigenze dell’agricoltura o dell’industria – cioè dell’at-
tività produttiva considerata quale valore prioritario dal legislatore nel codice – e non

46
In tal senso, anche di recente, Cass. 23-9-2015, n. 18770. Circa la discussa possibilità di costituire una
servitù coattiva per usucapione, Cass. 29-5-1991, n. 6063 (e v. anche Cass. 16-5-2019, n. 13223), ritiene che “la
servitù di passaggio sul fondo confinante acquistata per usucapione, ancorché tale acquisto sia avvenuto in
presenza delle condizioni che avrebbero legittimato il proprietario del fondo intercluso ad ottenere la costitu-
zione della servitù coattiva, ha natura di servitù volontaria, che non si estingue con la cessazione dello stato
d’interclusione, non essendo applicabile la norma dell’art. 1055 c.c. dettata per la servitù coattiva di passag-
gio, il cui acquisto, come quello delle altre servitù coattive specificamente indicate dalla legge, non può avve-
nire per usucapione”.
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 621

possa essere ampliato (art. 10521) 47. In conformità a quanto accennato, è sempre do-
vuta una indennità proporzionata al danno (art. 1053) 48.

8. Servitù volontarie. – Quanto alle servitù volontarie, la loro costituzione può


avvenire, a titolo derivativo, per contratto o per testamento (art. 1058) 49. Il contratto do-
vrà avere forma scritta (art. 1350, n. 4) 50 ed è soggetto a trascrizione (art. 2643, n. 4). Per
costituire una servitù su un fondo in comunione, occorre il consenso di tutti i compro-
prietari (art. 10591). L’acquisto può, inoltre, avvenire, limitatamente alle servitù apparen-
ti, per usucapione e destinazione del padre di famiglia.
L’usucapione è espressamente prevista quale modo di acquisto (a titolo originario)
delle servitù apparenti (artt. 1031 e 10611, che esclude l’usucapibilità delle servitù non
apparenti) e opera secondo le regole generali dell’istituto 51.
La destinazione del padre di famiglia rappresenta un modo di acquisto – di cui
è vivacemente dibattuto il carattere derivativo o originario – peculiare delle servitù,
anch’esso limitatamente a quelle apparenti. La costituzione per destinazione del padre di
famiglia (la cui denominazione risponde a una antica tradizione) ha luogo tra due fondi
attualmente appartenenti a proprietari diversi, ma originariamente dello stesso proprie-
tario, quando la situazione dei luoghi posta in essere (o lasciata sussistere) da tale sogget-
to prima della divisione dei fondi corrisponda al contenuto di una servitù (art. 10621). In
tal caso, la servitù nasce automaticamente, senza, cioè, necessità di un apposito atto di
volontà (o di un provvedimento giudiziale), in conseguenza della situazione obiettiva di
assoggettamento di un fondo nei confronti dell’altro e della cessazione di appartenenza

47
Corte cost. 10-5-1999, n. 167, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 10522, secondo cui il passag-
gio può essere concesso solo per esigenze concernenti l’agricoltura e l’industria, per la mancata previsione della
possibilità di concedere il passaggio coattivo anche in considerazione di “esigenze di accessibilità – di cui alla legi-
slazione relativa ai portatori di handicap – degli edifici destinati ad uso abitativo”: una simile “omessa previsione
dell’esigenza di accessibilità della casa di abitazione, accanto a quelle, produttivistiche, dell’agricoltura e del-
l’industria, rende la norma in contrasto sia con l’art. 3 sia con l’art. 2 Cost., ledendo più in generale il principio
personalista che ispira la Carta costituzionale”. Nella stessa prospettiva, Cass. 16-4-2008, n. 10045, ha ammesso,
in via generale, “la costituzione di una servitù di passaggio in favore di un fondo non intercluso … ai fini di con-
sentire una piena accessibilità alla casa di abitazione” (in particolare, “anche con mezzi meccanici”). Alla “tutela
di esigenze abitative, da chiunque invocabili”, allude Cass. 10-4-2018, n. 8817, che si richiama, peraltro, alla neces-
sità di operare una “equilibrata applicazione dell’istituto”, attraverso una “accorta ponderazione degli interessi”.
48
Peraltro, se l’interclusione dipende da alienazione a titolo oneroso, il proprietario ha diritto di ottenere
dall’altro contraente il passaggio senza alcuna indennità (la stessa regola si applica in caso di divisione) (art.
1054). Il carattere “risarcitorio” dell’indennità in questione (con conseguente necessità di non limitarsi “al
valore della superficie di terreno assoggettata alla servitù”, ma di “tenere altresì conto di ogni altro pregiudi-
zio subito dal fondo servente in relazione alla sua destinazione”) è sottolineato da Cass. 18-5-2016, n. 10269 e
9-10-2020, n. 21866.
49
Cass. 2-5-2012, n. 10238, dato che “i modi di costituzione delle servitù prediali sono tipici”, reputa “irri-
levante … il riconoscimento da parte di un proprietario di un fondo della fondatezza dell’altrui pretesa circa la
sussistenza di una servitù mai costituita” (non essendo “l’atto ricognitivo unilaterale di servitù, previsto con
efficacia costitutiva dall’art. 634 c.c. abrogato, contemplato dal codice civile vigente”). Nega che “l’atto prove-
niente da uno solo dei comproprietari di un fondo indiviso” sia “idoneo a costituire una servitù passiva”, Cass.
12-2-2016, n. 2853).
50
La conseguente inidoneità di un “consenso espresso verbalmente dal proprietario di un fondo … alla
costituzione di un vincolo reale” è sottolineata da Cass. 22-8-2018, n. 20958.
51
Cass. 26-10-2018, n. 27254, ha precisato che l’acquisto per usucapione può operare anche se il possesso
sia esercitato da uno solo dei comproprietari del fondo dominante.
622 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

al medesimo proprietario 52. Essenziale, insomma, è l’originaria comune appartenenza


allo stesso proprietario (risulta indifferente che si tratti di fondi distinti o di parti dello
stesso fondo), il quale abbia destinato un fondo al servizio dell’altro, ponendo in essere
(o lasciando sussistere) uno stato di fatto dei luoghi corrispondente al contenuto di una
servitù (attestato dalla presenza di opere visibili e permanenti in modo inequivoco stru-
mentali al relativo esercizio) 53. Così, nell’ipotesi in cui sia stato costruito dal proprietario
un acquedotto per assicurare acqua ad un suo fondo attraverso un altro suo fondo, in
caso di vendita separata sorgerà a favore del primo e a carico del secondo una corri-
spondente servitù. Un simile effetto si produrrà automaticamente, salvo che all’atto della
cessazione dell’appartenenza allo stesso proprietario vi sia stata una disposizione relativa
alla servitù (art. 10622) (sia stata manifestata, cioè, una volontà nel senso di una sua esclu-
sione – anche solo implicita – o di un suo riconoscimento, dato che, in tale ultima ipote-
si, la servitù sorgerà in base a tale titolo, da cui sarà pure regolata) 54.
Circa l’esercizio della servitù, le norme dettate dal codice hanno carattere suppletivo,
dato che sono destinate ad operare solo in mancanza della relativa regolamentazione da
parte del titolo costitutivo (art. 1063). Con la servitù si acquistano anche le facoltà acces-
sorie necessarie per il suo esercizio (c.d. adminicula servitutis), senza le quali non po-
trebbe realizzarsi l’utilità che costituisce il fondamento della servitù (art. 10641) 55. L’e-
sercizio deve essere conforme al titolo o al possesso (al modo, insomma, in cui la servitù è
di fatto esercitata, così risultando eventualmente da risolvere i dubbi suscitati dalla for-
mulazione del titolo). Nel dubbio circa l’estensione e le modalità di esercizio della servi-
tù, vale il principio del contemperamento degli interessi delle parti interessate: la servitù
si intende costituita in modo tale da soddisfare il bisogno del fondo dominante col mino-
re aggravio possibile del fondo servente (art. 1065).
La servitù non può essere unilateralmente modificata: il proprietario del fondo domi-
nante non può fare innovazioni che aggravino la situazione del fondo servente 56 e il pro-
prietario di quest’ultimo non può operare per diminuirne l’esercizio (art. 1067). Sussiste
solo una limitata possibilità di trasferimento della servitù ad iniziativa unilaterale dei

52
La “effettiva situazione di asservimento di un fondo all’altro … deve essere accertata attraverso la rico-
struzione dello stato dei luoghi esistente al momento” della divisione del fondo (Cass. 22-5-2015, n. 10662).
La costituzione della servitù non si verifica “quando la separazione dei due fondi sia operata da chi è proprie-
tario esclusivo di uno di essi e comproprietario dell’altro fondo” (Cass. 12-2-2016, n. 2853).
53
Alla idoneità anche di opere “non in tutto rifinite” allude Cass. 10-4-2020, n. 7783. Tale atto di destinazio-
ne è di natura controversa. All’opinione (che tende a prevalere) per cui l’effetto della costituzione della servitù si
ricollegherebbe ad un fatto giuridico in senso stretto, si contrappone quella secondo la quale si tratterebbe pur
sempre di un atto, anche se non negoziale (atto giuridico in senso stretto), data la rilevanza che si ritiene doversi
comunque attribuire alla volontà di porre o di lasciare le cose nello stato di fatto da cui risulta la servitù.
54
La “disposizione” in questione “non è desumibile da facta concludentia”, dovendo consistere o in una
“clausola in cui si conviene espressamente di volere escludere il sorgere della servitù, o in qualsiasi patto il cui
contenuto sia incompatibile con la volontà di lasciare integra e immutata la situazione di fatto che determine-
rebbe il sorgere della corrispondente servitù” (Cass. 10662/2015; 1-3-2018, n. 4872).
55
Così, “la servitù di presa d’acqua comprende la facoltà di accedere al fondo servente al fine di esercitare il
diritto di attingimento” (Cass. 27-11-2011, n. 14178).
56
Ad es., si è ritenuto che non risulti un simile aggravamento a seguito della “copertura della terrazza da
cui si esercita la servitù di veduta” (Cass. 30-6-2016, n. 13444), ovvero della realizzazione, con riferimento a
servitù di passaggio pedonale, di “opere volte all’abbattimento delle barriere architettoniche” (Cass. 10-10-2018,
n. 25056).
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 623

proprietari dei fondi interessati, sempre a condizione che risulti assicurato un equo bi-
lanciamento tra gli interessi in gioco (art. 1068). Il criterio del minore aggravio possibile
è imposto anche per la realizzazione di eventuali opere da parte del proprietario del fon-
do dominante sul fondo servente (art. 1069). Dianzi (VI, 3.6) sono state esaminate la pos-
sibilità di abbandono del fondo servente da parte del relativo proprietario, nel caso in cui
sia tenuto a sopportare, ai sensi dell’art. 1030, spese per l’esercizio dell’altrui servitù (art.
1070: ne consegue, ovviamente, la estinzione della servitù), nonché la disciplina prevista
in caso di divisione del fondo dominante o di quello servente (art. 1071).
La estinzione della servitù può verificarsi, come per ogni diritto reale su cosa altrui,
per confusione, quando, cioè, in una sola persona si riunisce la qualità di proprietario del
fondo dominante e di quello servente (art. 1072). Le servitù si estinguono, poi, sempre
in applicazione dei principi generali, per rinunzia del titolare (proprietario del fondo do-
minante) 57. Si estinguono anche per prescrizione e per impossibilità di uso e mancanza di
utilità per un ventennio.
L’art. 1073 disciplina l’operatività, in materia, a seconda dei diversi tipi di servitù (VI,
3.6), della prescrizione per non uso ventennale (trattandosi di diritto reale di godimen-
to su cosa altrui). Se si tratta di servitù negativa o di servitù continua (per il cui esercizio
non è necessario il fatto dell’uomo), il termine decorre dal giorno in cui si è verificato un
fatto (naturale o umano) che ne abbia impedito l’esercizio (ad es., in relazione ad una
servitù di non sopraelevare, dal giorno in cui l’opera è stata posta in essere; in relazione
ad una servitù di acquedotto, dal giorno in cui le condutture sono andate distrutte per
uno smottamento del terreno o sono state rimosse da qualcuno). Se si tratta di servitù
discontinua (quella il cui esercizio è collegato a comportamenti del titolare), il termine
decorre dall’ultimo atto di esercizio (per una servitù di passaggio, ad es., dal momento
dell’ultimo transito). Ove la servitù sia intermittente (da esercitare, cioè, a intervalli), il
termine decorre dal giorno in cui la servitù si sarebbe potuta esercitare e non ne fu ripre-
so l’esercizio (ad es., per una servitù di pascolo, tipicamente stagionale, il termine non
decorre dall’ultimo giorno in cui si è pascolato il gregge, a fine stagione, ma dall’inizio
della stagione successiva, in cui il pascolo si sarebbe potuto riprendere).
Quanto alla impossibilità di uso e mancanza di utilità, l’art. 1074 stabilisce
che la impossibilità di fatto di usare della servitù e il venir meno dell’utilità della medesi-
ma non determinano l’estinzione della servitù, se non per decorso del termine ventennale
di prescrizione. Se, cioè, l’impossibilità cessi e l’utilità si ripresenti prima del compimento
del ventennio, lo stato di quiescenza della servitù viene meno e il decorso del termine di
prescrizione viene ad interrompersi. Fin quando il ripristino dell’esercizio del diritto si
presenta possibile, il diritto di servitù, insomma, continua ad esistere (fino al compimen-
to della prescrizione). Si pensi, al riguardo, alla distruzione del ponte che permette il pas-
saggio (per eventi naturali od opera dell’uomo), che potrà essere ripristinato, ovvero al pe-
rimento dell’edificio a cui favore esisteva la servitù di non sopraelevazione, che potrà es-
sere ricostruito.
Non solo non determina l’estinzione, ma neppure una modificazione in senso ridutti-
vo della servitù, l’eventuale suo esercizio in modo tale da trarne una utilità minore di

57
La “rinuncia del titolare deve risultare da atto scritto, ai sensi dell’art. 1350, nn. 4 e 5, e non può essere
desunta indirettamente da comportamenti concludenti” (Cass. 10662/2015).
624 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

quella indicata nel titolo: la servitù si conserva per intero, indipendentemente dal motivo
di tale minore utilizzazione (art. 1075). L’esercizio della servitù in tempo diverso da quel-
lo determinato dal titolo o dal possesso, invece, non ne impedisce l’estinzione per pre-
scrizione (art. 1076): in tal caso, infatti, si ritiene che il soggetto non eserciti la stessa ser-
vitù di cui è titolare, anche se, eventualmente, il comportamento concretamente tenuto
gli fornisca una utilità sostanzialmente corrispondente.

9. Usi civici e proprietà collettive. – Ai diritti reali di godimento su cosa altrui pos-
sono essere accostati, pur con le peculiarità che ne caratterizzano la natura, gli usi civici.
Essi consistono in diritti 58 spettanti su proprietà altrui agli appartenenti a determinate
collettività di persone. Le (limitate) facoltà di godimento su proprietà private o pubbli-
che (prevalentemente comunali) sono riconosciute al singolo soggetto in quanto membro
di una comunità (uti civis) legata ad un territorio. Si tratta di facoltà di godimento che si
ricollegano a una organizzazione della società e della economia in larga misura non più
attuale: si pensi al diritto degli appartenenti a una frazione comunale di raccogliere legna
corta in boschi o di pascolare greggi in appezzamenti determinati.
Pur se di contenuto economicamente poco rilevante 59, tali diritti, di origine il più
delle volte remota, rappresentano una persistente limitazione gravante su taluni fondi,
soprattutto in alcune zone del paese. Ciò anche perché, per la loro origine legata a diritti
di cittadinanza, alla natura pubblicistica che li contraddistingue si ricollegano i caratteri
di inalienabilità e imprescrittibilità 60. Di qui la tendenza ad eliminarli, consentendo la
liberazione dei fondi da essi gravati mediante il pagamento di somme di danaro da de-
stinare a beneficio delle comunità che ne risultano ancora titolari. Il riordino e la conse-
guente liquidazione degli usi civici risultano perseguiti dalla L. 16.6.1927, n. 1766, con il
R.D. 26.2.1928, n. 332, nonché dalla L. 10.7.1930, n. 1078, attraverso l’istituzione di ap-
positi organi (Commissari agli usi civici), cui sono stati attribuiti ampi poteri in materia,
anche di carattere giurisdizionale in relazione al relativo (abbastanza esteso) contenzio-
so 61. Il trasferimento delle funzioni amministrative concernenti la liquidazione degli usi
civici alle regioni (D.P.R. 24.7.1977, n. 616) ha dato luogo a interferenze di competenze,
inevitabile causa di ulteriori ritardi, in merito alle quali sono ripetutamente intervenute
la Cassazione e la Corte costituzionale.

58
Ribadisce Corte cost. 2-12-2021, n. 228, che “alla situazione giuridica soggettiva attribuita dall’ordina-
mento per tutelare l’interesse dei singoli membri della collettività all’uso promiscuo dei beni collettivi … deve
riconoscersi la natura di diritto soggettivo dominicale, presentando le caratteristiche tipiche del diritto di pro-
prietà” (in particolare, “realità”, “assolutezza” e “inerenza”), con “i caratteri della proprietà comune, sia pure
senza quote, su un bene indiviso” (con conseguente tutelabilità, trattandosi di “diritto reale”, “con azione pe-
titoria”). Di conseguenza, la relativa disciplina, in quanto rientrante “nella materia ‘ordinamento civile’”, deve
considerarsi rientrare nella relativa “potestà legislativa esclusiva dello Stato” (ai sensi dell’art. 1172, lett. l, Cost.).
59
Cass. 21-5-2020, n. 9373 ha precisato che, “alla stregua delle regole civilistiche in tema di accessione e
di quelle della normativa di uso civico, le opere e gli impianti realizzati senza titolo su di un suolo assoggetta-
to a vincolo demaniale civico ne seguono le sorti”.
60
Cass. 28-11-2011, n. 19792, ha concluso, quindi, che “un bene aggravato da uso civico non può essere
oggetto di espropriazione forzata, per il particolare regime della sua titolarità e della sua circolazione, che lo
assimila ad un bene appartenente al demanio”.
61
Si chiarisce, comunque, che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario “le controversie che abbia-
no ad oggetto l’appartenenza di un terreno al demanio comunale non destinato all’uso civico (come il dema-
nio stradale)” (Cass., sez. un., 20-5-2020, n. 9280).
CAP. 3 – DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI 625

Dagli usi civici, assimilabili ai diritti reali di godimento su cosa altrui, si distinguono
(anche se non sempre chiaramente) forme di antiche proprietà collettive (su terreni, quindi,
che non sono di proprietà altrui, ma della stessa collettività dei beneficiari) 62. Anche in
tale ipotesi, il godimento spetta sulla base dell’appartenenza a determinate comunità
(usualmente ristrette) o gruppi di famiglie ed è organizzato, in genere, turnariamente
(come nel caso di pascoli alpini o terreni attribuiti a rotazione agli aventi diritto) 63. Pure
in relazione a tali forme di appartenenza e di godimento di fondi, delicati problemi sono
posti dalle trasformazioni cui sono andate incontro, nel tempo, l’organizzazione sociale e
l’economia delle zone interessate 64.
Al fine di un riordinamento della materia, è intervenuta, da ultimo, la L. 20.11.2017, n.
168 (“Norme in materia di domini collettivi”). La perseguita finalità 65 è quella (con il rico-
noscimento dei domini collettivi, “comunque denominati, come ordinamento giuridico
primario delle comunità originarie”) di una tutela e valorizzazione dei beni di collettivo go-
dimento, anche nella prospettiva della tutela ambientale, con ampia attribuzione – facendo
comunque salvo quanto riconosciuto ai sensi del diritto anteriore alle “comunioni familiari
vigenti nei territori montani” (art. 22) – di poteri gestionali agli “enti esponenziali delle col-
lettività titolari dei diritti di uso civico e della proprietà collettiva”, cui viene riconosciuta
“personalità giuridica di diritto privato e autonomia statutaria” (artt. 12 e 24).
L’elemento decisivo per l’applicazione della nuova disciplina è rappresentato dal-
l’avere “il diritto sulle terre di collettivo godimento” ad oggetto “utilità del fondo” nor-
malmente riservate “ai componenti della comunità” (art. 23). L’elencazione dei beni
collettivi è assai comprensiva, abbracciando le tradizionali forme di proprietà colletti-
va (“comunque denominate”), quali risultanti anche a seguito della liquidazione dei di-
ritti di uso civico (e assimilati) su terre di soggetti pubblici e privati (o dello scioglimento
di promiscuità), i corpi idrici sui quali i residenti esercitano usi civici, oltre alle terre (di
proprietà pubblica o privata) gravate da “usi civici non ancora liquidati” (categoria, que-
st’ultima, comunque destinata a restare estranea al “demanio civico” dell’ente collettivo:
art. 31-2,5). Viene chiarito che il regime di tutti i beni in questione “resta quello dell’ina-
lienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-
pastorale” (33) 66.

10. Oneri reali. – A risalenti modi di organizzazione dello sfruttamento dei beni im-
mobili si ricollega anche il concetto di onere reale. Esso consiste in un vincolo gravante
su un bene (immobile), in virtù del quale chi si trova nel relativo godimento è tenuto ad
eseguire una prestazione periodica a favore di un altro soggetto. Proprio in ciò è da ravvi-

62
In relazione alla distinzione tra usi civici e forme di appartenenza collettiva, rilevante per escludere l’o-
peratività della disciplina di cui alla L. 1766/1927, v., di recente, Cass. 20-11-2014, n. 24714.
63
Si ricordino, ad es., le regole di alcune zone montane della provincia di Belluno, le partecipanze agrarie
di alcune zone dell’Emilia, le consorterie della Valle d’Aosta.
64
Si pensi alla sopravvenuta utilizzazione di pascoli alpini a scopi turistici (ad es., per piste di sci).
65
In dichiarata attuazione dei principi di cui agli artt. 2, 9, 422 e 43 Cost. (art. 11).
66
L’art. 34 fa salvo, comunque, quanto previsto dalla precedente legislazione in materia di territori mon-
tani (anche con particolare riferimento alla disciplina dell’eventuale destinazione turistica dei beni). Secondo
Corte cost. 31-5-2018, n. 113, essendo stati ribaditi “i capisaldi della tutela dei beni civici”, “non è stato mo-
dificato il procedimento di sclassificazione e mutamento di destinazione” quale precedentemente previsto.
626 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

sare la distinzione rispetto alle servitù, nelle quali, come si è visto (VI, 3.6), l’obbligo di
effettuare una prestazione (da parte del proprietario del fondo servente) ha, al più, carat-
tere accessorio.
Alla figura dell’onere reale si ricollegano i livelli, quali residui (talvolta ancora esisten-
ti) del riconoscimento di antichi domini (usualmente di carattere pubblicistico) sui fon-
di 67. Anche la loro affrancazione è disciplinata, come in genere quella di canoni, censi e
ogni altra prestazione perpetua, dalla legislazione speciale (a partire dalla L. 11.6.1925,
n. 998). L’onere reale, come istituto giuridico autonomo, non risulta recepito nel nostro
ordinamento (a differenza che in quello tedesco: Reallast).
Alla nozione di onere reale sono usualmente ricondotti i contributi consorziali (artt.
860 e 864) e il canone enfiteutico, del quale, peraltro, non si manca di contestare una si-
mile qualificazione, non riscontrandosi alcun corrispondente particolare potere del cre-
ditore sul fondo. Caratteristica dell’onere reale – in quanto, appunto, diritto di natura rea-
le – è, infatti, reputata l’immediatezza (oltre all’assolutezza), quale potere del titolare di
soddisfarsi sulla cosa, indipendentemente dalle vicende relative ai diritti che la concerno-
no, con conseguente possibile esercizio, a tal fine, di un’azione reale (che qui si atteggia
come possibilità di ricavare quanto spettante attraverso l’esecuzione forzata sul bene).
Il carattere reale del vincolo viene ricollegato anche al peculiare modo di presentarsi
della responsabilità di chi si trovi a godere del bene che ne è gravato: costui risponde pu-
re delle prestazioni maturate precedentemente all’instaurazione del suo rapporto col bene
stesso (per il canone enfiteutico, si veda l’art. 9671). Si ritiene, poi, che egli risponda limi-
tatamente al valore del bene, in ciò ravvisandosi una significativa differenza rispetto alle
obbligazioni reali (o propter rem) (VII, 1.5), in relazione alle quali opera, invece, il
principio generale della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740).
Vale per gli oneri reali il principio di tipicità (e del numerus clausus), per cui non è con-
sentito agli interessati costituirne al di fuori delle ipotesi legislativamente previste. È da
sottolineare, comunque, come un analogo principio si ritenga diffusamente valere (come
anche quello della possibile estinzione a seguito di abbandono del bene) pure per le ob-
bligazioni reali 68, in cui la titolarità di un diritto (proprietà o altro diritto reale) su di un
bene rappresenta il mezzo di individuazione del soggetto tenuto ad una prestazione (co-
me nel caso delle prestazioni accessorie dovute dal proprietario del fondo servente, ai
sensi dell’art. 1030, nonché delle spese di comunione, art. 1104, e condominiali, art.
1123; a tale categoria si ascrive, da parte di taluni, considerandosi ormai inattuale la ca-
tegoria dell’onere reale, anche il canone enfiteutico).

67
Al passato appartengono anche le decime, prestazioni dovute in proporzione alla produzione del fondo
all’originario titolare di diritti dominicali sul bene (decime dominicali o signorili; si ricordino pure le antiche
decime ecclesiastiche).
68
Così, da ultimo, ad es., Cass. 24-10-2018, n. 26987 (ma, diversamente e isolatamente, Cass. 6-3-2003, n.
3341, nel senso della estraneità del “principio di tipicità” alle obbligazioni propter rem), nonché, nel contesto
di una convinta e ampiamente motivata riconferma del principio in questione, Cass., sez. un., 17-12-2020, n.
28972.
CAPITOLO 4
COMUNIONE E CONDOMINIO

Sommario: 1. Comunione. – 2. Condominio negli edifici. – 3. Multiproprietà.

1. Comunione. – La comunione è la situazione che si determina quando la proprie-


tà o altro diritto reale spetta in comune a più persone (art. 1100). Se, come accennato (VI,
1.2), si ritiene inammissibile la coesistenza di più diritti di proprietà sullo stesso bene, è
consentita, invece, la contitolarità dello stesso diritto sul bene da parte di una pluralità di
soggetti (a quella del diritto di proprietà si allude con la terminologia di comproprietà o,
ancora più specificamente, di condominio) 1.
Il fenomeno che ne risulta è molto diffuso e si presenta di ardua disciplina: la difficol-
tà è quella di conciliare la concorrenza, in relazione al bene, di una pluralità di interessi
individuali della stessa natura, assicurando, al contempo, che l’esercizio delle facoltà di
godimento e dei poteri di disposizione inerenti alla proprietà (o ad altro diritto reale)
non ne risulti – anche nell’interesse collettivo dei contitolari e di quello generale della
economia – pregiudicato 2. È facilmente comprensibile, allora, che il fenomeno in que-
stione dia spazio ad accese discussioni circa la sua natura, a seconda che se ne accentui il
profilo individuale (con la valorizzazione del diritto del singolo partecipante sulla cosa
nella sua interezza, sia pure limitato dal concorrente diritto degli altri partecipanti), ov-
vero quello collettivo (con una preminente attenzione alla organizzazione della collettività
dei partecipanti, alla quale sola spetterebbe il diritto).
L’origine (fonte) della situazione di comunione può essere diversa. Si usa parlare, al
riguardo, di comunione volontaria (quando sorge per volontà delle parti, come nel caso
di acquisto insieme di una cosa), incidentale (quando sorge indipendentemente dalla vo-
lontà delle parti, per effetto di previsione legislativa, come nel caso della comunione ere-
ditaria), ovvero forzosa (quando è imposta dalla legge e non ne è ammesso lo scioglimen-

1
Dalla definizione dell’art. 1100 emerge come il codice sembri avere inteso limitare la sfera dei diritti pos-
sibile oggetto di comunione alla proprietà e ai diritti reali, escludendone, invece, i diritti di credito. Discussa
(e tradizionalmente negata) è, dunque, la configurabilità di una comunione relativa a crediti, ritenendosi che
la problematica della pluralità dei creditori nel rapporto obbligatorio sia da affrontare nel quadro del fenome-
no della complessità soggettiva dell’obbligazione (artt. 1292 ss.) (VII, 1.12-13).
2
La Relaz. cod. civ., n. 517, avverte, infatti, proprio in relazione ai pericoli di inefficiente gestione dei beni
oggetto di comunione (per la difficoltosa coesistenza degli accennati interessi), che la disciplina introdotta “è
assai più compiuta che nel codice del 1865 e meglio ordinata al fine di impedire che la situazione d’indivi-
sione dei beni contraddica alle ragioni del progresso civile e della pubblica economia”.
628 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

to, come nel caso delle parti comuni dell’edificio condominiale, art. 1117, o della comu-
nione del muro sul confine, art. 874) 3.
Per regolamentare la partecipazione di ciascuno alla contitolarità del diritto, l’ordi-
namento ricorre al concetto di quota. Il diritto di ogni partecipante – almeno secondo
la prospettiva più diffusa e aderente alla disciplina del fenomeno nel nostro ordina-
mento – ha ad oggetto la cosa nel suo insieme e non una sua parte specifica (la comu-
nione è pro indiviso), ma esso viene limitato dal concorso del diritto (di natura omoge-
nea) spettante a ciascuno degli altri contitolari. Il concorso dei partecipanti, ai quali in-
sieme spetta la proprietà (o altro diritto reale) sulla cosa, tanto nei vantaggi, quanto nei
pesi della comunione, è determinato, appunto, in proporzione delle rispettive quote (art.
11012) 4. Tale situazione viene correntemente definita, per ciascun partecipante, come
diritto a una quota ideale della cosa, intendendosi con ciò sottolineare che non si tratta
di diritto su una parte della cosa in senso fisico: il diritto alla quota (come frazione,
cioè, solo astratta e matematica) si traduce in esso esclusivamente in seguito allo scio-
glimento della comunione ed alla conseguente divisione. La quota, insomma, indica la
misura della partecipazione di ciascun contitolare al (medesimo) diritto sul bene: per
ovvi motivi di opportunità, è stabilito che le quote dei partecipanti alla comunione si
presumono eguali (art. 11011). Ciascun partecipante può disporre del suo diritto e ce-
dere ad altri – ovviamente nei limiti della quota che gli spetta – il godimento della cosa
(art. 11031), nonché costituire ipoteca sulla propria quota (art. 11032), con il particola-
re regime dell’art. 2825.
Quanto alla utilizzazione della cosa comune, ogni partecipante può utilizzarla indivi-
dualmente (c.d. uso collettivo o promiscuo), rispettando l’analogo diritto di godimento
che compete agli altri partecipanti. Non può, però, alterare la destinazione economica
della cosa 5. In tali limiti può anche apportare a proprie spese le modificazioni necessarie
per migliorare il godimento della cosa (art. 11021). L’art. 11022 si riferisce all’eventuale
estensione del diritto del partecipante sulla cosa comune in danno degli altri partecipan-
ti: a tal fine è richiesto il compimento di atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

3
La disciplina dettata dal codice è riferita al fenomeno generale della comunione che, per distinguerla da
ipotesi particolari di comunione, viene correntemente definita ordinaria. Una disciplina specifica è prevista
per la comunione legale tra i coniugi (artt. 159 e 177 ss.) (V, 2.12), per il condominio negli edifici (artt. 1117
ss.) (VI, 4.2), nonché – quanto alle regole divisorie (a loro volta richiamate dall’art. 1116) – per la comunione
ereditaria (artt. 713 ss.) (XII, 4.1). La normativa dettata dal codice è espressamente considerata di carattere
suppletivo (applicabile, cioè, solo in mancanza di una diversa disciplina da parte della volontà dei costituenti –
risultante dal titolo – o della legge, per i tipi di comunione regolati in tutto o in parte specificamente) (art.
1100). Peraltro, alcune disposizioni, come in particolare quella dell’art. 11112, si presentano come inderogabili
dalla volontà delle parti.
4
Al modello di comunione cui si riferisce il nostro codice, di tradizione romana, si contrappone quello
della comunione a mani riunite, di tradizione germanica. Quest’ultima (almeno quale modello generale ormai
abbandonata, peraltro, anche dal codice civile tedesco a favore della comunione per quote: §§ 741 ss. BGB) si
caratterizza per la mancanza del riferimento alla quota come criterio di misura della partecipazione di ciascu-
no al diritto (suscettibile di disposizione): il diritto, cioè, appartiene collettivamente al gruppo in quanto tale,
ciascun membro potendo goderne solo in tale sua qualità.
5
Comunque, a condizione che “non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al
pari uso da parte di questi ultimi” (da intendere, però, nel senso di “uso potenziale), “ciascun comproprie-
tario ha diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore o più intensa di quella degli altri comproprieta-
ri” (Cass. 16-4-2018, n. 9278).
CAP. 4 – COMUNIONE E CONDOMINIO 629

Occorre, per trasformare, ai fini dell’usucapione, il compossesso 6 in possesso esclusivo,


un comportamento che denoti inequivocabilmente (in quanto incompatibile con il pos-
sesso degli altri partecipanti) l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva 7.
Ciascun contitolare è tenuto a partecipare alle spese necessarie per la conservazione e
il godimento della cosa comune in proporzione della propria quota 8. Si può liberare di
tale obbligo solo rinunziando al suo diritto (art. 11041). È ammessa, dunque, la rinun-
zia – che deve essere inequivoca – al proprio diritto da parte del partecipante: la sua
quota si accresce automaticamente, nei vantaggi come negli svantaggi, agli altri parteci-
panti 9.
L’amministrazione della cosa comune spetta collettivamente a tutti i partecipanti, se-
condo il principio maggioritario. Per gli atti di ordinaria amministrazione è sufficiente che
le deliberazioni provengano dalla maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valo-
re delle rispettive quote, purché tutti siano stati informati preventivamente del relativo
oggetto. All’autorità giudiziaria si potrà rivolgere ciascun partecipante nel caso in cui
non vengano presi (o eseguiti) i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa
comune (art. 1105). A maggioranza potrà essere adottato un regolamento per l’ordi-
naria amministrazione e per il migliore godimento della cosa comune, nonché nominato
un amministratore (anche estraneo al gruppo dei partecipanti) (art. 1106) 10. Il rego-
lamento può essere impugnato davanti all’autorità giudiziaria dai partecipanti dissenzien-
ti (art. 1107). Solo con una maggioranza qualificata (due terzi del valore complessivo del-
la cosa comune) si possono disporre innovazioni dirette a migliorare la cosa ed il suo go-
dimento, purché non importino una spesa troppo gravosa, nonché compiere gli atti ec-

6
Tale intendendosi l’esercizio del possesso sulla cosa, allo stesso titolo, da parte di una pluralità di sog-
getti.
7
Per Cass. 29-9-2000, n. 12961 (e v. pure Cass. 23-7-2008, n. 20287), perché un partecipante possa esten-
dere il suo diritto attraverso l’usucapione, occorre “un comportamento materiale che esteriorizzi sin
dall’inizio in maniera non equivoca l’intento di possedere il bene in maniera esclusiva”. La previsione si in-
quadra nella prospettiva problematica della interversione del possesso (VI, 5.2 e 5.7), anche se, al fine indicato,
è stata esclusa la “necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell’art. 1164”, bastando
“atti integranti un comportamento durevole tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della
cosa, incompatibili con il permanere del compossesso altrui” (Cass. 11-8-2005, n. 16841; 2-4-2018, n. 9100 e
19-2-2019, n. 4844, che allude all’alterazione “senza il consenso e in pregiudizio degli altri partecipanti” dello
stato di fatto e della destinazione del bene: comunque, “non sono al riguardo sufficienti atti soltanto di ge-
stione … o anche atti familiarmente tollerati dagli altri”). Ad atti e comportamenti “il cui compimento da par-
te di uno dei comproprietari realizzi l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rappor-
to materiale con il bene”, allude Cass. 9-6-2015, n. 11903). Tali principi vengono applicati, in particolare, nei
rapporti tra coeredi (Cass. 18-4-2018, n. 9556 e 22-1-2019, n. 1642) (XII, 4.4).
8
Il carattere di obbligazione reale (VII, 1.5) di quella del partecipante per le spese emerge dall’art. 11043,
per cui il cessionario del partecipante è tenuto in solido col cedente al pagamento dei contributi da costui do-
vuti ma non corrisposti.
9
Ribadisce Cass. 9-11-2009, n. 23691, che “con la rinuncia, negozio di natura abdicativa” (v. anche Cass.
25-2-2015, n. 3819), si viene ad operare ipso iure, “in forza del principio di elasticità della proprietà, l’ac-
crescimento della quota rinunciata” a favore degli altri compartecipi. Per l’applicabilità del principio anche
nel contesto del sistema tavolare, v. Trib. Trieste 27-2-2017.
10
Peraltro, la “eventuale nomina di un amministratore non investe il medesimo di tutti i poteri di gestione
e dei poteri di rappresentanza dei partecipanti”, come nel condominio degli edifici ai sensi degli artt. 1130 e
1131: “solo con espresso conferimento del relativo potere, l’amministratore può avere la rappresentanza dei
partecipanti alla comunione” (Cass. 27-6-2007, n. 14826).
630 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

cedenti l’ordinaria amministrazione. È necessaria l’unanimità per gli atti di disposizione


relativi alla cosa comune (alienazione, costituzione di diritti reali e locazione ultranoven-
nale) (art. 1108). Contro le deliberazioni, ciascun componente della minoranza dissenzien-
te può proporre impugnazione davanti all’autorità giudiziaria (art. 1109).
Il partecipante ha il diritto (correntemente qualificato come potestativo) di chiedere
in ogni momento lo scioglimento della comunione e la conseguente divisione. L’autorità
giudiziaria, chiamata ad intervenire in mancanza di accordo, può stabilire una congrua
dilazione, comunque non superiore a cinque anni (art. 11111). Le parti possono, peral-
tro, obbligarsi a rimanere in comunione per un tempo non superiore a dieci anni; se tale
patto di indivisibilità è stato stipulato per una durata maggiore, questa si riduce a dieci
anni (art. 11112). L’autorità giudiziaria, comunque, può anche ordinare lo scioglimento
anticipato della comunione (art. 11113). Lo scioglimento della comunione non può esse-
re chiesto solo se si tratti di cose che, ove divise, cesserebbero di servire all’uso cui sono
destinate (art. 1112) 11. Da tale complessiva disciplina emerge evidente lo sfavore del legi-
slatore per la situazione di comunione, in considerazione dell’intralcio che si teme possa
derivarne ad uno sfruttamento ottimale del bene e alla sua libera circolazione.
La divisione ha luogo preferibilmente in natura, ove la cosa sia comodamente divisi-
bile in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti (art. 1114). Alla divisione delle
cose comuni si applicano, in quanto non contrastanti con quelle qui specificamente det-
tate, le norme sulla divisione ereditaria (art. 1116). Risulta, quindi, applicabile, ove non
sia possibile la divisione in natura, il regime divisorio previsto dall’art. 720 (vendita del
bene o relativa assegnazione ad un partecipante, rispettivamente con ripartizione della
somma ricavata o imputazione alla quota dell’assegnatario e distribuzione del conguaglio
tra gli altri partecipanti) 12.

2. Condominio negli edifici. – Il codice civile ha dettato una disciplina dettagliata


per il condominio negli edifici, in considerazione della diffusione e della rilevanza
sociale del fenomeno della proprietà degli edifici divisa per piani 13. Si tratta, in effetti, di
un peculiare modo di atteggiarsi della proprietà, con una coesistenza di quella individua-
le e di quella comune, che si realizza tipicamente negli edifici: ciascuno ha la proprietà
individuale di un piano o porzione di piano ed è, allo stesso tempo, contitolare della pro-
prietà delle parti comuni dell’edificio.

11
Non ci si riferisce, quindi, semplicemente alle cose indivisibili, in relazione alle quali è pur sempre
ipotizzabile lo scioglimento della comunione, sia pure senza una divisione in natura. Si fa l’esempio di cosa
atta a fornire utilità (di carattere strettamente personale) ai soli partecipanti alla comunione, come un diario
familiare.
12
Cass. 10-3-1976, n. 831, ha ritenuto applicabile il regime dell’art. 720, relativo agli immobili non divi-
sibili, “in via d’interpretazione estensiva”, anche alla “ipotesi dello scioglimento della comunione in ordine a
beni mobili di non comoda divisibilità”.
13
Si evidenzia, appunto, nella Relaz. cod. civ., n. 525, che “lo sviluppo assunto dal condominio negli edifi-
ci nei tempi più recenti non poteva non consigliare che la relativa disciplina, conseguitasi attraverso provve-
dimenti speciali, trovasse la sua sede nel codice civile”. A seguito di numerose iniziative di revisione legislativa
dell’istituto, finalizzate ad adeguarne la regolamentazione alle nuove esigenze, una riforma di ampio respiro è
stata attuata con la L. 11.12.2012, n. 220, la quale ha modificato diverse disposizioni del codice civile in mate-
ria, introducendone anche di nuove. Alcune delle disposizioni appena introdotte, peraltro, in considerazione
della relativa problematicità, sono state già modificate dal D.L. 23.12.2013, n. 145.
CAP. 4 – COMUNIONE E CONDOMINIO 631

Con l’introduzione dell’art. 1117 bis, risulta ora recepita anche la figura del c.d. su-
percondominio, dichiarandosi applicabili, “in quanto compatibili”, le disposizioni in
materia di condominio, “in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero
più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’art.
1117” 14.
Sono oggetto di proprietà comune (“se non risulta il contrario dal titolo”) 15 il suo-
lo, le fondamenta, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le
scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i porticati, i cortili, le facciate, nonché
le aree destinate a parcheggio, i locali per i servizi in comune, come la portineria e
l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e sottotetti; sono tali, inoltre, le ope-
re, le istallazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune 16 (art.

14
Alla figura del s u p e r c o n d o m i n i o (o condominio complesso o orizzontale) si riferiva già correntemen-
te la giurisprudenza, con riguardo alla situazione di più edifici (anche se a loro volta di carattere condominia-
le) aventi in comune spazi (portineria, reti viarie, parcheggi), servizi (portierato, pulizia) o impianti (idraulici,
di riscaldamento). Si ritenevano, così, applicabili a “dette cose, impianti e servizi … in rapporto di accessorie-
tà con i fabbricati … le norme sul condominio negli edifici, e non quelle sulla comunione in generale” (Cass.
7-7-2000, n. 9096). Sembra restare, quindi, attuale l’orientamento secondo cui, ferma pure in caso di super-
condominio l’applicabilità delle “norme relative al condominio in relazione alle parti comuni di cui all’art.
1117 c.c.” (e v., ad es., di recente, Cass. 4-2-2021, n. 2623), “restano soggette alla disciplina della comunione
ordinaria le altre eventuali strutture, che sono dotate di una propria autonomia, come per esempio le attrezza-
ture sportive, gli spazi di intrattenimento, i locali di centri commerciali inclusi nel comprensorio comune”
(Cass. 18-4-2005, n. 8066). Peraltro, si è evidenziato che “ai fini della configurabilità di un supercondominio,
non è indispensabile l’esistenza di beni comuni a più edifici”, risultando sufficiente “la presenza di servizi
comuni agli stessi” (quali illuminazione, rimozione dei rifiuti e portineria: Cass. 19-9-2014, n. 19799). Per Cass.
26-8-2013, n. 19558, “è nullo il regolamento contrattuale condominiale che determini, quali partecipanti al-
l’assemblea del supercondominio, il collegio degli amministratori dei singoli edifici in luogo di tutti i condo-
mini”. Al supercondominio viene considerata applicabile la norma dell’art. 11291, concernente la necessaria
nomina di un amministratore quando i partecipanti siano più di otto (Cass. 12-6-2018, n. 15262, secondo cui
“laddove esiste un supercondominio, devono esistere due tabelle millesimali: la prima riguarda i millesimi
supercondominiali … la seconda è quella normale interna ad ogni edificio”).
15
Potrà essere prevista, così, al momento della vendita frazionata dell’edificio, la proprietà esclusiva del la-
strico solare o dei locali destinati ad alloggio del portiere. In relazione alla possibilità di costituire un diritto di
uso esclusivo di parti comuni a favore di uno dei condomini, a fronte di opinioni differenziate, Cass., sez. un.,
17-12-2020, n. 28972, ha negato – ad esito di un’approfondita esegesi dell’art. 1102, rubricato “uso della cosa
comune”, dettato per la comunione, ma applicabile al condominio per il tramite dell’art. 1139 – che “la crea-
zione di un atipico ‘diritto reale di uso esclusivo’, tale da svuotare di contenuto il diritto di comproprietà,
possa essere il prodotto dell’autonomia negoziale”, ostandovi” il principio, o i principi, sovente in dottrina tenu-
ti distinti, sebbene in gran parte sovrapponibili, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi” (su
cui v. supra, VI, 3.1). Resta salva, ricorrendone i presupposti, la possibile conversione ex art. 1424 “del con-
tratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo in contratto avente ad oggetto la concessione di un
uso esclusivo e perpetuo (perpetuo inter partes, ovviamente) di natura obbligatoria”. L’elencazione di cui
all’art. 1117 si ritiene “non tassativa ma meramente esemplificativa” (Cass. 9-6-2000, n. 7889). Ciò sembra ora
emergere anche dalla utilizzazione, nell’art. 1117, n. 1, di un riferimento generale a “tutte le parti dell’edificio
necessarie all’uso comune” e dal risultare introdotta la conseguente estesa elencazione da “come” (similmente
l’art. 1117, n. 3, per “le opere, le istallazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune”). Di
conseguenza non pare condivisibile l’esclusione, da parte di Trib. Genova 28-1-2016, della ricorrenza di un
supercondominio (per carenza di “parti comuni ai sensi dell’art. 1117”), nel caso in cui siano comuni (solo)
strade private.
16
Si allude ad ascensori, pozzi, cisterne, impianti idrici e fognari, sistemi centralizzati di distribuzione e di
trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la rice-
zione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro flusso informativo, anche da satellite o via cavo.
632 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

1117) 17. Proprio per questo carattere funzionale, si tratta di una comunione forzosa. Cia-
scun condomino, come in ogni altro caso di comunione, può servirsi di tali parti comuni
compatibilmente con il pari diritto di servirsene degli altri, ma non ne può chiedere la
divisione (salvo che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa
agli altri condomini e, comunque, con il consenso di tutti i partecipanti: art. 1119). Il di-
ritto di ciascun condomino su tali cose è proporzionato (sempre salvo che diversamente
risulti dal titolo) al valore del piano o della porzione di piano che gli appartiene (art.
11181). Egli non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni e sottrarsi al contributo
per le spese della relativa conservazione (art. 11182-3) 18.
Il peculiare atteggiarsi della proprietà negli edifici condominiali comporta, per defi-
nizione, problematiche complesse. Di conseguenza, è prevista come normale la presenza
di un amministratore (le cui numerose attribuzioni sono indicate nell’art. 1130) 19, alme-
no quando i condomini siano più di otto: la relativa nomina può essere effettuata, in
mancanza di accordo in sede assembleare, dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più
condomini (art. 11291) 20.
All’amministratore compete la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio
sia contro i condomini sia contro i terzi (art. 1131, il quale prevede anche che possa esse-
re convenuto in giudizio per le azioni relative alle parti comuni dell’edificio). La discipli-
na del condominio si discosta, in effetti, da quella ordinaria della comunione (come mera
contitolarità di diritti), avvicinando la relativa figura, per taluni aspetti, a quella degli en-
ti: non a caso, ne viene prospettata diffusamente una certa (anche se sui generis) sogget-
tività giuridica (in particolare, proprio sulla base della regolamentazione della sua rappre-
sentanza) 21.

17
Viene previsto che l’assemblea (con una maggioranza particolarmente elevata, con notevoli cautele circa
la sua convocazione e con limitazioni sostanzialmente corrispondenti a quelle previste dall’art. 11214 per le
innovazioni), per soddisfare esigenze di interesse condominiale, possa modificare la destinazione d’uso di parti
comuni (1117 ter). Un meccanismo efficiente di tutela della destinazione d’uso prevede l’art. 1117 quater.
18
Con l’art. 11184 è stata disciplinata, in particolare, la materia (fonte di ricorrenti controversie) della ri-
nuncia all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento.
19
La figura (persona fisica o società) dell’amministratore – nominato dall’assemblea che lo può in ogni tempo
revocare – si presenta indiscutibilmente valorizzata dalla L. 220/2012 (che ne prevede anche specifici requisiti
di competenza professionale, salvo che non si tratti di un condomino: art. 71 bis disp. att.). A lui, in particola-
re, compete la redazione del rendiconto condominiale annuale (disciplinato minuziosamente dall’art. 1130 bis),
nonché la tenuta, in aggiunta ad altri registri, del registro di anagrafe condominiale (contenente notizie essen-
ziali – oltre che riguardo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell’edificio – circa le diverse unità
immobiliari ed i soggetti titolari di diritti reali e personali di godimento su di esse: art. 11306-7). L’art. 1129
disciplina dettagliatamente nomina, durata in carica e revoca dell’amministratore, prevedendo espressamente
quali siano le “gravi irregolarità” eventualmente addebitabili la sua gestione (e rinviando, “per quanto non disci-
plinato”, all’applicazione delle disposizioni in tema di mandato).
20
Con riferimento a quello composto da due partecipanti (c.d. condominio minimo), Cass., sez. un., 31-1-2006,
n. 2046, ha concluso che “il rimborso delle spese per la conservazione delle cose comuni anticipate da uno
dei condomini è disciplinato non già dall’art. 1110”, dettato in tema di comunione, “ma dall’art. 1134, in base
al quale il diritto al rimborso è riconosciuto solo per le spese urgenti” (v. anche Cass. 16-4-2018, n. 9280).
21
Secondo un accreditato indirizzo, comunque, “il condominio non è un soggetto giuridico dotato di
propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione, il quale
opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei partecipanti, limitatamente all’amministrazione e al buon
uso della cosa comune, senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino” (Cass. 9-6-2000, n. 7891;
ancora di recente, Cass. 30-9-2014, n. 20557, nonché Cass. 28-2-2018, n. 4573). Peraltro, nel senso della “in-
CAP. 4 – COMUNIONE E CONDOMINIO 633

È in una simile prospettiva, del resto, che deve essere valutata la obbligatorietà, se i
condomini sono più di dieci, della formazione di un regolamento condominiale (quale
sorta di statuto del condominio), che contempli le norme per l’uso della cosa comune e
per la ripartizione delle spese (pure a ciò provvedendo, in mancanza di accordo, l’auto-
rità giudiziaria, su iniziativa di ciascuno dei condomini) (art. 11381-3) 22. Al regolamento
condominiale è demandata, in particolare, la determinazione del valore rispettivo delle
proprietà individuali (in proporzione al valore dell’intero edificio), ai fini del concorso
nell’amministrazione e nella sopportazione delle varie spese condominiali, quantifican-
dolo in millesimi (in apposita tabella: art. 68 disp. att.) 23. Le norme del regolamento
di condominio, comunque, non possono menomare i diritti di ciascun condomino, quali
risultanti dagli atti di acquisto e dalle convenzioni. Inderogabili sono, poi, espressamente
dichiarate numerose disposizioni, evidentemente considerate imprescindibili ai fini del
buon funzionamento dell’organismo condominiale, nel rispetto dei diritti di tutti i con-
domini (art. 11384). Si è specificato che il regolamento non può vietare di possedere o de-
tenere animali domestici (11385).
L’organo collegiale del condominio, cui sono riconosciuti ampi poteri (approvazione
del regolamento condominiale, nomina e conferma dell’amministratore, approvazione del
preventivo delle spese e del relativo rendiconto annuale, approvazione delle opere di ma-
nutenzione straordinaria e delle innovazioni, deliberazioni concernenti le liti), è rappre-
sentato dall’assemblea dei condomini (art. 1135). Per la sua costituzione e per le sue deli-
berazioni il codice detta una disciplina articolata (più di quella prevista per le associazioni),

consistenza” pure del “ripetuto e acritico riferimento dell’ente di gestione al condominio degli edifici”, v.
Cass., sez. un., 8-4-2008, n. 9148. Col problema della soggettività del condominio, pur non affrontato esplici-
tamente dalla riforma (diversamente che in talune proposte), pare interferire ora la previsione per cui, nel
disciplinare la nota di trascrizione anche per i condominii, si stabilisce che, in relazione ad essi, “devono esse-
re indicati l’eventuale denominazione, l’ubicazione e il codice fiscale” (art. 2659, n. 1). Comunque, Cass., sez.
un., 10-4-2019, n. 10934 (ridimensionando la portata delle aperture in senso contrario di Cass., sez. un.,
18-9-2014, n. 19663, secondo cui sarebbe rilevabile una “progressiva configurabilità in capo al condominio di
una sia pure attenuata personalità giuridica”), ha confermato l’orientamento tradizionale, per avere respinto il
legislatore, in sede di riforma, “la prospettiva di dare al condominio personalità giuridica con conseguenti
diritti sui beni comuni” (avallando, di conseguenza, il prevalente orientamento, nel senso che i singoli con-
domini hanno “la facoltà di affiancarsi o surrogarsi all’amministratore nella difesa in giudizio dei diritti vantati
sui beni comuni”, dato il “carattere autonomo del potere del condomino di agire a tutela dei suoi diritti di com-
proprietario pro quota”). Al condominio, in ogni caso, tende ad essere applicata, nelle contrattazioni in cui è in-
teressato, “la disciplina di tutela del consumatore” (Cass. 22-5-2015, n. 10679 e 16-5-2017, n. 12164).
22
A fronte di una diffusa prassi in tal senso, si è stabilito che “è nullo per indeterminatezza dell’oggetto …
il mandato contenuto nell’atto di cessione delle singole unità immobiliari condominiali con il quale si consen-
te al costruttore di redigere in futuro il regolamento condominiale senza individuare alcun criterio per la re-
dazione dello stesso” (Cass. 11-4-2014, n. 8606). È stata prospettata l’esigenza di una interpretazione restritti-
va delle clausole del regolamento condominiale (contrattuale) tendenti ad imporre “divieti e limiti alle facoltà
di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva”, Cass. 20-10-2016, n. 21307. La
previsione di tali “limiti alla destinazione delle proprietà esclusive” viene (da Cass. 18-10-2016, n. 21024) “ri-
condotta alla categoria delle servitù atipiche”.
23
Contro la tradizionale affermazione della necessità, ai fini dell’approvazione o della revisione delle tabelle
millesimali, del consenso di tutti i condomini, Cass., sez. un., 9-8-2010, n. 18477, aveva concluso che esse “non
devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata
di cui all’art. 1136, comma 2” (la stessa, cioè, richiesta dall’art. 11383 per l’approvazione del regolamento con-
dominiale da parte dell’assemblea). L’art. 69 disp. att. dispone ora che i valori espressi nella tabella millesimale –
salvo ipotesi specifiche (come in caso di “mutate condizioni di una parte dell’edificio”), in cui viene considerata
sufficiente la maggioranza dell’art. 11362 – “possono essere rettificati o modificati all’unanimità”.
634 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

fondata sulla concorrente rilevanza di due criteri: il valore complessivo dell’edificio e il


numero dei partecipanti al condominio (art. 1136). Tutti i condomini devono essere invita-
ti alla riunione 24, è richiesto un quorum (numero minimo di condomini partecipanti all’as-
semblea) e le maggioranze (in applicazione proporzionale dei due criteri indicati) sono di-
verse, a seconda del tipo di deliberazione da adottare. In sostanza, la distinzione è tra atti
di ordinaria amministrazione, atti di straordinaria amministrazione e innovazioni 25. Le deli-
berazioni dell’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini, ma ne è prevista la possi-
bile impugnazione, con ricorso all’autorità giudiziaria, da parte dei condomini dissenzienti
o assenti, entro il termine di trenta giorni (art. 1137). Le deliberazioni che incidono sui di-
ritti individuali dei condomini sono, invece, impugnabili in ogni tempo 26.
Particolarmente dettagliato è il regime delle innovazioni (art. 1120, ove si distin-
gue, ai fini delle maggioranze assembleari necessarie, tra i diversi tipi di innovazioni, vie-
tandone senz’altro talune) 27, agli oneri relativi alle quali, se gravose o voluttuarie, neppu-
re la maggioranza qualificata prevista dall’art. 11365 può costringere i condomini che
dissentano dalla loro effettuazione (art. 1121).

24
Le modalità di convocazione e di partecipazione (anche a mezzo di rappresentante) dei condomini sono
puntualmente disciplinate negli artt. 66 e 67 disp. att. (pure con specifico riferimento al supercondominio).
25
Talune leggi, in materie specifiche, hanno disposto deroghe alle maggioranze qualificate previste in ge-
nerale per le innovazioni (ad es., per eliminare le barriere architettoniche o istituire parcheggi).
26
Al riguardo, si ci si riferisce correntemente alla distinzione tra le deliberazioni la cui impugnazione è as-
soggettata al termine di trenta giorni (definite annullabili) e quelle contro cui il condomino può agire senza
essere assoggettato a termini (definite nulle). Riordinando tale discussa problematica, Cass., sez. un., 7-3-2005, n.
4806, ha precisato che “debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli ele-
menti essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al
buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza assembleare, le delibere che incido-
no sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le
delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con
vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella pre-
scritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni le-
gali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea,
quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richie-
denti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto” (annullabile è considerata, di conseguenza, la delibera per
“mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale”).
Sul tema è tornata Cass., sez. un., 14-4-2021, n. 9839, la quale ha inteso ribadire, ma con precisazioni, i principi
già affermati da Cass. 4806/2005, rilevando, in particolare, che “proprio considerando il fatto che la categoria
della annullabilità è stata elevata dal legislatore a ‘regola generale’ delle deliberazioni assembleari viziate, è possi-
bile cogliere l’inadeguatezza del criterio distintivo tra nullità e annullabilità fondato sulla contrapposizione tra
‘vizi di sostanza’ e ‘vizi di forma’” (quale individuato nella precedente pronuncia). Così, “del tutto residuale ri-
spetto alla generale categoria dell’annullabilità” risultando quella della nullità (“attenendo a quei vizi talmente
radicali da privare la deliberazione di cittadinanza nel mondo giuridico”), essa deve reputarsi limitata ai casi di:
“mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali” (volontà della maggioranza, oggetto, causa, forma);
“impossibilità dell’oggetto, in senso materiale o in senso giuridico” (la prima da valutarsi “con riferimento alla
concreta possibilità di dare attuazione a quanto deliberato”, la seconda da valutarsi “in relazione alle ‘attribuzio-
ni’ proprie dell’assemblea”, ricorrendo in caso di “difetto assoluto di attribuzioni”); “illiceità” (quando “il deci-
sum risulta contrario a ‘norme imperative’, all’‘ordine pubblico’ o al ‘buon costume’”). In una simile prospettiva,
pur essendo le deliberazioni concernenti la ripartizione delle spese tra condomini “affette da un vizio di ‘sostan-
za’”, esse devono, in linea di principio, considerarsi annullabili, la nullità risultando applicabile (“per ‘impossibi-
lità giuridica’ dell’oggetto”) alle (sole) deliberazioni “con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i
generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valersi in futuro”.
27
Di particolare interesse risulta l’inclusione tra le innovazioni vietate “l’assegnazione, in via esclusiva e
per un tempo indefinito, di posti auto solo in favore di taluni condomini” (Cass. 27-5-2016, n. 11034).
CAP. 4 – COMUNIONE E CONDOMINIO 635

Le spese sono ripartite tra i condomini in proporzione al valore della proprietà di cia-
scuno (salvo diversa convenzione), con un diverso criterio nel caso di cose destinate a ser-
vire i condomini in misura differente e per le opere destinate a servire solo ad un gruppo
di condomini (ad es., le diverse scale o lastrici solari) (art. 1123) 28. Regole specifiche so-
no previste per la ripartizione delle spese relative alle scale (art. 1124), ai soffitti, volte e
solai (art. 1125) ed ai lastrici solari di uso esclusivo (art. 1126).
Il diritto di sopraelevare l’edificio (salvo che diversamente risulti dal titolo) è riservato
al proprietario dell’ultimo piano o a chi risulti proprietario esclusivo del lastrico solare,
previo indennizzo agli altri condomini (art. 1127) 29.

3. Multiproprietà. – L’espressione multiproprietà si è affermata nella pratica degli


affari immobiliari senza un preciso significato tecnico-giuridico. Con essa si è inteso sem-
plicemente individuare la sostanza del fenomeno consistente nell’attribuzione ad un sog-
getto del godimento ciclico, per un certo periodo ogni anno, di locali idonei ad una utilizza-
zione turistica. La problematica del godimento turnario di una unità immobiliare, abitual-
mente parte di un vasto complesso, ha interessato, in effetti, essenzialmente il mercato del-
le c.d. seconde case, in località a vocazione turistica, nel tentativo di stimolare il mercato in
tale settore. Il perseguimento dell’indicata finalità ha indotto a seguire vie diverse sotto il
profilo degli strumenti giuridici utilizzati, venendosi nella pratica commerciale a delineare
differenti modelli (genericamente indicati, appunto, in termini di multiproprietà), spesso di
incerta configurazione, tanto da spingere, a tutela dei soggetti coinvolti (nella prospettiva
della tutela del contraente debole nei confronti del professionista), la Comunità europea
ad intervenire con una direttiva (94/47/CE), attuata col D.Lgs. 9.11.1998, n. 427, confluito
negli artt. 69 ss. D.Lgs. 6.9.2005, n. 206 (codice del consumo), da ultimo novellati col

28
Cass., sez. un., 8-4-2008, n. 9148, riferite (secondo l’opinione corrente) le spese condominiali alla figura
delle obbligazioni propter rem (VI, 3.10; VII, 1.5), aveva ritenuto – sotto il vigore della precedente disciplina e
con una soluzione diffusamente considerata discutibile – “le obbligazioni e la relativa responsabilità dei con-
domini … governate dal criterio della parziarietà” (la responsabilità di ciascun condomino per le spese con-
dominiali, cioè, come limitata esclusivamente alla propria quota di spese). Si è ora stabilito che l’ammini-
stratore sia tenuto a comunicare i dati dei condomini morosi ai creditori insoddisfatti che lo interpellino (evi-
dentemente per consentire loro di agire nei relativi confronti) (art. 631 disp. att.). Prevedendo anche che i
creditori non possono agire nei confronti dei condomini obbligati in regola con i pagamenti, “se non dopo
l’escussione degli altri condomini” (insomma, di quelli inadempienti) (art. 632 disp. att.), sembra essersi così
sancita, in materia di spese condominiali, una responsabilità solidale, sia pure sussidiaria (VII, 1.13), dei con-
domini adempienti (in proposito, Cass. 9-1-2017, n. 199, esclude che “l’obbligo di contribuzione alle spese si
connoti verso il terzo creditore come rapporto unico con più debitori, ovvero come obbligazione solidale per
l’intero in senso proprio”). Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con lui al paga-
mento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente, mentre colui che cede diritti su unità immo-
biliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmes-
sa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto (art. 634-5 disp. att.).
29
Per Cass., sez. un., 30-7-2007, n. 16794, l’indennizzo è dovuto pure “a prescindere dal fatto che si siano
realizzati nuovi piani o nuove fabbriche”, ove si siano create “nuove unità abitative sostitutive delle preceden-
ti soffitte esistenti”. L’indennizzo in questione (qualificato come “debito per responsabilità da atto lecito”:
Cass. 15-11-2016, n. 23256) è stato ritenuto “oggetto di un debito di valore” (Cass. 7-4-2014, n. 8096). In re-
lazione alla frequente concessione dei lastrici solari a terzi per l’installazione di ripetitori di segnale, Cass., sez.
un., 30-4-2020, n. 8434, ha concluso nel senso che il relativo contratto può essere ricondotto, ad un “contrat-
to costitutivo di un diritto di superficie”, ovvero ad un “contratto atipico di concessione ad aedificandum, di
natura personale”, rappresentando la riconduzione del contratto concluso (e dedotto in giudizio), “una que-
stione di interpretazione contrattuale, che rientra nei poteri del giudice di merito”.
636 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

D.Lgs. 23.5.2011, n. 79 (che ora, nella intitolazione del relativo capo, si riferisce esplicita-
mente ai “contratti di multiproprietà”, sia pure in una con i “contratti relativi ai prodotti
per le vacanze di lungo termine” ed ai “contratti di rivendita e di scambio”).
L’intento di tutelare l’acquirente ha indotto ad offrire una definizione estremamente
elastica della figura (alludendosi ai contratti “di durata superiore a un anno”, con i quali,
“un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi
per il pernottamento per più di un periodo di occupazione”: art. 691, lett. a). Si impone,
inoltre, di fornire puntuali informazioni precontrattuali, attraverso formulari informativi
rigidamente predefiniti: art. 71.
Il modello cui meglio si attaglia la qualifica di multiproprietà è, tradizionalmente, quello
della c.d. multiproprietà immobiliare (o reale) la cui natura giuridica è stata (e resta) molto
discussa. Le diverse tesi prospettate hanno fatto riferimento: alla comunione (tra i com-
proprietari dell’unità abitativa); alla costituzione di un diritto reale atipico; alla delinea-
zione di un nuovo tipo di proprietà (quale proprietà su di un bene individuato non solo
dal punto di vista spaziale, ma anche da quello temporale). La ricostruzione più diffusa è
quella che accosta il fenomeno alla comunione 30, specificamente caratterizzata dalla indivi-
sibilità e dalla preventiva predeterminazione della modalità temporale del godimento di
ciascuno dei comproprietari. Tale ricostruzione deve fare i conti, però, oltre che col carat-
tere meramente obbligatorio della determinazione delle modalità temporali di godimento,
con quello di naturale temporaneità della comunione, in vista del quale è inderogabilmente
limitata la portata temporale del patto di indivisibilità (art. 1111: VI, 4.1), qui superabile
solo con una (forse troppo ardita) dilatazione del concetto di indivisibilità (art. 1112). La
ricostruzione quale diritto reale atipico presuppone, ovviamente, l’accantonamento del
principio di tipicità dei diritti reali (VI, 3.1) 31, lasciando aperto, comunque, il problema
dell’individuazione del soggetto cui riferire la proprietà del bene. La tesi della proprietà
spazio-temporale, poi, anche se si propone – col prospettare il superamento (almeno nella
relativa esclusività) del profilo della materialità nell’individuazione del bene oggetto del
diritto – di consentire l’opponibilità (attraverso la relativa trascrizione) della regolamenta-
zione temporale del diritto, data la peculiarità della situazione rende scarsamente utile lo
stesso riferimento all’idea di proprietà esclusiva del bene considerato (in ogni caso finendo
col presentarsi, infatti, i problemi tipici della contitolarità sul bene) 32.
Fonte di problemi ricostruttivi è anche la c.d. multiproprietà azionaria, caratterizzata

30
Una simile ricostruzione – per cui v. già Trib. Napoli 21-3-1989 – si presenta data quasi per scontata da
Cass. 16-3-2010, n. 6352, che ritiene, di conseguenza, essenziale, ai fini della validità del relativo contratto
(anche preliminare), la “individuazione della quota come concreta ed effettiva entità della partecipazione di
ciascun comproprietario al godimento dell’alloggio oggetto di comproprietà” (“della quota nella sua effettiva
misura … non risultando sufficiente l’indicazione del solo periodo di godimento dell’immobile”, precisa
Cass. 19-3-2018, n. 6750). Peraltro, Trib. Trento 13-12-2018, evidenzia il carattere di “comunione sui gene-
ris” della multiproprietà, per dedurne l’inammissibilità di una rinuncia alla relativa quota (almeno “senza il
consenso degli altri cointeressati”), dato che “il partecipante ha un diritto del quale può godere in forza di un
regolamento di godimento turnario” (con una conseguente connotazione sinallagmatica del vincolo esistente
tra i multiproprietari). In sostanzialmente analoga prospettiva, v. anche Trib. Lecce 11-9-2019.
31
Reputando superabile un simile principio (diffusamente contestato: VI, 3.1), per la ricostruzione del fe-
nomeno in termini di diritto reale atipico, con conseguente possibilità di un ricorso solo in via analogica alle
disposizioni disciplinanti la comunione e il condominio, si è orientata App. Genova 29-9-2000.
32
Tale tesi risulta favorevolmente prospettata da App. Torino 20-12-2007.
CAP. 4 – COMUNIONE E CONDOMINIO 637

dall’essere il godimento turnario del multiproprietario collegato alla titolarità di azioni di


una società, cui compete la proprietà dell’immobile. Alle difficoltà derivanti dalla com-
patibilità di tale modello con la disciplina societaria, si è cercato di porre rimedio, consi-
derandolo contraddistinto dal collegamento di due rapporti: quello che lega il soggetto,
in quanto titolare della posizione di socio, alla società, la quale conserva la proprietà del-
l’immobile (ma deve contestualmente perseguire uno scopo di lucro) e quello derivante
dalla convenzione tra società e azionista, da cui deriva a quest’ultimo il diritto personale
al godimento dell’unità immobiliare per il periodo stabilito 33.
Si parla anche di multiproprietà alberghiera con riferimento all’ipotesi in cui il godi-
mento periodico del bene sia assicurato nel contesto, appunto, di una struttura di tipo
alberghiero. Con le peculiarità che derivano da una simile destinazione dell’immobile e
dal godimento di servizi alberghieri, si tratta, in sostanza, di una variante dei due modelli
precedenti. Non va confusa con essa l’acquisto di un diritto personale di godimento (an-
che di lunga durata), relativamente ad un alloggio e con diritto alla fruizione dei servizi
alberghieri, da una società turistico-alberghiera (parlandosi più correttamente, al riguar-
do, di multilocazione alberghiera, pure alla quale, peraltro, si indirizza la ricordata disci-
plina ora contenuta nel codice del consumo) 34.
Di fronte ad un quadro tanto incerto, non a torto il legislatore, nel contesto della nor-
mativa (di origine comunitaria) a tutela del contraente debole, ha inteso garantire la posi-
zione dell’acquirente, nei confronti di un venditore che sia professionalmente tale, discipli-
nando i contratti con cui si realizzano le finalità tipiche della figura 35. Sono stati, così, pun-
tualmente regolati (inserendo corrispondenti previsioni nel codice del consumo): le infor-
mazioni da offrire in sede di pubblicità (art. 70); il contenuto del formulario informativo che
deve essere consegnato all’aspirante acquirente (art. 71); la forma (necessariamente scritta
sotto pena di nullità) del contratto ed il suo contenuto (art. 72); il diritto di recesso del-
l’acquirente, da esercitare entro quattordici giorni dalla conclusione del contratto (art. 73),
con modalità ed effetti rigorosamente predefiniti; l’obbligo del venditore di prestare ido-
nea garanzia (art. 72 bis). Sono state previste, altresì, rilevanti sanzioni amministrative a ca-
rico dei venditori che non si adeguino alla disposta regolamentazione (art. 81).

33
Cass. 10-5-1997, n. 4088, ritiene possibile, così, aggirare le diffuse perplessità circa la possibilità di far
derivare i diritti del multiproprietario azionista direttamente dalla situazione di socio. Trib. Pisa-Pontedera
27-4-2010 allude ad una ipotesi di “contratto di multiproprietà associativa”, caratterizzato dalla cessione, da
parte del trustee agli associati/beneficiari, di “un certificato associazione”, comportante “il diritto di godere il
bene incluso nel fondo in trust in quote temporali predeterminate”.
34
Con D.L. 12.9.2014, n. 133, conv. dalla L. 11.11.2014, n. 164, nonché col successivo D.P.C.M. 22.1.2018,
n. 13, è stata disciplinata, come figura peculiare rispetto a quella della multiproprietà, il Condhotel (IX, 1.14),
concernente gli “esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o più unità im-
mobiliari ubicate nello stesso comune o parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventual-
mente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a de-
stinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare il quaranta
per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati”. Potendo tali ultime unità abita-
tive “essere oggetto di diritti, anche reali, di soggetti diversi dall’impresa alberghiera”, ne risulta una “natura
ibrida e complessa della nuova figura giuridica”, tale, quindi, da richiedere “che siano regolamentati anche
importanti aspetti contrattuali e condominiali” (Corte cost. 14-1-2016, n. 1).
35
Reputata, non a caso, tendenzialmente caratterizzata dalla “prevalenza funzionale” della prestazione di
servizi, “rispetto all’acquisto del diritto sul bene immobile” (Trib. Bari 28-3-2000).
CAPITOLO 5
POSSESSO

Sommario: 1. Nozione e fondamento. – 2. Possesso e detenzione. – 3. Oggetto e vicende. – 4. Possesso


di buona fede. – 5. Effetti del possesso. Diritti e obblighi del possessore nella restituzione della co-
sa. – 6. Possesso di buona fede di beni mobili (art. 1153). – 7. Usucapione. – 8. Azioni a tutela del
possesso.

1. Nozione e fondamento. – Il codice civile definisce il possesso come “il potere


sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di
altro diritto reale” (art. 11401). Da tale enunciato si deduce che l’ordinamento offre la
sua tutela al soggetto non solo in quanto titolare di una situazione soggettiva qualificabi-
le come diritto, ma anche per il semplice fatto di esercitare un potere sulla cosa, tenendo
un comportamento corrispondente a quello che gli sarebbe consentito dalla titolarità del-
la proprietà (o di altro diritto reale). Viene considerata, cioè, situazione giuridicamente rile-
vante, di per se stessa, la instaurazione (e la successiva conservazione) di un rapporto im-
mediato con la cosa, al fine di esercitare (e concretamente esercitando) su di essa le facoltà
ed i poteri che costituiscono il contenuto del diritto di proprietà (o di altri diritti reali).
Una certa tutela, insomma, è accordata al soggetto – in quanto eserciti il potere di fat-
to sulla cosa 1 – indipendentemente dalla circostanza che egli sia o meno titolare di un
diritto che legittimerebbe l’esercizio del potere: potrà esserlo o meno, ciò non rileva ai
fini del riconoscimento della tutela possessoria (in relazione alla quale, quindi, risultano
posti sullo stesso piano il proprietario della cosa che ne sia stato spogliato e chi si sia im-
possessato illecitamente della cosa stessa). Si tratta, ovviamente, di una tutela di carattere
provvisorio, tendente essenzialmente ad assicurare che non venga modificata l’esistente
situazione di fatto rispetto alla cosa, salvo a consentirne la eventuale modificazione (ma
solo in un secondo tempo), in conseguenza del ricorso agli strumenti che l’ordinamento
pone a disposizione del titolare del diritto – di proprietà o di altro diritto reale – per fare
riconoscere le proprie prerogative. Prerogative, tra cui rientra, in primo luogo, proprio il

1
Per descrivere la situazione cui si riferisce, l’art. 11401 adopera l’espressione “potere sulla cosa”. Un tale
potere viene correntemente (e secondo la tradizione) qualificato di fatto, per evidenziare come l’ordinamento,
ai fini del riconoscimento di conseguenze giuridiche alla situazione che ne deriva, si limiti a considerare il
comportamento, in quanto tale, del soggetto. Di “potere di fatto” parla senz’altro, comunque, la Relaz. cod.
civ., n. 533, pur non risultando, poi, adottata tale espressione nel testo del codice civile, probabilmente per
essere considerata scontata una simile qualificazione del “potere sulla cosa” (al “potere di fatto che alcuno ha
sopra una cosa” alludeva, invece, l’art. 522 del progetto della Commissione Reale). Peraltro, all’esercizio di un
“potere di fatto” si riferisce espressamente l’art. 11411.
CAP. 5 – POSSESSO 639

diritto di conseguire (nonché mantenere e, se del caso, recuperare) 2 il possesso della co-
sa, come indispensabile condizione per l’esercizio, direttamente sulla cosa medesima,
delle facoltà e dei poteri che costituiscono il contenuto del suo diritto (si ricordi che la
immediatezza rappresenta una caratteristica essenziale dei diritti reali: II, 3.5 e VI, 3.1).
Si allude, in proposito, allo ius possidendi, quale facoltà del proprietario e del titolare
degli altri diritti reali (ad es., l’usufrutto, art. 982).
Con riferimento alla posizione giuridicamente rilevante – in quanto tutelata dall’ordi-
namento, il quale ad essa ricollega effetti – che deriva al soggetto dal potere di fatto sulla
cosa, si parla abitualmente, invece, di ius possessionis, come peculiare situazione giu-
ridica accostabile ad un vero e proprio diritto (in considerazione delle facoltà che ne co-
stituiscono il contenuto e sia pure con l’accennato carattere di provvisorietà della sua tu-
tela) 3. Ove si trovi nel possesso del bene, il proprietario (o il titolare di altro diritto rea-
le) gode di tale ius possessionis, potendosi, allora, avvalere anche della tutela apprestata
all’esercizio del potere di fatto sulla cosa, essenzialmente consistente nella salvaguardia
della relativa continuità contro le ingerenze altrui. Ma di esso gode pure chi il potere sul-
la cosa eserciti senza poter invocare alla sua base il diritto di esercitarlo (non sia, cioè,
titolare dello ius possidendi), eventualmente ricevendo tutela (con gli effetti ed entro i
limiti che si avrà modo di vedere più oltre), così, anche nei confronti di chi sia titolare
del diritto di proprietà (o di altro diritto reale) sulla cosa, ma non eserciti, allo stato, il
potere di fatto su di essa.
Controversa è la giustificazione della concessione da parte dell’ordinamento di una
tutela non sulla base della titolarità di un diritto (a favore, cioè, di un soggetto portatore
di un interesse la cui realizzazione è stata ritenuta meritevole di essere garantita), ma del
compimento (in quanto tale), rispetto alla cosa, di un’attività corrispondente all’esercizio
di un diritto.
Al riguardo, ci si è tradizionalmente riferiti, in primo luogo, all’esigenza, di carattere
generale, di assicurare una pacifica convivenza sociale: attraverso il riconoscimento della
tutela possessoria, si evita che il soggetto che afferma un diritto sulla cosa (considerando,
quindi, illegittimo l’altrui esercizio del potere su di essa) si possa fare giustizia da sé, sot-
traendo, a sua volta, la cosa alla disponibilità di chi attualmente, appunto, la possiede
(legittimamente o illegittimamente). Chi si pretende titolare del diritto, ove non possa far
valere, per il tempo ormai trascorso dalla perdita del suo possesso, una propria tutela
possessoria, dovrà azionare gli strumenti che l’ordinamento predispone per ripristinare
(recuperando il possesso della cosa) la possibilità di esercitare facoltà e poteri costituenti
il contenuto del suo diritto.
Sotto un diverso profilo, si è accentuata, piuttosto, una esigenza di carattere privato,
interna, come tale, alla stessa logica che costituisce il fondamento della protezione, da par-

2
Proprio al recupero del possesso sulla cosa è specificamente finalizzato l’esercizio, da parte del proprie-
tario, dell’azione di rivendicazione (art. 948: VI, 2.6).
3
Costituisce materia di un risalente e vivace dibattito se il possesso, in quanto giuridicamente tutelato, dia
luogo al sorgere o meno di un diritto. Vi allude, indubbiamente, la ricordata espressione ius possessionis, con
la quale vengono tradizionalmente indicati e sintetizzati gli effetti che l’ordinamento ricollega all’esercizio del
potere di fatto sulla cosa. Le particolari caratteristiche della tutela apprestata a favore del possessore tendono,
comunque, a far evidenziare la peculiarità della situazione giuridica in questione e la sua difficile riconducibi-
lità alle correnti categorie in cui vengono inquadrate le situazioni giuridiche soggettive.
640 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

te dell’ordinamento, degli interessi reputati meritevoli di tutela attraverso il riconoscimen-


to dei diritti. In tale ottica, la tutela possessoria costituisce un ulteriore strumento di tute-
la della proprietà (e degli altri diritti reali). Il titolare del diritto, infatti, in quanto abi-
tualmente anche nel possesso della cosa, trova nella tutela possessoria mezzi più efficien-
ti per una più pronta tutela dei suoi interessi, senza dover sottostare alle lungaggini inevi-
tabilmente connesse alla dimostrazione del proprio diritto. La tutela possessoria finisce,
così, col presentarsi come una sorta di frontiera avanzata della tutela della proprietà (e
degli altri diritti reali) 4.
Inoltre, pare il caso di sottolineare come la protezione della situazione di fatto (e la
garanzia della sua conservazione) contro intromissioni altrui, almeno ove queste non si
fondino sulla dimostrazione di un diritto rispetto al quale la situazione stessa risulti in-
compatibile, si presenti preordinata anche alla conversione ed al consolidamento della
situazione di fatto nella corrispondente situazione di diritto. Ciò si iscrive in una tendenza
dell’ordinamento all’adeguamento del quadro delle situazioni di diritto alla realtà fattua-
le, secondo quella prospettiva di valorizzazione dell’attività a scapito dell’inerzia, la quale
trova espressione nella previsione della prescrizione come generalizzato modo di estin-
zione dei diritti (art. 2934) (II, 4.9) 5.
Si è ripetutamente ricordato che l’art. 11401 accosta, nella proposta nozione di pos-
sesso, al potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della
proprietà, quello che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio di altro diritto
reale. La situazione in questione viene definita correntemente come possesso di dirit-
ti o possesso minore (quasi possessio). Il soggetto si comporta rispetto al bene, cioè, come
se fosse titolare di un diritto reale su cosa altrui e tale posizione (di fatto) viene corri-
spondentemente tutelata. La qualificazione del possesso quale possesso riferito ad un di-
ritto reale diverso dalla proprietà si presenta notevolmente rilevante dal punto di vista
dei relativi effetti. In particolare, la natura del diritto che il soggetto acquista a seguito
del possesso protratto per il tempo stabilito ai fini della usucapione dipende, appunto,
da tale qualificazione 6.

4
Come si è sottolineato dai sostenitori di una simile giustificazione, se è vero che, in tal modo, può essere
tutelato, nei confronti di chi abbia effettivamente un diritto sulla cosa, chi ne è privo, questo viene considera-
to un costo necessario, al fine di assicurare ai titolari della proprietà (o di altri diritti reali) nel loro complesso
una tutela più efficiente. È da tenere presente, del resto, che la tutela possessoria si caratterizza per la sua ra-
pidità, ma anche per la sua provvisorietà, essendo comunque destinata a cedere di fronte alla (sia pure più
lunga) dimostrazione della titolarità del diritto.
5
Non a caso, la usucapione (VI, 5.7), quale essenziale effetto del possesso e della sua persistenza nel tem-
po in ordine all’acquisto del diritto, si caratterizza storicamente come altra faccia della medaglia della prescri-
zione (quale modo generale di estinzione del diritto in dipendenza del trascorrere del tempo nell’inerzia del
relativo titolare), alludendosi ad essa in termini di prescrizione acquisitiva.
6
Alla luce dell’allargamento della nozione di possesso al possesso di diritti (diversi dalla proprietà), risulta
chiaro come la medesima cosa possa essere contemporaneamente oggetto di possesso a diverso titolo da parte
di diversi soggetti. Si tende a parlare, invece, di c o m p o s s e s s o quando una pluralità di soggetti eserciti il
possesso sulla cosa allo stesso titolo. In tale ipotesi, per determinare la misura della partecipazione di ciascuno
al possesso ci si riferisce al concetto di quota, come ai fini della individuazione della partecipazione di ciascu-
no in caso di comunione della proprietà o di altro diritto reale. Quale possessore, il soggetto vede tutelata la
propria situazione di fatto anche nei confronti degli altri compossessori: coerentemente, quindi, il fenomeno
del compossesso è disciplinato a proposito della comunione, con riguardo all’uso della cosa comune (art. 1102)
(VI, 4.1).
CAP. 5 – POSSESSO 641

Secondo l’opinione più tradizionale, ai fini della ora accennata distinzione delle pos-
sibili situazioni possessorie rispetto alla cosa (e relativa qualificazione), risulta decisivo
l’elemento intenzionale (animus), il quale si ritiene rappresentare, in via generale, uno dei
due elementi costitutivi del possesso (l’altro è individuato nel corpus, nel potere di
fatto sulla cosa – cioè nella relazione materiale con essa – che ne consente al soggetto la
concreta disponibilità). In tale prospettiva, insomma, è dalla intenzione del soggetto (di
tenere la cosa come proprietario o come titolare di un diverso diritto reale) che dipende
la qualificazione del possesso (ed i conseguenti effetti), fermo restando il relativo elemen-
to materiale.
Pare opportuno avvertire, peraltro, come si tratti di una impostazione esasperatamen-
te soggettivistica del fenomeno possessorio, da tempo diffusamente contestata, soprattut-
to con riguardo alla rilevanza che si pretende attribuire all’elemento soggettivo ed inten-
zionale del possesso ai fini della distinzione tra possesso e detenzione (su cui si veda il pa-
ragrafo successivo). Anche in ordine alla qualificazione della situazione possessoria sotto
il profilo della relativa corrispondenza alla proprietà o ad altro diritto reale, allora, si
tende a porre in evidenza come non si tratti tanto di una questione di volontà e di inten-
zione del soggetto, bensì della rilevanza del suo comportamento, da valutare oggettivamen-
te secondo il corrente apprezzamento sociale, in quanto conforme al modello di compor-
tamento tipicamente tenuto a seconda che si sia titolari della proprietà o di un diverso
diritto reale sulla cosa 7.

2. Possesso e detenzione. – Sull’elemento intenzionale (animus), come accennato, si


ritiene tradizionalmente fondata la essenziale distinzione tra possesso e detenzione, alla
quale si riferisce l’art. 11402, secondo cui “si può possedere direttamente o per mezzo di
altra persona, che ha la detenzione della cosa”.
L’ordinamento ammette, così, che il possessore resti tale anche se altri sia nella im-
mediata disponibilità di fatto della cosa (possesso indiretto), quasi che il soggetto che ha
tale disponibilità materiale (detentore) operi quale strumento del possessore. Ciò si veri-
fica in quanto, alla base della detenzione, vi è un rapporto col possessore, il quale tra-
smette ad altri la detenzione come espressione del suo potere sulla cosa, con conseguen-
te riconoscimento, da parte del detentore, della preminenza dell’altrui posizione rispetto
alla cosa stessa e, quindi, del carattere dipendente della propria posizione.

7
La Relaz. cod. civ., n. 533, critica l’art. 522 del progetto della Commissione Reale, il quale alludeva espres-
samente al carattere decisivo della volontà del soggetto, ai fini della qualificazione del possesso (definito “il
potere di fatto che alcuno ha sopra una cosa, con la volontà di avere per sé tale potere in modo corrisponden-
te alla proprietà o ad altro diritto reale”). Viene sottolineato – a giustificazione della scelta di non riferirsi al-
l’elemento della volontà nell’art. 11401 – che “l’elemento volitivo in tanto diviene rilevante per l’ordinamento
giuridico in quanto si concreta e si manifesta in un comportamento esterno del possessore, il quale appunto
vale a differenziare le diverse specie di possesso (il possesso come proprietario dal possesso come usufruttua-
rio, enfiteuta, ecc.)”. È vero che, nella Relazione stessa, si dichiara di voler mantenere ferma la tradizionale di-
stinzione tra “l’elemento subiettivo e l’elemento obiettivo del possesso”: non si può fare a meno di sottolinea-
re, però, come si riconosca pure che, con la formula adottata dal codice, si sia conferito rilievo alla “intenzio-
ne di esercitare un diritto reale sulla cosa”, quale elemento soggettivo del possesso, solo nei limiti in cui, “at-
tuandosi il potere sulla cosa, l’intenzione si rende esternamente palese” nel comportamento del soggetto. Pe-
so decisivo, quindi, finisce con l’assumere non l’intenzione del soggetto come tale, quanto il suo comportamen-
to, dato che l’intenzione è destinata ad assumere rilevanza solo nei limiti in cui risulti resa oggettivamente rileva-
bile, appunto sulla base del comportamento concretamente tenuto e della sua valutazione sociale.
642 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

La distinzione, secondo l’impostazione teorica ancora largamente seguita, si fonda sulla


diversità dell’elemento costituito dall’intenzione di chi ha la disponibilità materiale della
cosa. In tale prospettiva, il possesso risulta caratterizzato dall’intenzione di tenere per sé la
cosa (come proprietario o titolare di altro diritto reale: animus possidendi o animus rem sibi
habendi), senza riconoscere la preminenza di altri su di essa 8. Nella detenzione l’intenzione
è quella di tenere la cosa per conto di altri, rispettandone la posizione preminente (ani-
mus detinendi). Secondo una diversa impostazione, invece, l’intenzione – come accenna-
to anche nel paragrafo precedente – non potrebbe essere isolata dal comportamento
complessivamente tenuto dal soggetto che ha la disponibilità materiale della cosa. La
qualificazione della situazione in termini di possesso o di detenzione, di conseguenza,
dipenderebbe solo dalle modalità del suo comportamento e dalla relativa corrispondenza
con le modalità tipicamente caratterizzanti i diversi rapporti nella realtà sociale.
Alla indubbia difficoltà di qualificare in un senso o nell’altro la situazione, ovvia, in lar-
ga misura, comunque, l’art. 11411, il quale prevede che l’esercizio del potere di fatto fa pre-
sumere il possesso in chi lo eserciti, quando non si possa provare (da parte di chi abbia a ciò
interesse) che costui abbia cominciato ad esercitarlo semplicemente come detenzione. La
prova riguarda il momento iniziale 9: la situazione proseguirà come iniziata, dato che la
detenzione può tramutarsi in possesso solo alle condizioni previste dall’art. 11412. Si par-
la correntemente, al riguardo, di interversione del possesso (anche se il codice riser-
va tale espressione alla fattispecie sostanzialmente affine – su cui VI, 5.7 – regolata
dall’art. 1164, discorrendo qui di “mutamento della detenzione in possesso”). E proprio
quanto disposto da tale norma conferma l’impossibilità, ai fini della qualificazione della
situazione, di conferire un peso determinante all’elemento intenzionale, almeno di per se
stesso, dato che, per modificare la situazione stessa (quale inizialmente qualificata), non
basta un mutamento meramente psichico, ma necessita un evento modificativo esteriore.
Una volta, infatti, che la situazione sia iniziata come detenzione (e la prova concernerà
il titolo – locazione, comodato, deposito, ecc. – in base al quale il soggetto abbia conse-
guito la disponibilità materiale della cosa), il possesso potrà essere acquistato solo ove il
relativo titolo venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione
contro il possessore (ed i suoi effetti decorreranno da tale momento). Sotto il primo pro-
filo, è da considerare, in particolare, l’atto col quale l’attuale possessore conferisca il pos-
sesso al detentore (come nel caso in cui il proprietario venda al conduttore la cosa loca-
ta) 10. Quanto all’interversione per iniziativa del detentore, si potrà trattare di compor-

8
Ovviamente nei limiti del potere che si esercita (e si intende esercitare) sulla cosa, dato che esso può cor-
rispondere, come si è visto nel paragrafo precedente, alla proprietà o ad altro diritto reale. In sostanza, l’in-
tenzione rilevante, perché si abbia possesso, risulta quella di escludere posizioni (e corrispondenti pretese)
altrui incompatibili con la propria.
9
Al riguardo, in particolare, si è precisata in termini di detenzione (qualificata) la situazione conseguente
alla consegna di un bene immobile in esecuzione di una compravendita nulla per difetto della necessaria for-
ma scritta (Cass. 27-8-2019, n. 21726, nella prospettiva già delineata da Cass., sez. un., 27-3-2008, n. 7930,
con riguardo, in caso di contratto preliminare di vendita immobiliare, alla situazione conseguente alla conse-
gna del bene prima della stipula del contratto definitivo).
10
Secondo Cass. 5-12-1990, n. 11691 (e v. anche Cass. 11-4-2019, n. 10186), per causa proveniente da un
terzo si deve “intendere qualsiasi atto di trasferimento del diritto idoneo a legittimare il possesso, indipenden-
temente dalla perfezione, validità, efficacia dell’atto medesimo, compresa l’ipotesi di acquisto dal titolare solo
apparente”.
CAP. 5 – POSSESSO 643

tamenti della più diversa natura (giudiziale, extragiudiziale o anche materiale), purché
inequivocamente denotanti, nei confronti del possessore (cioè di colui per conto del qua-
le la cosa era detenuta), il mutamento della posizione assunta del soggetto rispetto alla
cosa, con conseguente esercizio esclusivamente per conto proprio del potere su di essa 11.
La distinzione tra possesso e detenzione è basilare, poiché diversi ne sono gli effetti.
Così, solo il possesso è preso in considerazione ai fini dell’acquisto della proprietà per
usucapione (o ai sensi dell’art. 1153). Inoltre, l’esercizio delle azioni possessorie compete
al possessore, mentre al detentore spetta solo quella di reintegrazione e sempre che si
tratti di detenzione qualificata. Tale è la detenzione quando il soggetto, pur riconoscendo
la dipendenza della propria posizione da quella altrui, detiene nell’interesse proprio (co-
me il conduttore ed il comodatario). Nell’interesse altrui (detenzione non qualificata) vie-
ne considerata la detenzione per ragioni di servizio (domestico, autista, commesso) o di
ospitalità (amico cui sia affidata la cosa durante la propria assenza, ospite nel breve pe-
riodo di permanenza) (art. 11682) 12.

3. Oggetto e vicende. – Sono suscettibili di possesso tutte le cose aventi una realtà
oggettivamente percepibile. Al di là delle cose intuitivamente tali, sono considerate pos-
sibile oggetto di possesso, ad es., le sorgenti, le energie naturali e le onde elettromagneti-
che 13. In simili ipotesi, peraltro, il relativo possesso sembra essenzialmente costituire il ri-
flesso di quello degli impianti necessari per sfruttarne le potenzialità. Sono suscettibili di
possesso, nella loro complessità, le universalità di mobili, ma si dubita diffusamente che
possano esserlo i beni immateriali (la cui tutela è assicurata con strumenti specifici).
È considerato senza effetto il possesso delle cose di cui non può acquistarsi la pro-
prietà (cose fuori commercio: art. 11451). Peraltro, la disponibilità di fatto anche di beni
demaniali (II, 2.10) è rilevante, in quanto, nei rapporti tra privati è concessa, in relazione
ad essi, l’azione di spoglio (art. 11452) e, se si tratta di facoltà che possono formare ogget-
to di concessione amministrativa, anche l’azione di manutenzione (art. 11453).

11
Che l’interversione del possesso “non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma
deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore” (“rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che
questi possa rendersi conto dell’avvenuto mutamento”), avente i caratteri accennati, risulta ribadito da Cass., sez.
un., 27-3-2008, n. 7930, nonché, ad es., da Cass. 29-5-2013, n. 13417, 3-7-2018, n. 17376 e 10186/2019. Così, ad
es., la “chiusura del cancello di accesso al fondo mediante apposizione di un lucchetto da parte del detentore,
se non accompagnata dalla consegna di copia delle chiavi al possessore, si qualifica come inequivoco atto
d’interversione” (Cass. 30-6-2014, n. 14819).
12
È da tenere presente come la distinzione tra detenzione qualificata e non qualificata sia da taluni consi-
derata non del tutto corrispondente a quella tra detenzione autonoma e non autonoma, rilevante ai fini del
riconoscimento dell’azione di reintegrazione, ai sensi dell’art. 11682. Vi sarebbero, cioè, detentori non qualifi-
cati (in quanto operanti nell’interesse altrui), ma considerati, ciononostante, autonomi e, dunque, ammessi
all’esercizio dell’azione di reintegrazione, ma solo nei confronti di terzi (e non, quindi, del soggetto nel cui
interesse detengono). Tale sarebbe, ad es., il mandatario.
13
Si è accennato (VI, 2.2), come il possesso (con la relativa tutela, in quanto situazione “suscettibile di
spoglio e molestia”) sia stato dalla Cassazione ritenuto configurabile, in particolare, per le bande di trasmis-
sione, non “quale entità astratta”, ma “con riguardo alle onde elettromagnetiche di cui si avvalgono le emit-
tenti radio-televisive (unitariamente con il possesso dei relativi impianti), costituendo dette onde una forma di
energia materiale, e, quindi, un bene mobile” (Cass. 8-10-1987, n. 7440). Al riguardo, Cass. 6-6-2000, n. 7553,
richiede, comunque, per la tutelabilità del possesso, una “apprezzabile estrinsecazione” dell’attività di utiliz-
zazione della frequenza elettromagnetica.
644 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

L’acquisto del possesso può avvenire originariamente, con l’impossessamento, ovvero


derivativamente, a seguito, cioè, di trasmissione da parte di altri.
L’impossessamento, quale modo di acquisto originario del possesso, si realizza median-
te l’apprensione materiale della cosa (adprehensio), che, alle condizioni di cui all’art. 923,
determina addirittura l’immediato acquisto della proprietà sulla cosa (per occupazione:
VI, 2.2). L’apprensione della cosa, per determinare gli effetti che gli sono propri richie-
de, secondo l’opinione dominante (anche in giurisprudenza), un profilo di consapevolez-
za e intenzionalità (animus). Si ritiene trattarsi, quindi, di un atto giuridico in senso stretto
che necessita della capacità d’intendere e di volere (c.d. capacità naturale) del soggetto 14.
L’acquisto del possesso è escluso se la disponibilità di fatto della cosa consegue ad at-
ti di tolleranza altrui (art. 1144). In questo caso, infatti, tale disponibilità si fonda sullo
spirito di cortesia e condiscendenza, risultando riconducibile ad un permesso (permissio):
un atto autorizzativo, cioè, espresso o tacito, per sua natura sempre comunque revocabi-
le, spesso collegato ai rapporti di buon vicinato 15. La tolleranza, peraltro, è da tenere di-
stinta dall’inerzia del titolare del diritto: sarà su chi, di fronte all’altrui disponibilità di
fatto della cosa, ne affermi la dipendenza dalla propria tolleranza a gravare l’onere della
relativa prova (deve, infatti, essere superata la presunzione di possesso legata all’esercizio
del potere di fatto sulla cosa).
L’acquisto del possesso, il più delle volte, avviene in modo derivativo, attraverso la re-
lativa trasmissione con la consegna (traditio) 16, in cui si ravvisa, secondo l’opinione pre-
valente, un atto giuridico in senso stretto. La consegna costituisce correntemente adem-
pimento della relativa obbligazione nascente da un contratto (nella vendita, in particola-
re, rappresenta una delle obbligazioni principali del venditore “quella di consegnare la
cosa al compratore”: art. 1476, n. 1) 17. Perché si abbia acquisto del possesso, occorre che
la cosa sia posta nella effettiva disponibilità di fatto del soggetto. Ciò potrà avvenire ma-
terialmente, con una consegna reale (effettiva). La consegna può essere anche meramente
simbolica (come tipicamente accade, in caso di immobili, con la consegna delle chiavi,
non bastando, invece, a tal fine, la mera dichiarazione, contenuta in un contratto, di im-
missione nel possesso). La consegna può avere, inoltre, carattere consensuale. Si parla, al

14
La questione è stata già affrontata in relazione alle problematiche connesse con l’occupazione, quale modo
di acquisto della proprietà che si fonda, appunto, sulla materiale apprensione della cosa (VI, 2.2).
15
Per Cass. 22-5-1990, n. 4631, gli atti di tolleranza (che non determinano l’insorgere di una situazione pos-
sessoria) “sono quelli che, implicando un elemento di transitorietà e saltuarietà, comportano un godimento di
modesta portata, incidente molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell’effettivo titolare o possesso-
re”; essi “soprattutto traggono la loro origine da rapporti di amicizia o familiarità (o da rapporti di buon vicina-
to sanzionati dalla consuetudine)”: Cass. 8-6-2008, n. 13443. Nella valutazione delle circostanze, “la lunga du-
rata dell’attività può integrare un elemento presuntivo, nel senso dell’esclusione di detta situazione di tolleran-
za”, “qualora si verta in tema di rapporti non di parentela, ma di mera amicizia o buon vicinato” (in quanto no-
toriamente più soggetti a mutare nel tempo) (Cass. 3-7-2019, n. 17880 e 29-5-2015, n. 11277). Cass. 13-9-2004,
n. 18360, sottolinea che “il vincolo di stretta parentela intercorrente tra i soggetti consente di configurare la
sussistenza della tolleranza anche in mancanza delle suindicate caratteristiche della breve durata e della limitata
incidenza del godimento assentito”.
16
In relazione al fenomeno dell’acquisto derivativo del possesso, è da tenere presente anche la successione
nel possesso, che sarà più oltre esaminata.
17
La consegna richiede un’accettazione da parte del creditore, la quale si ritiene condividerne la natura di
atto giuridico in senso stretto. La fattispecie che determina quale effetto il possesso del nuovo possessore è,
quindi, un’operazione complessa, che si articola in due atti: la messa a disposizione e la presa in consegna.
CAP. 5 – POSSESSO 645

riguardo, di costituto possessorio (constitutum possessorium), quando il possessore trasfe-


risce ad un altro soggetto il possesso, conservando la detenzione della cosa (come nel ca-
so in cui il proprietario-possessore venda un immobile, conservandone la detenzione quale
locatario, a seguito di un contratto di locazione contestualmente stipulato con l’acqui-
rente). Si parla, invece, di traditio brevi manu per il caso inverso, quando, cioè, il posses-
sore trasferisce il possesso a chi già detiene la cosa (come nell’ipotesi di vendita di un
immobile all’attuale locatario, il quale, così, muta – essendo avvenuto un atto idoneo a de-
terminare l’interversione del possesso: art. 11412 – la propria situazione da detenzione in
possesso).
La perdita del possesso può avvenire, oltre che per il perimento della cosa, perché il
possessore ne viene privato da altri (spoglio), per abbandono (derelictio) della cosa stessa
o per la sua restituzione 18.
Dato che l’effetto forse più rilevante del possesso – l’acquisto del diritto per usuca-
pione (VI, 5.7) – è legato alla sua persistenza nel tempo, risultano fondamentali le regole
previste con riferimento, appunto, alla relativa dinamica temporale.
Innanzitutto, il possessore attuale, che abbia posseduto in tempo più remoto, si presu-
me avere posseduto anche nel tempo intermedio (presunzione di possesso intermedio) (art.
1142). L’attuale possessore, per vedersi riconosciuta la continuità del possesso, non dovrà
fornire la (invero impretendibile) prova di avere posseduto in ogni momento, potendosi
limitare a provare il suo possesso in un momento anteriore: l’art. 1142 vale a determinare
una simile continuità (dovendo essere, quindi, chi afferma il contrario a dimostrare il venir
meno del possesso). È previsto, poi, che il possesso attuale non faccia presumere il posses-
so anteriore (art. 1143). Per essere considerato tale anche in precedenza, l’attuale possesso-
re dovrà, allora, provare il possesso anteriore (determinando l’operatività della regola del-
l’art. 1142). L’art. 1143 consente, peraltro, che il possessore possa invocare un titolo (ad
es., un contratto di vendita a suo favore o la sua qualità di erede) a fondamento del pro-
prio possesso: in tal caso (possesso legittimo o titolato), si presume che egli, a partire dal-
la data del titolo, abbia posseduto pure nel periodo intermedio (art. 1143).
L’art. 11461 prevede che il possesso continua nell’erede con effetto dall’apertura della
successione (successione nel possesso). In caso di successione mortis causa, se a tito-
lo universale (XII, 1.1), viene automaticamente a crearsi, così, una continuità tra il pos-
sesso del defunto e quello dell’erede, quasi che il secondo ne continui la persona. Ciò av-
viene anche a prescindere dal compimento di un qualsiasi atto di apprensione materiale
delle cose. Il possesso, in tale ipotesi, continua nell’erede con i medesimi caratteri che con-
traddistinguevano il possesso del defunto: esso sarà considerato, cioè, di buona o mala
fede, a seconda che tale fosse in capo a quest’ultimo, indipendentemente, quindi, dallo sta-
to psicologico del successore.
In caso di successione a titolo particolare (sia tra vivi, come in caso di vendita, sia
mortis causa, come in caso di legato), il successore, per creare la continuità del suo pos-
sesso con quello del dante causa, può unire al proprio possesso il possesso del suo auto-
re, per goderne, appunto, gli effetti (accessione del possesso: art. 11462). Non si trat-

18
È da sottolineare come dalla domanda giudiziale finalizzata alla restituzione della cosa, se riconosciuta
fondata, anche il possessore di buona fede veda mutata la propria posizione in ordine alla produzione dei frutti
(VI, 5.5).
646 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

ta, dunque, a differenza che nell’ipotesi precedente, di un effetto automatico, occorren-


do l’esercizio, da parte del soggetto, della facoltà che gli è conferita dall’ordinamento 19.
Trattandosi di unire al suo possesso quello del precedente possessore, per invocarne
la continuità in conseguenza dell’accessione del possesso, il soggetto dovrà avere conse-
guito effettivamente il possesso stesso, ottenendo la consegna della cosa dal dante causa
(in caso di contratto) o dall’erede (in caso di legato). Qui il possesso non continua auto-
maticamente, con le stesse caratteristiche che aveva in capo al dante causa, trattandosi,
in realtà di due possessi diversi, di cui è consentita al nuovo possessore la congiunzione.
Se il nuovo possessore è in buona fede al momento dell’acquisto del possesso, tale sarà
considerato, quindi, anche se il possesso del suo dante causa fosse stato di mala fede. È
per questo che la congiunzione del possesso è rimessa alla volontà del nuovo possessore
di avvalersene, dato che egli potrebbe non avervi interesse, ove abbia acquistato in buo-
na fede il possesso da un dante causa che, invece, possedeva in mala fede (essendo dif-
ferenti, come si vedrà, gli effetti del possesso a seconda che si tratti di possesso in buona
o in mala fede). Comunque, se il nuovo possessore acquista il possesso in mala fede,
egli non potrà invocare la eventuale qualificazione di buona fede del possesso del suo
dante causa.
È da sottolineare come il cumulo dei periodi di possesso, al di là delle vicende che ne
comportano la trasmissione, assuma fondamentale rilievo sotto diversi profili, rendendo
molto importanti le regole disposte dall’art. 1146. La durata del possesso è presa in
considerazione, infatti, ai fini dell’acquisto del corrispondente diritto per usucapione,
nonché per poter godere della tutela dell’azione di manutenzione. E proprio la possibilità
di un simile cumulo, ai fini del completamento del tempo necessario per l’usucapione, si
presenta essenziale per agevolare la prova della proprietà con l’azione di rivendicazione,
potendosi, così, invocare il necessario acquisto a titolo originario (VI, 2.6).

4. Possesso di buona fede. – In ordine agli effetti che l’ordinamento ricollega alla
situazione possessoria, assume una rilevanza essenziale la relativa qualificazione sotto il
profilo della buona fede o mala fede del possessore.
È considerato possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto
(art. 11471) 20. Perché il possesso sia tale non è richiesta l’esistenza di un titolo alla base
del possesso stesso (che il possesso, cioè, sia legittimo o titolato): l’eventuale esistenza di

19
Per la giurisprudenza, affinché “operi il trapasso del possesso dall’uno all’altro dei successivi possessori e
il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa è necessario che il trasferimen-
to trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul
bene; ne consegue, stante la tipicità dei negozi traslativi reali, che l’oggetto del trasferimento non può essere co-
stituito dal trasferimento del mero potere di fatto sulla cosa” (Cass. 13-8-2018, n. 20715 e 22-4-2005, n. 8502).
La prospettiva decisamente contraria alla “possibilità d’una trasmissione contrattuale del possesso” (in quanto
tale considerato) risulta approfonditamente confermata da Cass., sez. un., 27-3-2008, n. 7930).
20
Pare opportuno ricordare come si distingua correntemente (II, 7.4, 7.5) – tanto da parte della dottrina,
quanto della giurisprudenza – tra il concetto di buona fede, cui fa riferimento l’art. 1147, intesa in senso sog-
gettivo (buona fede soggettiva), quale stato psicologico del soggetto che vale a qualificare la sua situazione, e
quello di buona fede in senso oggettivo (buona fede oggettiva), come fondamentale regola di condotta cui de-
vono ispirarsi i soggetti nella vita dei traffici, al quale si riferiscono numerose norme in materia di contratto
(in particolare, gli artt. 1337, 1358, 1366, 1375) e lo stesso art. 1175, quando allude al dovere di correttezza cui
debitore e creditore devono improntare il proprio comportamento.
CAP. 5 – POSSESSO 647

un titolo costituisce, piuttosto, nella sistematica adottata dal codice civile, come si vedrà,
un elemento ulteriore richiesto per la produzione di determinati effetti giuridici 21. Pare il
caso di sottolineare come la nozione di buona fede soggettiva, qui con chiarezza e sinteticità
delineata dal legislatore (pure con quanto precisato nei commi successivi della medesima
disposizione), venga considerata di portata tendenzialmente generale, onde qualificare la
posizione del soggetto anche con riferimento a situazioni diverse da quelle del possesso.
Il possessore non può invocare la propria buona fede ove l’ignoranza della lesione
dell’altrui diritto dipenda da colpa grave (art. 11472). La colpa si ritiene grave quando l’er-
rore che il soggetto ha commesso nell’accertamento della situazione (come compatibile o
meno, cioè, con l’altrui diritto) non è scusabile. Al soggetto, insomma, per essere giustifi-
cato (e potere, così, invocare la buona fede del proprio possesso), è richiesto un com-
portamento improntato a quel minimo di diligenza che lo renda socialmente accettabile.
Sotto tale profilo, si sottolinea come alla nozione psicologica di errore si sia inteso, per
tale via, conferire una colorazione di eticità. È da tenere presente che il dubbio, almeno
se ragionevolmente serio, determinando una incertezza soggettiva, risulta incompatibile
con la buona fede 22.
L’art. 11473, con una regola che può apparire forse discutibile, ma che certamente
semplifica la qualificazione delle situazioni, pone una presunzione legale di buona fede: il
possesso si presume, quindi, essere di buona fede fino a prova contraria (che potrà venire
data con ogni mezzo) da parte di chi ciò contesta 23. Inoltre, è ritenuto sufficiente che la
buona fede sussista al momento dell’acquisto. Resta irrilevante, cioè, che il possessore ab-
bia successivamente acquisito consapevolezza della illegittimità del proprio possesso, il
quale resta, così, qualificato dalla sua condizione psicologica iniziale (principio, questo,
espresso nella nota e tradizionale formula, secondo cui mala fides superveniens non nocet).

5. Effetti del possesso. Diritti e obblighi del possessore nella restituzione della
cosa. – Gli effetti del possesso – in relazione ai quali acquista, appunto, essenziale
rilevanza la relativa qualificazione in termini di buona o mala fede – sono raggruppati in
tre nuclei problematici: diritti e obblighi del possessore nella restituzione della cosa, pos-
sesso di buona fede dei beni mobili, usucapione.
Circa il primo profilo, l’art. 1148, innanzitutto, dispone che il possessore di buona fede
fa suoi i frutti prodotti dal bene (naturali separati e civili maturati) fino al giorno della
domanda giudiziale di restituzione. Da tale momento, egli, fino alla restituzione della cosa
fruttifera, risponde nei confronti del soggetto che abbia esercitato l’azione di rivendica-

21
Diversamente nel codice civile del 1865 (art. 701). La Relaz. cod. civ., n. 539, sottolinea, appunto, che il
“titolo, soppresso come elemento qualificativo del possesso di buona fede, è richiesto perché il possesso stes-
so sia suscettivo di produrre taluni effetti”.
22
Per Cass. 24-12-1991, n. 13920, “la presunzione di buona fede non è vinta dal mero sospetto di una
situazione illegittima, essendo invece necessario che l’esistenza del dubbio promani da circostanze serie,
concrete e non meramente ipotetiche, la cui prova deve essere fornita da colui che intenda contrastare la
suddetta presunzione legale” (“non potendo un qualsiasi dubbio identificarsi senz’altro con la mala fede”:
Cass. 21-5-2003, n. 7966).
23
Su colui che intende contrastare la presunzione grava “l’onere di fornire elementi idonei alla formula-
zione non del mero sospetto di una situazione illegittima di possesso, ma di un dubbio derivante da circo-
stanze serie, concrete e non ipotetiche”: Cass. 16-12-2009, n. 26400.
648 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

zione nei suoi riguardi (per ottenere, appunto, la restituzione della cosa: VI, 2.6) non so-
lo dei frutti effettivamente percepiti, ma anche di quelli che avrebbe dovuto percepire
usando l’ordinaria diligenza (quella, cioè, che il codice indica come “la diligenza di un
buon padre di famiglia”: VII, 3.3). Il possessore di mala fede, quindi, non è ritenuto meri-
tevole di tutela e deve, di conseguenza, restituire i frutti percepiti. Si ritiene, per antica
tradizione e sulla base di quanto disposto per il possessore di buona fede successivamen-
te alla domanda giudiziale, che egli debba rispondere, corrispondendone il valore, anche
dei frutti che avrebbe potuto percepire usando l’ordinaria diligenza.
Il possessore che è tenuto a restituire i frutti indebitamente percepiti ha diritto al rim-
borso delle spese, secondo la regola dell’art. 8212 (per cui chi fa propri i frutti deve rimbor-
sare, nei limiti del loro valore, colui che abbia fatto spese per la produzione e il raccolto)
(art. 1149). A tale rimborso, dunque, avrà diritto tanto il possessore di buona fede (per i
frutti successivi alla domanda giudiziale), quanto quello di mala fede (per tutti i frutti).
La regola risulta ispirata ad una prospettiva produttivistica, che sembra governare – in
conformità, del resto, con l’atteggiamento di fondo del vigente codice – l’intera materia
dei rapporti tra possessore ed avente diritto alla restituzione. In effetti, il potere contare,
in ogni caso, sul rimborso di quanto erogato per la produzione dei frutti (così come il
previsto ristoro per riparazioni, miglioramenti e addizioni relativamente alle cose posse-
dute) rappresenta, indubbiamente, uno stimolo, pure per chi dubiti di poterli trattenere,
a svolgere l’attività produttiva (e, più in generale, a gestire i beni) in modo economica-
mente corretto e tale, quindi, da contribuire, nell’interesse generale, ad un efficiente sfrut-
tamento delle cose produttive.
Nella stessa ottica, al possessore, pure se di mala fede, è assicurato il rimborso delle
spese fatte per le riparazioni straordinarie (art. 11501). Inoltre, se è tenuto alla restitu-
zione dei frutti, per il periodo in relazione al quale tale restituzione è dovuta, egli ha an-
che diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni ordinarie (art. 11504). Il posses-
sore ha sempre diritto ad essere indennizzato per i miglioramenti, purché sussistenti al
momento della restituzione (art. 11502). La qualificazione del possesso acquista qui rile-
vanza, dato che l’indennità spettante al possessore di buona fede corrisponde senz’altro
all’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti, mentre quella
spettante al possessore di mala fede corrisponde alla minore somma tra l’aumento di va-
lore e l’importo della spesa (art. 11503). È chiaro, insomma, che anche il possessore di
mala fede non è esposto a perdite per quanto investito per migliorare il bene. Per le ad-
dizioni, infine, è richiamato lo stesso regime previsto, in caso di operatività dell’acces-
sione, per le opere fatte da un terzo con suoi materiali (art. 936), aggiungendosi che, ove
esse costituiscano miglioramenti, il possessore di buona fede ha diritto ad una indennità
pari all’aumento di valore della cosa (art. 11505). L’ammontare delle indennità previste
può essere rateizzato, con le opportune garanzie, dall’autorità giudiziaria (art. 1151).
La posizione del possessore di buona fede è vista con maggior favore anche da un di-
verso punto di vista. Egli, infatti, può ritenere la cosa finché non gli siano corrisposte le in-
dennità dovute, purché richieste nel corso del giudizio di rivendicazione e sia stata fornita
una prova, sia pure generica, della sussistenza delle riparazioni e dei miglioramenti (go-
dendo dello stesso diritto finché non siano state prestate le garanzie disposte dall’autorità
giudiziaria in caso di rateizzazione) (art. 1152). Con il diritto di ritenzione così rico-
nosciuto al possessore, il proprietario avente diritto alla restituzione e corrispondente-
CAP. 5 – POSSESSO 649

mente gravato di obblighi di rimborso nei suoi confronti viene fortemente stimolato a far
fronte ai propri impegni nei confronti del primo. Si tratta di una forma di autotutela ecce-
zionalmente consentita dall’ordinamento a garanzia del creditore (VII, 5.13).

6. Possesso di buona fede di beni mobili (art. 1153). – Tra gli effetti del pos-
sesso, si colloca in primo piano, trattandosi di regola basilare nel sistema della circola-
zione dei beni mobili (non registrati e non considerati come componenti di univer-
salità di fatto: art. 1156), il principio enunciato dall’art. 11531, secondo cui “colui al qua-
le sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la proprietà
mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un
titolo idoneo al trasferimento della proprietà”.
Trova qui espressione, sia pure con opportune precisazioni e adattamenti, il principio
tradizionalmente enunciato con la massima “il possesso vale titolo” (passato dall’art.
2279 code civil – “en fait de meubles, la possession vaut titre” – all’art. 707 cod. civ. del
1865) 24. Si tratta di un principio fondamentale nella vita dei traffici, essenziale soprattut-
to negli ordinamenti moderni che tendono, in considerazione dell’evoluzione delle di-
namiche economiche, alla mobilizzazione della ricchezza.
La sua giustificazione è da ricercare nell’esigenza di assicurare, nella circolazione dei
beni mobili, la certezza delle situazioni giuridiche soggettive e la rapidità delle contratta-
zioni. Questa esigenza è fatta decisamente prevalere sulle ragioni della proprietà: la rego-
la in esame si risolve, appunto, nella prevalenza sul proprietario accordata a chi abbia
conseguito il possesso della cosa mobile, a condizione che il possesso stesso sia acquista-
to in buona fede e sulla base di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. Di fron-
te al conseguimento del possesso, corroborato dai requisiti ricordati, passa in secondo
piano, ai fini della realizzazione della vicenda circolatoria, la circostanza che l’alienante
(colui, cioè, da cui il bene viene acquistato) non sia proprietario del bene alienato e l’ac-
quisto viene considerato meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, anche se si tratta
di un acquisto a non domino.
All’esigenza accennata di agevolazione della circolazione, poi, la disciplina in esame
risponde anche (e, forse, soprattutto) regolando il conflitto tra i successivi aventi causa
dallo stesso dante causa: se taluno con successivi contratti aliena a più persone lo stesso
bene mobile, preferito è colui che abbia in buona fede conseguito il possesso, anche se il
suo acquisto sia posteriore (art. 1155). Il possesso, dunque, è chiamato a svolgere, in ma-
teria di circolazione dei beni mobili, una essenziale funzione di pubblicità (c.d. pubblicità
di fatto), risolvendo a favore di chi possa vantare il possesso della cosa il problema delle
conseguenze della doppia alienazione (VIII, 6.16 e XIV, 2.5). Chi acquista il possesso, a
condizione di essere in buona fede, può essere certo, così, di non potersi vedere mai op-
posto il precedente acquisto di altri (come pure è certo di non potersi vedere opposta
dal vero proprietario la mancanza, in colui che gli abbia alienato il bene, del potere di
disporne efficacemente). L’avvenuto sicuro acquisto, da parte di chi possa vantare a pro-
prio favore l’operatività della fattispecie di cui all’art. 11531, rappresenta, poi, un punto
fermo, anche ai fini delle successive vicende circolatorie del bene.

24
L’art. 707 cod. civ. del 1865 prevedeva che “riguardo ai beni mobili per loro natura ed ai titoli al por-
tatore, il possesso produce a favore dei terzi di buona fede l’effetto stesso del titolo”.
650 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

Non essendo l’alienante (in quanto non proprietario) legittimato a trasferire la pro-
prietà, l’acquisto del diritto non può essere considerato dipendente dalla precedente ti-
tolarità del diritto stesso da parte di altri: si tratta, allora, di acquisto a titolo originario
(manca qui quella trasmissione del diritto, caratterizzante l’acquisto a titolo derivativo)
(c.d. acquisto a non domino) (VI, 2.1) 25. Col carattere originario dell’acquisto risulta coe-
rente la regola per cui la proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, essendo
solo imposto il rispetto dei diritti risultanti dal titolo o comunque noti a chi abbia così
acquistato la proprietà (art. 11532). Temperamento, questo, collegato alla rilevanza che,
pure nella fattispecie posta alla base di un acquisto a titolo originario, viene accordata
alla esistenza di un titolo e alla buona fede del soggetto.
Centro di gravità della fattispecie acquisitiva di cui all’art. 1153 è il conseguimento
del possesso della cosa. Il codice allude, in proposito, alla relativa consegna, da intende-
re quale trasmissione della concreta disponibilità della cosa stessa dall’alienante all’acqui-
rente: tale non si ritiene una consegna meramente simbolica, né una consegna consensua-
le, ove l’acquirente non consegua la materiale disponibilità della cosa (come accade nel ca-
so di costituto possessorio) (VI, 5.3) 26.
L’acquisto presuppone che il conseguimento del possesso sia avvenuto in buona fede,
nell’ignoranza, quindi, circa la mancanza, nell’alienante, della proprietà della cosa. La
buona fede, secondo la regola dell’art. 11473, si presume ma non può essere invocata in
caso di colpa grave (art. 11472), come in caso di acquisto, nonostante ragionevoli dubbi
circa la legittima provenienza del bene 27. Al soggetto, ove abbia acquistato conoscendo
l’originaria illegittima provenienza della cosa (ad es., perché gli risulti in passato rubata),
non giova credere erroneamente che il suo dante causa o un precedente possessore ne sia
divenuto proprietario (proprio sulla base del principio dell’art. 1153) (art. 1154). La con-
sapevolezza dell’originaria illegittima provenienza del bene si ritiene, insomma, esclu-
dere la buona fede 28 (ovviamente, se vi è stato effettivamente un acquisto da parte del
suo dante causa o di uno dei precedenti possessori, il problema non si pone, trattandosi
di acquisto a domino).

25
È da sottolineare come proprio l’operatività della regola dell’art. 11531, col carattere originario dell’acquisto
che ne consegue (per il quale v., ad es., Cass. 27-9-2012, n. 16435), valga ad agevolare fortemente la dimostrazio-
ne della proprietà relativamente ai beni mobili, con riguardo all’esercizio dell’azione di rivendicazione (VI, 2.6): al
rivendicante risulta sufficiente, infatti, provare, a tal fine, di avere precedentemente acquistato in buona fede e in
base a titolo idoneo il possesso della cosa che intende recuperare nella propria materiale disponibilità.
26
Peraltro, non occorre “un contatto fisico e diretto dell’acquirente con il bene”, bastando che costui “sia
posto in grado di esercitare su di esso i poteri di controllo e vigilanza che costituiscono il contenuto proprio
del possesso” (Cass. 29-1-2018, n. 2100).
27
Cass. 14-9-1999, n. 9872, precisa che la “presunzione di sussistenza può essere vinta in concreto anche
tramite presunzioni semplici, le quali siano gravi, precise e concordanti e forniscano, in via indiretta (come è
naturale, trattandosi di accertare l’esistenza o meno di uno stato psicologico), il convincimento della esistenza
in capo all’acquirente del ragionevole sospetto di una situazione di illegittima provenienza del bene” (non è
stata riconosciuta, così, la buona fede dell’acquirente di un quadro di De Chirico, di provenienza furtiva, ad
un’asta, trattandosi di gallerista esperto d’arte, come tale ritenuto nelle condizioni di accertare se il quadro
acquistato fosse tra quelli attualmente oggetto di indagini penali per furto).
28
La Relaz. cod. civ., n. 544, sottolinea, appunto, che la disposizione “è giustificata dal rilievo che la cono-
scenza, da parte dell’acquirente, dell’illegittima provenienza della cosa è tale da imporgli le più rigorose cau-
tele al fine di accertare la reale situazione giuridica dell’alienante”.
CAP. 5 – POSSESSO 651

Deve sussistere un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. Si usa precisare, a


chiarimento della formula legislativa, che il titolo deve essere astrattamente idoneo al
trasferimento della proprietà. Con ciò si intende chiarire che è necessario trattarsi di un
titolo che, se proveniente dal proprietario (in quanto legittimato a disporre del bene),
avrebbe determinato il regolare trasferimento della proprietà sulla cosa. L’unica carenza
del titolo posto a base dell’acquisto (che è, infatti, a non domino) deve riguardare, dun-
que, la mancanza di legittimazione a disporre del diritto da parte dell’alienante. Non ri-
sulta, allora, astrattamente idoneo un titolo che non abbia i requisiti richiesti e sia, di con-
seguenza, invalido 29: l’acquisto del possesso in buona fede non vale a sanare i vizi del-
l’atto che lo rendano invalido, ma solo il difetto della legittimazione dell’alienante. Titolo
astrattamente idoneo – purché dunque valido – può essere un qualsiasi atto di alienazio-
ne, a titolo oneroso, ma anche gratuito (vendita, donazione, ecc.).
È opportuno ricordare, come si è accennato, che la disciplina qui in esame non si ap-
plica ai beni mobili registrati e alle universalità di mobili (art. 1156) 30. L’art. 11533 esten-
de, piuttosto, l’operatività dell’acquisto, quale effetto del possesso in buona fede (in base
a titolo idoneo al trasferimento), anche ai diritti di usufrutto, uso e pegno. Per gli effetti
del possesso di buona fede dei titoli di credito, l’art. 1157 rinvia alla disciplina al riguar-
do specificamente dettata dal codice stesso (art. 1994).

7. Usucapione. – Nel quadro degli effetti del possesso, il codice disciplina


l’usucapione, che l’art. 922 menziona tra i modi di acquisto della proprietà. Essa, in
realtà, quale fondamentale modo di acquisto a titolo originario, riguarda non solo
la proprietà, ma anche gli altri diritti reali di godimento su cosa altrui.
L’acquisto della proprietà per usucapione, in conseguenza del “possesso continuato”
per un lungo tempo, si fonda, in sostanza, sulle stesse ragioni che giustificano l’operare del-
la prescrizione quale generale modo di estinzione dei diritti (art. 2934) (II, 4.9). Nel caso
della prescrizione, il diritto viene perso in conseguenza del suo durevole mancato esercizio.
Nel caso della usucapione, all’inverso, il diritto viene acquistato in conseguenza del suo per-
sistente concreto esercizio. Tradizionalmente, i due fenomeni erano esaminati e disciplinati
unitariamente, parlandosi, rispettivamente, di prescrizione estintiva e di prescrizione acquisi-
tiva. In tale unitaria prospettiva li considerava il codice civile del 1865 (art. 2105: “la pre-
scrizione è un mezzo con cui, col decorso del tempo e sotto condizioni determinate, taluno
acquista un diritto od è liberato da un’obbligazione”), mentre il codice vigente ha ritenuto
opportuno separarli, con ciò intendendo evidentemente valorizzare, in relazione all’usuca-
pione, la rilevanza dell’esercizio del potere di fatto sulla cosa 31. Il collegamento, comunque,
resta ancora esplicito, dato che l’art. 1165 estende all’usucapione, almeno “in quanto appli-
cabili”, l’operatività delle regole fondamentali governanti l’operatività della prescrizione.

29
Sicuramente escluso è l’acquisto in caso di titolo nullo, mentre si tende a ritenere ammissibile nella ipotesi
di titolo annullabile, in quanto, almeno fin quando non sia annullato, esso sussiste ed è efficace (in tal caso, però,
il diritto dell’acquirente è soggetto a venir meno nel caso sopravvenga la pronuncia di annullamento).
30
Peraltro, “ai beni mobili soggetti ad iscrizione nei pubblici registri, ma di fatto non iscritti o non validamente
iscritti, non si applica la norma di cui all’art. 1156 c.c.”, operando il regime dell’art. 1153 (Cass. 23-5-2018, n.
12860).
31
La Relaz. cod. civ., n. 547, precisa che si è inteso attuare “una più organica e razionale sistemazione del-
la materia col trasferire sotto il titolo del possesso le norme particolari all’usucapione”.
652 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

L’esigenza considerata dall’ordinamento è essenzialmente quella di assicurare la cer-


tezza delle situazioni giuridiche e la loro corrispondenza alle situazioni quali si presentano
nella realtà 32. Come nella prescrizione determinante risulta l’inerzia del titolare del dirit-
to, così nell’usucapione decisiva è reputata l’attività del soggetto. L’ordinamento si muo-
ve, insomma, nel senso di adeguare la titolarità giuridica dei rapporti economici alla loro
effettività, in una prospettiva di incentivazione, anche nell’interesse generale, dell’effet-
tivo esercizio sui beni di quelle attività di utilizzazione e di sfruttamento, in vista della cui
meritevolezza riconosce i corrispondenti diritti. Chiare ne sono le implicazioni: se è vero
che la proprietà risulta imprescrittibile, è pure vero che la stessa norma la quale vale a
sancire tale sua caratteristica – prevedendo la imprescrittibilità dell’azione di rivendica-
zione – fa salvi proprio gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per effetto
della usucapione (art. 9483).
Perché si possa avere usucapione, il possesso deve avere taluni requisiti. Essi si dedu-
cono dalle disposizioni che disciplinano l’istituto, oltre ad essere indicati quali requisiti
del possesso tutelabile mediante l’azione di manutenzione (art. 11702) 33.
a) Il possesso, per essere ad usucapionem, deve essere pacifico e pubblico. Non deve
essere stato acquistato, insomma, in modo violento o clandestino. Di conseguenza, il pos-
sesso giova ai fini dell’usucapione solo dal momento della cessazione della relativa violenza
e della clandestinità (vizi del possesso: art. 1163). Taluni ritengono, in proposito, che occor-
ra una vera e propria violenza fisica o morale nei confronti del precedente possessore,
mentre la giurisprudenza sembra orientata (con riferimento ai caratteri dello spoglio, ai
sensi dell’art. 11681) nel senso della sufficienza di una contrarietà alla sua volontà. Circa la
non clandestinità del possesso, poi, si ritiene che essa sussista anche a prescindere dalla
consapevolezza dell’altrui impossessamento da parte del precedente possessore: rilevante è
solo che l’attività di chi possiede sia socialmente apprezzabile come tale 34.
b) L’esercizio del potere di fatto non può essere mai abbandonato dal possessore. Il
possesso, cioè, deve essere continuo per tutto il periodo prescritto (art. 1158). Ai fini di
tale necessaria continuità acquista rilevanza la presunzione di possesso intermedio, di cui
all’art. 1142 (VI, 5.3).
c) Il possesso deve risultare non interrotto. L’interruzione del possesso può essere
naturale (di fatto) o civile. La interruzione naturale si verifica ove il possessore, per una
intromissione altrui (ma si ritiene anche per eventi naturali), venga posto nella impossibi-
lità di esercitare il potere di fatto sulla cosa. In tal caso, l’usucapione si reputa interrotta
solo se la privazione del possesso si protrae per almeno un anno (art. 11671). Trascorso
un anno dall’avvenuto spoglio, infatti, il soggetto non può più esercitare l’azione di rein-

32
Significativamente il legislatore ha previsto la trascrizione delle sentenze da cui risulti l’acquisto per usu-
capione di diritti per i quali tale forma di pubblicità è prevista (art. 2651), nonché, a seguito del D.L.
21.6.2013, n. 69, conv. nella L. 9.8.2013, n. 98, degli accordi di mediazione che accertano l’usucapione (art.
2643, n. 12 bis).
33
L’usucapione resta esclusa per i beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato e degli enti
pubblici territoriali.
34
Ai sensi dell’art. 1260 L. 27.12.2006, n. 296, ai fini della usucapione di beni immobili acquistati dallo Sta-
to, in quanto vacanti (art. 827) o derivanti da eredità giacenti (per successione legittima: art. 586), il “terzo
esercente attività corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale”, onde evitare l’impedimento
della clandestinità (di cui all’art. 1163), deve notificare “all’agenzia del demanio di essere in possesso del bene”.
CAP. 5 – POSSESSO 653

tegrazione (art. 11681). Per evitare l’effetto interruttivo del proprio possesso basta che il
soggetto proponga (appunto entro l’anno dal sofferto spoglio) l’azione di reintegrazione,
recuperando, a seguito del relativo esercizio, il possesso (art. 11672). Quanto alla interru-
zione civile, gli atti di diffida e messa in mora, a differenza che per la prescrizione (art.
29434), non valgono ad interrompere l’usucapione, non trattandosi di diritti di credito.
Occorre, quindi, la proposizione di una domanda giudiziale, in particolare di rivendica-
zione. Le disposizioni relative all’interruzione della prescrizione (nonché alla sua sospen-
sione e quelle generali) sono, in effetti, considerate, come accennato all’inizio, da osser-
vare anche in materia di usucapione, ma solo “in quanto applicabili” (art. 1165). Ne con-
segue che anche con riferimento all’efficacia interruttiva del riconoscimento del diritto
reale altrui da parte del possessore, la giurisprudenza dimostra notevole cautela 35.
L’usucapione è modo di acquisto a titolo originario non solo della proprietà, ma anche
degli altri diritti reali di godimento (artt. 1158 e 1161). La natura del diritto che si usuca-
pirà viene a dipendere, ovviamente, dal tipo di possesso esercitato (se, cioè, comportan-
dosi come proprietario del bene o come titolare di altro diritto reale su di esso). Nella stes-
sa prospettiva della disciplina del mutamento della detenzione in possesso (art. 11412: VI,
5.2) si pone, al riguardo, la regola concernente l’interversione del possesso (con con-
seguente possibile richiamo di quanto in proposito osservato) (art. 1164). Chi ha il posses-
so corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la pro-
prietà della cosa stessa, se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente
da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. In tal
caso, il tempo necessario per l’usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso
è stato mutato.
È controverso se l’usucapione valga a liberare il bene dagli altri diritti reali eventual-
mente esistenti su di esso. Si tratta, in effetti, di un principio tradizionale (c.d. usucapio
libertatis), il quale, però, non trova espresso riscontro nel codice, a differenza che in ma-
teria di effetti del possesso in buona fede di beni mobili (art. 11532). Al riguardo, pare da
concludere, allora, che ad estinguersi saranno esclusivamente i diritti reali altrui incom-
patibili con il possesso, quale sia stato effettivamente esercitato (e cui sia conseguita l’usu-
capione).
L’usucapione (fermi i requisiti dianzi esaminati del possesso) produce l’acquisto con
modalità temporali molto diverse, a seconda del tipo di bene 36.

35
Cass. 25-3-1997, n. 2590, ritiene che “ai fini dell’interruzione del termine per usucapire è necessario che
il possessore manifesti la volontà di attribuire al suo titolare il diritto reale da lui esercitato come proprio, non
essendo sufficiente la consapevolezza della spettanza ad altri di tale diritto”, pur eventualmente evidenziata in
un qualche atto (e v. anche Cass. 23-6-2006, n. 14654). Alla “c.d. volontà ‘attributiva’ del diritto”, quale “re-
quisito normativo del riconoscimento”, allude Cass. 26-10-2018, n. 27170 (normalmente desumibile, ad es., “dal-
l’essere state intavolate trattative con i titolari del diritto di proprietà ai fini dell’acquisto in via derivativa”).
36
L’effetto acquisitivo dell’usucapione opera indipendentemente dall’eventuale provvedimento giudiziale
che lo accerti (di natura, quindi, dichiarativa), la cui trascrizione ai sensi dell’art. 2651, del resto, è reputata
“priva di effetti sostanziali” (Cass. 26-11-1999, n. 13184). In merito alla c.d. v e n d i t a d e l p o s s e s s o , la giu-
risprudenza più recente, pur ribadendo la propria contrarietà – peraltro avversata in dottrina – alla “possibili-
tà che oggetto di una vendita possa essere il solo possesso, in quanto tale, di un immobile” (e v. anche VI,
5.3), ha concluso nel senso della validità della “compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di
un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento del-
l’usucapione, ancorché l’acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in con-
654 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

a) Per i beni immobili, ai fini dell’acquisto della proprietà (e degli altri diritti reali di
godimento), è necessario, in generale, il possesso protratto per venti anni (usucapione ordi-
naria). È prevista anche una usucapione decennale (c.d. usucapione abbreviata), nel caso in
cui il possesso sia stato acquistato in buona fede da chi non sia il proprietario, in forza di un
titolo idoneo al trasferimento della proprietà e che sia stato debitamente trascritto (il termi-
ne decennale decorre dalla data della trascrizione) (art. 1159). Come si è visto nel paragra-
fo precedente a proposito dell’art. 1153, la formula legislativa va intesa nel senso della ne-
cessaria sussistenza, per l’usucapione decennale, di un titolo astrattamente idoneo al trasfe-
rimento della proprietà, in quanto non affetto da vizi tali da determinarne la invalidità, ma
solo carente sotto il profilo della legittimazione del soggetto da cui proviene (si tratta anche
qui di un acquisto a non domino). Pure in questo caso, l’acquisto avviene a titolo origina-
rio 37. Regole particolari sono dettate dall’art. 1159 bis (aggiunto dalla L. 10.5.1976, n. 346)
in tema di usucapione speciale per la piccola proprietà rurale (ordinaria e abbreviata, per cui
sono richiesti, rispettivamente, quindici e cinque anni).
b) Con riferimento alle universalità di mobili, la proprietà e gli altri diritti reali
di godimento si acquistano, in generale, mediante possesso ventennale. In caso di acqui-
sto in buona fede del possesso da chi non è proprietario, in forza di titolo (astrattamente)
idoneo, l’usucapione si compie con il decorso di dieci anni (art. 1160).
c) Quanto ai beni mobili, il termine ordinario di usucapione è di venti anni. Esso si
applica solo se il possessore è in mala fede. Se, infatti, costui acquista il possesso in buona
fede, in mancanza di un titolo idoneo, il tempo necessario per l’usucapione è di dieci an-
ni (art. 1161). Ciò perché, come si è visto, se con la buona fede del possessore concorre
anche il titolo (astrattamente) idoneo, l’acquisto della proprietà (o di altro diritto reale di
godimento) si produrrà immediatamente (a non domino), operando la fattispecie acquisi-
tiva dell’art. 1153.
d) Per i beni mobili registrati, la usucapione ordinaria si compie in dieci anni e
quella abbreviata (col concorso della buona fede del possessore e del titolo astrattamente
idoneo debitamente trascritto) in soli tre anni. Tali termini particolarmente brevi sono
dettati in considerazione della peculiare natura dei beni in questione 38.

traddittorio con il precedente proprietario” (Cass. 5-2-2007, n. 2485, ove si evidenzia come, in caso contrario,
“si verificherebbe la strana situazione per cui chi ha usucapito sarebbe proprietario, ma non potrebbe dispor-
re validamente del bene fino a quando il suo acquisto non fosse accertato giudizialmente”). In relazione alla
rinuncia a far valere l’acquisto per usucapione ormai maturatosi, Cass. 28-7-2021, n. 21612 ha escluso la ne-
cessità della relativa forma scritta a pena di nullità (ai sensi dell’art. 1350, n. 5), non trattandosi di “rinuncia a
un diritto di proprietà già acquisito, bensì solo ad avvalersi della tutela giuridica apprestata dall’ordinamento
per garantire la stabilità dei rapporti giuridici”.
37
Solo in caso di usucapione ventennale degli immobili non operano contro il terzo possessore (conferen-
do maggiore sicurezza al suo acquisto) né l’impedimento derivante da condizione o termine, né le cause di
sospensione previste dall’art. 2942 per la condizione di colui contro cui si usucapisce (incapace, militare in
tempo di guerra) (art. 11661). Terzo possessore si ritiene essere colui che possiede senza titolo o sulla base di
un titolo a non domino e, pertanto, sia estraneo al rapporto sottoposto a condizione o a termine, ovvero con il
soggetto per il quale operi la causa di sospensione della prescrizione.
38
Come evidenzia la Relaz. cod. civ., n. 548, “il termine di tre anni potrà apparire troppo breve, ma esso è
stabilito in considerazione della brevità della vita (si pensi soprattutto agli aeromobili) che normalmente han-
no alcuni di questi beni”. Ciò vale pure a giustificare il termine solo decennale di prescrizione ordinaria.
CAP. 5 – POSSESSO 655

8. Azioni a tutela del possesso. – Si è sottolineato come il significato del riconosci-


mento giuridico accordato all’esercizio del potere di fatto sulla cosa si colga soprattutto
sotto il profilo della possibilità, conferita al possessore, di avvalersi di apposite azioni (le
azioni possessorie), rapide ed efficaci, a pronta tutela della sua situazione 39. Il posses-
sore (al limite, il ladro) è tutelato indipendentemente dalla propria buona o mala fede e
pure contro lo stesso proprietario, il quale non si trovi più nel possesso del bene da un
tempo tale da precludergli l’esercizio, a sua volta, delle azioni possessorie. Il proprietario
potrà, in tal caso, reagire solo con l’esercizio dell’azione di rivendicazione (con i relativi
tempi, legati anche al necessario assolvimento dei gravosi oneri probatori: VI, 2.6, ovve-
ro, ricorrendone le condizioni, con quello dell’azione negatoria). L’esecuzione dei prov-
vedimenti adottati dal giudice a difesa del possesso è assistita, inoltre, da tutela penale (art.
388 c.p., concernente la “mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”).
Le azioni a tutela del possesso sono due: l’azione di reintegrazione e l’azione di manu-
tenzione. Al possessore, così come al proprietario e al titolare di altro diritto reale di go-
dimento, competono pure le esaminate azioni di nunciazione (VI, 2.8).
a) L’azione di reintegrazione (o azione di spoglio) compete a chi sia stato violen-
temente o clandestinamente spogliato del possesso (di qualsiasi bene), al fine di ottenere
la reintegrazione del possesso medesimo. L’azione deve essere esercitata entro un anno
dal sofferto spoglio (art. 11681). Se lo spoglio è clandestino, il termine decorre dal giorno
della scoperta dello spoglio (art. 11683). In applicazione dei principi generali, si ritiene
che, ove lo spoglio sia violento, il termine decorra dalla cessazione della violenza. Il ter-
mine annuale in questione viene considerato correntemente di decadenza. L’azione, oltre
che al possessore, compete anche al detentore, tranne il caso che la cosa sia detenuta per
ragioni di ospitalità o servizio (art. 11682). Si parla correntemente, al riguardo, di deten-
zione qualificata (VI, 5.2) 40.
Lo spoglio consiste in qualsiasi comportamento che valga ad impedire durevolmen-
te l’esercizio del potere di fatto sulla cosa. Il carattere violento dello spoglio è inteso in
senso lato dalla giurisprudenza 41. Tradizionalmente si reputa necessario che lo sposses-
samento avvenga con una corrispondente intenzione e la giurisprudenza richiede, al ri-

39
La tutela possessoria, con i suoi caratteri di rapidità ed efficacia (di “rimedi notevolmente più snelli, in
contrapposizione ad altri tipi di azioni, come quelle petitorie, esperibili a tutela dei diritti reali”, parla
Cass. 4-4-2018, n. 8394), può essere considerata, in effetti, quale contropartita offerta dall’ordinamento, in
vista della pacifica convivenza sociale, per la drastica limitazione della liceità dell’autodifesa. Solo mentre l’ag-
gressione altrui al proprio diritto è in atto, al relativo titolare è consentito – senza incorrere nel reato di “eser-
cizio arbitrario delle proprie ragioni” (artt. 392 e 393 c.p.) – agire per difenderlo (vim vi repellere licet), in
applicazione del principio della legittima difesa (e solo nei rigorosi limiti in cui questa risulta ammessa:
2044 e 52 c.p.) (X, 1.5).
40
Per esercitare l’azione, basta che costui dimostri “l’esistenza del titolo posto a base dell’allegata deten-
zione, senza che il giudice debba accertare la validità e l’efficacia di siffatto titolo” (Cass. 17-2-2014, n. 3627).
Si tenga presente che l’azione “può essere esercitata anche da chi possegga la cosa per mezzo di altra persona
nei confronti dello stesso detentore che abbia mutato la propria detenzione in possesso” (Cass. 29-5-2013,
n. 13417).
41
Per Cass. 23-11-1978, n. 5498 (e v., ad es., pure Cass. 7-12-2012, n. 22174), “lo spoglio violento si attua
non soltanto con la violenza materiale, ma anche mediante qualsiasi azione con la quale taluno si impossessi
dell’altrui cosa, alterando lo stato di fatto in cui si trova il possessore, in contrasto con la volontà espressa, o
anche presunta, del medesimo”. Al riguardo, Cass. 13-2-1999, n. 1204, nega che il semplice silenzio valga
“senz’altro come manifestazione di consenso o di acquiescenza”.
656 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

guardo, la ricorrenza di un tale animus spoliandi 42. Essendo considerato lo spoglio un


atto illecito (ai sensi dell’art. 2043 e, come tale, fonte pure dell’obbligo di risarcire i danni
ingiustamente così provocati), si tende (non senza contrasti) a ritenere che l’attore debba
provarne il carattere colposo o doloso 43. Se lo spoglio non è stato violento o clandestino
(c.d. spoglio semplice), il possessore potrà comunque chiedere di essere reintegrato nel
possesso, ove ricorrano le condizioni dell’azione di manutenzione (art. 11703). L’azione
può essere diretta anche nei confronti di chi sia nel possesso della cosa in virtù di un ac-
quisto a titolo particolare (da chi abbia operato lo spoglio), fatto con la consapevolezza del-
l’avvenuto spoglio (quindi in mala fede) (art. 1169).
La reintegrazione è ordinata dal giudice sulla base della semplice notorietà del fatto
(cioè alla luce di una istruttoria sommaria e del mero riscontro del c.d. fumus boni iuris
della pretesa dell’attore), senza dilazione (art. 11684). Caratteristica del giudizio posses-
sorio è quella di svolgersi in due fasi distinte, delle quali la prima è quella di urgenza, cui
allude l’art. 11684, concludendosi essa, appunto, con l’ordine di reintegrazione (di ripri-
stino, cioè, della situazione di fatto su cui è intervenuto lo spoglio), di carattere provviso-
rio e cautelare (assistito, come accennato, anche da una tutela di carattere penale). È pro-
prio alla rapidità di tale fase che è affidata la realizzazione dell’esigenza di assicurare una
tutela adeguata della situazione di fatto esistente relativamente ai beni (e, quindi, in so-
stanza, la stessa funzione economico-giuridica del possesso). La seconda fase è quella di
merito, che si conclude con la sentenza definitiva (sempre, si badi, in ordine alla situazio-
ne possessoria) 44.
b) L’azione di manutenzione è concessa al solo possessore (quindi non al detentore) e
limitatamente alla proprietà o ad altri diritti reali su beni immobili o su universalità di
mobili. Essa è diretta ad ottenere, da parte di chi sia stato molestato nel suo possesso, la
cessazione delle turbative arrecategli, entro un anno da quando queste si siano verificate
(art. 11701). Il possesso deve essere caratterizzato dagli stessi requisiti richiesti ai fini del-
l’usucapione (c.d. possesso ad usucapionem: pacifico, pubblico, continuo, non interrotto) e

42
Si afferma che “l’elemento soggettivo che completa i presupposti dell’azione di spoglio risiede nella co-
scienza e volontà dell’autore di compiere l’atto materiale nel quale si sostanzia lo spoglio” (Cass. 31-1-2011, n.
2316). Alla necessaria “consapevolezza di contrastare e di violare la posizione soggettiva del terzo”, allude
Cass. 4-11-2013, n. 24673.
43
La giurisprudenza, in effetti, correntemente ritiene che, costituendo “lo spoglio … atto illecito”, “la re-
lativa condotta materiale deve essere sorretta da dolo o colpa, la cui prova incombe, secondo i principi gene-
rali di ripartizione dell’onere probatorio, su chi propone la domanda di reintegrazione” (Cass. 31-8-2018, n.
21475; 18-2-2008, n. 3955). Si precisa che, ove il soggetto che invoca la tutela possessoria “intenda ottenere la
condanna dell’autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni”, la relativa pretesa possa
“essere esaminata solo nel giudizio di cognizione piena” (Cass. 30-9-2014, n. 20635).
44
Il procedimento è disciplinato dall’art. 703 c.p.c., la cui modifica con la L. 26.11.1990, n. 353, ha dato luo-
go ad accesi contrasti circa i caratteri della relativa struttura “bifasica”, composti da Cass., sez. un., 24-2-1998, n.
1984 (secondo cui il procedimento “resta strutturato su due fasi entrambe rette dal ricorso introduttivo, l’una a
cognizione sommaria destinata a concludersi con ordinanza reclamabile che deve contenere anche la fissazione
dell’udienza ex art. 183 c.p.c., l’altra a cognizione piena destinata a concludersi con sentenza soggetta ai normali
mezzi di impugnazione”; e v. anche, sempre con riferimento al regime di cui alla L. 353/1990, Cass. 21-2-2019,
n. 5154). Successivamente, il legislatore è nuovamente intervenuto, con la L. 14.5.2005, n. 80, per definire più
compiutamente la disciplina del procedimento (così, nel nuovo contesto normativo, alla luce degli introdotti co.
3 e 4 dell’art. 703 c.p.c., Cass., sez. un., 20-11-2013, n. 26037, ha ritenuto che “il carattere bifasico del procedi-
mento possessorio è, ormai, solo eventuale”).
CAP. 5 – POSSESSO 657

durare da oltre un anno. Qualora il possesso sia stato acquistato violentemente o clande-
stinamente, l’azione può esercitarsi trascorso un anno dal giorno in cui la violenza o la
clandestinità sono cessate (art. 11702) 45. Anche in questo caso il termine annuale (che
decorre dall’inizio della relativa condotta) entro cui deve essere proposta l’azione è con-
siderato di decadenza.
La molestia (o turbativa) si distingue dallo spoglio in quanto, nella prima ipotesi,
la cosa permane nella disponibilità del possessore 46. Le molestie possono essere di fatto
o di diritto. Nel primo caso, si tratta di un’attività materiale che incide sullo stato di fatto
esistente (passaggio sul fondo, immissioni moleste). Nel secondo caso, si tratta del com-
pimento di atti giuridici (stragiudiziali e, secondo taluni, anche giudiziali) volti ad impe-
dire od ostacolare l’esercizio del possesso (atti di ingiunzione o atti di opposizione all’e-
sercizio del possesso altrui, accompagnati da un comportamento del dichiarante che de-
noti la ferma volontà di tradurre in atto il suo proposito) 47. Risulta tradizionalmente ri-
chiesta la ricorrenza di un elemento intenzionale (animus turbandi), il quale, comunque,
viene identificato nella mera volontarietà del comportamento tenuto a detrimento dell’al-
trui possesso.
Come accennato, se ricorrono le condizioni per la proposizione dell’azione di manu-
tenzione, anche colui che abbia subito uno spoglio non violento o clandestino (c.d. spo-
glio semplice) può chiedere di essere rimesso nel possesso (art. 11703). Tale tipo di tutela
si ritiene da taluni ammissibile anche relativamente ai beni mobili, nonostante la sua pre-
visione nell’art. 1170.
Per far cessare la molestia, il giudice può adottare i provvedimenti che ritenga più
opportuni, anche per impedire le molestie future. Può, così, essere ordinata la demoli-
zione di opere o il ripristino di quelle manomesse per turbare l’altrui possesso.
Delicato è il rapporto tra azioni possessorie e petitorie (le azioni, cioè, spettanti al
proprietario o al titolare di altro diritto reale, esaminate dianzi: VI, 2.6-7 e 3.1) 48. Il le-

45
L’azione di manutenzione, insomma, è concessa quando il precedente possessore, essendo trascorso un
anno dal suo spossessamento, non può più esercitare l’azione di reintegrazione.
46
Circa tale distinzione, Cass. 28-7-1986, n. 4835, ha precisato che “nella nozione di spoglio rientrano gli atti
del terzo che privano il possessore o il detentore della disponibilità o del godimento dell’intera cosa o di una sua
parte, mentre nella nozione di molestia vanno compresi gli atti che non incidono sulla consistenza materiale della
cosa, ma hanno lo scopo di impedire l’esercizio del potere di fatto su di essa o di rendere l’esercizio stesso più
difficoltoso o meno comodo” (è stato ritenuto spoglio, così, relativamente ad una servitù di passaggio, la infissio-
ne di paletti di cemento sulla sede stradale destinata al transito, essendosi in tal modo determinata una sottrazio-
ne, sia pure parziale, della superficie destinata al passaggio; Cass. 30-9-2016, n. 19586, ha ricondotto, invece, alla
nozione di molestia “l’apposizione, lungo una strada, di una catena manualmente amovibile”, in quanto atta solo
ad incidere “sulla modalità di fruizione, resa meno agevole e comoda”; alla “istallazione di una porta sul muro
comune”, si riferisce, in proposito, Cass. 23-10-2018, n. 26787). Peraltro, Cass. 22-1-2013, n. 1494, riconduce al
concetto di spoglio, quale “privazione anche solo parziale del possesso”, l’“atto che restringa o riduca le facol-
tà inerenti il potere esercitato sull’intera cosa, oppure diminuisca o renda meno comodo l’esercizio del possesso
medesimo”.
47
In tal senso, nell’evidenziare che la “molestia possessoria può realizzarsi anche senza tradursi in attività
materiali”, ad es., Cass. 10-10-2011, n. 20800.
48
Cass. 13-11-2009, n. 24133, ha precisato che “data la diversa natura e la piena autonomia delle due
azioni, il giudicato possessorio non può assumere nel successivo giudizio petitorio gli effetti di cosa giudicata
sostanziale rispetto allo ius possidendi, anche se i titoli siano stati presi in considerazione ad colorandam pos-
sessionem, giacché tali effetti sono limitati all’accertamento della situazione di fatto, corrispondente all’eserci-
658 PARTE VI – PROPRIETÀ E DIRITTI REALI

gislatore, in proposito, ha inteso evitare che dal relativo eventuale concorso possa risul-
tare frustrata la peculiare efficacia della tutela possessoria, attuata attraverso il pronto
ripristino della situazione di fatto turbata dall’intromissione di altri, anche se si tratti del-
lo stesso proprietario della cosa (il quale deve utilizzare, per far valere il suo diritto, l’a-
zione di rivendicazione o l’azione negatoria). Un intervento della Corte costituzionale è
venuto, però, ad incidere sulla tradizionale disciplina della materia (caratterizzata dalla,
per così dire, “impermeabilità” del giudizio possessorio rispetto alle questioni – proprie
del giudizio petitorio – concernenti la titolarità dei corrispondenti diritti).
L’art. 7041 c.p.c. consente che, per fatti verificatisi durante la pendenza del giudizio
petitorio, vengano proposte domande relative al possesso (in linea di principio davanti
allo stesso giudice investito del giudizio petitorio). L’art. 7051 c.p.c., invece, preclude a
chi sia convenuto in un giudizio possessorio di difendersi facendo valere la propria si-
tuazione di diritto, finché il giudizio possessorio non sia terminato e la relativa decisione
non sia stata eseguita (sia stata, cioè, ripristinata la situazione di fatto anteriore) 49. A se-
guito dell’intervento della Corte costituzionale, il rigore di tale regola è stato notevol-
mente attenuato, facendosi salva l’ipotesi in cui dalla osservanza del divieto in questione
possa derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto (come si verifica, tipicamente,
nel caso in cui l’esecuzione della decisione in tema di possesso comporti la distruzione di
ciò che si sia realizzato in contrasto con l’altrui situazione possessoria, ma nell’affermato
esercizio del proprio diritto) 50.

zio di un diritto reale” (“restando impregiudicata ogni questione sulla conformità a diritto della situazione di
fatto oggetto di tutela”: Cass. 5-2-2016, n. 2300). Evidenzia Cass. 2-12-2020, n. 27513, che “il giudicato for-
matosi sulla domanda possessoria è privo di efficacia nel giudizio petitorio, avente ad oggetto l’acquisto del
diritto di proprietà o di un altro diritto reale per usucapione, in quanto il possesso utile ad usucapire ha re-
quisiti che non vengono in rilievo nel giudizio possessorio”.
49
Si sottolinea che il divieto in questione “riguarda solo il solo convenuto nel giudizio possessorio”, per
cui “l’attore in possessorio, diversamente dal convenuto, può, anche in pendenza del medesimo giudizio, pro-
porre autonoma azione petitoria” (Cass. 25-6-2012, n. 10588).
50
Corte cost. 3-2-1992, n. 25, ha dichiarato, appunto, illegittimo (per violazione, in particolare, del diritto
di difesa, tutelato dall’art. 24 Cost.) l’art. 7051, “nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio peti-
torio alla definizione della controversia possessoria e all’esecuzione della decisione nel caso che ne derivi o
possa derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto”. La giurisprudenza ha successivamente precisato
che “il convenuto in giudizio possessorio può opporre le sue ragioni petitorie quando dalla esecuzione della
decisione possessoria potrebbe derivargli un danno irreparabile, purché l’eccezione sia finalizzata solo al ri-
getto della domanda possessoria (e non anche ad una pronuncia sul diritto con efficacia di giudicato)” (Cass.
30-10-1998, n. 10862; 18-6-2018, n. 16000).
PARTE VII
OBBLIGAZIONI

CAPITOLO 1
RAPPORTO OBBLIGATORIO
(Caratteri e tipologie)

Sommario: 1. Rilevanza sociale e evoluzione storica della fisionomia. – 2. Sistemazione del codice civile e
nuovi radicamenti dei rapporti obbligatori. – 3. Fonti dell’obbligazione (vicende costitutive). – A) CA-
RATTERI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO. – 4. Struttura del rapporto e nozione integrale dell’obbliga-
zione. – 5. Soggetti (l’ambulatorietà). – 6. Contenuto. La pretesa. – 7. Segue. La prestazione. – 8.
Oggetto. – 9. Dovere di correttezza (lealtà, protezione e esigibilità). – 10. Obbligazioni naturali. – B)
ALCUNE SPECIE DI OBBLIGAZIONI TIPICHE. – 11. Le tipologie. Generalità. – 12. Obbligazioni plurisog-
gettive. Le obbligazioni parziarie. – 13. Segue. Le obbligazioni solidali. – 14. Obbligazioni alternati-
ve e facoltative. – 15. Obbligazioni divisibili e indivisibili. – 16. Obbligazioni pecuniarie (debiti di
valuta e debiti di valore). – 17. Il regime degli interessi. – 18. Segue. L’anatocismo. – 19. Obbliga-
zioni con funzioni tipizzate.

1. Rilevanza sociale e evoluzione storica della fisionomia. – In termini generali il


rapporto obbligatorio è un rapporto tra due soggetti, per cui un soggetto (creditore) ha
diritto di soddisfare un proprio interesse tramite l’attività (prestazione) di altro soggetto
(debitore) che vi è tenuto.
È fondamentale la valutazione sociale della relazionalità, per verificare se la stessa si
atteggi come mero legame umano (ad es. di amicizia, di cortesia), in quanto come tale è
sentito dalla comunità ovvero come tale è voluto dai soggetti della relazione, oppure coin-
volga una doverosità giuridica, come tale avvertita dalla collettività, che implica il com-
portamento giuridicamente obbligatorio di un soggetto verso un altro soggetto (ad es.,
come si vedrà, si distingue tra trasporto di cortesia e trasporto gratuito: IX, 2.11). Una
valutazione funzionale del fatto varrà a fare emergere i criteri di configurazione del rap-
porto nella specifica realtà storica (es. la natura professionale del rapporto, il dispendio
economico dell’attività svolta, ecc.); meno rilevante è la natura dell’interesse realizzato,
perché (come si vedrà) l’obbligazione può essere anche rivolta alla soddisfazione di un
interesse non patrimoniale del creditore (art. 1174).
660 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Si fa ricorso al rapporto obbligatorio quando si ha necessità di realizzare un interesse


di rilevanza economica che non si è in grado di soddisfare personalmente e autonoma-
mente, sicché c’è l’esigenza di avvalersi della collaborazione di altro soggetto (ad es., si ha
necessità di danaro, che si ottiene attraverso un prestito; si ha bisogno della disponibilità
di un’abitazione o di un locale commerciale, che si prende in locazione da altri; si cerca
mano d’opera, che si assume con contratto di lavoro).
Il codice civile non contiene una espressa nozione di obbligazione, sicché ancora oggi
si è soliti fare riferimento alle definizioni che provengono dal diritto romano, valorizzan-
dosi il vincolo giuridico corrente tra due soggetti 1. L’obbligazione si configura come una
classe qualificata all’interno dell’ampia categoria dei doveri giuridici e specificamente degli
obblighi giuridici 2. La emersione storica dell’obbligazione risente delle strutture econo-
miche, dei modelli relazionali e dei criteri valoriali che storicamente hanno accompagna-
to l’organizzazione sociale.
a) In diritto romano l’obbligazione indicava la posizione di un soggetto materialmente
legato e vincolato (asservito) (obligatus) ad un altro soggetto 3. Il vincolo giuridico (vincu-
lum iuris) che legava i due soggetti era, originariamente, concepito come un vincolo mate-
riale (nexum), per sciogliersi dal quale era necessario che lo stesso obligatus o altro soggetto
per lui recidesse tale vincolo con la c.d. solutio (dal verbo solvere: sciogliere), che significa
appunto scioglimento, liberazione dal vincolo, che viene eliminato (nexi liberatio) 4.

1
La definizione che notoriamente ha attraversato i secoli per attestarsi, ancora oggi, come formula identi-
ficativa delle obbligazioni si trova nelle Istituzioni di Giustiniano: “Obligatio est iuris vinculum, quo necessita-
te adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura”.
2
Il linguaggio giuridico non è sempre univoco, parlandosi talvolta di “doveri”, talaltra di “obblighi”, talal-
tra ancora di “essere tenuti”, senza attribuzione di un significato costante; invece non si impiega la parola “ob-
bligazioni” pure in presenza di doveri individuali di carattere patrimoniale verso diretti destinatari beneficiari (ad
es. gli assegni di mantenimento per il coniuge ex art. 156). In generale sono m e r i d o v e r i g i u r i d i c i quelli che
sono imposti, non a tutela di soggetti determinati, ma a vantaggio della generalità dei consociati (si pensi ai
molti doveri e divieti di comportamento della vita quotidiana, al dovere di astensione nei confronti del proprie-
tario e degli altri titolari di diritti assoluti. Gli o b b l i g o s p e c i f i c i integrano un comportamento specifico dovu-
to da un soggetto passivo verso un determinato soggetto attivo, in ragione di un rapporto relativo e personale cor-
rente tra gli stessi: talvolta l’obbligo è di carattere personale (es. obblighi reciproci dei coniugi ex art. 143 e ob-
blighi dei genitori verso i figli ex art. 147); talaltra l’obbligo è di carattere patrimoniale, integrando l’obbligazione,
la quale dunque si caratterizza tra gli obblighi giuridici per la natura patrimoniale dell’obbligo assunto verso uno
specifico soggetto (es. obbligazione del compratore di pagare il prezzo al venditore ex art. 1498) (II, 3.5).
3
Il termine “obbligazione” deriva dal latino obligare, composto di ligare (legare) e del prefisso ob (per). Il
termine “credito” deriva dal latino creditum propriamente “cosa affidata” che implica la fiducia accordata. Nel
diritto arcaico erano ammesse pene corporali del debitore fino alla uccisione; un controverso versetto delle
XII Tavole “al terzo giorno di mercato vengano divise le parti”, è interpretato da molti commentatori nel sen-
so che i creditori avessero diritto di uccidere il debitore insolvente e di spartirsene il cadavere in parti propor-
zionali all’ammontare del credito di ciascuno. Nel tempo tali atrocità vennero meno.
4
Il ricorso al credito si sviluppò quando, per la crisi economica che si manifestò a Roma nel sec. V a.C. e
per il diffondersi dei traffici, la tradizionale economia familiare (chiusa ed autosufficiente) ebbe necessità di
aprirsi ai rapporti esterni. Emergeva la necessità di impiego della tecnica del credito e cioè di conseguire beni
che sarebbero stati restituiti in seguito, e di impegnarsi ad un dare o fare che sarebbe stato successivamente
eseguito. Se l’obbligazione non era adempiuta, l’obbligato rimaneva soggetto con la propria persona e con il
proprio patrimonio al potere del creditore, a questi assegnato dal magistrato (manus iniectio). Il vincolo mate-
riale si idealizzò e il debitore non fu più nel potere giuridico del creditore: lungi da una elaborazione concet-
tuale, emergeva una fenomenologia di obbligazioni in ragione del tipo di prestazione. La frammentarietà tipo-
logica dei vincoli obbligatori si svilupperà per tutto il diritto intermedio, dando vita ad una pluralità di regi-
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 661

b) Con il giusnaturalismo e la successiva elaborazione teorica tedesca (scuola storica e


pandettistica) l’obbligazione assume l’immagine moderna di categoria generale del
diritto patrimoniale (II, 3.5), emergendo una “teoria generale dell’obbligazione” che ana-
lizza l’obbligazione che analizza l’obbligazione, anzitutto scissa da una costrizione fisica,
che permarrà per un ulteriore periodo solo in alcuni casi 5; la scelta definitiva di rispon-
dere il debitore solo con il proprio patrimonio avverrà con la L. 6.12.1877, n. 4166,
principio fatto proprio dal cod. civ. del 1942 con la previsione della esclusiva responsabi-
lità patrimoniale del debitore inadempiente (art. 2740). Inoltre l’obbligazione è valutata
nel suo svolgersi, in modo astratto dalle fonti della stessa e dai contesti che ne hanno de-
terminato o propiziato la nascita: emergono e rilevano le categorie soggettive, di carattere
neutro, di “debitore” e “creditore”.
Sul piano dei rapporti economici, una società a base agraria, contraddistinta dalla
proprietà immobiliare e dunque da un’economia delle cose, assegnava al potere sulle cose
una forte rilevanza sociale e giuridica. Ancora nel cod. nap. e nel cod. civ. del 1865 og-
getto del contratto erano le cose (art. 1116). Il regime dell’obbligazione finiva col rispec-
chiare le soluzioni dei conflitti suscitati dalla circolazione della proprietà (tra proprietari
e aspiranti tali) sulle cose, con funzione strumentale rispetto al conseguimento di beni
finali (cose). La disciplina dell’obbligazione era contenuta nel Libro III “Dei modi di ac-
quistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose”, sotto il Titolo IV “Delle
obbligazioni e dei contratti in genere”.
Lo sviluppo industriale, mentre sposta l’essenza della ricchezza dalla proprietà all’im-
presa, fa emergere una nuova dimensione delle obbligazioni e dei contratti, quali mezzi
elettivi di esplicazione dell’attività economica. La vita dell’impresa, dall’approvvigiona-
mento dei fattori della produzione (materie prime, mano d’opera, capitali, macchinari,
ecc.) alla distribuzione (commerciale e fisica), fino alla collocazione dei prodotti sul mer-
cato, è resa possibile attraverso le obbligazioni e i contratti. Già nel cod. comm. 1882 la
disciplina delle “obbligazioni commerciali” rifletteva le soluzioni offerte ai contrasti tra
commercianti e destinatari dei prodotti: erano frequenti divari di disciplina tra codice
civile e codice di commercio, con la tutela privilegiata in quest’ultimo dei “commercian-
ti”, anche attraverso la valorizzazione degli usi. Nella società industriale, il debito è di-
ventato leva di accumulazione di ricchezza, quale mezzo necessario non solo per l’attività
di impresa ma anche individualmente per l’acquisto di beni mobili e immobili.
L’evoluzione delle tecnologie ha sviluppato poi una economia dei servizi, in grado di
supportare le attività produttive e di appagare variegati bisogni. Con la c.d. mobilizza-

mi, in uno con la pluralità delle fonti. L’apporto di prassi consuetudinarie arricchirà la varietà dei fenomeni
obbligatori (I, 3.2).
5
Per l’art. 2093 c.c. abr. l’arresto personale può essere ordinato sull’istanza della parte interessata, nei casi
e nelle forme determinate dalla legge. Si ricorderà l’infanzia misera e infelice di C. DICKENS che, a 12 anni, fu
costretto a lavorare in una fabbrica per guadagnarsi da vivere, essendo stato il padre arrestato per debiti e
rinchiuso nella prigione di Marshalsea, come evocato dallo stesso autore nel romanzo parzialmente autobio-
grafico Davide Copperfield (1850). Significativo rimane anche il lavoro teatrale ironico di H. DE BALZAC,
Mercadet l’affarista (1840), dove è evidenziata l’importanza riservata al credito nell’economia, così da giustifi-
care l’arresto del debitore. Il codice civile del 1865 ancora prevedeva l’arresto personale per inadempimento,
sia pure ristretto a certi casi (artt. 2093 ss.). Eppure già nella Grecia classica SOLONE, nel 594-593 a.C., aveva
abolito la servitù per debiti.
662 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

zione della ricchezza, la formazione di questa è intimamente connessa alla leva del credi-
to. È in atto un processo di c.d. smaterializzazione della ricchezza, per cui fattori imma-
teriali (informazioni, invenzioni, know how, brevetti, diritti d’autore, ecc.) operano at-
traverso il credito (con contratti di cessione e licenza).
Si delinea una realtà economico-sociale variegata e complessa in cui la realizzazione
degli interessi è sempre meno sorretta dal dominio sulle cose e, invece, sempre maggior-
mente assicurata dall’attività dei soggetti, mediante il ricorso alle obbligazioni. Il credito
diventa componente essenziale del patrimonio dei soggetti, sul quale eccitare anche l’af-
fidamento dei terzi; la cessione del credito in cambio di danaro liquido diventa essenzia-
le strumento di finanziamento delle imprese. Divenuto il credito un essenziale fattore
della economia di mercato, la rilevanza economica dello stesso (del resto secondo l’origi-
ne semantica del termine) è legata alla fiducia nella sua realizzazione. Ne sono indici si-
gnificativi il tasso di interesse pagato per il danaro preso a prestito e il prezzo della ces-
sione del credito (che sono commisurati alla fiducia che si ha nella realizzabilità del cre-
dito). Anche rispetto al debito pubblico, il rischio dei c.d. debiti sovrani sta proprio nel-
la caduta di fiducia dei cittadini nella restituzione, che costringe lo Stato ad aumentare i
tassi di interessi per allettare il prestito (II, 7.6).
c) L’affermazione della persona umana e del solidarismo valorizza il fatto giuridico
della relazionalità quale fonte di obblighi reciproci. Sono obblighi giuridici, di vario
contenuto, complementari a un rapporto sociale instaurato, che può essere di differente
carattere (patrimoniale o non) e di diverso titolo (obbligatorio o non): dal rapporto so-
ciale sottostante tali obblighi mutuano volta a volta lo specifico contenuto. Non conse-
guono a un atto formale di assunzione, ma ineriscono al fatto materiale di relazionalità
giuridicamente rilevante, cui l’ordinamento fa conseguire effetti giuridici di reciproca
protezione, secondo il fondamentale principio di solidarietà (art. 2 Cost.) (II, 7.3).
Afferendo a rapporti di carattere patrimoniale, è possibile ricollegarli alla previsione
dell’art. 1173 sotto la generale dizione di “ogni altro atto o fatto” idoneo a produrre obbli-
gazioni in conformità dell’ordinamento giuridico (v. par. 3). Si tende a parlare di obbliga-
zioni senza prestazione; come si vedrà, la prestazione è scheletrica del rapporto obbligato-
rio per rappresentarne l’essenziale contenuto (VII, 1.7): vi è solo una specificità della pre-
stazione dovuta, che si atteggia come comportamento solidale di protezione altrui nel limi-
te di un ragionevole sacrificio proprio. La violazione degli obblighi di protezione integra
responsabilità da inadempimento, per cui l’inadempiente è tenuto al risarcimento del dan-
no se non prova che l’inadempimento è connesso a causa non imputabile (VII, 4.2). Si ve-
drà come è diffusa una responsabilità da contatto sociale qualificato (VII, 4.3).
All’esito di tale evoluzione la figura dell’obbligazione, mentre conserva l’originario
nucleo di vincolo, risulta accresciuta nella funzione svolta, per coprire tutte le ragioni,
patrimoniali e non patrimoniali, di relazionalità sociale. Il rapporto obbligatorio opera
oggi come uno schema essenziale di rapporto giuridico collaborativo, delineando un nu-
cleo scheletrico di normativa applicabile. Le fonti e le connotazioni della relazionalità
instaurata, come gli interessi particolari realizzati, i contesti di emersione delle relazioni
orientano le specifiche discipline dei vari rapporti e dei relativi contenuti.

2. Sistemazione del codice civile e nuovi radicamenti dei rapporti obbligatori. –


Il codice civile, unificando la disciplina di obbligazioni e contratti del codice civile e del
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 663

codice di commercio, detta una sistemazione unitaria delle obbligazioni secondo un unita-
rio impianto teorico.
a) La disciplina delle obbligazioni è collocata in un libro autonomo (Libro IV): il titolo
primo riguarda le “obbligazioni in generale” (oggetto di esame nella presente parte); i re-
stanti titoli sono riferiti alle singole fonti di obbligazioni, quali contratto, fatto illecito e altri
atti e fatti idonei a produrre obbligazioni (oggetto di esame nelle parti successive) 6.
La trattazione delle “obbligazioni in generale” è, a sua volta, articolata in una parte
generale (artt. 1173-1276), che disciplina la fisionomia e le vicende del rapporto obbliga-
torio, ed una parte speciale (artt. 1277-1320), dedicata ad “alcune specie di obbligazioni”
(peraltro tale parte speciale non esaurisce le specie di obbligazioni né la disciplina ad es-
se relativa, limitandosi a dettare delle norme particolari per alcuni tipi di obbligazioni).
Dal medesimo Libro IV, nella parte relativa al contratto, deriva una disciplina di raffor-
zamento dell’obbligazione attraverso clausola penale e caparra (artt. 1382-1386). Il Libro
VI contiene la disciplina “della responsabilità patrimoniale del debitore, delle cause di
prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale” (artt. 2740-2906), nella pro-
spettiva della tutela dei diritti; è una normativa correlata all’obbligazione, per disciplina-
re le garanzie del credito e i connessi modi di soddisfacimento del creditore per non at-
tuazione del rapporto obbligatorio.
La normativa si presenta come un insieme di schemi logici, tendenzialmente neutrali
rispetto alla varietà dei titoli giuridici da cui le obbligazioni derivano (contratti, fatti ille-
citi, ecc.), e dunque indifferenti rispetto all’atteggiarsi concreto dei fenomeni socio-eco-
nomici che vi fanno da sfondo. In realtà le c.d. regole generali sulle obbligazioni, stabili-
te dal legislatore del 1942, già non erano tutte neutre rispetto alla realtà socio-economica
dell’epoca della codificazione: il codice utilizzò essenzialmente le scelte operate dal codi-
ce di commercio del 1882, molte delle quali provenivano dagli usi in essere nelle relazio-
ni economiche intrattenute dalle imprese e perciò significativamente in contrasto con le
previsioni del codice civile del 1865; veniva così delineandosi una disciplina delle obbli-
gazioni sinergica all’esplicazione dell’attività economica, quale strumento di favore della
stessa, anche attraverso una accentuata tutela del credito (I, 2.5). Si pensi, ad es., alla re-
gola della normale fecondità del danaro (art. 12821) e alla regola della presunzione di so-
lidarietà passiva (art. 1294), che erano previste dal codice di commercio del 1882 e non
dal cod. civ. del 1865.
Il cod. civ. del 1942, seguendo il metodo dell’economia, faceva coincidere la realtà giu-
ridica alla realtà economica in atto. E così considera oggetto del contratto le prestazioni
(artt. 1346 ss.) (che tipicamente connotano la vita economica) e non più le cose (come
aveva fatto il cod. civ. 1865). Il credito può formare oggetto anche di pegno (artt. 2800
ss.) e di usufrutto (l’art. 1000 prevede la riscossione di capitali gravati di usufrutto), ed è
assoggettato a pignoramento (art. 2910). Opera un principio antiperpetualistico delle ob-
bligazioni, onde evitare che vincoli obbligatori per una durata indeterminata possano
compromettere l’autonomia dei soggetti e così ostacolare il fluire della vita economica,

6
Sul modello del BGB di un generale libro II “Diritto dei rapporti obbligatori” (subito dopo il Libro I
dedicato alla Parte generale), veniva delineato un autonomo libro contenente concetti e vicende delle obbli-
gazioni; secondo il sistema tedesco, non mancano, come per altre parti (es. proprietà, successioni, contratto),
disposizioni generali preliminari.
664 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

come emerge ad es. dalla disciplina sulla rendita perpetua (ex art. 1864 c.c.). Si vedrà pe-
raltro come, nel codice, sussistano anche regole specifiche in ragione della natura del
singolo rapporto obbligatorio e dunque dei diversi interessi coinvolti (es. crediti alimen-
tari, crediti di lavoro).
In consonanza con un trend normativo che accompagna la storia recente di tutti gli
istituti fondamentali del diritto privato (contratto, proprietà, fatto illecito), anche relati-
vamente alle obbligazioni sta prendendo vita una normativa che risente della tipologia
degli interessi coinvolti e della specificità dei contesti di emersione dei vincoli ob-
bligatori. A fronte di una generale costruzione delle figure astratte di creditore e debito-
re, emergono specifici statuti delle posizioni soggettive che hanno riguardo alla fonte
(c.d. titolo) da cui l’obbligazione deriva, alle circostanze in cui il rapporto obbligatorio
matura, alle appartenenze e collocazioni socio-economiche dei soggetti del rapporto, assu-
mendo rilevanza il fondamento dell’obbligo del debitore e la ragione del corrispondente
diritto del creditore. Rilevano plurimi regimi di rapporti, talvolta collocati nel codice ci-
vile più spesso in altre normative, che l’interprete deve valutare e applicare facendoli in-
teragire con il sistema attraverso l’applicazione dei principi e valori ordinamentali (si
pensi solo ai rapporti di lavoro, ai rapporti di consumo e ai rapporti di investimento fi-
nanziario).
Si vedrà inoltre come la funzione assunta dal credito nella moderna vita economica
stia facendo emergere una osservazione, non più solo del singolo rapporto obbligatorio,
ma della debitoria dei soggetti per i riflessi sul complesso delle relazioni economiche e
sociali coinvolte: si pensi al salvataggio delle imprese in crisi e alle procedure di compo-
sizione delle crisi da sovraindebitamento (VII, 8).
Si è anticipato come, in una prospettiva di tutela dei diritti umani e di valorizzazione
della relazionalità solidale, sta emergendo un nuovo filone di rapporti obbligatori, incen-
trati sugli obblighi di protezione che i consociati sono tenuti a rispettare nei rapporti
intersoggettivi (es. obblighi di buona fede e correttezza, collaborazione) (par. 1).

3. Fonti dell’obbligazione (vicende costitutive). – Per l’art. 1173 le obbligazioni


derivano “da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in
conformità dell’ordinamento giuridico” 7. Per “fonti dell’obbligazione” si intendono i
fatti giuridici da cui le obbligazioni derivano, e cioè i fatti concreti cui l’ordinamento ri-
collega gli effetti giuridici di vicende costitutive di rapporti obbligatori. Tali fatti rappre-
sentano i titoli (cioè le basi causali), che sorreggono e identificano i rapporti obbligato-
ri. Si è visto come una causalità complessa sia determinativa di effetti giuridici (VII, 4.2).
Il sistema delle fonti dell’obbligazione è organizzato intorno a tre classi. Le prime due
classi sono il contratto (artt. 1321 ss.) e il fatto illecito (artt. 2043 ss.) (cui saranno, rispet-
tivamente, dedicate le parti VIII e IX e la parte X): il primo fondato sulla volontà delle
parti e il secondo sulla prescrizione della legge. La terza classe è riferita a ogni altro atto
o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico (cui sarà dedicata la
parte XI): è una classe residuale rispetto alle prime due, avendo riguardo a tutti gli altri
atti o fatti non riconducibili al contratto e al fatto illecito. Sono obbligazioni ex lege, che

7
La formulazione riproduce sostanzialmente l’antica classificazione di Gaio: “Obligationes aut ex contrac-
tu nascuntur aut ex maleficio aut proprio quodam iure ex variis causarum figuris”.
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 665

non è possibile esaurire in fonti specificamente predeterminate da singole norme, sia per
l’ampia previsione di “ogni altro atto o fatto”, sia per il generale riferimento alla produ-
zione in “conformità dell’ordinamento giuridico”, che non si esaurisce nel richiamo ad
ipotesi previste dal codice civile o da specifiche leggi, ma coinvolge il funzionamento dei
principi generali dell’ordinamento, specie in funzione dei valori fondamentali di prove-
nienza costituzionale e europea. Le fonti legali indicate dal codice civile rappresentano
solo alcune specie tipiche di fonti di obbligazioni ex lege.
Si distingue tra fonti volontarie e fonti legali, a seconda che le obbligazioni traggano
origine dalla volontà degli interessati o siano imposte direttamente dalla legge. È bene
chiarire che ogni fatto consegue rilevanza giuridica per mezzo dell’ordinamento che vi
connette i relativi effetti: anche la fonte volontaria riceve forza e giuridicità dall’ordi-
namento che, valutandola positivamente, la riconosce e dunque la garantisce. È anche
possibile che, a un medesimo fatto, si connettano più obbligazioni (ad es. un contratto
produce obbligazioni in capo ad entrambe le parti). La dicotomia indicata ha riguardo
alla natura del fatto determinativo del vincolo obbligatorio, a seconda che sia di pro-
venienza volontario o di derivazione legale.
Le fonti volontarie sono riferite all’esplicazione dell’autonomia privata, vuoi attraver-
so negozi unilaterali (promesse unilaterali), vuoi (e specialmente) mediante contratti, in
quanto la volontà dei soggetti è rivolta alla costituzione di un rapporto obbligatorio (ri-
conosciuto dall’ordinamento).
Le fonti legali sono riferite alla legge, nel senso che l’obbligazione è ricollegata diret-
tamente alla legge, quand’anche sia connessa ad un fatto dei soggetti (c.d. debiti involon-
tari): ad es., chi ha ricevuto indebitamente un pagamento non dovuto è obbligato a resti-
tuirlo (artt. 2033 ss.); chi, senza giusta causa, si è arricchito a danno di una persona, è te-
nuto, nei limiti dell’arricchimento, ad indennizzarla della correlativa diminuzione patri-
moniale (art. 2041); in ragione di una specifica relazione (es. coniugio o filiazione) è im-
posto l’obbligo di prestare alimenti (art. 433); vi è poi il nutrito filone di obblighi di pro-
tezione che permea le relazioni sociali e le obbligazioni derivanti da qualificato contatto
sociale, in conformità del principio fondamentale di solidarietà. Tra le obbligazioni di
fonte legale rientrano poi quelle derivanti da fatto illecito (art. 2043), come sanzione del-
l’ordinamento di risarcimento del danno a carico dell’autore del danno.

A) CARATTERI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO


4. Struttura del rapporto e nozione integrale dell’obbligazione. – Le disposizioni
preliminari al libro delle obbligazioni (artt. 1173, 1174 e 1175), pur regolando solo alcu-
ni profili, consentono di delineare una nozione integrale dell’obbligazione.
L’obbligazione consiste in un vincolo giuridico tra due soggetti, in virtù del quale un
soggetto (c.d. debitore o soggetto passivo) è tenuto ad un determinato comportamento
(prestazione) verso un altro soggetto (c.d. creditore o soggetto attivo), per soddisfare un
interesse anche non patrimoniale di quest’ultimo.
I tratti fisionomici del rapporto obbligatorio sono soggetti, contenuto e oggetto: i
soggetti sono i titolari delle situazioni soggettive di credito e debito; il contenuto indica le
situazioni soggettive di credito e debito, con i poteri e doveri e doveri spettanti ai relativi
titolari; l’oggetto designa il bene e cioè l’utilità che il creditore persegue e il debitore deve
666 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

procurare. Altro tratto fisionomico, come ampiamente si vedrà, è la patrimonialità della


prestazione, nel senso che deve essere economicamente valutabile e corrispondere ad un
interesse anche non patrimoniale del creditore (art. 1174). La consuetudine di far cadere
l’accento definitorio sulla posizione passiva (obbligatoria) piuttosto che su quella attiva
(creditoria) si giustifica per la circostanza che il comportamento del debitore è essenziale
per il soddisfacimento del creditore: la realizzazione dell’interesse del creditore avviene
tramite il comportamento del debitore; perciò tuttora si tende a parlare di “obbligazione”.
La struttura del rapporto obbligatorio designa la correlazione tra le posizioni sogget-
tive di credito e debito, in relazione ad un oggetto. Il debitore è obbligato ad un compor-
tamento (prestazione) in favore del creditore, che ha diritto di pretendere il comportamen-
to (pretesa). La pretesa (credito) e la prestazione (debito) sono correlate in quanto la realiz-
zazione della pretesa del creditore avviene tramite l’esecuzione della prestazione del debi-
tore. L’oggetto di entrambe è un bene, quale fonte di utilità, che, rispettivamente, il cre-
ditore vuole conseguire e il debitore deve procurare: ad es., nell’obbligazione di pagare il
prezzo derivante da un contratto di vendita, sussiste la pretesa del venditore (creditore)
di conseguire il prezzo e l’obbligo di prestazione del compratore (debitore) di pagare il
prezzo, dove il prezzo è l’oggetto della obbligazione, che il venditore vuole conseguire e
il compratore deve corrispondere.
È questa la struttura base del rapporto obbligatorio che caratterizza la c.d. obbliga-
zione semplice, con un solo creditore e un solo debitore e la previsione di un’unica pre-
stazione, cui hanno riguardo le regole generali sull’obbligazione. Si vedrà in seguito co-
me sussistono più varianti rispetto ai soggetti, alla prestazione e al bene, integranti parti-
colari “specie di obbligazioni” (artt. 1277 ss.), con discipline specifiche intrecciate con la
disciplina generale (par. 11 ss.).
Un ruolo fondamentale assume il titolo dell’obbligazione, cioè la causa ovvero il
fondamento della stessa, che vale a fissare la fonte, ma anche a definire il contenuto del
rapporto. Un ordito patrimonialistico sotteso al codice civile fa sì che la patrimonialità del-
la prestazione sia considerata come sintomo generale di meritevolezza del rapporto obbli-
gatorio, salva la valutazione della sua incidenza in concreto. Al fondo c’è anche l’idea che
gli interessi di carattere non patrimoniale sono di regola indisponibili dai privati e perciò
neppure suscettibili di obbligazioni, per essere solo fonti di obblighi (ad es. gli obblighi di
fedeltà e collaborazione nel matrimonio, gli obblighi di istruire, educare e mantenere i fi-
gli): sono obblighi in senso stretto, la cui costituzione ed efficacia, oltre che la relativa viola-
zione, sono fissate dalla legge. Talvolta singoli rapporti, benché di carattere patrimoniale,
sono considerati solo nella dimensione morale e sociale, benché non ripetibili se eseguiti
(c.d. obbligazioni naturali (VII, 1.10).
La funzione del rapporto obbligatorio è nel procurare utilità ad un soggetto me-
diante la correlazione di situazioni soggettive di credito e debito. In assenza di adempi-
mento del debitore, il creditore ha diritto di soddisfare la pretesa anche con il consegui-
mento coattivo del bene sperato in assenza di adempimento del debitore (esecuzione
forzata), e correlativamente il debitore ha diritto di liberarsi dal vincolo con la messa a
disposizione del bene dovuto anche contro la volontà del creditore (mora del creditore).
Si è visto come sia un valore da tempo acquisito che non è possibile una costrizione fisica
del debitore (nemo cogi potest ad factum), con il corollario che, in ipotesi di inadempimen-
to, il creditore può solo soddisfarsi sul patrimonio del debitore: a fianco della posizione
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 667

passiva di debito, opera la responsabilità patrimoniale per l’inadempimento (art. 2740), con
possibile aggressione del patrimonio del debitore; si vedrà come il soddisfacimento del
credito può provenire anche da un terzo 8. Intorno a tali evenienze si svolge da tempo il
divario ricostruttivo dell’obbligazione tra “debito” e “responsabilità”, a seconda che sia
valorizzata la struttura del rapporto obbligatorio o la funzione dallo stesso assolta 9. Bi-
sogna accedere ad una nozione integrale dell’obbligazione, atteggiandosi struttura
e funzione del rapporto quali due componenti essenziali della medesima realtà sostanzia-
le: la costituzione del rapporto obbligatorio è rivolta alla realizzazione dell’interesse del
creditore tramite la cooperazione del debitore; la responsabilità patrimoniale del debito-
re è complementare alla struttura del rapporto obbligatorio, consentendo, in diverso
modo, l’attuazione dell’interesse perseguito dal creditore rimasto insoddisfatto.
Nella nozione integrale dell’obbligazione si appuntano quegli obblighi giuridici di com-
portamento, non suscettibili immediatamente di valutazione economica, ma complemen-
tari alla struttura del rapporto e che gravano sia sul debitore che sul creditore (art. 1175)
in quanto esplicazioni del generale dovere di solidarietà (art. 2 Cost.) (par. 9; anche II,
7.3; VII, 4.3).
Si è visto come i diritti di credito rientrano tra i diritti soggettivi (II, 3.2): specificamen-
te sono diritti relativi, qualificati da una pretesa verso il debitore ad una determinata
prestazione; e ciò sia quando il credito è rivolto al conseguimento di una cosa (es. paga-
mento del prezzo o consegna di una cosa) o di un servizio (es. trasporto), sia quando è
indirizzato all’utilizzazione di una cosa di proprietà altrui (es. locazione di un immobile),
perché in ogni caso l’utilità ottenuta da un soggetto (creditore) avviene tramite la coope-
razione di altro soggetto (debitore). Anche i c.d. diritti personali di godimento (es. posi-
zione del locatario, del comodatario) si articolano in un rapporto relativo: la peculiarità è
che il diritto di credito è realizzato direttamente dal creditore su un bene di proprietà del
debitore, il quale è però obbligato a far godere tale bene (esplicita menzione negli artt.
180, 320 e 380) 10.
Diversamente dai diritti reali che sono caratterizzati da immediatezza e assolutezza, nel
senso che sono realizzabili sulla cosa autonomamente dal titolare e possono essere fatti
valere verso tutti (difesi da una azione reale esperibile verso chiunque) (II, 3.5), i diritti di
credito sono caratterizzati da mediatezza e relatività, in quanto il credito è realizzabile solo
tramite la cooperazione di altro soggetto e può essere fatto valere solo nei confronti del
debitore (difesi da una azione personale esperibile verso il debitore).

8
Tradizionalmente si sono fronteggiate dottrine personalistiche dell’obbligazione che hanno valorizzato il
comportamento dovuto dal debitore e dottrine patrimonialistiche dell’obbligazione che hanno privilegiato il
bene dovuto dal debitore. Una nozione integrale dell’obbligazione tende a superare il divario e la separatezza
delle due prospettive reintegrando la struttura del rapporto (dimensione personale) nella funzione dallo stes-
so realizzata (dimensione patrimoniale).
9
Una tradizionale dottrina tedesca tesse la composizione nell’affermazione che non può esservi responsa-
bilità (Schuld) senza debito, né debito senza responsabilità (Haftung), configurando la rilevanza bifronte del-
l’obbligazione, come insieme di un profilo soggettivo personale (debito) e di un profilo oggettivo patrimonia-
le (responsabilità), operando il secondo profilo per l’inattuazione del primo.
10
I diritti personali di godimento su cosa altrui si distinguono dai diritti di uso che sono diritti reali (VI,
3.5). Il diritto reale d’uso è caratterizzato da fissità, in conformità al canone della tipicità dei diritti reali; il
diritto personale di godimento ha una multiforme possibilità di atteggiarsi in ragione del suo carattere obbli-
gatorio (Cass. 26-2-2008, n. 5034).
668 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Diverso profilo è quello della tutela esterna del credito, essendo i terzi tenuti al ri-
spetto del vincolo obbligatorio. I terzi che ostacolano l’adempimento o inducono all’ina-
dempimento o comunque determinano la mancata attuazione del rapporto obbligatorio,
ricorrendone i presupposti, rispondono per fatto illecito ex art. 2043 e sono tenuti a ri-
sarcire il danno per avere reso irrealizzabile la posizione creditoria (c.d. lesione del credi-
to da parte del terzo) (se ne parlerà nella responsabilità civile: X, 1.4).
Sono di seguito analizzati i soggetti, il contenuto e l’oggetto, nella generale ricostru-
zione, rinviandosi al seguito l’esame di specifici statuti di obbligazioni (par. 11 ss.).

5. Soggetti (l’ambulatorietà). – Per soggetti del rapporto obbligatorio si intendono i


titolari delle situazioni soggettive (correlate) di credito e debito. Titolare della situazione
attiva è il creditore; titolare della situazione passiva è il debitore: creditore e debitore in-
dicano i termini tra i quali corre il rapporto obbligatorio. Creditore e debitore, talvolta,
sono anche autori del titolo da cui deriva l’obbligazione, come è tipicamente per le ob-
bligazioni che derivano da fonti volontari (es. le obbligazioni derivanti da contratto); ta-
laltra, sono solo titolari delle situazioni soggettive correlate ma non autori del titolo, per
derivare l’obbligazione dalla legge (es. l’obbligazione di risarcimento di danni derivante
da fatto illecito). Alla morte del debitore, il debito passa agli eredi, ed i coeredi sono te-
nuti in proporzione della quota ereditaria, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto
(art. 752) 11.
I soggetti, quali titolari delle posizioni correlate, esprimono due distinti centri di inte-
ressi. Più spesso la titolarità della situazione, attiva o passiva, è formata da una sola perso-
na; sono però frequenti le ipotesi di una titolarità di situazione (attiva o passiva) composta
da più persone, le quali assumono la veste di contitolari della medesima posizione credito-
ria o debitoria: nella prima direzione, si pensi ai comproprietari di un immobile che dan-
no in locazione l’immobile stesso, così divenendo concreditori del pagamento del canone;
nella seconda direzione, si pensi ai coniugi che prendono in locazione l’immobile destina-
to ad abitazione familiare, così divenendo condebitori del pagamento del canone. Sono le
obbligazioni plurisoggettive, del cui funzionamento si parlerà in seguito (VII, 1.12). Nel-
l’ipotesi in cui creditore o debitore sia un ente formato da una pluralità di soggetti (es. as-
sociazione o società), nei rapporti esterni l’ente integra un solo centro di interessi (c.d.
parte) e quindi un titolare unico della situazione soggettiva.
Quando le qualità di creditore e debitore si riuniscono nello stesso soggetto, di regola
e naturalmente, l’obbligazione si estingue per confusione (art. 1253) (VII, 3.11). Sono
eccezionali le ipotesi in cui entrambe le situazioni (attiva e passiva) continuano a rilevare
giuridicamente in capo allo stesso soggetto. È la discussa figura del c.d. rapporto giu-
ridico unisoggettivo, come referente di entrambe le posizioni soggettive che conser-
vano autonomo rilievo. Sono meccanismi tecnici ai quali ricorre l’ordinamento in specifi-
che ipotesi, per realizzare la tutela di esigenze economiche considerate rilevanti 12.

11
Quando ad un erede è attribuito un immobile ipotecato, lo stesso è tenuto ipotecariamente per l’intero,
ma può ripetere dagli altri coeredi la parte per cui essi devono contribuire ex art. 752, quantunque si sia fatto
surrogare nei diritti dei creditori (art. 754).
12
Ad es., l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, che conserva, in modo distinto, in capo al-
l’erede tutti i diritti e gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 669

Proprio in quanto l’assunzione dell’obbligazione è funzionale al conseguimento di


una utilità da parte del creditore, i soggetti del rapporto devono essere determinati o de-
terminabili. Se i soggetti non sono indicati, devono almeno risultare nel titolo i criteri di
determinazione degli stessi. Si pensi alla promessa al pubblico, in cui un soggetto (debito-
re) promette una prestazione in favore di chi si trovi in una determinata situazione o
compia una determinata azione: il debitore è vincolato dalla promessa resa pubblica, an-
che se il creditore sarà noto solo successivamente (art. 1989) (per il funzionamento della
stessa: XI, 1.3).
Rispetto alle obbligazioni a soggetto determinabile una fisionomia peculiare assume
l’obbligazione ambulatoria, per essere la posizione creditoria o debitoria mutabile e
rilevare solo all’atto dell’adempimento dell’obbligazione.
Con riguardo alla posizione attiva (creditoria), rileva tipicamente la circolazione dei ti-
toli di credito per potere mutare la posizione del soggetto creditore con il trasferimento del
titolo (artt. 1994, 2003, 2008, 2021).
Con riguardo alla posizione passiva (debitoria), rilevano tipicamente le c.d. obbliga-
zioni reali o propter rem, per determinarsi la individuazione del debitore con la titolarità
di un diritto reale. L’acquisto del diritto reale comporta l’assunzione di obbligazioni ac-
cessorie che rendono possibile e/o agevolano l’esercizio del diritto reale. La rinunzia al
diritto reale è il mezzo per liberarsi dalla obbligazione, limitatamente alle prestazioni non
ancora maturate (c.d. abbandono liberatorio): ad es. ciascun partecipante alla comunione
deve contribuire alle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa
comune, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto (art. 1104); la legge o
il titolo possono imporre al proprietario del fondo servente prestazioni accessorie per
l’uso o la conservazione della servitù da parte del titolare del fondo dominante (art. 1030),
con la possibilità di liberarsene rinunziando alla proprietà del fondo servente a favore
del proprietario del fondo dominante (art. 1070); il comproprietario di un muro comune
può esimersi dall’obbligo di contribuire nelle spese di riparazione e ricostruzione, rinun-
ziando al diritto di comunione, purché il muro comune non sostenga un edificio di sua
spettanza (art. 8822).
La obbligazione reale è un rapporto personale ed obbligatorio. Il collegamento
con il diritto reale è solo il mezzo di individuazione del soggetto debitore. Pertanto il
debitore risponde con l’intero suo patrimonio per l’inadempimento delle obbligazio-
ni maturate con la titolarità del diritto reale. Per i caratteri di permanenza e di corre-
lazione con i diritti reali, si è pensato ad una tipicità delle obbligazioni reali 13; si ten-
de però a superare tale principio di tassatività 14.

morte (art. 490, n. 1) (XII, 1.7); il sistema di preservare l’autonomia del patrimonio ereditario giova, sia
all’attività degli eredi per evitare la responsabilità ultravires, sia al credito, ricevendo i creditori del defunto la
preferenza sul patrimonio ereditario. Altra ipotesi è il contratto con se stesso, consentendosi, in alcune ipote-
si, al rappresentante di concludere un contratto in proprio e per conto di altra persona (art. 1395) (VIII, 8.5):
il meccanismo favorisce operazioni economiche a beneficio del rappresentante e del rappresentato.
13
Ancora Cass. 15-10-2018, n. 25673: Le obbligazioni “propter rem”, al pari dei diritti reali dei quali sono
estrinsecazione, sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per
contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge.
14
Per Cass. 6-3-2003, n. 3341, al principio di tipicità risultano vincolati i soli diritti reali, e non anche le
c.d. obbligazioni “propter rem”.
670 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Diversamente operano gli oneri reali, per i quali le prestazioni dovute dal soggetto
che utilizza il bene integrano il contenuto del diritto reale di altro soggetto 15. Il compor-
tamento del soggetto obbligato realizza e dunque esaurisce il diritto reale; perciò il sog-
getto che utilizza il bene risponde verso il proprietario anche per le prestazioni dovute
dai soggetti che hanno in precedenza utilizzato il bene, nel limite del valore della cosa
(VI, 3.10).

6. Contenuto. La pretesa. – Il contenuto del rapporto obbligatorio coinvolge en-


trambe le posizioni soggettive e va dunque delineato con riguardo ad ognuna delle due
(attiva e passiva).
Contenuto della posizione soggettiva attiva (creditoria) è la pretesa alla prestazione di
un bene, cui si connette il corrispondente obbligo del debitore di procurarlo 16.
L’art. 1174 richiede che la prestazione deve “corrispondere a un interesse anche non
patrimoniale del creditore”. È dunque fondamentale che la pretesa sia sorretta da un in-
teresse del creditore, anche di carattere non economico: il ricorso di un interesse
giuridicamente meritevole di tutela giustifica la pretesa del creditore e ad un tempo il
vincolo di comportamento assunto dal debitore. Si è progressivamente accresciuta l’area
delle obbligazioni che mirano a realizzare interessi non patrimoniali del creditore, coe-
rentemente con l’ampliarsi della rilevanza giuridica delle dimensioni esistenziali della per-
sona umana: si pensi all’interesse ad ascoltare un concerto, a visitare un museo, ad assi-
stere ad un evento sportivo; in tali ipotesi l’interesse che persegue il creditore è certa-
mente di natura non patrimoniale (di carattere culturale, artistico, sportivo), mentre la
prestazione dovuta dal debitore che organizza la specifica manifestazione ha una rilevan-
za economica, per implicare dei costi per il debitore, remunerati con il prezzo di ingresso.
Di regola l’interesse del creditore e dunque la pretesa sono soddisfatti attraverso l’at-
tuazione del contenuto dell’obbligo da parte del debitore (c.d. adempimento); però sono
frequenti i casi in cui l’interesse del creditore è soddisfatto in modi diversi (es. con l’a-
dempimento del terzo o mediante la procedura esecutiva). Si vedrà in seguito come, a
fronte del comportamento del creditore che non si riceve la prestazione (perché non più
interessato o per altre ragioni), può sussistere un interesse del debitore ad eseguire la pre-
stazione e non solo ad essere liberato dal vincolo obbligatorio: c’è dunque da verificare
la rilevanza giuridica e la tutela di un tale interesse del debitore (VII, 3.7).

7. Segue. La prestazione. – Contenuto della posizione soggettiva passiva (debitoria)


è la prestazione di un bene al creditore. La prestazione è il comportamento dovuto dal de-
bitore per procurare al creditore una determinata utilità: la sua esatta esecuzione impor-
ta adempimento dell’obbligazione in quanto realizza l’interesse del creditore, facendogli
conseguire il bene perseguito, anche ricorrendo all’ausilio di terzi (art. 1228).

15
Rilevanti in passato erano ad es. decime e livelli; ma oggi, per il principio di tassatività dei diritti reali,
non è consentito ai privati costituire oneri reali, pertanto l’istituto è caduto in disuso (VI, 3.10). Un esempio
recente di onere reale di fonte legale è quello previsto dall’art. 253 D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 (cod. ambiente)
costituito, unitamente al privilegio speciale, sui siti contaminati.
16
Per il § 241 BGB, in forza del rapporto obbligatorio, “il creditore è legittimato ad esigere una presta-
zione dal debitore”; la prestazione può anche consistere in una omissione. Ma evidentemente l’esazione è ri-
ferita alla prestazione in funzione del risultato che la stessa procura al creditore.
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 671

A fronte dell’obbligo di prestare del debitore si svolge l’actio in personam del credito-
re, diretta nei confronti del soggetto passivo del rapporto obbligatorio per conseguire il
bene dovuto dal debitore. Si distingue dall’actio in rem esperibile dal titolare del diritto
reale erga omnes, ossia contro chiunque la possieda o detenga 17.
Di seguito sono fissati i requisiti della prestazione e sono delineate le tipologie di ob-
bligazioni in ragione dell’attività dovuta dal debitore e della modalità di esecuzione della
stessa.
a) Requisiti. Per l’art. 1174 la prestazione deve essere “suscettibile di valutazione eco-
nomica” e deve corrispondere a “un interesse anche non patrimoniale del creditore”.
1) La suscettibilità di valutazione economica ha portato a delineare il “carattere patri-
moniale della prestazione”, come testualmente indica la rubrica dell’art. 1174. In tal senso
la patrimonialità della prestazione vale a caratterizzare l’obbligazione all’interno della ge-
nerale categoria degli obblighi giuridici.
La patrimonialità è stata tradizionalmente valutata in due accezioni: una di carattere
oggettivo, che ha riguardo alla essenza della prestazione in sé considerata; una di carattere
soggettivo, che è riferita alla valutazione compiuta dai soggetti coinvolti 18. È da ritenere
che siano utilizzabili entrambe le accezioni: la patrimonialità può derivare, sia dalla rile-
vanza in sé della prestazione nel contesto sociale in cui l’obbligazione è assunta 19 (es., con-
segna di una merce) sia dalla considerazione che ne fanno i soggetti del singolo rapporto
obbligatorio (es. consegna di una foto di famiglia); anche una prestazione oggettivamen-
te non patrimoniale è suscettibile di valutazione economica quando è previsto dalle parti
un prezzo per l’esecuzione della stessa o è stabilita una penale per il suo inadempimento,
sempre che non siano coinvolti interessi indisponibili 20.

17
L’azione personale di restituzione è destinata a ottenere l’adempimento dell’obbligazione di restituzione
di un bene in precedenza trasmesso dall’attore al convenuto in forza di negozi giuridici (tipicamente locazio-
ne, comodato e deposito) che non presuppongono nel tradens la qualità di proprietario; diversa è l’azione rea-
le di rivendicazione, con la quale il proprietario chiede la condanna di chi dispone del bene al rilascio o alla
consegna nell’assenza di ogni titolo, per il cui accoglimento è necessaria la probatio diabolica della titolarità
del diritto di chi agisce (Cass. 6-12-2021, n. 38642).
18
Le due accezioni hanno tradizionalmente integrato due distinti indirizzi: uno oggettivo, che riconduce la
patrimonialità al fatto che, in un determinato ambiente giuridico-sociale, i consociati sono disposti ad un sa-
crificio economico per godere i vantaggi di una determinata prestazione; uno soggettivo, che riferisce il valore
economico al libero apprezzamento delle parti. Secondo la Relaz. cod. civ., n. 557, la suscettibilità di valuta-
zione economica può derivare anche di riflesso dalla natura della controprestazione ovvero da una valutazio-
ne fatta dalle parti, come nel caso in cui si conviene una clausola penale; la patrimonialità è richiesta perché
altrimenti non si potrebbe attuare la coazione giuridica in caso di inadempimento.
19
Il problema si è posto, ad es., in tema di sponsorizzazione. Con tale contratto un soggetto, detto sponso-
rizzato, si obbliga dietro corrispettivo a consentire ad altro soggetto, detto sponsor, l’uso della propria immagine
pubblica e del proprio nome per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato: si è ritenuto
che l’oggetto dell’obbligazione assunta dallo sponsorizzato ha carattere patrimoniale perché nel costume sociale
si è affermato il fenomeno della commercializzazione del nome e dell’immagine personale (Cass. 29-5-2006, n.
12801; Cass. 11-10-1997, n. 9880).
20
Si è ad es. stabilito che, nel caso in cui la messa in suffragio dell’anima di un defunto sia celebrata dal par-
roco in ora diversa da quella richiesta dal fedele, il richiedente, ottenuta la restituzione della somma offerta per il
rito e non provato un danno patrimoniale ulteriore, non ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale
(Cass. 27-3-2007, n. 7449). Non è dunque posto in dubbio il carattere obbligatorio del vincolo assunto: è però
dubbio che una pratica di culto possa integrare un interesse disponibile e mercificabile, dovendosi piuttosto con-
siderare la somma corrisposta dal fedele come una offerta e non come una controprestazione.
672 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

L’obbligazione può essere assunta anche a titolo gratuito, cioè senza un compenso o
una qualunque controprestazione, purché la prestazione dovuta abbia i requisiti previsti
dall’art. 1174. In tal caso, proprio per l’assenza di una remunerazione per l’attività svol-
ta, la responsabilità del debitore è di regola valutata con “minore rigore”: ad es., in ma-
teria di mandato (art. 17101). Diversa natura hanno i doveri morali o sociali (c.d. obbliga-
zioni naturali), che non sono coercibili giuridicamente, ma che non sono ripetibili se
spontaneamente adempiuti (art. 2034) (vedi par. 10).
I c.d. obblighi giuridici di protezione, quando afferiscono a rapporti contrattuali (ti-
picamente di carattere patrimoniale), mutuano da tali rapporti la propria connotazione:
incidendo su posizioni contrattuali di carattere patrimoniale, si atteggiano come obbliga-
zioni ex art. 1173 (VII, 1.1).
2) La corrispondenza a un interesse anche non patrimoniale del creditore implica che
la prestazione deve essere sorretta da un interesse del creditore. Se ne è parlato trattando
della pretesa (par. 6).
3) Un ulteriore requisito emerge dal sistema. Come si è anticipato, deriva dall’ordina-
mento un carattere di temporaneità del vincolo obbligatorio e dunque della prestazio-
ne, non potendosi considerare un soggetto indefinitamente obbligato. Tanto si ricava
specialmente dalla disciplina della rendita perpetua che prevede comunque la redimibili-
tà (e cioè il riscatto) della rendita a volontà del debitore, nonostante ogni convenzione
contraria (art. 1865) (IX, 5.1).
4) La connessione della prestazione con la fonte da cui più diffusamente deriva, cioè
il contratto, induce a mutuare dai requisiti dell’oggetto del contratto (art. 1346) ulteriori
requisiti della prestazione, che, pertanto, deve essere possibile, lecita, determinata
o determinabile, secondo i requisiti propri dell’oggetto del contratto (VIII, 3.3).
b) Attività. Delinea il comportamento dovuto dal debitore. La prestazione può essere
semplice o complessa a seconda che si svolga con un unico comportamento del debitore
oppure implichi una pluralità di comportamenti, tenuti tutti personalmente dal debitore
o dei quali egli è centro di imputazione e responsabile (es. la responsabilità dell’orga-
nizzatore di pacchetti turistici o di trasporti combinati). Si delineano tipicamente tre tipi
di prestazione (dare, consegnare e fare) 21, cui si aggiunge quella di prestare garanzia.
1) La prestazione di dare, in senso stretto, consiste nel trasferimento di un diritto: ta-
le è ad es. l’attività del mandatario che ha acquistato un bene immobile per conto del
compratore ed è obbligato a ritrasferirlo al mandante (art. 17062) 22. Tale prestazione pro-
pone il problema della raffigurazione dell’adempimento traslativo (VII, 3.2).
2) La prestazione di consegnare consiste nel procurare al creditore la disponibilità
materiale della cosa (possesso o detenzione) (es. l’obbligazione del venditore di conse-
gnare al compratore il bene venduto: art. 1476, n. 1). Strumentale alla obbligazione di
consegnare una cosa determinata è quella di custodirla fino alla consegna (artt. 1177,
1477). Una specificazione dell’obbligazione di consegnare è l’obbligazione di restituire la

21
Fondamentale è la distinzione riportata da Giustiniano dei singoli tipi di obbligazioni: “Obligationum
substantia in eo consistit ut alium nobis adstringat ad dandum, vel faciendum, vel prestandum”.
22
Non può considerarsi prestazione di dare ma solo di fare quella del venditore di fare acquistare la pro-
prietà o altro diritto al compratore quando l’acquisto non è effetto immediato del contratto (art. 1476, n. 2): il
venditore è solo obbligato a porre in essere un comportamento (es. individuazione nella vendita di genere)
perché si produca il trasferimento del diritto in virtù dell’unico consenso traslativo espresso (VIII, 6.6).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 673

cosa consegnata (es. l’obbligazione del depositario di restituire la cosa ricevuta in deposi-
to: art. 1766).
3) La prestazione di fare consiste nel realizzare un fatto quale risultato dell’attività
materiale o giuridica dovuta (ad es. l’obbligazione di trasportare del vettore consente al
passeggero di trovarsi in luogo diverso da quello di partenza: art. 1678; l’obbligazione di
compiere un’opera da parte dell’appaltatore realizza l’opera voluta dal committente: art.
1655).
In senso tecnico, nel concetto di fare rientra anche il non fare (c.d. obbligazione nega-
tiva), nel senso che il debitore è obbligato a non compiere un determinato comporta-
mento. È un rapporto obbligatorio con contenuto una prestazione ad oggetto omissivo
(prestazione negativa): il fatto dell’astensione realizza l’interesse del creditore (ad es.,
obbligazione di non alienare ex art. 1379; obbligazione di non fare concorrenza ex art.
2596). Il compimento dell’attività vietata comporta inadempimento dell’obbligazione
(art. 1222).
4) Una particolare fisionomia assume la obbligazione di garanzia, con la quale il
debitore assume la obbligazione di procurare una (certa) sicurezza nella realizzazione del
credito. Tendenzialmente è un’obbligazione accessoria a quella relativa al debito garanti-
to: la intensità della sicurezza procurata è in ragione della natura della garanzia assunta e
della correlazione con il debito garantito. Quando qualcuno è tenuto a dare una garanzia
senza che ne siano determinati il modo e la forma (cioè il contenuto della prestazione di
garanzia), il debitore può prestare a sua scelta un’idonea garanzia reale o personale, ov-
vero altra sufficiente cautela (art. 1179).
c) Esecuzione. Delinea lo svolgimento dell’attività. Rinviando al seguito le modalità
di adempimento dell’obbligazione (VII, 3.4), rispetto al tempo di svolgimento dell’at-
tività si distinguono una obbligazione istantanea e una obbligazione di durata. È una ti-
pologia destinata ad incrociarsi con quella precedente per riguardare differenti prospet-
tive di osservazione.
1) L’obbligazione istantanea si caratterizza per la unitarietà del comportamento
programmato (e dovuto), in funzione della realizzazione di un interesse unitario del
creditore (es. vendita di un bene). Anche se la prestazione è frazionata nel tempo, i sin-
goli atti concorrono all’attuazione di un interesse unico ed unitario (es. costruzione di
un edificio).
2) L’obbligazione di durata mira a soddisfare un interesse duraturo del creditore. Il
protrarsi nel tempo della prestazione mira ad attuare un interesse del creditore che, per
sua natura, si svolge e si realizza nel tempo. A sua volta, l’obbligazione di durata può es-
sere ad esecuzione continuata o periodica, a seconda che la prestazione perduri continua-
tivamente nel tempo (ad es. l’obbligazione del locatore di far godere il bene locato), o sia
eseguita ad intervalli di tempo (ad es. il canone di locazione da pagare mensilmente dal
locatario). Talvolta lo stesso contratto può comportare prestazioni periodiche e/o conti-
nuate (es. la somministrazione). Lo sviluppo di una economia dei servizi sta accrescendo
le prestazioni di durata, appunto destinate a svolgersi nel tempo.
La distinzione tra obbligazione istantanea e di durata rileva, anzitutto, per la verifica
dell’adempimento, che è correlata all’attuazione dell’interesse del creditore; di riflesso
rileva per la decorrenza del termine di prescrizione del diritto di credito, che nell’ob-
bligazione istantanea decorre dalla data di scadenza dell’obbligazione, nella obbligazione
674 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

di durata dalla data di cessazione della prestazione o di scadenza delle singole prestazio-
ni dovute. Altri riflessi sono in sede di risoluzione del contratto e di recesso, i cui effetti,
nelle prestazioni di durata, non si estendono alle prestazioni già eseguite (artt. 1458 e
1373) (VIII, 7.2).
3) La prestazione può essere immediata o differita a seconda che avvenga imme-
diatamente alla nascita del rapporto ovvero sia differita nel tempo (ad es. il pagamento
di un prezzo può avvenire all’atto della stipula del contratto o successivamente).

8. Oggetto. – Il codice civile qualifica come oggetto dell’obbligazione la prestazione


(in tal senso espressamente l’art. 1174). Proprio per la derivazione normativa è una indi-
cazione diffusamente impiegata nei rapporti economici. È da ritenere che tale raffigura-
zione si leghi al tradizionale indirizzo (sopra indicato) che collegava alla persona del de-
bitore il diritto del creditore: dapprima considerandosi lo stesso debitore come oggetto
del diritto di credito (il debitore obligatus del diritto romano); successivamente incentran-
dosi sul comportamento del debitore e perciò sulla prestazione l’oggetto del diritto del
creditore. In realtà l’interesse e dunque il diritto del creditore è verso il debitore per con-
seguire un determinato bene e cioè una specifica utilità (ad es. l’art. 1224 parla senz’altro
di obbligazioni che hanno ad oggetto somme di danaro). Del resto anche quella impo-
stazione che, sulla scorta della lettera della legge, considera oggetto dell’obbligazione la
prestazione, non manca di chiarire che, a sua volta, il bene è oggetto della prestazione: in
tal modo il bene diventa, comunque, riferimento oggettivo della obbligazione. La prete-
sa alla prestazione è in funzione del conseguimento di una determinata utilità 23, come si
evince dalla possibilità di adempimento del terzo e dal fatto che il creditore può realizza-
re coattivamente il credito per via giudiziaria, con il conseguimento dell’utilità senza la
prestazione del debitore.
In sostanza oggetto dell’obbligazione è il bene quale fonte utilità, che il debitore deve
procurare e il creditore ha diritto di conseguire. Il bene delinea l’entità (cosa, servizio o
altra entità) da prestare al creditore per procurare l’utilità perseguita.
La portata della utilità, da un lato, non va ristretta alla categoria delle cose, essen-
do anzi in via di espansione una economia dei servizi che sta progressivamente sovra-
stando l’economia delle cose (basta pensare ai tanti servizi procurati dalle nuove tec-
nologie); dall’altro, non va neppure ritagliata sull’interesse patrimoniale del creditore,
emergendo anzi una variegata tipologia di interessi esistenziali la cui soddisfazione ri-
chiede il comportamento altrui (si è detto dei molteplici versanti in cui oggi si esprime
la dimensione esistenziale del soggetto). Le caratteristiche del bene connotano specifi-
che tipologie di obbligazioni. In tale generale contesto operano vari tipi di obbligazioni
in ragione di specifici criteri di osservazione del bene dovuto e dell’utilità da procurare,
con ricadute sulla disciplina dell’obbligazione.

23
L’utilità procurata dall’obbligazione si atteggia diversamente dalla utilità realizzata dalla servitù, che
può costituirsi anche con l’apposizione di un termine finale (servitù temporanea). Requisito essenziale del
diritto di servitù è l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilità, ovvero per la maggiore como-
dità o amenità, di un altro fondo (dominante) in una relazione di asservimento del primo al secondo che si
configura come una “qualitas fundi”; mentre si versa nell’ipotesi dell’obbligo personale quando il diritto attri-
buito è stato previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo sen-
za alcuna funzione di utilità fondiaria (Cass. 29-8-1998, n. 8611; Cass. 29-8-1991, n. 9232).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 675

a) Sulla spinta dell’ordinamento europeo, è emersa una fondamentale dicotomia in


ragione della destinazione del bene, distinguendosi tra beni di consumo e beni pro-
duttivi, a seconda che il bene dovuto dal debitore sia o meno destinato a soddisfare
consumi personali o familiari del creditore, oppure sia connesso all’esplicazione della sua
attività economica, emergendo le figure qualificate di “consumatore” e “professionista”.
Si vedrà come, in ragione di tale distinzione, operano discipline differenziate della sop-
portazione dei rischi, delle modalità di consegna e della tutela riservata al creditore.
b) Una ulteriore dicotomia opera in ragione della determinazione del bene, distin-
guendosi tra obbligazioni di specie e obbligazioni di genere. È ob b ligazione d i specie
quella rivolta a procurare una cosa determinata nella sua individualità (es. lo specifico
immobile, il particolare quadro); è obbligazione d i genere (o generica) quella rivolta
a procurare una cosa determinata solo per l’appartenenza a un genere (es. un computer,
un televisore, ecc.): in tal caso il debitore deve prestare cose di qualità non inferiore alla
media (art. 1178). Nella moderna produzione di massa, caratterizzata dal commercio di
beni seriali, la fornitura di beni di genere ha acquisito un’importanza economica di gran
lunga prevalente rispetto alla fornitura di cose di specie. Con la specificazione (indivi-
duazione) la cosa generica diventa di specie. A seconda della specificità o meno del bene
dovuto consegue un regime differenziato della vicenda traslativa del diritto e della ripar-
tizione dei rischi per perdita o deterioramento (VIII, 6.7).
c) Con riguardo alla natura del bene, si articola la dicotomia tra obbligazione fungi-
bile e infungibile. Si vedrà come la distinzione tra beni fungibili e infungibili ha ri-
guardo alla sostituibilità dei beni (II, 2.3). Si ha obbligazione fungib ile se è indiffe-
rente la identità del debitore (es. il pagamento di una somma di denaro, che può essere
eseguita da un terzo in ragione della sostituibilità del bene). Si ha obbligazione in-
fungib ile se rileva la identità del debitore (es. prestazione artistica o professionale; è
una pratica diffusa nei contratti di scritturazione teatrale inserire i c.d. “artisti d’obbli-
go” che non possono essere sostituiti.
d) Resiste una tradizionale dicotomia in ragione dello scopo da realizzare, distinguen-
dosi tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato. Nelle ob bligazioni di mezzi
il debitore si obbliga a prestare la propria attività per il raggiungimento dell’esito deside-
rato dal creditore, restando il conseguimento dello stesso estraneo all’impegno debitorio
(es. il medico si obbliga alla diagnosi e/o alla cura, non alla guarigione; l’avvocato si ob-
bliga alla difesa, non alla vittoria della causa); nelle obbligazioni di risultato il debi-
tore è tenuto a realizzare proprio lo scopo promesso (es. l’appaltatore si obbliga alla co-
struzione di un edificio). La distinzione, maturata con riguardo alle obbligazioni di fare,
per ricostruire la connessione del bene dovuto con l’utilità procurata 24, ha perduto la
sua tradizionale incidenza per la considerazione che ogni obbligazione ha un oggetto in
quanto è destinata a procurare una utilità al creditore, quale risultato della prestazione

24
La formula “obbligazioni di mezzi”, impiegata per rappresentare alcune obbligazioni di fare (specie di
liberi professionisti) nelle quali il debitore sarebbe tenuto a un comportamento e non anche ad un risultato,
in realtà (come si vedrà trattando del contratto di opera professionale IX, 2.5) travisa l’oggetto dell’obbliga-
zione, confondendolo con l’aspirazione emozionale del creditore. Quand’anche i risultati sperati dal creditore
non si realizzino, il professionista ha comunque diritto al compenso per avere procurato il risultato promesso;
la verifica della esattezza della prestazione del professionista tiene conto della diligenza professionale nella
esecuzione della prestazione dovuta).
676 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

compiuta; perciò la distinzione tende oggi a incontrare riserve anche nella giurispruden-
za 25 ed ha effettivamente acquisito una nuova valenza.
La dicotomia richiamata assume il significato convenzionale di indicare due fonda-
mentali criteri di valutazione del comportamento del debitore, indicando lo sforzo ri-
chiesto al debitore per l’esecuzione della prestazione dovuta. Nella c.d. obbligazione di
mezzi il debitore è tenuto a procurare il risultato dovuto agendo con il grado di dili-
genza del buon padre di famiglia o professionale a seconda della natura dell’attività
svolta (art. 1176). Nella c.d. obbligazione di risultato il debitore è tenuto a procurare il
risultato dovuto rimanendo esonerato da responsabilità solo provando il caso fortuito
o la forza maggiore: es. l’obbligazione dell’organizzatore di pacchetti turistici ex art. 96
cod. cons., che la stessa giurisprudenza considera quale “obbligazione di risultato”
(IX, 2.12). Oltre tali limiti si integra una responsabilità oggettiva rispetto al risultato
dovuto, che deve essere espressamente prevista dall’ordinamento in deroga alla norma
generale dell’art. 1218, che consente la prova della impossibilità liberatoria oppure es-
sere espressamente pattuita tra le parti, come quando il risultato ovvero l’obiettivo
perseguito dal creditore rientri nel regolamento contrattuale 26. Peraltro, anche in tale
diversa accezione, interferiscono i singoli criteri di verifica dell’adempimento previsti
dalla legge in funzione della specificità degli interessi coinvolti. (VII, 4.3).

9. Dovere di correttezza (lealtà, protezione e esigibilità). – Per l’art. 1175 il debi-


tore e il creditore “devono comportarsi secondo le regole della correttezza”. Per essere il
dovere di correttezza previsto in via generale, è indifferente la fonte (negoziale o legale)
dell’obbligazione: il dovere di correttezza pervade sia l’esercizio della pretesa che l’at-
tuazione dell’obbligo.
La previsione dell’art. 1175 trova significativi riscontri ordinamentali, quali specifi-
camente gli artt. 1206, 1337, 1358, 1366, 1375 (II, 7.4). Si è visto come i doveri di corret-
tezza e buona fede sono ormai ricondotti al generale dovere di solidarietà (art. 2
Cost.) quale clausola generale dell’ordinamento, che, ad un tempo, specifica singole pre-
visioni normative e consente la soluzione di casi concreti non espressamente regolati (II,
7.5). Si è visto anche come, rispetto ad ogni rapporto giuridico, sono connessi obblighi
giuridici che si articolano in un comportamento solidale di buona fede relazionale e di pro-
tezione reciproca, nel limite di un ragionevole sacrificio proprio, da delineare volta a volta
in relazione allo specifico rapporto instaurato (VII, 1.1). Il dovere di correttezza, come
clausola generale di buona fede, opera quale limite interno di ogni situazione giuridica e
così anche nel rapporto obbligatorio in capo al debitore e al creditore 27.

25
Per Cass. 13-4-2007, n. 8826, va superata la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, perché
priva di argomenti sostanziali. Anche le sezioni unite sono ormai in questa direzione, affermando che “un
risultato è dovuto in tutte le prestazioni” (Cass., sez. un., 11-1-2008, n. 577). Di “discussa dicotomia” già par-
lavano Cass. 8-8-1985, n. 4394; Cass. 6-2-1998, n. 1286.
26
Qualora il rapporto contrattuale tra committente e professionista preveda una precisa individuazione di
obiettivi da raggiungere, rendendo strumentale l’obbligazione di questi al conseguimento di un determinato
risultato, il suo mancato conseguimento costituisce inadempimento (Cass. 22-7-2016, n. 15107).
27
Il “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ex art. 1173 c.c., e
dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c., bensì reciproci
obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c., opera anche, nella
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 677

a) Anzitutto grava, sia sul creditore che sul debitore, il dovere di lealtà, con i con-
nessi doveri di informazione e trasparenza. La trasgressione di tale dovere è integrata sia
con la rappresentazione di una realtà non veritiera che con la reticenza rispetto a fatti
rilevanti conosciuti e non comunicati all’altro soggetto.
b) Grava, inoltre, il dovere di protezione reciproca: sia il creditore che il debitore
sono tenuti a preservare l’interesse altrui nei limiti in cui non comporti un apprezzabile sa-
crificio dell’interesse proprio, secondo un criterio di reciprocità; entrambi i soggetti del
rapporto obbligatorio sono tenuti ad un dovere di informazione e trasparenza, che è pre-
sidio di consapevolezza delle scelte compiute. La clausola generale si specifica, per il de-
bitore, nell’osservanza di obblighi accessori o strumentali alla esecuzione della prestazione
dovuta; per il creditore, nell’obbligo di non aggravare la posizione debitoria, consentendo
e agevolando l’esecuzione della prestazione, così evitando abuso del diritto (II, 3.4). Alla
stregua di tali criteri, la giurisprudenza, ad es., ha considerato un abuso del diritto
l’artificioso frazionamento del credito nell’esazione giudiziale dell’adempimento, sia per
ammontare 28 che per causali del credito 29. Poiché l’obbligo di solidarietà è imposto per
legge, assume la forza giuridica di autonomo obbligo di legge: la sua violazione integra
lesione di un autonomo interesse protetto ed è dunque causa di responsabilità da ina-
dempimento, con conseguente obbligo di risarcimento del danno.
Si è visto come, rispetto a tutti tali obblighi, è emersa l’elaborazione di una obbliga-
zione senza prestazione, che si caratterizza per l’obbligo di protezione che grava su ciascu-
no dei soggetti del rapporto giuridico; ciascun soggetto del rapporto è anche obbligato a
tenere un comportamento conforme all’affidamento suscitato nell’altro soggetto del rap-
porto 30. L’obbligo non è liberamente assunto dal debitore ma deriva dalla legge come

materia contrattuale, in relazione a quegli aspetti che non attengono alla esecuzione della prestazione princi-
pale, ma ad interessi ulteriori, che insorgono, anche al di fuori di uno specifico vincolo contrattuale, tutte le
volte in cui le parti instaurino una “relazione qualificata” e cioè agiscano di concerto in vista del consegui-
mento di uno scopo (Cass. 13-10-2017, n. 24071).
28
Il creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio,
non può frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo,
in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione si pone in contrasto sia con il principio di correttezza
e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti durante l’esecuzione del contratto e nella eventuale
fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, tra-
ducendosi in un abuso degli strumenti processuali offerti alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo inte-
resse sostanziale (Cass., sez. un., 15-11-2007, n. 23726; Cass. 27-1-2010, n. 1706). La violazione del divieto, co-
stituendo una statuizione su una questione processuale, dà luogo ad un giudicato meramente formale e, come
tale, ha un’efficacia preclusiva limitatamente al giudizio in cui è pronunciata; è possibile la riproposizione del-
la medesima questione in un successivo giudizio tra le stesse parti e che in quest’ultimo giudizio possa essere
diversamente risolta (Cass. 9-9-2021, n. 24371).
29
Il danneggiato, che non dimostri di avervi un interesse oggettivamente valutabile, non può, in pre-
senza di un unitario fatto illecito lesivo di cose e persone, frazionare la tutela giudiziaria, agendo separa-
tamente per il risarcimento dei danni patrimoniali e di quelli non patrimoniali, poiché tale condotta ag-
grava la posizione del danneggiante-debitore e causa ingiustificato aggravio del sistema giudiziario (Cass.
6-5-2020, n. 8530).
30
Il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex artt. 1175 e 1375 legittima l’insorgenza in
ciascuna parte dell’affidamento che, anche nell’esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive ed
esecuzione continuata, ciascuna parte si comporti nell’esecuzione in buona fede, e dunque rispettando il
correlato generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare
gli interessi dell’altra, anche a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere gene-
678 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

connotato della relazionalità instaurata e che perciò grava su entrambe le parti del rap-
porto obbligatorio (VII, 1.1). Si è visto pure di trattarsi di una prestazione peculiare,
contenuto di un obbligo non liberamente assunto dal debitore ma derivante dalla legge
come connotato della relazionalità instaurata e che perciò grava su entrambe le parti del
rapporto obbligatorio (VII, 1.1).
c) È anche configurato un principio di esigibilità del credito, in base al quale è
ammesso che l’inadempimento del debitore risulti giuridicamente giustificato se la ra-
gione che lo sottende sia tutelata dall’ordinamento o, addirittura, dalla Costituzione co-
me valore preminente o, comunque, superiore all’interesse del creditore 31 (VIII, 10.11).
La giurisprudenza, specie costituzionale, ha superato l’impostazione del cod. civ. 1942
di non ammettere un potere del giudice di dilazionare il tempo di adempimento 32.
Il tema trova una qualificata esplicazione con riguardo all’attuazione dei contratti
nei tempi di pandemia da Covid-19, per divieti di esercizio di alcune attività o anche
per contrazione dei mezzi finanziari che rendono impossibile l’esecuzione della presta-
zione dovuta (VIII, 7.6 e 10.14). La stessa pandemia orienta alcune soluzioni nella ge-
stione di specifici rapporti familiari e sociali (V, 4.10; IV, 2.1, 5, 9).
Possono sussistere altri soggetti, come creditori del creditore, che possono essere
interessati all’esazione del credito: quindi l’inesigibilità a favore del debitore 33 va bi-
lanciata con eventuali interessi all’esazione da parte di terzi.
Maturata una nuova concezione dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione,
specie a seguito della L. 7.8.1990, n. 241, e delle relative modifiche e integrazioni apportate
dalla L. 11.2.2005, n. 15, anche il comportamento della pubblica amministrativa nei rap-
porti contrattuali va ora valutato secondo i canoni di correttezza e buona fede (II, 7.5).

10. Obbligazioni naturali. – Con la rubrica “obbligazioni naturali” l’art. 2034 pre-
vede una generale categoria di “doveri morali o sociali” che non sono suscettibili di esse-

rale del neminem laedere; in un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo l’assoluta inerzia del
locatore nell’escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del corrispettivo sino ad allora maturato,
protrattasi per un periodo di tempo assai considerevole in rapporto alla durata del contratto, e suffragata
da elementi circostanziali oggettivamente idonei ad ingenerare nel conduttore un affidamento nella remis-
sione del diritto di credito da parte del locatore per facta concludentia, l’improvvisa richiesta di integrale
pagamento costituisce esercizio abusivo del diritto (Cass. 14-6-2021, n. 16743. V. anche Cass. 2-4-2021, n.
9200; Cass. 10-3-2021, n. 6582).
31
In coerenza con i valori costituzionali, sta emergendo una tendenza alla valorizzazione della esigibilità
del credito. Secondo Corte cost. 3-2-1994, n. 19, tale principio, coinvolgendo categorie e valori di rilevanza
costituzionale e configurandosi come principio generale inerente ai rapporti obbligatori come tali, deve avere
applicazione universale nell’ordinamento.
32
L’art. 1165 cod. civ. abr., a fronte della domanda giudiziaria di risoluzione del contratto, accordava al
giudice il potere di concedere al convenuto una dilazione secondo le circostanze; norma disattesa dall’art. 42
cod. comm. abr., che testualmente negava tale potere al giudice. Nel codice civile è contenuta la regola dell’abr.
cod. comm. e non dell’abr. cod. civ. Per la Relaz. cod. civ. il nuovo sistema nega ogni diritto alla dilazione giudi-
ziaria, in modo che si evita ogni turbamento alla prontezza degli adempimenti, fondamentale in ogni ramo del-
l’economia e si adegua tutto il sistema delle obbligazioni alla norma dell’art. 42 cod. comm. (n. 661).
33
Ad es. si è stabilito che l’assoluta inerzia del locatore nell’escutere il conduttore per ottenerne il paga-
mento del corrispettivo sino ad allora maturato, protrattasi per un periodo di tempo assai considerevole, può
ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte del locatore per facta
concludentia (Cass. 14-6-2021, n. 16743).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 679

re oggetto di obbligazione ma che assumono rilevanza giuridica al momento dell’even-


tuale adempimento. L’ordinamento, pur non riconoscendoli meritevoli di giustificare
l’assunzione di un vincolo giuridico, prende in considerazione lo spontaneo adempimen-
to non consentendo il diritto alla restituzione (soluti retentio): è l’unico effetto giuridico
che l’ordinamento ricollega all’obbligazione naturale, essendo il creditore sfornito del
diritto di agire innanzi al giudice per l’inadempimento. La norma contiene una deroga al
generale principio di ripetibilità di quanto è stato indebitamente pagato, come risulta
anche dalla collocazione subito dopo la previsione dell’indebito oggettivo (art. 2033);
considera il dovere morale o sociale come giusta causa di attribuzione patrimoniale, così
da rendere non esperibili, dopo l’adempimento, sia il rimedio dell’indebito oggettivo,
che quello dell’ingiustificato arricchimento (XI, 1.7 e 8). Tradizionalmente tali doveri so-
no stati definiti obbligazioni imperfette, in contrapposizione alle normali obbligazioni giu-
ridiche, dette perfette o anche indicate come obbligazioni civili.
a) L’art. 2034 detta la disciplina generale delle obbligazioni naturali con l’ampia previ-
sione che “non è ammessa la ripetizione” di quanto è stato spontaneamente pagato in ese-
cuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace
(co. 1); ai doveri morali e sociali è assimilato “ogni altro” dovere per cui la legge non ac-
corda azione ma esclude la ripetizione (co. 2). La norma ha la finalità di escludere che ai
doveri morali e sociali – come alle altre obbligazioni imperfette tassativamente previste dal-
la legge – possano ricollegarsi effetti ulteriori rispetto all’irripetibilità di quanto prestato.
Non è fissata la tipologia dei doveri costituenti obbligazioni naturali: la stessa è per-
tanto destinata ad operare in ragione dei valori storicamente determinati dall’ordinamen-
to e avvertiti dalla società, valutandosi la doverosità morale o sociale alla stregua dei
principi generali dell’ordinamento 34. La giurisprudenza fissa un criterio di proporzionali-
tà dell’entità della prestazione eseguita con le condizioni economiche del solvens e del
beneficiario 35: a tale principio si è fatto riferimento anche rispetto alle attribuzioni pa-
trimoniali tra conviventi 36. Concretizzandosi l’adempimento del solvens in un’attribuzio-
ne patrimoniale non dovuta, deve essere comunque ricostruibile il fondamento dell’attri-
buzione, non essendo ammessi nel nostro ordinamento atti traslativi astratti (come ap-
presso si vedrà: VIII, 3.7).
Perché si verifichi l’effetto della irripetibilità devono ricorrere due presupposti: la
prestazione deve essere eseguita spontaneamente; chi adempie deve essere capace 37.

34
Ad es., il pagamento effettuato in esecuzione di una pattuizione contrattuale successivamente dichiarata
nulla è ripetibile, perché non può qualificarsi come adempimento di un’obbligazione naturale in quanto non
è possibile rinvenire il presupposto della spontaneità né quello dell’esecuzione di un dovere morale o sociale
(Cass. 27-6-2017, n. 15954).
35
Si è ritenuto che ricorre una obbligazione naturale quando le prestazioni eseguite risultino adeguate alle
circostanze e proporzionate all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (Cass. 13-3-2003, n.
3713; Cass. 20-1-1989, n. 285).
36
Le attribuzioni patrimoniali a favore del convivente more uxorio effettuate nel corso del rapporto confi-
gurano l’adempimento di un’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c., a condizione che siano rispettati i princi-
pi di proporzionalità e adeguatezza (Cass. 15-5-2018, n. 11766). È configurabile l’ingiustizia dell’arricchimen-
to di un convivente more uxorio verso l’altro, in presenza di prestazioni che esulano dal mero adempimento
delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, il cui contenuto va parametrato alle condizioni sociali
e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto, e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza
(Cass. 15-2-2019, n. 4659).
37
Con riguardo al debito prescritto, l’art. 2940 non richiede la capacità del solvens. Si tende a giustificare
680 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

La spontaneità dell’adempimento dell’obbligazione naturale segna la più vistosa dif-


ferenza con l’adempimento dell’obbligazione civile, che è atto dovuto. Se l’esecuzione
della prestazione è frutto di coercizione, è ripetibile; d’altra parte l’adempimento della
obbligazione naturale, per rispondere all’assolvimento di un dovere morale o sociale, non
integra una donazione, che è, per definizione, caratterizzata dallo “spirito di liberalità”
(art. 769) 38. L’eventuale errore circa la sussistenza dell’obbligo è ininfluente rispetto
all’adempimento di un’obbligazione naturale creduta come obbligazione civile, che non
può essere ripetuta 39.
La capacità del solvens è dettata a tutela del soggetto incapace. Per la regola genera-
le delle obbligazioni civili il debitore che ha eseguito la prestazione dovuta non può im-
pugnare il pagamento a causa della sua incapacità (art. 1191). Proprio in quanto nella
obbligazione naturale la prestazione non è dovuta, il soggetto adempiente deve essere
legalmente capace (e neppure affetto da incapacità naturale), trattandosi di un libero at-
to di disposizione del suo patrimonio. Se l’adempiente è incapace può ripetere la presta-
zione, la irripetibilità della prestazione non può essere opposta alla persona incapace.
È da tempo dibattuta la natura giuridica dell’adempimento dell’obbligazione natura-
le: farebbe propendere per la natura di atto in senso stretto il fatto che si chieda la spon-
taneità e non la volontarietà dell’adempimento; farebbe propendere per la natura di ne-
gozio giuridico il fatto che l’adempimento non è dovuto. Si è del parere che proprio tale
ultima nota sia quella che maggiormente qualifichi l’adempimento dell’obbligazione na-
turale, per procurarsi al creditore un bene giuridicamente non dovuto, e quindi si pro-
pende per la natura di negozio unilaterale dell’adempimento dell’obbligazione naturale
(mentre è atto in senso stretto l’adempimento dell’obbligazione civile in quanto procura
al creditore il bene dovuto).
La irripetibilità prevista per le obbligazioni naturali ha un fondamento di giustizia so-
stanziale, per comunque sussistere un dovere sociale; diverso fondamento ha la irripeti-
bilità disposta per la prestazione contraria al buon costume (art. 2035) che ha un fonda-
mento di sanzione civile per il comportamento turpe delle parti, vietandosi la possibilità
di invocare la giustizia per far valere una ragione turpe (VIII, 3.8).
Le obbligazioni naturali sono incoercibili. Non si può agire giudizialmente per
l’attuazione di tali obbligazioni; né è sanzionato l’inadempimento delle stesse: il credito-
re non può invocare l’inadempimento del debitore (art. 1218), né può far valere la sua
responsabilità patrimoniale (art. 2740) e aggredirne il patrimonio per la realizzazione del

la peculiarità con il rilievo che il debito prescritto non è estinto (e dunque giuridicamente inesistente), ma
solo inesigibile, dovendo la prescrizione essere eccepita dal soggetto contro il quale si fa valere un diritto.
38
La linea di confine diventa più labile con riferimento alla donazione remuneratoria (art. 770): questa,
ancorché non dovuta, è compiuta in ricompensa di servizi resi dal donatario. Nell’adempimento dell’obbliga-
zione naturale, l’attribuzione deve risultare proporzionale, alla stregua di una ricostruzione comparata delle
condizioni economiche delle parti, in ragione della natura dell’interesse soddisfatto e delle caratteristiche del
caso concreto: oltre tale limite si atteggia quale donazione. La qualificazione dell’attribuzione gratuita come
donazione comporta, non solo la forma dell’atto pubblico (art. 782), ma anche la soggezione alla disciplina
delle successioni sulla riduzione (artt. 536 ss.) e sulla collazione (artt. 737 ss.), oltre che alla normativa della
revocazione delle donazioni (artt. 800 ss.).
39
Risulta dai Lavori Preparatori: “Quell’errore del solvens che in ogni altro debito civile è presupposto
indispensabile per ammettersi la condictio indebiti … diventa irrilevante e resta senza influenza quando si
tratti di obbligazione naturale” (Rel. Comm. reale, p. 22).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 681

credito. È il fatto della esecuzione della prestazione che fa assumere alla obbligazione na-
turale rilevanza giuridica, per l’effetto della irripetibilità della prestazione che la legge vi
connette. Per l’art. 2034 non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente
prestato (c.d. soluti retentio): il debitore non può chiedere la restituzione delle cose con-
segnate o del danaro pagato ovvero il controvalore dei servizi resi. Per il medesimo art.
2034 non si producono altri effetti 40.
Manca una disciplina delle vicende della obbligazione naturale, ma la stessa è rico-
struibile attraverso i criteri generali. Derivando la giuridicità dell’obbligo dall’adempi-
mento, non è possibile sostituire volontariamente un’obbligazione naturale con un’obbli-
gazione civile in quanto l’interesse che anima l’obbligazione naturale non è considerato
dall’ordinamento suscettibile di giustificare un vincolo giuridico; né è possibile una nova-
zione dell’obbligazione naturale per non integrare la stessa una obbligazione giuridica.
Deve invece ammettersi che possano operare due varianti dell’adempimento, nel sogget-
to e nell’oggetto. Deve ammettersi l’adempimento del terzo, nulla ostando che l’interesse
morale o sociale del creditore resti soddisfatto da un terzo (arg. art. 1180), salvo che non
ricorrano le ipotesi di contrasto previste dalla stessa norma (VII, 3.5). Deve parimenti
ammettersi la dazione in pagamento (datio in solutum), realizzandosi la sostituzione della
prestazione con il consenso del creditore (art. 1197) (VII, 3.6): se il bene oggetto di pre-
stazione è un immobile o mobile registrato sarà necessaria la forma scritta. Non opera la
compensazione legale con obbligazioni perfette. Piuttosto l’obbligazione naturale è pas-
sibile delle vicende che ineriscono alla normale obbligazione, senza che ciò comporti di
per sé mutamento di natura della stessa; salvo che le parti, espressamente, non intendano
assumerla come obbligazione perfetta: allora si dà vita ad una nuova obbligazione.
b) Sono previste ipotesi specifiche di obbligazioni naturali. Una ipotesi riguarda i debiti
di gioco: per l’art. 1933 non compete azione per il pagamento di un debito di giuoco o di
scommessa, anche se non proibiti 41, ma il perdente non può ripetere quanto abbia spon-

40
In passato si tendeva ad assimilare i contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati (futures e
options) al gioco o alla scommessa, per derivare il valore degli stessi dall’andamento delle quotazioni delle attività
finanziarie assunte a parametro di riferimento. Tali dubbi sono stati fugati dall’art. 235 D.Lgs. 24.2.1998, n. 58
(TUF), secondo cui agli strumenti finanziari derivati non si applica l’art. 1933. Si è stabilito che il contratto
derivato rientra nella categoria della scommessa legalmente autorizzata, la cui causa, ritenuta meritevole dal
legislatore dell’intermediazione finanziaria, risiede nella consapevole e razionale creazione di alee che, nei
derivati c.d. simmetrici, sono reciproche e bilaterali; l’art. 1933 c.c. concerne esclusivamente le ipotesi di
scommessa c.d. tollerata dal legislatore, mentre non riguarda affatto le scommesse legalmente autorizzate che,
come tali, debbono attribuire azione per il pagamento (Cass. 8-5-2014, n. 9996).
41
Perché sussista l’obbligazione naturale del perdente deve trattarsi di gioco o scommessa non proibiti (qua-
le ad es. il gioco d’azzardo: art. 718 c.p.); inoltre il gioco o la scommessa devono avvenire senza frode per il per-
dente (art. 19332): in tali ipotesi viene meno la stessa doverosità morale del pagamento (IX, 5.3). Sono invece
considerate obbligazioni perfette, anche rispetto alle persone che non vi prendono parte, quelle relative a compe-
tizioni sportive (giuochi che addestrano al maneggio delle armi, corse di ogni specie e ogni altra competizione);
tuttavia il giudice può rigettare o ridurre la domanda quando ritenga la posta eccessiva (art. 1934). Danno anche
luogo a obbligazioni perfette (con connessa azione in giudizio) le lotterie legalmente autorizzate (art. 1935). La
schedina del totocalcio, la bolletta del lotto, il biglietto della lotteria sono documenti di legittimazione, con la
funzione di identificare l’avente diritto alla prestazione. Si è precisato che l’art. 1935 c.c. e in genere le leggi sul
gioco del lotto si riferiscono espressamente ai rapporti del giocatore con l’ente che gestisce il gioco autorizzato,
così modulando il gioco in vista delle finalità per cui è stato istituito, e contemporaneamente delimitando il ri-
schio corso dal giocatore a quello chiaramente predeterminato; gli accordi privati che ruotano intorno al gioco,
682 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

taneamente pagato; la ripetizione è ammessa in ogni caso se il perdente è un incapace


(IX, 5.3). Altra ipotesi è la esecuzione di disposizione fiduciaria (art. 627): a fronte della
regola di non ammettere azione per far dichiarare l’apparenza della istituzione ereditaria
(co. 1), si prevede che la persona dichiarata nel testamento, se ha spontaneamente eseguito
la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può agire
per la restituzione, salvo che sia un incapace (co. 2); per entrambe le ipotesi, sono ripe-
tuti i due requisiti della spontaneità dell’adempimento e della capacità del solvens.
Ulteriore ipotesi è il pagamento di debito prescritto (art. 2940). Il diritto di azione
continua a restare nella titolarità del creditore e può essere paralizzato solo dall’eccezio-
ne di prescrizione del debitore (da proporre a pena di decadenza nella comparsa di ri-
sposta ex art. 1672 c.p.c.); il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non oppo-
sta (art. 2938): in assenza di (rituale) eccezione di prescrizione, il giudice è tenuto a giudi-
care sulla domanda proposta. Se il debitore adempie, resta irrilevante la motivazione della
mancata opposizione della prescrizione (per volere adempiere egualmente il debito pre-
scritto o per non conoscere la maturata prescrizione); anche se non è espressamente pre-
vista la ripetizione per l’adempimento dell’incapace, deve egualmente ammettersi la tute-
la della persona dell’incapace che ha compiuto un’attribuzione non dovuta, secondo la
regola generale dell’art. 20341.
Una disciplina particolare è dedicata alla donazione remuneratoria (art. 7701), alla do-
nazione d’uso (art. 7702) e agli atti di liberalità diversi dalla donazione (art. 809) (XIII, 2).

B) ALCUNE SPECIE DI OBBLIGAZIONI TIPICHE


11. Le tipologie. Generalità. – Si è visto come il modello base di rapporto obbliga-
torio incarna la c.d. obbligazione semplice, caratterizzata dalla presenza di due soggetti
(creditore e debitore), con unicità di prestazione e di bene dedotto, il cui generale disegno
è contenuto nel Titolo I (Obbligazioni in generale) sotto i Capi da I a VI del Libro IV del
codice civile (artt. 1173-1276), di cui in parte si è detto e ancora ampiamente si dirà.
L’ultimo capo (Capo VII) è dedicato alla disciplina di “Alcune specie di obbligazioni”
(artt. 1277-1320). La normativa raccolta sotto tale capo introduce varianti della obbliga-
zione semplice, con la fissazione di specifici modelli di obbligazione che si caratterizzano
per peculiarità del soggetto o della prestazione ovvero dell’oggetto e connesse vicende. La
relativa disciplina è, anzitutto, dedicata ad ipotesi di c.d. obbligazione complessa, caratte-
rizzata da una molteplicità di soggetti e/o di prestazioni.
Rispetto ai soggetti, si ha obbligazione plurisoggettiva quando l’obbligazione fa capo a
più soggetti, vuoi da parte del creditore (pluralità di creditori), vuoi da parte del debito-
re (pluralità di debitori), vuoi in relazione ad entrambe le parti.
Rispetto alla prestazione, si ha obbligazione cumulativa quando sono dedotte in obbli-

ancorché autorizzato, restano al di fuori di ogni regolamentazione, nell’ambito di quei rapporti sociali che la leg-
ge considera non meritevoli di tutela (Cass. 7-10-2011, n. 20622). Con riguardo a giochi d’azzardo svolti all’estero,
si è stabilito che, sia in ambito nazionale sia in quello comunitario, non è dato ravvisare un generale disfavore nei
confronti del giuoco d’azzardo in quanto tale, ma solo nei confronti di quello che sfugge al controllo dello Stato.
Pertanto la sentenza straniera avente ad oggetto la condanna per un debito attinente al gioco d’azzardo non pro-
duce effetti contrari all’ordine pubblico e, quindi, ai sensi degli artt. 64 e 67 L. 218/1995, può essere riconosciuta
in Italia (Cass. 17-1-2013, n. 1163; Cass. 27-9-2012, n. 16511).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 683

gazione più prestazioni, articolandosi come obbligazione congiuntiva (se sono dovute tut-
te le prestazioni) o alternativa (quando ne è dovuta una sola).
Con riguardo all’oggetto, è introdotta la distinzione tra obbligazioni divisibili e obbli-
gazioni indivisibili in ragione del modo di frazionamento del bene. Una disciplina speci-
fica hanno le obbligazioni pecuniarie, aventi cioè ad oggetto una somma di danaro, per la
naturale fecondità del danaro.
Disseminate nel codice civile e in altre leggi esistono obbligazioni con funzioni tipiz-
zate che pure ricevono una disciplina specifica.
Delle varie obbligazioni si parlerà ampiamente in seguito, secondo l’ordine delineato.
Sono obbligazioni tipiche, regolate con normative aggiuntive alla disciplina generale, la
quale trova applicazione quando non derogata dalle normative speciali.

12. Obbligazioni plurisoggettive. Le obbligazioni parziarie. – È frequente il fe-


nomeno di obbligazioni caratterizzate dalla presenza di più soggetti, o dal lato attivo o
dal lato passivo o da entrambi i lati: sono obbligazioni soggettivamente complesse (anche
dette plurisoggettive). C’è pertanto da stabilire l’incidenza della pluralità di soggetti sulla
vita dell’obbligazione: rilevano le due figure della obbligazione parziaria (di cui si parla
ora) e della obbligazione solidale (trattata di seguito).
La obbligazione parziaria presuppone che l’obbligazione sia divisibile e ricorre
quando ciascun debitore è tenuto all’adempimento di una sola parte (dell’oggetto) del-
l’obbligazione, ovvero quando ciascun creditore può pretendere solo la parte (dell’og-
getto) dell’obbligazione di sua spettanza. La parziarietà indica la rilevanza della divisibi-
lità dell’obbligazione in presenza di più soggetti (debitori o creditori).
Alla obbligazione parziaria non è dedicata un’apposita normativa. La sua rilevanza è
dedotta dalla norma riguardante l’obbligazione divisibile: per l’art. 1314, se più sono i de-
bitori o i creditori di una prestazione divisibile e l’obbligazione non è solidale, ciascuno
dei creditori può domandare il soddisfacimento del credito per la sua parte e ciascuno
dei debitori è tenuto a pagare il debito per la sua parte. Nell’ipotesi di pluralità di debito-
ri, il creditore è tenuto ad esercitare il suo diritto verso tutti i debitori, potendo da ognu-
no pretendere solo la sua parte: nell’ipotesi in cui qualcuno non adempia, non può riva-
lersi sugli altri debitori per la parte non riscossa 42; nell’ipotesi di pluralità di creditori, il
debitore è tenuto all’adempimento parziario a ciascuno dei creditori 43.

13. Segue. Le obbligazioni solidali. – La obbligazione solidale (o in solido) è tipi-


camente una obbligazione complessa plurisoggettiva, più spesso dal lato passivo, talvolta
da quello attivo o da entrambi i lati. I rapporti obbligatori restano autonomi, ma si in-
staura tra gli stessi un nesso e cioè un vincolo di solidarietà tra i soggetti che ricoprono

42
Si pensi alla coassicurazione: quando un rischio è coperto da più assicurazioni per quote determinate,
ciascun assicuratore è tenuto al pagamento dell’indennità assicurata in proporzione della rispettiva quota,
anche se unico è il contratto sottoscritto da tutti gli assicuratori (art. 1911) (IX, 5.4).
43
Si pensi all’ipotesi di pluralità di mediatori: quando un affare è concluso mediante l’intervento di più
mediatori, ciascuno di essi ha diritto a una quota della provvigione (art. 1758) (in proporzione all’entità e
all’importanza dell’opera prestata), sicché l’obbligato può considerarsi liberato solo quando abbia corri-
sposto a ciascuno di essi la quota spettante; tranne che non sia espressamente pattuita la solidarietà attiva
(IX, 3.7).
684 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

la medesima posizione soggettiva, come si evince dalla previsione che la solidarietà


non è esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse
ovvero il debitore comune sia tenuto con modalità diverse di fronte ai singoli creditori
(art. 1293). Le singole obbligazioni possono derivare da titoli diversi e atteggiarsi con
modalità differenti 44: i coobbligati sono tenuti per la “medesima prestazione” (art.
1292); cioè la prestazione ha il medesimo contenuto per l’identità funzionale del bene
procurato al creditore. La solidarietà è necessitata per le obbligazioni indivisibili, per
la non frazionabilità della prestazione (VII, 1.14); è invece voluta (dalla legge o dalle
parti) per le obbligazioni divisibili, con il risultato di escluderne la naturale parziarietà
(VII, 1.12). La solidarietà ha la funzione di agevolare l’attuazione dell’obbligazione, in
presenza di più debitori o/e di più creditori.
In ipotesi di pluralità di debitori, tutti sono tenuti per la medesima prestazione, in modo
che ciascun debitore può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento
da parte di uno libera gli altri debitori (solidarietà passiva). I condebitori sono tenuti
automaticamente in solido se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente (art. 1294);
la solidarietà passiva è dunque presunta dalla legge, secondo la previsione del cod. comm.
1882, differente dal cod. civ. abr. che ne richiedeva la pattuizione. È un meccanismo di
tutela privilegiata del credito, coerente ad una economia di mercato. Sono varie le ipote-
si in cui è la legge stessa a prevederla: ad es., in materia condominiale, per assicurare la
conservazione degli edifici, l’art. 632 disp. att. c.c. prevede che chi subentra nei diritti
di un condomino è obbligato, solidalmente con questi, al pagamento dei contributi re-
lativi all’anno in corso e a quello precedente; in presenza di fatto illecito imputabile a
più persone, l’art. 2055 considera tutti gli autori dell’illecito obbligati in solido al ri-
sarcimento del danno 45; nella cessione di azienda, l’art. 2560 prescrive la solidarietà di
cedente e cessionario per i debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al

44
Si dibatte da tempo circa la unitarietà di rapporto o pluralità di rapporti nell’obbligazione solidale.
In realtà un ruolo fondamentale assume il titolo (o causa) di derivazione dell’obbligazione: il vincolo di
solidarietà può inerire ad un’unica obbligazione (es. più soggetti, nel prendere in locazione un immobile,
assumono l’obbligazione di pagare il canone), come può riferirsi a più obbligazioni connesse (es. la obbli-
gazione fideiussoria che un soggetto assume verso il creditore per l’adempimento di un debito altrui ex art.
1936). I titoli da cui conseguono le singole obbligazioni possono essere anche distinti, purché le obbliga-
zioni contemplate siano connesse, nel senso di essere dirette a procurare al creditore la medesima utilità
(saranno esaminate in seguito ipotesi di assunzione cumulativa del debito altrui ex artt. 1268 ss.). È anzi
previsto che la solidarietà non è esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità
diverse o il debitore comune sia tenuto con modalità diverse di fronte ai singoli creditori (art. 1293) (c.d.
solidarietà diseguale) (es. artt. 12682; 19442). La solidarietà può aversi anche quando i titoli di responsabili-
tà facenti capo ai coobbligati siano di natura diversa, “per essere l’uno di natura contrattuale e l’altro di
natura extracontrattuale” (Cass. 16-9-2007, n. 18939). La disciplina della solidarietà ex art. 1292 non de-
termina la nascita di un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo, perciò, a litisconsorzio necessario
tra i diversi obbligati o creditori (Cass. 5-7-2019, n. 18069; Cass. 8-3-2019, n. 6727).
45
L’applicazione dell’art. 2055 presuppone la prova dell’esistenza di un rapporto di causalità tra ciascuna
delle condotte e l’evento lesivo, mentre non opera laddove, accertato che responsabile del sinistro è uno solo
tra più soggetti, non si riesca a individuare chi, in concreto, abbia posto in essere il comportamento produtti-
vo del danno (Cass. 5-3-2012, n. 3424). Non è necessario che tutti abbiano agito col medesimo atteggiamento
soggettivo (di dolo o colpa), ma è sufficiente che, anche con condotte indipendenti, tutti abbiano concausato
il medesimo fatto dannoso (Cass. 5-4-2022, n. 11043). La graduazione delle colpe tra i soggetti responsabili di
un medesimo fatto illecito ha soltanto la funzione di ripartire internamente tra i coobbligati l’obbligazione
risarcitoria, senza eliminare la solidarietà (Cass. 10-1-2011, n. 291).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 685

trasferimento, risultanti dai libri contabili obbligatori (art. 1560) 46. Una ipotesi signifi-
cativa attiene alla professione di avvocato 47.
In ipotesi di pluralità di creditori, ciascuno dei creditori ha diritto di chiedere l’adem-
pimento dell’intera obbligazione, e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il de-
bitore verso tutti i creditori (solidarietà attiva) (art. 1292). La solidarietà attiva deve
essere espressamente pattuita. Si pensi all’ipotesi di più intestatari di un libretto di depo-
sito bancario a risparmio (art. 1835) o all’ipotesi di pattuizione di solidarietà attiva tra
più mediatori intervenuti nella conclusione dell’affare 48.
In sostanza, nell’obbligazione solidale, esistono più posizioni soggettive di debito o di
credito avvinte dall’unitario nesso di una comunanza di interessi. Quando la solidarietà im-
pegna sia il lato attivo che quello passivo si ha solidarietà congiunta attiva e passiva, con la
produzione di effetti in entrambi i lati, per cui ciascuno dei creditori può chiedere a ognu-
no dei debitori la totalità del credito e l’adempimento conseguito libera il debitore verso
tutti i creditori (ad es., nell’ipotesi di conto corrente intestato a più persone, le medesime
hanno facoltà di compiere operazioni separatamente, e gli intestatari sono creditori e debi-
tori in solido dei saldi del conto: art. 1854) 49.
Regola fondamentale è che i condebitori sono tenuti ad eseguire e i concreditori han-
no diritto a ricevere la medesima prestazione per l’intero. Avendo la solidarietà la funzio-
ne di agevolare l’attuazione dell’obbligazione, di regola non si riflette nei rapporti suc-
cessori: salvo patto contrario, l’obbligazione solidale si divide tra i coeredi di uno dei
condebitori o di uno dei creditori in solido, in proporzione delle rispettive quote (art.
1295) 50. Solo se l’obbligazione è indivisibile, l’indivisibilità è assorbente e opera nei con-
fronti degli eredi del debitore o di quelli del creditore (art. 1318).
Bisogna distintamente verificare il modo di operare dell’obbligazione solidale nei rap-

46
Nell’ipotesi di cessione di azienda, cedente e cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il
lavoratore aveva al tempo del trasferimento (art. 2112). La “finalità di protezione” della disposizione consente
all’interprete di far prevalere il principio generale della responsabilità solidale del cessionario al fine di fornire
una tutela effettiva al creditore che deve essere salvaguardato (Cass. 10-12-2019, n. 32134).
47
Per l’art. 68 R.D. 27.11.1933, n. 1578 (ordinamento della professione di avvocato), quando un giudizio
è definito con transazione, tutte le parti che hanno transatto sono solidalmente obbligate al pagamento degli ono-
rari e al rimborso delle spese in favore degli avvocati che hanno partecipato al giudizio negli ultimi tre anni e che
ne fossero ancora creditori; salvo espressa rinunzia al vincolo di solidarietà. L’art. 68 R.D. 27.11.1933, n. 1578
(ordinamento della professione di avvocato), secondo cui, quando un giudizio è definito con transazione, tut-
te le parti che hanno transatto sono solidalmente obbligate al pagamento degli onorari e al rimborso delle
spese in favore degli avvocati che hanno partecipato al giudizio negli ultimi tre anni e che ne fossero ancora
creditori; salvo espressa rinunzia al vincolo di solidarietà.
48
In deroga alla regola della parziarietà ex art. 1755, deve essere espressamente pattuito che ciascuno dei
mediatori possa chiedere il pagamento della intera provvigione, con conseguente liberazione del cliente verso
gli altri mediatori (Cass. 11-6-2008, n. 15484) (IX, 3.8).
49
Diversa è l’ipotesi in cui più persone ineriscono ad un unitario soggetto giuridico (es. un’associazione o
una società): questa è obbligazione con unico debitore o creditore.
50
Il vincolo di solidarietà non opera tra i coeredi in relazione ai debiti ereditari. I coeredi sono tenuti a
contribuire al pagamento dei debiti ereditari ciascuno in proporzione della quota ereditaria, salvo che il testa-
tore abbia diversamente disposto (art. 752). Se però un bene assegnato ad un erede è gravato da ipoteca a
garanzia di un debito del de cuius, in virtù del principio della indivisibilità delle garanzie reali, il creditore con-
serva la garanzia per l’intero ammontare sul bene ipotecato: il coerede, proprietario del bene ipotecato, che ha
pagato oltre quanto dovuto in relazione alla sua quota, ha diritto di ripetere dagli altri coeredi la parte per cui
essi devono contribuire ai sensi dell’art. 752 (art. 754).
686 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

porti esterni (cioè tra il creditore e i condebitori ovvero tra il debitore e i concreditori) e
nei rapporti interni (cioè tra i vari condebitori o tra i vari concreditori).
a) Rapporti esterni. Il fenomeno opera diversamente nei due modelli.
1) La solidarietà passiva mira a rafforzare il credito, accrescendone la probabilità di rea-
lizzazione: la solidarietà attribuisce al creditore la facoltà di chiedere l’adempimento per la
totalità a ciascuno dei debitori (l’adempimento da parte di uno libera gli altri debitori).
La solidarietà passiva si atteggia in due modi diversi in ragione della causa obligandi,
cioè a seconda della esistenza di un interesse comune ai condebitori, ovvero della esistenza
di un interesse riferibile ad uno solo dei coobbligati. Intorno a tale distinzione si articola la
solidarietà tributaria 51 (XI, 1.9).
Proprio in quanto la solidarietà passiva è prevista nell’esclusivo vantaggio del credito-
re, rafforzando il credito, il creditore può rinunziare alla solidarietà nei confronti di uno
dei debitori che adempie l’obbligazione per la sua quota, conservando l’azione in solido
contro gli altri (art. 13111); per l’art. 13112 si considera rinunziare alla solidarietà nei
confronti di un solo debitore: 1) il creditore che rilascia a uno dei debitori quietanza per
la parte di lui, senza alcuna riserva 52; 2) il creditore che ha agito giudizialmente contro
uno dei debitori per la parte di lui, se questi ha aderito alla domanda, o se è stata pro-
nunciata una sentenza di condanna (diversa è la remissione a favore di uno dei debitori
ex art. 1301, di cui appresso). Nel caso di rinunzia del creditore alla solidarietà verso al-
cuno dei debitori, se uno degli altri è insolvente, la sua parte di debito è ripartita tra tutti
i condebitori, compreso quello liberato dalla solidarietà (art. 1313).
Una fisionomia particolare assume la solidarietà passiva quando è caratterizzata dalla
sussidiarietà: più debitori, pure essendo obbligati dal vincolo di solidarietà all’adem-
pimento dell’intero, vi sono tenuti secondo un ordine gerarchico (fissato dalle parti o
dalla legge). Tale ordine si traduce in un vantaggio per il debitore obbligato in via sus-
sidiaria. Se il creditore ha il solo onere di preventivamente chiedere l’adempimento ad
uno specifico debitore, trattasi di un mero beneficio di ordine (es. l’ordine di pagamen-

51
Come la solidarietà civilistica, anche la solidarietà tributaria assume una duplice veste: come solidarietà
paritetica (o paritaria), quando più soggetti sono tenuti al pagamento per il medesimo presupposto impositivo
di tributo (es. venditore e compratore rispetto all’imposta di registro per trasferimento immobiliare ex art. 57
D.P.R. 131/1986); come solidarietà dipendente quando un soggetto è tenuto per il presupposto impositivo di
tributo (obbligato principale), mente altro soggetto è responsabile per legge al pagamento del tributo per la fun-
zione svolta, al fine di rafforzare il credito dell’ente impositore assicurandone la esazione (es. il notaio rispetto al-
l’imposta di registro dovuta dalle parti del contratto di vendita immobiliare ex art. 57 D.P.R. 131/1986), feno-
meno peraltro diffuso nella sostituzione di imposta, per la solidarietà che si determina tra sostituito (obbliga-
to originario) e sostituto d’imposta (art. 64 D.P.R. 600/1973): cfr. Cass. 5-9-2006, n. 19056. Il divario tra i due
tipi di solidarietà non opera nei rapporti esterni (non comportando un beneficio di escussione dei debitori),
ma solo nei rapporti interni, in quanto il coobbligato paritetico ha diritto al regresso pro quota, mente il coob-
bligato dipendente ha diritto al regresso per l’intero.
52
Il fatto che il creditore accetti da uno dei debitori il pagamento di una parte del debito complessivo, ri-
lasciandone quietanza e non riservandosi di agire nei confronti dello stesso debitore per il residuo, integra gli
estremi della rinuncia alla solidarietà ex art. 13112, n. 1, con conseguente conservazione dell’azione in solido
nei confronti degli altri condebitori, non rinvenendosi nella specie gli estremi per l’applicazione della remis-
sione del debito liberatoria per gli altri coobbligati ex art. 13011, giacché l’effetto della rinuncia è solo quello
di ridurre l’importo del debito residuo verso quell’obbligato e non di abdicare al diritto di esigere dagli altri
coobbligati il pagamento di quanto ancora dovuto; peraltro sia la remissione del debito che la rinunzia alla
solidarietà possono essere fatte anche in maniera tacita purché inequivoche (Cass. 27-1-2015, n. 1453).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 687

to operante nell’assunzione cumulativa del debito altrui: art. 12682); se il creditore ha


l’onere aggiuntivo di preventivamente escutere il patrimonio di uno specifico debitore,
trattasi di un beneficio di escussione: in tale ipotesi il debitore sussidiario che oppone
tale beneficio deve indicare i beni del debitore principale sui quali il creditore può
soddisfarsi: es. il beneficio di escussione pattuito con la fideiussione (art. 19442) o ope-
rante nella società semplice (art. 2268) o nella società in nome collettivo (art. 2304).
2) La solidarietà attiva tende a favorire la posizione del debitore, attribuendo a cia-
scuno dei concreditori il diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione, in
guisa che l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori
(art. 1292). Il debitore ha il vantaggio riflesso di potere eseguire l’intera prestazione ver-
so uno solo dei creditori: in tal senso la solidarietà attiva agevola l’adempimento. Il debi-
tore ha la scelta di pagare a uno dei creditori in solido, quando non è stato prevenuto da
uno di essi con domanda giudiziale (art. 1296). In assenza di previsione (normativa o
pattizia) di solidarietà attiva l’obbligazione è parziaria, per cui il debitore che paga per
l’intero ad uno dei creditori non è liberato dall’obbligo verso gli altri creditori (ognuno
dei quali può chiedere la rispettiva parte del credito).
b) Rapporti interni. Nei rapporti interni diventa essenziale la misura dell’interesse di
ciascuno dei condebitori o concreditori al vincolo di solidarietà (se, cioè, tale vincolo ri-
sponde all’interesse comune dei contitolari o all’interesse esclusivo di alcuno o a un inte-
resse diversificato). Per l’art. 1298, nei rapporti interni, l’obbligazione in solido si divide tra
i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo
di alcuno; le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente. La presta-
zione si divide tra i condebitori ovvero tra i concreditori secondo specifici criteri di ri-
partizione, attraverso il meccanismo del regresso.
1) Nei rapporti tra debitori, il debitore in solido che ha pagato l’intero debito ha di-
ritto di regresso 53 verso gli altri condebitori, ripetendo la parte di ciascuno di essi, per
riprendere ad operare nei rapporti interni la parziarietà del debito 54; se uno dei debi-
tori è insolvente, la perdita si ripartisce tra i vari condebitori compreso quello che ha
adempiuto (art. 1299). L’adempimento può provenire anche da un terzo in favore di
uno dei condebitori, con diritto di regresso verso i condebitori 55. Nell’esercizio del
regresso bisogna valutare il regime del rapporto interno per determinare la misura del-
la parte oggetto di regresso. Ad es., nell’obbligazione fideiussoria (tipico esempio di
obbligazione solidale ad interesse esclusivo), il fideiussore che ha pagato ha regresso

53
Spesso i termini “regresso” e “rivalsa” vengono impiegati in modo promiscuo. Tecnicamente, pure im-
plicando entrambi l’estinzione satisfattiva del rapporto obbligatorio, si atteggiano diversamente: regresso è la
ripetizione verso il condebitore di quanto pagato al comune creditore (essendo i due condebitori legati da un
vincolo di solidarietà verso il creditore) (es. artt. 1299 e 2055); rivalsa è la ripetizione verso un terzo di quanto
pagato al suo creditore (in assenza di un vincolo di condebito verso il creditore) (es. art. 754).
54
Il condebitore solidale, sia “ex contractu” sia “ex delicto”, che paga al creditore una somma maggiore ri-
spetto alla quota parte dovuta nei rapporti interni, ha diritto di regresso per tale eccedenza anche se non ha
corrisposto l’intero, giacché anche in tal caso, come in quello del pagamento dell’intero debito, egli ha subito
un depauperamento del proprio patrimonio oltre il dovuto, con corrispondente indebito arricchimento dei
condebitori (Cass. 27-8-2018, n. 21197; Cass. 13-2-2018, n. 3404).
55
Colui che, senza esservi tenuto, adempie un’obbligazione solidale nell’interesse di uno dei coobbligati,
acquista per effetto del pagamento il diritto di regresso che sarebbe spettato alla persona, nel cui interesse è
eseguito il pagamento, nei confronti degli altri condebitori (Cass. 19-9-2017, n. 21686).
688 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

per l’intero verso il debitore principale (art. 1950); per l’obbligazione di risarcimento
danni derivante da fatto illecito, chi ha risarcito il danno ha regresso nei confronti
degli altri nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dalla entità
delle conseguenze derivate, presumendosi, nel dubbio, la uguaglianza delle singole
colpe (art. 2055) 56; in materia familiare, le obbligazioni solidali dei genitori devono
ragguagliarsi al principio di contribuzione proporzionale nei rapporti interni (artt.
1432, 147 e 316 bis) 57. E così per altre ipotesi 58. La previsione del regresso non è una
norma imperativa, potendo i condebitori escluderlo (si tende a considerare il patto di
esclusione del regresso come un sintomo di esistenza di una società di fatto tra i conde-
bitori).
Il diritto di regresso è soggetto a prescrizione, nel termine ordinario, con decorrenza
dalla data del pagamento 59. Se il titolo di condebito è accertato successivamente, la pre-
scrizione decorre dalla data dell’accertamento del condebito 60, per il fondamentale princi-
pio che la prescrizione decorre da quando il diritto può essere fatto valere (art. 2935).
Al debitore che agisce in regresso, gli altri debitori solidali possono opporre le ecce-
zioni che avrebbero potuto opporre al creditore 61: risponde ad un generale dovere di

56
In presenza di fatto illecito di cui siano coautori più persone, ove uno dei condebitori solidali agisca
in regresso nei confronti degli altri, l’onere di provare le circostanze idonee a superare la presunzione del
pari concorso di colpa, prevista per il caso di dubbio dall’art. 20553, grava, rispettivamente, sull’attore
che pretenda il rimborso di una somma superiore alla metà, o sul convenuto che contesti una richiesta
pari alla metà, opponendo ad essa la propria totale assenza di colpa, ovvero il grado inferiore di questa
(Cass. 10-2-2017, n. 3626). È consentita un’azione di regresso in via anticipata, proponibile dal coobbliga-
to solidale contro un altro coobbligato nel corso dell’azione intrapresa dal creditore nei suoi confronti
(Cass. 28-5-2010, 13087).
57
L’obbligazione di mantenimento del figlio riconosciuto da entrambi i genitori, per effetto della sentenza
dichiarativa della filiazione, collegandosi allo status genitoriale, sorge con decorrenza dalla nascita del figlio,
con la conseguenza che il genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere esclusivo del mantenimento
del minore anche per la porzione di pertinenza dell’altro genitore, ha diritto di regresso per la corrispondente
quota, sulla scorta delle regole dettate dagli artt. 148 e 261 c.c. da interpretarsi secondo le regole sulle obbliga-
zioni solidali stabilite nell’art. 1299 c.c. (Cass. 14-12-2016, n. 25723; Cass. 4-11-2010, n. 22506), così mutandosi
una precedente impostazione che raffigurava una gestione di affari (Cass. 16-3-1990, n. 2199).
58
Ad es., nella vendita di un immobile, il venditore e il compratore sono solidalmente tenuti al paga-
mento dell’imposta di registro verso l’amministrazione finanziaria; se però l’imposta grava sul compratore,
quale spesa del contratto di vendita ex art. 1475, il venditore, che ne effettui il pagamento, come coobbli-
gato solidale, agisce nell’esclusivo interesse dell’acquirente e, quindi, è legittimato ad esercitare l’azione di
regresso nei confronti del compratore per l’intera somma corrisposta, ai sensi degli artt. 1298 e 1299 c.c.
(Cass. 30-12-2016, n. 27506).
59
Nell’obbligazione solidale al risarcimento dei danni, ex art. 2055, la prescrizione dell’azione di regresso
di uno dei coobbligati decorre dall’avvenuto pagamento e non già dal giorno dell’evento dannoso, poiché il
diritto al regresso, per l’art. 2935, non può esser fatto valere prima dell’evento estintivo dell’obbligazione
(Cass. 11-10-2019, n. 25698; Cass. 3-11-2004, n. 21056).
60
Ad es., la prescrizione del diritto del genitore ad ottenere dall’altro genitore il rimborso pro quota delle
spese anticipate per il mantenimento del figlio nato fuori dal matrimonio decorre dal riconoscimento del fi-
glio da parte dell’altro genitore o dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità (Cass. 7-4-2017, n.
9059; Cass. 28-3-2017, n. 7960).
61
I condebitori nei cui confronti il debitore che ha adempiuto fa valere il suo diritto di regresso, possono
opporre i fatti estintivi, impeditivi o eliminativi del debito comune solo se questi fatti, essendo precedenti alla
data di adempimento, avrebbero potuto essere opposti al creditore nel momento dell’adempimento, e non
anche se si tratta di fatti successivi, dei quali pretendano di avvantaggiarsi ai danni del coobbligato che ha
pagato (Cass. 1-3-1994, n. 2011).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 689

buona fede tenere gli altri debitori informati della richiesta di adempimento da parte del
creditore (cfr. art. 19522) 62.
Mentre l’adempimento del debitore solidale estingue il rapporto obbligatorio, diver-
samente opera il pagamento con surrogazione (artt. 1201 ss.) che comporta la vicenda
modificativa del soggetto attivo del rapporto obbligatorio (VII, 2.7). Anche se non pre-
visto, è da ritenere che sussista il diritto del debitore che ha pagato (e quindi estinto il
debito) alla surrogazione legale nei diritti del creditore verso gli altri debitori (art. 1203,
n. 3) 63, con conservazione dunque delle garanzie del credito e del regime di eccezioni
dell’originario rapporto.
2) Nei rapporti tra concreditori, il creditore che ha ricevuto il pagamento integrale è
tenuto a corrispondere a ciascun creditore la quota di riferimento (si tende perciò a par-
lare di regresso tra concreditori).
c) Vita dell’obbligazione. La solidarietà (sia passiva che attiva) si riflette sulla vita del
rapporto obbligatorio.
L’attuazione del rapporto obbligatorio è segnata da alcune peculiarità. La costitu-
zione in mora di uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri, salvo il di-
sposto dell’art. 1310; la costituzione in mora del debitore da parte di uno dei creditori in
solido giova agli altri (art. 1308). Il riconoscimento del debito fatto da uno dei debitori in
solido non ha effetto riguardo agli altri; se è fatto dal debitore nei confronti di uno dei
creditori in solido, giova agli altri (art. 1309). Il creditore che riceve, separatamente e
senza riserva, la parte dei frutti o degli interessi che è a carico di uno dei debitori perde
contro di lui l’azione in solido per i frutti o per gli interessi scaduti, ma la conserva per
quelli futuri (art. 1312). Quanto al regime delle eccezioni, uno dei debitori può opporre
solo le eccezioni comuni agli altri debitori, per investire il titolo o il rapporto obbligato-
rio, mentre non può opporre le eccezioni personali agli altri debitori; correlativamente il
debitore non può opporre a uno dei creditori in solido le eccezioni personali agli altri
creditori (art. 1297).
Le vicende della posizione soggettiva di uno dei debitori o creditori in solido ri-
spetto agli altri condebitori o concreditori sono ispirate a due principi generali, che
spesso operano in modo sinergico: a) non si comunicano i fatti e gli atti pregiudizievoli
e si estendono invece quelli vantaggiosi (Relaz. cod. civ., n. 598) 64; b) non si estendono
ai condebitori o ai concreditori i fatti inerenti alla sfera personale del singolo debitore

62
Nell’ipotesi di responsabilità da fatto illecito imputabile a più persone, rispetto al giudicato intervenuto
tra uno dei condebitori in solido ed il creditore si applica il principio dell’inapplicabilità del giudicato nel
giudizio di regresso (Cass. 13-10-2016, n. 20653). L’accertamento del debito nei riguardi di uno solo dei con-
debitori non richiede la necessaria partecipazione al giudizio anche dell’altro e non fa stato nei suoi confronti;
fermo restando che il convenuto in via di regresso è libero di proporre tutte le eccezioni idonee a paralizzare
la pretesa dell’attore, anche in relazione a quanto già accertato nella precedente causa cui egli non ha parteci-
pato (Cass. 19-2-2003, n. 2469).
63
Il coobbligato in solido che paga al creditore ha diritto di surrogarsi nei diritti dell’accipiens, per cui
regresso e surrogazione devono ritenersi azioni concorrenti complementari pur se non cumulabili, potendo
essere esercitate entrambe le relative azioni nei limiti in cui il regresso sia diretto ad ottenere quanto spet-
tante in eccedenza rispetto al credito oggetto della vicenda successoria della surrogazione (Cass. 5-6-2007,
n. 13180).
64
Il coobbligato solidale può anche giovarsi del giudicato favorevole formatosi in un giudizio al quale egli
non ha partecipato (Cass. 3-8-2005, n. 16332).
690 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

o creditore (Relaz. cod. civ., n. 599). Regole particolari sono dettate per specifiche vi-
cende estintive del rapporto obbligatorio di uno dei condebitori o concreditori, con
modi satisfattivi (compensazione 65 e confusione 66) (VII, 1.9.) o con modi non satisfat-
tivi (novazione 67, remissione 68, impossibilità sopravvenuta 69) (VII, 1.12).
La transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido può riguardare
l’intera obbligazione, con facoltà degli altri di aderire e profittarne (art. 13041), ovvero
può riguardare la sola quota gravante sul transigente, liberando solo questo (art. 13041).
È indirizzo diffuso che l’art. 13141 abbia riguardo alla sola transazione totale (cioè
sull’intero debito), perché è la comunanza dell’oggetto della transazione a far sì che di
questa possa avvalersi il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla sua sti-
pulazione 70. La dichiarazione di volere profittare è espressione di un diritto potestativo
del condebitore di adesione all’accordo raggiunto. La riduzione dell’ammontare della
debitoria pattuita in via transattiva con uno solo dei debitori opererà anche per gli altri
che dichiarino di volersene avvalere, non diversamente da quel che sarebbe accaduto se
anch’essi avessero sottoscritto la medesima transazione 71. Parimenti, se è intervenuta tra
uno dei creditori in solido e il debitore, la transazione non ha effetto nei confronti degli
altri creditori, se questi non dichiarano di volerne profittare (art. 13042).
Dibattuta è la transazione parziale (cioè sulla quota del debitore transigente) raggiun-
ta dal creditore con un singolo debitore, tesa ad escludere il singolo condebitore. Non è
possibile agli altri debitori profittarne per l’assenza di comunanza di interesse 72. La tran-

65
Ciascuno dei debitori in solido può opporre in compensazione il credito di un condebitore fino alla con-
correnza della parte di quest’ultimo (art. 13021). A uno dei creditori in solido il debitore può opporre in
compensazione ciò che gli è dovuto da un altro dei creditori, ma solo per la parte di questo (art. 13022).
66
Se nella stessa persona si riuniscono le qualità di creditore e di debitore in solido, l’obbligazione degli altri
debitori si estingue per la parte di quel condebitore (confusione) (13031). Se nella stessa persona si riuniscono le
qualità di debitore e di creditore in solido, l’obbligazione si estingue per la parte di questo (art. 13032).
67
La novazione tra il creditore e uno dei debitori in solido libera di regola gli altri debitori; se però la no-
vazione è limitata a uno solo dei debitori, gli altri sono liberati solo per la parte di quest’ultimo (art. 13001). Se
convenuta tra uno dei creditori in solido e il debitore, la novazione ha effetto verso gli altri creditori solo per
la parte del primo (art. 13002).
68
La remissione a favore di uno dei debitori in solido libera anche gli altri debitori, salvo che il creditore ab-
bia riservato il suo diritto verso gli altri; nel qual caso il creditore non può esigere il credito da questi, se non de-
tratta la parte del debitore a favore del quale ha consentito la remissione (art. 13011). Se la remissione è fatta da
uno dei creditori in solido, libera il debitore verso gli altri creditori per la parte spettante al primo (art. 13012).
69
Se l’adempimento dell’obbligazione è divenuto impossibile per causa imputabile a uno o più condebito-
ri, gli altri condebitori non sono liberati dall’obbligo solidale di corrispondere il valore della prestazione do-
vuta; il creditore può chiedere il risarcimento del danno ulteriore al condebitore o a ciascuno dei condebitori
inadempienti (art. 1307).
70
Cass. 7-10-2015, n. 20107. Il diritto potestativo di aderire alla transazione stipulata da altri deve con-
siderarsi tacitamente rinunciato ove l’interessato opti per la instaurazione o la prosecuzione della lite (Cass.
11-7-2013, n. 17198).
71
Cass., sez. un., 30-12-2011, n. 30174.
72
L’art. 13041, nel consentire che il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla stipulazione
della transazione tra creditore e uno dei debitori solidali, se ne possa avvalere, si riferisce esclusivamente al-
l’atto di transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, mentre non include la transazione parziale che, in
quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi
aderisce e non può coinvolgere gli altri condebitori, che non hanno alcun titolo per profittarne (Cass. 10-7-2020,
n. 14711; Cass., sez. un., 30174/2011 cit.; Cass. 19541/2015; Cass. 16087/2018).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 691

sazione “sulla quota” comporta lo scioglimento del vincolo solidale rispetto al debitore
transigente; incide sulla debitoria provocando la riduzione dell’intero debito in modo
diversificato: in una misura pari all’importo pagato (se coerente con la quota di debito)
ovvero in una misura pari alla quota del debitore transigente (se l’importo pagato è infe-
riore alla quota), rimanendo gli altri condebitori obbligati solidalmente al pagamento del
debito residuo ciascuno per la propria quota 73.
La prescrizione segue il regime generale, adeguato al vincolo solidale. Gli atti con i
quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido, oppure
uno dei creditori in solido interrompe la prescrizione contro il comune debitore, hanno
effetto riguardo agli altri debitori o agli altri creditori (art. 13101) 74. La sospensione della
prescrizione nei rapporti di uno dei debitori o di uno dei creditori in solido non ha effet-
to riguardo agli altri; tuttavia il debitore che sia stato costretto a pagare ha regresso con-
tro i condebitori liberati in conseguenza della prescrizione (art. 13102). La rinunzia alla
prescrizione fatta da uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri; fatta in
confronto di uno dei creditori in solido, giova agli altri. Il condebitore che ha rinunziato
alla prescrizione non ha regresso verso gli altri debitori liberati in conseguenza della pre-
scrizione (art. 13103).
La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore
e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri credi-
tori (art. 13061), e non comporta litisconsorzio necessario 75, anche per l’ipotesi di illecito
congiuntivo 76. Però gli altri debitori possono opporre la sentenza al creditore, salvo che sia

73
Qualora la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto
solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si ridu-
ce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una
somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che
faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli
altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto (Cass., sez. un., 30174/2011
cit.); conf. Cass. 26113/2016. Sono le ipotesi, frequenti nella pratica della responsabilità medica con obbli-
gazione solidale del medico e della struttura sanitaria (pubblica o privata), in cui la compagnia assicurativa
della struttura sanitaria o del medico mette a disposizione il massimale e transige con il creditore il debito
della struttura o del medico.
74
In tema di risarcimento del danno derivante da fatto illecito imputabile a più danneggianti in solido tra
loro ex art. 2055, la diversità dei titoli della responsabilità ascrivibile ai vari coobbligati non incide sull’in-
terruzione del termine di prescrizione, che resta disciplinata dai principi sulle obbligazioni solidali e, segna-
tamente, dall’art. 13101 (Cass. 5-9-2019, n. 22164).
75
Quando siano convenuti nel medesimo giudizio tutti i condebitori di una obbligazione solidale, poiché
quest’ultima determina la costituzione di tanti rapporti obbligatori, quanti sono i condebitori, si realizza la
“coesistenza nel medesimo giudizio di più cause scindibili”, rispetto alle quali, in sede d’impugnazione, i motivi
di gravame non si comunicano dall’uno all’altro dei coobbligati; pertanto come, rigettato l’appello di uno dei
condebitori, questi non può avvalersi, opponendola al creditore, della riforma della sentenza di primo grado
pronunciata in accoglimento di uno o più motivi di gravame dedotti da altro condebitore, egualmente – qua-
lora siano rigettati gli appelli di tutti i condebitori – ciascuno di questi non può dedurre quali motivi di ricor-
so per Cassazione questioni che abbiano formato oggetto di motivi specifici di appello proposti dagli altri
condebitori, poiché, in sede di legittimità, tali questioni sarebbero nuove rispetto a lui e, quindi, inammissibili
(Cass., sez. un., 18-6-2010, n. 14700); conf. Cass. 11-7-2013, n. 17198; Cass. 22-3-2011, n. 6486. Comune ap-
plicazione è in tema di fideiussione (Cass. 17-11-2016, n. 23422).
76
Il carattere solidale dell’obbligazione risarcitoria, escludendo la configurabilità di un rapporto unico ed
inscindibile tra i soggetti che abbiano concorso nella produzione del danno, comporta, sul piano processuale,
“l’autonomia delle domande cumulativamente proposte” nei confronti degli stessi, la quale impedisce di ravvi-
692 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

fondata sopra ragioni personali al condebitore, e analogamente gli altri creditori possono
farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascu-
no di essi (art. 13062). Opera in particolare il c.d. principio del giudicato riflesso, per cui un
coobbligato può avvalersi del giudicato favorevole emesso in un giudizio promosso da al-
tro coobbligato anche se non vi ha partecipato, sebbene con le comuni preclusioni proces-
suali 77. Una normativa particolare vale per il deferimento del giuramento 78.

14. Obbligazioni alternative e facoltative. – La rilevanza della dicotomia inerisce


alla prestazione dovuta, in funzione del risultato da procurare al creditore. Quando
sono dedotte in obbligazione due o più prestazioni, è importante stabilire se il debitore
sia obbligato ad eseguire tutte le prestazioni o una sola di esse. Si è visto come l’ob-
bligazione è cumulativa quando sono dedotte in obbligazione più prestazioni. In tale
ipotesi bisogna stabilire la connessione tra le prestazioni: se cioè il debitore è tenuto ad
eseguire tutte le prestazioni o una sola di esse e con quali modalità: nella seconda ipotesi
rileva la distinzione tra obbligazioni alternative e obbligazioni facoltative.
a) Nelle obbligazioni alternative due o più prestazioni sono dedotte in obbligazione
in modo disgiuntivo e cioè alternativo. Quando le prestazioni sono due, il debitore si
libera eseguendo una delle due prestazioni dedotte; non può però costringere il credito-
re a ricevere parte dell’una e parte dell’altra (art. 1285). Una figura tipica è il legato al-
ternativo (art. 665). Le stesse regole valgono quando le prestazioni dedotte in obbliga-
zione sono più di due (c.d. obbligazioni con alternativa multipla: art. 1291). Le presta-
zioni possono avere valori diversi già alla costituzione del rapporto obbligatorio o dive-
nire successivamente tali: rileva pertanto la vita dell’obbligazione.
Connotato precipuo è la scelta della prestazione dovuta, che determina la c.d. con-
centrazione dell’obbligazione: a seguito della scelta, la obbligazione diviene semplice.
Il potere di scelta spetta di regola al debitore, se non è attribuito al creditore o a un
terzo (art. 12861). La scelta può essere compiuta espressamente o tacitamente con la ese-

sare non solo un litisconsorzio necessario tra gli autori dell’illecito, ma anche un rapporto di dipendenza tra
l’affermazione o l’esclusione della responsabilità di alcuni di essi e l’accertamento del contributo fornito dagli
altri, a meno che la responsabilità dei primi non debba necessariamente essere ricollegata a quella di questi
ultimi, per effetto dell’obiettiva interrelazione esistente, sul piano del diritto sostanziale, tra le rispettive posi-
zioni (Cass. 20-12-2012, n. 23650).
77
L’effetto favorevole riflesso può essere invocato solamente da un soggetto che non sia diretto destinata-
rio di un diverso e contrario giudicato formatosi nel frattempo; la mancata impugnazione da parte di uno dei
debitori solidali, in quanto soccombenti in giudizio relativamente ad un rapporto obbligatorio scindibile,
quale è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti,
ancorché altri condebitori solidali l’abbiano impugnata (Cass. 14-7-2009, n. 16390; Cass. 26-3-2007, n. 7308).
Il meccanismo opera anche rispetto alla solidarietà tributaria: la facoltà per il coobbligato d’imposta di avvalersi
del giudicato favorevole emesso in un giudizio promosso da un altro coobbligato, secondo la regola generale
dell’art. 2306 c.c., opera, come riflesso dell’unicità dell’accertamento e della citata estensibilità del giudicato,
sempre che non si sia già formato un giudicato contrario sul medesimo punto (Cass. 23-3-2016, n. 5725).
78
Il giuramento sul debito e non sul vincolo solidale, deferito da uno dei debitori in solido al creditore o
da uno dei creditori in solido al debitore, ovvero dal creditore a uno dei debitori in solido o dal debitore a
uno dei creditori in solido, produce gli effetti seguenti: il giuramento ricusato dal creditore o dal debitore,
ovvero prestato dal condebitore o dal concreditore in solido, giova agli altri condebitori o concreditori; il giu-
ramento prestato dal creditore o dal debitore, ovvero ricusato dal condebitore o dal concreditore in solido,
nuoce solo a chi lo ha deferito o a colui al quale è stato deferito (art. 1305).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 693

cuzione di una delle prestazioni. La scelta diviene irrevocabile con l’esecuzione di una
delle prestazioni ovvero con la comunicazione della scelta all’altra parte, o a entrambe le
parti se la scelta è fatta da un terzo (art. 12862). Quando il debitore, condannato alterna-
tivamente a due prestazioni, non ne esegue alcuna nel termine assegnatogli dal giudice,
la scelta spetta al creditore (art. 12871).
Se la scelta spetta al creditore e questi non l’esercita nel termine stabilito o in quello
fissatogli dal debitore, la scelta passa a quest’ultimo (art. 12872). Se la scelta deve essere
fatta da più persone, il giudice può fissare loro un termine; se la scelta non è fatta nel
termine stabilito, essa è fatta dal giudice (art. 12863). Analogamente, se la scelta è rimessa
a un terzo e questi non la fa nel termine assegnatogli, essa è fatta dal giudice (art. 12873).
Un regime articolato è quello della impossibilità della prestazione. Se una delle due
prestazioni non poteva formare oggetto di obbligazione o è divenuta impossibile per
causa non imputabile ad alcuna delle parti, l’obbligazione si considera semplice sin dal-
l’inizio (art. 1288). Se la prestazione scelta diventa successivamente impossibile per causa
non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue 79.
Regole articolate operano per l’ipotesi in cui la sopravvenuta impossibilità di una del-
le prestazioni sia imputabile ad uno dei soggetti. Quando (come di regola) la scelta spet-
ta al debitore, se una delle due prestazioni diventa impossibile per causa a lui imputabi-
le, l’obbligazione alternativa diviene semplice; se una delle due prestazioni diviene im-
possibile per colpa del creditore, il debitore è liberato dall’obbligazione, qualora non pre-
ferisca eseguire l’altra prestazione e chiedere il risarcimento dei danni (art. 12891). Qua-
lora entrambe le prestazioni diventino impossibili e il debitore debba rispondere riguar-
do a una di esse, egli deve pagare l’equivalente di quella che è divenuta impossibile per
ultima, se la scelta spettava a lui; se la scelta spettava al creditore, questi può domandare
l’equivalente dell’una o dell’altra (art. 1290).
b) Le obbligazioni facoltative, meglio dette con facoltà alternativa, sono caratterizzate
per essere una sola prestazione dedotta in obbligazione: è dunque una obbligazione sem-
plice, essendo la prestazione unica e determinata fin dall’origine 80. Non hanno una di-
sciplina specifica, ma la relativa struttura ne indirizza la regolazione. È accordata al debi-
tore la facoltà di liberarsi eseguendo una prestazione diversa, di regola, preventivamente
pattuita; più raramente è accordata al creditore la facoltà di scegliere una diversa presta-
zione 81. In ogni caso, se perisce o diviene impossibile l’unica prestazione dovuta, per
causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue.
Nelle obbligazioni facoltative le vicende della prestazione dovuta (unica dedotta in
obbligazione) non si riflettono sull’altra, per essere questa solo oggetto di facoltà soluto-

79
Per un’applicazione in tema di legato, v. Cass. 4-5-2012, n. 6772.
80
La concisione del linguaggio romano così caratterizzava la distinzione tra obbligazione alternativa e obbli-
gazione facoltativa: nella obbligazione alternativa, duae res, vel plures, sunt in obligatione; una autem in solutione;
nella obbligazione facoltativa, una res est in obligatione, duae autem in facultate solutionis.
81
Nella ipotesi in cui sia attribuita al creditore la facoltà di scegliere la diversa prestazione, il creditore de-
cade dalla scelta dopo che il debitore ha eseguito la prestazione dovuta. La prestazione dedotta come oggetto
della obbligazione facoltativa si pone accanto a quella dedotta come oggetto della obbligazione principale ed è
dovuta solo in via subordinata e secondaria qualora venga preferita dal creditore stesso e costituisca quindi
l’oggetto di una sua specifica ed univoca opzione, che, peraltro, può essere esercitata solo fino al momento
in cui non vi sia stato l’adempimento della prestazione principale (Cass. 16-8-2000, n. 10853).
694 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

ria del debitore. Una fattispecie di obbligazione facoltativa si trova in materia di obbliga-
zioni pecuniarie: se la somma dovuta dal debitore è determinata in una moneta non
avente corso legale nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale, al corso
del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento (art. 1278).

15. Obbligazioni divisibili e indivisibili. – La peculiarità della dicotomia inerisce al-


l’oggetto dell’obbligazione: la legge regola tali obbligazioni nella essenziale prospettiva
delle obbligazioni plurisoggettive, per le necessarie differenziazioni con il regime della so-
lidarietà.
a) Le obbligazioni indivisibili sono quelle la cui prestazione ha “ad oggetto una cosa
o un fatto che non è suscettibile di divisione per sua natura o per il modo in cui è stato
considerato dalle parti contranti” (art. 1316). Consegue che la indivisibilità inerisce sem-
pre all’oggetto (cosa o fatto); dove per fatto non si intende il comportamento e dunque la
prestazione ma, secondo la norma, l’oggetto del comportamento e dunque l’utilità dovu-
ta. Come si è rilevato, l’obbligazione è divisibile o indivisibile secondo che l’adempimen-
to di ciascuna delle obbligazioni risultanti dal suo frazionamento procuri o no al credito-
re, proporzionalmente, la stessa utilità che sarebbe offerta dall’adempimento dell’obbli-
gazione totale 82. La indivisibilità è oggettiva quando l’oggetto è in sé non frazionabile in
parti (es. consegna di un cavallo o di un televisore); è soggettiva quando le parti conside-
rano l’oggetto e cioè il risultato della prestazione non frazionabile, ancorché lo sia in na-
tura (es. consegna di un carico di merce necessario per il conseguimento di un obiettivo
produttivo). Talvolta è la legge a considerare un debito indivisibile.
Quando l’obbligazione è plurisoggettiva, si applicano le norme relative alle obbliga-
zioni solidali, in quanto applicabili (art. 1317). Pertanto tutte le obbligazioni indivisibili
sono anche solidali, ma non è vero il contrario, appunto per la diversa funzione della
indivisibilità e della solidarietà. Risiedendo il fondamento della indivisibilità nella ini-
doneità dell’oggetto ad essere frazionato in parti, per l’art. 1318 la indivisibilità opera
anche nei confronti degli eredi del debitore o di quelli del creditore (diversamente dalla
solidarietà per cui l’obbligazione si divide tra gli eredi di uno dei condebitori o di uno
dei concreditori in proporzione delle rispettive quote ex art. 1295). Ciascuno dei credi-
tori può esigere l’esecuzione dell’intera prestazione indivisibile; ma l’erede del credito-
re, che agisce per il soddisfacimento dell’intero, deve dare cauzione a garanzia dei coe-
redi (art. 1319) 83.
b) Le obbligazioni divisibili, per contrapposto, sono quelle la cui prestazione ha ad
oggetto una cosa o un fatto divisibili. La rilevanza di queste si coglie con riguardo alle
obbligazioni plurisoggettive (quando sussistono più debitori e/o creditori) e non opera
la solidarietà; l’obbligazione divisibile è considerata come obbligazione parziaria (VII,
1.12), per cui ciascuno dei creditori può domandare il soddisfacimento del credito solo

82
Si è specificato che il frazionamento dell’oggetto della prestazione debba avvenire in porzioni uguali
e contemporanee: le porzioni devono essere uguali al tutto, come criterio di proporzionalità delle utilità; e
devono essere contemporanee, in quanto venendo ad esistenza in tempi diversi potrebbero avere valori
diversi.
83
Se uno dei creditori ha fatto remissione del debito o ha consentito a ricevere un’altra prestazione in luogo
di quella dovuta (dazione in pagamento), il debitore non è liberato verso gli altri creditori (art. 13201). La stessa
regola vale in tema di transazione, novazione, compensazione e confusione (art. 13202).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 695

per la sua parte e ciascuno dei debitori è tenuto a pagare il debito solo per la sua parte
(art. 1314). L’unica regola peculiare è introdotta dall’art. 1315, per cui il beneficio della
divisione non può essere opposto da quello tra gli eredi del debitore che è stato incarica-
to di eseguire la prestazione o che è in possesso della cosa dovuta, se questa è certa e de-
terminata. In ogni caso, anche se l’obbligazione è divisibile, il creditore può sempre rifiu-
tare un adempimento parziale, salvo che la legge o gli usi non dispongano diversamente
(art. 1181).

16. Obbligazioni pecuniarie (debiti di valuta e debiti di valore). – La peculiarità


di tali obbligazioni inerisce alla natura dell’oggetto dell’obbligazione, rappresentata dal
danaro (II, 2.4). Sono le obbligazioni più diffuse e più estesamente regolate dal codice
civile e da leggi particolari. La specificità delle stesse deriva dal fatto che il danaro, negli
ordinamenti valutari moderni, non ha un valore intrinseco: rileva nella società, non per
la sua materialità, ma per la duplice funzione assolta di unità di misura dei valori econo-
mici e di mezzo generale di scambio. In sostanza rileva per il suo potere di acquisto ed è
perciò termine di valutazione dei beni in economia in più direzioni (ad es. nelle forniture
di cose o servizi, nelle prestazioni di lavoro, nella determinazione del risarcimento per
equivalente, ecc.). È frequente ragione di contestazione la connessione dell’obbligazione
con il trattamento fiscale dell’operazione: per la giurisprudenza è il creditore a dovere
provare la non inclusione dell’Iva nella somma dovuta dal debitore 84.
Per essere il danaro un bene per sua essenza fungibile, di regola ne è sempre possibile
la dazione. Ma, come si vedrà, la stringente crisi economica e finanziaria in atto sta fa-
cendo emergere la necessità di valutare anche lo sforzo richiesto al debitore nell’adempi-
mento a fronte dei valori coinvolti dal singolo rapporto (VII, 4.2).
Da tempo, in funzione della dilatazione delle piazze economiche e di velocizzazione e
sicurezza dei mezzi di pagamento, è in atto un processo di progressiva smaterializzazione
del danaro, passandosi dal metallo prezioso a quello vile e poi alla carta, fino alla inter-
mediazione bancaria, come mezzo ormai diffuso di pagamento. È anzi prassi diffusa che i
pagamenti di maggiore importo siano eseguiti a mezzo bonifici o assegni circolari o ban-
cari (per questi ultimi “salvo buon fine”), il cui rifiuto ingiustificato è peraltro considerato
contrario a buona fede 85. Le esigenze del commercio internazionale hanno evidenziato
la essenzialità della intermediazione bancaria nella esecuzione degli scambi tra piazze
diverse (artt. 1527 ss.). Nell’esperienza recente si fa anche ricorso alla movimentazione
elettronica dei fondi e alle tecniche di c.d. moneta elettronica (direttive 2000/46/CE e
2000/28/CE del 18.9.2000, attuate con L. 1.3.2002, n. 39, come modificata dal D.Lgs.

84
L’imposta Iva, disciplinata dal D.P.R. 633/1972, costituisce una parte del quantum dovuto al creditore,
la cui prova, secondo i principi generali, incombe su chi ne chieda il relativo pagamento e non sul debitore
che ne contesti la spettanza, potendo le parti raggiungere uno specifico accordo in ragione delle condizioni
soggettive o di altri profili negoziali (Cass. 19-1-2022, n. 1612; Cass. 19502/2009).
85
L’adempimento, da parte del debitore, della propria obbligazione pecuniaria con un sistema di paga-
mento con messa a disposizione del “valore monetario” spettante, che assicuri ugualmente la disponibilità
della somma dovuta, non legittima il creditore a rifiutare il pagamento stesso essendo all’uopo necessario che
il rifiuto sia sorretto anche da un giustificato motivo, che il creditore deve allegare ed all’occorrenza anche
provare (Cass., sez. un., 4-6-2010, n. 13658). Per Cass. 10-6-2013, n. 14531, il rifiuto del creditore di riceversi
il pagamento con un sistema diverso dalla moneta avente corso legale nello Stato senza un giustificato motivo
è contrario al principio di correttezza e buona fede.
696 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

16.4.2012, n. 45, che hanno inserito gli artt. 114 bis ss. nel TUB). Mentre una divisa digi-
tale, legata a strutture private (Bitcoin) 86, sta evidenziando incerti sviluppi. Può oggi ri-
tenersi che l’oggetto dell’obbligazione pecuniaria risieda nel procurare al creditore (at-
traverso provviste e modalità diversificate) la disponibilità di una somma di danaro.
Per riferirsi tali obbligazioni al danaro emergono delicati problemi inerenti all’uso
della moneta oggetto di pagamento e al valore economico della stessa.
a) Uso della moneta. Problema primo è quello della identificazione della moneta da
utilizzare nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria. Per regola generale i debiti
pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamen-
to (art. 12771). È la c.d. valuta, come unità valutaria di uno specifico ordinamento (na-
zionale o più vasto), nella quale sono espressi i mezzi di pagamento 87.
La moneta unica europea (e quindi la valuta europea) è l’Euro (Reg. C.E. 974/1998 e
D.Lgs. 24.6.1998, n. 213 e successive modifiche), che ha iniziato il suo corso legale
l’1.1.2002; perciò circola “di diritto” nei paesi dell’Unione europea. Per realizzare gli
scambi extraeuropei si stabilisce il rapporto delle varie monete con l’Euro.
Crescono le limitazioni all’uso del danaro contante, vuoi per contrastare il c.d. rici-
claggio di danaro sporco (proveniente da attività criminose) e l’attività terroristica, vuoi
per combattere la evasione e l’elusione fiscale; contestualmente sono attivate misure di
tracciamento dei pagamenti anche nella stipula dei contratti, con la richiesta di strumenti
bancari ed elettronici di trasferimento di fondi.
b) Valore della moneta. È essenziale stabilire il rapporto della moneta con la realtà
economica, per verificare l’importo necessario per estinguere l’obbligazione. All’uopo è
di fondamentale importanza la distinzione tra due modelli di riferimento: debiti di valuta
e debiti di valore 88.
1) Di regola la moneta è dedotta in obbligazione per il suo “valore nominale”, per cui
la moneta dovuta assume un valore in sé (c.d. debiti di valuta). Sono all’uopo dettati al-
cuni principi generali, in quanto non siano in contrasto con ulteriori principi derivanti
da leggi speciali, secondo la normativa valutaria vigente (art. 1281).
I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo
del pagamento e per il suo valore nominale (art. 12771). Se la somma dovuta era deter-
minata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve
farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima (art. 12772) (è avvenuto con
l’introduzione dell’Euro in luogo della Lira). Le obbligazioni pecuniarie sono connotate

86
Il meccanismo si fonda su un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle tran-
sazioni e sfruttano la crittografia per implementare le caratteristiche più importanti come il fatto di per-
mettere di spendere bitcoin solo al legittimo proprietario, e di poterlo fare una volta sola. I bitcoin possono
essere salvati su di un personal computer sotto forma di “portafoglio” o mantenuti presso terze parti che
svolgono funzioni simili ad una banca, e venire trasferiti attraverso Internet a chiunque disponga di un
“indirizzo bitcoin”. Il sistema è totalmente basato sulla comunità che lo popola: stanno così emergendo i
percorsi perversi di tale moneta virtuale, quali l’evasione e l’elusione fiscale, il riciclaggio di danaro, il fi-
nanziamento di attività illecite.
87
Nel lessico bancario, l’espressione “giorno di valuta” indica il giorno esatto in cui viene riconosciuto
l’accredito o l’addebito di una somma sul conto di un cliente.
88
Bisogna avere riguardo “all’oggetto diretto e originario della prestazione”, che, nelle obbligazioni di va-
luta, è una somma di danaro a nulla rilevando la eventuale indeterminatezza originaria della stessa, nelle ob-
bligazioni di valore è una cosa diversa dal danaro (Cass. 18-7-2008, n. 19958).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 697

da un principio nominalistico, per cui il pagamento deve avvenire con la moneta


espressa e nell’ammontare indicato, quale che sia il valore economico e dunque il potere
di acquisto nel frattempo assunto dalla moneta. Se la somma dovuta è determinata in
una moneta non avente corso legale nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in mone-
ta legale, al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il paga-
mento (art. 1278) (grava sul creditore il rischio della oscillazione del cambio); la disposi-
zione non si applica se la moneta non avente corso legale nello Stato è indicata con la
clausola “effettivo” o altra equivalente, salvo che alla scadenza dell’obbligazione non sia
possibile procurarsi tale moneta (art. 1279). Il fenomeno era diffuso nei rapporti com-
merciali prima della introduzione dell’euro, facendosi ad es. obbligo alla impresa debi-
trice di pagare con dollaro statunitense o marco tedesco, così da neutralizzare gli effetti
della svalutazione della lira.
Il principio nominalistico ha il vantaggio di offrire certezza alla misura del debito e
di contenere l’inflazione; ma ha anche i suoi effetti distorti, facendo risentire al credito-
re le conseguenze della svalutazione monetaria: sul creditore grava il rischio dell’in-
flazione.
2) Diversamente avviene quando la moneta è dedotta in obbligazione in funzione di
parametro di un diverso bene (debiti di valore). La prestazione, pur consistendo nella corre-
sponsione di una somma di danaro, assume una funzione succedanea di un diverso bene
dovuto: l’obbligazione ha ad oggetto una somma di danaro, considerata non in quanto
tale fin dall’inizio (cioè determinata con riferimento all’unità valutaria, come nella obbli-
gazione di valuta), bensì come espressiva di un valore reale cui è ragguagliata al mo-
mento del pagamento.
Tipica è l’obbligazione di risarcimento danno derivante da fatto illecito (contrat-
tuale o extracontrattuale: artt. 1218 e 2043). Il danaro assume la mera funzione di metro
di ricostituzione di un valore economico, al fine di reintegrare l’interesse leso: la somma
da corrispondere è proporzionale alla natura e alla intensità della lesione, ed è determi-
nata in corrispondenza di un valore economico reale da ricostituire, riferito al momento
della reintegrazione (per il danno non patrimoniale, è generalmente determinato in via
equitativa, ai sensi degli artt. 2059, 2056 e 1226). Ad es., a seguito di un incidente strada-
le, il responsabile del sinistro è obbligato, a titolo di risarcimento danni, a corrispondere
una somma sufficiente a reintegrare più voci, come la riparazione dell’auto danneggiata,
il ristoro del proprietario per la sosta tecnica dell’auto, l’eventuale ulteriore ristoro per
lesione alla salute, ecc. Anche l’inadempimento di una obbligazione non pecuniaria, se è
impossibile la prestazione in forma specifica, dà luogo ad una obbligazione risarcitoria
sostitutiva che ha natura di debito di valore. L’operazione rivolta alla quantificazione
della (complessiva) somma dovuta dall’autore del danno per reintegrare i danni prodotti
è la “liquidazione del danno”, con la quale è determinato il debito dell’autore dell’illecito
per il ristoro dei danni arrecati (determinazione del debito): la somma dovuta per il ristoro
della vittima (c.d. debito di valore) si converte in uno specifico importo dovuto, determi-
nato all’attualità della liquidazione, diventando debito di valuta.
In sostanza il debito di valore è sottratto al principio nominalistico. Il debito di valore
inizia a operare dalla data dell’illecito; con la liquidazione è valutato il danno da risarci-
re, convertendosi in debito di valuta, con maturazione degli interessi sulla somma rivalu-
tata (come appresso si vedrà).
698 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

c) Rivalutazione. Per ovviare alla rigidità del principio nominalistico, esistono molte-
plici meccanismi di riequilibrio della svalutazione monetaria, in grado di garantire
al creditore il conseguimento di un valore economico (c.d. reale) ragguagliato all’importo
fissato al momento della costituzione del rapporto: il danaro è cioè dedotto in obbliga-
zione per il valore economico che lo stesso esprime. Tali meccanismi possono provenire
dalla legge o essere concordati tra i privati.
Sono crescenti le aree di previsione legale di criteri di rivalutazione: si pensi all’as-
segno di divorzio, relativamente al quale l’art. 57 L. 1.12.1970, n. 898, prevede che la sen-
tenza che dispone un assegno divorzile deve prevedere un criterio di adeguamento au-
tomatico dell’assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria,
tranne espressa esclusione del tribunale in caso di palese iniquità (criterio applicato an-
che all’assegno di mantenimento); si pensi anche ai crediti di lavoro, rispetto ai quali l’art.
4293 c.p.c. prevede che la sentenza di condanna al pagamento di somme di danaro per
crediti di lavoro deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior dan-
no eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, con
decorrenza dal giorno della maturazione del diritto; analogamente è previsto con riguar-
do a somme dovute per controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatoria
(art. 442 c.p.c.).
Tra i criteri di rivalutazione convenzionale, già il codice civile consente ai privati di
ancorare il pagamento ad una valuta estera forte.
Spesso i privati utilizzano clausole di salvaguardia monetaria con le quali l’importo do-
vuto è ancorato al corrispondente valore di un metallo (oro, diamante, ecc.) o di un di-
verso bene (es. petrolio) (la più diffusa per il passato era la c.d. “clausola oro”, con la
quale il debitore si impegnava a pagare, alla scadenza, una somma corrispondente al va-
lore di una quantità di oro stabilita all’atto della costituzione del rapporto). Oggi è più
frequente il ricorso a clausole di indicizzazione della somma dovuta al costo della vita,
quale è accertato dall’Istituto di statistica (c.d. indici Istat): la crescita percentuale del co-
sto della vita comporta l’automatico incremento dell’importo dovuto dal debitore (es. 2
per cento, ecc.).

17. Il regime degli interessi. – È acquisita alla scienza economica la naturale fecondi-
tà del danaro. In ragione di ciò l’ordinamento connette alla obbligazione pecuniaria (quale
che sia la sua fonte e la sua causa) l’obbligazione accessoria di pagamento degli interessi
per il fatto in sé di utilizzare danaro altrui o di essere in ritardo nel pagamento 89. Per il
rapporto di accessorietà che lega gli interessi al capitale, la sorte degli interessi segue le
vicende del capitale, anche con riferimento al termine di prescrizione 90.
a) Funzione degli interessi. È possibile ricondurre le variegate ipotesi di correspon-
sione di interessi a due fondamentali funzioni: remuneratoria e sanzionatoria.
1) La funzione remuneratoria attiene alla utilizzazione di danaro altrui o destinato ad

89
L’art. 8103 considera frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento
che altri ne abbia. Tali sono considerati, tra gli altri, “gli interessi dei capitali”.
90
L’accessorietà del credito di interessi rispetto a quello del capitale determina l’omogeneità del regime
della prescrizione; pertanto ove il termine prescrizionale del capitale non possa decorrere, vale lo stesso dies a
quo per il decorso di quello degli interessi (Cass. 15-10-2013, n. 23385).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 699

altri. Rilevano due categorie di interessi con funzione remuneratoria, in ragione del ri-
spettivo fondamento: corrispettivi e compensativi.
La qualifica di interessi corrispettivi non è nella legge ma è tradizionalmente im-
piegata per indicare gli interessi dovuti da un soggetto in via corrispettiva al godimento
del danaro da altri prestatogli (c.d. frutti civili): sono dovuti in funzione correlativa del
vantaggio che il debitore ritrae dal trattenere presso di sé somme di danaro ricevute in
prestito o lasciate in sua disponibilità. Rileva la Relaz. cod. civ. come, negli interessi
corrispettivi, la prestazione degli interessi assume il carattere di compenso per l’uso le-
gittimo del danaro, come è nell’essenza della corrispettività (n. 570). Per l’art. 18151 il
mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante, salvo diversa volontà delle parti
(per la determinazione degli interessi si osserva l’art. 1284). Per l’art. 12821, “i crediti li-
quidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto”, salvo che la
legge o il titolo non dispongano diversamente 91. Devono ricorrere entrambi i requisiti di
liquidità 92 e esigibilità 93: i crediti devono dunque essere liquidi (cioè determinati nel loro
ammontare) e esigibili (cioè scaduti), perché solo con riferimento a questi il creditore ha
diritto di realizzare il proprio credito 94. La maturazione degli interessi è di diritto e cioè
automatica, quale corrispettivo del vantaggio conseguente all’uso del danaro altrui 95.
Gli interessi compensativi hanno la funzione equitativa di ristabilire l’equilibrio
economico tra i contraenti, tendendo a compensare l’una parte del mancato godimento
dei frutti della cosa consegnata all’altra parte prima di ricevere la controprestazione. Tali
interessi operano quando i crediti non sono liquidi ed esigibili, e quindi non può operare
il criterio corrispettivo generale dell’art. 12821 innanzi delineato, ma intanto il debitore
trae vantaggio dalla complessiva operazione. Un riferimento specifico è in materia di
vendita: salvo diversa pattuizione, quando la cosa venduta è stata consegnata al compra-

91
Ad es., salvo patto contrario, i crediti per fitti e pigioni non producono interessi se non dalla costituzio-
ne in mora (art. 12822). Se il credito ha per oggetto rimborso di spese fatte per cose da restituire, non decor-
rono interessi per il periodo di tempo in cui chi ha fatto le spese abbia goduto della cosa senza corrispettivo e
senza essere tenuto a render conto del godimento (art. 12823).
92
La liquidità del credito – cioè la determinazione del suo ammontare in una quantità definita, o la sua
determinabilità mediante meri calcoli aritmetici in base ad elementi o criteri prestabiliti dal titolo o dalla legge
– è una caratteristica oggettiva sulla quale non incide l’eventuale contestazione da parte del debitore, che at-
tiene all’accertamento del credito, non alla sua consistenza (Cass. 29-11-2006, n. 25365).
93
Per le locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciale, l’obbligazione gravante sul condut-
tore di rilasciare l’immobile alla scadenza e l’obbligazione gravante sul locatore di corrispondergli l’indennità
di avviamento commerciale sono legate da un rapporto di reciproca dipendenza, tanto che ciascuna delle pre-
stazioni non è esigibile in mancanza dell’adempimento, o dell’offerta di adempimento dell’altra; consegue che
gli interessi sulla somma dovuta a titolo di indennità di avviamento commerciale non iniziano a decorrere fin-
ché non è avvenuto il rilascio dell’immobile (Cass. 25-2-2014, n. 4443).
94
Gli interessi corrispettivi decorrono dalla data in cui il credito è divenuto liquido ed esigibile, cioè da
quando l’importo è determinato e il pagamento non è, o non è più, dilazionato da termine o condizione, sen-
za che in contrario rilevi che il debitore fosse impedito a pagare da sequestri o pignoramenti eseguiti sulle
somme dovute, in quanto tale temporanea indisponibilità, estrinseca al credito, non fa venir meno il vantag-
gio che il debitore ritrae dal trattenere le somme (Cass. 22-12-2011, n. 28204).
95
Ad interessi corrispettivi hanno anche riguardo specifiche normative: ad es., per il mutuo, il mutuatario
deve di regola corrispondere gli interessi al mutuante per le somme prese a prestito (art. 1815); rispetto al
conto corrente, sulle rimesse decorrono gli interessi (art. 1825); per il contratto di locazione, il deposito cau-
zionale è produttivo di interessi legali, che il locatore deve corrispondere al conduttore alla fine di ogni anno
(art. 11 L. 392/1978).
700 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

tore e questa produca frutti o altri proventi, decorrono gli interessi sul prezzo, anche se
questo non è ancora esigibile (art. 1499) 96. Altre ipotesi sono di derivazione giurispru-
denziale: le più ricorrenti sono in tema di fatti illeciti, relativamente al ritardo nel paga-
mento della somma dovuta a titolo di risarcimento per equivalente (artt. 1223 e 2056) 97,
riconnettendosi alla delineata configurazione di debito di valore dell’obbligazione risar-
citoria, con connessa rivalutazione della somma dovuta 98. Altre ipotesi sono in tema di
ingiustificato arricchimento, per il ritardo nel pagamento dell’indennizzo (art. 2041) (XI,
1.8); in materia di espropriazione, con riguardo al ritardo nel pagamento della somma
dovuta a titolo di “indennità” per espropriazione.
2) La funzione sanzionatoria attiene al ritardo colpevole nell’adempimento dell’obbli-
gazione. Vengono in rilievo i c.d. interessi moratori, cioè gli interessi dovuti a titolo
di risarcimento del danno per il ritardo ingiustificato nel pagamento dovuto, attraverso
una valutazione presuntiva e forfettaria dell’ordinamento; perciò operano senza necessità
di fornire la prova di avere sofferto un danno (art. 12241): per la Relaz. cod. civ., n. 570, a
seguito della mora, la prestazione di interessi assume il carattere di compenso per il ritar-
do 99. È necessaria la preventiva caduta in mora del debitore, previa costituzione in mora
o in via automatica (se ne parlerà trattando della mora del debitore: VII, 4.6). Se il credi-
tore dimostra di avere sofferto un “danno maggiore”, gli spetta l’ulteriore risarcimento
(art. 12242), cui si connette la problematica della svalutazione monetaria (VII, 4.7). Se il

96
Per Cass. 11-5-2007, n. 10884, gli interessi compensativi sono previsti per una funzione equitativa, “mi-
rando a compensare il creditore del mancato godimento dei frutti della cosa da lui consegnata all’altra parte
prima di riceverne la controprestazione”; attesa la loro peculiare finalità, sono dovuti, “a differenza degli inte-
ressi moratori, indipendentemente dalla mora e dall’inadempimento”, e, “a differenza dagli interessi corri-
spettivi, a prescindere dalla liquidità ed esigibilità del credito”, sempre che di questo, tuttavia, siano provate
la certezza e la definitività; gli interessi compensativi non maturano quando una cosa è consegnata prima del
pagamento del prezzo in esecuzione di specifica clausola contrattuale, perché in tale ipotesi l’anticipata con-
segna della cosa rispetto al pagamento del prezzo è componente della complessiva regolamentazione degli
interessi (Cass. 14-5-2018, n. 11605; Cass. 19-4-2006, n. 9043).
97
Il dies a quo della liquidazione va individuato nelle date di consumazione degli illeciti; il dies ad quem,
invece, va individuato nella data di pubblicazione della sentenza che liquida il danno; sull’importo totale, così
calcolato, sono dovuti gli interessi legali dalla pubblicazione della decisione fino all’effettivo soddisfo ex art.
12821. A seguito della pubblicazione, difatti, tutte le somme per cui è condanna risarcitoria divengono certe,
liquide ed esigibili, determinandosi la conversione del debito di valore in debito di valuta e devono pertanto
essere calcolati gli interessi c.d. corrispettivi o di diritto. Gli interessi compensativi sulla somma dovuta a tito-
lo di risarcimento del danno (contrattuale o extracontrattuale) costituiscono una componente di quest’ultimo
e, nascendo dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, devono ritenersi ricompresi nella
domanda di risarcimento e possono essere liquidati d’ufficio (Cass. 15-2-2017, n. 4028). Secondo i criteri se-
guiti costantemente dalla Cassazione (sez. un., 17-2-1995, n. 1712; 10-3-2006, n. 5234), devono essere corri-
sposti gli interessi legali sulla somma rivalutata, anno per anno.
98
Secondo i criteri seguiti costantemente dalla Cassazione (sez. un., 17-2-1995, n. 1712; sez. III, 10-3-2006, n.
5234), devono essere corrisposti gli interessi legali sulla somma rivalutata, anno per anno.
99
Nei rapporti bancari, in caso di contratto di mutuo, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrat-
tualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacché i primi costituisco-
no la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono
una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento; essi, pertanto, non si possono fra
loro cumulare; tuttavia, qualora il contratto preveda che il tasso degli interessi moratori sia determinato som-
mando al saggio degli interessi corrispettivi previsti dal rapporto un certo numero di punti percentuale, è al
valore complessivo risultante da tale somma, e non ai soli punti percentuali aggiuntivi, che occorre aver ri-
guardo al fine di individuare il tasso degli interessi moratori effettivamente applicati (Cass. 17-10-2019, n.
26286; Cass. 28-6-2019, n. 17447).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 701

creditore di un debito di valuta dimostra di avere sofferto un “danno maggiore” dal ritardo
di pagamento per la intervenuta svalutazione monetaria, gli spetta l’ulteriore risarcimento
(art. 12242), cui si connette la problematica della rivalutazione monetaria (VII, 4.7). Se il
creditore di un debito di valuta dimostra di avere sofferto un “danno maggiore” dal ritardo
di pagamento per la intervenuta svalutazione monetaria, gli spetta l’ulteriore risarcimento
(art. 12242), cui si connette la problematica della rivalutazione monetaria (VII, 4.7).
Possono essere considerati usurari sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori
(VIII, 9.13). Tutti i tipi di interessi (corrispettivi, compensativi o moratori), benché cor-
relati alla obbligazione pecuniaria principale, devono formare oggetto di domanda 100.
b) Fonte e saggio degli interessi. Quanto alla fonte, gli interessi possono derivare dalla
legge (interessi legali) oppure essere previsti dagli usi o fissati dalle parti (interessi con-
venzionali). Coerentemente sono determinati i tassi di interessi.
1) Gli interessi legali sono regolati dalla legge, che stabilisce la maturazione di di-
ritto e cioè automatica degli interessi: si è già detto della generale previsione degli interessi
corrispettivi che maturano di diritto (art. 12821). Si pensi anche alla maturazione degli in-
teressi legali in favore del conduttore sulla somma oggetto di deposito cauzionale (art. 11
L. 27.7.1978, n. 392). Si pensi ancora al regime degli interessi moratori nelle transazioni
commerciali (D.Lgs. 9.10.2002, n. 231, recante attuazione della direttiva 2000/35/CE, co-
me modificato dal D.Lgs. 9.11.2012, n. 192).
Indipendentemente dalla funzione assolta dagli interessi e dalla fonte di derivazione (c.d.
titolo), in assenza di diversa indicazione, opera la misura legale degli interessi (c.d. saggio o
tasso degli interessi). Il Ministro del tesoro, con proprio decreto pubblicato nella G.U. non
oltre il 15 dicembre dell’anno precedente a quello cui il saggio si riferisce, può modificarne
annualmente la misura, sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di
durata non superiore a dodici mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell’anno
(art. 12841). Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto;
altrimenti sono dovuti nella misura legale (art. 12843). Se le parti non ne hanno determinato
la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale o è promosso procedimento
arbitrale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale rela-
tiva ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (art. 12844-5).
2) Gli interessi convenzionali sono pattuiti tra creditore e debitore all’atto della
costituzione del rapporto obbligatorio o successivamente, attraverso una specifica indi-
cazione o anche con il solo rinvio a istituzioni e criteri di determinazione. Se la misura fis-
sata è superiore a quella legale, deve essere determinata per iscritto; altrimenti gli interessi
sono dovuti nella misura legale (art. 12843). Quando è necessaria la forma scritta ad sub-
stantiam, è a tal fine inidonea una ricognizione del debito, che è atto successivo alla nascita
del debito. È invece sufficiente che nel documento risulti una indicazione per relationem
del tasso di interesse 101. In ogni caso gli interessi convenzionali non possono essere usurari,

100
Gli interessi hanno fondamento autonomo rispetto alla domanda principale alla quale accedono, onde
essi possono essere attribuiti solo su espressa domanda della parte in applicazione dei principi degli artt. 99 e
112 c.p.c.; con esclusione dei soli interessi su somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, i quali inte-
grano una componente del danno nascente dal medesimo fatto generatore, il cui riconoscimento avviene per-
ciò automaticamente con la liquidazione (Cass. 7-3-2016, n. 4450).
101
Secondo Cass. 22-3-2005, n. 6187, l’obbligo della forma scritta ad substantiam imposto dall’art. 12843 per
la pattuizione di interessi convenzionali eccedenti la misura legale è soddisfatto anche quando nel documento le
parti indichino criteri certi e oggettivi, che consentano la concreta quantificazione del tasso di interesse.
702 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

integrandosi allora il reato di usura, previsto e punito dall’art. 644 c.p. Con riguardo al mu-
tuo, ma la previsione si considera di generale applicazione, se sono convenuti interessi usu-
rari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi (art. 18152) 102. A fronte di tale generale
impianto, stanno emergendo discipline particolari, talvolta di maggior tutela del debito-
re 103, talaltra di maggiore protezione del creditore 104. Dibattuto è il tasso di interesse pra-
ticato dalle banche per l’erogazione di prestiti (costo del danaro) (IX, 4.8).

18. Segue. L’anatocismo. – In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono
produrre interessi nei limiti fissati dalla legge. È il c.d. anatocismo, che matura appunto
interessi anatocistici; tecnicamente è la maturazione di interessi su interessi (interessi
composti) 105: gli interessi scaduti (cioè maturati) e non pagati diventano capitale (c.d.
capitalizzazione degli interessi), sicché sono suscettibili di produrre a loro volta interessi.
Il meccanismo è stato tradizionalmente visto con disfavore per l’incremento (spesso incon-
trollabile) della misura del debito, anche se di recente ha ricevuto una inquietante e discu-
tibile applicazione legislativa nel prestito vitalizio ipotecario (VII, 6.14).
L’art. 1283 ammette l’anatocismo, ma lo sottopone a penetranti limiti, che operano
come altrettanti presupposti di operatività. L’anatocismo può operare solo con riguardo
a interessi scaduti e dovuti almeno per sei mesi. Inoltre, quanto alla fonte, gli interessi
anatocistici vanno pattuiti con convenzione posteriore alla scadenza degli interessi sem-
plici, ovvero vanno richiesti con domanda giudiziale, specificamente e ritualmente formu-
lata, con decorrenza dalla domanda 106.
L’art. 1283 fa salvi da tali limiti gli “usi contrari”. La previsione è stata alla base della
prassi bancaria di imporre la capitalizzazione trimestrale degli interessi, inserita tra “le
norme bancarie uniformi” predisposte dall’Abi tradizionalmente considerate integrare
specifici usi. La giurisprudenza ha precisato che deve trattarsi di “usi normativi” e non
negoziali e non ha ravvisato l’esistenza di usi normativi in tal senso nel vigore del codice
civile 107. L’attuale testo dell’art. 1202 D.Lgs. 385/1993 (t.u. bancario), aggiunto dall’art.

102
L’art. 1815 è stato novellato con L. 7.3.1996, n. 108 (per approfondimenti IX, 4.8).
103
Nel settore bancario, il D.Lgs. 1.9.1993, n. 385 (TUB) prescrive che i contratti bancari devono essere
redatti per iscritto a pena di nullità e un esemplare va consegnato ai clienti; i contratti devono indicare il tasso
d’interesse ed ogni altro prezzo e condizione praticati, considerandosi nulle e come non apposte le clausole
contrattuali di rinvio agli usi per tali determinazioni (art. 117); prescrive inoltre che i contratti di credito al
consumo devono indicare, a pena di nullità, il “tasso annuo effettivo globale” (Taeg), che è il costo totale del
credito a carico del consumatore, comprensivo degli interessi e di tutti gli oneri da sostenere per utilizzare il
credito, espresso in percentuale annua del credito concesso (art. 122).
104
Nel settore delle transazioni commerciali tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni,
che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo, è stata par-
ticolarmente tutelata la posizione del creditore (D.Lgs. 9.10.2002, n. 231, recante attuazione della direttiva
2000/35/CE, come modificato dal D.Lgs. 9.11.2012, n. 192).
105
Il termine “anatocismo” deriva dal greco anatokismos, composto di ana (di nuovo) e tokismos (usura).
106
La giurisprudenza ha riconosciuto la maturazione di interessi anatocistici anche con riguardo ai crediti
dei contribuenti verso l’Amministrazione finanziaria per rimborsi di somme relative a tributi non dovuti, con-
siderandosi ammissibile nel processo tributario (e perciò innanzi alle Commissioni tributarie) la domanda di
pagamento di interessi anatocistici con le stesse regole di diritto civile comuni a pubblici e privati operatori
(Cass. 8-3-2006, n. 4935; Cass. 1-7-2004, nn. 12043 e 12060).
107
Secondo Cass. 20-2-2003, n. 2593, gli usi normativi contrari, cui espressamente fa riferimento l’art. 1283,
sono soltanto quelli formatisi anteriormente all’entrata in vigore del codice civile (né usi contrari avrebbero
potuto formarsi in epoca successiva, atteso il carattere imperativo dell’art. 1283).
CAP. 1 – RAPPORTO OBBLIGATORIO 703

25 D.Lgs. 342/1999 e poi sostituito dalla L. 147/2014 e ancora novellato dalla L. 8.4.2016,
n. 49 (di conversione con modificazioni del D.L. 14.2.2016, n. 18), ha fissato i limiti di
operatività dell’anatocismo (IX, 4.8).

19. Obbligazioni con funzioni tipizzate. – È in corso un processo di accentuata spe-


cializzazione dei rapporti obbligatori in ragione della funzione assolta e della qualità dei
soggetti coinvolti. A fianco di una normativa generale del rapporto obbligatorio contenu-
ta nei Capi da 1 a 6 del Libro IV del codice civile, neutra rispetto ai contesti socio-
economici, sussistono discipline particolari di specifici rapporti obbligatori, in funzione
della tipologia degli interessi attuati e della rilevanza degli stessi nel tessuto sociale: ope-
rano nella dimensione attiva come in quella passiva, ovvero impegnano discipline di
composizione delle inadempienze.
a) La dimensione dello stato di bisogno è declinata nel codice civile specie nella di-
mensione esistenziale e delle relazioni familiari, con la previsione della obbligazione di
alimenti (artt. 433 ss.). È significativo che la disciplina sia collocata nel Libro I dedicato
a persone e famiglia: è una obbligazione di ordine pubblico, così da limitare fortemente
l’autonomia dei soggetti circa la determinazione del contenuto e le vicende del rapporto
obbligatorio (il credito alimentare non può essere ceduto e il debitore non può opporlo
in compensazione: art. 447) (V, 1.7). Nei rapporti familiari l’obbligazione di manteni-
mento assume particolari presidi, tra i soggetti della coppia e rispetto ai figli.
b) Sussistono significative posizioni nel mercato che reclamano sostegno nell’attuazio-
ne del credito, come ad es. il credito per prestazione di lavoro. Nella normativa europea
stanno imponendosi le qualifiche di “consumatore” e “professionista”, che reagiscono sulla
disciplina generale delle obbligazioni e dei contratti 108, sì da segnare statuti diversificati dei
rapporti del consumatore con le imprese fornitrici di beni e servizi (VIII, 1.9; IX, 4.9).
c) Nei rapporti con il fisco, è emerso uno statuto specifico della obbligazione tributa-
ria, connesso all’assolvimento di interessi pubblici e perciò indisponibile dall’amministra-
zione tributaria (XI, 1.9).
d) Assume crescente rilevanza la debitoria, come declinazione dinamica dei debiti, che
non rilevano nella loro specificità ma in funzione del valore complessivo del blocco. In
presenza di una esposizione di più debiti verso vari creditori, si tende a gestire e com-
porre complessivamente la debitoria, vuoi nella collocazione sul mercato attraverso la
cartolarizzazione, vuoi per consentire una continuità aziendale nella crisi di impresa,
vuoi per fronteggiare disagi e necessità familiari e professionali da sovraindebitamento
(VII, 8).

108
Il legislatore tedesco ha modificato la normativa del codice civile (BGB) con più interventi organici:
con una legge del 2000 sono state introdotte le qualifiche di “professionista” e “consumatore” nel codice (e
dunque nella disciplina fondamentale dei rapporti privati) (II, 1.3); con la legge in vigore dal 2002 di moder-
nizzazione del diritto delle obbligazioni (Schuldrecht), è stata riorganizzata la intera materia delle obbligazioni
in coerenza con gli interventi comunitari. È da immaginare che tale modello finirà con l’imporsi agli altri Stati
europei, per la esigenza di un testo organico della variegata normativa esistente.
CAPITOLO 2
MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
(Vicende modificative)

Sommario: 1. Generalità. – A) MODIFICAZIONI NEL LATO ATTIVO. – 2. L’acquisizione del credito altrui
(e successione nel credito). – 3. Cessione del credito. Titolo e divieto di cessione. – 4. Segue. Effica-
cia della cessione. – 5. Segue. Cessione di pluralità di crediti. Il factoring. – 6. Segue. Cartolarizza-
zione dei crediti. – 7. Pagamento con surrogazione. – 8. Delegazione attiva. – B) MODIFICAZIONI
NEL LATO PASSIVO. – 9. L’assunzione del debito altrui (e successione nel debito). – 10. Delegazione
passiva. – 11. Espromissione. – 12. Accollo. – C) MODIFICAZIONI OGGETTIVE. – 13. Modificazioni
non novative. – 14. Surrogazione reale.

1. Generalità. – Durante la vita del rapporto obbligatorio possono determinarsi mo-


dificazioni del rapporto, più spesso dei soggetti (vicende modificative soggettive), più di
rado dell’oggetto (vicende modificative oggettive).
Con riguardo alle vicende modificative soggettive, c’è da prendere atto che il
diritto di credito si presenta nella realtà economica come un bene, fonte di utilità per il
creditore, e pertanto suscettibile di circolazione come un qualunque altro bene: è un
aspetto del generale fenomeno della c.d. mobilizzazione della ricchezza. Può determinar-
si un mutamento dei soggetti, così nel lato attivo (cioè con riguardo alla persona del cre-
ditore), come nel lato passivo (cioè con riferimento alla persona del debitore). Una pro-
spettiva particolare è quella della successione per causa di morte, per subentrare l’erede
nella universalità o in una quota dei rapporti giuridici di carattere patrimoniale facenti
capo al defunto (c.d. successione a titolo universale); diversamente opera il legato che
fa subentrare il legatario in un singolo rapporto (c.d. successione a titolo particolare)
(art. 588) (XII, 1.1).
Nel presente capitolo si parla delle vicende modificative soggettive di un singolo rap-
porto obbligatorio e perciò, rispettivamente, nel lato attivo o nel lato passivo del rappor-
to (in virtù di un negozio tra vivi o in forza della legge). Si vedrà come, nella vita econo-
mica, è diffusa la successione contestuale in plurimi rapporti obbligatori connessi: ad es.,
la cessione di contratto a prestazioni corrispettive comporta il subentro del cessionario
nella posizione contrattuale del cedente, che si compone di debiti e crediti (artt. 1406 ss.)
(VIII, 6.13); nella successione per causa di morte l’erede subentra nella universalità o in
una quota dei rapporti del defunto (c.d. successione a titolo universale) e i legatari in
singoli rapporti (c.d. successione a titolo particolare) (art. 588) (XII, 1.1); con riguardo
alla cessione di azienda, il cessionario subentra nei contratti stipulati per l’esercizio del-
l’azienda e perciò nei crediti e nei debiti afferenti l’azienda (art. 2558). In tali ipotesi la
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 705

disciplina delle vicende del singolo rapporto va adattata e resa coerente con le discipline
delle vicende di più rapporti connessi. In tali ipotesi la disciplina delle vicende del singo-
lo rapporto va adatta e resa coerente con la successione in più rapporti.
Più rare sono le vicende modificative oggettive, con le quali si muta l’oggetto
dell’obbligazione, che resta in vita, accordandosi al creditore il diritto di conseguire un
bene diverso o parzialmente diverso da quello originariamente oggetto della obbligazio-
ne (per accordo delle parti o in virtù della legge) (se ne parla alla fine del capitolo).

A) MODIFICAZIONI NEL LATO ATTIVO


2. L’acquisizione del credito altrui (e successione nel credito). – La modificazio-
ne nel lato attivo si realizza con la successione di un terzo nella posizione del creditore. Di
regola per il debitore è indifferente se il creditore sia quello originario o muti nel tempo,
essendo in ogni caso obbligato a eseguire la prestazione dovuta. Perciò la disposizione
del credito e in genere la sua circolazione non è circondata da tutte le limitazioni che, si
vedrà, caratterizzano la successione nel debito, risultando solo importante che il debitore
conosca verso chi deve adempiere l’obbligazione. Non mancano ipotesi in cui ricorrono
ragioni che precludono la modificazione nel lato attivo.
Tratto comune è l’acquisizione del credito altrui. Acquisendo il credito si determina la
successione del terzo nel credito, con subentro nella titolarità della posizione del credi-
tore: l’acquisto è a titolo derivativo in quanto trae fondamento da un rapporto con il pre-
cedente titolare. I modi di acquisizione del credito altrui a titolo particolare, per atto tra
vivi, sono: la cessione del credito, il pagamento con surrogazione e la delegazione attiva, di
seguito analizzati.
L’impianto del codice civile è in funzione della vicenda del singolo credito (cui ha ri-
guardo specifico la cessione del credito). Si vedrà come sempre più di sovente rilevi la
dimensione funzionale del credito nella complessità della debitoria, assumendo valore il
blocco dei crediti, come si vedrà trattando del factoring (par. 4), della cartolarizzazione
(par. 5) e in generale della gestione della debitoria (VII, 8).

3. Cessione del credito. Titolo e divieto di cessione. – Il credito è un normale be-


ne economico e pertanto, come tale, è suscettibile di collocazione sul mercato, consen-
tendo operazioni di finanziamento, spesso inserite in una complessa operazione econo-
mica; per i crediti pecuniari, la natura del credito ne agevola la realizzazione e la circola-
zione. È anche ammessa la cessione del credito risarcitorio 1. Con riguardo alla operazio-
ne di cessione, c’è da delineare il titolo della cessione e la efficacia del trasferimento; co-
me c’è da dare conto dei divieti di cessione previsti dalla legge o voluti dalle parti.
a) Titolo della cessione. Per l’art. 12601 il creditore può trasferire, a titolo oneroso o
gratuito, il proprio credito anche senza il consenso del debitore. Il relativo contratto si
perfeziona con il consenso tra creditore (cedente) e terzo (cessionario), senza necessità del-

1
Il credito di risarcimento del danno da sinistro stradale è suscettibile di cessione ex artt. 1260 ss. e il ces-
sionario può, in base a tale titolo, domandarne anche giudizialmente il pagamento al debitore ceduto, pur se
assicuratore per la r.c.a., non sussistendo alcun divieto normativo in ordine alla cedibilità del credito risarci-
torio (Cass. 28-8-2019, n. 21765; Cass. 3-10-2013, n. 22601; Cass. 10-1-2012, nn. 51 e 52).
706 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

l’accettazione o anche solo dell’intervento del debitore (ceduto) 2. Il medesimo termine


“cessione” vale così ad indicare, sia il titolo della cessione (il contratto che la realizza),
sia l’effetto (la vicenda traslativa che ne consegue). In questo paragrafo si parlerà del tito-
lo, nel successivo della efficacia.
Non sussiste un’autonoma causa del negozio di cessione del credito. Secondo i gene-
rali criteri di raggruppamento dei negozi sul terreno della causa (VIII, 3.18), la cessione
del credito può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito (art. 12601); è quindi a causa va-
riabile, in ragione del rapporto causale realizzato tra sacrificio subito e vantaggio conse-
guito: profilo assunto dal codice civile anche a base della differenziata disciplina della
garanzia della cessione (art. 1266). Il contratto di cessione del credito integra la causa di
un comune contratto traslativo (vendita, permuta, donazione, ecc.). Significativamente l’art.
1376, nel regolare i contratti ad efficacia reale, assimila al trasferimento della proprietà di
una cosa determinata “il trasferimento di un altro diritto” (che può essere appunto un di-
ritto di credito); e l’art. 1470, nel definire il contratto di vendita, stabilisce che la vendita ha
per oggetto, verso il corrispettivo di un prezzo, il trasferimento della proprietà di una cosa
o “il trasferimento di un altro diritto” (che può essere appunto il diritto di credito); anche
l’art. 769, nel definire il contratto di donazione, prevede che, per spirito di liberalità, una
parte arricchisce l’altra “disponendo a favore di questa di un suo diritto” (anche dunque
un diritto di credito).
La cessione del credito si atteggia come un contratto consensuale ad efficacia reale: in
virtù del contratto traslativo, il diritto di credito si trasmette e si acquista per effetto del
consenso delle parti (cedente e cessionario) legittimamente manifestato (art. 1376). La
successione nel credito non comporta una trasformazione della natura del diritto ceduto;
pertanto, anche sul piano processuale, permangono gli oneri probatori afferenti al rap-
porto obbligatorio cui inerisce il credito ceduto 3.
Consegue da ciò un duplice corollario: da un lato, la mancanza di causa della cessio-
ne o la sua illiceità comporta la nullità del contratto di cessione e quindi la inefficacia
dello stesso (quale portato del principio, proprio del nostro ordinamento, per cui i nego-
zi traslativi sono di regola anche causali); dall’altro, che, compiuta la cessione del credi-
to, la eventuale risoluzione del rapporto obbligatorio tra creditore cedente e debitore
originario è inopponibile al terzo cessionario.
La cessione del credito va tenuta distinta dal mandato alla riscossione del credito, rien-
trante nella disciplina del mandato (artt. 1703 ss.). Il mandato alla riscossione, proprio in
quanto mandato, non comporta trasferimento di titolarità del credito, ma solo incarico
di attuazione del diritto di credito; e ciò sia nell’ipotesi in cui il mandato è conferito nel-
l’interesse (esclusivo) del mandante (titolare del credito), sia nell’ipotesi in cui il manda-

2
Il contratto di cessione di credito ha natura consensuale, di modo che il suo perfezionamento consegue
al solo scambio del consenso tra cedente e cessionario, il quale attribuisce a quest’ultimo la veste di creditore
esclusivo, unico legittimato a pretendere la prestazione (anche in via esecutiva), pur se sia mancata la notifica-
zione prevista dall’art. 1264 (Cass. 19-2-2019, n. 4713).
3
La cessione di un credito traente titolo da una obbligazione extracontrattuale, una volta notificata al de-
bitore, realizzando un fenomeno di successione nel lato attivo della obbligazione, non determina uno snatu-
ramento della obbligazione da cui trae origine il credito; anche l’accettazione del debitore (pure tacita) della
cessione del credito non ha natura di riconoscimento di debito, tale da invertire l’onere probatorio in ordine
alla sussistenza o meno del medesimo (Cass. 13-3-2018, n. 6020).
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 707

to è conferito (anche) nell’interesse del mandatario o di un terzo (mandato in rem pro-


priam) (IX, 3.1).
La forma dell’atto risente della causa del singolo contratto: ad es. è necessaria la forma
dell’atto pubblico per la donazione del credito, a pena di nullità (arg. art. 782). Le vicende
di crediti verso la P.A. devono avere una specifica forma: per l’art. 69 R.D. 18.11.1923, n.
2440, le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno e gli atti di revoca, rinuncia o
modificazione di vincoli devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata, autenti-
cata da notaio e il relativo atto deve essere notificato all’amministrazione.
Sono oggetto di cessione, non solo il credito di una somma di danaro (es. il credito del
venditore al pagamento del prezzo dal compratore, ovvero il credito del locatore al pa-
gamento del canone dal conduttore); ma anche il credito di una qualsiasi prestazione di
dare, fare o consegnare. La cessione può riguardare un bene presente o futuro, come il
diritto al risarcimento del danno 4, anche non patrimoniale 5; bisogna però valutare la na-
tura e la destinazione dell’oggetto del credito rispetto alla tutela della persona: significa-
tivamente è vietata la cessione del credito alimentare (art. 447).
Il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie personali e reali e con
gli altri accessori (art. 12631). Il cedente deve consegnare al cessionario i documenti pro-
batori del credito che sono in suo possesso; se è stata ceduta solo una parte del credito,
deve consegnare una copia autentica dei documenti (art. 1262).
b) Divieto di cessione. L’incedibilità può essere prescritta dalla legge o voluta dalle
parti, con differente efficacia.
1) Sono molte le ipotesi di divieto legale di cessione. Anzitutto una incedibilità è
disposta come divieto di acquisto da parte di alcuni soggetti per la posizione rivestita, al
fine di evitare abusi e conflitti a danno del debitore. Per l’art. 12611 non possono render-
si cessionari gli operatori di giustizia (magistrati, avvocati, notai, ufficiali giudiziari, can-
cellieri, ecc.), neppure per interposta persona, di diritti “litigiosi” sui quali è sorta conte-
stazione davanti l’autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione eserci-
tano le loro funzioni, sotto pena di nullità e dei danni 6. Ulteriori divieti speciali di acqui-
sto, pure all’asta pubblica, sia direttamente che per interposta persona, sono fissati dall’art.
1471; sono anche annullabili gli atti con i quali genitori e tutori si rendono acquirenti di
beni e diritti di minori e incapaci in genere (artt. 323, 378 e 424).

4
La cessione dei crediti futuri, ivi compresi quelli aventi causa risarcitoria, non ha natura meramente ob-
bligatoria e vi si può procedere – quando nel negozio dispositivo sia individuata la fonte, oppure la stessa sia
determinata o determinabile – senza che rilevi la probabilità della venuta in essere del credito ceduto: la venu-
ta in essere del credito futuro integra un requisito di efficacia della cessione, ma non della sua validità (Cass.
10-12-2018, n. 31896). Il credito derivante dal risarcimento di danni patrimoniali da sinistro stradale può co-
stituire oggetto di cessione, non essendo di natura strettamente personale né sussistendo specifico divieto
normativo al riguardo; il cessionario è legittimato ad esercitare l’azione prevista dall’art. 149 D.Lgs. 209/2005
nei confronti dell’impresa di assicurazione (Cass. 12-9-2019, n. 22726. V. anche Cass. 31-8-2005, n. 17590).
5
Il diritto di credito relativo al risarcimento del danno non patrimoniale, come risulta trasmissibile “iure here-
ditatis”, può formare oggetto di cessione per atto “inter vivos”, non presentando carattere strettamente persona-
le (Cass. 14-2-2019, n. 4300; Cass. 3-10-2013, n. 22601; Cass. 13-3-2012, n. 3965).
6
Il dato testuale dell’art. 1261 c.c. (che fa espresso riferimento ad una “sorta controversia” avanti all’auto-
rità giudiziaria), nonché la ratio di detta norma (diretta ad impedire speculazione sulle liti da parte dei sogget-
ti in essa contemplati) comportano che il divieto stesso non trova applicazione riguardo a crediti per i quali
non sia ancora sorta una controversia giudiziaria (Cass. 16-7-2003, n. 11144).
708 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Una incedibilità è anche disposta per il carattere strettamente personale del credito
(art. 12601): talvolta la incedibilità è prevista testualmente dalla legge (es. crediti alimen-
tari: art. 4471); talaltra va desunta dal contesto degli interessi coinvolti.
2) È consentito un divieto convenzionale di cessione. Le parti possono escludere
la cedibilità del credito, ma il patto non è opponibile al cessionario se non si prova che
egli lo conosceva al tempo della cessione (art. 12602). Come ogni vicenda circolatoria,
anche il divieto di cessione del credito va valutato nella complessità degli interessi coin-
volti: la composita disciplina del codice civile rappresenta un equilibrio tra due contrap-
posti di interessi: del debitore alla fissità del creditore e del creditore alla alienazione,
ovvero tra le esigenze di indisponibilità e quelle di circolazione giuridica: l’interesse del
debitore alla incedibilità del credito, di per sé ragionevole in ragione della struttura del
rapporto obbligatorio, è sacrificato rispetto alla generale esigenza di garantire la buona
fede del terzo cessionario come esponenziale della sicurezza del mercato; l’interesse alla
incedibilità è però considerato prevalente rispetto alla mala fede del terzo nel senso di
consapevolezza o anche di colposa non conoscenza del divieto: la tutela del cessionario
in dispregio di un divieto di cessione del credito è consentita solo compatibilmente alla
mancata conoscenza del divieto di cessione 7. L’onere della prova della consapevolezza
del terzo è a carico del debitore ceduto. Quando il patto di incedibilità non è opponibile
al terzo, il creditore cedente risponde verso il debitore ceduto secondo le comuni regole
della responsabilità contrattuale per inadempimento ex art. 1218. È un meccanismo di
tutela del mercato secondo criteri di trasparenza e correttezza.
Quando il rapporto obbligatorio deriva da contratto, la valutazione di meritevolezza
del contratto, quale emerge dal contenuto contrattuale, dal contesto della stipulazione e
dal dispiegamento in campo delle forze economiche delle parti, investe anche la merite-
volezza del divieto di cessione (si pensi all’ipotesi che l’incedibilità del credito sia impo-
sta dalla impresa dominante al fornitore debole, atteggiandosi la incedibilità quale clau-
sola vessatoria). Rispetto al credito pecuniario, sulla scorta del trend normativo europeo
assume importanza il divario tra credito personale e credito di impresa, tendendosi per
quest’ultimo a favorirne il reinvestimento come alimento dell’attività economica (VII,
1.19). Sono profili che si legano al più generale tema della disciplina delle limitazioni
convenzionali del potere di disposizione, cui si rinvia (VIII, 6.14).

4. Segue. Efficacia della cessione. – Si è visto come il contratto di cessione produce


effetti tra cedente e cessionario in virtù del consenso delle parti legittimamente manife-
stato. Poiché la cessione del credito implica il trasferimento del diritto nei confronti di
un diverso soggetto (il debitore), c’è anche da verificare la efficacia della cessione verso
tale soggetto. Si presenta inoltre il problema della tutela dei terzi nella ipotesi di pluralità
di cessioni del medesimo credito.
a) Efficacia tra le parti. Come per ogni contratto traslativo emerge il problema delle

7
Il patto che esclude la cedibilità del credito può essere opposto al cessionario dal debitore ceduto, per il
principio dell’affidamento sulla normale cedibilità dei crediti, ex art. 12601 c.c., e dell’efficacia del contratto
soltanto tra le parti sancito dall’art. 1372 c.c., solo a condizione che sia dimostrato, ai sensi dell’art. 12602 c.c.,
che il cessionario abbia avuto effettiva conoscenza del patto al tempo della cessione (Cass. 26-2-2020, n. 5129;
Cass. 20-1-2015, n. 825).
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 709

garanzie dovute dal cedente rispetto all’esistenza del diritto ceduto; nella cessione del
credito vi è l’ulteriore problema della garanzia rispetto all’attuazione del credito ceduto.
La garanzia della cessione dovuta dal creditore muta in ragione della causa onerosa o
gratuita della cessione stessa. Se la cessione è a titolo oneroso, il cedente è tenuto a garan-
tire l’esistenza del credito al tempo della cessione; la garanzia può essere esclusa per pat-
to, ma il cedente resta sempre obbligato per il fatto proprio (art. 12661). Se la cessione è
a titolo gratuito, la garanzia è dovuta solo nei casi e nei limiti in cui la legge pone a carico
del donante la garanzia per l’evizione, operante a carico del donante ai sensi dell’art. 797
(art. 12662).
La garanzia di attuazione del credito pone il problema della distribuzione del rischio
della insolvenza del debitore. Di regola il rischio della insolvenza resta a carico del ces-
sionario, che nulla può pretendere dal cedente per il mancato adempimento del debitore
(cessio pro soluto) (art. 12671). Il tema è di grande rilevanza nella cessione dei debiti
deteriorati, che avviene di solito ad un prezzo (di gran lunga) inferiore all’ammontare del
credito.
Con apposito patto il cedente può assumere la garanzia della solvenza del debitore
(cessio pro solvendo). In questo caso il cedente risponde, non solo della esistenza del
credito, ma anche della solvenza del debitore nei limiti di quanto ha ricevuto (il cessio-
nario può cioè recuperare il prezzo della cessione non l’oggetto del credito acquistato) 8.
Il cedente deve inoltre corrispondere gli interessi maturati sul corrispettivo della cessio-
ne, rimborsare le spese della cessione e quelle che il cessionario abbia sopportato per
escutere il debitore e risarcire il danno; ogni patto diretto ad aggravare la responsabilità
del cedente è senza effetto (art. 12671). Anche quando è stata garantita la solvenza del
debitore, la garanzia cessa se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del de-
bitore è dipesa da negligenza del cessionario nell’iniziare o proseguire istanze contro il
debitore (art. 12672). La cessione del credito può essere assistita da apposita garanzia per
la non solvibilità del debitore 9.
Per la cessione a titolo solutorio (dazione in pagamento), la regola è che il cedente è
tenuto a garantire la solvenza del debitore: come è nell’indole della dazione in pagamen-
to, che è una variante dell’adempimento, l’obbligazione originaria si estingue con la ri-
scossione del credito ceduto, salvo diversa volontà delle parti (art. 1198): la cessione a
titolo solutorio è per legge pro solvendo (VII, 3.6). Si vedrà come, per far fronte all’e-
mergenza sanitaria, sia stata consentita la cessione del credito di imposta (art. 28 D.L.
19.5.2020, n. 34, conv. con L. 17.7.2020, n. 77), che opera come forma di dazione in pa-
gamento (VII, 3.6).
La cessione del credito può anche avvenire a scopo di garanzia di una diversa presta-

8
Talvolta è la stessa legge a prevedere la garanzia convenzionale di solvenza del debitore: ad es. il socio
che conferisce un credito in una società semplice risponde dell’insolvenza del debitore, nei limiti indicati dal-
l’art. 1267 per il caso di assunzione convenzionale della garanzia (art. 2255).
9
Nella cessione di credito nominalmente assistito da una garanzia reale, qualora quest’ultima risulti nulla,
prescritta, estinta o di grado inferiore rispetto a quanto indicato dal cedente, il cessionario può agire nei con-
fronti di quest’ultimo ancor prima di aver escusso il debitore ceduto, chiedendo il risarcimento del danno da
inadempimento, senza necessità di domandare la risoluzione della cessione, poiché una diminuzione delle
garanzie è in sé causativa di un danno patrimoniale immediato ed attuale, corrispondente alla diminuzione
del valore di circolazione del credito (Cass. 15-6-2020, n. 11583).
710 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

zione da compiere dal cedente in favore del cessionario, con il necessario coordinamento
della sorte del credito ceduto con quella della prestazione dovuta 10. La cessione può es-
sere anche assistita da una garanzia reale, con il corollario che la difformità della stessa si
riflette sulla esattezza della cessione 11.
Il credito può anche essere oggetto di confisca, dandosi luogo a sostituzione ex lege
del creditore ad opera dello Stato, come ad es. la confisca disposta ed operata in virtù di
una misura di prevenzione antimafia (L. 31.5.1965, n. 575 ss.) 12. La singola causa della
cessione influenza la disciplina applicabile.
Il regime delle eccezioni proponibili dal debitore segue il meccanismo successorio
del credito. Di regola il debitore può opporre al cessionario le medesime eccezioni che
avrebbe potuto opporre al cedente, sia con riguardo al titolo che aveva dato luogo al
rapporto obbligatorio, sia con riferimento all’esecuzione di questo. Ad es., se un vendi-
tore cede ad un terzo il credito al prezzo vantato verso il compratore, questi può oppor-
re al cessionario, sia le eccezioni relative alla invalidità del contratto di vendita (ad es. il
dolo perpetrato dal venditore ai danni del compratore), sia le eccezioni inerenti all’ese-
cuzione del contratto (ad es. l’intervenuto pagamento e dunque la estinzione del rappor-
to obbligatorio). Analogamente, se si cede un credito altrui, il debitore può opporre la
eccezione di inesistenza del credito vantato dal cessionario. In tutte tali ipotesi, ove la
cessione sia avvenuta a titolo oneroso, il cessionario non è tenuto a pagare il prezzo e ha
diritto alla restituzione di quello eventualmente pagato 13. Cedendosi un credito derivan-
te da contratto, il cessionario non ha però le azioni di tutela contrattuale, come ad es. il
diritto alla risoluzione del contratto, non subentrando nella posizione contrattuale ma

10
Nella cessione del credito a scopo di garanzia di una diversa obbligazione dello stesso cedente, il ces-
sionario è legittimato ad agire sia nei confronti del debitore ceduto che nei confronti dell’originario debitore
cedente, senza essere gravato, in quest’ultimo caso, dall’onere di provare l’infruttuosa escussione del debitore
ceduto (Cass. 28-5-2020, n. 10092). La cessione del credito, quale negozio a causa variabile, può essere stipu-
lata anche a fine di garanzia e senza che venga meno l’immediato effetto traslativo della titolarità del credito
tipico di ogni cessione, in quanto è proprio mediante tale effetto traslativo che si attua la garanzia, pure
quando la cessione sia “pro solvendo” e non già “pro soluto”, con mancato trasferimento al cessionario, per-
tanto, del rischio d’insolvenza del debitore ceduto (Cass. 16-11-2018, n. 29608). Ove si verifichi l’estinzione,
totale o parziale, dell’obbligazione garantita, il credito ceduto a scopo di garanzia, nella stessa quantità, si ri-
trasferisce automaticamente nella sfera giuridica del cedente, con un meccanismo analogo a quello della con-
dizione risolutiva, senza quindi che occorra, da parte del cessionario, un’attività negoziale diretta a tal fine
(Cass. 2-4-2001, n. 4796).
11
Qualora la garanzia reale risulti nulla, prescritta, estinta o di grado inferiore rispetto a quello indicato
dal cedente, il cessionario può agire nei confronti di quest’ultimo ancor prima di aver escusso il debitore ce-
duto, chiedendo il risarcimento del danno da inadempimento, poiché una diminuzione delle garanzie è in sé
causativa di un danno patrimoniale, corrispondente alla diminuzione del valore di circolazione del credito; la
liquidazione del danno deve essere parametrata, con giudizio equitativo, alla prevedibile perdita in caso di
insolvenza (Cass. 15-6-2020, n. 11583).
12
La confisca del credito da parte dello Stato, sia preventiva che repressiva, è acquisto a titolo “derivativo” in
quanto non si prescinde dalla posizione del precedente titolare relativamente al particolare bene; vi è una modi-
ficazione soggettiva attiva dell’originario rapporto obbligatorio, quale sostituzione ex lege della persona del cre-
ditore, all’interno di un rapporto di obbligazione, il cui regolamento risente della peculiarità della cessione quale
misura ablatoria (si è esclusa la compensazione invocata ex art. 1248 dal debitore allo Stato cessionario per credi-
ti del debitore verso lo Stato) (Cass. 12-5-2016, n. 9768; Cass. 3-7-1997, n. 5988).
13
La legge non distingue tra le varie ipotesi di inesistenza del credito (credito altrui, invalidità del titolo da
cui deriva, rescissione, risoluzione, attuazione, ecc.): avendo riguardo all’interesse pratico del cessionario, formu-
la il generale principio che il creditore è tenuto a garantire la esistenza del credito (art. 1266).
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 711

rendendosi cessionario solo della posizione attiva del credito 14. Anche la cessione di
crediti verso il Fisco è soggetta al medesimo regime 15; si vedrà in seguito della cessione
del credito di imposta (VII, 3.6).
b) Efficacia verso il debitore. Il debitore deve essere edotto della intervenuta cessione,
affinché possa adempiere al cessionario: diversamente, è liberato quando esegue in buo-
na fede l’adempimento in favore del creditore originario (arg. art. 1189).
La cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o
quando gli è stata notificata 16 (art. 12641). Anche in assenza di notifica o accettazione, in
ogni caso il cessionario può provare che il debitore era a conoscenza dell’avvenuta ces-
sione (art. 12642). L’efficacia della cessione “nei confronti del debitore ceduto” si ricol-
lega in sostanza alla conoscenza legale determinata dalla notifica o dall’accettazione della
cessione, ovvero (anche prima della notifica) dalla conoscenza effettiva della cessione. Rea-
lizzatasi la conoscenza (legale o effettiva) della cessione, il debitore non può accampare
la sua buona fede soggettiva e cioè la mancata conoscenza in fatto della cessione, rima-
nendo comunque tenuto ad adempiere nei confronti del cessionario, il quale può anche
agire esecutivamente 17. Anche prima di tali formalità, il cessionario (proprio in quanto
divenuto tale in virtù della cessione) è comunque legittimato a ricevere la prestazione
dovuta dal debitore 18.
Il regime delle eccezioni opponibili dal debitore al cessionario è legato al tempo della
conoscenza della cessione da parte del debitore. Se il debitore ha accettato puramente e
semplicemente la cessione del credito, non può opporre al cessionario la compensazione

14
Dei diritti derivanti dal contratto, il cessionario del credito acquista soltanto quelli rivolti alla realizza-
zione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all’adempimen-
to della prestazione; non gli sono trasferite le azioni inerenti alla essenza del precedente contratto, fra cui
quella di risoluzione per inadempimento, poiché esse afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad
appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito (Cass. 6-7-2018, n. 17727).
15
La cessione dei crediti ha efficacia derivativa anche ove il debitore ceduto sia il Fisco, il quale, in detta
qualità, può pertanto far valere nei confronti del cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, sia atti-
nenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto
anteriori alla cessione od anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all’accettazione della cessione o alla
sua notifica o alla sua conoscenza di fatto (Cass. 20-4-2018, n. 9842).
16
Il cessionario di un credito che agisca nei confronti del debitore ceduto è tenuto a dare prova unica-
mente del negozio di cessione, quale atto produttivo di effetti traslativi, e non anche a dimostrare la causa
della cessione stessa; né il debitore ceduto può interferire nei rapporti tra cedente e cessionario, essendo esclusi-
vamente abilitato ad indagare sull’esistenza e sulla validità estrinseca e formale della cessione, in particolare
quando questa gli sia stata notificata dal solo cessionario (Cass. 9-7-2018, n. 18016; Cass. 31-7-2012, n. 13691.
La notificazione della cessione non deve assumere le forme di quella effettuata secondo l’ordinamento processua-
le, ma costituisce un atto a forma libera, che può concretarsi in qualsiasi atto idoneo a porre il debitore nella
consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio (Cass. 18-10-2005, n. 20143).
17
Il contratto di cessione attribuisce al cessionario la veste di creditore esclusivo, unico legittimato a pre-
tendere la prestazione (anche in via esecutiva), pur se sia mancata la notificazione prevista dall’art. 1264
(Cass. 19-2-2019, n. 4713).
18
La disciplina in materia è applicabile anche ai conferimenti di crediti in società: la cessione del credito
che il socio conferente opera in favore della società ha effetto verso il debitore ceduto solo dopo che questi
l’ha accettata o quando gli è stata notificata, salvo che si provi che il debitore ceduto era comunque a cono-
scenza della cessione: il socio conferente risponde verso la società per l’insolvenza del debitore nei limiti del valo-
re assegnato al suo conferimento; deve inoltre rimborsare le spese di cessione e quelle che la società cessionaria
ha sostenuto per l’escussione del debitore, oltre a risarcire il danno (art. 2255, che richiama l’art. 1267).
712 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

che avrebbe potuto opporre al cedente; se la cessione è solo notificata al debitore, è im-
pedita la compensazione dei crediti sorti posteriormente alla notificazione (art. 1248).
Una disciplina particolare vale per la cessione del credito verso i consumatori 19.
c) Efficacia verso i terzi. Può accadere che il cedente trasferisca il medesimo credito a
più persone: tra le varie cessioni prevale quella notificata per prima al debitore o che è
stata per prima accettata dal debitore con atto avente data certa (art. 12651). Lo stesso
principio vale quando il credito ha formato oggetto di costituzione di usufrutto o di pe-
gno (art. 12652).
È un meccanismo per dirimere i conflitti tra più aventi causa dal medesimo alienante,
che si ritroverà in tema di trascrizione relativamente alla circolazione degli immobili e
dei mobili registrati (artt. 2644 e 2684) (XIV, 2.7). Anche ora deve ammettersi la respon-
sabilità contrattuale del cedente nei confronti del primo cessionario soccombente, per
avere compiuto la seconda cessione senza essere più legittimato (ed eventualmente anche
la responsabilità extracontrattuale del debitore ceduto se risultato connivente) 20.

5. Segue. Cessione di pluralità di crediti. Il factoring. – Nella esperienza economi-


ca la cessione del credito è spesso inserita in una complessa operazione economica, che
investe la cessione di più crediti (c.d. cessione in blocco) 21. Di derivazione anglosassone,
il factoring rappresenta ormai un diffuso modo di gestione dei crediti e di finanziamento
delle imprese.
La struttura del factoring si presenta con due varianti: può esaurirsi in una cessione
unica e globale di crediti presenti e/o futuri, con efficacia traslativa dei crediti al momen-
to della stipula del contratto di factoring o quando i crediti vengono ad esistenza; può
articolarsi in una sequenza contrattuale caratterizzata da una convenzione iniziale pro-
grammatica e singole cessioni di credito attuative, con efficacia traslativa dei crediti al
momento delle singole cessioni. In entrambe le direzioni, è salvaguardata la posizione
dei debitori ceduti 22.
Nell’operazione economica più esile una impresa specializzata (factor) assume nei

19
Per l’art. 125 septies L. 385/1993 (TUB), introdotto dal D.Lgs. 13.8.2010, n. 141, in caso di cessione del
credito o del contratto di credito, il consumatore può sempre opporre al cessionario tutte le eccezioni che
poteva far valere nei confronti del cedente, ivi inclusa la compensazione, anche in deroga al disposto dell’art.
1248 c.c.; il consumatore è informato della cessione del credito, a meno che il cedente, in accordo con il ces-
sionario, continui a gestire il credito nei confronti del consumatore.
20
Il notaio è responsabile dei danni subiti dal cliente, per non aver eseguito una prestazione accessoria a
un atto da lui rogato: nella specie, la notificazione al debitore della cessione di un credito, anche se non gli sia
stato versato anticipatamente l’importo delle spese e del compenso (Cass. 16-1-2013, n. 904).
21
Per le cessioni in blocco di rapporti giuridici alle banche o specifici intermediari finanziari, i cessionari
sono esentati dall’onere di provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti acquisi-
ti. Per l’art. 58 D.Lgs. 1.9.1993, n. 385 (TUB), il soggetto cessionario dà notizia dell’avvenuta cessione me-
diante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazz. Uff.; la Banca d’Italia può stabilire forme
integrative di pubblicità. L’acquisto di un credito nell’ambito di una operazione di cessione di crediti in bloc-
co non determina, di per sé, la sussistenza di buona fede in capo al creditore cessionario ai fini della sua tutela
nell’ipotesi di sequestro e confisca di prevenzione (Cass. pen., sez. un., 31-5-2018, n. 29847).
22
Non sussiste a carico del debitore, neanche nel caso in cui abbia accettato la cessione, un obbligo di infor-
mazione che ne aggravi la posizione; il cessionario può pretendere di essere risarcito dal debitore ove questi, do-
po avere garantito allo stesso factor l’esistenza e la validità dei crediti, ne abbia leso l’affidamento, omettendo di
avvisarlo “sua sponte” di circostanze sopravvenute ostative alla loro realizzazione (Cass. 11-2-2020, n. 3319).
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 713

confronti di una impresa (cliente) l’obbligo di una complessa attività di gestione dei
crediti della stessa verso terzi, dietro pagamento di una commissione variamente de-
terminata in ragione della tipologia dei servizi assunti (es. contabilizzazione, amministra-
zione, sollecito, incasso, recupero). È questa propriamente la c.d. funzione di gestione dei
crediti, che rappresenta l’attività minimale e comune di ogni factor.
Più complessa e normalmente richiesta è la funzione di finanziamento, che più
spesso giustifica nella pratica il ricorso al factoring. Previa cessione di crediti in massa,
verso uno o più clienti (presenti ed eventualmente anche futuri), il factor anticipa all’im-
presa cedente in tutto o in parte la somma portata dai crediti ceduti prima della scaden-
za degli stessi o comunque del relativo incasso. In tal caso (ed è la prassi) il factoring si
configura come strumento di finanziamento dell’impresa. Al momento dell’incasso il fac-
tor restituirà all’impresa cedente gli importi riscossi dai debitori, superiori a quelli alla
stessa anticipati, ovviamente dedotti i costi della operazione 23.
Di regola la cessione dei crediti è pro solvendo, restando quindi sul cedente il rischio
del mancato pagamento dei debitori, con la conseguenza che il cedente dovrà restituire
al factor le anticipazioni ricevute. Talvolta si dà vita anche ad una funzione assicurativa,
per cui è il factor ad assumere il rischio del mancato pagamento dei debitori (cessione
pro soluto), con la conseguenza che le anticipazioni fatte restano a beneficio del cedente.
Evidentemente i due modelli sono soggetti a costi di commissione diversi, meno esosi il
primo, più esosi il secondo.
Con la L. 21.2.1991, n. 52, è stata introdotta una normativa speciale per la cessione
dei crediti di impresa, contenente tassative deroghe alla disciplina generale della cessione
dei crediti prevista dal codice civile. La normativa è circoscritta alle cessioni di crediti
pecuniari verso corrispettivo quando concorrono le seguenti circostanze: il cedente è un
imprenditore; i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio
dell’impresa; il cessionario è una banca o un intermediario finanziario il cui oggetto so-
ciale preveda l’acquisto dei crediti d’impresa. In assenza di tali circostanze si applica il
codice civile (art. 1).
I crediti (esistenti e/o futuri) possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i
contratti dai quali derivano, purché, se ceduti in massa, i relativi contratti siano stipulati
entro ventiquattro mesi; la cessione di crediti in massa si considera con oggetto determi-
nato (anche con riguardo a crediti futuri) quando sia indicato il debitore ceduto (art. 3).
Opera la regola della garanzia di solvibilità: il cedente garantisce, nei limiti del corrispet-
tivo pattuito, la solvenza del debitore, salvo che il cessionario rinunci in tutto o in parte
alla garanzia (art. 4) (c.d. funzione assicurativa); ciò in deroga all’art. 1267 che fissa la re-
gola opposta della non rispondenza del cedente per la solvenza del debitore, salvo che

23
In tema di contratto di “factoring”, la cessione dei crediti non produce modificazioni oggettive del rap-
porto obbligatorio e non può pregiudicare la posizione del debitore ceduto in quanto avviene senza o addirit-
tura contro la sua volontà; ne consegue che il debitore ceduto può opporre al “factor” cessionario le eccezioni
concernenti l’esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito trasferito ed anche le eccezioni riguar-
danti l’esatto adempimento del negozio, mentre quelle che investono fatti estintivi o modificativi del credito
ceduto sono opponibili al “factor” cessionario solo se anteriori alla notizia della cessione comunicata al debi-
tore ceduto e non ove successivi, in quanto, una volta acquisita la notizia della cessione, il debitore ceduto
non può modificare la propria posizione nei confronti del cessionario mediante negozi giuridici posti in esse-
re con il creditore originario (Cass. 2-12-2016, n. 24657).
714 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

ne abbia assunto la garanzia. Sono anche ampliate le ragioni di efficacia della cessione
nei confronti dei terzi, ma solo qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il
corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa (art. 5) 24.
Il meccanismo di cessione dei crediti di impresa è strumento comune di autofinan-
ziamento delle imprese, ampiamente utilizzato nel commercio internazionale 25.

6. Segue. Cartolarizzazione dei crediti. – La cartolarizzazione è il meccanismo di


smobilitazione di beni (crediti, immobili, ecc.) al fine di conseguire un flusso finanziario
che assicuri liquidità. È in particolare una tecnica finanziaria, di origine anglosasso-
ne, ormai diffusa anche da noi, alla quale più leggi vi hanno fatto ricorso per consentire
ad enti di procurarsi danaro liquido. È anche utilizzata per la collocazione di crediti dete-
riorati, con risvolti molto rischiosi (VII, 4.12). I singoli crediti perdono la specifica indi-
vidualità, con il correlato valore singolo, per inerire alla valutazione aggregata del blocco
dei debiti e divenire oggetto di gestione della debitoria 26: l’individuazione di un blocco
di crediti da cedere determina la necessità di iscrivere la posta in bilancio al valore di pre-
sumibile realizzazione (secondo quotazioni di mercato, ove esistenti), essendo il valore di
realizzo rappresentato dal probabile prezzo di vendita del pacchetto di crediti (VII, 8.1).
Con la L. 30.4.1999, n. 130, è stata regolata la c.d. cartolarizzazione dei crediti. La car-
tolarizzazione è realizzata mediante cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esi-
stenti sia futuri (individuabili in blocco se si tratta di una pluralità di crediti) in favore di
una società specializzata (c.d. società veicolo), la quale provvede a emettere titoli (diret-
tamente o attraverso una diversa società) e a collocarli presso i risparmiatori; il ricavato
della collocazione serve a pagare i crediti acquistati dalla società cedente (art. 1). Inoltre
la stessa società veicolo provvede alla riscossione dei crediti e alle attività ad essa finaliz-
zate (compiendo anche le azioni giudiziarie necessarie per la riscossione). Specificazioni
sono introdotte dall’art. 11088 L. 30.12.2018, n. 145 (Legge di bilancio 2019), nella disci-
plina del finanziamento mediante società di cartolarizzazione.
Il possesso del titolo (emesso dalla società veicolo) attribuisce al risparmiatore il dirit-
to alla riscossione del credito nello stesso menzionato nei confronti della società emitten-

24
Con l’art. 117 D.Lgs. 12.4.2006, n. 163, le disposizioni di cui alla L. 21.2.1991, n. 52, sono estese ai cre-
diti verso le stazioni appaltanti derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori di cui al presente codice, ivi
compresi i concorsi di progettazione e gli incarichi di progettazione: ai fini dell’opponibilità alle stazioni ap-
paltanti che sono amministrazioni pubbliche, le cessioni di crediti devono essere stipulate mediante atto pub-
blico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate alle amministrazioni debitrici; le cessioni di crediti
da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci e opponibili alle stazioni
appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notifi-
carsi al cedente e al cessionario entro quindici giorni dalla notifica della cessione; in ogni caso l’amministra-
zione cui è stata notificata la cessione può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in
base al contratto relativo a lavori, servizi, forniture, progettazione, con questo stipulato.
25
Operano due fonti sovranazionali di natura convenzionale: una ad opera dell’Unidroit (la Convenzione
sul factoring internazionale di Ottawa del 26.5.1988) e l’altra ad opera dell’Uncitral (la Convenzione ONU
sulla cessione dei crediti nel commercio internazionale di New York del 12.12.2001).
26
Per l’art. 71, lett. a, la legge è applicabile alle operazioni di cartolarizzazione dei crediti realizzate me-
diante l’erogazione di un finanziamento al soggetto cedente da parte della società per la cartolarizzazione dei
crediti emittente i titoli, avente per effetto il trasferimento del rischio inerente ai crediti nella misura e alle
condizioni concordate.
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 715

te, la quale vi provvederà attraverso la riscossione dai debitori originari ceduti. Per il
medesimo art. 1, le somme versate dal debitore o dai debitori ceduti alla società veicolo
(società cessionaria) sono da questa destinate, in via esclusiva, al soddisfacimento dei di-
ritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti, nonché al pagamen-
to dei costi dell’operazione. Anzi, per l’art. 32, i crediti relativi a ciascuna operazione, en-
trati nel patrimonio della società veicolo (cessionaria), costituiscono patrimonio separato
a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni: su cia-
scun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei
titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti stessi. In ciò è la garanzia dei risparmia-
tori di recuperare la somma sborsata con l’acquisto dei titoli.
Su tale esperienza, allo scopo di semplificare le modalità di dismissione di beni immo-
bili pubblici, è stata introdotta una procedura di privatizzazione del patrimonio immobi-
liare pubblico attraverso la cartolarizzazione di singoli immobili, attuata con la costitu-
zione di una società-veicolo per la collocazione sul mercato 27.

7. Pagamento con surrogazione. – La figura è regolata dagli artt. 1201 ss. nel Capo
II intitolato “Dell’adempimento delle obbligazioni”. Come emerge già dalla complessa
formulazione normativa, la figura si presta ad essere osservata in una duplice prospetti-
va: in quella dell’attuazione dell’obbligo (cioè dell’adempimento) e in quella della suc-
cessione nel credito (cioè della surrogazione nella posizione del creditore). Nella prima
prospettiva è soggetta alla comune normativa sull’adempimento dell’obbligazione; è pe-
rò nella seconda prospettiva che rivela la sua specificità ed è ampiamente regolata. È in
ragione del peculiare regime della successione nel credito che se ne parla in questa sede
per coglierne giustificazione e funzionamento.
A seguito dell’avvenuto pagamento (soggetto alla comune disciplina sull’adempimen-
to) si realizza la surrogazione del terzo che ha adempiuto nella posizione giuridica del
creditore verso il debitore originario. La differenza con la cessione del credito sta nel fat-
to che la cessione (come si è visto) interviene tra cedente e cessionario e determina il mu-
tamento del soggetto attivo, senza attuazione del rapporto obbligatorio: il creditore ori-
ginario non consegue il bene oggetto dell’obbligazione, ma ricava una utilità di segno
diverso (prezzo della cessione, soluzione di una diversa obbligazione, garanzia, ecc.). In-
vece la surrogazione comporta mutamento del soggetto attivo in conseguenza del sod-
disfacimento del creditore ad opera di un terzo. La peculiarità è che la realizzazione
del diritto di credito avviene attraverso l’opera di un terzo (che paga direttamente al cre-
ditore o procura i mezzi necessari al pagamento); il soggetto che ha adempiuto o ha reso

27
Con D.L. 25.9.2001, n. 350 (conv. con L. 23.11.2001, n. 409) e con D.L. 25.9.2001, n. 351 (conv. con L.
23.11.2001, n. 410), il Ministero dell’economia e delle finanze è stato autorizzato a costituire o a promuovere la
costituzione (anche attraverso soggetti terzi) di una società a responsabilità limitata avente ad oggetto esclusi-
vo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione, rispettivamente, dei crediti d’imposta e contri-
butivi (art. 22 D.L. 350/2001) e dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e
degli altri enti pubblici (art. 2 D.L. 351/2001). I crediti oggetto delle operazioni di “cartolarizzazione” esegui-
te ai sensi della L. 130/1999 costituiscono un patrimonio separato da quello della società di cartolarizzazione,
destinato in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto
dei crediti e al pagamento dei costi dell’operazione, sicché non è consentito al debitore ceduto proporre nei
confronti del cessionario eccezioni di compensazione o domande giudiziali fondate su crediti vantati verso il
cedente nascenti dal rapporto con quest’ultimo intercorso (Cass. 30-8-2019, n. 21843).
716 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

possibile l’adempimento è surrogato nella posizione (diritti e garanzie) del creditore ver-
so il debitore originario, consentendosi al terzo di recuperare quanto versato per l’adem-
pimento 28. Il debitore può, di regola, opporre al nuovo creditore le eccezioni opponibili a
quello originario. L’adempimento comporta interruzione della prescrizione, che ricomin-
cia a decorrere, nel termine relativo alla obbligazione originaria.
La surrogazione può aversi per tre ragioni, tassativamente previste: per volontà del
creditore, per volontà del debitore e per volontà della legge 29.
a) Si ha surrogazione per volontà del creditore quando il creditore, ricevendo l’adem-
pimento da un terzo, surroga il terzo stesso nei propri diritti verso il debitore originario.
La surroga deve essere fatta in modo espresso e contemporaneamente al pagamento, di
regola nella quietanza (art. 1201): perciò è anche detta surrogazione per quietanza.
Poiché l’adempimento del terzo, come tale, sarebbe causa di estinzione dell’obbligazione
(art. 1180), deve ritenersi che l’atto di surrogazione del creditore abbia natura negoziale
in quanto partecipe di un regolamento di interessi tra creditore e terzo, cui inerisce la
previsione della surrogazione.
b) Si ha surrogazione per volontà del debitore quando il debitore, prendendo a mutuo
una somma di danaro o altra cosa fungibile al fine di pagare il debito, surroga il mutuan-
te nei diritti del creditore, anche senza il consenso di questo (art. 12021): perciò è detta
surrogazione per imprestito. Anche l’atto di surrogazione per volontà del debitore,
contenendo un regolamento di interesse, ha natura negoziale.
Perché si realizzi la surrogazione è necessario che concorrano i seguenti presupposti,
tali da attestare il collegamento del mutuo con il pagamento del debitore: 1) il mutuo e la
quietanza devono risultare da atto avente data certa; 2) l’atto di mutuo deve contenere
l’espressa indicazione della destinazione della somma mutuata; 3) la quietanza deve
menzionare la dichiarazione del debitore circa la provenienza della somma impiegata nel
pagamento: sulla richiesta del debitore, il creditore non può rifiutare di inserire tale di-
chiarazione (art. 12022) 30.

28
Il credito di chi si surroghi nella posizione del creditore ipotecario, a seguito di cessione annotata a margi-
ne della iscrizione ipotecaria, prende lo stesso grado dell’ipoteca iscritta, ma il privilegio ipotecario non si
estende alle spese necessarie per l’annotazione, avendo quest’ultima solo funzione di opponibilità ai terzi del-
la modifica soggettiva del credito e non partecipando della funzione di costituzione o di mantenimento della
ipoteca (Cass. 29-1-2016, n. 1671).
29
L’adempimento spontaneo di un’obbligazione da parte del terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., determina
l’estinzione dell’obbligazione, anche contro la volontà del creditore, ma non attribuisce automaticamente al
terzo un titolo per agire direttamente nei confronti del debitore, non essendo in tal caso configurabili né la
surrogazione per volontà del creditore (art. 1201), né quella per volontà del debitore (art. 1202), né quella
legale (art. 1203), la quale presuppone che il terzo che adempie sia tenuto con altri o per altri al pagamento del
debito; pertanto, il terzo che abbia pagato sapendo di non essere debitore può agire unicamente per ottenere
l’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, stante l’indubbio vantaggio economico ricevuto dal debitore
(Cass., sez. un., 29-4-2009, n. 9946).
30
Una specifica figura di surrogazione per volontà del debitore è la surroga del mutuo (c.d. portabilità del
mutuo), regolata dalla L. 40/2007 e poi confluita nell’art. 120 quater TUB, grazie alla quale il debitore (mutuata-
rio) può trasferire senza spese il proprio mutuo dall’originario istituto bancario ad altro istituto bancario che
proponga condizioni migliori, utilizzando l’ipoteca originaria e mantenendo il capitale residuo da rimborsare,
senza necessità del consenso della banca che si intende cambiare. Vi è una modificazione del soggetto attivo del
rapporto di mutuo: per effetto della surroga la nuova banca subentra nei diritti del primo mutuante e nelle ga-
ranzie, personali e reali, accessorie al credito cui la surrogazione si riferisce; anche l’ipoteca iscritta dalla prima
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 717

c) Si ha surrogazione legale quando la surrogazione opera di diritto, e cioè automati-


camente nel senso che è la stessa legge che surroga il terzo adempiente nei diritti del cre-
ditore verso il debitore. Le ipotesi di surrogazione legale sono tassativamente indicate
dalla legge: per l’art. 1203 la surrogazione ha luogo di diritto, nei casi indicati, a vantag-
gio: 1) di chi, essendo creditore, ancorché chirografario, paga un altro creditore che ha
diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipote-
che; 2) dell’acquirente di un immobile che, fino alla concorrenza del prezzo di acquisto,
paga uno o più creditori a favore dei quali l’immobile è ipotecato (art. 2866); 3) di chi,
essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse di soddisfar-
lo 31; 4) dell’erede con beneficio d’inventario che paga con danaro proprio i debiti eredi-
tari; 5) di specifici soggetti negli altri casi stabiliti dalla legge: ad es. dell’assicuratore che
ha pagato l’indennità, fino alla concorrenza dell’ammontare della stessa, nei diritti del-
l’assicurato verso i terzi responsabili (art. 1916) 32; del fideiussore, che ha pagato il debi-
to, nei diritti che il creditore aveva contro il debitore (art. 1949). La legge si limita ad ac-
cordare il diritto alla surrogazione: è rimesso al beneficiato decidere se avvalersene e
dunque esercitarla.

banca permane, annotandosi a margine dell’originaria iscrizione ipotecaria il subentro nella garanzia ipotecaria
del nuovo creditore a cui favore opera. L’operazione può essere trilaterale, con la costituzione in un unico atto
della banca originaria, della nuova banca e del debitore (mutuatario), che regola la surrogazione del nuovo mu-
tuo e contiene la quietanza di estinzione dell’originario residuo mutuo rilasciata dalla banca uscente; oppure può
essere bilaterale, con l’intervento nell’atto di surrogazione della nuova banca e del debitore (mutuatario), e con
successivo atto di rilascio di quietanza della banca uscente: l’atto di surrogazione è però sempre stipulato con
atto pubblico o con scrittura privata con sottoscrizione autenticata, per l’annotamento di surrogazione nei regi-
stri immobiliari. Perché si realizzi la surrogazione è necessario, non solo che il mutuo contratto con la nuova
banca sia esplicitamente finalizzato alla estinzione del precedente mutuo, ma anche che il pagamento del prece-
dente mutuo contenga la dichiarazione che la somma utilizzata rinviene dalla stipula del nuovo mutuo. Non pos-
sono essere imposte al mutuatario costi bancari e notarili di alcun genere per l’esecuzione delle formalità connes-
se alle operazioni di surroga. L’istituto si applica ai soli contratti di finanziamento conclusi da intermediari ban-
cari e finanziari con persone fisiche o microimprese.
Diversa è la sostituzione del mutuo, con la estinzione del precedente mutuo e la costituzione di un nuovo
mutuo autonomo dal precedente, con connessa costituzione di nuova ipoteca indipendente da quella prece-
dente, che viene cancellata. In tal caso il mutuatario perde il beneficio dell’assenza di costi bancari e notarili
per la stipula del nuovo mutuo; ha però il vantaggio di potere ridefinire integralmente il nuovo mutuo, com-
presi l’importo (che può essere superiore), gli interessi e la durata.
Diversa ancora è la rinegoziazione del mutuo, che non integra una modificazione del soggetto attivo del
rapporto. Si limita ad una ridefinizione del rapporto con la stessa banca mutuante originaria, in particolare
modificandosi il tipo di tasso, la misura e la durata del finanziamento.
31
Ai fini dell’operatività della surrogazione legale di cui all’art. 1203, n. 3, non è necessario né che il sur-
rogante sia tenuto al pagamento del debito in base allo stesso titolo del debitore surrogato, né che egli sia di-
rettamente obbligato nei confronti dell’“accipiens”, richiedendo la norma soltanto che il surrogante abbia “un
interesse giuridicamente qualificato alla estinzione dell’obbligazione” (legittimamente il notaio rogante agisce
nei confronti dei contraenti per il rimborso di somma che ha pagato per l’estinzione d’ipoteca non dichiarata
in rogito) (Cass. 16-12-2013, n. 28061; Cass. 15-11-2017, n. 26957).
32
L’assicuratore contro i danni che abbia indennizzato il proprio assicurato ha diritto di surrogarsi ex art.
1916 c.c., non solo nei confronti del responsabile, ma anche verso l’assicuratore r.c.a. di quello (Cass. 14-10-2016,
n. 20740). Il diritto di surrogazione dell’assicuratore sociale è disciplinato dalle norme dello Stato al quale
appartiene l’ente surrogante, con il limite per cui tale surrogazione non può eccedere i diritti spettanti alla
vittima o ai suoi aventi causa; i diritti che spettano alla vittima, o ai suoi aventi causa, nei confronti dell’autore
del danno, nei quali l’ente previdenziale può surrogarsi ed i presupposti dell’azione risarcitoria sono discipli-
nati dalle norme dello Stato in cui si è verificato il “danno” (Cass., sez. un., 30-6-2016, n. 13372).
718 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

A fronte di adempimento parziale, sia ha surrogazione parziale, essendo limitata alla


misura dell’adempimento: il terzo surrogato e il creditore concorrono nei confronti del
debitore in proporzione di quanto loro è dovuto, salvo patto contrario (art. 1205).
La surrogazione, qualunque sia la fonte, ha effetto anche contro i terzi che han-
no prestato garanzia per il debitore 33; se il credito è garantito da pegno, si osserva l’art.
12632 (art. 1204).

8. Delegazione attiva. – È disciplinata la sola delegazione passiva (artt. 1268 ss.),


che incide sul lato passivo del rapporto obbligatorio ed è ad iniziativa del debitore 34.
Ciò non toglie che i soggetti del rapporto possano dare vita ad una delegazione attiva,
con effetto modificativo del lato attivo del rapporto, in virtù dell’autonomia contrat-
tuale riconosciuta ai privati (ex art. 1322). In tal caso l’iniziativa della delega è presa
dal creditore: il creditore (delegante) conferisce incarico al debitore (delegato) di assu-
mere il debito verso un terzo (delegatario); nel contempo autorizza il terzo a riceversi
l’impegno del debitore di adempiere l’obbligazione esistente nei confronti del credito-
re delegante. Se l’incarico è di adempiere, con il pagamento si ha estinzione dell’obbli-
gazione (e non modificazione). A differenza della cessione del credito, dove il debitore
è solo destinatario della notifica della cessione, nella delegazione attiva il debitore è
partecipe dell’operazione perché è lo stesso debitore che si impegna ad assumere verso
il terzo l’obbligo di eseguire la prestazione, continuando ad essere tenuto verso il cre-
ditore originario (delegazione cumulativa); ma è nell’autonomia delle parti prevedere
la liberazione del creditore originario (delegazione liberatoria), con conseguente suc-
cessione del terzo nel credito.
Con tale figura si realizza una disposizione indiretta del credito: il creditore non ce-
de il credito al terzo, ma conferisce incarico al debitore di assumere il debito verso il
terzo o senz’altro di pagare al terzo. In tal guisa il terzo consegue (indirettamente) l’og-
getto dell’obbligazione originaria pur senza essersi reso cessionario del credito. Ciò di
regola avviene perché il creditore è debitore verso il terzo o anche solo perché si vuole
compiere una liberalità. Il fenomeno è facilmente riscontrabile lungo la catena distri-
butiva commerciale, dove il grossista, che è creditore verso il dettagliante del prezzo
della fornitura della merce ed è ad un tempo debitore verso il produttore per l’ap-
provvigionamento, stipula con il dettagliante un patto con il quale lo stesso assume
l’obbligo di pagare al produttore.
In considerazione del vincolo obbligatorio originario, il debitore (delegato) promette
di pagare al terzo (delegatario): con l’adempimento si estingue il rapporto esistente tra
creditore e terzo ed è contestualmente attuato il rapporto obbligatorio originario.

33
In tema di confideiussione ex art. 1946 c.c., al confideiussore che ha pagato l’intero spetta nei confronti de-
gli altri un diritto che è suscettibile di duplice inquadramento: di surroga, ex artt. 1203, n. 3, e 1204 c.c., ma an-
che di regresso, ex art. 1954 c.c., trattandosi di diritti tra i quali non sussiste alcun rapporto di alternatività o in-
compatibilità, in quanto chi agisce in regresso fa valere anche il diritto di surrogazione legale, sia pure nei limiti
della parte di obbligazione che non deve restare definitivamente a suo carico (Cass. 28-7-2017, n. 18782).
34
Diversamente si configura, nei contratti bancari, la delegazione del cliente a un terzo a compiere opera-
zioni sul conto corrente: tale accordo spiega unicamente l’effetto, per le operazioni e nei limiti di importo sta-
biliti, di vincolare la banca a considerare alla stessa stregua di quella del delegante la firma del delegato, ma
non comporta il conferimento a quest’ultimo di un potere di agire in rappresentanza del delegante per il
compimento di atti negoziali riferibile al singolo conto (Cass. 17-1-2020, n. 859).
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 719

B) MODIFICAZIONI NEL LATO PASSIVO

9. L’assunzione del debito altrui (e successione nel debito). – Si è visto come la


modificazione nel lato attivo (e cioè del creditore) è di regola indifferente per il debitore,
il quale è comunque tenuto ad eseguire la prestazione dovuta. Diversamente avviene per
la modificazione nel lato passivo (e cioè del debitore), potendo il nuovo debitore essere
insolvibile, a differenza dell’originario debitore che aveva un consistente patrimonio sul
quale soddisfarsi. Per le prestazioni di fare, poi, assumono un ruolo essenziale la capacità
professionale e l’organizzazione del debitore (se non addirittura la qualità personale del
debitore, come ad es. le prestazioni artistiche); si aggiunga la eventuale volontà del credito-
re di risultare tale verso un determinato debitore in funzione di un più ampio contesto di
interessi.
In conseguenza della morte del debitore, il creditore è costretto a subire la modifi-
cazione del soggetto passivo con il subingresso degli eredi: trattandosi di successione a
titolo universale, agli eredi si trasmette il complessivo patrimonio del defunto. Quando
invece il debitore intende sostituire o anche aggiungere un terzo a sé nella posizione
passiva per atto tra vivi, si dà luogo ad un’assunzione del debito altrui, nel senso che il
terzo fa proprio il debito altrui verso il creditore, con la successione nella posizione
debitoria o con l’affiancarsi alla stessa: nella prima ipotesi si determina una vicenda
modificativa nel lato passivo del rapporto obbligatorio, con sostituzione del nuovo debi-
tore a quello originario (assunzione liberatoria); nella seconda ipotesi si realizza l’aggiun-
ta del nuovo debitore a quello originario (assunzione cumulativa) 35.
Strutturalmente il credito rappresenta un valore economico attivo, mentre il debito
esprime un valore economico passivo. Però, nella realtà economica, il debito di restitu-
zione di fondi presi a prestito consente lo svolgimento di utili attività produttive; è per-
ciò sempre maggiormente riguardato in maniera non atomistica ma nella prospettiva di
una massa di debiti, che impone l’esigenza di una complessiva gestione della debitoria. È
da tempo emersa l’esigenza di sistemazione della debitoria per i molteplici interessi che
vi ineriscono, come si vedrà analizzando le procedure di crisi di impresa (VII, 8.2) e di
sovraindebitamento (VII, 8. 4). L’impianto del codice sulle vicende dell’obbligazione ha
riguardo al singolo rapporto; perciò l’analisi che segue si svolge in tale direzione. Ma gli
istituti che incontreremo rappresentano essenziali tecniche giuridiche di sistemazione dei
debiti, impiegabili anche nella ristrutturazione dei debiti di massa.
I modi di assunzione del debito altrui a titolo particolare, per atto tra vivi, sono: la de-
legazione passiva, l’espromissione e l’accollo (di seguito analizzate). Le prime due figure si
realizzano attraverso un accordo tra il terzo e il creditore; la terza figura in virtù di un
accordo del terzo con il debitore, con l’adesione del creditore. Non è richiesta una forma
solenne di assunzione del debito altrui, potendo essere compiuta con ogni mezzo e risul-
tare anche da fatti concludenti. Esiste una essenziale disciplina comune delle tre figure,
testualmente prevista ovvero ricostruita dalla giurisprudenza, con ulteriori affinità tra
delegazione e espromissione rispetto all’accollo. Sono delineati di seguito alcuni generali
criteri che valgono per tutte le figure.

35
Derivando dal negozio di assunzione del debito altrui obbligazioni a carico solo del terzo, ricorre la fi-
gura del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente (ex art. 1333) (VIII, 2.12).
720 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

a) La liberazione del debitore originario non può avvenire indipendentemente


dalla volontà del creditore. L’assunzione del debito, in quanto tale, comporta che il terzo
si aggiunge al debitore originario (assunzione cumulativa); tranne che non sia espressa-
mente prevista la sostituzione del debitore originario (assunzione liberatoria), che richie-
de l’assenso del creditore 36.
L’assunzione cumulativa instaura una obbligazione complessa con pluralità di debito-
ri, che si tende a ricostruire come obbligazione solidale con i caratteri della sussidiarietà.
Si determina il c.d. beneficium ordinis, per cui il creditore non può rivolgersi al debitore
originario se prima non ha richiesto l’adempimento al terzo 37.
L’assunzione liberatoria determina la successione a titolo particolare nel medesimo rap-
porto, con il subingresso del terzo nella posizione giuridica del debitore originario (as-
sunzione privativa); sempre che non sia espressamente pattuita la estinzione del prece-
dente rapporto con la costituzione di un nuovo rapporto (assunzione novativa), così de-
terminandosi una novazione soggettiva passiva: l’art. 1235, che menziona la novazione
soggettiva, si limita a rinviare alla disciplina di delegazione, espromissione e accollo; ma
non è priva di rilievo la natura novativa dell’effetto sostitutivo (VII, 3.13). La distinzione
è di tutta evidenza con riguardo alla prescrizione del diritto di credito: se la successione è
privativa (successione particolare nel debito), continua a decorrere il termine prescriziona-
le originario; se l’assunzione è novativa, con la costituzione di una nuova obbligazione
inizia a decorrere un nuovo termine prescrizionale. Evidentemente la diversità di strut-
tura delle singole figure fanno atteggiare anche diversamente i modi di determinazione
degli effetti indicati.
b) Le garanzie annesse al credito si estinguono con la liberazione del debitore
originario, se colui che le ha prestate non consente espressamente di mantenerle (art.
1275). Con la liberazione del debitore originario, se l’obbligazione assunta dal nuovo debi-
tore verso il creditore è dichiarata nulla o è annullata, l’obbligazione originaria rivive, ma il
creditore non può valersi delle garanzie prestate da terzi (art. 1276).
c) L’insolvenza sopravvenuta del terzo (nuovo debitore) non consente al creditore
di agire verso il debitore originario liberato, salvo che ne abbia fatto espressa riserva;
se il terzo era insolvente al tempo in cui assunse il debito in confronto del creditore, il
debitore originario non è liberato (art. 1274): la norma è prevista per la delegazione
liberatoria e per l’accollo liberatorio. Non si fa menzione della espromissione per la
ragione che in questa manca l’iniziativa del debitore originario, il quale dunque non
può essere responsabile del fatto che il creditore accetti un nuovo debitore liberando il
precedente (Relaz. cod. civ., n. 56).
Differente dalle figure in esame è la fattispecie dell’adempimento del terzo (art. 1180),
cui si avrà riguardo in seguito (VII, 3.5): in tale ipotesi il terzo, con l’adempimento, estin-
gue l’obbligazione senza assumere la veste di debitore; può semmai realizzarsi un “paga-
mento con surrogazione” nei diritti del creditore verso il debitore.

36
L’effetto liberatorio del debitore originario può derivare anche da un contegno concludente del credi-
tore, univocamente diretto a tale risultato (Cass. 19-11-1994, n. 9835).
37
La regola è dettata espressamente per la delegazione (art. 12682), ma la giurisprudenza, come si vedrà,
tende ad estenderla anche alla espromissione e all’accollo.
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 721

10. Delegazione passiva. – Si è visto come, nella delegazione attiva, l’iniziativa della
delega è presa dal creditore. Nella delegazione passiva l’iniziativa della delega è presa dal
debitore. In particolare il debitore (delegante) conferisce incarico a un terzo (delegato) di
adempiere o di promettere di adempiere il proprio debito al creditore (delegatario): si
suole parlare di ordine del delegante al delegatario. Se l’incarico è senz’altro di adempie-
re, si ha delegazione di pagamento: il delegato, pagando al terzo, estingue l’obbligazione.
Se l’incarico è di promettere di adempiere, si ha delegazione di debito: il delegato, assu-
mendo il debito altrui, entra nel rapporto obbligatorio (a fianco del precedente debitore
o in sostituzione dello stesso).
a) Quanto alla funzione, la delegazione si presta a realizzare scopi diversi. Talvolta è
rivolta alla mera concentrazione delle prestazioni: ad es., se il debitore Tizio è creditore
verso un terzo, è sufficiente che il terzo adempia al creditore di Tizio perché, con un unico
adempimento, si raggiunga il risultato finale dell’attuazione di entrambi i rapporti obbli-
gatori (sia quello del terzo verso Tizio, sia quello di Tizio verso il suo creditore). Di rego-
la la delegazione si realizza perché il debitore non è in grado di adempiere e perciò si ri-
volge a un terzo per l’adempimento del suo debito: più spesso all’incarico al terzo di
adempiere si accompagna una anticipazione dei fondi da parte di questo a titolo onero-
so, attraverso l’accensione di un mutuo della somma necessaria alla estinzione della debi-
toria (sulla quale sono di regola conteggiati gli interessi art. 18151); può anche accedersi
alla concessione di garanzie (personali o reali) del debitore al terzo per la restituzione
delle somme anticipate nel pagamento al creditore. Il terzo può anche eseguire l’ordine
di pagamento a titolo gratuito, così realizzando una liberalità in favore del debitore (che
si atteggia come una donazione indiretta ex art. 809). L’onerosità o la gratuità del titolo
dell’incarico è valutata in relazione alla qualificazione del rapporto del debitore con il
terzo (rapporto di provvista).
È possibile delineare due rapporti sottostanti al meccanismo della delegazione: di va-
luta e di provvista. Il rapporto di valuta, corrente tra l’originario debitore (delegante) ed
il suo creditore (delegatario), è connesso al titolo del rapporto obbligatorio originario (es.
il debito del compratore verso il venditore per il pagamento del prezzo della vendita). Il
rapporto di provvista, corrente tra l’originario debitore (delegante) e il terzo (delegato),
giustifica la ragione dell’intervento del terzo (es. l’esistenza di un precedente debito del
terzo verso il debitore o l’accensione di un mutuo).
b) Circa la struttura del fenomeno, rilevano le modalità di inclusione del terzo 38.
Alla base della delegazione vi è un mandato delegatorio del debitore (delegante)
al terzo (delegato), con il quale il debitore conferisce l’incarico al terzo, che assume il
corrispondente obbligo, di pagamento o di assunzione del debito verso il creditore (de-
legatario). In ragione dell’incarico, sulle parti gravano le obbligazioni derivanti dal man-

38
Tradizionalmente si sono fronteggiate due teorie: quella unitaria, che considera la delegazione un unico
negozio trilaterale; e quella atomistica (maggiormente sostenuta dalla dottrina, di recente accolta dalla giuri-
sprudenza), che ravvisa distinti rapporti e dunque più negozi. Se si ha riguardo al modo di operare del mec-
canismo delegatorio, si scorge come le due configurazioni siano anche influenzate dalle tecniche di svolgi-
mento dell’operazione. È più raro che i tre soggetti siano partecipi di un unitario regolamento di interessi (ma
non è teoricamente escluso). Più spesso il meccanismo delegatorio si svolge in momenti e con negozi diversi,
sebbene coordinati.
722 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

dato e le corrispondenti azioni 39. Con la stipula del mandato il mandante (delegante)
può o meno somministrare al mandatario (delegato) i mezzi necessari alla esecuzione del
mandato (art. 1719). Il mandato delegatorio è il negozio minimo ed indefettibile del
meccanismo delegatorio. A seconda poi dell’oggetto del mandato si delineano due mo-
delli di delegazione (di pagamento e di debito) di cui si è fatto cenno e che bisogna ora
approfondire.
Non manca peraltro una ricostruzione della delegazione come negozio trilaterale tra
debitore (delegante), terzo (delegato) e creditore (delegatario), che può concludersi an-
che in forma progressiva 40, nelle due forme di pagamento e di debito.
Se il debitore (delegante) non dichiara al creditore (delegatario) di assegnargli un
nuovo debitore e il terzo non rivela al creditore di agire nella veste di delegato (mandata-
rio), presentandosi come assuntore spontaneo del debito, ricorre la figura dell’espro-
missione (di cui appresso), salvo il regolamento interno dei rapporti tra delegante e dele-
gato in virtù del mandato delegatorio stipulato.
La delegazione passiva si articola in più figure in ragione dell’oggetto della delega e
del funzionamento dei titoli.
– Rispetto all’oggetto della delega, si distinguono delegazione di pagamento e delega-
zione di debito.
La delegazione di pagamento (delegatio solvendi) è il modello più semplice. Il
debitore conferisce l’incarico al terzo di adempiere e dunque di estinguere l’obbligazione
originaria. La delegazione realizza una funzione solutoria senza la preventiva assunzione
di debito da parte del delegato verso il delegatario e quindi senza successione nel debi-
to 41; però il terzo (delegato) non è tenuto ad accettare l’incarico di pagamento al credi-
tore (delegatario), anche se è debitore del delegante, salvo usi diversi (art. 12692). Si pen-
si all’assegno bancario, con il quale il cliente ordina alla banca di pagare una determinata
somma ad un beneficiario; analogamente per il bonifico bancario e per la domiciliazione
delle utenze domestiche presso la banca 42. Non succedendo il terzo nella posizione di
debito, neppure si realizza una modificazione soggettiva nel lato passivo del rapporto
obbligatorio.
La situazione di indebito del delegante verso il terzo, per cui gli ha dato ordine di pa-
gare al delegatario un debito non dovuto verso il terzo (indebito oggettivo ex art. 2033) o

39
Specificamente l’actio mandati directa del debitore delegante (mandante) verso il terzo delegato (man-
datario) per l’esecuzione dell’incarico (pagamento o assunzione del debito) (art. 1710), e l’actio mandati con-
traria del delegato (mandatario) verso il delegante (mandante) per la corresponsione dei mezzi necessari all’e-
secuzione del mandato e per le spese ed eventuale compenso (artt. 1719 s.).
40
La delegazione è costruita come struttura unitaria, composta di un rapporto unico con tre soggetti e
due rapporti sottostanti (Cass. 15-7-2011, n. 15691; Cass. 19-2-2019, n. 4852).
41
In caso di delegazione di pagamento titolata rispetto al rapporto di valuta, il delegato che per errore
esegua una seconda volta il pagamento in favore del terzo ha il diritto di ripetere tale ultimo pagamento, co-
stituente un indebito oggettivo (Cass. 13-5-2021, n. 12885).
42
La disposizione dei fondi è connessa al rapporto di provvista che lega il cliente alla banca, molto spesso
regolato in conto corrente. Nei confronti del beneficiario l’incarico di effettuare il pagamento ha natura di
delegatio solvendi, senza che, pur in assenza di un espresso divieto del delegante, la banca delegata possa as-
sumere un’autonoma obbligazione, ai sensi dell’art. 12691 verso il creditore delegatario al fine di compensare i
crediti dalla stessa vantati, ove l’assunzione di tale obbligo si ponga in contrasto con il rapporto di mandato
ex art. 1856 (Cass. 22-5-2015, n. 10545).
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 723

un debito altrui (indebito soggettivo ex art. 2036) va risolta nei rapporti tra delegante e
delegatario, con le debite ripetizioni in favore del delegante secondo le comuni regole.
Per l’art. 12691, sebbene il debitore abbia delegato il terzo ad eseguire il pagamento,
questi può comunque obbligarsi verso il creditore 43, salvo il divieto del debitore e sem-
pre che il creditore l’accetti. Non obbligandosi il terzo verso il creditore, questi non ha
titolo per agire nei suoi confronti.
La delegazione di debito (delegatio promittendi) ha un meccanismo più comples-
so, per involgere più negozi. C’è anzitutto l’incarico (contenuto nel mandato delegatorio)
del debitore al terzo di promettere il pagamento al creditore, cioè di assumere verso il
creditore un proprio vincolo obbligatorio (per l’art. 12681 il debitore assegna al creditore
un nuovo debitore, che si obbliga verso il creditore). È inoltre necessario un negozio di
assunzione del debito da parte del delegato verso il creditore, che si atteggia come con-
tratto con obbligazioni del solo proponente ai sensi dell’art. 1333; in assenza di dichiara-
zione di liberazione del debitore originario (assunzione cumulativa), può configurarsi co-
me negozio unilaterale, con diritto del creditore di rifiutare il beneficio. Sarebbe anche
richiesto un negozio di assegnazione del nuovo debitore, corrente tra delegante e delega-
tario: tale atto è però evitabile con l’accettazione da parte del creditore del nuovo debi-
tore che si presenta nella veste di delegato. Esempio tipico di delegazione di debito è la
cambiale tratta: il trattario che accetta l’incarico è obbligato al pagamento secondo lo
schema della delegazione di debito dell’art. 1268.
L’esito della delegazione di debito è l’assunzione del debito da parte del terzo verso
il creditore: il debitore originario non è liberato dalla sua obbligazione, salvo che il
creditore dichiari espressamente di liberarlo (art. 12681). È cioè presunta l’assunzione
cumulativa del debito, per cui (salvo liberazione del debitore originario da parte del
creditore) si realizza una obbligazione complessa con pluralità di debitori, che si tende
a ricostruire come obbligazione solidale sussidiaria: il creditore che ha accettato l’ob-
bligazione del terzo non può rivolgersi al delegante (debitore originario) se prima non
ha richiesto l’adempimento al delegato (nuovo debitore) (art. 12682) (c.d. beneficium
ordinis).
In presenza di liberazione del debitore originario, si realizza l’assunzione liberatoria
del debito altrui che è tipicamente una successione a titolo particolare nel debito, con so-
stituzione del debitore originario con il terzo nel medesimo rapporto (assunzione priva-
tiva); tranne che non sia pattuita un’assunzione novativa del debito, con estinzione del
rapporto originario e costituzione di un nuovo rapporto con un diverso debitore (assun-
zione novativa) 44. In ogni caso il creditore che ha liberato il debitore originario non ha
più azione contro di lui se il delegato diviene insolvente, salvo che ne abbia fatto espres-
sa riserva (art. 12741). Tuttavia, se il delegato era insolvente al momento in cui assunse il
debito nei confronti del creditore, il debitore originario non è liberato (art. 12742).

43
Per l’assunzione dell’obbligazione da parte del delegato al pagamento ex art. 1268 c.c. non sono richie-
sti speciali requisiti di forma, potendosene ammettere l’integrazione anche in virtù di facta concludentia ed, in
via progressiva, se alla dichiarazione del delegante o del delegato o del delegatario si aggiunge quella delle
altre parti in un momento successivo (Cass. 19-2-2019, n. 4852).
44
Nella delegatio promittendi, ex art. 1268 c.c., il delegato è direttamente obbligato verso il delegatario e
questi può agire direttamente verso il delegato, mentre nella delegatio solvendi, ex art. 1269 c.c., è esclusa l’a-
zione diretta del delegatario verso il delegato (Cass. 20-4-2020, n. 7945).
724 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

– Rispetto al funzionamento dei titoli, si distinguono delegazione titolata e delegazio-


ne pura.
La delegazione è titolata (o causale) se, all’atto dell’assunzione del debito da parte
del terzo, si fa riferimento a uno dei rapporti di provvista e valuta o a entrambi: il richiamo
rafforza la posizione del terzo abilitandolo a sollevare le eccezioni relative ai rapporti sotto-
stanti; il terzo, nell’assumere il debito verso il creditore, può promettere di pagare nei limiti
della capienza della provvista; ovvero, può promettere di pagare nella misura dovuta dal
debitore (delegante) in virtù del rapporto di valuta 45; se sono richiamati entrambi i rappor-
ti, sono sollevabili entrambi i tipi di eccezioni. In ogni caso, indipendentemente dal ri-
chiamo, la nullità di entrambi i rapporti è opponibile al delegatario: in tal caso, osserva la
Relaz. cod. civ., n. 586, viene meno sia il fondamento economico che giustifica l’obbligazio-
ne del delegato, sia il fondamento che legittima il creditore a ricevere.
La delegazione è pura (o astratta) se manca ogni riferimento ai rapporti sottostanti 46:
tale tipo di delegazione rafforza la posizione del creditore in quanto, in assenza del ri-
chiamo dei rapporti sottostanti, il terzo non può opporre al creditore né le eccezioni che
avrebbe potuto opporre al debitore (in virtù del rapporto di provvista), né quelle che
avrebbe potuto opporre il debitore originario (in virtù del rapporto di valuta), tranne
l’ipotesi di nullità dei due rapporti.
Indipendentemente dal richiamo del rapporto di provvista, la delegazione è coperta se
sussiste un precedente credito del debitore (delegante) verso il terzo (delegato); è scoperta
(o anche detta allo scoperto) se manca ogni precedente credito.
Il terzo (delegato) può sempre opporre al creditore (delegatario) le eccezioni relative
ai “suoi rapporti con questo” (es. compensazione o vizio del negozio di assunzione del de-
bito) (art. 12711).
È presunta la delegazione pura (astratta): il terzo (delegato) non può opporre al credi-
tore (delegatario) le eccezioni relative ai due rapporti sottostanti (di provvista e di valu-
ta), salvo che non vi sia espresso riferimento agli stessi nel negozio di assunzione del de-
bito (art. 12712-3).
c) Quanto alla estinzione della delegazione, in entrambi i tipi di delegazione il dele-
gante può revocare la delegazione (e dunque estinguerla) fino a quando il delegato non
abbia adempiuto o assunto l’obbligazione verso il delegatario (art. 12701); ma il delegato
può adempiere o assumere il debito verso il delegatario anche dopo la morte o la so-
pravvenuta incapacità del delegante (art. 12702).

45
Per la validità della delegazione titolata è sufficiente l’esistenza dei rapporti sottostanti di provvista e di
valuta al momento della scadenza, mentre non è necessario che sussistano all’atto della stipulazione. È con-
sentito configurare la delegazione titolata, oltre che relativamente a preesistenti rapporti di credito, già liquidi
ed esigibili, anche riguardo a crediti che, ancorché esistenti, non siano ancora liquidi ed esigibili e riguardo a
crediti futuri, che, pur non potendo ancora considerarsi esistenti, risultino tuttavia geneticamente collegati al
non ancora avvenuto svolgimento di rapporti in atto tra delegante e delegatario al momento in cui viene
compiuta la delegazione; nella delegazione doppiamente titolata, qualora risulti successivamente invalido o
inefficace il rapporto di provvista, il delegato è legittimato ad agire nei confronti del delegante per la ripeti-
zione di quanto versato al delegatario (Cass. 19-5-2004, n. 9470).
46
È il meccanismo normale quando si ricorre alla intermediazione bancaria nella regolazione dei rapporti
commerciali tra piazze di Paesi diversi: per l’art. 1530, in tema di apertura di credito documentale, la banca
che ha confermato il credito al venditore (creditore) può opporgli solo le eccezioni derivanti dall’incomple-
tezza o irregolarità dei documenti e quelle relative al rapporto di conferma del credito: v. Cass. 29-1-2003, n. 1288.
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 725

Sia nella delegazione di pagamento che nella delegazione di debito, il pagamento del
delegato al delegatario realizza, ad un tempo, sia il rapporto di provvista (tra delegante e
delegato) che quello di valuta (tra delegante e delegatario).
d) Il regime delle eccezioni segna il fulcro del meccanismo delegatorio. Il terzo (dele-
gato) può sempre opporre al creditore (delegatario) le eccezioni relative ai “suoi rapporti
con questo” (es. compensazione o vizio del negozio di assunzione del debito) (art. 12711).
Più articolato è il regime relativo agli altri rapporti.
Rispetto agli altri rapporti, si è visto come sia presunta la delegazione pura (astratta): il
terzo (delegato) non può opporre al creditore (delegatario) le eccezioni relative ai due
rapporti sottostanti (di provvista e di valuta), salvo che non vi sia espresso riferimento
agli stessi nel negozio di assunzione del debito (art. 12712-3). Se è richiamato il rapporto
di provvista, può opporre le eccezioni opponibili al delegante, anche relativamente alla
misura dell’importo dovuto al delegante; se è richiamato il rapporto di valuta, può oppor-
re le eccezioni opponibili dal delegante al delegatario, anche relativamente alla misura
dell’importo dovuto dal delegante; se sono richiamati entrambi i rapporti, sono sollevabili
entrambi i tipi di eccezioni; se però è nullo il rapporto di valuta, può opporre le eccezio-
ni relative al rapporto di provvista (art. 1271). In ogni caso, indipendentemente dal ri-
chiamo, la nullità di entrambi i rapporti è opponibile al delegatario: in tal caso, osserva la
Relaz. cod. civ., n. 586, viene meno sia il fondamento economico che giustifica l’obbliga-
zione del delegato, sia il fondamento che legittima il creditore a ricevere. La nullità di
entrambi i rapporti è comunque opponibile al delegatario.

11. Espromissione. – L’espromissione è un contratto tra creditore e terzo, in virtù del


quale il terzo (espromittente) assume verso il creditore (espromissario) il debito dell’ob-
bligato originario (espromesso) senza ordine del debitore o, comunque, quand’anche esi-
stente un rapporto sottostante, senza esternarlo al creditore. L’assunzione del debito è
spontanea ovvero si rivela tale: pure in presenza di rapporti sottostanti tra debitore e ter-
zo, è essenziale che l’assunzione del debito risulti svincolata da tali rapporti e comunque
che il terzo non si presenti come delegato del debitore 47, salvo il rapporto interno col
debitore 48.
Nell’assunzione del debito altrui è anche normalmente fatta risiedere la causa del
contratto di espromissione 49, quale che possa essere lo specifico interesse perseguito dal

47
È essenziale che l’assunzione risulti formalmente svincolata dai rapporti tra espromittente e debitore
originario e che dunque il terzo, presentandosi al creditore, non giustifichi il proprio intervento con un pree-
sistente accordo con l’obbligato; il debito resta immutato e pertanto il terzo assuntore può avvalersi di tutte le
eccezioni fondate sul contratto tra espromesso ed espromissario e su quello di espromissione (Cass. 1-3-2022,
n. 6732).
48
Quando manca un mandato delegatorio, l’espromittente che assume e poi estingue il debito altrui, se
non ha agito con animo di liberalità, può rivalersi nei confronti del debitore originario nei limiti della gestione
di affari (art. 2028) o dell’arricchimento senza causa (art. 2041).
49
Si è molto dibattuto circa la causa del contratto di espromissione e non è mancato chi ha parlato anche di
negozio astratto. Per la giurisprudenza la causa dell’espromissione è costituita dall’assunzione del debito al-
trui con un’attività del tutto svincolata dai rapporti eventualmente esistenti fra terzo e obbligato, anche se non
si richiede l’assoluta estraneità dell’obbligato rispetto al terzo, essendo necessario, invece, che il terzo, pre-
sentandosi al creditore, non giustifichi il proprio intervento con un preesistente accordo con l’obbligato
(Cass. 7-12-2012, n. 22166; Cass. 16-2-2004, n. 2932; Cass. 13-12-2003, n. 19118).
726 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

terzo (che può essere quello di estinguere un debito pregresso verso il debitore origina-
rio o anche di compiere una liberalità in suo favore): si pensi all’iniziativa del genitore
che spontaneamente assume verso il creditore il debito contratto dal figlio. Con la con-
seguenza che, se la precedente obbligazione non esiste o è stata estinta, l’espromissione
cade per mancanza di causa.
Anche la espromissione, in sé, determina la sola assunzione del vincolo obbligatorio
da parte del nuovo debitore che si affianca al debitore originario (assunzione cumulati-
va), tranne che il creditore non dichiari espressamente di liberare il debitore originario
(assunzione liberatoria) (art. 12721). Pure nell’espromissione cumulativa opera la solida-
rietà con i caratteri della sussidiarietà. L’espromissione liberatoria, a sua volta, si presume
privativa, come successione nel debito; tranne che non sia stata espressamente pattuita
come novativa.
Come la delegazione passiva di debito, anche la espromissione si configura quale con-
tratto “obbligazioni del solo proponente” ai sensi dell’art. 1333; in assenza di dichiara-
zione di liberazione del debitore originario (assunzione cumulativa), può configurarsi
come negozio unilaterale, con diritto del creditore di rifiutare il beneficio.
Conseguenziale è il regime delle eccezioni. Il mancato richiamo ad una eventuale
delega da parte del debitore originario esclude in radice che il terzo espromittente possa
opporre al creditore le eccezioni relative ai suoi rapporti col debitore originario (rappor-
to di provvista), tranne che non sia convenuto diversamente (art. 12722). Avendo assunto
un debito altrui, l’espromittente può invece opporre al creditore le eccezioni che allo
stesso avrebbe potuto opporre il debitore originario (rapporto di valuta): così sono op-
ponibili le eccezioni relative alla costituzione e alla estinzione del rapporto obbligatorio,
se non sono personali al debitore originario (es. incapacità) e non derivano da fatti suc-
cessivi all’espromissione. L’espromittente non può opporre al creditore la compensazio-
ne che avrebbe potuto opporgli il debitore originario, quand’anche verificatasi prima
dell’espromissione (art. 12723).

12. Accollo. – L’accollo è un contratto tra debitore e terzo, con il quale il terzo (accol-
lante) assume nei confronti del debitore (accollato) il debito che questi ha verso il credi-
tore (accollatario). Se le parti aprono la convenzione all’adesione del creditore, questi
può aderire alla convenzione rendendo irrevocabile la stipulazione a suo favore (art.
12731). L’accollo del debito altrui può trovare varie giustificazioni: ad es., il terzo (accol-
lante) può decidersi all’assunzione del debito altrui per estinguere un suo debito verso il
debitore (accollato) o per compiere in suo favore un’operazione di finanziamento, o an-
che solo per spirito di liberalità verso lo stesso. Molto spesso l’accollo si inserisce nella
causa di un diverso contratto (ad es. vendita con accollo di mutuo, di cui in seguito). La
struttura base dell’accollo corre tra debitore e terzo (accollo interno); più spesso però
nella realtà economica involge l’adesione del terzo (accollo esterno).
a) L’accollo interno (o semplice) non è regolato dal codice civile, ma è di elaborazione
dottrinale e giurisprudenziale. Si svolge fra terzo (accollante) e debitore (accollato) senza
produrre alcun effetto giuridico nei confronti del creditore, il quale ne rimane estraneo non
acquistando alcun diritto verso l’accollante. Il terzo assume nei confronti del debitore
l’obbligo di tenerlo indenne dal peso del debito (apprestando in anticipo al debitore i
mezzi occorrenti, ovvero reintegrandolo successivamente del carico dell’adempimento) o
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 727

anche adempiendo come terzo 50. Si pensi all’ipotesi di separazione consensuale dove
uno dei coniugi si accolla per intero il pagamento delle residue rate di mutuo per l’ac-
quisto della casa familiare (specie in presenza di figli).
Consegue che accollante e accollato possono risolvere o modificare la convenzione di
accollo senza l’intervento del creditore. Nel caso di mancata osservanza dell’obbligo, l’ac-
collante risponde dell’inadempimento nei confronti del solo debitore accollato e non an-
che verso il creditore (estraneo all’accollo).
Per non essere previsto dalla legge, l’accollo interno deve essere espressamente pattui-
to. Quando è stipulato tra terzo e debitore un accollo a favore del creditore, ove il terzo
non aderisca, l’accollo esterno si converte in accollo interno.
b) L’accollo esterno è l’unico previsto dalla legge (art. 1273). Rappresenta la figura ordi-
naria e più complessa di accollo per produrre effetti anche verso il creditore (accollata-
rio). Ad es., nel mercato immobiliare, è prassi che il costruttore si procuri il danaro ne-
cessario alla costruzione di un fabbricato prendendo a mutuo dalla banca la somma ne-
cessaria alla costruzione, la cui restituzione provvede a frazionare tra i futuri acquirenti
in proporzione al valore dei singoli appartamenti realizzati; con la vendita degli appar-
tamenti ciascuno dei compratori si accolla parte del debito del costruttore, verso la ban-
ca, di restituzione della somma presa a mutuo proporzionale alla tipologia dell’immobile
acquistato (c.d. rate di mutuo): l’accollo del mutuo è partecipe del contenuto del con-
tratto di vendita stipulato tra costruttore e compratore, essendo parte del prezzo pagata
mediante accollo del mutuo.
Si è propensi a ritenere che, anche in presenza della liberazione del debitore originario,
l’accollo si configuri come stipulazione a favore di terzo in quanto è comunque procurato al
creditore l’effetto favorevole di un nuovo debitore, che prima non c’era; e d’altra parte la
liberazione del debitore originario non può avvenire contro la volontà del creditore.
Il negozio di assunzione del debito altrui (corrente tra debitore e terzo) è destinato a
produrre effetti verso il creditore (accollatario), il quale, con suo atto unilaterale, può
fare adesione al contratto tra debitore e terzo, secondo le regole proprie del contratto a
favore di terzi (art. 1411). L’adesione del creditore non è elemento perfezionativo della
stipulazione tra debitore e terzo: il creditore acquista il diritto per effetto della stipula-
zione preordinata a produrre effetti verso lo stesso. L’adesione del creditore integra la
dichiarazione di voler profittare dell’effetto a suo favore, così rendendo irrevocabile e
immodificabile la stipulazione a suo favore (artt. 13731, 14112). È anche possibile l’accol-
lo di una debitoria che implica l’assunzione dei singoli debiti verso i vari creditori 51.
Di regola l’accollo cumulativo, rimanendo il terzo (accollante) ed il debitore (ac-

50
L’accordo con il quale una parte si obbliga a tenere indenne l’altra da ogni pretesa fiscale (nella specie,
relativa ad un immobile assegnato in forza di un accordo divisorio) ha natura di accollo interno, rilevante
esclusivamente tra i privati stipulanti e non verso l’Amministrazione finanziaria, non avendo effetto sull’indi-
viduazione del soggetto passivo; sul rapporto fra contribuente e P.A. o sul potere impositivo di quest’ultima;
esso è, pertanto, valido e la controversia che lo riguarda è devoluta alla giurisdizione ordinaria (Cass.
21-2-2020, n. 4589).
51
La convenzione con la quale l’acquirente, in corrispettivo della cessione di attività mobiliari e immobi-
liari comprese in un ramo di azienda, si accolli i debiti relativi all’azienda ceduta, configura un accollo ad og-
getto determinabile, essendo identificabili, all’atto della stipula, gli eventuali debiti e i rispettivi creditori, e
comporta, in caso di preliminare di vendita, che l’effetto traslativo sia collegato all’effettiva assunzione dei de-
biti nei confronti degli accollatari (Cass. 5-6-2018, n. 14372).
728 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

collato) obbligati solidalmente verso il creditore (art. 12734). La giurisprudenza ha este-


so all’accollo la regola della sussidiarietà in tema di delegazione (beneficum ordinis) 52.
Si ha accollo liberatorio quando il contratto di accollo cui aderisce il creditore
contiene la condizione espressa della liberazione del debitore originario: in tal caso l’ade-
sione alla stipulazione comporta, ad un tempo, anche la liberazione del debitore; in ogni
caso il creditore, pure in assenza della condizione di liberazione, può con propria dichia-
razione espressa liberare il debitore originario (art. 12732) 53. L’assunzione liberatoria del
debito altrui comporta successione nel debito originario (accollo privativo), tranne che
non sia stata prevista la novazione del debito originario (accollo novativo).
Come per la delegazione passiva, il creditore che ha aderito ad un accollo liberatorio
non ha azione contro il debitore originario se l’accollante diviene insolvente, salvo che ne
abbia fatto espressa riserva (art. 12741,3). Se però l’accollante era già insolvente al tempo
in cui assunse il debito nei confronti del creditore, il debitore originario non è liberato
(art. 12742): ciò per non avere verificato preventivamente la insolvenza del terzo o peggio
per essere stato connivente. Quando il creditore libera il debitore originario, si estinguo-
no le garanzie annesse al credito, tranne che il datore delle garanzie acconsente a mante-
nerle (art. 1275). Se l’obbligazione assunta verso il creditore è dichiarata nulla o è annul-
lata, e vi era stata liberazione del debitore originario, l’obbligazione di questo rivive, ma
il creditore non può valersi delle garanzie prestate da terzi (art. 1276). Anche quando
viene meno il contratto base al quale l’accollo liberatorio afferisce (per invalidità, rescis-
sione, risoluzione, revocatoria), viene meno la pattuizione di accollo, e l’obbligazione
originaria rivive.
L’accollo liberatorio può essere coperto o scoperto (c.d. allo scoperto) a seconda che
sussista o meno un rapporto sottostante di debito del terzo (accollante) verso il debitore
originario (accollato): quando è coperto, il pagamento dell’accollante in favore del terzo
creditore vale ad estinguere sia l’obbligazione dell’accollante verso il debitore sia quella
di quest’ultimo verso il proprio creditore 54.
Quanto al regime delle eccezioni, aderendo il creditore ad un contratto stipulato da
altri (debitore e terzo), soggiace a tutte le eccezioni che vi ineriscono: il terzo (accollante)
è obbligato verso il creditore nei limiti in cui ha assunto il debito, e può opporre al credi-
tore le eccezioni fondate sul contratto di assunzione del debito (art. 12734), cioè relative
al rapporto con il debitore originario (es. la misura del debito assunto, la nullità del con-
tratto di accollo, ecc.) (rapporto di provvista). Anche in assenza di espressa previsione
deve ritenersi che l’accollante possa far valere nei confronti del creditore le eccezioni re-
lative al rapporto tra debitore originario e creditore (rapporto di valuta) in quanto

52
Nell’accollo cumulativo esterno, non liberatorio per il debitore originario, l’obbligazione dell’accollato, in
analogia alla disciplina dettata per la delegazione dall’art. 12682, degrada ad obbligazione sussidiaria, con la con-
seguenza che il creditore ha l’onere di chiedere preventivamente l’adempimento all’accollante, anche se non è
tenuto ad escuterlo preventivamente, e soltanto dopo che la richiesta sia risultata infruttuosa può rivolgersi al-
l’accollato (Cass. 24-2-2010, n. 4482; Cass. 24-5-2004, n. 9982).
53
La mera adesione del creditore alla convenzione di accollo, in mancanza di volontà espressa ed inequi-
voca di liberazione del debitore, comporta solo l’effetto di degradare l’obbligazione del debitore a sussidiaria
ed il conseguente onere di chiedere preventivamente l’adempimento all’accollante (Cass. 8-2-2012, n. 1758).
54
L’accollo non allo scoperto – in cui, cioè, l’accollante è obbligato verso il debitore e il suo pagamento
vale ad estinguere, perciò, entrambi i debiti – rientra tra i possibili modi di pagamento del terzo soggetti a
revocatoria fallimentare (Cass. 4-5-2012, n. 6795).
CAP. 2 – MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 729

l’assenza o la estinzione del rapporto obbligatorio originario rende priva di fondamento


l’assunzione del terzo e dunque l’adesione del creditore.

C) MODIFICAZIONI OGGETTIVE
13. Modificazioni non novative. – La legge prevede la novazione come fattispecie
produttiva di una vicenda estintiva dell’obbligazione: come si vedrà, la novazione pro-
duce la estinzione del rapporto obbligatorio, con la costituzione di un nuovo rapporto
(artt. 1230 ss.) (VII, 3.13).
La modificazione oggettiva non novativa ha riguardo ad una modificazione del con-
tenuto o dell’oggetto della obbligazione, che resta in vita: le modificazioni dell’oggetto del-
l’obbligazione non importano estinzione dell’obbligazione (modificazioni c.d. semplici).
L’art. 1231 prevede che il rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l’apposizione
o l’eliminazione di un termine e ogni modificazione accessoria dell’obbligazione non pro-
ducono novazione: la giurisprudenza tende a dilatare la portata dell’art. 1231, applican-
do tale norma anche a modificazioni che incidono sull’oggetto dell’obbligazione in as-
senza di un animus novandi e di un aliquid novi (VII, 3.13).

14. Surrogazione reale. – È la forma più significativa di modificazione oggettiva


senza effetto novativo.
Un fenomeno di surrogazione reale si ha in conseguenza della impossibilità sopravve-
nuta della prestazione dovuta. Per l’art. 1259 il creditore della prestazione divenuta im-
possibile subentra nei diritti spettanti al debitore in dipendenza del fatto che ha causato
l’impossibilità, e può esigere dal debitore la prestazione di quanto questi abbia consegui-
to a titolo di risarcimento danni. Si realizza in tal guisa una doppia possibilità per il cre-
ditore: di subingresso nei diritti spettanti al debitore verso il terzo per la distruzione della
cosa e di esazione della prestazione sostituiva del risarcimento danni, che il debitore è
tenuto a procurare al creditore in luogo di quella originaria.
Altra figura si ha in tema di deposito, per l’ipotesi di perdita non imputabile della de-
tenzione della cosa (art. 17802): il depositante (creditore della prestazione di restituzio-
ne) ha diritto di ricevere ciò che il depositario abbia conseguito in dipendenza del fatto,
subentrando nei relativi diritti.
Ulteriore figura si ha con riguardo all’assicurazione contro i danni di cose soggette a
privilegio, pegno o ipoteca. Se le cose periscono o si deteriorano, le somme dovute dagli
assicuratori per indennità della perdita o del deterioramento sono vincolate al pagamen-
to dei crediti privilegiati, pignoratizi o ipotecari secondo il loro grado di preferenza (con
surrogazione dunque dell’indennità assicurativa alla cosa) (art. 2742).
CAPITOLO 3
ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
(Vicende estintive)

Sommario: 1. Tipologie e modi di estinzione. – A) ADEMPIMENTO. – 2. Attuazione del rapporto obbliga-


torio. – 3. Esattezza dell’adempimento. Diligenza e correttezza. – 4. Segue. Modalità dell’adempi-
mento e imputazione del pagamento. – 5. Adempimento del terzo. – 6. Dazione in pagamento. La
cessione di credito di imposta. – 7. Mora del creditore. La posizione soggettiva del creditore. – 8. Se-
gue. Costituzione in mora e liberazione dall’obbligazione. – B) MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’A-
DEMPIMENTO. – 9. I modi di estinzione indirettamente satisfattivi. – 10. Compensazione. – 11. Confu-
sione. – 12. I modi di estinzione non satisfattivi. – 13. Novazione (oggettiva e soggettiva). – 14. Re-
missione del debito (e pactum de non petendo). – 15. Impossibilità sopravvenuta per causa non impu-
tabile al debitore.

1. Tipologie e modi di estinzione. – Come si è visto, il rapporto obbligatorio è fi-


nalizzato al soddisfacimento dell’interesse di un soggetto (creditore) tramite la coope-
razione di altro soggetto (debitore). Il rapporto obbligatorio è dunque destinato ad
estinguersi o quando il soddisfacimento è realizzato o quando è sicuro che non può
realizzarsi o quando è realizzato un interesse diverso da quello perseguito dal creditore
ma che la legge o lo stesso creditore considera idoneo a giustificare la estinzione della
obbligazione.
In generale esistono più ragioni di estinzione dei diritti: ad es., la prescrizione, per cui
ogni diritto disponibile si estingue quando il titolare non lo esercita per il tempo deter-
minato dalla legge (art. 2934) (II, 4.9); la morte del titolare di situazioni indisponibili, per
cui si estinguono con la morte le obbligazioni soggettivamente infungibili o ritenute tali
dalle parti (es. artt. 1674 e 1722).
In questo capitolo si ha riguardo alle cause specifiche di estinzione dell’obbligazione.
Come per le modificazioni, anche per l’estinzione la normativa del codice è riferita ad un
singolo rapporto obbligatorio (corrente tra due soggetti o tra più soggetti). Quando l’ob-
bligazione è connessa ad altre obbligazioni, come ad es. in un contratto a prestazioni
corrispettive, la sorte della singola obbligazione si riflette sulla sorte delle altre obbliga-
zioni per il più complesso rapporto instaurato.
I modi di estinzione dell’obbligazione sono così delineati dal codice civile: Adempi-
mento (artt. 1176 c.c.), come modo generale e fisiologico di estinzione dell’obbligazione;
Modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento (artt. 1230 ss.), come modi
alternativi di determinazione dell’estinzione. È possibile raggruppare i vari modi di estin-
zione dell’obbligazione secondo un criterio funzionale in due grandi categorie, a seconda
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 731

che realizzino o meno il soddisfacimento del creditore, e perciò distinguendosi tra modi
di estinzione satisfattivi e modi di estinzione non satisfattivi.
a) Sono modi di estinzione satisfattivi quelli che determinano la estinzione dell’obbli-
gazione con la realizzazione (in qualche modo) dell’interesse del creditore (vicende estinti-
ve satisfattive). Si comprende in tale categoria, anzitutto, l’adempimento che rappresenta
il modo fisiologico di estinzione del rapporto obbligatorio, in quanto fa conseguire al
creditore il risultato originario perseguito mediante l’esecuzione della prestazione da
parte del debitore: si produce cioè il soddisfacimento diretto del creditore. Esistono
poi cause satisfattive di estinzione dell’obbligazione che realizzano, sì un interesse del cre-
ditore, ma diverso da quello originario perseguito: si produce cioè un soddisfacimento
indiretto del creditore. Tali sono la compensazione e la confusione.
b) Sono modi di estinzione non satisfattivi quelli che determinano la estinzione del-
l’obbligazione senza soddisfacimento di un interesse del creditore, né quello originario
perseguito né uno di segno diverso (vicende estintive non satisfattive): tali sono la nova-
zione, la remissione del debito e la impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa
non imputabile al debitore.
Secondo l’impianto del codice civile, parliamo prima dell’adempimento, come mezzo
fisiologico di estinzione dell’obbligazione, e poi degli altri mezzi di estinzione.

A) ADEMPIMENTO
2. Attuazione del rapporto obbligatorio. – All’adempimento il codice civile dedica
l’intero Capo II (artt. 1176 ss.), quale figura più diffusa e auspicabile di estinzione del-
l’obbligazione.
L’adempimento è l’attuazione dell’obbligo dovuto. È atto dovuto dal debitore per
procurare al creditore il bene perseguito; perciò l’adempimento costituisce vicenda estin-
tiva tipicamente satisfattiva. Talvolta la legge utilizza il termine pagamento in luogo di a-
dempimento (es. art. 2033), per essere la prestazione di somma di danaro l’oggetto più
diffuso di obbligazione, ma è lessico più corretto riferire il termine pagamento alla corre-
sponsione di una somma di danaro. L’adempimento rappresenta il modo fisiologico di
attuazione del rapporto obbligatorio in quanto realizza la pretesa del creditore attraverso
l’attuazione dell’obbligo da parte del debitore.
Caratterizzandosi come atto dovuto, l’adempimento del debitore non ha natura ne-
goziale. È opinione diffusa che sia un atto in senso stretto (atto meramente esecutivo) per
la cui conformità all’ordinamento è sufficiente la materialità del comportamento tenuto
dal debitore, essendo irrilevante l’intento che lo sostiene e dunque la volontà solutoria
del debitore (c.d. animus solvendi) 1. Il debitore che ha eseguito la prestazione dovuta
non può impugnare l’adempimento per incapacità (art. 1191), proprio in quanto il bene
procurato al creditore era comunque dovuto; e ciò a differenza dell’esecuzione di obbli-

1
L’intento solutorio, anche quando sia rilevabile in concreto, non assume alcun rilievo ai fini della qualifica-
zione dell’atto in questione; eventuali riserve manifestate dal debitore al momento del pagamento non fanno ve-
nire meno il carattere satisfattorio della prestazione effettuata: anche in presenza di un pagamento con riserva di
ripetizione, devono ritenersi realizzate le condizioni per la cancellazione di ipoteca ex art. 2878 e sussistente l’ob-
bligo del creditore soddisfatto di prestare il consenso alla cancellazione (Cass. 27-7-1998, n. 7357).
732 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

gazione naturale, per la quale è richiesta la capacità di agire del solvens (art. 2034) (VII,
1.10). Il tema dell’adempimento è intrecciato con quello dell’inadempimento dell’obbli-
gazione (art. 1218) di cui si parlerà in seguito (VII, 4.1).
L’esecuzione della prestazione può essere compiuta dal debitore personalmente o me-
diante un mandatario (con o senza rappresentanza) o altro soggetto legittimato all’adem-
pimento. Il debitore risponde per fatto degli ausiliari di cui si avvale nell’adempimento
dell’obbligazione (art. 1228); esistono soggetti legittimati dalla legge ad adempiere in so-
stituzione del debitore: es., il rappresentante legale del soggetto incapace, o altri soggetti
per specifici debiti (ad es., organi giudiziari, ecc.).
Le spese dell’adempimento sono a carico del debitore (art. 1196). È però consentito
alle parti derogare a tale previsione, ponendole a carico del creditore; nella legge sono
previsti regimi specifici, connessi all’attribuzione della proprietà (es. in tema di vendita
ex artt. 1475 e 15102). Vanno comprese tra le spese sia quelle materiali, che quelle giuri-
diche e specificamente fiscali.
È dibattuta la figura del c.d. pagamento traslativo, cioè l’atto con cui il debitore
adempie una pregressa obbligazione di dare con trasferimento al creditore della proprie-
tà di un determinato bene. Viene in gioco la possibilità di adempiere una obbligazione di
trasferimento della proprietà e in generale di un diritto con atto unilaterale, a fronte sia
del numero chiuso dei modi di acquisto della proprietà (art. 922), sia del principio di
causalità dei negozi traslativi (art. 1325), sia del principio operante nel sistema del con-
senso traslativo (art. 1376). All’uopo si è rilevato che il consenso traslativo è lo strumento
tipico previsto dall’ordinamento (art. 1376); ma non è un principio di ordine pubblico
per non integrare un valore costituzionale. Sussistono ipotesi tipiche di adempimento
traslativo, come il ritrasferimento che il mandatario senza rappresentanza compie al
mandante dell’immobile o mobile registrato acquistato (art. 17062), o il legato di cosa del-
l’onerato o di un terzo per cui l’onerato, se risulta che il testatore sapeva che la cosa lega-
ta apparteneva ad un terzo, è obbligato ad acquistare la proprietà della cosa dal terzo e a
trasferirla al legatario (art. 651). Nulla quindi esclude che l’autonomia privata, ai sensi
dell’art. 13222, possa forgiare strumenti alternativi di trasferimento dei diritti purché cau-
sali; è stata all’uopo individuata una causalità esterna al singolo atto traslativo, rinvenibi-
le nella programmazione della complessiva operazione economica. È da ritenersi che,
emergendo la causa esterna dell’operazione, sia possibile il compimento di un atto unila-
terale traslativo, solvendi causa, assoggettato a trascrizione ex art. 2645 quale “altro atto”
produttivo dell’effetto traslativo di cui all’art. 2643.
È anche dibattuta l’esistenza di un diritto del debitore all’adempimento, per
cui la prestazione, oltre che essere oggetto dell’obbligo del debitore, possa anche costi-
tuire oggetto di un suo diritto. Non c’è nella legge un generale riconoscimento del diritto
del debitore ad adempiere. Come si vedrà, la legge si limita a prevedere un diritto di op-
posizione del debitore all’adempimento del terzo (art. 11802) (VII, 3.5) e un diritto del
debitore alla liberazione dall’obbligazione attraverso la mora del creditore (art. 1206)
(VII, 3.7). Si deve però ritenere che, alla stregua del generale dovere di correttezza che
grava sul debitore e sul creditore ex art. 1175 nell’attuale significazione di solidarietà
(VII, 1.9), vada riconosciuto un interesse del debitore all’adempimento quando lo stesso
esprima un interesse giuridicamente protetto; il debitore è tenuto a provare l’esistenza di
uno specifico interesse personale ad eseguire la prestazione dovuta ulteriore rispetto alla
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 733

trama di interessi coinvolti dal rapporto obbligatorio, che non è soddisfacibile attraverso
la liberazione dal vincolo obbligatorio. Tale interesse all’adempimento, come di regola,
può essere di varia natura: sia di carattere economico, come ad es. l’esecuzione di un man-
dato conferito anche nell’interesse del mandatario, per l’utilità che allo stesso consegue
dalla esecuzione del mandato (art. 17232); sia di carattere non economico, come ad es.
l’interesse del lavoratore dipendente ad eseguire la prestazione dovuta secondo le man-
sioni affidategli, per la realizzazione della sua personalità (art. 2103) 2; sia con entrambi i
caratteri: ad es. l’interesse dell’artista a tenere la rappresentazione teatrale, per la notorietà
di immagine che ne deriva e il ritorno economico che ne consegue.
Il debitore che ha adempiuto ha diritto ad ottenere la quietanza a proprie spese,
che non deve avere forme particolari 3; ha altresì diritto che sia annotato il pagamento sul
titolo se questo non viene restituito (19991). Il rilascio di quietanza per il capitale fa pre-
sumere il pagamento degli interessi (art. 11992).
La quietanza ha natura di atto unilaterale di riconoscimento dell’adempimento 4, con
funzione di confessione stragiudiziale ai sensi dell’art. 27351; perciò non può provarsi per
testimoni, se verte su un oggetto per il quale la prova testimoniale non è ammessa (art.
27352) e non può essere revocata se non si prova che è stata determinata da errore di fat-
to o da violenza (art. 2732) 5.
Sotto il medesimo Capo II, relativo all’adempimento dell’obbligazione, è collocato il
pagamento con surrogazione (artt. 1201 ss.) in quanto presupposto della surrogazione è
appunto l’adempimento. Si è preferito trattare della figura innanzi, parlando delle modi-
ficazioni del lato attivo del rapporto obbligatorio, in quanto, determinandosi la surroga-
zione di un terzo nella titolarità del credito, l’obbligazione non si estingue ma continua a
vivere con la sostituzione di un nuovo creditore all’originario creditore, con successione
nel lato attivo del rapporto obbligatorio.

3. Esattezza dell’adempimento. Diligenza e correttezza. – La prestazione dovuta


deve essere eseguita in modo esatto: per la fondamentale regola dell’art. 1218 il debitore
che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se

2
L’art. 2103 c.c. fonda un diritto del lavoratore all’effettivo svolgimento della propria prestazione di lavoro,
atteso che il lavoro non è soltanto un mezzo di sostentamento e di guadagno, ma anche un mezzo di estrinseca-
zione della personalità del lavoratore; la lesione di tale interesse costituisce un inadempimento contrattuale da
parte del datore di lavoro e determina, oltre all’obbligo di corrispondere le retribuzioni dovute, l’obbligo del
risarcimento del danno da dequalificazione professionale (Cass. 9-2-2007, n. 2878).
3
La quietanza può essere contenuta anche nella fattura che il creditore invii al proprio debitore e risultare
da qualsiasi non equivoca attestazione dell’adempimento dell’obbligazione, come l’annotazione “pagato” o
altra equivalente, apposta sulla fattura, che riveli sia l’ammontare della somma pagata, sia il titolo per il quale
il pagamento è avvenuto, sempreché tale annotazione sia sottoscritta dal soggetto da cui essa proviene (Cass.
31-10-2011, n. 22655).
4
Il creditore, il quale rilascia quietanza al debitore, ammette il fatto del ricevuto pagamento e rende con-
fessione stragiudiziale alla parte, con piena efficacia probatoria, ai sensi degli artt. 2733 e 2735 c.c. (Cass.
14-12-2018, n. 32458). Dalla quietanza non può di regola desumersi l’esistenza di una volontà del creditore
transattiva o di rinuncia ad altre pretese, salvo che questa non risulti da speciali elementi e dal tenore del
documento (Cass. 28-3-2003, n. 4688).
5
L’esistenza del fatto estintivo (pagamento) può essere contestata soltanto mediante la prova degli stessi
fatti (errore di fatto o violenza) richiesti dall’art. 2732 c.c. per privare di efficacia la confessione, restando
irrilevanti il dolo e la simulazione (Cass. 6-10-2014, n. 20993). Conf. Cass. 20-2-2018, n. 4063.
734 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della


prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
a) Anzitutto il debitore deve procurare il bene dovuto. L’adempimento deve essere
integrale, nel senso che il debitore è tenuto ad eseguire la prestazione dovuta procurando
per intero il bene promesso (cosa o fatto).
Il creditore può rifiutare un adempimento parziale, anche se la prestazione è divi-
sibile, salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente (art. 1181): ad es. in materia
di cambiale e di assegno (art. 452 R.D. 1669/1933, e art. 372 R.D. 1736/1933) 6. In ogni
caso l’adempimento parziale, ricevuto dal creditore, non è causa di estinzione del debito,
tranne che non sia espressamente accettato come tale 7. L’adempimento parziale non è di
ostacolo alla normale tutela per inadempimento contrattuale se la parte residua non è di
scarsa importanza (art. 1455) 8. Se però la prestazione è divenuta parzialmente impossibi-
le, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la parte che è rimasta possibile (art.
1258).
Se l’adempimento ha per oggetto cose, deve essere eseguito con cose di cui il debitore
possa disporre; il debitore non può però impugnare l’adempimento eseguito con cose
altrui, tranne che non offra di rinnovare l’esecuzione della prestazione con cose proprie.
L’adempimento eseguito con cose altrui può invece essere impugnato dal creditore che
l’ha ricevuto in buona fede; salvo il diritto al risarcimento del danno (art. 1192). Quando
ha ad oggetto cose determinate solo nel genere, il debitore deve prestare cose di “qualità
non inferiore alla media” (art. 1178).
Norme particolari valgono per l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie (VII, 1.16);
per importi elevati, si è soliti pagare a mezzo strumenti bancari (assegni o bonifici), con
funzione di dazione in pagamento (par. 6).
L’obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla (art.
1177). Ciò implica che il contenuto della obbligazione di consegna è integrato da una
prestazione di custodia accessoria e strumentale alla obbligazione principale di consegna.
Il principio trova un’applicazione concreta in tema di vendita, dove l’art. 1477 fa obbligo
al venditore di consegnare la cosa nello stato in cui si trovava al momento della vendita.
Salva diversa volontà delle parti, il debitore può eseguire la prestazione dovuta anche

6
Il creditore non è tenuto ad accettare un adempimento parziale, ma ha la facoltà (in previsione di una
sua maggiore pretesa od altro) di accettare o domandare un pagamento parziale (Cass. 15-4-1998, n. 3814).
Né l’accettazione del pagamento parziale implica, di per sé, rinunzia al credito residuo.
7
La rinuncia ad un diritto, anche di azione, non può desumersi che da circostanze di fatto concludenti,
univoche ed incompatibili con l’intenzione di avvalersi del medesimo diritto; è facoltà del creditore, ex art.
1181, accettare un pagamento parziale, senza necessità di riserva del residuo, né in sé può determinare l’esau-
rimento del rapporto (Cass. 7-10-2021, n. 27226).
8
L’accettazione, da parte del creditore, dell’adempimento parziale non estingue il debito, ma semplice-
mente lo riduce, non precludendo al creditore di azionare la risoluzione del contratto ove la parte residuale
del credito rimasta scoperta comporti ugualmente la gravità dell’inadempimento; nel contratto di appalto il
committente può trattenere la parte di manufatto realizzata e provvedere direttamente al completamento e
alla eliminazione degli eventuali difetti riscontrati, chiedendo poi il risarcimento dei danni, con una riduzione
del prezzo pattuito, tenuto conto sia del valore dell’opera ineseguita che dell’ammontare delle spese sostenute
dal suddetto (Cass. 25-1-2022, n. 2223; Cass. 8-1-1987, n. 20). L’accettazione di una parte dell’opera, consi-
derata quindi soddisfacente, rende più problematica la valutazione se la parte mancate possa considerarsi di
rilevante importanza, ai fini della risoluzione.
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 735

avvalendosi dell’opera di terzi, rispondendo dei fatti dolosi o colposi di costoro (art.
1228) (sulla responsabilità per l’operato dei sostituti, in seguito).
b) L’esecuzione della prestazione deve avvenire nel rispetto di due fondamentali ob-
blighi: la diligenza del comportamento e la correttezza relazionale, quest’ultima imposta
anche al creditore.
Il dovere di diligenza inerisce alla esecuzione della prestazione dovuta, come contenu-
to della posizione passiva: perciò è riferito al solo debitore, che, nell’adempiere l’obbli-
gazione, deve usare la necessaria diligenza (art. 1176).
La previsione del dovere di “diligenza nell’adempimento” opera come una clausola
generale con lo scopo, proprio delle clausole generali, di fare operare un principio gene-
rale nella concretezza del caso specifico. In particolare l’art. 1176 ha il significato di de-
terminare il comportamento dovuto dal debitore e cioè lo sforzo (personale, economi-
co, tecnico) che, nel caso concreto, si può chiedere al debitore (e cui egli è tenuto) per
soddisfare l’interesse del creditore. In tal modo il dovere di diligenza, in quanto criterio
di determinazione della prestazione, si atteggia quale fonte legale di integrazione dell’ob-
bligo del debitore, essendo il debitore tenuto, nell’eseguire la prestazione dovuta, a
compiere quanto è necessario all’adempimento, secondo i parametri appresso indicati.
Osserva efficacemente la Relaz. cod. civ., n. 559, che la diligenza, come misura del com-
portamento del debitore, riassume in sé quel complesso di cure e cautele che ogni debi-
tore deve normalmente impiegare nel soddisfare la propria obbligazione, avuto riguardo
alla natura del particolare rapporto ed a tutte le circostanze di fatto che concorrono a
determinarlo. L’inosservanza della diligenza dovuta comporta inadempimento dell’obbli-
gazione (art. 1218). Sono fissati due parametri di diligenza che operano come altrettanti
criteri di valutazione del comportamento dovuto.
Un parametro generale impone al debitore di usare “la diligenza del buon padre di
famiglia” (art. 11761). È la c.d. diligenza generica: il riferimento è alla espressione
tradizionale del bonus pater familias, con la quale, storicamente, si è indicata l’attenzione
dell’uomo comune, accorto ed equilibrato nella cura dei propri interessi: il contenuto di
tale criterio va determinato in concreto con riferimento alle circostanze dell’adempimen-
to e al titolo dell’obbligazione. Il tema è spesso oggetto di valutazione quando è utilizza-
to l’ausilio bancario nel pagamento 9.
Di regola il titolo gratuito della prestazione comporta una verifica meno rigorosa del-
la responsabilità del debitore e dunque della diligenza impiegata: ad es., se il mandato o
il deposito sono gratuiti, è valutata con minor rigore la responsabilità del mandatario
(art. 1710) e del depositario (art. 1768).
Un parametro specifico opera per le sole obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività
professionale: in tali ipotesi la diligenza è valutata secondo la “natura dell’attività esercitata”

9
La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costitui-
sce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giu-
stificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmis-
sione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio
superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare
gli interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessa-
rio dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’i-
dentificazione del presentatore (Cass., sez. un., 26-5-2020, n. 9769, e Cass., sez. un., 28-5-2020, n. 10079).
736 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

(art. 11762). È la c.d. diligenza tecnica o qualificata operante nel mondo delle imprese e
delle professioni, che implica conoscenze e perizia tecnica nell’espletamento dell’attività
economica professionale 10. L’integrazione del criterio generale a quello specifico relativo
alle attività professionali assume il valore di indicare il riferimento alla conoscenza comune
e diffusa nell’ambito dell’attività professionale di riferimento; peraltro il grado di conoscen-
za atteso è differente se la prestazione sia dovuta da un comune operatore o da un soggetto
considerato specialista del settore, anche in ragione del regolamento economico della pre-
stazione. Solo quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare
difficoltà opera la norma complementare dell’art. 2236 c.c., che delimita la responsabilità
professionale al dolo o alla colpa grave (se ne parlerà nel contratto d’opera: IX, 2.5).
Il dovere di correttezza inerisce al rapporto sociale instaurato con l’obbligazione, per-
ciò opera a carico di entrambi i soggetti del rapporto obbligatorio, che devono compor-
tarsi “secondo le regole della correttezza” (art. 1175). Il criterio si lega al fondamentale
principio di buona fede (oggettiva) che informa la vita dei contratti e delle obbligazio-
ni e che, quale esplicazione del dovere di solidarietà, sempre deve sovrintendere alla re-
lazionalità sociale (II, 7.3). Il principio va articolato nei due essenziali versanti della lealtà
e della protezione.
Sul versante della lealtà, c’è l’esigenza, non solo di non gabellare l’altro soggetto del
rapporto obbligatorio, ma anche di non aggravare la posizione altrui (II, 7.5). Ad es. la
giurisprudenza ha considerato in contrasto con il principio di buona fede il comporta-
mento del creditore di artificioso frazionamento del credito in plurime richieste giudizia-
li di adempimento per lucrare maggiori compensi giudiziali (VII, 1.9).
Sul versante della protezione, ciascuno dei soggetti del rapporto deve fare tutto quan-
to è necessario per preservare e tutelare la posizione dell’altro soggetto senza un apprez-
zabile sacrificio della propria posizione, specie quando è in gioco la compromissione di
un interesse funzionale alla esplicazione della personalità dell’altro soggetto. Inoltre il
creditore che ha ricevuto l’adempimento deve consentire la liberazione dei beni dalle ga-
ranzie reali date per il credito e da ogni altro vincolo che comunque ne limiti la disponi-
bilità (art. 1200) a spese del debitore (non solo pegno e ipoteca, ma anche sequestro e
pignoramento) 11; il mancato consenso alla liberazione è causa di risarcimento danni nei
confronti del proprietario del bene dato in garanzia per la difficoltà della circolazione giu-
ridica del bene.
In sostanza, mentre il dovere di diligenza è indirizzato a definire l’attività dovuta dal
debitore, come strumentale al soddisfacimento del creditore, il dovere di correttezza in-

10
L’art. 11762 è norma “elastica”, da riempire di contenuto in considerazione dei principi dell’ordinamen-
to, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità, e dagli standards valutativi esistenti nella realtà sociale
che, concorrendo con detti principi, compongono il diritto vivente (Cass. 19-12-2019, n. 34107). La regola
della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” si applica, non solo all’accertamento del
nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo,
quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili (Cass. 21-1-2020, n. 1169).
11
In conformità ai principi di buona fede e correttezza, il creditore che è stato soddisfatto deve anche ri-
nunciare agli atti esecutivi senza necessità di alcuna sollecitazione del debitore ed entro un termine ragione-
volmente contenuto, avendo riguardo allo stato della procedura pendente nonché ad eventuali motivi di ur-
genza allo stesso noti; il ritardo ingiustificato comporta la responsabilità risarcitoria del creditore nei confron-
ti del debitore danneggiato (Cass. 21-11-2017, n. 27545; Cass. 20-6-2013, n. 15435).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 737

veste la correlazione dei comportamenti dei soggetti del rapporto obbligatorio, come fun-
zionale ad una solidale esplicazione del rapporto sociale VII, 1.1).

4. Segue. Modalità dell’adempimento e imputazione del pagamento. – Di regola


il debitore è obbligato a eseguire la prestazione dovuta con le modalità convenute (indi-
cate espressamente o ricostruibili in via di interpretazione) ovvero secondo gli usi; in
mancanza, secondo le modalità previste dalla legge. Sono dettate norme suppletive che
operano come regole integrative del rapporto obbligatorio in assenza di previsione dei
soggetti del rapporto.
a) Luogo dell’adempimento. Se il luogo di esecuzione della prestazione non è previsto
dalla convenzione o dagli usi e non può desumersi dalla natura del contratto o da altre
circostanze, valgono le seguenti regole (art. 1182).
L’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata va adempiuta nel luogo in
cui si trovava la cosa quando l’obbligazione è sorta (art. 11822). L’obbligazione di pagare
una somma di danaro (c.d. obbligazione pecuniaria) va adempiuta al domicilio che il
creditore ha al tempo della scadenza (c.d. debiti portabili): deve però trattarsi di obbliga-
zioni c.d. “liquide” e cioè determinate o determinabili 12; il danaro è, di regola, trasferito
a rischio del debitore, sicché rimangono a suo rischio e carico le operazioni di bonifico
bancario o di invio di assegni fino al soddisfacimento del creditore.
Se il domicilio del creditore è diverso da quello esistente al momento della nascita
dell’obbligazione e l’adempimento si riveli più gravoso, il debitore, previa dichiarazione
al creditore, ha diritto di eseguire nel proprio domicilio (art. 11823). In ogni altro caso
l’obbligazione va adempiuta al domicilio del debitore al tempo della scadenza (art.
11824) (c.d. debiti chiedibili). La norma trova una parziale applicazione in sede di vendi-
ta, con alcune varianti in favore del venditore (art. 1510).
b) Tempo dell’adempimento. La prestazione va eseguita nel termine di scadenza del
debito, corrispondente alla sua esigibilità. Esiste un divario tra esistenza del debito (con-
nessa alla nascita dell’obbligazione) e sua esigibilità (legata alla scadenza del debito):
l’esistenza del debito segna la titolarità del diritto di credito; l’esigibilità consente l’e-
sercizio del diritto. Solo l’esigibilità, dunque, indica il termine di adempimento dell’ob-
bligazione 13. Per il computo del termine si applica l’art. 2963 (art. 1187) (II, 4.8).
Si vedrà peraltro come il termine di adempimento differisce dal termine di efficacia
del contratto. Quest’ultimo fissa nel tempo l’efficacia del contratto, segnando il momento
iniziale e quello finale (e dunque la durata) di produzione degli effetti del contratto (è
modalità cronologica dell’efficacia del contratto) (VIII, 3.22). Invece il termine di adem-
pimento indica la scadenza del debito e cioè la sua esigibilità (è modalità cronologica del-

12
Le obbligazioni pecuniarie da adempiersi al domicilio del creditore, secondo il disposto dell’art. 11823
c.c. sono – agli effetti sia della mora ex re ai sensi dell’art. 12192, n. 3, c.c., sia del forum destinatae solutionis ai
sensi dell’art. 20, ultima parte, c.p.c. – esclusivamente quelle liquide, delle quali, cioè, il titolo determini l’am-
montare, oppure indichi i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale; i pre-
supposti della liquidità sono accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti secondo quan-
to dispone l’art. 38, ult. comma, c.p.c. (Cass., sez. un., 13-9-2016, n. 17989).
13
L’accettazione senza riserve della prestazione tardiva non comporta automaticamente la rinunzia al ri-
sarcimento del danno discendente dal mancato rispetto del termine pattuito, occorrendo, a tal fine, una espli-
cita manifestazione di volontà (Cass. 14-3-2012, n. 4074).
738 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

la esecuzione del contratto). Ad es. un contratto di locazione ha efficacia quadriennale,


con termine di scadenza del pagamento del canone il cinque di ogni mese.
Quando non è determinato il termine di esecuzione della prestazione, il creditore può
esigerla immediatamente (quod sine die debetur, statim debetur): può cioè esigerla quan-
do vuole (salva l’eccezione di prescrizione). Se però, in virtù degli usi o della natura della
prestazione ovvero per il modo o il luogo dell’esecuzione, un termine sia necessario,
questo, in mancanza di accordo delle parti, è stabilito dal giudice (art. 11831). Si pensi ad
es. all’obbligazione di restituzione di una somma di danaro presa a mutuo: un termine
per la restituzione del danaro è connesso alla stessa funzione di prestito del mutuo (art.
1813), per cui, in assenza di fissazione, è stabilito dal giudice (art. 1817) 14.
Poiché il termine di adempimento procrastina nel tempo l’esecuzione della presta-
zione, è importante stabilire se la indicazione del termine sia posta in favore del debitore
o del creditore o di entrambi. Regola fondamentale è che, in mancanza di diverso accor-
do, il termine è presunto a favore del debitore, nel senso che il debitore può eseguire la
prestazione anche prima della scadenza (senza che il creditore possa rifiutarla), ma il
creditore non può chiedere l’adempimento anticipato (art. 1184), così limitandosi l’eser-
cizio della pretesa del creditore; tuttavia il debitore non può ripetere ciò che ha pagato
anticipatamente, se non nei limiti della perdita subita di cui si è arricchito il creditore
(art. 1185) (secondo il generale principio in materia di arricchimento senza causa: art.
2041). Se il termine è stabilito a favore del creditore, questi può esigere la prestazione
prima della scadenza, ma il debitore non può adempiere anticipatamente contro la vo-
lontà del creditore, così limitandosi l’esecuzione della prestazione (si pensi, ad es., alla
obbligazione di consegna di merce nell’ipotesi in cui il creditore ha predisposto la libe-
razione di spazi in magazzino per la data di consegna). In definitiva, se il termine è stabi-
lito in favore di uno dei soggetti del rapporto, il soggetto nel cui favore il termine è stabili-
to può, rispettivamente, eseguire o esigere la prestazione anche prima della scadenza del
termine; se il termine è stabilito in favore di entrambi, il debitore deve eseguire e il credi-
tore può esigere la prestazione nel termine stabilito (salvo diverso accordo).
Il debitore decade dal termine a suo favore, e il creditore può esigere immediatamente
la prestazione, se il debitore è divenuto insolvente 15 o ha diminuito per fatto proprio le
garanzie che aveva date o non ha dato le garanzie promesse (decadenza dal termine)
(art. 1186). È una regola importante a tutela della garanzia del credito (v. artt. 1274,
1299, 1313, 1626, 18442, 1850, 1867, 1877, 2743) (VII, 5.2).

14
Mancando il termine di adempimento, anche se il creditore non abbia proposto istanza di fissazio-
ne del termine, il giudice può ritenere egualmente l’inadempimento ove il ritardo del debitore sia incom-
patibile con la natura della prestazione e riveli perciò la volontà di non adempiere (Cass. 23-11-2011, n.
24739).
15
Lo stato di insolvenza, ai fini della decadenza del debitore dal beneficio del termine (art. 1186), è costi-
tuito da una situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, la qua-
le renda verosimile l’impossibilità da parte di quest’ultimo di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni;
non deve rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità, potendo conseguire anche ad una situazione di diffi-
coltà economica e patrimoniale reversibile, purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie pa-
trimoniali offerte dal debitore, e va valutato con riferimento al momento della decisione (Cass. 18-11-2011, n.
24330). Per l’operatività della decadenza dal beneficio del termine, l’interruzione dei pagamenti rateali non
integra le condizioni previste dall’art. 1186 c.c., essendo necessario che ricorra l’insolvenza o la diminuzione o
il mancato conferimento delle garanzie date dal debitore (Cass. 11-11-2016, n. 23093).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 739

c) Destinatario dell’adempimento. L’adempimento deve essere fatto al creditore o al


suo rappresentante ovvero alla persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge
o dal giudice a riceverla (art. 11881). La legge, dunque, affianca al creditore (titolare
del diritto) e al suo rappresentante altri soggetti come legittimati a ricevere l’adempi-
mento: questi non sono titolari del diritto, e perciò non possono esercitarlo, ma rileva-
no solo come meri legittimati al ricevimento (indipendentemente dalla ragione sotto-
stante che spinge il creditore ad indicarli ovvero la legge o il giudice ad autorizzarli a
ricevere l’adempimento).
Con riguardo alle persone indicate dal creditore (indicatari) la indicazione di paga-
mento è una gestione del credito 16 e si caratterizza per la comunicazione (unilaterale)
che il creditore fa al debitore del soggetto indicato a ricevere il pagamento, non rilevan-
do il fondamento della indicazione: opera perciò come mera designazione (astratta) al
debitore dei soggetti legittimati a ricevere l’adempimento (ad es. l’ipotesi in cui il credi-
tore indichi quale destinatario del pagamento una determinata banca o uno specifico no-
taio ovvero quale destinatario della consegna una specifica filiale). In ciò si differenzia
dalla legittimazione a ricevere del rappresentante che è sorretta da una procura a riceve-
re (che per somme di danaro è procura all’incasso) 17. Il debitore è tenuto al pagamento
all’indicatario nei limiti del principio di buona fede, non potendo il creditore aggravare la
posizione del debitore 18.
Relativamente alle persone autorizzate dalla legge o dal giudice (autorizzati), legit-
timati a ricevere l’adempimento per legge sono, ad es., i rappresentanti legali degli incapa-
ci, i curatori fallimentari (ora della liquidazione giudiziale), gli ufficiali giudiziari quando
il debitore vuole evitare il pignoramento (art. 494 c.p.c.); tra i legittimati per provvedi-
mento del giudice, si pensi alla materia della famiglia, dove il giudice può ordinare al ter-
zo, debitore di un coniuge, di versare le somme dovute direttamente all’altro coniuge a
titolo di mantenimento (artt. 315 bis e 1566; art. 83 L. 898/1970).
L’adempimento in favore di soggetto non legittimato a riceverlo non libera il
debitore: il pagamento fatto a persona non legittimata è inefficace nei confronti del credi-
tore ed il debitore rimane obbligato ad eseguire la prestazione anche in via giudiziaria,
con la sola possibilità di ripetere il pagamento non dovuto secondo le comuni regole sul-
l’indebito soggettivo ex latere accipientis (art. 2033) (XI, 1.4). Il pagamento fatto a chi
non era legittimato a riceverlo libera il debitore se il creditore lo ratifica o ne ha approfit-
tato (art. 11882): incombe sul debitore la prova della ratifica o del fatto che il creditore
ne abbia approfittato.

16
L’art. 11882 consente che il creditore possa commettere anche ad altri soggetti di ricevere la prestazio-
ne, secondo il principio per cui la titolarità di un diritto non ne implica la necessaria gestione da parte del
titolare, il quale ben può affidarla ad altri (Cass. 25-9-2018, n. 22544).
17
La indicazione di pagamento si diversifica anche dalla delegazione attiva: con la prima il creditore au-
torizza il debitore ad adempiere a un terzo; con la seconda il creditore conferisce mandato al debitore di
adempiere al terzo, con la conseguenza che il debitore (mandatario) assume l’obbligo verso il creditore di
adempiere al terzo. Nei rapporti commerciali internazionali un ruolo fondamentale svolgono le Norme
uniformi relative agli incassi, apprestate dalla Camera di commercio internazionale, che indicano obblighi
e responsabilità del cliente, del trassato e delle banche (trasmittente, incaricata dell’incasso, presentatrice)
nelle operazioni di incasso.
18
Se la indicazione di un destinatario diverso dal creditore abbia formato oggetto di pattuizione, pene-
trando nel complessivo assetto di interessi realizzato, il debitore non può esimersi dall’adempiere al destinata-
rio concordato.
740 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Parimenti l’adempimento compiuto al creditore incapace non libera il debitore, tranne


che ne derivi un vantaggio al creditore (art. 1190): ma incombe sul debitore la prova del
vantaggio dell’incapace. È opinione prevalente comprendere nella previsione della nor-
ma, non solo l’incapacità legale, ma anche quella naturale.
d) Creditore apparente. In un ordine di idee diverso si colloca l’adempimento al cre-
ditore apparente (art. 1189). Anzitutto è da rilevare che, contrariamente alla rubrica del-
l’articolo che parla di “creditore apparente”, il testo del primo comma ha riguardo al de-
bitore che esegue il pagamento “a chi appare legittimato a riceverlo”: è così diffusa la opi-
nione di applicare l’art. 1189 a tutte le ipotesi di pagamento eseguito in favore di sogget-
to legittimato apparente a riceverlo. Il debitore è liberato quando ricorrono due presup-
posti: l’apparenza della legittimazione del soggetto che si riceve il pagamento; la buona
fede del debitore.
In sostanza trova applicazione il generale principio dell’affidamento incolpevole nella
forma più forte dell’apparenza giuridica; con i contrappesi della pubblicità, per cui quando
una situazione risulta da pubblici registri non può mai invocarsi l’apparenza 19 (II, 7.3). Il
debitore è liberato se esegue il pagamento a chi “appare legittimato a riceverlo in base a
circostanze univoche”, provando di essere stato in “buona fede” (art. 11891). Come è nel-
l’essenza dell’apparenza, la situazione di fatto generatrice dell’apparenza prevale su quel-
la giuridica in quanto sussista l’incolpevole buona fede del soggetto caduto in errore (buo-
na fede soggettiva): l’apparenza è causa di liberazione del debitore per avere suscitato
nello stesso un ragionevole affidamento che il ricevente il pagamento fosse il vero credi-
tore ovvero legittimato a riceverlo. Sulla scorta della lettera dell’art. 1189, per molto
tempo si è ritenuto che fosse sufficiente una c.d. apparenza pura (anche detta semplice)
basata sulla sola buona fede del debitore, considerandosi indifferente il comportamento
avuto dal creditore vero nella determinazione dell’apparenza; più di recente si tende pe-
rò a valorizzare una c.d. apparenza colposa che cioè involga anche il comportamento col-
poso del creditore nell’ingenerare l’errore nel debitore 20 (II, 7.3). Contrariamente alla
regola dell’art. 11473, la buona fede soggettiva non è presunta, ma deve essere provata.
Se chi riceve l’adempimento si presenta come un falsus procurator, si verte in tema di
rappresentanza senza potere, con i relativi corollari (VIII, 8.6).
Una fattispecie analoga è l’acquisto dall’erede apparente ex art. 5343 (XII, 1.12).
L’adempimento estingue l’obbligazione; ma chi ha ricevuto il pagamento è tenuto al-

19
Ad es., dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese e la sua conseguente estinzione, l’atto
tributario non può essere legittimamente notificato al suo legale rappresentante in applicazione del principio
dell’apparenza ex art. 1189, atteso che l’iscrizione nel registro delle imprese della cancellazione della società,
implicando la presunzione di conoscenza della stessa e la sua efficacia verso i terzi ex art. 2193, esclude il le-
gittimo affidamento dell’ente (Cass. 30-10-2019, n. 27795).
20
Il pagamento fatto al rappresentante apparente, al pari di quello fatto al creditore apparente, libera il
debitore di buona fede, ai sensi dell’art. 1189 c.c., a condizione che il debitore fornisca la prova, non solo di
avere confidato senza colpa nella situazione apparente, ma, altresì, che il proprio erroneo convincimento sia
stato determinato da un comportamento colposo del creditore che abbia fatto sorgere nel debitore una ragione-
vole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens (Cass. 19-4-2018, n. 9758;
Cass. 25-1-2018, n. 1869; Cass. 11-9-2013, n. 20847). Incombe sul creditore l’onere di provare che il debitore
non ignorava la reale situazione ovvero che l’affidamento di questi era determinato da colpa; è ancora onere del
creditore, che controdeduca che il pagamento effettuato al terzo apparentemente legittimato a riceverlo è da im-
putare ad un diverso rapporto, provare l’esistenza di quest’ultimo (Cass. 30-10-2008, n. 26052).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 741

la restituzione verso il vero creditore, che ha azione verso il creditore apparente per la re-
stituzione di quanto indebitamente ricevuto, secondo le regole della ripetizione dell’in-
debito ex artt. 2033 ss. (art. 11892).
e) Imputazione del pagamento. Quando un soggetto ha più debiti della medesima specie
nei confronti della stessa persona 21 è importante stabilire a quale debito sia riferito il sin-
golo adempimento, al fine di eliminare l’incertezza circa la sorte dei singoli rapporti obbli-
gatori e così permettere che a ciascun adempimento consegua l’effetto estintivo della corri-
spondente obbligazione. È il problema della imputazione dell’adempimento. La
formula del codice “imputazione del pagamento” (artt. 1193 ss.) si giustifica perché il pro-
blema della imputazione si pone essenzialmente con riferimento all’adempimento di obbli-
gazioni pecuniarie. Intervenendo un pagamento che non copre l’intera esposizione debito-
ria verso il creditore, c’è la necessità di stabilire a quale debito si riferisca il pagamento, in
quanto i singoli debiti potrebbero essere diversamente regolati, vuoi in ragione della natura
del debito (es. a titolo di prezzo o di alimenti), vuoi per il tempo trascorso (potendo essere
uno prescritto e un altro no), vuoi anche solo perché uno o più debiti sono contestati (ad es.
per difetti della merce consegnata). Inoltre i debiti potrebbero essere diversamente garanti-
ti; la diversità delle date di assunzione comporta una differente maturazione degli interessi.
Questioni di imputazioni sono ricorrenti per pagamenti compiuti in contanti o a mezzo
assegni (bancari o circolari); meno per pagamenti a mezzo bonifici, in quanto gli stessi
normalmente contengono la causale del pagamento. L’assegno estingue l’obbligazione car-
tolare ma è neutra rispetto alla riconduzione all’obbligazione sottostante, sicché si propone
il problema dell’imputazione 22.
Regola base è la imputazione del debitore: il debitore che ha più debiti della medesi-
ma specie verso lo stesso creditore può dichiarare, quando paga, quale debito intende
soddisfare (art. 11931) 23. Ma ciò può fare con due limiti: non può imputare il pagamento
al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore (art.
11941) 24; il pagamento fatto in conto di capitale e di interessi deve essere imputato prima

21
La questione dell’imputazione del pagamento non è proponibile quando sussiste un unico debito (Cass.
2-10-2013, n. 22639).
22
Quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di aver corrisposto a mezzo di assegni una
somma di denaro in tesi idonea all’estinzione di quello, non spetta al creditore, il quale sostenga che il paga-
mento sia da imputare all’estinzione di un debito diverso, allegare e provare di quest’ultimo l’esistenza, non-
ché la sussistenza di tutte le condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione, atteso che, implicando
l’emissione di assegni la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un’ob-
bligazione cartolare, resta a carico del debitore convenuto l’onere di superare tale presunzione, dimostrando
in modo puntuale e preciso il collegamento, anche da un punto di vista oggettivo, tra il precedente debito
azionato ed il successivo debito cartolare, solo a tanto conseguendo l’estinzione del primo per effetto del pa-
gamento degli assegni (Cass. 5-11-2020, n. 24693).
23
Quando il debitore abbia dimostrato di avere corrisposto somme idonee ad estinguere il debito per il
quale sia stato convenuto in giudizio, spetta al creditore-attore, che pretende di imputare il pagamento ad estin-
zione di altro credito, provare le condizioni necessarie per la dedotta, diversa, imputazione, ai sensi dell’art.
1193 (Cass. 29-5-2020, n. 10322; Cass. 14-1-2020, n. 450). In caso di crediti di natura omogenea, la facoltà del
debitore di indicare a quale debito debba imputarsi il pagamento va esercitata e si consuma all’atto del paga-
mento stesso, sicché una successiva dichiarazione di imputazione, fatta dal debitore senza l’adesione del cre-
ditore, è giuridicamente inefficace (Cass. 9-11-2012, n. 19527).
24
Per costante giurisprudenza grava sul debitore provare che il creditore aveva consentito che il pagamen-
to fosse imputato al capitale anziché agli interessi (Cass. 27-10-2006, n. 23143).
742 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

agli interessi (artt. 11942 e 11992), salvo diverso accordo delle parti. In ogni caso deve
ricorrere la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti per
capitale e per interessi 25. Quando il debitore dà la prova di avere eseguito un esatto adem-
pimento, con efficacia estintiva di un determinato debito, l’onere della prova della diver-
sa imputazione è a carico del creditore 26.
In assenza di imputazione del debitore, opera la imputazione del creditore, se è com-
piuta nella quietanza e questa è accettata dal debitore, tranne che non vi sia stato dolo o
sorpresa da parte del creditore 27 (art. 1195). La riconduzione del pagamento ad un credito
non ancora esigibile rende tendenzialmente irragionevole l’imputazione del debitore 28.
In via ancora più gradata, in assenza di imputazione del debitore e del creditore, ope-
ra la imputazione legale, con l’applicazione dei criteri di cui all’art. 11932, secondo la se-
quenza gerarchica prevista 29: il pagamento va innanzi tutto imputato al debito scadu-
to; tra più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti,
al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico; quando
nessuno di tali criteri soccorre, l’imputazione è fatta proporzionalmente ai vari debiti
(art. 11932) 30.
Questioni di imputazioni sono ricorrenti per pagamenti compiuti in contanti o a
mezzo assegni (bancari o circolari); meno per pagamenti a mezzo bonifici, in quanto gli
stessi normalmente contengono la causale del pagamento. L’assegno estingue l’obbliga-
zione cartolare ma è neutra rispetto alla riconduzione ad una obbligazione fondamenta-
le, sicché si ripropone il meccanismo dell’imputazione sopra delineato 31.

25
Secondo Cass. 15-7-2009, n. 16448, in tema di risarcimento del danno derivante da atto illecito, i ver-
samenti compiuti in favore del creditore prima della liquidazione del danno non sono soggetti alla regola del-
l’art. 1194 dovendosi considerare il debito pecuniario inesistente fino alla liquidazione.
26
L’onere della prova in capo al creditore in ordine alla diversa imputazione di pagamento sorge soltanto in
caso di pagamento avente efficacia estintiva, così da ribaltare nuovamente l’onere probatorio in capo al debitore,
là dove esso sia contestato dal creditore (Cass. 20-6-2019, n. 16605; Cass. 26275/2017; Cass. 3194/2016).
27
La dichiarazione di imputazione del creditore deve essere accettata dal debitore e, qualora sia inserita
nella quietanza, la ricezione del documento da parte del debitore si riferisce solo alla quietanza in esso conte-
nuta e soddisfa il suo interesse a conservare la prova documentale dell’avvenuto pagamento; perché la rice-
zione del documento assuma valore di prova dell’accettazione dell’imputazione operata dal creditore è neces-
sario che non venga immediatamente o prontamente contestata dal debitore, così da assumere il valore
dell’acquiescenza (Cass. 16-1-2013, n. 917; v. anche Cass. 5-2-2013, n. 2672).
28
L’inversione del potere di imputazione non trova applicazione nel caso in cui il debitore eccepisca l’estin-
zione del debito per effetto dell’emissione di un assegno bancario negoziato in favore del creditore prenditore
in una data significativamente anteriore a quella in cui il credito fatto valere in giudizio sia divenuto esigibile:
la diversità di data, facendo venir meno la verosimiglianza del collegamento tra il credito azionato ed il titolo,
pone a carico del debitore l’onere di dimostrare la causale dell’emissione dell’assegno e che l’assegno era vol-
to ad estinguere anticipatamente il debito oggetto di causa (Cass. 18-2-2016, n. 3194).
29
I criteri legali ex art. 1193 hanno carattere suppletivo, operano soltanto quando né il debitore né il cre-
ditore abbiano effettuato l’imputazione (Cass. 27-10-2021, n. 30190).
30
Poiché per l’art. 1194 il debitore, senza il consenso del creditore, non può imputare il pagamento al capita-
le piuttosto che agli interessi e alle spese, il fatto che il creditore accetti un pagamento parziale non implica la sua
rinunzia all’imputazione del pagamento secondo il criterio legale (Cass. 21-1-2004, n. 975).
31
Quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di aver corrisposto a mezzo di assegni una
somma di denaro in tesi idonea all’estinzione di quello, non spetta al creditore, il quale sostenga che il paga-
mento sia da imputare all’estinzione di un debito diverso, allegare e provare di quest’ultimo l’esistenza, non-
ché la sussistenza di tutte le condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione, atteso che, implicando
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 743

5. Adempimento del terzo. – Si è visto come l’adempimento sia il modo fisiologico


di attuazione del rapporto obbligatorio, in quanto fa conseguire al creditore il bene per-
seguito attraverso l’esecuzione della prestazione da parte del debitore. Rispetto a tale
meccanismo possono delinearsi due varianti: una riguardante il soggetto che esegue la
prestazione dovuta, che può essere diverso dal debitore (adempimento del terzo); un’altra
relativa all’oggetto procurato al creditore, che può essere differente da quello dedotto
nella obbligazione (dazione in pagamento). In entrambi i casi il soddisfacimento del cre-
ditore rende inutile la permanenza del rapporto obbligatorio, che perciò si estingue.
Con l’adempimento del terzo (art. 1180), l’esecuzione della prestazione proviene da
un soggetto diverso dal debitore: non può trattarsi dunque di un rappresentante o ausi-
liario del debitore perché l’adempimento sarebbe ricollegato al debitore. Con l’adempi-
mento del terzo c’è realizzazione del diritto di credito senza attuazione dell’obbligo, in
quanto il creditore è soddisfatto, non dal debitore, ma da un terzo. È indifferente che il
terzo abbia o meno un interesse proprio all’adempimento (ad es., si pensi al genitore che
paga un debito contratto dal figlio). L’adempimento dell’obbligazione altrui può essere
compiuto direttamente o indirettamente mediante mandato ad adempiere 32.
Il terzo non è obbligato verso il creditore ad adempiere. È perciò necessario che l’a-
dempimento sia sorretto da un intento solutorio di un debito altrui. Se tale intento non
ricorre si cade nell’ipotesi dell’indebito soggettivo 33 (art. 2036), in cui un soggetto paga
un debito altrui credendosi erroneamente debitore (XI, 1.7). Per la necessità di tale in-
tento l’adempimento del terzo si configura come negozio unilaterale. Può essere a titolo
gratuito o giustificato da un rapporto sottostante con il debitore.
L’adempimento del terzo, producendo la realizzazione del diritto del creditore, com-
porta di regola la estinzione del debito venendo meno la sua funzione. Talvolta, pur
intervenendo il soddisfacimento del creditore, il debito non si estingue: ciò avviene nel
pagamento con surrogazione (artt. 1201 ss.), per subentrare il terzo che adempie nella po-
sizione giuridica del creditore; perciò si è parlato di tale figura tra le modificazioni del
soggetto attivo del rapporto obbligatorio (VII, 2.7). Per tale funzione di estinzione del
debito, l’adempimento del terzo si differenzia anche dalla espromissione, che implica so-
lo l’assunzione di un debito altrui che permane (VII, 2.11).
Di regola l’interesse del creditore è rivolto al conseguimento del bene dedotto nella
obbligazione, restando indifferente la persona che lo procura; e d’altra parte l’interesse del
debitore è essenzialmente orientato alla propria liberazione dal vincolo obbligatorio, anche
se tale effetto è prodotto da un terzo. Perciò la legge prevede un potere di rifiuto del
creditore limitato, ammesso solo in due ipotesi: quando provi di avere un interesse speci-

l’emissione di assegni la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un’ob-


bligazione cartolare, resta a carico del debitore convenuto l’onere di superare tale presunzione, dimostrando
in modo puntuale e preciso il collegamento, anche da un punto di vista oggettivo, tra il precedente debito azio-
nato ed il successivo debito cartolare, solo a tanto conseguendo l’estinzione del primo per effetto del paga-
mento degli assegni (Cass. 5-11-2020, n. 24693).
32
In ipotesi di adempimento del debito altrui tramite mandatario, i requisiti richiesti dall’art. 1180 vanno
accertati con riferimento alla persona del mandante (Cass. 23-4-2020, n. 8102).
33
Quando l’adempimento del debito altrui avviene tramite un mandatario, i requisiti richiesti dall’art. 1180
c.c. (esistenza del debito altrui, volontà di estinguerlo, spontaneità del pagamento) vanno accertati con riferi-
mento al mandante; il mandatario che esegua un pagamento ad un terzo per conto del mandante non è assi-
milabile al terzo che adempie per il debitore (Cass. 23-4-2020, n. 8101).
744 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

fico a che la prestazione sia eseguita personalmente dal debitore (art. 11801); quando il de-
bitore si oppone all’adempimento del terzo (art. 11802): in tal caso il creditore può rifiutare
l’adempimento, quindi non deve rifiutare. Un campo nel quale rileva tipicamente l’interes-
se del creditore alla esecuzione personale della prestazione da parte del debitore è quello
delle attività professionali, dove la scelta del professionista è di regola operata intuitu per-
sonae (v. art. 2232): è frequente nei contratti di scritturazione teatrale, nei quali si è soliti
stabilire gli artisti che la compagnia non può sostituire (c.d. artisti d’obbligo). Il problema
è speculare al diritto del debitore all’adempimento, di cui si è parlato (par. 2).

6. Dazione in pagamento. La cessione di credito di imposta. – Di segno diverso è


la prestazione in luogo dell’adempimento (anche detta dazione in pagamento dall’espres-
sione latina datio in solutum). Per l’art. 11971 il debitore non può liberarsi dall’obbliga-
zione eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o
maggiore, salvo che il creditore vi consenta. Con la dazione in pagamento si realizza una
variante del rapporto obbligatorio relativamente alla prestazione, procurandosi un bene
differente da quello oggetto della obbligazione 34: si realizza il soddisfacimento di un in-
teresse del creditore diverso da quello originario; perciò è richiesto l’apprezzamento e
dunque il consenso del creditore 35.
La essenzialità dell’accettazione del creditore configura la dazione di pagamento co-
me contratto con funzione solutoria: la prestazione diversa è offerta in luogo dell’a-
dempimento, con funzione solutoria della obbligazione. Per l’art. 11971 “l’obbligazione
si estingue quando la diversa prestazione è eseguita”. Ciò significa che la dazione in pa-
gamento produce l’effetto estintivo dell’obbligazione solo con l’esecuzione della pre-
stazione diversa da quella dovuta, perciò con il soddisfacimento del creditore. Per eco-
nomia dei mezzi giuridici, può anche pensarsi ad un negozio unilaterale con diritto di ri-
fiuto del creditore, secondo la tecnica dell’art. 1333. La dazione in pagamento si differen-
zia dalla novazione oggettiva, per realizzare questa la estinzione del rapporto obbligato-
rio con sostituzione dell’obbligazione originaria con altra obbligazione, senza il soddisfa-
cimento del creditore 36.
In ragione della indicata funzione solutoria la dottrina tradizionale è solita configura-
re la dazione in pagamento come contratto reale, richiedendosi la consegna del bene
per la formazione della fattispecie della dazione, automaticamente attuativa della estin-
zione dell’obbligazione originaria (trattandosi di cosa di genere, la consegna vale anche
come individuazione).
Quando il pagamento avviene con strumenti bancari, l’adempimento è subordinato
al “buon fine” dell’operazione; avvenendo i pagamenti nella quotidiana vita economica
proprio attraverso strumenti bancari (es. assegno bancario o circolare ovvero bonifico

34
Le due varianti (adempimento del terzo e prestazione in luogo di adempimento) possono sovrapporsi,
nel senso che l’estinzione sia determinata dall’adempimento di un terzo mediante una dazione in pagamento:
in tal caso è sempre necessaria l’accettazione del creditore per la sostituzione del bene.
35
In presenza di una datio in solutum, ove non risulti che l’effetto estintivo sia stato limitato dal creditore
tramite una espressa riserva contestuale all’esecuzione della prestazione sostitutiva, si deve ritenere che il de-
bitore sia integralmente liberato (Cass. 17-1-2017, n. 922).
36
Per la Relaz. cod. civ., n. 565, dove si creano solo effetti obbligatori, si ha piuttosto l’indice di una volon-
tà diretta a novare non ad adempiere.
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 745

bancario), il creditore non può rifiutarne il ricevimento senza giustificato motivo 37. Il
creditore deve anche attivarsi alla corretta attuazione della operazione bancaria, come
espressione del dovere di cooperazione (ex art. 1175) 38.
Se la dazione consiste nel trasferimento della proprietà o di altro diritto reale, il debi-
tore è tenuto alla garanzia per evizione e per vizi secondo le norme della vendita (artt.
1483 ss., 128 ss. cod. cons.), salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione origi-
naria e il risarcimento del danno (art. 11972).
Se la dazione consiste nella cessione del credito, l’obbligazione si estingue con la riscos-
sione del credito ceduto (cessio pro solvendo), salva diversa volontà delle parti (art. 11981).
Il cedente deve garantire la solvenza del debitore nei limiti fissati dall’art. 12672: la ga-
ranzia cessa e l’obbligazione si estingue se la mancata realizzazione del credito per insol-
venza del debitore è dipesa da negligenza del cessionario nell’iniziare o proseguire le
istanze contro il debitore stesso (artt. 11982, 12672).
La legislazione emergenziale per il Covid 19 ha previsto la cessione del credito di
imposta per conduttori di immobili commerciali (art. 65 D.L. 17.3.2020, n. 18, conv. con
L. 24.4.2020, n. 27) esteso poi a tutti gli esercenti attività di impresa, arte e professione al
disotto di un determinato reddito (art. 28 D.L. 19.5.2020, n. 34, conv. con L. 17.7.2020,
n. 77), utilizzabile per il pagamento di debiti per fitto dei locali o altri debiti: per l’art.
285 bis, in caso di locazione, il conduttore può cedere il credito d’imposta al locatore, previa
sua accettazione, in luogo del pagamento della corrispondente parte del canone. In sostan-
za è consentito al contribuente di rinunciare all’utilizzo diretto della detrazione fiscale nella
dichiarazione dei redditi e cedere il relativo credito di imposta di pari ammontare; preve-
dendosi la “facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e
gli altri intermediari finanziari”, con il vantaggio di essere un credito verso lo Stato e quin-
di garantito; sono fatti salvi specifici divieti di cessione. Il Fisco, quale debitore ceduto,
può opporre le eccezioni previste dalla disciplina sulla cessione del credito (VII, 2.4).
La nuova prestazione può anche consistere in un facere: pure ora l’obbligazione ori-
ginaria si estingue quando la diversa prestazione è eseguita.
Quando la dazione in pagamento non ha prodotto l’effetto sperato, è possibile far va-
lere il diritto di credito originario con le garanzie prestate dal debitore. Non rivivono in-

37
Si tende a ritenere che anche il pagamento con assegno, in luogo del danaro, integri una dazione in paga-
mento. Si è peraltro stabilito che il creditore di una somma di denaro può rifiutare il pagamento con assegno
circolare, in alternativa al denaro contante, solo per giustificato motivo da valutare secondo le regole della cor-
rettezza e della buona fede oggettiva; comunque l’effetto liberatorio si verifica soltanto quando il creditore ac-
quista la concreta disponibilità della somma, ricadendo sul debitore il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno
(Cass., sez. un., 18-12-2007, n. 26617). E ancora: il creditore può rifiutare il pagamento con assegno di traenza
solo per giustificato motivo, posto che, analogamente all’assegno circolare, il suo rilascio presuppone la crea-
zione della provvista; comunque l’effetto liberatorio si verifica soltanto quando il creditore acquista la concre-
ta disponibilità della somma (Cass. 10-3-2008, n. 6291). In generale il pagamento con un sistema diverso dalla
moneta avente corso legale nello Stato, ma che assicuri al creditore la disponibilità della somma dovuta, può
essere rifiutato dal creditore soltanto per un giustificato motivo, dovendosi altrimenti intendere il rifiuto come
contrario al principio di correttezza e buona fede (Cass. 10-6-2013, n. 14531).
38
Per l’art. 1175 l’obbligazione si estingue a seguito della mancata tempestiva presentazione all’incasso
dell’assegno bancario da parte del creditore, che in tal modo, viene meno al suo dovere di cooperare in modo
leale e fattivo all’adempimento del debitore; tale comportamento omissivo dev’essere equiparato a tutti gli
effetti di legge all’avvenuta esecuzione della diversa prestazione, con conseguente estinzione dell’obbligazione
ex art. 1197 (Cass. 17-12-2019, n. 33248; Cass. 24-5-2007, n. 12079).
746 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

vece le garanzie prestate dai terzi (art. 11973) in quanto, come osserva la Relaz. cod. civ.,
la posizione dei terzi risulterebbe aggravata se la loro responsabilità dovesse durare quanto
quella del debitore (n. 565).

7. Mora del creditore. La posizione soggettiva del creditore. – Di regola il credi-


tore tende a conseguire il bene dedotto nell’obbligazione nel tempo stabilito. Talvolta il
creditore ha interesse a procrastinare il ricevimento del bene o addirittura a rifiutarlo per
varie ragioni. Ad es., in una vendita di merce tra piazze diverse, il compratore (creditore
della obbligazione di consegna), avendo i magazzini pieni, ritarda la presa in consegna
della merce messa a sua disposizione dal venditore (facendo trovare i magazzini chiusi, o
non attivando il vettore quando il trasporto è a sua cura); si pensi anche al compratore
che rifiuta il ricevimento di un bene ritenendolo non conforme al contratto.
Per l’art. 1206 il creditore è in mora quando, “senza motivo legittimo”, non riceve il
pagamento (rectius l’adempimento) offertogli nei modi stabiliti o non compie quanto è
necessario affinché il debitore possa adempiere l’obbligazione.
A fronte della tradizionale qualificazione della situazione soggettiva del creditore quale
onere di cooperazione per la realizzazione del proprio interesse al conseguimento del
bene, è progressivamente emersa una configurazione della sua posizione soggettiva come
obbligo, imposto ex lege e attuativo del principio di correttezza ex art. 1175 (e in genera-
le di buona fede ex art. 1375), in quanto rivolto a realizzare l’interesse del debitore all’a-
dempimento 39. La tecnica contrattuale più recente tende, anzi, in molti settori, a prede-
terminare gli obblighi a carico di entrambe le parti per rendere possibile l’adempimento
del debitore, sì da considerare la mancata cooperazione del creditore come causa di riso-
luzione del contratto 40. In tal senso è la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita
internazionale di beni mobili (L. 765/1985), per i cui artt. 53 ss. il compratore ha l’ob-
bligo di pagare il prezzo e di prendere in consegna i beni alle condizioni previste dal con-
tratto e dalla Convenzione, e il venditore può dichiarare risolto il contratto se il compra-
tore non adempie anche una delle due obbligazioni (art. 64) 41. Tale meccanismo tende a

39
La giurisprudenza ha da tempo qualificato il dovere del creditore di cooperare all’adempimento del de-
bitore (non come vera e propria obbligazione del creditore nei confronti di quest’ultimo, ma) quale dovere
strumentale rispetto all’adempimento stesso (Cass. 8-2-1986, n. 809). Ad es., si è stabilito che l’appaltante è
tenuto a cooperare all’adempimento dell’appaltatore, ai sensi dell’art. 1206 c.c., qualora tale cooperazione sia
necessaria per l’oggetto particolare dei servizi appaltati, in quanto i doveri generali di correttezza e buona
fede oggettiva impongono al committente di porre in essere le attività, distinte rispetto a quanto dovuto dal-
l’appaltatore, occorrenti affinché quest’ultimo possa conseguire il risultato cui il rapporto obbligatorio è
preordinato (Cass. 22-11-2013, n. 26260).
40
Tale ricostruzione è stata ampiamente utilizzata dalla giurisprudenza in materia di lavoro, ed è spesso
impiegata dalla giurisprudenza arbitrale in materia di appalti di opere pubbliche, per sanzionare il compor-
tamento della pubblica amministrazione che non compie quanto è necessario per consentire all’impresa di
compiere l’opera (e quindi eseguire la prestazione dovuta).
41
Il meccanismo ha orientato anche la riforma tedesca del diritto delle obbligazioni (Schuldrecht) del 2001,
prevedendo il § 433 del BGB che il compratore “è obbligato” a pagare il prezzo e a prendere in consegna la
cosa. Ciò in applicazione del generale principio per cui il rapporto obbligatorio può obbligare, secondo il suo
contenuto, ciascuna parte al rispetto dei diritti, dei beni giuridici e degli interessi dell’altra parte (§ 2412). Le
Regole per l’interpretazione dei termini commerciali (Incoterms), apprestate dalla Camera di commercio in-
ternazionale, da sempre sono organizzate intorno a due fasci di obblighi a carico, rispettivamente, del vendi-
tore e del compratore nella esecuzione della consegna: l’uno concernente le operazioni dovute dal venditore
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 747

eliminare possibili controversie circa la ripartizione delle varie operazioni a carico delle
parti e ripartire tra le stesse oneri e rischi, predeterminando in modo certo i fasci di ob-
blighi a carico di ciascuna delle parti.
Le esigenze avvertite relativamente alla vendita operano anche con riguardo ad altri
tipi di contratto che comportano la fornitura di un bene (non solo permuta e sommini-
strazione, ma anche contratto d’opera ed appalto). Va così delineandosi un generale prin-
cipio per cui il comportamento del creditore non è funzionale al conseguimento di un
interesse esclusivamente proprio, come è nell’essenza dell’onere, ma è dovuto anche per
realizzare un interesse del debitore ad attuare la prestazione dovuta per liberarsi dall’ob-
bligazione. Opera a carico del creditore l’assolvimento dell’obbligo di buona fede, la cui
trasgressione consente al debitore di ricorrere ai rimedi che si connettono all’inadem-
pimento.

8. Segue. Costituzione in mora e liberazione dall’obbligazione. – Sotto un’unica


sezione intitolata “mora del creditore” (artt. 1206 ss.) sono, in realtà, accorpate due fi-
gure, connesse ma diverse, con differenti effetti favorevoli per il debitore: la mora del credi-
tore in senso stretto (c.d. mora credendi o accipiendi) e la liberazione coattiva dall’obbli-
gazione. Le due figure apprestano altrettanti meccanismi di tutela del debitore per la
violazione da parte del creditore dell’obbligo di cooperazione derivante dall’art. 1175 (e
dall’art. 1375). I due meccanismi integrano due procedimenti connessi, a successione
eventuale, nel senso che il procedimento di costituzione in mora può esaurirsi senza sfo-
ciare in quello di liberazione; mentre questo non può essere iniziato senza l’esaurimento
del primo.
a) Costituzione in mora. La costituzione in mora del creditore richiede l’offerta del
bene dovuto, che può essere formale o secondo gli usi.
1) L’offerta formale (c.d. solenne), tende a verificare e documentare, ad un tempo,
la volontà del debitore di adempiere ed il rifiuto del creditore di riceversi la prestazione.
È necessario che sia offerto un adempimento esatto e che l’offerta sia fatta da un ufficiale
pubblico a ciò autorizzato (art. 1208). Le modalità dell’offerta variano in ragione della
natura del bene dovuto.
Se l’obbligazione ha per oggetto danaro, titoli di credito, cose mobili da consegnare al
domicilio del creditore, l’offerta deve essere reale, nel senso che il pubblico ufficiale au-
torizzato (notaio o ufficiale giudiziario, ex art. 73 disp. att.) deve portare la cosa dovuta
presso il creditore, perché questi possa farla propria (art. 12091).
Se l’obbligazione ha per oggetto cose mobili da consegnare in luogo diverso dal do-
micilio del creditore, immobili, o anche una prestazione di fare, l’offerta deve essere
fatta per intimazione, nel senso che l’ufficiale autorizzato, mediante atto notificato
nelle forme dell’atto di citazione, deve intimare al creditore di ricevere le cose mobili (art.
12092), prendere possesso degli immobili (art. 12161), compiere gli atti necessari per ren-
dere possibile l’opera (art. 1217) 42.

nella messa a disposizione; l’altro riguardante le operazioni dovute dal compratore nella presa in consegna ov-
vero nell’accettazione della consegna. Sull’osservanza delle operazioni è strutturato il regime dei rischi.
42
Per Corte cost. 28-2-2019, n. 29, sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
1206, 1207 e 1217 c.c., nella parte in cui si assume, in base al diritto vivente per il caso di trasferimento di
748 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Di entrambi i tipi di offerta è redatto processo verbale ai sensi degli artt. 74 e 75 disp.
att. Peraltro se le cose offerte sono deperibili o di dispendiosa custodia, il debitore, dopo
l’offerta reale o l’intimazione di ritirarle, può farsi autorizzare dal tribunale a venderle coat-
tivamente nei modi stabiliti per le cose pignorate e a depositarne il prezzo (art. 1211).
Quando il creditore rifiuta illegittimamente l’offerta solenne e l’illegittimo rifiuto è
verbalizzato, dalla data dell’offerta si determina la costituzione in mora del creditore. Gli
effetti della mora si verificano, bensì dal giorno dell’offerta, sempre però che questa sia
successivamente accettata dal creditore o dichiarata valida con sentenza passata in
giudicato, che accerti la ritualità dell’offerta e la illegittimità del rifiuto del creditore
(art. 12073).
Gli effetti della mora sono stabiliti dall’art. 1207. Effetto fondamentale è che il credi-
tore sopporta il rischio della impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non
imputabile al debitore: tale impossibilità che, come tale, estinguerebbe la obbligazione
(art. 1256) (VII, 3.15) e quindi libererebbe il creditore dalla controprestazione (art. 1463)
(VIII, 10.14), ora non libera il creditore dall’eseguire la prestazione corrispettiva dovuta
(ad es., se il compratore non si riceve la merce messagli a disposizione dal venditore, e
questa intanto perisce per caso fortuito, il compratore deve egualmente pagare il prezzo
pattuito). Ulteriori effetti sono che il debitore non deve corrispondere gli interessi, né i
frutti della cosa che non siano stati da lui percepiti; mentre il creditore è tenuto a risarci-
re i danni derivati dalla mora e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione del-
la cosa.
2) L’offerta nelle forme d’uso non è compiuta secondo le forme solenni prescritte
dagli artt. 1208 e 1209 (sopra esaminate). Perciò gli effetti della mora si realizzano solo
dal giorno in cui è eseguito il deposito, se questo è accettato dal creditore o è dichiarato
valido con sentenza passata in giudicato (art. 1214) 43.
Comunque sia compiuta l’offerta (formale o secondo gli usi), consegue il dato comu-
ne che l’obbligazione non si estingue e quindi il debitore non è liberato: il debitore rima-
ne obbligato ad adempiere perché il vincolo obbligatorio persiste.
Dalle dette offerte (formale o secondo gli usi) differisce la offerta non formale
(art. 1220), il cui unico effetto, come si vedrà, è quello di escludere la mora del debito-
re 44 (VII, 4.6).
b) Liberazione del debitore. La costituzione in mora del creditore produce determina-
ti effetti ma non libera il debitore dalla obbligazione: la liberazione del debitore è even-
tuale rispetto alla costituzione in mora del creditore, nel senso che non è automatica alla

azienda, che comporti la qualificazione in senso risarcitorio dell’obbligo del datore di lavoro cedente che, do-
po l’accertamento della nullità, dell’inefficacia o dell’inopponibilità di detto trasferimento, non ottemperi al-
l’ordine di riammettere il lavoratore ceduto che abbia invano messo a disposizione le proprie energie lavorati-
ve, rifiutandosi di pagargli retribuzioni già corrisposte dalla società cessionaria.
43
Il creditore è legittimato ad agire esecutivamente, anche se costituito in mora credendi, non essendo il
debitore liberato dall’obbligazione se non con l’esecuzione del deposito accettato dal creditore o dichiarato
valido con sentenza passata in giudicato a seguito dell’offerta (Cass. 29-4-2015, n. 8711).
44
L’offerta non formale della prestazione è idonea ad escludere la mora del debitore soltanto se tempestiva,
completa e determinante l’effettiva introduzione dell’oggetto integrale della prestazione dovuta nella di-
sponibilità del creditore, con la comunicazione di tale fatto al medesimo; non integra una valida offerta
non formale il deposito su un libretto di risparmio bancario, se il libretto sia rimasto nel potere del debito-
re (Cass. 29-10-2001, n. 13405).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 749

costituzione in mora anche se non può avvenire senza la stessa. Se il debitore è interessa-
to alla definitiva liberazione dalla obbligazione, deve intraprendere una procedura di li-
berazione coattiva dalla obbligazione le cui modalità di esercizio risentono della natura
del bene dovuto.
Quanto ai beni mobili, se il creditore non accetta l’offerta reale (art. 12091) o non si
presenta per ricevere i beni offertigli per intimazione (art. 12092), il debitore può esegui-
re il deposito (art. 12101), con i requisiti previsti dall’art. 1212 e nelle forme stabilite
dagli artt. 76-78 disp. att.; può ritirare il deposito prima che lo stesso sia accettato dal
creditore o sia dichiarato valido con sentenza passata in giudicato (12131). Il debitore è
liberato dalla obbligazione se il deposito è accettato o è dichiarato valido con sentenza
passata in giudicato (art. 12102).
Quanto ai beni immobili, il debitore, dopo l’intimazione (se non v’è giudizio penden-
te) deve chiedere al presidente del tribunale del luogo ove è l’immobile la nomina di un
sequestratario; è liberato dall’obbligazione con la consegna al sequestratario dell’im-
mobile dovuto (art. 1216), nelle forme ex art. 79 disp. att. Dalla data di consegna al se-
questratario il debitore è liberato dagli obblighi connessi all’immobile 45.
Quanto alle prestazioni di fare, la legge non prevede un meccanismo, successivo al-
l’intimazione, per la liberazione del debitore. È perciò dibattuto se il debitore sia tenuto
ad un’ulteriore attività, e quale, per liberarsi dall’obbligazione. Deve ritenersi che, se la
prestazione di fare è rivolta a realizzare una cosa o un modo di essere della stessa (es.
costruzione di un edificio, custodia, ecc.), trovino applicazione, rispettivamente, le re-
gole relative ai beni mobili e quelle riguardanti i beni immobili. Se invece il fare è rivol-
to a procurare un servizio (si pensi ai molti servizi telematici), non sussistendo un bene
di cui liberarsi, è sufficiente che il debitore compia l’intimazione per liberarsi dalla ob-
bligazione.

B) MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO


9. I modi di estinzione indirettamente satisfattivi. – Si è parlato fin qui del modo
fisiologico di estinzione dell’obbligazione, mediante l’attuazione del rapporto obbligato-
rio: il creditore consegue il proprio soddisfacimento tramite l’adempimento del debitore
(o mediante le varianti dell’adempimento del terzo o della dazione in pagamento). Si ha
ora riguardo ad ipotesi nelle quali, per economia giuridica, è consentita la estinzione del-
l’obbligazione attraverso un soddisfacimento indiretto del creditore, in quanto il creditore
consegue un risultato diverso da quello originario e non tramite l’attuazione del rappor-
to obbligatorio.
Figure tipiche sono la compensazione e la confusione. Il presupposto comune alle stesse
è che il creditore si trova ad essere anche debitore rispetto ad un diverso rapporto obbli-
gatorio con il suo debitore: il soddisfacimento del creditore avviene senza la correlativa
attuazione del contenuto dell’obbligo (né da parte del debitore, né da parte di un terzo)
ma con la liberazione dal diverso debito. Il creditore realizza un interesse di segno diver-
so rispetto a quello perseguito con il rapporto obbligatorio; consegue il risultato favore-

45
Ad es. il debitore è liberato dall’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali (Cass. 27-4-2004, n. 7982).
750 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

vole di essere liberato da una propria posizione debitoria relativamente ad un distinto


rapporto obbligatorio nel quale riveste la qualifica di debitore: è dunque un vantaggio
indiretto. La estinzione della posizione attiva verso il debitore è correlata al venir meno di
una distinta posizione passiva in un diverso rapporto obbligatorio.

10. Compensazione. – Due soggetti possono essere obbligati l’uno verso l’altro in
due distinti rapporti obbligatori, sicché ciascuno dei due soggetti riveste ad un tempo la
qualifica di debitore in un rapporto obbligatorio e di creditore in un diverso rapporto
obbligatorio. I due rapporti non devono essere legati da un rapporto di corrispettività,
altrimenti vi è solo la valutazione dell’adempimento di ciascuna delle due prestazioni in
funzione dell’altra 46. Diversa è la “compensatio lucri cum damno”, connessa ad un fatto
illecito 47 (X, 2.2).
L’art. 1241 delinea la figura della compensazione con la previsione che, quando due
persone sono obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità cor-
rispondenti, secondo precise regole. Ciò risponde ad un’elementare esigenza di economia
dei mezzi giuridici (oltre che di economia processuale): è inutile che un debitore esegua
la prestazione dovuta se poi il creditore è tenuto, a sua volta, ad eseguire verso di lui
un’altra (soprattutto se analoga) prestazione. Risulterebbe anche ingiusto che l’un debi-
tore esegua la prestazione dovuta al creditore e questi non faccia altrettanto. È un soddi-
sfacimento indiretto, per conseguire il creditore il vantaggio di non dovere adempiere un
proprio debito verso il creditore che è ad un tempo proprio debitore: il singolo creditore
trae il vantaggio della liberazione dalla posizione debitoria nel diverso rapporto obbligato-
rio 48. Quando i due debiti non sono pagabili nello stesso luogo, si devono computare le
spese del trasporto al luogo di pagamento (art. 1245).
Per aversi compensazione i due debiti devono essere coesistenti e reciproci: de-
vono cioè esistere contemporaneamente ed incrociarsi tra i medesimi soggetti 49 (ad es.

46
Ove la reciproca relazione di debito-credito tragga origine da un unico o unitario rapporto (qual è quello
relativo al contratto di appalto), l’istituto civilistico della compensazione non trova applicazione e la valu-
tazione delle reciproche pretese importa un semplice accertamento contabile di dare ed avere, senza che ope-
rino i limiti alla compensabilità (Cass. 13-1-2017, n. 780; conf. Cass. 12302/2016, 23539/2011, 6055/2008). Ai
fini della configurabilità della compensazione in senso tecnico di cui all’art. 1241 c.c., non rileva la pluralità o
unicità dei rapporti posti a base delle reciproche obbligazioni, essendo invece necessario solo che le suddette
obbligazioni, quale che sia il rapporto (o i rapporti) da cui esse prendono origine, siano “autonome”, ovvero
“non legate da nesso di sinallagmaticità”; posto che, in ogni altro caso, non vi sarebbe motivo per escludere
l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 1246 c.c., che tiene conto anche delle caratteristiche dei crediti
(specialmente in relazione alla – totale o parziale – impignorabilità dei medesimi) proprio per evitare, tra l’al-
tro, che l’operatività della compensazione si risolva in una perdita di tutela per i creditori (Cass. 9-5-2006, n.
10629; conf. Cass. 260/2006).
47
Il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione quando sia il danno che il vantaggio
siano conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto, il quale abbia in sé l’idoneità a produrre ambedue
detti effetti (Cass. 7-1-2000, n. 81; conf. Cass. 4237/1997; Corte dei conti, sez. riun., 5/1997).
48
Per l’art. 8 D.Lgs. 27.7.2000, n. 212 (Statuto del contribuente), l’obbligazione tributaria può essere estinta
per compensazione. Con la compensazione tributaria un credito di imposta può essere compensato con debiti
tributari, così da diminuire o eliminare i tributi dovuti.
49
La compensazione, sia legale che giudiziale, presuppone che il controcredito eccepito specificamente
deve originarsi da fatto genetico precedente alla notifica del pignoramento presso terzi che determina il vin-
colo di indisponibilità ex art. 2917 (Cass. 26-5-2020, n. 9704) (III, 1.4).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 751

non sono opponibili in compensazione i crediti che un soggetto vanta verso la persona
del rappresentante dell’altro; o anche i crediti che una società vanta verso uno dei soci
dell’altra) 50. La legge indica specifiche ipotesi per le quali, in ragione di particolari moti-
vazioni considerate prevalenti, i debiti vanno necessariamente adempiuti e non possono
essere opposti in compensazione. Per l’art. 1246, la compensazione, qualunque sia il tito-
lo dell’uno o dell’altro debito, non si verifica quando ricorre uno dei seguenti casi: credi-
to per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato (es.
art. 1168); 2) credito per la restituzione di cose depositate o date in comodato (es. artt.
1766 ss., 1803 ss.); 3) credito dichiarato impignorabile (art. 545 c.p.c.); 4) rinunzia alla
compensazione fatta preventivamente dal debitore; 5) divieto stabilito dalla legge (come
ad es. la inammissibilità della compensazione dei debiti per alimenti, neppure quando si
tratta di prestazioni arretrate: art. 447). Inoltre la compensazione non opera se uno dei
due debiti è un’obbligazione naturale, per l’assenza di un debito giuridico (VII, 1.10).
Sono previsti tre tipi di compensazione: legale, giudiziale e convenzionale. Con ri-
guardo ad ognuno di tali tipi devono ricorrere specifici presupposti, che lasciano inferire
come la compensazione sia di utilità per entrambi i creditori.
a) La compensazione legale opera in virtù della legge, in presenza di tre requisiti dei
debiti che operano come altrettanti presupposti della compensazione: i debiti devono es-
sere omogenei, liquidi ed esigibili (art. 12431).
Sono omogenei quando hanno per oggetto somme di danaro o quantità di cose fun-
gibili dello stesso genere, sostituibili l’una con l’altra. Solo così i due debiti si rivelano
comparabili, in quanto rivolti a procurare un medesimo risultato economico.
Sono liquidi in quanto sono certi e determinati nell’ammontare, o determinabili in
base a criteri prestabiliti o a un mero calcolo matematico 51. Ciò consente di determi-
nare la misura dei debiti non più dovuti.
Sono esigibili quando è scaduto il termine di adempimento. La eventuale dilazione
accordata gratuitamente dal creditore non impedisce la compensazione (art. 1244), es-

50
La giurisprudenza è solita affermare che i due debiti devono essere anche autonomi, nel senso che i due
crediti devono risultare da titoli diversi (Cass. 10-2-2003, n. 1955; Cass. 12-4-1999, n. 3564).
51
La compensazione, legale o giudiziale, rimane impedita tutte le volte in cui il credito opposto in com-
pensazione sia stato ritualmente contestato in diverso giudizio non ancora definito, risultando a tal fine irrile-
vante l’eventuale sentenza di merito o provvedimento di condanna, anche se immediatamente esecutivi, emessi
in quel giudizio, perché non consentono di ritenere integrato il requisito della definitività dell’accertamento, e
dunque della certezza del controcredito (Cass. 14-2-2019, n. 4313). Vedi però Cass. 17-10-2013, n. 23573: la
circostanza che l’accertamento di un credito sia oggetto di altro giudizio pendente non è d’ostacolo alla pos-
sibilità che il suo titolare lo eccepisca in compensazione nel giudizio che contro di lui il suo debitore introdu-
ca per far valere un proprio credito; ove il giudizio sul controcredito penda davanti allo stesso ufficio giudi-
ziario, il coordinamento fra i due giudizi così connessi ai fini dell’operare della compensazione deve avvenire
tramite il meccanismo della riunione dei procedimenti ed all’esito di essa il giudice davanti al quale i processi
sono riuniti potrà procedere nei modi indicati dall’art. 12432 c.c.; ove la riunione non sia possibile ed ove il
giudizio nel quale è in discussione il credito eccepito in compensazione penda davanti ad altro giudice (e non
sia possibile una rimessione ad esso ai sensi dell’art. 40 c.p.c.) oppure penda in grado di impugnazione, il
coordinamento dovrà avvenire con la pronuncia sul credito principale di una condanna con riserva all’esito del-
la decisione sul credito eccepito in compensazione e la rimessione sul ruolo della decisione sulla sussistenza
delle condizioni della compensazione, con sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c. o 3372 c.p.c.
fino alla definizione del giudizio di accertamento del controcredito.
La certezza non può essere riconosciuta a un credito contestato nella sua esistenza, salvo che la contesta-
zione non appaia prima facie pretestuosa e priva di fondamento (Cass. 22-11-2004, n. 22035).
752 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

sendo mero atto di tolleranza. Nessuno dei due crediti deve essere contestato e oggetto
di accertamento giudiziario; né deve essere soggetto a condizione.
Una ipotesi testuale di compensazione legale è prevista con riguardo alle operazioni
bancarie in conto corrente: se tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più con-
ti, ancorché in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente,
salvo patto contrario (art. 1853) 52.
Con la compensazione legale si determina la estinzione dei due rapporti obbligatori
in forza di legge e cioè automaticamente dal giorno della coesistenza dei debiti con i tre
requisiti indicati (art. 12421) (efficacia ex tunc). Con la estinzione dei debiti viene anche
meno la giustificazione delle garanzie personali e reali: il fideiussore, come il terzo datore
di ipoteca o di pegno, possono opporre in compensazione il debito che il creditore ha
verso il debitore principale (art. 1247).
La compensazione non può essere rilevata di ufficio dal giudice, ma deve essere oppo-
sta e cioè invocata dalla parte che intende avvalersene (art. 1242): la parte, chiamata in
giudizio per l’adempimento di un debito, ha l’onere di eccepire la compensazione legale
con altro debito. Ciò ha dato luogo a un articolato dibattito circa la operatività di diritto
della compensazione: la prevalente dottrina e la giurisprudenza sono inclini ad ammet-
terla secondo il dato letterale dell’art. 12421, che connette la estinzione al fatto in sé della
coesistenza dei debiti. In realtà la non rilevabilità di ufficio sembra esprimere solo l’idea
di rimettere ai privati la scelta di avvalersi o meno di un effetto (estintivo) comunque già
determinatosi 53. La eventuale sentenza che accerta l’estinzione ha perciò natura dichia-
rativa. La problematica è la medesima che si verifica con riferimento alla prescrizione,
che estingue il diritto (art. 2934) ma non può essere rilevata di ufficio dal giudice (art.
2938) per rimettersi alla parte interessata la decisione se avvalersene o meno.
La prescrizione non impedisce la compensazione, se non era compiuta quando si è ve-
rificata la coesistenza dei due debiti (art. 12422).
In presenza di più debiti compensabili trovano applicazione le regole sulla imputa-
zione del pagamento di cui all’art. 11932 (art. 1249). Ciò significa che, se proviene impu-
tazione da una delle parti, si verte in tema di compensazione volontaria.
b) La compensazione giudiziale ha luogo quando il debito opposto in compensazio-
ne, pure essendo omogeneo a quello azionato ed egualmente esigibile, non è liquido
(cioè non è certo e determinato o determinabile), ma è di facile e pronta liquida-
zione (art. 12432). In tal caso è rimessa al giudice la determinazione del debito, al fine di

52
La Suprema Corte ha ritenuto che tale principio operi anche quando i rapporti siano ancora in corso,
salvo il dovere di ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, in ossequio al
principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto (ad es. con l’avviso da parte della banca al
correntista della intervenuta compensazione) (Cass. 28-9-2005, n. 18947). La disposizione dell’art. 1853, det-
tata allo scopo di garantire la banca contro ogni scoperto non specificamente pattuito che risulti a debito del
cliente quale effetto di un qualsiasi rapporto o conto corrente fra le due parti, prevede che la compensazione
tra saldi attivi e passivi, anche a favore del correntista, sia attuata mediante annotazioni in conto e, in partico-
lare (alla luce del principio dell’unità dei conti), attraverso l’immissione del saldo di un conto, come posta
passiva, in un altro conto ancora aperto (con le modalità proprie di tale tipo di operazione), salva manifesta-
zione di volontà di segno contrario da parte del cliente (Cass. 23-1-2020, n. 1445).
53
La compensazione estingue ope legis i debiti contrapposti in virtù del solo fatto oggettivo della loro con-
temporanea sussistenza; trattandosi di esercizio di un diritto potestativo, la compensazione non può essere
rilevata d’ufficio e deve essere eccepita da chi intende avvalersene (Cass. 11-3-2020, n. 7018).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 753

stabilire la misura dei debiti compensati 54. La compensazione si determina in virtù del
provvedimento giudiziario, che perciò ha natura costitutiva: solo con il provvedi-
mento giudiziario che rende liquido il debito opposto in compensazione si verifica il
concorso dei tre requisiti dei debiti innanzi indicati (e può operare quindi la compensa-
zione stessa) (efficacia ex nunc). Il giudice può anche sospendere la condanna per il cre-
dito liquido fino all’accertamento del credito illiquido opposto in compensazione (art.
12432). Può darsi luogo a compensazione giudiziale anche quando entrambi i debiti non
siano liquidi ma di pronta e facile liquidazione. Anche la compensazione giudiziale non è
rilevabile di ufficio dal giudice, ma va eccepita.
c) La compensazione volontaria non è subordinata ai presupposti innanzi indicati per
la compensazione legale e giudiziale. Le parti, con contratto, possono sempre compensa-
re (in tutto o in parte) i propri debiti, così estinguendo i reciproci rapporti obbligatori
(art. 12521). Essendo espressione di autonomia privata, l’estinzione si realizza nei mo-
di concordati dalle parti e per effetto del consenso delle parti.
Le parti possono anche stabilire le condizioni di una successiva compensazione (c.d.
patto di compensazione futura) (art. 12522): in tal caso la compensazione si verificherà au-
tomaticamente al momento del verificarsi delle previste condizioni.
d) La giurisprudenza ammette una compensazione atecnica (o impropria) allorché i
due crediti non siano autonomi ma abbiano origine da uno stesso rapporto. La raffigura-
zione ha i suoi riflessi in sede processuale, non onerando chi invoca la compensazione a
proporre domanda riconvenzionale o a formulare apposita eccezione di compensazione 55.
In ogni caso, determinando la compensazione la estinzione dei debiti reciproci, si
pone il problema della tutela dei terzi eventualmente danneggiati dalla compensazio-
ne. Anzitutto, se il debitore ha accettato puramente e semplicemente la cessione del cre-
dito a un terzo, non può opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto
opporre al cedente: la cessione notificata al debitore, senza sua accettazione, impedisce
la compensazione dei crediti sorti posteriormente alla notificazione (art. 1248). La com-
pensazione non si verifica in pregiudizio dei terzi che hanno acquistato diritti di usufrut-
to o di pegno su uno dei crediti (art. 1250). Ed ancora, chi ha pagato un debito mentre
poteva invocare la compensazione non può più valersi, in pregiudizio dei terzi, dei privi-
legi e delle garanzie a favore del suo credito, salvo che abbia ignorato l’esistenza di que-
sto per giusti motivi (art. 1251).

54
Se i titoli sono diversi, i due crediti vanno resi omogenei con riferimento al momento della sentenza;
nella compensazione di debiti reciproci aventi natura diversa, per essere uno di valore (in quanto a titolo
di risarcimento danni) e l’altro di valuta, ai fini della determinazione del primo si deve tenere conto del-
l’incidenza della svalutazione monetaria, mentre la parte che fa valere il secondo può richiedere, ai sensi
dell’art. 12242, l’ulteriore risarcimento del “danno maggiore” da essa eventualmente subìto, rispetto a quello
forfettariamente determinato dal primo comma dello stesso articolo nella misura degli interessi legali (Cass.
11-12-2019, n. 32438).
55
È ammessa la compensazione impropria, in presenza di reciproche obbligazioni derivanti da un unico
rapporto giuridico: l’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite, con elisione automa-
tica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, può essere compiuto dal giudice di ufficio, senza che
siano necessarie l’eccezione di parte o la domanda riconvenzionale; diversamente nel caso di compensazione
propria, che invece, per poter operare, postula l’autonomia dei rapporti e l’eccezione di parte (Cass. 27-2-2020,
n. 3856; Cass. 19-2-2019, n. 4825; Cass. 7474//2017).
754 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

11. Confusione. – Ha luogo la confusione quando le qualità di creditore e di debito-


re di uno stesso rapporto si riuniscono nella medesima persona. Ad es. un soggetto, che è
creditore verso altro soggetto, diventa suo erede; oppure un imprenditore, che è credito-
re verso altro imprenditore, acquista la sua azienda: in entrambe le ipotesi, sullo stesso
soggetto, si riassumono le qualifiche di creditore e debitore relativamente al medesimo
rapporto (negli esempi fatti l’erede o il cessionario dell’azienda diventa creditore di se
stesso). Sono eccezionali le ipotesi di conservazione delle qualifiche, delineandosi un
rapporto unisoggettivo (di cui si è detto: VII, 1.5): sono meccanismi tecnici tesi a tutelare
specifici interessi considerati prevalenti.
La riunione nella stessa persona delle qualità di creditore e di debitore determina di
regola la estinzione dell’obbligazione (art. 12531) 56. Come per la compensazione, il soddi-
sfacimento del creditore è solo indiretto in quanto conseguente al mero fatto della estin-
zione di una posizione di debito nel proprio patrimonio.
Non è richiesta la opposizione della confusione, come per la compensazione, in quanto
non c’è una valutazione di interessi da compiere per riassumere un unico soggetto en-
trambe le posizioni. La estinzione dell’obbligazione comporta anche la estinzione delle
garanzie, con liberazione dei terzi che le hanno prestate (art. 1253). Ma la confusione
non opera in pregiudizio dei terzi che hanno acquistato diritti di usufrutto o di pegno sul
credito (art. 1254).

12. I modi di estinzione non satisfattivi. – In un’ottica diversa si collocano i modi


di estinzione dell’obbligazione senza soddisfacimento del creditore. Il tratto comune a
tali ipotesi di estinzione è l’assenza di ogni soddisfacimento del creditore: né diretto, in
quanto non c’è adempimento (neppure nelle varianti dell’adempimento del terzo o della
dazione in pagamento); né indiretto, in quanto il creditore neppure trae il vantaggio ri-
flesso della estinzione di una posizione debitoria.
Modi di estinzione non satisfattivi sono: la novazione, la rimessione del debito e la
impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore. In tut-
te le tre ipotesi si produce, in modi diversi, la estinzione non satisfattiva del rapporto
obbligatorio.

13. Novazione (oggettiva e soggettiva). – Con la novazione il rapporto obbligato-


rio originario è estinto e sostituito con un nuovo rapporto, con un nuovo oggetto o titolo
(c.d. novazione oggettiva) (art. 1230), o con un nuovo soggetto (c.d. novazione soggettiva)
(art. 1235).
a) La novazione oggettiva è l’unico tipo di novazione regolato dalla legge: perciò il ter-
mine novazione senza aggettivazione è riferito alla novazione oggettiva.
Con la novazione oggettiva le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova
obbligazione con oggetto o titolo diverso (art. 1230). La novazione si atteggia come con-
tratto consensuale con funzione novativa: è consensuale perché l’efficacia si produce in
virtù del solo consenso e al momento dello stesso; è con funzione novativa in quanto il
contratto novativo produce, ad un tempo, la vicenda estintiva del rapporto obbligatorio

56
Se, però, nella medesima persona si riuniscono le qualità di fideiussore e di debitore principale, la fi-
deiussione resta in vita, purché il creditore vi abbia interesse (art. 1255).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 755

originario e la vicenda costitutiva di un nuovo rapporto che al primo si sostituisce. In ciò


sta il divario con la dazione in pagamento, che pure estingue l’obbligazione: la dazione in
pagamento (anche se procura un bene diverso) produce il soddisfacimento del creditore
(funzione solutoria) (par. 6), invece la novazione non realizza il soddisfacimento del cre-
ditore, sostituendo il precedente rapporto con un nuovo rapporto.
Si vanno così delineando i tre presupposti della novazione oggettiva.
Anzitutto l’obbligazione da novare. Se l’obbligazione originaria “non esisteva”
la novazione è senza effetto (art. 12341): e ciò per l’evidente ragione che non si può so-
stituire ciò che non esiste. La formula della legge di inesistenza dell’obbligazione è es-
senzialmente riferita alla obbligazione derivante da titolo nullo (così Relaz. cod. civ., n.
573); anche perché è espressamente prevista l’ipotesi di titolo annullabile. Se l’obbliga-
zione originaria derivi da un titolo annullabile, la novazione è valida solo se il debitore
conosceva la causa di invalidità (art. 12342) (e sempre che abbia assunto validamente la
nuova obbligazione) 57. In assenza di una specifica disciplina in materia, si è del parere
che il trattamento dell’annullamento, per riferirsi ad un titolo viziato ma efficace, valga
per tutte le altre anomalie del rapporto obbligatorio antecedenti alla novazione, egual-
mente riferite ad un titolo viziato efficace (revocabilità o risolubilità per cause già veri-
ficatesi). La previsione di inefficacia della novazione se l’obbligazione è inesistente o
nulla evita di ripulire il rapporto originario inefficace. Se il rapporto originario è effi-
cace ma viziato, risponde ad un fondamentale criterio di correttezza che il debitore
abbia assunto il nuovo debito conoscendo il vizio del rapporto originario (però il con-
tratto rescindibile non è convalidabile: art. 1451).
Inoltre l’intento novativo (c.d. animus novandi): per l’art. 12302 la volontà di estin-
guere l’obbligazione precedente deve risultare “in modo non equivoco”. Non è richiesta
una particolare forma: la volontà può essere manifestata anche tacitamente, purché chia-
ramente rivolta alla novazione 58. Il rilascio di un documento o la sua rinnovazione,
l’apposizione o l’eliminazione di un termine e in genere le modificazioni accessorie del-
l’obbligazione non producono novazione (art. 1231).
Infine il mutamento dell’oggetto o del titolo (c.d. aliquid novi) (art. 12301). La novi-
tà può innanzi tutto riguardare l’oggetto dell’obbligazione e cioè il bene dovuto: ad es. la
prestazione di pagare una somma di danaro è sostituita con quella di consegnare una
partita di merce 59. Il mutamento può anche riguardare solo il titolo dell’obbligazione e

57
Non è possibile la novazione di un’obbligazione naturale per l’essenza propria di questa (VII, 1.10).
58
Secondo la giurisprudenza l’animus novandi deve essere comune ai contraenti (Cass. 9-4-2003, n. 5576)
e non può essere presunto dovendo essere provato in concreto (Cass. 27-7-2000, n. 9867). È però sufficiente
anche un comportamento concludente, ravvisabile nelle ipotesi di incompatibilità oggettiva (Cass. 2-6-1998,
n. 5399). L’accordo delle parti può essere espresso o “per facta concludentia”, purché inteso ad estinguere
l’originaria obbligazione con una nuova per oggetto o titolo; pertanto l’impegno del venditore (ma vale anche
per l’appaltatore) di eliminare i vizi che rendono il bene inidoneo all’uso cui è destinato ovvero che ne dimi-
nuiscono in modo apprezzabile il valore economico, di per sé, non dà vita ad una nuova obbligazione estinti-
va-sostitutiva dell’originaria obbligazione di garanzia, ma consente al compratore di non soggiacere ai termini
di decadenza ed alle condizioni di cui all’art. 1495 c.c., ai fini dell’esercizio delle azioni (risoluzione del con-
tratto o riduzione del prezzo) previste in suo favore, sostanziandosi tale impegno in un riconoscimento del
debito, interruttivo della prescrizione (Cass. 25-6-2013, n. 15992).
59
La modifica dell’oggetto integra novazione quando la nuova obbligazione è incompatibile con il persi-
stere della obbligazione originaria (Cass. 16-6-2005, n. 12962; Cass. 22-1-2004, n. 1019).
756 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

cioè il fondamento causale della stessa: ad es., non pagando il compratore il (residuo)
prezzo dovuto, le parti possono convenire di lasciare tale somma nella disponibilità del
compratore a titolo di mutuo (con l’eventuale conteggio degli interessi relativi), sicché il
compratore dovrà pagare tale somma a titolo di restituzione per il mutuo ricevuto, se-
condo la disciplina propria del mutuo.
Si è visto come possano intervenire modificazioni dell’oggetto dell’obbligazione senza
novazione dell’obbligazione quando manchi un animus novandi e un aliquid novi (c.d.
modificazioni semplici o non novative: art. 1231) 60: ad es., con riguardo al contratto di
locazione, la riduzione del canone dovuto o la dilazione del termine di pagamento non
implicano come tali la novazione del contratto di locazione (VII, 2.13). Analogamente,
l’assunzione da parte del venditore o dell’appaltatore dell’obbligazione di eliminare i vizi
della cosa, di per sé, si affianca alla originaria obbligazione di garanzia senza estinguerla 61.
La novazione ha una rilevante incidenza in tema di prescrizione, in quanto, intervenu-
ta la novazione, inizia a decorrere un nuovo termine di prescrizione del credito.
L’estinzione dell’obbligazione originaria comporta che anche le garanzie del credito
che vi inerivano si estinguano, se le parti non convengano espressamente di mantenerle
per il nuovo credito (art. 1232): la norma si riferisce solo a privilegi, pegno e ipoteca; ma
non c’è ragione per non estendere il principio anche alle garanzie personali. Se la garan-
zia proviene da un terzo è richiesto il suo consenso per il mantenimento della garanzia
rispetto alla nuova obbligazione.
Problemi particolari emergono con riguardo alla connessione del rapporto estinto con
quello costituito. Di regola gli stessi sono autonomi, sempre che il primo rapporto (come
si è visto) sia efficace. L’inefficacia del contratto di novazione (per nullità o per altra cau-
sa) comporta la rimozione della disposizione novativa e quindi il ripristino dello stato
precedente e cioè della obbligazione originaria.
In assenza di disciplina, si ammette la rilevabilità di ufficio della novazione 62.
Un regime specifico opera per la transazione novativa, con la quale le parti in-
tendono definire un rapporto controverso con la costituzione di un rapporto giuridico

60
Le sole variazioni di misura del canone e del termine di scadenza non sono considerate, come tali, indici
di novazione di un rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della correlativa obbliga-
zione (Cass. 13-6-2017, n. 14620; Cass. 9-3-2010, n. 5673; Cass. 25-11-2003, n. 17913). È necessario verifi-
care l’incidenza che la singola determinazione assume sul complessivo assetto di interessi. L’atto di modifica-
zione quantitativa di una precedente obbligazione con differimento della scadenza per il suo adempimento
non costituisce una novazione e non comporta, dunque, l’estinzione dell’obbligazione originaria, restando
assoggettato, per la sua natura contrattuale, alle ordinarie regole sulla validità (Cass. 26-6-2013, n. 16050).
61
Qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’au-
tonoma obbligazione di facere, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca,
rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina; ne consegue che, in tale ipotesi, anche
considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione sancito dall’art. 2936 c.c., l’originario diritto del
compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale,
di cui all’art. 1495, mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria
decennale (Cass., sez. un., 13-11-2012, n. 19702). Analogamente si è deciso in materia di appalto, relativa-
mente alla prescrizione ex art. 1667 (Cass. 18-12-2015, n. 25541).
62
La novazione non forma oggetto di un’eccezione in senso proprio, come si deduce dalla nozione e dalla
disciplina quali delineate negli artt. 1230-1235 c.c., poste a raffronto con l’espressa previsione della non rile-
vabilità d’ufficio della compensazione (art. 1242 c.c.), e quindi il giudice può rilevare d’ufficio il fatto corri-
spondente, ove ritualmente introdotto nel processo (Cass. 8-4-2009, n. 8527).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 757

complessivamente incompatibile e nuovo rispetto a quello originario, sicché le obbliga-


zioni assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti 63.
Non può chiedersi la risoluzione della transazione per inadempimento se il rapporto
preesistente è stato estinto per novazione, salvo che sia stato espressamente stipulato il
diritto alla risoluzione (art. 1976) 64; vengono meno le originarie garanzie 65. Una discipli-
na articolata opera per la transazione su un “titolo nullo” (art. 1972) 66 (IX, 6.1).
b) La novazione soggettiva è solo menzionata dalla legge (art. 1235), con la previ-
sione che, quando un nuovo debitore è sostituito a quello originario, che viene libera-
to, si osservano le norme relative a delegazione, espromissione e accollo (artt. 1268
ss.); con ciò sembrando assimilare la novazione soggettiva a tali figure per l’unitario
dato della sostituzione del debitore originario 67. In realtà, con la mera sostituzione del
soggetto passivo, si realizza il subentro del terzo nella posizione passiva del medesimo
rapporto; viceversa, con la novazione soggettiva passiva, si produce la estinzione del
rapporto originario con la costituzione di un nuovo rapporto con un diverso soggetto

63
Sono elementi essenziali della transazione novativa l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale del-
l’oggetto della prestazione ovvero del titolo del rapporto, e l’animus novandi come inequivoca, comune inten-
zione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova (cfr. Cass.
26-5-2020, n. 9690; Cass. 13-3-2019, n. 7194). In assenza di un’espressa manifestazione di volontà delle parti,
bisogna accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire
alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni, ovvero se esse si siano limitate
ad apportare modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con il precedente contrat-
to, il quale si pone come causa dell’accordo transattivo che, di regola, non è volto a trasformare il rapporto
controverso (Cass. 9-11-2021, n. 32655; Cass. 14-7-2011, n. 15444). L’efficacia novativa della transazione pre-
suppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto instaurato e quello transatto; le parti, nella
composizione del rapporto litigioso, danno vita a un nuovo rapporto fonte di nuove e autonome situazioni
destinate a sostituirsi a quelle precedenti (Cass. 20-4-2020, n. 7963).
64
Nell’ipotesi in cui un rapporto venga fatto oggetto di una transazione e questa non abbia carattere no-
vativo, la mancata estinzione del rapporto originario significa non già che la posizione delle parti sia regolata
contemporaneamente dall’accordo originario e da quello transattivo, bensì soltanto che l’eventuale venir me-
no di quest’ultimo fa rivivere l’accordo originario; al contrario di quanto, invece, accade qualora le parti
espressamente od oggettivamente abbiano stipulato un accordo transattivo novativo, nel qual caso l’art. 1976
sancisce l’irrisolubilità della transazione (Cass. 16-11-2006, n. 24377).
65
La transazione novativa di un’obbligazione garantita ha effetto estintivo delle garanzie reali originaria-
mente prestate, salvo che i contraenti non abbiano convenuto di conservarle anche in relazione al nuovo con-
tratto, ma, in tale caso, il patto opera esclusivamente “inter partes”, occorrendo, ai fini della conservazione di
garanzie prestate da terzi, il necessario consenso del garante; si determina anche l’estinzione delle garanzie
personali, ove non espressamente mantenute, sia “accessorie”, in considerazione del nesso di dipendenza che
lega la obbligazione di garanzia a quella principale, sia “autonome” in considerazione del nesso indissolubile
che lega la causa concreta di garanzia autonoma alla esistenza del rapporto garantito (Cass. 13-6-2017, n.
14620).
66
La transazione novativa che interviene su un titolo nullo è sanzionata con la nullità (co. 1) soltanto se
relativa a un contratto illecito (per illiceità della causa o del motivo comune a entrambe le parti) ed è invece
annullabile negli altri casi, ma il vizio del negozio può essere fatto valere soltanto dalla parte che ha ignorato
la causa di invalidità (co. 2); la transazione conservativa, riguardante l’esecuzione o gli effetti di un negozio
nullo, è sempre affetta da nullità, ancorché le parti ne abbiano trattato, perché essa regola il rapporto con-
giuntamente al titolo contrattuale invalido e non in sostituzione di questo (Cass. 20-4-2020, n. 7963).
67
Secondo la Relaz. cod. civ., n. 584, una esigenza pratica di evitare problematiche circa la interpretazione
dell’intento pratico delle parti, se orientato verso una novazione soggettiva o una successione nel debito, ha
suggerito di accomunare le due ipotesi sotto una medesima disciplina: così è avvenuto con riguardo alle ecce-
zioni opponibili dal terzo al creditore e alla sorte delle garanzie del debito originario.
758 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

(VII, 2.9). E non è privo di effetti il ricorso della estinzione o meno dell’obbligazione
originaria: si pensi alla prescrizione del diritto di credito, che riprende a decorrere dal-
la costituzione del nuovo rapporto (peraltro secondo il termine ordinario, indipenden-
te dal termine di prescrizione del diritto novato); si pensi anche al calcolo degli inte-
ressi, che inizia a decorrere dal nuovo rapporto, tranne patto diverso.
La legge neppure prevede la novazione soggettiva attiva. Ma, pure nel silenzio della
legge, deve egualmente considerarsi meritevole di tutela (ex art. 13222) il patto con il quale
debitore e creditore sostituiscano il soggetto attivo con effetto novativo del rapporto ob-
bligatorio, purché la volontà di estinguere l’obbligazione originaria risulti in modo non
equivoco, secondo una interpretazione estensiva dell’art. 12302.

14. Remissione del debito (e pactum de non petendo). – Ognuno può rinunziare
ad un proprio diritto disponibile. La rinunzia del credito, per la essenziale connessione
con il debito, ha la peculiarità di influenzare la sfera giuridica del debitore, che potrebbe
non volere essere beneficiato. Perciò la liberazione del debitore non può avvenire contro
la volontà dello stesso.
a) La remissione del debito è disciplinata dall’art. 1236, secondo cui “la dichiarazione
del creditore di rimettere il debito estingue l’obbligazione quando è comunicata al debi-
tore, salvo che questi dichiari, in un congruo termine, di non volerne profittare”. La re-
missione può riguardare l’intero credito (remissione totale) o una sola parte (remissione
parziale). Si ritiene che possano essere rinunciati anche crediti futuri ai sensi dell’art.
1348.
In ogni caso la dichiarazione di remissione produce effetto solo se comunicata al de-
bitore 68. La risalente opinione di considerare la remissione come un contratto, sul pre-
supposto che il mancato rifiuto del debitore comporta accettazione tacita, è dissolta dal
chiaro dettato del codice. La remissione si atteggia come negozio unilaterale recettizio
che produce effetti nel momento in cui perviene a conoscenza del destinatario (arg. artt.
1236 e 1334) 69. La dichiarazione del creditore produce l’effetto remissorio, estintivo del
rapporto obbligatorio, con la eliminazione di entrambe le situazioni correlate, di credito
(con la connessa pretesa di comportamento) e di debito (con il connesso obbligo di
comportamento) (VII, 1.4), da cui consegue la liberazione del debitore e di tutti coloro
che avevano garantito l’adempimento.
Il diritto del debitore di opporsi alla remissione non è peculiare alla remissione ma è
espressione del generale principio della tendenziale indipendenza delle sfere giuridiche,
per cui è consentito incidere sulla sfera giuridica altrui, purché con effetti favorevoli e
sempre con salvezza del diritto di rifiuto del titolare (artt. 13332, 14112) (II, 5.1). In tal
guisa il potere dispositivo del creditore e la salvaguardia della sfera giuridica del debitore
trovano il giusto equilibrio: da un lato, è riconosciuto al creditore il potere dispositivo di

68
La rinuncia ad un diritto, se pure non può essere presunta, può tuttavia desumersi da un comportamen-
to concludente, che manifesti, in quanto incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto, la volontà di
rinunciare (Cass. 14-6-2019, n. 16061). Il debitore che vuole avvalersi della remissione ha l’onere di allegare il
fatto estintivo dell’obbligazione e quindi la comunicazione di remissione o che comunque la stessa sia stata
resa al debitore (Cass. 14-1-2022, n. 1057; Cass. 18-5-2006, n. 11749).
69
Gli effetti della rimessione non possono essere disconosciuti dal creditore, una volta che abbia manife-
stato l’intento abdicativo al debitore (Cass. 21-3-2019, n. 8012).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 759

estinguere l’obbligazione con la dichiarazione di remissione comunicata al debitore; dal-


l’altro, è accordato al debitore il potere di reazione contro la incisione della propria sfera
giuridica. Il rifiuto produce l’effetto estintivo della remissione, facendo rivivere l’obbli-
gazione originaria. L’adesione del debitore, da un lato, non gli consente più di dichiarare
di non volerne profittare; dall’altro, impedisce al creditore la revoca della remissione
(arg. ex art. 14112).
Atteggiandosi la remissione quale atto di disposizione del credito, è richiesta l’or-
dinaria capacità di disporre del creditore; inoltre il credito deve essere determinato o de-
terminabile. La remissione si configura come atto a titolo gratuito; se però rappresenta
una delle poste di una sistemazione patrimoniale, si connota a titolo oneroso.
La remissione non ha bisogno di una particolare forma: la rinunzia può dunque esse-
re anche tacita purché inequivoca 70. La legge, attraverso una valutazione legale tipica di
determinati comportamenti, deduce due presunzioni di remissione dalla restituzione del
titolo: in particolare, la restituzione volontaria dell’originale del titolo del credito, fatta
dal creditore al debitore 71, costituisce prova della liberazione anche rispetto ai condebi-
tori in solido (art. 12371) (presunzione assoluta); la consegna volontaria della copia esecu-
tiva del titolo del credito in forma pubblica fa presumere la liberazione, salva prova con-
traria (art. 12372) (presunzione relativa). La rinunzia alle garanzie non fa presumere la
remissione (art. 1238).
La remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori (art. 12391): ed è da
ritenere che faccia venire meno tutte le garanzie, ormai prive di causa 72.
Si può ammettere una rinunzia al credito, quale dismissione abdicativa del diritto,
senza estinzione dell’obbligazione: la fattispecie va provata, valendo diversamente la re-
gola in tema di obbligazioni che la rinunzia al credito comporta remissione. Per la remis-
sione, operano i limiti alla prova testimoniale previsti in tema di contratto (artt. 2721 ss.),
che l’art. 2726 estende al pagamento e alla remissione del debito.
b) Il c.d. pactum de non petendo non è disciplinato e va dunque ricostruito. Con tale
patto il creditore si obbliga a non chiedere al debitore l’adempimento di quanto dovuto
per un determinato periodo di tempo, o anche a tempo indeterminato, ovvero in presen-
za di determinate circostanze o fino all’esito di un determinato avvenimento. Un esem-

70
La volontà di remissione presuppone la consapevolezza dell’esistenza del debito da parte del creditore,
non potendo configurarsi la remissione di un debito che lo stesso remittente reputasse, a torto o a ragione,
inesistente; la remissione, pur non potendosi presumere, può tuttavia ricavarsi da una manifestazione tacita di
volontà abdicativa, risultante da una serie di circostanze concludenti e non equivoche, assolutamente incom-
patibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito (Cass. 4-10-2000, n. 13169).
71
Il possesso da parte del debitore del titolo originale del credito costituisce fonte di una presunzione le-
gale “juris tantum” di pagamento, superabile con la prova contraria di cui deve onerarsi il creditore che sia
interessato a dimostrare che il pagamento non è avvenuto e che il possesso del titolo è dovuto ad altra causa
(Cass. 8-2-2018, n. 3130). La restituzione volontaria del titolo originale del credito vale come liberazione dalla
obbligazione (art. 12371) a condizione che il debitore provi la volontarietà della restituzione da parte del cre-
ditore o da persona ad esso riferibile (Cass. 27-1-2015, n. 1455).
72
In presenza di più fideiussori, la remissione accordata ad uno dei fideiussori libera gli altri per la sola
parte del fideiussore liberato; se gli altri fideiussori hanno consentito alla liberazione rimangono obbligati per
l’intero (art. 12392). Il creditore che ha rinunziato, verso corrispettivo, alla garanzia prestata da un terzo deve
imputare al debito principale quanto ha ricevuto, a beneficio del debitore e di coloro che hanno prestato ga-
ranzia per l’adempimento dell’obbligazione (art. 1240).
760 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

pio è nel contratto di conto corrente, nel quale le parti si obbligano ad annotare in un
conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili e indisponibili
fino alla chiusura del conto (art. 1823). L’autonomia privata può variamente atteggiare il
contenuto del patto purché diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela (art. 13222).
Si è a lungo discusso circa la natura della figura e la correlazione con la remissione
del debito. Intanto è da chiarire che l’obbligazione di non chiedere l’adempimento può
essere assunta con una dichiarazione unilaterale (negozio unilaterale) ovvero formare og-
getto di un patto tra creditore e debitore (contratto), anche collegato ad un più vasto re-
golamento di interessi, come posta del complessivo regolamento.
Dal patto deriva una obbligazione (negativa) di non fare, cioè di non chiedere l’a-
dempimento, che si atteggia come autolimitazione della propria autonomia: il rapporto
obbligatorio resta in piedi solo che la pretesa di comportamento (che connota il credito)
non è azionabile e l’obbligo di comportamento (che connota il debito) non è coercibile;
il creditore conserva le garanzie patrimoniali. Si determina inattuabilità del rapporto ob-
bligatorio per non esigibilità del diritto credito, che correlativamente non è neppure ese-
guibile: ogni azione giudiziaria di adempimento è paralizzata dall’eccezione di inesigibili-
tà del credito. È un debito inesigibile ma pagabile, per cui il debitore conserva il diritto
all’adempimento; se paga non può però ripetere quanto ha pagato (ex art. 2033) appun-
to per l’esistenza del debito. Quando l’obbligazione di non richiedere l’adempimento è
assunta con dichiarazione unilaterale, comunicata al debitore, è da ritenere ammessa la
dichiarazione del debitore in un congruo termine di non volerne profittare (come per la
remissione) secondo il principio invito beneficum non datur. Anche tale dichiarazione
unilaterale di non chiedere l’adempimento si distingue dalla remissione in quanto non
produce l’estinzione del debito e si articola secondo le peculiarità dell’atto di autonomia
(rispetto al tempo previsto e/o alle circostanze fissate) 73.
Si è visto come, nelle obbligazioni solidali, la remissione a favore di uno dei debitori
in solido libera anche gli altri debitori (salvo che il creditore si sia riservato il diritto nei
confronti degli altri condebitori, nei cui confronti non può però pretendere la quota che
faceva carico al debitore al quale ha rimesso il debito) (art. 13011); invece la dichiarazio-
ne di non chiedere l’adempimento a uno dei debitori in solido non si estende agli altri
debitori proprio in quanto l’obbligazione rimane in vita: il debitore che paga l’intero può
agire in regresso verso il debitore che ha stipulato il patto.
Per essere il credito inesigibile ma esistente, sono azionabili i mezzi di conservazione
della garanzia patrimoniale, per quando il credito ritornerà esigibile.

15. Impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore. – Si è visto


come la correlazione della prestazione alla fonte più comune di obbligazione, quale è il
contratto, rende la possibilità della prestazione un requisito essenziale della stessa (VII,
1.7): la impossibilità originaria della prestazione comporta la nullità del contratto per as-
senza di un requisito dell’oggetto del contratto (artt. 1346, 14182) (VIII, 3.3). Quando la
impossibilità sopravviene alla costituzione del rapporto obbligatorio, la prestazione (ori-

73
Il “ripianamento” di un debito a mezzo di nuovo “credito”, che la banca già creditrice metta in opera
con il proprio cliente al fine di conseguire un’ipoteca contestuale, con riposizionamento della scadenza del
debito pregresso, configura un pactum de non petendo ad tempus, senza alcuna novazione dell’originaria ob-
bligazione del correntista (Cass. 5-8-2019, n. 20896).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 761

ginariamente possibile) diventa non più possibile e perciò inesigibile, determinandosi una
impossibilità sopravvenuta della prestazione: in tal caso è importante stabilire se la soprav-
venuta impossibilità sia o meno imputabile al debitore.
Come si vedrà, l’impossibilità della prestazione imputabile al debitore è causa di ina-
dempimento della obbligazione, con conseguente responsabilità del debitore per i danni
derivanti: l’obbligazione originaria è sostituita dall’obbligazione succedanea di risarcimen-
to del danno (art. 1218). Solo l’impossibilità della prestazione non imputabile al debitore
dà luogo alla estinzione della obbligazione (art. 1256), ipotesi cui si tende ad assimilare
la non utilizzabilità della prestazione da parte del creditore 74: con l’estinzione dell’obbli-
gazione il debitore è liberato e non residua una sua obbligazione succedanea di risarci-
mento del danno (c.d. impossibilità liberatoria). Consegue che l’ambito di applica-
zione dell’art. 1256 (impossibilità sopravenuta della prestazione per causa non imputabi-
le al debitore) è correlato con quello dell’art. 1218 (inadempimento della obbligazione):
dove c’è l’una non c’è l’atro e viceversa; la sopravvenuta impossibilità della prestazione
per causa non imputabile al debitore (art. 1256) evita che il debitore risponda per ina-
dempimento (art. 1218) (VII, 4.1).
Dall’art. 1256 deriva un principio generale per cui il rischio della impossibilità della
prestazione per causa non imputabile al debitore grava sul creditore (res perit creditori):
il rapporto si estingue senza che il creditore possa nulla chiedere per il mancato soddi-
sfacimento. Il profilo si comprende bene se viene calato nel contesto dei contratti a pre-
stazioni corrispettive per incidere la impossibilità della prestazione sulla sorte della con-
troprestazione, per cui la parte liberata per sopravvenuta impossibilità della prestazione
dovuta non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già rice-
vuta (art. 1463) (ampiamente VIII, 10.14).
La impossibilità può essere fisica o giuridica, a seconda che inerisca alla persona del
debitore o alla materialità del bene oppure derivi dall’ordinamento: nel primo caso, si
pensi alla malattia invalidante di un professionista o di un artista ovvero al perimento del
bene dovuto rispetto ad una prestazione personale; nel secondo caso, si pensi al ritiro del
bene dal commercio per ordine della pubblica autorità (ad es., perché considerato nocivo
alla salute) 75.
Per l’art. 12561 requisiti della impossibilità che estingue l’obbligazione sono: la so-
pravvenienza, la non imputabilità al debitore, la definitività.
a) Quanto alla sopravvenienza, la impossibilità deve sopravvenire alla nascita del
rapporto obbligatorio. Se la prestazione era già impossibile all’atto della costituzione del
rapporto obbligatorio, quantunque sconosciuta, c’è assenza di un requisito essenziale per
la valida costituzione del rapporto.

74
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’e-
secuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione
della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e
il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta inutilizzabilità della
finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbliga-
zione (Cass. 29-3-2019, n. 8766).
75
La nozione di factum principis rientra nella più ampia categoria di fatto sopravvenuto, non prevedibile
ed evitabile con l’ordinaria diligenza, idoneo ad integrare una causa sopravvenuta di impossibilità della presta-
zione ex art. 1256 (Cons. Stato 18-1-2018, n. 294).
762 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

b) Quanto alla non imputabilità al debitore, tradizionalmente si sono fronteggiate


due impostazioni.
Secondo una impostazione, per ricorrere la non imputabilità del debitore, la impos-
sibilità deve essere assoluta (cioè sussistere per tutti, sicché nessuno sarebbe in grado di
eseguire la prestazione) e oggettiva (cioè riguardare la prestazione in sé, senza riferimento
alla persona del debitore). È una configurazione favorevole al creditore, risultando mag-
giormente tutelato il diritto di conseguire il bene perseguito. La prova della impossibilità
e della specifica causa che l’ha prodotta incombe sul debitore, che così risponde anche
per le cause c.d. ignote (che cioè non è in grado di identificare) ed anche se si è compor-
tato diligentemente.
Una diversa impostazione considera sufficiente una impossibilità relativa, connetten-
do la impossibilità al comportamento dovuto dal debitore nel particolare rapporto. La
norma viene correlata alla diligenza dovuta (ordinaria o qualificata) nell’adempiere l’ob-
bligazione (art. 1176), ricollegando la impossibilità della prestazione per causa non im-
putabile all’assenza di colpa, e quindi correlando la responsabilità per inadempimento
allo stato soggettivo del debitore (VII, 4.2). È una configurazione più favorevole al debi-
tore in quanto richiede un giudizio soggettivo ed individualizzato dell’obbligo del debi-
tore, imperniato sul principio della colpevolezza (non c’è responsabilità per inadempi-
mento se il debitore è stato diligente).
Il nostro ordinamento adotta un sistema composito, che attinge ora all’una ora all’al-
tra impostazione, secondo una varietà di criteri di imputabilità al debitore della impossi-
bilità sopravvenuta in dipendenza delle qualità personali del debitore, della natura della
prestazione e del titolo dell’obbligazione. La giurisprudenza dominante è orientata a va-
lorizzare il parametro della diligenza ex art. 1176 (ordinaria o professionale) in ragione
della natura del singolo rapporto. Il grado di difficoltà sopportabile dal debitore è de-
terminato in relazione allo sforzo che può richiedersi al debitore nel concreto rapporto,
in funzione dell’economia dello stesso e del dovere generale di solidarietà: il debitore è,
dunque, tenuto a provare di avere profuso lo sforzo adeguato allo specifico rapporto al fine
di vincere la presunzione di colpa 76. La “non imputabilità” si traduce nella imprevedibilità
e inevitabilità secondo lo sforzo che può chiedersi al debitore nel concreto rapporto 77.
c) Quanto alla definitività, la impossibilità è definitiva quando è irreversibile o è
ignoto se la impossibilità verrà meno. Se la prestazione ha per oggetto una cosa determi-

76
È giurisprudenza consolidata che, a norma degli artt. 1218 e 1256, la colpa del contraente inadempiente
si presume e, pertanto, al fine di vincere la presunzione di colpa, quest’ultimo deve fornire gli elementi di
prova e di giudizio idonei a dimostrare, oltre il dato obiettivo della sopravvenuta impossibilità della presta-
zione, l’assenza di colpa, ossia di avere fatto tutto il possibile per adempiere l’obbligazione (Cass. 26-8-2002,
n. 12477; Cass. 17-11-1999, n. 12760). Emergono però caratteri di oggettività della impossibilità: ad es., si è
stabilito che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione presuppone l’addebitabilità “a fatto imputabile al-
l’altro contraente o a ragioni obiettive” (Cass. 16-2-2006, n. 3440).
77
Nella prestazione di opera che comporti la presa in consegna di un bene e, quindi, il sorgere della cor-
relata obbligazione di custodia, la rapina non costituisce ipotesi di caso fortuito che esonera il custode da re-
sponsabilità, salvo che questi non provi che tale evento era imprevedibile ed inevitabile, nonostante l’avvenu-
ta adozione delle cautele più idonee a garantire la puntuale esecuzione del contratto, in osservanza della dili-
genza qualificata ex art. 11762 (Cass. 15-5-2020, n. 8978). C’è responsabilità del notaio qualora non sia in gra-
do di dimostrare che, nemmeno con l’uso della diligenza professionale, avrebbe potuto conoscere l’esistenza
della sentenza dichiarativa di fallimento dell’alienante (Cass. 29-10-2019, n. 27614).
CAP. 3 – ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO 763

nata, all’impossibilità è equiparato lo smarrimento quando non possa esserne provato il


perimento; in caso di successivo ritrovamento si applica la disciplina della impossibilità
temporanea (art. 1257). Una disciplina particolare vale per la impossibilità temporanea e
per quella parziale.
L’impossibilità è temporanea quando è transitoria: non estingue l’obbligazione, ma
il debitore, finché l’impossibilità perdura, non è responsabile dell’inadempimento (art.
12562). Il debitore non risponde per il ritardo nell’adempimento in quanto la sospensio-
ne della prestazione è giustificata (es. sciopero); perciò rimane liberato dalla mora. L’ob-
bligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo del-
l’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbliga-
to ad eseguire la prestazione ovvero il creditore non può più essere considerato interes-
sato a conseguirla (art. 12562): nella prima ipotesi rileva il limite dello sforzo dovuto dal
debitore; nella seconda ipotesi opera il limite dell’interesse del creditore. È un bilancia-
mento tra due componenti della vita economica: l’attività svolta e l’utilità conseguita. Vi è
un generale coordinamento della prestazione dovuta (contenuto dell’obbligazione) con
l’utilità realizzata (oggetto della obbligazione), costruendosi l’impossibilità della presta-
zione nell’equilibrio dello sforzo dovuto con l’utilità conseguita e potendosi delineare la
impossibilità della prestazione per assenza di utilità prodotta (inutilità della prestazione).
Si ha impossibilità parziale quando solo parzialmente risulta realizzabile l’interesse
del creditore. In presenza di impossibilità parziale si ha estinzione dell’obbligazione
per la sola parte di prestazione divenuta impossibile: il debitore si libera dall’obbliga-
zione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile (art. 12581) 78. Non
essendo la impossibilità imputabile al debitore, il creditore non può rifiutare l’adempi-
mento parziale (in contrasto con la regola generale dell’art. 1181): il debitore è liberato
dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile (art. 12582).
Quando la prestazione è correlata con una controprestazione, come nei contratti a pre-
stazioni corrispettive, divenuta parzialmente impossibile la prestazione di una parte, l’al-
tra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e
può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adem-
pimento parziale (art. 1464).
Nell’ipotesi di impossibilità (totale o parziale) di cosa determinata, può realizzarsi il
subingresso del creditore nei diritti del debitore: il creditore subentra nei diritti spettanti
al debitore in dipendenza del fatto che ha causato l’impossibilità (es. subentro nel diritto
al risarcimento o indennizzo verso il terzo) (art. 1259), realizzandosi una surrogazione rea-
le, con modificazione oggettiva del rapporto obbligatorio (VII, 2.14).

78
Nel caso di parziale impossibilità sopravvenuta della prestazione dei promittenti alienanti, il promissa-
rio acquirente può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, a
norma dell’art. 2932, chiedendo, contestualmente e cumulativamente, la riduzione del prezzo (Cass. 27-2-2017,
n. 4939).
CAPITOLO 4
INADEMPIMENTO E MORA
(Responsabilità e risarcimento)

Sommario: 1. Configurazione dell’inadempimento. – 2. La responsabilità per inadempimento (respon-


sabilità contrattuale). – 3. La responsabilità da contatto sociale qualificato. – 4. L’adempimento
coattivo. – 5. Il risarcimento del danno. – 6. Mora del debitore. – 7. Segue. Effetti della mora. – 8. La
liquidazione del danno. – 9. Concorso del fatto colposo del creditore (autoresponsabilità). – 10. I ri-
tardi di pagamento nelle transazioni commerciali. – 11. Il trattamento dei crediti deteriorati.

1. Configurazione dell’inadempimento. – Per tutte le obbligazioni, quale che ne sia


la fonte (art. 1173), vale la fondamentale dicotomia sopra delineata tra impossibilità so-
pravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore (c.d. impossibilità li-
beratoria) (art. 1256) e inadempimento dell’obbligazione (art. 1218), per cui quando opera
la prima non ricorre il secondo (VII, 3.15). Per delineare l’inadempimento del debitore
bisogna dunque verificare se la mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta
sia imputabile al debitore o sia dovuta alla impossibilità della prestazione per causa a lui
non imputabile. Il regime della responsabilità per inadempimento attinge anche al titolo
da cui l’obbligazione deriva.
In astratto ogni prestazione potrebbe essere eseguita: il problema è a quali costi e con
quale impegno, perché il comportamento dovuto risulti proporzionale alla economia del
rapporto. Si faccia il caso della vendita di merce tra imprese operanti in località vicine,
comunicanti attraverso un ponte: se il ponte crolla, in astratto il venditore potrebbe an-
cora raggiungere la piazza dell’acquirente, attraverso un lungo periplo o mediante trasfe-
rimento in elicottero; ma tale ulteriore attività, per essere fortemente dispendiosa, non è
più correlata all’assetto di interessi contrattualmente divisato tra le parti (il costo del tra-
sporto potrebbe superare di gran lunga il costo della merce): bisogna perciò valutare in
concreto se il venditore debba essere considerato ancora tenuto alla prestazione promes-
sa o invece possa essere ritenuto liberato per essersi accentuato lo sforzo economico ri-
chiesto per la consegna della merce (anche in ragione del prezzo di vendita pattuito). C’è
dunque da verificare quale sforzo possa essere richiesto al debitore per procurare al
creditore la utilità perseguita, perché la prestazione risulti adeguata al titolo dell’obbliga-
zione. Valgono le osservazioni innanzi svolte rispetto ai caratteri della impossibilità soprav-
venta (VII, 3.15), e viene sempre in rilievo la raffigurazione sopra compiuta di una nozione
integrale dell’obbligazione che implica l’attuazione del rapporto in una relazionalità solida-
le (VII, 1.4).
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 765

I caratteri dell’inadempimento sono fissati in materia di risoluzione del contratto (artt.


1453 ss.); da tali regole è possibile delineare uno statuto comune dell’inadempimento, che
rileva giuridicamente quando ricorrono due presupposti: la prestazione inadempiuta sia
esigibile (VII, 1.9); l’inadempimento sia imputabile al debitore ed importante (VIII, 10.9),
dove l’importanza dell’inadempimento va verificata alla stregua dell’interesse del credi-
tore (ex art. 1455).
In definitiva l’area dell’inadempimento è intrecciata con la portata della impossibilità
liberatoria secondo un criterio di proporzionalità: il comportamento tenuto dal debitore
deve essere adeguato al raggiungimento del risultato perseguito dal creditore; l’inesatta
esecuzione della prestazione dovuta rileva come inadempimento quando è imputabile al
debitore ed è importante. E ciò anche in presenza di una obbligazione negativa (art. 1222),
rispetto al compimento del fatto vietato.

2. La responsabilità per inadempimento (responsabilità contrattuale). – Caratte-


ristica dell’illecito civile è la contrarietà del fatto ad una norma di diritto materiale di tu-
tela di interessi individuali: dato comune e costante sta nella lesione di un interesse giu-
ridicamente protetto. Esistono due modelli di illecito civile: illecito da inadempimento e
illecito extracontrattuale a seconda che tra l’autore del danno e il soggetto danneggiato
sussista o meno un rapporto giuridico di cui l’atto compiuto costituisce lesione.
L’illecito da inadempimento consiste nella lesione di un rapporto giuridico corrente
tra l’autore dell’illecito e il soggetto danneggiato. L’inadempimento del rapporto ob-
bligatorio integra un fatto illecito per tenere il debitore un comportamento contra legem
lesivo del diritto del creditore. Tale responsabilità è propriamente responsabilità da ina-
dempimento; e del resto la legge la definisce appunto come “responsabilità del debitore”
(art. 1218). Si è soliti indicarla (più spesso) come responsabilità contrattuale per essere il
contratto la più diffusa fonte di obbligazioni, sicché l’inadempimento dell’obbligazione
comporta anche l’inadempimento del contratto; poiché l’inadempimento dell’obbliga-
zione integra comunque la inattuazione di un rapporto obbligatorio tra i soggetti, si par-
la indifferentemente di illecito da inadempimento o di illecito contrattuale. L’illecito con-
trattuale presuppone dunque l’esistenza di una obbligazione (primaria): a seguito del-
l’inadempimento sorge a carico del debitore inadempiente la “responsabilità del debi-
tore” di risarcimento del danno (art. 1218), quale obbligazione succedanea a quella rima-
sta inadempiuta; il regime della responsabilità si svolge nella prospettiva del rapporto
obbligatorio inadempiuto. È principio acquisito che l’obbligazione di risarcimento del
danno da inadempimento costituisce un debito di valore, non di valuta, sicché va rico-
nosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi 1.
Ricorre l’illecito extracontrattuale (un tempo indicato come delitto civile) quando man-
ca un pregresso rapporto tra l’autore del danno e il soggetto danneggiato ovvero si pre-
scinda dallo stesso: si è in presenza della lesione di una situazione giuridica o in generale
di un interesse giuridicamente protetto, cui corrisponde il dovere generale di tutti i con-
sociati di rispettare e non ledere (alterum non laedere) (art. 2043). La norma integra una
clausola generale di responsabilità con funzione ristoratrice della sfera giuridica lesa: si-
gnificativamente il punto di incidenza della norma è il “danno ingiusto”, che può assu-

1
Cfr. Cass. 19-1-2022, n. 1627, che precisa: gli interessi compensativi sono da liquidare applicando al ca-
pitale rivalutato anno per anno un saggio individuato in via equitativa.
766 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

mere qualunque natura, purché nutrito di un interesse meritevole di tutela. In conse-


guenza dell’atto lesivo sorge a carico del soggetto responsabile l’obbligazione di risarcire
il danno (X, 1.3).
Da entrambi gli illeciti consegue dunque la responsabilità civile per i danni prodot-
ti, con l’obbligo di risarcimento del danno per il soggetto responsabile, come tipica san-
zione civilistica. Il problema di qualificazione della responsabilità (contrattuale o ex-
tracontrattuale) non è meramente teorico, ma, come si vedrà, ha anche riflessi concre-
ti, per operare discipline in parte differenti con riguardo ai criteri di responsabilità, al-
l’onere della prova, alla tipologia di danni risarcibili e alla prescrizione del diritto al
risarcimento (X, 2.3). Non mancano casi in cui, ad uno stesso fatto si ricolleghino en-
trambe le responsabilità: ad es., stipulato un contratto di trasporto di persone, il viag-
giatore colpito da sinistro può far valere sia la responsabilità contrattuale del vettore
(ex art. 1681), sia la responsabilità extracontrattuale del conducente il veicolo (art.
20541) ed eventualmente quella solidale del proprietario (art. 20543) (IX, 2.11). Può
anche avvenire che la responsabilità si ricolleghi a più soggetti per comportamenti diver-
si ma concorrenti nella lesione, con obbligazione solidale di risarcimento (art. 2055) 2. Di
seguito è trattato il regime della responsabilità da inadempimento (o contrattuale), rin-
viando ad altra parte la trattazione della responsabilità extracontrattuale (o da fatto
illecito) (X).
a) Imputabilità dell’inadempimento. Il debitore è responsabile dell’inadempimento se
non prova la sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile
(c.d. impossibilità liberatoria) (art. 1218). Vi è la chiara correlazione con l’art. 2056 rela-
tivo alla impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore come causa
di estinzione dell’obbligazione, operando l’art. 1218 quando non funziona l’art. 1256.
La disciplina dell’art. 1218 (come quella dell’art. 1256) pone il problema del colle-
gamento con l’art. 1176, relativo alla diligenza dovuta (ordinaria o qualificata) nell’adem-
piere l’obbligazione (VII, 3.3). Trattando della impossibilità sopravvenuta si è visto co-
me sia da tempo dibattuto il ruolo della diligenza nella configurazione della impossibilità
sopravvenuta (VII, 3.15): secondo la ricostruzione sopra compiuta, anche rispetto all’i-
nadempimento può attingersi al criterio composito adottato dalla giurisprudenza di va-
lorizzare il parametro della diligenza ex art. 1176 (ordinaria o professionale) in ragione
della natura del singolo rapporto; la diligenza va valutata nel caso concreto, attribuendosi
rilevanza allo sforzo (personale, economico, tecnico) che, nella singola situazione, si può
chiedere al debitore per soddisfare l’interesse del creditore 3.

2
Quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi
rispettivamente tra ciascuno di essi e il danneggiato, tali soggetti debbono essere considerati corresponsabili
in solido, non tanto sulla base dell’estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell’art. 2055 c.c.,
dettata per la responsabilità extracontrattuale, quanto perché, sia in tema di responsabilità contrattuale che di
responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, è sufficiente, in base
ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento
(dei quali l’art. 2055 costituisce un’esplicitazione), che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in
modo efficiente a produrlo (Cass. 30-3-2010, n. 7618).
3
Nel contratto di appalto, il comportamento del direttore dei lavori deve essere valutato alla stregua della
“diligentia quam in concreto”; rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento
della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di
essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 767

Va comunque valorizzata la fascia di obblighi di correttezza (art. 1175) gravanti su


debitore e creditore in ragione della relazionalità solidale imposta dal rapporto obbliga-
torio (VII, 1.4), da cui emerge la correlazione dei comportamenti delle parti. E si è visto
come il rispetto del dovere di correttezza abbia portato a delineare un c.d. principio di
inesigibilità della prestazione quando sono coinvolti interessi di rilevanza costituzionale
(VII, 1.9).
Il tema assume particolare rilevanza rispetto alle obbligazioni pecuniarie: secon-
do l’antico principio genus numquam perit, pertanto il danaro, che è bene fungibile per
sua essenza, è sempre suscettibile di corresponsione; ma la crisi economica e finanziaria
in atto rende molto spesso l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria tra le prestazioni
più difficili da eseguire, così da imporre una verifica di sostenibilità dello sforzo richiesto
al debitore rispetto ai valori coinvolti dal singolo rapporto (in ragione della pandemia, il
D.L. 17.3.2020, n. 18, conv. con L. 24.4.2020, n. 27, ha stabilito che “il rispetto delle misu-
re di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai
sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore” (art. 91).
Quanto alla diligenza qualificata ex art. 11762, emerge il problema della c.d. respon-
sabilità professionale, sia per le attività di impresa che per le prestazioni di opera an-
che intellettuali (vedi IX, 2), per le quali la condotta del debitore è valutata “con riguardo
alla natura dell’attività esercitata” (art. 11762). Per le relative condotte dovute dal debitore
è valorizzata la perizia richiesta nel caso concreto, alla stregua delle normative di riferimen-
to e delle evoluzioni scientifiche intervenute; inoltre va verificato il nesso eziologico tra la
condotta del debitore e il danno derivato al creditore (committente o cliente), in ragione
delle singole attività e professioni, secondo un giudizio prognostico 4. Per le professioni in-
tellettuali (le tradizionali arti liberali), opera il regime di favore della norma complementa-
re dell’art. 2236, per cui, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di spe-
ciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di
colpa grave: si vedrà come anche tale criterio è rapportato alla diligenza tecnica che la spe-
cifica qualifica professionale richiede nel caso concreto (IX, 2.5).
b) Criteri di responsabilità. Esistono nel codice civile più criteri di collegamento della
responsabilità da inadempimento, in ragione della natura della prestazione 5 e del titolo del-

a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi (Cass. 17-2-2020, n. 385). L’azione di responsa-
bilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo
di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il
danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso
alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi im-
posti (Cass. 7-2-2020, n. 2975). Sussiste la responsabilità del notaio qualora non sia in grado di dimostrare
che, nemmeno con l’uso della diligenza professionale, avrebbe potuto conoscere l’esistenza della sentenza di-
chiarativa di fallimento del soggetto alienante del bene (Cass. 29-10-2019, n. 27614).
4
La responsabilità del prestatore d’opera intellettuale implica una valutazione prognostica positiva, non
necessariamente la certezza, circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse
stata correttamente e diligentemente svolta (Cass. 1-4-2011, n. 7553).
5
Per le obbligazioni di dare o consegnare cose di specie, la responsabilità per i danni prodotti dalla cosa
consegnata è collegata al criterio della colpa, per cui il debitore è tenuto al risarcimento dei danni provocati
dai vizi della cosa, se non prova di averli ignorati senza colpa: es. in tema di vendita (art. 1494), locazione (art.
15782), mutuo (art. 18211).
Per le obbligazioni di dare o consegnare cose di genere, tra cui quelle pecuniarie, vale il tradizionale princi-
pio genus numquamperit. La mancata esecuzione della prestazione è connessa alla non corretta organizzazione
768 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

l’obbligazione 6; altri criteri emergono nelle leggi complementari, specie in funzione della
qualità delle parti 7. Talvolta, con riguardo ad una medesima attività, concorrono criteri
diversi di valutazione dei singoli atti 8.
1) Più spesso rileva la colpevolezza nell’inadempimento (criterio di maggior favore
per il debitore): non c’è responsabilità senza colpevolezza, che si atteggia nelle due fon-
damentali forme del dolo e della colpa. Si ha dolo quando l’inadempimento è cosciente e
volontario (anche senza assumere i caratteri del dolo contrattuale di artifici e raggiri): in
tal caso la responsabilità è più grave, rispondendo il debitore dei danni prevedibili e im-
prevedibili (art. 1225); criterio che si tende ad applicare anche alla colpa grave 9. Si ha
colpa (in senso stretto) quando l’inadempimento è frutto di negligenza, imprudenza o
imperizia: in tal caso il debitore risponde solo dei danni prevedibili nel tempo in cui è sorta
l’obbligazione 10. Talvolta è richiesta la colpa grave perché ricorra inadempimento dell’ob-
bligazione (il trattamento è meno rigido); talaltra è considerata sufficiente la colpa lieve
(il trattamento è più rigido).
In definitiva, il debitore risponde per i soli danni prevedibili al tempo in cui è sorta
l’obbligazione, tranne che l’inadempimento o il ritardo non dipendano da dolo del debi-
tore, nel qual caso il debitore risponde anche per i danni imprevedibili. È una differenza

del debitore, che può liberarsi da responsabilità solo provando una impossibilità assoluta e oggettiva (es.
ritiro dal commercio del bene alienato).
Per le obbligazioni di fare, opera il criterio della colpa: ad es., la responsabilità del mandatario (art. 1710),
dell’appaltatore (art. 1668), del vettore di persone (art. 1681), del depositario (art. 1768).
Per le obbligazioni di custodia sussiste una responsabilità aggravata, dalla quale il debitore è liberato solo
individuando e provando le specifiche cause della impossibilità (c.d. responsabilità ex recepto): es. la respon-
sabilità del vettore nel trasporto di cose (art. 1693), dell’albergatore (art. 1785), dei magazzini generali (art.
1787).
6
Ad es., il mandatario è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; ma se il
mandato è gratuito la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore (art. 1710). Analogamente, il depo-
sitario deve custodire la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia; ma se il deposito è gratuito la re-
sponsabilità per colpa è valutata con minor rigore (art. 1768).
7
Si pensi alla responsabilità aggravata posta a carico dei fornitori di beni di consumo nei confronti di con-
sumatori (art. 129 cod. cons.) o alla responsabilità aggravata posta a carico dei soggetti abilitati nella colloca-
zione dei servizi di investimento nei riguardi di risparmiatori (art. 23 cod. cons.).
8
In tema di responsabilità degli amministratori di società, mentre per gli obblighi definiti attraverso il
ricorso a clausole generali, quali l’obbligo di amministrare con diligenza e quello di amministrare senza
conflitto di interessi, la responsabilità dell’amministratore deve essere collegata alla violazione del generico
obbligo di diligenza nelle scelte di gestione, per gli obblighi aventi un contenuto specifico e già determina-
to dalla legge o dall’atto costitutivo, la responsabilità può essere esclusa solo se l’inadempimento sia dipeso
da causa che non poteva essere evitata né superata con la diligenza richiesta al debitore (Cass. 23-3-2004,
n. 5718).
9
Il dolo del debitore che, ai sensi dell’art. 1225 c.c. comporta la risarcibilità anche dei danni imprevedibili
al momento in cui è sorta l’obbligazione, non consiste nella coscienza e volontà di provocare tali danni, ma
nella mera consapevolezza e volontarietà dell’inadempimento (Cass. 17-5-2012, n. 7759). In tema di inadempi-
mento contrattuale, poiché nel nostro ordinamento vige il principio secondo cui le conseguenze giuridiche
della colpa grave sono trattate allo stesso modo di quelle proprie della condotta dolosa, l’imputabilità va este-
sa anche ai danni imprevedibili (Cass. 8-10-2019, n. 25168).
10
La verifica va riferita alla prevedibilità astratta inerente a una determinata categoria di rapporti, sulla
scorta delle regole ordinarie di comportamento dei soggetti economici e, cioè, secondo un criterio di nor-
malità in presenza delle circostanze di fatto conosciute dal soggetto inadempiente (Cass. 14-11-2019, n.
29566; Cass. 8-7-2019, n. 18282; Cass. 19-10-2015, n. 21117).
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 769

rilevante con la responsabilità extracontrattuale, nella quale l’autore del danno risponde
anche dei danni imprevedibili nel momento dell’atto illecito (X, 2.3).
Per accertare la colpevolezza, si sono tradizionalmente fronteggiati due indirizzi: l’uno
che ha riguardo al debitore specifico, secondo un giudizio individualizzato; l’altro che si
apre al debitore medio, secondo un giudizio tipizzato. In tal guisa apprestandosi criteri,
nella prima ipotesi, di maggior favore per il debitore, nella seconda di maggior favore
per il creditore. Il riferimento deve essere a un criterio soggettivo tipizzato, avendosi cioè
riguardo ad un soggetto medio, con le medesime qualità e caratteristiche del debitore spe-
cifico nel caso concreto. Si vanno delineando criteri giurisprudenziali di valutazione del
comportamento del debitore per singole attività e professioni, che finiscono con il rap-
presentare altrettanti modelli di diritto vivente di responsabilità civile (così la responsa-
bilità di medici, avvocati, notai, banche, ecc.), peraltro in costante evoluzione e perciò
anche con incertezza applicativa (IX, 2.5).
2) Si ha responsabilità aggravata quando si prescinde dalla colpevolezza, ed il debi-
tore è liberato dall’obbligazione solo per impossibilità della prestazione derivante da caso
fortuito (es. distruzione o perimento) o da forza maggiore cui non è possibile sottrarsi (es.
divieto della pubblica autorità di commercio di un determinato bene). È il debitore a
dovere individuare e provare entrambi.
3) Si ha responsabilità oggettiva quando si prescinde dalla valutazione della impos-
sibilità della prestazione; il debitore risponde per il fatto in sé della mancata o inesatta
esecuzione della prestazione dovuta, indipendentemente dalla diligenza adoperata e dal
ricorrere del caso fortuito o della forza maggiore.
Figura significativa di responsabilità oggettiva è la responsabilità per fatto de-
gli ausiliari. Quale che sia il criterio di responsabilità operante per la singola fatti-
specie, salvo patto contrario, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si va-
le dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro (art. 1228) (la-
voratori dipendenti, autonomi, esterni): dell’inadempimento risponde, non l’autore ma-
teriale del comportamento dannoso, ma un soggetto diverso (c.d. preponente). Il prepo-
nente risponde, non per avere causato direttamente il danno, ma per la cattiva organiz-
zazione e controllo delle risorse umane e materiali impiegate nell’esplicazione dell’at-
tività economica. Il criterio caratterizza la responsabilità di impresa ed è utilizzato an-
che dal codice della navigazione 11. Analogo criterio è utilizzato con riguardo alla re-
sponsabilità extracontrattuale ex art. 2049, per cui i padroni e i committenti sono re-
sponsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici o commessi nell’e-
sercizio delle incombenze a cui sono adibiti (X, 1.8). È necessario che ricorra il c.d.
rapporto di preposizione: la giurisprudenza ha escluso la responsabilità quando l’impos-
sibilità non inerisce alla organizzazione dell’impresa 12.

11
Anche l’armatore e l’esercente l’aeromobile sono responsabili dei fatti dell’equipaggio e delle obbliga-
zioni contratte dal comandante della nave o dell’aeromobile, tranne che per l’adempimento degli obblighi di
natura pubblicistica che la legge impone a carico del comandante della nave o dell’aereo come capo della
spedizione (artt. 274 e 874 cod. nav.).
12
Il soggetto che, nell’espletamento della propria attività, si avvale dell’opera di terzi, ancorché non alle
proprie dipendenze, assume il rischio connaturato alla loro utilizzazione e, pertanto, risponde direttamente di
tutte le ingerenze dannose, dolose o colpose, che a costoro, sulla base di un nesso di occasionalità necessaria,
siano state rese possibili in virtù della posizione conferita nell’adempimento dell’obbligazione e che integrano
770 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Della responsabilità per fatto degli ausiliari c’è un’applicazione in campi sempre più
vasti, come ad es. in materia sanitaria 13, bancaria 14, degli appalti (IX, 2.1), della inter-
mediazione finanziaria 15. E ciò anche quando il debitore, con autonomo contratto, affidi
a terzi l’esecuzione di un’opera o il compimento di atti giuridici.
Una figura di provenienza europea è la responsabilità per danno da prodotti
difettosi (artt. 114 ss. cod. cons.). Il produttore è responsabile del danno cagionato da
difetti del suo prodotto (art. 114); alla stessa responsabilità è sottoposto il fornitore che
abbia distribuito il prodotto se abbia omesso di comunicare al danneggiato nei tre mesi
dalla richiesta l’identità e il domicilio del produttore (art. 116) 16.
Quando la responsabilità dell’evento dannoso è imputabile a più soggetti, anche in
ragione dell’inadempimento di diversi contratti collegati, tutti sono tenuti solidalmente
al risarcimento del danno, attraverso un’applicazione analogica dell’art. 2055 dettato in
tema di responsabilità extracontrattuale 17.
c) Onere della prova. Per l’art. 1218 il debitore è responsabile se non prova che l’ina-
dempimento o l’inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della presta-
zione derivante da causa a lui non imputabile. Non è quindi il creditore a dovere provare
l’imputabilità dell’inadempimento al debitore, ma è il debitore a dovere provare la non
imputabilità dell’inadempimento. In tal modo il creditore che agisce per l’inadempimen-
to o per l’inesatto adempimento della prestazione ha solo l’onere di provare la fonte (ne-
goziale o legale) del suo diritto di credito e il relativo termine di scadenza, limitandosi
alla mera allegazione dell’inadempimento della controparte: è il debitore convenu-
to ad essere gravato dell’onere della prova del fatto estintivo del credito, per l’avvenuto
esatto adempimento ovvero per l’impossibilità della prestazione allo stesso non imputa-
bile (prova della impossibilità liberatoria) 18: più spesso, è sufficiente la dimostrazione

il “rischio specifico” assunto dal debitore, fondando tale responsabilità sul principio cuius commoda eius et
incommoda (Cass. 14-2-2019, n. 4298; Cass. 17-5-2001, n. 6756).
13
Per l’art. 7 L. 8.3.2017, n. 24, la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempi-
mento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal
paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., delle
loro condotte dolose o colpose (co. 1).
14
La responsabilità della banca per il fatto illecito di un proprio dipendente richiede l’accertamento del
nesso di “occasionalità necessaria” tra l’esercizio dell’attività lavorativa e il danno, ed è riscontrabile ogni qual
volta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile allo
svolgimento dell’attività lavorativa, anche se il dipendente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie
mansioni o abbia agito all’insaputa del datore di lavoro (Cass. 6-3-2008, n. 6033).
15
Ad es., la società di gestione di fondi di investimento risponde nei confronti dei terzi di buona fede per
i danni loro arrecati dall’illecito comportamento della società mandataria a cui sia affidata la distribuzione
delle quote del fondo, nonché degli ausiliari e dei dipendenti (Cass. 5-6-2009, n. 12994).
16
Si è precisato che il difetto è riconducibile al difetto di fabbricazione ovvero all’assenza o carenza di
istruzioni ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza; incombe sul soggetto danneggiato la prova speci-
fica del collegamento causale tra difetto e danno (Cass. 19-2-2016, n. 3258).
17
Sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un unico evento
dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo risarcitorio, è
sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella
produzione dell’evento (dei quali l’art. 2055 costituisce un’esplicitazione), che le azioni od omissioni di cia-
scuno abbiano “concorso in modo efficiente a produrlo” (Cass. 9-11-2006, n. 23918).
18
Per costante indirizzo, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno,
ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 771

della condotta diligente, secondo il criterio soggettivo tipizzato, sopra indicato; talvolta, è
richiesta la positiva identificazione dell’evento che ha prodotto l’impossibilità (es. re-
sponsabilità ex recepto); non è sufficiente il rilascio di fattura commerciale 19. Anche in
materia di lavoro, nel quadro di tutela delle condizioni di lavoro ex art. 2077, si fa appli-
cazione dell’art. 1218, con le connotazioni indicate 20.
Il medesimo criterio, a parti invertite, opera nell’ipotesi in cui, in un contratto a pre-
stazioni corrispettive, il debitore sollevi l’eccezione di inadempimento ex art. 1460, in quan-
to in tal caso sono invertiti i ruoli delle parti in lite ed è il creditore agente a dovere pro-
vare di avere adempiuto la sua obbligazione corrispettiva o la impossibilità liberatoria 21.
Diversamente avviene nella responsabilità extracontrattuale, dove il soggetto danneg-
giato (creditore) deve provare la colpevolezza dell’autore del fatto illecito, assumendo rile-
vanza giuridica il “fatto doloso o colposo” che cagiona ad altri un danno ingiusto (art.
2043); anche se vanno emergendo criteri di razionalizzazione che tendono a facilitare l’o-
nere della prova.
Nella ricostruzione del nesso di causalità si va delineando un indirizzo generale, ri-
ferito sia alla responsabilità contrattuale che a quella extracontrattuale, di applicazio-
ne del principio probatorio della “preponderanza dell’evidenza” ovvero del “più
probabile che non”, attraverso un “giudizio controfattuale”, in grado di verificare se la
esecuzione della condotta mancata (ovvero la mancata esecuzione della condotta te-
nuta) avesse potuto, più probabilmente che non, evitare o lenire l’evento lesivo 22. Il

termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della contropar-
te, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costi-
tuito dall’avvenuto adempimento; anche se è dedotto l’inesatto adempimento, al creditore istante sarà suffi-
ciente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello
di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o
qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adem-
pimento; tali principi trovano un limite nell’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual
caso la prova dell’inadempimento è a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l’adempimento e
non per la risoluzione o il risarcimento (Cass., sez. un., 30-10-2001, n. 13533). Conf. Cass. 4-1-2022, n. 127;
Cass. 16-11-2020, n. 25872; Cass. 2-9-2020, n. 18200.
19
La fattura commerciale si inquadra tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella di-
chiarazione unilaterale, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito; sicché
quando tale rapporto sia contestato non può costituire valido elemento (Cass. 127/2022 cit.).
20
L’art. 2087 non configura una responsabilità oggettiva, sicché incombe al lavoratore che lamenti di ave-
re subito un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente o delle
condizioni di lavoro ed il nesso tra l’uno e l’altro; a fronte della prova di tali circostanze, per il superamento
della presunzione ex art. 1218, sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cau-
tele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la eventuale malattia del dipendente non è ricollega-
bile alla inosservanza di tali obblighi (Cass. 8-2-2022, n. 3976).
21
Formulata l’eccezione di inadempimento ex art. 1460, il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’al-
trui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento o la non ancora interve-
nuta scadenza dell’obbligazione (Cass. 8-10-2021, n. 27419; Cass. 25872/2020; Cass. 18200/2020).
22
Il c.d. giudizio controfattuale deve essere compiuto sulla scorta del criterio del più probabile che non,
conformandosi a uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla
determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi, c.d. probabilità quantitativa o pasca-
liana, la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di
fondatezza all’ambito degli elementi di conferma e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternati-
vi, disponibili nel caso concreto, c.d. probabilità logica o baconiana (Cass. 14-3-2022, n. 8114; v. anche
Cass. 14-2-2012, n. 2085; Cass. 16-10-2007, n. 21619).
772 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

criterio è maturato in campo medico per valutare le condotte omissive o inadeguate


tenute (c.d. prognosi postuma), per l’accertamento della responsabilità della struttura
sanitaria e dell’esercente la professione 23 e ormai di diffuso utilizzo 24. Si stanno deli-
neando forme standardizzate di prova in entrambi i campi; ad es. vi è la valorizzazione
della c.d. vicinitas della prova, incombendo l’onere della prova sul soggetto maggior-
mente in grado di articolarla.
d) Prescrizione. Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità è, di regola,
quello ordinario di dieci anni (ex art. 2946), decorrente dal giorno di esigibilità del credi-
to (II, 4.9). È l’ulteriore divario rispetto alla responsabilità extracontrattuale, per la quale
il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito
è di cinque anni, salvo termini più brevi (art. 2947). Vi è una tendenza europea a uni-
formare i termini di prescrizione del diritto al risarcimento per responsabilità contrattua-
le e extracontrattuale 25.
e) Clausole di esonero da responsabilità. Sono nulle le clausole di esonero o limitazio-
ne della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave (art. 12291), così ammetten-
dosi implicitamente la validità delle clausole di esonero da responsabilità per colpa ordi-
naria 26; sono considerate nulle le clausole di aggiramento 27. Sono anche nulle le clausole

23
È un crinale molto pericoloso, dai risvolti inquietanti. Il criterio della quantistica statistica o anche solo
della probabilità logica potrebbe avallare una colpevole inerzia o omissione fino alla brutalità, evitando
scientemente ogni cura a chi ha una bassa soglia di sopravvivenza. Pur nella logica del giudizio controfattua-
le, il diritto alla salute e alla assistenza sanitaria (art. 32 Cost.), quale essenziale diritto della personalità, im-
pone l’adempimento dei doveri di solidarietà (art. 2 Cost.), con il connesso dovere di prestazione sanitaria
quando la scienza medica annetta comunque una potenzialità di vita, indipendentemente dalla soglia stati-
stica di sopravvivenza, potendosi tener conto della percentuale di vita solo nella liquidazione del danno ri-
sarcibile. La giurisprudenza sembra aprire una breccia, chiarendo che il giudizio controfattuale deve essere
condotto valutando, in base alle effettive circostanze fattuali, se l’evento lesivo, in presenza della condotta
alternativa corretta, si sarebbe ugualmente verificato con elevato grado di credibilità razionale o probabili-
tà logica, a nulla rilevando la medio bassa probabilità di salvezza indicata dalle leggi statistiche (Cass. pen.
20-11-2013, n. 8073). Dà luogo a danno risarcibile l’errata esecuzione di un intervento chirurgico praticabile
per rallentare l’esito certamente infausto di una malattia, che abbia comportato la perdita per il paziente della
“chance” di vivere per un periodo di tempo più lungo rispetto a quello poi effettivamente vissuto; in tale
eventualità, le possibilità di sopravvivenza, misurate in astratto secondo criteri percentuali, rilevano ai fini
della liquidazione equitativa del danno, che dovrà altresì tenere conto dello scarto temporale tra la durata
della sopravvivenza effettiva e quella della sopravvivenza possibile in caso di intervento chirurgico corretto
(Cass. 27-3-2014, n. 7195).
24
Nel valutare il nesso causale rispetto ad un’azione di risarcimento del danno a titolo contrattuale non
possono operare a favore della parte inadempiente, dal punto di vista probatorio, evenienze che scaturiscono
dal suo stesso inadempimento, dovendosi apprezzare tale nesso, secondo un giudizio prognostico ex ante,
sulla base di quanto sarebbe accaduto e della complessiva situazione dedotta in giudizio, ove l’inadempimen-
to non vi fosse stato (Cass. 24-6-2020, n. 12490).
25
In Germania è stato unificato in cinque anni il termine di prescrizione delle azioni di responsabilità civi-
le, con la riforma del diritto delle obbligazioni del 2001 (Schuldrecht); analogamente si sta muovendo la
Francia con la riforma del 2008.
26
È considerato nullo ex art. 1229 il patto di esclusione del diritto alla risoluzione del contratto per ina-
dempimento, per tradursi in una previsione di irresponsabilità del debitore circa gli effetti dell’inadempimen-
to imputabile (Cass. 9-5-2012, n. 7054).
27
La irrisorietà del risarcimento del danno pattuito sotto forma di clausola penale è elemento sintomatico
dell’aggiramento del divieto di limitazione di responsabilità ex art. 12291 (cfr. Cass. 3-9-2019, n. 21981; Cass.
12-7-2018, n. 18338).
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 773

di esonero da responsabilità per fatti del debitore o dei suoi ausiliari che integrano viola-
zione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico (art. 12292).
Le clausole di limitazione di responsabilità sono spesso adottate dalle imprese in mo-
duli e formulari, anche solo fissandosi la misura del risarcimento dovuto. L’art. 362, lett.
b, cod. cons., dichiara nulle le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano
per oggetto od effetto di escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del
professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adem-
pimento inesatto da parte del professionista. Per l’art. 13412 non hanno effetto se non
sono specificamente approvate per iscritto le condizioni generali di contratto che stabili-
scono, a favore del predisponente, limitazioni di responsabilità; è da ritenere sempre nul-
le, nonostante la seconda sottoscrizione, le clausole che escludono o limitano la respon-
sabilità del debitore per dolo o colpa grave ovvero allorché il fatto del debitore costitui-
sca violazione di norme di ordine pubblico.

3. La responsabilità da contatto sociale qualificato. – Da tempo è maturata una


osservazione della rilevanza giuridica del contatto sociale, pure in assenza di un formale
vincolo giuridico tra i soggetti del contatto. Sono rapporti di fatto, rispetto ai quali si fan-
no derivare specifici obblighi reciproci tra i soggetti del rapporto. La elaborazione della
responsabilità da contatto sociale, maturata in ambiente tedesco, si è diffusa in Europa
ed è stata ampiamente utilizzata dalla nostra giurisprudenza.
Il fondamento di tali obblighi è stato molto dibattuto. Dapprima è stato ricondotto ad
un accordo tacito: il fatto in sé di tenere comportamenti idonei alla costituzione e alimenta-
zione di rapporti equivale a volerli ed accettarli. In seguito è stata valorizzata la significa-
zione sociale del comportamento: sono rapporti di fatto “qualificati” ai quali l’ordinamento
connette doveri di collaborazione e protezione. Si è visto come sia stata delineata una cate-
goria di “obbligazioni senza prestazione”, per derivare in capo alle parti, non obblighi di
prestazione ai sensi dell’art. 1174, ma obblighi di comportamento di varia natura, ai sensi
degli artt. 1175 e 1375, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o
sono esposti a pericolo in ragione del contatto stesso 28. Si è chiarito, in generale, come trat-
tasi di un ambito di tutela delle posizioni soggettive nella esplicazione della relazionalità
sociale, che comportano un dovere di rispetto dell’altrui posizione, secondo un fondamen-
tale dovere inderogabile di solidarietà economica e sociale previsto dall’art. 2 Cost. In par-
ticolare, i rapporti sociali di fatto sono spesso sorretti da strutture organizzative, che, per le
circostanze di instaurazione, le modalità di svolgimento, le qualifiche professionali ricoper-
te dai soggetti, instaurano relazioni sociali, che reclamano tutela degli autori delle relazioni,
sia per ingenerare l’affidamento della rilevanza giuridica della relazione, sia per il dovuto
rispetto dell’altrui posizione: quando, come più spesso avviene, tali obblighi sono com-
plementari a rapporti suscettibili di valutazione economica, trovano la fonte tecnica di

28
Il “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ex art. 1173 c.c., e
dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c., bensì reciproci
obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c., opera anche nella
materia contrattuale, in relazione a quegli aspetti che non attengono alla esecuzione della prestazione princi-
pale, ma ad interessi ulteriori, che insorgono, anche al di fuori di uno specifico vincolo contrattuale, tutte le
volte in cui le parti instaurino una “relazione qualificata” e cioè agiscano di concerto in vista del consegui-
mento di uno scopo (Cass. 13-10-2017, n. 24071; Cass. 12-7-2016, n. 14188).
774 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

produzione nell’art. 1173 sotto la generale dizione di “ogni altro atto o fatto” idoneo a pro-
durre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico” VII, 1.1). La violazione di tali
obblighi è assimilata all’inadempimento contrattuale, con applicazione del regime della re-
sponsabilità da inadempimento e la connessa responsabilità contrattuale (ex art. 1218 ss.).
La responsabilità da contatto sociale qualificato ha assunto rilevanza in varie aree.
a) Responsabilità dei sanitari. Il terreno dove più diffusamente si è sviluppato il fe-
nomeno è quello sanitario con riguardo agli obblighi di collaborazione e protezione
gravanti sui sanitari dipendenti delle strutture sanitarie pubbliche e private. È emerso
nel diritto vivente un duplice modello di responsabilità: una responsabilità contrattua-
le della struttura sanitaria, propria e autonoma, per inadempimento del contratto di
spedalità stipulato con il paziente per la non corretta organizzazione e gestione dell’at-
tività sanitaria, cui è ricollegabile la inesatta prestazione sanitaria 29; una responsabilità
del sanitario (medico o infermiere) da contatto sociale qualificato in virtù della relazio-
ne instauratasi con il paziente, assimilabile alla responsabilità contrattuale, per inesatto
comportamento tenuto dal sanitario nella cura e protezione del paziente, quantunque
non legato a questo da un preventivo rapporto obbligatorio 30. Con la conseguenza che,
in entrambe le prospettive, è fatta applicazione della disciplina (più favorevole al pa-
ziente) della responsabilità contrattuale, con diritto di prescrizione decennale (art. 2934)
e inversione dell’onere della prova del fatto dannoso (art. 1218), potendo il paziente-
creditore limitarsi ad allegare il contratto o il contatto sociale e il danno subito dall’in-
tervento sanitario e ricadendo sulla struttura sanitaria e sul sanitario la prova della im-
possibilità liberatoria di evitare il danno prodottosi 31.

29
La struttura sanitaria privata conclude necessariamente col paziente che ad essa si rivolga un contratto
atipico (c.d. “contratto di spedalità” o “di assistenza sanitaria”), in virtù del quale la prima si obbliga a fornire
al secondo una adeguata prestazione di contenuto sanitario; ne consegue che la clinica è direttamente respon-
sabile nei confronti del paziente che abbia patito un danno in conseguenza di un deficit organizzativo della
struttura sanitaria, come per un errore del personale medico o paramedico, a nulla rilevando che l’autore ma-
teriale del danno sia o meno dipendente della clinica né che la prestazione sia stata resa o meno in regime di
convenzionamento col S.s.n. (Cass., sez. un., 11-1-2008, n. 577).
30
Per un lungo periodo si era ritenuto che la responsabilità del sanitario verso il paziente per il danno
cagionato da un suo errore diagnostico o terapeutico fosse soltanto extracontrattuale, costruita come una
fattispecie complessa che si perfeziona quando sono realizzati tutti i fatti ed eventi che la compongono
(Cass. 24-3-1979, n. 1716). Il nuovo indirizzo giurisprudenziale veniva inaugurato da Cass. 22-1-1999, n. 589,
secondo cui l’obbligazione del medico dipendente dal S.s.n. per responsabilità professionale nei confronti del
paziente, ancorché non fondata sul contratto ma sul “c o n t a t t o s o c i a l e ” , ha natura contrattuale, ricollegan-
dosi in capo al medico “obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli
interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso”. V. anche Cass. 19-4-2006, n.
9085. Si è anche configurata una responsabilità da contatto sociale per violazione dell’obbligo di informazio-
ne del paziente, rivestendo il c.d. c o n s e n s o i n f o r m a t o natura di principio fondamentale in materia di sa-
lute in virtù della sua funzione di sintesi dei due diritti fondamentali della persona all’autodeterminazione e
alla salute (artt. 2, 13 e 32 Cost.) (Corte cost. 30-7-2009, n. 253; Corte cost. 23-12-2008, n. 438); l’artico-
lazione di tale diritto è regolato dalla L. 22.12.2017, recante norme in materia di consenso informato e di di-
sposizioni anticipate di trattamento (dat). Quando ad un intervento di chirurgia estetica segua un inestetismo
più grave di quello che si mirava ad eliminare o attenuare, la responsabilità del medico per il danno derivato-
ne è conseguente all’accertamento che il paziente non sia stato adeguatamente informato di tale possibile esi-
to, ancorché l’intervento risulti correttamente eseguito (Cass. 6-6-2014, n. 12830).
31
Si è chiarito che, da un lato, il paziente deve dedurre l’esistenza di una inadempienza c.d. vestita, cioè
astrattamente efficiente alla produzione del danno; dall’altro, la struttura sanitaria e/o il medico devono pro-
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 775

Su tale complesso impianto di diritto vivente, irrompono, prima, il D.L. 13.9.2012, n.


158, conv. con L. 8.11.2012, n. 189 (c.d. legge Balduzzi), e successivamente la L. 8.3.2017,
n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), in vigore l’1.4.2017, che ridisegnano l’impianto della re-
sponsabilità con un ritorno all’antica ricostruzione. La struttura sanitaria o sociosanitaria
pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’ope-
ra di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non di-
pendenti della struttura, risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., delle loro condot-
te dolose o colpose (responsabilità contrattuale) (art. 71 L. 24/2017). L’esercente la pro-
fessione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c., salvo che abbia
agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente (responsabi-
lità extracontrattuale) (art. 73 L. 24/2017) (X, 2.3). Si è così rinfocolato il dibattito circa la
natura della responsabilità del medico operante in una struttura sanitaria (pubblica o pri-
vata), avendo la L. 24/2017 squarciato la ricostruzione di diritto vivente come responsabili-
tà contrattuale per riposizionarla come responsabilità extracontrattuale.
In realtà, poiché la dilatazione della responsabilità medica ha comportato la crescita
della spesa sanitaria, vuoi per l’aumento di costi della c.d. medicina difensiva, vuoi per la
proliferazione delle voci di danno, vuoi ancora per l’accresciuta esosità delle coperture
assicurative, la nuova normativa tende ad una razionalizzazione socio-economica della
responsabilità medica attraverso un equilibrio tra protezione dei diritti e sostenibilità
economica 32. È però una storia ancora in via di sviluppo, essendo in gioco la tutela della
salute quale bene di rilevanza costituzionale 33, e perciò bisognerà verificare l’impatto
della riforma nel diritto vivente. È possibile immaginare che, in funzione della tutela del-
la salute, il nesso di causalità andrà ad omogeneizzarsi alla stregua della professionalità
sanitaria 34, oltre la strutturazione del titolo di intervento. Il trend è di una omogeneizza-
zione della responsabilità alla stregua della professionalità sanitaria 35, oltre il titolo di in-
tervento.

vare che l’inadempimento o inesatto adempimento non è stato causa eziologica di produzione del danno (cfr.
Cass., sez. un., 1-1-2008, n. 577).
32
I primi approcci della Suprema Corte al decreto Balduzzi erano stati nel senso di ininfluenza della norma
rispetto all’orientamento consolidato di responsabilità da contatto sociale (Cass. 17-4-2014, n. 8940).
33
Se l’attuazione del diritto sociale alla salute è sostenuta da un dovere di solidarietà sociale, è la società
nel suo complesso che deve farsi carico del ristoro di quei danni non imputabili a soggetti terzi. Bisogna evita-
re due perniciose diaspore: che la protezione dei diritti produca una enfatizzazione di ristori non sostenibile e
che la responsabilità civile e penale stimoli una medicina difensiva (commissiva o omissiva) dannosa alla stes-
sa richiesta di sanità.
34
Si è stabilito che, in tema di responsabilità sanitaria, il danno evento consta della lesione, non dell’inte-
resse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, ma del diritto alla salute (interesse primario
presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sa-
nitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è
onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della
situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte
debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed
inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione (Cass. 11-11-2019, nn. 28991 e 18992). V.
anche Cass. 26-2-2020, n. 5128.
35
Si è stabilito che, in tema di responsabilità sanitaria, il danno evento consta della lesione, non dell’inte-
resse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, ma del diritto alla salute (interesse primario
presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sa-
776 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

b) Responsabilità dei dipendenti pubblici. A seguito della novellazione della L. 241/1990,


si tende a ricostruire nella sequenza di atti destinati a sfociare nel provvedimento ammi-
nistrativo “un contatto amministrativo o procedimentale” con il cittadino interessato al
procedimento, che importa non solo tutela demolitoria ma anche risarcitoria per lesione
dell’interesse alla correttezza procedimentale amministrativa. Il tema è venuto spesso in
rilievo rispetto all’annullamento di aggiudicazioni di appalto 36. L’art. 2 bis ha enucleato
l’obbligo di risarcimento del danno ingiusto anche per inosservanza dolosa o colposa del
termine di conclusione del procedimento, a prescindere dalla spettanza o meno dell’in-
teresse fatto valere 37.
Per i danni arrecati da funzionari e dipendenti nei confronti di cittadini c’è di regola
responsabilità extracontrattuale degli stessi; e tale è anche la responsabilità della P.A. coin-
volta, aggiuntiva a quella personale 38. Quando è assunto un vincolo contrattuale della P.A.,

nitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è
onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della
situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte
debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed
inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione (Cass. 11-11-2019, nn. 28991 e 18992). V.
anche Cass. 26-2-2020, n. 5128.
36
Nell’ipotesi di un contratto di appalto pubblico divenuto inefficace per effetto dell’annullamento del-
l’aggiudicazione da parte dell’organo di controllo, la P.A. è tenuta al risarcimento del danno per le perdite e i
mancati guadagni subiti dal privato aggiudicatario, qualificandosi tale responsabilità come “da contatto quali-
ficato” tra le parti, assimilabile anche se non coincidente con quella di tipo contrattuale, in quanto derivante
dalla violazione da parte dell’amministrazione del dovere di buona fede, di protezione e di informazione che
ha comportato la lesione dell’affidamento incolpevole del privato sulla regolarità e legittimità dell’aggiudica-
zione; ne consegue l’applicabilità del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c., che decorre dalla
data dell’illecito e che è da considerarsi interrotto a seguito dell’impugnazione da parte del privato dell’atto
amministrativo ritenuto illegittimo, purché la P.A., chiamata a risarcire il danno sia stata parte del processo
amministrativo (Cass. 13-12-2018, n. 32314; Cass. 27-10-2017, n. 25644). Spetta alla giurisdizione dell’autorità
giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento
del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della P.A. che si
assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno
prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttez-
za dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (pubblica amministrazione e privato con que-
sta entrato in relazione) inquadrabile nello schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qua-
lificato”, come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., non solo nel caso in cui il danno derivi
dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui
nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affida-
mento in un mero comportamento dell’amministrazione (Cass., sez. un., 28-4-2020, n. 8236).
37
L’omesso o ritardato esercizio del potere autoritativo e discrezionale configura, nelle sue conseguenze
dannose, la lesione dello stesso interesse legittimo che il soggetto coinvolto vanta rispetto all’emanazione di
un provvedimento favorevole: non si tratta della “mera aspettativa di un provvedimento” ma dello specifico
interesse pretensivo a ottenerlo in osservanza delle regole procedimentali che disciplinano l’esercizio del po-
tere che a esso fa capo (Cons. Stato 12-1-2009, n. 65). Applicazioni anche agli appalti pubblici: nell’ipotesi di
un contratto di appalto pubblico divenuto inefficace per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione da par-
te dell’organo di controllo, la P.A. è tenuta al risarcimento del danno per le perdite e i mancati guadagni subi-
ti dal privato aggiudicatario, qualificandosi tale responsabilità come “da contatto qualificato” tra le parti, as-
similabile anche se non coincidente con quella di tipo contrattuale, in quanto derivante dalla violazione da
parte dell’amministrazione del dovere di buona fede, di protezione e di informazione che comporta la lesione
dell’affidamento incolpevole del privato sulla regolarità e legittimità dell’aggiudicazione.
38
I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi
penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti; la responsabilità civile si estende allo
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 777

come spesso avviene nell’erogazione di servizi pubblici, indipendentemente se a titolo


oneroso o gratuito, dell’inadempimento del contratto risponde direttamente la P.A. co-
me controparte del rapporto; se lo svolgimento del rapporto comporta un contatto socia-
le con chi è investito della funzione di tenere il comportamento dovuto dalla P.A., anche
il dipendente o funzionario risponde dei danni arrecati per responsabilità da contatto
sociale.
Una disciplina particolare è prevista per la responsabilità civile dei magistrati dalla L.
13.4.1988, n. 117, modificata dalla L. 27.2.2015, n. 18. Chi ha subito un danno ingiusto
per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in
essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per
diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni pa-
trimoniali e non patrimoniali (art. 2) 39; se il danno è conseguenza di un fatto costituente
reato commesso dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni è ammessa azione diretta
anche nei confronti del magistrato (art. 131). È da ritenere che la responsabilità dello Sta-
to e quella del magistrato vadano ricostruite quali responsabilità per contatto sociale, con
il regime della responsabilità contrattuale.
b) Responsabilità per altri contatti sociali. Il modello di responsabilità da contatto so-
ciale si è sviluppato anche in altri settori. Nel campo dell’istruzione scolastica, è stata
coinvolta la responsabilità degli insegnanti per danni causati dall’alunno a se stesso 40 e in
generale dell’istituto scolastico per danni causati all’alunno 41 (diversa è l’ipotesi di danni
occorsi agli alunni o cagionati dagli alunni a estranei, regolata dall’art. 20482) (X, 1.8).
Nel campo bancario, si è affermata la responsabilità della banca che paga (negozia) un
assegno non trasferibile a favore di persona non legittimata 42. Nei rapporti contrattuali,

Stato e agli enti pubblici (art. 28 Cost.). La responsabilità civile di funzionari e dipendenti opera sempre, in
via immediata e diretta, nei confronti dei cittadini per i danni agli stessi arrecati nell’esercizio delle proprie
funzioni (oltre che evidentemente quando agiscono come semplici privati). La responsabilità della P.A. è in-
vece eccezionale e solo aggiuntiva, limitata alle ipotesi in cui sussista un nesso di occasionalità necessaria tra
la condotta causativa del danno e le funzioni esercitate dal dipendente (Cass. 10-10-2014, n. 21408; Cass.
29-12-2011, n. 29727; Cass. 12-4-2011, n. 8306).
39
Costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea, il
travisamento del fatto o delle prove, ovvero l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente
esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli
atti del procedimento, ovvero l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi con-
sentiti dalla legge oppure senza motivazione (art. 23).
40
Secondo l’indirizzo di Cass., sez. un., 27-6-2002, n. 9346, nel caso di danno cagionato dall’alunno a se stes-
so, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale,
atteso che, tra insegnante e allievo, si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale
l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di
protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona; ne deriva che, nelle
controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione, è applicabile il regime probatorio desumibi-
le dall’art. 1218 c.c., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento
del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa
non imputabile né alla scuola né all’insegnante (Cass. 3-3-2010, n. 5067; Cass. 25-2-2016, n. 3695).
41
In caso di danni all’alunno sussiste la responsabilità “da contatto sociale qualificato” dell’Istituto scola-
stico affidatario, sul quale gravano i doveri di protezione, enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. che impongono
il controllo e la vigilanza del minore o dell’incapace fino a quando non intervenga un altro soggetto ugual-
mente responsabile (Cass. 26-7-2019, n. 20285).
42
Per Cass., sez. un., 26-6-2007, n. 14712, il banchiere giratario per l’incasso che paga un assegno di traen-
778 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

è stata delineata la responsabilità verso la banca del notaio scelto dalla parte mutuata-
ria 43. Anche rispetto alla mediazione, in assenza di un vincolo contrattuale del mediatore
con una delle parti, è stata configurata una responsabilità per la condotta tenuta 44 (IX,
3.7). Il criterio sta estendendosi anche alla responsabilità precontrattuale (VIII, 2.25).

4. L’adempimento coattivo. – La previsione dell’art. 1218 del solo risarcimento del


danno per inesatta esecuzione della prestazione dovuta sembrerebbe indicare che la leg-
ge connetta all’inadempimento dell’obbligazione la sola conseguenza dell’obbligo di ri-
sarcimento del danno, che dunque si atteggerebbe come l’unico strumento di tutela del
creditore. Come si è detto innanzi (par. 2), l’obbligo del risarcimento del danno prescrit-
to dall’art. 1218 rappresenta la sanzione civilistica a carico dell’autore dell’illecito al fine
di ristorare il danno subito dal soggetto danneggiato dall’inadempimento. Ma la tutela
complessiva del credito va rapportata al titolo dell’obbligazione.
Per le obbligazioni derivanti da contratto, relativamente ai contratti a prestazioni cor-
rispettive (che è la categoria più diffusa di contratti), “quando uno dei contraenti non
adempie le sue obbligazioni, l’altro può, a sua scelta, chiedere l’adempimento o la risolu-
zione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno” (art. 1453). Il risarci-
mento del danno si atteggia dunque come rimedio ulteriore e generale di tutela rispetto
ai due principali dell’adempimento e della risoluzione. Anzi, nelle relazioni economiche,
si tende a valorizzare lo strumento dell’adempimento coattivo per conservare l’opera-
zione economica realizzata: ad es., la Convenzione ONU di Vienna del 1980, recante la
normativa di diritto uniforme sulla vendita internazionale di cose mobili (L. 11.12.1985,
n. 765), prevede la tutela preferenziale dello strumento dell’adempimento (VIII, 10.7); e
analogamente fa il codice del consumo (D.Lgs. 6.9.2005, n. 206). Della risoluzione del
contratto per inadempimento si parlerà trattando del contratto, dove si analizzerà l’in-
cidenza dell’inadempimento dell’una prestazione sulla sorte dell’altra, giustificando la
risoluzione del contratto (VIII, 10.8-9); bisogna ora riflettere sull’adempimento coattivo
riferito al singolo rapporto obbligatorio, per atteggiarsi come strumento generale di sod-
disfacimento del creditore per l’inadempimento dell’obbligazione.
Lo strumento primario di tutela del creditore è proprio l’adempimento coattivo in
quanto volto a soddisfare coattivamente l’interesse perseguito con il rapporto obbligato-

za non trasferibile a persona diversa dal beneficiario del titolo “incorre in una responsabilità che ha natura con-
trattuale … in virtù del contatto sociale che caratterizza l’operato della banca negoziatrice” ex art. 43 R.D.
21.12.1933, n. 1736. Nel caso in cui una cambiale sia pagata, nonostante la scadenza, in tempo utile, la banca
del portatore del pagherò cambiario ha l’obbligo di attivarsi, nei confronti del notaio, per impedire l’illegit-
tima levata del protesto; se la banca non si attiva in tal senso, ne consegue una propria responsabilità c.d. da
contatto sociale per non aver fornito tempestivamente un’informazione idonea ad evitare il prodursi di un
danno (Cass. 13-5-2009, n. 11130).
43
Il notaio che abbia negligentemente compiuto le visure ipocatastali, richiestegli dall’aspirante alla con-
cessione di un finanziamento ipotecario, è responsabile dei danni conseguentemente subiti dall’istituto di
credito mutuante, anche se quest’ultimo non gli aveva conferito l’incarico, potendosi ravvisare un contratto a
favore di terzo o una responsabilità da contatto sociale (Cass. 9-5-2016, n. 9320).
44
In virtù del “contatto sociale” che si crea tra il mediatore professionale e le parti, nella controversia tra
essi pendente trovano applicazione le norme sui contratti, con la conseguenza che il mediatore, per andare
esente da responsabilità, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile nell’adempimento degli obblighi di
correttezza ed informazione a suo carico, ai sensi dell’art. 11762 (Cass. 14-7-2009, n. 16382).
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 779

rio, permettendo di conseguire attraverso gli apparati giudiziari il bene dedotto in obbli-
gazione non procurato dal debitore. La domanda di adempimento tende a conseguire,
per via giudiziaria, il risultato che il creditore non ha ottenuto dal debitore. Per realizza-
re tale risultato opera lo strumento della esecuzione forzata nelle due specie della esecu-
zione in forma specifica e della esecuzione per espropriazione (mediante procedure giu-
diziarie esecutive), di cui si parlerà in seguito (artt. 2910 ss.). Altre ipotesi emergono in
normative più recenti, come ad es. i diritti del consumatore al ripristino della conformità
al contratto del bene di consumo, mediante la sostituzione o la riparazione (artt. 130 ss.
cod. cons.): in tali ipotesi il carattere seriale del bene dedotto in obbligazione fa conse-
guire al creditore il medesimo risultato conseguibile con l’adempimento.
In ogni caso il fatto che il debitore si sia reso inadempiente, costringendo il creditore
ad un’azione giudiziaria per il soddisfacimento del suo interesse, consegua o meno il
medesimo bene dedotto in obbligazione, integra un illecito civile da inadempimento che
obbliga il debitore al risarcimento del danno (art. 1218).
Non mancano ipotesi nelle quali è attribuito al creditore il potere di conseguire l’adem-
pimento coattivo in via di autotutela, limitandosi l’autorità giudiziaria all’accertamento del
legittimo esercizio di tale potere. Si pensi alle due ipotesi, in tema di vendita di cose mobili,
della esecuzione coattiva per inadempimento del compratore (c.d. vendita in danno: art.
1515) e della esecuzione coattiva per inadempimento del venditore (c.d. acquisto in danno:
art. 1516), di cui si parlerà in sede di attuazione coattiva del contratto (VIII, 10.5).

5. Il risarcimento del danno. – Per l’art. 1218, l’inadempimento o l’inesatto adem-


pimento dell’obbligazione comporta la conseguenza dell’obbligo di risarcimento del
danno, quale tipica sanzione civilistica dell’illecito; strumento, ad un tempo, di deter-
renza per il debitore e di ristoro del creditore. La prescrizione non è in correlazione
con la previsione dell’art. 1455 sull’importanza dell’inadempimento, in quanto la con-
danna del debitore inadempiente al risarcimento del danno può essere pronunziata an-
che quando, per la scarsa importanza dell’inadempimento, non possa farsi luogo alla ri-
soluzione del contratto 45.
A carico del debitore inadempiente si determina una obbligazione succedanea (di
risarcimento del danno) rivolta a reintegrare il patrimonio del creditore per il mancato
conseguimento del bene dovuto dal debitore. È un generale modo di tutela del credito-
re per inattuazione dell’obbligazione da parte del debitore. Anche la obbligazione (suc-
cedanea) di risarcimento del danno rimane soggetta al comune regime delle obbligazio-
ni e dunque ai normali rimedi per l’inadempimento dell’obbligazione.
Deve esistere un nesso di causalità tra il fatto dell’inadempimento o del ritardo e
la conseguenza dannosa. Per l’art. 1223 sono risarcibili i danni che sono “conseguenza
immediata e diretta” dell’inadempimento ovvero del ritardo. Il diritto al risarcimento del
danno è dunque legato, non solo alla sussistenza del danno, ma anche alla derivazione del
danno dall’inadempimento del debitore, entrambi i profili da provare dal creditore.
Tale ricerca implica la verifica della catena causale degli eventi che si susseguono, at-
traverso una ricostruzione del nesso eziologico degli stessi, a partire dal danno (e cioè dal-
l’evento dannoso), per risalire fino a quale causa e dunque fino a quale evento e a quale

45
Cfr. Cass. 25-1-2022, n. 2223; Cass. 15-1-2001, n. 506.
780 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

soggetto è possibile ricondurre la determinazione del danno, secondo un criterio ogget-


tivo di esperienza generalizzata: si è soliti parlare di causalità adeguata (o causalità
ordinaria), secondo un meccanismo di preponderanza dell’evidenza o del “più probabile
che non” 46 (rilevano in tale sequenza sia i fatti commissivi che quelli omissivi). Ad es., se
un venditore (debitore) non consegna la merce venduta, è obbligato a risarcire al com-
pratore (creditore) i danni prodotti; se però, nella ricerca della merce sostitutiva, il com-
pratore (creditore) ha un incidente stradale riportando danni alla persona e alla vettura,
tali danni non sono risarcibili in quanto non sono collegati causalmente all’inadempi-
mento del debitore ma alla inesperienza nella guida del creditore o di un diverso auto-
mobilista. I danni da responsabilità contrattuale si atteggiano sempre come danni-conse-
guenza dell’inadempimento (per i danni da illecito extracontrattuale, X, 1.2).
Quanto alla determinazione del danno, operano più criteri.
a) Ristoro integrale del danno. L’entità del danno è differente a seconda che il risarci-
mento del danno si affianchi all’adempimento coattivo o ne tenga luogo: nella prima ipote-
si, il risarcimento è aggiuntivo all’adempimento coattivo e tende solo a ristorare le conse-
guenze del mancato adempimento nei tempi prestabiliti; nella seconda ipotesi, il risarci-
mento è sostitutivo dell’adempimento e quindi deve, anzitutto, reintegrare il creditore del
mancato conseguimento del bene dovuto, e poi ristorarlo degli ulteriori danni subiti per
non avere potuto conseguire il risultato prefissosi. È ormai acquisita una “bipolarità” del
risarcimento del danno, che comprende sia il danno patrimoniale per il pregiudizio eco-
nomico subito che il danno non patrimoniale per la lesione personale sofferta.
Il danno patrimoniale tende al ristoro del pregiudizio economico subito dal credi-
tore, con il soddisfacimento dell’interesse positivo all’adempimento: interesse che va dun-
que rapportato al risultato perseguito dal creditore con la costituzione del rapporto ob-
bligatorio.
Per l’art. 1223 il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve
comprendere così la “perdita subita” dal creditore (c.d. danno emergente) come il “man-
cato guadagno” (c.d. lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diret-
ta 47. Nell’esempio fatto di perdita della merce venduta durante il trasporto, il venditore
deve risarcire al compratore, sia la perdita subita per il mancato conseguimento della

46
Il “nesso di causalità” è considerato esistente, non solo quando il danno sia conseguenza inevitabile del-
la condotta, ma anche quando ne sia conseguenza “altamente probabile e verosimile”, non però una mera pos-
sibilità astratta (Cass. 30-10-2009, n. 23059). La diminuzione patrimoniale deve apparire come il naturale svi-
luppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un crite-
rio di normalità e di regolarità dello sviluppo causale, fondato sulle circostanze del caso concreto (Cass.
27-4-2010, n. 10072). Il danno patrimoniale derivante da indebita segnalazione alla Centrale Rischi della Ban-
ca d’Italia può essere provato dal danneggiato anche per presunzioni, potendo consistere, se imprenditore,
nel peggioramento dell’affidabilità commerciale, essenziale per l’ottenimento e la conservazione dei finanzia-
menti (Cass. 10-2-2020, n. 3133). In tema di responsabilità professionale dell’avvocato, la regola della pre-
ponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di
causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale ele-
mento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili (Cass. 21-1-2020, n. 1169).
47
È anche possibile un danno di deprezzamento della cosa che rimane nella disponibilità del danneggiato,
costituendo il deterioramento della consistenza fisica o giuridica del bene un danno emergente (Cass.
20-6-2019, n. 16585). Il danno risarcibile al locatore per la ritardata consegna dell’immobile locato alla cessa-
zione del contratto è stabilito in via presuntiva dall’art. 1591 nella misura del canone dovuto, salvo il maggior
danno che deve essere provato dal locatore ex art. 1223 (Cass. 6-10-2016, n. 19981).
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 781

merce (perciò gli eventuali esborsi aggiuntivi per procurarsi una diversa partita di merce,
oltre le spese affrontate), sia il mancato guadagno (cioè i profitti che il compratore si pre-
figgeva di conseguire dall’arrivo della merce a destino, utilizzandola o rivendendola a
terzi: l’una e l’atra componente di danno vanno adeguatamente provate dal creditore. Il
tutto secondo un rapporto di causalità adeguata (di cui si è detto) che vale anche per il
ristoro del danno sofferto dall’inadempimento, che deve essere ragionevolmente imputa-
to al debitore 48.
È dibattuta la risarcibilità del danno non patrimoniale, per la ragione che la rela-
tiva previsione è contenuta nella disciplina dell’illecito extracontrattuale (art. 2059).
Tradizionalmente è stata negata la risarcibilità del danno non patrimoniale da inadem-
pimento contrattuale per regolare il contratto un “rapporto giuridico patrimoniale” (art.
1321). Una progressiva interpretazione costituzionalmente orientata della responsabilità
contrattuale ha condotto alla tutela anche dei danni conseguenti alla personalità del sog-
getto danneggiato dall’inadempimento dell’obbligazione; e ciò in linea con una evolu-
zione dello stesso fondamento della responsabilità civile dal piano sanzionatorio a quello
riparatorio dell’interesse leso. Anche il limite fissato dall’art. 2059 di prevedere il risarci-
mento del danno non patrimoniale “solo nei casi determinati dalla legge” (art. 185 c.p.),
è stato neutralizzato dall’affermazione di ristoro di ogni lesione di un interesse costitu-
zionalmente protetto, in quanto previsto dalla Carta costituzionale come legge fondamen-
tale dell’ordinamento, e sempre che derivi un danno 49. Si è così delineata una generale
risarcibilità del danno non patrimoniale, derivante sia da illecito extracontrattuale che da
inadempimento contrattuale ed anche da inadempimento di obbligazione di fonte non
contrattuale, facendosi rientrare nel danno non patrimoniale i danni biologico, morale e
esistenziale, purché siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito.
Un indice testuale di rilevanza degli interessi non patrimoniali nell’ambito delle ob-
bligazioni è stato ravvisato nell’art. 1174 secondo cui la prestazione deve, sì essere su-
scettibile di valutazione economia, ma può corrispondere a un interesse anche non pa-
trimoniale del creditore (sono sempre più diffusi contratti precipuamente finalizzati a
soddisfare bisogni della persona, come dimensioni esistenziali, culturali o di svago). Esi-
stono ormai anche normative testuali di previsione di tale figura di danno (ad es. l’art. 47
cod. tur. che regola il danno da vacanza rovinata) 50. In generale poi la figura del danno
non patrimoniale da inadempimento contrattuale sta emergendo in significativi testi pro-

48
Cfr. Cass. 26-1-2022, n. 2348: In tema di responsabilità professionale, ai fini della verifica dell’esistenza
di un danno risarcibile, nel caso in cui l’avvocato abbia omesso di trascrivere la domanda giudiziale ex art.
2901, con conseguente impossibilità per il creditore di opporre gli effetti della sentenza al terzo che, in corso
di causa, abbia acquistato un cespite del compendio oggetto dell’esperita azione revocatoria, l’esistenza di
un’iscrizione ipotecaria su quello stesso bene non è, di per sé, ostativa alla possibilità di riconoscere l’esisten-
za di detto danno, occorrendo, invece, una verifica della residua consistenza del credito garantito da ipoteca.
49
Si è precisato che la lesione di un diritto inviolabile, anche quando integri gli estremi di un fatto illecito,
non determina la sussistenza di un danno patrimoniale in re ipsa, essendo comunque necessario che la vittima
abbia effettivamente patito un pregiudizio, che va allegato e provato anche attraverso presunzioni semplici
(Cass. 5-5-2021, n. 11779).
50
Il tour operator è tenuto al risarcimento del danno da vacanza rovinata quando la realtà dei fatti non ri-
specchia quanto pubblicizzato, assumendo l’organizzatore o il venditore di pacchetti turistici specifici obbli-
ghi, soprattutto di tipo qualitativo, riguardo rappresentazione dei luoghi, modalità di viaggio, sistemazione
alberghiera, livello dei servizi, ecc., che vanno “esattamente” adempiuti, tranne non sia fornita adeguata prova
di un inadempimento ad essi non imputabile (Cass. 4-3-2010, n. 5189).
782 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

tesi alla formazione di un diritto privato europeo (es. Principi Unidroit). Un deciso svi-
luppo nell’affermazione del danno non patrimoniale da inadempimento è derivato dalla
responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie e degli esercenti la professione sanita-
ria 51 (anche se la responsabilità di questi ultimi è stata poi qualificata come extracontrat-
tuale dalla L. 24/2017) (sopra, par. 3). Possono trovare applicazione le conclusioni cui si
perviene in tema di danno non patrimoniale con riferimento alla responsabilità da illeci-
to extracontrattuale (X, 2.4).
È anche emerso un danno da perdita di chance, come lucro cessante, sostanziandosi
nel sacrificio della possibilità di un risultato migliore 52. Tale criterio, sebbene emerso in
ambito di inadempimento di obbligazioni di fare professionale, è suscettibile di applica-
zione generale 53.
b) Modelli di risarcimento. Criterio generale è quello “per equivalente”, ma non c’è
ragione per non farsi applicazione del risarcimento in “forma specifica” previsto per il
risarcimento da fatto illecito.
1) Il risarcimento per equivalente rappresenta il modo generale e tipico di risar-
cimento del danno da inadempimento. Il risarcimento mira a riparare il danno sofferto
dal creditore con l’attribuzione allo stesso di una somma di danaro commisurata al pre-
giudizio subito (arg. art. 1223) (quando è sostitutivo del bene dovuto, il danaro procura
una utilità diversa ma considerata economicamente equivalente).
Come per l’illecito extracontrattuale, anche il risarcimento del danno per inadempi-
mento si configura come una obbligazione di valore: tende cioè a ristorare il credito-
re dei danni sofferti per l’inadempimento o inesatto adempimento del debitore. Il risar-
cimento mira alla completa reintegrazione dell’interesse leso e perciò va rapportato al
momento in cui avviene la liquidazione e non a quello in cui si realizza l’inadempimen-
to 54 (VII, 1.16). Come si è visto, l’art. 1223 fissa precisi criteri per la determinazione del
danno risarcibile.
2) Come per il danno non patrimoniale, è dibattuto se possa applicarsi alla responsa-
bilità per inadempimento il rimedio del risarcimento in forma specifica, per essere
questo previsto solo in tema di responsabilità da atto illecito extracontrattuale (art. 2058)

51
Essenziale è stato l’intervento delle sezioni unite nelle note sentenze dell’11.11.2008 (perciò dette
di San Martino), affermandosi che, in materia di inadempimento contrattuale, la tutela risarcitoria del
danno non patrimoniale è ammessa quando abbia luogo la lesione di un diritto inviolabile della perso-
na che risulti compreso nell’area del contratto sulla base della causa concreta del negozio ovvero sulla
base di una previsione di legge; costituisce danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato (sent.
26972/2008). Il risarcimento è regolato secondo le norme dettate in materia di responsabilità contrattuale
(sent. 26973/2008).
52
La chance è considerata come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato
bene: non è dunque una mera aspettativa di fatto ma “un’entità patrimoniale a sé stante, suscettibile di auto-
noma valutazione giuridica ed economica”, sicché è onere del preteso creditore dimostrare il danno conse-
guente alla lesione di tale chance, tramite il ricorso ad un calcolo delle probabilità che evidenzi la concreta
sussistenza della possibilità di raggiungere il risultato sperato (Cass. 27-6-2007, n. 14820; Cass. 18-3-2003, n.
3999; Cass. 12-2-2015, n. 2737) (ampiamente X, 1.4).
53
Cfr. Cass. 24-3-2022, n. 9565.
54
L’obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce un debito, non di
valuta, ma di valore, sicché va riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi compensa-
tivi, questi ultimi da liquidare applicando al capitale rivalutato anno per anno un saggio individuato in via
equitativa (Cass. 19-1-2022, n. 1627).
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 783

(X, 2.2). La trasposizione del risarcimento in forma specifica alla materia contrattuale è
stata osteggiata in quanto l’impianto del codice civile riconduce il risarcimento alle con-
seguenze patrimoniali dell’inadempimento. Ma non c’è ragione per non ammetterlo, se
non si compie uno snaturamento del risarcimento, che, invece, rappresenta una tutela
rimediale che assicura effettività di ristoro.
La giurisprudenza è nel senso di identificare l’oggetto del risarcimento in forma spe-
cifica nello stesso bene dedotto in obbligazione (l’eadem res dovuta) 55. Ma in tal modo il
risarcimento in forma specifica non si diversificherebbe dall’adempimento coattivo (di
cui si è detto sopra) con il quale finirebbe con l’identificarsi. Come è nell’indole propria
del risarcimento, bisogna ritenere che anche quello in forma specifica debba considerarsi
rivolto alla eliminazione delle conseguenze del fatto lesivo.
A seguito dell’inadempimento il creditore ha diritto, non solo all’attuazione del-
l’interesse originario perseguito con l’obbligazione, ma anche al ristoro degli interessi
lesi dall’inadempimento. Il risarcimento in forma specifica tende appunto al ripristino
degli interessi, diversi da quello originario, pregiudicati dall’inadempimento e perciò
alla eliminazione in forma specifica degli effetti dannosi conseguenti all’inadempimen-
to. Un campo di emersione di tale forma di risarcimento può ravvisarsi nella normati-
va sulla responsabilità per danni da prodotti difettosi (artt. 114 ss. cod. cons.), facen-
do la legge obbligo al produttore e in subordine al fornitore di risarcire il danno ca-
gionato da difetti del prodotto, che ha procurato la distruzione o il deterioramento di
una cosa diversa dal prodotto difettoso fornito (artt. 114 e 123): può bene ammettersi
un risarcimento in forma specifica con la eliminazione delle conseguenze dannose del
difetto del prodotto attraverso la sostituzione o riparazione del bene rimasto danneg-
giato dalla difettosità del prodotto consegnato. Si pensi alla ipotesi di acquisto, presso
una casa costruttrice di impianti industriali, di un macchinario da inserire in una ca-
tena di montaggio: se il macchinario difettoso danneggia l’intera catena di montaggio,
c’è la necessità di risarcire i complessivi danni conseguenti all’inesatto adempimento
dell’obbligazione; in tal caso, il creditore ha diritto, non solo all’adempimento coatti-
vo, con la sostituzione del macchinario acquistato rivelatosi difettoso, ma anche al ri-
sarcimento in forma specifica delle conseguenze dannose dell’inadempimento, con la
eliminazione dei danni arrecati alla catena di montaggio (mediante riparazione o so-
stituzione delle parti danneggiate). Si pensi ancora all’ipotesi di inadempimento della
obbligazione negativa: il risarcimento in forma specifica tende a distruggere tutto ciò
che è stato realizzato in violazione dell’obbligo di non fare. Altre ipotesi sono pro-
spettate dalla giurisprudenza, ad es. con riferimento alla rimozione di pregiudizi giu-
ridici determinati dall’attività negoziale 56.
In ogni caso, pure in presenza di domanda di risarcimento in forma specifica, il giu-

55
Il risarcimento in forma specifica, essendo diretto al conseguimento dell’eadem res dovuta, tende a realiz-
zare una forma più ampia e, di regola, più onerosa per il debitore, di ristoro del pregiudizio dallo stesso arreca-
to, dato che l’oggetto della pretesa azionata non è costituito da una somma di danaro, ma dal conseguimento, da
parte del creditore danneggiato, di una prestazione del tutto analoga, nella sua specificità ed integrità, a quella
cui il debitore era tenuto in base al vincolo contrattuale (Cass. 18-9-2013, n. 21337).
56
È stata confermata la sentenza della corte di merito che aveva condannato, ex art. 2058 c.c., la venditri-
ce ed il notaio rogante, in solido tra loro, a provvedere a propria cura e spese alla cancellazione di due iscri-
zioni ipotecarie sull’immobile venduto, non rilevate in sede di stipula di un contratto di compravendita
(Cass. 2-7-2010, n. 15726. V. anche Cass. 27-6-2006, n. 14813).
784 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

dice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione
in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore (con applicazione ana-
logica dell’art. 20582) 57.
c) Il problema dei danni punitivi. La figura dei danni punitivi proviene dall’esperienza
dei paesi di common law e segnatamente degli Stati uniti d’America ove, con l’espressione
punitive (o exemplary) damage, è indicata la comminatoria di risarcimento danni con fun-
zione sanzionatoria del danneggiante. La figura dei danni punitivi non trova un generale
riscontro nel nostro ordinamento, attestato sulla funzione ristoratrice del risarcimento
danni (c.d. monofunzionalità riparatoria del danno), elevata ad ordine pubblico come pe-
raltro più volte affermato dalla giurisprudenza 58. Il dibattito è emerso con riguardo alla re-
sponsabilità da fatti illeciti, ma si sta estendendo alla responsabilità da inadempimento,
prospettandosi di addossare all’autore dell’illecito un risarcimento ulteriore rispetto a quel-
lo necessario per ristorare il danno arrecato (compensatory damages), se si prova che il
danneggiante ha agito con malice (dolo) o gross negligence (colpa grave), in una configura-
zione di polivalenza della responsabilità civile. Nella determinazione del danno, come è
nell’indole degli ordinamenti di common law, è rilasciato ampio potere al giudice di valuta-
zione del caso concreto, apprestando un rimedio in ragione del particolare contesto di in-
teressi, bilanciando tra la gravità del comportamento dell’autore del danno e la natura e
l’entità degli interessi lesi. In tal guisa, alla funzione riparatrice del danno, si connette una
ulteriore funzione genericamente di punizione, che è tipica della responsabilità penale: e
ciò, sia al fine di punire l’autore del danno, così da svolgere anche un ruolo di deterrenza,
sia con lo scopo di più ampiamente ristorare la vittima del danno e stimolare la tutela dei
diritti quale fattore di coesione sociale.
Non mancano, anche nel nostro ordinamento, singole figure di riparazione che travali-
cano la funzione propria di ristoro dei danni e che, in qualche modo, si avvicinano all’area
dei danni punitivi anche se ascritte sotto diversificate nomenclature 59. Anche la giurispru-
denza tende ormai a considerare la statuizione di danni punitivi non in contrasto con

57
Per costante giurisprudenza, il risarcimento per equivalente costituisce un minus rispetto al risarcimen-
to in forma specifica; pertanto, qualora il danneggiato abbia domandato solo il risarcimento in forma specifi-
ca ai sensi dell’art. 20582, disposizione che è applicabile anche in caso di responsabilità contrattuale, il giudice
può condannare d’ufficio al risarcimento per equivalente senza incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c.
(Cass. 8-3-2006, n. 4925; Cass. 15-7-2005, n. 15021).
58
Un’emblematica ricostruzione del problema è nella sent. di Cass. 19-1-2007, n. 1183, secondo cui “rimane
estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed è indifferente la valutazione a
tal fine della sua condotta; è quindi incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto dei danni punitivi che, per
altro verso, non è neanche riferibile alla risarcibilità dei danni non patrimoniali o morali, che è sempre condizio-
nata all’accertamento della sofferenza o della lesione determinata dall’illecito e non può considerarsi provata in
re ipsa. Così anche le sentenze gemelle di Cass., sez. un., 26972 e 26975/2008.
59
Meno recente è l’ipotesi dell’art. 12 L. 8.2.1948, n. 47, recante disposizioni sulla stampa, che attribuisce
alla persona offesa, oltre il risarcimento dei danni, una riparazione pecuniaria per la diffamazione subita, che
la giurisprudenza ricostruisce come “pena pecuniaria privata prevista per legge, che si aggiunge al risarcimen-
to del danno autonomamente liquidato in favore del danneggiato” (Cass. 26-6-2007, n. 14761). Più di recente
si pensi alle c o m m i n a t o r i e introdotte con l’art. 614 bis c.p.c., che operano come rimedio di c.d. esecuzio-
ne indiretta a carattere pecuniario per violazione di obblighi di fare infungibile o di non fare. Si pensi an-
che alla previsione dell’art. 709 ter c.p.c. che, in relazione alle controversie insorte tra i genitori in relazio-
ne all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento. Si pensi anche alla re-
sponsabilità aggravata per lite temeraria, che consente al giudice, anche d’ufficio, di condannare la parte soc-
combente al pagamento a favore della controparte di una somma equitativamente determinata (art. 96 c.p.c.).
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 785

l’ordine pubblico 60. È una tematica che da tempo si agita nella qualificazione della respon-
sabilità contabile erariale, tra responsabilità “risarcitoria” tradizionale e responsabilità
“sanzionatoria” amministrativa, quale sta emergendo nella giurisprudenza della Corte
dei conti 61.

6. Mora del debitore. – Sia la mora del creditore che la mora del debitore sono lega-
te ad un ritardo ingiustificato, nel riceversi l’adempimento (mora del creditore) o nell’a-
dempiere (mora del debitore). A fronte di questa base comune, le due more rilevano di-
versamente e producono differenti effetti per la diversa posizione assunta dal creditore e
dal debitore nella struttura del rapporto obbligatorio.
Per aversi mora del debitore, anzitutto deve ricorre un ritardo ingiustificato nel-
l’adempimento 62, in quanto è imputabile al debitore (art. 1218). Con la scadenza del
termine di adempimento, il debito diventa esigibile e dunque il debitore è tenuto ad ese-
guire la prestazione dovuta; il ritardo nell’adempimento comporta inesatta esecuzione
della prestazione dovuta (inesattezza temporale) 63.
È inoltre necessaria la costituzione in mora, che avviene, di regola, mediante in-
timazione o richiesta di adempimento fatta per iscritto dal creditore 64 (c.d. mora ex perso-
na) (art. 12191). Si presume che la mancata richiesta di adempimento sia da attribuirsi ad
una tolleranza del creditore: il debitore non subisce gli effetti della mora fino a quando il
creditore non mostri, con un positivo atto di costituzione in mora, di avere interesse at-
tuale all’adempimento 65, tranne che la legge stessa non consideri, per la natura della ob-
bligazione o le circostanze in cui è maturato il ritardo, non meritevole di tutela il debito-
re (quindi non necessaria la costituzione in mora).
L’atto di costituzione in mora è atto giuridico in senso stretto e non atto negoziale, in
quanto gli effetti della mora sono interamente previsti e disposti dall’ordinamento, sic-
ché è irrilevante l’intento del creditore di realizzare gli effetti della mora. Inoltre è atto
recettizio ai sensi dell’art. 1334, producendo effetto dal momento in cui perviene a cono-
scenza del destinatario (salvo l’art. 1335).

60
Non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei ri-
sarcimenti punitivi; il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere de-
ve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che
garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi
avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con
l’ordine pubblico (Cass., sez. un., 5-7-2017, n. 16601).
61
Corte dei conti, sez. riun., giurisd., questione di massima, 24/2020 e 26/2020.
62
La parte che si avvale legittimamente della eccezione di inadempimento (art. 1460) non può essere con-
siderata in mora e, pertanto, non è tenuta al pagamento degli interessi moratori e degli eventuali maggiori
danni subiti dall’altra parte per il mancato adempimento, nei termini previsti dal contratto, di quanto a lei
dovuto (Cass. 26-1-2006, n. 1701).
63
Se il termine di adempimento è previsto in un contratto come “essenziale”, la sua violazione comporta
senz’altro inadempimento (VIII, 10.9).
64
Non è richiesto l’uso di formule solenni, né la osservanza di particolari requisiti, essendo sufficiente che
con un qualsiasi atto scritto portato a conoscenza del debitore il creditore manifesti la volontà di conseguire il
soddisfacimento del proprio credito (Cass. 8-7-2005, n. 14373).
65
L’emissione e l’invio della fattura commerciale, inquadrandosi questa tra gli atti giuridici a contenuto
partecipativo, non sono come tali sufficienti alla costituzione in mora, essendo necessario a questo scopo un
elemento ulteriore, costituito da una espressa richiesta di pagamento (Cass. 18-7-2002, n. 10434).
786 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Per l’art. 12192 la costituzione in mora non è necessaria, e perciò la caduta in mora è
automatica (mora ex re), nelle seguenti tre ipotesi.
1) Quando il debito deriva da fatto illecito. Il soggetto danneggiato va risarcito dei dan-
ni subiti fin dalla data dell’intervenuta lesione (art. 2043).
2) Quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non volere adempiere l’obbligazio-
ne. In tal caso la costituzione in mora si rivela inutile.
3) Quando è scaduto il termine di adempimento di una obbligazione la cui prestazione
deve essere eseguita al domicilio del creditore. Sono i c.d. debiti portabili, per dovere essere
il bene portato presso il creditore: il ritardo nell’adempimento è senz’altro ricollegabile al
debitore; tra i debiti portabili assumono particolare rilevanza i debiti pecuniari, che devono
essere adempiuti al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza (art. 11823) 66
(VII, 3.4). Diverso discorso vale per i c.d. debiti chiedibili, quelli cioè il cui adempimento
deve avvenire presso il domicilio del debitore e che dunque il creditore deve richiedere: il
ritardo nell’adempimento è ricollegato alla mancata iniziativa del creditore 67.
Stanno crescendo le previsioni legislative di mora automatica: sono specifici conflitti
di interessi risolti dall’ordinamento a vantaggio del creditore, affinché goda degli effetti
della mora fin dall’inizio del ritardo (par. 10). Così la regola della necessaria costituzione
in mora sta progressivamente riducendo il campo di azione, rivelandosi sempre meno
generale.
Per evitare la caduta in mora il debitore deve offrire la prestazione dovuta nel termine
di adempimento (art. 1220). Diversamente dalla mora del creditore, per la quale l’offerta
del debitore deve essere formale (in alcune ipotesi offerta reale o offerta per intimazione) o
secondo gli usi (artt. 1208 ss.) (VII, 3.8), per evitare di cadere nella mora del debitore è suf-
ficiente che il debitore compia una offerta non formale della prestazione, purché sia seria,
tempestiva e completa 68, a meno che il creditore l’abbia rifiutata per un motivo legittimo.
In sostanza l’offerta non formale del debitore non è idonea a realizzare la mora del credito-
re ma consente di non cadere nella mora del debitore, evitando il prodursi degli effetti del-
la mora, specie l’obbligazione di risarcimento del danno per il ritardo.
Anche dopo la scadenza del termine, fino a quando la prestazione non diventi defini-
tivamente impossibile, il debitore ha ancora l’obbligo di adempiere, benché in ritardo; e
il creditore ha, non solo il diritto di pretenderla, ma anche il dovere di riceverla con il
risarcimento aggiuntivo per la mora. Intervenuto l’inadempimento, il risarcimento per
ritardo rimane ricompreso ed assorbito in quello per inadempimento.
Non è configurabile la mora del debitore nelle c.d. obbligazioni negative, nelle quali
cioè il debitore è obbligato a un non fare: non può delinearsi un ritardo nell’adempimen-

66
Le obbligazioni pecuniarie da adempiere al domicilio del creditore ex art. 11823 sono – agli effetti della
mora ex re e del forum destinatae solutionis – esclusivamente quelle liquide, delle quali cioè il titolo determini
l’ammontare o indichi criteri determinativi non discrezionali (Cass. 20-3-2019, n. 7722).
67
Il termine deve scadere quando il debitore è ancora in vita. Se il termine scade dopo la morte del debi-
tore, è necessaria la costituzione in mora degli eredi, che avviene decorsi otto giorni dall’intimazione o dalla
richiesta di adempimento (art. 1219, n. 3).
68
La offerta non formale, quale atto del processo di adempimento, deve essere fatta con il rispetto delle
norme che disciplinano questo: deve essere seria, tempestiva e completa, consistente nella effettiva introdu-
zione dell’oggetto della prestazione dovuta nella sfera di disponibilità del creditore, e compiuta nei luoghi
indicati dall’art. 1182 c.c.; la mancanza anche di una sola di tali caratteristiche impedisce che l’offerta non
formale possa produrre i suoi effetti (Cass. 17-10-2019, n. 26298; Cass. 25155/2010).
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 787

to in quanto il fatto compiuto, e cioè l’atto positivo che contravviene al non fare, com-
porta senz’altro inadempimento dell’obbligazione (art. 1222).

7. Segue. Effetti della mora. – Dalla caduta in mora derivano più effetti sfavorevo-
li per il debitore.
a) Effetto generale è l’obbligo del risarcimento del danno conseguente al ritardo,
salvo che il debitore non provi che il ritardo è derivato da impossibilità temporanea della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile (art. 1218). Tale risarcimento si ag-
giunge alla prestazione originaria, che continua ad essere dovuta. Per i debiti di valore il
risarcimento decorre dalla data dell’illecito 69.
Una disciplina particolare opera per le obbligazioni pecuniarie (che hanno cioè ad
oggetto somme di danaro). Si è visto come tali obbligazioni sono di regola connotate da
un principio nominalistico, per cui il pagamento deve avvenire con la moneta espressa e
nell’ammontare indicato (c.d. debito di valuta) (VII, 1.16); il ritardo dell’adempimento
comporta un danno che va ristorato. Per la naturale fecondità del danaro (essendo co-
mune apprezzamento che il danaro è produttivo di reddito) il creditore è esentato dalla
prova del danno (VII, 1.16): per l’art. 12241, nelle obbligazioni che hanno per oggetto
somme di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non era-
no dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di avere sofferto un danno
(c.d. interessi moratori). Se peraltro, prima della mora, erano stati pattuiti interessi
convenzionali in misura superiore al tasso legale 70 o se comunque erano dovuti interessi
superiori al tasso legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura (art. 12241),
tranne che non si tratti di interessi convenzionali usurari 71. Il debito deve essere liquido
cioè determinato o di facile determinazione 72.
È da ritenere applicabile agli interessi moratori la disciplina generale relativa al saggio
di interessi prevista nell’art. 1284. Anzitutto gli interessi superiori alla misura legale de-
vono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale (co. 3). Se
le parti non hanno determinato la misura degli interessi moratori, introducendosi un

69
Poiché il debitore d’una obbligazione di valore è in mora ex re dal giorno dell’illecito, è tenuto a pagare
al creditore il lucro cessante finanziario, ovvero i frutti che il denaro dovuto a titolo di risarcimento avrebbe
prodotto sin dal giorno del sinistro, in caso di tempestivo pagamento; la liquidazione di questo danno può
avvenire solo in via equitativa ex art. 1226 c.c., ed in molti modi: a forfait, in percentuale o in misura fissa
(Cass. 12-6-2019, n. 1585).
70
Il requisito della forma scritta per la determinazione degli interessi extralegali (art. 12843) non postula
che la corrispondente convenzione contenga una indicazione in cifre del tasso pattuito, ben potendo detta
indicazione essere soddisfatta attraverso il richiamo, per iscritto, anche per relationem, a criteri prestabiliti e
ad elementi estrinseci al documento negoziale, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta
determinazione del relativo saggio (Cass. 29-9-2020, n. 20555).
71
Qualora gli interessi moratori siano usurari, non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma restano
dovuti gli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti (Cass., sez. un., 18-9-2020, n. 19597).
Gli interessi convenzionali corrispettivi sottostanno alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso ecce-
dente quello stabilito dall’art. 24 L. 7.3.1996, n. 108 (tasso soglia), vanno qualificati ipso iure come usurari con
nullità della clausola di previsione, non dovendosi interessi (art. 18152).
72
Difettando il necessario presupposto della liquidità, non sono dovuti gli interessi corrispettivi ex art.
1282, e, trattandosi di obbligazioni chiedibili, la mora del debitore si determina non ai sensi dell’art. 12192, n.
3 (mora ex re), bensì, ai sensi dell’art. 12191, mediante richiesta formulata per intimazione o atto scritto, solo da
tale momento pertanto decorrendo gli interessi moratori (Cass. 13-5-2004, n. 9092; Cass. 26-7-2001, n. 10226).
788 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

contenzioso giudiziario o arbitrale dove si controverta sul pagamento di interessi mora-


tori, promosso dal creditore o dal debitore, dal momento della introduzione del giudi-
zio 73 il saggio degli interessi legali è quello previsto dalla legislazione speciale sui ritardi
di pagamento nelle transazioni commerciali (co. 4 e 5).
Il debito di danaro, essendo un debito di valuta, come tale, non è suscettibile di au-
tomatica rivalutazione in conseguenza del processo inflattivo della moneta (diversa-
mente per il debito di valore). Il creditore è però ammesso a provare di avere sofferto
un danno maggiore rispetto a quello ristorato dalla corresponsione degli interessi
moratori, con diritto all’ulteriore risarcimento (es. il creditore può provare che, se aves-
se conseguito il danaro nel termine dovuto, avrebbe potuto destinarlo ad un’opera-
zione economica o finanziaria in grado di procurare un utile maggiore di quello conse-
guito dagli interessi legali); il risarcimento del maggior danno non è dovuto se è stata
convenuta la misura degli interessi moratori (art. 12242). È possibile in tal modo con-
seguire la rivalutazione monetaria del credito mediante la prova del maggiore danno deri-
vato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora e non com-
pensato dagli interessi moratori 74: non è sufficiente allegare il tasso ufficiale di svaluta-
zione, richiedendo la legge la prova del maggior danno sofferto, che la giurisprudenza
tende a standardizzare 75.
b) Un effetto specifico è l’allocazione del rischio che opera relativamente alle
obbligazioni che hanno ad oggetto cose. Il debitore che è in mora non è liberato per la
sopravvenuta impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (art.
1221) (c.d. perpetuatio obligationis). In tal guisa, la impossibilità sopravvenuta della pre-
stazione per causa non imputabile al debitore, che per regola generale determinerebbe
l’estinzione dell’obbligazione (art. 1256), non vale a liberare il debitore dalla responsabi-
lità per inadempimento. In deroga al principio che pone a carico del creditore il rischio
della impossibilità sopravvenuta della prestazione (res perit creditori), il rischio della im-
possibilità della prestazione rimane a carico del debitore (res perit debitori) (ad es., per
caso fortuito, è perito il bene da consegnare o si è incendiato lo stabilimento che avrebbe

73
Il riferimento legislativo alla proposizione della domanda deve ritenersi volto a privilegiare il momento
della formulazione della richiesta al giudice e non quello della partecipazione della stessa al debitore (Cass.
14-5-2021, n. 13145).
74
Il creditore non può limitarsi a chiedere la condanna del debitore al pagamento di capitale e rivaluta-
zione, non essendo questa conseguenza automatica del ritardato pagamento delle obbligazioni di valuta, deve
domandare il risarcimento da maggior danno ex art. 1224 (Cass. 23-2-2022, n. 5965).
75
Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 12242,
può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento
netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi
legali, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto
nel caso di pensionato, impiegato, ecc.); se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno,
una somma superiore ha l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via pre-
suntiva; ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al
credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale
fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà in-
vece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo
adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbe-
ro garantito un rendimento superiore al saggio legale. (Cass., sez. un., 16-7-2008, n. 19499 e 3954/2015;
Cass. 5-3-2020, n. 6200; Cass. 15-12-2020, n. 28651).
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 789

dovuto realizzare il bene: se il debitore è in mora, risponde comunque per l’inadempi-


mento dell’obbligazione).
La regola si giustifica con la ragione che se l’obbligazione fosse stata adempiuta nel
termine stabilito il creditore avrebbe conseguito l’oggetto dell’obbligazione prima della
sopravvenuta impossibilità. Coerente con tale prospettiva è l’ulteriore regola per cui il
debitore può liberarsi da responsabilità provando che l’oggetto della prestazione sarebbe
egualmente perito presso il creditore (art. 12211). Tale prova liberatoria è negata quando
la cosa è stata illecitamente sottratta: in qualunque modo sia perita o smarrita la cosa, chi
l’ha sottratta è comunque obbligato a restituirne il valore (art. 12212). L’illiceità della
condotta del debitore nella sottrazione della cosa non giustifica il premio della liberazio-
ne per successivo perimento della cosa: è la tradizionale regola che nessuno può invocare
la propria immoralità per conseguire un vantaggio.
c) Altro effetto, collegato alla mora ex persona, è la interruzione della prescrizio-
ne del diritto di credito: per l’art. 29434 la prescrizione è interrotta da ogni atto che val-
ga a costituire in mora il debitore 76.
d) È ammessa la c.d. purgazione della mora, e cioè il venir meno dello stato di mo-
ra con i conseguenti effetti, in presenza di determinati presupposti.
È innanzi tutto nel potere del creditore rimuovere lo stato di mora, con la rinunzia
espressa ad avvalersi della stessa: si cancellano così gli effetti della mora già verificatisi
(c.d. cancellazione della mora).
Al debitore è consentito l’adempimento tardivo; ma perché si produca la purgazione
della mora, con la liberazione dagli effetti risarcitori, è necessario l’assenso del creditore.
Il mero adempimento tardivo lascia fermi gli effetti della mora già verificatisi e ha il solo
risultato di liberare il debitore per i danni che potranno derivare dalla protrazione dello
stato di mora o dall’inadempimento definitivo. Sono tassative le ipotesi in cui è consenti-
ta la purgazione della mora per volontà del solo debitore 77.

8. La liquidazione del danno. – Accertata la responsabilità contrattuale per ina-


dempimento, si pone il problema della determinazione del danno risarcibile.
Il creditore ha l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare del danno sofferto in
conseguenza dell’inadempimento: deve provare entrambe le componenti del danno
(lucro cessante e danno emergente) se vuole conseguire l’integrale riparazione del danno
patito, allegando specificamente le varie voci di danno. Per le obbligazioni pecuniarie,
maturano automaticamente i c.d. danni-interessi dal giorno della caduta in mora, an-

76
Al fine di produrre effetti interruttivi della prescrizione, un atto deve contenere, oltre alla indicazio-
ne del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta
scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di fare valere
il proprio diritto, con l’effetto sostanziale di costituire in mora il soggetto indicato (elemento oggettivo) (Cass.
31-5-2021, n. 15140).
77
Ad es., nelle locazioni di immobili urbani, la morosità del conduttore nel pagamento dei canoni e degli
oneri accessori può di regola essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un qua-
driennio se il conduttore alla prima udienza versa l’importo dovuto per i canoni scaduti e gli oneri accessori
maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal
giudice (art. 55 L. 27.7.1978, n. 392). Negli affitti di fondi rustici, a fronte della contestazione da parte del
locatore dell’inadempimento dell’affittuario, questi può sanare l’inadempienza entro tre mesi dal ricevimen-
to della comunicazione (art. 55 L. 3.5.1982, n. 203).
790 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

che se non erano dovuti precedentemente. Sugli interessi moratori possono maturare
ulteriori interessi, quando ricorrono i presupposti previsti dall’art. 1283 (anatocismo)
(VII, 1.18).
La liquidazione consiste nella determinazione del risarcimento e perciò nella quan-
tificazione dell’ammontare dell’importo dovuto dal debitore al creditore per ristorarlo del
pregiudizio subito per danni patrimoniali e non patrimoniali. Tale importo è l’oggetto
dell’obbligazione risarcitoria, la cui misura (come si è visto) varia in ragione del conse-
guimento o meno di adempimento coattivo, e ancora in ragione del fatto se trattasi di
inadempimento assoluto o di ritardo nell’adempimento. Successivamente alla liquida-
zione del danno, l’obbligazione risarcitoria, che si è visto integrare un debito di valore, si
atteggia quale debito di valuta, come tale soggetto al principio nominalistico.
Se l’inadempimento o il ritardo non dipendono da dolo del debitore, il risarcimen-
to è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione (art.
1225). Ciò implica che, nella liquidazione del danno, bisogna compiere una cernita
dei danni provati dal creditore, dovendosi ammettere a risarcimento solo quelli pre-
vedibili dal debitore, tranne che l’inadempimento non sia doloso; a differenza della
responsabilità extracontrattuale, per la quale il danneggiante è tenuto a risarcire an-
che i danni imprevedibili (X, 2.3).
Se il danno non può essere provato nel suo “preciso ammontare”, è liquidato dal giu-
dice con valutazione equitativa (art. 1226), sempre che il soggetto danneggiato ab-
bia provato la sussistenza e la derivazione del danno 78: la liquidazione equitativa può
dunque coprire il quantum del danno, non l’an. La liquidazione equitativa del danno è
diretta a determinare la compensazione economica socialmente adeguata del pregiudizio,
cioè quella compensazione che l’ambiente sociale accetta come equa nel particolare mo-
mento storico rispetto alle circostanze del caso concreto; il risarcimento equitativo non
esenta il giudice dall’indicare in motivazione i criteri assunti a base del procedimento va-
lutativo e il processo logico di utilizzazione degli stessi. È anche valutato il vantaggio
che il creditore possa conseguire da un inesatto adempimento della prestazione (ad
es., nella vendita di un bene, l’utilizzo per un certo tempo del bene consegnato ben-
ché non conforme al contratto) (compensatio lucri cum damno) 79.
Con riguardo all’inadempimento contrattuale, come si vedrà, la liquidazione del

78
L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, ex artt. 1226 e 2056 c.c., espres-
sione del generale potere ex art. 115 c.p.c., dà luogo non già a un giudizio di equità, ma a un giudizio di diritto
caratterizzato dalla c.d. equità giudiziale correttiva o integrativa: pertanto, da un lato, è subordinato alla condi-
zione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile per la parte interessata provare il dan-
no nel suo preciso ammontare; dall’altro, non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui
liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità ma-
teriale del danno, né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa
ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, ricondotto alla sua
funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del
danno (Cass. 22-2-2018, n. 4310; Cass. 13-9-2016, n. 17953; Cons. Stato 10-2-2020, n. 1000). Il giudice può
fare ricorso al criterio della liquidazione equitativa del danno ex art. 226, ove ne sussistano le condizioni, an-
che senza domanda di parte, trattandosi di criterio rimesso al suo prudente apprezzamento e quindi esercita-
bile d’ufficio anche in appello (Cass. 24-1-2020, n. 1636).
79
È pero necessario che il vantaggio e il danno siano “entrambi conseguenza immediata e diretta dell’i-
nadempimento”, quali suoi effetti contrapposti, e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimonia-
le sia diverso da quello che abbia procurato un vantaggio (Cass., sez. un., 5-3-2009, n. 5287).
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 791

danno può essere forfetariamente predeterminata dalle parti attraverso la preventiva


stipulazione di una clausola penale (VIII, 7.4).

9. Concorso del fatto colposo del creditore (autoresponsabilità). – Lo svolgimen-


to dei rapporti sociali comporta che ogni soggetto subisca gli effetti del proprio com-
portamento (commissivo o omissivo) (autoresponsabilità). Un campo significativo di appli-
cazione di tale generale principio è quello del comportamento avuto dal soggetto dan-
neggiato in occasione di un fatto illecito.
Nella responsabilità da inadempimento e nella determinazione del danno da risarcire
riveste importanza il comportamento tenuto dal creditore nel fenomeno dell’inadempi-
mento, gravando sullo stesso un dovere di cooperazione rispetto all’adempimento del de-
bitore: tale dovere, oltre che rispondere ad un dovere morale, integra anche un obbligo
giuridico ai sensi dell’art. 1175, che fa obbligo al debitore e al creditore di “comportarsi
secondo le regole della correttezza” (è il generale dovere di buona fede che si tende a ri-
condurre al principio di solidarietà: II, 7.6) 80. Secondo l’art. 1227 il fatto colposo del cre-
ditore assume rilevanza giuridica in due situazioni: come partecipazione causale nel ca-
gionare l’evento dannoso; come inerzia nell’evitare il danno 81. Sono regole che trovano
applicazione anche in tema di illecito extracontrattuale, rispetto al fatto illecito e ai dan-
ni conseguenti, in virtù del richiamo dell’art. 2056 all’art. 1227 (X, 2.2).
a) La partecipazione nel cagionare il danno integra un concorso eziologico del
danneggiato (creditore) nella produzione dell’evento, e dunque nel compimento dell’ille-
cito (inadempimento), così da svolgere un’efficienza causale nel verificarsi del danno. Per
l’art. 12271, se il “fatto colposo” del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risar-
cimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne
sono derivate 82. Spetterà al giudice determinare, nel caso concreto, la proporzione del
concorso del creditore nella produzione del danno: nella misura corrispondente ridur-
rà il risarcimento dovuto dal debitore.
b) L’inerzia nell’evitare il danno integra un concorso di colpa del creditore succes-
sivo all’evento, per non avere evitato i danni che potevano essere evitati con l’ordinaria di-
ligenza. Per l’art. 12272, il risarcimento non è dovuto per i danni che “il creditore avrebbe
potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”. Il creditore, anche se non ha contribuito alla

80
Ad es. si è stabilito, con riguardo alla regola generale dell’art. 12271 e alla specifica responsabilità civile
per danni da cose in custodia (art. 2051), sussistere sul soggetto danneggiato un dovere generale di ragionevo-
le cautela, riconducibile al principio di solidarietà ex art. 2 Cost. (Cass. 21-9-2020, n. 19716).
81
Quanto più la situazione di danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione
da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze,
tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo
nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento si connoti per l’e-
sclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass. 5-5-2020, n. 8478; Cass. 18-2-2020, n.
4129).
82
L’espressione “fatto colposo” dell’art. 1227 non va intesa come riferita all’elemento psicologico della
colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’im-
putabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola
di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza, in grado di incidere sul nesso
causale, ascrivibile anche ad un minore o in generale incapace (Cass. 19-2-2020, n. 4178; Cass. 13-2-2020,
n. 3557).
792 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

causazione dell’evento, avrebbe potuto evitare un aggravamento del danno 83: sono irri-
sarcibili i danni evitabili con l’ordinaria diligenza 84.
È da tempo dibattuto se il riferimento dell’art. 1227 a criteri soggettivi, come il “fatto
colposo del creditore” nel cagionare il danno ovvero il non uso di “ordinaria diligenza”
nell’evitare il danno siano ancorati ad una valutazione soggettiva del singolo creditore o
riferiti a comportamenti tipizzati. La dottrina prevalente è per una valutazione del com-
portamento del creditore secondo criteri soggettivi, non così la giurisprudenza che valo-
rizza criteri oggettivi 85: come nella valutazione del comportamento del debitore ex art.
1218, così nella valutazione della condotta del creditore ex art. 1227 bisogna avere ri-
guardo allo specifico soggetto secondo un criterio tipizzato di condotta nelle particolari
circostanze. È un criterio di equilibrio tra due azioni concorrenti, del debitore e del cre-
ditore, che assumono rilevanza secondo criteri omogenei.

10. I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. – Nei rapporti commer-


ciali i ritardi nei pagamenti influenzano la liquidità e la gestione finanziaria delle impre-
se, compromettendo la redditività e la competitività delle stesse. Il creditore è costretto a
ricorrere al credito esterno, che nel tempo attuale di crisi risulta anche difficile ottenere e
comunque finanziariamente pesante.
Il D.Lgs. 9.10.2002, n. 231 (recante attuazione della direttiva 2000/35/CE), come
modificato dal D.Lgs. 9.11.2012, n. 192 (in recepimento della direttiva 2011/7/UE), re-
gola il ritardo dei pagamenti nelle “transazioni commerciali”, considerandosi per tali i
contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche ammini-
strazioni 86, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la pre-

83
La diversa natura delle due ipotesi previste dall’art. 1227 comporta che, mentre nell’ipotesi del co. 1,
il giudice deve proporsi d’ufficio l’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato – sempre che
risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello
stesso –, nell’ipotesi del co. 2 il comportamento del creditore costituisce oggetto di una eccezione in senso
stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a
suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass. 25-5-2010, n.
12714; Cass. 10-11-2009, n. 23734).
84
È richiesta una condotta attiva, espressione dell’obbligo generale di buona fede, diretta a limitare le conse-
guenze dell’altrui comportamento dannoso, intendendosi comprese nell’ambito dell’ordinaria diligenza, a tal
fine richiesta, soltanto quelle attività che non siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o
rilevanti sacrifici (Cass. 5-8-2021, n. 22352).
85
L’accertamento è di tipo oggettivo e prescinde dall’imputabilità della condotta colposa sul piano sog-
gettivo; la condotta della vittima, anche se incapace, deve essere valutata alla stregua dello standard ordinario
di comportamento diligente dell’uomo medio; tale valutazione assorbe anche ogni rilievo della condotta del
soggetto tenuto alla sorveglianza dell’incapace (Cass. 13-2-2020, n. 3557). Quando la vittima di un fatto illeci-
to abbia concorso, con la propria condotta, alla produzione del danno, l’obbligo del responsabile di risarcire
quest’ultimo si riduce proporzionalmente anche nel caso in cui la vittima fosse incapace di intendere e di vo-
lere, in quanto l’espressione “fatto colposo” che compare nell’art. 1227 deve intendersi come sinonimo di
comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, e non quale sinonimo di comporta-
mento colposo (Cass. 13-2-2013, n. 3542; Cass. 22-6-2009, n. 14548). Anche il fatto del minore danneggiato
che ha concorso a produrre il danno è valutabile dal giudice al fine alla riduzione del danno da risarcire
(Cass. 2-3-2012, n. 3242).
86
Per l’art. 2 L. 22.5.2017, n. 81, le disposizioni del D.Lgs. 9.2.2002, n. 231, si applicano, in quanto com-
patibili, anche alle transazioni commerciali tra lavoratori autonomi e imprese, tra lavoratori autonomi e am-
ministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 D.Lgs. 30.3.2001, n. 165, e successive modificazioni, o tra lavoratori
CAP. 4 – INADEMPIMENTO E MORA 793

stazione di servizi contro il pagamento di un prezzo”. Il termine “transazioni” è utilizza-


to non già nel significato tecnico previsto dall’art. 1965, di reciproche concessioni per
porre fine a una lite, ma nella generale accezione di operazione economica tra i soggetti
indicati. La formula “contratti comunque denominati” fa comprendere che non è intro-
dotto un nuovo tipo contrattuale ma solo indicato l’ambito di applicazione della partico-
lare disciplina del ritardo di pagamento, applicabile a tutti i contratti, tipici o atipici, im-
plicanti obbligazioni pecuniarie correnti tra i soggetti indicati.
È prevista la decorrenza automatica di interessi moratori sull’importo dovuto dal gior-
no successivo alla scadenza dei termini di pagamento (previsti dall’art. 3) (art. 4) 87. Il
creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori sull’importo dovuto, sal-
vo che il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato
dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (art. 3). Si
considerano “interessi moratori” gli interessi legali di mora ovvero gli interessi ad un tas-
so concordato tra imprese; per “interessi legali di mora”, si intendono gli interessi sem-
plici di mora su base giornaliera ad un tasso che è pari al “tasso di riferimento” cioè il
tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni
di rifinanziamento principali, maggiorato di otto punti percentuali (art. 2) (tasso Bce mag-
giorato dell’8 per cento) 88.
È valorizzata la categoria della nullità, con una norma in certo senso di chiusura del
sistema. Per l’art. 7 “Le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interes-
si moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o intro-
dotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del credito-
re. Si applicano gli artt. 1339 e 14192 c.c.”. La nullità, come è nella sua indole, è rilevabi-
le di ufficio dal giudice, che valuta la iniquità in danno del creditore alla stregua di tutte
le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi commerciale in contrasto
con il principio di buona fede e correttezza, la natura della merce o del servizio oggetto
del contratto, l’esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di
mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento
per i costi di recupero. È considerata comunque iniqua la clausola che esclude l’applica-
zione di interessi di mora, né è ammessa prova contraria 89. Si presume che sia gravemen-

autonomi, fatta salva l’applicazione di disposizioni più favorevoli. Il tasso maggiore di interessi previsto dal-
l’art. 2 D.Lgs. 231/2012 va applicato anche alle indennità di fine rapporto dovute dalla compagnia di assicu-
razione all’agente, quale imprenditore che ha collocato sul mercato beni (le polizze), offrendo in tal modo un
servizio alla società preponente (Cass. 31-3-2022, n. 10528).
87
Nel caso di ritardo nell’adempimento di obbligazioni pecuniarie di transazioni commerciali, il creditore
ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori ex artt. 4 e 5 D.Lgs. 231/2002 con decorrenza automa-
tica dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, senza che vi sia bisogno di una formale
costituzione in mora e senza che nella domanda giudiziale il creditore debba specificare la natura e la misura
degli interessi richiesti (Cass. 31-5-2019, n. 14911).
88
Per “interessi legali di mora”, si intendono gli interessi semplici di mora su base giornaliera ad un tasso
che è pari al “tasso di riferimento” cioè il tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più
recenti operazioni di rifinanziamento principali, maggiorato di otto punti percentuali (art. 2) (tasso Bce mag-
giorato dell’8 per cento). Il Ministero dell’economia e delle finanze dà notizia del tasso di riferimento, con la
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nel quinto giorno lavorativo di ciascun seme-
stre solare. Le società sono tenute a dare evidenza nel bilancio sociale dei “tempi medi di pagamento” e delle
politiche di contrasto ai ritardi (art. 7 ter).
89
Nelle transazioni commerciali in cui il creditore sia una PMI, si presume che sia gravemente iniqua la
794 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

te iniqua la clausola che esclude il risarcimento per i costi di recupero. Quando debitore
è una P.A. è nulla la clausola avente ad oggetto la predeterminazione o la modifica della
data di ricevimento della fattura, nullità rilevabile di ufficio dal giudice. Per i rapporti
economici di massa, è eccitata una tutela degli interessi collettivi (III, 3.7).

11. Il trattamento dei crediti deteriorati. – Il credito e specificamente il prestito è


linfa vitale dell’economia di mercato, così per gli acquisti delle famiglie che per l’attività
delle imprese. Quando il prestito, come di regola avviene, proviene dalle banche, l’ina-
dempimento dell’obbligazione di restituzione incrina l’andamento bancario e con esso il
sistema economico in quanto il mancato rientro dei prestiti non consente alle banche di
restituire ai risparmiatori le somme affidate alle banche a titolo di investimento. È il pro-
blema dei c.d. “crediti deteriorati” (non performing loans – NPL) per i mutui non riscos-
si (II, 6.6), sviluppatosi in America 90 e poi diffusosi, sia come prestiti subprime 91 che
maggiormente come prestiti ninja 92, che ha impegnato fortemente sia le banche eroga-
trici che hanno perduto risorse sia le famiglie che hanno trovato difficoltà ad accedere a
prestiti.
L’inadempimento delle obbligazioni di restituzione, per la complessità dei danni pro-
dotti coinvolgenti vari interessi oltre quello del creditore, impegna peculiari strumenti di
tutela. La banca procede al trattamento dei crediti deteriorati attraverso una stringente
sequenza 93, risultando in discussione la stessa sopravvivenza della banca 94. Spesso si ri-
corre ad un mercato dei crediti deteriorati con la costituzione di cartolarizzazioni per la
collocazione degli stessi (VII, 2.6).

clausola che prevede termini di pagamento superiori a sessanta giorni; tale comma non si applica quando tut-
te le parti del contratto sono PMI (art. 74 bis).
90
La diffusione di non performing loans è legata alla crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti a partire
dal 2007 per il sovraccarico di crediti deteriorati in portafoglio delle banche, fino a determinare il fallimento
di molte di esse tra cui il fallimento più clamoroso della banca Lehman Brothers.
91
Sono i prestiti subprime cioè al di sotto di quelli ottimali. Sono i crediti (sviluppatisi in America) attri-
buiti a soggetti non affidabili per avere una storia creditizia non buona e quindi di dubbia realizzazione. A
fronte di tali rischi i tassi di interessi sono elevati così creando un circolo vizioso di inesigibilità.
92
È l’acronimo No Income, No Job, no Assets (“Nessun reddito, Nessun lavoro, Nessuna garanzia”).
93
Nel lessico bancario, quando il cliente non rientra dell’esposizione debitoria entro il termine negoziato
il credito è considerato “incagliato” (posizione ad incaglio), per trovarsi in una situazione temporanea di diffi-
coltà sia economica che finanziaria, suscettibile di risoluzione in tempi alquanto brevi. Se la situazione si pro-
trae nel tempo divenendo il credito inesigibile, l’incaglio evolve in “sofferenza” (posizione in sofferenza) per
trovarsi il cliente in uno stato di insolvenza o similare; si ha in tal caso specificamente un credito deteriorato
(credit crunch): la banca richiede la restituzione del debito e procede coattivamente al recupero, all’esito del
quale segnala la posizione alla Centrale Rischi e passa il credito a “perdita” nel bilancio. L’accumulo di soffe-
renze caratterizza oggi buona parte dell’assetto bancario, che, anche per questo, ha ridotto l’erogazione del
credito.
94
La Banca centrale europea, nel marzo 2017, ha dettato Linee guida per le banche sui crediti deteriorati
(NPL), per essere ampiamente riconosciuto che livelli elevati di NPL finiscono per generare un impatto nega-
tivo sul credito bancario all’economia, per effetto dei vincoli di bilancio, di redditività e di capitale a cui sono
soggetti gli enti creditizi che li detengono.
CAPITOLO 5
GARANZIE DEL CREDITO
E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE
(La garanzia generale)

Sommario: 1. La realizzazione coattiva del credito. – A) RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE DEL DEBITORE.


– 2. Responsabilità patrimoniale e concorso dei creditori. – 3. Segue. Il patto commissorio e il patto
marciano. – 4. L’espropriazione. – B) MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE.
– 5. Generalità. – 6. Azione surrogatoria. – 7. Azione revocatoria. Presupposti. – 8. Segue. Effetti
della revocatoria. – 9. Sequestro conservativo. – C) MECCANISMI INDIRETTI DI GARANZIA. – 10. Ge-
neralità. – 11. Cessione dei beni ai creditori. – 12. Anticresi. – 13. Rimedi di autotutela. – 14. Esecu-
zione su beni oggetto di atti dispositivi a titolo gratuito.

1. La realizzazione coattiva del credito. – Parlando dei caratteri dell’obbligazione si


è visto che requisito della prestazione è la patrimonialità, nel senso della sua necessaria
suscettibilità di valutazione economica (anche se può corrispondere a un interesse non
patrimoniale del creditore) (art. 1174). Quando il risultato perseguito dal creditore non
è realizzato con l’adempimento del debitore (o di un terzo), è conseguibile attraverso gli
strumenti coattivi dell’apparato giudiziario e il debitore è obbligato a risarcire i danni
sofferti dal creditore in conseguenza dell’inadempimento (art. 1218) (VII, 4.5). L’appa-
rato di garanzie del credito è complementare al diritto di credito in quanto ne consente
l’attuazione quando non è soddisfatto.
La realizzazione coattiva del credito si lega alla disciplina della responsabilità per ina-
dempimento dell’obbligazione (artt. 1218 ss.), costituendone il naturale sviluppo. Il co-
dice civile colloca tale normativa nel Libro VI, per organizzare una previsione comples-
siva e integrale della “tutela dei diritti”. La specifica normativa (artt. 2740 ss.) contiene la
tutela del diritto di credito rimasto insoddisfatto: il creditore consegue il bene oggetto
dell’obbligazione o altro sostitutivo, non tramite il debitore (che è inadempiente) o un
terzo, ma mediante la forza dell’ordinamento.
Attraverso un’attività giurisdizionale con funzione di cognizione, si accerta l’inadem-
pimento del debitore e il conseguente danno sofferto dal creditore, con condanna del
debitore di eseguire la prestazione dovuta o in subordine di pagare una somma di dana-
ro sostitutiva; oltre la condanna al risarcimento dei danni sofferti dal creditore (la sen-
tenza di condanna costituisce il “titolo esecutivo”) (III, 1.3). In virtù del formato titolo
esecutivo, si dà poi luogo ad un’attività giurisdizionale con funzione di esecuzione, che,
796 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

come si è visto, può assumere due direzioni: in forma specifica ovvero per espropriazio-
ne, in ogni caso preceduta dal precetto che annunzia l’esecuzione (III, 1.4).
Con l’esecuzione forzata in forma specifica (artt. 2930 ss.) il creditore realizza coatti-
vamente il suo diritto, conseguendo l’oggetto originario dell’obbligazione: vi è una
riparazione in forma specifica del credito violato. Il codice civile fissa le tipologie di ese-
cuzione (artt. 2930 ss.) 1, mentre il codice di procedura civile regola i modi di svolgimen-
to delle singole tipologie (artt. 605 ss. c.p.c.).
Con l’esecuzione forzata per espropriazione (artt. 2910 ss.), indicata dal c.p.c. senz’al-
tro come “espropriazione forzata”, la tutela è indirizzata verso il patrimonio del debitore,
per convertirlo in una somma di danaro satisfattiva dell’interesse del creditore (se ne
parlerà specificamente appresso).
In tutti i versanti di svolgimento, sempre l’azione esecutiva deve essere correlata al ri-
spetto del principio di buona fede in una duplice direzione: perché non si dia luogo
all’escussione della garanzia quando non vi sia certezza dell’inadempimento, e perché il
soddisfacimento del creditore avvenga con il minor danno per il debitore; anche nell’ipo-
tesi di garanzia data da un terzo, il garante è assoggettato al medesimo principio, sollevan-
do le eccezioni circa l’attualità del credito per circostanze a lui note ovvero rispetto alle
modalità di escussione della garanzia.

A) RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE DEL DEBITORE

2. Responsabilità patrimoniale e concorso dei creditori. – Il patrimonio del debi-


tore, quale insieme dei beni e più specificamente delle situazioni giuridiche di rilevanza
economica (II, 2.9), rappresenta il punto di riferimento delle aspettative del creditore per
l’ipotesi di inadempimento dell’obbligazione o di mora. E ciò sia quando il creditore,
conseguendo l’adempimento coattivo, si limiti a richiedere un risarcimento del danno
aggiuntivo, sia quando, non conseguendo l’adempimento, agisca per ottenere un bene so-
stitutivo di quello originario oltre i danni sofferti.
Sotto la rubrica “Responsabilità patrimoniale” l’art. 2740 detta la regola fondamentale
secondo cui “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi
beni presenti e futuri”. In tal guisa la correlazione tra pretesa del creditore e obbligo del
debitore, che presiede la nascita del rapporto obbligatorio, evolve nella correlazione tra
garanzia del creditore di realizzazione coattiva del credito e responsabilità patrimoniale
del debitore di attuazione coattiva del debito, secondo quella nozione integrale dell’ob-

1
Sono previste quattro tipologie di esecuzione in forma specifica: a) esecuzione forzata per consegna o rila-
scio (art. 2930): se non è adempiuto l’obbligo di consegnare una cosa determinata, mobile o immobile, l’aven-
te diritto può ottenere la consegna o il rilascio forzosi (es. inadempimento del locatario dell’obbligazione di
restituzione dell’immobile dopo la fine del contratto di locazione; b) esecuzione forzata degli obblighi di fare
(art. 2931): se non è adempiuto un obbligo di fare fungibile, l’avente diritto può ottenere che esso sia eseguito
da altri a spese dell’obbligato; c) esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto (art. 2932): se chi è
obbligato a concludere un contratto non adempie, l’altra parte può ottenere una sentenza che produca gli
effetti del contratto non concluso (es., inadempimento di stipula del contratto definitivo da chi ha stipulato
un contratto preliminare); d) esecuzione forzata degli obblighi di non fare (art. 2933): se non è adempiuto un
obbligo di non fare, l’avente diritto può ottenere, a spese dell’obbligato, che sia distrutto quanto eseguito in
violazione dell’obbligo di non fare.
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 797

bligazione sopra delineata (VI, 1.4). In sostanza la “responsabilità patrimoniale” del de-
bitore vale a rendere concreta la situazione attiva di credito e correlativamente gravosa la
situazione passiva di debito, consentendo al creditore l’aggressione del patrimonio del
debitore quando il credito è rimasto deluso per mancanza dell’adempimento. La respon-
sabilità patrimoniale del debitore è dunque correlata alla garanzia del credito in quanto
permette il soddisfacimento coattivo del credito (mediante azione esecutiva) senza l’at-
tuazione dell’obbligo 2.
L’adeguatezza della garanzia rispetto alla entità del credito è, nella vita degli affari, l’ef-
fettivo presidio di vitalità del credito; ed è noto come, in una economia di mercato, il ri-
corso al credito è fondamentale leva di sviluppo economico. Quando il patrimonio del
debitore è esiguo rispetto all’importo del credito e quindi non in grado di garantire la
realizzazione coattiva del credito, si ricorre all’intervento di terzi che garantiscono nei
confronti del creditore l’adempimento del debitore, così estendendosi la responsabilità
patrimoniale su cui il creditore può contare.
La soddisfazione del credito diventa più complessa quando concorrono più creditori, e
a maggior ragione quando sussistono titoli di preferenza di alcuni creditori. La responsabi-
lità patrimoniale è regolata da due fondamentali principi, ognuno dei quali con relative ec-
cezioni.
a) Principio base è la responsabilità patrimoniale illimitata, salve le eccezioni
previste dalla legge. Per l’art. 27401 “il debitore risponde dell’adempimento delle obbli-
gazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri” 3. Sul piano lessicale è da precisare che il
debitore risponde per l’inadempimento e non per l’adempimento. Quanto al tenore della
previsione, è da chiarire che il termine “beni” non è riferito alle sole cose come parti del-
la materia, ma ha più generalmente riguardo a tutti i diritti afferenti al debitore su cose
materiali o immateriali o altre entità ovvero relativamente a prestazioni (es. diritti di credi-
to), in grado di procurare una specifica utilità al debitore. La formula ha un correlato
nell’art. 320 circa la rappresentanza dei genitori nell’amministrazione dei “beni” dei figli
minori. È in sostanza affermata la soggezione del patrimonio presente e futuro del debito-
re a garanzia del credito: è la garanzia generale del credito. Si vedrà di seguito dei
mezzi apprestati dall’ordinamento per la conservazione della garanzia patrimoniale ge-
nerale (artt. 2900 ss.).
Sono ammesse limitazioni di responsabilità nei soli casi stabiliti dalla legge (art.
27402). Le limitazioni sono dunque eccezionali e tassative: è vietato all’autonomia privata
introdurre nuove ipotesi di limitazioni di responsabilità. È possibile delineare due cate-
gorie di limitazioni di responsabilità con differente significazione.
Una prima categoria comprende le limitazioni di responsabilità riferite a singoli beni
o parti di patrimonio gravati da un vincolo di destinazione (II, 2.9). Ad es., pur con le fi-
nalità e i caratteri propri di ciascuna figura, il fondo patrimoniale (art. 170); l’usufrutto

2
Di garanzia si parla in un significato diverso rispetto all’alienazione di diritti, come obbligo di procurare
il risultato traslativo e/o il godimento del bene: es. garanzia per evizione e per vizi (art. 1476); garanzia legale
di conformità e garanzie commerciali per i beni di consumo (artt. 128 ss. cod. cons.).
3
La norma ha il correlato nell’art. 2910 c.p.c. (oggetto dell’espropriazione), secondo cui il creditore, per
conseguire quanto gli è dovuto, può fare espropriare i beni del debitore. Possono essere espropriati i beni di
un terzo quando sono vincolati a garanzia del credito o quando sono oggetto di un atto che è stato revocato
perché compiuto in pregiudizio del creditore (artt. 2901 ss.).
798 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

legale (art. 325); i fondi speciali per la previdenza e l’assistenza (art. 2117); i patrimoni
destinati dalle s.p.a. ad uno specifico affare (artt. 2447 quinquies) 4; i patrimoni utilizzati
nelle cartolarizzazioni di crediti (VII, 2.6); i beni oggetto di atti di destinazione ex art.
2645 ter, ai quali si è soliti ricondurre anche il trust. Di regola, i beni destinati rispondo-
no per i soli debiti assunti per scopi inerenti alla destinazione; un regime articolato ha
l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale (art. 170) 5. Stanno peraltro emergendo ag-
giramenti del sistema, con la costituzione di vincoli per derogare alla regola della respon-
sabilità illimitata, stimolando azioni revocatorie (ordinaria e fallimentare) di molti atti di
destinazione (XIV, 2.11). Un regime particolare regola la pignorabilità dei beni apparte-
nenti alla P.A. in ragione della natura e della finalità degli stessi 6.
Una seconda categoria riguarda normalmente le persone giuridiche: il contenimento della
responsabilità patrimoniale al solo patrimonio dell’ente è in funzione dell’attività svolta, fa-
vorita dall’ordinamento per lo scopo ideale perseguito o l’efficienza produttiva attivata. Ad
es., nelle società di capitali, per le obbligazioni sociali, “risponde soltanto la società con il
suo patrimonio” (artt. 23251 e 2462) e quindi nei limiti del patrimonio della società 7; però
con responsabilità degli amministratori verso i creditori per inosservanza degli obblighi di
conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (artt. 2394, 24765).
In entrambe le prospettive emerge l’esigenza di tutela dei creditori per il pregiudizio
subito dalla responsabilità limitata, con il diritto di fare emergere la finalità fraudolenta
del debitore sia rispetto alla costituzione di vincoli di destinazione che con riguardo alla

4
Il risultato della “separazione patrimoniale” può essere conseguito attraverso due distinti modalità: a)
costituzione di uno o più patrimoni dedicati, per cui i relativi beni sono destinati in via esclusiva ad uno speci-
fico affare; b) previsione di finanziamenti finalizzati, per cui nel contratto di finanziamento è previsto che i
proventi derivanti dal finanziamento siano finalizzati al rimborso delle stesse (art. 2447 bis). Per la prima ipo-
tesi, la società può anche ricorrere ad apporti di terzi e alla emissione di strumenti finanziari di partecipazione
all’affare con l’indicazione dei diritti attribuiti (lett. d e e).
5
Per intanto la norma ha riguardo alla esecuzione per “debiti contratti”, e quindi non trova applicazione
per debiti derivanti da fatto illecito o da altre ragioni, per i quali quindi opera la regola della responsabilità
individuale illimitata (significativo art. 2447 quinquies3, che, per i patrimoni societari destinati, fa salva la re-
sponsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito). Quanto ai debiti derivanti da
contratto, l’esecuzione sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale è consentita per debiti contratti per fare
fronte ad esigenze della famiglia (non circoscritte all’indispensabilità ma riferite allo sviluppo della vita fami-
liare); quando il debito assunto non è inerente ai bisogni della famiglia, è consentita l’esecuzione se il credito-
re non era a conoscenza della estraneità del debito ai bisogni della famiglia (cfr. Cass. 25-2-2020, n. 5017). In
sostanza vi è un sistema di esecuzione differenziata, con un bilanciamento della realizzazione dello scopo del
findo con la protezione del mercato.
6
Sono espropriabili solo i beni disponibili e non quelli destinati per legge a finalità pubblicistiche (II,
2.10). Si è peraltro ritenuto che non sono pignorabili presso le banche delegate alla riscossione dei tributi i
crediti della P.A. (anche se, con il versamento, è estinto il rapporto tributario) in ragione della indisponibilità
del credito al tributo (Cass. 5-5-2009, n. 10284).
7
Per le società di capitali, con la cancellazione della società dal registro delle imprese e relativa estinzione,
i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza
delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori se il
mancato pagamento è dipeso da colpa di questi; la domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione,
può essere notificata presso l’ultima sede della società (art. 2495). Nella navigazione marittima, per le obbliga-
zioni contratte in occasione e per i bisogni di un viaggio o sorte da fatti o atti compiuti durante il viaggio, ad
eccezione di quelle derivanti da proprio dolo o colpa grave, l’armatore può limitare il debito complessivo ad
una somma pari al valore della nave e all’ammontare del nolo e di ogni altro provento del viaggio (art. 275
cod. nav.), a seguito di sentenza che dichiara aperto il procedimento di limitazione (artt. 620 ss.).
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 799

erezione di schermi societari. La tutela del creditore varia a seconda che l’obbligazione
derivi da contratto o da fatto illecito (es. art. 2447 quinquies3).
b) In presenza di concorso di creditori opera il principio di parità di trattamento
dei creditori, salve le cause legittime di prelazione. Per l’art. 27411 “I creditori hanno
eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prela-
zione”. In presenza di più creditori, il concorso dei creditori è regolato da due fonda-
mentali criteri.
Regola generale è dunque il soddisfacimento paritario dei creditori (creditori chi-
rografari): per l’intero, se il patrimonio ha capienza per soddisfare tutti; in modo pro-
porzionale, se non c’è capienza per tutti. Si faccia l’esempio che, su un patrimonio di
100, fanno valere i propri diritti un creditore per 50 e un creditore per 150: se il patri-
monio fosse diviso in parti uguali tra i due creditori (50 ad ognuno), il creditore di 50
resterebbe soddisfatto per l’intero, mentre il creditore di 150 resterebbe soddisfatto per
1/3; invece la par condicio dei creditori impone il soddisfacimento proporzionale di en-
trambi i creditori con la medesima percentuale: pertanto, essendo il patrimonio di 100,
al creditore di 50 andrà 25 e al creditore di 150 andrà 75, così rimanendo entrambi sod-
disfatti in modo paritario nella misura percentuale di 1/2.
Sono fatte salve le cause legittime prelazione, come altrettanti titoli di preferen-
za riservati ad alcuni creditori (creditori privilegiati) per la causa del credito, per la
qualità delle parti o senz’altro per volontà delle parti. Ai sensi dell’art. 27412 “sono cause
legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche”. Le cause legittime di prelazione
sono tassative ed integrano altrettante garanzie speciali, che si appuntano su specifici be-
ni o specifiche categorie di beni, con attribuzioni privilegiate sul ricavato della vendita
dei beni escussi (se ne parlerà specificamente nel prossimo cap. 6).
In definitiva tutti i creditori sono assistiti dalla garanzia generale; mentre solo alcuni
creditori sono anche titolari di garanzie speciali.
Le garanzie del credito (anche se date da terzi) sono considerate accessori del credito
(art. 1263), nel senso che, tendenzialmente, seguono le sorti del credito. Così, per effetto
della cessione, il credito si trasferisce al cessionario con i privilegi, con le garanzie perso-
nali e reali e con gli altri accessori (art. 12631). Al creditore è però vietato trasferire al
cessionario il possesso della cosa ricevuta in pegno senza il consenso del costituente; in
caso di dissenso rimane custode del pegno (art. 12632).

3. Segue. Il patto commissorio e il patto marciano. – Per garantirsi l’attuazione del


credito, da tempo i creditori hanno fatto ricorso a strumenti extragiudiziari di pressione
sul debitore, con il pericolo di essere il debitore coinvolto economicamente oltre il valo-
re del debito. Sono emersi due criteri di presidio del debitore: il divieto del patto com-
missorio e la validità del patto marciano.
a) Patto commissorio. Con tale patto si stabilisce tra le parti che, in caso di inadem-
pimento, il bene ipotecato o dato in pegno si trasferisce automaticamente al creditore
senza l’intervento giudiziario. L’art. 2744 prescrive il divieto del patto commissorio, san-
zionando con la nullità il patto eventualmente stipulato; e il patto è nullo anche se poste-
riore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno.
Il divieto del patto commissorio è in funzione di tutela del debitore perché il creditore
non possa acquisire la proprietà del bene oggetto di garanzia senza la procedura giudi-
800 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

ziaria di espropriazione del bene: questa assicura che il bene sia realizzato al miglior prezzo
possibile, senza approfittamento del creditore, il quale altrimenti potrebbe acquisire un
bene ipotecato o dato in pegno di valore superiore rispetto all’ammontare del credito.
Peraltro quanto residua dopo il soddisfacimento giudiziario del creditore garantito spet-
ta al debitore o potrebbe soddisfare altri creditori. Un’applicazione del divieto del patto
commissorio è operata dalla legge in tema di anticresi (art. 1963) (VII, 5.12).
Dalla previsione dell’art. 2744, riferita alla sorte delle garanzie reali, la giurisprudenza
ha tratto un principio generale di presidio della responsabilità patrimoniale del debitore,
estendendo il divieto del patto commissorio a qualsiasi negozio che venga impiegato per
conseguire il risultato della illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del
creditore, accettando preventivamente il trasferimento della proprietà di un suo bene
quale conseguenza della mancata estinzione del debito 8. Sono varie le ipotesi in cui si
tende ad aggirare il divieto del patto commissorio con la stipula di negozi in frode alla
legge, utilizzandosi schemi contrattuali tipici (es. vendita con patto di riscatto 9, mutuo 10,
contratto preliminare 11, lease back 12), ovvero con l’impiego del meccanismo della condi-

8
Il divieto del patto commissorio e la conseguente sanzione di nullità radicale sono stati estesi a qualsiasi
negozio, tipico o atipico, quale che ne sia il contenuto, che sia in concreto impiegato per conseguire il fine, ri-
provato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore; pertanto in ogni ipotesi in cui quest’ultimo sia
costretto ad accettare il trasferimento di un bene immobile a scopo di garanzia, nell’ipotesi di mancato adem-
pimento di una obbligazione assunta per causa indipendente dalla predetta cessione, è ravvisabile un aggira-
mento del divieto di cui agli artt. 1963 e 2744 (Cass. 8-10-2021, n. 27362). L’art. 2744 costituisce una norma
materiale, che esprime un divieto di risultato, mirando a difendere il debitore da illecite coercizioni del credi-
tore, assicurando nel contempo la garanzia della “par condicio creditorum” (Cass. 3-2-2012, n. 1675).
9
Al fine di verificare la sussistenza di un patto commissorio, si impone un’indagine volta ad accertare se la
vendita, seppure a effetti immediati, sia diretta a realizzare uno scopo di garanzia; tale scopo ricorre quando il
versamento del denaro, da parte del compratore, non costituisce pagamento del prezzo ma esecuzione di un
mutuo, sicché La vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento ef-
fettivo del bene, è nulla se stipulata per una causa di garanzia (piuttosto che per una causa di scambio) nel-
l’ambito della quale il versamento del danaro, da parte del compratore, non costituisca pagamento del prezzo
ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia
provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o non l’obbligo di restituire le somme rice-
vute: pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall’art. 2744, costituisce un mezzo per
eludere tale norma imperativa ed esprime, perciò, una causa illecita che rende applicabile, all’intero contratto,
la sanzione dell’art. 1344 (Cass. 3-6-2019, n. 15112; Cass. 26-2-2018, n. 4514). Lo scopo di garanzia non costitui-
sce mero motivo, ma assurge a causa del contratto (Cass. 21-12-2021, n. 41124).
10
Con il patto commissorio è istituito un nesso teologico o strumentale tra il trasferimento del bene e il
mutuo, in vista del perseguimento del risultato finale consistente nel trasferimento della proprietà del bene al
creditore-acquirente nel caso di mancato adempimento dell’obbligazione di restituzione del debitore-vendi-
tore (Cass. 9-10-2018, n. 24917; Cass. 30-9-2013, n. 22314). La procura a vendere un immobile, conferita dal
mutuatario al mutuante contestualmente alla stipulazione del mutuo, è idonea a integrare la violazione della
norma suddetta, qualora si accerti che tra il mutuo e la procura sussista un nesso funzionale (Cass. 26-9-2018,
n. 22903; Cass. 3-2-2012, n. 1675). La sanzione della nullità ex art. 2744 riguarda il solo patto commissorio
stipulato a latere dell’obbligazione restitutoria (con conseguente inefficacia del trasferimento del bene oggetto
della stipulazione), non anche l’obbligazione restitutoria, che resta valida indipendentemente dalle sorti del patto
accessorio vietato (Cass. 25-5-2000, n. 6864).
11
Anche un preliminare di compravendita può violare il divieto del patto commissorio ove emerga l’in-
tento primario dei contraenti di costituire con il bene promesso in vendita una garanzia reale in funzione
dell’adempimento delle obbligazioni contratte dal promittente venditore con altro negozio collegato, così da
stabilire un collegamento negoziale e strumentale tra i due negozi (Cass. 21-5-2013, n. 12462).
12
Il negozio di sale e lease back viola la ratio del divieto del patto commissorio tutte le volte in cui il debi-
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 801

zione 13 o piegandosi negozi collegati 14: la giurisprudenza ne ha dichiarato la nullità per


illiceità della causa concreta ex art. 1344 (in relazione all’art. 14182) 15; non considera pe-
rò il divieto in contrasto con l’ordine pubblico internazionale 16.
È invece possibile che, successivamente al verificatosi inadempimento, le parti concor-
dino una dazione in pagamento di un immobile al creditore. Il patto è valido perché
manca l’automaticità del trasferimento al creditore per il successivo inadempimento.
b) Patto marciano. È così detto per il nome del giurista romano Marciano che lo de-
lineò. Come il patto commissorio, anche il patto marciano si lega alla prassi di dazioni di
beni in funzione di garanzia del credito: però, con il patto marciano, al termine del rap-
porto obbligatorio, si procede alla stima del bene dato in garanzia, ed il creditore, per
acquisire il bene, è tenuto al pagamento dell’importo eccedente l’entità del credito 17,

tore, allo scopo di garantire al creditore l’adempimento dell’obbligazione, trasferisca a garanzia del creditore
stesso un proprio bene riservandosi la possibilità di riacquistarne il diritto dominicale all’esito dell’adem-
pimento dell’obbligazione, senza, peraltro, prevedere alcuna facoltà, in caso di inadempimento, di recuperare
l’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto all’ammontare del credito (Cass. 12-7-2019, n. 18791; Cass.
23-4-2020, n. 8100; Cass. 22-2-2021, n. 4664). Al c.d. leasing traslativo si applica la disciplina dell’art. 1526
c.c., in tema di vendita con riserva della proprietà, disciplina di carattere inderogabile e non sussidiaria della
volontà delle parti, comportando essa, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, la restitu-
zione dei canoni già corrisposti, salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni
(Cass. 28-1-2015, n. 1625).
13
Cfr. Cass. 21-5-2013, n. 12462.
14
Va ravvisata la nullità del patto commissorio e quindi del contratto, anche rispetto a negozi collegati,
qualora dagli stessi scaturisca un assetto di interessi attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un
bene al creditore non tanto per una funzione di scambio, quanto per uno scopo di garanzia, a prescindere
dalla natura traslativa o obbligatoria del contratto e dal momento temporale dell’effetto traslativo: è un mezzo
per eludere la norma imperativa dell’art. 2744, rendendo applicabile la sanzione dell’art. 1344 come contratto
in frode alla legge (Cass. 11-7-2019, n. 18680; Cass. 27-10-2020, n. 23553).
15
Non è possibile in astratto identificare una categoria di negozi soggetti a nullità per violazione del divie-
to del patto commissorio, occorrendo invece riconoscere che qualsiasi negozio può integrare tale violazione
nell’ipotesi in cui venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, di
far ottenere al creditore la proprietà del bene dell’altra parte nel caso in cui questa non adempia la propria
obbligazione (Cass. 20-2-2013, n. 4262; Cass. 21-5-2013, n. 12462). Quando la sproporzione manchi – come
nel pegno irregolare, nel riporto finanziario e nel c.d. patto marciano (ove al termine del rapporto si procede
alla stima del bene e il creditore, per acquisirlo, è tenuto al pagamento dell’importo eccedente l’entità del credi-
to) – l’illiceità della causa è esclusa (Cass. 9-5-2013, n. 10986). V. anche Trib. Milano, sez. spec. impr., 21-2-2020:
affinché possa attribuirsi carattere commissorio all’attribuzione al creditore di un bene a garanzia dell’adem-
pimento è necessario che sussista un’evidente sproporzione tra l’entità del debito e il valore dato in garanzia,
in quanto il legislatore, nel formulare un giudizio di disvalore nei riguardi del patto commissorio, ha presun-
to, alla stregua dell’id quod plerumque accidit, che in siffatta convenzione il creditore pretenda una garanzia
eccedente il credito, sicché, ove questa sproporzione manchi, l’illiceità della causa è esclusa.
16
La norma di legge straniera (nella specie, inglese), che ammetta l’acquisto di un bene in conseguenza di
un patto commissorio, non è contraria all’ordine pubblico internazionale, ai sensi dell’art. 16 L. 31.5.1995, n.
218, in quanto il relativo divieto non rientra fra i relativi principi fondanti l’ordine pubblico internazionale,
come risulta dalla circostanza che il patto commissorio non è conosciuto, né vietato in una parte rilevante
dell’Unione europea; né l’art. 2744 c.c. costituisce norma di applicazione necessaria, tali essendo quelle spa-
zialmente condizionate e funzionalmente autolimitate – e, perciò solo, destinate ad applicarsi, nonostante il ri-
chiamo alla legge straniera – quali, tra le altre, le leggi fiscali, valutarie, giuslavoristiche, ambientali (Cass., sez.
un., 5-7-2011, n. 14650).
17
Il divieto del patto commissorio non opera quando nell’operazione negoziale (nella specie, una vendita
immobiliare con funzione di garanzia) sia inserito un patto marciano (in forza del quale, nell’eventualità di ina-
dempimento del debitore, il creditore vende il bene, previa stima, versando al debitore l’eccedenza del prezzo
802 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

impedendosi dunque l’approfittamento a danno del debitore che il patto commissorio


comporta per l’automaticità del trasferimento del diritto dal debitore al creditore. Perciò
il patto marciano è valido.
Fuori del codice civile stanno emergendo più normative che ammettono il trasferi-
mento al creditore della proprietà data in garanzia dal debitore nell’ipotesi di suo ina-
dempimento, previa stima del bene al momento del trasferimento della proprietà. Tra le
finalità più significative: favorire finanziamenti alle imprese (VII, 6.13), facilitare prestiti
vitalizi (VII, 6.14), agevolare mutui per acquisti di immobili residenziali ai consumatori
(VII, 6.15), consentire leasing immobiliare abitativo (IX, 4.5). Con un’applicazione ana-
logica di tali norme, nulla esclude che ulteriori interessi, isolatamente esplicati o immessi
in una più ampia operazione economia, possano condurre le parti a egualmente conside-
rare utile la previsione del trasferimento con scopo di garanzia (ad es. un debitore pro-
prietario di più immobili che ha necessità di un finanziamento); la stipulazione del patto
marciano, con previsione di stima del bene al momento dell’inadempimento, vale a evi-
tare la nullità del trasferimento con scopo di garanzia ex art. 2644, vuoi che materialmen-
te il creditore corrisponda la differenza di valore al debitore, vuoi che la differenza di va-
lore sia conseguita dal debitore dalla rinegoziazione di un contratto collegato, che arre-
chi analogo vantaggio.
Lo svolgimento della procedura di attuazione del patto marciano avviene normal-
mente con una realizzazione coattiva del credito da parte del creditore senza il ricorso
alla esecuzione giudiziaria, ma con stima del bene: rappresenta una esecuzione stragiudi-
ziale del credito che si svolge in forma di autotutela. È uno strumento che incentiva la
concessione del credito e quindi il mercato, in quanto il creditore insoddisfatto attua di-
rettamente una riallocazione del credito senza affrontare la macchinosità e la lentezza
oltre che i costi della esecuzione giudiziaria; l’indebolimento della posizione del debitore
è bilanciato dalla necessità della successiva stima del bene per accertarne il valore.

4. L’espropriazione. – Di regola, con unica sentenza di condanna, è accertato l’ina-


dempimento ed emessa condanna del debitore al pagamento di una somma di danaro al
creditore, in sostituzione dell’obbligazione originaria inadempiuta, con l’aggiunta dell-
’importo dovuto a titolo di danni. In tal modo la sentenza di condanna diviene titolo
esecutivo che consente al creditore l’attuazione coattiva del credito con la promozione
della esecuzione forzata, che si articola nelle procedure di espropriazione e di esecuzione
in forma specifica (III, 1.4).
L’espropriazione si indirizza alla esecuzione forzata sul patrimonio del debitore, al fine
della conversione dei beni in danaro. La procedura è regolata dagli artt. 483 ss. c.p.c., con
alcune peculiarità in ragione della natura del bene espropriato. Si fissano qui i soli aspet-
ti di diritto sostanziale della procedura.
L’azione esecutiva, annunziata dal precetto, ha inizio con il pignoramento, con il qua-

rispetto al credito), trattandosi di clausola lecita, che persegue lo stesso scopo del pegno irregolare ex art. 1851
c.c. ed è ispirata alla medesima “ratio” di evitare approfittamenti del creditore in danno del debitore, purché le
parti abbiano previsto, al momento della sua stipulazione, che, nel caso ed all’epoca dell’inadempimento, sia
compiuta una stima della cosa, entro tempi certi e modalità definite, che assicuri una valutazione imparziale, an-
corata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta, la quale a tali
parametri debba fare riferimento (Cass. 17-1-2020, n. 844; Cass. 28-1-2015, n. 1625).
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 803

le sono individuati e destinati all’esecuzione determinati beni del debitore (art. 29101),
compresi gli accessori, le pertinenze e i frutti dei beni pignorati (art. 29121). Possono es-
sere espropriati anche i beni di un terzo quando sono vincolati a garanzia del credito o
quando sono oggetto di un atto che è stato revocato ex artt. 2901 ss. (art. 29102). Se og-
getto del pignoramento è un credito, l’estinzione di esso per cause successive al pigno-
ramento non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante (art. 2917) (anche la ec-
cezione di compensazione deve essere riferita a un credito precedente: VIII, 3.10). Il
creditore che ha pegno o ipoteca o privilegio speciale su determinati beni non può però
pignorare altri beni se non sottopone a pignoramento i beni gravati da pegno o ipoteca o
privilegio speciale (art. 2911) 18.
Effetto fondamentale del pignoramento è che gli atti di alienazione del bene pignora-
to non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che interven-
gono nell’esecuzione (c.d. inefficacia relativa) (art. 2913). Se pertanto l’esecuzione non
perviene ad esaurimento (perché ad es. il debitore provvede spontaneamente al paga-
mento) gli atti di alienazione dei beni pignorati rimangono efficaci pure nei confronti dei
terzi. In ogni caso sono salvi gli effetti del possesso di buona fede da parte del terzo per i
mobili non registrati; mentre per gli immobili e mobili registrati è decisiva la trascrizione
del pignoramento (art. 555 c.p.c.).
L’atto di pignoramento sugli immobili va trascritto nei registri immobiliari per la
produzione degli effetti sopra indicati (art. 2693), e la trascrizione conserva effetto per
venti anni dalla sua data; l’effetto cessa ipso jure se la trascrizione non è rinnovata prima
che scada il detto termine (artt. 2668 bis e 2668 ter). Con il pagamento viene meno il
fondamento del pignoramento che va cancellato 19.
La vendita forzata trasferisce all’acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui
che ha subìto l’espropriazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede (art. 2919) 20. Su
richiesta del creditore pignorante, il procedimento esecutivo può anche chiudersi (più
raramente) con l’assegnazione allo stesso del bene oggetto di esecuzione.
La somma ricavata a titolo di prezzo della vendita forzata (o di conguaglio delle cose
assegnate), è destinata all’attribuzione al creditore, in pagamento di quanto spettante per
capitale, interessi e spese.
In presenza di concorso dei creditori, ognuno dei creditori può assumere l’iniziativa
del processo esecutivo di espropriazione forzata, consentendosi agli altri di esercitare un

18
Non sono soggetti a pignoramento i beni destinati al culto e quelli inerenti alla dimensione esistenziale del-
la persona, quali ad es. arredi essenziali dell’abitazione e strumenti indispensabili professionali (art. 514 c.p.c.).
Su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e
dei crediti per i quali si procede, il giudice può disporre la riduzione del pignoramento (art. 496 c.p.c.).
19
In ossequio ai principi di correttezza e buona fede, il creditore che è stato soddisfatto deve rinunciare
agli atti esecutivi, senza necessità di sollecitazione del debitore, entro un termine ragionevolmente contenuto,
avuto riguardo allo stato della procedura pendente e ad eventuali motivi di urgenza a lui noti, sempre che
l’esecutato non esiga espressamente un immediato deposito dell’atto di rinunzia (Cass. 21-11-2017, n. 27545).
Per l’art. 2929 la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto
riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente. In tema Cass.
20-10-2021, n. 29018; Cass. 10-12-2021, n. 39243.
20
Per le espropriazioni immobiliari una recente normativa, per velocizzare la procedura, incrementare la
lista degli acquirenti e sbloccare le sofferenze bancarie, ha agevolato l’esecuzione con la delega a professioni-
sti (notai, avvocati, commercialisti) delle operazioni di vendita (pubblicità, realizzazione della vendita e for-
malità di registrazione, trascrizione e voltura catastale) (art. 591 bis c.p.c.).
804 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

intervento nel processo, sì da realizzare il principio (innanzi delineato) della parità di trat-
tamento dei creditori.
La somma ricavata dalla espropriazione è distribuita tra i creditori secondo i criteri
previsti dalla legge, previa redazione di un piano di riparto: prima sono soddisfatti i credi-
tori privilegiati (assistiti da cause legittime di prelazione, quali privilegio, pegno e ipoteca),
secondo i criteri stabiliti dagli artt. 2745 ss. (fondamentale è all’uopo l’ordine dei privilegi:
artt. 2777 ss.); sul residuo sono soddisfatti i creditori chirografari, secondo la regola della
par condicio creditorum, con un criterio di proporzionalità (es. 1/3, 1/5, ecc.), per cui tutti i
creditori chirografari sopportano la stessa riduzione proporzionale di soddisfacimento.
Per favorire il soddisfacimento dei vari creditori è imposto al debitore esecutante
l’obbligo di “avviso ai creditori iscritti” 21, avendo ogni creditore il diritto di “intervento”
nella procedura e quindi di partecipare alla distribuzione 22. L’esigenza di efficienza della
procedura esecutiva, comporta che l’intervento debba essere tempestivo e cioè compiuto
secondo le scadenze legali, sicché l’intervento tardivo è di regola penalizzato sulla entità
della distribuzione 23. Importante è che la procedura esecutiva sia sempre supportata da
un titolo esecutivo, del creditore procedente o di uno dei creditori intervenuti 24.
In presenza di cospicue debitorie si ricorre a procedure concorsuali, con il coinvolgi-
mento di strutture pubbliche, con la finalità primaria di gestire e risanare la debitoria, pre-
figurando in subordine la liquidazione del patrimonio. Tipicamente sono le procedure di
crisi di impresa operanti per le imprese commerciali, con il fine di salvataggio dell’im-
presa (D.Lgs. 14/2019) e le procedure per sovraindebitamento riferite non solo ai consu-
matori ma a vari soggetti economici di piccole dimensioni (L. 27.1.2012, n. 3). Di en-
trambe si parlerà in seguito (VII, 8).

B) MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE


5. Generalità. – Affinché la responsabilità patrimoniale del debitore sia fruttuosa,
come garanzia generale del credito, è necessario che il patrimonio del debitore non di-
minuisca lungo la vita del rapporto obbligatorio. Sono perciò apprestati specifici rimedi
tendenti a conservare la consistenza del patrimonio del debitore nella misura necessaria

21
Per l’art. 498 c.p.c. debbono essere avvertiti dell’espropriazione i creditori che sui beni pignorati hanno
un diritto di prelazione risultante da pubblici registri; a tale fine è notificato a ciascuno di essi, a cura del cre-
ditore pignorante ed entro cinque giorni dal pignoramento, un avviso contenente l’indicazione del creditore
pignorante, del credito per il quale si procede, del titolo e delle cose pignorate; in mancanza della prova di
tale notificazione, il giudice non può provvedere sull’istanza di assegnazione o di vendita.
22
Per l’art. 499 c.p.c. possono intervenire nell’esecuzione i creditori che nei confronti del debitore hanno un
credito fondato su titolo esecutivo, nonché i creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un
sequestro sui beni pignorati ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici
registri ovvero erano titolari di un credito di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214.
23
È intervento tardivo quello compiuto oltre l’udienza fissata per la vendita o l’assegnazione. I creditori
tempestivi sono soddisfatti in ragione percentuale del credito vantato; mentre i creditori tardivi sono soddi-
sfatti sull’eventuale residuo, dopo che i creditori tempestivi sono stati soddisfatti in toto. Tale regola procedu-
rale è resa compatibile alla regola sostanziale dell’art. 2741 di favore per i creditori privilegiati.
24
La regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall’inizio alla fine della procedura va intesa nel
senso della costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure dell’interventore) che giustifichi la
perdurante efficacia dell’originario pignoramento (Cass., sez. un., 7-1-2014, n. 61).
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 805

a soddisfare il creditore. Sono fissati tre “mezzi di conservazione della garanzia patrimo-
niale”: azione surrogatoria, azione revocatoria e sequestro conservativo (artt. 2900 ss.), di
seguito analizzati, esperibili quando ricorrono i presupposti previsti dalla legge; sono ri-
volti all’unico fine di apprestare al creditore una tutela preventiva, in vista della suc-
cessiva esecuzione forzata. Sono rimedi strumentali alla realizzazione del credito: quando
la garanzia del credito non è in pericolo non sono dunque esperibili. I mezzi in parola
non hanno l’effetto di produrre un soddisfacimento immediato del creditore; l’esperi-
mento degli stessi comporta il vantaggio mediato per il creditore della conservazione
(salvaguardia o ricostituzione) del patrimonio del debitore, sul quale il creditore può
successivamente soddisfarsi mediante l’azione esecutiva.
Tutti i creditori hanno diritto di avvalersi di tali mezzi; ma in fatto sono essenzial-
mente i creditori chirografari (non assistiti da garanzie speciali) a essere interessati alla
conservazione della garanzia, potendo i creditori assistiti da garanzie speciali far valere di
regola il proprio diritto verso i terzi aventi causa. Per tale ragione (pratica funzionale) si
svolge la trattazione dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale dopo la re-
sponsabilità patrimoniale generica (artt. 2740 ss.), non seguendo il codice civile che la
colloca dopo la disciplina delle cause legittime di prelazione (artt. 2745 ss).

6. Azione surrogatoria. – L’azione si appunta contro l’inerzia del debitore che non
cura il proprio patrimonio. Il debitore oberato di debiti potrebbe non trovare più inte-
resse oltre che stimoli a curare i propri diritti contro i terzi, essendo consapevole che gli
eventuali risultati utili (di conservazione o di accrescimento del suo patrimonio) si risol-
verebbero solo in un incremento della garanzia dei creditori. Perciò è portato a trascura-
re di esercitare i propri diritti, così da far deperire il patrimonio o non facendo quanto è
necessario perché si incrementi.
L’ordinamento accorda al creditore la possibilità di sostituirsi al debitore nell’eser-
cizio dei suoi diritti, con l’attribuzione appunto dell’azione surrogatoria, che tende a sop-
perire al mancato esercizio degli stessi, da cui derivi un pregiudizio del creditore. Per
l’art. 29001 il creditore, per assicurarsi che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni,
“può esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che
questi trascura di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale”
quando ricorrono determinati presupposti.
a) Presupposto generale è la sussistenza di un pregiudizio della garanzia patri-
moniale, quale presupposto comune a tutti i mezzi di conservazione della garanzia pa-
trimoniale.
b) Deve ricorrere l’inerzia del debitore nella cura dei propri interessi, indipen-
dentemente dalle cause che possano determinarla (imputabili o meno al debitore). Non
è sufficiente un simulacro di iniziativa (simbolico) per paralizzare l’azione surrogatoria: è
necessario che il debitore curi diligentemente i suoi diritti 25.

25
Il mancato esercizio da parte del debitore di diritti ed azioni a lui spettanti non deve essere necessaria-
mente ascrivibile a sua colpa (Cass. 23-6-1995, n. 7145). Il creditore non può però pretendere di sindacare le
modalità di gestione della propria situazione giuridica nell’ambito del rapporto né contestare le scelte e l’ido-
neità delle manifestazioni di volontà poste in essere a produrre gli effetti riconosciuti dall’ordinamento, soc-
correndo all’uopo altri strumenti di tutela, e, cioè, nel concorso dei relativi requisiti, l’azione revocatoria ov-
vero l’opposizione di terzo (Cass. 18-2-2000, n. 1867; Cass. 4-8-1997, n. 7187).
806 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

c) Deve trattarsi di diritti ed azioni con contenuto patrimoniale in quanto


solo diritti ed azioni a contenuto patrimoniale sono esercitabili da un soggetto diverso dal
titolare 26. Non può il creditore surrogarsi in diritti ed azioni inerenti alla sfera personale
del debitore o connessi ad una qualità personale dello stesso, quand’anche possa derivar-
ne un vantaggio di carattere economico. Ad es., deve considerarsi personale la domanda
di dichiarazione giudiziale della paternità o maternità, quand’anche dalla stessa consegua
per il figlio la successione ereditaria verso il genitore (art. 269) 27.
L’azione tende alla sostituzione del debitore in singoli atti non esercitati, non nell’e-
splicazione di un’attività che si connette ad una posizione complessa (es., l’esercizio di
un’impresa o l’amministrazione di una società).
d) Deve sussistere un pregiudizio della gar anzia patrimoniale , quale presup-
posto generale di tutti i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale 28.
Il creditore può agire in surrogatoria del debitore sia in via stragiudiziale che attraver-
so la via giudiziale. Nel primo caso, si pensi ad es. alla richiesta di pagamento verso un
debitore al fine di interrompere la prescrizione del diritto di credito; nel secondo caso, si
pensi ad un’azione di risoluzione contrattuale per conseguire la restituzione del prezzo
in assenza della consegna della cosa venduta. Comunque il creditore esercita in nome
proprio un diritto o un’azione che appartiene ad altri 29.
In assenza di previsione, è da ritenere che, del risultato dell’azione surrogatoria, si av-
vantaggino tutti i creditori e non solo quello o quelli che abbiano agito.

7. Azione revocatoria. Presupposti. – L’azione revocatoria (anche detta pauliana,


dal nome del giureconsulto romano Paolo che la teorizzò) si appunta contro l’interve-
nuto depauperamento del patrimonio.
È pratica diffusa che il debitore tenda a sottrarre beni dal patrimonio al fine di evita-
re che gli stessi siano aggrediti dai creditori. E ciò in genere fa ricorrendo a due strumen-
ti: talvolta, simula un’alienazione a compiacenti acquirenti (si vedrà come il contratto si-
mulato non produce effetto tra le parti, avendo effetto il contratto realmente voluto: art.

26
È ammissibile l’esercizio in via diretta dell’azione surrogatoria nella proposizione della domanda di ri-
duzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima, da parte dei creditori dei legittimari
totalmente pretermessi che siano rimasti del tutto inerti (Cass. 20-6-2019, n. 16623).
27
Il diritto all’equa riparazione del danno non patrimoniale da irragionevole durata di un processo non
può essere fatto valere in via surrogatoria, giacché l’esistenza di detto danno non può essere predicata in di-
fetto di allegazione del danneggiato (Cass. 2-10-2017, n. 22975). La legge, poi, relativamente all’espropriazio-
ne mobiliare presso il debitore, considera molti beni assolutamente impignorabili (art. 514 c.p.c.) o relativa-
mente impignorabili (art. 515 c.p.c.) ovvero pignorabili in particolari circostanze di tempo (art. 516 c.p.c.):
ciò si traduce in altrettanti limiti all’esercizio dell’azione surrogatoria.
28
Il creditore che agisce in surroga del debitore, ex art. 2900, esercita il medesimo diritto che sarebbe spetta-
to a quest’ultimo; pertanto, ove si tratti di diritto di fonte contrattuale, ed il debitore surrogato abbia pattuito
con la controparte una deroga alla competenza per territorio dell’autorità giudiziaria, l’azione surrogatoria
dovrà essere proposta dinanzi a tale foro convenzionale, anche nelle ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass.
9-4-2008, n. 9314).
29
Quando agisce in giudizio, ricorre un’ipotesi di sostituzione processuale (art. 81 c.p.c.): il creditore deve
citare in giudizio anche il debitore al quale intende surrogarsi (art. 29002). Inoltre, proprio in quanto sostituto
processuale, si viene a trovare nella stessa posizione, processuale e sostanziale, del debitore surrogato, con la
conseguenza che sono a lui applicabili tutti i limiti probatori inerenti la posizione del debitore sostituito
(Cass. 23-1-2007, n. 1389; Cass. 26-3-2013, n. 7648).
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 807

1414) (VIII, 3.13); talaltra, effettivamente aliena a terzi singoli beni, pur di ricavarne qual-
cosa: ed è questa l’ipotesi cui ha riguardo l’azione revocatoria.
L’esperimento dell’azione revocatoria si svolge contro l’iniziativa di un debitore attivo:
anzi il debitore è troppo attivo ovvero lo è in modo perverso, in quanto mira a ridurre la
consistenza del patrimonio onde evitare l’espropriazione dei creditori. È questa l’azione
revocatoria ordinaria: per l’art. 29011, “il creditore, anche se il credito è soggetto a condi-
zione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti
di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni”.
Per intraprendere l’azione revocatoria 30 è sufficiente una ragione di credito. Non è
necessario che il credito sia attuale e liquido 31, né è necessario che sia esigibile 32: è suffi-
ciente che sia esistente, sebbene sottoposto a termine o condizione (art. 29011). Nep-
pure è essenziale la certezza del diritto di credito, essendo sufficiente che possa essere
eventuale, ivi comprendendovi anche quello litigioso 33; però la sentenza di revocatoria
non è eseguibile verso il debitore fino a quando non si formi il titolo sulla esistenza del
credito litigioso 34. Per il medesimo art. 2901 devono ricorrere specifiche “condizioni”,
che si articolano in presupposti oggettivi e requisiti soggettivi del debitore ed eventual-
mente del creditore.
a) Presupposti oggettivi. Rileva la consistenza del patrimonio del debitore.
Anzitutto deve esistere un atto di disposizione del debitore depauperativo del suo
patrimonio, quale un negozio traslativo (ad es. vendita, donazione, ecc.) o anche solo la
costituzione di un diritto reale di godimento a favore di un terzo (es. costituzione di un

30
Il valore della causa relativa ad azione revocatoria si determina in base al credito vantato dall’attore, a
tutela del quale viene proposta l’azione stessa (Cass. 13-2-2020, n. 3697).
31
Il fatto che il credito sia “liquido”, ossia determinato nel suo ammontare o facilmente liquidabile, non
rileva neppure ai fini della sussistenza del “pregiudizio delle ragioni creditorie”, non richiedendosi un effetti-
vo e attuale depauperamento del patrimonio del debitore, essendo sufficiente il pericolo che l’azione esecuti-
va possa rivelarsi infruttuosa (Cass. 2-4-2004, n. 6511).
32
Ad es., prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse ad
un’apertura di credito, l’insorgenza del credito va apprezzata con riferimento al momento dell’accreditamen-
to e non a quello, eventualmente successivo, dell’effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma
messa a sua disposizione (Cass. 9-4-2009, n. 8680).
33
Il giudizio promosso con azione revocatoria non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell’art.
295 c.p.c. per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l’accertamento del credito, in quanto la
definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-
giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo da escludere la eventualità di un conflitto di
giudicati (Cass., sez. un., 4-12-2004, n. 9440). Rileva una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o
aspettativa, con la conseguenza che anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determi-
nare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria (Cass. 19-2-2020, n.
4212; Cass. 19-2-2020, n. 3375; Cass. 13-9-2019, n. 22859; Cass. 5-3-2009, n. 5359).
34
Ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria non è necessario che il creditore sia titolare
di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli prima facie pre-
testuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata; la sentenza dichia-
rativa dell’inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti del creditore, a seguito dell’accoglimento della
domanda di revocatoria, non costituisce titolo sufficiente per procedere a esecuzione nei confronti del ter-
zo acquirente, essendo a tal fine necessario che il creditore disponga anche di un titolo sull’esistenza del
credito, che può procurarsi soltanto nella causa relativa al credito e non anche in quella concernente esclu-
sivamente la domanda revocatoria, nella quale la cognizione del giudice sul credito è meramente incidenta-
le (Cass. 15-5-2018, n. 11755).
808 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

diritto di usufrutto o di servitù) ovvero la costituzione di una garanzia (es. costituzione


di pegno o ipoteca). È considerato pregiudizievole pure ogni atto di utilizzazione del pa-
trimonio che comporti una riduzione del valore economico dello stesso: ad es., la loca-
zione di un immobile a terzi, la costituzione di un trust 35 o anche di un fondo patrimo-
niale o di un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter su propri beni (come appresso si
vedrà). È ammessa la revocatoria anche dell’atto dispositivo del fideiussore 36 e in genera-
le dell’obbligato solidale 37, come dell’atto di scissione societaria 38. Un problema si pone
rispetto all’atto dispositivo preceduto da contratto preliminare circa la individuazione del-
l’oggetto della revocatoria: la giurisprudenza è orientata a considerare oggetto di revoca-
toria il contratto definitivo 39.
Non è soggetto a revocatoria l’adempimento di un debito scaduto (art. 29013), in
quanto tale passività è nel patrimonio del debitore e il relativo adempimento è un atto
dovuto 40.
Ulteriore presupposto, connesso a quello precedente, è il pregiudizio che l’atto di-
spositivo reca alle ragioni del creditore (c.d. eventus damni), quale condizione comune a
tutti i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale 41: è sufficiente il pericolo di

35
L’inefficacia dell’atto istitutivo del trust, come prodotta dall’esito vittorioso di un’azione revocatoria,
reca con sé pure l’inefficacia dell’atto dispositivo di attribuzione e cioè l’intestazione al trustee del bene con-
ferito in trust (Cass. 15-10-2019, n. 25926; Cass. 29-5-2018, n. 13388; Cass. 3-8-2017, n. 19376).
36
Gli atti dispositivi del fideiussore successivi all’apertura di credito e alla prestazione della fideiussione
sono soggetti all’azione revocatoria ex art. 2901, n. 1, in base alla mera consapevolezza del fideiussore (e, in
caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni), e al
solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento, non rilevando l’effettivo prelievo da parte del debitore
principale della somma messa a sua disposizione (Cass. 1-4-2022, n. 10594).
37
Qualora uno solo tra più coobbligati solidali compia atti di disposizione del proprio patrimonio, è fa-
coltà del creditore promuovere l’azione revocatoria nei suoi confronti ex art. 2901, ricorrendone i presuppo-
sti, a nulla rilevando che i patrimoni degli altri coobbligati siano singolarmente sufficienti a garantire l’adem-
pimento (nella specie vi era costituzione di fondo patrimoniale) (App. Torino 18-11-2020, n. 1132).
38
La revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria deve ritenersi sempre esperibile, in quanto mira
ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto, che lo rende inopponibile al solo creditore pregiudicato, al contra-
rio di ciò che si verifica nell’opposizione dei creditori sociali prevista dall’art. 2503 c.c., finalizzata, viceversa,
a farne valere l’invalidità (Cass. 6-5-2021, n. 12047).
39
La giurisprudenza esclude che il contratto preliminare possa essere oggetto di revocatoria, in quanto,
essendo privo di effetti traslativi, non rientra nella tassonomia degli atti di disposizione oggetto dell’azione di
cui all’art. 2901 c.c., ma ammette che la revocatoria investa il contratto definitivo, anche se atto compiuto in
adempimento di un obbligo preesistente, a condizione che al momento della stipulazione del contratto preli-
minare ricorressero gli stati soggettivi a tal fine rilevanti, poiché è in quel momento che si forma la volontà di
disporre, sebbene l’effetto non sia ancora prodotto (Cass. 18-2-2020, n. 4010; Cass. 26-6-2019, n. 17067). V.
anche Cass. 27-6-2018, n. 16869; Cass. 12-6-2018, n. 15215.
40
La irrevocabilità si estende agli atti coi quali il debitore abbia disposto di propri beni per procacciarsi la
liquidità necessaria all’adempimento di un proprio debito, a nulla rilevando che il ricavato della vendita ecce-
da l’importo del debito scaduto, quando sia dimostrato che l’alienazione costituiva l’unico mezzo al quale il
debitore, privo di altre risorse, poteva far ricorso per procurarsi il denaro (Cass. 13-5-2009, n. 11051). Tale
disposizione non si applica nel caso di concessione di ipoteca per debito già scaduto, atteso che si tratta di un
negozio di disposizione patrimoniale che, essendo fondato sulla libera determinazione del debitore, è aggre-
dibile con azione revocatoria ex artt. 1901 e 1902 (Cass. 22-1-2020, n. 1414).
41
Al fine della revocatoria è sufficiente il pregiudizio del creditore di soddisfarsi sui beni dello stesso, non
esigendosi anche l’impossibilità o la difficoltà di conseguire aliunde la prestazione, anche ricorrendo in ipotesi
di solidarietà passiva (Cass. 31-5-2007, n. 12770).
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 809

compromissione della garanzia patrimoniale. Per la giurisprudenza il debitore deve man-


tenere l’originario stato di fruttuosità e agevolezza dell’azione esecutiva sul patrimonio 42.
Non ogni atto dispositivo è dunque soggetto a revocatoria, ma solo quello che riduce la
consistenza o la qualità del patrimonio in una misura da compromettere il soddisfacimen-
to del creditore, così da rendere più gravoso e difficile la realizzazione coattiva del credi-
to (ad es., se il credito è di 100 e il patrimonio del debitore vale 1000, non può essere re-
vocato l’atto di disposizione di un bene che vale 100, risultando la capienza di 900 per il
soddisfacimento del creditore). Se del resto non fosse così ogni debitore resterebbe pri-
vato del potere di disposizione del suo patrimonio. Il debitore conserva il normale pote-
re di disposizione dei suoi diritti, incontrando il suo esercizio il limite della salvaguardia
della garanzia del credito: il creditore ha l’onere di provare la compromissione della ga-
ranzia patrimoniale; il debitore è tenuto a provare la sufficienza del patrimonio residuo a
soddisfare le ragioni del creditore 43.
b) Requisiti soggettivi. Rileva lo stato soggettivo sia del debitore che del terzo.
Quanto al debitore, tratto minimo ed essenziale è la consapevolezza del pregiudizio
che l’atto dispositivo arreca alle ragioni del creditore, diminuendo la garanzia patrimo-
niale del credito (c.d. scientia damni) 44: tale dato è sufficiente quando l’atto dispositivo
(come normalmente accade) è successivo alla nascita del debito, tendendo ad evitare l’e-
scussione del bene. Se invece l’atto dispositivo è precedente al sorgere del credito, è ri-
chiesta la dolosa preordinazione dell’atto dispositivo al fine di pregiudicare il soddisfaci-
mento del successivo creditore (c.d. consilium fraudis).
Quanto al terzo, risulta determinante la natura dell’atto dispositivo.
Per gli atti a titolo oneroso, è sufficiente che il terzo conoscesse il pregiudizio che l’atto
dispositivo arrecava alle ragioni del creditore: avesse cioè consapevolezza del pregiudizio
(c.d. scientia damni) 45. Se però l’atto dispositivo è anteriore al sorgere del credito, il ter-
zo deve essere partecipe della dolosa preordinazione (c.d. participatio fraudis). Lo stato
soggettivo del terzo può ricavarsi anche da presunzioni semplici come ad es. i rapporti di
parentela 46. Per le organizzazioni collettive si ha riguardo allo stato soggettivo delle per-
sone fisiche che le rappresentano, secondo il principio dell’art. 1391 (applicabile anche

42
Il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria ricorre anche quando l’atto dispositivo de-
termini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore
incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito (ad es. con la conversione del patrimonio in beni facil-
mente occultabili o in una prestazione di facere infungibile, come nel caso di cessione di beni immobili per
la costituzione di un vitalizio) (Cass. 9-11-2021, n. 32835; Cass. 18-6-2019, n. 16221).
43
È principio consolidato: Cass. 25-9-2019, n. 23907; Cass. 9-2-2012, n. 1896. In presenza di più negozi
collegati compiuti dal debitore, il creditore può rivolgere la propria impugnativa contro quello più significati-
vo economicamente o che meglio rilevi gli elementi della frode (Cass. 25-7-2013, n. 18034).
44
Qualora l’alienante sia una società, il requisito della scientia damni va accertato avendo riguardo al-
l’atteggiamento psichico della (o delle) persone fisiche che la rappresentano, ai sensi del principio stabilito dal-
l’art. 1391, applicabile all’attività delle persone giuridiche (Cass. 9-4-2009, n. 8735).
45
La posizione del terzo, sotto il profilo soggettivo, va equiparata a quella del debitore (Cass. 12-2-2020,
n. 3375). Sia con riferimento all’elemento soggettivo del debitore che a quello del terzo negli atti a titolo one-
roso, alla consapevolezza è equiparata l’agevole conoscibilità (Cass. 19-5-2006, n. 11763).
46
La prova della participatio fraudis del terzo può essere ricavata anche da presunzioni semplici, compreso
un vincolo parentale tra il debitore e il terzo, quando renda estremamente inverosimile che il terzo non cono-
scesse della situazione debitoria gravante sul disponente (Cass. 6-6-2014, n. 12836).
810 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

alle persone giuridiche) 47. Un atteggiamento articolato opera per i trasferimenti a socie-
tà 48 e i conferimenti in natura alla stessa 49.
Per gli atti a titolo gratuito è irrilevante lo stato soggettivo del terzo 50. Non sempre
riesce nitida la distinzione tra onerosità e gratuità. Si pensi agli atti dispositivi compiuti
da un coniuge all’altro nella regolamentazione dei rapporti in occasione della crisi fami-
liare: la coerenza o meno dell’atto dispositivo al contesto familiare rileva al fine della de-
terminazione della natura del titolo, qualificandosi onerosa l’attribuzione funzionale al-
l’assolvimento del dovere di mantenimento e alla perequazione delle pozioni dei partner,
e gratuita l’attribuzione che ne esorbita atteggiandosi come mera liberalità 51. Vi è invece
gratuità nella costituzione del fondo patrimoniale 52 e nella costituzione di vincolo di de-
stinazione ex art. 2645 ter 53.

47
La consapevolezza dell’amministratore o comunque del rappresentante di una società circa il pregiudi-
zio dell’acquisto ai creditori del venditore si comunica alla società, esponendo l’atto di acquisto a revoca da
parte del creditore (Cass. 4-7-2006, n. 15265). In ipotesi di conferimento di beni, l’elemento psicologico della
fattispecie revocatoria deve essere accertato con riguardo ai soci quando, nella fase costitutiva della società, la
stessa ancora non abbia acquisito la soggettività giuridica, né sia dotata di un rappresentante legale, mentre,
laddove l’organo gestorio sia contestualmente nominato, ne è, invece, sufficiente la ravvisabilità in capo a que-
st’ultimo ex art. 1391 (Cass. 22-10-2013, n. 23891).
48
È indirizzo consolidato che l’unico necessario e legittimo contraddittore della domanda volta a rendere
inefficace un atto di trasferimento in favore di una società, sia di persone che di capitali, è la medesima socie-
tà, e non i singoli soci, salvo l’interesse di questi ultimi all’intervento adesivo ex art. 1052 c.p.c., ferma restan-
do la necessità di accertare l’elemento psicologico della scientia damni o del consilium fraudis in capo al legale
rappresentante o ai soci (Cass. 7-9-2020, n. 18597; Cass. 6-11-2014, n. 23685).
49
In ipotesi di azione ex art. 2901 avente ad oggetto un negozio di conferimento (artt. 2254 e 2342), l’ele-
mento psicologico della fattispecie revocatoria deve essere accertato con riguardo ai soci quando, nella fase
costitutiva della società, la stessa ancora non abbia acquisito la soggettività giuridica, né sia dotata di un rap-
presentante legale, mentre, laddove l’organo gestorio sia contestualmente nominato, ne è, invece, sufficiente
la ravvisabilità in capo a quest’ultimo ex art. 1391 (Cass. 22-10-2013, n. 23891).
50
È ammessa l’impugnazione della rinuncia ereditaria ex art. 524: ove dimostrata da parte del creditore im-
pugnante l’idoneità della rinuncia a recare pregiudizio alle sue ragioni, grava sul debitore provare che, nonostan-
te la rinuncia, il suo residuo patrimonio è in grado di soddisfare il credito dell’attore (Cass. 4-3-2020, n. 5994).
51
La qualificazione dell’atto come oneroso o gratuito discende dalla verifica, in concreto, se lo stesso si in-
serisca, o meno, nell’ambito di una più ampia sistemazione “solutorio-compensativa” di tutti i rapporti aventi
riflessi patrimoniali, maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (Cass. 15-4-2019, n. 10443;
Cass. 4-7-2019, n. 17908). La valutazione di sussistenza dei requisiti della revoca va compiuta “con riferimento
sia ai preliminari accordi di separazione, sia al contratto definitivo di trasferimento immobiliare”, venendo nella
specie in considerazione “non già la sussistenza dell’obbligo di mantenimento in sé, di fonte legale, ma la concre-
ta modalità del suo assolvimento” (Cass. 13-5-2008, n. 11914; Cass. 12-4-2006, n. 8516).
52
La costituzione di fondo patrimoniale successiva all’assunzione del debito integra un atto a titolo gratui-
to per non comportare una corrispettiva attribuzione a favore dei costituenti (Cass. 3-8.2017, n. 19376; Cass.
3-8-2017, n. 19330). È sufficiente la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interes-
si del creditore (c.d. scientia damni) ovvero la previsione di un mero danno potenziale (Cass. 29-11-2019, n.
31227). Nel giudizio di revocatoria la legittimazione passiva è di entrambi i coniugi, anche se l’atto costitutivo
è stipulato da uno solo di essi (Cass. 22-2-2022, n. 5768).
53
L’atto di destinazione di un bene ex art. 2645 ter c.c., costituisce, di regola, un negozio unilaterale e a ti-
tolo gratuito, in quanto di per sé determina un sacrificio patrimoniale da parte del disponente, che non trova
contropartita in una attribuzione in suo favore; esso resta tale anche se, nel contesto di un atto pubblico dal
contenuto più ampio, ciascuno dei beneficiari del vincolo abbia a sua volta destinato propri beni in favore
delle esigenze di tutti gli altri – risultando in tal caso i diversi negozi di destinazione solo occasionalmente conte-
nuti nel medesimo atto pubblico notarile –, salvo che risulti diversamente, sulla base di una puntuale rico-
struzione del contenuto effettivo della volontà delle parti e della causa concreta del complessivo negozio dalle
stesse posto in essere (Cass. 13-2-2020, n. 3697).
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 811

Le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo one-
roso quando sono contestuali al credito garantito (art. 29012); con ciò intendendosi che
le garanzie costituite successivamente alla nascita del credito devono considerarsi a titolo
gratuito. Potrebbe anche avvenire che una garanzia sia prestata successivamente alla co-
stituzione del rapporto obbligatorio per conseguire una dilazione del termine di pagamen-
to: la legge, per evitare facili aggiramenti della garanzia del credito, ha considerato a titolo
oneroso solo le garanzie costituite contestualmente alla nascita del credito.
La diversificata rilevanza dello stato soggettivo del terzo ha una tradizionale giustifi-
cazione. Se l’atto è a titolo gratuito, nel conflitto tra il creditore che cerca di evitare il pre-
giudizio (qui certat de damno vitando) e il terzo che cerca di conseguire un vantaggio (qui
certat de lucro captando), è preferito il creditore che cerca di evitare un danno: l’atto di-
spositivo è senz’altro revocabile anche se il terzo non conosceva il pregiudizio che l’atto
avrebbe arrecato al creditore. Se l’atto è a titolo oneroso, sia il creditore che il terzo ten-
dono ad evitare un danno: il creditore mira a conservare la garanzia del credito, il terzo
mira a salvare l’operazione economica e dunque la controprestazione versata; il creditore
è protetto (e quindi l’atto è revocabile) solo se il terzo era a conoscenza del pregiudizio:
il terzo è cioè tutelato se ha acquistato a titolo oneroso e in buona fede.
In realtà, con riguardo agli atti a titolo oneroso, la tutela del creditore e la tutela del
terzo esprimono interessi omogenei in quanto entrambi connessi all’esplicazione della
economia di mercato. La soluzione del conflitto tra creditore e terzo diviene comprensi-
bile se riguardata nella prospettiva dei fasci di interessi coinvolti. La tutela preferenziale
della buona fede del terzo che ha compiuto una operazione economica senza conoscere
il pregiudizio del creditore si giustifica con l’esigenza di proteggere la circolazione giuri-
dica dei beni, quale meccanismo essenziale di un’economia di mercato: in tal senso espri-
me un’esigenza generale dell’attività economica cui è connaturata la stessa leva del credi-
to. La tutela del terzo, riguardata nella generale prospettiva della salvaguardia dell’atti-
vità economica, protegge un interesse omogeneo a quello di cui è portatore il creditore:
la garanzia del credito postula sicurezza del traffico giuridico.
Profilo delicato dell’azione revocatoria è il regime della prova dei requisiti sogget-
tivi. Poiché è principio generale dell’ordinamento che la buona fede è presunta, salvo
prova contraria (es. art. 1147), incombe sul creditore che agisce in revocatoria l’onere di
provare, non solo i presupposti oggettivi della revocatoria, ma anche lo stato soggettivo
del debitore e del terzo (che è opera non agevole). La giurisprudenza tende a mitigare la
difficoltà della prova ammettendo il ricorso a presunzioni 54.
L’esigenza di certezza del traffico giuridico è anche a fondamento della disciplina
della prescrizione: l’azione revocatoria è soggetta al termine di prescrizione breve di
cinque anni dalla data dell’atto dispositivo (art. 2903), in deroga alla regola generale della
prescrizione decennale. Per il fondamentale principio che la prescrizione decorre dal

54
È principio consolidato che la prova dello stato soggettivo possa essere fornita anche mediante presun-
zioni semplici (cfr. Cass. 22-11-2018, n. 30188). Tra le più ricorrenti ammesse, la qualità delle parti del ne-
gozio fraudolento, il grado di parentela delle stesse, la tempistica degli atti, le modalità della vendita, la
modicità del prezzo e la non contestualità del pagamento, la capacità economica dell’acquirente (derivante
anche dalle dichiarazioni dei redditi), l’alienazione contestuale di una pluralità di beni, l’immediatezza del-
la trascrizione dell’atto dispositivo, la permanenza dell’alienante nel godimento del cespite alienato (tra le tan-
te (Cass. 9-4-2009, n. 8735; Cass. 5-3-2009, n. 5359; Cass. 6-4-2005, n. 7104).
812 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935) (II, 4.9), il termine decorre dalla
data di conoscenza (tipicamente pubblicità) dell’atto dispositivo 55.

8. Segue. Effetti della revocatoria. – L’anomalia dell’atto soggetto a revocatoria non


attiene alla sua struttura ma ad una circostanza estranea all’atto: il medesimo atto disposi-
tivo è revocabile o meno a seconda della consistenza del patrimonio del debitore e dun-
que del pregiudizio o meno della garanzia del credito. Ne consegue che l’atto dispositivo
soggetto a revocatoria è valido (quando è validamente formato): la revocatoria non è un’a-
zione di invalidità (nullità o annullabilità), ma solo di impugnazione dell’atto per una cir-
costanza estranea alla sua formazione.
L’azione revocatoria non travolge l’atto di disposizione del debitore, con l’ineffica-
cia assoluta dello stesso: l’esperimento vittorioso dell’azione determina semplicemente
la inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti del creditore che agisce in revocatoria
(c.d. inefficacia relativa), al fine di consentirgli di esercitare sul bene oggetto dell’at-
to dispositivo la tutela coattiva del credito. L’atto dispositivo non è opponibile al credito-
re, il quale, ottenuta la revoca dell’atto, può promuovere nei confronti del terzo acqui-
rente le azioni esecutive sui beni oggetto dell’atto impugnato (art. 29021) 56 e soddisfarsi
sul ricavato.
Eseguita la espropriazione con la conversione in danaro dei beni alienati, dopo la
soddisfazione del creditore sul ricavato, tutto quanto residua resta nel patrimonio del ter-
zo, che ha validamente acquistato il bene oggetto di revocatoria. Il terzo che ha ragioni
di credito verso il debitore in dipendenza dell’azione revocatoria subita (e della realizza-
zione coattiva del credito), non può peraltro concorrere sul ricavato dei beni oggetto
dell’atto revocato se non dopo che il creditore è stato soddisfatto (art. 29022). Il terzo ha
azione di danni nei confronti del debitore alienante per quanto non è riuscito a soddisfarsi
sul residuo dell’espropriazione, rimasto a suo favore.
Ad evitare facili elusioni a danno del creditore è accordata allo stesso tutela anche verso
i subacquirenti dal terzo, secondo i medesimi criteri che presiedono l’esercizio dell’azio-
ne revocatoria. Per l’art. 29014 la revoca dell’atto dispositivo (cioè l’inefficacia relativa del-
l’atto) “non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli
effetti della trascrizione della domanda di revocazione”. Anche ora dunque la sentenza
che accoglie la domanda di revocatoria è sempre opponibile al terzo (subacquirente)
avente causa a titolo gratuito; mentre è opponibile al terzo (subacquirente) avente causa
a titolo oneroso solo se risulti essere a conoscenza del pregiudizio arrecato dall’atto di-
spositivo alle ragioni del creditore.
Con riguardo agli atti dispositivi di beni immobili (e mobili registrati), strumento es-
senziale di soluzione dei conflitti tra il creditore e i terzi è la pubblicità. La sentenza
che accoglie la domanda di revoca non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai

55
La prescrizione decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, essendo solo da questo
momento, infatti, che il diritto può essere fatto valere e la inerzia del titolare protratta nel tempo assume effet-
to estintivo (Cass. 15-5-2018, n. 11758; Cass. 23-9-2021, n. 25855).
56
È la sentenza di revocazione la fonte della inefficacia relativa dell’atto dispositivo e che dunque legitti-
ma il creditore al successivo esperimento dell’azioni esecutiva nei confronti del terzo acquirente, con riguardo
al bene oggetto dell’atto revocato (Cass. 27-5-2011, n. 11858; Cass. 13972/2007).
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 813

terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione
della domanda di revoca (art. 26521, n. 5) 57.
L’art. 2904 fa salve le disposizioni sull’azione revocatoria in materia fallimentare (ora
liquidazione giudiziale) e in materia penale (artt. 192 ss. c.p.), per essere la prima esperi-
ta dal curatore, nella procedura concorsuale, a tutela della massa dei creditori (VIII, 8.3),
ed essere la seconda esperita con finalità sanzionatorie 58.

9. Sequestro conservativo. – Il rimedio si appunta contro il pericolo di depaupera-


mento del patrimonio.
Il bersaglio del rimedio non è un comportamento del debitore (l’inerzia che giustifica
la surrogatoria o il depauperamento che consente la revocatoria), ma il dato oggettivo
del pericolo in sé di perdere la garanzia patrimoniale. Ad evitare che il debitore possa
disfarsi del suo patrimonio, così frustando la garanzia del credito, “il creditore può chie-
dere il sequestro conservativo dei beni del debitore secondo le regole del cod. proc. civ.”
(art. 29051); “il sequestro può essere chiesto anche nei confronti del terzo acquirente dei
beni del debitore, qualora sia stata proposta l’azione per far dichiarare l’inefficacia
dell’alienazione” (art. 29052). Per l’art. 671 c.p.c. “il giudice, su istanza del creditore
che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il se-
questro conservativo dei beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a
lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento” 59. Trattasi dunque di
un rimedio con funzione cautelare, finalizzato alla conservazione della garanzia pa-
trimoniale prima della sua compromissione: più specificamente è una misura cautelare
rispetto all’espletamento del giudizio di merito, allorché lo stesso si concluda con una
sentenza di condanna del debitore (sì da consentire di esercitare l’azione esecutiva sui
beni dello stesso). Devono ricorrere due presupposti.
Anzitutto la ragionevole fondatezza del diritto vantato dal creditore (c.d. fu-
mus boni iuris) 60. Ciò al fine di evitare facili abusi e la ingiustificata indisponibilità del
patrimonio del debitore, anche se l’accertamento definitivo del credito conseguirà all’esi-
to del giudizio di merito.

57
Nel caso di successive alienazioni dello stesso immobile, la prescrizione della seconda azione è interrot-
ta dalla prescrizione della prima quando la domanda originaria sia stata trascritta anteriormente alla seconda
vendita (Cass. 4-8-2016, n. 16293). L’interesse del creditore ad agire in revocatoria non viene meno per il fat-
to che il bene oggetto dell’atto dispositivo sia rientrato nel patrimonio del debitore, perché altrimenti potreb-
be essere pregiudicata l’efficacia di prenotazione costituita dalla trascrizione della domanda giudiziale di re-
voca, ai sensi dell’art. 2652, n. 5 (Cass. 16-11-2020, n. 25862).
58
Le disposizioni della revocatoria penale sono inquadrate tra le sanzioni civili sotto gli artt. 185 ss. c.p. In
particolare gli atti a titolo gratuito, compiuti dal colpevole dopo il reato, non hanno efficacia rispetto ai credi-
ti indicati nell’art. 189 (art. 192 c.p.): si è anzi ammessa la revocatoria penale ex art. 192 c.p. del fondo patri-
moniale di fronte al giudice civile anche se la pena è patteggiata (Cass. 31-10-2014, n. 23158). Gli atti a titolo
oneroso, eccedenti la semplice amministrazione ovvero la gestione dell’ordinario commercio, compiuti dal
colpevole dopo il reato, si presumono fatti in frode rispetto ai crediti indicati nell’art. 189, in presenza della
prova della mala fede dell’altro contraente (art. 193 c.p.).
59
Il D.Lgs. 26.10.2020, n. 152 fissa l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Reg.
UE/655/2015 che istituisce una procedura per l’ordinanza europea di sequestro conservativo sui conti banca-
ri al fine di facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti civili e commerciali.
60
È sufficiente che il credito sia attuale, anche se non esigibile (Cass. 28-1-1994, n. 864).
814 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Inoltre il fondato timore di perdere la garanzia patrimoniale per il tempo


necessario all’espletamento del giudizio di merito, che (come è noto) può durare anche
più anni (c.d. periculum in mora) 61. Rilevano a tal fine, sia la consistenza patrimoniale del
debitore in rapporto all’entità del credito, sia il comportamento del debitore che lascia
fondatamente temere atti di depauperamento del suo patrimonio sottraendolo all’esecu-
zione forzata.
Possono formare oggetto del sequestro sia le cose (mobili o immobili) di proprietà
del debitore che le cose e le somme di danaro oggetto di un suo diritto di credito; come
possono formare oggetto di sequestro le partecipazioni sociali 62. Per i beni (immobili e
mobili registrati) per i quali operano registri di pubblicità, il sequestro va formalizzato in
tali registri 63. È possibile chiedere il sequestro prima del giudizio di merito (art. 669 ter
c.p.c.) o nel corso dello stesso (art. 669 quater c.p.c.). Il sequestro conservativo si conver-
te in pignoramento nel momento in cui il creditore sequestrante ottiene sentenza di con-
danna esecutiva (art. 686 c.p.c.) 64.
Con il sequestro si realizza un vincolo di indisponibilità dei beni sequestrati, secondo
le regole stabilite per il pignoramento (artt. 2913 ss.): effetto fondamentale del sequestro
è che non hanno effetto relativamente al creditore sequestrante le alienazioni e gli altri
atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata (art. 29061) (c.d. inefficacia relativa).
Gli atti di alienazione compiuti dal debitore sono validi, ma inopponibili al creditore, il
quale ha diritto di sottoporre ad esecuzione i beni alienati e soddisfarsi coattivamente
delle proprie ragioni. Ulteriore conseguenza è che il creditore ha il diritto di opporsi al
pagamento del debitore ad un terzo: quando l’opposizione è stata proposta nei casi e con
le forme stabilite dalla legge, il pagamento eseguito dal debitore non ha effetto in pre-
giudizio del creditore opponente (art. 29062). Il creditore conserva il diritto all’azione
revocatoria 65.

61
È rilevante il rapporto di proporzione, quantitativo e qualitativo, tra patrimonio del debitore e presunto
ammontare del credito da tutelare. In tale valutazione è necessario verificare che tale garanzia permanga fino
al momento in cui potrebbero realizzarsi le condizioni per il soddisfacimento coattivo del credito stesso (Cass.
29-10-2001, n. 13400).
62
Anche le quote di partecipazione di una società di persone che per disposizione dell’atto costitutivo
siano trasferibili con il (solo) consenso del cedente e del cessionario, salvo il diritto di prelazione degli altri
soci, possono essere sottoposte a sequestro conservativo ed essere espropriate a beneficio dei creditori parti-
colari del socio anche prima dello scioglimento della società (Cass. 7-11-2002, n. 15605).
63
Il sequestro conservativo sui mobili e sui crediti si esegue nelle forme del pignoramento presso il debito-
re o presso il terzo (art. 678); il debitore è privato della disponibilità materiale delle cose mobili, che sono af-
fidate ad un custode (tale può essere lo stesso debitore, con le relative responsabilità) (artt. 520 e 559 c.p.c.). Il
sequestro sugli immobili si esegue con la trascrizione del provvedimento presso l’ufficio del conservatore dei
registri immobiliari del luogo in cui i beni sono situati (art. 6791 c.p.c.); la trascrizione conserva il suo effetto
per venti anni dalla sua data e cessa ipso jure se la trascrizione non è rinnovata prima che scada il detto termi-
ne (artt. 2668 bis e 2668 ter). Analogamente, per i beni mobili registrati, è richiesta la trascrizione del provve-
dimento di sequestro negli specifici registri (art. 2693).
64
Il pignoramento derivante dalla conversione di sequestro conservativo (art. 686 c.p.c.) non retroagisce,
quanto ai suoi effetti, al momento della concessione della misura cautelare (Cass. 7-1-2016, n. 54).
65
L’azione revocatoria consente di ottenere una tutela non equivalente e tendenzialmente più ampia rispetto
a quella assicurata dal sequestro, in quanto ha ad oggetto l’intero immobile, senza soffrire dei limiti derivanti dal-
l’importo fino a concorrenza del quale sia stata autorizzata la misura cautelare, esclude il concorso con gli altri
creditori (che si realizza, invece, per effetto della conversione del sequestro in pignoramento), e non è condizio-
nata dagli esiti del giudizio di merito sulla sussistenza del diritto cautelato (Cass. 29-9-2017, n. 22835).
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 815

Figure diverse sono il sequestro giudiziario e il sequestro convenzionale, entrambe cor-


relate alla presenza di una controversia tra le parti 66.

C) MECCANISMI INDIRETTI DI GARANZIA


10. Generalità. – Il sistema di tutela del credito, attraverso i mezzi di conservazione
della garanzia patrimoniale e la successiva esecuzione coattiva, è di lunga durata, oltre
che essere dispendioso (il creditore è tenuto ad anticipare le somme necessarie all’esecu-
zione, anche se le spese della procedura gravano sui beni). Si tende dunque a preservare
il soddisfacimento del credito attraverso meccanismi alternativi correlati allo svolgimen-
to del rapporto obbligatorio, in grado di conservare la garanzia patrimoniale con minori
spese e più agevolmente.
Sono meccanismi indiretti di presidio della responsabilità patrimoniale del debitore
su base non giudiziaria, in quanto assunti concordemente tra creditore e debitore o ri-
messi alla iniziativa del creditore. Nella prima direzione, si collocano la cessione dei beni
ai creditori e l’anticresi; nella seconda, i singoli rimedi di autotutela.

11. Cessione dei beni ai creditori. – Per l’art. 1977 la cessione dei beni ai creditori
(c.d. cessio bonorum) è “il contratto col quale il debitore incarica i suoi creditori o alcuni
di essi di liquidare tutte o alcune sue attività e di ripartirne tra loro il ricavato in soddi-
sfacimento dei loro crediti” 67. Con tale contratto dunque i creditori vengono incaricati
dal debitore di alienare i beni oggetto della cessione, soddisfacendosi sul ricavato. Il con-
tratto richiede la forma scritta a pena di nullità (art. 1978) ed è soggetto a trascrizione se
comprende beni immobili (art. 2649) (XIV, 2.7).
Nonostante il termine “cessione” impiegato, non è trasferita ai creditori la proprietà
o la titolarità di altre attività, che rimangono in capo al debitore. Secondo una tradizio-
nale opinione, trattasi di c.d. “cessioni liquidative”, cioè di mandato a liquidare i be-
ni, conferito nell’interesse anche dei creditori cessionari (in rem propriam), riconduci-
bile allo schema del mandato nell’interesse altrui (art. 17232). I creditori cessionari so-
no autorizzati a liquidare i beni ceduti, convertendoli in danaro in grado di soddisfare i
crediti vantati: ai creditori cessionari, nel quadro della liquidazione, spetta l’ammini-
strazione dei beni ceduti, la tutela giudiziaria relativamente a tali beni, il potere di
alienazione degli stessi nel loro interesse, il riparto del ricavato dall’alienazione (art.
1979). In sostanza i cessionari amministrano e dispongono dei beni nell’interesse del

66
Il s e q u e s t r o g i u d i z i a r i o è disposto con provvedimento del giudice e ha una funzione di conservazione
rispetto all’espletamento di un giudizio. Ha ad oggetto: 1) beni mobili o immobili, aziende o altre universalità
di beni, quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro custodia o
alla loro gestione temporanea; 2) libri, registri, documenti, modelli, campioni e di ogni altra cosa da cui si pre-
tende desumere elementi di prova, quando è controverso il diritto alla esibizione o alla comunicazione, ed è
opportuno provvedere alla loro custodia temporanea (art. 670 c.p.c.).
Il s e q u e s t r o c o n v e n z i o n a l e è il contratto con il quale due o più soggetti affidano ad un terzo un bene
rispetto al quale sia nata controversia, perché lo custodisca e lo restituisca a colui al quale spetterà dopo la
definizione della controversia (art. 1798).
67
Secondo Cass. 24-10-2003, n. 16013, è legittimamente apponibile un termine finale di efficacia alla cessio-
ne, essendo regola generale che le parti possono sempre limitare nel tempo l’efficacia del contratto.
816 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

debitore; con la liquidazione dei beni la titolarità dei diritti si trasferisce direttamente
dal debitore ai terzi acquirenti 68.
La figura è caratterizzata dalla costituzione di un vincolo di indisponibilità sui beni
ceduti: “il debitore non può disporre dei beni ceduti” (art. 19801) 69. È proprio l’instaura-
zione di tale divieto di alienazione a giustificare la previsione di trascrizione del contratto
di cessione quando ha per oggetto beni immobili, al fine di tutelare i terzi che possano
avere acquistato diritti sul bene prima del contratto di cessione 70. Il vincolo non è oppo-
nibile ai creditori anteriori alla cessione che ad essa non hanno partecipato, i quali posso-
no agire esecutivamente anche sui beni ceduti (art. 19802).
Il debitore ha il diritto di controllare la gestione compiuta dai creditori e di aver-
ne il rendiconto alla fine della liquidazione o alla fine di ogni anno se la gestione dura
più di un anno (art. 1983). Inoltre può sempre recedere dal contratto offrendo il paga-
mento del capitale e degli interessi ai cessionari e agli aderenti e rimborsando le spese
della gestione, con effetto dal giorno del pagamento (art. 1985).
I cessionari hanno diritto di chiedere l’annullamento del contratto se il debitore, di-
chiarando di cedere tutti i suoi beni, ha dissimulato parte notevole degli stessi, ovvero ha
occultato passività o ha simulato passività inesistenti (art. 19861). La cessione può essere
risoluta per inadempimento, secondo le regole generali (art. 19862).
Nel riparto delle somme ricavate dalla liquidazione i creditori sono soddisfatti in
proporzione dei rispettivi crediti, salve le cause di prelazione (art. 1982). Non avendo il
debitore perduto la titolarità dei diritti ceduti, dopo il soddisfacimento dei creditori ces-
sionari e di quelli che hanno aderito alla cessione, il residuo spetta al debitore.
Salvo patto contrario, il debitore è liberato verso i creditori dal giorno in cui essi ri-
cevono la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione, e nei limiti di quanto han-
no ricevuto (art. 1984). Applicazioni sono in sede di concordato preventivo e provengo-
no dalle recenti procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, con la
procedura di liquidazione del patrimonio (VII, 8.4).

12. Anticresi. – Per l’art. 1960 l’anticresi è “il contratto col quale il debitore o un ter-
zo si obbliga a consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il cre-
ditore ne percepisca i frutti, imputandoli agli interessi, se dovuti, e quindi al capitale” 71.
È un contratto legato ad una economia agraria (c.d. contratto godi/godi), tendendo a pro-
curare il soddisfacimento del creditore attraverso la consegna di un immobile al credi-

68
Se la cessione ha avuto ad oggetto solo alcune attività del debitore, i cessionari non possono agire esecu-
tivamente sulle altre attività prima di aver liquidato quelle cedute (art. 19803). Se cessionari sono solo alcuni
creditori, i creditori anteriori alla cessione, che non vi hanno partecipato, possono agire esecutivamente anche
su tali beni (art. 19802); possono comunque aderire alla cessione, partecipando alle spese della liquidazione
(art. 1981). Consegue che i creditori posteriori alla cessione vedono ridotta la garanzia del credito, potendo
soddisfarsi solo sul residuo dopo il riparto tra i cessionari e i creditori aderenti.
69
Per la Relaz. cod. civ., n. 1072, il vincolo è assoluto e incide, non solo sulle alienazioni volontarie, ma an-
che ad es. sulle ipoteche legali e giudiziali iscritte dopo la trascrizione della cessione.
70
L’eventuale atto dispositivo compiuto dal debitore in violazione del divieto non comporta però la nulli-
tà dell’atto dispositivo, ma solo la inefficacia di questo nei confronti dei creditori cessionari, come emerge dal-
la previsione dell’art. 2649, secondo cui “non hanno effetto rispetto ai creditori le trascrizioni o iscrizioni di di-
ritti acquistati verso il debitore se eseguite dopo la trascrizione della cessione”.
71
Il termine “anticresi” deriva dal greco antichresis (contro-uso).
CAP. 5 – GARANZIE DEL CREDITO E RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 817

tore che ne gode i frutti curando la fruttificazione del bene ricevuto in godimento: oggi è
di rara applicazione. Il creditore anticretico ha l’obbligo di conservare, amministrare e
coltivare il fondo da buon padre di famiglia (art. 19612).
L’anticresi dura finché il creditore sia stato interamente soddisfatto del suo credito;
in ogni caso l’anticresi non può avere una durata superiore a dieci anni (art. 1962). Se il
bene costituito in anticresi è espropriato da altri creditori, il creditore anticretico non è
preferito ad essi, ma concorre con gli stessi secondo la par condicio.
Il contratto deve essere fatto in forma scritta sotto pena di nullità (art. 1350, n. 7) ed è
soggetto a trascrizione (art. 2643, n. 12).
Compiendosi la consegna dell’immobile al creditore, l’art. 1963 espressamente pre-
vede il divieto del patto commissorio (art. 2744), prescrivendo la nullità di qualunque
patto, anche posteriore al contratto, con cui si conviene che la proprietà dell’immobile
passi al creditore nel caso di mancato pagamento del debito.
L’ipotesi normale di anticresi, contemplata dall’art. 1960, è c.d. estintiva, in quanto
rivolta all’estinzione del debito, con il pagamento prima degli interessi e poi del capitale.
È però anche consentito alle parti stipulare una anticresi c.d. compensativa con la impu-
tazione dei frutti ai soli interessi, sicché i frutti si compensano con gli interessi: in tal caso
il debitore può, in ogni tempo, estinguere il debito e rientrare nel possesso dell’immobile
(art. 1964).

13. Rimedi di autotutela. – Si è parlato innanzi della essenza dell’autotutela (III, 3.4).
Al fine di agevolare la realizzazione del credito, la legge appresta specifici rimedi di autotu-
tela spettanti al creditore, salva la successiva verifica giudiziaria del corretto esercizio degli
stessi. Sono rimedi che, orientando lo svolgimento del rapporto obbligatorio, permettono
indirettamente la garanzia del credito, attraverso un’iniziativa del creditore che evita o ri-
duce il danno conseguente all’inadempimento.
a) Incisivo rimedio è l’opposizione al pagamento del debitore ad un terzo, in determi-
nate ipotesi. Quando l’opposizione è stata proposta nei casi e nelle forme stabiliti dalla
legge, il pagamento eseguito dal debitore non ha effetto in pregiudizio del creditore op-
ponente (v. artt. 498, 1113, 27422, 28255, 29062).
b) Altro rimedio è la decadenza del debitore dal termine. Anche se per legge il termi-
ne è presunto a favore del debitore (art. 1184), per l’art. 1186 il creditore può esigere
immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito, per
fatto proprio, le garanzie che aveva dato o non ha dato le garanzie che aveva promesso
(v. artt. 1274, 1299, 1313, 1626, 18442, 1850, 1867, 1877, 2743).
c) Quando l’obbligazione è connessa ad altra obbligazione, sono previsti particolari
rimedi di autotutela dell’equilibrio delle contrapposte posizioni (VIII, 10.4).
Anzitutto il diritto di ritenzione. In alcune ipotesi è accordato al creditore il diritto di
non consegnare la cosa dovuta al proprietario o altro avente diritto finché questi non ese-
gua la prestazione dovuta. Il creditore non realizza il diritto di credito ma induce il debi-
tore ad adempiere al fine di conseguire la disponibilità della cosa trattenuta dal credito-
re: ad es., il possessore di buona fede può ritenere la cosa finché non gli siano corrisposte
le indennità dovute (art. 1152); l’usufruttuario ha diritto di ritenere l’immobile riparato a
garanzia del rimborso, da parte del proprietario, delle spese sostenute (art. 1006); in ma-
teria di locazione di immobili destinati ad uso diverso dall’abitazione, il conduttore può
818 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

evitare l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile fino alla corresponsione


dell’indennità di avviamento (art. 343 L. 27.7.1978, n. 392) 72. Talvolta il diritto di riten-
zione è connesso ad un privilegio speciale sulla cosa: ad es., i creditori per prestazioni e
spese di conservazione e miglioramento di beni mobili, nonché il vettore, il mandatario,
il depositario e il sequestratario hanno il diritto di ritenzione sulle cose oggetto di privilegio
a loro favore finché non sono soddisfatti del proprio credito (artt. 27563 e 27614).
d) Rimedio generale è la sospensione dell’adempimento nei contratti a prestazioni cor-
rispettive, per preservare la corrispettività delle prestazioni, nella duplice formulazione:
di eccezione di inadempimento se l’altra parte non offre il proprio adempimento (art. 1460);
di sospensione dell’adempimento per mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altra
parte (art. 1461) (VIII, 10.4).

14. Esecuzione su beni oggetto di atti dispositivi a titolo gratuito. – La lunghezza


di svolgimento dell’azione revocatoria per rendere inefficaci gli atti dispositivi ha consi-
gliato di ammettere un rimedio di più agevole soddisfacimento per il creditore.
Per l’art. 2929 bis (Introdotto dal D.L. 83/2015, conv. con L. 132/2015, modif. dal
D.L. 59/2016, conv. con L. 119/2016) il creditore che sia pregiudicato da un atto del
debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto
beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successiva-
mente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forza-
ta, “ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia”,
se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascrit-
to; a ciò è ammesso anche il creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione
dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa (co. 1). L’azione
non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati a titolo oneroso dall’avente causa
del contraente immediato, salvi gli effetti della trascrizione del pignoramento 73; è quindi
esperibile verso il subacquirente a titolo gratuito (co. 2).
Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla con-
servazione del vincolo possono proporre le opposizioni all’esecuzione quando conte-
stano la sussistenza dei presupposti dell’esecuzione ovvero che l’atto abbia arrecato
pregiudizio alle ragioni del creditore o che il debitore abbia avuto conoscenza del pre-
giudizio arrecato.

72
Fino a quando la corresponsione dell’indennità di avviamento non avvenga, anche solo nella forma del-
l’offerta reale non accettata, la ritenzione dell’immobile da parte del conduttore avviene de iure come causa di
giustificazione impeditiva dell’adempimento alla scadenza, dell’obbligo di consegna, con la conseguenza che non
insorgono la mora nella riconsegna ed il conseguente obbligo di risarcimento ai sensi dell’art. 1591 c.c. (Cass.
16-10-2017, n. 24285).
73
L’azione esecutiva è promossa nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario ed è preferito
ai creditori personali di costui nella distribuzione del ricavato. Il debitore, il terzo assoggettato a espropria-
zione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all’esecuzione di
cui al titolo V del libro terzo c.p.c. quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al co. 1 o che l’atto
abbia arrecato pregiudizio alle ragioni del creditore (eventus damni) o che il debitore abbia avuto conoscenza
del pregiudizio arrecato (scientia damni) (co. 2).
CAPITOLO 6
CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE
(Le garanzie speciali)

Sommario: 1. Principi generali. – A) PRIVILEGI. – 2. Fondamento. – 3. Tipologia ed efficacia. Concorso


di garanzie. – B) PEGNO E IPOTECA (GARANZIE REALI). – 4. I caratteri comuni. – 5. Pegno. – 6. Fi-
gure speciali di pegno. – 7. Ipoteca. – 8. Titolo dell’ipoteca. – 9. Pubblicità ipotecaria e formali-
tà. – C) GARANZIE REALI CON ESECUZIONE STRAGIUDIZIALE. – 10. Il sostegno finanziario alle im-
prese e ai consumatori. – 11. Contratti di garanzia finanziaria. – 12. Pegno mobiliare non posses-
sorio. – 13. Credito alle imprese con trasferimento di immobile condizionato all’inadempimento.
– 14. Prestito vitalizio ipotecario. – 15. Credito ipotecario ai consumatori per acquisto di immo-
bile residenziale.

1. Principi generali. – Si è visto come il concorso dei creditori è regolato dal princi-
pio generale di parità di trattamento (par condicio creditorum) nel soddisfarsi sui beni del
debitore, salve le cause legittime di prelazione (art. 2741) (VII, 5.2). Le cause di prelazio-
ne si atteggiano come speciali garanzie su singoli beni o singole categorie di beni, per cui
i creditori titolari di tali garanzie sono soddisfatti in modo preferenziale rispetto agli altri
creditori (creditori privilegiati).
La ricorrenza di cause di prelazione assume rilevanza quando il patrimonio del debito-
re non è capiente per soddisfare tutti i creditori; allora i creditori che vantano cause le-
gittime di prelazione su taluni beni o categorie di beni sono soddisfatti, secondo l’ordine
di preferenza previsto dalla legge, prima degli altri creditori (c.d. creditori chirografari):
ad es., se sussistono un creditore chirografario per 100 e un creditore privilegiato per 50
e il ricavato dalla vendita del patrimonio del debitore è di 60, il creditore privilegiato è
soddisfatto per l’intero conseguendo il valore di 50, mentre il creditore chirografario è
soddisfatto parzialmente conseguendo solo il valore di 10. Si comprende come le garan-
zie speciali rafforzano la realizzabilità della pretesa creditoria 1. Quando i beni su cui si
appuntano le cause legittime di prelazione non si rivelano sufficienti a realizzare il com-
pleto soddisfacimento dei creditori privilegiati, questi possono soddisfarsi per il residuo
credito sul restante patrimonio assieme con i creditori chirografari, secondo la regola

1
Privilegio, pegno e ipoteca rappresentano cause generali di prelazione. Si vedrà come, per ragioni par-
ticolari, siano fissate cause specifiche di prelazione per alcuni creditori: ad es., in favore dei creditori sepa-
ratisti, nella separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede (art. 512); in favore dei creditori del de-
funto e dei legatari, nella eredità con beneficio d’inventario (art. 490, n. 3).
820 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

generale del concorso paritario (proporzionale). Operano in materia due fondamentali


principi: tipicità delle cause di prelazione e surrogazione dell’indennità alla cosa.
a) Tipicità delle cause di prelazione. Poiché le cause di prelazione derogano al
principio generale di parità di trattamento dei creditori, che è regola fondamentale di
affidabilità dell’economia di mercato, la legge richiede che le cause di prelazione siano
“legittime” e cioè previste dall’ordinamento.
Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche (art. 27412): pegno
e ipoteca sono garanzie reali, per inerire ad uno specifico bene (perciò un nucleo di regi-
me unitario accomuna entrambe le garanzie, come appresso si vedrà); diversamente ope-
rano i privilegi che, inerendo alla causa del credito, si atteggiano variamente (anche se il
privilegio speciale, come si vedrà, ha alcune assonanze con le garanzie reali). Non man-
cano ipotesi per le quali, per specifici conflitti di interessi, sono previsti peculiari regimi
di preferenza (ad es., nel soddisfacimento coattivo sui beni della comunione legale, i
creditori della comunione sono preferiti ai creditori particolari di uno dei coniugi se chi-
rografari: art. 1892).
b) Surrogazione dell’indennità alla cosa. Per l’art. 2742, se le cose soggette a
privilegio, pegno o ipoteca sono perite o deteriorate, le somme dovute dagli assicuratori
per indennità della perdita o del deterioramento sono vincolate al pagamento dei crediti
privilegiati, pignoratizi o ipotecari, secondo il grado di preferenza, eccetto che le mede-
sime vengano impiegate a riparare la perdita o il deterioramento. Si vuole garantire al
creditore una posizione di preferenza nei confronti dei creditori chirografari e, prima di
tutto, dello stesso debitore al fine di evitare un occultamento della somma 2. Come si è
anticipato, la surrogazione reale realizza una vicenda modificativa oggettiva dell’obbliga-
zione (VII, 2.14). Su istanza degli interessati, l’autorità giudiziaria può disporre le oppor-
tune cautele per assicurare l’impiego delle somme nel ripristino o nella riparazione della
cosa (art. 2742).

A) PRIVILEGI

2. Fondamento. – Il privilegio è la garanzia accordata dalla legge al creditore in con-


siderazione della causa del credito (art. 2745). È legato alla valutazione che l’ordi-
namento compie del singolo credito, assumendo rilevanza la natura dell’interesse perse-
guito dal creditore, in ragione del relativo titolo (es. credito per compenso di prestazioni
lavorative). Il privilegio accordato al credito si estende alle spese per l’intervento nel pro-
cesso esecutivo e agli interessi dovuti per l’anno in corso alla data del pignoramento e
per quelli dell’anno precedente; gli interessi successivamente maturati hanno privilegio
nei limiti della misura legale fino alla data della vendita (art. 2749).
I privilegi sono sempre di fonte legale: la legge è l’unica fonte di derivazione dei
privilegi e di graduazione dell’ordine degli stessi, in funzione della rilevanza accordata al
singolo credito nella scala dei valori dell’ordinamento: il credito nasce privilegiato (salva

2
Nessun indice ermeneutico autorizza a ritenere che la norma preveda anche un subingresso del creditore
privilegiato nella titolarità del diritto all’indennizzo, in modo che ne risulti legittimata un’azione diretta dello
stesso contro l’assicuratore; i creditori, ai sensi dell’art. 27422, hanno la sola possibilità di mezzi di tutela con-
servativi del loro diritto (Cass. 14-2-2013, n. 3655).
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 821

la concorrenza delle altre cause legittime di prelazione) 3. Nel concorso tra più crediti
privilegiati su medesimi beni, la prevalenza tra gli stessi opera secondo un criterio valuta-
tivo legale e cioè in funzione della qualificazione compiuta dall’ordinamento dei singoli
crediti. Si comprende come la materia dei privilegi sia perennemente attraversata dalle
tensioni sociali e dalle evoluzioni dei rapporti socio-economici: è stato così nel passaggio
dal cod. civ. del 1865 all’attuale cod. civ. del 1942, che ha profondamente riformato la
precedente disciplina; lo è tuttora con le molte leggi speciali che introducono nuove ra-
gioni di privilegio o ne modificano l’ordine: ad es., L. 29.7.1975, n. 426, ha introdotto
nel cod. civ. l’art. 2751 bis che ha valorizzato i crediti da lavoro, subordinato e autono-
mo. Peraltro il crescente ricorso legislativo alla istituzione di nuovi privilegi ha l’effetto
di indebolire il sistema del credito in sé, risultando sempre meno realizzabile il credito
non assistito da cause legittime di prelazione. Ai privilegi previsti da leggi speciali si ap-
plicano le norme del codice civile se non è diversamente disposto (art. 27502). In ragione
della natura degli interessi, talvolta la legge subordina la costituzione del privilegio alla
convenzione delle parti (art. 2745) (c.d. privilegi convenzionali): l’accordo delle parti agi-
sce come condizione che rende operante la volontà della legge, cui spetta esclusivamente
la nascita e la determinazione dell’estensione dei privilegi.
Il privilegio è di regola occulto, cioè non è soggetto a forme di pubblicità per la sua
costituzione e opponibilità. La costituzione del privilegio può tuttavia dalla legge essere
subordinata a particolari forme di pubblicità (art. 2745) 4. Il creditore che intende avva-
lersi del privilegio ha l’onere di dimostrare, non solo la natura privilegiata del credito, ma
anche i presupposti di esercizio del privilegio, indicando i beni che ne sono colpiti e
provando la loro esistenza fra i beni assoggettati all’espropriazione: ciò in quanto il cre-
ditore fa comunque valere una causa di prelazione, eccezionale rispetto al principio del
concorso paritario dei creditori (art. 2741).

3. Tipologia ed efficacia. Concorso di garanzie. – I privilegi si distinguono in due


categorie: generali e speciali. I privilegi sui mobili possono essere generali o speciali; quelli
sugli immobili sono solo speciali.
a) Privilegi generali. Si esercitano su tutti i beni mobili del debitore. Si appun-
tano, perciò, non su singoli beni, ma sulla categoria dei beni mobili. Ad es., i crediti per
retribuzioni dovute a lavoratori subordinati e ai professionisti (es. avvocato, notaio, ecc.)
hanno il privilegio su tutti i beni mobili del debitore 5.

3
Le norme che stabiliscono prelazioni in ragione della natura del credito possono essere oggetto di inter-
pretazione estensiva (Cass., sez. un., 17-5-2010, n. 11930).
4
Ad es. il privilegio del venditore di macchine di valore superiore a euro 15,49 è subordinato alla trascri-
zione dei documenti dai quali la vendita e il credito risultano nell’apposito registro tenuto presso il tribunale
nella cui giurisdizione è collocata la macchina (art. 2762): è questo il registro ove è anche trascritta la riserva
di proprietà ai fini dell’opponibilità ai terzi acquirenti (art. 1524).
5
Sono assistiti da privilegio generale sui mobili i crediti per spese funebri, d’infermità, alimenti (art. 2751);
i crediti per retribuzioni e provvigioni, i crediti dei coltivatori diretti, delle società od enti cooperativi e delle
imprese artigiane (art. 2751 bis); i crediti per tributi diretti dello Stato, per imposta sul valore aggiunto e per
tributi degli enti locali (art. 2752); i crediti per contributi di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vec-
chiaia e i superstiti (art. 2753); i crediti per contributi relativi ad altre forme di assicurazione (art. 2753). La
Corte cost. 29-1-1998, n. 1 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2751 bis, n. 2, nella parte in cui
riferisce il privilegio ai crediti per sole prestazioni d’opera intellettuali, in quanto la disparità di trattamento che,
822 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

L’esercizio comporta un necessario raccordo con le regole che presiedono alla circo-
lazione dei beni mobili. Non possono esercitarsi in pregiudizio dei diritti spettanti ai ter-
zi sui mobili che ne formano oggetto (art. 27471), vuoi per esserne diventati proprietari,
vuoi anche solo per avere acquisito diritti reali di godimento o garanzie reali sugli stessi.
Sono cioè fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi ai sensi dell’art. 1153: l’unico limite è che
gli acquisti dei terzi avvengano prima che il creditore privilegiato inizi l’esecuzione su tali
beni, cioè li sottoponga a pignoramento (ex artt. 2913 ss.) (art. 27471). In sostanza il pri-
vilegio generale, come tale, non è opponibile al terzo: è il vincolo di indisponibilità con-
seguente al pignoramento che è opponibile al terzo.
b) Privilegi speciali. Si esercitano su determinati beni mobili e sugli immobili
(art. 2746). Caratteristica degli stessi è l’inerenza del privilegio a singoli beni (mobili o
immobili), per la particolare connessione esistente tra il credito e la cosa. Tra i privilegi
speciali su mobili, si pensi, ad es., ai crediti del locatore di immobili per pigioni e fitti de-
gli immobili, che hanno privilegio sui frutti dell’anno e su quelli raccolti anteriormente,
nonché sopra tutto ciò che serve a fornire l’immobile o a coltivare il fondo (art. 2764); si
pensi anche ai crediti del vettore, dello spedizioniere, del mandatario, del depositario e
del sequestratario 6, oltre altri privilegi speciali 7. Il privilegio speciale sui mobili, sempre
che sussista la particolare situazione alla quale è subordinato, può esercitarsi anche in
pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi posteriormente al sorgere di esso (art. 27472).
Tra i privilegi speciali su immobili, si pensi, ad es., ai crediti per imposte su redditi im-
mobiliari che sono privilegiati sopra gli immobili del contribuente (art. 2171) 8.
Il privilegio speciale, come tale, è opponibile ai terzi, anche se non è ancora iniziata
l’esecuzione (e perciò il singolo bene non è stato sottoposto a pignoramento). Il bene

relativamente alla garanzia della retribuzione, si viene a determinare tra prestatori d’opera intellettuale e non in-
tellettuale risulta palesemente irragionevole, tenuto conto dell’omogeneità delle categorie di soggetti (e di crediti)
messe a confronto e riconducibili allo stesso tipo contrattuale delineato dall’art. 2222 c.c. (contratto d’opera).
Con specifico riguardo alla prestazione dell’avvocato espletata in più gradi, si è specificato che il privilegio ex
art. 2751 bis, n. 2, può essere riconosciuto solo al credito riguardante i compensi relativi alle prestazioni per
gli incarichi specifici conclusi nell’ultimo biennio del rapporto professionale (Cass. 2-3-2022, n. 6884).
6
Per l’art. 2761 (come novell. dall’art. 30 bis D.L. 152/2021, conv. con L. 233/2021) i crediti dipendenti
dal contratto di trasporto e di spedizione e quelli per le spese d’imposta anticipate dal vettore o dallo spedi-
zioniere hanno privilegio sulle cose trasportate o spedite finché queste rimangono presso di lui; tale privilegio
può essere esercitato anche su beni oggetto di un trasporto o di una spedizione diversi da quelli per cui è sor-
to il credito purché tali trasporti o spedizioni costituiscano esecuzione di un unico contratto per prestazioni
periodiche o continuative. I crediti derivanti dall’esecuzione del mandato hanno privilegio sulle cose del man-
dante che il mandatario detiene per l’esecuzione del mandato; qualora il mandatario abbia provveduto a pa-
gare i diritti doganali per conto del mandante, il suo credito ha il privilegio di cui all’art. 2752. I crediti deri-
vanti dal deposito o dal sequestro convenzionale a favore del depositario e del sequestratario hanno parimenti
privilegio sulle cose che questi detengono per effetto del deposito o del sequestro. Si applicano a questi privi-
legi le disposizioni del secondo e del terzo comma dell’art. 2756.
7
Ad es., i crediti per spese di giustizia fatte per atti conservativi o per l’espropriazione di beni mobili
nell’interesse comune dei creditori hanno privilegio sui beni stessi (art. 2755).
8
Altri privilegi speciali sopra gli immobili sono i crediti per le spese di giustizia fatte per atti conservativi o
per l’espropriazione di beni immobili nell’interesse comune dei creditori sul prezzo degli immobili stessi (art.
2770); i crediti per tributi indiretti, sopra gli immobili ai quali il tributo si riferisce (art. 2772); i crediti per con-
cessione di acque, sugli impianti (art. 2774); i contributi per opere di bonifica e miglioramento sugli immobili
che vi traggono beneficio (art. 2775); i crediti del promissario acquirente di contratto preliminare trascritto ex
art. 2645 bis, sul bene immobile oggetto del contratto preliminare (art. 2775 bis).
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 823

(mobile o immobile) oggetto di privilegio speciale rimane vincolato al soddisfacimento


del creditore, sicché circola con il privilegio speciale che vi afferisce. In capo al creditore
privilegiato vi è dunque un diritto di seguito (o di sequela), potendo il creditore far
valere il privilegio verso ogni acquirente del bene gravato dal privilegio speciale. In tale
prospettiva i privilegi speciali si atteggiano come diritti reali di garanzia: a differenza pe-
rò di pegno ed ipoteca, sono esclusivamente di fonte legale e possono cadere solo su be-
ni del debitore. Come per il pegno e l’ipoteca, il creditore non può pignorare altri beni
se non sottopone a pignoramento quelli oggetto di privilegio speciale (art. 29112).
Talvolta ai privilegi speciali è connesso un diritto di ritenzione: ad es. quello attribuito
ai creditori per prestazioni e spese di conservazione e miglioramento di cose mobili (art.
27563), nonché al vettore, al mandatario, al depositario e al sequestratario, finché le cose
si trovano presso di loro (art. 27614) (VII, 5.13).
c) Può determinarsi un concorso di più garanzie sullo stesso bene. Operano all’uo-
po tre regole fondamentali: 1) il privilegio speciale sui mobili soccombe al pegno (per lo
spossessamento che questo implica), tranne diversa disposizione di legge (art. 27481);
2) il privilegio su immobili prevale sull’ipoteca, tranne diversa disposizione di legge
(art. 27482) 9; 3) tra più privilegi la preferenza è accordata secondo la graduazione sta-
bilita dagli artt. 2777 ss. (c.d. ordine dei privilegi): al primo posto sono sempre le spese
di giustizia, che sono preferite ad ogni altro credito, anche pignoratizio o ipotecario
(art. 2777); se i crediti sono egualmente privilegiati concorrono in proporzione del ri-
spettivo importo (art. 2782).

B) PEGNO E IPOTECA (GARANZIE REALI)

4. I caratteri comuni. – Si è anticipato che pegno e ipoteche costituiscono garanzie


reali: il pegno relativamente a beni mobili e altri diritti, l’ipoteca relativamente a immo-
bili e mobili registrati. Inoltre, a differenza dei privilegi, non sono legati alla causa del
credito prevista dalla legge; e anche l’ordine di preferenza non opera in funzione della
causa del credito ma in ragione di parametri diversi (spossessamento per il pegno e pub-
blicità per l’ipoteca). Anche rispetto al privilegio speciale, con il quale sono condivisi
alcuni tratti, resta il fondamentale divario che il privilegio speciale è costituito dalla
legge, mentre le garanzie reali possono essere costituite dalla volontà privata, addirit-
tura possono essere costituite anche da un terzo, c.d. datore di pegno o ipoteca (v. VII,
7.9). Si analizzano di seguito i caratteri comuni a pegno e ipoteca, per poi esaminare
quelli specifici.
a) Inerenza a un bene determinato. Ciò conferisce alle due garanzie il carattere della
realità (perciò dette garanzie reali), atteggiandosi come diritti reali di garanzia su cosa al-
trui. Sono dunque assistiti dal diritto di seguito (o di sequela): il diritto di garanzia “se-
gue” il bene e il creditore può far valere la garanzia verso qualunque successivo acquirente

9
Ad es., le spese sostenute per gli interventi di bonifica di siti inquinati effettuati d’ufficio dall’autorità
competente sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti del-
l’art. 27482, perciò il privilegio prevale sull’ipoteca (art. 253 D.Lgs. 152/2006 (cod. amb.), come modificato
dal D.L. 76/2020, conv. con modif. con L. 120/2020). Si è però stabilito che l’ipoteca a garanzia del mutuo al
costruttore prevale sul privilegio dei promissari acquirenti (Cass., sez. un., 1-10-2009, n. 21045) (VIII, 2.23).
824 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

del bene 10, in tal senso accomunandosi ai diritti reali di godimento su cosa altrui (II, 3.5).
Della natura reale pegno e ipoteca hanno però solo il carattere esterno della assolu-
tezza, non anche quello interno della immediatezza, non potendo il creditore realizzare e
dunque escutere autonomamente la garanzia senza l’intervento degli organi giudiziari
(anzi gli è addirittura vietato). Pegno e ipoteca attribuiscono dunque al creditore: 1) il
diritto di sequela, cioè di seguire il bene anche se disposto a favore di terzi; 2) il diritto di
espropriare il bene su cui cade la garanzia (c.d. jus distrahendi); 3) il diritto di prelazione e
quindi di essere preferito sul ricavato con preferenza rispetto a tutti gli altri creditori
(c.d. jus prelationis).
La realità della garanzia assume dunque il limitato contenuto di consentire al credito-
re di ottenere la realizzazione coattiva del credito contro tutti gli altri creditori e aventi
causa dal debitore, soddisfacendosi con preferenza rispetto a questi. Come per il privilegio
speciale, il creditore che ha pegno o ipoteca su determinati beni non può pignorare altri
beni del debitore se non sottopone a esecuzione anche i beni gravati da pegno o ipoteca
(art. 29111).
La garanzia reale può concorrere con una garanzia personale (VII, 7.1) rispetto al
medesimo credito. Un regime particolare è in tema di fondo patrimoniale 11 (VII, 7.9).
La inerenza implica specialità dei beni. Le garanzie devono insistere su beni de-
terminati, specificamente individuati. Nell’oggetto della garanzia rientrano pure i frutti e
le pertinenze della cosa 12.
b) Accessorietà al credito. Con l’adempimento dell’obbligazione, viene meno la causa
giustificativa della garanzia: perciò il bene costituito in pegno va restituito, l’ipoteca deve
essere cancellata. Per l’art. 1200 il creditore che ha ricevuto il pagamento deve consentire
la liberazione dei beni dalle garanzie reali date per il credito e da ogni altro vincolo che
comunque ne limiti la disponibilità.
C’è poi il problema della sorte delle garanzie reali a fronte delle sopravvenute misu-
re di prevenzione (sequestro e confisca). Per l’art. 52 D.Lgs. 6.9.2011, n. 159 (testo
unico antimafia) la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi e i diritti reali di
garanzia anteriori al sequestro. È da tempo dibattuto un equilibrio tra circolazione del
credito ed esigenza di sicurezza, che tuttora persiste 13.

10
Se è venduta una cosa gravata da garanzie reali o altri vincoli non dichiarati dal venditore e ignorati dal
compratore, il compratore può sospendere il pagamento del prezzo; può inoltre far fissare al giudice un termine
entro il quale il venditore deve liberare la cosa dai vincoli, alla scadenza del quale, se la liberazione non è stata
eseguita, il contratto è risolto con obbligo del venditore di risarcire il danno (art. 1482).
11
Rispetto a beni costituiti in fondo patrimoniale, se non è stato espressamente consentito nell’atto di costitu-
zione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo se non con il con-
senso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione del giudice in camera di consiglio nei
soli casi di necessità o utilità evidente per i figli (art. 169); mentre l’esecuzione non può avere luogo per debiti
che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia (art. 170) (VII, 5.2).
12
Non può essere oggetto di pegno o ipoteca (né di alienazione o di esecuzione da parte dei creditori)
l’usufrutto legale sui beni dei figli (art. 326).
13
Il cessionario del credito ipotecario, per ottenere il riconoscimento del proprio diritto che evita l’estin-
zione della garanzia reale, deve allegare elementi idonei a rappresentare, sia la buona fede, come estraneità al-
l’attività illecita in precedenza realizzata dal contraente colpito dal sequestro, sia l’affidamento incolpevole,
inteso come positivo adempimento dell’obbligo di informazione imposto dal caso concreto, volto a escludere
una rimproverabilità di tipo colposo (Cass. pen. 18-4-2019, n. 38608).
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 825

L’accessorietà comporta determinatezza dei crediti. Entrambe le garanzie ope-


rano unicamente in presenza di crediti determinati, comprendendosi in questi sia il debi-
to principale che gli accessori (ad es. gli interessi) 14.
c) Indivisibilità della garanzia. La garanzia è unitaria su tutti i beni sui quali è co-
stituita, in ragione di un credito unitariamente garantito, per cui il creditore conserva la
garanzia per l’intero ammontare del credito garantito, finché non è integralmente soddi-
sfatto (artt. 2799 e 28092).
d) Reintegrabilità della garanzia. Il creditore ha diritto a conservare la correlazione
originaria tra garanzia e credito garantito, con diritto alla reintegrazione per l’eventualità di
diminuzione della garanzia: per l’art. 2743, se la cosa data in pegno o sottoposta a ipoteca
perisce o si deteriora, anche per caso fortuito, in modo da essere insufficiente alla sicurezza
del credito, il creditore può chiedere che gli sia prestata idonea garanzia su altri beni e, in
mancanza, l’immediato pagamento del suo credito (applicazioni in tema di apertura di cre-
dito bancario e di anticipazione bancaria: artt. 18442, 1850). La misura di potere chiedere
l’immediato pagamento del credito si riconduce al generale principio della decadenza dal
termine (art. 1186) (VII, 3.4).

5. Pegno. – Il pegno è la garanzia reale costituita dal debitore o da un terzo su beni


mobili determinati e diritti, a garanzia dell’obbligazione (c.d. accessorietà) (art. 2784), al fine
di garantire al creditore il soddisfacimento con prelazione sulla cosa ricevuta in pegno (art.
27871). Ciò importa la esistenza e la determinazione del credito garantito 15. La prelazione
ha luogo anche per gli interessi dell’anno in corso alla data del pignoramento e per gli inte-
ressi successivamente maturati, nei limiti della misura legale, fino alla vendita (art. 2788).
a) Sono oggetto di pegno: i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti e gli altri di-
ritti aventi per oggetto beni mobili (art. 2784). È consentito il pegno di titoli di credito
(artt. 2014 e 2026). È andato affermandosi l’indirizzo di ammettere anche il pegno di
beni futuri, costituendosi il diritto reale di pegno con la venuta a esistenza e lo sposses-
samento del bene stesso 16. Per i crediti di impresa è sempre più avvertita l’esigenza di
pegno su credito.

14
Deve escludersi la possibilità di un’ipoteca per crediti che non siano dipendenti da un rapporto già esi-
stente al momento della costituzione della garanzia, quali quelli derivanti da mutui previsti come una delle
forme alternative di una apertura di credito atipica o mista, le cui condizioni economiche e contrattuali siano
tuttavia rimesse a successive pattuizioni, con un generico riferimento alle condizioni di mercato e senza alcun
vincolo giuridico a contrarre o senza alcuna predeterminazione del relativo contenuto (Cass. 7-3-2017, n.
5630).
15
Il principio di accessorietà desumibile dall’art. 2784 comporta la nullità per difetto di causa dell’atto co-
stitutivo della prelazione stipulato in relazione ad un credito non ancora esistente, ma non esclude, in applica-
zione analogica dell’art. 2852, l’ammissibilità della costituzione della garanzia a favore di crediti condizionali o
che possano eventualmente sorgere in dipendenza di un rapporto già esistente; in quest’ultimo caso è necessaria,
ai fini della validità del contratto, la determinazione o la determinabilità del credito, la quale postula l’indivi-
duazione non solo dei soggetti del rapporto, ma anche della sua fonte; ferma restando la validità e l’efficacia
del contratto inter partes, la mera determinabilità del rapporto comporta l’inopponibilità del pegno agli altri
creditori (Cass. 5-12-2016, n. 24790; Cass. 25-3-2009, n. 7214).
16
Il pegno di cosa futura rappresenta una fattispecie a formazione progressiva che trae origine dall’accor-
do delle parti (accordo in base al quale vanno determinate la certezza della data e la sufficiente specificazione
del credito garantito), avente meri effetti obbligatori, e si perfeziona con la venuta ad esistenza della cosa e
con la consegna di essa al creditore (Cass. 26-3-2010, n. 7257).
826 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Il pegno è indivisibile e garantisce il credito finché questo non sia integralmente sod-
disfatto, anche se il debito o la cosa data in pegno è divisibile (art. 2799).
b) La costituzione del pegno avviene, di regola, mediante il c.d. spossessamento: il co-
stituente il pegno deve consegnare al creditore la cosa o il documento che conferisce
l’esclusiva disponibilità della cosa o del diritto. È dunque un contratto reale in quanto
la convenzione di pegno si perfeziona con la consegna della cosa o del documento, che
possono anche essere consegnati a un terzo designato dalle parti o essere posti in custo-
dia di entrambe in modo che il costituente sia nell’impossibilità di disporne senza la
cooperazione del creditore (art. 2786).
Non operando per i beni mobili non registrati un sistema di pubblicità mediante
pubblici registri, lo spossessamento del debitore assicura anche la certezza della circola-
zione. I terzi che acquistano dal debitore diritti su un bene mobile non registrato non in
suo possesso non possono invocare la tutela ex art. 11532. Analogamente gli altri credito-
ri non possono fare affidamento per l’espropriazione su un bene che non è nel possesso
del debitore. Per l’universalità di mobili, la costituzione avviene con l’acquisizione della
disponibilità possessoria della universalità 17.
Nel pegno di crediti la prelazione ha luogo quando il pegno risulta da atto scritto e la
costituzione di esso è stata notificata al debitore del credito dato in pegno ovvero è stata
da questo accettata con scrittura avente data certa (art. 2800). La giurisprudenza tende a
considerare la notifica al debitore come costitutiva del pegno, ma è più corretto pensare
a un presupposto di opponibilità, secondo il regime generale della cessione del credito 18;
se il credito costituito in pegno risulta da un documento, il costituente è tenuto a conse-
gnarlo al creditore (art. 2801); per restare il credito nella titolarità del concedente, il pe-
gno si distingue dalla cessione del credito in garanzia 19.
Il pegno di diritti diversi dai crediti (es. un diritto di usufrutto) si costituisce nella
forma propria di trasferimento dei singoli diritti (art. 2806). Per i titoli di credito, il dirit-
to di pegno si attua sul titolo (art. 1997), secondo la legge di circolazione del singolo tito-
lo; è espressamente previsto il pegno di azioni: il diritto di voto, salvo convenzione con-
traria, spetta al creditore pignoratizio (art. 2352).

17
In assenza di un registro di pubblicità per i mobili non registrati, in ipotesi di costituzione di pegno in
favore di più soggetti valgono i principi generali: se si tratta di bene materiale, vale la priorità della consegna;
se si tratta di credito, la priorità della notifica o dell’accettazione del debitore, se si tratta di altri diritti, la
priorità delle formalità di circolazione.
18
Il mero scambio dei consensi produce gli effetti prodromici disciplinati dagli artt. 2801 e 2802, ma non dà
luogo, alla nascita del diritto reale di garanzia sul credito, poiché questo sorge solo con la notificazione del titolo
costitutivo al terzo debitore, e cioè col completamento di una fattispecie a formazione successiva la quale assicu-
ra al creditore il diritto di prelazione sul credito (Cass. 12-6-2006, n. 13551; Cass. 24-6-1995, n. 7158). La rico-
struzione desta perplessità. Già la rubrica dell’art. 2800 usa l’espressione “condizioni della prelazione” e non
quella di “costituzione” impiegata dalla rubrica dell’art. 2786; anche il testo dell’art. 2800 prevede che “la prela-
zione non ha luogo” senza l’osservanza dell’onere, non facendo alcun riferimento alla costituzione. Può dunque
pensarsi che operi nella specie il fenomeno proprio della cessione del credito (art. 1264), per cui la sola efficacia
del pegno e dunque la relativa prelazione sia subordinata all’assolvimento dell’onere richiesto, mentre già prima
dell’assolvimento dell’onere sia costituito il pegno con il diritto del creditore alla riscossione di interessi e di pre-
stazioni periodiche e con l’obbligo di compiere gli atti conservativi del credito ricevuto in pegno (ex art. 2802).
19
La cessione del credito in garanzia dà luogo al trasferimento del credito dal patrimonio del cedente a
quello del cessionario; non va confusa con il pegno di credito e assimilata allo stesso, non integrando alcun
diritto di prelazione (anche) ai sensi della disciplina fallimentare (Cass. 7-4-2016, n. 6759).
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 827

c) L’effetto della costituzione del pegno è il vincolo di destinazione sul bene pi-
gnorato al soddisfacimento del creditore, con prelazione sulla cosa ricevuta in pegno (art.
27871). La prelazione non si può far valere se la cosa data in pegno non è rimasta in pos-
sesso del creditore o presso il terzo designato (art. 27872): la ripresa del possesso da parte
del debitore paralizza il diritto di prelazione e perciò il diritto di seguito. Quando il cre-
dito garantito eccede la somma di euro 2,58 (perciò quasi sempre) “la prelazione non ha
luogo” se il pegno non risulta da scrittura con data certa, la quale contenga sufficiente in-
dicazione del credito garantito e della cosa data in pegno (art. 27873). La formalità non
inerisce alla costituzione del pegno, ma rileva ai fini della prelazione: vale a rendere op-
ponibile la garanzia agli altri creditori del datore di pegno 20.
Il creditore non acquista la proprietà del bene ricevuto in pegno (che rimane al debi-
tore), ma assume una posizione funzionale alla realizzazione della garanzia reale. Ha un
dovere di gestione qualificata del bene ricevuto in pegno: il creditore può esercitare i
diritti funzionali alla realizzazione della garanzia nell’ipotesi di inadempimento; ma deve
assolvere gli obblighi di conservazione del bene in vista della restituzione al debitore a se-
guito dell’adempimento 21. Se è data in pegno una cosa fruttifera, il creditore, salvo patto
contrario, ha la facoltà di fare suoi i frutti, imputandoli prima alle spese e agli interessi e
poi al capitale (art. 2791). Se abusa della cosa ricevuta in pegno, il costituente può do-
mandarne il sequestro (art. 2793).
Il creditore, senza il consenso del costituente, non può usare la cosa per un fine di-
verso dalla conservazione; né può darla ad altri in pegno (c.d. suppegno) o concederne
il godimento (art. 2792). Il creditore deve restituire la cosa o il documento del credito
quando sia stato interamente soddisfatto (art. 2794).
Non perdendo il debitore la proprietà del bene, potrebbe anche alienarla a terzi; ma
tale vicenda ha un effetto non opponibile al creditore che, per il diritto di seguito, può
far vendere il bene anche se è passato in proprietà di un terzo. Il creditore che ha per-

20
La forma scritta è prevista dall’art. 27873 c.c., ai soli fini della prelazione sulla cosa oggetto della garan-
zia, mentre per le parti la convenzione costitutiva del pegno si perfeziona, ai sensi dell’art. 2786 c.c., con la
consegna della cosa al creditore: ciò basta ad escludere che il trasferimento ai nuovi titoli del vincolo pignora-
tizio originariamente gravante sui titoli scaduti, previsto dalla convenzione stipulata per iscritto dalle parti,
potesse realizzarsi solo a seguito di un ulteriore atto scritto (Cass. 1-10-2012, n. 16666). Il requisito della “suffi-
ciente indicazione della cosa” nella scrittura costitutiva del pegno (richiesta dall’art. 27873) mira essenzialmente
ad evitare, a tutela degli interessi degli altri creditori, che la cosa medesima possa essere sostituita con altre di
maggior valore (Cass. 23-11-2001, n. 14869; Cass. 7-6-1999, n. 5562).
Nei rapporti con enti che professionalmente compiono operazioni di erogazione di credito su pegno, la data
della scrittura può essere accertata con ogni mezzo (analogamente con le polizze) (art. 27874).
21
Se ha perduto il possesso della cosa, il creditore può, non solo esercitare le azioni possessorie, ma anche
quelle di rivendicazione in sostituzione del proprietario (art. 2789). Inoltre il creditore è tenuto a custodire la
cosa e risponde secondo le regole generali per la perdita ed il deterioramento (art. 27901); il costituente il pe-
gno è tenuto al rimborso delle spese occorse per la conservazione della cosa (art. 27902). Se la cosa data in
pegno si deteriora o perde valore in modo da compromettere la sicurezza del credito, sia il creditore che il
costituente possono chiedere al giudice l’autorizzazione alla vendita anticipata; il costituente può evitarla of-
frendo altra garanzia reale che il giudice riconosca idonea (art. 2795). Per il pegno di crediti, il creditore è te-
nuto a riscuotere gli interessi del credito o le altre prestazioni periodiche, imputandone l’ammontare prima
alle spese e agli interessi e poi al capitale; è tenuto a compiere gli atti conservativi del credito ricevuto in pe-
gno (art. 2802). Il creditore deve riscuotere, alla scadenza, il credito ricevuto in pegno; se questo ha ad oggetto
danaro o altre cose fungibili, a richiesta del debitore, deve effettuarne il deposito nel luogo stabilito d’accordo o
altrimenti determinato dall’autorità giudiziaria (art. 2803).
828 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

duto il possesso della cosa ricevuta in pegno ha diritto all’esercizio delle azioni a difesa
del possesso e può anche esercitare l’azione di rivendicazione se spettante al costituen-
te (art. 2789).
Restando il debitore inadempiente, il creditore può far vendere la cosa ricevuta in
pegno, secondo le forme stabilite dall’art. 2797, previa intimazione al debitore (ed even-
tualmente al terzo costituente) di pagare il debito e gli accessori, con l’avvertimento che
in mancanza si procederà alla vendita 22. Come può domandare al giudice che il bene gli
venga assegnato in pagamento fino alla concorrenza del debito, secondo la stima da farsi
con perizia o secondo il prezzo corrente se la cosa ha un prezzo di mercato (art. 2798).
Chi ha costituito il pegno non può esigerne la restituzione se non sono stati interamente
pagati il capitale e gli interessi e siano state rimborsate le spese relative al debito e al pe-
gno (art. 27941), conservando il creditore diritto ritenzione sul bene ricevuto in pegno.

6. Figure speciali di pegno. – Nell’esperienza economica operano diffuse pratiche di


pegno essenzialmente maturate nell’esperienza dei rapporti bancari.
a) Pegno irregolare. Vi è una deroga alla regola del mero spossessamento connesso alla
costituzione del pegno. Il debitore consegna al creditore cose fungibili (es. danaro o tito-
li) che il creditore acquista in proprietà e che è tenuto a restituire nello stesso genere e
nella medesima quantità successivamente all’estinzione del rapporto obbligatorio 23. Il
pegno irregolare (comportando il trasferimento della proprietà del bene al creditore pi-
gnoratizio) rappresenta un’eccezione rispetto alla tipica funzione di garanzia del pegno;
perciò, per la giurisprudenza, il trasferimento della proprietà deve essere espressamente
previsto dalla legge e ammesso alle condizioni da questa previste: diversamente deve es-
sere qualificato come pegno regolare 24.
Nei contratti di anticipazione bancaria si fa spesso ricorso al “pegno irregolare” a ga-
ranzia di anticipazione, quando sono vincolati depositi di danaro, merci o titoli che non
siano stati individuati o per i quali sia stata conferita alla banca la facoltà di disporre: la
banca deve restituire la somma o la parte delle merci o dei titoli che eccedono l’ammon-
tare dei crediti garantiti, in relazione al valore delle merci e dei titoli al tempo della sca-
denza dei crediti (art. 1851) 25; è la logica che ispira la validità del patto marciano rispet-

22
Se il debitore non propone opposizione entro cinque giorni o se questa è rigettata, il creditore può far
vendere la cosa al pubblico incanto (artt. 534 ss. c.p.c.) ovvero, se la cosa ha un prezzo di mercato, anche al
c.d. prezzo corrente (art. 15153) a mezzo di persona autorizzata a tali atti (art. 83 disp. att.). È in facoltà delle
parti convenire forme diverse per la vendita (art. 27974).
23
Cfr. Cass. 3-10-2018, n. 24137.
24
Sebbene le parti abbiano il potere di determinarne l’oggetto, la durata ed, eventualmente, la possibilità
di sostituzione mediante il meccanismo rotativo, non hanno anche la facoltà di qualificarlo come regolare o
irregolare, discendendo tale conseguenza giuridica dalle norme del codice civile in tema di diritti reali di ga-
ranzia opponibili a terzi, che hanno carattere indisponibile (Cass. 31-1-2014, n. 2120). Per l’ipotesi di ina-
dempimento del debitore, si è fatto ricorso all’istituto della compensazione di obbligazioni reciproche, benché
non corrispettive, tra l’obbligazione originaria del debitore e quella di restituzione del creditore, sicché, nel-
l’ipotesi di inadempimento del debitore, il creditore può fare definitivamente propria la somma ricevuta cor-
rispondente al credito garantito compensandolo con il suo debito di restituzione del tantundem, nel legittimo
esercizio del proprio diritto di prelazione (Cass. 1-4-2011, n. 7563).
25
Per la configurabilità del pegno irregolare ex art. 1851 è richiesto che il deposito di danaro vincolato a
garanzia del credito non sia stato individuato o che sia stata conferita alla banca la facoltà di disporne: in
mancanza di tali condizioni, il deposito di danaro vincolato a garanzia deve essere qualificato come pegno
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 829

to alla nullità del patto commissorio (VII, 5.3). È anche ricorrente la prassi di costituire
in pegno a favore della banca depositaria un libretto di deposito, con disponibilità della
banca 26.
Tale è anche il c.d. deposito cauzionale, versato a garanzia di adempimento di alcuni
obblighi (si pensi al deposito cauzionale corrisposto dal conduttore in occasione della sti-
pula del contratto di locazione 27 o in occasione di operazioni di leasing).
b) Pegno omnibus. Vi è una deroga alla regola della determinatezza del credito garan-
tito. In forza di apposita clausola di estensione, sono garantiti i crediti che potranno suc-
cessivamente sorgere tra le parti, costituendosi in una sola volta e con un medesimo atto
una garanzia aperta ed idonea ad estendere i propri effetti anche in futuro per i rapporti
di credito che dovessero intervenire successivamente. È costituito un diritto di pegno su
determinati titoli di credito depositati ed amministrati dalla banca a garanzia di tutti i
diritti di credito presenti e futuri derivanti dalle linee di finanziamento concesse o da
concedere in favore del soggetto affidatario.
Un diffuso orientamento tende a mitigare la portata di tale figura, richiedendosi al-
meno la determinabilità dei crediti garantiti al momento della costituzione del pegno 28.
Inoltre la clausola omnibus, valida tra le parti, è considerata inopponibile ai terzi al fine
di evitare possibili collusioni tra creditore e debitore a danno dei terzi.
c) Pegno rotativo. Vi è una deroga alla regola della specialità del bene oggetto di ga-
ranzia. Nella convenzione costitutiva della garanzia le parti prevedono la possibilità di
sostituire i beni originariamente costituiti in garanzia con altri beni: la determinazione del
pegno è riferita, non alla materialità di un bene, ma al suo valore economico, nella conti-
nuità del rapporto originario, i cui effetti risalgono alla consegna dei beni originariamen-
te dati in pegno. Il cliente della banca (debitore) si impegna a mantenere a disposizione
della banca (creditore) una provvista finanziaria costante che il creditore può sottoporre
ad esecuzione in ipotesi di inadempimento (e nelle altre ipotesi consentite) 29.

regolare (Cass. 12-9-2011, n. 18597; Cass. 10-3-2006, n. 5290). Il pegno di saldo di conto corrente bancario
costituito a favore della banca depositaria si configura come pegno irregolare quando sia conferita alla banca
la facoltà di disporre della relativa somma, mentre, nel caso in cui difetti il conferimento di tale facoltà, si
rientra nella disciplina del pegno regolare (Cass. 8-8-2016, n. 16618).
26
Il pegno di un libretto di deposito bancario costituito a favore della banca depositaria si configura co-
me pegno irregolare quando sia conferita espressamente alla banca la facoltà di disporre del relativo dirit-
to; mentre, nel caso in cui difetti il conferimento di tale facoltà, si rientra nella disciplina del pegno regola-
re, onde la banca garantita non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento (con obbligo di
riversare o scomputare il relativo ammontare), ma è tenuta a restituire il titolo o il documento stesso (Cass.
9-5-2000, n. 5845).
27
Con il rilascio dell’immobile, ove il locatore trattenga la somma in deposito senza proporre domanda
giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti o di importi
rimasti impagati, il conduttore può esigerne la restituzione; nel giudizio promosso dal conduttore per la resti-
tuzione del deposito cauzionale, l’esistenza di eventuali danni può essere dedotta a fondamento di domanda
riconvenzionale risarcitoria, nel rispetto dei termini processuali dettati a pena di decadenza (Cass. 5-7-2019,
n. 18069).
28
Perché il credito garantito possa ritenersi sufficientemente indicato, non occorre che esso venga specificato
nella scrittura costitutiva del pegno in tutti i suoi elementi oggettivi, bastando che la scrittura medesima contenga
elementi idonei a consentirne la identificazione (Cass. 19-3-2004, n. 5561).
29
Il c.d. “patto di rotatività” si connota come fattispecie a formazione progressiva, nascente da quell’ac-
cordo e caratterizzata dalla sostituzione, totale o parziale, dell’oggetto della garanzia, senza necessità di ulte-
830 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

d) Pegno gordiano. Vi è una deroga alla certezza del credito. La figura prende il nome
dall’imperatore Gordiano III, che l’introdusse nel III sec. d.c., con l’intento di tutelare il
creditore per una ulteriore posizione di pegno per un diverso credito verso il debitore.
Se dopo la costituzione del pegno sorge un altro debito verso il creditore, scadente pri-
ma del pagamento del debito cui inerisce il pegno, il creditore ha diritto di ritenzione a
garanzia del nuovo credito (art. 27942). La peculiarità è che una garanzia pignoratizia co-
stituita per una obbligazione, in forza di legge, si converte in un diritto di ritenzione del-
la cosa ricevuta in pegno a garanzia dell’adempimento di una differente obbligazione
successivamente costituita.
e) Pegno mobiliare non possessorio. È la figura più anomala di pegno, per addirittura
assenza di spossessamento. È funzionale al finanziamento di credito alle imprese, che non
possono spossessarsi di beni dell’azienda o di scorte o di prodotti. Se ne parlerà trattando
delle garanzie reali con esecuzione stragiudiziale (par. 12).

7. Ipoteca. – Sono stati anticipati i caratteri generali dell’ipoteca come garanzia reale,
comuni al pegno, così delineati: la inerenza a beni determinati; la specialità dei beni sui
quali insiste; la determinatezza dei crediti di riferimento; la indivisibilità della garanzia;
(par. 4).
L’ipoteca è la garanzia reale costituita dal debitore o da un terzo in favore del credi-
tore su beni immobili e mobili registrati a garanzia dell’obbligazione (c.d. accessorietà) 30;
come il pegno, ha la funzione di assicurare al creditore la prelazione sul ricavato della
vendita del bene espropriato (art. 2808) (per il terzo datore di ipoteca, VII, 7.9).
a) Sono oggetto di ipoteca i beni immobili che sono in commercio con le relative per-
tinenze 31; essendo previste le ipotesi di ipoteca relativa ai diritti reali di godimento, la
previsione dell’art. 28101 riferita a “immobili” è da intendersi alla proprietà (piena o nu-
da). Per la medesima norma sono pure capaci di ipoteca il diritto di usufrutto di beni
immobili (art. 2814), i diritti dell’enfiteuta e del concedente sul fondo enfiteutico (art.
2815), il diritto di superficie (art. 2816). Il diritto di servitù è escluso dal novero dei beni

riori stipulazioni, pur nella continuità del rapporto originario, i cui effetti risalgono alla consegna dei beni ini-
zialmente dati in pegno; il trasferimento del vincolo pignoratizio non richiede una nuova e distinta manifestazio-
ne di volontà delle parti o che l’indicazione dei diversi beni risulti da un atto scritto avente data certa, rivelandosi
sufficiente che la descritta sostituzione sia accompagnata dalla specifica indicazione di quelli sostituiti e dal rife-
rimento all’accordo suddetto, così consentendosi il collegamento con l’originaria pattuizione (Cass. 22-12-2015,
n. 25796). Il pegno rotativo non determina effetti novativi sul rapporto iniziale; deve ritenersi legittimo quando
ricorrono tre condizioni: il pegno risulti da atto scritto avente data certa (cioè una convenzione che preveda
espressamente un siffatto meccanismo di sostituzione dei beni dati in pegno); il bene originariamente oggetto del
pegno sia stato consegnato al creditore pignoratizio; il bene offerto in sostituzione abbia un valore non superiore
a quello sostituito (Cass. 5-3-2004, n. 4520). Vedi anche Cass. 11-11-2003, n. 16914. Per riferimenti normativi al
“patto di rotatività”, v. art. 87 D.Lgs. 58/1998; art. 34 D.Lgs. 213/1998; art. 5 Reg. C.E. 1346/2000.
30
L’accessorietà dell’ipoteca denota la mancanza di autonomia rispetto all’obbligazione garantita: l’ipoteca
non può, quindi, essere ceduta con effetti reali senza il credito garantito né trasferita a un chirografo, cui fa-
rebbe acquistare una prelazione prima inesistente; consegue altresì l’estinzione dell’ipoteca una volta afferma-
ta la simulazione del credito a garanzia del quale era stata concessa e l’inestensibilità della garanzia ipotecaria
all’obbligazione collegata al contratto dissimulato, poiché estranea al rapporto per la quale era stata prevista
(Cass. 6-11-2006, n. 23669).
31
L’ipoteca iscritta sul terreno sul quale insiste un capannone industriale si estende anche alla costruzione
in virtù del principio della normale estensione dell’ipoteca all’intero immobile, nei limiti in cui si estende il
diritto di proprietà ex art. 840 c.c. (Cass. 3-9-2019, n. 21993).
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 831

oggetto di ipoteca in quanto non è suscettibile di atto di disposizione (e dunque di


espropriazione) separatamente dalla proprietà del fondo per la cui utilità è costituito
(c.d. fondo dominante). Sono anche esclusi il diritto di uso e il diritto di abitazione per il
riferimento degli stessi ai bisogni del titolare e della sua famiglia (artt. 1021 e 1022).
Sono anche oggetto di ipoteca le rendite dello Stato e i beni mobili registrati (navi, ae-
romobili e autoveicoli), secondo l’elencazione dell’art. 28102, con rinvio alle norme che li
riguardano. È consentita la ipoteca sulla quota di comunione (artt. 11032 e 2825). Pos-
sono essere garantite con ipoteca anche le obbligazioni risultanti da titoli all’ordine o al
portatore (art. 2831).
In presenza di pericolo di danno ai beni ipotecati, in quanto il debitore o un terzo
compiono atti dai quali possa derivare il perimento o il deterioramento dei beni, il credi-
tore può domandare all’autorità giudiziaria che sia ordinata la cessazione di tali atti o
siano disposte le cautele necessarie per evitare il pregiudizio della garanzia (art. 2813);
facoltà correlata alla generale previsione di reintegrazione della garanzia patrimoniale ex
art. 2743 (quale carattere comune della garanzia patrimoniale).
b) La costituzione dell’ipoteca (ad opera del debitore o di un terzo) avviene mediante
iscrizione nei registri di pubblicità (art. 2808): trattasi dunque di una pubblicità costi-
tutiva (XIV, 1.2) (ampiamente in seguito). L’ipoteca è assistita dai requisiti di “speciali-
tà” e “indivisibilità” (art. 2809).
Con il requisito di specialità si intende che l’ipoteca deve essere iscritta su beni spe-
cialmente indicati e per una somma determinata in danaro (28091): c’è dunque necessità di
esatta identificazione dell’immobile o dei singoli immobili ipotecati 32 e di esatta determina-
zione dell’ammontare del credito, indicato in una somma di danaro 33. Omissioni o inesat-
tezze nel titolo o nella nota di iscrizione che inducano incertezza sulla persona del credito-
re o del debitore o sull’ammontare del credito ovvero sulla persona del proprietario del be-
ne gravato (quando l’indicazione è necessaria) o sull’identità dei singoli beni gravati com-
portano la invalidità dell’iscrizione (art. 2841) 34. L’esigenza di specialità comporta anche
che l’ipoteca non può essere riferita ad un rapporto obbligatorio non ancora esistente 35.
Con il requisito di indivisibilità si intende che l’ipoteca è indivisibile nel senso che
sussiste per intero sopra tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro
parte (art. 28092). Si estende ai miglioramenti, nonché alle costruzioni e alle altre acces-
sioni dell’immobile ipotecato (art. 2811). Se più sono gli immobili gravati da ipoteca,

32
Nell’atto di concessione dell’ipoteca l’immobile deve essere specificamente designato con l’indicazione della
sua natura, del comune in cui si trova, nonché dei dati di identificazione catastale; per i fabbricati in corso di co-
struzione devono essere indicati i dati di identificazione catastale del terreno su cui insistono (art. 2826).
33
Se la somma di danaro non è determinata negli atti in base ai quali è eseguita l’iscrizione o in atto suc-
cessivo, essa è determinata dal creditore nella nota per l’iscrizione; qualora tra la somma enunciata nell’atto e
nella nota vi sia divergenza, l’iscrizione ha efficacia per la somma minore (art. 2838).
34
Ogni omissione, inesattezza o incertezza nei titoli o nelle note di iscrizione ipotecaria, che determini a
sua volta incertezza sulla identità degli immobili gravati, determina la nullità della iscrizione ipotecaria (Cass.
2-10-2003, n. 14675).
35
Deve escludersi la possibilità di un’ipoteca per crediti che non siano dipendenti da un rapporto già esi-
stente al momento della costituzione della garanzia, quali quelli derivanti da mutui previsti come una delle
forme alternative di una apertura di credito atipica o mista, le cui condizioni economiche e contrattuali siano
tuttavia rimesse a successive pattuizioni, senza alcun vincolo giuridico a contrarre o senza alcuna predetermi-
nazione del relativo contenuto (Cass. 7-3-2017, n. 5630).
832 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

non c’è necessità di sottoporre ad escussione tutti i beni, rimanendo nella libertà del
creditore scegliere il bene o anche una parte dello stesso sul quale far valere l’ipoteca. E
questa rimane per l’intero fino a quando il credito garantito non sia interamente soddi-
sfatto sia per il capitale che per gli interessi e non siano estinti gli altri oneri (art. 2855).
L’iscrizione conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data; l’effetto cessa se l’iscri-
zione non è rinnovata prima che scada detto termine (art. 2847). Analogamente nei con-
fronti del terzo acquirente, salve le cause di sospensione ed interruzione (art. 2880). Con-
segue che, nei mutui ipotecari di durata superiore ai venti anni, l’istituto bancario è tenu-
to è rinnovare l’iscrizione prima della scadenza dei venti anni.
c) Effetto dell’ipoteca, come anche del pegno, è la costituzione di un diritto reale di
garanzia sul bene ipotecato. Il bene ipotecato rimane nella proprietà e nel possesso del
debitore o del terzo datore; è giuridicamente circolabile e possibile oggetto di alienazio-
ne da parte del proprietario, sebbene il vincolo ipotecario, in fatto, lo renda poco appe-
tibile sul mercato (specie se la somma per la quale è stata presa l’iscrizione copra l’intero
valore del bene).
L’ipoteca attribuisce al creditore il diritto di seguito, per cui il bene può essere espro-
priato anche in confronto del terzo acquirente e di soddisfarsi con preferenza sul prezzo
ricavato dalla vendita (art. 2808).
d) Riduzione. Quando la somma per la quale è stata presa l’iscrizione o la consistenza
dei beni gravati è eccessiva rispetto all’importo del credito, è consentito ottenere una ri-
duzione dell’ipoteca onde non ostacolare ingiustificatamente la utilizzazione dei beni. La
riduzione dell’ipoteca è eseguita riducendo la somma per la quale è stata presa l’iscri-
zione o restringendo l’iscrizione ad una parte più contenuta dei beni; in quest’ultimo ca-
so, se l’ipoteca ha ad oggetto un solo bene, la restrizione è possibile se il bene abbia parti
distinte o tali che si possano comodamente distinguere (art. 2872). Non è ammessa la ri-
duzione se la quantità dei beni o la somma è stata determinata per convenzione o per
sentenza, tranne che non siano stati eseguiti pagamenti parziali così da estinguere alme-
no il quinto del debito originario (art. 2873).
In ogni caso la riduzione deve rispettare un duplice limite: l’eccedenza del quinto per
ciò che riguarda l’importo del credito; l’eccedenza del terzo per ciò che riguarda il valore
dei beni (art. 2876).
e) Surrogazione. È il caso del creditore che ha ipoteca su un immobile del debitore
sul quale si è soddisfatto un creditore di grado anteriore, la cui ipoteca si estendeva però
ad altri beni dello stesso debitore; il creditore insoddisfatto può surrogarsi nell’ipoteca
iscritta dal creditore soddisfatto sugli altri beni, al fine di soddisfarsi su questi con prefe-
renza rispetto ai creditori posteriori alla propria iscrizione (c.d. surrogazione del creditore
perdente ex art. 2856) (ad es. un creditore iscrive ipoteca nel 2020 sull’immobile A, sul
quale un diverso creditore aveva già iscritto ipoteca, estesa all’immobile B; dopo che il
creditore di grado precedente si è soddisfatto sull’immobile A, il creditore restato insoddi-
sfatto può surrogarsi nell’ipoteca sull’immobile B del creditore soddisfatto, in precedenza
rispetto ad un terzo creditore che ha acceso ipoteca sull’immobile B nel 2022, quindi dopo
l’iscrizione del creditore insoddisfatto che era del 2020. Il senso della norma è la tutela del-
l’aspettativa di essere tutelati secondo l’ordine di iscrizione delle ipoteche 36.

36
La surrogazione è ammessa con un duplice limite: è esercitabile solo sui beni del comune debitore, e
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 833

La surrogazione (o sostituzione) di ipoteca è anche utilizzata in tema di muto ipote-


cario. Per la opponibilità della surrogatoria ai creditori posteriori è obbligatoria l’anno-
tazione della surrogazione a margine dell’iscrizione di ipoteca del creditore soddisfatto
(art. 28573).
f) Successione. Con il subentro di un terzo nel credito ipotecario si determina anche una
vicenda modificativa della titolarità dell’ipoteca. Ciò può avvenire con la cessione del credi-
to, in quanto, per effetto della cessione, il credito è trasferito con i privilegi e con le garan-
zie reali e personali (art. 1263); oppure mediante il pagamento con surrogazione, potendo il
creditore surrogare il terzo che ha pagato nei propri diritti (art. 1201) o potendo il debitore
che ha preso a mutuo la somma surrogare il mutuante nei diritti del creditore (art. 1202). È
una esperienza diffusa nelle ipotesi di collocazione dei mutui ipotecari: gli istituti di credito
conseguono un pagamento anticipato (sebbene inferiore), evitando la procedura di espro-
priazione; il terzo sconta un prezzo inferiore di acquisto del credito, che metterà successi-
vamente ad esecuzione sull’immobile ipotecato eventualmente chiedendone l’assegnazione.
g) Estinzione. La vicenda estintiva del diritto di ipoteca è correlata, vuoi alla sorte del-
l’iscrizione (per essere questa costitutiva), vuoi alla sorte del titolo sul quale la garanzia è
fondata. Le cause di estinzione dell’ipoteca sono tassative e sono così indicate dal-
l’art. 2878: 1) la cancellazione dell’iscrizione (che di regola è posteriore al venir meno del
titolo); 2) la mancata rinnovazione dell’iscrizione nel termine di venti anni dalla iscrizio-
ne (ma si è visto come l’art. 2848 consente la “nuova iscrizione” quando perdura l’ef-
ficacia del titolo); 3) l’estinzione dell’obbligazione (è la più ricorrente causa di estinzio-
ne, connaturata alla natura accessoria della garanzia, per cui venuta meno l’obbligazione
viene meno anche la garanzia); 4) il perimento del bene ipotecato (ma con surrogazione
dell’indennità assicurativa alla cosa ex art. 2742); 5) la rinunzia del creditore all’ipoteca
(deve essere espressa e risultare da atto scritto a pena di nullità: art. 2879); 6) lo spirare
del termine di durata dell’ipoteca o l’avveramento della condizione risolutiva; 7) la pro-
nunzia di provvedimento che trasferisce all’acquirente il diritto espropriato e ordina la
cancellazione della ipoteca.
Se il bene ipotecato è alienato, l’ipoteca si estingue per prescrizione, indipendente-
mente dal credito, col decorso di venti anni dalla data della trascrizione del titolo di ac-
quisto, salve le cause di sospensione e d’interruzione (art. 2880).

8. Titolo dell’ipoteca. – Il titolo dell’ipoteca costituisce la fonte che dà diritto alla


iscrizione dell’ipoteca e ne consente la costituzione. In ragione della peculiarità del tito-
lo, originano tre tipi di ipoteca: legale, giudiziale e convenzionale; anche se la costituzio-
ne avviene sempre con la iscrizione nei registri di pubblicità (par. 7).
a) Ipoteca legale. Il titolo dell’ipoteca è nella legge, che prevede in favore di alcuni
soggetti il diritto alla iscrizione ipotecaria. Per l’art. 2817 hanno diritto all’iscrizione di
ipoteca legale: 1) l’alienante sopra gli immobili alienati per l’adempimento degli obblighi
che derivano dall’atto di alienazione, quale è tipicamente il pagamento del prezzo (c.d.

non di un terzo; non è esercitabile sui beni alienati dal debitore, quando l’alienazione è trascritta anterior-
mente all’iscrizione ipotecaria del creditore perdente (art. 28571).
Si è detto della surrogazione legale nei diritti del creditore a vantaggio di chi, essendo creditore ancorché
chirografario, paga un altro creditore che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo
pegno o delle sue ipoteche (art. 1203, n. 1) (surrogazione ipotecaria per pagamento) (VII, 2.7).
834 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

ipoteca dell’alienante); 2) i coeredi, i soci ed altri condividenti per il pagamento dei con-
guagli sopra gli immobili assegnati ai condividenti ai quali incombe tale obbligo (c.d.
ipoteca del condividente); 3) lo Stato sopra i beni dell’imputato e della persona civilmente
responsabile (c.d. ipoteca dello Stato). L’ipoteca dell’alienante e quella del condividente
sono disciplinate dal codice civile; l’ipoteca dello Stato è regolata dal codice penale e da
quello di procedura penale.
Il conservatore dei registri immobiliari, afferente all’Agenzia delle entrate (ufficio del
territorio), nel trascrivere un atto di alienazione o di divisione, deve iscrivere d’ufficio l’i-
poteca legale che spetta all’alienante e al condividente, a meno che vi sia stata rinunzia
all’ipoteca legale da parte dell’alienante o del condividente o sia allegato un atto pubbli-
co o una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente da cui
risulti che gli obblighi sono stati adempiuti (art. 2834).
Una ipotesi particolare di ipoteca prevista per legge è quella operante in materia tribu-
taria ad opera del concessionario della riscossione, ai sensi dell’art. 77 D.P.R. 29.9.1973, n.
602, secondo cui, decorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla notificazione
della cartella di pagamento, “il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobi-
li del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo
per cui si procede” 37. La specificità sta nel fatto di fondarsi l’ipoteca su un provvedimen-
to amministrativo 38 (il problema si è posto anche con riferimento alla esecuzione sui be-
ni e frutti del fondo patrimoniale) 39.
b) Ipoteca giudiziale. Il titolo dell’ipoteca è in un provvedimento giudiziale. In parti-
colare sono titoli per l’iscrizione dell’ipoteca sui beni del debitore la sentenza di con-
danna al pagamento di una somma o all’adempimento di altra obbligazione ovvero al
risarcimento dei danni anche da liquidarsi successivamente, nonché ogni altro provvedimen-
to giudiziale al quale la legge attribuisce il medesimo effetto (art. 2818). È sufficiente una
sentenza di condanna generica al risarcimento dei danni. La legge indica quali titoli utili alla
iscrizione dell’ipoteca giudiziale: il lodo arbitrale, quando è reso esecutivo dal tribunale (artt.
2819 e 8252 c.p.c.); il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo (art. 655 c.p.c.); il verbale di
accordo amichevole di conciliazione (art. 12 D.Lgs. 28/2010); l’accordo di composizione
della controversia nella negoziazione assistita (art. 5 D.L. 132/2014, conv. con L. 162/2014).
Costituisce abuso del diritto la iscrizione per un valore sproporzionato al credito 40.

37
L’agente della riscossione, anche al solo fine di assicurare la tutela del credito da riscuotere, può iscrive-
re la garanzia ipotecaria di cui al co. 1, purché l’importo complessivo del credito per cui si procede non sia
inferiore complessivamente a ventimila euro (co. 1 bis); e deve notificare al proprietario dell’immobile una
comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il
termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca (co. 2 bis).
38
Al pari del fermo ex art. 86 D.P.R. 602/1973, anche l’ipoteca di cui all’art. 77 cit. è stata considerata un
atto preordinato all’espropriazione, dovendo così soggiacere agli stessi limiti per questa stabiliti dal preceden-
te art. 76 (Cass., sez. un., 12-4-2012, n. 5771; Cass., sez. un., 22-2-2010, n. 4077). La stessa ha natura cautelare
e non è atto dell’espropriazione (Cass. 12-2-2016, n. 2879).
39
L’iscrizione ipotecaria per debiti tributari, ex art. 77 D.P.R. 602/1973, su beni facenti parte di un fondo
patrimoniale è soggetta alle condizioni ex art. 170 c.c., sicché è legittima se l’obbligazione tributaria sia stru-
mentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità a tali bisogni, gra-
vando sul debitore opponente l’onere della prova di esclusione dalla esecuzione (Cass. 23-8-2018, n. 20998;
Cass. 24-1-2018, n. 1806; Cass. 11-7-2017, n. 17076; Cass. 5-3-2013, n. 5385).
40
Il creditore che, senza adoperare la normale diligenza, iscriva ipoteca su beni per un valore sproporzio-
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 835

È bene sottolineare che non è il provvedimento giudiziale a costituire l’ipoteca. Il prov-


vedimento giudiziale contiene la condanna al pagamento: su tale fondamento, e dunque
in virtù di tale titolo, il creditore ha diritto a iscrivere ipoteca sugli immobili appartenen-
ti al debitore e su quelli che gli pervengono successivamente alla condanna, a misura che
egli li acquista (art. 2828) 41. Talvolta è la legge stessa a prevedere che la sentenza costi-
tuisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale (ad es. la sentenza di separazione o di-
vorzio che impone il pagamento di un assegno a carico di un coniuge: artt. 1565 e. 82 l.
div.). Si può anche iscrivere ipoteca in base a sentenze pronunziate da autorità giudizia-
rie straniere, dopo che ne è stata dichiarata l’efficacia dall’autorità giudiziaria italiana
(art. 2820).
c) Ipoteca volontaria. Il titolo dell’ipoteca è nella volontà privata. Può essere con-
cessa (dal debitore o dal terzo) per contratto (c.d. ipoteca convenzionale) o per atto uni-
laterale, ad esclusione del testamento (art. 2821) 42. La esclusione della fonte testamenta-
ria mira ad evitare che il debitore possa alterare la situazione dei suoi creditori per il
tempo in cui egli avrà cessato di vivere, così derogando alla regola della par condicio dei
creditori del defunto (Relaz. cod. civ., n. 1146).
L’iscrizione ipotecaria eseguita in virtù di un titolo annullabile rimane convalidata
con la convalida del titolo (art. 2824).
La concessione di ipoteca deve farsi con atto solenne (atto pubblico ovvero scrittura
privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente), contenente le indica-
zioni dell’immobile ipotecato, con specificazione della natura dell’immobile, del comune
in cui si trova e dei dati di identificazione catastale (art. 2826).
Si ripropongono i medesimi conflitti suscitati dai negozi su beni altrui o di beni futu-
ri, con gli adattamenti richiesti dal modo di costituzione dell’ipoteca. In particolare, la
concessione di ipoteca su beni altrui è valida, anche se inefficace per l’alienità del bene
concesso in ipoteca: l’iscrizione dell’ipoteca può essere validamente presa solo quando il
bene è acquistato dal concedente 43 (art. 28221). L’atto di concessione ha efficacia obbli-
gatoria: il concedente assume l’obbligo di procurare al creditore la costituzione di ipote-
ca (conseguendo il consenso del proprietario alla costituzione dell’ipoteca o acquistando
senz’altro la cosa) (v. art. 1476 sulla vendita di cosa altrui). Analogamente, se è concessa
ipoteca su beni futuri, l’ipoteca può essere validamente iscritta solo quando la cosa è ve-
nuta ad esistenza (art. 2823) (v. art. 1472 sulla vendita di cose future).

nato rispetto al credito garantito, secondo i parametri previsti dagli artt. 2875 e 2876 c.c., incorre, qualora sia
accertata l’inesistenza del diritto per cui è stata iscritta l’ipoteca giudiziale medesima, nella responsabilità ag-
gravata prevista dall’art. 962 c.p.c., configurandosi un abuso della garanzia patrimoniale in danno del debitore
(Cass. 5-4-2016, n. 6533).
41
Il creditore che sia munito di un titolo esecutivo nei confronti di una società di persone può avere inte-
resse a dotarsi di un secondo titolo esecutivo nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, al fine di po-
ter iscrivere ipoteca giudiziale sui beni immobili personali di questi ultimi, non potendo a tal fine avvalersi del
titolo ottenuto nei confronti della società (Cass. 28-8-2019, n. 21768).
42
L’atto costitutivo d’ipoteca si configura ordinariamente come negozio unilaterale, potendo constare an-
che della sola volontà del concedente, senza che vi sia bisogno, per la nascita del vincolo, dell’accettazione del
creditore, la quale fa invece assumere al negozio struttura contrattuale, come risultante di un accordo bilatera-
le tra concedente e beneficiario (Cass. 14-10-2005, n. 19963).
43
Se l’ipoteca è concessa da persona che agisce come rappresentante senza averne la qualità, l’iscrizione può
essere validamente presa solo quando il proprietario ha ratificato la concessione (art. 28222).
836 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

L’ipoteca costituita sopra la quota di beni indivisi da uno dei partecipanti alla comu-
nione produce effetto rispetto a quei beni o a quella porzione di beni che saranno a lui
assegnati nella divisione (art. 2825) 44.

9. Pubblicità ipotecaria e formalità. – Nell’ultima parte del libro si parlerà della


pubblicità degli atti dispositivi di immobili e di mobili registrati, individuando l’impian-
to e l’impostazione dei registri. Si vedrà come la costituzione e la vita dell’ipoteca sono
formalizzate nei registri immobiliari (XIV, 2.3), mentre per la costituzione su mobili regi-
strati operano distinti e appositi registri 45. È qui anticipata la trattazione della pubblicità
ipotecaria per costituirsi l’ipoteca mediante iscrizione nei registri immobiliari, sicché an-
che la vita dell’ipoteca va pubblicizzata. L’attenzione è rivolta alla ipoteca su immobili,
ma i risultati sono estensibili alla ipoteca mobiliare.
a) Iscrizione. La costituzione dell’ipoteca (c.d. accensione dell’ipoteca) avviene me-
diante iscrizione nell’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si trova l’immobile,
con la presentazione del titolo costitutivo dell’ipoteca insieme con una nota sottoscritta
dal richiedente in doppio originale 46, con indicazione dell’ammontare del credito per il
quale si iscrive ipoteca 47, secondo le formalità previste dagli artt. 2827 ss. (vedi in gene-
rale la pubblicità immobiliare: XIV, 2). Per i mobili registrati, l’iscrizione va presa presso
il registro dove è iscritto il bene mobile.
Essenziale è il grado dell’ipoteca, che è determinato secondo l’ordine di iscrizione
dell’ipoteca nei registri immobiliari. L’ordine di soddisfacimento tra più creditori ipote-
cari è fissato appunto dall’ordine di iscrizione ipotecaria: chi ha grado precedente è pre-
ferito a chi ha grado successivo. Nella eventualità di più iscrizioni ipotecarie (in favore di
più creditori), la preferenza tra i creditori è data dalla priorità temporale tra le varie
iscrizioni, che si esprime attraverso un ordine cronologico delle iscrizioni medesime, che
assegna il grado dell’ipoteca: l’ipoteca prende appunto grado dal momento della sua
iscrizione, anche se è iscritta per un credito condizionale (art. 2852). Il numero d’ordine
di iscrizione determina il grado dell’ipoteca: il numero più antico individua il 1° grado,
quello successivo il 2° grado, e così di seguito. L’ordine delle ipoteche segna l’ordine di
pagamento dei vari creditori, cominciandosi a soddisfare il creditore di 1° grado, poi
quello di 2° grado, e così di seguito. Se, dopo soddisfatto per intero il creditore di 1°

44
L’ipoteca iscritta su edificio o complesso condominiale, anche da costruire o in corso di costruzione, a
garanzia di finanziamento di intervento edilizio ai sensi del D.Lgs. 385/1993, prevale sulla trascrizione anterio-
re dei contratti preliminari ex art. 2645 bis, limitatamente alla quota di debito derivante dal finanziamento
che il promissario acquirente si sia accollata con il contratto preliminare o con altro atto successivo (art.
2825 bis).
45
Per gli autoveicoli, v. R.D.L. 15.3.1927, n. 436: per le navi, v. artt. 565 ss. cod. nav.; per gli aeromobili, v.
artt. 1027 ss. cod. nav.
46
L’art. 2839 fissa il contenuto della nota di iscrizione: oltre l’indicazione del creditore, del debitore e del-
l’eventuale terzo datore di ipoteca, e della specificazione del credito e degli interessi, vanno indicati la natura
e la situazione dei beni gravati, con le indicazioni dell’immobile ipotecato prescritte dall’art. 2826.
47
Se la somma di danaro per la quale la iscrizione è eseguita non è determinata nel titolo o in un atto suc-
cessivo, essa va determinata dal creditore nella nota per la iscrizione; qualora vi sia divergenza, l’iscrizione ha
efficacia per la somma minore (art. 2838). Eseguita l’iscrizione, è restituito al richiedente uno degli originali
della nota, con la certificazione in calce al medesimo della data e del numero d’ordine dell’iscrizione (art.
2840). Le formalità per l’iscrizione dell’ipoteca sono previste dall’art. 2839. Salvo patto contrario, le relative
spese sono a carico del debitore, ma devono essere anticipate dal richiedente.
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 837

grado, non c’è capienza per i creditori ipotecari con numero successivo e quindi di grado
posteriore, questi sono costretti a soddisfarsi sul restante patrimonio in concorso con i
creditori chirografari. Si comprende pertanto come, in presenza di un patrimonio non
sufficiente a soddisfare l’intera debitoria, l’interesse alla ipoteca è in ragione del grado
ipotecario di iscrizione.
Se intervengono richieste contemporanee d’iscrizione, in quanto più persone presen-
tano contemporaneamente la nota per ottenere l’iscrizione contro la stessa persona o su-
gli stessi immobili, le iscrizioni sono eseguite con lo stesso numero, facendosi di ciò men-
zione nella ricevuta spedita ai singoli richiedenti (art. 2853).
L’iscrizione dell’ipoteca fa collocare nello stesso grado le spese dell’atto di costituzio-
ne, quelle della iscrizione e rinnovazione e quelle ordinarie occorrenti per l’intervento nel
processo di esecuzione. In ogni caso l’iscrizione per un capitale che produce interessi fa
collocare nello stesso grado gli interessi dovuti, con diverse modalità a seconda che trat-
tasi o meno di interessi convenzionali (art. 2855).
Anche i conflitti tra creditore ipotecario e titolari dei singoli diritti reali incidenti
sul bene ipotecato sono risolti attraverso la priorità nella pubblicità. Le servitù, l’usufrut-
to, l’uso e l’abitazione, trascritti dopo la iscrizione dell’ipoteca, non sono opponibili al
creditore ipotecario che può fare subastare la cosa come libera. Con la espropriazione
dell’immobile i detti diritti si estinguono e i titolari sono ammessi a far valere le loro ra-
gioni sul ricavato, con preferenza rispetto alle ipoteche iscritte posteriormente alla tra-
scrizione dei diritti medesimi. Quanto al diritto di superficie e al diritto di enfiteusi, tra-
scritti posteriormente all’iscrizione dell’ipoteca, valgono le disposizioni degli artt. 2858 ss.
relative agli effetti dell’ipoteca rispetto al terzo acquirente (art. 2812). Specifici diritti so-
no accordati terzo acquirente 48.
b) Postergazione di grado. È possibile lo scambio del grado tra creditori ipotecari, pur-
ché non siano lesi i creditori ipotecari di grado successivo. Così due creditori di grado
immediatamente successivo possono scambiarsi il grado, con una postergazione in se-
quenza: la posposizione non nuoce al creditore di grado successivo, che comunque ha
davanti a sé entrambi i creditori (ad es. sussistono un credito di 1° grado di 100, un cre-
dito di 2° grado di 200 e un credito di 3° grado di 500; se i primi due scambiano il gra-
do, il credito di 3° grado rimane nella medesima posizione di avere innanzi due crediti
per un complessivo di 300). Può anche intervenire uno scambio di grado tra creditori
con numero di iscrizione non immediatamente successivo, con postergazione per salto,

48
Al terzo acquirente del bene ipotecato, che ha trascritto il titolo di acquisto, sono accordati tre fonda-
mentali diritti:
a) diritto di evitare l’espropriazione dei beni ipotecati, attraverso le seguenti facoltà, a sua scelta: 1) pagare
integralmente i creditori ipotecari; 2) rilasciare i beni ipotecati ai creditori ipotecari; 3) liberare l’immobile
dall’ipoteca (c.d. purgazione dell’ipoteca) (art. 2858);
b) diritto di far separare dal prezzo della vendita la parte relativa ai miglioramenti eseguiti dopo la trascri-
zione dell’acquisto, anche se non può ritenere l’immobile per causa di miglioramenti (art. 28642);
c) diritto ad indennità verso il debitore (autore dell’alienazione), anche se si tratta di acquisto a titolo gra-
tuito, se ha pagato i creditori iscritti ovvero ha rilasciato l’immobile o ha sofferto l’espropriazione; in dipen-
denza di ciò ha pure diritto di subingresso nelle ipoteche dei creditori soddisfatti sugli altri beni del debitore
(trattasi in sostanza della surrogazione legale ex art. 1203, n. 2). Se alcuni beni sono stati alienati a terzi, il ter-
zo ha azione solo contro coloro che hanno trascritto il proprio acquisto in data posteriore alla trascrizione del
suo acquisto (art. 2866).
838 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

nei limiti però di non ledere il creditore di grado intermedio (nell’esempio fatto, se lo
scambio avviene tra il credito di 1° grado di 100 e quello di 3°grado è di 500, il credito
di 2° grado di 200 si trova innanzi un credito di 500 e non più di 100; lo scambio tra i
due crediti può avvenire solo nei limiti di 100, sicché il creditore di 2° grado mantiene
innanzi un credito di 100, cioè della medesima somma).
Per entrambe le ipotesi di postergazione non si ha vendita in quanto non c’è scambio
di diritto contro prezzo, ma solo scambio di due diritti, sicché può parlarsi di permuta.
Di entrambe va fatta annotazione in margine dell’iscrizione (art. 2843).
c) Rinnovazione. Si è visto come l’iscrizione conserva il suo effetto per venti anni dal-
la sua data (art. 2847). È consentito evitare la cessazione dell’effetto dell’iscrizione con la
rinnovazione dell’iscrizione prima dello scadere dei venti anni 49. L’ipoteca è rinno-
vata di altri venti anni, e così di seguito, sempre nel medesimo grado della prima iscrizione.
La rinnovazione consente di prolungare indefinitamente l’effetto dell’iscrizione fino alla
estinzione del diritto di ipoteca (es. per l’estinzione dell’obbligazione garantita).
Se il creditore lascia inutilmente spirare il termine di venti anni senza rinnovare l’iscri-
zione, l’effetto dell’originaria iscrizione cessa, così venendo meno gli effetti favorevoli della
eseguita pubblicità. Il creditore potrà prendere una nuova iscrizione (quando il titolo per
l’iscrizione conserva la sua efficacia), ma l’ipoteca prende il grado dalla data della nuova
iscrizione(art. 2848), con varie conseguenze negative per il creditore: anzitutto, durante
il ventennio, un altro creditore potrebbe aver preso iscrizione, sicché tale ipoteca ha un
grado anteriore e perciò con diritto di essere soddisfatto con preferenza; inoltre la nuova
iscrizione non può essere fatta valere contro i terzi acquirenti dell’immobile che abbiano
trascritto il loro titolo prima della nuova iscrizione (art. 28482). Sicuramente la pubblici-
tà ha funzione di opponibilità ai terzi, mentre è dibattuta la funzione costitutiva 50.
d) Annotazione. Si è detto delle varie vicende che possono inerire alla vita dell’ipote-
ca, sia rispetto alla titolarità, con trasmissione dell’ipoteca in capo ad altro soggetto che
ha acquisito la titolarità del diritto di credito, cui inerisce l’ipoteca; sia con riguardo al
contenuto, per l’intervenuta riduzione dell’ipoteca per riduzione del credito per il quale è
stata presa o per concentrazione su una parte più contenuta dei beni; sia ancora rispetto
alla collocazione d’ordine, per disposizione del grado con scambio o surrogazione. Di tali
vicende, come di ogni altra vicenda conseguente ad atti dispositivi del credito, va fatta
annotazione in margine dell’iscrizione (art. 2843) (in un registro telematico, a seguito del-
l’iscrizione) (in generale della funzione e della natura della formalità dell’annotazione se
ne parlerà con la pubblicità: XIV, 2.3).
e) Cancellazione. La cancellazione dell’iscrizione non è automatica alla estinzione del
credito, implicando un’attività successiva 51: ad es. il pagamento dell’ultima rata di muto

49
A nulla rileva che il termine ventennale spiri in pendenza del processo di esecuzione, a meno che non
sia già stato emesso prima della scadenza del termine il decreto di trasferimento del bene ipotecato (Cass.
14-5-2012, n. 7498). Le formalità per la rinnovazione sono previste dall’art. 2850.
50
Cfr. Cass. 29-1-2016, n. 1671: Il credito di chi si surroghi nella posizione del creditore ipotecario, a se-
guito di cessione annotata a margine della iscrizione ipotecaria, prende lo stesso grado dell’ipoteca iscritta,
ma il privilegio ipotecario non si estende alle spese necessarie per l’annotazione, avendo quest’ultima solo
funzione di opponibilità ai terzi della modifica soggettiva del credito e non partecipando della funzione di
costituzione o di mantenimento della ipoteca.
51
Le formalità per la cancellazione sono previste dagli artt. 2882 ss.
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 839

estingue l’obbligazione ma non produce la cancellazione dell’ipoteca, che prosegue fino


a venti anni dopo la data di iscrizione della formalità ipotecaria nei pubblici registri im-
mobiliari 52.
Può, anzitutto, avvenire per volontà del creditore, manifestata mediante atto pubblico
o per scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (art. 2882).
È necessaria la capacità del creditore per operare la liberazione del debitore; diversamente
è richiesto l’intervento dei soggetti di ausilio (ex artt. 320, 374, 394, 424) (art. 2883).
Se il creditore iscritto non consente alla cancellazione quando è cessata l’efficacia del
titolo, è tenuto al risarcimento dei danni verso il proprietario del bene ipotecato per gli
ostacoli conseguenti sulla circolazione del bene (arg. art. 1200), secondo il principio di
correttezza (VII, 3.3). La cancellazione può essere ordinata con sentenza passata in giudi-
cato o con altro provvedimento definitivo delle autorità competenti (art. 2884) 53.

C) GARANZIE REALI CON ESECUZIONE STRAGIUDIZIALE

10. Il sostegno finanziario alle imprese e ai consumatori. – Si è visto come il cre-


dito sia alimento essenziale della vita dell’impresa e volano dell’economia di mercato;
anche il credito al consumo, favorendo l’assorbimento dei prodotti, incentiva la crescita
economica. Da tempo è emersa l’esigenza di facilitare il ricorso al credito con il coinvol-
gimento delle banche, evitando però alle stesse il pericolo del protrarsi di inadempimenti
dei clienti, che determinerebbe una diversa anomalia del sistema economico per l’arre-
starsi dei flussi di prestito.
Sono così maturate figure composite di garanzia che, per un verso, consentono di ac-
cedere al credito senza privarsi di risorse e beni utili all’attività economica, e dall’altro
permettono alle banche il recupero privilegiato del credito in autotutela attraverso la
escussione diretta della garanzia, che è l’essenza del patto marciano (VII, 5.3), senza scon-
tare lentezze e costi della esecuzione giudiziaria (VIII, 10.5).
Il sistema di escussione del patrimonio del debitore attraverso la esecuzione giudiziaria
è eroso e spesso stravolto in funzione di obiettivi economici di sostegno nell’accesso al cre-
dito, potendo le banche contare su procedure stragiudiziali semplificate e celeri per recu-
perare le somme erogate in caso di inadempimento 54.

52
Con il D.Lgs. 14.12.2010, n. 218, è prevista una cancellazione semplificata delle ipoteche a garanzia di
obbligazioni da contratti di mutuo. Per ogni tipo di finanziamento, purché concesso da una banca, da una
finanziaria o da ente previdenziale obbligatorio, il TUB consente al mutuatario che abbia adempiuto i suoi
obblighi di pagamento, di ottenere la cancellazione dell’ipoteca a cura della banca in tempi relativamente
brevi e senza aggravio di ulteriori spese.
53
La cancellazione della iscrizione toglie valore a quest’ultima, non potendosi procedere ad una nuova
iscrizione; invece la mancata rinnovazione nel ventennio produce effetti più limitati, perché se il titolo sussiste,
nonostante la sopravvenuta inefficacia dell’iscrizione, può procedersi ad una nuova iscrizione (Cass. 16-2-1994,
n. 1505). La dichiarazione di nullità, l’annullamento, la risoluzione, la rescissione, la revocazione, l’avvera-
mento della condizione risolutiva relativi all’atto che ha dato luogo alla iscrizione devono annotarsi a margine
della iscrizione dell’atto stesso (art. 26551).
54
Con comunicato del Ministero econ. e finanze del 4.5.2016 sono state sottolineate “le ripercussioni po-
sitive sull’economia reale del complesso degli interventi normativi in quanto le banche, potendo rientrare più
facilmente dei loro crediti, disporranno di spazi maggiori in bilancio per erogare prestiti alle imprese che, nel
contempo, potranno più facilmente ottenere finanziamenti dagli istituti di credito”.
840 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

11. Contratti di garanzia finanziaria. – Con D.Lgs. 21.5.2004, n. 170, come modifi-
cato dall’art. 2 D.Lgs. 24.3.2011, n. 48, è stata data attuazione alla direttiva 2002/47/CE in
materia di contratti di garanzia finanziaria. Sono tali i contratti di pegno, di cessione del
credito, di trasferimento della proprietà di attività finanziarie con funzione di garanzia
(compreso il contratto di pronti contro termine) e ogni altro contratto avente ad oggetto
attività finanziarie volto a garantire l’adempimento di obbligazioni finanziarie, cioè di ob-
bligazioni (anche condizionali o future) al pagamento di una somma di danaro ovvero
alla consegna di strumenti finanziari. È richiesta la forma scritta sia ai fini della prova che
per la opponibilità ai terzi.
Datore di tale garanzia può essere un soggetto diverso dal debitore; ma i contraenti
devono rientrare in una delle categorie indicate dalla legge 55.
La normativa introdotta mira a facilitare la realizzazione del credito, con la previsione
di validità dei contratti che attribuiscono al creditore pignoratizio poteri di escussione
della garanzia in via di autotutela 56, salva la successiva verifica nell’ipotesi di non corretto
esercizio dei poteri attribuiti. Il creditore pignoratizio informa immediatamente per iscritto
il datore della garanzia stessa o, se del caso, gli organi della procedura di risanamento o
di liquidazione in merito alle modalità di escussione adottate e all’importo ricavato e re-
stituisce contestualmente l’eccedenza.
Le deviazioni rispetto all’art. 2744 sul divieto del patto commissorio si giustificano
con la natura della garanzia offerta: trattandosi di beni con valore di mercato oggettiva-
mente verificabile viene meno il pericolo di abusi a danni del debitore, che è l’essenza del
patto marciano (VII, 5.3). La valutazione ordinamentale è solo accantonata, salvo ope-
rare per l’ipotesi di irragionevole escussione della garanzia. Una tutela più intensa è ac-
cordata al creditore in presenza di una procedura di liquidazione o di risanamento.

12. Pegno mobiliare non possessorio. – Con l’art. 1 D.L. 3.5.2016, n. 59, conv. con
modif. con L. 30.6.2016, n. 119, è introdotto il pegno mobiliare non possessorio, caratte-
rizzato dall’assenza di spossessamento del bene, cioè senza consegna al creditore del bene
che gli conferisce l’esclusiva disponibilità (in deroga all’art. 2786).
a) Relativamente alla costituzione, devono ricorrere più presupposti.
Anzitutto vi è una qualificazione delle parti: solo gli imprenditori iscritti nel registro

55
Tali sono: autorità pubbliche, banche centrali, enti finanziari sottoposti a vigilanza prudenziale (inclusi
enti creditizi, imprese di investimento, enti finanziari, imprese di assicurazione, organismi di investimento
collettivo in valori mobiliari, società di gestione), controparti centrali, agenti di regolamento o stanze di com-
pensazione, persone diverse dalle persone fisiche, incluse imprese e associazioni prive di personalità giuridica,
purché la controparte rientri in una delle categorie indicate.
56
Al verificarsi di un evento giustificante l’escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà,
anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere, osservando le forma-
lità previste nel contratto, alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a
soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita; ad
informare immediatamente per iscritto il datore della garanzia stessa o, se del caso, gli organi della procedura
di risanamento o di liquidazione in merito alle modalità di escussione adottate e all’importo ricavato e resti-
tuisce contestualmente l’eccedenza (art. 4). I contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento
della proprietà con funzione di garanzia, compresi i contratti di pronti contro termine, hanno effetto in con-
formità ai termini in essi stabiliti, indipendentemente dalla loro qualificazione; a tali contratti non si applica
l’art. 2744 c.c. (art. 62).
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 841

delle imprese possono costituire un pegno non possessorio, con previsione dell’importo
massimo garantito. Inoltre deve sussistere un requisito dei beni: il pegno non possessorio
può essere costituito su beni mobili, anche immateriali, destinati all’esercizio dell’im-
presa e sui crediti derivanti da o inerenti a tale esercizio, a esclusione dei beni mobili re-
gistrati. I beni mobili possono essere esistenti o futuri, determinati o determinabili anche
mediante riferimento a una o più categorie merceologiche o a un valore complessivo 57.
Il contratto costitutivo, a pena di nullità, deve risultare da atto scritto con indicazione
del creditore, del debitore e dell’eventuale terzo concedente il pegno, la descrizione del
bene dato in garanzia, del credito garantito e l’indicazione dell’importo massimo garantito.
In assenza di spossessamento, la conoscenza legale verso i terzi è assicurata dalla pub-
blicità. Il pegno non possessorio ha effetto verso i terzi con la iscrizione in un registro in-
formatizzato costituito presso l’Agenzia delle entrate e denominato “registro dei pegni
non possessori”; dal momento dell’iscrizione il pegno prende grado ed è opponibile ai
terzi e nelle procedure esecutive e concorsuali. L’iscrizione deve indicare il creditore, il
debitore e l’eventuale terzo datore del pegno; nonché contenere la descrizione del bene
dato in garanzia e del credito garantito, e, per il pegno non possessorio che garantisce il
finanziamento per l’acquisto di un bene determinato, la specifica individuazione del me-
desimo bene. L’iscrizione ha una durata di dieci anni, rinnovabile con una nuova iscri-
zione nel registro effettuata prima della scadenza del decimo anno. La cancellazione del-
la iscrizione può essere richiesta di comune accordo da creditore pignoratizio e datore
del pegno o domandata giudizialmente 58.
b) Quanto alla escussione, è assicurato il soddisfacimento privilegiato del creditore
pignoratizio in via di autotutela. Il creditore, previa intimazione notificata al debitore e
all’eventuale terzo concedente il pegno, e previo avviso scritto agli eventuali titolari di un
pegno non possessorio trascritto nonché al debitore del credito oggetto del pegno, pro-
cede alla realizzazione coattiva del credito, mediante alienazione, locazione o appropria-
zione del bene in garanzia, con le modalità prescritte dal co. 7.
Se il titolo non dispone diversamente, il datore della garanzia deve consegnare il bene
mobile oggetto del pegno al creditore entro quindici giorni dalla notificazione dell’inti-
mazione. Se la consegna non ha luogo nel termine stabilito, il creditore può fare istanza,
anche verbale, all’ufficiale giudiziario perché proceda, anche non munito di titolo esecu-
tivo e di precetto, a norma delle disposizioni in materia di esecuzione per consegna o ri-
lascio (artt. 605 ss. c.p.c.), in quanto compatibili.
c) Esistono più rimedi a tutela del debitore per l’ipotesi di abuso dell’autotutela
da parte del creditore pignoratizio.
Il debitore e l’eventuale terzo concedente il pegno hanno diritto di proporre opposi-

57
Ove non sia diversamente disposto nel contratto, il debitore o il terzo concedente il pegno è autorizzato
a trasformare o alienare, nel rispetto della destinazione economica, o comunque a disporre dei beni gravati da
pegno, trasferendosi il pegno, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della
cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti costi-
tuzione di una nuova garanzia. È fatta salva la possibilità per il creditore di promuovere azioni conservative o
inibitorie nel caso di abuso nell’utilizzo dei beni da parte del debitore o del terzo concedente il pegno.
58
Le operazioni di iscrizione, consultazione, modifica, rinnovo o cancellazione presso il registro, gli ob-
blighi a carico di chi effettua tali operazioni nonché le modalità di accesso al registro stesso sono regolati con
decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia.
842 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

zione entro cinque giorni dall’intimazione, mediante ricorso a norma delle disposizioni
sul procedimento sommario di cognizione (artt. 702 bis ss. c.p.c.); ove concorrano gravi
motivi, il giudice, su istanza dell’opponente, può inibire, con provvedimento d’urgenza,
al creditore di procedere alla escussione.
Ove il bene da consegnare non sia di immediata identificazione, l’ufficiale giudiziario,
con spese anticipate dal creditore, si avvale di un esperto stimatore o di un commercialista
da lui scelto, per la corretta individuazione, anche mediante esame delle scritture conta-
bili, del bene mobile oggetto del pegno, tenendo conto delle eventuali operazioni di tra-
sformazione o di alienazione poste in essere.
Secondo le tutele del patto marciano (VII, 5.3), entro tre mesi dalla intimazione
del creditore, il debitore può agire in giudizio per il risarcimento del danno quando il
prezzo della vendita, il corrispettivo della cessione, il corrispettivo della locazione ovvero
il valore comunicato ai fini dell’appropriazione non corrispondono ai valori correnti di
mercato (ovvero l’escussione è avvenuta in violazione dei criteri e delle modalità di cui
alle lett. a, b, c e d del co. 7).

13. Credito alle imprese con trasferimento di immobile condizionato all’inadem-


pimento. – Con l’art. 2 D.L. 3.5.2016, n. 59, conv. con modif. con L. 30.6.2016, n. 119,
è introdotto l’art. 48 bis al D.Lgs. 385/1993 (testo unico bancario), che prevede la stipula
di contratto di finanziamento garantito dal trasferimento in favore del creditore (o sogget-
to collegato) della proprietà o altro diritto reale immobiliare dell’imprenditore o di un terzo
sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore. Il patto può essere stipulato
al momento della conclusione del contratto di finanziamento o per atto notarile in sede
di successiva modificazione delle condizioni contrattuali.
a) Quanto alla conclusione, anche per tale figura (come per il pegno non possesso-
rio) devono ricorrere presupposti soggettivi e oggettivi.
Il contratto di finanziamento deve essere concluso tra un imprenditore e una banca o
altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico, con il
trasferimento della proprietà di un immobile o di un altro diritto immobiliare dell’im-
prenditore o di un terzo. Il trasferimento non può essere convenuto in relazione a im-
mobili adibiti ad abitazione principale del proprietario, del coniuge o di suoi parenti e
affini entro il terzo grado. Il trasferimento è sospensivamente condizionato all’inadempi-
mento del debitore: si ha inadempimento quando il mancato pagamento si protrae con
le modalità previste.
Il contratto è soggetto a pubblicità nei registri immobiliari: per la regola generale del-
l’art. 26592, dell’acquisto sottoposto a condizione sospensiva di inadempimento se ne
deve fare menzione nella nota di trascrizione (tranne che al momento della trascrizione
la condizione sospensiva si sia verificata) 59. Ai fini della cancellazione della trascrizione
della condizione, per essersi la condizione verificata (art. 26683), il creditore, anche uni-

59
La nota di trascrizione deve indicare gli elementi di cui all’art. 28392, nn. 4, 5 e 6, c.c. Qualora il finan-
ziamento sia già garantito da ipoteca, il trasferimento sospensivamente condizionato all’inadempimento, una
volta trascritto, prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite successivamente all’iscrizione ipotecaria. Fatti salvi
gli effetti dell’aggiudicazione, anche provvisoria, e dell’assegnazione, la disposizione di cui al periodo prece-
dente si applica anche quando l’immobile è stato sottoposto ad espropriazione forzata in forza di pignora-
mento trascritto prima della trascrizione del patto ma successivamente all’iscrizione dell’ipoteca.
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 843

lateralmente, rende nell’atto notarile di avveramento della condizione una dichiarazione,


a norma dell’art. 47 D.P.R. 445/2000, con cui attesta l’inadempimento del debitore, pro-
ducendo estratto autentico delle scritture contabili ex art. 2214 c.c.
b) Venendo alla escussione, al verificarsi dell’inadempimento, il creditore è tenuto a
notificare al debitore e, se diverso, al titolare del diritto reale immobiliare, nonché a colo-
ro che hanno diritti derivanti da titolo iscritto o trascritto sull’immobile, una dichiara-
zione di volersi avvalere degli effetti del patto, precisando l’ammontare del credito per
cui procede. Decorsi sessanta giorni, il creditore chiede al presidente del tribunale del
luogo nel quale si trova l’immobile la nomina del perito per la stima del diritto reale im-
mobiliare oggetto del patto, con relazione giurata. Il perito opera come arbitratore ai
sensi dell’art. 13491, procedendo alla determinazione della prestazione dedotta in con-
tratto, quindi comunica il valore di stima al debitore (se diverso dal debitore, anche al
titolare del diritto reale immobiliare), al creditore e a coloro che hanno diritti sull’immo-
bile per titolo iscritto o trascritto dopo la trascrizione del patto. La previsione di stima
del bene integra il tratto peculiare del c.d. patto marciano, che lo distingue dal patto
commissorio nullo (art. 2744), non determinandosi un approfittamento del creditore verso
il debitore (VII, 5.3) 60.
Il debitore può contestare la stima del bene. In tal caso si apre un contraddittorio tra
il perito e i soggetti interessati i quali possono inviare note al perito, il quale effettua una
nuova comunicazione della relazione con gli eventuali chiarimenti 61.

14. Prestito vitalizio ipotecario. – Man mano che la crisi economica morde le eco-
nomie familiari, sta emergendo un fenomeno, inquietante, di vendita da parte di anziani
della nuda proprietà dell’abitazione al fine di procurarsi liquidità monetaria per far fron-
te alle esigenze di vita. In tale contesto di perversa mobilizzazione della ricchezza immo-
biliare per l’esigenza di procurarsi ragioni di sostentamento economico, si inserisce tale
esperienza che coinvolge banche e istituti di credito che offrono finanziamenti vitalizi
garantiti dalla proprietà dell’immobile che rimane in capo al soggetto beneficiario del
finanziamento fino alla sua morte.
Il fenomeno, emerso in Gran Bretagna alla fine degli anni ’90 (life time mortgage o di
equity release) e con ampia diffusione nella cultura anglosassone, ha ricevuto formale ri-
conoscimento in Italia con D.L. 30.9.2005, n. 2013, conv. con L. 2.12.2005, n. 248, con la
formula di “prestito vitalizio ipotecario”. Successivamente l’art. unico della L. 2.4.2015, n.
44, modificando e integrando il co. 12 dell’art. 11 quaterdecies della detta normativa, ha

60
Può farsi luogo al trasferimento anche quando il diritto reale immobiliare già oggetto del patto sia sot-
toposto ad esecuzione forzata per espropriazione. In tal caso l’accertamento dell’inadempimento del debitore
è compiuto, su istanza del creditore, dal giudice dell’esecuzione e il valore di stima è determinato dall’esperto
nominato dallo stesso giudice. Ai fini del concorso tra i creditori, il patto a scopo di garanzia è equiparato
all’ipoteca.
61
Qualora il debitore contesti la stima, il creditore ha comunque diritto di avvalersi degli effetti del patto
e l’eventuale fondatezza della contestazione incide sulla differenza da versare al titolare del diritto reale im-
mobiliare, dovendo il proprietario corrispondere la differenza tra il valore di stima del diritto e l’ammontare
del debito inadempiuto e delle spese di trasferimento. Il contratto di finanziamento o la sua modificazione
contiene l’espressa previsione di un apposito conto corrente bancario senza spese, intestato al titolare del di-
ritto reale immobiliare, sul quale il creditore deve accreditare l’importo pari alla differenza tra il valore di sti-
ma e l’ammontare del debito inadempiuto.
844 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

previsto che il contratto ha per oggetto la concessione da parte di banche nonché di in-
termediari finanziari di finanziamenti a medio e lungo termine, con capitalizzazione an-
nuale di interessi e di spese, riservati a persone fisiche con età superiore a sessanta anni,
il cui rimborso integrale in un’unica soluzione può essere richiesto al momento della mor-
te del soggetto finanziato ovvero qualora vengano trasferiti (in tutto o in parte) la pro-
prietà o altri diritti reali o di godimento sull’immobile dato in garanzia o si compiano atti
che ne riducano significativamente il valore, inclusa la costituzione di diritti reali di ga-
ranzia 62. I finanziamenti sono garantiti da ipoteca di primo grado su immobili residen-
ziali, con applicazione dell’art. 391-2-3-4-7 TUIB; e tale ipoteca non può essere iscritta con-
temporaneamente su più immobili di proprietà del beneficiario del finanziamento.
Qualora il finanziamento non sia integralmente rimborsato entro dodici mesi dal veri-
ficarsi degli eventi di cui sopra, il finanziatore vende l’immobile ad un valore pari a quello
di mercato, determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore, utilizzan-
do le somme ricavate dalla vendita per estinguere il credito vantato in dipendenza del
finanziamento. Si determina una sostituzione legale nel potere di disposizione del vendi-
tore, non nella proprietà del bene, finalizzata al soddisfacimento del creditore. È dunque
una forma di autotutela del finanziatore nella realizzazione del credito in quanto la ven-
dita può essere compiuta direttamente dal finanziatore senza ricorrere agli strumenti giu-
diziari coattivi della vendita forzata. La logica che assiste il fenomeno è quella del patto
marciano (VII, 5.3) in quanto le eventuali somme rimanenti, ricavate dalla vendita e
non portate a estinzione del predetto credito, sono riconosciute al soggetto finanziato o
ai suoi aventi causa (co. 12 quater).
È un istituto che, per come è stato regolato, presenta per l’utilizzatore poche luci e
molte ombre. A fronte del generico vantaggio di consentire l’utilizzo di una somma di
danaro senza rimborso rateale, genera molti inconvenienti. Nella dimensione soggettiva,
non stimola risparmio familiare e dunque in prospettiva non attiva l’economia familiare:
ciò che gode in vita il proprietario è sottratto agli eredi. Nella dimensione oggettiva, a
parte il vincolo di indisponibilità che inerisce il bene, per cui il sottoscrittore è tenuto al
rimborso integrale se aliena il bene, il sottoscrittore non ha neppure autonomia di utiliz-
zazione dovendo conservare la destinazione e redditività del bene e non potendo locarlo
a terzi; spesso è astretto da interventi manutentivi, che normalmente non eseguirebbe in
ragione delle proprie difficoltà economiche, ma che invece deve attuare in funzione di
conservazione dell’immobile, destinato ad essere collocato sul mercato. Nella dimensio-
ne del finanziamento, c’è una capitalizzazione composta sul capitale prestato e sugli inte-
ressi maturati, con previsione costante dell’anatocismo che comporta una crescita espo-
nenziale del debito; inoltre l’importo del prestito erogato generalmente oscilla tra il 15
per cento e un massimo del 50 per cento del valore dell’immobile, percentuale che varia
in ragione dell’età del soggetto sottoscrittore (più è anziano più la percentuale sale), del-
le condizioni dell’immobile e dell’appetibilità sul mercato, mentre l’utilizzatore mette in

62
È fatta salva la possibilità di concordare, al momento della stipulazione del contratto, modalità di rim-
borso graduale della quota di interessi e delle spese, prima del verificarsi degli eventi che danno luogo al rimbor-
so integrale, sulla quale non si applica la capitalizzazione annuale degli interessi. In caso di inadempimento, si
applica l’art. 402 (TUIB), con l’effetto che la banca può invocare come causa di risoluzione del contratto il ritar-
dato pagamento quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte, anche non consecutive, considerandosi per
ritardato pagamento quello effettuato tra il trentesimo e il centoottantesimo giorno dalla scadenza della rata.
CAP. 6 – CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE 845

gioco sempre la proprietà dell’immobile. Per di più l’immobile è valutato da perizia rea-
lizzata da professionista incaricato dal soggetto finanziatore: testualmente la legge parla
di “perito indipendente incaricato dal finanziatore”!

15. Credito ipotecario ai consumatori per acquisto di immobile residenziale. –


Con l’art. 11 D.Lgs. 21.4.2016, n. 72, è stata data attuazione alla direttiva 2014/17/UE di
previsione del credito ai consumatori per l’acquisto di beni immobili residenziali (c.d.
Mortgage Credit Directive – Mcd 63), mediante l’inserimento nel D.Lgs. 385/1993 (TUB),
sotto il Titolo VI rubricato “Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con
i clienti”, del Capo I bis intitolato “Credito immobiliare ai consumatori” (artt. 120 quin-
quies ss.). La direttiva intende intervenire nell’area dei mutui ipotecari destinati all’ac-
quisto o alla ristrutturazione dell’abitazione, da sempre regolata da normative nazionali,
con una normativa europea armonizzata 64, per agevolare la creazione di un mercato in-
terno immobiliare funzionante, garantendo i consumatori che gli operatori si comportino
in maniera professionale e responsabile.
Per l’art. 120 quinquies, lett. c, si intende per “contratto di credito” un contratto con
cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto
forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria, quando il
credito è garantito da un’ipoteca sul diritto di proprietà o su altro diritto reale avente a
oggetto beni immobili residenziali o è finalizzato all’acquisto o alla conservazione del di-
ritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato (co. 1) 65.
Una normativa specifica riguarda il merito dell’operazione, sia con riguardo al merito
creditizio del consumatore, sia con riferimento alla valutazione dei beni immobili. Prima
della conclusione del contratto di credito, il finanziatore svolge una valutazione appro-
fondita del merito creditizio del consumatore, tenendo conto dei fattori pertinenti per
verificare le prospettive di adempimento da parte del consumatore degli obblighi stabili-
ti dal contratto di credito; la valutazione è effettuata sulla base delle informazioni sulla
situazione economica e finanziaria del consumatore necessarie, sufficienti, proporzionate
e opportunamente verificate (art. 120 undecies). I finanziatori applicano standard affida-
bili per la valutazione dei beni immobili residenziali ai fini della concessione di credito

63
La Commissione europea già si era mossa con una raccomandazione del 2001 cui ha fatto seguito nel
2007 il Libro bianco sull’integrazione dei mercati U.E. del credito ipotecario.
64
Si intende per “finanziatore” un soggetto che, essendo abilitato a erogare finanziamenti a titolo profes-
sionale nel territorio della Repubblica, offre o stipula contratti di credito (lett. e); e per “intermediario del
credito” gli agenti in attività finanziaria, i mediatori creditizi o qualsiasi altro soggetto, diverso dal finanziato-
re, che nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale svolge, a fronte di un compenso in de-
naro o di altro vantaggio economico oggetto di pattuizione e nel rispetto delle riserve di attività previste dalla
legislazione vigente, almeno una delle attività indicate (lett. g).
65
Il finanziatore e l’intermediario del credito devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza,
tenendo conto dei diritti e degli interessi dei consumatori, e basano la propria attività sulle informazioni rile-
vanti riguardanti la situazione del consumatore, su ogni bisogno particolare che questi ha comunicato, su ipo-
tesi ragionevoli con riguardo ai rischi cui è esposta la situazione del consumatore per la durata del contratto
di credito (art. 120 septies). Gli annunci pubblicitari relativi a contratti di credito vanno effettuati in forma
corretta, chiara e non ingannevole (art. 120 octies). Tra gli obblighi precontrattuali è posto a carico del finan-
ziatore e dell’intermediario del credito l’obbligo di mettere a disposizione del consumatore un documento
contenente informazioni generali chiare e comprensibili sui contratti di credito offerti, su supporto cartaceo o
altro supporto durevole (art. 120 nonies).
846 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

garantito da ipoteca; quando la valutazione è condotta da soggetti terzi, i finanziatori as-


sicurano che questi ultimi adottino standard affidabili (art. 120 duodecies) 66.
Il profilo più delicato è la disciplina dell’inadempimento contrattuale del consumatore.
Per l’art. 120 quinquiesdecies il finanziatore non può imporre al consumatore oneri, deri-
vanti dall’inadempimento, superiori a quelli necessari a compensare i costi sostenuti a
causa dell’inadempimento stesso; però, fermo quanto previsto dall’art. 2744 c.c., le parti
possono convenire al momento della conclusione del contratto, con clausola espressa,
che, in caso di inadempimento del consumatore, la restituzione o il trasferimento del be-
ne immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene
comporta l’estinzione dell’intero debito a carico del consumatore derivante dal contratto
di credito anche se il valore del bene immobile restituito o trasferito ovvero l’ammontare
dei proventi della vendita è inferiore al debito residuo; se il valore dell’immobile come
stimato dal perito ovvero l’ammontare dei proventi della vendita è superiore al debito
residuo, il consumatore ha diritto all’eccedenza; in ogni caso, il finanziatore si adopera
con ogni diligenza per conseguire dalla vendita il miglior prezzo di realizzo (co. 3); il va-
lore del bene immobile oggetto della garanzia è stimato da un perito indipendente scelto
dalle parti di comune accordo ovvero, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo,
nominato dal Presidente del Tribunale territorialmente competente (co. 4). È un altro
meccanismo di soluzione della controversia senza ricorso all’autorità giudiziaria, che opera
secondo la logica del c.d. patto marciano (VII, 5.3). Anche se il richiamo alla valuta-
zione del perito è compiuta in modo contorto, è comunque ricostruibile il principio che
l’acquisizione dell’immobile al creditore deve essere preceduta dalla stima del bene, per
compararne il valore con l’ammontare del credito, con attribuzione della eventuale diffe-
renza al debitore.

66
L’Osservatorio del mercato immobiliare istituito presso l’Agenzia delle entrate assicura il controllo sta-
tistico sul mercato immobiliare residenziale ed effettua le opportune comunicazioni ai fini dei controlli di vi-
gilanza macro-prudenziale (art. 120 sexiesdecies).
CAPITOLO 7
ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE
(Garanzie di terzi)

Sommario: 1. Garanzie legali e volontarie. – A) GARANZIE PERSONALI. – 2. Generalità. – 3. Fideiussio-


ne. – 4. Contratto autonomo di garanzia. – 5. Mandato di credito. – 6. Avallo. – 7. Lettera di patro-
nage. – 8. Garanzie collettive. – B) GARANZIE REALI. – 9. Cenni e rinvio.

1. Garanzie legali e volontarie. – Sono frequenti le ipotesi di rafforzamento della


garanzia del credito con l’estensione della base soggettiva della responsabilità patrimo-
niale, affiancandosi alla responsabilità patrimoniale del debitore la responsabilità patri-
moniale di altri soggetti, imposta per legge o assunta volontariamente.
Viene in discussione la previsione dell’art. 1179 che, in presenza di un obbligo di ga-
ranzia da parte del debitore senza che ne sia determinato il modo e la forma, fa obbligo
al debitore di prestare “un’idonea garanzia reale o personale, ovvero altra sufficiente
cautela”. Risponde a un preciso obbligo di legge, oltre che a un generale dovere di cor-
rettezza, che la garanzia prestata sia coerente con l’obbligazione principale assunta, in
grado di procurare sicurezza di adempimento al creditore, che è l’essenza della obbliga-
zione di garanzia: le due obbligazioni sono distinte ma collegate.
Talvolta è la legge a prevedere che alcuni soggetti, per la qualità rivestita e/o l’atti-
vità svolta, rispondano per le obbligazioni assunte da soggetti giuridici diversi. Si parla al
riguardo di garanzia (personale) ex lege: ad es., per le associazioni non riconosciute, delle
obbligazioni delle associazioni rispondono (oltre il fondo comune) anche personalmente
e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione (art. 38)
(IV, 3.9); per le società in nome collettivo, dopo l’escussione del patrimonio sociale, i
creditori posso pretendere il pagamento dai singoli soci, anche se la società è in liquida-
zione (art. 2304).
Altre volte la garanzia aggiuntiva trova fonte nella volontà privata. In presenza di un
patrimonio modesto rispetto alla entità del credito, il creditore è solito chiedere che il
debitore procuri garanzie da parte di altri soggetti (terzi) in grado di adempiere in luogo
del debitore: oggetto dell’obbligazione di garanzia sta proprio nel procurare al creditore
sicurezza di soddisfacimento. Di regola, sono oggetto di pattuizione il tipo di garanzia e
le modalità di costituzione ed escussione. In assenza di ogni indicazione, chi è tenuto a
dare una garanzia può prestare a sua scelta un’idonea garanzia reale o una garanzia per-
sonale ovvero altra sufficiente cautela (art. 1179).
Un campo dove comunemente si svolge il rilascio di garanzie da parte di terzi è quel-
848 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

lo dei contratti bancari, richiedendo gli istituti di credito che la erogazione del credito
sia assistita da garanzie reali e/o personali di terzi quando il patrimonio del debitore non
offra sicurezza di recupero 1; nelle ipotesi di credito a società di capitali, si chiede la ga-
ranzia aggiuntiva dei soci.

A) GARANZIE PERSONALI

2. Generalità. – È possibile che un soggetto assuma la garanzia personale dell’adem-


pimento di una obbligazione altrui (spesso sono i familiari, partner o genitori, ad assu-
mere la garanzia dell’adempimento). La garanzia così costituita comporta, a carico del
terzo, la garanzia generale del credito: il terzo cioè risponde illimitatamente per l’adem-
pimento dell’obbligazione altrui, con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740). Le ga-
ranzie personali del terzo si aggiungono a quella del debitore (c.d. debitore principale) e
sono escusse secondo specifiche modalità e condizioni delle singole garanzie.
La figura tipica e generale di garanzia personale prevista dal codice civile è la fideius-
sione (artt. 1936 ss.). Però non sussiste un principio di tipicità (e tassatività) delle garan-
zie, consentendosi ai privati di utilizzare strumenti diversi. L’esigenza di incentivazione
del credito nelle relazioni economiche, così nello svolgimento dell’attività di impresa che
nell’accesso al consumo, favorisce il ricorso a vari meccanismi di garanzia del credito,
talvolta già regolati dalla legge, come la promessa dell’obbligazione e del fatto del terzo
(art. 1381) (VIII, 6.15), l’avallo e il mandato di credito, talaltra privi di disciplina ma dif-
fusi nelle relazioni economiche con regolazioni ormai standardizzate, come il contratto
autonomo di garanzia, la lettera di patronage e le garanzie collettive (in parte disciplinate).

3. Fideiussione. – È la garanzia personale più frequente (si pensi alla fideiussione


prestata dal terzo a garanzia del pagamento dei canoni di locazione, oppure a garanzia
della restituzione di somme prese a mutuo dalla banca): il codice civile dedica alla stessa
la disciplina più nutrita.
Gli artt. 1936 ss. regolano la fideiussione sotto il Titolo relativo ai “singoli contratti”;
perciò la fideiussione è un contratto tipico. Per l’art. 1936 “è fideiussore colui che, obbli-
gandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione
altrui; la fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza” 2. Causa tipica
del negozio è la garanzia dell’adempimento di un debito altrui mediante estensione della
base soggettiva della responsabilità patrimoniale 3. La figura si atteggia come contratto

1
Si è soliti ammettere il conferimento di garanzie nella società: il socio può conferire specifiche garanzie
personali e/o reali (fideiussioni, avalli, ipoteche) verso determinati soggetti (di regola istituti di credito), che
consentono alla società di ottenere credito sul mercato. È necessario che la garanzia sia concessa espressa-
mente a titolo di conferimento; diversamente il garante non acquista la qualità di socio.
2
Il debitore obbligato a dare una garanzia fideiussoria deve presentare persona capace, che possieda beni
sufficienti a garantire l’obbligazione e che abbia o elegga domicilio nella giurisdizione della Corte di appello
in cui la fideiussione si deve prestare (art. 19431). Quando il fideiussore è divenuto insolvente, deve esserne
dato un altro, tranne che la fideiussione sia stata prestata dalla persona voluta dal creditore (art. 19432).
3
Una fideiussione non può ritenersi mancante ove prestata da soggetto il cui patrimonio sia attualmente
incapiente, restando fermi, in applicazione dell’art. 2740, sia la sottoposizione a vincolo patrimoniale che la
soggezione al potere di coazione del debitore (Cass. 10-9-2019, n. 22559).
CAP. 7 – ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 849

unilaterale ex art. 1333, nel senso che dallo stesso derivano obbligazioni a carico del
solo proponente e cioè del fideiussore. Come per l’intera categoria dei contratti con ef-
fetti a carico di una sola parte, anche per la fideiussione è frequente la configurazione di
negozio unilaterale recettizio (art. 1334) 4, con il diritto di rifiuto del beneficiario (invito
beneficum non datur) (VIII, 2.18).
La volontà di prestare fideiussione deve essere espressa: chi intende garantire deve ma-
nifestare la volontà di adempiere l’obbligazione del debitore principale 5. Anche rispetto al
fideiussore va verificato il ricorso della qualifica soggettiva di “consumatore” per l’appli-
cazione alla fideiussione della disciplina consumeristica, con riguardo allo specifico rap-
porto intrattenuto dal fideiussore 6.
Per i debiti di maggiore consistenza, sono talvolta coinvolti più soggetti nella garanzia
del credito, costituendo una confideiussione 7 o una fideiussione plurima 8 o una fideius-

4
È ammesso che la fideiussione possa essere data anche mediante negozio giuridico unilaterale e secon-
do alcuni anche per testamento. La giurisprudenza considera valido ed efficace il negozio di fideiussione
quando rechi la sola sottoscrizione del fideiussore, non rifiutata dal creditore (Cass. 19-12-2017, n. 30409;
Cass. 2-4-2009, n. 8005; Cass. 13-2-2009, n. 3525). L’obbligazione fideiussoria, non richiedendo per perfezio-
narsi l’accettazione espressa del creditore, per l’art. 1333, la conferma inviata dal creditore costituisce un ele-
mento esecutivo del negozio già concluso (Cass. 14-2-2018, n. 3606).
5
Non è imposta la forma scritta o l’adozione di formule sacramentali, purché la volontà del fideiussore sia
“manifestata in modo inequivocabile” (Cass. 2-4-2009, n. 8005).
6
Nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica de-
vono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come afferma-
to dalla giurisprudenza unionale (Corte giust. U.E., 19.11.2015, causa C-74/15, e 14.9.2016, causa C-534/15);
deve ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professio-
nale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel
senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere
strettamente funzionale al suo svolgimento (cd. atti strumentali in senso proprio) (Cass. 16-1-2020, n.
742). I requisiti soggettivi di consumatore in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio
in favore della società devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto con-
tratto principale), dando rilievo all’entità della partecipazione al capitale sociale nonché alla qualità di ammi-
nistratore della società garantita del fideiussore (Cass. 13-12-2018, n. 32225).
7
Si ha confideiussione (o cofideiussione) quando la fideiussione è prestata da più persone per un medesimo
debitore e a garanzia di un medesimo debito (art. 1946). Più soggetti prestano la fideiussione nella reciproca con-
sapevolezza di esistenza dell’altrui garanzia e con l’intento di garantire congiuntamente il medesimo debito e il me-
desimo debitore; si caratterizza come un insieme di vincoli di garanzia collegati da un interesse comune che deter-
mina l’obbligazione confideiussoria per l’intero; perciò ogni confideiussore è obbligato in solido con gli altri confi-
deiussori e con il debitore principale (Cass. 24-10-2008, n. 25748; Cass. 6-12-2007, n. 25475; Cass. 2-9-2004, n.
17723). La confideiussione può essere prestata contestualmente con un medesimo atto o anche con atti separati
correlati allo scopo unitario, perciò rileva giuridicamente, anche per il risvolto tributario, come unica operazione
(Cass. 8-10-2013, n. 22840). Il confideiussore che ha adempiuto per l’intero ha diritto di regresso verso il debito-
re principale ex art. 1954 (per l’intero) e verso gli altri fideiussori (per la quota di spettanza di ciascuno); ognuno
dei confideiussori ha diritto di regresso verso il debitore principale per la quota pagata. Se uno è insolvente, la
perdita si ripartisce tra i vari debitori compreso quello che ha fatto il pagamento (art. 1954). È possibile pattuire
il b e n e f i c i o d e l l a d i v i s i o n e : in tal caso ogni fideiussore che sia convenuto per il pagamento dell’intero
debito può esigere che il creditore riduca l’azione alla parte da lui dovuta (art. 1947).
8
Si ha fideiussione plurima nell’ipotesi di distinte fideiussioni prestate da diversi soggetti in tempi succes-
sivi e con atti separati, senza alcuna manifestazione di reciproca consapevolezza tra fideiussori o addirittura
con espressa convenzione con il creditore di mantenere differenziata la propria obbligazione da quella degli
altri, e, in ogni caso, in assenza di un collegamento correlato ad un interesse comune dei cogaranti. Non si ap-
plica il regresso ex art. 1954; è ammessa soltanto la surrogazione ex art. 1203 del garante che abbia estinto
850 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

sione di fideiussione 9. Spesso la fideiussione convive con garanzie reali (pegno o ipoteca)
prestate da terzi su specifici beni.
Quanto all’oggetto, la fideiussione è di regola prestata per garantire rapporti obbliga-
tori attuali; può essere prestata anche per garantire un’obbligazione condizionale o un’ob-
bligazione futura, con la previsione, in quest’ultimo caso, dell’importo massimo garantito
(art. 1938, come sostituito dall’art. 10, n. 1, L. 17.2.1992, n. 154) 10.
È un contratto ad esecuzione differita, in quanto la prestazione del fideiussore deve
essere eseguita successivamente alla conclusione del contratto: di regola, a seguito dell’i-
nadempimento dell’obbligazione principale.
L’obbligazione fideiussoria è accessoria a quella principale garantita, come si desu-
me da più dati legislativi. Anzitutto, la fideiussione non è valida se non è valida l’obbli-
gazione principale, salvo che sia prestata per un’obbligazione assunta da un incapace
(art. 1939): in tal caso la fideiussione rimane valida e quindi il fideiussore rimane obbligato
anche se l’obbligazione principale viene meno per incapacità del debitore. Inoltre, la fi-
deiussione non può eccedere quanto è dovuto dal debitore, né può essere prestata a condi-
zioni più onerose: se eccede il debito o è contratta a condizioni più onerose, è valida nei
limiti dell’obbligazione principale (art. 1941); può invece prestarsi per una parte soltanto
del debito o a condizioni meno onerose (art. 19412). Consegue da ciò che non sono efficaci
nei confronti del fideiussore i patti intervenuti tra creditore e debitore, modificativi del-
l’obbligazione principale garantita 11. Un impiego diffuso della fideiussione è con riguardo
alla partecipazione alla gara di appalto di opere pubbliche, con obbligo dell’amministra-
zione di svincolare la garanzia al momento della sottoscrizione del contratto, ovvero di
trattenerla con funzione compensativa dei danni relativi alla fase procedimentale 12.
La fideiussione si estingue con la estinzione della obbligazione principale 13. Il fi-

l’obbligazione garantita nei diritti del creditore soddisfatto contro gli altri fideiussori che avevano dato sepa-
rata garanzia (Cass. 16-11-2017, n. 27243; Cass. 2-9-2004, n. 17723).
9
Si ha fideiussione di fideiussione (c.d. fideiussione di secondo grado) quando la fideiussione è prestata a
garanzia dell’adempimento di altra obbligazione fideiussoria del primo garante. Il fideiussore di secondo grado
è impegnato verso il creditore nel solo caso in cui il debitore principale e tutti i fideiussori di questo siano
insolventi o siano liberati perché incapaci (art. 1948).
10
La prassi bancaria aveva fatto emergere un modello di fideiussione per cui il garante si obbligava nei
confronti della banca ad adempiere tutte le obbligazioni del cliente verso la banca, già assunte o da assumere
in seguito, senza limiti quantitativi o temporali e spesso anche a prima richiesta (fideiussione omnibus); per di
più con la dispensa della banca dall’obbligo di richiedere la speciale autorizzazione del fideiussore quando le
condizioni patrimoniali del debitore fossero divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfaci-
mento del credito (art. 1956). La relativa convenzione fu considerata nulla dalla giurisprudenza per l’indeter-
minatezza dell’oggetto dell’obbligazione fideiussoria. L’art. 10 L. 154/1992 ha fatto proprio tale indirizzo,
introducendo l’obbligo di prevedere l’importo massimo garantito (art. 1938 novell.). Pure in assenza di in-
dicazione del massimo garantito, non si ha nullità della fideiussione qualora esistano nel contratto indici
certi e non opinabili mediante i quali è possibile precisare esattamente la prestazione dedotta in obbliga-
zione (Cass. 13-2-2009, n. 3525). Figura simmetrica è il performance bond, contratto con cui il garante rispon-
de per una singola operazione commerciale (e non per tutti i debiti futuri come la fideiussione omnibus).
11
Nei confronti del fideiussore in mora nell’adempimento dell’obbligazione di garanzia non trova appli-
cazione l’art. 12241, posto che la pattuizione degli interessi, intervenuta fra il debitore principale e il creditore,
è produttiva di effetti esclusivamente fra le parti stipulanti (Cass. 10-5-2018, n. 11346).
12
Ampiamente, Cons. Stato, ad. plen., 26-4-2022, n. 7.
13
La liberazione del fideiussore consegue all’estinzione dell’obbligazione principale, indipendentemente dalle
modalità con cui essa avvenga o dalle fonti della provvista, sicché, salva una diversa previsione contrattuale, non
CAP. 7 – ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 851

deiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il


creditore entro sei mesi dalla scadenza abbia proposto le sue istanze 14 contro il debitore e
le abbia con diligenza continuate (art. 19571), altrimenti si determina la decadenza del cre-
ditore dalla obbligazione fideiussoria. La disposizione si applica anche al caso in cui il fi-
deiussore abbia espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbli-
gazione principale: in questo caso l’istanza contro il debitore deve essere proposta entro due
mesi (art. 19572-3) 15. Inoltre il fideiussore è liberato nelle seguenti due ipotesi: quando, per
fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti e nelle
garanzie del creditore (art. 1955); quando, nella fideiussione per un’obbligazione futura, il
creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo (ad es. una
banca apre nuove linee di credito al debitore), pur conoscendo che le condizioni patrimo-
niali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento
del credito (art. 19561) 16: non è però valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avva-
lersi della liberazione (art. 19562) (regola introdotta dall’art. 10, n. 2, L. 17.2.1992, n. 154).
Analizziamo quindi i rapporti tra i soggetti coinvolti.
a) Rapporti tra fideiussore e creditore. Il fideiussore è obbligato in solido col debi-
tore principale al pagamento del debito (art. 19441), sicché il creditore può chiedere
l’adempimento per l’intero sia al debitore principale che al fideiussore (solidarietà
passiva) (VI, 1.12). Anche nei confronti del fideiussore vale dunque l’obbligo di con-
servazione della garanzia patrimoniale in favore del creditore 17 e operano i meccani-

osta a tale liberazione la circostanza che l’estinzione abbia carattere non satisfattivo per il creditore, per essere il
credito originario sostanzialmente immutato, in quanto ristrutturato o sostituito nella sua composizione sulla base
di ulteriori finanziamenti o condotte di tolleranza da parte del medesimo creditore (Cass. 7-3-2017, n. 5630).
14
Le istanze da proporre verso il debitore principale si caratterizzano come un onere a carico del cre-
ditore per avvalersi della fideiussione. Tale attività tende a far sì che il creditore prenda sollecite e serie
iniziative contro il debitore principale per recuperare il proprio credito, in modo che la posizione del
garante non resti indefinitamente sospesa; il termine “istanza” si riferisce ai vari mezzi di tutela giurisdi-
zionale del diritto di credito, in via di cognizione o di esecuzione, che possano ritenersi esperibili al fine
di conseguire il pagamento, indipendentemente dal loro esito e dalla loro idoneità a sortire il risultato
sperato (Cass. 29-1-2016, n. 1724). Può essere previsto un termine di decadenza per l’esercizio della garan-
zia da parte del creditore, a tutela dell’interesse del garante a conoscere la propria posizione debitoria
(Cass. 28-2-2007, n. 4661).
15
La decadenza del creditore dal diritto di pretendere dal fideiussore l’adempimento dell’obbligazione per
mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale nel termine previsto dall’art. 1957
può essere convenzionalmente esclusa anche per effetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore, trattan-
dosi di una pattuizione non in contrasto con un principio di ordine pubblico; e non opera ove le parti abbiano
previsto che la fideiussione si estingua solo all’estinguersi del debito garantito (Cass. 3-12-2019, n. 31569; Cass.
16-4-2018, n. 9379; Cass. 13-4-2007, n. 8839): la rinuncia comporta soltanto l’assunzione da parte del fideiussore
del maggior rischio inerente alle condizioni patrimoniali del debitore (Cass. 21-5-2008, n. 13078). La decadenza
del creditore dalla fideiussione non opera in presenza di un impedimento giuridico ostativo alla realizzazione
della pretesa verso il debitore principale (Cass. 8-2-2005, n. 2532). L’istanza proposta contro il debitore inter-
rompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore (art. 19574).
16
Il fideiussore ha l’onere di provare ai sensi dell’art. 2697, sia il requisito oggettivo della concessione di
ulteriore finanziamento successivo al deterioramento delle condizioni economiche del debitore e sopravvenu-
to alla prestazione di garanzia, sia il profilo soggettivo della consapevolezza del creditore del mutamento delle
condizioni economiche del debitore, raffrontate a quelle della costituzione del rapporto (Cass. 3-11-2021, n.
31313; v. anche Cass. 14-3-2018, n. 6251; Cass. 7-2-2006, n. 2524).
17
Prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale, gli atti dispositivi del fi-
deiussore successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del credi-
852 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

smi di gestione della obbligazione relativi al debitore principale 18.


Le parti possono pattuire il c.d. beneficio di escussione, per cui il fideiussore non è te-
nuto a pagare prima dell’escussione del debitore principale: il fideiussore che sia conve-
nuto per il pagamento e intenda valersi del beneficio dell’escussione deve indicare i beni
del debitore principale sui quali il creditore può soddisfarsi (art. 19442).
In applicazione del principio generale di correttezza ex art. 1175, il creditore è tenuto
all’osservanza dei doveri di buona fede e quindi a salvaguardare l’interesse del fideiusso-
re (anche arg. dall’art. 1956), non aggravando la sua posizione debitoria 19. Se la fideius-
sione è prestata da più fideiussori, per un medesimo debito e a garanzia di un medesimo
debitore, anche tra i vari fideiussori c’è solidarietà verso il creditore, tranne che non sia
stato pattuito il c.d. beneficio della divisione (art. 1946): il beneficio va eccepito dalla par-
te che intende avvalersene.
Il fideiussore può opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale,
salva quella derivante dall’incapacità (art. 1945) 20.
b) Rapporti tra fideiussore e debitore. Il fideiussore ha più rimedi a tutela delle sue ra-
gioni verso il debitore.
Anche prima di aver pagato, ha il c.d. diritto di rilievo verso il debitore, perché
questi, nei casi previsti dall’art. 1953, gli procuri la liberazione (c.d. azione di rilievo per
liberazione) o, in mancanza, presti le garanzie necessarie per assicurargli il soddisfaci-
mento delle eventuali ragioni di regresso (c.d. azione di rilievo per cauzione) 21.
Il fideiussore che ha pagato il debito è assistito da surrogazione legale nei diritti
che il creditore aveva contro il debitore (artt. 1949 e 1203, n. 3): il fideiussore può avva-
lersi anche delle garanzie che il creditore aveva verso il debitore. Inoltre ha azione di

tore, sono soggetti all’azione revocatoria ordinaria, ai sensi dell’art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo re-
quisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare
pregiudizio alle ragioni del creditore; poiché l’acquisto della qualità di debitore del fideiussore nei confronti del
creditore procedente risale al momento della nascita del credito, a tale momento occorre far riferimento per stabi-
lire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito (Cass. 10-7-2014, n. 15773).
18
Nei contratti bancari, il certificato di c.d. “saldaconto” è idoneo ad assolvere all’onere della prova del-
l’ammontare del credito nei confronti del fideiussore, tanto più qualora il contratto di conto corrente conten-
ga una clausola in forza della quale il cliente riconosce che i libri e le altre scritture contabili della banca fan-
no piena prova verso di lui del debito garantito (Cass. 9-1-2019, n. 279).
19
Gli obblighi di correttezza e di buona fede che permeano la vita del contratto impongono alla parte ga-
rantita di salvaguardare la posizione del proprio fideiussore, con la conseguenza che la loro violazione non
consente l’esercizio di pretese nei confronti del garante, nella misura in cui la sua posizione sia stata aggravata
dal garantito (Cass. 12-12-2019, n. 32478). Ad es., con riferimento ad un contratto di apertura di credito in
conto corrente, se si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore
tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, la banca creditrice è tenuta ad avvalersi
dei rimedi di autotutela a sua disposizione ex art. 1461 anche a tutela dell’interesse del fideiussore incon-
sapevole (al fine di non incrementare l’esposizione debitoria) se non vuol perdere il beneficio della garanzia
(Cass. 22-10-2010, n. 21730).
20
Alla stregua dell’art. 1945 non è consentito al fideiussore di opporre eccezioni che il debitore principale
non potrebbe opporre, perché coperte da giudicato (Cass. 1-10-2012, n. 16669).
21
Il c.d. rilievo del fideiussore è ammesso dall’art. 1953 nei seguenti casi: 1) quando è convenuto in giudi-
zio per il pagamento; 2) quando il debitore è divenuto insolvente; 3) quando il debitore si è obbligato di libe-
rarlo dalla fideiussione entro un tempo determinato; 4) quando il debito è divenuto esigibile per la scadenza
del termine; 5) quando sono decorsi cinque anni, e l’obbligazione principale non ha un termine, purché essa
non sia di tal natura da non potersi estinguere prima di un tempo determinato. L’art. 1453 non trova però
applicazione nel caso di assoggettamento del debitore principale a fallimento (Cass. 16-6-2010, n. 14584).
CAP. 7 – ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 853

regresso verso il debitore principale, benché questi non fosse consapevole della presta-
ta fideiussione (art. 19501) 22. Il regresso comprende il capitale, gli interessi e le spese che
il fideiussore ha fatto dopo che ha denunziato al debitore principale le istanze proposte
contro di lui (art. 19502); se il debitore è incapace, il regresso è ammesso nei limiti di
quanto sia stato rivolto a suo vantaggio (art. 19504). Se la fideiussione è stata prestata a
garanzia di più debitori principali obbligati in solido, il fideiussore ha regresso contro
ciascuno per l’intero (art. 1951).
Sul fideiussore grava l’onere di denunzia al debitore del pagamento fatto al creditore
(e ancor prima della richiesta di pagamento ricevuta dal creditore), la cui omissione
comporta due effetti: da un lato, il fideiussore non ha regresso verso il debitore principa-
le che, non sapendo del pagamento, ha ugualmente pagato il debito; dall’altro, il debito-
re principale può opporre al fideiussore le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cre-
ditore all’atto del pagamento; in entrambi i casi il fideiussore può ripetere contro il cre-
ditore quanto ha pagato (art. 1952).
Per contrappeso grava sul debitore il dovere di correttezza e buona fede verso il fi-
deiussore, per la salvaguardia della sua posizione (artt. 1175 e 1375) 23.
4. Contratto autonomo di garanzia. – Nel commercio internazionale e in generale
nelle contrattazioni di impresa, al fine di favorire la erogazione del credito, è da tempo
invalsa la prassi di rafforzare la posizione creditoria con la stipula di un contratto auto-
nomo di garanzia 24, caratterizzato dall’assunzione dell’impegno, da parte del garante, di
pagare il debito garantito al creditore senza possibilità di far valere eccezioni relative
all’obbligazione garantita, indipendentemente anche dalla validità o dall’esistenza della
stessa. È perciò anche qualificata come garanzia a “semplice” o “a prima richiesta” 25, per
essere la prestazione cui è tenuto il garante diversa da quella dovuta dall’obbligato prin-
cipale 26, sebbene a questa in qualche modo collegata.
Tale contratto di garanzia può affiancare vari tipi di contratto (appalto, vendita,
somministrazione, mutuo, apertura di credito, ecc.), con la funzione di procurare sicu-
rezza a una parte del contratto base circa il soddisfacimento del credito 27. Il fenomeno

22
Secondo Cass. 1-7-2005, n. 14089, il fideiussore che abbia pagato il debito garantito, pur non essendovi
più obbligato per la verificatasi decadenza del creditore ex art. 19571, può tuttavia esercitare l’azione di regresso
contro il debitore principale.
23
La violazione degli obblighi di buona fede non consente l’esercizio di pretese nei confronti del garante,
quando la sua posizione è aggravata dal garantito (Cass. 12-12-2019, n. 32478).
24
La figura ha ricevuto la sua prima elaborazione in Germania con il nome di Garantievertrag. Ha quindi
trovato varie forme di sviluppo e specifiche varianti, quali la fideiussione omnibus e la simmetrica performan-
ce bond, la polizza fideiussoria. Di regola il debitore corrisponde una somma di danaro per il rilascio di tale
garanzia al beneficiario creditore, garanzia che più spesso proviene da banche o assicurazioni, per la fiducia di
adempimento procurata al creditore.
25
L’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza
eccezioni” generalmente è idonea a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, salvo un’evi-
dente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale (Cass. 19-2-2019, n. 4717).
26
Mentre la fideiussione è volta a tutelare l’esatto adempimento dell’obbligazione principale altrui, il con-
tratto autonomo di garanzia pone a carico del garante un’obbligazione autonoma e diversa, in quanto rivolta
a indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro prede-
terminata (Cass. 3-11-2021, n. 31313).
27
La causa concreta del contratto autonomo di garanzia è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il
rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, che può avere ad ogget-
854 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

trova largo impiego nella materia dei contratti pubblici, prevedendosi forme di garanzia
alternative (o aggiuntive) ai depositi cauzionali in danaro o altri beni reali: sono le c.d.
assicurazioni fideiussorie, anche dette cauzioni fideiussorie o polizze fideiussorie 28, costitui-
te a favore dell’ente beneficiario per garantire l’esatta esecuzione dell’opera e le eventuali
inadempienze dell’appaltatore 29. Non può però avere l’effetto di consentire quelle ope-
razioni che sono vietate da norme imperative rispetto alla obbligazione principale, rea-
lizzandosi altrimenti un contratto in frode alla legge (art. 1344) con illiceità della causa 30.
Carattere fondamentale della garanzia autonoma è l’assenza del requisito della accessorietà
rispetto all’obbligazione garantita; l’obbligazione assunta dal garante è tendenzialmente auto-
noma rispetto alla obbligazione principale, per cui il garante non può opporre al beneficiario
creditore le eccezioni inerenti alla obbligazione principale (che invece può opporre il fideius-
sore ex art. 1945). Bisogna avere riguardo al concreto regolamento, per verificare il modello
di autonomia di garanzia che le parti abbiano inteso statuire rispetto alla obbligazione prin-
cipale garantita, anche rispetto agli oneri gravanti sul creditore 31. In assenza di diversa indi-
cazione, non c’è solidarietà tra l’obbligazione principale e quella assunta dal garante 32.

to anche una prestazione infungibile (es. la prestazione dell’appaltatore); a differenza della fideiussione, l’ob-
bligazione del garante autonomo si pone in via autonoma rispetto alla prestazione principale, in quanto non
rivolta all’adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il
tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta presta-
zione del debitore, configurandosi tra le stesse un collegamento negoziale ed un cumulo di prestazioni (Cass.,
sez. un., 18-2-2010, n. 3947; Cass. 5-3-2020, n. 6177; Cass. 22-11-2019, n. 30509; Cass. 11-12-2019, n. 32402).
28
La c.d. assicurazione fideiussoria, strutturalmente costruita secondo lo schema del contratto a favore di
terzo, costituisce una figura contrattuale intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è con-
traddistinta dall’assunzione dell’impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazione, di pa-
gare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a
lui dovuta dal contraente; essendo caratterizzata dalla stessa funzione di garanzia della fideiussione, ad essa è
applicabile, ove non derogata dalle parti, la disciplina legale tipica di tale contratto (Cass. 30-1-2019, n. 2688;
Cass. 29-1-2016, n. 1724).
29
Riferimenti specifici sono nel D.Lgs. 18.4.2016, n. 50, recante disciplina dei contratti pubblici. L’ap-
paltatore, per la sottoscrizione del contratto, deve costituire una “garanzia definitiva” a sua scelta sotto
forma di cauzione o fideiussione, pari al 10 per cento dell’importo contrattuale; le stazioni appaltanti han-
no il diritto di valersi della cauzione, nei limiti dell’importo massimo garantito, per l’eventuale maggiore
spesa sostenuta per il completamento dei lavori nel caso di risoluzione del contratto disposta in danno del-
l’esecutore; possono incamerare la garanzia per provvedere al pagamento di quanto dovuto dal soggetto
aggiudicatario per le inadempienze derivanti dalla inosservanza di norme e prescrizioni dei contratti collet-
tivi, delle leggi e dei regolamenti sulla tutela, protezione, assicurazione, assistenza e sicurezza fisica dei la-
voratori addetti all’esecuzione dell’appalto; la garanzia deve prevedere espressamente la rinuncia al benefi-
cio della preventiva escussione del debitore principale, la rinuncia all’eccezione di cui all’art. 19572 c.c.,
nonché l’operatività della garanzia medesima entro quindici giorni, a semplice richiesta scritta della stazio-
ne appaltante. La mancata costituzione della garanzia determina la decadenza dell’affidamento e l’acquisi-
zione della cauzione provvisoria presentata in sede di offerta da parte della stazione appaltante, che aggiu-
dica l’appalto o la concessione al concorrente che segue nella graduatoria (art. 103).
30
Anche nel contratto autonomo di garanzia, il garante è legittimato a proporre eccezioni fondate sulla nulli-
tà anche parziale del contratto base per contrarietà a norme imperative; può essere sollevata nei confronti della
banca l’eccezione di nullità della clausola anatocistica atteso che diversamente si consentirebbe al creditore di
ottenere, per il tramite del garante, un risultato che l’ordinamento vieta (Cass. 10-1-2018, n. 371).
31
Pure in presenza di una pattuizione ex art. 2957 c.c., deve privilegiarsi (anche sulla base del criterio di
cui all’art. 1367 c.c.) una interpretazione che, valorizzando la autonomia negoziale delle parti, riconosca al
contratto in concreto concluso la portata desumibile non dai tipi astratti della garanzia autonoma, ma dalla
concreta configurazione che a tale garanzia le parti hanno inteso dare (Cass. 23-6-2014, n. 14205).
32
La causa concreta del negozio autonomo consiste nel trasferire da un soggetto all’altro il rischio economi-
CAP. 7 – ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 855

Esiste un diritto-dovere del garante di opporre al beneficiario della garanzia alcune


eccezioni relative al rapporto garantito, contro una escussione abusiva della garanzia da
parte del creditore (c.d. exceptio doli), in applicazione del generale principio di buona
fede (VII, 5.1); devono sussistere c.d. prove liquide, cioè precostituite, che vanno oppo-
ste al creditore nel momento stesso in cui l’eccezione di abuso è sollevata 33. Anche la ga-
ranzia autonoma non può valere se l’operazione economica garantita sia illecita o co-
munque contraria a norme imperative 34. Trova comunque applicazione l’art. 19522, gra-
vando sul garante un onere di avviso al debitore della richiesta di pagamento.
Il garante può opporre al beneficiario le eccezioni relative al rapporto di garanzia 35,
come le eccezioni personali al garante (es. compensazione). Alla stregua poi dell’art.
1462 la clausola di limitazione delle eccezioni non ha effetto per le eccezioni di nullità,
annullabilità e rescissione del contratto di assunzione della garanzia.
Di recente si tende a ricondurre nell’area delle garanzie autonome anche la promes-
sa del fatto del terzo (art. 1381), per procurare questa al promissario sicurezza del
conseguimento della prestazione. La promessa del fatto del terzo comporta, però, a cari-
co del promittente solo un obbligo di indennizzo del promissario per mancata attuazione
del fatto del terzo (VIII, 6.10).

5. Mandato di credito. – È il contratto con il quale un soggetto (mandante) conferi-


sce mandato ad altro soggetto (mandatario) di “fare credito a un terzo”. Il mandatario
assume l’obbligazione in proprio di fare credito al terzo 36; oggetto dell’obbligazione può
essere un qualunque negozio creditizio (es. un mutuo, un’apertura di credito, ecc.). Il
soggetto che ha dato l’incarico (mandante) risponde come fideiussore di un debito futuro
(per l’ipotesi di inadempimento del terzo) (art. 19581). Il rapporto di fideiussione deriva
ope legis in capo al mandante come effetto naturale dell’incarico dato al mandatario di

co connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, mentre nelle obbligazioni solidali in ge-
nerale, e nella fideiussione in particolare, è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima presta-
zione principale; l’obbligazione del garante autonomo rimane sempre distinta da quella del debitore principa-
le, configurandosi tra le stesse un mero collegamento negoziale ed un cumulo di prestazioni (Cass. 11-12-2019,
n. 32402; Cass. 31-3-2021, n. 8874).
33
La giurisprudenza, partendo dal rilievo che la buona fede opera quale generale fonte integrativa degli atti di
autonomia privata, ha stabilito che anche il garante a prima richiesta, quando esistano prove evidenti (c.d. liqui-
de) cioè di pronta soluzione del carattere fraudolento o anche solo abusivo della richiesta di pagamento avanzata
dal beneficiario della garanzia, può e deve rifiutare il pagamento richiesto; mentre non possono essere addotte a
suo fondamento circostanze fattuali idonee a costituire oggetto di eccezione di merito opponibile dal debitore ga-
rantito al creditore beneficiario della garanzia, in ragione dell’inopponibilità da parte del garante di eccezioni di
merito proprie del rapporto principale (Cass. 22-11-2019, n. 30509; Cass. 21-6-2018, n. 16345; Cass. 18-3-2006, n.
5997). Se la garanzia viene prestata esclusivamente in rapporto all’adempimento dovuto da un determinato sog-
getto, ove questi venga liberato (mediante una novazione soggettiva o altra vicenda sopravvenuta), il garante può
sollevare nei confronti del creditore l’eccezione di estinzione della garanzia (Cass. 11-12-2018, n. 31956).
34
Tale impegno, seppure incondizionato, non è assoluto, perché incontra il duplice limite della escussione
fraudolenta o abusiva (a fronte della quale il garante può opporre la exceptio doli) e del caso in cui le predette
eccezioni siano fondate sulla nullità del contratto presupposto per contrarietà a norme imperative o per illi-
ceità della sua causa (Cass. 18-9-2013, n. 21398).
35
È principio acquisito che la clausola “a semplice richiesta” o “senza eccezioni” non impedisce al garan-
te di sollevare eccezioni che attengano al contratto di garanzia e perciò al rapporto tra garante e beneficiario
(Cass. 21-2-2008, n. 4446; Cass. 1-6-2004, n. 10486).
36
Il mandato di credito è un contratto bilaterale che esige per il perfezionamento l’accettazione del man-
datario, che può avvenire anche per facta concludentia (Cass. 9-4-1990, n. 2965).
856 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

fare credito al terzo. Chi ha accettato l’incarico non può rinunziarvi; mentre chi lo ha
conferito può revocarlo, salvo l’obbligo di risarcire il danno alla controparte (art. 19582).
Se, dopo l’accettazione dell’incarico, le condizioni patrimoniali di chi ha conferito l’inca-
rico o del terzo diventano tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento
del credito, chi ha accettato l’incarico non può essere costretto ad eseguirlo (art. 1959).
La legge utilizza il meccanismo del “mandato”, che espressamente richiama nella rubri-
ca dell’art. 1958; però la disciplina si discosta dalla essenza del mandato, quale regolato
dagli artt. 1703 ss. (IX, 3.1), in quanto, per regola generale, il mandatario si obbliga a
compiere uno o più atti giuridici per conto del mandante (art. 1703), mentre, nella specie, il
mandatario compie l’incarico di fare credito a un terzo, assumendo chi ha dato l’incarico la
sola veste di fideiussore. È pertanto una figura assimilabile nella funzione alla fideiussione.

6. Avallo. – È regolato dagli artt. 35 ss. R.D. 14.12.1933, n. 1669 (legge cambiaria) e
dagli artt. 28 ss. R.D. 21.12.1933, n. 1736 (legge sull’assegno bancario) ed è apposto sulla
cambiale o sull’assegno bancario o relativi allungamenti. Dà luogo a una tipica obbliga-
zione cartolare, caratterizzata dai requisiti dell’autonomia, dell’astrattezza e della let-
teralità (quali saranno delineati relativamente ai titoli di credito: XI, 2.1). Sia il pagamen-
to della cambiale come il pagamento di un assegno bancario possono essere garantiti con
avallo per tutta o parte della somma.
Chi rilascia l’avallo (avallante) è obbligato nello stesso modo di colui per il quale l’a-
vallo è stato dato (avallato). Contrariamente alla fideiussione, l’avallo è una obbligazione
autonoma: è perciò valida anche se l’obbligazione garantita sia nulla per qualsiasi altra
causa che non sia un vizio di forma. L’avallante che paga la cambiale o l’assegno acquista
i diritti ad essa inerenti contro il soggetto garantito e contro coloro che sono obbligati
verso quest’ultimo in virtù della cambiale o dell’assegno.

7. Lettera di patronage. – È diffusa la prassi di rilasciare, da parte di una società ca-


pogruppo o controllante, lettere di patronage (anche dette di gradimento) ad una banca,
affinché questa conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società controlla-
ta 37. Tali dichiarazioni assumono contenuti molto differenti, sicché è difficile ricondurre
una prassi così variegata a schemi tipici.
Il dato economico comune, sottostante alle lettere di patronage, è la esistenza di un
rapporto tra due società, con la partecipazione di una società controllante (patrocinan-
te) nella società controllata (patrocinata) e il correlato impegno della prima verso la
banca erogatrice del credito di comunicare ogni variazione del rapporto corrente tra le
due società. L’impegno della società patrocinante può esaurirsi in una informativa del
controllo, come della gestione della società patrocinata o delle variazioni della organiz-
zazione e della compagine della stessa, fino ad assumere l’impegno di mantenimento
della solvibilità della società patrocinata o addirittura il rischio dell’inadempimento.
Si sono delineate due fondamentali classi di lettere di patronage, cui in qualche modo
le singole figure si riconducono: lettere c.d. deboli, consistenti in mere dichiarazioni di
informazione, per le quali la patrocinante risponde verso la banca a titolo di responsabi-

37
Secondo Cass. 3-4-2001, n. 4888, la lettera di patronage, con la quale il patrocinante assume degli impe-
gni nei confronti del creditore, rientra nello schema negoziale delineato dall’art. 1333; sicché non richiede per
il suo perfezionamento l’accettazione espressa dell’oblato, essendo però consentito il rifiuto.
CAP. 7 – ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE 857

lità extracontrattuale (art. 2043) quando la non veridicità della informativa pregiudica il
rapporto della banca con la patrocinata; lettere c.d. forti, consistenti in assunzione di
obblighi per il cui inadempimento la patrocinante risponde verso la banca a titolo di re-
sponsabilità contrattuale (art. 1218), per non avere esercitato la dovuta influenza nella
patrocinata o per essere venuta meno la solvibilità assicurata o addirittura perché è in-
tervenuto l’inadempimento. È questa seconda classe che si atteggia con una funzione la-
tamente di garanzia, in quanto tende comunque ad agevolare il soddisfacimento del cre-
ditore (la banca) 38: ma emergono diversità, sia rispetto alla fideiussione e alla garanzia
autonoma, sia rispetto alla promessa del fatto del terzo 39.

8. Garanzie collettive. – È notoria la difficoltà delle piccole e medie imprese di acce-


dere al credito (presso banche e altre strutture finanziarie) per non essere in grado di of-
frire idonee garanzie di restituzione del danaro. Si è andata perciò da tempo diffondendo
la prassi di costituire strutture consorziate di imprese che danno luogo a garanzie collettive,
formate con gli apporti delle singole imprese consorziate e di sovente con l’intervento di
ausilio pubblico (specie in zone più svantaggiate che si vuole fare sviluppare). D’altra par-
te, la costituzione di consorzi di garanzia collettiva consente alle banche di ridurre i costi
dell’informazione sui soggetti da affidare e i rischi connessi all’inadempimento.
Il fenomeno più diffuso è quello dei “consorzi di garanzia collettiva dei fidi” (confidi),
primieramente disciplinato dall’art. 13 D.L. 30.9.2003, n. 269, conv. con L. 24.11.2003, n.
326 (c.d. normativa quadro confidi). Per il co. 1 si intendono per “confidi”, i consorzi
con attività esterna, le società cooperative, le società consortili per azioni, a responsabili-
tà limitata o cooperative, che svolgono “attività di garanzia collettiva dei fidi”, intesa co-
me utilizzazione di risorse provenienti in tutto o in parte dalle imprese consorziate o so-
cie per la prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie volte a favorire il finan-
ziamento da parte di banche e di altri soggetti operanti nel settore finanziario. Nell’e-
sercizio dell’attività di garanzia collettiva dei fidi, possono essere compiute più operazio-
ni: prestare garanzie personali e reali; stipulare contratti volti a realizzare il trasferimento
del rischio; utilizzare in funzione di garanzia depositi indisponibili costituiti presso i fi-
nanziatori delle imprese consorziate o socie. Possono anche essere costituiti confidi di
secondo grado, che svolgono la detta attività in favore dei confidi e delle imprese a essi
aderenti e delle imprese consorziate o socie di questi ultimi 40.

38
Per Cass. 3-4-2001, n. 4888, cit., la funzione delle lettere di patronage “forti” può esplicarsi anche me-
diante la posizione di influenza e controllo ricollegabile ad una significativa partecipazione azionaria (non
necessariamente maggioritaria) nella società patrocinata; l’insussistenza di detta partecipazione, inveridica-
mente affermata dal patrocinante, incidendo sull’impegno da questi assunto nei confronti del destinatario della
lettera, integra inadempimento ai sensi dell’art. 1218.
39
Qualora il “patronnant” si limiti a promettere che il patrocinato farà fronte alle proprie obbligazioni,
pur in presenza di una lettera di patronato c.d. forte, egli non assume anche l’impegno di eseguire personal-
mente la prestazione, come avviene nella promessa del fatto del terzo dove, in caso di inadempimento, il
promittente è obbligato ad indennizzare il creditore; quando il patrocinatore abbia assunto l’impegno diret-
tamente e debba quindi adempiere l’obbligazione nel caso di inadempimento del patrocinato, ricorre un’ipo-
tesi di fideiussione (Cass. 9-12-2019, n. 32026).
40
L’attività strumentale all’ottenimento del credito riconduce i confidi alla previsione dell’art. 2602 c.c.,
configurandoli, secondo una tradizionale ricostruzione, come “cooperativa consortile di servizi”, che fornisce
garanzie ed assistenza tecnica ai soci nei rapporti con il sistema creditizio.
858 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

Con il Nuovo Accordo sul Capitale c.d. Basilea II (in vigore dal 2008), il ruolo svolto
dai confidi è essenziale per assicurare una corretta classificazione dei clienti in base al
grado di rischiosità e al merito creditizio 41.

B) GARANZIE REALI

9. Cenni e rinvio. – L’altra forma di estensione della responsabilità patrimoniale è


quella della concessione, da parte di terzi, di garanzie reali (pegno e ipoteca) (per lo spe-
cifico esame VII, 6). Si è visto come il pegno e l’ipoteca possono essere costituiti a garan-
zia dell’obbligazione, non solo dal debitore, ma anche dal terzo, che assume la veste di
terzo datore di pegno (art. 2784) o di terzo datore di ipoteca (artt. 2868 ss.).
Sono garanzie speciali, che danno luogo a diritti reali di garanzia su cosa altrui ed
operano quali cause legittime di prelazione (art. 2741). Non vi è assunzione di obbliga-
zione da parte del terzo: sono garanzie senza debito, che rimarcano la duplicità di pro-
spettiva di debito e responsabilità (VIII, 1.4), di regola coese ma anche distinguibili, co-
me appunto nella garanzia reale di terzi.
Un regime particolare vale per il terzo datore di ipoteca. Se non è espressamente con-
venuto, non può invocare il beneficio della preventiva escussione del debitore (art. 2868).
Se ha pagato i creditori iscritti o ha sofferto l’espropriazione, ha regresso verso il debito-
re; se vi sono più debitori obbligati in solido e il terzo ha costituito l’ipoteca a garanzia di
tutti, ha regresso contro ciascuno per l’intero (art. 28711) 42. La posizione del terzo datore
di ipoteca si distingue da quella eventuale del fideiussore 43.

41
Con D.Lgs. 13.8.2010, n. 141, è stato modificato il titolo V del TUB (artt. 106 ss.) con sensibili muta-
menti di disciplina dei confidi e con la previsione di organismi di iscrizione. I confidi, anche di secondo grado,
sono iscritti nell’Elenco tenuto dall’Organismo per la tenuta dell’elenco dei confidi ed esercitano in via esclusiva
l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali, alle condizioni previste e nel rispet-
to delle disposizioni dettate dal Ministro dell’economia e delle finanze e delle riserve di attività previste dalla leg-
ge (artt. 12 e 12 bis TUB): cfr. Cass. 23-9-2019, n. 23611. L’attività svolta dal consorzio fidi consiste nella presta-
zione di una garanzia che lo obbliga a tenere indenne il creditore, in tutto o in parte, dalle perdite derivate
dall’inadempimento del debitore, e di suoi eventuali fideiussori, dopo la relativa escussione (Cass. 6-8-2014, n.
17731). Non sussiste rapporto di confideiussione tra la garanzia sussidiaria statutariamente prestata dall’ente di
mutua garanzia avente come scopo la semplificazione dell’accesso al credito delle piccole e medie imprese, oltre
che la riduzione del costo dei finanziamenti e la prestazione di servizi di consulenza aziendale, e le eventuali fi-
deiussioni prestate direttamente, e in via principale, in favore del consorzio da altri soggetti estranei al consorzio
stesso (Trib. Torino 26-10-2010; Trib. Bari 24-11-2009).
42
Può esercitare il subingresso (previsto dall’art. 28662) nei confronti dei terzi acquirenti che hanno tra-
scritto il titolo di acquisto successivamente alla iscrizione ipotecaria (art. 28712). Il terzo datore ha anche dirit-
to di surrogazione nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore: l’ipoteca si estingue se, per
fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione (art. 2869).
43
Il terzo datore di ipoteca e il terzo acquirente dell’immobile ipotecato non sono obbligati in solido col
debitore principale e col suo fideiussore, giacché essi non sono soggetti passivi del rapporto obbligatorio, ma
soltanto assoggettati, nel caso d’inadempimento del debitore e dei suoi garanti, all’azione esecutiva del credi-
tore sull’immobile ipotecato; tuttavia il terzo datore di ipoteca e il terzo acquirente dell’immobile ipotecato,
che abbiano pagato il debito, sono surrogati ex lege nei diritti del creditore verso il debitore ed i suoi fideius-
sori a norma degli artt. 1203, n. 3, e 1204 c.c., poiché la surrogazione legale va ammessa anche per coloro che
sono tenuti al pagamento propter rem in virtù del vincolo, che assoggetta un loro bene all’esecuzione forzata
per un debito altrui, e che, essendo posti nell’alternativa di pagare tale debito o di subire l’espropriazione,
hanno interesse a soddisfarlo (Cass. 24-9-2019, n. 23648).
CAP. 8 – GESTIONE DELLA DEBITORIA 859

CAPITOLO 8
GESTIONE DELLA DEBITORIA
(Crisi di impresa e sovraindebitamento)

Sommario: 1. Dal debito alla debitoria. – 2. Crisi di impresa. Procedure di allerta e di composizione
assistita della crisi. – 3. Segue. Procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza. La liquidazione
giudiziale. – 4. Sovraindebitamento. Procedure di composizione della crisi e di liquidazione del pa-
trimonio. – 5. Esdebitazione.

1. Dal debito alla debitoria. – La tradizionale visione dell’obbligazione è di stru-


mento per il conseguimento di beni finali, specificamente la proprietà e in generale i di-
ritti reali, ovvero di organizzazione di interessi tra i soli soggetti del rapporto.
La moderna realtà economica evidenzia la crescente funzione del rapporto obbligato-
rio (del credito come del debito) di risorsa essenziale dell’azione economica, imprendito-
riale e no, per consentire l’approvvigionamento di risorse e di beni di consumo. Emerge
inoltre la espansione della economia dei servizi, con i rapporti obbligatori funzionali alla
erogazione e al conseguimento di servizi. C’è anche da rilevare lo sviluppo dell’economia
verso un’attività di produzione e distribuzione di massa.
In tale contesto emerge un’attenzione alla c.d. debitoria come complessiva esposizione
finanziaria del debitore, connessa all’attività imprenditoriale o correlata all’accesso al con-
sumo. Si è già anticipato come l’esposizione debitoria cospicua, così per ammontare del
debito come per numero di creditori, spesso coinvolge interessi ulteriori rispetto a quelli
dei titolari dei rapporti obbligatori ovvero compromette posizioni soggettive qualificate, in
entrambe le direzioni impegnando dimensioni valoriali da tutelare (VII, 1.19; VII, 5.4).
Nella prospettiva dell’impresa, l’insolvenza dell’impresa, originariamente connotata dal
fallimento con venature sanzionatorie civili, è stata per lungo tempo vissuta nella dire-
zione di escludere dal mercato imprese c.d. malate che, non riuscendo a soddisfare rego-
larmente le proprie obbligazioni, avrebbero finito con il compromettere il naturale svol-
gimento dei traffici economici; perciò con la funzione della procedura fallimentare di li-
quidare il patrimonio del fallito nel rispetto di un principio concorsuale, con una conno-
tazione marcatamente pubblicistica di egemonia della presenza giudiziaria. Col tempo si
è avvertito che tale sistema segni anche la fine irreversibile dell’attività economica del-
l’impresa, con compromissione dei vari interessi sociali ed economici coinvolti dall’im-
presa, a cominciare dai rapporti di lavoro. Sulla scorta di esperienze europee sono matu-
rate da tempo tecniche di salvezza delle imprese in crisi: non si tratta solo di assicurare il
pari trattamento dei creditori nella liquidazione del patrimonio del debitore, nel rispetto
delle eventuali cause di prelazione, ma anche di reintegrare il debitore nel tessuto socia-
860 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

le, dopo l’estinzione della debitoria, al fine di ancora utilizzare conoscenze, esperienze e
iniziative nel mercato, specie in una situazione di stagnazione economica e di progressiva
chiusura di aziende. Il debito di impresa rileva quale posizione passiva se guardato nella
dimensione strutturale del singolo rapporto, e invece quale possibile meccanismo di svi-
luppo economico se analizzato nella prospettiva funzionale della organizzazione dell’im-
presa. C’è l’esigenza di sostenere l’impresa in crisi, sopraffatta dalla debitoria, accompa-
gnandola alla ripresa dell’attività produttiva.
Nella prospettiva delle famiglie e di piccole attività, e in genere dei consumatori, la
debitoria del singolo familiare si riflette sulla vita e l’iniziativa dell’intera comunità fa-
miliare. Bisogna liberare le forze vitali della famiglia, sia come luogo di svolgimento
della personalità dei suoi componenti, sia come attivazione dell’economia. Vi è oggi un
progressivo impoverimento delle famiglie per una generalizzata contrazione delle entrate
(è in crescita il numero delle famiglie monoreddito), mentre è sempre più sviluppata
una sussidiarietà delle famiglie verso le nuove generazioni. Nella medesima situazione
si dimenano piccoli esercenti ed artigiani, come più fasce di professionisti, che ricor-
rono di sovente all’indebitamento di supporto alle attività. Molto spesso famiglie e
piccole attività, per far fronte ad esigenze esistenziali o di pagamento di debiti pregres-
si, cadono nella rete dell’usura e dell’estorsione. Una lunga stagione economica ha sti-
molato la domanda di consumo come sostegno alle imprese, ad es. attraverso il credito al
consumo, anche con una eccitazione indiscriminata al consumo sorretta dalla martellante
pubblicità spesso subliminale; in una società consumeristica il consumo rappresenta essen-
ziale attrattore di prodotti di impresa, quale naturale serbatoio di collocazione. Nelle varie
direzioni vanno utilizzati strumenti di gestione della debitoria, per esaudire esigenze di
sopravvivenza e favorire il ritorno al mercato.
In presenza di più debiti, da sempre il debitore cerca un accordo con i vari creditori,
attraverso una dilazione dei pagamenti, una decurtazione o eliminazione degli interessi
dovuti o la riduzione della sorta capitale, ovvero procedendo a compensazioni o cessione
ai creditori di beni e crediti; questi accordi rimangono atti di autonomia privata efficaci
tra le parti che li hanno stipulati senza alcun effetto verso gli altri creditori e in generale i
soggetti che non hanno partecipato all’intesa. La peculiarità dei nuovi meccanismi di si-
stemazione è di pervenire ad una liberazione del titolare dall’intera debitoria nei con-
fronti di tutti i creditori. L’impianto strutturale del rapporto obbligatorio, quale presta-
zione rivolta alla realizzazione della pretesa individuale del creditore, è attraversato e ri-
mane inciso dalla visuale aggregata dei debiti afferenti al debitore. La nuova osservazione
è rivolta al complesso delle situazioni di debito che accompagnano l’attività economica o
la vita familiare del soggetto e in genere il consumatore: appunto la debitoria, per la na-
tura e/o ampiezza degli interessi coinvolti, riceve una rilevanza qualificata. La gestione
del debito non è indirizzata in una esclusiva prospettiva commutativa di realizzazione del
credito ma aperta ad una dimensione distributiva di soddisfacimento delle molteplici
istanze economiche e sociali coinvolte, così da riattivare l’azione patrimoniale del debito-
re nel mercato, come imprenditore o come consumatore.
La debitoria destinata alla cartolarizzazione (VII, 2.6) non è la mera sommatoria dei sin-
goli debiti: la destinazione dei debiti alla cartolarizzazione comporta una rinnovata valuta-
zione degli stessi, in funzione del valore che assume il blocco dei debiti 1.

1
Derivano riflessi anche nell’appostazione al bilancio delle società: la disposizione del blocco travalica la ge-
CAP. 8 – GESTIONE DELLA DEBITORIA 861

Come per le merci, si è sviluppata l’esigenza di circolazione dei crediti e dei debiti: il
tradizionale divario tra “crediti civili”, vincolabili in funzione dell’interesse del debitore
alla stabilità della persona del creditore, e “crediti commerciali” refrattari a ogni vincolo
per lasciare al creditore libertà di disposizione 2, è ormai reintegrato nella complessiva
valutazione di gestione della debitoria che attraversa imprese, piccole attività, famiglie e
in genere i consumatori. Anche l’assunzione del debito altrui che, nella prospettiva indi-
viduale, necessita l’assenso del creditore per la liberazione del debitore, è riguardata nel-
la prospettiva delle attività economiche cui i debiti afferiscono per assicurare continuità
in altre mani.
Già la disciplina della cessione di azienda prevede che l’acquirente dell’azienda su-
bentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda, che non abbiano carattere per-
sonale (art. 2558), in deroga alla regola che la cessione del contratto è subordinata al fat-
to che “l’altra parte vi consenta” (art. 1406); analogamente il conduttore può sublocare e
cedere il contratto di locazione, anche senza il consenso del locatore, quando venga in-
sieme ceduta o locata l’azienda, potendo il locatore opporsi solo per gravi motivi (art. 36
L. 392/1978); sempre più diffusamente i crediti sono concessi in garanzia per alimentare
finanziamenti (già l’art. 27842 prevede il pegno di crediti). Pure le garanzie per l’adem-
pimento delle obbligazioni sono attraversate dalla nuova prospettiva: si pensi al pegno
mobiliare non possessorio e al trasferimento immobiliare sospensivamente condizionato
all’inadempimento (VII, 6.12 e 13).

2. Crisi di impresa. Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi. –


Il nuovo diritto dell’economia fa emergere una centralità dell’impresa come ragione di
accumulazione e distribuzione di ricchezza e di formazione di posti di lavoro, sicché an-
che la sua crisi va valutata nella prospettiva sociale di salvezza della produttività, ferme le
sanzioni soggettive per le attività fraudolente compiute a danno della trasparenza del mer-
cato e delle consuete vittime sacrificali (consumatori e fisco).
In attuazione del Reg. U.E. 2015/848 del 20.5.2015, relativo alle procedure di insol-
venza, la L. 19.10.2017, n. 155, detta delega al Governo per la riforma delle discipline
della crisi di impresa e dell’insolvenza, attuata con D.Lgs. 12.1.2019, n. 14, recante il
Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; con D.Lgs. 26.10.2020, n. 147, sono state
apportate disposizioni integrative e correttive: fine ultimo è una gestione efficiente dei
risanamenti aziendali e delle procedure concorsuali.
Alla stregua del codice si intende per “crisi” lo stato di difficoltà economico-fi-
nanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manife-
sta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle ob-

stione ordinaria, come capitale corrente o circolante, per impegnare la gestione straordinaria (ne è consapevole la
giurisprudenza: es. App. Milano, 22-8-2016).
2
Ad es., in Germania, pur restando immutato il § 399 BGB che regola la esclusione della cessione concorda-
ta del credito, è stato inserito nel HGB il § 354a che, pure in presenza di un divieto di cessione del credito, con-
sidera l’atto di cessione del credito comunque efficace quando il negozio costitutivo del divieto sia per entrambe
le parti contraenti un “atto di commercio” oppure quando il debitore sia una persona giuridica o un patrimonio
destinato facente capo ad un ente di diritto pubblico; al debitore è consentito liberarsi pagando al cedente. In
Francia l’art. L 442-6, lett. c, Code de commerce sanziona con la nullità le pattuizioni che accordano a un produt-
tore, un commerciante, un industriale o una persona immatricuilé eaurépertoiredesmétiers il diritto di impedire
alla controparte contrattuale di cedere il credito a terzi.
862 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

bligazioni pianificate (art. 21, lett. a); per “insolvenza” lo stato del debitore che si ma-
nifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non
è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (art. 21, lett. b); per
“sovraindebitamento”: lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professio-
nista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative e
di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquida-
zione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile
o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza (art. 21, lett. c); è poi anticipata la no-
zione di consumatore sviluppata nella revisione della L. 3/2012, con varie sovrapposi-
zioni (di cui appresso). Debitore e creditori devono comportarsi secondo buona fede e
correttezza (art. 4) 3. Il codice introduce una riforma organica della disciplina delle
procedure concorsuali, con un ambito di applicazione molto ampio, per coinvolgere
ogni categoria di debitore (art. 1). La normativa tende a sostituire, nel contenuto e nella
terminologia, la legge fallimentare, di cui al R.D. 16.3.1942, n. 267.
Per favorire la continuità dell’azienda sono apprestate varie procedure di soluzione
della crisi di impresa, alcune stragiudiziali senz’altro favorite, altre che coinvolgono l’au-
torità giudiziaria. È valorizzata la cultura della prevenzione nella gestione delle imprese,
al fine di prevenire le crisi e le insolvenze.
Sono previste procedure di allerta e di composizione assistita della crisi. Con esclusione
delle società quotate in borsa o in altro mercato regolamentato e comunque delle grandi
imprese come definite dalla normativa dell’Unione europea, tali procedure non giudiziali
e confidenziali sono finalizzate a incentivare l’emersione anticipata della crisi e ad agevo-
lare lo svolgimento di trattative tra debitore e creditori, così da consentire una composi-
zione negoziale assistita della crisi. Un ruolo fondamentale svolge l’Organismo di com-
posizione della crisi d’impresa (OCRI), costituito presso ciascuna camera di commercio
(art. 16) 4.
In particolare, le procedure di allerta assumono un ruolo fondamentale per la finalità
di anticipare l’emersione di una difficoltà economica, così da procedere alla ristruttura-
zione aziendale prima che la situazione di crisi possa sfociare in una insolvenza dell’im-
presa. Il debitore, all’esito dell’allerta o anche prima della sua attivazione, può accedere
al procedimento di composizione assistita della crisi, che si svolge in modo riservato e con-
fidenziale dinanzi all’OCRI (art. 12) 5.

3
L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e as-
sumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte; l’imprenditore collettivo deve adottare un assetto
organizzativo adeguato ai sensi dell’art. 2086 c.c., ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e del-
l’assunzione di idonee iniziative (art. 3).
4
L’OCRI è costituito presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, con il com-
pito di ricevere le segnalazioni di cui gli artt. 14 e 15, gestire il procedimento di allerta e assistere l’impren-
ditore, su sua istanza, nel procedimento di composizione assistita della crisi (art. 16).
5
L’accordo con i creditori deve avere forma scritta, è depositato presso l’organismo e non è ostensibile a
soggetti diversi da coloro che lo hanno sottoscritto. L’accordo produce gli stessi effetti degli accordi che dan-
no esecuzione al piano attestato di risanamento e, su richiesta del debitore e con il consenso dei creditori in-
teressati, è iscritto nel registro delle imprese (art. 194). Se non è concluso un accordo con i creditori coinvol-
ti e permane una situazione di crisi, l’OCRI invita il debitore a presentare domanda di accesso a una pro-
cedura regolatrice della crisi o dell’insolvenza ex art. 37 (art. 21) che si svolge dinanzi al tribunale in com-
posizione collegiale, con le modalità previste dal codice (art. 40) Sono ammessi meri strumenti negoziali
CAP. 8 – GESTIONE DELLA DEBITORIA 863

3. Segue. Procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza. La liquidazione


giudiziale. – Il procedimento per l’accesso a una delle procedure di regolazione della
crisi o dell’insolvenza si svolge dinanzi al tribunale, su domanda proposta dal debitore,
da un creditore, da coloro che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull’impresa o
dal pubblico ministero (art. 40).
Esistono il concordato preventivo e strumenti negoziali stragiudiziali di accordi di ri-
strutturazione, soggetti ad omologazione (artt. 57 ss.). È ammesso l’accesso al concordato
preventivo e a strumenti negoziali stragiudiziali di accordi di ristrutturazione, soggetti ad
omologazione. La sentenza che omologa il concordato o gli accordi di ristrutturazione
produce effetti dalla data della pubblicazione, mediante deposito; gli effetti nei riguardi
dei terzi si producono dalla data di iscrizione nel registro delle imprese; se il tribunale
non omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione, dichiara con sen-
tenza, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, l’apertura della liquidazione giudiziale
(art. 48) 6. Con la sentenza nomina il giudice delegato per la procedura e il curatore non-
ché, se utile, uno o più esperti per l’esecuzione di compiti specifici in luogo del curatore;
ordina al debitore il deposito entro tre giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fisca-
li obbligatorie (art. 49). Con la sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale, il
tribunale autorizza il curatore a proseguire l’esercizio dell’impresa, anche limitatamente
a specifici rami dell’azienda (art. 211).
La liquidazione giudiziale è una procedura concorsuale che si applica agli imprendito-
ri commerciali in stato di insolvenza che non rientrino tra le c.d. “imprese minori” (art.
121). L’attività nevralgica è la ricostruzione e liquidazione del patrimonio dell’imprendito-
re (attivo), dopo la formazione dello stato passivo. È sostituito il termine “fallimento” e i
suoi derivati con l’espressione “liquidazione giudiziale”, adeguando dal punto di vista
lessicale anche le relative disposizioni penali, ferma restando la continuità delle fattispe-
cie criminose. Il giudice delegato esercita funzioni di vigilanza e di controllo sulla regola-
rità della procedura (art. 123). Sono introdotti precisi criteri direttivi per rendere più ef-
ficiente e snella la procedura, con la valorizzazione del curatore, che, per quanto attiene
all’esercizio delle sue funzioni, ha la qualifica di pubblico ufficiale (art. 127) 7. Il comitato

stragiudiziali (art. 56) e strumenti negoziali stragiudiziali soggetti ad omologazione (artt. 44 e 57 ss.). La ri-
strutturazione della debitoria, realizzando un intervento sui singoli rapporti obbligatori coinvolti, prospet-
ta il problema della qualificazione delle vicende giuridiche realizzate sulle singole obbligazioni: l’opera-
zione, benché sottoposta ad omologa del tribunale, ha comunque alla base una espressione di autonomia
negoziale di transazione tra il debitore e i vari creditori; perciò la problematica qualificatoria chiama in
campo i termini di incidenza della transazione (VII, 3.13).
6
Una particolare forma di liquidazione è la “liquidazione coatta amministrativa”, prevista per imprese
soggette a vigilanza (ad es. istituti bancari, compagnie di assicurazione, ecc.): è “il procedimento concorsuale
amministrativo che si applica nei casi espressamente previsti dalla legge” (art. 293); è regolata dalle disposi-
zioni del codice, salvo che leggi speciali dispongano diversamente (art. 294). Quando la legge ammette la pro-
cedura di liquidazione coatta amministrativa e quella di liquidazione giudiziale, l’apertura di una procedura
preclude l’altra (art. 295). Si dà luogo a procedura di liquidazione, non solo in ipotesi di crisi economica, ma
anche per irregolarità di gestione (es. artt. 80 ss. D.Lgs. 385/1993 TUB).
7
Il curatore ha l’amministrazione del patrimonio compreso nella liquidazione giudiziale, compie tutte le
operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito del-
le funzioni ad esso attribuite (art. 128). Il sistema di accertamento del passivo è improntato a criteri di mag-
giore rapidità, snellezza e concentrazione; è intensificata la trasparenza ed efficienza delle operazioni di liqui-
dazione dell’attivo della procedura; la disciplina degli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato è
coordinata con la legislazione vigente in materia di diritto del lavoro; è accelerata la chiusura della procedura.
864 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

dei creditori è nominato dal giudice delegato entro trenta giorni dalla sentenza che ha
aperto la liquidazione giudiziale (art. 138). La sentenza che dichiara aperta la liquidazio-
ne giudiziale priva dalla sua data il debitore dell’amministrazione e della disponibilità dei
suoi beni esistenti alla data di apertura della liquidazione giudiziale; alla quale afferiscono
anche i beni che pervengono al debitore durante la procedura, dedotte le passività in-
contrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi (art. 142) 8. La liquidazione
giudiziale apre il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore; ogni credito, anche
se munito di diritto di prelazione o prededucibile, nonché ogni diritto reale o personale,
mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme del codice, salvo diver-
se disposizioni della legge (art. 151). È ammesso un concordato a iniziativa del debitore
o di terzi (artt. 240 ss.).
È conservato l’impianto del R.D. 267/1942 circa l’azione revocatoria fallimentare per
gli atti compiuti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento (artt. 163 ss.) 9, come
rispetto ai rapporti giuridici pendenti (artt. 172 ss.). Approvato il conto, il giudice delega-
to, sentite le proposte del curatore, ordina il riparto finale (art. 232). La distribuzione
delle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo segue i criteri del concorso dei credi-
tori di cui all’art. 2741. Con il decreto di chiusura della liquidazione cessano gli effetti
della procedura di liquidazione giudiziale sul patrimonio del debitore e le conseguenti
incapacità personali e decadono gli organi preposti alla procedura medesima; i creditori
riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta
dei loro crediti per capitale e interessi, salvo gli effetti della esdebitazione (art. 236).
Il debitore in stato di sovraindebitamento può domandare con ricorso al tribunale
l’apertura di una procedura (più snella) di liquidazione controllata dei suoi beni (artt. 268
ss.): il tribunale dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione controllata, nomi-
nando il giudice delegato e il liquidatore (art. 270); la procedura si chiude con decreto
(art. 276). Per l’analoga formulazione di sovraindebitamento del debitore contenuta nel-
la L. 3/2012, deve pensarsi che alla procedura di liquidazione controllata possano acce-
dere i soli soggetti previsti dal codice.
Criteri specifici operano per la liquidazione coatta amministrativa, quale procedimento
concorsuale amministrativo che si applica nei casi espressamente previsti dalla legge; la
stessa legge determina le imprese soggette e i casi per i quali la liquidazione coatta ammini-
strativa può essere disposta, nonché l’autorità competente a disporla (artt. 293 ss.).

4. Sovraindebitamento. Procedure di composizione della crisi e di liquidazione


del patrimonio. – Sempre più spesso anche piccole attività economiche (specie artigiani)
e famiglie sono sopraffatte dalla crisi con crescenti posizioni debitorie: si pensi alle fami-

8
Se al debitore vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore e il co-
mitato dei creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia; la casa della
quale il debitore è proprietario o può godere in quanto titolare di altro diritto reale, nei limiti in cui è ne-
cessaria all’abitazione di lui e della famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla sua liquidazione
(art. 144).
9
Gli atti previsti dall’art. 166, compiuti tra coniugi, parti di un’unione civile o conviventi di fatto nel tem-
po in cui il debitore esercitava un’impresa e quelli a titolo gratuito compiuti tra le stesse persone più di due
anni prima della data di deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale, ma nel
tempo in cui il debitore esercitava un’impresa, sono revocati se il coniuge o l’unito civilmente o il convivente
di fatto non prova che ignorava lo stato d’insolvenza del debitore (art. 169).
CAP. 8 – GESTIONE DELLA DEBITORIA 865

glie che non riescono a pagare le rate residue del mutuo contratto per l’acquisto dell’abi-
tazione o della sua ristrutturazione; analogamente per professionisti poco avviati relati-
vamente all’acquisto o ammodernamento dello studio, o anche agricoltori relativamente
all’acquisto di nuove attrezzature. La situazione emergenziale economica da Covid, ridu-
cendo fortemente gli incassi delle iniziative economiche, ha generalizzato la impossibilità
di assolvere la debitoria contratta, sia verso banche e privati che verso strutture pubbli-
che come Agenzia delle entrate.
È da ritenere che il fondamento materiale del favore per la sistemazione dei debiti si
dispieghi in una duplice prospettiva: una di carattere valoriale, per consentire alla perso-
na gravemente indebitata di riacquistare una dimensione esistenziale di esplicazione del-
la propria personalità; un’altra di ragione economica, di consentire al debitore di riparti-
re dopo avere eliminato la propria posizione debitoria, con una riattivazione della pro-
pensione al consumo, attraverso indirizzo di spesa e accesso al credito che sono essenzia-
li fattori di sviluppo economico. Del resto anche i creditori, in presenza di un conclama-
to sovraindebitamento, sono portati ad accettare tali soluzioni a fronte di una infruttuosa
azione esecutiva nei confronti del debitore.
Procedure di gestione della crisi da sovraindebitamento sono state previste dalla L.
27.1.2012, n. 3, novellata dal D.L. 18.10.2012, n. 179, conv. con L. 17.12.2012, n. 221,
con riguardo alla posizione del “consumatore” (platea ampliata dall’art. 9 L. 155/2017).
Nella emergenza sanitaria la normativa è stata ulteriormente novellata 10. Si intende per
“consumatore” la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale,
commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una socie-
tà di persone, per i debiti estranei a quelli sociali (art. 62, lett. b), e per “sovraindebita-
mento” la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio
prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adem-
piere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente
(art. 62, lett. a). È consentito al debitore concludere un accordo con i creditori nel-
l’ambito della procedura di composizione della crisi al fine di “porre rimedio alle situa-
zioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali di-
verse da quelle regolate dal presente capo II” (art. 6); in tal senso, nonostante l’asso-
nanza terminologica, si determina una perimetrazione rispetto alla procedura di liquida-
zione controllata prevista dal codice della crisi di impresa per il debitore sovraindebita-
to, riferito alle figure assoggettate a tale codice. Figure essenziali della crisi da sovrain-
debitamento sono gli “organismi di composizione della crisi”, iscritti in un apposito regi-
stro tenuto presso il Ministero della giustizia (art. 15).
a) Sono favorite procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e piano
del debitore (artt. 6 ss.). Il debitore, in stato di sovraindebitamento, può proporre ai cre-
ditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi con sede nel circondario
del tribunale competente, un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei
crediti sulla base di un piano che, assicurato il regolare pagamento dei titolari di crediti
impignorabili, preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddi-

10
Con D.L. 28.10.2020, n. 137, conv. con modif. con L. 18.12.2020, n. 176, sono state introdotte varie
modifiche alla legge base 3/2012 per semplificare l’accesso alle procedure di sovraindebitamento per le im-
prese e i consumatori, anticipandosi alcune regole del cod. crisi d’impresa (D.Lgs. 14/2019).
866 PARTE VII – OBBLIGAZIONI

visi in classi, indichi le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti e le
modalità per l’eventuale liquidazione dei beni; il piano può anche prevedere l’affida-
mento del patrimonio del debitore ad un gestore per la liquidazione, la custodia e la di-
stribuzione del ricavato ai creditori (art. 71). La proposta non è ammissibile quando il
debitore ha già beneficiato dell’esdebitazione per due volte; limitatamente al piano del
consumatore, ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, mala-
fede o frode; limitatamente all’accordo di composizione della crisi, abbia commesso atti
diretti a frodare le ragioni dei creditori (art. 72): vi è dunque una valutazione anche dello
stato soggettivo del debitore, ammettendosi solo una colpa lieve.
Sono ammesse “procedure familiari”: i membri della stessa famiglia possono presenta-
re un’unica procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento quando sono
conviventi o quando il sovraindebitamento ha un’origine comune; si considerano mem-
bri della stessa famiglia, oltre al coniuge, i parenti entro il quarto grado e gli affini entro
il secondo, nonché le parti dell’unione civile e i conviventi di fatto di cui alla L. 76/2016;
le masse attive e passive rimangono distinte (art. 7 bis).
L’accordo di composizione della crisi è omologato dal tribunale, che ne dispone la
pubblicazione; l’accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al mo-
mento in cui è stata eseguita la pubblicità; i creditori con causa o titolo posteriore non
possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano (art. 12). Analogamente
per l’omologazione del piano del consumatore (art. 12 ter).
b) In alternativa, il debitore può chiedere la liquidazione del patrimonio (artt. 14 bis
ss.), quando non ricorrono le condizioni di inammissibilità di cui all’art. 72, lett. a e b.
Alla domanda sono allegati l’inventario di tutti i beni del debitore, recante specifiche in-
dicazioni sul possesso di ciascuno degli immobili e delle cose mobili, nonché una rela-
zione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi; la domanda di liqui-
dazione è inammissibile se la documentazione prodotta non consente di ricostruire
compiutamente la situazione economica e patrimoniale del debitore (art. 14 ter). Il giu-
dice, su istanza del debitore o di uno dei creditori, dispone, col decreto la conversione
della procedura di composizione della crisi in quella di liquidazione del patrimonio nel-
l’ipotesi di annullamento dell’accordo o di cessazione degli effetti dell’omologazione del
piano del consumatore; la conversione è altresì disposta in altre ipotesi di legge e nell’i-
potesi di risoluzione dell’accordo o di cessazione degli effetti dell’omologazione del pia-
no del consumatore, ove determinati da cause imputabili al debitore (art. 14 quater).

5. Esdebitazione. – L’esdebitazione consiste nella liberazione dai debiti e comporta


la inesigibilità dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito di una procedura concorsuale
che prevede la liquidazione dei beni. Mira a consentire alle imprese e in generale ai debi-
tori di liberarsi dai debiti residui per riprendere l’azione economica, anche solo con il ri-
corso al consumo. L’esdebitazione opera come una specifica causa di estinzione non sati-
sfattoria dei debiti concorsuali non pagati dalla procedura di liquidazione.
Il codice delle crisi di impresa ha confermato il beneficio della esdebitazione del
debitore, previsto dal D.Lgs. 9.1.2006, n. 5 (che aveva modificato gli artt. 42 ss. R.D.
267/1942). Nei confronti dei creditori per fatto o causa anteriori che non hanno parte-
cipato al concorso l’esdebitazione opera per la sola parte eccedente la percentuale attri-
buita nel concorso ai creditori di pari grado; l’esdebitazione della società ha efficacia nei
CAP. 8 – GESTIONE DELLA DEBITORIA 867

confronti dei soci illimitatamente responsabili; sono salvi i diritti vantati dai creditori
nei confronti dei coobbligati e dei fideiussori del debitore, nonché degli obbligati in
via di regresso; restano esclusi dall’esdebitazione gli obblighi di mantenimento e ali-
mentari e i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, non-
ché le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie
a debiti estinti (art. 278). L’ammissione a esdebitazione è subordinata a specifiche condi-
zioni relative alla condotta del debitore (art. 280). Gli artt. 282 ss. prevedono la “esdebi-
tazione del sovraindebitato, con varie sovrapposizioni con la disciplina del consumatore
sovraindebitato.
Anche il debitore sovraindebitato è ammesso al beneficio della esdebitazione, con li-
berazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, a
condizione che ricorrano i presupposti indicati dalla L. 3/2012 (art. 14 terdecies ss.) 11. Il
giudice, con decreto adottato su ricorso del debitore interessato, presentato entro l’anno
successivo alla chiusura della liquidazione, sentiti i creditori non integralmente soddisfat-
ti e verificate le condizioni di cui ai co. 1 e 2, dichiara inesigibili nei suoi confronti i cre-
diti non soddisfatti integralmente.

11
L’esdebitazione è esclusa: a) quando il sovraindebitamento del debitore è imputabile ad un ricorso al
credito colposo e sproporzionato rispetto alle sue capacità patrimoniali; b) quando il debitore, nei cinque an-
ni precedenti l’apertura della liquidazione o nel corso della stessa, ha posto in essere atti in frode ai creditori,
pagamenti o altri atti dispositivi del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo
di favorire alcuni creditori a danno di altri, e non opera: a) per i debiti derivanti da obblighi di mantenimento
e alimentari; b) per i debiti da risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, nonché per le sanzio-
ni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti; c) per i debiti fi-
scali che, pur avendo causa anteriore al decreto di apertura delle procedure di cui alle sezioni prima e secon-
da del presente capo, sono stati successivamente accertati in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi
elementi. Il provvedimento di esdebitazione è revocabile in ogni momento, su istanza dei creditori, se risulta:
a) che è stato concesso ricorrendo l’ipotesi del co. 2, lett. b; b) che è stato dolosamente o con colpa grave au-
mentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero simulate
attività inesistenti.
868 PARTE VII – OBBLIGAZIONI
PARTE VIII
CONTRATTO

CAPITOLO 1
AUTONOMIA CONTRATTUALE

Sommario: 1. Autonomia negoziale e autonomia contrattuale. – 2. La figura del contratto nel codice
civile. – 3. Elementi e requisiti del contratto. – 4. Tipicità di singoli contratti. – 5. I contratti nell’e-
sperienza giuridica. – 6. Uguaglianza tra libertà e giustizia. Gli interventi normativi riequilibratori. –
7. Contratto e mercato: doveri di informazione e misure correttive. – 8. Contratti di impresa e abu-
so di posizione dominante. – 9. Contratti dei consumatori e degli investitori. – 10. Terzo contratto e
condizione degli imprenditori deboli. – 11. Contratto e rapporto di lavoro. – 12. Contratti e accordi
della pubblica amministrazione. L’evidenza pubblica. – 13. Il diritto europeo dei contratti. – 14. Il
controllo giudiziale dell’autonomia contrattuale.

1. Autonomia negoziale e autonomia contrattuale. – Si è parlato della categoria


del negozio giuridico e della maturazione dell’autonomia negoziale (II, 5.5). Bisogna in
questa parte approfondire come l’autonomia negoziale operi in materia contrattuale, così
da rilevare la specificità dell’autonomia contrattuale e del contratto.
L’autonomia negoziale esprime la generale categoria di autoregolazione dei propri
interessi, con contenuto sia patrimoniale che non patrimoniale, perciò svolgentesi sia
nella dimensione esistenziale e familiare delle persone che nell’azione economica delle
stesse. Si è anticipato come il legislatore del 1942, seguendo il metodo dell’economia
che vuole la normativa aderente alla realtà economica dei fenomeni regolati, non ha re-
golato la categoria del negozio giuridico quale figura generale, come aveva fatto l’ordina-
mento tedesco con il BGB, ma ha disciplinato il contratto (e dunque l’autonomia contrat-
tuale) per la maggiore aderenza del contratto alla realtà economica 1. In altre parti del
codice sono regolate altre espressioni di autonomia negoziale, come ad es. il matrimo-
nio e il testamento.
Le relazioni economiche si svolgono di regola lungo due traiettorie: di cooperazione
o di competizione. Il contratto si pone quale generale meccanismo di conseguimento di

1
Il codice civile prende le distanze sia dal cod. nap. del 1804 che dal BGB del 1900: rispetto al primo, il
contratto è svincolato dalla logica della proprietà, essendo regolato in un libro diverso da quello della pro-
prietà; rispetto al secondo, il contratto e non il negozio è categoria generale dei rapporti economici tra i privati.
870 PARTE VIII – CONTRATTO

utilità mediante la cooperazione tra soggetti, atteggiandosi quale strumento per antono-
masia degli scambi in una economia di mercato. È ben possibile che lo scopo perseguito
dalle parti non sia espresso da un singolo contratto ma da una pluralità di contratti fun-
zionalmente coordinati nel perseguimento di un risultato complesso.
Il contratto si atteggia come punto di equilibrio delle differenti strategie degli opera-
tori. I punti di equilibrio sono molti nel tempo e nello spazio, non solo in ragione del-
l’assetto normativo storicamente operante, ma anche delle variabili che accompagnano la
formazione della volontà comune, quali, rispetto ad ogni autore, le condizioni socio-
economiche di partenza, l’accesso alle informazioni, la posizione ricoperta nel mercato,
l’ambiente sociale di svolgimento dell’operazione. Pertanto la valutazione del contratto
deve aprirsi alla complessità della realtà sociale e normativa in cui si colloca.
L’art. 1321 dà la nozione di contratto come “l’accordo di due o più parti per costi-
tuire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. E l’art. 13221 quali-
fica l’autonomia contrattuale come il potere delle parti di “liberamente determinare
il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge”; le parti “possono anche conclu-
dere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché sia-
no diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico” (art.
13222). L’intreccio tra le due regole comporta che l’autonomia contrattuale si specifica
rispetto all’autonomia negoziale, per un verso, per l’essenzialità della pluralità delle par-
ti, per altro verso per l’essenzialità della natura patrimoniale degli interessi regolati.
Con il riconoscimento dell’autonomia contrattuale è acquisito un generale statuto di
autoregolazione dei propri interessi, in più prospettive: come libertà di contrarre , cioè
di stipulare o meno un contratto e quindi di assumere un vincolo contrattuale; come li-
bertà di scelta del contraente , cioè di individuare la persona o ente con cui stipula-
re il contratto; come libertà di contrattare, cioè di elaborare il contenuto contrattua-
le e dunque l’assetto di interessi voluto, con l’impiego di modelli normativi ovvero con la
costruzione di nuovi schemi, purché meritevoli di tutela.
In tutti i versanti indicati, l’autonomia contrattuale incontra i limiti imposti dal-
l’ordinamento, che si articolano in requisiti e vincoli legali all’esplicazione dell’autono-
mia privata, così nella conclusione del contratto come nella determinazione del regola-
mento contrattuale e degli effetti conseguenti, in funzione di tutela di interessi generali o
di protezione di posizioni deboli sul mercato. C’è la necessità di bilanciamento della vo-
lontà dei contraenti (espressione di libertà) con le istanze di solidarietà (esplicative dei
diritti della persona) e con le esigenze del mercato (come volano dell’economia) (II, 7.1).
Il fondamento costituzionale dell’autonomia contrattuale va ricercato nella di-
sciplina costituzionale dei “rapporti economici” (c.d. costituzione economica) (II, 5.1). I
vincoli che circondano le singole ricchezze si traducono in altrettanti limiti all’autonomia
contrattuale che ne realizza l’acquisizione, la gestione e la circolazione: la proprietà priva-
ta è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i limiti allo scopo di assicurarne
la funzione sociale (art. 422 Cost.); l’iniziativa economica privata non può svolgersi in con-
trasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana (art. 412 Cost.) 2; il risparmio è incoraggiato e tutelato, specie se indirizzato verso

2
L’art. 41 Cost. espressamente riconosce che l’autonomia contrattuale possa essere limitata per ragioni di
utilità economico-sociale (Corte cost. 27-1-2011, n. 31). La libertà di scelta economica dell’imprenditore non è in
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 871

la proprietà personale dell’abitazione e diretta coltivatrice o verso i grandi complessi pro-


duttivi del paese (art. 472). Anche il rapporto di lavoro, indipendentemente dalla fonte da
cui derivi, comporta il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quanti-
tà e qualità di lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia “un’e-
sistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.). I limiti delineati, coordinati con i generali valo-
ri costituzionali (segnatamente artt. 2 e 3), si impongono come fondamentali principi ge-
nerali di valutazione dei contratti e di individuazione della disciplina applicabile.
Le prescrizioni normative, talvolta si appuntano sulla struttura dell’atto concluso
(VIII, 2); talaltra si indirizzano all’assetto di interessi realizzato (VIII, 3). Si vedrà dei molti
interventi normativi di integrazione del contratto, alcuni contenuti nel codice civile, altri
(crescenti) realizzati attraverso interventi legislativi specie di derivazione europea (VIII,
5): talvolta di ausilio all’autonomia privata, riempiendo le lacune di regolazione; talal-
tra di antagonismo alla stessa, correggendo, amputando o arricchendo il regolamento
contrattuale.

2. La figura del contratto nel codice civile. – Il codice civile destina al contratto
due titoli del Libro quarto: il titolo II (artt. 1321 ss.), dedicato ai “contratti in generale”,
che detta la disciplina generale dei contratti e applicabile dunque ad ogni contratto; il
titolo III (artt. 1470 ss.) dedicato ai “singoli contratti”, che regola specifici tipi contrat-
tuali in ragione della tipologia degli interessi attuati (es. vendita, appalto, locazione, mu-
tuo, trasporto, ecc.); in tal guisa le regole generali sul contratto sono destinate a intrec-
ciarsi con le normative specifiche dei singoli contratti. Le parti possono anche conclude-
re contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché realiz-
zino interessi meritevoli di tutela (art. 13222).
Per l’art. 1323 tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una di-
sciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali sui contratti; quindi devono ave-
re i requisiti fissati per i contratti in generale. Anche le discipline dei singoli contratti so-
no suscettibili di delineare traiettorie di tutela applicabili a contratti differenti da quelli
previsti quando sono coinvolti interessi e conflitti riconducibili a quelli dei contratti tipi-
ci, attraverso una interpretazione estensiva o analogica delle singole discipline.
Il codice civile sembra confermare una tendenziale “portata espansiva” della discipli-
na sui contratti (Relaz. cod. civ., n. 602): per l’art. 1324 “salvo diverse disposizioni di leg-
ge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unila-
terali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”. Si delinea una generale categoria di atti in-
ter vivos a contenuto patrimoniale, escludendosi dalla previsione due fondamentali cate-
gorie di atti: i negozi a causa di morte e i negozi tra vivi a contenuto non patrimoniale.
Per i negozi a causa di morte, si pensi al testamento, che è atto unilaterale e uniperso-
nale che è voluto a causa e per il momento della morte, in cui il suo autore cessa di vive-
re: a fronte di lacune normative in materia successoria, da tempo si dibatte circa l’appli-
cazione della disciplina contrattuale alla interpretazione e alla invalidità del testamento
(XII, 2.5). Per i negozi bilaterali tra vivi a contenuto non patrimoniale, solitamente indi-

sé giudizialmente sindacabile, ma è censurabile l’abuso dell’atto di autonomia contrattuale al fine di valutare se


in conseguenza della disparità di forza economica sia mancato il contemperamento degli opposti interessi (Cass.
18-9-2009, n. 20106).
872 PARTE VIII – CONTRATTO

cati con il termine di convenzioni per distinguerli dai contratti, si pensi al matrimonio
e ad altri negozi familiari, come ad es. l’accordo dei coniugi circa l’indirizzo di vita fami-
liare (art. 144), le convenzioni matrimoniali (art. 162), l’accordo di separazione consen-
suale (art. 158): anche qui, in assenza di normative specifiche, si dibatte sull’applicazione
analogica della disciplina del contratto (V, 2.1). Il silenzio normativo fa pensare ad una
consapevole scelta del legislatore di attingere la disciplina mancante a principi e valori
normativi cui gli specifici istituti si riconducono. È applicabile la normativa sui contratti
solo in via analogica, perciò nei limiti fissati dall’art. 12 disp. prel. (I, 3.14); come trovano
applicazione i generali principi e valori dell’ordinamento.
È possibile a questo punto delineare i tratti caratterizzanti della figura del contratto,
rilevando preliminarmente che i soggetti non ineriscono alla struttura dell’atto ma ne so-
no gli autori (il contratto corre tra i soggetti) (II, 5.6). La nozione di contratto data dal-
l’art. 1321, come “accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro
un rapporto giuridico patrimoniale” informa anche la raffigurazione dell’autonomia con-
trattuale, delineata nel successivo art. 1322 con la previsione di libera determinazione del
contenuto del contratto e della possibilità di stipula di contratti atipici. L’art. 1321 con-
tiene, condensata, l’essenza del contratto quale esplicazione di autonomia contrattuale; la
figura è diffusamente articolata e regolata negli artt. 1325 ss. che fissano i “requisiti” e
cioè gli elementi essenziali del contratto. Attraverso la nozione del contratto è possibile
delineare le linee portanti dell’autonomia contrattuale.
a) Anzitutto deve ricorrere una pluralità di parti. Si è già visto, parlando dei ne-
gozi giuridici in generale (II, 5.6), come il concetto di parte non si esaurisce in quello di
soggetto (persona fisica o giuridica) ma si esplica in quello di centro di interessi, formato
anche da più soggetti (la parte può essere unisoggettiva o plurisoggettiva). Il contratto
corre tra almeno due parti, nel senso di involgere almeno due centri di interessi, per lo
più contrapposti (es. vendita, appalto), ma anche con comunione di scopo (es. contratto
di società).
b) È essenziale la formazione di un accordo tra le parti, come espressivo della co-
mune volontà negoziale. A tal fine, perché l’accordo si realizzi, è indispensabile che le
volontà delle parti siano esternate e cioè manifestate: quale che possa essere la forma
adottata o imposta, una manifestazione non può mai mancare in quanto indispensabile
veicolo di esternazione della volontà nelle relazioni sociali.
Il termine “accordo” si presta ad indicare, in modo sintetico, sia l’incontro delle vo-
lontà che la concordanza degli interessi: sono profili sinergici di una realtà unitaria. L’ac-
cordo indica l’approdo delle tensioni di due o più parti: gli apporti volitivi individuali si
incontrano e combinano nell’accordo, che esprime la concorde volontà delle parti. Si è
però d’accordo su qualche cosa, e perciò l’accordo esprime anche la concordanza degli
interessi delle parti: attraverso le trattative (più o meno laboriose) le parti pervengono
alla definizione di un assetto di interessi, che è il necessario punto di riferimento dell’ac-
cordo. Si vedrà come il riferimento alla concordanza di interessi spiega la figura del
“contratto con se stesso” (ex art. 1395) (VIII, 8.5).
La necessità dell’accordo è anche garanzia di indipendenza delle sfere giuridiche, in
duplice senso: per un verso, con la propria volontà è possibile autoregolare i propri inte-
ressi, per cui il contratto è vincolante per le parti che lo vogliono; per altro verso, il con-
tratto non vincola chi non lo ha voluto, per cui non è possibile incidere la sfera giuridica
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 873

altrui contro la volontà del destinatario: nei casi in cui è consentito incidere favorevol-
mente la sfera giuridica altrui senza un consenso del titolare, è attribuito allo stesso il po-
tere di rifiutare l’effetto favorevole prodottosi (art. 1333) (VIII, 6.9).
c) Deve sussistere la programmazione di uno scopo. L’accordo deve cioè essere
finalizzato al conseguimento di un risultato e precipuamente a costituire, regolare o estin-
guere un rapporto giuridico patrimoniale (dove il termine regolazione si presta a com-
prendere anche la modificazione del rapporto giuridico e dunque l’effetto traslativo). È
il profilo propriamente funzionale del contratto che connota lo stesso quale atto di auto-
nomia privata, in quanto rivolto alla realizzazione di un assetto di interessi (determinati-
vo di vicende giuridiche: II, 4.7).
d) Si incide su rapporti giuridici patrimoniali . Non ogni accordo finalizzato alla
realizzazione di vicende giuridiche integra un contratto: è necessario che lo scopo perse-
guito incida su rapporti giuridici di natura patrimoniale e dunque suscettibili di valuta-
zione economica. E ciò può avvenire in due modi: in quanto il contratto ha ad oggetto
attribuzioni intrinsecamente di natura patrimoniale (es. vendita di un bene verso il corri-
spettivo di un prezzo); o in quanto il contratto ha ad oggetto una prestazione per il cui
conseguimento si è disposti ad un sacrificio economico (es. l’acquisto di un biglietto per as-
sistere ad un concerto o ad un avvenimento sportivo). La seconda prospettiva ha un preci-
so referente in tema di obbligazioni, dove la prestazione deve essere suscettibile di valu-
tazione economica e deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del cre-
ditore (art. 1174) (VII, 1.7).
e) Il risultato perseguito deve essere meritevole di tutela per prodursi effetti giuri-
dici. Ciò implica, da un lato, che gli interessi regolati siano disponibili dagli autori e l’at-
to abbia i requisiti di legge; dall’altro, che l’atto utilizzato sia considerato idoneo al con-
seguimento dello specifico risultato e produttivo di effetti conformi all’ordinamento.

3. Elementi e requisiti del contratto. – La ricostruzione dell’autonomia contrattuale


sulla figura del contratto, quale espressa dall’art. 1321, dà ragione della articolazione dei
“requisiti del contratto”, indicati dall’art. 1325 e singolarmente disciplinati negli articoli
successivi (artt. 1326-1352).
Sul generale impianto degli elementi del negozio giuridico (II, 5.5) si è soliti parlare
di elementi essenziali o costitutivi del contratto. La norma parla però di “requisiti” e non
di “elementi”: c’è perciò da chiarire il senso di tale divario, che non è meramente termi-
nologico. In realtà i due termini esprimono prospettive diverse di osservazione. Il termi-
ne “elementi” ha riguardo alla struttura dell’atto e indica i c.d. elementi costituitivi del
contratto. Il termine “requisiti” ha riguardo alla valutazione dell’atto e indica i requisiti
di validità del contratto richiesti dalla legge (l’art. 1104 cod. civ. 1865 parlava espressa-
mente di “requisiti essenziali per la validità del contratto”). È possibile conservare la
tradizionale nomenclatura e considerare senz’altro i “requisiti” richiesti dagli artt. 1325
ss. come “elementi essenziali” o costitutivi del contratto. Tali elementi, appresso articola-
ti, si atteggiano, non già come autonomi e distinti, ma come sinergici, quali profili di una
realtà unica ed unitaria, pervasi dai tratti comuni e generali dell’autonomia contrattuale.
A questi si aggiungono elementi accidentali e elementi (o effetti) naturali, anche questi di
seguito delineati. Di tutti gli elementi si dà in questa sede un inquadramento generale,
rinviando al seguito una analisi particolareggiata.
874 PARTE VIII – CONTRATTO

a) Elementi essenziali. Sono già stati delineati i profili comuni degli atti di autonomia
negoziale (II, 5.5); tali profili sono specificati nella prospettiva contrattuale come “requi-
siti del contratto”, così delineati: 1) accordo delle parti; 2) causa; 3) oggetto; 4) forma quando
è prescritta sotto pena di nullità.
L’accordo delle parti esprime l’elaborazione e la formazione della comune volontà ne-
goziale, l’intento comune, determinando la conclusione del contratto (VIII, 2).
La causa indica la funzione concreta del negozio, lo scopo pratico-giuridico persegui-
to, che può coincidere con uno schema previsto dalla legge come se ne può discostare o
addirittura essere interamente forgiato dalle parti.
L’oggetto fissa le determinazioni assunte dalle parti (es. le singole attribuzioni), quale
punto di riferimento dell’assetto di interessi e dunque della causa del negozio.
Causa e oggetto, insieme, integrano il contenuto del contratto (VIII, 3).
La forma a pena di nullità designa la forma vincolata di manifestazione della vo-
lontà negoziale (VIII, 4).
A fronte della organizzazione normativa degli artt. 1325 ss., bisogna svolgere alcune
precisazioni. I c.d. elementi essenziali si atteggiano senz’altro come requisiti essenziali di
validità del contratto, sicché la mancanza di uno di essi comporta la nullità del contratto
(art. 14182); ma non è vero il contrario, e cioè che i requisiti di validità del contratto si
esauriscano nei c.d. elementi essenziali o costitutivi del contratto, potendo la legge ri-
chiedere requisiti di validità ulteriori rispetto a quelli integranti gli elementi costitutivi
dell’atto.
Già con riguardo al tipo più grave di invalidità (la nullità), l’art. 1418 prevede quali
cause di nullità del contratto, oltre alla mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art.
1325 (c.d. nullità strutturale), l’illiceità del contratto; inoltre esistono ulteriori cause di
nullità, tassativamente stabilite (c.d. nullità espressa) ovvero operanti per contrarietà a
norme imperative (c.d. nullità virtuale); è anche consentito alle parti pattuire una for-
ma convenzionale a pena di nullità (art. 1352). In tempi più recenti, poi, la nullità si le-
ga a interventi legislativi di protezione di determinate fasce di contraenti deboli, per de-
ficienze esterne alla struttura dell’atto, antecedenti all’atto o che vi fanno da sfondo (si
pensi alle c.d. nullità protettive dei consumatori per deficienze informative).
Sono talvolta richiesti dalla legge alcuni presupposti (c.d. condiciones iuris), il cui
concorso è necessario per la validità o anche solo per l’efficacia del contratto, e che, pure
essendo esterni alla struttura dell’atto, operano come ulteriori requisiti del contratto (ad
es., è frequente la previsione di autorizzazioni amministrative per la validità o efficacia
del contratto) 3.
Per converso, pure in presenza dei c.d. elementi essenziali, sussistono cause di invali-
dità meno gravi, che danno luogo all’annullabilità dell’atto, quando i c.d. elementi essen-
ziali sono presenti ma viziati (es. vizi del consenso) o per altre ragioni di segno diverso,
come l’incapacità delle parti.

3
Ad es., relativamente al trasferimento di farmacie, ai sensi dell’art. 12 L. 2.4.1968, n. 475, devono concor-
rere più requisiti di validità dell’atto di trasferimento (decorso di tre anni dalla conseguita titolarità; l’acqui-
rente sia farmacista che abbia conseguito la titolarità o che sia risultato idoneo in un precedente concorso); e
poiché la titolarità non può essere disgiunta dall’azienda, l’efficacia dell’atto di cessione è subordinata a prov-
vedimento amministrativo autorizzatorio (la cessione del diritto di esercizio della farmacia deve essere ricono-
sciuta con decreto del medico provinciale).
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 875

In definitiva, i c.d. elementi essenziali o costitutivi rappresentano i requisiti generali di


validità di ogni contratto: sono necessari componenti della struttura dell’atto. In aggiun-
ta a questi sussistono requisiti specifici di validità prescritti dalla legge (sempre più a pena
di nullità), in ragione di particolari contesti di formazione del contratto e/o in funzione
di tutela di particolari posizioni contrattuali e/o in ragione delle tipologie di interessi
coinvolti.
b) Elementi accidentali. Possono essere o meno presenti nel contratto, senza incidere
sulla formazione dell’atto: sono aggiunti dalle parti con la funzione di arricchire il pro-
gramma negoziale (tipicamente condizione, termine e onere). Quando però sono previ-
sti, gli stessi, penetrando nel contenuto del contratto, concorrono alla elaborazione
dell’assetto di interessi, incidendo sugli effetti e sul relativo trattamento.
c) Elementi (effetti) naturali. I c.d. elementi naturali sono, in realtà, effetti natura-
li del negozio, nel senso che sono apprestati direttamente dalla legge ma che le parti pos-
sono eliminare. Sono fissati da una disciplina dispositiva, derogabile dalle parti: ad es.,
dalla stipula del contratto di vendita consegue l’obbligo del venditore di garanzia per i
vizi della cosa, che le parti possono escludere (art. 1490).

4. Tipicità di singoli contratti. – L’autonomia contrattuale, come potere di autore-


golazione di interessi patrimoniali, è alcune volte incanalata dall’ordinamento in modelli
predeterminati. Specifici assetti di interessi sono disciplinati con la conformazione di
“singoli contratti” (Titolo III), c.d. contratti tipici o nominati, quali schemi legali rappre-
sentativi di singole operazioni economiche (es. vendita, locazione, appalto, trasporto). La
sutura tra le regole generali sul contratto e le discipline particolari dei singoli contratti è
compiuta da una norma di raccordo per cui “tutti i contratti, ancorché non appartenenti
ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali” (art.
1323); quindi anche i contratti tipici sono soggetti alla normativa generale dei contratti,
attraverso una integrazione delle discipline. Peraltro molte normative particolari deli-
neano nuclei di disciplina per gruppi di tipi contrattuali, che si affiancano alle norme ge-
nerali.
I “singoli contratti” previsti dal codice civile (artt. 1470 ss.) esprimono la realtà stori-
ca della economia al tempo della codificazione, secondo gli equilibri valoriali avvertiti e
tutelati dalla società dell’epoca (I, 2.5). Successivamente al codice civile, con l’amplia-
mento dei mercati e l’ingigantimento delle imprese, sono emerse nuove tecniche produt-
tive e di distribuzione, sempre maggiormente di massa, che hanno richiesto nuovi con-
tratti; mentre lo sviluppo dei diritti umani ha imposto nuovi equilibri sociali e ulteriori
regimi dei rapporti socio-economici. Tutto ciò ha determinato la progressiva formazione,
prima di tipi sociali, e col tempo di nuovi tipi legali che rispondono ad istanze nuove ri-
spetto a quelle sottese alla normativa del codice civile. Si pensi ai contratti di vendita di
pacchetti turistici (la cui normativa è confluita nel codice del turismo), alla subfornitura
nelle attività produttive (L. 192/1998), all’affiliazione commerciale (L. 179/2004). Nell’e-
sperienza del commercio internazionale, emergono schemi di contratto utilizzati dai pri-
vati senza il vaglio ordinamentale (c.d. lex mercatoria: I, 2.13).
Sono poi frequenti le ipotesi di connessioni tra più prestazioni che attingono a tipi
contrattuali diversi, allo scopo di procurare un risultato unitario con predeterminazione
del complessivo impegno finanziario. Il fenomeno è particolarmente evidente con ri-
876 PARTE VIII – CONTRATTO

guardo alla erogazione di servizi, che ormai accompagna anche la stipulazione dei con-
tratti di alienazione: nella “fornitura” di prodotti si mira ad assicurare al destinatario una
tutela unitaria, quale che sia il modello contrattuale utilizzato (vendita, appalto, contrat-
to d’opera, somministrazione, ecc.) (art. 128 cod. cons.). Sotto l’impulso di direttive eu-
ropee, sono anche emerse nuove tecniche giuridiche di tutela: es. il diritto di ripensa-
mento per i contratti conclusi fuori dei locali commerciali e a distanza; la nullità pro-
tettiva in favore di consumatori e contraenti deboli (di cui appresso).
In definitiva si assiste ad una crescente emersione di nuovi modelli contrattuali e di
nuove tutele, che si affiancano alla disciplina generale dei contratti e alle discipline parti-
colari dei singoli contratti; come sta svolgendosi una progressiva fungibilità degli schemi
contrattuali rispetto alla complessità dei contesti di contrattazione e alla natura degli in-
teressi attuati.
Nella Parte IX saranno analizzati i più diffusi contratti della vita economica, raggrup-
pati secondo criteri che tengono conto della funzione degli stessi. Di altri singoli contrat-
ti si parla nelle trattazioni di specifici istituti, per meglio coglierne il funzionamento: si
pensi ai contratti diretti a costituire una garanzia del credito, analizzati nella trattazione
delle obbligazioni, in correlazione delle singole situazioni (es. cessione dei beni ai credi-
tori e anticresi: IV, 5, 11 e 12; fideiussione e contratto autonomo di garanzia: VII, 7,3 e
4); si pensi al patto di famiglia, collocato nella materia successoria alla quale accede (XII,
3.7); si pensi anche alla donazione, alla quale è riservata una autonoma Parte XIII, dopo
le successioni, per evidenziare la liberalità che la contraddistingue.

5. I contratti nell’esperienza giuridica. – La figura e la disciplina del contratto sono


emerse storicamente in una economia essenzialmente caratterizzata dalla “ricchezza im-
mobiliare”. Il contratto assumeva in quel modello di economia una funzione di circola-
zione della proprietà come ricchezza statica. È un’area che continua ad operare quando le
singole persone dispongono delle specifiche situazioni giuridiche di cui sono titolari. Da
tempo però la disciplina sul contratto è pervasa dalla rappresentazione della “ricchezza
mobiliare” e dei prodotti di impresa: il contratto diventa strumento di attivazione di ric-
chezza dinamica e dunque esso stesso strumento dinamico dell’economia (reale e finan-
ziaria), per svolgere un essenziale ruolo di approvvigionamento e collocazione di merci e
servizi per l’impresa. Si svolge una frammentazione dello statuto unitario dell’autonomia
privata in ragione dei settori di mercato e della natura dei beni (es. beni di consumo,
prodotti finanziari, pacchetti turistici), della destinazione dei prodotti e delle utilità pro-
curate (di consumo o di investimento), del contesto di stipulazione e delle tecniche di
commercializzazione (es. vendite fuori dei locali commerciali e a distanza). La stessa eco-
nomia immobiliare della modernità fa emergere un’azione produttiva nell’edilizia, dove
l’impresa di costruzione, talvolta, asseconda le indicazioni della committenza, più di fre-
quente fissa essa stessa il sito dell’insediamento, disegna e realizza la edificazione, collo-
cando sul mercato le unità immobiliari prodotte. Addirittura i contratti, attraverso un pro-
grammato collegamento, sono in grado di creare beni, come per molti prodotti finanziari.
Si intensifica l’intreccio tra diritto privato e diritto pubblico nella regolazione del mer-
cato. Anche la normativa si incanala verso testi sempre maggiormente di settore (es. codi-
ce del consumo, codice delle assicurazioni private, testo unico dell’intermediazione fi-
nanziaria, codice del turismo, codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza). Resta il dato
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 877

minimo, ma essenziale, della persistenza del vincolo contrattuale quale esplicazione della
volontà dei soggetti e dunque di autonomia degli stessi. Ciò che rende ancora fondamen-
tale la normativa del codice civile e tuttora vitale lo strumentario concettuale del contrat-
to nel verificare gli assetti attuati.
La erosione della figura unitaria del negozio giuridico attraversa oggi la figura generale
del contratto per involgere la stessa tenuta logica e giuridica della fattispecie, quale astratta
raffigurazione del fatto giuridico, in favore di una pluralizzazione di modelli contrattuali. È
possibile ricondurre l’attuale esperienza dei contratti intorno a fondamentali formanti.
a) Continua ad operare un’area di contratti ind ividuali, caratterizzata dalla con-
corde formazione del regolamento contrattuale. Tuttora esistono ampie aree in cui si di-
spiega l’autonomia contrattuale su un piano di parità dei contraenti. Le parti, attraverso
trattative più o meno articolate, raggiungono l’accordo e concludono il contratto sull’as-
setto di interessi che hanno concorso a elaborare. Si pensi al mercato immobiliare tra sin-
goli privati, vuoi con riguardo all’alienazione della proprietà (es. vendita) che in relazione
al mero godimento dell’immobile (es. locazione, comodato), dove le parti, individual-
mente e specificamente, attribuiscono la proprietà o il godimento del bene al prezzo
concordato; si pensi anche al mercato di aziende e impianti industriali.
b) Nella modernità si è sviluppata una tecnica di contratti di massa, caratterizzata
dalla standardizzazione del contenuto e dalla predisposizione unilaterale del contratto. Il
dispiegarsi di una produzione e distribuzione di massa neutralizza lo spontaneo dispie-
garsi delle volontà dei contraenti, per essere il contratto preconfezionato dal fornitore: il
contratto accompagna la collocazione dei beni presso i fruitori. Talvolta l’operazione eco-
nomica non è riconducibile ad una specifica fattispecie, in quanto una rete di contratti svi-
luppa il risultato perseguito. Molto spesso, per i contesti di conclusione del contratto o per
le asimmetrie informative o per l’esigenza di appagamento di bisogni e aspirazioni o anche
solo per le emotività indotte dalla pubblicità, viene meno anche una ponderata scelta del
fornitore. La novità indotta dalla globalizzazione è che il controllo del mercato è sempre
più appannaggio delle grandi imprese, così che il contratto sempre maggiormente si atteg-
gia come regolatore di relazioni sociali di massa. È impegnata l’ampia area dei “contratti
del consumatore” e sempre più del “terzo contratto”, dei quali si parlerà appresso.
c) L’autonomia contrattuale sta toccando la successione ereditaria . A fronte del
tradizionale divieto dei patti successori (art. 458) è stato introdotto il c.d. patto di fami-
glia (artt. 768 bis ss.) come “contratto” tipico inter vivos ad oggetto il trasferimento del-
l’azienda o delle partecipazioni societarie ad uno o più discendenti, affinché, nel passag-
gio generazionale, l’impresa prosegua in capo ai soggetti considerati maggiormente ido-
nei alla sua continuazione (XII, 3.9). Su tale scia si tende a delineare una generale auto-
nomia contrattuale atipica in funzione successoria, con la regolazione in vita dei rapporti
economici tra i futuri eredi, ancora molto controversa.
d) È emersa una sinergia con il diritto pubblico, con la rilevanza pubblica di una
nutrita fascia di contratti, vuoi per la crescita di contratti della pubblica amministrazio-
ne, vuoi per l’acquisita rilevanza pubblica di molti beni, che sta configurando un’azione
conformata dei privati (si pensi alla conformità edilizia degli immobili trasferiti), cui si
avrà riguardo appresso.
e) Si stanno diffondendo contratti alieni, caratterizzati dalla provenienza da paesi
esteri, con culture giuridiche diverse. Lo schema contrattuale è pensato e scritto in una lin-
878 PARTE VIII – CONTRATTO

gua diversa e sotto un diritto differente, e applicato in un diverso paese con un differente
ordinamento. Se non si vuole stravolgere l’operazione economica che ne è alla base per
adattarla all’ordinamento del paese di applicazione (ma allora non avrebbe neppure senso
il relativo impiego), inevitabilmente il trapianto del contratto alieno diventa anche veicolo
di ingresso nel paese di applicazione di pezzi di cultura giuridica del paese di provenienza.
In tal senso sta svolgendosi una prassi di regolazione di tutte le possibili evenienze della ese-
cuzione del contratto, come è proprio della cultura di common law, con una rarefazione di
applicazione delle molte norme dispositive.

6. Uguaglianza tra libertà e giustizia. Gli interventi normativi riequilibratori. –


L’asserita uguale volizione dei contraenti nella formazione del contratto ripropone le
problematiche da tempo analizzate dalla filosofia politica circa il significato e il fondamen-
to dell’uguaglianza. Tali questioni hanno storicamente impegnato, anzitutto, l’area del-
la libertà per i suoi nessi con il determinismo (divino, naturale, sociale) e per collocarsi la
stessa all’apice dei diritti civili, quale prerogativa della uguaglianza dei cittadini davanti
alla legge. La libertà, come autodeterminazione, è referente essenziale dell’autonomia
contrattuale; al tema della libertà è stato storicamente connesso anche quello della re-
sponsabilità, ponendosi come fondamento di questa.
L’impianto del codice civile è ancora essenzialmente disegnato in funzione della unità
del soggetto di diritto e perciò con presunta eguaglianza di potere contrattuale. C’è un’astra-
zione dalle circostanze del contratto, e dunque dai radicamenti sociali ed economici dei
contraenti e dalle articolazioni del mercato in cui sono coinvolti, limitandosi il codice civile
a dettare le regole del gioco per pervenire a una soluzione concordata, anche attraverso una
procedimentalità nella formazione dell’accordo.
Il dibattito sulla libertà ha perduto nell’attualità la colorazione di un tempo. Già du-
rante il ’900 il problema della uguaglianza è stato correlato alla condizione sociale dei
cittadini, affiancando all’ideale della libertà l’esigenza della giustizia. A fronte della
rappresentazione dell’uomo come cittadino, che ha uguali diritti (a cominciare dalla li-
bertà) ed è sottoposto a leggi uguali per tutti, esiste la realtà dell’uomo nelle relazioni so-
ciali, con le specifiche condizioni di vita e le concrete esigenze (homme situé). La volontà
continua ad essere la forza vitale della persona, ma la sua espressione è coniugata alla li-
bertà di scelta: emerge la rilevanza della scelta volitiva come effettività di autodeter-
minazione dei propri interessi.
Esistono vasti campi e molteplici tipologie contrattuali – come ad es. i contratti di la-
voro, le forniture di beni di consumo, i contratti di ausilio all’attività di impresa (es. agen-
zia), i contratti di affiliazione commerciale – in cui la scelta volitiva è sbilanciata in favore
della parte che organizza l’operazione economica e ne predispone il regolamento giuridico,
con possibilità di approfittamento a danno dell’altra. Si impongono essenziali interventi di
controllo e riequilibrio dell’assetto di interessi, funzionali ai valori dell’ordinamento 4, quali
espressi dalla Costituzione repubblicana, che coniuga libertà e giustizia nel segno della di-
gnità della persona umana. Verso tali traiettorie si muovono recentemente gli interventi

4
Nel tracciare i confini del diritto privato agli inizi degli anni ’60, M. GIORGIANNI escludeva che la socia-
lizzazione avesse provocato l’attrazione del diritto privato verso il diritto pubblico: “è certo invece – osservava
l’Autore – che si è saldamente inserita, anche nella disciplina dell’attività privata, la considerazione dell’inte-
resse collettivo”.
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 879

normativi e gli apporti giurisprudenziali, attraverso una costante osmosi tra gli stessi, in
sintonia con i risultati della dottrina.
È in corso un trend normativo (specie di provenienza europea) che deroga all’impian-
to del codice civile, delineando strategie di tutela dei contraenti deboli o più in generale
apprestando una regolazione del mercato in grado di preservarne il funzionamento, con
interventi di riequilibrio delle posizioni contrattuali 5. Si è anticipato, parlando dell’au-
tonomia negoziale (II, 5.4), come il divario di forza contrattuale tenda da tempo ad esse-
re colmato con il ricorso a due meccanismi: a) riarmando la libertà dei privati (e dunque
l’autonomia) nella formazione del contratto, con la predisposizione di strumenti in grado
di garantire informazione e trasparenza, sì da consentire l’apporto volitivo consapevole e
perciò effettivamente negoziale di entrambe le parti; b) intervenendo autoritativamente
sul regolamento contrattuale (e dunque con l’eteronomia), amputando e/o manovrando
il contenuto del contratto secondo parametri ritenuti di giustizia, sì da ristabilire l’equi-
librio contrattuale e perciò la proporzionalità di utili e sacrifici tra le parti.
Sono emerse nuove tecniche di tutela. La nullità del contratto è utilizzata, non solo
nella verifica della struttura dell’atto, ma anche in funzione di protezione del soggetto
più debole con la previsione di nullità protettive (VIII, 9.6). È dilatata l’area dell’in-
serimento legale di clausole nel contratto (ex art. 14192); è maturata una responsabilità
per danni da prodotti difettosi a carico del produttore non venditore; sono apprestati
specifici rimedi di tutela di contraenti deboli (es. diritto di ripensamento); sono favorite
azioni di classe per la tutela di interessi omogenei. C’è, in generale, una valutazione quali-
tativa della circolazione della ricchezza (in funzione del contesto in cui si sviluppa e dei
soggetti coinvolti) e non più solo quantitativa (in ragione dell’affidamento e in prospetti-
va della collocazione dei prodotti); lo stesso modello di produzione è oggi sotto osserva-
zione, emergendo prospettive di impresa sociale e di finanza sociale. Anche l’usura, tradi-
zionalmente punita da molte religioni come peccato, è sanzionata dall’ordinamento per
l’approfittamento della persona del debitore, oltre che (in una logica economica) per sot-
trarre capitali alla produzione. Si parla di seguito di specifiche aree contrattuali toccate
da tali interventi normativi.

7. Contratto e mercato: doveri di informazione e misure correttive. – È da tempo


emersa la consapevolezza (affiorata con la produzione di massa) che il mercato si sia
progressivamente allontanato dal mito illuminista della gara tra uguali per essere sostitui-
to da una disparità di potere dei suoi protagonisti che investe la stessa democrazia capi-
talista del libero mercato. Anche l’altro mito della economia classica di un libero merca-
to efficiente che si autoregola, rinsaldato dalle dottrine monetaristiche e dalle politiche
delle privatizzazioni, è rimasto travolto dalla globalizzazione del capitalismo finanziario.
Certo rimane sempre attuale l’antico detto “res tantum valet quantum vendi potest”; ma
chi determina il prezzo è il mercato e quindi chi è in grado di orientare il mercato!

5
Certo, fenomeni di intervento pubblico nella vita economica esistono da molto tempo, come la tassazio-
ne, quale strumento di coinvolgimento impositivo dei privati alla spesa pubblica, e il debito pubblico quale
meccanismo di raccolta dei risparmi delle famiglie per investimenti pubblici; è invece pressoché scomparsa la
pratica dei c.d. prezzi imposti, onde favorire il naturale allineamento dei prezzi nel mercato. I tratti della mo-
dernità stanno nell’intervento dell’ordinamento sul regolamento contrattuale secondo tendenze di riequilibrio
delle debolezze dei soggetti che accedono al contratto.
880 PARTE VIII – CONTRATTO

Un’attivazione del mercato quale essenziale volano della crescita economica e garanzia
di democrazia economica richiede una regolazione normativa dello stesso: così da atteg-
giarsi sempre meno come ordo naturalis per assumere maggiormente la veste di ordo le-
galis e cioè conformato dal diritto 6. Sono molti gli interventi normativi volti a garantire
la struttura concorrenziale del mercato, quale bene giuridico (II, 6.4), sia con la fissazione
di stringenti regole della gara tra i protagonisti del mercato, sia con interventi autoritativi
rimediali ai fallimenti del mercato.
a) È valorizzata una gara corretta e trasparente, nel solco della economia liberale più il-
luminata, per orientare le strutture del mercato verso una equa autoregolazione dei rap-
porti dei concorrenti, consentendo una ottimale allocazione delle risorse. La disciplina si
incentra sui doveri di informazione: è assicurata la trasparenza del mercato con l’im-
posizione di obblighi di informazioni esaustive, attendibili e tempestive, in grado di favori-
re la corretta competizione tra le imprese e consentire ai fruitori di prodotti di impresa un
consapevole accesso al mercato, senza che peraltro una comunicazione eccessiva e confusa
si traduca in una parodia dell’informazione. La scelta consapevole dei prodotti (beni e ser-
vizi), contro le suggestioni indotte dalla pubblicità o le reticenze ordite dai contraenti, vale
anche a selezionare le imprese maggiormente virtuose e assicurare efficienza al mercato.
È significativa la nutrita normativa confluita nel codice del consumo (D.Lgs. 6.9.2005,
n. 206), con la previsione, di una Parte II, intitolata “Educazione, informazione, pratiche
commerciali, pubblicità” (artt. 4 ss. cod. cons.) a beneficio del consumatore. Con riferi-
mento alla intermediazione finanziaria, è in atto un continuo processo di tutela, iniziato con
i doveri di informazione di cui al D.Lgs. 24.2.1998, n. 58 (TUIF) e proseguito con il
D.Lgs. 3.8.2017, n. 129, che mira alla formazione di un mercato unico dei servizi finan-
ziari in Europa e al rafforzamento della fiducia, della trasparenza e della protezione degli
investitori, imponendo tra l’altro all’intermediario di modulare l’informazione in ragione
della tipologia dei prodotti e delle qualità del risparmiatore, con lo scopo di acquisire
l’orientamento al rischio del cliente. Sono anche previsti interventi di sostegno nella con-
clusione dei contratti attraverso la presenza di organizzazioni di categoria che rafforzano
il potere contrattuale dei contraenti deboli, vuoi con un’autonomia assistita 7, vuoi con il
ricorso alla contrattazione collettiva 8 (VIII, 1.11).

6
È di disperante angoscia il quadro che traccia del “turbocapitalismo” E.N. LUTTWAK (1999). L. EI-
NAUDI (1959) considerava “mercato di concorrenza” il mercato dove intervengono molti compratori e molti
venditori, dal quale tutti possono uscire senza comprare o senza vendere, in cui nessuno dei compratori o dei
venditori sia così grosso e prepotente da dettare la legge agli altri, in cui tutti possono dire la loro uniforman-
dosi ai regolamenti pubblici noti, in cui si sia sicuri che i contratti stipulati vengano adempiuti: “prezzo di
mercato” è il prezzo né giusto né ingiusto ma che si paga di fatto, non il prezzo basso da abbondanza di pro-
dotti desiderato dai consumatori e neppure il prezzo alto da scarsità di prodotti perseguito dai produttori, ma
che tenda a compensare le spese necessarie a produrre la merce o la fatica del compiere il lavoro manuale o
intellettuale. Nella conformazione del mercato si sommano più fonti regolatrici: non solo le leggi e i regola-
menti amministrativi, ma anche, le determinazioni delle autorità indipendenti, il cui potere di controllo e
regolazione del mercato si riverbera sulla disciplina dei contratti.
7
Le categorie di appartenenza non negoziano direttamente ma affiancano i contraenti appartenenti alla
categoria professionale nella stipula di singoli contratti. Ad es., in materia di contratti agrari, sono validi gli
accordi stipulati tra le parti con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole maggiormen-
te rappresentative (art. 45 L. 3.5.1982, n. 203).
8
I contratti più significativi del mondo del lavoro sono negoziati dalle organizzazioni sindacali, attraverso
contratti collettivi ai quali si uniformano i contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti delle categorie
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 881

b) Sono assunte misure correttive quando il mercato (quand’anche trasparente e


informato) manifesti segni di fallimento, vuoi perché patologiche articolazioni del mer-
cato non consentono l’equilibrato dispiegarsi della autonomia individuale di tutti i suoi
protagonisti (es. consumatori, lavoratori, piccoli imprenditori), vuoi perché fasce sociali
naturalmente deboli sono senz’altro espunte dal mercato o non riescono ad accedervi.
In funzione di tutela di contraenti considerati deboli rispetto a strutture pubbliche e
private, è significativa la normativa sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali
(D.Lgs. 9.10.2002, n. 231, attuativo della direttiva 2000/35/CE, come modificato dal
D.Lgs. 9.11.2012, n. 192), il cui art. 7 si limita a considerare nulle le clausole relative al
termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di re-
cupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, quando risultano “grave-
mente inique in danno del creditore” (VII, 4.10). Si pensi alla prevalenza accordata ai ri-
medi ripristinatori rispetto a quelli restitutori relativamente alle forniture di beni di consu-
mo (art. 130 cod. cons.), dove emerge una tutela dei consumatori compatibile con la salva-
guardia della allocazione della ricchezza. Si pensi anche al crescente impiego della nullità
parziale (art. 36 cod. cons.), che tende a preservare l’operazione economica realizzata.
c) Alla fine, una considerazione generale. Con la rivoluzione commerciale il mercato
è stato edificato al centro del sistema economico; ma con la frode e l’inganno si sono de-
formate e infrante le regole della concorrenza impedendosi la formazione del “giusto prez-
zo” fissato dal mercato 9. Ora la rivoluzione finanziaria esaspera gli squilibri: le asimme-
trie contrattuali sono aggravate per la opacità degli strumenti finanziari e per l’assenza o
opacità delle regole.
Nell’economia di mercato il mercato concorrenziale è bene giuridico pubblico perché
consente la più efficiente collocazione delle risorse e la selezione delle imprese più effi-
cienti (artt. 101 e 102 TFUE), inserito in una economia sociale di mercato (art. 3 TUE).
Bisogna favorire un governo dell’economia, con norme di diritto privato e di diritto pub-
blico, che si propongano almeno tre obiettivi essenziali: garantire l’informazione (per il
potenziamento delle libertà), favorire la produttività (a tutela dell’occupazione), realizza-
re la equità distributiva (a protezione della solidarietà), quali percorsi concorrenti di con-
seguimento dello sviluppo quale sintesi di prosperità economica e benessere esistenziale.
Lungo tali traiettorie deve svolgersi l’autonomia contrattuale, quale dispiegamento di vo-
lontà in una società libera e giusta.

8. Contratti di impresa e abuso di posizione dominante. – Come si è anticipato,


nella realtà economica si è fortemente dilatata l’area dei c.d. contratti di impresa (o
commerciali secondo una terminologia tradizionale). La qualificazione ha assunto una
significazione complessa, per indicare, talvolta, una connotazione tipologica, nel senso
che la stipula di tali contratti implica necessariamente la presenza di un imprenditore
(ad es. contratti di appalto e assicurazione), talaltra una colorazione socio-economica
nel senso che sono le imprese ad avvalersi normalmente di tali contratti nell’esplicazio-
ne dell’attività economica (es. vendita di beni di consumo) 10.

contraenti (art. 39 Cost. e art. 2077 c.c.). In specifici settori si fa ricorso ad a c c o r d i t r a c a t e g o r i e , ai quali
uniformare i singoli contratti.
9
Per P. PRODI (2009) è il nuovo modo di violare il comandamento biblico del “non rubare”.
10
Si è soliti distinguere tra “contratti normativamente di impresa” (nel senso di essere istituzionalmente
882 PARTE VIII – CONTRATTO

Il dato che qui si vuole approfondire è la riemersione di un diritto elaborato dalle im-
prese e dalle associazioni di categoria delle stesse (lex mercatoria), caratterizzato dalla ef-
fettività di applicazione in quanto diritto effettivamente utilizzato dalle imprese attraverso
la modulistica contrattuale. La contrattazione di impresa assume così una duplice conno-
tazione: da un lato, si svolge mediante predisposizione unilaterale, in quanto il contenuto
contrattuale non esprime l’esito di una concorde elaborazione della volontà negoziale,
ma è il portato della autodeterminazione di una sola parte con la previsione di contratti-
tipo, cui l’altra parte aderisce; dall’altro, tende a diventare regolazione sociale, in quanto
il regolamento contrattuale si impone, non solo al singolo contraente, ma alla generalità
dei soggetti interessati al conseguimento del particolare prodotto (bene o servizio) attra-
verso un meccanismo di standardizzazione contrattuale. È ormai prassi diffusa nella
conclusione dei singoli contratti il richiamo a “condizioni generali” di contratto, talvolta
allegate al contratto sottoscritto, talaltra addirittura contenute in un opuscolo staccato.
Si atteggiano come “condizioni generali di vendita” o di “fornitura” (quando proven-
gono dalla produzione e si impongono a distributori e consumatori) o come “condi-
zioni generali di acquisto” (quando provengono dalla grande distribuzione e si impon-
gono ai piccoli produttori); le modulistiche assecondano le tecniche di produzione e di-
stribuzione di massa, con ripartizione dei rischi delle operazioni in ragione della forza
economica dei singoli anelli della catena distributiva 11, scaricandosi comunque sui frui-
tori finali dei prodotti i rischi dell’operazione economica. È insidiosa prassi di colloca-
zione dei prodotti finanziari utilizzare nel contratto sottoscritto un lessico spesso neutra-
lizzato o addirittura contraddetto dall’opuscolo di accompagnamento. Specie nelle mo-
dulistiche del commercio internazionale si assiste ad una sorta di pancontrattualismo in
quanto è predeterminata anche la scelta del diritto applicabile e del giudice competente.
Emerge un progressivo estendersi di “abuso di posizione dominante” nel mercato. L’e-
spressione è maturata con la L. 10.10.1990, n. 287 (c.d. legge antitrust) – sulla scorta del-
l’art. 85 (poi art. 81) Trattato C.E., quindi art. 101 TFUE – per indicare l’abuso da parte di
una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua
parte rilevante, con conseguente alterazione della struttura concorrenziale del mercato. Con
il tempo l’espressione si è dilatata fino ad assumere il più generale significato di divieto di
approfittamento a danno di operatori del mercato (imprese concorrenti o consumatori) 12.
Il contratto può essere guardato da differenti prospettive e con finalità diverse: da un
lato, nell’ottica della produzione, al fine di rilevare il peso esercitato dalle imprese indu-
striali nella distribuzione e collocazione dei prodotti e nell’erogazione dei servizi; dal-

riservati all’imprenditore) e contratti “funzionalmente di impresa” (nel senso di essere utilizzati normalmente
dall’imprenditore).
11
La collocazione delle merci si caratterizza, da un lato, per la presenza di “canali” lungo i quali i prodotti
fluiscono dal produttore verso i consumatori o utilizzatori finali (c.d. distribuzione commerciale), mediante
l’attività di intermediari mercantili (operatori indipendenti) e/o meramente funzionali (ausiliari); dall’altro,
per la rilevanza assunta dalla c.d. distribuzione fisica delle merci, laddove il trasferimento delle merci solo ra-
ramente si realizza in un’unica soluzione e con un solo mezzo di trasporto, ed implica di regola una pluralità
di operazioni coordinate.
12
La libertà di scelta economica dell’imprenditore non è in sé giudizialmente sindacabile, ma è censurabile
l’abuso dell’atto di autonomia contrattuale in virtù di tale scelta posto in essere, al fine di valutare se in conse-
guenza della disparità di forza economica sia mancato il contemperamento degli opposti interessi (Cass.
18-9-2009, n. 20106).
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 883

l’altro, in quella della commercializzazione e dunque della distribuzione (la mercatura o


negotiatio delle fonti), allo scopo di cogliere il ruolo svolto dalle imprese di intermedia-
zione nella fase dell’approvvigionamento e di collocazione dei prodotti; dall’altro ancora,
in quella del consumo, in funzione di tutela dei fruitori finali di prodotti e servizi, che
subiscono il potere contrattuale sia della produzione che della distribuzione.
Sono frequenti settori nei quali si articola una forza economica dell’impresa in grado di
imporsi a tutti i fruitori di prodotti o servizi di un determinato settore, indipendentemente
dalla qualifica assunta: si pensi ai contratti bancari e di assicurazione che quotidianamente
concludono sia consumatori che imprenditori, i quali, come “clienti” subiscono il potere
contrattuale forte della controparte. In tutte tali ipotesi c’è l’esigenza di protezione di con-
traenti contro l’abuso di posizione negoziale dominante: immediatamente, nell’interesse dei
soggetti deboli interessati; in prospettiva, in funzione di tutela della vitalità del mercato, a
presidio della concorrenza.

9. Contratti dei consumatori e degli investitori. – Nell’impianto del cod. comm.


del 1882, nel Libro I dedicato al commercio in generale, esisteva un Titolo II riguardan-
te gli atti commercio e un titolo VI riguardante “Delle obbligazioni commerciali in ge-
nerale” dove era fissato lo statuto dei contratti commerciali e delle obbligazioni che ne
derivavano, contenenti deviazioni rispetto alla disciplina generale dei contratti del codice
civile, con discipline di favore per i commercianti e cioè gli imprenditori.
Nell’attualità si ripropone una deviazione dalla legge generale civile con la previsione
dei contratti dei consumatori e dei contratti degli investitori in una logica opposta a quella
del cod. comm., per la tutela degli aventi causa dagli imprenditori (c.d. professionisti).
Muta l’angolo di osservazione dell’atto di scambio: da strumento dell’attività di impresa,
con l’esigenza di favorire la collocazione dei prodotti, a meccanismo di accesso al mercato
per la necessità di soddisfare bisogni ed istanze. Sono accordate per via legale quelle tu-
tele che consumatori e investitori non riescono a conseguire sul campo e perciò sul ter-
reno negoziale, a cominciare dalla fase di conclusione del contratto 13.
a) Secondo un percorso normativo di derivazione europea, confluito nel codice del
consumo (D.Lgs. 6.9.2005, n. 206, costantemente novellato) 14, sono fissate le qualifica-
zioni giuridiche di professionista e consumatore, intendendosi per consumatore o utente
“la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale,
artigianale o professionale eventualmente svolta”, e per professionista “la persona fisica

13
In tale generalizzato clima di tutela dei consumatori, sta maturando una nuova filosofia nella strategia di
impresa al mercato: ad una cultura di “marketing tradizionale” e di domanda indotta, si sta affiancando una
cultura di “orientamento al marketing”, attenta ai contesti socio-economici dove la domanda matura e alle
esigenze cha la sostengono.
14
Ha rappresentato un indubbio contributo alla semplificazione normativa la redazione di un codice uni-
tario del consumo: ma la tecnica utilizzata non soddisfa appieno. Intanto poteva ordinarsi in modo più orga-
nico la materia; ma ciò che più lascia perplessi è lo spostamento dal codice civile al codice del consumo delle
normative relative ai contratti dei consumatori e alla vendita di beni di consumo, che, anche per la collocazione
all’interno del codice, stavano acquisendo (in via di interpretazione) una valenza applicativa più ampia, quale
modello di tutela generale dei contraenti deboli. Lo schema originario del codice del consumo aveva lasciato in-
fatti le dette normative nel codice civile; a seguito però di un parere del Consiglio di Stato (Sezione consultiva
per gli atti normativi del 20-12-2004), le stesse furono espunte dal codice civile e inserite nel codice di consumo;
e questo non fu un bene.
884 PARTE VIII – CONTRATTO

o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale,


artigianale o professionale 15, ovvero un suo intermediario” (art. 3 cod. cons.), non ri-
levando il mezzo utilizzato (anche internet) 16.
Nella disciplina è impiegata la formula “beni di consumo”, che ha una chiara va-
lenza economica di destinazione del bene. In economia i beni di consumo sono beni finali
e diretti in quanto non richiedono alcuna trasformazione per soddisfare il bisogno uma-
no: sono immediatamente destinati a soddisfare esigenze o istanze delle persone; si at-
teggiano come beni consumabili o durevoli, a seconda che si distruggano con un solo
utilizzo o consentano un utilizzo reiterato nel tempo. In ogni caso si differenziano dai
beni strumentali o indiretti, impiegati nella produzione di altri beni (cose o servizi). Poi-
ché la distinzione è di carattere funzionale, alcuni beni di consumo (di uso diretto) pos-
sono operare come beni strumentali quando sono immessi in un circuito economico,
operando quali fattori produttivi di altri beni (come tipicamente avviene per i prodotti
tecnologici) 17: in tal senso è la destinazione effettiva dei beni a orientare la qualificazione
economica degli stessi.
È avvenuto però che la formula “beni di consumo”, derivata dal terreno economico per
indicare l’utilizzo finale o diretto dei beni, trasposta sul terreno giuridico per disciplinare il
“rapporto di consumo” (Parte III cod. cons.), abbia dissolto l’originaria matrice economi-
ca. Con D.Lgs. 4.11.2021, n. 170, è stata data applicazione alla direttiva UE/2019/771, con
la sostituzione del Capo I del Titolo III della Parte IV del cod. cons. (artt. 128 ss. cod.
cons.), senza modificarne l’impianto. Il novellato Capo I si intitola “Della vendita dei
beni”, in luogo della originaria dizione “Della vendita dei beni di consumo”; ma trattasi
di modifica di facciata, sia perché è restata invariata la locuzione “beni di consumo” nella
formula del Titolo III, che è corrispondente alla intitolazione della Parte III come “rap-
porto di consumo”, sia (e a maggior ragione) in quanto l’articolato riproduce l’originario
impianto e traspone fedelmente il testo della direttiva, senza neppure utilizzare le risorse
di autonoma normazione generale che pure la direttiva ha attribuito ai singoli stati;
nell’intero testo è reiterata e valorizzata la qualifica formale di “consumatore” restata in-
variata 18. Con tale normativa esce ribadito il principio, già espresso dall’originario art.

15
Non è necessario che il contratto sia posto in essere nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o
della professione, essendo sufficiente che venga concluso “per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività
imprenditoriale o professionale” (Cass. 15-5-2013, n. 11773; Cass. 14-7-2011, n. 15331).
16
La nozione di “professionista”, ai sensi dell’art. 2, lett. b, della direttiva 2005/29 e dell’art. 2, punto 2,
della direttiva 2011/83, è una nozione funzionale: una persona fisica che pubblica su un sito Internet, con-
temporaneamente, un certo numero di annunci per la vendita di beni nuovi e d’occasione può essere qualifi-
cata come “professionista”, e una siffatta attività può costituire una “pratica commerciale”, soltanto qualora
tale persona agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, cosa che
spetta al giudice del rinvio verificare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti del caso di specie (Corte giust.
U.E. 4-10-2018, C-105/17).
17
Anche rispetto ai beni strumentali rileva il divario tra capitale fisso, rappresentato dai beni che parteci-
pano stabilmente al processo produttivo (come macchinari, magazzini) e capitale circolante rappresentato dai
beni che partecipano una sola volta al processo produttivo (come materie prime e combustibili). In tal senso
si suole anche dire che i beni durevoli e quelli strumentali a capitale fisso sono con fecondità ripetuta, mentre
i beni non durevoli e quelli a capitale circolante sono con fecondità semplice.
18
Per il novellato art. 128 si intende per bene “qualsiasi bene mobile materiale anche da assemblare” (co.
2, lett. e, 1), nonché “qualsiasi bene mobile materiale che incorpora o è interconnesso con un contenuto digi-
tale o un servizio digitale in modo tale che la mancanza di detto contenuto digitale o servizio digitale impedi-
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 885

128 c. cons., di reificazione dei beni di riferimento della normativa eurounitaria confluita
nel c. cons. La reificazione assimila il contesto di interessi del mercato mobiliare a quello
del mercato immobiliare, dove egualmente si ripetono le prospettive del trasferimento e
della fabbricazione dell’edificio.
Sussiste una chiara indicazione costituzionale di favorire l’accesso del risparmio po-
polare alle proprietà personali dell’abitazione e diretta coltivatrice (art. 47 Cost.). Tali
forme di accesso agli immobili, per integrare un uso finale e diretto, intrecciano la logica
economica della collocazione dei beni di consumo, appunto perché destinate ad un uso
personale e familiare favorito.
La utilizzazione di beni ad uso personale di consumo involge ormai tutte le fasi di
svolgimento del contratto (conclusione, contenuto, integrazione, esecuzione, tutele, ecc.),
enucleando categorie giuridiche e tecniche di tutela suscettibili di applicazione a tutti i
fruitori di prodotti di impresa (quali “clienti” e “contraenti”) 19. Nella giurisprudenza,
anche la normativa a tutela della concorrenza (L. 10.10.1990, n. 287) non è circoscritta
alla difesa delle imprese ma aperta alla tutela dei consumatori, sempre maggiormente in-
teressati allo svolgimento di un mercato concorrenziale, fino a legittimarne la richiesta di
risarcimento dei danni per intese illecite restrittive della concorrenza (II, 6.4).
La normativa dei contratti dei consumatori non è autosufficiente, impiantandosi sulla
generale organizzazione tecnica e giuridica del contratto disciplinata dal codice civile. Per
l’art. 1469 bis c.c., le disposizioni relative al contratto in generale si applicano ai contratti
del consumatore ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favo-
revoli per il consumatore; a tale previsione fanno eco, relativamente alla clausole abusive,
l’art. 38 cod. cons., secondo cui, per quanto non previsto dal codice del consumo, ai con-
tratti tra il consumatore ed il professionista si applicano le disposizioni del codice civile; e
relativamente ai difetti di conformità dei beni, l’art. 135 septies cod. cons., secondo cui, per
quanto non previsto dal capo della vendita di beni, si applicano le disposizioni del codice
civile in tema di formazione, validità ed efficacia dei contratti, comprese le conseguenze
della risoluzione del contratto e il diritto al risarcimento del danno.
Un significativo valore assume l’art. 2 cod. cons. che fissa otto “diritti fondamentali
dei consumatori e degli utenti” 20: la norma ha una grande rilevanza sistematica in quan-

rebbe lo svolgimento delle funzioni proprie del bene (‘beni con elementi digitali’)” (co. 2, lett. e, 2); per il
medesimo articolo si stabilisce che sono disciplinati “taluni aspetti dei contratti di vendita conclusi tra con-
sumatore e venditore”, equiparandosi a tali fini “i contratti di permuta e di somministrazione nonché quelli di
appalto, d’opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni da fabbricare o produrre”
(co. 1).
19
Il contraente debole è tutelato quale mero “cliente” di un istituto bancario (art. 117 D.Lgs. 385/1993
TUB), come mero “cliente” nei contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento (art. 23 D.Lgs.
58/1998, TUF), come mero “contraente” nei contratti di assicurazione (artt. 165 ss. D.Lgs. 209/2005). In tali
operazioni sono impiegati moduli e formulari uniformi della categoria di appartenenza, cui non è in grado di
sottrarsi ogni contraente aderente (consumatore o imprenditore).
20
Ai consumatori e agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i seguenti diritti: a) alla tutela della sa-
lute; b) alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi; c) ad una adeguata informazione e ad una corret-
ta pubblicità; c-bis) all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e leal-
tà (inserito dall’art. 21 D.Lgs. 23.10.2007, n. 221); d) all’educazione al consumo; e) alla correttezza, trasparen-
za ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi; f) alla promozione e allo sviluppo dell’asso-
ciazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti; g) all’erogazione di servizi pubblici
secondo standard di qualità e di efficienza.
886 PARTE VIII – CONTRATTO

to il catalogo dei diritti garantiti abbraccia tutte le ragioni di protezione nel mercato. So-
no anche emerse nuove tecniche di tutela, come la mediazione (III, 3.3) e la tutela colletti-
va (III, 2.7), al fine di sopperire alla debolezza economica e professionale dei consuma-
tori uti singuli, con la valorizzazione delle associazioni dei consumatori.
b) Una disciplina particolare è rivolta anche ai contratti degli investitori. Per intanto il
fondamentale art. 47 Cost. la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue
forme. Operano poi le normative specifiche dei contratti bancari e sul risparmio gestito
(artt. 113 ss. D.Lgs. 1.9.1993, n. 185, TUB), nonché le regole in materia di intermedia-
zione finanziaria e con riguardo alle operazioni di investimento (artt. 21 ss. D.Lgs.
24.2.1998, n. 58, TUF), con una tutela privilegiata della posizione debole dell’investitore
che si articola in interventi di supporto ai contratti e in una specifica regolazione dei
contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori (art. 23).
I soggetti abilitati alla collocazione sono tenuti a classificare, in base a parametri pre-
determinati, il grado di rischiosità dei prodotti finanziari e delle gestioni di portafogli
d’investimento e devono rispettare il principio dell’adeguatezza tra le operazioni consi-
gliate agli investitori o effettuate per conto di essi e il profilo di ciascun cliente (art. 21,
lett. a, D.Lgs. 58/1998). Per l’art. 23, ult. comma, D.Lgs. 58/1998: nei giudizi di risarci-
mento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di
quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifi-
ca diligenza richiesta.
c) Nel presente volume si evita di racchiudere le discipline di protezione dei consu-
matori e investitori in una trattazione specifica, preferendo analizzare i regimi particolari
nelle singole articolazioni del contratto ove emergono le ragioni di divario e di tutela
specifica, sia per rimarcare le peculiarità rispetto ai profili generali del contratto, sia per
evidenziare la progressiva formazione di una disciplina di protezione dei contraenti de-
boli, in grado di orientare la stessa disciplina generale dei contratti.

10. Terzo contratto e condizione degli imprenditori deboli. – È emerso da tempo


un c.d. terzo contratto, stipulato tra imprese con divario di potere contrattuale, più spesso
correlato ad una situazione di dipendenza economica tra le parti. È anche emersa una
contrattazione di settore, per cui la standardizzazione contrattuale non riguarda la singola
impresa ma l’intero settore di riferimento, attraverso contratti-tipo predisposti dalle orga-
nizzazioni di categoria (es. contratti bancari e assicurativi) cui non sono in grado di resiste-
re né consumatori né imprenditori. Anche per tali contratti si propone la possibilità di
abuso di posizione negoziale dominante che una impresa è in grado di imporre all’altra.
Si è già detto del meccanismo di abuso di posizione dominante. Sono intervenute speci-
fiche discipline di tutela di c.d. imprenditori deboli sul mercato. Si pensi alla normativa sul-
la subfornitura nelle attività produttive (L. 18.6.1998, n. 192), il cui art. 9 vieta l’abuso, da
parte di una impresa, dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi ri-
guardi, un’impresa cliente o fornitrice determinando un “eccessivo squilibrio di diritti e di
obblighi” (IX, 2.7). Si pensi alla normativa sull’affiliazione commerciale (L. 6.5.2004, n.
129), che indica specificamente gli obblighi dell’affiliante ed il contenuto minimo del con-
tratto, con la previsione dell’art. 8 che, se una parte ha fornito false informazioni, è consen-
tito all’altra parte di chiedere l’annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1439 c.c. non-
ché il risarcimento del danno, se dovuto (IX, 3.9). Un trend giurisprudenziale, pure delle
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 887

Corti europee, tende a dilatare la normativa di tutela dei consumatori a ulteriori figure,
come il condominio 21.
In tutte tali ipotesi c’è l’esigenza di realizzare un riequilibrio delle posizioni contrat-
tuali, secondo una tecnica utilizzata nella disciplina dei contratti dei consumatori, che
tende a dilatarsi verso tutte le situazioni di dipendenza economica.

11. Contratto e rapporto di lavoro. – Il terreno dove massimamente si consuma la


compressione dell’autonomia privata è quello del lavoro subordinato, dove il rapporto di
lavoro è assorbente del contratto di lavoro. Il rapporto di lavoro è funzionalmente carat-
terizzato da una disparità dei soggetti per il vincolo di subordinazione che lega il lavora-
tore al datore di lavoro: trattasi di una asimmetria, non solo in fatto (come tra consuma-
tori e impresa), ma anche in diritto in quanto il lavoratore è tenuto per legge a prestare il
proprio lavoro manuale o intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione del datore di
lavoro (artt. 2086 e 2094), comunque nel rispetto della libertà e dignità del lavoratore
(art. 2087 c.c. e artt. 2 e 3 L. 20.5.1970, n. 300) 22: il lavoratore non è in grado di incidere
sul tessuto giuridico ed economico del contratto come del rapporto, sicché c’è la necessi-
tà di un potenziamento della sua autonomia.
Il valore fondante del diritto del lavoro sta proprio nel sopperire alla mancata espli-
cazione dell’autonomia negoziale individuale dei lavoratori. Ciò spiega la rilevanza as-
sunta in materia dall’autonomia collettiva (c.d. contrattazione collettiva), da molto
tempo attratta nell’ambito del diritto privato, con la funzione di dare forza alle voci
fioche di soggetti deboli, espressiva di interessi collettivi di categoria come sintesi degli
interessi individuali di coloro che aderiscono alle associazioni sindacali contraenti. In
una logica privatistica, i contratti collettivi tendono a regolare rapporti e interessi tra
contrapposte categorie di soggetti con potere sbilanciato: rappresentano “contratti
quadro” vincolanti per i successivi contratti individuali. Peraltro è in corso un tenden-
ziale regresso delle rilevanze sindacali nazionali in favore di accordi di stabilimento e
di usi aziendali 23.
Alcune disposizioni sono già nel codice civile: ad es., l’esecuzione del contratto so-
pravanza il contenuto, rilevando la fattualità del rapporto e dunque la effettività delle

21
Per Corte giust. U.E. 2-4-2020, causa C-329/2019, non osta alla normativa europea la qualifica di con-
sumatore del “condominio” che stipula un contratto con un professionista, anche se un simile soggetto giuri-
dico non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva. È la conferma che la figura del consumatore sta
evolvendo in quella di “contraente debole”, da dove proveniva e dove sta faticosamente ritornando. Per
un’assimilazione già Cass. 22-5-2015, n. 10679, agendo l’amministratore come mandatario con rappresentan-
za dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti
per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale.
22
Il potere organizzativo del datore di lavoro non può tradursi in condotte pregiudizievoli dell’integrità
fisica e morale dei prestatori d’opera in quanto nell’equo bilanciamento dell’esigenza di funzionalità dell’im-
presa e di tutela delle condizioni di lavoro e del lavoratore, il legislatore ha privilegiato, con l’art. 41 Cost.,
ripreso dall’art. 2087 c.c., i diritti fondamentali dei lavoratori (Cass. 5-8-2010, n. 18278).
23
Il contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale (nella specie, nazionale e regionale) va risol-
to sulla base della effettiva volontà delle parti sociali, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie dispo-
sizioni della contrattazione collettiva, aventi tutte pari dignità e forza vincolante; anche i contratti territoriali pos-
sono, in virtù del principio dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c., prorogare l’efficacia dei contratti
nazionali e derogarli, anche in peius senza che osti il disposto di cui all’art. 2077 c.c., fatti salvi i diritti definitiva-
mente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori (Cass. 18-5-2010, n. 12098).
888 PARTE VIII – CONTRATTO

mansioni superiori rispetto a quelle indicate nel contratto (art. 2103); le rinunzie e le
transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da norme in-
derogabili o contratti o accordi collettivi, non sono valide tranne che siano compiute in
sede protetta attraverso rituali conciliazioni con autonomia assistita (art. 2113); la nullità
del contratto di lavoro non impedisce di riconoscere tutela alle prestazioni di fatto ese-
guite (inefficacia della invalidità) (art. 2126).
Si è inoltre formata una nutrita disciplina di protezione dello status del lavoratore su-
bordinato, con rilevanti deroghe alle generali categorie del diritto privato dei contratti.
Anzitutto vige la sostituzione automatica della retribuzione pattuita con quella “propor-
zionale” alla qualità e quantità di lavoro e in ogni caso in grado di assicurare al lavorato-
re e alla sua famiglia “un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.). C’è inoltre la tutela
reintegratoria nel posto di lavoro in alcune ipotesi di licenziamento illegittimo (art. 18 L.
20.5.1970, n. 300 (Stat. lav.) novell. con L. 28.6.2012, n. 92). Ancora, le norme protettive
di legge o dei contratti collettivi sono imperative, anche se non di ordine pubblico, per
essere derogabili (solo) a favore del lavoratore (c.d. favor) (art. 2077).
È in gioco una nuova frontiera delle relazioni industriali: dopo lunghi periodi di
conflitti antagonistici affiorano modelli di sindacalismo partecipativo in grado di co-
niugare globalizzazione e diritti sociali per la salvaguardia dell’occupazione. È in corso
nel diritto del lavoro un recupero dell’autonomia privata e un’attenuazione delle inde-
rogabilità a sostegno della tenuta economica. Così il diritto del lavoro ritorna ad utiliz-
zare categorie del diritto privato quale gradualmente si è andato rinnovando. Con un’im-
magine figurata, il figlio ribelle ritrova l’antico genitore che, mutato e aperto alle di-
namiche del mercato e nutrito dei valori costituzionali, è in grado di dialogare ed ac-
coglierlo.

12. Contratti e accordi della pubblica amministrazione. L’evidenza pubblica. –


Come si è anticipato (I, 2.9), l’azione della P.A. può esplicarsi tanto in via autoritativa, nel-
le forme del diritto pubblico, quanto su un piano di parità con i cittadini con modelli di
diritto privato: in ogni caso l’azione della P.A. è caratterizzata da un dovere di trasparenza
di evidenza pubblica e da un vincolo di funzionalizzazione al perseguimento dell’interesse
pubblico, assicurando il buon andamento e la imparzialità della pubblica amministrazione
(art. 972 Cost.). Sono delineati di seguito i formanti più diffusi di svolgimento dell’azione
della pubblica amministrazione con tecniche contrattuali.
a) Talvolta la P.A. opera per intero con strumenti privatistici, trovando il pro-
prio fondamento nella libertà di iniziativa, garantita costituzionalmente e legislativamen-
te a tutte le persone giuridiche, e, dunque, anche agli enti pubblici. Sulla spinta del dirit-
to europeo, l’azione pubblica va assumendo un indirizzo di svolgimento nella vita eco-
nomica sempre maggiormente vicina al diritto privato. Si sta dilatando l’area dei contratti
ordinari o di diritto comune, come espressione del diritto civile della P.A., per realizzare
interessi pubblici (e quindi generali) attraverso strumenti privatistici. In tali casi la P.A.
agisce iure privatorum, perciò spogliandosi della sua veste autoritativa e ponendosi sullo
stesso piano di un soggetto privato: per la L. 7.8.1990, n. 241, la pubblica amministra-
zione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, “agisce secondo le norme di diritto
privato salvo che la legge disponga diversamente” (art. 11 bis, inserito dall’art. 1 L.
15/2005) (I, 2.11).
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 889

b) Diffusi sono i contratti pubblici con i quali la P.A. adotta moduli negoziali 24,
pur serbando strumenti specifici e concreti di tutela. Sussistono anche contratti di diritto
speciale che, ancorché stipulati attraverso schemi di diritto privato, sono regolati legisla-
tivamente e improntati a precisi parametri di scelta del contraente e di contenuto 25.
Anzitutto rilevano i contratti della pubblica amministrazione. La materia è regolata dal
D.Lgs. 18.4.2016, n. 50, come novellato dal D.Lgs. 19.4.2017, n. 56, recante il “Codice
dei contratti pubblici”, che disciplina i contratti di appalto e di concessione aventi ad
oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di
progettazione. L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e
forniture avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di
trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza
energetica 26. In ragione del principio di “buon andamento”, è consentito alla pubblica
amministrazione procedere, anche dopo l’aggiudicazione, alla rimozione in autotutela
dell’atto, sia con l’annullamento per illegittimità, sia con la revoca a seguito di rinnova-
ta valutazione della convenienza 27 (III, 3.5): la giurisprudenza è incline a ritenere come
conseguenza la caducazione del contratto 28.
Ampio sostegno ai contratti pubblici proviene dalla tecnica del c.d. avvalimento, che
si pone come un cuneo privatistico nella organizzazione degli appalti pubblici, consen-
tendosi all’impresa aggiudicataria (ausiliata o avvalente) di avvalersi contrattualmente
della cooperazione di altra impresa (ausiliaria o avvalsa) utilizzando i mezzi da questa
messi a disposizione, così da favorire la competizione tra imprese e consentire anche a
piccole imprese di accedere ad appalti pubblici, conferendo efficienza al sistema degli
appalti (art. 89) 29.

24
È ormai indirizzo giurisprudenziale consolidato che, per i contratti pubblici, l’indagine circa l’efficacia
del contratto deve essere svolta in concreto, sulla base delle generali regole dei contratti e, specificamente,
secondo i canoni di interpretazione complessiva enunciati dal cod. civ. e seconda buona fede delle clausole
contrattuali (Cons. Stato 14-1-2022, n. 257; Cons. Stato 30-1-2019, n. 755).
25
Sono contratti stipulati da soggetti che agiscono in situazione di monopolio, come per i pubblici servizi
di linea per il trasporto di persone o di cose, che utilizzano schemi di diritto privato regolati da norme speciali
e non dal contratto di trasporto disciplinato dal codice civile (artt. 1679, 2597 c.c.).
26
La vigilanza e il controllo sui contratti pubblici e l’attività di regolazione degli stessi sono attribuiti, nei
limiti di quanto stabilito dal codice, all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), che agisce anche al fine di
prevenire e contrastare illegalità e corruzione (art. 213).
27
Per la giurisprudenza amministrava “l’annullamento (giurisdizionale o in via di autotutela) dell’ag-
giudicazione di una gara pubblica fa venir meno il vincolo negoziale determinatosi con l’adozione del prov-
vedimento rimosso”, con la conseguenza di appartenere sempre al novero delle potestà di diritto pubblico
la determinazione dell’Amministrazione di non avvalersi della procedura espletata e di revocare gli atti che
vi hanno dato luogo, a fronte del cui esercizio non sono rinvenibili posizioni di diritto soggettivo in capo
agli altri partecipanti alla gara, ancorché in posizione utile per subentrare all’aggiudicatario rimosso (Cons.
Stato 14-1-2000, n. 244).
28
Per la giurisprudenza del Consiglio di Stato l’annullamento di un atto presupposto determina l’automa-
tica rimozione dell’atto consequenziale (nella specie la successiva stipula ed approvazione del relativo contrat-
to), senza bisogno che quest’ultimo debba formare oggetto di autonoma o separata impugnativa (Cons. Stato
19-11-2003, n. 7490; Cons. Stato 30-3-1993, n. 435).
29
Il contratto di avvalimento è affiancato da una dichiarazione unilaterale della impresa ausiliaria che si
obbliga verso la ausiliata e la stazione appaltante di mettere a disposizione le risorse oggetto del contratto di
avvalimento, che comporta una responsabilità in solido tra le due imprese verso la stazione appaltante per le
prestazioni oggetto del contratto.
890 PARTE VIII – CONTRATTO

Con riguardo a opere e infrastrutture di grandi dimensioni, al fine di predeterminare


i costi della complessiva operazione e concentrare la imputazione dei rischi di esecuzione
del contratto, si tende a coinvolgere un contraente generale (general contractor) quale re-
sponsabile dell’intera operazione 30.
c) Stanno anche sviluppandosi accordi integrativi o sostitutivi di provvedi-
mento, con gli interessati, al fine di determinare il contenuto discrezionale del provve-
dimento finale, senza pregiudizio dei diritti dei terzi e in ogni caso nel perseguimento del
pubblico interesse 31; tali accordi debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto
scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Non sono tecnicamente contratti per as-
senza della patrimonialità, ma sono accordi ai quali si applicano, ove non diversamente
previsto, “i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto
compatibili” (art. 112). Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione
recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un
indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato (art.
114). Con tali strumenti sono realizzate finalità istituzionali con moduli convenzionali di-
sciplinati in tutto o in parte dal diritto privato.
Diffuse figure sono le convenzioni urbanistiche quali accordi conclusi dalla P.A. con il
privato 32, di pianificazione del territorio attuative del piano regolatore generale (es. piani
di lottizzazione convenzionata) 33, ovvero funzionali al rilascio di titolo abilitativo (es.
permesso di costruire) con obblighi di fare del privato interessato: il privato realizza una
propria utilità, ma l’ente locale autorizza la conformazione del territorio con la costru-
zione di beni e/o infrastrutture a beneficio della collettività (opere di urbanizzazione e/o
aree a ciò destinate) 34. Un settore di intensa collaborazione tra soggetto pubblico e pri-

30
Ai sensi dell’art. 11 L. 21.12.2001, n. 443 (c.d. legge obiettivo), il contraente generale è qualificato per
specifici connotati di capacità organizzativa e tecnico-realizzativa, per l’assunzione dell’onere relativo al-
l’anticipazione temporale del finanziamento necessario alla realizzazione dell’opera in tutto o in parte con
mezzi finanziari privati, per la libertà di forme nella realizzazione dell’opera, per la natura prevalente di
obbligazione di risultato complessivo del rapporto che lega detta figura al soggetto aggiudicatore e per
l’assunzione del relativo rischio; c’è la previsione dell’obbligo, da parte del contraente generale, di presta-
zione di adeguate garanzie e di partecipazione diretta al finanziamento dell’opera o di reperimento dei
mezzi finanziari occorrenti.
31
Si è soliti distinguere i contratti pubblici in contratti ad oggetto pubblico, in ragione dell’oggetto dei rap-
porti, del bene e dell’interesse pubblico tutelato e contratti accessivi, ausiliari e sostitutivi di provvedimento
amministrativo come, ad esempio, la concessione, gli accordi in materia di espropriazione, ecc.
32
La pianificazione e la realizzazione degli interventi sul territorio d’urbanizzazione, anziché essere ri-
messe al potere unilaterale ed autoritativo dell’amministrazione, scaturiscono dall’accordo bilaterale e, sal-
vo espresse eccezioni, paritetico del privato attuatore con il Comune; la convenzione non ha valenza privati-
stica ed autonoma rispetto all’atto autoritativo di concessione, ma si inserisce nel procedimento amministrati-
vo finalizzato al rilascio di essa, essendo imposto dall’amministrazione medesima come momento necessa-
rio di tale procedimento e condizionando l’adozione del provvedimento ex art. 11 L. 241/1990 (Cons. Sta-
to 31-8-2020, n. 5318).
33
Per l’art. 28 L. 1150/1942 (l. urb.), come modificato dall’art. 8 L. 765/1967, l’autorizzazione comunale
al piano di lottizzazione è subordinato alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario,
che preveda specifici obblighi per il proprietario; la convenzione deve essere approvata con deliberazione
consiliare nei modi e forme di legge.
34
Cons. Stato 7-9-2018, n. 5276: tali contratti non sono disciplinati dalle regole proprie del diritto privato,
ma meramente dai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili e
salvo che non sia diversamente previsto: il contenuto contrattuale (obbligazioni e connesse prestazioni) è de-
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 891

vato è quello della edilizia abitativa convenzionata, che si caratterizza per la presenza di
una convenzione tra Amministrazione pubblica e soggetto attuatore dell’intervento edili-
zio 35. In tutte le forme di collaborazione la convenzione si inserisce nel procedimento
amministrativo: l’atto fondativo del rapporto tra amministrazione e privato non è la con-
venzione, bensì il provvedimento, rispetto al quale la convenzione rappresenta uno stru-
mento ausiliario, idoneo alla regolazione di aspetti patrimoniali del rapporto, nell’ambito
di una più ampia finalità di pubblico interesse che ispira l’azione amministrativa.
d) In generale, tendono ad estendersi principi del diritto dei contratti, secondo un
crescente diritto patrimoniale comune a soggetti privati e pubblici. La giurisprudenza or-
mai unanime considera applicabili le regole poste a tutela dei contraenti aderenti dagli
artt. 1341 e 1342; è invocabile la normativa di derivazione comunitaria a tutela dei con-
sumatori, collegandosi la qualifica di “professionista” anche alla pubblica amministra-
zione; sono applicate le disposizioni in materia di responsabilità precontrattuale (artt.
1337 e 1338) 36; è ammessa l’esecuzione in forma specifica verso la P.A. dell’obbligo a
contrarre ex art. 2932. È estesa alla pubblica amministrazione la normativa sulla buona
fede, in un duplice senso: da un lato, come obbligo di osservanza della buona fede anche
da parte della P.A.; dall’altro, come rilevanza dell’affidamento dei privati sugli atti della
P.A. Non si configura un potere discrezionale della pubblica amministrazione nella ese-
cuzione del contratto, sicché il comportamento della stessa va valutato come quello di un
qualsiasi privato 37.
Poiché il modulo convenzionale si atteggia come una tecnica di esplicazione della
funzione pubblica, è necessario che lo strumento privatistico sia accompagnato ed anzi
preceduto da un procedimento amministrativo di evid enza pubblica che valga ad
esternare e cioè rendere di pubblica ragione le finalità di pubblico interesse perseguite

finito dalla legge, di modo che possono, in linea di massima, trovare applicazione sia l’eterointegrazione del
contratto ex art. 14192, sia l’inserzione automatica di clausole ex art. 1339.
35
Per l’art. 17 D.P.R. 380/2001 (t.u. edil.), nei casi di edilizia abitativa convenzionata, relativa anche ad
edifici esistenti, il contributo afferente al permesso di costruire è ridotto alla sola quota degli oneri di urba-
nizzazione qualora il titolare del permesso si impegni, a mezzo di una convenzione con il comune, ad applica-
re prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dalla regione.
Per il successivo art. 18, ai fini del rilascio del permesso di costruire relativo agli interventi di edilizia abitati-
va, la regione approva una convenzione-tipo, con la quale sono stabiliti i criteri nonché i parametri, definiti
con meccanismi tabellari per classi di comuni, ai quali debbono uniformarsi le convenzioni comunali nonché
gli atti di obbligo in ordine a specifiche determinazioni.
36
La giurisprudenza ha da tempo riconosciuto la deducibilità davanti al giudice ordinario dell’eventuale
responsabilità precontrattuale della P.A., che abbia violato i principi dettati dall’art. 1337 nello svolgimento
delle trattative (Cass., sez. un., 23-9-1994, n. 7842). È stata anche ammessa la responsabilità precontrattuale
nell’ipotesi in cui l’amministrazione procedente, rilevando un errore nel procedimento di gara già esperito,
rimuova in autotutela la gara stessa, ancorché fosse già intervenuta l’aggiudicazione in capo all’impresa vinci-
trice della selezione (Cons. Stato 6-12-2006, n. 7194).
37
La preminenza della posizione riservata alla P.A. committente e l’essere l’opera appaltata rivolta a fini
pubblici non incidono sulla natura privatistica del contratto di appalto di opere pubbliche, da questo deri-
vando, “per l’appaltatore, veri e propri diritti soggettivi, con correlativi obblighi a carico dell’amministra-
zione”; in particolare si è configurato in capo all’amministrazione committente, creditrice dell’opus, un dove-
re (discendente dai principi di correttezza e buona fede oggettiva) di cooperare all’adempimento dell’appalta-
tore, attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto dall’appaltatore,
necessarie affinché quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio (fon-
damentale Cass., sez. un., 27-11-1996, n. 10525; v. Cass. 29-4-2006, n. 10052).
892 PARTE VIII – CONTRATTO

dall’amministrazione con gli atti di diritto privato, con particolare riferimento alla scelta
di contrattare e alla individuazione del contraente, così da assicurare la trasparenza del-
l’attività amministrativa e la verifica del perseguimento dei fini pubblici. Con la conse-
guenza che l’assenza dell’evidenza pubblica comporta la nullità del contratto 38, salvo il
diritto del privato di richiedere il risarcimento dei danni subiti. Da ciò consegue anche,
al fine di garantire la trasparenza dell’attività della P.A., la necessità della forma scritta a
pena di nullità per gli atti di diritto privato compiuti dall’ente (VIII, 9.5) 39. La giuri-
sprudenza è orientata a riconoscere al privato il risarcimento del danno per errori, viola-
zioni e illegittimità commesse dalla P.A. nel procedimento di evidenza pubblica presup-
posto dal contratto 40.
In un certo senso la fase pubblicistica doppia la fase privatistica, sicché le illegittimità
del procedimento di evidenza pubblica (es. difetto di legittimazione dell’organo che ha
contrattato o difetto o vizio della capacità o della volontà) si riflettono sulla efficacia dei
contratti. Gli atti e subprocedimenti presupposti dalla conclusione del contratto si pre-
stano ad essere qualificati e valutati nella prospettiva del diritto pubblico e in quella del
diritto privato 41. In ogni caso l’efficacia dei contratti è subordinata all’approvazione degli
organi tutori competenti (c.d. condicio iuris) e i contratti stessi sono eseguibili dopo
l’approvazione (art. 19 R.D. 18.11.1923, n. 2440).

38
Nella formazione dei contratti soggetti alla c.d. evidenza pubblica (nel cui novero rientrano anche quelli
dei comuni e delle province) coesistono due procedimenti: il primo si traduce in un provvedimento (delibera-
zione a contrarre da parte degli organi qualificati) con cui si esterna lo scopo da perseguire nonché il modo
con cui s’intende realizzarlo, e tale manifestazione di volontà costituisce il presupposto dell’atto negoziale che
perciò si pone in rapporto strumentale col provvedimento; il secondo si svolge tra le parti contraenti ed ha ad
oggetto la formazione della volontà secondo le norme privatistiche, con alcune varianti correlate specialmente
alle procedure da seguire per la scelta del contraente: la deliberazione dell’ente – fino a quando non risulti
tradotta in un atto contrattuale sottoscritto dal rappresentante dell’ente stesso e dal privato – è atto con effi-
cacia interna all’ente pubblico, non costituente neppure proposta contrattuale, sicché non è idonea a deter-
minare la costituzione del relativo rapporto negoziale (ex multis, Cass., sez. un., 25-11-2003, n. 17891; 5-11-2001,
n. 13628). Il contratto e la delibera, ancorché tra loro distinti, sono collegati poiché la delibera a contrarre s’in-
serisce come passaggio obbligato nell’iter di formazione della volontà contrattuale della parte pubblica: la sua
nullità (come la sua mancanza) si riflette sulla validità del contratto, perché la volontà dell’ente non si può
ritenere ritualmente formata nella sede propria e, sul piano negoziale, il contratto viene ad essere stipulato in
contrasto con una norma imperativa, con le conseguenze di cui all’art. 14181.
39
Ad es., con riguardo ad un contratto di locazione con rinnovo tacito, si è stabilito che, verificatisi gli ef-
fetti della disdetta, le parti possono porli nel nulla solo con un ulteriore atto contrattuale che deve rivestire
forma scritta ed essere adottato dall’organo legittimato a rappresentare l’ente ed a concludere in suo nome e
per suo conto, a nulla rilevando l’inerzia della P.A. (Cass. 9-5-2017, n. 11231).
40
Le illegittimità commesse dalla pubblica amministrazione nello svolgimento del procedimento di evidenza
pubblica presupposto del contratto possono dare luogo, in astratto, al risarcimento del danno anche se il danneg-
giato sia portatore di un interesse legittimo, dovendosi configurare come extracontrattuale la responsabilità
dell’amministrazione per i danni cagionati nell’esercizio del potere provvedimentale (Cass. 24-3-2004, n. 5941).
41
Per fermarsi agli atti salienti, il bando di gara (con il quale la pubblica amministrazione esterna nei confron-
ti dei soggetti del mercato di riferimento la propria intenzione contrattuale già racchiusa nella deliberazione di
contrattare), è ad un tempo atto amministrativo destinato alla realizzazione di interessi pubblici e dichiarazione
di offerta al pubblico ex art. 1336, quale tecnica di formazione del contratto (VIII, 2.11). Analogamente l’offerta
del privato è dichiarazione negoziale di partecipazione alla gara, ma al tempo stesso si inserisce nel procedimento
amministrativo presupposto dal contratto. Anche l’aggiudicazione (con la quale è individuato il contraente) è atto
amministrativo di accertamento dell’offerta più conveniente per la pubblica amministrazione (come tale impu-
gnabile), e dichiarazione negoziale complessa di conclusione dell’accordo ex art. 1326.
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 893

13. Il diritto europeo dei contratti. – Come in generale il diritto privato europeo
(II, 2.10), il diritto europeo dei contratti va delineandosi attraverso un progressivo inter-
vento europeo che ha sedimentato un sovrapporsi di normative che hanno notevolmente
eroso la unitaria raffigurazione del contratto elaborata dalla tradizione e consegnata nel
codice civile. Vi sono aree di armonizzazione e di progressiva uniformazione europea,
mentre resistono terreni di differenziazione dei sistemi.
a) Si va formando un diritto unionale dei contratti, che viene dall’alto attraverso l’o-
pera delle istituzioni europee. I molti (e disorganici) interventi sono calati senza i neces-
sari coordinamenti con le normative nazionali; anche quando alcune norme sono ripor-
tate nei codici, sono inserite nel testo senza un adeguamento dei codici alle novelle, così
lasciando all’interprete il delicato compito di ricostruire il diritto applicabile. L’e-
sperienza più rilevante di inserimento di diritto europeo dei contratti in un codice civile
è quella tedesca con la “Legge di modernizzazione del diritto delle obbligazioni” (la ri-
forma dello Schuldrecht), in vigore dal 2002, anticipata nel 2000 con l’inserimento nel I
libro delle definizioni di “consumatore” e “imprenditore”.
Dopo una lunga stagione di armonizzazione delle legislazioni nazionali sul contratto, da
tempo è stata imboccata la strada della uniformazione attraverso la elaborazione dell’acquis
communautaire, cioè di principi e modelli consolidati nel diritto contrattuale di derivazione
comunitaria, anche se sviluppati in direzioni settoriali (significative la vendita dei beni di
consumo, riferita a tutti i contratti di fornitura; la subfornitura, referente dei contratti con
abuso di posizione dominante). Concorrono previsioni dei trattati, disposizioni normative
(regolamenti e direttive), sentenze delle Corti europee, inserite nell’ambito delle fonti del
diritto, spesso formalmente trasposte negli ordinamenti nazionali. Si è visto come la nor-
mazione europea tenda ad abbandonare la tecnica per fattispecie per indirizzarsi verso la
disciplina per risultati (I, 3.2).
Allo stato anzitutto sussiste una normativa di diritto internazionale privato fissata dal
Regolamento CE/593/2008 del 17.6.2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni con-
trattuali (c.d. Roma I), che sostituisce la Convenzione di Roma del 19.6.1980 con il me-
desimo titolo (v. però art. 24 Reg.). Sulla scorta della Convenzione ONU del 1980 sulla
vendita di cose mobili è stata articolata la primigenia direttiva 1999/44/CE sulla vendita
di beni di consumo, da ultimo sostituita dalla direttiva UE/2019/771 (confluita nel cod.
cons. artt. 128 ss.), che è destinata a rappresentare referente costante per i contratti di
scambio. Nel settore delle tecnologie assume rilievo la direttiva UE/2019/770, relativa a
determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuti digitali o servizi digitali (con-
fluita negli artt. 135 octies ss. cod. cons.). Con l’approvazione della direttiva sui mutui
ipotecari destinati all’acquisto di immobili residenziali da parte di consumatori (Diretti-
va Carrp), è avviato il mercato dei mutui in Europa verso un quadro giuridico comune,
che influenzerà il percorso di formazione di una disciplina uniforme delle vendite im-
mobiliari.
Resiste un terreno di differenziazioni, che tocca maggiormente i modelli trasla-
tivi che restano diversi. A fronte della impostazione francese del c.d. consenso traslativo,
per cui l’atto di trasferimento è ad un tempo causale e traslativo, al quale si uniforma il
nostro sistema, resiste il sistema tedesco di derivazione romanistica che fissa una sequen-
za tra l’atto causale obbligatorio e l’atto astratto di trasferimento, valorizzando la pubbli-
cità costitutiva (se ne parlerà ampiamente in seguito: VIII, 6.7). L’affermarsi della “circo-
894 PARTE VIII – CONTRATTO

lazione globalizzata” di soggetti, beni e servizi interessa anche il commercio elettronico


dei beni immobili (c.d. electronic conveyance o e-conveyance).
b) Sta svolgendosi un diritto comune dei contratti sotto la spinta delle istituzioni
europee che hanno avviato un’opera di avvicinamento delle culture giuridiche, con l’in-
tento di elaborare linguaggi e categorie giuridiche comuni, sulla base di valori condivi-
si, nella prospettiva di un più generale diritto privato europeo. In tale direzione si
stanno muovendo organizzazioni e comunità scientifiche, attraverso la elaborazione di
progetti che cementano principi e regole comuni 42, con lo scopo di tradurre in una di-
sciplina unitaria tradizioni giuridiche dei singoli paesi, spesso diverse o addirittura
contrastanti.
C’è da coniugare i “diritti individuali” garantiti dai tradizionali modelli di esplicazione
dell’autonomia privata, con gli affiorati “doveri solidali” implicati dai nuovi strumenti di
tutela della persona umana e con “gli obblighi” imposti dalla moderna regolazione del
mercato. Dal nuovo trend di diritto europeo dei contratti stanno progressivamente libe-
randosi regole e principi che investono la parte generale dei contratti e che sono ormai
concorrenti e partecipi del nuovo diritto privato.

14. Il controllo giudiziale dell’autonomia contrattuale. – È la più recente frontiera


di intervento sull’autonomia contrattuale, attraverso la giurisdizione, la quale compie una
valutazione del contratto con tecniche di controllo aperte ai contesti del contratto e alle
condotte dei contraenti.
L’impianto del codice civile è di valutazione della struttura dell’atto e precipuamente
della formazione della volontà negoziale e della liceità del contenuto adottato; i giudici
hanno tradizionalmente risolto le controversie tra le parti con la verifica di conformità
del contratto alla disciplina generale dei contratti e agli schemi legali di riferimento.
A partire dagli anni ’70, facendosi progressiva applicazione dei valori costituzionali e
dei principi comunitari, con un ricorso sempre più penetrante alle risorse delle clausole
generali e precipuamente a quelle dell’abuso del diritto e della buona fede, si sviluppa
un controllo giudiziale dell’assetto di interessi, che tenga conto delle circostanze di stipu-
lazione, delle collocazioni degli autori dell’atto nel mercato, delle informazioni e cono-
scenze rese disponibili, della natura degli interessi attuati e dei valori coinvolti. Non che
sia possibile al giudice fissare regole autonomamente elaborate (per restare il giudice
soggetto alla legge: artt. 54 e 1012 Cost.), ma nel più circoscritto significato di dovere il
giudice fare applicazione dei valori ordinamentali nella concreta fattispecie, eventual-
mente valorizzando il contesto del contratto oltre la struttura dell’atto, pure in assenza di
specifiche norme regolatrici ovvero in presenza di regole che vi contraddicono.
Si svolge un governo dell’autonomia contrattuale con manovra della discrezionalità
contrattuale. La problematica si è ampiamente sviluppata nella elaborazione delle fonti
di integrazione del contratto (art. 1374), sia con la dilatazione della “legge” al complessi-
vo ordinamento e quindi anche alla costituzione, al diritto europeo e alle convenzioni
internazionali ratificate, sia con la configurazione della “equità” come intrecciata con il

42
Importanti sono i principi Unidroit, sui quali v. Principi dei contratti commerciali internazionali, Roma
2004. Rilevante il lavoro della Commissione Lando (dal nome del Presidente) tendente alla elaborazione di
Principi di diritto europeo dei contratti (2003) come disciplina della parte generale dei contratti. Efficace è
anche l’apporto dell’Associazione internazionale “Secola”.
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 895

principio di buona fede (VIII, 1.14), con il graduale ampliamento della clausola generale
di buona fede, fino a farla coincidere con il contenuto di valori costituzionali, a comin-
ciare dal dovere di solidarietà ex art. 2 Cost. (di cui si è detto: II, 7.3). Il principio di me-
ritevolezza degli interessi, dettato per i contratti atipici (art. 13222), diviene riferimento
valutativo di tutti gli atti di autonomia privata 43. Anche in capo alla pubblica ammini-
strazione grava l’obbligo di improntare i rapporti con i privati ai princìpi della “collabo-
razione” e della “buona fede” (I, 2.15). Spetta al giudice tradurre principi e valori costi-
tuzionali e europei in regole di controllo dell’autonomia contrattale, forgiandosi un’ap-
plicazione costituzionalmente orientata della normativa sui contratti.
Più agevolmente si è affermato il controllo delle sopravvenienze nei contratti con ese-
cuzione di durata o successiva, in quanto il controllo del giudice si indirizza su una realtà
sopravvenuta (giuridica o economica o sociale) modificativa di quella originaria divisata
dalle parti, con aggravamento del sacrificio di una parte o riduzione di utilità del con-
tratto per una delle parti; il controllo giudiziale non si appunta sull’autonomia contrat-
tuale dispiegata dalle parti, anzi è svolto in funzione di mantenimento dell’equilibrio dal-
la stessa programmato. Già il codice civile prevede lo strumento generale della risoluzio-
ne del contrattole, nelle figure della impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt.
1463 ss.), specie la impossibilità parziale (art. 1464), e della sopraggiunta eccessiva one-
rosità di una prestazione (artt. 1467 ss.), secondo i presupposti previsti. Quando l’ade-
guamento del contratto non sia regolato dalla legge o previsto dalle parti, è ormai indi-
rizzo diffuso additare un obbligo di rinegoziazione delle parti in attuazione del dovere di
buona fede, anche se poi sono dibattuti gli strumenti di coazione (come appresso si ve-
drà: VIII, 7. 6).
È invece tuttora problematico ammettere il sindacato del giudice sull’equilibrio con-
trattuale originario, per intervenire il giudice sulla realtà divisata dalle parti, senza seguire
mutamenti del contesto nel quale è stato stipulato. Alcuni restringono il contenuto del
controllo alla singola fattispecie, attraverso un controllo di giustizia commutativa, in gra-
do di attuare il riequilibrio delle posizioni contrattuali nel singolo contratto, secondo un
criterio di “giustizia contrattuale”; altri dilatano il contenuto delineando un governo del
contratto in funzione di una giustizia distributiva, in grado di assicurare finalità di welfa-
re e dunque di sostegno al soggetto più debole secondo un parametro di “giustizia so-
ciale” 44. Nella prima prospettiva, è verificato l’equilibrio tra le parti nella specificità del

43
È ormai principio acquisito che i controlli relativi all’esplicazione della autonomia negoziale, riferiti alla
meritevolezza degli interessi regolati e alla liceità della causa, devono essere parametrati ai superiori valori
costituzionali previsti a garanzia degli specifici interessi perseguiti; a tal fine la nozione di ordinamento giuri-
dico, cui fa riferimento la norma generale sul riconoscimento della autonomia negoziale ai privati, implica l’inte-
razione sulle previgenti norme codicistiche delle superiori e successive norme di rango costituzionale e
sovranazionale comunque applicabili quali principi informatori o fondanti dell’ordinamento stesso (Cass.
1-4-2011, n. 7557).
44
Si è riproposto l’antico divario tra “giustizia commutativa”, riguardante i rapporti tra le persone con ri-
guardo allo scambio e alla sostituibilità delle attribuzioni, e giustizia “distributiva”, riferita ai rapporti dei sin-
goli con la società, secondo un criterio di ripartizione che ha riguardo ai meriti o al bisogno. Il tema, ritornato
di recente alla ribalta, è di antica riflessione, sostenuto da varie e articolate giustificazioni, naturalistiche, ra-
zionalistiche, idealistiche o senz’altro religiose. Già Aristotele parlava di una giustizia particolare nella società
che si affianca ad una giustizia generale come legittimità; e perciò di una distinzione tra giustizia commutati-
va, che regola i rapporti privati (scambio di cose) e attribuisce proporzionalmente al merito, e giustizia distri-
896 PARTE VIII – CONTRATTO

singolo contratto, esaminandosi la giustificazione causale dello scambio e dei reciproci


sacrifici; nella seconda prospettiva, è valutato l’impatto sociale dell’assetto contrattuale,
rapportandolo alla rete di coesione sociale in una dimensione sistemica.
Già nel codice civile, che pure presume la uguaglianza delle parti e la simmetria delle
rispettive posizioni per cui il contratto “ha forza di legge tra le parti” (art. 1372), sono
presenti figure significative di “squilibrio economico” originario del contratto che am-
mettono l’intervento riequilibratore del giudice, come la riduzione giudiziaria della pe-
nale dovuta dal debitore per l’inadempimento (art. 1384), la riduzione giudiziaria della
indennità dovuta dal compratore per inadempimento del contratto di vendita con riserva
della proprietà (art. 1526); come opera il criterio generale di valutazione equitativa del
danno da inadempimento che non è possibile provare (art. 1226), esteso alla responsabilità
extracontrattuale (art. 2056). In via generale opera la categoria della rescissione nelle ipote-
si dello stato di percolo e di stato di bisogno (artt. 1447 ss.). Di “squilibrio normativo” ori-
ginario vi è una precisa disciplina nei contratti dei consumatori (artt. 33 ss. cod. cons.).
L’autonomia contrattuale resta esercizio di autonomia privata e dunque di negoziali-
tà, come espressione di libertà: autonomia privata, mercato e libertà, insieme, si tengono
o periscono; l’autodeterminazione del vincolo contrattuale è l’essenza della libertà delle
persone e degli enti. Il sindacato giudiziale resta dunque delineato con riguardo al con-
tratto analizzato: assumendo misure di organizzazione sociale, realizzerebbe anche ra-
gioni di sperequazione umana, premiando i cittadini che hanno stipulato un contratto, a
danno di quelli che non lo hanno stipulato o non hanno avuto la possibilità di stipularlo.
Bisogna accedere alla configurazione di una giustizia commutativa sostanzialistica, secon-
do i valori di buona fede e di solidarietà sociale che devono presiedere ogni relazione
umana.
In tale ottica viene in rilievo la proporzionalità delle attribuzioni patrimoniali. La giu-
risprudenza ha affrontato il tema attraverso la valorizzazione dell’abuso del diritto (II,
3.4) e della buona fede oggettiva (II, 7.5), facendo operare lo squilibrio contrattuale, non
solo come causa di responsabilità, ma anche come ragione di invalidità dell’atto. Con la
dilatazione dell’area della nullità all’abuso del diritto (per irragionevole esercizio) 45 e alla

butiva, che regola i rapporti pubblici (distribuzione di onori e pubbliche ricchezze) che riconosce a tutti in
modo uguale. È un’impostazione ampiamente presente nelle pagine di L. EINAUDI (1944), quando l’econo-
mista piemontese invita a ravvicinare, per quanto possibile, i “punti di partenza” degli uomini prima che essi
si affaccino sul mercato o quando siano costretti ad uscirne temporaneamente, così da conciliare le opposte
esigenze di una proporzionalità rispetto ai meriti (equità commutativa) con la proporzionalità rispetto ai bi-
sogni (equità distributiva). È anche interessante un passo della Enciclica Caritas in veritate di Papa Benedetto
XVI del 2009: “Il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette
l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rap-
porti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri: è soggetto ai
principi della cosiddetta giustizia commutativa, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere tra sog-
getti paritetici. La dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l’importanza della giu-
stizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato, non solo perché inserita nelle ma-
glie di un contesto sociale e politico più vasto, ma anche per la trama delle relazioni in cui si realizza: “il mer-
cato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coe-
sione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reci-
proca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è
venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave”.
45
Si è precisato come l’abuso del diritto non presuppone una violazione in senso formale, ma si realizza
CAP. 1 – AUTONOMIA CONTRATTUALE 897

buona fede oggettiva (per non lealtà e correttezza) 46, cresce l’intervento del giudice sul
contratto attraverso la rilevabilità di ufficio della nullità (VIII, 9.4). È stata ammessa la
rilevabilità di ufficio della onerosità della prestazione nella clausola penale 47 (VIII, 7.4).
Raccogliendo gli spunti già presenti nel codice civile e gli apporti della giurispruden-
za, deve configurarsi una giustizia commutativa equitativa del contratto, secondo un cri-
terio di reciprocità relazionale che fa obbligo a ciascuna delle parti di compiere gli atti
giuridici e materiali necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte nei limiti
di un apprezzabile sacrificio proprio, nella logica di un mercato concorrenziale (artt. 101
e 102 TFUE), espressivo di una “economia sociale di mercato” (art. 3 TUE). In tal guisa
la giustizia commutativa si atteggia come un potere di sindacato sullo squilibrio della spe-
cifica relazionalità secondo parametri ordinamentali costituzionali e europei. La manovra
giudiziale del contratto, pure condotta secondo le cadenze processuali, non è un’arbitra-
ria iniziativa correttiva, secondo soggettive ideologie culturali o professioni religiose: è
un’azione giuridica che deve svolgersi con impiego dei principi generali dell’ordinamento
sulla specifica relazionalità contrattuale; ed è un’azione che deve articolarsi con una
struttura logica del trattamento del caso, come presidio di controllo dell’operato in una
democrazia vissuta (I, 1.6). In questi limiti e con tali modalità è consentita una eterointe-
grazione giudiziale del contratto (VIII, 5.9). È il terreno sofferto del diritto vivente, cui si
è avuto riguardo innanzi (I, 3.16), rispetto all’applicazione delle clausole generali di buona
fede, solidarietà e equità, che saranno varie volte richiamate e utilizzate nell’esame dei sin-
goli istituti.

quando nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo esercizio, ne risulti alterata
la funzione obiettiva rispetto al potere che lo prevede ovvero lo schema formale del diritto sia finalizzato ad
obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore, con una sproporzione ingiustificata tra il
beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio cui è soggetta la controparte (Cass. 30-9-2021, n. 26541, con
riguardo a comodato gratuito di casa familiare). Altri interventi giurisprudenziali stanno emergendo: es. Cass.,
sez. un., 6-5-2016, n. 9140, relativamente alle clausole assicurative “claims made”; Trib. Treviso 8.10.2018, n.
1956, rispetto ad una prestazione professionale considerata esosa.
46
È diffuso indirizzo che i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione e nell’interpretazione dei
contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano dell’individuazione degli obblighi
contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti; sotto il secondo profilo,
consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto,
qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o re-
primere l’abuso del diritto; giacché ciò che è censurato non è l’atto di autonomia negoziale, ma l’abuso di es-
so. Di tale principio è stata fatta variamente applicazione: ad es., da Cass. 18-9-2009, n. 20106 e Cass. 21-6-2011,
n. 13583, con riferimento al recesso ad nutum da concessione di vendita; da Cass. 13208/2010, in tema di ri-
soluzione di contratto di locazione per morosità.
47
Un orientamento giurisprudenziale, facendo applicazione del generale dovere di solidarietà (art. 2 Cost.)
e rileggendo in tal senso anche la clausola generale di buona fede, ha valorizzato l’intervento equitativo del
giudice in funzione correttiva dell’autonomia privata, al fine di evitare che l’autonomia contrattuale travalichi i
limiti entro i quali la tutela delle posizioni soggettive delle parti risulti meritevole di tutela; considera il dovere
di solidarietà come limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva. L’indirizzo accennato è essenzial-
mente esplicitato da un intervento delle sezioni unite della Cassazione in tema di riduzione della penale (art.
1384), stabilendosi che il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 a tutela dell’inte-
resse generale dell’ordinamento, “può essere esercitato d’ufficio per ricondurre l’autonomia contrattuale nei
limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia
con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l’obbligazione principale è stata in parte esegui-
ta” (Cass., sez. un., 13-9-2005, n. 18128). Nel medesimo ordine di idee si erano mosse Cass. 23-5-2003, n.
8188 e Cass. 24-9-1999, n. 10511.
898 PARTE VIII – CONTRATTO

È invece di competenza della politica, specialmente attraverso il potere legislativo, at-


tivare strumenti di “giustizia distributiva” nella dimensione sociale, con il sostegno ai bi-
sogni delle classi deboli e il calmieramento delle posizioni privilegiate, ovvero con la in-
centivazione dei meriti e la gratificazione del lavoro, secondo direttrici di politica eco-
nomica e sociale costituzionalmente coerenti. Sono iniziative coinvolgenti un interesse
pubblico, superiore e ulteriore rispetto alla relazionalità contrattuale e agli interessi reci-
proci delle parti, anche questi comunque tutelati secondo i principi generali e i valori
dell’ordinamento.
CAPITOLO 2
CONCLUSIONE

Sommario: 1. Le parti e i requisiti soggettivi. La legittimazione. – 2. Formazione dell’accordo e conclu-


sione del contratto. Il contratto plurilaterale. – 3. Contratti consensuali e contratti reali. – A) AC-
CORDO DELLE PARTI. – 4. Volontà negoziale e intento comune. – 5. I modi di manifestazione della
volontà. – 6. Volontà e dichiarazione. La tutela dell’affidamento. – 7. L’assenza di volontà negozia-
le. – 8. L’erosione della volontà nei contratti di massa. – B) VIZI DEL CONSENSO. – 9. Generalità. –
10. Errore (vizio e ostativo; errore materiale). – 11. Dolo (determinante e incidente; comunicazioni
di massa). – 12. Violenza morale (e timore reverenziale). – C) MODI DI CONCLUSIONE DEL CON-
TRATTO. – 13. Scambio di proposta e accettazione. La proposta irrevocabile. – 14. Offerta al pub-
blico. – 15. Il contratto aperto. – 16. Conclusione senza apposita accettazione. – 17. Predisposizione
di condizioni generali di contratto (contratti per adesione tra codice civile e codice del consumo). –
18. Contratti conclusi fuori dei locali commerciali e a distanza. – 19. Rapporti contrattuali per con-
tatto sociale. – D) VINCOLI A CONTRARRE E FORMAZIONE PROGRESSIVA. – 20. Vincoli all’autonomia
contrattuale. – 21. Trattative (puntuazioni, minute, lettere di intenti). – 22. La prelazione e l’op-
zione. – 23. Il contratto preliminare. – 24. Il divieto di alienazione. – E) RESPONSABILITÀ PRECON-
TRATTUALE. – 25. Le ipotesi tipizzate di responsabilità. – 26. La clausola generale del trattare leal-
mente. – 27. I danni risarcibili. – 28. La responsabilità precontrattuale della pubblica amministra-
zione. – 29. La responsabilità precontrattuale degli intermediari finanziari.

1. Le parti e i requisiti soggettivi. La legittimazione. – Prima di trattare della for-


mazione del contratto bisogna riprendere alcune precisazioni e fissarne altre.
Come si è visto, il contratto implica la presenza di due o più parti, nel senso di due o
più centri di interessi. Ogni parte può essere unisoggettiva o plurisoggettiva, a seconda che
sia formata da una sola persona o da più persone (II, 5.6).
Bisogna inoltre distinguere tra parte in senso sostanziale, che è titolare dell’interesse
inciso dall’atto e dunque destinataria degli effetti del contratto, e parte in senso formale
che è partecipe dell’atto e dunque manifesta la volontà negoziale. Di regola le due quali-
fiche coincidono, in quanto chi compie l’atto è anche titolare dell’interesse e perciò de-
stinatario degli effetti; ma talvolta divergono, in quanto l’autore dell’atto non è anche de-
stinatario degli effetti: tipicamente quando ricorre un fenomeno di rappresentanza, per
cui il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato sul quale si produco-
no gli effetti del contratto (art. 1388). La parte in senso formale deve essere sempre de-
terminata e risultare nell’atto, in quanto artefice dell’atto; la parte in senso sostanziale
può anche essere indicata in seguito (es. contratto per persona da nominare: art. 1401) o
non essere indicata affatto (es. mandato senza rappresentanza: art. 1705), tranne che il
contratto non sia stipulato intuitu personae del destinatario degli effetti; possono peral-
tro indicarsi anche solo i criteri di identificazione e le qualità del soggetto cui si ricondu-
ce l’obbligazione assunta nel contratto.
900 PARTE VIII – CONTRATTO

Problema fondamentale nella conclusione dei contratti è quello della identità del sog-
getto costituito nell’atto, che dichiara di concludere il contratto (sia o meno titolare del-
l’interesse realizzato). Una funzione certatrice è svolta dal pubblico ufficiale (tipicamente
il notaio) che riceve l’atto o che autentica la firma del sottoscrittore 1.
Rispetto ad ogni contraente devono ricorrere determinati requisiti soggettivi. È neces-
sario che i titolari degli interessi regolati abbiano la capacità giuridica, cioè l’attitudine
alla titolarità delle situazioni giuridiche disposte (IV, 1.1), e la capacità di agire, cioè l’ido-
neità al compimento dell’atto (IV, 1.6); se il soggetto costituito nell’atto è diverso deve
avere la capacità di intendere e di volere, avuto riguardo alla natura e al contenuto del
contratto (arg. art. 1389). Esistono ipotesi nelle quali c’è, per legge, una inidoneità del
soggetto ad essere destinatario degli effetti del contratto, anche per interposta persona.
È una incapacità giuridica speciale, da cui deriva la invalidità del contratto, che si atteg-
gia ora come nullità ora come annullabilità in ragione della natura dell’interesse protetto:
ad es. i divieti per alcune categorie di soggetti di rendersi cessionari di particolari crediti
(art. 1261) o di rendersi compratori di determinati beni (art. 1471).
Diversamente si atteggia la legittimazione. È la competenza ovvero il potere di agire ri-
spetto agli interessi regolati con il contratto 2. Il fenomeno è reso evidente quando si in-
tende disporre di un interesse altrui, con incidenza cioè degli effetti dell’atto sulla sfera
giuridica di un diverso soggetto: in tal caso, mancando la coincidenza tra titolare dell’in-
teresse inciso (parte in senso sostanziale) e partecipe all’atto (parte in senso formale), oc-
corre un atto autorizzativo del titolare della sfera giuridica incisa (es. procura) o una norma
che autorizzi la disposizione dell’interesse altrui (es. la rappresentanza degli incapaci lega-
li); analogo problema si pone con riguardo alla esternazione della volontà degli enti, do-
vendosi verificare se il soggetto che interviene all’atto quale rappresentante dell’ente sia
fornito dei relativi poteri rappresentativi: in tutte tali ipotesi il pubblico ufficiale che ri-
ceve l’atto o che autentica le firme ha il dovere di verifica della esistenza dei poteri rap-
presentativi 3.
L’assenza di legittimazione, di regola, non incide sulla validità dell’atto (quando ri-
corrono tutti gli altri requisiti previsti dalla legge), ma solo sulla efficacia. È una scelta di
politica legislativa: ad es., la vendita di cosa altrui, per il cod. civ. del 1865 era nulla (art.

1
Integra il delitto di falsità ideologica in atto pubblico la condotta del notaio che, provvedendo all’auten-
ticazione di firma relativa a scrittura privata, attesti falsamente l’avvenuta preventiva identificazione del sotto-
scrittore oppure l’apposizione della firma in sua presenza, in quanto l’atto di autenticazione ha autonoma fun-
zione probatoria rispetto alla scrittura privata; risponde di questo reato, e non di falsità ideologica commessa
dal privato in atto pubblico, chi induce in errore il notaio sull’identità della persona risultante dall’autentica
notarile (Cass. pen. 18-1-2013, n. 5239; Cass. pen. 19-6-2008, n. 38714).
2
La categoria della legittimazione è impiegata in più settori dell’ordinamento, con il significato comune di
individuare il soggetto competente ad assumere una posizione o a compiere un atto o a regolare un interesse.
In procedura civile, indica la legittimazione processuale (legitimatio ad causam) ad agire per la tutela di un
diritto (proprio o altrui) o per resistere o per impugnare; in diritto amministrativo indica la competenza del-
l’ente o dell’organo alla emanazione di un provvedimento o del privato a partecipare ad una gara, assumendo
quindi la valenza di un requisito soggettivo.
3
L’obbligo del notaio rogante di verificare l’identità delle parti include, in caso di parte costituita a mezzo
di rappresentante, l’accertamento della sussistenza dei necessari poteri in capo a questo; dell’inadempimento di
tale obbligo, se non ne sia stato espressamente esonerato dagli interessati, il notaio risponde a titolo contrat-
tuale nei confronti della parte, che per l’invalidità dell’atto abbia patito danno, ma il risarcimento è diminuito
se nella sua produzione vi sia stato il concorso colposo della stessa parte (Cass. 29-11-2007, n. 24939).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 901

1459), mentre era valida per il cod. comm. del 1882 (art. 59). Il cod. civ. del 1942, tute-
lando in via preferenziale la circolazione dei beni, ha adottato la soluzione dell’abr. cod.
comm., per cui la vendita è valida ma inefficace: il compratore diventa automaticamente
proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà del bene (art. 1478)
(VIII, 6.15).

2. Formazione dell’accordo e conclusione del contratto. Il contratto plurilaterale. –


La volontà individuale di contrarre si esplica nell’azione tesa alla formazione dell’accor-
do, che segna l’assunzione del vincolo contrattuale. L’accordo è l’incontro degli apporti
volitivi delle parti che realizza la concordanza di intenti su un assetto di interessi: l’ac-
cordo su un assetto di interessi (meritevole di tutela) determina la conclusione del con-
tratto; la mancanza di accordo determina la nullità del contratto (art. 14182). In questo
capitolo parliamo della formazione dell’accordo e della conclusione del contratto; nel suc-
cessivo, parliamo del contenuto, come esito della conclusione del contratto.
Come appresso si vedrà l’accordo è essenziale ma non è sempre sufficiente alla conclu-
sione del contratto. La disciplina sulla formazione dell’accordo (artt. 1326 ss.) proviene
essenzialmente dagli artt. 36 ss. del cod. comm.: da ciò conseguono molte soluzioni nor-
mative che tendono a velocizzare e garantire la certezza degli scambi, favorendo la conti-
nuità della vita dell’impresa, a scapito della volontà delle parti.
Problema delicato è quello della conclusione del contratto con più di due parti in sen-
so sostanziale (contratto plurilaterale). Manca una disciplina generale, ma esistono nor-
me in più settori che consentono di fissare generali criteri di regolazione.
La più ampia area è quella dei contratti con comunione di scopo (c.d. contratti associa-
tivi), per cui interessi di due o più parti convergono verso un risultato unitario, come ti-
picamente nel contratto di società, dove due o più persone conferiscono beni o servizi
per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili (art.
2247) 4: il tratto distintivo è la convergenza degli interessi verso uno scopo comune. Tratto
peculiare del contratto con più di due parti è che le vicende del vincolo di un soggetto
coinvolgono l’intero contratto quando risultano essenziali al funzionamento del gruppo. A
tale criterio fa espresso riferimento l’art. 1420 secondo cui, “nei contratti con più di due
parti, in cui le prestazioni di ciascuna parte sono dirette al conseguimento di uno scopo
comune, la nullità che colpisce il vincolo di una sola parte non importa nullità del con-
tratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi es-
senziale”; un richiamo a tale figura è nella disciplina dell’annullabilità (art. 1446) e della
risoluzione (artt. 1459 e 1466) del contratto plurilaterale, così delineandosi un generale
statuto dei contratti plurilaterali con comunione di scopo. Per la formazione della volontà
deliberativa del gruppo, v. II, 5.7.
Esistono contratti plurilaterali senza comunione di scopo, nei quali i contraenti perse-

4
Anche la società di fatto si fonda sul concorso di un elemento oggettivo (conferimento di beni o servizi
in un fondo comune) ed uno soggettivo (comune intenzione dei contraenti di collaborare per conseguire ri-
sultati comuni nell’esercizio collettivo di una attività imprenditoriale), ricorrendo i quali la stessa non è esclu-
sa dal fatto che il fine degli associati consista nel compimento di una opera unica, purché di obiettiva com-
plessità (c.d. società occasionali), ovvero dalla mancanza di un atto scritto, potendo la sua costituzione risulta-
re da manifestazioni esteriori della attività di gruppo, quando esse, per la loro sintomaticità e concludenza,
evidenzino la esistenza della società (Cass. 25-2-2010, n. 4588).
902 PARTE VIII – CONTRATTO

guono interessi concorrenti ma distinti, con la formazione di una struttura contrattuale


unitaria che consente ad ognuno dei contraenti di conseguire risultati specifici: tipico
esempio è il contratto di divisione, per la cui realizzazione è necessaria la partecipazione
al contratto di tutti i comunisti 5. Talvolta si realizza una collaborazione tra più contraenti
attraverso la stipula di unico contratto in vista di uno scopo comune, mantenendo le par-
ti autonome posizioni giuridiche e di iniziativa (senza peraltro integrare una parte com-
plessa); in tal caso i singoli contraenti operano distintamente ma rispondono solidalmen-
te nei confronti della controparte: esempio è il trasporto cumulativo (art. 1700), con il
quale i singoli vettori assumono i rispettivi trasporti con unico contratto con responsabi-
lità solidale verso il mittente (IX, 2.11).

3. Contratti consensuali e contratti reali. – Si è anticipato che talvolta l’accordo


(sempre essenziale) non è sufficiente alla conclusione del contratto. In relazione a tale
divario rileva la dicotomia tra contratti consensuali e contratti reali.
I contratti consensuali si perfezionano in virtù del solo consenso: il contratto è
concluso nel momento in cui si forma l’accordo delle parti (es. vendita). Si vedrà come
nel nostro ordinamento il consenso è anche idoneo e sufficiente a produrre effetti reali
(c.d. consenso traslativo).
I contratti reali richiedono per il proprio perfezionamento, oltre l’accordo delle
parti (necessario per ogni contratto), anche la consegna della cosa: il contratto è concluso
quando, all’accordo, faccia seguito la consegna. Di regola i contratti reali tendono a pro-
curare una situazione soggettiva temporanea sulla cosa, con l’obbligo di restituzione a
carico del consegnatario: es. deposito (art. 1766), comodato (art. 1803), mutuo (art.
1813) 6. Rispetto agli effetti, sono di regola contratti unilaterali in quanto dagli stessi
derivano obbligazioni a carico di una sola parte (il consegnatario), e cioè l’obbligazio-
ne di restituire il bene ricevuto (la corresponsione dei corrispettivi è variamente rego-
lata). Si comprende come la nozione di contratti reali, avendo riguardo alla conclusio-
ne del contratto, si distingue dalla nozione di contratti a effetti reali, che, come indica
la stessa espressione, ha riguardo alla efficacia del contratto (VIII, 6.6).
Il nostro ordinamento ha assunto a regola generale il principio del “consensualismo”:
i contratti consensuali rappresentano la regola e perciò ogni contratto si presume con-
sensuale; i contratti reali costituiscono l’eccezione, e perciò sono tipici in quanto specifi-
camente regolati.

5
È diffuso il c.d. stralcio di quota divisionale (XII, 4.4). È consentito ai comproprietari di pattuire lo
scioglimento nei confronti di uno solo dei coeredi, ferma restando la situazione di comproprietà tra gli altri
eredi del medesimo dante causa (Cass. 9-10-2013, n. 22977). Anche per realizzare tale risultato sarà necessa-
rio il consenso di tutti i comproprietari, espresso contestualmente o con dichiarazioni successive.
6
Il contratto di mutuo si perfeziona anche con il conseguimento della giuridica disponibilità di questa da
parte del mutuatario, la quale può ritenersi sussistente, come equipollente della “traditio”, solo nel caso in cui
il mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, in guisa tale da determinare
l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio di quest’ultimo,
ovvero quando, nello stesso contratto di mutuo, le parti abbiano inserito uno specifico incarico del mutuata-
rio al mutuante di impiegare la somma mutuata per soddisfare un interesse del primo (Cass. 12-10-1992, n.
11116); anche con il pagamento ad un terzo (Cass. 28-8-2004, n. 17211).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 903

A) ACCORDO DELLE PARTI


4. Volontà negoziale e intento comune. – Si è visto come ogni negozio giuridico
implichi una volontà rivolta ad uno scopo. La volontà negoziale è appunto la tensione
verso un risultato: indica l’intento di realizzare uno scopo pratico dotato di rilevanza giu-
ridica, che è un tratto comune a tutti i negozi giuridici (II, 5.5). Esprime la scelta volitiva
del soggetto, anche se, come si è visto, proprio la libertà di scelta è spesso condizionata
nel mercato.
Si è però anche visto come sia essenziale rivelare nel mondo esterno l’intento perse-
guito: una manifestazione di volontà non può mai mancare, quale che possa essere la
forma della manifestazione (liberamente scelta o imposta dall’ordinamento). Il diritto di
una società civile (diversamente dal diritto di una comunità religiosa) regola esclusiva-
mente relazioni sociali; e pertanto l’intento del soggetto rileva giuridicamente in quanto
esternato nella realtà sociale e cioè manifestato: volontà e manifestazione sono compene-
trate nella unitarietà della manifestazione di volontà, che più spesso si atteggia come di-
chiarazione di volontà.
In tale contesto si comprende come, promanando la volontà negoziale da un solo
soggetto (negozi unilaterali), è più agevole la verifica della corretta formazione della vo-
lontà negoziale. I dubbi e i travagli che accompagnano la rappresentazione e la defini-
zione del fine perseguito si svolgono all’interno dell’unico autore dell’atto: la manifesta-
zione esprime la volontà negoziale del suo autore, tendente al conseguimento di uno
scopo (es. disdetta).
Più complessa è la formazione della volontà negoziale nei negozi bilaterali e preci-
puamente nei contratti. Il fine perseguito da una parte non coincide necessariamente con
quello divisato dall’altra o dalle altre parti (es. il venditore vuole vendere ad un determi-
nato prezzo ed il compratore vuole acquistare ad un prezzo inferiore). Sussistono aspira-
zioni individuali verso un determinato scopo, che devono essere esternate per consentire
il confronto con le aspirazioni perseguite dalla controparte, al fine di giungere alla for-
mazione dell’accordo. Perché si formi un comune intento negoziale è necessario che i
proponimenti individuali di ciascuna parte si incontrino e combinino in una concorde
volontà negoziale, che solamente esprime l’autoregolamento di interessi realizzato dalle
parti. La volontà negoziale giuridicamente rilevante nel contratto è la risultante dell’in-
contro tra i due apporti volitivi: esprime l’intento comune di perseguire uno scopo
condiviso, che indica il risultato programmato e voluto dalle parti (nell’esempio fatto, il
venditore ed il compratore hanno abbandonato gli originari proponimenti, rispettiva-
mente, di ricavare una somma esorbitante dalla vendita o di pagare un prezzo irrisorio
per l’acquisto, ed hanno concordato di realizzare la vendita del bene ad un prezzo di
mezzo che soddisfa entrambe le parti). L’accordo delle parti, menzionato dall’art. 1325 e
regolato dagli artt. 1326 ss., esprime appunto la tensione concorde delle parti verso un
risultato unitario. Sarà poi l’ordinamento giuridico a valutare se vi sia stato un reale in-
contro di volontà o un suo simulacro e dunque se si sia formata o meno una volontà ne-
goziale comune e dunque un accordo.
La legge non dà una espressa definizione dell’accordo contrattuale, ma dalla nozione
di contratto fornita dall’art. 1321 può dedursi la raffigurazione giuridica dello stesso.
L’accordo contrattuale è l’intento comune di due o più parti di costituire, regolare o
904 PARTE VIII – CONTRATTO

estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Punto di riferimento dell’accordo


è il contenuto contrattuale: l’intento comune si nutre di un contenuto e perciò verte su un
assetto di interessi. Essenziale è delineare i modi di manifestazione di volontà e le tecni-
che di incontro delle stesse nella formazione dell’intento comune.

5. I modi di manifestazione della volontà. – I fondamentali modi di manifestazione


della volontà sono il linguaggio e il contegno, intorno ai quali si atteggiano le connota-
zioni delle singole dichiarazioni.
a) Il linguaggio rappresenta e comunica il pensiero dell’autore (indipendentemente
da una concezione cognitiva o comunicativa del linguaggio): può esprimersi con la paro-
la, con la scrittura o con altri segni 7 (finanche le espressioni del volto o le movenze del
corpo possono essere comunicative di un pensiero). Nelle relazioni giuridiche incarna
una dichiarazione di volontà indirizzata verso uno o più soggetti, determinati o meno, ri-
volta al conseguimento di uno scopo.
Più spesso la dichiarazione di volontà è espressa, in quanto articola e specifica lo sco-
po perseguito (es. proposta di acquisto di un bene). Talvolta avviene come dichiarazione
tacita, in quanto non è manifesta ma è inclusa in una diversa dichiarazione, che non si ha
il diritto di compiere senza la volontà inespressa (es. accettazione tacita dell’eredità ex
artt. 476 e 477).
Lo sviluppo delle ricerche scientifiche applicate alle comunicazioni sociali ha fatto
emergere nel tempo meccanismi sempre nuovi di svolgimento del linguaggio: prima il
telegrafo, poi il telefono, poi ancora il telefax e oggi la telematica attraverso impulsi elet-
tronici (mediante posta elettronica o connessione al sito internet o chiamata vocale).
Spesso sono utilizzati più mezzi di comunicazione: si pensi alle televendite con accetta-
zione telefonica (salvo il diritto di recesso, di cui in seguito).
Di sovente la legge, per varie esigenze, richiede che la manifestazione debba essere
espressa in una forma vincolata (es. la vendita di beni immobili deve farsi per iscritto: art.
1350), connettendo all’assenza della forma richiesta specifiche conseguenze. In specifi-
che ipotesi la legge richiede che la manifestazione di volontà sia esternata in forma scritta
e, contemporaneamente, sia anche espressa: ad es., la dichiarazione del creditore di ri-
nunzia all’ipoteca “deve essere espressa e deve risultare da atto scritto, sotto pena di nul-
lità” (art. 2879).
b) Il contegno è egualmente rappresentativo del pensiero dell’autore e si avvale di
mezzi espressivi. Il contegno è solo obliquamente indirizzato al perseguimento di un ri-
sultato: dal comportamento è dedotta la volontà di conseguire uno scopo, sempre che la
volontà dedotta risulti univoca, cioè incompatibile con una diversa volontà (c.d. compor-
tamenti concludenti o facta concludentia): deve trattarsi di un contegno univocamente con-
cludente 8. Talvolta la legge, per varie ragioni specie di certezza giuridica, conferisce qua-

7
Ad es., per gli artt. 126 e 127 reg. esec. cod. nav., il contratto di pilotaggio è concluso attraverso segnali
particolari inviati, rispettivamente, dalla nave che intende chiamare il pilota e dalla nave del pilota che si diri-
ge verso la nave da pilotare.
8
La manifestazione tacita di volontà negoziale deve sostanziarsi in un contegno tale da assumere, secondo
la coscienza sociale, un significato oggettivo, riferibile al soggetto quanto meno a titolo di autoresponsabilità
(Cass. 17-10-2019, n. 26292; Cass. 3351/1980).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 905

lificazione legale ad alcuni comportamenti, attribuendovi specifici effetti giuridici: es., il


chiamato all’eredità in possesso del bene che non compie l’inventario nel termine di leg-
ge è considerato erede puro e semplice (art. 485); la restituzione del titolo originario del
credito comporta liberazione del debitore (art. 1237). La rinunzia alla prescrizione può
risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione, come ad
es. la richiesta di dilazione di pagamento (art. 2937).
Spesso il contegno raggiunge un grado di sì intensa significazione sociale per cui la
legge attribuisce al comportamento una valenza senz’altro attuativa di volontà negoziale
(c.d. negozi di attuazione o di volontà): es., ricorrendo alcuni presupposti, il contratto è
concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione (art. 1327).
A problemi particolari ha dato luogo il silenzio. Questo, come tale, è neutro; acquista
rilevanza giuridica in ragione delle circostanze in cui il comportamento silente è tenuto,
che militano in una specifica direzione (qui tacet consentire videtur si loqui debuisset ac
potuisset) 9. La legge prevede specifiche ipotesi in cui è attribuita rilevanza giuridica al
silenzio, ora di assenso ora di diniego: ad es., la mancata disdetta del locatore comporta il
rinnovo tacito del contratto (art. 1597); il ritardo del mandante a rispondere alla comuni-
cazione dell’eseguito mandato importa approvazione anche se il mandatario si è discostato
dalle istruzioni (art. 1712) 10.
Nella moderna realtà economica sono accresciute fortemente le occasioni di contratti
senza linguaggio, ma non senza accordo: ad es., l’automobilista che, in un parcheggio au-
tomatizzato, introduce e sistema la propria autovettura conclude il contratto di parcheg-
gio; nell’esperienza dei supermercati, la messa in mostra della merce con l’indicazione
del prezzo di ciascun esemplare, esprime l’intendimento di un’offerta di vendita, sicché
il consumatore che, in tale area, prende la merce e si presenta alla cassa per pagare con-
clude e attua un contratto di vendita.

6. Volontà e dichiarazione. La tutela dell’affidamento. – Può accadere che una


manifestazione di volontà, benché materialmente formulata, non sia spontaneamente e
consapevolmente voluta ovvero che sia voluta nella sua materialità e cioè come conte-
gno, ma non sia avvertita e dunque voluta come manifestazione di volontà negoziale e
perciò orientata ad un autoregolamento di interessi. L’impatto sociale di ogni dichiara-
zione comporta di avere in considerazione, non solo l’interesse del soggetto dichiarante
ma anche quello dei soggetti che vengono in contatto con la dichiarazione e che vi fanno
affidamento: è un elementare criterio di coesione sociale attribuire rilevanza giuridica alle
relazioni sociali indotte dalle dichiarazioni dei soggetti. Il problema si pone, anzitutto,

9
Perché il silenzio valga come manifestazione tacita di volontà devono ricorrere circostanze e situazioni
oggettive e soggettive che implichino un dovere di parlare ovvero che, secondo un dato momento storico e
sociale, avuto riguardo alla qualità delle parti e alle loro relazioni di affari, il tacere di una possa intendersi
come adesione alla volontà dell’altra (Cass. 21-3-2008, n. 7697; Cass. 20-2-2004, n. 3403). Il silenzio può ac-
quistare il significato di un fatto concludente o di manifestazione negoziale tacita, tale da integrare consenso,
laddove si accompagni a circostanze e situazioni, oggettive e soggettive, che implichino, secondo il comune
modo di agire, un dovere di parlare, specie quando il silenzio stesso venga serbato a fronte di una dichiara-
zione di altri, comportante, per chi tace, un obbligo (Cass. 4-12-2007, n. 25290).
10
In diritto amministrativo è spesso accordata rilevanza giuridica al silenzio (operando come silenzio-
assenso o silenzio-rifiuto). Si pensi agli interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività in
alternativa al permesso di costruire (artt. 23 ss. D.Lgs. 6.6.2001, n. 380).
906 PARTE VIII – CONTRATTO

tra i soggetti che concorrono alla formazione del contratto, e poi con riguardo ai terzi
che possono risentire gli effetti del contratto.
Il rapporto tra volontà e dichiarazione è risolto in generale dal codice civile con la tu-
tela dell’autore della dichiarazione, nei limiti della protezione dell’affidamento suscitato
dalla dichiarazione nel destinatario e verso i terzi (c.d. buona fede soggettiva) (II, 7.2).
Non dunque la tutela assoluta del destinatario e dei terzi, ma solo la protezione di una
fiducia senza colpa (affidamento incolposo) nella dichiarazione, secondo un criterio
oggettivo di esperienza generalizzata, con riferimento al caso concreto. Si è visto innanzi
come la tutela di tale principio è correlata alla esigenza di sicurezza del traffico giuridico
quale postulato essenziale di una economia di mercato (II, 7.4). Si vedrà peraltro della
crescente rilevanza accordata alle circostanze e ai modi di formazione dell’accordo, in
relazione alla natura degli interessi coinvolti e alla qualità delle parti.

7. L’assenza di volontà negoziale. – Si ha assenza di volontà negoziale (e dunque,


relativamente al contratto, assenza di accordo) quando non si realizza un libero e consa-
pevole intento comune, nonostante l’impiego degli schemi formali di manifestazione del-
la volontà e di formazione del consenso. La legge non dedica un’apposita disciplina al-
l’assenza della volontà negoziale (come, invece, per i vizi del consenso); ma la sua rile-
vanza deriva dal sistema: di regola l’assenza di volontà negoziale, comportando mancan-
za di accordo, è causa di nullità del contratto (art. 1325) (VIII, 9.5).
a) Alcune volte manca addirittura la volontà della materialità della dichiarazione. È il
caso della violenza fisica (c.d. violenza assoluta, per distinguerla dalla c.d. violenza
morale quale vizio del consenso): si coarta materialmente un soggetto a dichiarare una
volontà inesistente (ad es. conducendo forzatamente la mano altrui nella sottoscrizione).
Analogamente la falsificazione del documento: anche ora manca un contegno dichia-
rativo imputabile a un soggetto e pertanto c’è nullità del contratto.
b) Altre volte, c’è sì volontà della materialità della dichiarazione, ma è assente la vo-
lontà della dichiarazione orientata ad un autoregolamento di interessi. Si delinea il genera-
le problema della rilevanza di una dichiarazione non corrispondente ad una effettiva vo-
lontà negoziale, per valutare se tale dichiarazione possa considerarsi suscettibile di pro-
vocare l’affidamento dei terzi. È l’ipotesi della non serietà della dichiarazione, per es-
sere la stessa espressa per scherzo o formulata a fine didattico o declamata sulla scena
(come rappresentazione teatrale o riproduzione cinematografica, televisiva, ecc.). La di-
chiarazione (ancorché spontaneamente emessa), per il luogo in cui è formulata (un’aula di
lezioni, un palcoscenico, uno studio televisivo o cinematografico, ecc.), non è tale da po-
ter venire intesa dai destinatari come autoregolamento di interessi. Il contesto di formu-
lazione della dichiarazione è essenziale per valutare se la stessa possa ragionevolmente
alimentare l’affidamento dei terzi.
In tale contesto è stata tradizionalmente svolta anche la problematica della simula-
zione quale contrasto tra la volontà, interna e occulta tra le parti, e la dichiarazione, ap-
parente e ostentata nei confronti dei terzi, con la conseguenza di considerare l’atto simula-
to un negozio non voluto e quindi nullo: si vedrà come una visione funzionale del feno-
meno porti a ricostruire la figura come divario di una doppia volontà, una dichiarata per
l’apparenza e l’altra dichiarata tra le parti, come svolgimento di una unitaria regolazione
di interessi (VIII, 3.13).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 907

c) Quando il divario tra la volontà e la dichiarazione non è avvertibile nel particolare


contesto sociale, assume rilievo l’affidamento dei terzi che attribuisce alla materialità del-
la dichiarazione il valore di dichiarazione negoziale. È così priva di rilevanza giuridica la
riserva mentale, cioè la dichiarazione espressiva di una volontà apparente, intenzio-
nalmente discordante con l’interno e reale intento negoziale: la dichiarazione è intenzio-
nalmente non conforme alla volontà negoziale, ma nel contesto sociale dove la dichiara-
zione opera il divario non è avvertito: perciò il contratto è valido 11.
d) Un discorso a sé è da fare per il c.d. errore ostativo, cioè l’errore nella dichiara-
zione o nella sua trasmissione (art. 1433). C’è discordanza tra volontà negoziale e dichia-
razione, ma la discordanza non è ravvisabile all’esterno: si vedrà come il relativo tratta-
mento è assimilato a quello dell’errore vizio della volontà negoziale per la tutela dell’affi-
damento del destinatario della dichiarazione (VIII, 2.10).
Dei singoli rimedi contro assenza o vizi della volontà, si parlerà in seguito trattando
delle anomalie genetiche del contratto (VII, 9).

8. L’erosione della volontà nei contratti di massa. – Il delineato meccanismo di


confluenza degli apporti volitivi di entrambe le parti, delineato dal codice civile come
modello tipico e generale di formazione dell’accordo, incontra varie deroghe nella con-
trattazione di massa, sia nella conclusione del contratto che con riguardo al contenuto.
Nella conclusione del contratto, specie quando il contratto è stipulato fuori dei locali
commerciali e a distanza, il consumatore è indotto emotivamente a stipulare senza la neces-
saria maturazione dell’acquisto, vuoi rispetto alla utilità dell’operazione compiuta che con
riguardo alla scelta del prodotto e del contraente. In tali ipotesi il consumatore è colto di
sorpresa e gli è perciò accordato un diritto di ripensamento nel termine fissato dalla legge.
Quanto al contenuto del contratto, allorché il contratto è stipulato mediante predispo-
sizione unilaterale di condizioni generali di contratto, l’incontro delle dichiarazioni spes-
so avviene senza conoscenza del contenuto del contratto e comunque nell’impotenza del
contraente aderente di incidervi. Emergono clausole vessatorie a danno del contraente
aderente, che l’ordinamento sanziona in vario modo. Sempre più spesso l’asimmetria delle
conoscenze e degli apporti volitivi si traduce in uno squilibrio contrattuale, che dà luogo
alla nullità di parti del contratto o dell’intero contratto. Di tali temi si parlerà specifica-
mente in seguito (par. 17 e 18).

B) VIZI DEL CONSENSO


9. Generalità. – Vari fattori possono distorcere il processo di formazione della volon-
tà, risultando la volontà negoziale viziata.
I vizi del consenso previsti dal codice civile sono l’errore, il dolo e la violenza morale: i
primi due (errore e dolo) influenzano la conoscenza; il terzo (violenza morale) condiziona
la decisione. Per l’art. 1427 il contraente, il cui consenso fu dato per errore, estorto con

11
Diversamente avviene per l’ordinamento canonico: essendo il fine dell’ordinamento sursum e cioè so-
prannaturale, tutte le anomalie della volontà sono rilevanti. Per il can. 11012 cod. can. il consenso matrimo-
niale è invalido anche se una sola delle parti esclude, con un positivo atto di volontà, il matrimonio stesso,
oppure un suo elemento essenziale o una sua proprietà essenziale.
908 PARTE VIII – CONTRATTO

violenza o carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto, secondo le di-
sposizioni indicate dai successivi articoli. In questo capitolo si ha riguardo ai modi di
operare dei vizi del consenso, rinviando al seguito l’esame dei mezzi di tutela per l’ano-
malia dell’atto (VIII, 9).
C’è in generale da rilevare come tali vizi siano maggiormente riferibili al singolo pri-
vato che accede al contratto, sorretto esclusivamente dalla sua razionalità e forte solo
della propria volontà, perciò destinato a subire tutte le conseguenze di processi logici
errati o di violenze alla sua libertà. Meno si attagliano alle organizzazioni economiche
che si avvalgono di accorsati studi professionali o la cui titolarità è formata da una nutri-
ta compagine sociale, sia perché è più approfondita la conoscenza, sia perché meglio at-
trezzati a prevenire e sventare le insidie altrui.
Nel mercato dei beni di consumo e in generale dei prodotti di impresa, la spinta al
consenso è più spesso indotta dalla pubblicità commerciale, perciò senza dialogo tra le
parti e in assenza del bene: la scelta compiuta dal contraente cade sulla rappresentazione
del prodotto non sulla fisicità dello stesso. Perciò i vizi del consenso indicati dal codice
vanno, in questa direzione, ripensati ed applicati in funzione delle suggestioni indotte
dai mezzi di comunicazione di massa nella rappresentazione virtuale dei prodotti.

10. Errore (vizio e ostativo; errore materiale). – L’errore può insorgere sia nella
formazione della volontà negoziale che nella dichiarazione della stessa: nella prima ipo-
tesi opera quale errore vizio della volontà negoziale, perciò detto “errore vizio” o “errore
motivo” della volontà; nella seconda ipotesi opera quale anomalia della dichiarazione,
perciò indicato quale “errore ostativo”.
a) Errore vizio (o motivo). È l’errore vero e proprio, quale vizio della volontà, consi-
stente in una falsa rappresentazione della realtà (materiale o giuridica) rilevante nella for-
mazione del consenso. La falsa conoscenza della realtà è imputabile allo stesso autore della
dichiarazione che autonomamente e spontaneamente si rappresenta una situazione
diversa dalla realtà. L’errore di conoscenza influenza ed orienta la libertà di scelta, tradu-
cendosi in un vizio della volontà: il consenso è dato per errore (art. 1427). L’errore vizio
può essere di fatto o di diritto.
L’errore di fatto cade su una circostanza di fatto la cui falsa rappresentazione inci-
de nella determinazione dell’assetto di interessi. Ad es., in una galleria di quadri, un visi-
tatore acquista un determinato quadro ad un prezzo elevato per averlo erroneamente at-
tribuito ad un pittore di una prestigiosa scuola, mentre si rivela in seguito solo una cro-
sta; oppure un soggetto acquista un bene ad un determinato prezzo credendolo d’oro,
invece si scopre in seguito che è solo ricoperto di oro. Ma si pensi anche ai molti errori
in cui può cadere un soggetto nella visione di alcune raffigurazioni pubblicitarie.
L’errore di diritto cade sulla esistenza o interpretazione di una norma giuridica
che regola fatti o rapporti la cui rappresentazione incide sul regolamento di interessi. Bi-
sogna, però, circoscrivere la rilevanza dell’errore di diritto rispetto al principio della ob-
bligatorietà della legge (artt. 10 ss. disp. prel.). Nessuno può accampare la ignoranza di
una norma giuridica per sottrarsi all’osservanza della stessa. L’ignoranza della norma,
non esclude l’applicazione della norma; ricorrendo i presupposti dell’errore, può solo
servire a conseguire l’annullamento del contratto, osservandosi dunque la norma.
Non dà luogo ad annullamento, ma solo a rettifica, l’errore di calcolo; tranne che
questo, concretandosi in errore sulla quantità, sia stato determinante del consenso (art.
CAP. 2 – CONCLUSIONE 909

1430). L’errore di calcolo è un errore di conteggio quando siano certi i parametri di rife-
rimento: se dunque l’errore attiene alla individuazione dei parametri di riferimento, si è
in presenza di errore essenziale 12. Analogamente, se si provi che l’errore di calcolo ha
influito notevolmente sulla quantità programmata dell’oggetto della prestazione sì da de-
terminare il consenso, è suscettibile di rilevare come errore essenziale e di conseguenza
come causa di annullamento del contratto.
Neppure ha rilevanza giuridica l’errore sui motivi che inducono la parte al con-
tratto: inerendo i motivi alla sfera personale ed intima del soggetto errante, l’errore sugli
stessi non si considera incidere significativamente sull’assetto di interessi attuato o sulla
scelta della controparte. Analogamente non è accordata rilevanza alla errata valutazione
economica compiuta, riguardando tale profilo la convenienza economica dell’affare e
perciò rientrante, appunto, tra i motivi personali che possono indurre al contratto 13,
tranne che non ricorrano i presupposti della rescissione (VIII, 9.11). In ogni caso, per
svolgersi i motivi all’interno del soggetto caduto in errore, non sono riconoscibili dal de-
stinatario della dichiarazione. Diversamente per la donazione: per lo spirito di liberalità
che la connota, è prevista la rilevanza dell’errore sui motivi, coscritta al caso in cui il mo-
tivo (di fatto o di diritto) risulti dall’atto e sia il solo che abbia determinato il donante a
compiere la liberalità (art. 787) (XIII, 1.3); analoga previsione per il testamento, per la
rilevanza accordata alla volontà del disponente (art. 624) (XII, 2.5).
b) Errore ostativo. L’errore ostativo incide sulla manifestazione della volontà negozia-
le, che si è correttamente formata priva di vizi e però è stata espressa o trasmessa in mo-
do erroneo in modo da non rispecchiare la vera volontà negoziale, per contenere riferi-
menti errati (es. si scrive 100 invece di 1000; si scrive Tizio invece di Caio). L’errore può
cadere sulla dichiarazione oppure sulla sua trasmissione quando è inesattamente trasmes-
sa dal dichiarante o dall’ufficio che ne era stato incaricato (es. errata trasmissione di una
posta elettronica o di un testo telegrafico tramite ufficio postale). La dichiarazione non
corrisponde alla volontà negoziale, che manca, per cui l’esito logico dovrebbe essere la
nullità del contratto per assenza di un elemento essenziale del contratto. In tal senso era
considerato sotto il codice civile abrogato proprio in quanto ostativo alla volontà nego-
ziale e quindi alla formazione del negozio.
Una valutazione della rilevanza sociale del fenomeno ha fatto però considerare che il

12
Si ha errore di calcolo quando, in operazioni aritmetiche, posti come chiari e sicuri i termini da compu-
tare ed il criterio matematico da seguire, si commette per inesperienza o disattenzione un errore materiale di
calcolo che si ripercuote sul risultato finale, rilevabile tuttavia ictu oculi in base a quegli stessi dati e criteri, a
seguito della ripetizione corretta del calcolo (Cass. 18-2-2016, n. 3178; Cass. 20-3-1995, n. 3228). Non è tale
l’errore che attiene alla individuazione di uno dei termini da computare, quale è la cifra iniziale dalla quale
detrarre l’importo risarcitorio (Cass. 3-3-2022, n. 7066). La regola dell’art. 1430 ha rilevanti connessioni con
la disciplina della “vendita a misura” di immobili (art. 1537).
13
L’errore sulla valutazione economica del bene oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore
di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento, in quanto non incide sull’identità o qualità della
cosa, ma attiene alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un certo accordo e
al rischio che il contraente si assume, nell’ambito dell’autonomia contrattuale, per effetto delle proprie perso-
nali valutazioni sull’utilità economica dell’affare (Cass. 12-11-2018, n. 29010; Cass. 3-9-2013, n. 20148). Di-
versamente quando la fallace rappresentazione economica non sia dipesa da un errore su una qualità essenzia-
le della cosa, accordando l’ordinamento per siffatti casi, ove ricorrano le altre particolari condizioni, lo speci-
fico e diverso rimedio della rescissione (Cass. 27-11-2012, n. 21094. V. anche Cass. 3-4-2003, n. 5139; Cass.,
sez. un., 1-7-1997, n. 5900).
910 PARTE VIII – CONTRATTO

destinatario non è in grado di cogliere se ricorra un errore vizio oppure un errore ostati-
vo della volontà negoziale. Una generale esigenza di tutela dell’affidamento ha accomu-
nato le due ipotesi come cause di annullabilità. Per l’art. 1433 le disposizioni relative al-
l’errore vizio si applicano anche all’errore ostativo: perciò anche l’errore ostativo è rile-
vante come causa di annullamento del contratto solo se è essenziale e riconoscibile, se-
condo le indicazioni degli artt. 1429 e 1431; inoltre anche con riguardo all’errore ostati-
vo opera il principio del mantenimento del contratto rettificato (art. 1432) 14.
c) Presupposti di rilevanza. L’errore (sia di fatto che di diritto) è rilevante come causa
di annullamento del contratto quando è essenziale e riconoscibile dall’altro contraente (art.
1428) 15. Regole particolari operano con riguardo alla annullabilità della transazione (artt.
1971 ss.) (IX, 6.1) 16.
L’errore è essenziale quando cade su specifiche circostanze indicate dalla legge. L’art.
1429 prevede un’elencazione di circostanze di errore giuridicamente rilevanti, di cui è
discussa la tassatività: le norme sono suscettibili di applicazione estensiva e analogica 17.
Rispetto ad alcune circostanze, l’errore è considerato senz’altro essenziale e quindi rile-
vante giuridicamente; con riguardo ad altre circostanze, l’errore è considerato essenziale
solo quando è determinante del consenso; con la conseguenza che, nella prima ipotesi, è
sufficiente per l’errante provare la fattispecie dell’errore, da cui si inferisce la essenziali-
tà; nella seconda ipotesi, c’è la necessità della prova anche del carattere concretamente
determinante del consenso.
Per l’art. 1429 l’errore è essenziale in relazione alle seguenti circostanze.
1) Quando cade sulla natura o sull’oggetto del contratto (art. 1429, n. 1). L’errore è
qualificato senz’altro come essenziale e quindi rilevante giuridicamente. L’errore sulla
natura del contratto ha riguardo alla causa del contratto: ad es. è stipulato un contratto
credendolo di comodato invece è di locazione. L’errore sull’oggetto del contratto ha ri-
guardo alla rappresentazione della prestazione dovuta: ad es., stipulando la somministra-

14
È stata ampliata l’applicabilità anche di altre norme riferite all’annullabilità, precisamente l’art. 1441
(“Legittimazione”) e l’art. 1442 (“Prescrizione”) (Cons. Stato 14-2-2012, n. 726).
15
L’invalidità è subordinata, prima ancora che alla essenzialità e riconoscibilità dell’errore, alla circostan-
za (della cui prova è onerata la parte che deduce il vizio del consenso) che la volontà sia stata manifestata in
presenza di una falsa rappresentazione della realtà (Cass. 1-10-2009, n. 21074; Cass. 24-8-2004, n. 16679). Il
lodo arbitrale irrituale, come la perizia contrattuale, essendo volto a integrare una manifestazione di volontà
negoziale con funzione sostitutiva di quella delle parti in conflitto, e per esse vincolante, è impugnabile sol-
tanto per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale; l’errore del giudizio arbitrale,
per essere rilevante, secondo la previsione dell’art. 1428, deve essere essenziale e riconoscibile – artt. 1429 e
1431 – e cioè devono essere gli arbitri incorsi in una falsa rappresentazione o alterata percezione degli ele-
menti di fatto, determinata dall’aver ritenuto esistenti fatti che certamente non lo sono e viceversa, ovvero
contestati fatti che tali non sono, analogamente all’errore revocatorio contemplato, per i provvedimenti giuri-
sdizionali, dall’art. 395, n. 4, c.p.c. (Cass. 11-6-2019, n. 15665).
16
Fuori delle ipotesi previste negli artt. 1971 e 1975 (transazione su pretesa temeraria o su titolo nullo),
non è causa di annullamento della transazione la circostanza che la situazione di fatto, origine delle pretese
contrapposte, fosse diversa da quella ritenuta da una delle parti transigenti, e tale che se questa ne avesse avu-
to esatta conoscenza non avrebbe concluso l’accordo transattivo (Cass. 14-1-2005, n. 690).
17
Per la Relaz. cod. civ., n. 652, il requisito dell’essenzialità dell’errore viene determinato dal nuovo codice
con riguardo a criteri obiettivi in armonia alla tutela all’affidamento: altri casi di essenzialità possono essere
rilevati dall’interprete in relazione a singole ipotesi di fatto, quando queste abbiano le medesime caratteristi-
che delle ipotesi previste dalla legge, per guisa che possano elevarsi fino all’importanza giuridica di queste.
CAP. 2 – CONCLUSIONE 911

zione di un servizio, si immagina di conseguire una prestazione personalizzata, che inve-


ce è standardizzata 18.
2) Quando cade sulla identità dell’oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità
dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve
ritenersi determinante del consenso (art. 1429, n. 2). L’errore è senz’altro essenziale e
quindi rilevante giuridicamente se cade sull’identità dell’oggetto: si pensi all’acquisto di
un fondo che risulta essere contiguo a quello immaginato. Quando invece cade su una
qualità dell’oggetto della prestazione, è necessario verificare in concreto se, secondo il
comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del
consenso (art. 1429, n. 2). Si pensi all’acquisto di un bene credendolo d’oro, invece è so-
lo ricoperto di oro. La giurisprudenza configura quale errore sulla qualità anche l’errore
che cade sulla destinazione giuridica del bene, ad es. si immagina di acquistare un suolo
edificatorio, che invece si rivela un terreno agricolo 19. Come si vedrà, non rileva l’errore
sul valore del bene, per riguardare i motivi; come non rileva l’errore sulla consistenza pa-
trimoniale della società nella vendita di partecipazioni sociali 20.
3) Quando cade sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente, sempre
che l’una o le altre siano state determinanti del consenso (art. 1429, n. 3). Ciò avviene
tipicamente per i contratti stipulati intuitu personae (si pensi ad es. al mandato).
4) Quando è un errore di diritto e questo sia stato la ragione unica o principale del
contratto (art. 1429, n. 4). L’errore può riguardare l’esistenza o la interpretazione di un
precetto giuridico 21. Però la transazione non può essere annullata per errore di diritto
relativo alle questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti (art. 1969).
L’errore deve essere anche riconoscibile dall’altro contraente. Per l’art. 1431 “l’errore
si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contrat-
to ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto
rilevarlo”. Vi in tale previsione una significativa applicazione del principio dell’affida-

18
La parte che deduce di essere incorsa in un errore di fatto sulla natura di un contratto e ne chiede l’an-
nullamento deve indicare quale altro contratto intendeva concludere, mentre per l’errore sull’oggetto deve di-
mostrare che l’errore cade sull’identità di esso; essa inoltre ha l’onere di dimostrare l’essenzialità dell’errore e
la sua riconoscibilità dalla controparte con l’uso dell’ordinaria diligenza (Cass. 8-6-2004, n. 10815).
19
L’errore sulla edificabilità del fondo compravenduto, anche se provocato dall’ignoranza della disci-
plina urbanistica, deve essere ricondotto all’errore sulle qualità dell’oggetto del contratto ex art. 1429, n. 2,
piuttosto che all’errore di diritto, perché la destinazione del fondo è attinente alle sue caratteristiche reali,
in senso funzionale, economico e sociale (Cass. 24-10-2013, n. 24132; Cass. 11-8-2011, n. 17216).
20
In materia di vendita di azioni, se il venditore non ha prestato garanzia circa la situazione patrimoniale
della società, il valore economico delle azioni non rientra tra le qualità di cui all’art. 1429, n. 2, trattandosi di
un mero errore di valutazione da parte dell’acquirente; le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore
dei beni ricompresi nel patrimonio sociale – e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione –
possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 c.c., la risoluzione per
difetto di “qualità” della cosa venduta solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie
contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione pa-
trimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in
concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza (Cass. 19-7-2007, n. 16031).
21
L’annullabilità del contratto per errore di diritto ricorre quando il consenso di una parte sia determina-
to da falsa rappresentazione circa l’esistenza, l’applicabilità o la portata di una norma giuridica, imperativa o
dispositiva, e tale vizio sia rilevabile dall’altro contraente con l’uso della normale diligenza (Cass. 1-3-1995, n.
2340. V. anche Cass. 19-8-1996, n. 7629).
912 PARTE VIII – CONTRATTO

mento (buona fede soggettiva) accolto dal codice civile del 1942 (II, 7.2). Con tale codice
l’attenzione dell’ordinamento si è spostata dalla salvaguardia della volontà dell’autore
della dichiarazione alla valorizzazione dell’affidamento del destinatario della dichiarazio-
ne: rilevante per l’annullamento del contratto non è più la scusabilità dell’errore da parte
del dichiarante (secondo il principio di responsabilità, proprio del cod. civ. del 1865) ma
la riconoscibilità dell’errore da parte del destinatario della dichiarazione (secondo il cri-
terio dell’affidamento).
La riconoscibilità va verificata secondo un criterio oggettivo di esperienza generaliz-
zata, con riferimento al caso concreto. Bisogna in particolare verificare se un soggetto,
delle medesime qualità personali e professionali del destinatario della dichiarazione, nel-
le circostanze di fatto in cui il contratto è stato concluso e alla stregua del contenuto del
contratto adottato, era o meno oggettivamente in grado di riconoscere l’errore in cui è
caduto il dichiarante 22. Se l’errore risulta riconoscibile il contratto è annullabile; altri-
menti, pure in presenza dell’errore, il contratto rimane valido: l’interesse del dichiarante
(all’annullamento del contratto) è sacrificato rispetto al contrapposto interesse (alla vali-
dità del contratto) del destinatario della dichiarazione 23. Rileva invece comunque l’errore
comune, non prospettandosi un problema di tutela dell’affidamento 24.
In applicazione di un generale principio di conservazione del negozio, è consentito al
destinatario della dichiarazione evitare l’annullamento del contratto, anche quando l’er-
rore è riconoscibile, con il mantenimento del contratto rettificato. La parte in er-
rore non può domandare l’annullamento del contratto se, prima che ad essa possa deri-
varne pregiudizio, l’altra offre di eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modali-
tà del contratto che quella intendeva concludere (art. 1432) (VIII, 9.10).
d) Errore materiale. È figura delineata dalla giurisprudenza. È frutto di una voli-
zione, esattamente formatasi ma espressasi in modo palesemente distorto. Lo stesso,
perciò, non rileva giuridicamente come causa di annullamento ed è ricostruibile in via
interpretativa 25.

22
Alla riconoscibilità è legittimamente assimilabile, quoad effectum, la concreta ed effettiva conoscenza
dell’errore da parte dell’altro contraente, attesa la ratio dell’art. 1431 volta a tutelare il solo affidamento
incolpevole del destinatario della dichiarazione negoziale viziata nel processo formativo della sottostante de-
terminazione volitiva (Cass. 28-11-2019, n. 31078). In tema di dichiarazione dei redditi, nei casi in cui i dati
da inserire nella stessa sono espressione di volontà negoziale (come ad es. l’opzione per una scelta), l’errore è
emendabile e ritrattabile solo se il contribuente, secondo la disciplina generale degli artt. 1427 ss. c.c., estesa
dall’art. 1324 c.c. agli atti unilaterali in quanto compatibile, fornisce la prova della sua essenzialità e obiettiva
riconoscibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria (Cass. 4-3-2020, n. 6046; Cass. 17-10-2019, n. 26382).
23
La verifica si presenta delicata quando la controparte del soggetto errante si avvale di ausiliari per lo
svolgimento della propria attività. Per Cass. 28-5-2003, n. 8553, in virtù dell’art. 22101, in ipotesi di contratto
di fideiussione sottoscritto dal cliente di una banca su apposito modulo e dinanzi ad un impiegato dell’istituto
di credito, lo stato soggettivo ai fini della conoscibilità dell’errore, va verificato con riguardo all’impiegato che
tratta la pratica e non con riferimento al legale rappresentante della banca.
24
Nell’ipotesi di errore bilaterale, che ricorre quando sia comune alle parti, il contratto è annullabile a pre-
scindere dalla riconoscibilità, poiché in tal caso non è applicabile il principio dell’affidamento, avendo cia-
scuno dei contraenti dato causa all’invalidità del negozio (Cass. 15-12-2011, n. 26974).
25
Qualora il contenuto del contratto, come risulta materialmente redatto, non corrisponda, quanto alle
espressioni usate, alla comune e reale volontà delle parti, per erronea formulazione, redazione o trascrizione
di elementi di fatto ad esso afferenti, ancorché la discordanza non emerga prima facie dalle tavole negoziali,
non ricorre alcuna delle fattispecie dell’errore ostativo, vertendosi, viceversa, in tema di mero errore materiale,
ricostruibile con ogni mezzo di prova, al di là della forma di volta in volta richiesta per il contratto cui afferi-
CAP. 2 – CONCLUSIONE 913

11. Dolo (determinante e incidente; comunicazioni di massa). – Come l’errore,


anche il dolo influenza la conoscenza della realtà (materiale o giuridica) e dunque la li-
bertà di scelta, viziando la volontà negoziale. Il dato peculiare è che il dolo induce in er-
rore tramite l’inganno, cioè con l’impiego di raggiri ed artifici che una parte perpetra
a danno dell’altra per indurla a concludere il contratto: il consenso è carpito con dolo
(art. 1427). Non è sufficiente qualunque pressione di ordine psicologico, ma è necessaria
l’esistenza di mezzi fraudolenti che, avuto riguardo alla maturità della vittima e al conte-
sto di stipulazione, siano idonei a trarla in inganno, suscitando una falsa rappresentazio-
ne della realtà così da orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe sponta-
neamente indirizzata 26.
Riprendendo gli esempi innanzi fatti in tema di errore, il visitatore della galleria d’ar-
te acquista lo specifico quadro ad un prezzo elevato a seguito dei raggiri usati dal galleri-
sta, che lo induce in errore circa l’attribuzione del quadro ad un pittore di una prestigio-
sa scuola (ad es. producendo documenti non veritieri), mentre si scopre dopo che è solo
una crosta; oppure, relativamente alla vendita di un oggetto, il compratore lo acquista ad
una cifra elevata in ragione dei raggiri usati dal venditore che lo induce in errore circa la
consistenza in oro del bene, mentre si scopre dopo che è solo ricoperto di oro. In so-
stanza il soggetto è indotto in errore dall’autore del dolo, che quindi conosce l’errore
della controparte.
Il dolo può essere commissivo, cioè compiuto con atti fraudolenti, come artifici, rag-
giri, menzogne, ovvero omissivo cioè compiuto con omissioni fraudolente, come reticen-
za, silenzio di quanto risultava utile alla controparte conoscere nella stipula del contrat-
to: in ogni caso deve ingenerare nella controparte una rappresentazione alterata della
realtà, sì da essere determinante del consenso 27, avendosi riguardo ad un soggetto di
normale diligenza nel caso concreto 28. L’inganno raramente si consuma in un solo atto;
più spesso è perpetrato attraverso una catena concatenata di atti.
A differenza dell’errore, non sono previste specifiche fattispecie di dolo giuridicamente
rilevanti, ma si è soliti distinguere tra dolo determinante e dolo incidente.
Si ha dolo determinante (dolus causam dans) quando i raggiri usati da un contraente
(deceptor) sono stati tali che, senza di essi, l’altro contraente (deceptus) non avrebbe con-

sce, onde consentire al giudice del merito la formazione di un corretto convincimento circa la reale ed effetti-
va volontà dei contraenti, anche sulla scorta delle trattative e di tutto il materiale probatorio acquisito (Cass.
4-10-2018, n. 24208; Cass. 9-4-2008, n. 9243; Cass. 19-12-2003, n. 19558).
26
A produrre l’annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull’al-
tro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque
un’efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte (Cass. 4-11-2021, n. 31731; Cass. 24-9-2021,
n. 25968; Cass. 27-2-2019, n. 5734).
27
Il dolo omissivo può ravvisarsi solo quando l’inerzia della parte s’inserisca in un complesso comporta-
mento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito, determinando l’er-
rore del deceptus; pertanto, il semplice silenzio e la reticenza, limitandosi a non contrastare la percezione della
realtà alla quale sia pervenuto l’altro contraente, non costituisce di per sé causa invalidante del contratto (Cass.
30-6-2021, n. 18496; Cass. 8-5-2018, n. 11009; Cass. 2-2-2012, n. 1480).
28
Sia nella ipotesi di dolo commissivo che in quella di dolo omissivo, gli artifici o i raggiri, la reticenza
o il silenzio devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto ed alle qualità e con-
dizioni soggettive dell’altra parte, onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza,
giacché l’affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza (Cass. 20-1-2017, n. 1585).
914 PARTE VIII – CONTRATTO

trattato (art. 14391). È questo il dolo vero e proprio, detto appunto determinante della
conclusione del contratto o dolo decettivo, nel senso di svolgere un’efficienza causale sul-
la determinazione volitiva della controparte, conoscendosi l’errore della controparte 29. I
raggiri devono risultare oggettivamente idonei ad indurre in errore un soggetto con le
medesime qualità personali e professionali e nelle stesse circostanze in cui è stipulato il
contratto 30.
Quando artifici e raggiri sono stati usati d a un terzo, il contratto è annullabile solo
se gli stessi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 14392). L’interesse
del soggetto vittima del dolo rimane cioè sacrificato rispetto all’interesse della contropar-
te che non era a conoscenza del dolo perpetrato dal terzo: è apprestata una tutela privi-
legiata all’affidamento della controparte (in applicazione del principio generale di prote-
zione dell’affidamento incolpevole).
In ragione dell’induzione all’errore con l’inganno, si giustifica l’articolato trattamento
dell’ordinamento: vi è reazione sull’atto, con annullabilità del contratto; a tale reazione si
aggiunge la responsabilità dell’autore del dolo per la condotta illecita avuta, lesiva della
libertà negoziale altrui. Perciò, all’annullamento del contratto (che è la tipica reazione
dell’ordinamento sull’atto), si somma l’obbligo di risarcimento dei danni a carico dell’au-
tore del dolo (che è la tipica sanzione dell’ordinamento contro il soggetto per l’attività
illecita compiuta) 31.
Il dolo può anche avere rilevanza penale, atteggiandosi quale truffa contrattuale ,
integrante il reato di truffa ex art. 640 c.p., quando, con artifizi o raggiri, si induce taluno
in errore, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno 32.

29
Il dolo che vizia la volontà ed è causa l’annullamento del contratto implica necessariamente la cono-
scenza da parte dell’agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima e il convincimento che
sia possibile determinare con artifici, menzogne e raggiri la volontà altrui, inducendola specificamente in in-
ganno (Cass. 24-5-2018, n. 13034).
30
In virtù del principio fraus omnia corrumpit il dolo decettivo conduce all’annullamento del contratto
(come pure del negozio unilaterale) qualunque sia l’elemento sul quale il deceptus sia stato ingannato e,
dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto, ivi compreso quello sul valore o sulle qua-
lità del bene oggetto del negozio (Cass. 25-10-2019, n. 27406; Cass. 4065/2014). Il dolo deve essere ordito
attraverso un’alterazione della realtà esterna, simulatrice dell’inesistente o dissimulatrice dell’esistente (ar-
tificio) o con una menzogna corredata da ragionamenti idonei a farla scambiare per realtà (raggiro); il
mendacio rileva come dolo in ragione delle circostanze del fatto e del risultato conseguito. il dolo decetti-
vo conduce all’annullamento del contratto (come pure del negozio unilaterale) qualunque sia l’elemento
sul quale il deceptus sia stato ingannato e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto,
ivi compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto del negozio (Cass. 20-2-2014, n. 4065). Sia
nella ipotesi di dolo commissivo che in quella di dolo omissivo, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silen-
zio devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni sogget-
tive dell’altra parte, onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, non
richiedendosi che l’errore poteva essere evitato solo con l’ausilio di competenze e tecniche straordinarie
(Cass. 27-10-2004, n. 20792).
31
Il contraente il cui consenso risulti viziato da dolo, “può richiedere il risarcimento del danno conseguen-
te all’illecito della controparte, lesivo della libertà negoziale, sulla base dell’art. 2043 c.c., anche senza propor-
re domanda di annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1439” (Cass. 19-9-2006, n. 20260).
32
Il contratto stipulato a seguito di truffa non è nullo ex art. 1418 c.c., ma annullabile ex art. 1439 c.c., dal
momento che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente diverso da quello che vizia il con-
senso negoziale (Cass. 20-8-2018, n. 20801; Cass. 22-6-2018, n. 16559). Gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussi-
stenza del reato di truffa possono consistere anche nel semplice silenzio maliziosamente serbato, su circostanze
fondamentali ai fini della conclusione di un contratto, da chi abbia l’obbligo, anche in forza di una norma
CAP. 2 – CONCLUSIONE 915

Si ha dolo incidente (dolus incidens) quando il dolo non è determinante della conclu-
sione del contratto, che si sarebbe egualmente avuta, ma incide sul contenuto, che si sa-
rebbe pattuito diversamente. Per l’art. 1440, se i raggiri non sono stati tali da determina-
re il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condi-
zioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni. È evidentemente un’in-
dagine da compiere in concreto e con riguardo alle circostanze dello specifico assetto di
interessi, stabilire se il dolo abbia indotto alla conclusione del contratto o abbia solo in-
fluito su alcune determinazioni del contenuto contrattuale.
In ipotesi di dolo incidente, non c’è reazione dell’ordinamento sull’atto ma solo reazio-
ne contro il soggetto che ha agito con dolo: il contratto rimane valido, ma l’autore del dolo
risponde per comportamento illecito lesivo della libertà negoziale della controparte, con
comminatoria dell’obbligo di risarcimento del danno 33. Anche il dolo incidente, come il
dolo determinante, può essere perpetrato con un comportamento commissivo o omissivo.
Anche quando non ricorre il dolo omissivo c’è comunque da verificare se la parte abbia
assolto l’obbligo di buona fede che impone di salvaguardare l’interesse altrui (nei limiti di
un apprezzabile sacrificio proprio), la cui violazione è fonte di responsabilità (II, 7.4).
Tradizionalmente si è anche posta la distinzione tra dolus malus (determinante o
incidente), che è il dolo giuridicamente rilevante in quanto considerato socialmente ripro-
vevole, sempre vietato, e dolus bonus, che è la comune esaltazione della propria merce,
generalmente consentito se facilmente avvertibile.
3) Crescente rilevanza di dolo è nelle comunicazioni di massa. La progressiva spersona-
lizzazione dei rapporti sociali ed economici sta fortemente dilatando l’area del dolo. L’as-
senza di dialogo tra le parti favorisce l’inganno, non essendo il perseguimento dell’interesse
individuale mitigato dalla moralità o dalla emotività del rapporto interpersonale: solo la
correttezza dell’informazione assicura la effettività del consenso 34. Si pensi alle tante pub-
blicità accattivanti di soggiorni di vacanza in alberghi “confortevoli” o a “pochi passi” da
determinati luoghi, enfatizzati con pagine patinate di cataloghi o con sontuosa scenografia
in vetrine virtuali di siti web: solo successivamente si scopre che le fotografie e le scene
erano meri fotomontaggi (con distanza notevole dell’albergo dal centro storico ovvero dai
campi da sci o dal mare) e che i servizi reclamizzati erano inesistenti o riguardavano

extra penale, di farle conoscere in quanto il comportamento dell’agente in tal caso non può ritenersi mera-
mente passivo, ma artificiosamente preordinato a perpetrare l’inganno e a non consentire alla persona offesa
di autodeterminarsi liberamente (Cass. pen. 9-5-2018, n. 23079; Cass. pen. 12-9-2018, n. 44228). Quando si
procede per truffa, la titolarità del diritto di querela spetta sia al soggetto raggirato e materialmente defrauda-
to del bene alla cui apprensione era diretta la condotta illecita, sia al soggetto che ha patito il danno patrimo-
niale, ovvero a colui che vanta il diritto di proprietà sul bene appreso illecitamente, essendo possibile la coesi-
stenza di più soggetti passivi di un medesimo reato (Cass. pen. 18-7-2018, n. 41785).
33
In ipotesi di dolo incidente, proprio in quanto la vittima del dolo agisce per conseguire il risarcimento
del danno, si ritiene che la domanda risarcitoria non supponga la proposizione della domanda di annullamen-
to del contratto, in quanto la domanda risarcitoria ha come presupposto che i raggiri non abbiano avuto ca-
rattere determinante del consenso e che, pertanto, il contratto resti valido (Cass. 8-9-1999, n. 9523). Sono
evidenti le connessioni di tale previsione con la generale regola della responsabilità precontrattuale per viola-
zione del principio di buona fede (art. 1337) (di cui in seguito).
34
L’intreccio tra tutela civile e tutela penale è particolarmente avvertito nella collocazione dei prodotti
presso i consumatori, sanzionando il codice penale la frode nell’esercizio del commercio (art. 515 c.p.), la
vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (art. 516 c.p.), la vendita di prodotti industriali con
segni mendaci (art. 517 c.p.).
916 PARTE VIII – CONTRATTO

un’unica camera dell’albergo … non disponibile. Si pensi anche alle molte televendite, do-
ve la prospettiva della ripresa televisiva distorce la raffigurazione dell’oggetto venduto.
Con riguardo agli investimenti finanziari, si pensi alle artate comunicazioni di salute
delle società attraverso falsificazioni di bilancio per accrescere il valore delle azioni col-
locate sul mercato: essendo il valore delle azioni per relazione rispetto a quello della so-
cietà, le ingannevoli crescite di utili si traducono in raggiri nella cessione delle azioni.
Analogo meccanismo è spesso utilizzato per accedere a finanziamenti. Si pensi anche a
strumentali gonfiamenti di utili al fine di far lievitare il valore dell’azienda in vista di ces-
sione della stessa o di un ramo di azienda.
A contrastare tali evenienze sta emergendo una nutrita legislazione a tutela della tra-
sparenza del mercato che si muove in più direzioni: la repressione di fuorvianti comuni-
cazioni di massa, di cui fondamentale è la normativa sulla pubblicità ingannevole e com-
parativa, la disciplina sugli obblighi di informazione, la tutela specifica dei consumatori
in molti settori del commercio, al fine di consentire la conoscenza della composizione e
della c.d. “tracciabilità” dei prodotti 35. Altri presidi stanno svolgendosi a favore degli
investitori in strumenti finanziari 36. Sono forme di inganno che, oltre a comportare le
sanzioni prescritte dalle normative specifiche, rilevano anche alla stregua delle previsioni
del codice civile.
È una nuova frontiera del dolo: pensato come vizio della volontà per contratti indivi-
duali, si presta ad operare come formidabile criterio di tutela di massa nei contratti seria-
li con predisposizione unilaterale. Anche la verifica della incidenza del dolo nella collo-
cazione dei prodotti va condotta con riguardo ad un contraente medio in un contratto di
adesione, con asimmetria di conoscenze e di potere contrattuale, spesso pressato dal bi-
sogno e/o indotto dalla pubblicità.

12. Violenza morale (e timore reverenziale). – Si è detto della violenza fisica o as-
soluta, che forzatamente coarta la manifestazione di una volontà negoziale inesistente
(VIII, 2.7). Viene qui in esame la violenza morale, la quale è una violenza psichica (vis
compulsiva) che incide sulla libertà di decisione, impedendo alla volontà negoziale di li-
beramente determinarsi.
L’essenza della violenza morale è nella minaccia di un male ingiusto e notevole in
grado di estorcere il consenso. Più specificamente, a seguito della minaccia, al soggetto
violentato si prospettano due fondamentali possibilità: subire il male minacciato e non
concludere il contratto; evitare il male minacciato e concludere il contratto. In quest’ul-
tima ipotesi il soggetto si decide alla stipula del contratto proprio perché violentato: il

35
L’art. 22, lett. c, cod. cons. annovera, tra i “diritti del consumatore”, quello ad una adeguata informazio-
ne e ad una corretta pubblicità. Generali tutele in tale direzione sono contenute nel medesimo codice nella
Parte II “Educazione, informazione, pratiche commerciali, pubblicità”, come sostituita dal D.Lgs. 23.10.2007, n.
221, con particolare riguardo al divieto delle pratiche commerciali scorrette e delle pratiche commerciali in-
gannevoli (art. 20 ss.). Specifiche tutele provengono da altri testi normativi: es. D.Lgs. 27.1.1992, n. 109, che
reca attuazione delle direttive CEE 395/89 e 396/89, concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubbli-
cità dei prodotti alimentari; D.Lgs. 25.1.1992, n. 73, che reca attuazione della direttiva 357/87/CEE, relativa
ai prodotti che, avendo un aspetto diverso da quello che sono in realtà, compromettono la salute o la sicurez-
za dei consumatori.
36
Fondamentale la disciplina sulla “informazione societaria” (artt. 113 ss. D.Lgs. 24.2.1998, n. 58, TUF).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 917

consenso è estorto con violenza (art. 1427). La minaccia può essere esercitata in modo
esplicito (manifesto e diretto) o anche in modo implicito (mediante un comportamento
intimidatorio orientato ad uno scopo), e può provenire sia dalla controparte che da un
terzo (art. 1434).
La violenza deve assumere efficienza causale concreta nella determinazione del con-
senso 37. Per l’art. 1435 la violenza deve essere di tal natura da far impressione sopra
una persona sensata, sì da fare temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e
notevole, avendosi riguardo all’età, al sesso e alla condizione delle persone. La valuta-
zione va compiuta secondo il comune criterio oggettivo di esperienza generalizzata,
con riferimento al caso concreto. Come per il dolo (e a differenza dell’errore) non so-
no indicate le ipotesi di violenza rilevanti giuridicamente, ma sono indicati i caratteri
rilevanti della violenza, che deve essere determinante del consenso, nel senso che una
persona, con le medesime qualità e condizioni personali del soggetto minacciato e nelle
medesime circostanze, avrebbe prestato il consenso pur di evitare il male minacciato.
Quanto ai requisiti del male minacciato, deve trattarsi di un male ingiusto e notevole.
Il male deve essere ingiusto, sia per il mezzo adoperato che il vantaggio (cioè il fine)
perseguito: più agevole è la prima verifica, più complessa si rivela la seconda. L’ingiu-
stizia del mezzo è rilevabile immediatamente dal tipo di comportamento minacciato: ad
es. la minaccia di gambizzazione è senz’altro causa di annullamento del contratto perché
impiega un mezzo illecito, per lesione alla integrità fisica. Per verificare invece la ingiustizia
del vantaggio bisogna accertare il fine perseguito mediante il comportamento minacciato.
È il fenomeno della c.d. minaccia di far valere un diritto. C’è da chiarire che ogni sog-
getto ha diritto di far valere giudiziariamente le proprie ragioni: ad es. un creditore che
non consegue il pagamento dovutogli ha diritto di minacciare la espropriazione dei beni
del debitore (art. 2740). La minaccia di far valere un diritto è causa di annullamento del
contratto quando, attraverso la minaccia di esercizio di un diritto, si vuole conseguire un
vantaggio ingiusto (art. 1438): nell’esempio fatto, il creditore, minacciando l’espropria-
zione dei beni, tende ad acquistare dal debitore un bene a prezzo irrisorio 38.
Inoltre il male deve essere notevole, nel senso di prospettare al soggetto minacciato
un grave danno ai beni o alla persona. Nella prima direzione, il male inerisce al patrimo-
nio (ad es. minaccia di incendio di un capannone se non si stipula un determinato con-
tratto); nella seconda direzione il male può inerire alla vita fisica (es. minaccia di gambiz-
zazione) o alla onorabilità della persona (es. minaccia ad un uomo politico o di spettaco-

37
I requisiti previsti dall’art. 1435 c.c. possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti
in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamen-
te ingiusto, anche ad opera di un terzo; è in ogni caso necessario che la minaccia sia stata specificamente di-
retta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l’annullabilità e risulti di natura tale da in-
cidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell’autore di essa (Cass. 10-8-2017,
n. 19974). Non costituisce minaccia invalidante il negozio la mera rappresentazione interna di un pericolo, an-
corché collegata a determinate circostanze oggettivamente esistenti (Cass. 12-3-2010, n. 6044; Cass. 28-5-2007, n.
12484; Cass. 22-7-2004, n. 13644).
38
La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, quando il fine perseguito
consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attra-
verso l’esercizio del diritto medesimo, sia anche esorbitante ed iniquo rispetto all’oggetto di quest’ultimo e
non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordi-
namento (Cass. 15-2-2017, n. 4006).
918 PARTE VIII – CONTRATTO

lo di una campagna denigratoria per indurlo a stipulare un determinato contratto). La


violenza è causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguar-
da la persona o i beni del coniuge del contraente o di un discendente o ascendente di lui;
se il male minacciato riguarda altre persone, l’annullamento del contratto è rimesso alla
prudente valutazione delle circostanze da parte del giudice (art. 1436).
Come si è anticipato, la violenza è sempre causa di annullamento del contratto, anche
se esercitata da un terzo (art. 1434): ciò a differenza del dolo, rispetto al quale il con-
tratto è annullabile solo se i raggiri usati dal terzo erano noti alla controparte (art. 14392). Il
differente trattamento delle due situazioni si giustifica per il disfavore dell’ordinamento
verso la violenza: rispetto alla violenta lesione della libertà di un contraente non opera la
tutela dell’affidamento dell’altro. Perciò il contratto stipulato con estorsione del consen-
so è sempre annullabile, anche se l’altro contraente ne fosse ignaro.
Come per il dolo, anche con riguardo alla violenza morale, la reazione dell’ordinamen-
to, oltre che sull’atto, è contro l’autore della condotta illecita. Perciò, anche ora, all’an-
nullamento del contratto (che è la tipica reazione dell’ordinamento sull’atto), si somma la
responsabilità civile a carico dell’autore della violenza (che è la tipica sanzione dell’ordi-
namento contro il soggetto per l’attività illecita compiuta) con comminatoria dell’obbligo
di risarcimento del danno subito dal soggetto minacciato.
Al pari del dolo, anche la violenza morale può avere rilevanza penale: può integrare il
reato di estorsione ex art. 629 c.p., che punisce chiunque, mediante violenza o minaccia,
costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto
profitto con altrui danno.
Non è causa di annullamento del contratto il c.d. timore reverenziale (art. 1437). È
questo uno stato d’animo che, pur incidendo sulla formazione della volontà negoziale, si
genera e sviluppa all’interno del soggetto. Nella violenza morale, c’è una pressione psico-
logica proveniente dall’esterno; viceversa, nel timore reverenziale, la pressione psicologi-
ca si genera all’interno del soggetto, per rispetto o servilismo verso l’altra parte. Il timore
reverenziale si differenzia anche dalla incapacità di intendere e di volere (art. 428), in
quanto in questa non opera alcun tipo di pressione psicologica (né interna, né esterna),
ricorrendo solo una inidoneità psico-fisica. Esistono delicate zone di confine tra le tre
figure, nelle quali le cesure sono molto labili. Al fondo della irrilevanza del timore reve-
renziale gioca l’esigenza di certezza del traffico giuridico: non essendosi impiegati raggiri
o minacce, è tutelato l’affidamento sulla validità del contratto concluso 39.

C) MODI DI CONCLUSIONE DEL CONTRATTO


13. Scambio di proposta e accettazione. La proposta irrevocabile. – Tecnica ge-
nerale di conclusione del contratto è lo scambio di proposta e accettazione. Le stesse non
sono autonomi negozi ma dichiarazioni unilaterali di volontà (c.d. atti prenegoziali) rivol-
te alla formazione di un accordo; sono orientate alla realizzazione di un intento comune
su un assetto di interessi, che esprime la unitaria volontà negoziale.

39
Ciò spiega perché nel matrimonio, che involge la dimensione esistenziale dei soggetti, il timore assume rile-
vanza giuridica, potendo il matrimonio essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato estorto con
violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo (art. 122).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 919

Gli autori di tali atti prenegoziali devono essere capaci e sostenuti da una volontà ri-
volta al compimento di un atto di autonomia privata. Per il carattere strumentale che le
connota, proposta e accettazione sono tendenzialmente revocabili fino alla formazione
del vincolo contrattuale.
Se l’accordo corre tra soggetti presenti, la verifica della conclusione del contratto è
più agevole in quanto il consenso è contestuale e contemporaneo: proposta ed accetta-
zione, quand’anche idealmente distinte, si combinano e confondono nell’unità di tempo
e di spazio, sovrapponendosi l’una all’altra. Il modo più diffuso di conclusione del con-
tratto è proprio quello della sottoscrizione di dichiarazione congiunta delle parti.
Più complessa è la verifica della conclusione del contratto tra soggetti lontani. Assu-
mono ora rilevanza fondamentale le caratteristiche delle dichiarazioni che le parti si scam-
biano, derivando dall’incontro delle stesse la conclusione del contratto 40. In particolare
proposta ed accettazione, come la relativa revoca, sono atti unilaterali recettizi, nel senso
che producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza dei destinatari (art.
1334), con il temperamento della presunzione di conoscenza ex art. 1335 (di cui appresso).
Il codice civile regola la scansione di proposta ed accettazione in un percorso proce-
dimentale che si svolge nel tempo. In un’epoca in cui le dichiarazioni si compivano e si
scambiavano con mezzi cartacei affidati al servizio postale, che vi provvedeva attraverso
servizi di trasporto e recapito, era utile regolare la sorte delle dichiarazioni lungo il tem-
po dell’arrivo a destino, come era anche utile consentire alle parti di revocarle quando
fosse venuto meno l’interesse all’affare nel tempo occorrente all’incrocio delle dichiara-
zioni. Nell’attualità, in cui le comunicazioni, specie nei rapporti commerciali, sono preva-
lentemente affidate a mezzi telematici tramite internet, le dichiarazioni di proposta e accet-
tazione hanno assunto il carattere della immediatezza. Non c’è più il problema di gestione
del tempo dell’arrivo a destinazione delle dichiarazioni, ma resta il problema di determina-
zione dell’incontro delle volontà come momento di formazione dell’accordo e dunque del
contratto.
a) La proposta esprime la iniziativa del contratto: è la offerta di una parte all’altra par-
te di concludere un contratto relativamente ad un determinato assetto di interessi, sul
quale si richiede l’accettazione.
La proposta deve essere completa e impegnativa: deve cioè contenere i tratti essenziali
del contratto proposto ed esprimere un intento impegnativo di conclusione del contrat-
to 41. Ad es. nella vendita, oltre le parti, vanno indicati anzitutto il bene venduto il prezzo
dell’acquisto; è peraltro utile indicare anche le modalità e i tempi di pagamento, la data
di consegna ed eventuale presenza di caparra e relativo ammontare. Se la proposta è in-
completa in quanto manca un tratto essenziale del contratto (ad es. il proponente acqui-
rente di un bene si limita a comunicare l’intenzione di acquisto senza indicare a quale
prezzo) o comunque non integra un impegno vincolante, la dichiarazione si atteggia qua-
le invito ad offrire: in tal caso il destinatario, se intende concludere il contratto, deve

40
Per costante giurisprudenza la stipula per iscritto di contratti d’opera tra pubblica amministrazione e pro-
fessionisti non può avvenire a mezzo di scambio di corrispondenza, ma richiede la contestualità delle rispetti-
ve dichiarazioni di volontà delle parti (Cass. 2-8-2006, n. 17551).
41
Se la proposta esprime una disponibilità dell’autore senza la volontà di esporsi al vincolo contrattuale se
non dopo ulteriori passaggi valutativi, non dà al destinatario il potere di determinare con l’accettazione la
conclusione del contratto (Cass. 7-7-2009, n. 15964).
920 PARTE VIII – CONTRATTO

formulare una sua proposta (nell’esempio fatto, deve indicare la sua offerta a vendere il
bene ad un determinato prezzo). Sono frequenti inserzioni pubblicitarie su giornali o a
mezzo internet di vendita di immobili, auto, apparecchiature, ecc., che non indicano gli
estremi essenziali del contratto.
Il proponente può fissare un termine entro il quale il destinatario può far pervenire
l’accettazione; in mancanza, la determinazione del termine opera secondo la natura del-
l’affare o gli usi. Scaduto il termine indicato dal preponente o evinto dagli usi, il proponen-
te può comunque ritenere efficace l’accettazione tardiva, dandone avviso all’accettante.
La proposta semplice è revocabile fino a quando il contratto non è concluso; tuttavia,
se l’accettante ha intrapreso in buona fede l’esecuzione del contratto prima di avere avu-
to notizia della revoca, il proponente è tenuto ad indennizzarlo delle spese e delle perdi-
te subite per l’iniziata esecuzione del contratto (art. 13281) 42: in mancanza di avviso di
ritenere efficace l’accettazione tardiva, il proponente risponde per i danni subiti dall’ac-
cettante che in buona fede aveva dato esecuzione al contratto nella convinzione della
conclusione del contratto.
Una specifica funzione assume la proposta irrevocabile (anche detta proposta fer-
ma). Se il proponente si obbliga a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la
revoca è senza effetto (art. 13291). La tutela dell’affidamento del destinatario della pro-
posta irrevocabile prevale sul rispetto della persistenza della volontà del proponente 43.
La irrevocabilità esprime un impegno unilaterale del proponente, connesso alla proposta
anch’essa unilaterale.
La proposta ferma (o irrevocabile) è anche una proposta a termine, non consenten-
dosi nell’ordinamento un impegno perpetuo. Nel termine indicato il destinatario della
proposta irrevocabile ha il diritto (non l’obbligo) di concludere il contratto con l’accetta-
zione, senza che il proponente possa revocare la proposta; fino allo scadere del termine
di irrevocabilità, la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie effica-
cia alla proposta, salvo che la natura dell’affare o altre circostanze escludano tale effica-
cia (art. 13292). La eventuale revoca della proposta resta senza effetto, non impedendo il
perfezionamento del contratto in dipendenza dell’accettazione dell’altra parte.
Il termine di efficacia dell’accettazione della proposta semplice si distingue dal ter-
mine di efficacia della proposta irrevocabile. Il termine di efficacia dell’accettazione de-
rivante dalla proposta semplice (fissato dal proponente o evinto dagli usi) indica il lasso
di tempo entro il quale deve pervenire al proponente la dichiarazione di accettazione;
invece il termine di efficacia della proposta irrevocabile indica il lasso di tempo di non

42
Secondo un precedente orientamento, per il combinato disposto degli artt. 1326, 1328, 1334 e 1335
c.c., la revoca della proposta di contratto, quale atto unilaterale recettizio, non produce effetto quando sia per-
venuta all’accettante dopo la conclusione del contratto, ossia dopo l’arrivo all’indirizzo del proponente del-
l’accettazione della controparte (Cass. 16-5-2000, n. 6323). Si è successivamente affermato che la revoca si
perfeziona quando sia spedita all’indirizzo dell’accettante, prima che l’accettazione sia giunta a conoscenza del
proponente, mentre resta irrilevante che l’accettante ne abbia notizia in un momento successivo a quello in
cui l’accettazione sia giunta a conoscenza del preponente; l’affidamento dell’accettante resta tutelato dalla
previsione di un indennizzo a carico del proponente per le spese e le eventuali perdite subite dall’accettante
per l’iniziata esecuzione del contratto (Cass. 15-4-2016, n. 7543).
43
Il termine entro il quale il proponente si obbliga a mantenere ferma la proposta costituisce elemento essen-
ziale della proposta irrevocabile, ed è fissato dallo stesso proponente; in mancanza di determinazione, la proposta
va considerata pura e semplice, ed è revocabile finché il contratto non sia concluso (Cass. 2-10-2014, n. 20853).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 921

revocabilità della proposta e cioè di fermezza della proposta. La privazione degli effetti
di una eventuale revoca della proposta ha lo scopo di accordare al destinatario della
proposta un predeterminato e certo lasso di tempo per l’accettazione. Scaduto il termine
di fermezza della proposta, senza che sia pervenuta accettazione, la proposta torna ad
essere semplice e quindi revocabile 44.
Il termine di irrevocabilità (ex art. 1329) non deve necessariamente coincidere con il
termine di efficacia della proposta (ex art. 13262): con la previsione del termine di irre-
vocabilità (art. 1329) la proposta rimane irrevocabile fino alla scadenza di tale termine;
successivamente la proposta diviene revocabile, tranne che, per il tempo trascorso, non
debba considerarsi scaduto anche il termine di efficacia della proposta 45. È prassi peral-
tro fare coincidere il termine di impegno della proposta con quello di irrevocabilità. La
proposta di contratto da cui derivano obbligazioni a carico del solo proponente è per legge
irrevocabile appena giunge al destinatario, il quale può rifiutarla nel termine richiesto dalla
natura dell’affare o dagli usi: in mancanza il contratto è concluso (art. 1333) (VIII, 2.18).
È dibattuta la natura giuridica della proposta irrevocabile, quale autonomo negozio
unilaterale o come rinunzia alla revoca o come partecipe di un procedimento. La dichia-
razione di irrevocabilità ha una funzione rafforzativa della proposta semplice, senza sna-
turarne la natura di unitario atto unilaterale prenegoziale: trattasi di una proposta quali-
ficata per la sua non revocabilità entro un determinato termine. Si comprende pertanto
come si riveli essenziale la determinazione del termine di irrevocabilità della proposta,
alla cui scadenza viene meno il rafforzamento della proposta, la quale continua a rilevare
ed essere efficace fino alla naturale scadenza 46.
b) L’accettazione è la dichiarazione di consenso alla proposta e dunque all’assetto di
interessi divisato dal proponente: l’accettazione deve essere conforme alla proposta e tempe-
stiva 47. Un’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta (art.
13265), non essendosi realizzata la concordanza su un assetto di interessi 48: il destinata-

44
Ove si pattuisca che il termine entro il quale la proposta deve rimanere ferma coincida con la sottoscri-
zione del contratto preliminare di vendita o, in difetto, con il rogito notarile di trasferimento della proprietà,
deve negarsi l’esistenza di una proposta irrevocabile perché tale fattispecie presuppone che alla scadenza del
termine il proponente riacquisti la possibilità di esercitare la facoltà di revoca (Cass. 2-8-2010, n. 18001).
45
È dibattuta la sorte della proposta irrevocabile in assenza della indicazione del termine di irrevocabilità.
Deve ammettersi il ricorso al giudice per la fissazione del termine, secondo la regola generale dell’art. 1183,
applicata in tema di opzione (art. 13312). In mancanza di intervento giudiziale, è da ritenere che la mancata
previsione di tale termine (art. 1329) renda la proposta irrevocabile fino allo scadere del comune termine di
efficacia della proposta (art. 13262). Ma non manca chi ritiene che, in mancanza della indicazione del termine,
la proposta irrevocabile operi come una proposta semplice.
46
Ove il termine entro il quale la proposta deve rimanere ferma coincida con la sottoscrizione del contrat-
to preliminare di vendita o, in difetto, con il rogito notarile di trasferimento della proprietà, deve negarsi l’e-
sistenza di una proposta irrevocabile perché tale fattispecie presuppone che alla scadenza del termine il pro-
ponente riacquisti la possibilità di esercitare la facoltà di revoca (Cass. 2-8-2010, n. 18001).
47
Non è necessaria una formulazione rituale dell’accettazione: qualora, con la proposta formulata in un
documento, la parte, indicando gli elementi essenziali del negozio, abbia manifestato la volontà di concludere
il contratto alle condizioni ivi stabilite, la sottoscrizione del documento apposta dalla controparte senza alcu-
na modifica o integrazione, essendo espressione della volontà di aderire alla proposta, vale come accettazione
(Cass. 31-3-2011, n. 7420).
48
L’accettazione della proposta contrattuale di compravendita, anche ove quest’ultima sia irrevocabile in
forza di un patto d’opzione, è idonea a segnare il perfezionamento del contratto, e quindi a spiegare effetto
traslativo della proprietà della cosa venduta, non soltanto quando il prezzo sia stabilito in detta proposta o in
922 PARTE VIII – CONTRATTO

rio che formula un’accettazione difforme dalla proposta diventa nuovo proponente e l’o-
riginario proponente assume la veste di destinatario della nuova proposta, e così di se-
guito, fino alla formazione di un accordo 49.
L’accettazione deve giungere al proponente nel termine indicato o in quello ordina-
riamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi (art. 13262). La di-
mensione temporale influenza l’interesse all’operazione economica: ciò che poteva riu-
scire utile al proponente ad una data epoca potrebbe non esserlo più dopo molto tempo
(l’immobile che aveva proposto di acquistare in quella città non è più di utilità essendo
stato trasferito per il lavoro in altra città; il bene che aveva proposto di acquistare è dive-
nuto nel frattempo obsoleto; il macchinario che voleva destinare all’impresa non interes-
sa più per avere dismesso quella catena di produzione; ecc.). In ogni caso il proponente
può sempre considerare efficace l’accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente
avviso all’altra parte (art. 13263). Succedendosi più proposte, è nella libertà del destina-
tario accettare la proposta considerata più conveniente 50, tranne che questa sia stata re-
vocata dal proponente prima dell’accettazione, che conclude il contratto.
Anche l’accettazione è revocabile, purché la revoca giunga a conoscenza del propo-
nente prima dell’accettazione (art. 13282).
c) Sussistono alcuni tratti comuni. Di regola, se non è prevista una forma vincolata,
proposta e accettazione possono essere dichiarate in qualsiasi forma. Per i contratti che
devono farsi per iscritto sotto pena di nullità (art. 1351), come ad es. la vendita immobi-
liare, anche proposta e accettazione devono avere la medesima forma 51. Se il proponente
richiede per l’accettazione una forma determinata, l’accettazione non ha effetto se è data
in forma diversa (art. 13264); il proponente può peraltro rinunciare a detta forma, rite-
nendo sufficiente un’adesione manifestata in modo diverso. In ogni caso la forma vinco-
lata non implica la necessaria contestualità di proposta e accettazione, potendo il con-
senso formarsi anche con lo scambio delle dichiarazioni, purché entrambe abbiano la
forma solenne richiesta (VIII, 4.2). Essendo atti prenegoziali sono revocabili, nei limiti
indicati; diversamente dai negozi unilaterali, che sono irrevocabili quando giungono al
destinatario (es. recesso, disdetta) (ex artt. 1334 e 1335), salva diversa volontà concorde
delle parti.
La morte o l’incapacità successiva di una delle parti prima della formazione dell’ac-
cordo impedisce la conclusione del contratto. Tale tradizionale regola della c.d. caduca-

quel patto d’opzione, ma anche quando sia determinabile alla stregua di criteri, riferimenti o parametri pre-
costituiti, così che la sua successiva concreta quantificazione sia ricollegabile ad un’attività delle parti di tipo
meramente attuativo e ricognitivo (Cass. 19-1-2017, n. 1332).
49
La modifica, da parte dell’accettante, del termine per l’esecuzione indicato nella proposta, implicando
la realizzazione di un assetto d’interessi sostanzialmente diverso da quello indicato dal proponente, specie in
caso di attribuzione, anche implicita, di essenzialità al nuovo termine, si configura, ai sensi dell’art. 1326, ult.
comma, come nuova proposta, con conseguente necessità di accettazione dell’originario proponente (Cass.
15-5-2019, n. 12899).
50
In difetto di obblighi insorgenti da una precorsa trattativa, il destinatario di proposte plurime è libero
di accettare la proposta ravvisata preferibile in base a considerazioni anche prescindenti da valutazioni di ca-
rattere meramente economico (Cass. 28-2-2019, n. 5834).
51
È stato costantemente ribadito che nei contratti che richiedono la forma scritta ad substantiam (come la
vendita immobiliare), la conclusione tra persone lontane postula che alla proposta in forma scritta segua l’ac-
cettazione anche essa in forma scritta (Cass. 22-3-2017, n. 7313; Cass. 2712/1996; Cass. 5370/1989).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 923

zione della proposta e dell’accettazione, maggiormente orientata alla tutela della persisten-
za della volontà delle parti fino all’accordo, incontra però due fondamentali deroghe che
la svalutano fortemente, in favore di una tutela dei traffici.
Anzitutto, come si è visto, la morte e la sopravvenuta incapacità del proponente non
tolgono efficacia alla proposta irrevocabile, salvo che la natura dell’affare o altre circo-
stanze ne tolgano efficacia (art. 13292). Inoltre sia la proposta che l’accettazione, quando
sono fatte da un imprenditore nell’esercizio della sua impresa, non perdono efficacia se
l’imprenditore muore o diviene incapace prima della conclusione del contratto, salvo
che si tratti di piccolo imprenditore o che diversamente risulti dalla natura dell’affare o
da altre circostanze (art. 1330). La sussistenza di un’organizzazione imprenditoriale tra-
valica la vicenda personale dei soggetti: prevale l’esigenza di continuità dell’attività di
impresa. Spetterà, rispettivamente, agli eredi e ai rappresentanti legali dell’imprenditore
ogni decisione di convenienza circa l’utilità dell’affare.
d) La conclusione del contratto avviene nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha
conoscenza dell’accettazione dell’altra parte (art. 13261): cioè quando l’accettazione (con-
forme alla proposta e tempestiva) è portata a conoscenza del proponente 52. La norma è
da collegare all’art. 1334, secondo cui gli atti unilaterali producono effetto quando per-
vengono a conoscenza del destinatario (c.d. atti unilaterali recettizi). Da entrambe le
norme si ricava che il nostro legislatore, per la efficacia di una dichiarazione unilaterale,
ha attribuito rilevanza alla conoscenza della stessa da parte del destinatario: è il c.d. prin-
cipio cognitivo o della conoscenza.
Tale principio opera però con il fondamentale temperamento della c.d. presunzione
di conoscenza, per cui la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione
diretta ad una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono
all’indirizzo del destinatario 53, salvo che questi non provi che, senza sua colpa, era nella
impossibilità di prenderne conoscenza (art. 1335) (es. era ricoverato in ospedale). È
dunque sufficiente che la dichiarazione (e quindi il plico che la contiene) pervenga nella
sfera di influenza del destinatario, come tale conoscibile dallo stesso (es. residenza, do-
micilio commerciale o fiscale o anche elettronico, sede dell’azienda); non è essenziale che
la dichiarazione sia ricevuta personalmente dal destinatario. In tal modo il principio co-
gnitivo rimane attenuato da un criterio ricettivo, atteggiandosi come principio di presun-

52
Nei contratti conclusi per telefono, luogo della conclusione è quello in cui l’accettazione giunge a cono-
scenza del proponente ed in cui questi, attraverso il filo telefonico, ha immediata e diretta conoscenza del-
l’accettazione; in tale luogo si radica il primo dei fori alternativi previsti dall’art. 20 c.p.c. (Cass. 14-7-2009, n.
16417). Nei contratti redatti con la forma solenne dell’atto notarile, ai fini della individuazione del foro facol-
tativo del luogo in cui è sorta l’obbligazione ex art. 20 c.p.c., il luogo della conclusione del contratto coincide
con quello in cui le parti hanno sottoscritto l’atto davanti al notaio, assumendo il precedente scambio di mis-
sive tra i professionisti incaricati dalle parti valore meramente interlocutorio nell’ambito del procedimento di
formazione del consenso (Cass. 5-11-2019, n. 28403).
53
Ai fini dell’operatività della presunzione di conoscenza degli atti negoziali ai sensi dell’art. 1335 c.c., l’in-
dirizzo del destinatario, presso il quale deve giungere la dichiarazione recettizia, non necessariamente coincide
con i luoghi di individuazione delle persone fisiche (domicilio, residenza, dimora) o degli enti collettivi (sede),
potendo identificarsi in un diverso luogo preventivamente indicato dal destinatario, in ragione di un collegamen-
to di altra natura, e pertanto rientrante nella propria sfera di dominio e di controllo (la S.C. ha ritenuto efficace la
disdetta del contratto di locazione inviata dal locatore alla società conduttrice presso l’indirizzo, da questa eletto
nel contratto, coincidente con l’immobile locato, ancorché, al momento del recapito della dichiarazione, la desti-
nataria non lo occupasse più, avendo ceduto l’azienda ivi esercitata) (Cass. 19-7-2019, n. 19524).
924 PARTE VIII – CONTRATTO

zione cognitiva. Al dichiarante che invoca l’efficacia della dichiarazione è sufficiente pro-
vare che la stessa sia giunta all’indirizzo del destinatario 54: è onere del destinatario pro-
vare che, nonostante l’arrivo della dichiarazione al suo indirizzo, era nella impossibilità
di prenderne conoscenza. Se il principio cognitivo operasse in via assoluta, deriverebbe
sì una maggiore garanzia per il destinatario, ma si presterebbe anche a facili aggiramenti
(potendo sempre il destinatario addurre di non avere avuto conoscenza della dichiara-
zione inviatagli), con evidenti intralci nella vita economica. Il temperamento della pre-
sunzione di conoscenza evita facili aggiramenti, offrendo rilevanza alle sole ipotesi di ef-
fettiva impossibilità di conoscenza 55. Come si vedrà, la verifica della formazione dell’ac-
cordo risulta più complessa nelle ipotesi di formazione progressiva del contratto, specie
rispetto a puntuazioni, minute e lettere di intenti, dovendosi verificare se e in quale mo-
mento il contratto è concluso (par. 21).

14. Offerta al pubblico. – È una proposta indirizzata ad una generalità di per-


sone (in incertam personam). Vale come proposta quando contiene gli estremi essenziali
del contratto alla cui conclusione è diretta, salvo che risulti diversamente dalle circostan-
ze o dagli usi (art. 13361).
Per non essere indirizzata ad un soggetto determinato, l’offerta al pubblico non inte-
gra un atto recettizio: non deve essere portata a conoscenza dei terzi per avere efficacia,
essendo sufficiente che sia resa conoscibile. Il contratto è concluso con l’accettazione di
chi è interessato alla proposta (offerta) formulata. Sono esempi di offerta al pubblico i
molti dispositivi meccanici automatici che espongono, insieme, la merce e il prezzo di
acquisto, sicché è sufficiente introdurre il danaro richiesto per ottenere la merce esposta.
Altri esempi sono i c.d. parcheggi automatici di veicoli, ai quali si accede attraverso mec-
canismi automatici di pagamento della prestazione e prelievo del veicolo. Per le circo-
stanze nelle quali tali contegni sono tenuti, gli stessi assumono il significato sociale di
orientarsi verso lo scambio di un bene o un servizio, con accettazione dell’offerta.
Significativi esempi provengono dall’area finanziaria, attraverso le “offerte pubbliche
di acquisto o di scambio” di strumenti finanziari, sotto il controllo della Consob (artt.
102 ss. D.Lgs. 24.2.1998, n. 58, TUF). Al meccanismo dell’offerta al pubblico sono an-
che ricondotti i bandi di concorso per l’assunzione di lavoratori 56 e i bandi di gara indet-

54
Nel caso di contestazione dell’atto comunicato a mezzo raccomandata, la prova dell’arrivo di questa fa
presumere, ex art. 1335 c.c., l’invio e la conoscenza dell’atto, spettando al destinatario, in conformità al prin-
cipio di “vicinanza della prova”, l’onere di dimostrare che il plico non conteneva l’avviso; ove il mittente af-
fermi di averne inserito più di uno e il destinatario contesti tale circostanza, grava sul mittente l’onere di pro-
vare l’intervenuta notifica e, quindi, il fatto che tutti gli atti fossero contenuti nel plico, in quanto, secondo
l’id quod plerumque accidit, ad ogni atto da comunicare corrisponde una singola spedizione (Cass. 26-11-2019, n.
30787; Cass. 24-11-2004, n. 22133; Cass. 13-4-2006, n. 8649).
55
L’art. 1335 è di riferimento per tutte le dichiarazione che devono pervenire ad un destinatario, anche in
materia tributaria dove il tema della notifica degli atti dell’amministrazione finanziaria è ricorrente: spetta al
destinatario l’onere di dimostrare che il plico non conteneva alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso
conteneva una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente: proprio dalla prova contraria che
il destinatario dell’atto è tenuto a fornire deriva la presunzione legale di conoscenza dell’atto che è estesa an-
che al contenuto del plico” (Cass. 28-10-2016, n. 21852; Cass. 7-5-2015, n. 9246; Cass. 12-5-2015, n. 9533).
56
Il bando di concorso per l’assunzione di lavoratori, ove contenga gli elementi del contratto alla cui con-
clusione è diretto, in quanto preordinato alla stipulazione di contratti di lavoro che esigono il consenso delle
CAP. 2 – CONCLUSIONE 925

ti da privati o da pubbliche amministrazioni 57 per la stipulazione di contratti: il soggetto


(pubblico o privato) che indice il bando è tenuto all’osservanza, oltre che delle normati-
ve di riferimento, anche della disciplina del bando (autonomamente assunta) quale con-
tenuto dell’offerta e del generale dovere di buona fede 58.
La sufficienza della conoscibilità della proposta si riflette sulla natura della revoca.
Non essendo note le persone che abbiano potuto apprenderne la conoscenza, la revoca
dell’offerta non è indirizzabile individualmente: è sufficiente che sia resa conoscibile, in-
dipendentemente dalla conoscenza effettiva. Al pari dell’offerta, anche la revoca non è
recettizia: la revoca dell’offerta al pubblico, quando è fatta nella stessa forma dell’offerta
o in altra equipollente, è efficace anche verso chi non ne ha avuto notizia (art. 13362).
L’offerta al pubblico si differenzia dalla promessa al pubblico (art. 1989), essendo
questa un negozio unilaterale, di per sé fonte di obbligazione (XI, 1.2).

15. Il contratto aperto. – Si è anticipato e ancora si parlerà in seguito dei contratti


con comunione d i scopo, con i quali si tende a realizzare un interesse comune a tutte
le parti del contratto (VIII, 3.18). Tali contratti possono aprirsi all’esterno mediante la
previsione di una c.d. clausola di apertura. È il fenomeno tipico delle organizzazioni
collettive (associazioni, società specie cooperative, ecc.), al fine di incrementare la com-
pagine sociale (o anche solo accrescere i fondi). La clausola di apertura vale anche a de-
notare il pluralismo sociale delle moderne democrazie 59.
Il carattere “aperto” tipicamente connota i contratti plurilaterali. Con la clausola di
apertura i contraenti originari offrono la possibilità ad altri soggetti di aderire al contrat-
to originario, accettandone i fini e l’organizzazione interna, risultanti dall’atto costitutivo
e dallo statuto. L’apertura può riguardare la generalità dei soggetti o specifiche categorie
di soggetti con determinate caratteristiche (professionali, culturali, ecc.), operando in ogni
caso come offerta al pubblico. Più raramente l’apertura fa riferimento a soggetti prede-
terminati: in tal caso opera come una normale offerta (proposta) contrattuale.

controparti, costituisce un’offerta al pubblico, ai sensi dell’art. 1336 c.c., di cui è inammissibile l’integrazione
o modifica in epoca successiva all’inizio del percorso di selezione, determinandosi, in caso contrario, un’altera-
zione della disciplina prevista per lo svolgimento della procedura (Cass. 27-12-2019, n. 34544; Cass. 17-1-2020,
n. 983; Cass. 6-6-2007, n. 13273).
57
Nei contratti stipulati dalla P.A. con il sistema dell’asta pubblica, l’atto di aggiudicazione rappresenta un
atto di accertamento dell’avvenuta formazione dell’accordo in virtù dell’incontro della proposta dell’ammini-
strazione contenuta nel bando, e costituente proposta al pubblico ai sensi dell’art. 1336 c.c., con quella del
miglior offerente (Cass. 11-6-2004, n. 11103).
58
Ove il datore di lavoro provveda alla copertura di posti attraverso il sistema del concorso interno e abbia, a
questo fine, pubblicato un bando che contenga tutti gli elementi essenziali, sono rinvenibili in un comportamen-
to siffatto gli estremi propri di un’offerta al pubblico, che impegna l’azienda non solo al rispetto delle norme con
le quali essa stessa ha autodisciplinato la propria discrezionalità, ma anche ad adempiere a tale obbligazione se-
condo i principi di correttezza e buona fede, con piena possibilità di controllo giurisdizionale, che intervenendo
su scelte imprenditoriali autonomamente compiute, non limita in alcun modo la libertà d’iniziativa economica e
soltanto verifica l’osservanza di impegni legittimamente assunti (Cass. 15-12-2006, n. 26892). Con la conseguen-
za che, in caso di violazione dei detti obblighi, il datore di lavoro incorre in responsabilità contrattuale per ina-
dempimento, esponendosi al risarcimento del danno in favore del lavoratore che abbia subito la lesione del suo
diritto conseguente all’espletamento della procedura concorsuale (Cass. 19-4-2006, n. 9049).
59
È una caratteristica dei gruppi organizzati senza scopo di lucro (partiti, sindacati, organizzazioni di vo-
lontariato e in generale il mondo del non profit) fare proselitismo e dunque aprirsi alle adesioni più ampie
possibili.
926 PARTE VIII – CONTRATTO

L’adesione al contratto vale accettazione. Se non sono determinate le modalità dell’a-


desione, questa deve essere diretta all’organo costituito per l’attuazione del contratto o,
in mancanza, a tutti i contraenti originari (art. 1332). L’organo a ciò deputato è nor-
malmente il consiglio di amministrazione, cui spetta l’attuazione del contratto.
Le adesioni sono assoggettate a verifica da parte dell’organo a ciò destinato per statu-
to o, in mancanza, dalla totalità degli associati. L’atto di accoglimento di regola si limita
a verificare il ricorso dei presupposti per l’ammissione: è un controllo di conformità del-
l’adesione all’offerta (proposta) contenuta nella clausola di apertura. Qualora l’adesione
non sia conforme all’offerta, per non ricorrere i requisiti di adesione predeterminati, la
richiesta di adesione vale (a sua volta) come proposta (ex art. 13265), che, per essere ac-
colta, richiede l’accettazione da parte del gruppo.

16. Conclusione senza apposita accettazione. – Sono sempre più numerose le ipotesi
nelle quali si realizza un regolamento di interessi tra due parti senza il ricorso alle tecniche
della formale proposta e accettazione, ma solo attraverso il contegno delle parti che assume
un valore sociale tipico giuridicamente rilevante. Nel codice civile sono previste due ipote-
si, per le quali è attribuito a specifici comportamenti un significato legale tipico.
a) Esecuzione prima dell’accettazione. Qualora, su richiesta del proponente o per la
natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva
risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione
(art. 13271). È un meccanismo di conclusione del contratto che deroga alla regola dello
scambio delle dichiarazioni, consentendo, da un lato, che l’esecuzione del contratto pos-
sa intervenire prima dell’accettazione, e dall’altro che l’inizio dell’esecuzione determini
la conclusione del contratto.
Di regola l’esecuzione segue la conclusione del contratto: il proponente deve essere a
conoscenza dell’accettazione prima dell’esecuzione per predisporsi a ricevere la presta-
zione della controparte. Perciò la fattispecie è circoscritta dalla legge a tre ipotesi ti-
piche tassativamente previste: richiesta del proponente, natura dell’affare, presenza di
usi. La legge valorizza un comportamento concludente del destinatario della proposta, che,
con l’inizio dell’esecuzione, mostra di volere concludere il contratto.
Il fenomeno è frequente nei rapporti commerciali, per la natura di tali affari di com-
portare una pronta realizzazione. Ad es., nelle vendite tra piazze diverse, è prassi che il
venditore, ricevuta la proposta di acquisto dal compratore e trovatala conveniente, invii
senz’altro la merce prima della risposta 60; nelle vendite a distanza mediante invio di or-
dini predisposti dal venditore (come ordinazioni di libri, dischi e altro), è usuale che
l’impresa venditrice provveda alla spedizione appena ricevuto l’ordine di acquisto (tanto
più quando vi è anche pagamento con carta di credito). La conclusione del contratto nel
luogo di inizio della esecuzione comporta anche che in tale luogo si radichi la competen-
za territoriale facoltativa ex art. 20 c.p.c. 61.

60
Nelle vendite tra piazze diverse stipulate tra commercianti, quando l’ordinazione venga fatta mediante
moduli di commissione predisposti da parte venditrice, ai fini della conclusione del contratto basta che ne sia
data esecuzione con la consegna della merce al vettore o allo spedizioniere per l’inoltro all’acquirente; con la
conseguenza che, qualora non vi sia prova di una preventiva risposta di accettazione, luogo di conclusione del
contratto, per la determinazione della competenza territoriale, è quello in cui è avvenuta detta consegna (Cass.
27-8-2003, n. 12585; Cass. 11-10-2002, n. 14565).
61
Con riferimento alla disciplina dell’art. 1327 c.c. il forum contractus, che individua la competenza ai sen-
CAP. 2 – CONCLUSIONE 927

L’accettante deve dare prontamente avviso alla controparte della iniziata esecuzione
e, in mancanza, è tenuto al risarcimento danni (13272). Il proponente, non avvertito del-
l’accettazione, potrebbe non essere pronto a ricevere la prestazione (nell’esempio fatto il
compratore potrebbe non avere gli spazi disponibili a ricevere la merce inviatagli dal
venditore). In tal caso l’accettante è tenuto a risarcire i danni sofferti dal proponente per
riceversi la prestazione.
Il meccanismo predisposto dall’art. 1327 non può operare in presenza di contratti so-
lenni, che cioè richiedono una forma vincolata. In tal caso, nonostante il ricorso di una
delle tre ipotesi previste dall’art. 1327, la mancata accettazione con la forma richiesta ad
substantiam rende comunque nullo il contratto 62.
b) Obbligazioni del solo proponente. La proposta diretta a concludere un contratto da
cui derivano obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a cono-
scenza del destinatario (c.d. oblato) (art. 13331). Il destinatario può rifiutare la proposta
nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi; in mancanza del rifiuto, il con-
tratto è concluso (art. 13332).
Il meccanismo si caratterizza per risiedere il carico economico dell’operazione sul so-
lo proponente, mentre al destinatario della proposta derivano esclusivamente vantaggi. Il
fenomeno opera di frequente nelle assunzioni di garanzie: ad es., per l’art. 1936, è fi-
deiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempi-
mento di un’obbligazione altrui 63; analogamente l’assunzione del debito altrui per espro-
missione (art. 1272). È dubbio con riguardo all’attribuzione di diritti reali, per gli oneri
che normalmente vi si connettono 64.
Nonostante che la rubrica dell’articolo parli di “contratto con obbligazioni a carico
di una sola parte”, e che il testo della norma preveda che, in assenza di rifiuto, “il con-
tratto è concluso”, è fortemente dibattuta la struttura di tali atti, se cioè trattasi effetti-
vamente di struttura bilaterale (contrattuale), come la formula indica, o di struttura uni-
laterale (negozio unilaterale), come la funzione suggerisce. La giurisprudenza tende a con-
formarsi alla lettera della legge, qualificando il mancato rifiuto come accettazione tacita,
secondo peraltro il tradizionale indirizzo dottrinale. Derivando dal contratto obbligazio-
ni a carico del solo proponente, il silenzio del destinatario è considerato come compor-
tamento concludente favorevole alla formazione del contratto 65.

si dell’art. 20 c.p.c., deve intendersi, allorché si verta in ipotesi di contratto di trasporto e salvo che non siano
previste preventive prestazioni accessorie a carico del trasportatore, coincidente con quello del luogo in cui
avviene il caricamento della merce da trasportare, poiché in tale luogo si verifica l’inizio dell’esecuzione del
contratto (Cass. 15-7-2009, n. 16446).
62
Il meccanismo ex art. 1327 non può operare con riguardo ai contratti (anche di diritto privato) della
pubblica amministrazione, richiedendosi per tali contratti la forma scritta ad substantiam; la volontà di obbli-
garsi da parte della P.A. non può implicitamente desumersi da atti o fatti concludenti: Cass. 15-3-2004, n.
5234; Cass. 12-7-2001, n. 9428.
63
Si pensi anche ad una lettera di patronage con la quale il patrocinante assume degli impegni nei confron-
ti del creditore (Cass. 3-4-2001, n. 4888).
64
L’art. 1333 è applicabile anche ai contratti con effetti traslativi da una sola parte, purché si tratti di at-
tribuzioni traslative che non comportino alcun onere od obbligo per il beneficiario; la presenza di un pregiu-
dizio anche solo potenziale – oneri di custodia, gestione, tributari – anche se discendono dalla legge e non dal
contratto, comporta la necessaria accettazione del destinatario della proposta: consegue l’inapplicabilità della
norma alla costituzione del diritto di usufrutto (Cass. 18-6-2018, n. 15997).
65
La ratio dell’art. 13332 comporta che l’inefficacia della proposta possa desumersi, oltre che da un rifiuto
928 PARTE VIII – CONTRATTO

La modalità di svolgimento del fenomeno induce però ad una diversa ricostruzione.


La previsione di irrevocabilità della proposta, appena giunge a conoscenza del destinata-
rio, fa coincidere il termine di irrevocabilità con il termine di efficacia della proposta, in
deroga alla generale disciplina di normale revocabilità della proposta fino alla conclusio-
ne del contratto (art. 1328) (di cui si è parlato innanzi). Altra anomalia rispetto alla regola
generale è che il termine di irrevocabilità della proposta è mutuato dal termine di rifiuto
del destinatario (richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi). È dunque una proposta
rafforzata dalla irrevocabilità, che esprime l’intento attributivo irretrattabile dell’autore
dell’atto: la mancata richiesta di accettazione da parte del destinatario è giustificata dalla
congiunta circostanza di gratuità dell’attribuzione e di irretrattabilità della stessa, perciò
tendenzialmente accolta dal destinatario. Si rivela perciò più appropriata la ricostruzione
della figura come negozio unilaterale recettizio, funzionalmente rivolto ad incrementare il
patrimonio del destinatario, accordando allo stesso un beneficio, che, come di regola,
non può realizzarsi contro la volontà del beneficiario che non vuole profittarne. Il diritto
accordato all’oblato di “rifiutare la proposta” garantisce allo stesso il diritto di non subi-
re un effetto (ancorché favorevole) non voluto (invito beneficium non datur). È il generale
principio di tendenziale indipendenza delle sfere giuridiche, per cui nessuno può incidere la
sfera giuridica altrui contro la volontà del titolare che non vuole profittarne (VIII, 6.9).
Sulla scorta di tale previsione è possibile, in generale, delineare la distinzione tecnica tra
rinunzia e rifiuto. La rinunzia presuppone la titolarità del diritto: è un negozio unilaterale
rivolto a dismettere la titolarità del diritto dalla propria sfera giuridica con la produzione di
un effetto abdicativo. Il rifiuto è negozio unilaterale di diniego di un effetto favorevole:
non intendendo il destinatario profittare dello stesso ne impedisce l’acquisizione nella
propria sfera giuridica. Esce così erosa la diffusa qualifica dei contratti con obbligazioni a
carico di una sola parte quali contratti unilaterali per la derivazione delle obbligazioni da
una sola parte. La dichiarazione del beneficiario è solo a presidio della sua sfera giuridica,
una sorta di scudo contro la invasione non voluta della stessa.

17. Predisposizione di condizioni generali di contratto (contratti per adesione


tra codice civile e codice del consumo). – Una esigenza di programmazione e raziona-
lizzazione delle scelte imprenditoriali ha condotto da tempo alla standardizzazione con-
trattuale attraverso l’impiego di moduli e formulari (spesso elaborati da associazioni di
categoria), con predisposizione unilaterale di condizioni generali di contratto. È la tecnica
propria dei contratti per adesione, per cui una parte aderisce ad un contratto di serie
predisposto dall’altra parte 66. È un terreno dove massimamente è intervenuta la norma-

espresso, anche da un comportamento del destinatario, inequivocabilmente apprezzabile come dettato dalla
volontà di non avvalersi dell’effetto favorevole (Cass. 4-9-2001, n. 11391).
66
La ricostruzione del fenomeno è da tempo dibattuta. È emersa una teoria normativa, nel senso che il
predisponente detta le regole del contratto; ma rimane il dato innegabile che il consenso dell’altro contraente
è comunque essenziale perché tali regole possano operare. Si è perciò preferito non discostarsi da una teoria
contrattualistica che radica comunque nell’accordo il fondamento delle condizioni del contratto. Bisogna ac-
cedere ad un ricostruzione composita del fenomeno, che tiene conto della complessiva realtà: sicuramente il
contraente aderente non partecipa alla elaborazione delle condizioni del contratto, però volontariamente e
quindi con il suo consenso assume il vincolo contrattuale, dal quale derivano le condizioni del contratto; il
problema è quello della tutela rispetto al contenuto del contratto essendosi la sua autonomia privata dispiegata
solo con riferimento all’assunzione del vincolo contrattuale.
CAP. 2 – CONCLUSIONE 929

tiva europea, che però non è penetrata nel codice civile, con la conseguenza che, alla ge-
nerale normativa del codice civile, si è affiancata la nuova disciplina confluita nel codice
del consumo, determinandosi un doppio regime dei contratti per adesione.
a) Codice civile. L’ispirazione della normativa del codice civile è di semplificazione
della conclusione del contratto, con la previsione di strumenti finalizzati alla conoscen-
za delle clausole maggiormente onerose, nella convinzione che il contraente aderente,
debitamente informato, sia in grado di valutare la convenienza della conclusione del
contratto. È peraltro introdotta una presunzione di conoscenza per favorire la conclu-
sione del contratto: per l’art. 13411 le condizioni generali di contratto predisposte da
uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro se, al momento della conclu-
sione del contratto, “questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’or-
dinaria diligenza”. In tal guisa il generale criterio della conoscenza del regolamento
contrattuale previsto dall’art. 1326 (sebbene temperato dalla presunzione di conoscen-
za dell’art. 1335) è sostituito da quello della conoscibilità, a tutto vantaggio del pre-
disponente: l’aderente rimane vincolato anche per condizioni generali che non ha effetti-
vamente conosciuto e dunque accettato, ma che risultino conoscibili nel caso di specie.
Con una interpretazione orientata alla tutela del contraente aderente, la “conoscibilità” è
stata intesa come notorietà della esistenza delle condizioni generali e intelligibilità del re-
lativo contenuto.
Sono apprestati tre meccanismi di tutela del contraente aderente, che, peraltro, tro-
vano applicazione quando ricorrono, insieme, una predisposizione unilaterale del contrat-
to 67 e un impiego seriale del medesimo contratto 68. La Cassazione ha ritenuto applicabile
la complessiva normativa anche ai contratti predisposti dalla pubblica amministrazione,
sempre che ricorra la generalità della predisposizione 69.
1) Specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie . Sono le
clausole considerate particolarmente onerose per il contraente aderente e dalla stessa legge

67
Un fenomeno di predisposizione non è configurabile nella stipulazione di un contratto collettivo di lavo-
ro, alla cui formazione concorrano in condizioni di parità le contrapposte associazioni sindacali in rappresen-
tanza dei singoli iscritti, con conseguente inapplicabilità dell’art. 13412 (Cass. 6-8-2003, n. 11875).
68
La Suprema Corte è ferma nel richiedere quali presupposti per l’applicazione dell’art. 1341 la predi-
sposizione unilaterale del contenuto del contratto e la generalità di impiego per essere destinato a regolare
una serie indefinita di rapporti, tanto dal punto di vista sostanziale (cioè predisposto da un contraente che
esplica attività contrattuale all’indirizzo di una pluralità di soggetti), quanto dal punto di vista formale
(cioè predeterminato nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzati in serie (Cass. 31-12-2021, n.
42091; Cass. 28-2-2019, n. 5971). Si è precisato che “la mera attività di formulazione del regolamento con-
trattuale è da tenere distinta dalla predisposizione delle condizioni generali di contratto”, non potendo con-
siderarsi tali le clausole contrattuali elaborate da uno dei contraenti in previsione e con riferimento ad un
singolo, specifico negozio, ed a cui l’altro contraente possa, del tutto legittimamente, richiedere di appor-
tare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto (Cass. 17-1-2022, n. 1166;
Cass. 19-3-2018, n. 6753; Cass. 15-4-2015, n. 7605). La clausola compromissoria contenuta in un capitolato
speciale predisposto da uno dei contraenti nei confronti di persona indeterminata non deve essere appro-
vata specificamente per iscritto a norma dell’art. 13412 c.c., perché il capitolato speciale non è diretto a disci-
plinare una serie indefinita di rapporti ma solo quello da istituirsi col vincitore della gara (Cass. 19-3-2004, n.
5549; Cass. 22-10-2003, n. 15783).
69
Nel contratto tra una pubblica amministrazione e l’azienda fornitrice, non è richiamabile la disciplina
relativa agli artt. 1341 e 1342 c.c., nemmeno in relazione alla clausola derogativa alla competenza arbitrale e
territoriale, sia in relazione alla qualità delle parti, sia al fatto che non si tratta di contratto per adesione, pre-
disposto da una parte “in serie” e al quale l’altra parte può solo aderire (Cass. 10-7-2013, n. 17073).
930 PARTE VIII – CONTRATTO

individuate 70. Per l’art. 13412 non hanno effetto, se non sono specificamente approvate
per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limita-
zioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione,
ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di op-
porre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o
rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’auto-
rità giudiziaria 71; in tutte tali ipotesi è necessaria (ma anche sufficiente) una seconda sot-
toscrizione di tali clausole 72. La clausola di previsione di interessi superiori a quelli legali
non rientra tra le clausole vessatorie; deve essere approvata separatamente per iscritto,
altrimenti gli interessi sono dovuti nella misura legale (art. 12842); se poi sono fissati in-
teressi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi (arg. art. 18152).
Il vincolo di forma della seconda sottoscrizione non è però in grado di suscitare sem-
pre la dovuta riflessione: il contraente aderente, con la medesima disinvoltura con la
quale sottoscrive il contenuto contrattuale non conosciuto, in modo meccanico reitera la
sottoscrizione delle clausole vessatorie. È perciò emersa una interpretazione che richiede
un’autonoma e specifica approvazione per iscritto delle singole clausole vessatorie, con la
scelta di una tecnica redazionale idonea a suscitare l’attenzione del sottoscrittore, non
considerandosi sufficiente un richiamo cumulativo di tutte le clausole contrattuali ovvero
di clausole vessatorie e non 73. È anche andata emergendo una interpretazione estensiva

70
Le clausole vessatorie sono prive di efficacia per assenza di specifica approvazione per iscritto anche
quando hanno carattere di reciprocità e bilateralità (Cass. 12-10-2015, n. 20401; Cass. 14-7-2015, n. 14737).
71
Problemi interpretativi si sono posti per due serie di clausole che, nell’apparenza neutre, possono risul-
tare onerose per il contraente aderente. Anzitutto per le clausole determinative dell’oggetto del contratto, do-
vendosi verificare se l’oggetto del contratto non sia ampliato o ristretto contro le ragionevoli aspettative del
contraente aderente, secondo una valutazione di buona fede. Un problema si è posto anche per le clausole di
rinvio ad altro documento, dovendosi verificare la conoscenza del diverso documento e la portata delle clauso-
le richiamate: si è stabilito che, quando i contraenti fanno riferimento alla disciplina fissata in un distinto do-
cumento, le previsioni di quella disciplina si intendono conosciute e approvate per relationem, assumendo
pertanto il valore di clausole concordate senza necessità di una specifica approvazione per iscritto ai sensi del-
l’art. 1341 c.c. (Cass. 19-10-2012, n. 18041). Ma è soluzione formalistica e pericolosa: sarebbe sufficieungere dal
contratto approvato tutte le clausole vessatorie e inserirle in altro documento approvato per relationem. Signi-
ficativamente l’art. 341 cod. cons. estende il controllo di vessatorietà ad ogni altro contratto collegato o da cui
dipende il contratto sottoscritto. Si è precisato che le caparre, le clausole penali ed altre simili, con le quali le
parti abbiano determinato in via convenzionale anticipata la misura del ristoro economico dovuto all’altra in
caso di recesso o inadempimento, non avendo natura vessatoria, non rientrano tra quelle di cui all’art. 1341,
non necessitano, pertanto, di specifica approvazione (Cass. 30-6-2021, n. 18550; Cass. 6558/2010)).
72
Il giudizio sulla necessità che una clausola contrattuale sia specificamente approvata per iscritto non
può essere compiuto per la prima volta in sede di legittimità perché la valutazione circa la natura della
clausola richiede un giudizio di fatto che si può formulare soltanto attraverso l’interpretazione della clau-
sola stessa nel contesto complessivo del contratto, allo scopo di stabilirne il significato e la portata (Cass.
30-3-2022, n. 10258).
73
L’obbligo della specifica approvazione per iscritto della clausola vessatoria è rispettato anche nel caso
di richiamo numerico a clausole, onerose e non, purché non cumulativo, salvo che, in quest’ultima ipotesi,
non sia accompagnato da un’indicazione, benché sommaria, del loro contenuto, ovvero che non sia prevista
dalla legge una forma scritta per la valida stipula del contratto (Cass. 9-7-2018, n. 17939; Cass. 16-3-2018, n.
6621). Si configura richiamo cumulativo che non soddisfa il requisito della specificità della sottoscrizione del-
le clausole non solo quando esso sia riferito a tutte le condizioni generali del contratto ma anche quando,
prima della sottoscrizione, siano indistintamente richiamate più clausole del contratto per adesione, di cui
solo una sia vessatoria (Cass. 9-7-2015, n. 14390). Conf. Cass. 11-6-2012, n. 9492.
CAP. 2 – CONCLUSIONE 931

delle clausole previste dal codice, tendenzialmente uniformate alle “clausole abusive”
indicate dalla normativa di provenienza europea 74 (di cui appresso). È maturata inoltre
la convinzione che l’assenza di specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie
comporti un vizio di forma ad substantiam che determina la nullità delle stesse, rileva-
bile di ufficio dal giudice (artt. 1418 e 1421) 75 e dal solo aderente 76, secondo il modello
della c.d. nullità protettiva fissata dall’art. 363 cod. cons.
2) Prevalenza delle clausole aggiunte a moduli o formulari. Per l’art. 13421 le
clausole aggiunte al modulo o formulario prevalgono su quelle del modulo o del formula-
rio quando siano incompatibili con esse, anche se non cancellate (art. 13422). È però raro
che, nella esperienza contrattuale di impresa, trovino ingresso modifiche del testo contrat-
tuale predisposto, specie oggi che la collocazione dei prodotti è affidata sempre più alla
intermediazione commerciale, che utilizza moduli forniti dai produttori.
Anche ai contratti conclusi mediante moduli e formulari è applicabile il requisito di
forma per la validità delle clausole vessatorie (art. 13422).
3) Interpretazione contro l’autore della clausola (c.d. interpretatio contra
stipulatorem). Per l’art. 1370 le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o
in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a fa-
vore dell’aderente. La norma contiene una chiara deroga al principio ermeneutico che i
contratti a titolo oneroso, rimasti oscuri nonostante l’applicazione delle norme sull’inter-
pretazione, debbano essere intesi nel senso di realizzare l’equo contemperamento degli
interessi delle parti (art. 1371). Per essere clausole predisposte, è imputata all’autore del-
la clausola la oscurità del testo.
b) Codice del consumo. La tutela accordata dal codice di consumo (D.Lgs. 6.9.2005, n.
206) prescinde dalla serialità della predisposizione, soffermandosi sulla specificità del
rapporto contrattuale corrente tra professionista e consumatore, secondo le qualificazio-
ni giuridiche di provenienza europea. Le clausole abusive contenute nel contratto non so-
no vincolanti per i consumatori per garantire l’equilibrio sostanziale tra le parti 77.
La disciplina del codice del consumo, di derivazione europea, è più articolata di quel-
la del codice civile per riguardare la elaborazione del contratto e il contenuto del rego-
lamento contrattuale. In attuazione della direttiva 93/13/CEE del 5.4.1993, concernente
le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, veniva adottata una normati-

74
La giurisprudenza considera l’elencazione contenuta nell’art. 13412 di carattere tassativo, ma ne ammet-
te l’interpretazione estensiva (Cass. 19-5-2006, n. 11757; Cass. 19-3-2003, n. 4036).
75
La mancata specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose indicate nell’art. 1341 ne compor-
ta la nullità, eccepibile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa la fase di
legittimità dinanzi alla Corte di cassazione, sempreché i presupposti di fatto della detta nullità (carattere ves-
satorio della clausola ed inesistenza della prescritta approvazione specifica) risultino già acquisiti agli atti del
processo (Cass. 14-7-2009, n. 16394; Cass. 18-1-2002, n. 547).
76
Contrariamente ad un tradizionale indirizzo tendente a ritenere quella in questione una nullità assoluta
(VIII, 9.4), si è affermata una c.d. nullità relativa di protezione (VIII, 9.6), ritenendosi che, essendo la specifi-
ca approvazione per iscritto delle clausole vessatorie (nella specie: clausola compromissoria) requisito per
l’opponibilità delle clausole medesime al contraente aderente, quest’ultimo è il solo legittimato a farne valere
l’eventuale mancanza, sicché la nullità di una clausola onerosa senza specifica approvazione scritta dell’a-
derente non può essere invocata dal predisponente (Cass. 20-8-2012, n. 14570).
77
Ampiamente Corte giust. U.E., grande sez., 17-5-2022, cause C-600/19, C-693/19 e 831/19, C-725/19,
C-869/19.
932 PARTE VIII – CONTRATTO

va che ha incontrato varie vicissitudini 78, residuando molte disarmonie tra corti europee
e giudici nazionali 79. La direttiva UE/2019/771 (attuata con D.Lgs. 4.11.2021, n. 170,
trasposto nel cod. cons.) ha abrogato la precedente direttiva, ma ne ha conservato la so-
stanza. Il coordinamento tra codice civile e codice del consumo è compiuto dal novellato
art. 1469 bis c.c. e dall’art. 38 cod. cons., nella logica di una tutela preferenziale del con-
sumatore (VIII, 1.9).
Sotto la rubrica “Dei contratti del consumatore in generale”, gli artt. 33 ss. cod. cons.
regolano i contratti stipulati tra un “consumatore” o “utente” e un “professionista”, se-
condo le definizioni fissate dall’art. 3 cod. cons. (VIII, 1.9). La normativa si apre a tutti i
beni negoziati, per mancare una tipologia di beni cui applicarsi o l’esclusione di tipo-
logie di beni, come invece testualmente avviene per le disposizioni relative ai diritti dei
consumatori nei contratti (Tit. III, Capo 1, come sostituiti dal D.Lgs. 21/2014) 80; nella
direzione di una riconduzione della vendita e del preliminare di vendita di immobili 81
nell’alveo di applicazione degli artt. 33 ss. cod. cons. sta muovendosi la Suprema Corte
attraverso la valutazione dei requisiti soggettivi delle parti e della destinazione dei beni
negoziati, valorizzando le posizioni materiali delle parti e le condizioni di stipulazione
del contratto 82.

78
La direttiva veniva attuata con l’art. 25 L. 6.2.1996, n. 52 (“Legge comunitaria per il 1994”), che inseri-
va, nel titolo II del libro IV del codice civile, il capo XIV-bis (artt. da 1469 bis a 1469 sexies), rubricato “Dei
contratti del consumatore”. Veniva però attivata una procedura di infrazione verso l’Italia, ai sensi dell’art.
226 del TCE, per il non corretto recepimento della direttiva, cui il nostro paese si conformava con L.
21.12.1999, n. 526 (“Legge comunitaria per il 1999”). La procedura proseguiva il suo svolgimento, per la
previsione della possibilità per le associazioni dei consumatori di agire in via preventiva, ancor prima dell’uti-
lizzazione di clausole vessatorie (contenute in formulari convenzionali): seguivano l’art. 3 L. 30.7.1998, n. 281
(sulla disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti) e l’art. 6 L. 3.2.2003, n. 14 (“Legge comunitaria
2002”). La materia veniva compiutamente organizzata con il D.Lgs. 6.9.2005, n. 206, introduttivo del Codice
del consumo. In tal guisa una fondamentale tutela del consumatore veniva eliminata dal codice civile (dove era
stata primieramente collocata) per assumere una disciplina autonoma, con evidente caduta di centralità con-
cettuale e politica.
79
Cfr. Corte giust. U.E. 25-11-2020, causa C-269/19; Corte giust. U.E. 3-10-2019, causa C-260/18.
80
Per l’art. 47, lett. e, le disposizioni delle Sezioni da I a IV non si applicano ai contratti aventi ad oggetto
la creazione di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti su beni immobili; da ciò inferendosi
l’applicabilità a tutti i beni (mobili e immobili) della restante normativa quando i contratti corrono tra un
professionista e un consumatore, secondo le accezioni tecniche normative.
81
Per Cass. 14-1-2021, n. 497, gli artt. 33 ss. cod. cons. sono applicabili anche ad un contratto preliminare
di compravendita di bene immobile, allorquando venga concluso tra un professionista, che stipuli nell’eser-
cizio dell’attività imprenditoriale, o di un professionista intellettuale, ed altro soggetto, che contragga per esi-
genze estranee all’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale; non risulta decisivo, in senso
contrario, che le parti abbiano espressamente richiamato in contratto la disciplina del D.Lgs. 122/2005 in
tema di tutela degli acquirenti di immobili da costruire, atteso che quest’ultima concorre, in presenza dei rela-
tivi presupposti applicativi, con le disposizioni a tutela del consumatore, almeno in difetto di un rapporto di
reciproca incompatibilità o esclusione. V. anche Cass. 6802/2010; Cass. 4914/2009; Cass. 24257/2008. In
presenza di un contratto rientrante nell’ambito applicativo del D.Lgs. 206/2005, l’avvenuta negoziazione del-
le singole clausole costituisce presupposto oggettivo di esclusione dell’applicazione della disciplina del codice
ed è circostanza che rappresenta un prius logico anche rispetto all’accertamento dell’eventuale squilibrio di
cui si sostanzia l’abusività, conseguendone che la relativa prova compete al professionista (Cass. 8268/2020;
Cass. 24262/2008).
82
Cfr. Cass. 14-1-2021, n. 497, cit.: una clausola, per non essere considerata abusiva ai sensi del cod. cons.,
deve essere il frutto di una trattativa caratterizzata dai requisiti della serietà (ossia svolta mediante l’adozione
CAP. 2 – CONCLUSIONE 933

Sono apprestati dal codice del consumo più criteri di tutela del consumatore.
1) Doppio elenco di clausole vessatorie, cui corrispondono differenti regimi, in
ragione del diverso grado di onerosità delle clausole.
Una prima lista è formata da clausole presunte vessatorie fino a prova contraria (art.
33), sempre che non siano state oggetto di trattativa individuale (art. 344) (c.d. lista gri-
gia). Si presumono “abusive” (cioè vessatorie) le clausole che, “malgrado la buona fe-
de, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli
obblighi derivanti dal contratto” (art. 331): rileva cioè l’equilibrio giuridico delle parti.
L’anodina formula “malgrado la buona fede” si riconduce ad una errata traduzione dei
testi originali della direttiva comunitaria, dove il significato era di considerare vessato-
rie le clausole in contrasto con la buona fede (lealtà e correttezza). L’art. 332 detta un
elenco esemplificativo di clausole presunte vessatorie: tali sono in generale le clausole
che tendono ad escludere o a limitare la responsabilità del professionista o la tutela del
consumatore, oppure tendono a consentire al professionista rimedi eccezionali o a ri-
servargli tutele non accordate al consumatore o a rendere eccessivamente gravosa la
difesa dei diritti del consumatore 83. È ammessa la prova contraria della mancata ricor-
renza dello squilibrio tra le posizioni giuridiche delle parti contrattuali. Non sono ves-
satorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che siano riproduttive
di disposizioni o attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle
quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell’Unione europea o l’Unione eu-
ropea (art. 343).
La trattativa sul contenuto del contratto o di singole clausole esclude di per sé la ves-
satorietà. Per ricorrere una “trattativa individuale”, non è sufficiente la mera sottoscri-
zione (eventualmente reiterata): è richiesta una influenza nella elaborazione del contratto
o della singola clausola. Il senso della novella è proprio quello di squarciare il velo delle
scritturazioni per verificare la trama delle negoziazioni. Per i contratti conclusi mediante
sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme
determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l’onere di provare che le
clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predi-
sposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore (art. 345) 84.

di un comportamento obiettivamente idoneo a raggiungere il risultato di una composizione dei contrapposti


interessi delle parti), della effettività (rispettosa dell’autonomia privata delle parti, non solo nel senso di liber-
tà di concludere il contratto ma anche nel suo significato di libertà e concreta possibilità di determinarne il
contenuto) e della individualità (dovendo riguardare tutte le clausole, o elementi di clausola, costituenti il
contenuto dell’accordo, prese in considerazione sia singolarmente, oltre che nel significato desumibile dal
complessivo tenore del contratto).
83
Si è precisato che, per qualificare una clausola come abusiva, il giudice nazionale deve procedere a un
esame caso per caso tenendo conto dei criteri forniti in ambito U.E.; ad es., se in un contratto è inserita una
clausola che prevede una modifica unilaterale delle spese collegate a un servizio, non sono indicate le modali-
tà di calcolo e il consumatore non può recedere, la clausola è abusiva; peraltro i giudici nazionali, se la legisla-
zione nazionale lo prevede, possono stabilire che detta clausola non vincola i consumatori anche se questi
ultimi non hanno agito nel procedimento collettivo avviato nei confronti di un professionista (Corte giust.
C.E. 26-4-2012, causa C-472/2010). Le regole sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori si applicano
anche agli accordi tra avvocato e cliente quando questi agisce per scopi estranei alla sua attività professionale
(Corte giust. U.E. 15-1-2015, causa C-537/13).
84
Ai sensi dell’art. 344-5 cod. cons. spetta al professionista dare la prova che la clausola vessatoria è stata
oggetto di specifica trattativa, con i requisiti della individualità, serietà ed effettività, ovvero di dare prova ido-
934 PARTE VIII – CONTRATTO

Una seconda lista è formata dalle clausole comunque vessatorie, quantunque


oggetto di trattativa, previste dall’art. 362 (c.d. lista nera). Sono clausole di maggiore one-
rosità per il consumatore, che hanno per oggetto o per effetto: a) di escludere o limitare
la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumato-
re, risultante da un fatto o un’omissione del professionista; b) di escludere o limitare le
azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di ina-
dempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c)
di prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fat-
to, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto. Sono clausole ogget-
tivamente vessatorie, indipendentemente da una negoziazione delle stesse e che neppure
consentono una prova contraria.
2) Rilevanza dell’operazione . L’accertamento della vessatorietà va condotto te-
nendo conto della specificità del regolamento contrattuale, dovendosi valutare la singola
clausola in ragione della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo
riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clau-
sole del contratto medesimo o di un altro contratto collegato o da cui dipende (art. 341).
Inoltre, nella verifica della vessatorietà, bisogna tener conto, non solo del contratto nel
quale la singola clausola è inserita, ma anche di eventuali contratti collegati o dai quali
dipende, interpretando così il singolo negozio alla stregua della complessiva operazione
negoziale realizzata. L’accertamento della vessatorietà è compiuto tenendo conto della
natura del bene o del servizio oggetto del contratto, delle circostanze esistenti al momen-
to della sua conclusione, delle altre clausole del contratto o di altri contratti collegati
(art. 341).
Emerge l’ulteriore divario con la disciplina delle clausole vessatorie del codice civile.
L’applicazione degli artt. 1341 e 1342 c.c. ricorre nell’ipotesi di predisposizione unilate-
rale per un impiego seriale del contratto; invece gli artt. 33 ss. cod. cons. sono applicabili
per il fatto in sé della predisposizione unilaterale del contratto da parte del “professioni-
sta” senza possibilità per il “consumatore” di incidere sul contenuto.
3) Controllo di trasparenza. L’oscurità del testo contrattuale è considerata espres-
sione di vessatorietà. Quando le clausole sono proposte per iscritto devono sempre essere
redatte in modo chiaro e comprensibile (art. 351). Come si è anticipato, la valutazione di
vessatorietà non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza
del corrispettivo dei beni e dei servizi, “purché tali elementi siano individuati in modo
chiaro e comprensibile” (art. 342). Consegue che il giudizio di vessatorietà si estende
all’assetto economico quando questo non sia espresso in modo chiaro e comprensibile. In
caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al con-
sumatore (art. 352), regola corrispondente all’art. 1370 c.c. (c.d. interpretatio contra sti-
pulatorem).
Dall’assenza di trasparenza derivano dunque le seguenti conseguenze: la valutazione

nea a vincere la presunzione di vessatorietà della clausola medesima, dimostrando che, valutata singolarmente
e in connessione con le altre di cui si compendia il contenuto del contratto, nello specifico caso concreto essa
non determina un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto (si è ritenuto che,
in difetto di tale prova, la clausola di deroga del foro del consumatore sia nulla, anche laddove il foro indicato
come competente risulti coincidente con uno dei fori legali di cui agli artt. 18, 19 e 20 c.p.c. (Cass. 20-3-2010,
n. 6802). Conf. Cass. 26-4-2010, n. 9922.
CAP. 2 – CONCLUSIONE 935

di vessatorietà si estende all’oggetto e all’adeguatezza economica del contratto; il consu-


matore non è tenuto per clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere; le clausole
ambigue si interpretano contro l’autore delle stesse.
4) Nullità parziale e di protezione. Le clausole illegittime (per squilibrio tra le
parti o per mancata trasparenza) sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il re-
sto (art. 361); la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata
d’ufficio dal giudice (art. 363) (ampiamente in tema di nullità: VIII, 9.6) 85.
5) Tutela preventiva e collettiva . Le associazioni rappresentative dei consuma-
tori e le associazioni rappresentative dei professionisti possono convenire innanzi al giu-
dice ordinario il professionista o l’associazione di professionisti che utilizzano o racco-
mandano l’utilizzo di condizioni generali di contratto chiedendo la inibitoria delle con-
dizioni generali di contratto abusive (art. 37 cod. cons.) (III, 1.7). È stata anche introdot-
ta una tutela amministrativa contro le clausole vessatorie (art. 37 bis cod. cons., in-
serito dal D.L. 1/2012, conv. con L. 27/2012 (c.d. decreto liberalizzazioni)): l’Autorità
garante della concorrenza e del mercato, sentite le associazioni di categoria rappresenta-
tive a livello nazionale e le camere di commercio interessate o loro unioni, d’ufficio o su
denuncia, dichiara la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e
consumatori che si concludono mediante adesione a condizioni generali di contratto o
con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari, applicando, in caso di inottempe-
ranza a quanto disposto dall’Autorità una sanzione amministrativa pecuniaria. Il provve-
dimento che accerta la vessatorietà della clausola è pubblicizzato su apposita sezione del
sito internet istituzionale dell’Autorità, sul sito dell’operatore che adotta la clausola rite-
nuta vessatoria e mediante ogni altro mezzo ritenuto opportuno in relazione all’esigenza
di informare compiutamente i consumatori a cura e spese dell’operatore 86.
È possibile una tutela collettiva ad opera delle Associazioni dei consumatori e
degli utenti rappresentative a livello nazionale, inserite nell’elenco istituito presso il Mi-
nistero dello sviluppo economico. L’originaria procedura, prevista dagli artt. 139 ss. cod.
cons., è stata assorbita dalla generale disciplina dei “procedimenti collettivi” (artt. 840
bis ss. c.p.c.) di cui si è detto (III, 1.7).

18. Contratti conclusi fuori dei locali commerciali e a distanza. – È inserita nel
cod. cons. una incisiva tutela dei consumatori quando i contratti sono conclusi fuori dei
locali commerciali ovvero a distanza, che si articola nel dovere per il professionista di
rendere informazioni precontrattuali al consumatore e nel diritto di recesso del consuma-
tore (artt. 49 ss., che inglobano la direttiva 2011/83/UE, attuata con D.Lgs. 11.2.2014).

85
Il doveroso controllo di vessatorietà ha ricadute anche sull’attività notarile, per essere la vessatorietà
causa di nullità, e non potendo il notaio ricevere atti che siano espressamente proibiti dalla legge o manifesta-
mente contrari al buon costume o all’ordine pubblico (art. 28, n. 1, l. not.). Si pensi ai contratti stipulati dalle
banche per l’erogazione di mutui fondiari: le clausole del contratto sono essenzialmente predisposte dalla
banca; si pensi anche ai contratti di vendita di multiproprietà, le cui clausole sono essenzialmente predisposte
dalle società venditrici.
86
Le imprese interessate hanno facoltà di interpellare preventivamente l’Autorità in merito alla vessatorie-
tà delle clausole che intendono utilizzare nei rapporti commerciali con i consumatori. Contro gli atti dell’Au-
torità è competente il giudice amministrativo; mentre resta salva la giurisdizione del giudice ordinario sulla
validità delle clausole vessatorie e sul risarcimento del danno.
936 PARTE VIII – CONTRATTO

Nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali 87 presso il consumatore o in al-
tro luogo, come nei contratti a distanza 88 c’è la necessità di proteggere la maturazione
dell’acquisto, mancando la ponderazione che normalmente caratterizza il recarsi pres-
so il locale commerciale. Si vuole proteggere il consumatore contro tecniche di stipula-
zione “aggressive” in quanto l’operatore commerciale coglie il consumatore imprepa-
rato all’acquisto. L’anomalia sta nella sorpresa che coglie il consumatore, il quale ad-
diviene al contratto nella immediatezza emotiva dell’offerta, senza la necessaria ponde-
razione dell’utilità o convenienza dell’acquisto, della portata del contenuto contrattua-
le e della scelta tra prodotti e tra contraenti. Specificamente nei contratti con una o più
tecniche di comunicazione a distanza per la conclusione del contratto, si vuole proteg-
gere la conoscenza del contenuto contrattuale, potendo il consumatore non avere preso
visione o contezza del regolamento apprestato dal professionista con la tecnica di co-
municazione: è il sistema comunicativo proprio della società dell’informazione, conno-
tata dalla digitalizzazione delle reti (informatiche, di telecomunicazione e radiotelevisi-
ve) (I, 2.15).
Per le peculiari circostanze di conclusione del contratto, è presunta l’assenza di una
consapevole volontà negoziale (con conoscenza della realtà e coscienza della decisione),
che si atteggia come un vizio della volontà. Perciò è accordato al consumatore un termi-
ne di riflessione circa il mantenimento della operazione economica realizzata: è attribuito
il diritto di recesso dal contratto senza alcuna penalità 89 e senza specificarne il moti-
vo entro il termine di quattordici giorni (art. 52); se il professionista non fornisce al con-
sumatore le informazioni sul diritto di recesso, il periodo di recesso termina dodici mesi
dopo la fine del periodo di recesso iniziale (art. 53). Trattasi di un recesso di pentimento
(ius poenitendi), che ormai sta assurgendo a rimedio generale di tutela dei consumato-
ri 90. Per effetto del recesso, vengono meno gli obblighi delle parti: perciò il professioni-

87
Si intende per “contratto negoziato fuori dei locali commerciali” qualsiasi contratto tra il professionista
e il consumatore concluso alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, in un luogo
diverso dai locali del professionista; o è stata fatta un’offerta da parte del consumatore, nelle stesse circostan-
ze; o concluso nei locali del professionista o mediante qualsiasi mezzo di comunicazione a distanza immedia-
tamente dopo che il consumatore è stato avvicinato personalmente e singolarmente in un luogo diverso dai
locali del professionista, alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore; o concluso du-
rante un viaggio promozionale organizzato dal professionista e avente lo scopo o l’effetto di promuovere e
vendere beni o servizi al consumatore (art. 45, lett. h, cod. cons.).
88
Si intende per “contratto a distanza” qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore
nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e
simultanea del professionista e del consumatore, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazio-
ne a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso (art. 45, lett. g,
cod. cons.).
89
Con riguardo ai contratti a distanza, anche le spese di consegna dei beni al consumatore rientrano tra le
somme che il fornitore deve rimborsare al consumatore qualora questi eserciti il diritto di recesso (Corte
giust. 15-4-2010, causa C-511/08). Il consumatore non è obbligato, in generale, a indennizzare il venditore
per l’uso della merce acquistata, sempre che ne abbia fatto uso in modo compatibile con taluni principi di
diritto civile, quali quelli della buona fede o dell’arricchimento senza causa (Corte giust. 3-9-2009, causa
C-489/07).
90
Per eventuali controversie, è stabilita la competenza territoriale inderogabile del giudice del luogo di re-
sidenza o di domicilio del consumatore se ubicati nel territorio dello Stato (art. 66 bis cod. cons.). Tale com-
petenza era stata già introdotta dalla Convenzione di Roma del 19.6.1980 sulla legge applicabile alle obbliga-
zioni contrattuali (ratif. con L. 18.12.1984, n. 975) (art. 5).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 937

sta è tenuto a rimborsare tutti i pagamenti ricevuti dal consumatore, eventualmente


comprensivi delle spese di consegna, senza indebito ritardo e comunque entro quattor-
dici giorni dal giorno in cui è informato della decisione del consumatore di recedere dal
contratto (art. 56). Nei contratti che implicano una spedizione dei beni, in contrasto con
gli artt. 1378 e 15102 c.c., il rischio della perdita o del danneggiamento dei beni, per cau-
sa non imputabile al venditore, si trasferisce al consumatore soltanto nel momento in cui
quest’ultimo, o un terzo da lui designato e diverso dal vettore, entra materialmente in
possesso dei beni; il rischio si trasferisce al consumatore nel momento della consegna del
bene al vettore qualora quest’ultimo sia stato scelto dal consumatore, fatti salvi i diritti
del consumatore nei confronti del vettore (art. 63).
Il consumatore è esonerato dall’obbligo di fornire qualsiasi prestazione corrispetti-
va in caso di fornitura non richiesta di beni o di prestazione non richiesta di servizi,
vietate dall’art. 205 e dall’art. 261, lett. f; anche l’assenza di una risposta da parte del
consumatore alla fornitura non richiesta non costituisce consenso; salvo consenso del
consumatore, da esprimersi prima o al momento della conclusione del contratto, il
professionista non può adempiere eseguendo una fornitura diversa da quella pattuita,
anche se di valore e qualità equivalenti o superiori (art. 66 quinquies cod. cons.). Sono
però previsti alcuni obblighi a carico del consumatore, stimolandone l’autoresponsa-
bilità, per la conservazione della merce e la tempestività di risoluzione dell’operazione,
al fine di non distruggere ricchezza e consentine il reimpiego nel mercato (art. 57 cod.
cons.).
Con riguardo al commercio elettronico, alle offerte di servizi della società dell’infor-
mazione, effettuate ai consumatori per via elettronica, gli aspetti non disciplinati dal cod.
cons. sono regolati dal D.Lgs. 9.4.2003, n. 70 (recante attuazione della direttiva 2000/31/CE
relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare
il commercio elettronico, nel mercato interno) (art. 68 cod. cons.) (VIII, 4.5).
L’impianto descritto è a base anche della “Commercializzazione a distanza di servizi
finanziari ai consumatori” (artt. da 67 bis a 67 vicies-bis cod. cons., introdotti dal D.Lgs.
23.10.2007, n. 221), analogamente caratterizzata da un elenco di informazioni che vanno
fatte al consumatore nella fase delle trattative e comunque prima che il consumatore sia
vincolato da un contratto e dalla previsione del diritto di recesso del consumatore (art.
67 duodecies). Una specifica tutela è anche apportata dal D.Lgs. 24.2.1998, n. 58 (t.u. in
materia di intermediazione finanziaria) con riguardo al collocamento di prodotti finan-
ziari, con “offerta fuori sede” (art. 30). La giurisprudenza tende a fornire un’interpreta-
zione estensiva dell’art. 30, rinvenendo il “collocamento” di prodotti finanziari in ogni
operazione di acquisizione di un prodotto finanziario, a prescindere dal tipo di servizio
di investimento che abbia dato luogo all’operazione: anche l’esistenza di eventuale con-
tratto-quadro, dove preventivamente sono disciplinate le modalità di prestazione del servi-
zio, non fa venir meno il rischio che il cliente sia stato colto di sorpresa 91.

91
La tutela accordata dall’art. 30 D.Lgs. 58/1998 trova applicazione, non soltanto nel caso in cui la vendi-
ta fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia intervenuta nell’ambito di un servizio di
collocamento prestato dall’intermediario medesimo in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti,
ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio d’investi-
mento diverso, ove ricorra la stessa esigenza di tutela (Cass., sez. un., 3-6-2013, n. 13905).
938 PARTE VIII – CONTRATTO

19. Rapporti contrattuali per contatto sociale. – L’accentuata attenzione alla di-
mensione sociale dei fatti giuridici ha portato progressivamente a svalutare la essenzialità
dell’accordo per valorizzare i fasci di interessi coinvolti. Si è visto come gli effetti giuridi-
ci sono ricondotti ad una causalità complessa di determinazione (II, 4.2). L’ormai acquisi-
ta consapevolezza che gli effetti giuridici sono ricondotti all’ordinamento a seguito di
una valutazione dei fatti giuridici ha portato ad attribuire rilevanza giuridica anche al
contatto sociale, estrinsecato in relazioni alle quali la legge connette l’osservanza di speci-
fici comportamenti o anche l’esecuzione di negozi giuridici invalidi.
Nella prima direzione il fenomeno rileva per il funzionamento del dovere di solidarietà
nello svolgimento delle relazioni sociali. Si è già detto della configurazione giuridica di tali
rapporti, evidenziando come la giurisprudenza tenda a dilatare l’area della c.d. responsabi-
lità contrattuale da contatto sociale in più settori (es. sanitario, della pubblica amministra-
zione, bancario, dell’istruzione, ecc.), connettendo un dovere di diligenza e solidarietà in
capo ai soggetti della relazione sociale in ragione della natura dell’attività svolta (VII, 4.3).
Nella seconda direzione, si tende ad attribuire effetti giuridici ad atti e comporta-
menti compiuti sul presupposto di negozi giuridici rivelatisi invalidi. Si pensi alla ma-
teria del lavoro, dove la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce
effetto rispetto alle prestazioni eseguite (art. 2126): l’esigenza di tutela dei lavoratori
subordinati, che in fatto hanno eseguito prestazioni delle quali il datore di lavoro si è
avvantaggiato, fa sì che l’ordinamento connetta all’attività lavorativa la instaurazione di
un rapporto di lavoro (quand’anche non sorretto da un valido contratto di lavoro) 92.
Analogamente, in materia societaria, la dichiarazione di nullità della società non pre-
giudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel regi-
stro delle imprese (art. 23322): pur mancando un valido contratto di società, l’esigenza
di protezione del mercato fa salvi i rapporti instaurati dalla società con i terzi; analo-
gamente la tutela dei creditori fa connettere all’esistenza in fatto della organizzazione
collettiva l’obbligo dei soci di eseguire i conferimenti fino a quando non sono soddi-
sfatti i creditori sociali (art. 23323).
In tutte tali ipotesi l’ordinamento fa derivare effetti giuridici, non già in virtù di un at-
to di autonomia privata, ma per il fatto in sé dell’intervenuto contatto sociale, che, come
tale, suscita affidamenti e perciò involge responsabilità. In sostanza è giuridicamente ri-
conosciuta la nascita di rapporti contrattuali pure in assenza di atti formali di costituzio-
ne: la relazione sociale giuridicamente rilevante diventa un peculiare modo di produzio-
ne di rapporti contrattuali.
La inattuazione dei doveri connessi a rapporti sociali qualificati si atteggia come ina-
dempimento contrattuale, con i caratteri propri di questo (artt. 1218 ss.), di cui si è detto
(VII, 4.3).

92
Si è pero stabilito che l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effet-
tuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge dà luogo, ai sensi degli artt. 1418 e 2231 c.c.,
a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, con la con-
seguenza che il professionista non iscritto all’albo o che non sia munito nemmeno della prescritta qualifica
professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della
retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa, essendo l’esercizio della professione
subordinato per legge all’iscrizione in apposito albo o ad abilitazione (Cass. 11-6-2010, n. 14085).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 939

D) VINCOLI A CONTRARRE E FORMAZIONE PROGRESSIVA


20. Vincoli all’autonomia contrattuale. – I vincoli alla libertà di contrarre si atteg-
giano come altrettanti limiti all’autonomia privata. Sono vari e operano con differenti
tecniche e diversa efficacia, in ragione della derivazione (legale o volontaria) e della
struttura delle singole figure.
I vincoli legali si articolano in vario modo. Una fondamentale condizione giuridica
inerisce ai beni costituenti il demanio pubblico: sono inalienabili e non possono formare
oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabili dalle leggi che li ri-
guardano (art. 822). Anche i beni costituenti il patrimonio indisponibile non possono
essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguarda-
no (art. 828).
Un’ampia categoria di vincoli riflette lo statuto del bene, a tutela di interessi pubblici
ovvero di interessi privati privilegiati. Sono vincoli conformativi che si traducono in
un’azione conformata dei privati, così nella utilizzazione del bene che nella disponibilità.
Talvolta sono fissati in funzione dell’attuazione di interessi pubblici (es. vincoli ambien-
tali, vincoli artistici, vincoli urbanistici rispetto all’alienazione di edifici): comportano
l’intervento della pubblica amministrazione per il rispetto dello statuto del bene. Talaltra
sono statuiti in funzione di protezione di soggetti che hanno l’utilizzazione di specifici
beni o che dalla stessa sono stati esclusi (es. prelazione dell’affittuario coltivatore diretto
o del confinante rispetto all’alienazione di terreno agricolo).
Un’ulteriore categoria inerisce alla qualificazione assunta dai soggetti in specifici con-
testi, specie di carattere familiare 93, ovvero nell’esplicazione di specifiche attività 94.
Particolari vincoli gravano a carico di soggetti che operano in virtù di concessioni am-
ministrative (tipicamente le imprese che esercitano pubblici servizi di linea (art. 1679) 95.
I vincoli convenzionali sono voluti dalle parti a tutela di loro interessi. Spesso le
parti, per specifiche esigenze, pervengono alla conclusione del contratto in modo pro-

93
I genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui figli, il tutore e il protutore non possono, neppure
all’asta pubblica, rendersi acquirenti direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti del minore,
né possono diventare cessionari di alcuna ragione o credito verso il minore (artt. 323 e 378 c.c.). Analogamen-
te avviene con riferimento all’amministratore di sostegno rispetto al beneficiario (art. 411 c.c.) e al tutore ri-
spetto all’interdetto (art. 424 c.c.).
94
I magistrati dell’ordine giudiziario, i funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie, gli ufficiali giu-
diziari, gli avvocati, i procuratori, i patrocinatori e i notai non possono, neppure per interposta persona, ren-
dersi cessionari di diritti sui quali è sorta contestazione davanti l’autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella
cui giurisdizione esercitano le loro funzioni, sotto pena di nullità e dei danni (art. 1261 c.c.). Analogamente
non possono essere compratori nemmeno all’asta pubblica, né direttamente né per interposta persona, a pena
di nullità, gli amministratori dei beni dello Stato, dei comuni, delle province o degli altri enti pubblici, rispet-
to ai beni affidati alla loro cura, gli ufficiali pubblici, rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero; e a
pena di annullabilità, coloro che per legge o per atto della pubblica autorità amministrano beni altrui, rispetto
ai beni medesimi; i mandatari, rispetto ai beni che sono stati incaricati di vendere, salvo il disposto dell’art.
1395 (art. 1471 c.c.).
95
Ulteriori obblighi a contrarre sussistono nella legislazione speciale. Ad es. il D.Lgs. 31.3.1998, n. 114,
impone ai titolari delle attività commerciali al dettaglio l’obbligo di vendita nel rispetto dell’ordine temporale
delle richieste; l’art. 132 D.Lgs. 209/2005 (cod. assic.) impone alle imprese di assicurazione di accettare, se-
condo le condizioni di polizza e le tariffe preventivamente stabilite, le proposte per l’assicurazione obbligato-
ria della responsabilità civile che sono loro presentate.
940 PARTE VIII – CONTRATTO

gressivo attraverso la stipula di atti preliminari in vario modo impegnativi. Sono altret-
tante forme di autolimitazione dell’autonomia privata per assumere le parti, volontaria-
mente e perciò in via negoziale, specifici vincoli alla conclusione del contratto 96, sicché si
instaura una procedimentalità con la formazione progressiva del contratto. Tali vincoli
possono essere assunti da una sola delle parti o da entrambe le parti, in quest’ultimo ca-
so vincolando entrambe le parti o una sola delle stesse.
Le figure di vincoli che la tradizione ha evidenziato come le più diffuse sono la prela-
zione e l’opzione, il contratto preliminare e il divieto di alienazione. Le prime tre figure
si inseriscono nella procedimentalità contrattuale, determinando una formazione pro-
gressiva del contratto; il divieto di alienazione vincola l’autonomia contrattuale nel modo
più incisivo, escludendone l’esercizio. Peraltro anche le trattative sono in grado di inci-
dere sulla procedimentalità.
Dei vincoli relativi al regolamento contrattuale si parlerà in seguito, trattando della
integrazione del contratto (VIII, 5.6).

21. Trattative (puntuazioni, minute, lettere di intenti). – È diffusa la prassi che la


stipulazione del contratto sia preceduta da trattative, con progressivo affinamento
dell’accordo circa il risultato perseguito. La conclusione del contratto avviene mediante
un elaborato procedimento di formazione dell’accordo, durante il quale progressivamente
e con atti diversi si esprime la valutazione delle parti circa la convenienza dell’affare e la
determinazione di conclusione del contratto.
Nelle contrattazioni più elaborate si è soliti procedere con progressive puntualizza-
zioni sui profili del contratto sui quali si è raggiunto l’accordo rinviando per l’ulteriore
regolamentazione ad una successiva documentazione. In ragione del grado di comple-
tezza, tali accordi prendono il nome di puntuazione, minuta, lettera di intenti, tutti do-
cumenti con funzione preparatoria del successivo vincolo contrattuale e dell’assetto di
interessi da attuare. Talvolta contengono intese parziali in ordine al futuro contenuto
contrattuale (puntuazione di clausole); talaltra predispongono con completezza un ac-
cordo negoziale in modo provvisorio e perciò da confermare nella stesura definitiva (mi-
nuta); talaltra ancora è fissato l’intento di trattare su uno specifico oggetto con indica-
zione di massima dei termini della trattativa (lettera di intenti). Per tutte tali intese si
prospetta il problema della verifica se abbiano già conseguito un vero e proprio regola-
mento definitivo del rapporto ovvero abbiano ancora funzione preparatoria di un suc-
cessivo vincolo contrattuale; ed eventualmente se e in quale momento la progressiva
formazione dell’accordo abbia condotto alla conclusione del contratto 97. D’altra parte,

96
Talvolta sono pattuiti vincoli convenzionali di forma di un successivo contratto (art. 1352) (VIII, 4.2).
97
Nella nozione di minuta o puntuazione del contratto rientrano tanto i documenti che contengono intese
parziali in ordine al futuro regolamento di interessi tra le parti (c.d. puntuazione di clausole), quanto i docu-
menti che predispongano con completezza un accordo negoziale in funzione preparatoria del medesimo (c.d.
puntuazione completa di clausole); mentre la prima denota una presunzione iniziale di mancato accordo, salva
la dimostrazione concreta che solo a quelle clausole aveva riferimento un accordo raggiunto tra le parti, la
seconda integra una presunzione semplice di perfezionamento contrattuale, superabile dalla prova contraria
della effettiva volontà delle parti non volta all’attuale raggiungimento di un accordo: la parte o il terzo che
abbiano l’interesse a dimostrare che non si tratta di un contratto concluso ma di una semplice minuta con
puntuazione completa di clausole, hanno l’onere di superare la presunzione semplice di avvenuto perfezio-
CAP. 2 – CONCLUSIONE 941

come si vedrà, l’assenza di alcune determinazioni può essere supplita da interventi legali
in via di integrazione (es. la mancata determinazione del luogo o del tempo dell’adempi-
mento è supplita dalle disposizioni degli artt. 1182 e 1183).
Quando non emerga la formazione di un attuale accordo contrattuale, tali intese non
sono vincolanti, ma rilevano giuridicamente in funzione di una responsabilità precontrat-
tuale (par. 25). Se dalle stesse, complessivamente analizzate, si ricava un contenuto com-
piuto dell’assetto di interessi, la mancata redazione dell’atto nella sua completezza com-
porta inadempimento del contratto e non interruzione della trattativa 98.

22. La prelazione e l’opzione. – La prelazione e l’opzione sono di fonte legale o di


fonte convenzionale; in ogni caso scandiscono la formazione del contratto, inserendosi in
modo diversificato nella procedimentalità di conclusione del contratto.
a) Prelazione. Attribuisce il diritto di preferenza nella conclusione del contratto, se la
controparte intende stipulare un contratto. Ad es. il proprietario di un bene attribuisce
ad un terzo il diritto di acquistare il bene, a determinate condizioni, qualora decida di
vendere il bene. Trattasi di una procedimentalità aperta, in quanto la iniziativa della sti-
pula del contratto rimane nelle mani del titolare del diritto, che ha il solo vincolo di scel-
ta del contraente, essendo tenuto a preferire il soggetto a favore del quale è attribuita la
prelazione.
Nella prelazione legale il diritto di preferenza è accordato dalla legge. La fattispecie
fondamentale di riferimento è la prelazione successoria (art. 732 c.c.), assistita dal c.d. re-
tratto successorio, che fa da riferimento alle altre forme di prelazione 99 e non è escluso che
possano ricorrere più titoli di prelazione legale in capo allo stesso soggetto 100. Il meccani-

namento del contratto, fornendo la prova concreta della insussistenza della volontà attuale di accordo nego-
ziale (Cass. 30-1-2020, n. 2204; Cass. 11-5-2010, n. 11371; Cass. 2-2-2009, n. 2561).
98
In tema di minuta o di puntuazione del contratto, qualora l’intesa raggiunta dalle parti abbia ad oggetto
un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto, non è configurabile un impegno con funzione mera-
mente preparatoria di un futuro negozio, dovendo ritenersi formata la volontà attuale di un accordo contrat-
tuale; per tale valutazione può farsi ricorso ai criteri interpretativi dettati dagli artt. 1362 ss., i quali mirano a
consentire la ricostruzione della volontà delle parti, operazione che non assume carattere diverso quando sia
questione, invece che di stabilirne il contenuto, di verificare anzitutto se le parti abbiano inteso esprimere un asset-
to d’interessi giuridicamente vincolante, dovendo il giudice accertare, al di là del nomen iuris e della lettera del-
l’atto, la volontà negoziale con riferimento sia al comportamento, anche successivo, comune delle parti, sia alla
disciplina complessiva dettata dalle stesse, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre (Cass. 4-2-2009,
n. 2720). Il problema assume un particolare rilievo con riguardo ai contratti con la pubblica amministrazione. La
deliberazione assunta dall’organo deliberante di un ente pubblico di stipulare un contratto non ha effetti nei ri-
guardi dei terzi, in quanto semplicemente preparatoria del futuro contratto, che dovrà essere stipulato dall’orga-
no rappresentativo, mediante sottoscrizione, unitamente alle controparti, del relativo atto scritto, salvi gli even-
tuali controlli o approvazioni (Cass. 22-6-2004, n. 11601; Cass. 14-2-2000, n. 1632).
99
È accordato il diritto di prelazione ai coeredi rispetto all’alienazione di una quota o parte di quota del-
l’eredità, con diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa finché dura lo sta-
to di comunione ereditaria (art. 732). Per Cass. 23-4-2010, n. 9744, i diritti di prelazione e di riscatto in favore
del coerede postulano che l’alienazione compiuta da un altro coerede riguardi la quota ereditaria (o parte di
essa) intesa come porzione ideale dell’universum ius defuncti, e vanno perciò esclusi quando, attraverso un’a-
deguata valutazione degli elementi concreti della fattispecie, risulti che i contraenti non hanno inteso sostitui-
re il terzo all’erede nella comunione ereditaria e che l’oggetto del contratto è stato considerato come cosa a sé
stante e non come quota del patrimonio ereditario.
100
Si pensi al coltivatore diretto, ad un tempo, affittuario e proprietario del terreno confinante.
942 PARTE VIII – CONTRATTO

smo opera in ragione della posizione ricoperta da alcuni soggetti rispetto ad un bene al fine
di favorirne l’accesso (fondo rustico 101 o immobile urbano 102), oppure in funzione della
natura o collocazione del bene al fine di conservarne la destinazione (es. beni culturali) 103.
L’iniziativa dell’alienazione resta in capo al titolare del diritto, sul quale grava l’obbli-
go della denunzia al beneficiario della volontà di alienare (denuntiatio), con indicazione
del contenuto del contratto e dell’invito ad esercitare la prelazione. La prelazione è eser-
citata con la formale e tempestiva dichiarazione recettizia, da parte del prelazionario, di
volere concludere il contratto alle condizioni comunicate dal concedente; la stipula del
contratto interviene successivamente, in adempimento del rapporto obbligatorio instau-
ratosi tra le parti, in ciò risiedendo il divario con l’opzione il cui esercizio conclude il
contratto 104.
L’eventuale atto di alienazione, compiuto senza la preventiva notifica al soggetto pre-
ferito ovvero senza tenere conto dell’esercizio della prelazione, è di regola valido 105 ed
efficace tra le parti, ma inefficace verso il beneficiario, al quale è riconosciuto ex lege il
diritto di essere preferito nella alienazione 106 del diritto da parte del titolare, con connes-

101
È la c.d. prelazione agraria. Si lega al fenomeno delle c.d. proprietà private favorite, secondo il dettato
dell’art. 47 Cost. Specifici vincoli mirano a favorire l’accesso alla proprietà dei fondi rustici in favore del col-
tivatore diretto affittuario (art. 8 L. 26.5.1965, n. 590) o confinante (art. 7 L. 14.8.1971, n. 817).
102
È la c.d. prelazione urbana, che si atteggia come prelazione commerciale, con riguardo alle locazioni di
immobili urbani adibiti ad uso diverso (art. 38 L. 27.7.1978, n. 392) e prelazione abitativa in favore del con-
duttore che abita l’immobile (art. 3 L. 9.12.1998, n. 431, lett. g). C’è anche la prelazione per dismissione del
patrimonio pubblico a favore dei conduttori (prevista dall’art. 3 D.L. 25.9.2001, n. 351, conv. con L. 23.11.2001,
n. 410). Il conduttore di un immobile ad uso non abitativo, ove sia decaduto dal diritto di esercitare il ri-
scatto ex art. 38 L. 392/1978, può domandare sia al venditore che al compratore il risarcimento del danno
patito, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per effetto della decadenza, a condizione che ne dimo-
stri la rispettiva malafede, consistita nell’intento di tenerlo all’oscuro dell’avvenuto trasferimento (Cass.
29-3-2022, n. 10136).
103
È la c.d. prelazione artistica. Con riguardo al trasferimento di beni culturali, sussiste la prelazione a
favore dello Stato (Ministero dei beni culturali o della regione o di altro ente territoriale) (art. 61 D.Lgs.
22.1.2004, n. 42). In pendenza del termine di esercizio della prelazione, l’atto di alienazione rimane condizio-
nato sospensivamente all’esercizio della prelazione e all’alienante è vietato effettuare la consegna della cosa,
essendo disposta la nullità degli atti compiuti in violazione della legge (artt. 614 e 164 D.Lgs. 42/2004). Rile-
vante anche la prelazione dell’Ente parco (art. 15 L. 6.12.1991, n. 394).
104
Cfr. Cass. 28-2-2022, n. 6601, che ha fatto applicazione di tale principio in tema di locazione.
105
Per la validità dell’atto di alienazione, Cass. 24-5-2003, n. 823. Non è valida l’alienazione di beni cultu-
rali in pendenza dell’esercizio della c.d. prelazione artistica (artt. 614 e 164 D.Lgs. 42/2004).
106
È stata esclusa la sussistenza del diritto di prelazione di cui all’art. 38 L. 392/1978 (immobili locati ad
uso non abitativo) in caso di conferimento di beni in società, in quanto il conferimento non costituisce la com-
ponente di un contratto di scambio e come tale non solo non è equiparabile ad una compravendita, e, più in
generale, non rientra nel novero delle alienazioni a titolo oneroso (Cass. 17-7-2012, n. 12230). Non è configu-
rabile un “trasferimento a titolo oneroso” ai sensi dell’art. 381 della L. 392/1978, né è possibile che il titolare
del diritto di prelazione possa offrire al locatore-venditore la medesima controprestazione e le medesime
condizioni, in quanto il conferimento in società è correlato alla qualità di socio (Cass. 18-9-2008, n. 23856).
Anche con riferimento alla c.d. prelazione agraria, si è stabilito che la prelazione in favore dell’affittuario col-
tivatore di fondo rustico o del proprietario del fondo confinante non sussiste nel caso di conferimento del
fondo rustico in una società di capitali (o di cessione di quote di una tale società), non configurandosi un’a-
lienazione a titolo oneroso del fondo stesso in considerazione della natura ed infungibilità della contropre-
stazione del trasferimento del bene, costituita dall’acquisto della qualità di socio (Cons. Stato 13-3-2008, n.
1087; Cons. Stato 10-5-2007, n. 2198; conf. Cass. 29-11-2005, n. 26044). L’indirizzo non convince. Per intan-
to, l’onerosità non si traduce necessariamente nel corrispettivo di una somma di danaro ma in qualsiasi van-
CAP. 2 – CONCLUSIONE 943

so diritto potestativo di riscatto verso il terzo avente causa: la prelazione ha efficacia reale,
nel senso di essere opponibile al terzo avente causa dall’alienante, con effetto retroattivo
della sostituzione ex lege nella posizione dell’acquirente, fin dalla data dell’alienazione.
La prelazione convenzionale non ha nella legge una normativa generale; la disci-
plina più significativa è in tema di somministrazione (art. 1566), da cui possono ricavarsi
le linee guida. Con il patto di prelazione il promittente (concedente) assume l’obbligo di
preferire un soggetto (prelazionario) nella ipotesi di alienazione di un bene: il nucleo del
meccanismo della prelazione è rappresentato dal mero obbligo di denuntiatio al benefi-
ciario prelazionario. A seguito del patto, il promittente rimane libero di alienare o meno:
solo se intende alienare deve preferire, a parità di condizioni, il soggetto beneficiario del-
la prelazione. Nell’esempio fatto, il promittente, decidendo di alienare, deve comunicare
al prelazionario le condizioni propostegli da terzi o comunque a quali condizioni intende
alienare. La comunicazione non può limitarsi alla mera enunciazione dell’intenzione di
addivenire a quell’affare: la comunicazione non può limitarsi alla mera enunciazione
dell’intenzione di alienare, ma deve indicare gli elementi del contratto, sì da tradursi in
una vera e propria proposta contrattuale. Non è escluso peraltro che il patto di prelazio-
ne possa prevedere in favore del prelazionario un criterio predeterminato di favore ri-
spetto all’offerta pervenuta all’alienante (ad es. prevedendosi lo sconto di una quota per-
centuale del prezzo offerto dal terzo). Di sovente un patto di prelazione è inserito in sta-
tuti societari, vincolandosi il socio che intenda cedere la propria quota a farne preventiva
offerta agli altri soci 107. È ammessa l’assunzione di un obbligo di prelazione anche da par-
te della pubblica amministrazione 108. Il prelazionario deve dichiarare, sotto pena di deca-
denza, nel termine stabilito o in quello necessario secondo le circostanze o gli usi, se inten-
de valersi del diritto di preferenza.
Nella stipula del patto, va determinato l’oggetto del contratto per il quale si concede
la preferenza. Deve anche essere fissata la durata dell’obbligo di preferenza (per la sommi-
nistrazione non può superare i cinque anni; se è convenuto un termine maggiore, questo

taggio di carattere economico che arride al disponente di un diritto in ragione e per effetto dell’atto dispositi-
vo; pertanto anche il conferimento di beni in una società di capitali è da ricostruire come atto a titolo oneroso.
Inoltre la normativa richiamata sulla prelazione legale intende dettare un criterio di favore nell’accesso ad un
determinato bene di specifici soggetti a fronte di un atto dispositivo a titolo oneroso del disponente, conside-
rando l’accesso al particolare bene un titolo preferenziale rispetto al conseguimento di un corrispettivo. La
prelazione agraria ha peraltro una base costituzionale per favorire la Repubblica l’accesso del risparmio popo-
lare, tra l’altro, “alla proprietà dell’abitazione e alla proprietà diretta coltivatrice” (472 Cost.). In ogni caso,
pur nell’alveo dell’indirizzo richiamato, è da ritenere che debba egualmente operare la prelazione legale, con
conseguente diritto di riscatto, quando si riesca a dimostrare, attraverso l’impiego del collegamento negoziale,
che trattasi di una società di comodo che successivamente al conferimento venda il bene a terzi, così ricor-
rendo nella specie una simulazione relativa in frode alla legge, rivolta a celare la vendita del bene a terzi dietro
lo schermo del conferimento del bene in società.
107
La clausola di prelazione è opponibile erga omnes, nel solo senso dell’inefficacia, verso la società, del
trasferimento eseguito in sua violazione, potendo la società rifiutare di riconoscere quale socio l’acquirente
della partecipazione (Trib. Milano 26-2-2015).
108
Il titolare di prelazione riconosciuta da un ente pubblico con riferimento a futuri contratti relativi allo
stesso servizio non ha l’onere di partecipare alla gara, potendo all’esito legittimamente divenire aggiudicatario
del servizio allo stesso prezzo di quello risultante dalla migliore offerta presentata dai concorrenti; l’omesso
inserimento della clausola di prelazione tra le condizioni di gara integra gli estremi dell’inadempimento e
consente al titolare del diritto di agire per il risarcimento del danno (Cass. 25-9-2009, n. 20672).
944 PARTE VIII – CONTRATTO

si riduce a cinque: art. 1566): è un principio generale dell’ordinamento di non consentire


l’autolimitazione dell’autonomia privata in perpetuo o per periodi troppo lunghi (per ge-
nerali applicazioni v. artt. 1379, 2557, 2596).
È comune opinione che il patto abbia efficacia obbligatoria tra le parti e non sia oppo-
nibile ai terzi, quand’anche trascritto 109; con la conseguenza che, dalla violazione del patto,
deriva solo l’obbligo di risarcimento del danno del promittente, non consentendosi al
prelazionario l’esecuzione in forma specifica 110. Non può accedersi ad un criterio unitario
della efficacia del patto, come emergerà dall’esame della efficacia delle limitazioni conven-
zionali del potere di disposizione (VIII, 6.14).
b) Opzione. Attribuisce il diritto di conclusione del contratto, a fronte del vincolo di
stipulazione assunto dalla controparte. Ad es., a fronte dell’impegno del venditore di
alienare un bene a un determinato prezzo, è attribuito al compratore la possibilità di va-
lutarne la convenienza e di accettare o meno il contratto al prezzo stabilito. Trattasi di
una procedimentalità chiusa, in quanto una parte ha già assunto il vicolo definitivo con-
trattuale. Esiste una profonda differenza con la prelazione: il beneficiario della prelazione
ha solo il diritto di essere preferito nella eventuale stipula di un successivo contratto (ri-
manendo la iniziativa di questo in capo al promittente); invece il beneficiario dell’opzione
ha il diritto, con l’accettazione, di determinare senz’altro la conclusione del contratto.
L’opzione legale trova essenzialmente applicazione in settori dove opera la mano
pubblica. In particolari contesti, la legge fa obbligo ad enti di formulare offerta di acqui-
sto, accordando a soggetti con specifici requisiti il diritto potestativo di accettare o me-
no. La figura è talvolta utilizzata nell’accesso alla proprietà abitativa popolare. Trova ap-
plicazione in tema di società per azioni, dove è riconosciuto ai soci il diritto di sottoscri-
zione delle azioni di nuova emissione (art. 2441); coloro che esercitano il diritto di op-
zione, purché ne facciano richiesta, hanno anche il diritto di prelazione nell’acquisto del-
le azioni e delle obbligazioni convertibili che siano rimaste non optate.
Nella opzione convenzionale, con la stipula del patto di opzione le parti conven-
gono che una di esse (concedente) rimanga vincolata alla propria proposta e l’altra (op-
zionario o oblato) abbia facoltà di accettarla o meno. Essenziale è che il patto contenga il
regolamento completo del contratto da concludere, nella forma richiesta per legge 111. Si
è detto della proposta irrevocabile, come impegno unilaterale di una parte di mantenere
ferma la propria proposta per un tempo determinato, per gli effetti che ne conseguono

109
È principio consolidato che la violazione della prelazione convenzionale (diversamente da quella lega-
le) non attribuisce il diritto di retratto (Cass. 15-5-2018, n. 11741). Si è stabilito che anche la domanda giudi-
ziale volta ad ottenere l’accertamento dell’esistenza di un patto di prelazione in caso di vendita di un bene
immobile non è suscettibile di essere trascritta; a differenza del contratto preliminare, la prelazione non pre-
vede alcun obbligo di futuro trasferimento (Cass., sez. un., 23-3-2011, n. 6597).
110
La prelazione convenzionale non ha natura reale ma obbligatoria e, non essendo riconducibile alla
promessa di stipulare, è insuscettibile di esecuzione coattiva; inoltre, stante l’efficacia obbligatoria della stessa,
il mancato esercizio del diritto di prelazione non comporta la nullità degli atti compiuti e dei negozi posti in esse-
re ma dà diritto soltanto al risarcimento del danno (Cass. 18-7-2008, n. 19928; Cass. 19-5-1988, n. 3466).
111
Ad es., il patto di opzione di compravendita immobiliare impone, in forza della forma scritta richiesta
ad substantiam dagli artt. 1350 e 1351, che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi
esterni, ma idonei a consentire l’identificazione dell’immobile in modo inequivoco, se non l’indicazione dei
dati catastali o delle mappe censuarie e dei confini, quantomeno che le parti abbiano inteso fare riferimento
ad un bene determinato o comunque logicamente determinabile (Cass. 30-11-2017, n. 28762).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 945

(art. 1329) (par. 13). Con il patto di opzione il vincolo è assunto con l’accordo delle par-
ti: la parte che, con tale accordo, si vincola a mantenere ferma la proposta, mentre l’altra
ha facoltà di accettarla o meno, assume l’obbligo di tenere ferma la propria dichiarazione,
considerata come proposta irrevocabile per gli effetti dell’art. 1329 (art. 1331) 112. Il mec-
canismo è utilizzato nei settori più vari: ad es., in materia immobiliare, se un soggetto è
interessato ad un acquisto, ma non è ancora sicuro dello stesso o non ha ancora il danaro
necessario; analogamente per l’acquisto di un pacchetto di azioni di una società; è anche
molto utilizzato nel mondo del calcio in occasione del passaggio dei giocatori da una so-
cietà all’altra, quando una società è interessata ad un giocatore ma vuole verificare anche
altre possibilità. La concessione dell’opzione è di regola a titolo oneroso: un soggetto si
obbliga a mantenere ferma la proposta verso un corrispettivo, che rappresenta il prezzo
dell’opzione; ma può essere concessa anche a titolo gratuito.
Sul piano strutturale il patto di opzione è un atto bilaterale (perciò patto di opzio-
ne) finalizzato al risultato contrattuale finale; il patto di opzione deve contenere la
programmazione dell’assetto di interessi perseguito dalle parti 113. Tale struttura bilate-
rale comporta che qualsiasi modifica del patto di opzione (anche solo il termine entro
il quale l’oblato può accettare la proposta) deve provenire dalla volontà comune delle
parti, oltre che rivestire la medesima forma prescritta per il negozio finale (v. però le
aperture intervenute intorno alla modifica del preliminare, che devono considerarsi
applicabili anche all’opzione: par. 23).
Per lo stato di soggezione che caratterizza la posizione del concedente rispetto a quella
dell’opzionario nella conclusione del contratto si è soliti qualificare la situazione soggettiva
dell’opzionario come diritto potestativo. Con l’accettazione il contratto è concluso: se per
l’accettazione non è fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice (art. 13312),
secondo la regola generale dell’art. 1183. Il termine di esercizio dell’opzione segna il ter-
mine finale di efficacia del patto di opzione, sicché, scaduto tale termine, si estingue la
stessa opzione e l’opzionario non può accedere con una sua dichiarazione unilaterale al
rapporto finale: deve necessariamente rinegoziare il risultato programmato con l’opzione.
Si è propensi a ritenere che il patto abbia efficacia obbligatoria 114, con obbligo del so-
lo risarcimento del danno tra le parti per inadempimento; senza potersi opporre ai terzi,
quand’anche trascritto. Anche con riguardo all’opzione, non può accedersi a un criterio
unitario dell’efficacia del patto, come si vedrà analizzando in generale la efficacia delle
limitazioni convenzionali del potere di disposizione (VIII, 6.14).

112
È ammissibile il contratto di opzione a favore del terzo (Cass. 1-12-2003, n. 18321).
113
Il patto di opzione di vendita immobiliare impone, in forza della forma scritta richiesta ad substantiam,
l’accordo delle parti sugli elementi essenziali del futuro contratto; è necessario che dal documento risulti, an-
che attraverso il riferimento ad elementi esterni, ma idonei a consentire l’identificazione dell’immobile in mo-
do inequivoco, se non l’indicazione dei dati catastali o delle mappe censuarie e dei confini, quantomeno che
le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o comunque logicamente determinabile
(Cass. 30-11-2017, n. 28762).
114
Si è ritenuto che dal negozio preparatorio di opzione “non derivi un rapporto obbligatorio”; la senten-
za ha avuto evidentemente riguardo al rimedio della esecuzione specifica dell’obbligo a contrarre del contrat-
to preliminare: ma ciò attiene all’attuazione del rapporto obbligatorio non alla sua nascita. È invece corretto il
risultato di ritenere che, appunto in assenza di tale rimedio, con il patto di opzione “non matura il diritto del
mediatore alla provvigione” (Cass. 21-11-2011, n. 24445).
946 PARTE VIII – CONTRATTO

23. Il contratto preliminare. – È prassi diffusa che la stipula di un contratto sia pre-
ceduta da una contrattazione preliminare tra le parti, finalizzata a un futuro contratto
definitivo. Con il contratto preliminare le parti, verificata la convenienza di un affare,
intendono fermarlo stabilendo i termini essenziali dello stesso, rinviando ad un momento
successivo la stipula del contratto definitivo. È una tecnica propria dei sistemi (come
quello francese e italiano) che attribuiscono al consenso efficacia traslativa: la mediazio-
ne del contratto preliminare assicura la stabilità dell’impegno senza ancora il trasferi-
mento del diritto; è invece scarsamente impiegata nei sistemi (come quello tedesco) dove
la vendita ha solo efficacia obbligatoria, dovendo intervenire un successivo atto per il
trasferimento del diritto (VIII, 1.13).
Con il contratto preliminare si dà luogo a una anticipazione di regolazione dell’as-
setto di interessi, che si compirà con un successivo contratto: le parti assumono un ob-
bligo di realizzare una operazione, impegnandosi a concludere il contratto definitivo cui
si connettono gli effetti perseguiti dalle parti 115. Non c’è nella legge una disciplina orga-
nica, ma sussistono norme disseminate (artt. 1351, 2932, 2645 bis, 2775 bis e 2825 bis)
dalle quali è possibile trarre una raffigurazione dell’istituto; d’altronde sussistono nella
realtà economica più tipologie di contratti preliminari che variano in ragione delle se-
quenze di svolgimento delle singole operazioni.
La regolazione dell’operazione economica avviene sempre più spesso attraverso due
traiettorie (strutturale e funzionale) intrecciate: strutturalmente, si svolge una sequenza
procedimentale di più atti collegati, spesso iniziati con la proposta e l’accettazione ovvero
con una proposta irrevocabile o opzione, cui segue (eventuale preliminare di preliminare
in presenza di mediazione), un preliminare puro e infine il definitivo, anche con la previ-
sione lungo il percorso di una clausola compromissoria 116; funzionalmente, si svolge una
progressiva formazione dell’assetto economico orientato al risultato voluto 117. Ogni atto
della sequenza svolge la propria funzione nella progressione di regolazione dell’opera-
zione; il contratto preliminare si colloca in un momento della trattativa in cui è ormai de-
lineato l’affare da concludere e le pari vogliono fermarlo: ha la funzione di fissare l’affare,
indicando, a pena di nullità, l’oggetto e la causa del contratto da concludere. Vi è una
complementarietà del preliminare con il definitivo: gli effetti che si realizzano lungo la se-
quenza procedimentale sono distinti ma non autonomi, in quanto concorrenti alla realiz-
zazione della operazione.
È un’esperienza che ha avuto un diffuso sviluppo specie nel mercato immobiliare, dove
le cadenze della contrattazione si intrecciano sempre più spesso con le azioni incisive delle

115
Si è soliti anche impiegare il termine compromesso; ma questo indica, tecnicamente, l’accordo delle par-
ti di far decidere da arbitri la controversia tra loro insorta (art. 806 c.p.c.).
116
La clausola compromissoria contenuta in un preliminare di vendita sopravvive alla sua mancata ripro-
duzione nel contratto definitivo, trattandosi di negozio autonomo ad effetti processuali, avente funzione di-
stinta dal contratto preliminare cui accede; che le parti possono porla nel nulla solo mediante una manifesta-
zione di volontà specificamente diretta a tale effetto (Cass. 22-1-2020, n. 1439).
117
Nel preliminare di vendita immobiliare, per il quale è richiesto l’atto scritto come per il definitivo, è
sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi esterni idonei a consentirne
l’inequivoca identificazione, che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o comunque
determinabile, la cui indicazione può anche essere incompleta o mancare del tutto, purché l’intervenuta con-
vergenza delle volontà sia (anche aliunde o per relationem) logicamente ricostruibile (Cass. 24-10-2013, n.
24133).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 947

agenzie di intermediazione immobiliare 118. La elaborazione dello scambio si dipana attra-


verso un processo di affinamento in ragione della sostenibilità economica dell’acquisto,
della realizzazione fisica dell’immobile, della certezza di circolazione del bene, della impel-
lenza e motivazione della vendita e dell’acquisto, della verifica di conformità urbanistica.
In tale contesto il contratto preliminare, collocato tra le trattative e il contratto definitivo,
segna lo snodo dello scambio in quanto fissa impegnativamente i tratti essenziali già matura-
ti, con possibili “effetti anticipati”, e programma quelli non ancora definibili o non voluti
definire, secondo molte variabili di scambio ed esecuzione, da realizzare comunque in un
tempo predeterminato; è una tecnica frequentemente utilizzata nella vendita di edifici da
costruire o in corso di costruzione 119.
Nell’ipotesi di preliminare di vendita di immobile in comunione, è necessario il con-
senso di tutti i comunisti e che lo stesso permanga fino alla stipula del definitivo 120. Di-
verso è il preliminare di alienazione di quota, consentito al titolare per il principio di di-
sponibilità della quota (art. 1103) 121.

118
Più spesso le parti fissano nel preliminare i termini del contratto di vendita (es. immobile venduto,
prezzo della vendita, data di consegna, data di stipula del contratto definitivo, ecc.), rinviando ad un momen-
to successivo la stipula del contratto definitivo per più motivi: ad es., verificare la regolarità urbanistica del
fabbricato o la presenza di eventuali vizi di costruzione; ottenere licenze e autorizzazioni amministrative; ac-
certare la libertà dell’immobile da diritti altrui, pesi ed altri gravami; consentire alla banca mutuante il
tempo necessario all’istruttoria per l’erogazione del mutuo o di un finanziamento agevolato; accertare la
qualifica imprenditoriale o meno del venditore (per l’eventualità di fallimento dello stesso e conseguente
revocatoria fallimentare). È anche possibile stipulare un contratto preliminare con facoltà di recesso; l’im-
mobile può anche essere disponibile da subito per l’acquirente, versando un acconto o/e una caparra che
si perderà se l’affare non si conclude. Il risultato consolidato dello scambio emerge dalla complessiva regola-
zione contrattuale compiuta nei vari atti, tranne che non risulti che le parti abbiano inteso abbandonare gli
assetti gradualmente realizzati negli atti prodromici per considerarsi vincolati solo dalle determinazioni dispo-
sitive del definitivo.
119
Le vendite sono compiute “in pianta” o “su carta”, collocando le società costruttrici le unità immobi-
liari prima della realizzazione del fabbricato, al fine di finanziare (in parte) la costruzione stessa attraverso
l’anticipazione (di parte) del prezzo: la stipula del contratto definitivo è rinviata all’ultimazione del fabbrica-
to, quando è possibile la consegna delle singole unità immobiliari. Il fenomeno è stato regolato con il D.Lgs.
20.6.2005, n. 122, su cui in seguito (IX, 1.5).
120
La giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che, allorché nell’unico documento predisposto per il
negozio non risulti la volontà dei comproprietari di stipulare più contratti preliminari relativi esclusivamente
alle singole quote di cui ciascuno di essi è titolare, le dichiarazioni dei promittenti venditori, che costituiscono
un’unica parte complessa, danno luogo a un’unica volontà negoziale come un unicum inscindibile, sicché i vari
comunisti sono parti necessarie del giudizio ex art. 2932, nei cui confronti deve spiegare effetto la sentenza
costitutiva (Cass. 20-3-2006, n. 6162). Consegue ancora che la mancanza originaria o la caducazione del vin-
colo contrattuale di uno dei comproprietari preclude al promissario la possibilità di esercitare l’azione di ese-
cuzione in forma specifica nei confronti degli altri e ancora che gli atti interruttivi della prescrizione posti
nei confronti di un solo dei promittenti non hanno efficacia contro gli altri (Cass. 19-5-2004, n. 9458; Cass.
26-12-2002, n. 16678). Se il preliminare riguarda la vendita di beni i n c o m u n i o n e l e g a l e , c’è “litisconsor-
zio necessario” nel giudizio di esecuzione promosso dal promissario acquirente per l’emissione di sentenza
costitutiva ex art. 2932; per integrare il preliminare momento originario di una sequenza obbligatoria finaliz-
zata al trasferimento della proprietà, va considerato atto eccedente l’ordinaria amministrazione: pertanto,
qualora non sia convenuto anche il coniuge rimasto estraneo al preliminare, il giudizio è “nullo per mancata
integrazione del contraddittorio” (Cass., sez. un., 24-8-2007, n. 17952).
121
Si è anche propensi ad ammettere il preliminare di contratti reali. Una indicazione in tale direzione è
nell’art. 1822 che prevede la c.d. promessa di mutuo. È peraltro da rilevare che l’inadempimento dell’obbligo
di stipula del definitivo rende inattuabile il ricorso alla esecuzione specifica dell’obbligo a contrarre ex art.
2932, in quanto la sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso non potrebbe far nascere
948 PARTE VIII – CONTRATTO

a) Fattispecie e effetti. Il contratto preliminare fissa un assetto di interessi preordinato


alla stipula di un successivo contratto definitivo. È dunque necessario che contenga gli
estremi essenziali del contratto definitivo: è un’indagine di fatto stabilire se le parti ab-
biano inteso solo fissare una puntuazione del contratto o stipulare un contratto prelimi-
nare o senz’altro concludere un contratto definitivo. Non possono però le parti rimanere
indefinitamente obbligate: in assenza di previsione del termine, deve valere la disciplina
generale sul tempo dell’adempimento (art. 1183) 122; è in corso un indirizzo giurispruden-
ziale che tende a rimettere al giudice la valutazione di ragionevolezza del tempo trascorso,
anche senza una preventiva fissazione giudiziale del termine (ad es. in tema di condizione:
VIII, 3.20).
Dal contratto preliminare può derivare un obbligo di stipulazione del definitivo a ca-
rico di entrambe le parti (c.d. preliminare bilaterale), come più spesso accade; oppure un
obbligo di stipulare a carico di una sola parte (c.d. preliminare unilaterale). Il contratto
preliminare unilaterale si diversifica dall’opzione. Il patto di opzione ha in comune con il
contratto preliminare unilaterale l’assunzione dell’obbligazione da parte di un solo con-
traente, ma se ne distingue per lo svolgimento del percorso negoziale. Il preliminare uni-
laterale è un contratto perfetto e autonomo rispetto al definitivo; il beneficiario, se in-
tende avvalersene, deve stipulare un successivo contratto, e se la parte obbligata si rifiuta
deve ottenere una sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto non concluso
(art. 2932); invece l’opzione è collocata nel procedimento di formazione del contratto,
che si conclude con l’accettazione del promissario che, saldandosi con la proposta irre-
vocabile, perfeziona il contratto.
Il contratto preliminare ha una efficacia obbligatoria, sebbene assistito da una peculia-
re modalità di adempimento in forma specifica (di cui appresso) 123. Si è tradizionalmen-
te ritenuto che dal contratto preliminare derivi solo una obbligazione di facere e cioè di
stipulare il contratto definitivo 124. Sono però frequenti gli indirizzi che tendono a valo-

un’obbligazione di restituzione senza la preventiva consegna della cosa: a favore del soggetto non inadem-
piente opera solo il diritto al risarcimento del danno. Del resto l’art. 1822 prevede la promessa di mutuo al
solo fine di far funzionare l’autotutela del mutuante, consentendogli di non adempiere la sua obbligazione
quando le condizioni patrimoniali dell’altra parte sono tali da rendere notevolmente difficile la restituzione e
non gli sono offerte idonee garanzie: previsione peraltro pleonastica derivando tale autotutela già dalla regola
generale dell’art. 1461 (che evidentemente il legislatore ha ribadito per confermare la validità di un contratto
preliminare di mutuo) (cfr. Cass. 6-6-2003, n. 9101; Cass. 18-6-1981, n. 3980).
122
La regola dell’immediata esigibilità della prestazione ex art. 1183 opera con esclusivo riguardo al caso
della mancata determinazione del tempo della medesima; mentre quando il termine non sia stato fissato per
essersene rimessa l’individuazione alla volontà di una delle parti, spetta al giudice di stabilirlo secondo le cir-
costanze (Cass. 11-5-2010, n. 11371).
123
Per l’efficacia obbligatoria, la giurisprudenza, dopo una certa oscillazione, è pervenuta a considerare
valido il contratto preliminare con oggetto un immobile non conforme urbanisticamente, statuendo che la
nullità ex art. 40 L. 47/1985 attenga ai soli contratti con effetti traslativi e non anche quelli con efficacia solo
obbligatoria, quale il preliminare di vendita (Cass. 7-2-2020, n. 2909). Ove il preliminare abbia ad oggetto un
immobile irregolare urbanisticamente, al mediatore spetta egualmente la provvigione, per aver costituito tra
le parti un valido vincolo giuridico (Cass. 29-4-2020, n. 8363).
124
Stipulato il contratto definitivo, questo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al
particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco del-
la stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi
a quella del preliminare (Cass. 25-2-2003, n. 2824; Cass. 9-7-1999, n. 7206). È però da ritenere che il contrat-
CAP. 2 – CONCLUSIONE 949

rizzare la strumentalità del preliminare rispetto al conseguimento del risultato program-


mato. Essendo il contratto preliminare preordinato alla stipula del definitivo si tende ad
estendere al preliminare varie disposizioni proprie del definitivo, specialmente in materia
di vendita: ad es. è estesa al contratto preliminare la disciplina relativa alla “vendita a
corpo” (art. 1538) 125; nell’ipotesi di preliminare di vendita di cosa altrui, la giurispruden-
za ammette che il diritto si trasferisca direttamente dal terzo al promissario acquirente 126
(VIII, 2.23); è anche ammesso un preliminare di vendita di cosa futura 127. In sostanza il
preliminare fissa un regolamento prodromico e funzionale al conseguimento del risultato
realizzato dal definitivo 128, derivando così dal preliminare l’obbligo delle parti di tenere
il comportamento necessario al raggiungimento dello scopo perseguito.
Il contratto definitivo svolge una duplice funzione: attua il programma divisato con il
preliminare e completa e stabilizza il complessivo assetto di interessi perseguito 129. Di

to preliminare possa comunque costituire un parametro per l’interpretazione del contratto definitivo, ai sensi
dell’art. 13622, quando sorgano contestazioni sul significato di alcune clausole del definitivo.
125
Essendo il contratto preliminare regolato anche dalle norme integrative della disciplina del contratto,
tra le quali quella dell’art. 1538 c.c., è legittimo il rifiuto della stipulazione del contratto definitivo da parte
del promissario compratore che pretenda la riduzione del prezzo opponendo, con fondamento o, comunque,
senza colpa, che la misura reale del bene è inferiore ad un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto
(Cass. 5-9-2013, n. 20393).
126
Dalla ricostruzione che, con il preliminare di vendita nasca a carico del promittente venditore una ob-
bligazione di dare, la giurisprudenza ha tratto il corollario che, relativamente ad un preliminare di vendita di
cosa altrui, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene possa adempiere la propria obbliga-
zione “procurando l’acquisto del promissario direttamente dall’effettivo proprietario, senza necessità di un
doppio trapasso”: in tal caso il proprietario acquirente, indipendentemente dal fatto che sia consapevole o
meno dell’altruità del bene, non potrà agire per la risoluzione del contratto e per il risarcimento dei danni;
viceversa il promittente alienante continua ad essere responsabile per le garanzie per vizi ed evizione (Cass.,
sez. un., 18-5-2006, n. 11624). Vedi anche Cass. 25-7-2006, n. 16937. Il promissario acquirente non può agire
per la risoluzione prima della scadenza del termine per la stipula del contratto definitivo, in quanto il promit-
tente venditore fino a tale data può adempiere l’obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene o acqui-
standola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest’ultimo a trasferirgliela (Cass. 23-8-2007, n. 17923). V.
anche Cass. 24-7-2007, n. 16362. Nell’ipotesi in cui il terzo effettivo proprietario della cosa promessa in ven-
dita aderisca al preliminare di vendita, egli non assume alcun obbligo diretto nei confronti del promissario
acquirente, in quanto non è parte del preliminare di vendita di cosa altrui, ma assume in questo caso un ob-
bligo esclusivamente nei confronti del promittente alienante (Cass. 20-8-2014, n. 18097). Sono anche ammessi
un preliminare di acquisto per sé o per persona da nominare (Cass. 7-3-2002, n. 3328) e un preliminare a favore
del terzo (Cass. 1-12-2003, n. 18321).
127
Il preliminare di vendita di cosa futura ha come “contenuto soltanto la stipulazione di un successivo
contratto definitivo” e pertanto produttivo, dal momento in cui si perfeziona, di semplici effetti obbligatori
preliminari, distinguendosi dal contratto di vendita di cosa futura che si perfeziona ab initio ed attribuisce lo
ius ad habendam rem nel momento in cui la cosa venga ad esistenza (Cass. 1-3-2007, n. 4888).
128
Il contratto preliminare è sempre più visto come un negozio destinato a realizzare un assetto di interessi
prodromico a quello compiutamente attuato con il definitivo. Perciò si è pervenuti a stabilire che, con riguar-
do a contratti inerenti al trasferimento di diritti reali, il relativo oggetto è “non solo e non tanto un facere,
consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente predeterminata quanto alle parti e al
contenuto, ma anche e soprattutto un dare: la trasmissione della proprietà, che costituisce il risultato pratico
avuto di mira dai contraenti” (Cass., sez. un., 18-5-2006, n. 11624).
129
La causa della operazione economica proviene dall’intreccio del preliminare con il definitivo (come
negozi collegati): ognuno dei due contratti concorre alla formazione dell’operazione economica con le statui-
zioni valide che lo caratterizzano, più spesso sovrapponibili, talvolta volutamente collocate distintamente nei
due atti, specie quando solo il definitivo è trascritto. È possibile provare il carattere simulatorio del prelimi-
nare, con i limiti di prova che vi ineriscono (VIII, 3.15). Va accertata la rilevanza della invalidità di singole
950 PARTE VIII – CONTRATTO

regola il definitivo è assorbente del preliminare, tranne che le parti, per varie ragioni,
non abbiano pattuito di fare salve alcune pattuizioni del preliminare, non riprodotte nel
definitivo 130.
b) Forma e trascrizione. Per l’art. 1351 il contratto preliminare è nullo se non è fatto
nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo (c.d. forma per relatio-
nem). La norma si giustifica per la possibilità accordata a ciascuna parte di ottenere in
via giudiziaria gli effetti del contratto non concluso (art. 2932), perciò senza l’intervento
della controparte. Mancando la stipula del contratto definitivo, è esclusivamente dal con-
tratto preliminare che risulta l’intento delle parti di realizzare lo specifico assetto di inte-
ressi: è perciò necessario che, quando una forma è richiesta ad substantiam, la stessa sus-
sista già relativamente al contratto preliminare. Si è tradizionalmente ritenuto che pure la
modifica di tale preliminare sia soggetta alla medesima forma; ma più di recente si tende
ad ammettere il mancato rispetto di tale forma rispetto agli elementi accidentali del con-
tratto 131. E il discorso può valere per tutte le ipotesi di vincoli a contrarre, come prela-
zione e opzione.
La forma dell’atto ha assunto rilevanza anche ai fini della trascrizione del preliminare,
di cui ampiamente in seguito (XIV, 2.9). Con D.L. 31.12.1996, n. 669 (conv. con modif.
con L. 28.2.1997, n. 30) è stato introdotto l’art. 2645 bis che prevede la soggezione a tra-
scrizione dei contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di contratti di cui ai
nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. 2643 (cioè determinativi di vicende di diritti reali su beni immobi-
li) 132, anche se sottoposti a condizione o relativi a edifici da costruire o in corso di co-
struzione, se risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenti-

statuizioni in uno dei due contratti e il ruolo svolto nell’economia dell’intera operazione; analogamente rileva
la consapevolezza della invalidità del preliminare e la volontà di mantenere l’operazione con la stipula del
definitivo.
130
Nell’ipotesi di statuizione nel definitivo di un prezzo di vendita inferiore a quello convenuto nel preli-
minare (per chiari fini tributari), la presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può,
nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – la quale deve risultare da atto scritto,
ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contempora-
neamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel prelimina-
re, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo
(Cass. 30-8-2017, n. 20541).
131
La forma solenne non riguarda le determinazioni relative all’esecuzione del contratto: è perciò valido un
accordo verbale di differimento del termine di stipula del contratto definitivo di vendita di immobile (Cass.
25-6-2005, n. 13703). V. anche Cass. 30-3-2021, n. 8765: per quanto concerne il preliminare di vendita im-
mobiliare, la rinuncia delle parti di modificare (o di avvalersi di) uno egli elementi accidentali del negozio,
come il termine oppure una condizione, non richiede la forma scritta, sia perché detta forma è necessaria solo
quando il diritto immobiliare costituisca l’oggetto diretto e immediato della rinuncia o della pattuizione, sia
perché l’accordo delle parti in ordine alla rinuncia o alla modifica non incide su alcuno degli elementi essen-
ziali del contratto.
132
La trascrivibilità del contratto preliminare relativo a beni immobili fa emergere una profonda incon-
gruenza rispetto al preliminare di cessione di azienda per il quale non è prevista la pubblicità (L. 29.12.1993,
n. 580; D.P.R. 7.12.1995, n. 581; D.P.R. 14.12.1999, n. 558); eppure, molto spesso, il valore di un’azienda è di
gran lunga superiore a quello di un singolo immobile! Si prospetta una interpretazione analogica della norma-
tiva sulla pubblicità del preliminare, operando anche con riguardo alla vita delle imprese apposito registro di
pubblicità: l’omogeneità degli effetti perseguiti dalla pubblicità del preliminare nei due campi e la esistenza in
entrambi i campi di appositi registri di pubblicità deve orientare verso un regime unitario di tutele, secondo
un fondamentale criterio di ragionevolezza (ex art. 3 Cost.).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 951

cata o accertata giudizialmente (co. 1). Consegue che i soli contratti preliminari stipulati
con una di tali forme sono soggetti a trascrizione.
La trascrizione del contratto preliminare produce un effetto prenotativo, per cui la
trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca esecuzione del contrat-
to preliminare ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l’ese-
cuzione in forma specifica del contratto preliminare prevale sulle trascrizioni ed iscrizio-
ni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare
(co. 2). L’effetto prenotativo viene meno se entro un anno dalla data convenuta per la
conclusione del contratto definitivo e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione del
contratto preliminare non segua la trascrizione del contratto definitivo o della domanda
di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre ex art. 2652, n. 2; trascorsi i
termini indicati, gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si consi-
derano come mai prodotti (co. 2 e 3). Il medesimo regime vale con riguardo ai contratti
preliminari inerenti a porzioni di edifici da costruire o in corso di costruzione (D.Lgs.
122/2005, come modificato dal D.Lgs. 14/2019) (IX, 1.6) 133.
c) Inadempimento e tutele. Quando la parte obbligata a concludere il contratto defi-
nitivo si rende inadempiente, per non volere più stipulare il contratto definitivo, la parte
non inadempiente può ricorrere a due tipi di tutela: l’esecuzione in forma specifica e la
risoluzione del contratto.
1) Con l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre la parte in-
teressata mira alla realizzazione dell’operazione. Per l’art. 29321, se colui che è obbligato
a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, “qualora sia possibi-
le” 134 e “non sia escluso dal titolo”, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del
contratto non concluso: la sentenza tiene luogo del consenso non prestato dal soggetto
inadempiente ed ha dunque efficacia costitutiva (art. 2908) 135. Trattasi di un’azione di na-
tura personale contro l’inadempimento di un’obbligazione di facere 136 operante anche in
altre ipotesi (es. mandato ad acquistare un bene immobile o un bene mobile registrato
non ritrasferito dal mandatario al mandante: art. 17062), che permette alla parte non
inadempiente di conseguire, in via giudiziaria, quegli effetti che sarebbero dovuti deriva-
re con la stipula del successivo contratto 137. Nel contratto preliminare a favore del terzo

133
Vanno indicate la superficie utile della porzione di edificio e la quota del diritto spettante al promissa-
rio acquirente rispetto al costruendo edificio espressa in millesimi; appena l’edificio viene ad esistenza gli ef-
fetti della trascrizione si producono rispetto alle porzioni materiali corrispondenti alle quote di proprietà
predeterminate nonché alle relative parti comuni (co. 4 e 5).
134
Ad es., non deve essere stata pronunziata dichiarazione di fallimento del venditore (Cass., sez. un.,
14-4-1999, n. 239) o non deve essere intervenuto decreto di esproprio del bene (Cass. 10-3-2006, n. 5162).
135
Il principio della retroattività degli effetti della pronuncia alla data di notificazione dell’atto introdutti-
vo del giudizio non opera nei riguardi delle sentenze costitutive, fra le quali rientra quella di esecuzione speci-
fica dell’obbligo di concludere un contratto, i cui effetti si producono ex nunc, con il passaggio in giudicato
(Cass. 4-7-2003, n. 10564; Cass., sez. un., 3-7-1993, n. 7286).
136
Cfr. Cass. 25-6-2020, n. 12642 quando è stata richiesta la esecuzione in forma specifica dell’obbligo a
contrarre e non sia possibile pervenire alla relativa pronuncia per impossibilità dell’oggetto (nella specie man-
cava la necessaria documentazione urbanistica), il giudice non incorre in ultrapetizione se si limita a dichiarare
l’inadempimento del promittente venditore (Cass. 25-10-2010, n. 21844).
137
Il rimedio ex art. 2932 è applicabile a qualsiasi ipotesi dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il
consenso per il trasferimento o per la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un negozio unilaterale, sia
952 PARTE VIII – CONTRATTO

l’effetto prodotto dalla sentenza costitutiva si realizza immediatamente nei confronti del
terzo (ad es., in virtù della sentenza, il terzo diventa acquirente del bene alienato).
Se il contratto preliminare è finalizzato al trasferimento della proprietà di una cosa
determinata o al trasferimento o costituzione di altro diritto, presupposto della domanda
di esecuzione in forma specifica è la esecuzione della prestazione dovuta o l’offerta di ese-
cuzione della stessa nelle forme di legge, salvo che la prestazione non sia ancora esigibile
(art. 29322). La previsione ha la finalità di consentire l’attuazione del sinallagma del con-
tratto non concluso. La giurisprudenza tende a stemperare il rigore di tale onere, rite-
nendo sufficiente la c.d. offerta secondo gli usi (art. 1214) o addirittura la mera do-
manda di esecuzione in forma specifica del contratto contenente l’implicita volontà di
adempiere 138.
Varie questioni sono sorte relativamente al preliminare di alienazione di beni in comu-
nione legale 139. Si tende a ricondurre alla contrattazione preliminare anche i patti regolatori
della crisi coniugale che impegnano i coniugi ad atti di trasferimento: sono negozi dispositi-
vi atipici, gratuiti ma non liberali (VIII, 3.18), in quanto stipulati nell’assolvimento di do-
veri familiari, con la conseguenza che per l’attuazione di tali trasferimenti si possa dare
luogo alla esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre ex art. 2932 c.c.
La sentenza è soggetta a trascrizione quale titolo degli effetti traslativi (art. 2643, n.
14); è pure soggetta a trascrizione la domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica
dell’obbligo a contrarre, per gli effetti previsti dall’art. 26521, n. 2.
Come ogni diritto, anche il diritto alla esecuzione in forma specifica del preliminare è
soggetto alla prescrizione ordinaria, decorrente da quando il diritto può essere fatto vale-
re e cioè dalla scadenza del termine per la stipulazione del contratto definitivo 140.

in relazione a un atto o fatto dai quali detto obbligo possa sorgere ex lege (Cass. 30-3-2012, n. 5160). Il rimedio
ex art. 2932 è ammesso anche nei confronti di una società cooperativa che abbia per oggetto la costruzione di
alloggi per i soci, di fronte al “rifiuto della società di prestarsi, in concorso di tutte le circostanze richieste,
all’atto traslativo dell’immobile al socio assegnatario” (Cass. 23-5-2008, n. 13403).
138
L’offerta del pagamento del residuo prezzo della vendita deve essere effettuata formalmente solo nell’i-
potesi in cui il contratto preliminare abbia previsto che il versamento del prezzo debba avvenire in un mo-
mento antecedente alla stipula dell’atto traslativo, mentre nella ipotesi di prevista contestualità, non è neces-
saria una offerta formale, essendo sufficiente la manifestazione dell’intendimento di adempiere la contropre-
stazione, anche implicito (Cass. 28-7-2010, n. 17688). Quando, per accordo delle parti la controprestazione
debba essere eseguita al momento della stipula del contratto definitivo o successivamente, la sentenza costitu-
tiva ex art. 2932 c.c. è pronunziata indipendentemente da qualsiasi offerta ed il pagamento del prezzo o della
parte residua di esso è imposto dal giudice quale condizione dell’effetto traslativo derivante dalla sentenza
stessa (Cass. 19-4-2016, n. 7711; Cass. 4-3-2016, n. 4305; Cass. 24-8-2012, n. 1462). La disponibilità della par-
te promissaria acquirente al pagamento del prezzo residuo, manifestata nel giudizio avente ad oggetto l’esecu-
zione del preliminare ovvero la sua risoluzione, integra gli estremi del riconoscimento del diritto che interrompe
la prescrizione ex art. 2944 c.c., dovendosi attribuire tale effetto a qualsiasi atto implicante l’esistenza del debito
ed incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del soggetto attivo (Cass. 2-9-2019, n. 21947).
139
Si è stabilito che, nell’azione prevista dall’art. 2932 c.c. promossa dal promissario acquirente, per l’a-
dempimento in forma specifica o per i danni da inadempimento contrattuale, nei confronti del promittente
venditore che, coniugato in regime di comunione dei beni, abbia stipulato il preliminare senza il consenso
dell’altro coniuge, quest’ultimo deve considerarsi litisconsorte necessario del relativo giudizio, con la conse-
guenza che, qualora non sia stato integrato il contraddittorio nei suoi confronti, il processo svoltosi è da ritenersi
nullo e deve essere nuovamente celebrato a contraddittorio integro (Cass., sez. un., 24-8-2007, n. 17952).
140
Il contratto preliminare è fonte di obbligazione al pari di ogni altro contratto e il suo particolare ogget-
to (cioè l’obbligo di concludere il contratto definitivo) non esclude che l’inattività delle parti, ove si pro-
CAP. 2 – CONCLUSIONE 953

2) Con la risoluzione del contratto preliminare la parte mira alla eliminazione del-
l’operazione. È la normale azione di risoluzione del contratto per inadempimento (artt.
1453 ss.) 141. Ciò avviene ad es. quando, prima della stipula del contratto definitivo, il
promittente venditore alieni il bene oggetto di preliminare a un terzo (cui il preliminare
non sia opponibile) o non compia gli atti necessari all’alienazione (es. richiedendo le au-
torizzazioni amministrative) o non adempia un’obbligazione da eseguirsi prima del defi-
nitivo, o quando risulti certa la non conformità del bene a quello programmato o co-
munque non risulti realizzabile l’attribuzione traslativa. È possibile avvalersi dei rimedi
di autotutela: sia quelli risolutori della diffida ad adempiere, della clausola risolutiva
espressa e del termine essenziale; che quelli conservativi della eccezione di inadempi-
mento e della sospensione della prestazione per mutamento delle condizioni patrimonia-
li dell’altro contraente (VIII, 10.12).
In presenza di pagamento di una somma di danaro a titolo di caparra al momento del-
la conclusione del contratto preliminare, presumendosi la caparra come confirmativa, è
possibile avvalersi dei rimedi ex art. 13852, per cui se la parte che ha dato la caparra è
inadempiente, l’altra può recedere dal contratto ritenendo la caparra; se inadempiente è
invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio
della caparra; tranne che la parte non inadempiente sia interessata a richiedere l’esecu-
zione o la risoluzione, oltre il risarcimento del danno 142 (VIII, 7.4).
Non è rara l’ipotesi di richiesta di una parte della esecuzione specifica del contratto e
della controparte della risoluzione. Il giudice dovrà compiere una valutazione comparati-
va e unitaria degli inadempimenti addebitati dalle parti al fine di stabilire se sussista un
inadempimento che legittimi la risoluzione 143.
3) In ogni caso la parte non inadempiente ha diritto al risarcimento dei danni, in
via aggiuntiva se è conseguita la esecuzione in forma specifica, in via sostitutiva (e dun-
que in misura maggiore) se è ottenuta la risoluzione del contratto 144.
d) Preliminare a effetti anticipati. Gli effetti dispositivi conseguono di regola alla sti-
pula del contratto definitivo. Rientrando però nella competenza dell’autonomia privata
la disponibilità degli effetti, seppure nei limiti segnati dall’ordinamento, è diffusa nella

tragga per oltre dieci anni dalla scadenza del termine, sia pur non essenziale, ivi fissato, determini, a norma
degli artt. 2934, 2935 e 2946 c.c., l’estinzione del diritto medesimo, salvi gli effetti di eventuali atti interruttivi
(Cass. 22-3-2018, n. 7180).
141
In presenza di due contrapposte domande, una di esecuzione specifica del contratto preliminare e un’al-
tra di risoluzione di tale contratto per inadempimento, bisogna svolgere una valutazione comparativa e unitaria
degli inadempimenti, al fine di stabilire quale dei comportamenti sia responsabile delle trasgressioni maggiori
e causa del comportamento della controparte (Cass. 13-1-2005, n. 587; Cass. 17-2-2004, n. 2992).
142
Il promissario acquirente, dopo avere inutilmente formulato diffida ad adempiere ed instaurato il con-
seguente giudizio per l’accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, ben può, ove non ab-
bia contestualmente avanzato richiesta di risarcimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., instare per il semplice con-
seguimento del doppio della caparra versata, secondo la previsione dell’art. 1385 c.c., e sul presupposto della
risoluzione di diritto verificatasi ex art. 1454 c.c. (Cass. 27-10-2017, n. 25623).
143
Cass. 15-2-2022, n. 4929.
144
Il risarcimento del danno al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo
di vendita, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene al
momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto (cioè al tempo in cui l’inadempi-
mento è divenuto definitivo) ed il prezzo pattuito; tale differenza va rivalutata per compensare la svalutazione
intervenuta nelle more del giudizio (Cass. 28-7-2010, n. 17688; Cass., sez. un., 25-7-1994, n. 6938).
954 PARTE VIII – CONTRATTO

prassi anticipare al momento del preliminare (o comunque a prima del definitivo) alcuni
degli effetti propri del contratto definitivo (c.d. preliminare ad effetti anticipati o prelimi-
nare spurio). È così frequente che una parte del prezzo della vendita sia pagata all’atto del-
la stipulazione del preliminare e/o che la consegna del bene sia anticipata rispetto alla
stipula del definitivo.
Proprio con riguardo al conseguimento dell’anticipata disponibilità materiale del be-
ne 145 si sono appuntati i maggiori dubbi circa la tutela del promissario acquirente. Per
intanto è certo che non si determina una anticipazione dell’effetto traslativo, ma solo del-
l’adempimento della obbligazione di consegna 146. Pur configurandosi tale disponibilità
materiale come “detenzione”, esercitata alieno nomine, trattasi comunque di una deten-
zione qualificata in quanto finalizzata all’acquisizione della proprietà del bene. Deve per-
ciò riconoscersi al promissario acquirente, oltre l’azione possessoria di reintegrazione ai
sensi dell’art. 11682, una ulteriore tutela funzionale al conseguimento della proprietà:
nell’ipotesi di una difformità della cosa consegnata rispetto a quella promessa, la giuri-
sprudenza – rinvenendo nel contratto preliminare un assetto di interessi funzionale al
risultato pratico perseguito – è propensa ad accordare al promissario acquirente, anche
disgiuntamente dall’azione prevista dall’art. 2932, la tutela contrattuale per inesatta ese-
cuzione della prestazione dovuta 147 e specificamente per vizi 148 oltre che per la presenza
di pesi di carattere reale 149. L’anticipazione di tutela non esclude che il promissario ac-
quirente possa avvalersi della garanzia per vizi successivamente al trasferimento del dirit-
to nei modi e termini di legge 150. Anche protraendosi la disponibilità materiale del bene
per oltre venti anni, senza stipulare il contratto definitivo, avendo il promissario acqui-
rente cominciato ad avere la detenzione (sebbene qualificata) non può mutare il titolo in
possesso, tranne che non provi il mutamento del titolo (c.d. interversio possessionis) ai

145
Qualora il contratto preliminare preveda che il saldo del prezzo debba essere corrisposto alla conse-
gna dell’appartamento e tale consegna sia prevista in data anteriore rispetto a quella fissata per la redazio-
ne dell’atto pubblico, rientra tra le obbligazioni gravanti sul promittente venditore anche quella di allegare
il certificato di abitabilità dell’immobile contestualmente alla consegna dell’appartamento (Cass. 28-3-2001,
n. 4513).
146
Nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del con-
tratto definitivo, e, unitamente o non, il pagamento anticipato del prezzo, non si verifica un’anticipazione de-
gli effetti traslativi, bensì un rapporto tra contratti collegati (Cass. 3-7-2013, n. 16629).
147
Il promissario acquirente, che non voglia domandare la risoluzione del contratto, può agire contro il
promittente venditore per l’adempimento, chiedendo, congiuntamente o disgiuntamente all’azione ex art. 2932,
l’eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo (Cass. 26-1-2010, n. 1562; Cass., sez. un., 27-2-1985, n. 1720).
148
La presenza di vizi nella cosa consegnata prima del contratto definitivo abilita il promissario acquiren-
te (senza il rispetto del termine di decadenza ex art. 1495) sia ad opporre l’eccezione di inadempimento al
promittente venditore che chieda la stipulazione del contratto definitivo e il pagamento contestuale del
prezzo, sia a chiedere la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore
ovvero, alternativamente, la condanna dello stesso ad eliminare i vizi a sue spese o la riduzione del prezzo
(Cass. 11-10-2013, n. 23162; Cass. 15-12-2006, n. 26943; Cass. 31-7-2006, n. 17304).
149
Al promissario acquirente è attribuito il potere di ottenere la liberazione dei pesi gravanti sul bene (art.
1482), oltre che, in alternativa, di agire per la risoluzione del contratto se ricorrono gli estremi del grave ina-
dempimento (Cass. 12-3-2002, n. 3565; Cass. 1-12-2000, n. 15380).
150
Si è precisato che la consegna dell’immobile oggetto dell’accordo effettuata prima della stipula del de-
finitivo non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti né quello di prescrizio-
ne, perché l’onere della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto al pro-
missario acquirente (Cass. 17-6-2013, n. 15098).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 955

sensi dell’art. 11412, per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui
fatta contro il possessore; e ciò vale anche per i successori a titolo universale) 151.
Intervenendo la dichiarazione di nullità del contratto preliminare o la risoluzione del-
lo stesso, conseguono i comuni effetti dell’indebito oggettivo (art. 2033), con l’obbligo di
restituzione delle prestazioni eseguite. Analogamente avviene per la eventuale consegna
del bene se si determina la inefficacia del contratto preliminare per prescrizione del di-
ritto di chiedere la esecuzione dell’obbligo a contrarre 152.
e) Preliminare di immobili da costruire. È amara esperienza corrispondere un accon-
to per l’acquisto di immobile da costruire (c.d. su pianta) o in corso di costruzione e
constatare poi che l’immobile, per varie ragioni (ad es. il fallimento del costruttore), non
è costruito o comunque non ultimato.
Una tutela generale proviene dalla trascrizione anche di tale forma di contratto preli-
minare ex art. 2645 bis (di cui si è detto sopra) per l’effetto prenotativo comportante la
trascrizione.
Una tutela più incisiva, specifica per le persone fisiche, è accordata dal D.Lgs. 20.6.2005
(modificato dal D.Lgs. 12.1.2019, n. 14), con più prescrizioni: a carico del costruttore,
dell’obbligo di rilasciare una garanzia fideiussoria per gli importi ricevuti e una polizza
assicurativa per i danni all’immobile; a favore dell’acquirente, del diritto di prelazione
nell’acquisto dell’immobile se viene posto all’asta. Si parlerà ampiamente dell’articolata
tutela trattando della vendita (IX, 1.6).
f) Preliminare di preliminare. È prassi delle agenzie immobiliari fare sottoscrivere agli
aspiranti acquirenti moduli (dalle stesse predisposti) contenenti proposte irrevocabili di
acquisto o di accettazione ovvero preliminari succinti prodromici alla stipula di un com-
piuto contratto preliminare da concludere tra promittente venditore e promissario acqui-
rente. La giurisprudenza, tradizionalmente contraria al fenomeno per lo stravolgimento
della causa del contratto preliminare, prodromica e funzionale ad un assetto definitivo 153,
ha mostrato ripensamenti quando emerge la configurabilità dell’interesse delle parti a una
formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali:
valorizzando la figura della “causa concreta”, offre riconoscimento alla volontà delle parti

151
Il conseguimento della disponibilità del bene da parte del promissario acquirente ha luogo con la piena
consapevolezza dei contraenti che l’effetto traslativo non si è ancora verificato, risultando dal titolo l’altruità
della cosa; ne consegue che “deve ritenersi inesistente nel promissario acquirente l’animus possidendi, sicché
la sua relazione con la cosa va qualificata come semplice detenzione e non costituisce possesso utile ai fini del-
l’usucapione”: perché ciò avvenga è necessario l’interversio possessionis attraverso il compimento di atti in
grado di manifestare all’esterno e quindi anche al possessore l’esercizio di un potere di fatto sulla cosa nomine
proprio (Cass. 27-3-2008, n. 7930; Cass. 14-11-2006, n. 24290). Per il medesimo principio è stata esclusa l’ap-
plicabilità dell’art. 1148, relativo all’obbligo del possessore in buona fede di restituire solo i frutti percepiti
dopo la domanda giudiziale (Cass. 28-6-2000, n. 8796; Cass. 27-2-1996, n. 1533).
152
La sopravvenuta inefficacia di un contratto preliminare di compravendita, a seguito della prescrizione
del diritto da esso derivante alla stipulazione del contratto definitivo, comporta, per il promissario acquirente
che abbia ottenuto la consegna anticipata della cosa, l’obbligo di restituzione, ex art. 2033 c.c., della cosa e
degli eventuali frutti, non un’obbligazione risarcitoria per il mancato godimento del bene nel periodo succes-
sivo al compimento della prescrizione (Cass. 3-7-2013, n. 16629).
153
Si darebbe luogo ad una “superfetazione non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela,
ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente”: esclusa la validità del primo preliminare, questo è
ricostruito come una “puntuazione” destinata a fissare, senza effetto vincolante, il contenuto del successivo
negozio (Cass. 2-4-2009, n. 8038).
956 PARTE VIII – CONTRATTO

di determinare e fissare “un nucleo di interessi da trasfondere nei vari passaggi contrattua-
li”, presidiato dall’obbligo di risarcimento danni per inadempimento 154.
g) Patto di ripetizione del contratto. Contiguo ma diverso dal contratto preliminare in
senso stretto è l’accordo con il quale le parti assumono l’obbligo di ripetizione del con-
tratto concluso, perciò già definitivo ed efficace, in un contratto con forma diversa (c.d.
preliminare improprio). È un impegno di documentare un contratto già stipulato e non di
stipulare un contratto nuovo. È ad es. ricorrente, nel mercato immobiliare, che le parti
stipulino un contratto di vendita per scrittura privata ma si obblighino a rivestire il con-
tratto della forma dell’atto pubblico ai fini della trascrizione dello stesso. Gli effetti si
producono all’atto della conclusione del primo (ed unico) contratto 155. Spesso è una
questione di interpretazione stabilire se sia stato stipulato un preliminare o un definiti-
vo 156. A fronte di una tradizionale impostazione, che non ammetteva la variazione della
domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare in domanda di accertamento
del contratto concluso, per diversità di domande 157, si tende a valorizzare il c.d. petitum
sostanziale, ammettendosi il mutamento di domanda 158.

24. Il divieto di alienazione. – Diversamente dai vincoli a contrarre innanzi delinea-


ti, tendenti ad un esercizio graduale dell’autonomia contrattuale attraverso la formazione

154
La stipulazione di un contratto preliminare di preliminare, in virtù del quale le parti si obbligano a
concludere un successivo contratto che preveda soltanto effetti obbligatori (nella specie, relativo ad una com-
pravendita immobiliare), ha natura atipica ed è valido ed efficace, ove sia configurabile un interesse delle par-
ti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, perché la procedimentalizzazione delle
fasi contrattuali non può essere considerata, di per sé, connotata da disvalore, se intesa a comporre un com-
plesso di interessi che sono realmente alla base dell’operazione negoziale; la violazione di tale accordo, in
quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare una responsabilità contrattuale da inadempimento di una
specifica obbligazione sorta nella fase precontrattuale (Cass. 17-10-2019, n. 26484; Cass. 7-5-2020, n. 8638).
La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la man-
cata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto
obbligatorio assunto nella fase precontrattuale (Cass., sez. un., 6-3-2015, n. 4628). Deve emergere la differen-
ziazione dei contenuti negoziali, tale da identificare una più ristretta area del regolamento di interessi coperta
dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare (Cass. 20-3-2019, n. 7868; Cass. 17-1-2017, n. 923).
155
La successiva stipulazione, in forma di atto pubblico, di un contratto di vendita definitivamente con-
cluso dalle parti mediante scrittura privata, non vale a trasformare quest’ultimo in una promessa bilaterale di
futuro contratto, giacché la successiva redazione dell’atto pubblico assolve una funzione meramente riprodut-
tiva degli estremi del negozio (Cass. 23-8-2019, n. 21650).
156
Il carattere preliminare o definitivo di una vendita non dipende dalla pattuizione di un impegno a compa-
rire davanti a un notaio per la formazione di un atto pubblico suscettibile di trascrizione, dovendosi indagare
se le parti abbiano inteso soltanto obbligarsi all’alienazione oppure abbiano senz’altro traferito la proprietà
(Cass. 31-3-2022, n. 10364).
157
Nella domanda di esecuzione coattiva del contratto preliminare l’attore è titolare di un diritto potesta-
tivo e agisce per ottenere una sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto non concluso; nella
domanda di sentenza che accerti l’avvenuto effetto traslativo agisce quale titolare di un diritto reale e chiede
una sentenza dichiarativa che attesti che il trasferimento si è avverato (Cass., sez. un., 5-3-1996, n. 1731).
158
La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno od entrambi gli
elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così
modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che per ciò solo si de-
termini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi proces-
suali; deve ritenersi ammissibile la modifica della iniziale domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di con-
cludere un contratto in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo (Cass., sez. un., 15-6-2015, n.
12310).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 957

progressiva del contratto, il divieto di alienazione vincola in modo maggiormente incisi-


vo l’autonomia privata, escludendone l’esercizio. Indipendentemente dalla soluzione
teorica del problema se il potere di disposizione sia espressione della capacità di agire o
integri il contenuto del diritto (come noi riteniamo), il divieto di alienazione di un diritto
integra il più incisivo vincolo a contrarre del titolare del diritto.
Il divieto legale di alienazione è preclusivo della conclusione del contratto, e il
contratto concluso in dispregio del divieto è invalido. Il divieto, talvolta, è legato a esigenze
esistenziali, compenetrato nella natura del diritto 159; talaltra, è connesso a relazioni familia-
ri, connaturato alla relazione stessa 160; più spesso è connesso a interventi di ausilio pubbli-
co e tende ad assicurare l’attuazione dello scopo prefigurato: in tal caso, è sempre di carat-
tere temporaneo per non frustrare un razionale sfruttamento dei beni 161.
Il divieto negoziale di alienazione trova un’articolata disciplina nell’art. 1379,
collocato nel capo relativo agli “effetti del contratto” 162. La norma si conforma al princi-
pio di relatività del contratto, prevedendo che il divieto di alienazione, stabilito per con-
tratto, “ha effetto solo tra le parti”; il contratto non è valido se non è contenuto “entro
convenienti limiti di tempo” e se non risponde a un “apprezzabile interesse di una delle
parti”. Per l’ampiezza della formulazione, si è soliti attribuire alla norma una portata ge-
nerale 163. Si ritiene che gli specifici requisiti di validità tendono a restringere il campo di
limitazione del potere di disposizione; mentre l’efficacia solo tra le parti del divieto evita
di compromettere l’acquisto del terzo e quindi la sicurezza della circolazione giuridica.
Dalla pattuizione del divieto di alienare si fa discendere la sola efficacia obbligatoria, con

159
L’ipotesi di maggiore rilevanza, anche per il diffuso impatto sociale, riguarda la indisponibilità degli
alimenti: per l’art. 447 il credito alimentare non può essere ceduto; né l’obbligato può opporre all’altra parte
la compensazione, neppure quando si tratta di prestazioni arretrate (v. art. 1246, n. 5). In ragione dell’ineren-
za ai bisogni propri e della propria famiglia è stabilita la indisponibilità del diritto di uso e di abitazione: per
l’art. 1024 i diritti di uso e di abitazione non si possono cedere o dare in locazione.
160
Si pensi alla inalienabilità dell’usufrutto legale sui beni dei figli minori (art. 326).
161
Le disposizioni legislative di favore nell’accesso all’abitazione hanno sempre sancito il divieto di aliena-
zione dell’alloggio di edilizia economica e popolare e di edilizia residenziale pubblica per un certo numero di
anni (di regola dieci) dall’acquisto di esso o dall’assegnazione. Il vincolo dispositivo mira a preservare la fun-
zione pubblica perseguita di soddisfare esigenze abitative (almeno nel decennio successivo all’acquisizione da
parte del privato): è da ritenere che il divieto di alienazione abbracci ogni atto di trasferimento, sia a titolo
oneroso che gratuito. Anche con riguardo alla proprietà diretta coltivatrice, sono state varie le disposizioni che
hanno imposto vincoli al potere di disposizione del privato che ha acquistato il fondo con le c.d. agevolazioni
della piccola proprietà contadina.
162
Il divieto di alienazione è di sovente adottato dalle case automobilistiche, inserito nei contratti di ven-
dita delle auto ai propri dipendenti ad un prezzo inferiore di quello di mercato: il divieto di alienazione del
bene per un determinato termine evita che si formi un mercato parallelo a più basso costo.
163
Ad es. il mandato a vendere in rem propriam preclude al mandante la possibilità di alienare direttamen-
te il bene, come si desume dagli artt. 17232 e 1724; è essenziale a pena di nullità, la previsione di un termine
ultimo di durata del mandato, decorso il quale l’incarico deve intendersi cessato, attesa la disposizione di por-
tata generale dell’art. 1379, applicabile anche a pattuizioni che comportino comunque limitazioni incisive del
diritto di proprietà (Cass. 20-11-2019, n. 30246). È nullo per violazione dell’art. 1379, il legato modale con
cui il testatore abbia sottoposto un bene a un vincolo perpetuo di destinazione (Cass. 20-6-2017, n. 15240).
L’art. 1379, essendo espressione di un principio di portata generale, è applicabile anche a pattuizioni che,
come quelle contenenti un vincolo di destinazione, seppur non puntualmente riconducibili al paradigma del
divieto di alienazione, comportino limitazioni altrettanto incisive del diritto di proprietà (Cass. 17-11-1999, n.
12769; Cass. 11-4-1990, n. 3082).
958 PARTE VIII – CONTRATTO

la responsabilità per inadempimento contrattuale del soggetto promittente, che ha alie-


nato il bene in violazione del divieto.
Trattando della efficacia del contratto, si vedrà come ulteriori discipline siano dettate
per il divieto di cessione di diritto di credito, il divieto di cessione di diritti reali limitati, il
divieto di cessione di partecipazioni sociali: va ricostruito un sistema diversificato ed arti-
colato della efficacia, obbligatoria o reale, del patto di non alienazione in ragione della
natura e del collegamento funzionale degli interessi coinvolti (VIII, 6.14).

E) RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE

25. Le ipotesi tipizzate di responsabilità. – L’ordinamento valuta il comportamen-


to tenuto dalle parti durante le trattative e nella formazione del contratto, che deve in-
formarsi al principio di buona fede (art. 1337). È la c.d. buona fede oggettiva e cioè il do-
vere di lealtà e correttezza che deve caratterizzare il comportamento delle parti nella for-
mazione del contratto, che si traduce in dovere di informazione delle condizioni dell’af-
fare compiuto e delle circostanze di fatto e di diritto in cui l’affare si colloca, assicurando
trasparenza all’operazione: la violazione di tale dovere di buona fede comporta “respon-
sabilità precontrattuale” (c.d. culpa in contrahendo). E si è visto come il dovere di buona
fede è esplicativo del dovere di solidarietà che permea la relazionalità sociale (II, 7.3).
Per riferirsi il controllo al comportamento tenuto dalle parti prima della conclusione
del contratto, tradizionalmente è stata configurata come responsabilità extracontrattuale
(aquiliana) che si connette alla violazione della regola di condotta preposta al corretto
svolgimento della formazione del contratto, come violazione del principio del neminem
laedere (ex art. 2043) 164. Più di recente, nello sviluppo di un filone dottrinale di valoriz-
zazione della responsabilità da contatto sociale qualificato, è emersa la valutazione di
una responsabilità contrattuale per violazione dell’obbligo di buona fede nella relazione
sociale instaurata 165, con la conseguente applicazione della disciplina dell’inadempimen-
to contrattuale ex art. 1218 (VII, 4.2).
L’interesse protetto è quello della libertà negoziale, cioè l’interesse a non essere coin-
volti in trattative inutili e a non stipulare contratti invalidi o inefficaci. Tale interesse tro-
va ormai tutela anche nei rapporti con la pubblica amministrazione 166. Le cause che tra-
dizionalmente hanno dato luogo a responsabilità precontrattuale erano connesse alla man-

164
È giurisprudenza consolidata: Cass. 27-11-2009, n. 25047; Cass. 7-2-2006, n. 2525; Cass. 18-6-2005, n.
13164; Cass., sez. un., 9645/2001.
165
Anche la giurisprudenza è ormai su queste posizioni: la violazione della buona fede comporta inadem-
pimento di una obbligazione che dà luogo a responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, inteso
come fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 e dal quale derivano, a carico delle parti, non
obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di infor-
mazione ai sensi degli artt. 1175 e 1375, con conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione
ex art. 2946 (Cass. 12-7-2016, n. 14188).
166
Nell’ipotesi in cui la P.A. arbitrariamente coinvolga il privato in una trattativa su un piano paritetico, al
di fuori della necessaria procedura di evidenza pubblica, creando un ingiustificato affidamento poi frustrato
da pur legittimi provvedimenti di autotutela, la domanda risarcitoria formulata dal privato non deriva dalla
lesione di un interesse legittimo ma di un diritto soggettivo, deducendosi non già il cattivo esercizio del pote-
re ma la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede nel corso delle trattative, con conseguente pos-
sibilità di devolvere ad arbitri la controversia (Cass. 21-12-2020, n. 29188).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 959

cata conclusione del contratto 167 e ricondotte alle previsioni degli artt. 1337 (per ingiusti-
ficata rottura delle trattative) e 1338 (per mancata comunicazione delle cause di invalidi-
tà). Si vedrà come tali ipotesi siano ormai da considerare come specifiche espressioni del
generale principio del trattare lealmente.
a) Ingiustificata rottura delle trattative. Per l’art. 1337 le parti, nello svolgimento del-
le trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede.
La ingiustificata rottura delle trattative si ha quando le trattative si spingano fino ad un
punto di sviluppo da ingenerare nella controparte il ragionevole affidamento nella con-
clusione del contratto.
Va ribadito che, fino alla conclusione del contratto, sia la proposta che l’accettazione
sono revocabili, sebbene nei limiti fissati dall’art. 1328, sicché le parti possono sempre
evitare la conclusione del contratto fino al perfezionamento dell’accordo: però l’arbitra-
ria interruzione delle trattative, dopo avere ingenerato l’affidamento nella conclusione del
contratto, è causa di responsabilità. Ad integrare la responsabilità non è necessaria la
malafede nella interruzione delle trattative, essendo sufficiente l’assenza di giusta cau-
sa 168. A carico del danneggiato grava l’onere di provare l’affidamento suscitato dalla trat-
tativa 169; a carico del danneggiante incombe l’onere di provare la giusta causa della in-
terruzione della trattativa. Incorre in tale responsabilità anche il soggetto che, essendo a
conoscenza della impossibilità di esecuzione del contratto e dunque della inutilità della
stipulazione, non l’ha comunicata all’altra parte e successivamente ha interrotto le tratta-
tive adducendo appunto la inutilità del contratto.
È da verificare in concreto se l’affinamento delle trattative (per l’accordo su alcuni
punti dell’operazione o su altri connessi) sia pervenuto a fissare gli estremi essenziali del
contratto da stipulare: minuta, puntuazione e anche la c.d. lettera di intenti (più formale)
non sono come tali vincolanti, ma rilevano giuridicamente per l’eventuale affidamento su-
scitato, quali cause di responsabilità precontrattuale.
b) Mancata comunicazione delle cause di invalidità. Per l’art. 1338 la parte che, co-
noscendo o dovendo conoscere la esistenza di una causa di invalidità, non ne dà notizia
all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa sofferto per avere confidato senza
sua colpa nella validità del contratto.
C’è, ad un tempo, la violazione di una norma strumentale di organizzazione che

167
Un tradizionale filone giurisprudenziale era dell’avviso che la configurabilità della responsabilità pre-
contrattuale fosse preclusa dalla intervenuta conclusione del contratto (Cass. 5-2-2007, n. 2479; Cass. 16-4-1994,
n. 3621). Come si vedrà, è un indirizzo ormai superato, potendo ricorrere responsabilità anche in presenza di
conclusione del contratto.
168
Ad integrare tale fattispecie occorre il ricorso di tre presupposti: tra le parti siano intercorse trattative
per la conclusione di un contratto giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l’affidamento nella
conclusione del contratto; una delle parti abbia interrotto le trattative così eludendo le ragionevoli aspettative
dell’altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese
o a rinunciare ad occasioni più favorevoli; il comportamento della parte che recede dalla trattativa sia stato
determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo (Cass.
7-5-2004, n. 8723; Cass. 18-7-2003, n. 11243; Cass. 10-1-2013, n. 477).
169
Ai fini dell’accertamento della responsabilità precontrattuale, il giudice di merito, dopo aver individua-
to il comportamento della parte che si assume contrario ai doveri di correttezza, deve altresì considerare l’ido-
neità di tale condotta ad ingenerare nella controparte l’idea di una rottura ingiustificata delle trattative e in
tale valutazione non può prescindere dal comportamento tenuto dalla stessa parte adempiente (Cass. 12-7-2019,
n. 18748; Cass. 2-11-2010, n. 22269).
960 PARTE VIII – CONTRATTO

comporta la invalidità dell’atto, e la trasgressione di una norma materiale di protezione


che determina l’obbligo di risarcimento del danno. È bene chiarire: il ricorso di una
causa di invalidità comunque determina la nullità o l’annullabilità del contratto; però
la parte che, conoscendo o dovendo conoscere la causa di invalidità, non l’ha comuni-
cata alla controparte compie un atto illecito per lesione della libertà negoziale della
controparte. Pertanto, alla reazione dell’ordinamento sull’atto con la invalidità del con-
tratto, si aggiunge la reazione a carico del soggetto per l’illecito compiuto. Consegue
che, se entrambe le parti conoscevano o erano tenute a conoscere la causa di invalidità,
c’è invalidità dell’atto ma non c’è responsabilità per nessuna delle parti; come non c’è
responsabilità se la parte cui non è stata comunicata la causa di invalidità era comun-
que in grado di venirne a conoscenza con la diligenza (ordinaria o qualificata) che si
connette alla specifica condizione soggettiva 170; criterio utilizzato anche nei rapporti
con la pubblica amministrazione 171. C’è nell’art. 1338 un fondamentale riferimento per
la ricostruzione di un generale principio del dovere di informazione nei rapporti giuri-
dici contrattuali.
In applicazione di tale principio è da ritenere che la parte sia responsabile anche per
la mancata comunicazione di una causa di inefficacia del contratto e, a maggior ragione,
per il mancato compimento degli atti necessari alla validità o efficacia del contratto (es.
mancata richiesta di eventuali autorizzazioni amministrative) 172.

26. La clausola generale del trattare lealmente. – Più di recente la giurisprudenza


ravvisa una responsabilità precontrattuale anche in ipotesi di valida conclusione del con-
tratto, allorché vi sia violazione del principio di buona fede nel corso della formazione del
contratto, con pregiudizio della vittima del comportamento scorretto. Gli artt. 1337 e
1338 sono connessi al principio di buona fede (oggettiva), integrando una clausola ge-
nerale che impone alle parti di trattare con lealtà, con conseguente responsabilità per
violazione di tale principio.
In tal guisa l’incidenza del principio di buona fede travalica le due ipotesi tipizzate di
responsabilizzata (ingiustificata rottura delle trattative e mancata comunicazione delle

170
È giurisprudenza costante che non ricorre responsabilità per colpa in contraendo allorquando la causa
di invalidità del negozio, benché nota ad una parte e da questa taciuta, derivi da una norma di legge, per do-
vere essere questa nota per presunzione assoluta alla generalità dei contraenti: gli artt. 1337 e 1338 mirano,
infatti, a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede ingannato o fuorviato da una situazio-
ne apparente, non conforme a quella vera, e, comunque, dall’ignoranza della causa d’invalidità del contratto
che gli è stata sottaciuta; ma se vi è colpa da parte sua, potendo con l’ordinaria diligenza venire a conoscenza
della reale situazione o della causa di invalidità del contratto, le norme suddette non sono più applicabili
(Cass. 8-7-2010, n. 16149; Cass. 2-3-2006, n. 4635).
171
Cfr. Cass. 26-6-2020, n. 12836: In tema di responsabilità precontrattuale nei rapporti con la Pubblica
Amministrazione, la responsabilità ex art. 1338 c.c., a differenza di quella ex art. 1337 c.c., tutela l’affidamen-
to di una delle parti non sulla conclusione del contratto, ma sulla sua validità, sicché non è configurabile una
responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione ove l’invalidità del contratto derivi da norme
generali, da presumersi note alla generalità dei consociati e quindi tali da escludere l’affidamento incolpevole
della parte adempiente.
172
L’art. 1338 è applicabile a tutte le ipotesi di nullità, anche parziale, e di annullabilità, nonché alle ipote-
si di inefficacia del contratto, dovendosi ritenere che anche in tal caso si riscontra la medesima esigenza di
tutela delle aspettative delle parti al perseguimento delle utilità cui esse mirano mediante la stipulazione del
contratto (Cass. 8-7-2010, n. 16149).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 961

cause di invalidità), per impegnare una serie aperta di ipotesi: anche se il contratto è vali-
damente concluso, il comportamento scorretto di una parte influenza negativamente le
scelte dell’altra parte e dunque si atteggia come illecito civile con conseguente obbligo di
risarcimento danni. Il parlare chiaramente (clare loqui) è un fondamentale criterio mora-
le e giuridico di coesione sociale, che integra una clausola generale di buona fede, che si
atteggia come un obbligo a carico sia dei privati che della pubblica amministrazione, che
rispondono per comportamento scorretto. Pure nella fase precontrattuale emerge dunque
una atipicità delle fattispecie di illecito che, se generatrici di danni, sono fonti di respon-
sabilità, spettando al giudice identificare in concreto i casi in cui un danno genera re-
sponsabilità e i connessi obblighi di risarcimento. Poiché tale dovere è correlato al dove-
re di solidarietà che permea la relazione sociale, il comportamento illecito tenuto integra
una responsabilità da inadempimento di obbligo (indipendentemente dalla stipulazione
o meno del contratto e della validità dello stesso) 173. Sono state così riscontrate varie di-
rezioni di svolgimento di tale responsabilità.
È stata delineata una responsabilità per carenza di informazione circa significati-
vi profili dell’assetto di interessi, che opera indipendentemente dalla conclusione o me-
no del contratto 174. Varie discipline particolari a tutela di consumatori, risparmiatori e
clienti in genere fanno obbligo al “professionista” e comunque al soggetto che predispo-
ne il contratto di fornire specifiche informazioni precontrattuali, sì da superare l’asimme-
tria informativa tra il predisponente il contratto e il consumatore o risparmiatore o clien-
te in genere che vi aderisce. Molto spesso tali obblighi informativi sono addirittura im-
posti a pena di nullità del contratto (come in seguito si vedrà).
È stata anche delineata una responsabilità per reticenza nella conclusione del con-
tratto. Se la reticenza assume la figura del dolo omissivo il contratto è annullabile (art.
1439); se opera come dolo incidente comporta solo l’obbligo di risarcire i danni subiti
(art. 1440) (par. 11). La giurisprudenza tende a valorizzare la disciplina del dolo inci-
dente nella ricostruzione di un generale principio del trattare lealmente, connettendo a
tale comportamento la responsabilità per danni.
È stato configurato un dovere di salvaguard ia dell’interesse della controparte, nei

173
La regola dell’art. 1337 ha valore di clausola generale che assume rilievo, non solo in caso di rottura
ingiustificata delle trattative, e quindi di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contrat-
to invalido o inefficace, ma anche nel caso di contratto valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte
vittima dell’altrui comportamento scorretto; il risarcimento va commisurato al “minor vantaggio o al mag-
gior aggravio economico” rispetto alle condizioni diverse a cui sarebbe stato stipulato il contratto, senza
l’interferenza del comportamento scorretto di una delle parti e comunque avendo riguardo a tutti i danni
collegati a tale comportamento da un rapporto conseguenziale e diretto (Cass. 14-2-2022, n. 4715; Cass.
23-3-2016, n. 5762). Nel caso degli artt. 1337 e 1338 c’è un’obbligazione inadempiuta, che trova la propria
fonte nel fatto giuridico dell’instaurazione tra le parti di una trattativa precontrattuale, e che ha per ogget-
to il comportamento secondo buona fede di ciascuna di esse; si tratta di responsabilità contrattuale, ma
non da inadempimento di un contratto, bensì dalla violazione del dovere di buona fede imposto alle parti
con i connessi obblighi di informazione e di protezione (Cons. Stato 21-2-2020, n. 1314; Cass. 21-10-2013,
n. 23873; Cass. 26-4-2012, n. 6526).
174
È stato richiesto un dovere di completezza informativa circa la reale intenzione di concludere il con-
tratto, senza che alcun mutamento delle circostanze possa risultare idoneo a legittimare la reticenza o la mali-
ziosa omissione di informazioni rilevanti nel corso della prosecuzione delle trattative finalizzate alla stipula-
zione del negozio (Cass. 26-4-2012, n. 6526; Cass. 29-5-1998, n. 5297).
962 PARTE VIII – CONTRATTO

limiti di un apprezzabile sacrifico dell’interesse proprio (II, 7.6). Ed è stata altresì ravvi-
sata una responsabilità per ingiustificato ritardo nella conclusione del contratto 175.

27. I danni risarcibili. – La determinazione dei danni risarcibili è legata alla dinami-
ca dell’azione precontrattuale, risultando fondamentale se il contratto sia stato o meno
concluso. Quando il contratto non è stato concluso (è la tipica responsabilità precontrat-
tuale) si tende a limitare il risarcimento al ristoro del solo c.d. interesse negativo e
cioè dell’interesse a non iniziare trattative inutili che hanno comportato la sopportazione
di spese e la perdita di altre occasioni. Avendo riguardo alle comuni componenti del risar-
cimento alla stregua dell’art. 1223, la liquidazione del danno comprende il danno per la
perdita subita (danno emergente) e il mancato guadagno (lucro cessante), rapportati
all’interesse negativo: l’art. 1337 tutela non già l’interesse a perfezionare la trattativa quanto
quello a non iniziarla inutilmente, con perdita di occasioni favorevoli. Il risarcimento cui ha
diritto il soggetto danneggiato comprende dunque il rimborso delle spese sostenute in previ-
sione della conclusione del contratto (viaggi, corrispondenza, progetti, acquisti finalizzati al
contratto, anticipata esecuzione, ecc.) e le perdite sofferte per non avere concluso altri con-
tratti (cioè il mancato guadagno ritraibile da differenti contratti che il soggetto danneggiato
non ha coltivato o perfezionato per la stipula del contratto poi non concluso) 176; non com-
prende l’interesse positivo che pensava di trarre dal contratto stipulato, appunto perché non
c’è stata conclusione del contratto e dunque non c’è stato inadempimento contrattuale.
Quando il contratto è stato concluso nonostante la violazione del dovere di buona fede,
è possibile fare applicazione della disciplina in materia di dolo incidente (art. 1440), in
quanto il contratto è stato egualmente concluso ma a condizioni diverse, sicché il contraen-
te in malafede risponde dei danni (par. 11). In generale l’impostazione ormai diffusa, che
giustifica una responsabilità precontrattuale anche in presenza di conclusione di un con-
tratto valido, amplia la sfera del danno risarcibile fino a comprendere il maggiore aggra-
vio economico determinato dal comportamento sleale altrui 177. Sul soggetto danneggia-
to grava l’onere di provare l’illiceità del comportamento della controparte e i danni subiti.

28. La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione. – È ormai


indirizzo giurisprudenziale acquisito che anche la pubblica amministrazione è tenuta al

175
Il perfezionamento di un contratto non esclude in sé la responsabilità, ai sensi dell’art. 1337, per i dan-
ni derivati dal ritardo nella sua formazione, in violazione del principio di buona fede; a maggior ragione se
una parte è un’impresa esercente in condizione di monopolio legale, sussiste l’obbligo di non rinviarne ingiu-
stificatamente la conclusione (Cass. 16-10-1998, n. 10249).
176
Il risarcimento deve comprendere sia la perdita subita che il mancato guadagno, purché in relazione im-
mediata e diretta con la lesione dell’affidamento, e non del contratto, consistendo quindi il danno emergente
nelle spese sostenute ed il lucro cessante nelle occasioni di lavoro mancate, mentre resta, in ogni caso, escluso
quanto sarebbe stato dovuto in forza del contratto non concluso (Cass. 20-12-2011, n. 27648). Sui criteri di ri-
sarcimento del danno cfr. Cass. 13-10-2005, n. 19883; Cass. 29-9-2005, n. 19024. Per Cass. 23-2-2005, n. 3746, il
danno per lucro cessante può essere costituito anche dal pregiudizio economico derivante dalla rinunzia alla sti-
pulazione di un contratto avente contenuto diverso rispetto a quello per cui si sono svolte le trattative.
177
Il risarcimento del danno deve essere ragguagliato al minor vantaggio o al maggior aggravio economico
determinato dal comportamento tenuto dall’altra parte in violazione dell’obbligo di buona fede, salvo che sia
dimostrata l’esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosa-
mente consequenziale e diretto (Cass. 8-10-2008, n. 24795).
CAP. 2 – CONCLUSIONE 963

rispetto, durante le trattative, dei generali doveri di correttezza e buona fede, come pro-
filo della fiducia riposta dal cittadino nello svolgimento dell’attività amministrativa 178.
È una responsabilità da comportamento, anche detta pura o in senso stretto, per assu-
mere rilievo il solo comportamento tenuto dalla P.A., indipendentemente dal giudizio di
legittimità dell’atto (l’atto potrebbe essere anche legittimo) 179. Vengono in rilievo i co-
muni obblighi di correttezza e buona fede gravanti su ogni soggetto (VIII, 1.12) 180. Il
tema si è posto in particolare con riferimento all’esercizio di autotutela della P.A. di ri-
mozione dell’atto amministrativo, sia con annullamento per vizi di legittimità dell’atto sia
con revoca dello stesso per mutamento delle circostanze o rivalutazione dell’interesse
pubblico: sono provvedimenti di secondo grado ad esito eliminatorio 181; è stato anche
valorizzato il contatto sociale qualificato instaurato 182. La responsabilità ha interessato

178
In tema di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione va precisato che il nuovo le-
game che si instaura tra dovere di correttezza e libertà di autodeterminazione negoziale (che va a sostituire
l’impostazione precedente, che legava alla correttezza la tutela dell’interesse nazionale) impedisce di restrin-
gerne lo spazio applicativo alle sole situazioni in cui sia stato avviato un vero e proprio procedimento di for-
mazione del contratto o, comunque, esista una trattativa che abbia raggiunto già una fase molto avanzata, tan-
to da far sorgere il ragionevole affidamento circa la conclusione del contratto; la valenza costituzionale del
dovere di correttezza impone di ritenerlo operante in un più vasto ambito di casi, in cui, pur eventualmente
mancando una trattativa in senso tecnico-giuridico, venga, comunque, in rilievo una situazione relazionale
qualificata, capace di generare ragionevoli affidamenti e fondate aspettative (Cons. Stato 6-12-2019, n. 8347).
179
A seguito della nota sentenza di Cass., sez. un., 22-7-1999, n. 500, che ha ammesso la risarcibilità degli
interessi legittimi (X, 1.3), è stato fugato ogni dubbio circa la responsabilità precontrattuale della P.A., quan-
tunque utilizzi un procedimento di evidenza pubblica per selezionare l’altra parte, come un procedimento per
l’aggiudicazione di un appalto. La responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto della Stazione
Appaltante sussiste in relazione a tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, anche prima e a prescin-
dere dell’aggiudicazione, e può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi
comportamento successivo che risulti contrario – all’esito di una verifica da condurre necessariamente in con-
creto – ai doveri di correttezza e buona fede (Cons. Stato, ad. plen., 4-5-2018, n. 5, cit.; Cons. Stato 2-5-2017,
n. 1979; Cass. 12-5-2015, n. 9636; Cass. 3-7-2014, n. 15260). Il danno derivante dalla violazione di tali regole
è limitato al c.d. interesse contrattuale negativo, consistente nel ristoro delle spese sostenute per la partecipa-
zione alla gara e di una percentuale equitativa delle spese generali di impresa, e nel ristoro per la perdita –
adeguatamente documentata – di altre favorevoli occasioni contrattuali, con esclusione del danno c.d. curri-
culare (Cons. Stato 1-2-2013, n. 633).
180
La violazione delle norme generali dell’ordinamento civile, che impongono di agire con lealtà e correttez-
za, può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma
sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le pro-
prie scelte negoziali senza subire ingerenze illecite frutto dell’altrui scorrettezza. Affinché nasca la responsabilità
dell’amministrazione non è sufficiente che il privato dimostri la buona fede soggettiva (ovvero che egli abbia ma-
turato un affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere con-
seguenti attività economicamente onerose), ma occorrono gli ulteriori seguenti presupposti: a) che l’affidamento
incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legit-
timità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale
oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in ter-
mini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione
negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente
condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministra-
zione (Cons. Stato, ad. plen., 4-5-2018, n. 5; Cons. Stato 8-11-2017, n. 5146).
181
È rinvenibile un’ipotesi di responsabilità precontrattuale a carico dell’amministrazione, ai sensi dell’art.
1337 c.c., anche quando il ritiro in autotutela di atti prodromici alla stipula di un atto negoziale non risulti ex
se illegittimo (Cons. Stato 13-9-2018, n. 5363; Cons. Stato 20-2-2014, n. 790).
182
Si è stabilito che, in tema di contratti conclusi con la P.A., l’eventuale responsabilità di quest’ultima, in
964 PARTE VIII – CONTRATTO

anche aggiudicazioni seguite da contratto ad evidenza pubblica, ma prive dell’appro-


vazione ministeriale 183.
Diversa è la c.d. responsabilità precontrattuale per illegittimità dell’atto ammini-
strativo, c.d. spuria o in senso lato, che designa i danni cagionati da provvedimenti
illegittimi nel corso della procedura di evidenza pubblica: trattasi dell’illegittimo eserci-
zio della potestà amministrativa con conseguente lesione dell’interesse legittimo preten-
sivo al conseguimento del bene della vita. Il riferimento al carattere precontrattuale indi-
ca il legame cronologico con la fase delle trattative, restando assenti i tratti della figura
civilistica: il privato infatti non deduce la violazione del principio di buona fede bensì
l’illegittimità dell’azione amministrativa, lesiva dell’interesse legittimo corrispondente di
cui è titolare 184. Non mancano peraltro casi di cumulo delle due fattispecie.

29. La responsabilità precontrattuale degli intermediari finanziari. – Si è detto


della specificità che sta assumendo l’autonomia contrattuale nella stipulazione di con-
trattati con investitori finanziari, per lo squilibrio di posizione contrattuale (VIII, 1.9). È
diffusa la violazione di obblighi di informazione nella intermediazione finanziaria, con
particolare riguardo alla collocazione dei prodotti finanziari, in violazione di norme di
legge (specie D.Lgs. 24.2.1998, n. 58, c.d. TUIF e succ. modif.) e di regolamenti (specie
Reg. Consob 29.10.2007, n. 16190, di attuazione del D.Lgs. 58/1998, sostitutivo del
Reg. Consob 1.7.1998, n. 11522).
Da tempo ha assunto rilevanza giuridica l’assenza di informazione da parte dell’in-
termediario finanziario 185, anche se imputabile ai promotori finanziari 186. Dopo un al-

pendenza dell’approvazione ministeriale, deve qualificarsi come precontrattuale, ai sensi degli artt. 1337 e
1338 c.c., ed è inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso
come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ex art. 1173 c.c., dal quale derivano reciproci obblighi di buona
fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c., con conseguente applicabilità del ter-
mine decennale di prescrizione sancito dall’art. 2946 c.c. (Cass. 12-7-2016, n. 14188, cit.).
183
Nei contratti conclusi con P.A. l’efficacia dei contratti è subordinata all’approvazione ministeriale, ai
sensi dell’art. 19 R.D. 18.11.1923, n. 2440; se pertanto l’approvazione non sopraggiunge si dà luogo a respon-
sabilità precontrattuale della P.A. ai sensi degli artt. 1337 e 1338 (Cass. 12-7-2016, n. 14188, che peraltro con-
figura come responsabilità contrattuale da contatto sociale).
184
I confini tra i due rimedi sono bene delineati da Cons. Stato 27-11-2012, n. 5993.
185
L’obbligo informativo che grava sull’intermediario ha una connotazione di specificità e deve sostan-
ziarsi nella rappresentazione, all’investitore, della natura, della quantità e della qualità dei prodotti finanziari,
oltre che nella formulazione delle indicazioni atte a dar conto della loro rischiosità (Cass. 21-4-2016, n. 8089).
In particolare – è stato sottolineato – “l’obbligo informativo ha ad oggetto la natura e le caratteristiche pecu-
liari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto, la precisa indivi-
duazione del soggetto emittente, il rating nel periodo di esecuzione dell’operazione ed il connesso rapporto
tra il rendimento e il rischio” (Cass. 26-1-2016, n. 1376; Cass. 31-5-2017, n. 13765). Si è rilevato: “la dichiara-
zione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto, in ordine alla propria consape-
volezza circa le informazioni ricevute sulla rischiosità dell’investimento suggerito e sollecitato dalla banca e
della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo di investitore, pur non costituendo dichiarazione con-
fessoria (in quanto rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fat-
to obiettivo), può comprovare l’avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione incombenti sull’inter-
mediario” (Cass. 29-1-2019, n. 2472). È una decisione che non si condivide: nelle collocazioni di prodotti fi-
nanziari è una clausola di stile che viene fatta normalmente sottoscrivere e della quale non bisognerebbe tene-
re conto. L’informazione va invece delineata e provata dall’intermediario (art. 23 D.Lgs. 58/1998).
186
L’intermediario risponde per i danni arrecati a terzi dai promotori finanziari nello svolgimento delle
CAP. 2 – CONCLUSIONE 965

terno percorso la giurisprudenza, valorizzando una tradizionale dicotomia tra “regole di


comportamento” nella contrattazione e “norme di validità” della struttura dell’atto, ten-
de a mantenere l’assenza di informazione nell’ambito della responsabilità precontrattua-
le, come violazione di regole di condotta, espressive della clausola generale del “trattare
lealmente” 187, indipendentemente dalla conclusione o meno del contratto. E invece una
interpretazione coerente con i rapporti di forza che si realizzano nel mercato finanziario
dovrebbe accedere ad una configurazione della nullità del contratto per violazione della
forma dell’informazione (VIII, 4.1). Peraltro l’obbligo informativo non può ritenersi
esaurito con la sola redazione del profilo soggettivo del cliente; i dati raccolti devono es-
sere integrati e correlati con la compiuta informazione sui singoli titoli oggetto di acqui-
sto e con la puntuale valutazione di adeguatezza dell’investimento agli obiettivi formulati
dall’investitore 188.
La recente esperienza dei mercati finanziari ha fatto emergere la rilevanza del c.d.
contratto quadro di intermediazione finanziaria (anche detto contratto quadro per la ne-
goziazione di strumenti finanziari) assimilabile al contratto normativo con il quale (nel
contratto predisposto dall’intermediario) si regola la successiva attività delle parti e gli
ordini di investimento impartiti dal risparmiatore. È giurisprudenza ormai unanime che,
a parte i vizi specifici dei singoli ordini di investimento, i vizi del contratto quadro si ri-
flettono sul regime degli ordini impartiti: il contratto quadro va adeguato ai mutamenti
della normativa di settore che intervengono nel tempo, risultando altrimenti affetto da
un vizio sopravvenuto di nullità.

incombenze loro affidate purché il fatto illecito del promotore sia legato da un nesso di occasionalità necessa-
ria con l’esercizio delle mansioni cui sia adibito (Cass. 10-11-2015, n. 22956).
187
La giurisprudenza, dapprima, aveva delineato una responsabilità per inadempimento contrattuale ex
art. 1218, soluzione confortata dalla disciplina dell’art. 236 D.Lgs. 58/1998, che ha appunto riguardo a “giu-
dizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli ac-
cessori”; poi ha preso a dichiarare la nullità del contratto o dell’ordine di acquisto, ravvisando nella omissione
delle indicazioni la contrarietà ad una normativa imperativa (c.d. nullità virtuale ex art. 14181). Successiva-
mente ha abbracciato una tesi eclettica: “La violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta ese-
cuzione delle operazioni, che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di inve-
stimento finanziario, può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento
dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto
d’intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può, invece, dar luogo a responsabilità
contrattuale ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni ri-
guardanti operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d’intermediazio-
ne finanziaria in questione” (Cass., sez. un., 19-12-2007, nn. 26724 e 26725).
188
Il fenomeno è particolarmente rilevante rispetto a quelle tecniche contrattuali insidiose di dissociazione
del regolamento contrattuale con le quali si fa sottoscrivere una fittizia polizza di assicurazione sulla vita men-
tre nel prospetto informativo si delinea un effettivo prodotto finanziario rischioso e senza garanzia di rimbor-
so del premio assicurativo corrisposto dal risparmiatore.
CAPITOLO 3
CONTENUTO

Sommario: 1. Determinazione del contenuto contrattuale. L’assetto di interessi. – A) OGGETTO. – 2.


Nozione. – 3. Requisiti dell’oggetto. Il contratto incompleto. – 4. Beni futuri. – B) CAUSA. – 5. Evo-
luzione del concetto di causa. La causa concreta. – 6. Il tipo contrattuale. – 7. Assenza di causa e
astrazione dalla causa. – 8. Causa illecita. – 9. Il contratto in frode alla legge. – 10. Motivi. – 11. La
presupposizione. – 12. Combinazione di fasci di prestazioni: contratto complesso (specie misto) e
collegamento negoziale. – 13. Simulazione. L’accordo simulatorio. – 14. Segue. Regime e effetti del-
la simulazione (tra le parti e verso i terzi). – 15. Segue. Azione di simulazione e prova della simula-
zione. – 16. Negozi indiretti e fiduciari. – 17. Il trust. – 18. Le dicotomie fondamentali. – C) ELE-
MENTI ACCIDENTALI. – 19. L’ampliamento del contenuto contrattuale. – 20. Condizione. Caratteri e
tipi. – 21. Segue. Pendenza della condizione ed avveramento. – 22. Termine. – 23. Onere.

1. Determinazione del contenuto contrattuale. L’assetto di interessi. – Si è visto


come la volontà negoziale, espressione di libertà e forza vitale di azione, è orientata al
perseguimento di uno scopo, determinativo di un assetto di interessi (il voluto). L’ac-
cordo esprime la tensione concorde delle parti verso un risultato, determinativo del con-
tenuto del contratto, espressivo della volontà negoziale attuata. Il contenuto fissa l’as-
setto di interessi voluto dalle parti ed è dunque il punto di riferimento dell’accordo.
Nel contenuto confluiscono clausole di diversa ispirazione e di differente rilevanza ri-
spetto all’assetto di interessi avuto di mira. Comunemente convivono narrative di ante-
fatti, esplicazioni di motivazioni, determinazioni propriamente dispositive dell’assetto di
interessi, clausole di stile, regolazioni dell’esecuzione e misure rafforzative della stessa.
Sono le determinazioni dispositive a segnare principalmente il regolamento di interessi,
ma la reale portata di questo emerge dall’intero contenuto contrattuale, considerato nel
suo insieme.
Le determinazioni dispositive, talvolta, ripetono tratti tipici di contratti nominati (ad
es., nella vendita, lo scambio del trasferimento del diritto verso il pagamento del prezzo:
art. 1470); talaltra, arricchiscono o modificano tipi legali. Si ricorderà come, per la nor-
ma fondamentale sull’autonomia contrattuale, le parti possono liberamente determinare
il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge (art. 13221). Possono anche con-
cludere contratti che non appartengono ai tipi disciplinati dalla legge, purché diretti a
realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 13222).
Il contenuto del contratto si connette specificamente a due elementi essenziali del
contratto (oggetto e causa), distintamente enumerati dall’art. 1325 e autonomamente
disciplinati dagli artt. 1346 ss. e 1343 ss. come requisiti di validità del contratto (VIII,
1.3). Oggetto e causa sono destinati ad integrarsi nella determinazione dell’assetto di in-
CAP. 3 – CONTENUTO 967

teressi e del programma contrattuale, indicando rispettivamente attribuzioni e funzione


del regolamento contrattuale: la mancanza o anomalia di uno di tali elementi si comuni-
ca al contenuto del contratto, producendo la nullità del contratto.
Profili principali del contenuto del contratto sono anche quelle determinazioni con le
quali si manovrano gli effetti del contratto, subordinandone la verificazione o la caduca-
zione all’avveramento di un evento (condizione) o collocandone la produzione nel tem-
po (termine) (c.d. elementi accidentali).
Di regola i contratti contengono precetti volti a regolare direttamente e nell’imme-
diatezza i rapporti tra le parti. Esistono però contratti che apprestano un regolamento da
valere per i futuri rapporti tra le parti: sono i c.d. contratti normativi (o contratti quadro),
con i quali le parti dettano le regole impegnative per i successivi contratti che si conclu-
deranno tra le stesse (es. contratti collettivi di lavoro o contratti normativi di servizi).

A) OGGETTO
2. Nozione. – L’art. 1325, n. 3, indica l’oggetto come requisito essenziale del con-
tratto, la cui mancanza comporta la nullità del contratto (art. 1418). È dunque un ele-
mento essenziale (costitutivo) del contratto, di cui però la normativa che lo regola
(artt. 1346-1349) non fornisce la nozione.
Da tempo è dibattuta la qualificazione giuridica dell’oggetto del contratto: da alcuni
è riferita al bene materiale esterno all’atto; da altri è ricondotta all’interno dell’atto per
indicare vuoi la materia o gli interessi cui ha riguardo il contratto, vuoi la rappresenta-
zione ideale del risultato perseguito. È preferibile muovere dalla indicazione del codice
civile che lo regola: gli artt. 1348 e 1349 parlano espressamente di “prestazione dedotta
in contratto”; emerge il riferimento alle prestazioni dedotte dalle parti nel contratto. Poi-
ché il termine “prestazione” ha specifico riguardo all’obbligazione (art. 1174), una no-
zione complessiva dell’oggetto deve essere posta in relazione all’insieme delle attribuzio-
ni dedotte nel contratto. Significativamente l’art. 1470 definisce la vendita come il contratto
che ha ad oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di altro di-
ritto verso il corrispettivo di un prezzo; l’art. 1571 definisce la permuta come il contratto
che per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose o di altri diritti.
È significativo il divario con il cod. civ. del 1865. Per il codice abrogato il contratto
aveva ad oggetto cose (art. 1116 c.c. abr.) per assolvere in quel codice il contratto es-
senzialmente la funzione di circolazione della ricchezza proprietaria: significativamente
prevedeva la norma che “le sole cose che sono in commercio possono formare oggetto di
contratto”. Nel cod. civ. del 1942 il contratto ha ad oggetto prestazioni (art. 1349), quale
comportamento caratteristico di un’economia fondata sull’attività di impresa.

3. Requisiti dell’oggetto. Il contratto incompleto. – L’oggetto del contratto deve


essere possibile, lecito, determinato o determinabile (art. 1346). Sono altrettanti requisiti
dell’oggetto che si riverberano sui caratteri della prestazione (VII, 1.7). La mancanza di
uno di essi comporta la nullità del contratto (art. 1418); però degli stessi manca una no-
zione specifica, che pertanto bisogna ricavare dal sistema.
a) Possibilità. Indica la suscettibilità di esecuzione delle attribuzioni dedotte nel
contratto e perciò la idoneità dell’atto a realizzare lo scopo programmato. La possibi-
968 PARTE VIII – CONTRATTO

lità deve essere sia materiale che giuridica: quindi l’attribuzione deve essere, non solo
fisicamente eseguibile, ma anche giuridicamente realizzabile nel senso che non deve
essere vietata dall’ordinamento. Ad es., ha un oggetto impossibile la vendita di un
bene demaniale, per la previsione dell’art. 823 che i beni del demanio pubblico sono
inalienabili e di regola non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi. Come
ha un oggetto impossibile la cessione di parcheggio realizzato ai sensi dell’art. 9 L.
24.3.1989, n. 122, separatamente dall’unità immobiliare alla quale è legato da vincolo
pertinenziale 1.
La possibilità dell’attribuzione non deve essere necessariamente attuale al momento
della conclusione del contratto, potendo anche sopravvenire: essenziale è che esista al
momento della sua efficacia. Tale indicazione si ricava da due precise regole: per l’art.
1347, il contratto sottoposto a condizione sospensiva o a termine è valido se la prestazione
inizialmente impossibile diviene possibile prima dell’avveramento della condizione o del-
la scadenza del termine; per l’art. 1348, la prestazione di cose future può essere dedotta
in contratto, salvi i particolari divieti della legge (es. con riguardo alla donazione di cose
future: art. 7711). In sostanza il contratto deve avere ad oggetto attribuzioni realiz-
zabili, riferite a cose presenti o future (tranne specifici divieti di legge) 2. Se la presta-
zione diventa impossibile successivamente alla conclusione del contratto, si determinano
anomalie del rapporto contrattuale e non più dell’atto (artt. 1256 e 1463), con inattua-
zione del contratto (VIII, 10.1). In questa sede ci stiamo occupando della impossibilità
originaria che comporta la nullità del contratto.
b) Liceità. In assenza di una autonoma qualificazione normativa, bisogna accedere
alle previsioni in tema di causa e condizione (artt. 1343 e 1354), che forniscono la no-
zione di illiceità. Al pari di causa e condizione, anche l’oggetto è dunque illecito quan-
do è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume 3 (par. 8). Il
tema della illiceità dell’oggetto è da tempo analizzato in ragione della conformità urba-
nistica dell’immobile trasferito: con riguardo all’alienazione di edifici abusivi, è emerso
il divario tra c.d. nullità formale (per assenza di menzione nel contratto di vendita del
titolo abilitativo) e nullità sostanziale (per assenza di conformità urbanistica dell’im-
mobile venduto), composto in favore della prima tesi in modo formalistico dalle se-

1
La nullità ipso iure degli atti di cessione di aree destinate a parcheggio, conclusi in violazione dell’art. 95,
L. 24.3.1989, n. 122, discende dal combinato disposto degli artt. 1418 e 1346 c.c., trattandosi di parcheggi
soggetti a vincolo di destinazione ed a vincolo di inscindibilità dall’unità principale, cioè “a utilizzazione vin-
colata” e, al tempo stesso, “a circolazione controllata” (Cass. 16-2-2012, n. 2248).
2
La vendita di un terreno per consentire all’acquirente una utilizzazione edificatoria, al momento non
permessa dagli strumenti urbanistici, e venga quindi sottoposta alla condizione sospensiva della futura appro-
vazione di una variante di detti strumenti che contempli quell’utilizzazione, non è affetta da nullità, né sotto il
profilo dell’impossibilità dell’oggetto, né sotto il profilo dell’impossibilità della condizione, dovendosi ritene-
re consentito alle parti di dedurre come condizione sospensiva anche un mutamento di legislazione o di nor-
me operanti erga omnes, salva restando l’inefficacia del contratto in conseguenza del mancato verificarsi di
tale mutamento (Cass. 12-2-2014, n. 3207).
3
L’oggetto del contratto è stato considerato illecito allorché concerne cose o fatti di rilevanza patrimonia-
le che per la loro stessa tipologia, così come contemplata dalle parti, siano insuscettibili di commercio per
contrarietà all’ordine pubblico, al buon costume o a norme imperative: la vendita di titoli del debito pubblico
negoziati come genuini che, una volta individuati, risultino essere falsi, non è nulla, ma è inadempiuta per
consegna di aliud pro alio, con la conseguenza che l’acquirente ha azione di risarcimento del danno ai sensi
dell’art. 1218 c.c. verso l’alienante (Cass. 24-9-2013, n. 21829).
CAP. 3 – CONTENUTO 969

zioni unite 4; la problematica si è proposta anche con riferimento all’appalto di costru-


zione di immobili privi delle autorizzazioni amministrative 5, mentre è stata esclusa ri-
spetto alla locazione 6.
c) Determinatezza o determinabilità. Indica la sostanza delle attribuzioni dovute, a
presidio della serietà dell’impegno stretto, non potendo sussistere un accordo contrat-
tuale se non vi è effettiva conoscenza degli impegni assunti. È dunque necessario che il
contratto abbia ad oggetto attribuzioni determinate ovvero contenga criteri definiti di de-
terminabilità delle attribuzioni. Bisognerà tenere conto dei comuni criteri di adeguatezza
dei criteri rappresentativi dell’oggetto, utilizzati secondo il generale principio di buona
fede nel particolare contesto 7.
Talvolta è la legge ad apprestare i fattori di determinazione dell’attribuzione: si pensi
alla vendita di cose aventi un prezzo di borsa o di mercato, dove il prezzo è desunto dai
listini o dalle mercuriali del luogo in cui deve essere eseguita la consegna, o da quelli del-

4
Per Cass., sez. un., 22-3-2019, n. 8230, la nullità comminata dall’art. 46 D.P.R. 380/2001 e dagli artt. 17
e 40 L. 47/1985 va ricondotta nell’ambito del co. 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declina-
zione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi un’unica fattispecie
di nullità volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile,
titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile; in presenza nel-
l’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il
contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al
titolo menzionato. Manca un’attenzione ai valori coinvolti dalla circolazione immobiliare, non cogliendosi
l’evoluzione del diritto vivente e perciò non recependosi il disvalore espresso dall’ordinamento rispetto al
fenomeno dell’abusivismo edilizio, assumendo nella modernità l’ambiente e il territorio ragioni di esplicazio-
ne della persona umana di rilevanza costituzionale.
5
Alla stregua dell’art. 291 D.P.R. 380/2001 l’appaltatore è tenuto a verificare la conformità dell’opera a ta-
le normativa, alle previsioni di piano, a quelle del titolo abilitativo e alle sue modalità esecutive; ove l’edificio
realizzato sia radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie, l’opera è da equiparare a quel-
la posta in essere in assenza di concessione, con conseguente nullità del contratto per illiceità dell’oggetto e
violazione di norme imperative; quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto, tale nullità
non sussiste (Cass. 27-11-2018, n. 30703).
6
Il carattere abusivo dell’immobile o la mancanza di certificazione di abitabilità non importa nullità del
contratto locatizio, non incidendo i detti vizi sulla liceità dell’oggetto del contratto ex art. 1346 c.c. (che ri-
guarda la prestazione) o della causa del contratto ex art. 1343 c.c. (che attiene al contrasto con l’ordine pub-
blico), né potendo operare la nullità ex art. 40 L. 471985 (che riguarda solo vicende negoziali con effetti rea-
li): ne consegue l’obbligo del conduttore di pagare il canone anche con riferimento alla locazione di un immobile
avente i caratteri suddetti (Cass. 28-10-2019, n. 27485).
7
Ad es., in tema di appalto, per la determinazione dell’oggetto, non è necessario che l’opera sia specificata
in tutti i suoi particolari, ma è sufficiente che ne siano fissati gli elementi fondamentali; eventuali deficienze
ed inesattezze riguardanti taluni elementi costruttivi non costituiscono causa di nullità, quando non siano ri-
levanti ai fini della realizzazione dell’opera e non ne impediscano l’agevole individuazione, nella sua consi-
stenza qualitativa e quantitativa, mediante il ricorso ai criteri generali della buona tecnica costruttiva ed alle
c.d. regole d’arte, le quali devono adeguarsi alle esigenze e agli scopi cui l’opera è destinata (Cass. 8-1-2020,
n. 133). Nelle gare pubbliche, con riguardo all’avvalimento tecnico-operativo di requisiti di capacità tecnica e
professionale, la specifica indicazione dei mezzi aziendali messi a disposizione per l’esecuzione dell’appalto è
necessaria a pena di esclusione: i mezzi, il personale, il know-how, la prassi e tutti gli altri elementi aziendali
qualificanti in relazione all’oggetto dell’appalto ed ai requisiti per esso richiesti dalla stazione appaltante sono
indispensabili per rendere determinato l’impegno dell’ausiliario tanto nei confronti di quest’ultima che del
concorrente aggiudicatario, risultando l’indicazione contrattuale degli elementi in questione necessaria per
definire l’oggetto dell’avvalimento ai sensi dell’art. 1346 c.c.; donde la nullità (strutturale) del contratto mede-
simo ex art. 14182 laddove risulti impossibile individuare un’obbligazione assunta dall’ausiliario su un oggetto
puntuale e che sia coercibile per l’aggiudicatario (Cons. Stato 7-5-2019, n. 2917).
970 PARTE VIII – CONTRATTO

la piazza più vicina (art. 14742); si pensi anche alla esperienza degli appalti pubblici, do-
ve, oltre al capitolato speciale relativo al singolo rapporto, opera il c.d. capitolato genera-
le d’appalto 8; nei contratti bancari, l’art. 1176 D.Lgs. 386/1993 (TUB) considera nulle e
non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di
interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati 9. Esistono poi ipotesi di integra-
zione legale del contratto (es. la determinazione della qualità delle cose di genere ex
art. 1178).
La problematica impegna la necessità di identificazione d el b ene , come riferi-
mento del diritto disposto con il contratto e perciò essenziale fattore di determinazio-
ne dell’attribuzione; per la vendita di immobili c’è la specifica necessità di individua-
zione dell’immobile sul territorio, anche per la rappresentazione nei registri immobi-
liari (XIV, 2.2) 10, semplificata per il contratto preliminare 11. Per i contratti con forma

8
Per l’art. 1 D.M. 19.4.2000, n. 145 (Regolamento recante il capitolato generale d’appalto dei lavori pub-
blici), il capitolato generale d’appalto contiene la disciplina regolamentare dei rapporti tra le amministrazioni e
i soggetti affidatari di lavori pubblici. Le disposizioni del capitolato generale devono essere espressamente
richiamate nel contratto di appalto; esse si sostituiscono di diritto alle eventuali clausole difformi di contratto
o di capitolato speciale, ove non diversamente disposto dalla legge o dal regolamento.
9
Il requisito della necessaria determinazione scritta degli interessi ultralegali, prescritto dall’art. 1284, può es-
sere soddisfatto anche per relationem, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché
obbiettivamente individuabili. È tuttavia insufficiente a tale scopo la clausola che si limiti ad un mero riferimento
“alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza”, o espressioni analoghe, poiché non
consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi: la
conoscenza successiva del saggio applicato non vale a sanare l’originario vizio di nullità della pattuizione, per
carenza del requisito della determinabilità (Cass. 2-10-2003, n. 14684; Cass. 18-4-2001, n. 5675).
10
L’identificazione dell’immobile è la rappresentazione della identità fisica e giuridica dell’immobile og-
getto del diritto venduto. Per l’art. 2826 (come novellato dall’art. 13 L. 27.2.1985, n. 52), richiamato dall’art.
2659, l’immobile deve essere specificamente designato con l’indicazione della sua natura, del comune in cui si
trova, nonché dei dati di identificazione catastale; per i fabbricati in corso di costruzione devono essere indica-
ti i dati di identificazione catastale del terreno su cui insistono. La norma, pur riferita alla costituzione di ipo-
teca, trova generale applicazione in virtù del richiamo operato dall’art. 2659, n. 4, in tema di trascrizione.
I dati catastali non hanno valore determinante rispetto al contenuto descrittivo del titolo ed ai confini in-
dicati nell’atto, ad eccezione del caso in cui le parti ad essi abbiano fatto esclusivo riferimento per individuare
l’immobile, e manchi un qualsiasi contrasto tra gli stessi ed i confini del bene (Cass. 26-4-2010, n. 9896). La
indicazione dei tre confini (richiesta dall’art. 29 L. 52/1985, al fine della trascrizione dell’atto), non è essenzia-
le nella determinazione dell’oggetto, per la quale può essere sufficiente, nel contratto, l’indicazione dei suoi
dati catastali ed il riferimento alle mappe censuarie (Cass. 20-3-2006, n. 6166). Si è però chiarito che “Ai fini
dell’individuazione dell’immobile oggetto di una compravendita immobiliare, l’indicazione dei confini – i
quali, concernendo punti oggettivi di riferimento esterni, consentono la massima precisione – assume valore
decisivo e prevalente rispetto alle altre risultanze probatorie, ed in particolare ai dati catastali che, avendo tra
l’altro finalità di natura tributaria, hanno carattere sussidiario” (Cass. 24-4-2007, n. 9857). Qualora le parti
abbiano fatto riferimento al frazionamento allegato all’atto di vendita, detto frazionamento, espressivo della
volontà negoziale, costituisce il dato primario per l’esatta identificazione del bene trasferito, in quanto la sua
specificità non lascia margini di incertezza nella determinazione dei relativi confini (Cass. 24-2-2004, n. 3633).
11
Ai fini della validità del contratto preliminare, risulta sufficiente l’accordo delle parti sugli elementi es-
senziali; nel preliminare di vendita immobiliare, per il quale è richiesto ex lege l’atto scritto come per il defini-
tivo, è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il rimando ad elementi esterni ma idonei a con-
sentirne l’identificazione in modo inequivoco, che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene deter-
minato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi
richiesti per il definitivo, può altresì essere incompleta o mancare del tutto, purché l’intervenuta convergenza
delle volontà risulti, sia pure aliunde o per relationem, logicamente ricostruibile (Cass. 10-5-2018, n. 11297;
Cass. 1-2-2013, n. 2473; conf. Cass. 14-12-2012, n. 23162). L’oggetto di un contratto preliminare di vendita
CAP. 3 – CONTENUTO 971

solenne c’è la necessità che i criteri di identificazione del bene risultino dall’atto 12; pro-
blematica che impegna fortemente la responsabilità notarile 13.
Si dà luogo a contratto incompleto, quando manca una compiuta determinazione del-
l’oggetto del contratto e comunque dell’assetto di interessi. Non si tratta di intervenire
con un mero calcolo matematico di produzione di un risultato, perché in tal caso il sicu-
ro criterio di determinazione rende la rappresentazione dell’oggetto esaustiva e quindi il
contratto completo; analogamente non è incompleto il contratto che si autocompleta con
il rinvio per relationem a specifici parametri o criteri altrove fissati e espressamente ri-
chiamati in contratto.
Il contratto è incompleto quando si lascia a un successivo fattore valutativo la deter-
minazione dell’oggetto secondo criteri di massima stabiliti nel contratto, sempre che nel
contratto sia fissato il nucleo dell’assetto di interessi, perché altrimenti il contratto stesso
è nullo per mancanza di causa concreta. Il contratto è anche incompleto quando coinvol-
ge una pluralità di rapporti di cui è difficile predeterminare lo svolgimento; ovvero quando
sono immaginate sopravvenienze materiali e legislative alle quali bisogna adattare i rap-
porti programmati. L’incompletezza può essere scelta dalle parti o necessitata per im-
possibilità di determinazione al momento del contratto: in ogni caso il contratto è vinco-
lante tra le parti ed è stipulato con riserva di determinazione dell’oggetto. Dal vincolo
contrattuale instauratosi deriva l’obbligo delle parti di riprendere la contrattazione; con
la conseguenza che, se una parte si rifiuta ovvero non rende possibile il completamento
incorre nella responsabilità contrattuale per violazione di un obbligo di buona fede.
Si ha arbitraggio quando le parti deferiscono ad un terzo la determinazione dell’og-
getto del contratto (art. 1349). La funzione del terzo (c.d. arbitratore) è quella di contri-
buire a determinare, con un proprio atto, il contenuto del contratto (un esempio tipico è
previsto dall’art. 1473 in tema di vendita con determinazione del prezzo affidata a un
terzo): il terzo rimane estraneo all’atto di autonomia voluto e concluso dalle parti 14.

immobiliare può essere determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua
conclusione, nella sola ipotesi in cui l’identificazione del bene da trasferire avvenga in sede di conclusione
consensuale del contratto definitivo su base negoziale, e non quando, invece, afferisca ad una pronuncia giu-
diziale ex art. 2932 c.c., dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza po-
ter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento
(Cass. 16-1-2013, n. 952).
12
Nei contratti in cui è richiesta la forma scritta ad substantiam, l’oggetto del contratto deve essere deter-
minato o determinabile sulla base degli elementi risultanti dal contratto stesso, non potendo farsi ricorso ad
elementi estranei ad esso; se le parti di una compravendita immobiliare hanno fatto riferimento, per indi-
viduare il bene, ad una planimetria allegata all’atto, è necessario che essa non solo sia sottoscritta dai con-
traenti, ma anche espressamente indicata nel contratto come parte integrante del contenuto dello stesso
(Cass. 9-10-2014, n. 21352; Cass. 24-4-2003, n. 6516; Cass. 20-1-2003, n. 729).
13
Rientra tra gli obblighi del notaio richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobi-
liare e, in particolare, nell’obbligo di buona fede oggettiva, lo svolgimento delle attività accessorie e successive
necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti ed, in particolare, il compimento delle cosid-
dette “visure” catastali e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, salvo
espresso esonero del notaio da tale attività per concorde volontà delle parti, dettata da motivi di urgenza o da
altre ragioni (Cass. 29-8-2019, n. 21775; Cass., sez. un., 31-7-2012, n. 13617; Cass. 27-11-2012, n. 20991;
Cass. 20-8-2015, n. 16990).
14
L’arbitraggio con cui le parti demandano ad un terzo arbitratore la determinazione, in loro sostituzione,
di uno o più elementi di un contratto concluso ma incompleto, è figura assimilabile ad un mandato collettivo;
972 PARTE VIII – CONTRATTO

L’intervento del terzo si atteggia diversamente in ragione della natura del potere attribui-
togli dalle parti 15: si tende ad ammettere l’intervento integrativo del giudice al quale sia
sottoposta la vicenda 16.
Diversa è la perizia contrattuale, con la quale le parti deferiscono ad uno o più sog-
getti, scelti per la loro particolare competenza tecnica, il compito di formulare un ap-
prezzamento tecnico che esse parti si impegnano ad accettare come diretta espressione
della loro volontà contrattuale 17.

4. Beni futuri. – Più spesso i contratti riguardano beni esistenti; non mancano però
casi in cui i contratti facciano riferimento a beni non ancora esistenti: per l’art. 1348 la
prestazione di cose future può essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti della
legge (es. divieto di donazione di cose future: art. 7711). I contratti aventi ad oggetto be-
ni futuri sono dunque validi, ancorché inefficaci fino a quando la cosa non viene ad esi-
stenza. Il bene futuro può essere una cosa (es. la vendita “in pianta” di immobile da co-
struire), un’opera (es. il contratto di edizione di opera da crearsi), come anche un dirit-
to (es. la cessione di un credito sperato e cioè eventuale 18).

ne consegue che il negozio costituente la fonte dei poteri del terzo può essere revocato anche ad opera di una
sola parte qualora ricorra una giusta causa, trovando applicazione l’art. 1726 (Cass. 26-3-2002, n. 4283). L’ar-
bitraggio si distingue dall’arbitrato: si ha a r b i t r a g g i o quando è deferito al terzo l’incarico di determinare un
profilo del contenuto del contratto in via sostitutiva della volontà delle parti. Si ha a r b i t r a t o (rituale o irrita-
le) quando le parti affidano ad arbitri la definizione (in differenti modi) di una controversia tra loro insorta
(art. 806 c.p.c.). (Cass. 29-10-1999, n. 12155) (IX, 6.2).
15
Se la determinazione dell’oggetto è deferita all’equo apprezzamento del terzo, questi deve operare un
equo contemperamento degli interessi delle parti (secondo la formula generale nell’interpretazione di contrat-
ti a titolo oneroso: art. 1371): quando il terzo non procede alla determinazione o questa è manifestamente
iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice (art. 13491), che può svolgere un’opera di equo apprez-
zamento non compiuta dal terzo. Se la determinazione dell’oggetto è deferita al mero arbitrio del terzo, la
stessa è rimessa alla scelta libera del terzo, il quale non ha l’obbligo di ricercare un equo contemperamento
tra gli interessi delle parti: la determinazione è impugnabile solo per “mala fede” del terzo, il suo operato si
sottrae ad ogni controllo di merito e le parti possono impugnare la determinazione effettuata solo dimostran-
do che egli ha agito intenzionalmente a danno di una di esse, così tradendo la fiducia accordatagli. Quando il
terzo omette la determinazione o è in mala fede e le parti non si accordano per sostituire il terzo, il contratto è
nullo. Quando non risulta che le parti vollero rimettersi al mero arbitrio del terzo, questi deve procedere con
equo apprezzamento (art. 13491).
16
Qualora il terzo – cui sia stato demandato dalle parti il relativo compito – non addivenga alla determi-
nazione della prestazione dedotta in contratto, né ad essa provvedano le parti direttamente, e una di esse adi-
sca il giudice chiedendo la condanna della controparte all’adempimento della prestazione, la relativa contro-
versia – che ha per oggetto il predetto adempimento e il necessario presupposto della determinazione della
prestazione da eseguire – può essere risolta direttamente, anche per il principio generale dell’economia pro-
cessuale, dal giudice, con una decisione il cui risultato ha la funzione di integrare, quanto alla determinazione
e secondo la ratio dell’art. 1349 c.c., il contratto nel suo manchevole elemento (Cass. 8-2-2019, n. 3835).
17
Con la perizia contrattuale viene negozialmente conferita al terzo la formulazione di un apprezzamento
tecnico che le parti si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva;
pertanto non sono applicabili le norme relative all’arbitrato, restando impugnabile la perizia contrattuale per i
vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale (errore, dolo, violenza, incapacità delle
parti) (Cass. 8-11-2018, n. 28511). Il perito viene scelto per la sua particolare competenza, non ha facoltà di
nominare a sua volta un esperto, ove egli non si reputi tale; costituisce giusta causa di revoca la subdelega
dell’intero incarico valutativo ricevuto ad un diverso esperto, salvo che non consti il consenso esplicito dei
soggetti mandanti (Cass. 31-8-2016, n. 17443).
18
Comprendendosi nella nozione di bene ogni fonte di utilità (II, 2.1), è ammissibile la costituzione di un
CAP. 3 – CONTENUTO 973

Una generale applicazione in materia è in tema di vendita, relativamente alla vendita


di cosa futura: per l’art. 1472 l’acquisto della proprietà si verifica quando la cosa viene ad
esistenza (co. 1); qualora le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio,
la vendita è nulla (rectius inefficace) se la cosa non viene ad esistenza (co. 2). È dunque
fondamentale la rilevanza giuridica attribuita dalle parti alla venuta ad esistenza della co-
sa, articolandosi due modelli di contratto (aleatorio o commutativo).
Il contratto è aleatorio quando c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza
della cosa: la prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa futura è comunque do-
vuta quantunque la cosa futura non venga ad esistenza (ad es., il compratore del futuro
raccolto di un fondo agricolo è tenuto al pagamento del prezzo pattuito quantunque il
raccolto non verrà ad esistenza o sarà distrutto) (emptio spei).
Il contratto è commutativo quando non c’è assunzione del rischio della venuta ad
esistenza della cosa: la prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa non sarà dovu-
ta se la cosa non viene ad esistenza. Nell’esempio fatto, il prezzo non sarà dovuto se il
raccolto non verrà ad esistenza o sarà distrutto; si pensi anche all’acquisto di immobile
da costruire quando questo non può essere realizzato per diniego del permesso di costrui-
re (emptio rei speratae) 19.
Argomentando dalla regola dell’art. 1472, la commutatività è la regola: se non è espres-
samente pattuita l’aleatorietà del contratto, si presume il carattere commutativo dello stesso,
e perciò il contratto non ha effetto se la cosa non viene ad esistenza 20 (per la distinzione tra
i due modelli, par. 18).

B) CAUSA
5. Evoluzione del concetto di causa. La causa concreta. – Come l’oggetto, anche la
causa è richiesta come requisito del contratto (art. 1325, n. 2); l’art. 14182 prevede la nulli-
tà del contratto per mancanza della causa o per la sua illiceità. La causa è dunque un
elemento essenziale (costitutivo) del contratto; ma, come per l’oggetto, manca una nozione
normativa, di cui bisogna delinearne il concetto.
a) Storicamente l’esigenza di una causa come requisito di validità del contratto nasce
con riferimento all’obbligazione, quale titolo giustificativo del comportamento dovuto da
un contraente e dell’utilità conseguita dall’altro contraente. L’art. 1104 cod. civ. 1865

credito futuro, come la cessione di un credito futuro, con i comuni corollari per l’ipotesi in cui il credito non
viene ad esistenza: l’art. 2852 consente l’iscrizione di ipoteca per un “credito condizionale”, oppure per “cre-
diti che possano eventualmente nascere in dipendenza di un rapporto già esistente”. Nel caso di cessione di
credito futuro, quest’ultimo si trasferisce in capo al cessionario nel momento in cui il credito stesso viene in
essere (Cass. 22-4-2003, n. 6422).
19
L’impossibilità di utilizzare le presunzioni in riferimento ai contratti aleatori – in ragione della loro ec-
cezionalità, sì da richiedere che essi risultino da una espressa volizione delle parti e da clausole appositamente
stabilite o accettate – esclude soltanto la possibilità di affermare che sussista una ipotesi di “vendita di spe-
ranza” (art. 14722), ma non impedisce di affermare sulla base di presunzioni esistenti che un contratto di ven-
dita di cosa futura, ex art. 1472 c.c., sia stato in ogni caso concluso (Cass. 5-12-2011, n. 26022).
20
Anche la vendita di cosa futura è soggetta a trascrizione se abbia per oggetto beni immobili: in tal caso
la trascrizione grava inizialmente sul terreno e potenzialmente sulla costruzione, in virtù del principio dell’e-
lasticità del dominio (Cass. 21-7-2009, n. 16921). È ammessa la stipulazione di contratto preliminare di vendita
di cosa futura (Cass. 27-5-1992, n. 6383).
974 PARTE VIII – CONTRATTO

includeva tra i requisiti essenziali per la validità del contratto “una causa lecita per ob-
bligarsi”: affermazione che si legava all’altra che, nel definire la causa del contratto, sta-
tuiva che “l’obbligazione senza una causa o fondata sopra una causa falsa o illecita non
può avere alcun effetto” (art. 1119); il quadro era chiuso dalla previsione di validità del
contratto pur senza espressione della causa, che veniva presunta (artt. 1119 e 1120), con
palese esaltazione della libertà dei privati. La causa esprimeva la giustificazione dell’as-
sunzione di una situazione passiva di un soggetto verso un altro soggetto che acquisiva
una situazione attiva: un diffuso favore verso il debitore imponeva che fosse giustificata
l’assunzione di un’obbligazione. Nei contratti di scambio emergevano due differenti cau-
se: la causa dell’obbligazione di ciascuna parte era nella corrispondente obbligazione as-
sunta dalla controparte. Il contratto di vendita era definito come il contratto per cui “uno
si obbliga a dare una cosa e l’altro a pagarne il prezzo” (art. 1447 cod. civ. 1865).
b) In una prospettiva di economia attiva, il referente della causa non è più l’obbli-
gazione ma il contratto nella sua essenza ed unitarietà, con il quale si programma e in
buona parte si realizza l’operazione economica. La causa esprime lo scopo pratico perse-
guito dal contratto 21. Con la valorizzazione del potere dei privati di produrre effetti reali
in virtù del consenso (c.d. consenso traslativo) (VIII, 6.6), viene meno la connessione ne-
cessaria tra risultato programmato e vincolo obbligatorio, potendo lo scopo perseguito
trovare realizzazione anche senza la mediazione di un rapporto obbligatorio: il contratto,
come tale, è ritenuto in grado di realizzare il risultato traslativo programmato.
La causa si configura come uno strumento di controllo della rilevanza sociale del-
l’operazione. Per la Relaz. cod. civ. la causa esprime la “funzione economico-sociale che il
diritto riconosce rilevante ai suoi fini e che sola giustifica la tutela dell’autonomia privata
(n. 613). È dunque necessario che la regola pattizia, oggettivamente e come tale, si riveli
(secondo alcuni autori) utile o (secondo altri autori) compatibile con l’organizzazione
economica della società. Si è parlato della causa anche come “funzione pratico-sociale”
per abbracciare anche i negozi a contenuto non patrimoniale, ovvero come “sintesi degli
effetti essenziali del contratto”, con un’attenzione privilegiata alla fattispecie. Decisiva
risulta la funzione astratta dello schema negoziale impiegato, intesa nella sua unitarietà
ed oggettività (c.d. causa astratta). Ad es., in un contratto di vendita, il dato giuridi-
camente rilevante è lo scambio in sé della cosa con il prezzo (art. 1470); in un contratto
di mandato rileva il fatto in sé dell’assunzione dell’obbligazione di compiere uno o più
atti giuridici per conto della controparte.
Con la obbligatorietà di una causa manifesta, le parti sono tenute a dare conto della
operazione economica e specificamente dello spostamento di ricchezza, consentendo
all’ordinamento la verifica di meritevolezza del contratto. In sostanza, con la richiesta di
una causa, si vuole che emerga dal contratto (e risulti perciò manifesto) il dato struttura-
le dell’operazione economica, al fine di verificare la incidenza dello spostamento patri-
moniale sul generale tessuto economico-sociale e quindi la coerenza con lo stesso.

21
Dapprima si affaccia una ricostruzione della causa quale scopo o motivo ultimo voluto dalle parti (teoria
soggettiva); successivamente si afferma una qualificazione della causa come funzione del negozio (teoria ogget-
tiva), secondo del resto l’indicazione della Relaz. cod. civ., n. 613, che, nel clima proprio del regime dell’epoca,
parla di un contenuto socialmente utile del contratto: per la Relazione la causa esprime la “funzione economi-
co-sociale” riconosciuta rilevante dal diritto, affinché il fine intrinseco del contratto sia socialmente apprezza-
bile e come tale meritevole di tutela.
CAP. 3 – CONTENUTO 975

c) Da alcuni anni va sviluppandosi una nutrita tendenza, anche legislativa, che tende
a valorizzare la specificità dell’assetto di interessi realizzato, sicché anche la nozione di
causa del negozio è risultata soggetta a revisione. Erosa ogni visione autoritaria, sottesa
all’idea della funzionalizzazione dell’autonomia privata all’utilità sociale verificabile at-
traverso il controllo della causa, si è sviluppata una valorizzazione della dimensione pri-
vata dei soggetti, realizzabile attraverso l’autonomia individuale e quella collettiva di grup-
po, che merita tutela di per sé e come tale in quanto espressione di libertà non in contrasto
con i valori fondamentali dell’ordinamento. Così emerge e rileva la funzione concreta del
negozio e cioè lo scopo perseguito dalle parti con la operazione economica messa in
campo, rilevando le peculiarità della relazione sociale (c.d. causa concreta); si è parla-
to di una funzione economico-individuale del negozio, quale “sintesi degli interessi reali”
che il contratto è diretto a realizzare. È la concreta regola pattizia che, in quanto tale, re-
clama rilevanza giuridica in quanto coerente con i valori fondanti dell’ordinamento.
In tal guisa lo stesso concetto di causa esce ridisegnato. La causa si atteggia come la
ragione giustificativa dello specifico regolamento contrattuale, che cementa e sorregge la
volontà negoziale. Lo stesso contenuto del contratto, quale dato strutturale dell’atto di
autonomia privata, è riguardato e valutato nella prospettiva dinamica e funzionale del-
l’assetto di interessi individuale concretamente attuato; la verifica di liceità e meritevo-
lezza della causa, da un lato, è aperta alla ricezione di ogni modello di spostamento pa-
trimoniale, emergente dalla società o di elaborazione individuale; dall’altro, è esteso ai
contratti tipici al fine di valutare la rilevanza ordinamentale dell’assetto realizzato. Tran-
ne alcune isolate pronunce, la matura adesione alla teoria della causa concreta è essenzial-
mente segnata dalla storica sentenza della Cassazione del 2006, che ha ammesso la possibi-
lità di nullità di un contratto tipico per mancanza di causa concreta 22. Rilevano le circo-
stanze in cui il contratto è maturato, le articolazioni del mercato che ne hanno determi-
nato la conclusione, le qualità dei soggetti che ne sono autori, la natura degli interessi
coinvolti, la destinazione dei beni negoziati.
d) I progetti di formazione di un diritto europeo dei contratti tendono in prevalenza a
non menzionare la causa come requisito autonomo del contratto: non perché possa esi-
stere un atto di autonomia negoziale senza causa e quindi senza scopo (che sarebbe un
controsenso), ma solo perché la causa rimane assorbita nella determinazione dell’accor-
do, atteggiandosi l’assetto di interessi quale punto di riferimento dell’accordo stesso: l’ac-
cordo si forma e verte su un concreto assetto di interessi e quindi su una causa. C’è il pe-
ricolo che l’accantonamento della causa, specie nella prospettiva delineata di causa concre-
ta, possa comportare l’obliterazione della valutazione della singola operazione, con il co-
rollario di una enfatizzazione dell’astratta operazione come tassello utile al mercato e
all’economia ma sganciata dalla complessità della specifica relazione sociale.

22
La causa non deve essere intesa come astratta funzione economico-sociale del negozio bensì come sinte-
si degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare, e cioè come funzione individuale del singolo, specifico
contratto, a prescindere dal tipo contrattuale astratto prescelto dalle parti, fermo restando che detta sintesi deve
riguardare la dinamica contrattuale e non la mera volontà delle parti (Cass. 8-5-2006, n. 10490). L’indagine va
svolta in concreto, attraverso l’apprezzamento degli interessi che il contratto è destinato a realizzare, quali emer-
gono dalle circostanze obiettive (pregresse, coeve e successive alla sua conclusione) secondo la valutazione del
materiale probatorio acquisito, al fine di verificare – ex artt. 1343 e 1344 – la conformità alla legge dell’attività
negoziale posta in essere dalle parti e quindi la riconoscibilità della tutela apprestata dall’ordinamento giuridico
(Cass. 20-3-2012, n. 4372; Cass. 17-1-2017, n. 921; Cass. 15929/2018; Cass. 26770/2019).
976 PARTE VIII – CONTRATTO

6. Il tipo contrattuale. – Nel codice civile compaiono i termini “tipo” e “causa” del
contratto, senza essere fissate le necessarie correlazioni. Per l’art. 13222 le parti possono
concludere “contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare”, pur-
ché siano diretti a realizzare “interessi meritevoli di tutela” secondo l’ordinamento giuri-
dico; e per l’art. 1323, “tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi aventi una di-
sciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali” sul contratto: dunque devono
avere una causa. Il tipo indica lo schema diffuso di una operazione economica, talvolta
nella struttura, talaltra nel contenuto, talaltra ancora per entrambi i profili, che può esse-
re di mera ricorrenza sociale o assurto a regolazione giuridica.
Si ha mero tipo sociale quando uno schema di operazione, ancorché ricorrente nella
realtà sociale e meritevole di tutela, non è (ancora) disciplinato dall’ordinamento: si par-
la, al riguardo, di negozio socialmente tipico. Quando l’operazione sociale, per il suo ripe-
tersi, fa emergere uno schema consolidato, si determina gradualmente una tipizzazione
giurisprudenziale dell’operazione, che molto spesso approda al riconoscimento da parte
dell’ordinamento così assurgendo a tipo legale (è la storia di vari contratti, es. il leasing).
Il tipo legale indica uno schema di operazione economica assunto dall’ordinamento
giuridico a struttura generale e astratta di operazione e come tale regolata: esprime la
causa astratta del negozio, indipendentemente dai contesti di stipulazione e dalle mo-
tivazioni che ne sorreggono la conclusione. Si pensi ai tanti motivi per i quali un soggetto
acquista un immobile: per abitarvi, per destinarlo alla propria attività professionale, per
investimento onde darlo in locazione e trarne una rendita, per consentire l’abitazione di
un proprio figlio, ecc.; e correlativamente si pensi ai tanti motivi per i quali il proprieta-
rio si decide ad alienare l’immobile: per riacquistare altro immobile in una diversa locali-
tà, per reinvestire il danaro in una operazione finanziaria, per conseguire danaro liquido
da ricollocare sul mercato o anche solo per estinguere pregresse debitorie; indipenden-
temente dai tanti e diversi motivi che spingono rispettivamente il compratore ad acqui-
stare e l’alienante a vendere, la compravendita è riguardata dall’ordinamento nella unita-
ria e astratta configurazione di scambio: per l’art. 1470 la vendita è il contratto che ha ad
oggetto il trasferimento di un diritto verso il corrispettivo di un prezzo. Il tipo legale (o
causa astratta) esprime appunto la funzione astratta ed elementare del contratto: l’opera-
zione economica, depurata dalle specificità del caso concreto, è considerata adeguata
giustificazione dello spostamento di ricchezza e/o dell’obbligo di un comportamento
umano, come tale meritevole di tutela dall’ordinamento che vi appresta gli effetti essen-
ziali. La riconduzione di una operazione economica ad uno schema predisposto dall’or-
dinamento implica l’adozione di un contratto tipico, con struttura giuridica approvata
dall’ordinamento. Altro però è il controllo dell’assetto di interessi realizzato nel caso
concreto, che implica la verifica della causa concreta del contratto: sarà approfondito trat-
tando dei controlli.
Talvolta la tipicità inerisce ad una categoria di atti in ragione di specifiche e comuni
esigenze suscitate, al fine di apprestare una disciplina uniforme di tutela. Si pensi alle
forniture di beni di consumo: per l’art. 1281 cod. cons., ai fini della garanzia di conformità
della merce consegnata al contratto, ai contratti di vendita sono equiparati i contratti di
permuta e di somministrazione nonché quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti
comunque funzionali alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre.
Alla stregua delle rilevazioni compiute è possibile cogliere la distinzione tra contratti
tipici e contratti atipici, sia rispetto alla struttura utilizzata che alla disciplina applicata.
CAP. 3 – CONTENUTO 977

I contratti tipici (o nominati) impegnano uno schema fissato per legge, con conse-
guente previsione legale della relativa disciplina: l’operazione prefigurata è astrattamente
apprezzata dall’ordinamento e perciò tendenzialmente in grado di produrre gli effetti
essenziali predisposti, salvo il controllo di meritevolezza concreta.
I contratti atipici (o innominati) utilizzano un formante non riconducibile ad uno
schema legale (causa astratta), o perché è del tutto nuovo o in quanto (come più spesso
avviene) modifica il tipo legale: in tal caso è in discussione la stessa conformità all’ordi-
namento dello schema giuridico impiegato, dovendosi spesso operare con i meccanismi
della interpretazione estensiva e dell’analogia 23.
La valutazione ordinamentale si svolge con modalità e intensità diverse a seconda del
ricorso o meno di un tipo legale.
Quando è utilizzato un tipo legale, l’impiego dello stesso implica di per sé conformità
all’ordinamento dello schema impiegato: va solo verificata, in concreto, la liceità e la me-
ritevolezza dell’assetto di interessi attuato.
Quando non è utilizzato un tipo legale, bisogna preliminarmente verificare la compa-
tibilità con l’ordinamento dello schema di operazione impiegato e poi compiere la con-
sueta verifica di liceità e meritevolezza dell’assetto di interessi attuato.
In una prospettiva più ampia c’è da rilevare come, tra tipicità e atipicità, corre una
continua osmosi: di regola una operazione economica emerge nella esperienza sociale
con i connotati della atipicità, per poi, con la diffusa ripetizione, assumere i caratteri di
una tipicità sociale e quindi assurgere all’area della tipicità legale. Si pensi alla esperienza
della commercializzazione dei c.d. pacchetti turistici (ora regolata dal cod. cons.) e alla
prassi dei contratti di affiliazione commerciale (ora disciplinata con L. 129/2004). Nella
esperienza concreta è raro rinvenire un negozio caratterizzato da una atipicità “totale”
cioè integralmente sganciata da ogni riferimento, anche solo per qualche profilo, ad uno
schema normativo: più spesso le parti finiscono, in qualche modo, con l’utilizzare o rie-
cheggiare frammenti di tipi legali con varianti e collegamenti dettati dalle necessità del
caso concreto (è il fenomeno dei c.d. contratti misti) (par. 12).

7. Assenza di causa e astrazione dalla causa. – Per l’art. 1323 tutti i contratti, an-
corché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare (tipi legali), sono
sottoposti alle norme generali sul contratto: perciò devono avere una causa.
a) Una causa deve dunque esistere in tutti i contratti (oltre che essere lecita e meri-
tevole di tutela): ad es., è nulla la vendita di una cosa di cui il compratore è già proprie-
tario; è nulla la divisione di un bene che non è in comproprietà; è nulla l’assicurazione di
un bene già perito al momento del contratto (art. 1895).
Per consentire la verifica di legalità del contenuto del contratto la causa deve, non so-
lo esistere, ma anche risultare dal contratto. In tal senso la necessaria presenza di una
causa costituisce un limite all’esplicazione dell’autonomia privata, in quanto l’ordina-
mento intende controllare la ragione giustificativa dell’operazione economica realizzata:

23
Ai contratti atipici o innominati possono applicarsi, oltre alle norme generali in materia di contratti, an-
che le norme regolatrici dei contratti nominati, quante volte il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risul-
tante dagli interessi coinvolti, faccia emergere situazioni analoghe a quelle disciplinate per singoli contratti
nominati (Cass. 28-11-2003, n. 18229; Cass. 23-2-2000, n. 2069).
978 PARTE VIII – CONTRATTO

ad es., non è sufficiente volere il trasferimento di un diritto, ma bisogna anche indicare la


ragione dello stesso, verso un prezzo (vendita) o per spirito di liberalità (donazione). Salvo
specifici divieti legali, è consentito alle parti, nella esplicazione dell’autonomia privata, re-
golare i propri rapporti e dunque i corrispondenti vantaggi e sacrifici liberamente, nei limi-
ti fissati dall’ordinamento 24. Di regola sono nulli i contratti dai quali non risulti la causa
(quand’anche esistente sul piano sottostante) in quanto non è possibile verificare l’opera-
zione economica realizzata. È di regola vietato il trasferimento astratto di diritti.
Spesso si dà luogo a negozi con c.d. causa esterna all’atto. Il fenomeno rileva in
particolare con riferimento alle attribuzioni traslative: il singolo trasferimento non è pri-
vo di una giustificazione causale, ma solo che tale giustificazione e quindi la causa non è
presente nell’atto di trasferimento ma bisogna ricercarla altrove, in altre situazioni o con-
tratti che giustificano e talvolta impongono il trasferimento. Poiché il nostro sistema, a
differenza di quello tedesco, è improntato al principio di causalità dei negozi e a quello
connesso del consenso traslativo, per cui l’atto dispositivo è ad un tempo causale e tra-
slativo (VIII, 6.7), consegue che i negozi a causa esterna devono necessariamente conte-
nere il richiamo al fondamento giustificativo dell’attribuzione o comunque che lo stesso
sia oggettivamente ricostruibile. Si pensi al c.d. pagamento traslativo (VII, 3.2). Si pensi
ancora alla ricostruzione della causa attraverso il meccanismo del c.d. collegamento nego-
ziale di più contratti coordinati ad un medesimo scopo (par. 12).
Per molte ragioni, vuoi di carattere fiscale vuoi di frode a terzi e creditori, spesso si
compiono atti apparentemente validi che producono un’attribuzione traslativa senza fare
emergere la causa dell’attribuzione patrimoniale. Si pensi all’atto di accertamento di
un’avvenuta usucapione (inesistente), che ha il risultato di fare acquistare la proprietà a
titolo originario, senza fare emergere il regolamento di interessi sottostante e dunque la
giustificazione effettiva del trasferimento. Sono negozi simulati, senz’altro nulli perché
stipulati in violazione del principio di causalità dei contratti (artt. 1325 e 1418).
b) In ipotesi determinate l’ordinamento consente l’astrazione dalla causa, che non
risulta dall’atto compiuto. I negozi astratti sono eccezionali nel sistema e perciò tipici e
comunque (come si vedrà) non sono staccati del tutto dalla realtà materiale cui si con-
nettono.
Si ha astrazione sostanziale quando la evidenziazione della causa è irrilevante rispetto
alla validità del contratto. Sono tassative le ipotesi in cui all’autonomia privata è (eccezio-
nalmente) consentito assumere obbligazioni senza che ne risulti la giustificazione. Le rare
ipotesi previste sono sempre in ragione di tutela di terzi: ed anche in tali ipotesi è solo con-
sentito che la causa sia accantonata, salvo emergere successivamente. Si pensi alla circola-
zione dei titoli di credito, dove l’obbligazione cartolare di cui è creditore il terzo che ha ri-
cevuto il titolo (c.d. giratario) astrae dal rapporto sottostante all’emissione del titolo cor-
rente tra emittente e prenditore del titolo: la causa di questo è accantonata, essendo desti-

24
Lo squilibrio economico originario non priva di causa il contratto, perché nel nostro ordinamento pre-
vale il principio dell’autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle presta-
zioni corrispettive; perciò, salvo particolari esigenze di tutela, lo squilibrio economico iniziale tra le prestazio-
ni non può condurre a una dichiarazione di nullità contrattuale per mancanza di causa, ma può rilevare ai fini
della rescissione del contratto a norma dell’art. 1447 c.c. o dell’art. 1448, in considerazione dello stato di bi-
sogno o di pericolo di alcuno dei contraenti, ovvero ai fini dell’annullabilità, a norma dell’art. 428 c.c., del
contratto stipulato da persone incapaci (Cass. 4-11-2015, n. 22567).
CAP. 3 – CONTENUTO 979

nata ad operare solo successivamente nel rapporto tra emittente e prenditore (XI, 2.1). Si
pensi anche alla c.d. delegazione pura, in virtù della quale il terzo (delegato) assume l’ob-
bligazione del debitore (delegante) verso il creditore (delegatario), senza il richiamo dei
rapporti di provvista e di valuta (artt. 1269 e 12713); ma la nullità di questi si riflette sulla
sorte dell’obbligazione assunta (VIII, 2.10). Si pensi pure ai contratti autonomi di garanzia
(a prima richiesta), che sono indipendenti dall’obbligazione garantita (ma paralizzati dalla
c.d. exceptio doli).
Diversa è l’astrazione processuale, di cui si parlerà in seguito con riguardo alle c.d.
promesse unilaterali. Nella promessa di pagamento e nella ricognizione di debito l’astra-
zione si concreta in una inversione dell’onere della prova, per cui il destinatario della pro-
messa è dispensato dall’onere di provare il rapporto fondamentale, la cui esistenza è pre-
sunta fino a prova contraria (art. 1988) (XI, 1.2).
In generale la causalità dei negozi tutela massimamente il titolare del diritto oggetto di
disposizione, dovendo sussistere una ragione giustificativa del trasferimento di ricchezza a
terzi; viceversa l’astrattezza dei negozi tutela massimamente l’aspirante acquirente, non risen-
tendo l’acquisto delle anomalie della causa. In Europa sussistono paesi (come il nostro) le-
gati alla causalità dei negozi traslativi (ad un tempo causali e traslativi) ed altri (es. Germa-
nia) che ammettono negozi traslativi astratti a seguito di negozi obbligati causali (VIII, 6.7).

8. Causa illecita. – Una causa può esistere e risultare dal contratto, ma essere illecita.
Una causa può essere illecita o perché sono illecite le prestazioni (di entrambe o di una
delle parti) o perché è illecita la combinazione delle prestazioni, benché, isolatamente
considerate, siano conformi all’ordinamento. È ricorrente l’esempio dell’attribuzione di
una somma di danaro al dipendente pubblico perché istruisca una determinata pratica:
la prestazione di somma di danaro a una persona è valida, ed è addirittura atto dovuto
l’esame delle pratiche da parte dei dipendenti pubblici; è però la combinazione delle due
prestazioni, per cui l’una è in funzione dell’altra, a rendere vietato il risultato perseguito
e dunque illecita la causa del contratto (la fattispecie rileva anche penalmente come reato
di corruzione). Quando un contratto è nullo per illiceità, non assume rilevanza giuridica
l’eventuale inadempimento dello stesso 25.
Vi è una correlazione della illiceità con l’art. 1345 sulla nullità del contratto per un
motivo illecito comune a entrambe le parti, per essersi il comune motivo illecito oggetti-
vizzato nella causa concreta del contratto, divenuta anche essa illecita (par. 10).
Per l’art. 1343 la causa è illecita quando è “contraria a norme imperative, all’ordine
pubblico o al buon costume”.
a) Le norme imperative sono le norme inderogabili (I, 3.2). Ad es. è nullo un con-
tratto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per
colpa grave (art. 1229); è nulla una convenzione con cui taluno dispone della propria
successione (art. 458). Ampio impiego di tale contrarietà è stato compiuto in sede di tra-
sferimento di beni urbanisticamente irregolari, riconducendo l’illiceità talvolta (come si è
visto) all’oggetto, talaltra alla causa. Non è invece illecito un patto che deroga a una nor-

25
Allorché un contratto sia nullo per illiceità della causa, e perciò improduttivo di qualsiasi effetto, non è
configurabile un inadempimento imputabile in relazione alla mancata esecuzione degli obblighi da esso na-
scenti (Cass. 18-9-2013, n. 21398).
980 PARTE VIII – CONTRATTO

mativa dispositiva, per essere questa derogabile: ad es., la clausola di un contratto di vendi-
ta che deroga alla disciplina della consegna della merce (art. 1510), essendo questa una
norma che fa salvo il patto o l’uso contrario.
b) Per ordine pubblico si allude ai principi e valori fondamentali dell’ordinamento,
essenzialmente desumibili dalla Carta costituzionale e dal diritto europeo convenzionale,
che precipuamente informano i rapporti sociali nel particolare momento storico; alcuni
principi di ordine pubblico sono tratti anche dalla legislazione ordinaria nel suo com-
plesso, quando sono segni connotativi del sistema o delineano l’essenza di singoli istituti.
Si è visto come, intorno al principio personalista e solidarista, vada delineandosi un reti-
colo comune che abbraccia ordine pubblico nazionale e internazionale (II, 7.9).
c) Relativamente al buon costume, da tempo se ne è ampliata la portata, dall’area
del pudore sessuale (dove tradizionalmente ha operato) alla c.d. morale sociale. Il rispet-
to del buon costume esprime un principio generale dell’ordinamento, che tende a de-
terminarne il contenuto precettivo alla stregua dell’evoluzione dell’etica sociale e dei
valori dell’ordinamento. Opera la generale regola dell’art. 2035, secondo cui, in presen-
za di comune scopo contrario al buon costume, chi ha eseguito la prestazione non può
ripeterla (cioè chiedere la restituzione) (soluti retentio) 26 (art. 2035) (VIII, 5.11).
L’art. 1343, dando la nozione di causa illecita, non distingue tra contratti tipici e con-
tratti atipici, potendo dunque anche i primi risultare illeciti. Si vedrà in seguito come la
verifica di illiceità è intrecciata con la verifica di meritevolezza ed entrambe rilevano in
funzione della valutazione dell’assetto di interessi, alla cui realizzazione possono concor-
rere anche più atti.

9. Il contratto in frode alla legge. – Per l’art. 1344 si reputa illecita la causa quando
il contratto costituisce “il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”. C’è
un abuso del mezzo utilizzato (di per sé formalmente valido), piegandosi la funzione ti-
pica dello schema contrattuale utilizzato ad uno scopo illecito: si realizza cioè una elu-
sione della norma giuridica, infrangendo e deformando lo strumento legale impiegato
(in fraudem legis).
Più spesso la frode alla legge avviene attraverso una sequenza di atti 27. Accertata la

26
Ai fini dell’applicazione della soluti retentio ex art. 2035 le prestazioni contrarie al buon costume non
sono soltanto quelle che contrastano con le regole della morale sessuale o della decenza, ma sono anche quel-
le che non rispondo ai principi e alle esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente
e in un certo momento storico, dovendosi pertanto ritenere contraria al buon costume, e come tale irripetibi-
le, l’erogazione di somme di denaro in favore di un’impresa già in stato di decozione integrante un vero e
proprio finanziamento, che consente all’imprenditore di ritardare la dichiarazione di fallimento, incremen-
tando l’esposizione debitoria dell’impresa trattandosi di condotta preordinata alla violazione delle regole di
correttezza che governano le relazioni di mercato e alla costituzione di fattori di disinvolta attitudine “preda-
toria” nei confronti di soggetti economici in dissesto (Cass. 5-8-2020, n. 16706). Conf. Cass. 3-4-2018, n.
8169; Cass. 21-4-2010, n. 9441: chi abbia versato una somma di denaro per l’ottenimento di un posto di lavo-
ro (nella specie, presso un istituto bancario), a prescindere dall’esito della trattativa immorale, non è ammesso
a ripetere la prestazione, perché tale finalità, certamente contraria a norme imperative, è da ritenere anche
contraria al buon costume.
27
La giurisprudenza richiede che, al momento della stipulazione, le parti siano consapevoli della frode al-
la legge (Cass. 7-8-2004, n. 15308; Cass. 4-4-2003, n. 5324) (teoria soggettiva della frode). Ma non mancano
orientamenti che hanno riguardo alla oggettiva idoneità del contratto ad eludere l’applicazione della legge
(teoria oggettiva della frode) (Cass. 14-3-2006, n. 5438). Non si rinviene nell’ordinamento una norma che san-
CAP. 3 – CONTENUTO 981

frode alla legge, consegue la illiceità e dunque la nullità del contratto 28. Se è possibile
sanzionare il risultato perseguito attraverso l’interpretazione estensiva o analogica di una
precisa norma, si ha un diretto contrasto con una norma giuridica; si ha negozio in frode
alla legge quando il risultato perseguito, specie attraverso una sequenza di atti, tende a
conseguire un obiettivo non riconducibile a una specifica previsione ma comunque vie-
tato dall’ordinamento, anche solo per contrasto ai principi e valori generali. Una tradi-
zionale ipotesi è quella della vendita con patto di riscatto o retrovendita (contratto valido
per essere disciplinato dall’art. 1500) stipulata per una causa di garanzia invece che per
una causa di scambio, con aggiramento del divieto del patto commissorio (art. 2744)
(VII, 5.3).
Un campo di incisiva applicazione della categoria dei contratti in frode alla legge è
quello tributario, dove, a fianco della evasione fiscale, opera appunto la elusione fiscale
quale mezzo di aggiramento della norma tributaria. L’art. 10 bis dello Statuto del contri-
buente (L. 27.7.2000, n. 212), inserito dall’art. 1 D.Lgs. 5.8.2015, n. 168, sotto la rubrica
“Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”, prevede che configurano abuso del
diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale
delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti; tali operazioni non
sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determi-
nando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versa-
to dal contribuente per effetto di dette operazioni; in tal guisa assimilandoli ai negozi in
frode ai creditori. Si è dell’idea che, quando tali atti integrino un abuso del diritto, deb-
bano essere considerati senz’altro nulli per frode alla legge e non meramente inopponibi-
li al fisco, in quanto elusivi di norme tributarie che non possono non considerarsi impe-
rative 29 e di interessi che non possono non essere di carattere generale.

cisca in via generale (come per il contratto in frode alla legge) l’invalidità del contratto in frode dei terzi, per il
quale, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possa-
no risentire dall’altrui attività negoziale (Cass. 4-10-2010, n. 20576; Cass. 29-5-2003, n. 8600; Cass., sez. un.,
25-10-1993, n. 10603).
28
Gli artt. 1344 e 1418 considerano l’illiceità quale causa di nullità e non di conversione del contratto in
frode alla legge nel contratto che costituisce presupposto per l’applicazione della norma, che le parti intende-
vano eludere (Cass. 3-9-2001, n. 11351).
29
La figura dell’abuso di diritto in materia tributaria richiede il concorso di due fattori: che il contribuente
abbia conseguito una positiva ricaduta fiscale dal suo operato; che tale vantaggio fiscale costituisca la ragione
determinante dell’operazione, cioè che non concorrano ragioni e giustificazioni economico-sociali di altra natura,
o almeno che esse siano di minimo rilievo (Cass. 19-11-2012, n. 20254; Cass. 30-11-2012, n. 21390).
La sanzione prevista per l’elusione tributaria non è la nullità, ma la inopponibilità degli atti all’Ammini-
strazione finanziaria. L’interrogativo che si prospetta è: le norme tributarie sono norme imperative? Direi di
sì: nel contesto sociale ed economico attuale c’è un trend normativo e di diritto vivente di forte contrasto
all’evasione e alla elusione tributaria come fondamentale meccanismo di salvaguardia dei conti pubblici e del-
lo stato sociale, sì da assurgere a leva fondamentale di tenuta della coesione sociale (per l’art. 53 Cost., tutti
sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, e per l’art. 971 Cost.,
le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei
bilanci e la sostenibilità del debito pubblico). Direi che lo strumento della nullità degli atti evasivi e elusivi
potrebbe far compiere un passo significativo nella lotta all’evasione fiscale. Si è del resto stabilito che il reato
di dichiarazione infedele dei redditi può essere integrato anche dai comportamenti elusivi posti in essere dal
contribuente per trarre indebiti vantaggi dall’utilizzo in modo distorto di strumenti giuridici, in mancanza di
ragioni economicamente apprezzabili che possano giustificare l’operazione (Cass. pen. 6-3-2013, n. 19100). Se
con la stipula dell’atto è commesso un reato non può non essere nullo l’atto che sorregge il reato!
982 PARTE VIII – CONTRATTO

Diversamente si atteggiano i negozi in frode ai creditori, colpiti dall’azione revocatoria


(art. 2901), perché in tal caso non è la funzione dell’atto a essere illecita, ma è il cotesto
di svolgimento dell’atto a renderlo di pregiudizio ai creditori (art. 2740), richiedendosi
appunto tra i presupposti della revocatoria il “pregiudizio” dei creditori (eventus dam-
ni), con inefficacia relativa dell’atto dispositivo (VII, 5.7).

10. Motivi. – Il motivo indica la ragione individuale dell’atto: lo scopo specifico e


personale per cui ciascuna delle parti conclude il contratto. Ad es. un soggetto acquista
un immobile per abitarlo o per installarvi lo studio professionale o per concederlo in lo-
cazione a terzi: questi sono gli specifici motivi che spingono all’acquisto.
Di regola i motivi perseguiti dal singolo contraente, ancorché determinanti dell’inten-
to negoziale, sono irrilevanti ove non siano esteriorizzati in una condizione o in un’altra
pattuizione contrattuale. Si tende ad attribuire rilevanza ai motivi quando gli stessi sono
oggettivati nella causa concreta del contratto. E ciò per garantire stabilità alle operazioni
economiche e dunque al mercato: diversamente ogni contratto resterebbe esposto alla ca-
ducazione per la successiva emersione di motivi personali di una parte ignoti alla contro-
parte, con intralcio alla circolazione dei beni. Anche l’errore sui motivi del contratto è di
regola irrilevante (es. errore sulla convenienza dell’affare concluso): come si è visto,
l’errore è rilevante e dunque causa di annullamento del contratto quando è essenziale e
riconoscibile (art. 1431).
Assume rilevanza la illiceità del motivo, quando il motivo è comune alle parti e de-
terminante del consenso: per l’art. 1345 il contratto è illecito quando le parti si sono
determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe.
Quando il motivo comune penetra nell’assetto di interessi realizzato perde autonoma
rilevanza, per rimanere assorbito dalla illiceità della causa concreta. Il motivo illecito
è dunque causa di nullità quando assume due caratteri: a) è comune ad entrambe le
parti, nel senso che entrambe le parti stipulano il contratto per il medesimo motivo,
ovvero una parte tragga profitto dal motivo illecito dell’altra (es. locazione di immobile
a soggetto cha lo utilizzerà per casa di meretricio, traendo da ciò un alto canone): si
realizza una oggettivizzazione dei motivi nella causa del contratto 30; b) è l’unico per il
quale le parti hanno concluso il contratto, ed è perciò determinante del consenso. La
illiceità del motivo, con i caratteri descritti, determina la nullità del contratto (art.
14182). Una maggiore rilevanza assume il motivo nei negozi di liberalità (testamento e
donazione) (XII, 2.5; XIII, 1.2).
In assenza di una nozione normativa di illiceità del motivo, questa è mutuabile dalla
nozione di illiceità della causa (art. 1343) e pertanto ricorre per contrarietà a norme impe-
rative, all’ordine pubblico o al buon costume. Come per la causa, anche rispetto al motivo
illecito comune trova applicazione l’art. 2035 che, in presenza di comune scopo contrario
al buon costume, dispone la irripetibilità della prestazione compiuta (soluti retentio).
Utilizzandosi il principio espresso dall’art. 1324 di applicazione delle norme sui con-
tratti ai negozi unilaterali tra vivi con contenuto patrimoniale, si tende a fare applicazio-

30
La causa in concreto conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore deter-
minante nell’economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili
ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall’altra (Cass. 10-7-2018, n. 18047).
CAP. 3 – CONTENUTO 983

ne dell’art. 1345 sul motivo illecito anche ai negozi unilaterali a contenuto patrimoniale
quando il motivo illecito è stato l’unico che abbia indotto al negozio 31.
C’è da evidenziare una crescente normativa protettiva che riconosce rilevanza giuri-
dica a specifiche motivazioni dell’operazione economica: ad es., la normativa a tutela dei
consumatori, che valorizza il motivo del consumo oggettivato nella destinazione del bene
acquistato, determinando l’applicazione di una normativa specifica di protezione.
11. La presupposizione. – Oltre gli elementi essenziali (costitutivi) del contratto ri-
levano spesso i presupposti del contratto, che possono essere di fatto e di diritto.
La presupposizione designa un presupposto di fatto o di diritto a fondamento del
contratto, perciò rilevante per l’assetto di interessi, pur senza essere oggetto di espressa
menzione 32. Si è soliti anche parlare di condizione inespressa in quanto, benché non indi-
cata, è comune alle parti e determinante della volontà negoziale; però differisce dalla
condizione in quanto, nella condizione l’evento è considerato come incerto, mentre nella
presupposizione è assunto come certo.
La presupposizione non è oggetto di una statuizione contrattuale, ma emerge dalle
circostanze che i contraenti hanno tenuto presente nel contratto come presupposto dello
stesso. C’è il classico esempio della locazione del balcone per un determinato giorno, sul
presupposto inespresso di assistere alla sfilata di un corteo. Ai nostri giorni si pensi al
caso (esaminato dalla giurisprudenza) della conclusione di un contratto di fornitura di
carburante, sul presupposto della costruzione della stazione di servizio: si è ritenuto che
la costruzione della stazione di servizio fosse il presupposto dell’accordo, sicché l’impos-
sibilità di realizzarla per una sopravvenuta normativa che lo vieta, giustifica la risoluzio-
ne del contratto di fornitura di carburante. Frequente è l’ipotesi di permuta di suolo edi-
ficatorio contro appartamenti da costruire, sul presupposto dell’ottenimento del premes-
so di costruire che invece non viene rilasciato.
La presupposizione non è disciplinata dalla legge, sicché da tempo la sua rilevanza
giuridica è oggetto di dibattito. Le diverse opinioni si svolgono intorno a due fondamentali
e contrapposte traiettorie, volontaristica e causalistica.
Nella impostazione volontaristica, la presupposizione, secondo una prospettiva, esprime
il motivo di ciascun contraente e dunque è come tale irrilevante; secondo una diversa pro-
spettiva, la presupposizione rileva quando è comune alle parti o quando, ancorché assunta
da una sola parte, sia nota alla controparte. In entrambe le prospettive la figura finisce con
l’essere ancorata ad una dimensione soggettivistica: nella prima, collegata al motivo indivi-
duale; nella seconda, ricondotta alla comune volontà presunta o implicita delle parti. La
giurisprudenza, che in tempi più recenti tende ad ammettere la presupposizione, la ricolle-
ga appunto alla prospettiva dell’accordo, come presupposto della volontà negoziale, nel
senso di essere tenuta presente dalle parti nella formazione dell’accordo 33.

31
In ordine al licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere
determinante, ossia costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito
formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale (Cass. 2-12-2019, n. 31395; Cass. 4-4-2019,
n. 9468; Cass. 16-1-2020, n. 808).
32
La contemplazione del presupposto può riguardare entrambe le parti o anche una sola di esse con il ri-
conoscimento dell’altra parte (Cass. 19-10-2015, n. 21122).
33
Per configurare la fattispecie della c.d. “presupposizione” (o condizione inespressa) è necessario che dal
contenuto del contratto si evinca l’esistenza di una situazione di fatto, non espressamente enunciata in sede di
984 PARTE VIII – CONTRATTO

Nella impostazione causalistica (o funzionalista) la presupposizione è ricondotta alla


causa concreta del contratto, verificata secondo i canoni ermeneutici legali. La figura è
dunque ricostruita in una dimensione oggettivistica: non è necessario ricostruire una vo-
lontà anche solo ipotetica; è sufficiente accertare la ragguagliabilità del presupposto (di
fatto o di diritto) all’assetto di interessi realizzato e più specificamente il nesso di neces-
saria connessione del presupposto con lo scopo pratico perseguito dal negozio 34. È l’im-
postazione sicuramente più aderente alla evoluzione della raffigurazione dell’autonomia
privata, calata nella effettività delle relazioni sociali e delle dinamiche del mercato.
In ogni caso la presupposizione assume rilevanza sia quando la situazione presuppo-
sta come esistente non esiste al momento della conclusione del contratto, sia quando
quella contemplata come futura (ma certa) non si realizza: nella prima ipotesi, il contrat-
to è inefficace sin dalla nascita in quanto nullo; nella seconda, diventa inefficace succes-
sivamente attraverso la risoluzione 35.
Talvolta il fatto presupposto è enunciato nel contratto, sicché alla parte che intende
farvi riferimento è sufficiente richiamarne la statuizione (clausola espressa di presupposi-
zione); più spesso manca una indicazione nel contratto del fatto presupposto e successi-
vamente una delle parti ne invochi la rilevanza (clausola tacita di presupposizione), che
rappresenta la vera presupposizione: in questa ipotesi, che è la più dibattuta, la parte che
invoca il fatto presupposto deve provarne l’esistenza 36.
Al dibattito sulla presupposizione si ricollega di recente la riflessione sulle soprav-
venienze, ossia il sopraggiungere durante l’esecuzione del contratto di fatti e interessi
non considerati dai contraenti al momento della stipulazione, ma tali da stravolgere
l’assetto di interessi programmato: c’è quindi da valutare l’incidenza delle sopravve-

stipulazione, ma considerata quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verifi-
carsi o venir meno dipenda da circostanze non imputabili alle parti (Cass. 5-3-2018, n. 5112; Cass. 18-9-2009, n.
20245). Per aversi presupposizione è necessario: a) che la presupposizione sia comune a tutti i contraenti; b)
che l’evento supposto sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti (ed in ciò la presupposi-
zione differisce dalla condizione); c) che si tratti di un presupposto obiettivo, consistente cioè in una situa-
zione di fatto il cui venire meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dalla attività e volontà dei
contraenti e non corrisponda, integrandolo, all’oggetto di una specifica obbligazione (Cass. 6-12-2018,
n. 31629). Si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto – comune ad en-
trambi i contraenti ed avente carattere certo e obiettivo – sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto
condizionante il negozio, in modo tale da assurgere a fondamento, pur in mancanza di un espresso riferimen-
to, dell’esistenza ed efficacia del contratto (Cass. 15-12-2021, n. 40279).
34
La presupposizione è stata anche ricondotta alla causa concreta del contratto, precisandosi che la pre-
supposizione non attenga né all’oggetto, né alla causa, né ai motivi del contratto, per consistere in uno “speci-
fico e oggettivo presupposto di efficacia in base al significato proprio del medesimo, assumendo per entrambe
le parti (o anche per una sola di esse ma con riconoscimento dell’altra) valore determinante ai fini del mante-
nimento del vincolo contrattuale” (Cass. 25-5-2007, n. 12235; Cass. 24-3-2006, n. 6631). È anche principio
diffuso della giustizia amministrativa che le convenzioni tra soggetti pubblici si devono intendere stipulate
nella presupposizione implicita della clausola generale “rebus sic stantibus”, di guisa che una successiva modifi-
ca del quadro, specie normativo, di riferimento non può restare senza conseguenze sull’efficacia degli accordi
dedotti in convenzione (Cons. Stato 13-9-2012, n. 4861).
35
È principio diffuso: es. Cass. 14-11-2006, n. 24295.
36
L’affermazione dell’esistenza nel contratto di una clausola di tacita presupposizione impone alla parte
che ne assume l’esistenza di allegare, nel contraddittorio processuale con l’avversario, la situazione di fatto
considerata, ma non espressamente enunciata nel contratto, che sia successivamente mutata per il sopravveni-
re di circostanze non imputabili alla parte stessa, così da determinare un assetto ai propri interessi fondato su
basi diverse da quello in virtù del quale era stato concluso il contratto (Cass. 23-10-2014, n. 22580).
CAP. 3 – CONTENUTO 985

nienze rispetto al regolamento assunto e ai fatti presupposti (VIII, 7.5).

12. Combinazione di fasci di prestazioni: contratto complesso (specie misto) e


collegamento negoziale. – Nel vasto campo dell’atipicità negoziale, l’esperienza giuridi-
ca registra la crescita di operazioni economiche coinvolgenti più fasci di prestazioni in vista
di un risultato unitario. L’operazione economica, talvolta, si struttura in un unico contratto
con contenuto complesso e vario; talaltra si svolge attraverso una pluralità di contratti
connessi e coordinati. Il fenomeno si delinea attraverso la fondamentale ripartizione tra
contratto complesso (specie misto) e contratti collegati. Non bisogna però confondere tra
negozio e documento che lo contiene: in uno stesso documento possono essere stipulati
più negozi, mentre attraverso più documenti può ricostruirsi un negozio unitario.
a) Si ha contratto complesso quando singoli fasci di prestazioni sono dalle parti com-
binati in un contratto unico e unitario strutturalmente e funzionalmente (perciò con uni-
ca causa). Trattasi di una volontà negoziale espressa in un medesimo contesto e racchiu-
sa in uno stesso atto, che involge e riconduce ad unità prestazioni astrattamente ricon-
ducibili a più negozi 37. Sono coinvolte prestazioni eterogenee, che attingono anche a più
schemi negoziali, ma che sono dalle parti programmate e organizzate in un unico ne-
gozio finalizzato al perseguimento di un risultato unitario.
È una realtà in progressivo aumento nell’economia dei servizi, per programmarsi l’im-
pegno finanziario in vista del complessivo risultato perseguito. Si pensi al contratto di logi-
stica, con il quale, per un prezzo onnicomprensivo, una parte tende a conseguire la fornitu-
ra di servizi logistici integrati, rimanendo l’operatore responsabile per tutte le obbligazioni
che ineriscono ai singoli servizi. Si pensi anche al contratto di rete con il quale le parti (im-
prese) tendono a compiere una varietà di attività in comune o solo scambiandosi una varie-
tà di informazioni per la maggiore efficienza delle singole imprese.
Il fenomeno è bene evidente in presenza di obb ligazioni aggiuntive alla obbliga-
zione principale assunta, con carattere strumentale o accessorio. Si atteggiano come ob-
bligazioni strumentali quando mirano a consentire o agevolare l’attuazione del contenuto
tipico del contratto, al di fuori del quale non conserverebbero un’autonomia giuridica: si
pensi, relativamente al contratto di trasporto, alle operazioni di imbarco e sbarco dei
passeggeri ovvero di caricazione, stivaggio e scaricazione della merce, o anche alla prote-
zione del passeggero e di custodia della merce (cfr. art. 1177). Si configurano come ob-
bligazioni accessorie quando sono suscettibili di formare oggetto di autonomi contratti,
ma sono nella specie connesse al concreto contenuto del contratto utilizzato: nell’esem-
pio sopra fatto del trasporto, si pensi all’assicurazione della merce nel trasporto di cose o
alla prestazione di vitto e alloggio per il passeggero nel trasporto di persone; si pensi an-
che alle visure ipocatastali e alla registrazione, che si connettono alla prestazione profes-
sionale del notaio di rogazione dell’atto di trasferimento di un bene (par. 3).
In effetti, nella realtà economica il dato legislativo è spesso ribaltato: le c.d. obbligazioni
aggiuntive sono quasi sempre principali in quanto o sono strumentali al conseguimento
dello scopo programmato o concorrono alla determinazione dell’assetto di interessi per-

37
L’esistenza di una causa unica del negozio complesso si riflette sul nesso intercorrente tra le varie pre-
stazioni, con una intensità tale da precludere che ciascuna delle prestazioni possa essere rapportata a una di-
stinta causa tipica: le prestazioni si presentano organicamente interdipendenti e dirette al raggiungimento di
un intento negoziale oggettivamente unico (Cass. 28-3-2006, n. 7074).
986 PARTE VIII – CONTRATTO

seguito dalle parti, indipendentemente dal fatto che le stesse siano adempiute dal debito-
re direttamente o avvalendosi di ausiliari.
Quando tali fasci di prestazioni rispecchiano più tipi legali si dà propriamente luogo al
c.d. contratto misto, che è la figura più diffusa di contratto complesso. Gli elementi di più
schemi tipici concorrono alla elaborazione di un unitario intento negoziale in funzione del
conseguimento di uno scopo unitario. Il contratto misto si configura come contratto atipico,
per non essere riconducibile ad uno specifico schema legale, ma per risultare dalla combi-
nazione di più frammenti di schemi tipici finalizzati ad un unitario (benché complesso) as-
setto di interessi. Il riferimento tradizionale è al negozio che combina la causa di un con-
tratto a titolo oneroso con la causa di un contratto a titolo gratuito (negotium mixtum cum
donatione) 38; più di recente, si pensi al contratto di residence, che combina la locazione di
un appartamento con la erogazione di servizi; al contratto di parcheggio, che combina la
locazione di un posto auto con la custodia 39. Il risultato è conseguito mediante un unico
contratto, nel quale sono coordinati profili di più tipi legali: unica è però la causa concreta
realizzata, alla cui stregua va valutata la meritevolezza e la liceità del concreto contratto e
successivamente l’esattezza dell’adempimento.
È da tempo discussa la individuazione della disciplina applicabile al contratto mi-
sto 40. L’indirizzo tradizionale di ancorare la disciplina alla “prevalenza del tipo”, è stato
nel tempo superato dal principio della “combinazione dei tipi” attingendosi alle norma-
tive dei vari tipi coinvolti, in quanto compatibili; la giurisprudenza tende a semplificare la
individuazione della disciplina applicabile, facendo riferimento alla disciplina unitaria
dello schema prevalente, in ragione della prevalenza fra le prestazioni pattuite 41 o del-
l’assetto di interessi perseguito 42.
b) Si ha collegamento negoziale quando singoli fasci di prestazioni integrano più con-

38
Una posizione particolare assume la c.d. vendita mista a donazione (es. si arreca un beneficio al compra-
tore vendendo il bene ad un prezzo inferiore a quello di mercato; oppure si beneficia il venditore, acquistan-
do il bene ad un prezzo superiore a quello di mercato): si ha in tale ipotesi una donazione indiretta e perciò
un negozio indiretto (VIII, 3.15).
39
Anche il contratto di albergo va configurato come contratto atipico misto, per impegnarsi l’albergatore a
fornire al cliente, dietro corrispettivo, una serie di prestazioni eterogenee, quali la locazione di alloggio, la
fornitura di servizi, il deposito. Ricorrente è anche il contratto con il quale il concessionario del servizio di
distribuzione di carburanti affida a terzi la gestione di un impianto, affiancando al comodato gratuito degli
impianti il rapporto di somministrazione in esclusiva dei prodotti petroliferi.
40
Tradizionalmente si sono contese il campo tre impostazioni: teoria dell’assorbimento, secondo cui an-
drebbe applicata la disciplina del contratto prevalente; teoria dell’applicazione analogica, secondo cui il con-
tratto misto sarebbe un contratto innominato e dunque sarebbe soggetto all’applicazione analogica del con-
tratto tipico più simile; teoria della combinazione, secondo cui andrebbero coordinate le discipline dei vari
contratti, simultaneamente applicate.
41
La giurisprudenza tende ad assoggettare il negozio misto alla “disciplina unitaria di uno dei contratti in
base alla prevalenza degli elementi, salva l’applicazione degli elementi del contratto non prevalente se regolati
da norme compatibili con quello del contratto prevalente” (Cass., sez. un., 31-10-2008, n. 26298). Bisogna
aver riguardo alle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (teoria
dell’assorbimento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono
voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l’ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applica-
no le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto pre-
valente (Cass. 17-10-2019, n. 26485).
42
Il fattore decisivo per stabilire la prevalenza degli elementi tra vendita e appalto è dato dall’interesse
che ha mosso le parti a stipulare (Cass. 6-10-2014, n. 20993).
CAP. 3 – CONTENUTO 987

tratti strutturalmente autonomi ma connessi in vista di un risultato unitario. I negozi col-


legati sono appunto negozi con strutture autonome, ed anche con cause distinte ma fun-
zionalmente combinate in un programma unitario. Il collegamento può essere necessita-
to o facoltativo.
Il collegamento necessitato indica una connessione necessaria di un negozio con
un altro negozio: la connessione è strumentale in quanto un negozio è preordinato e pre-
paratorio rispetto alla stipula di altro negozio: es. il contratto preliminare rispetto al con-
tratto definitivo (art. 1351), la procura rispetto al contratto da compiere (art. 1388); è
solo complementare quando consente, consolida o risolve l’efficacia di altro negozio: ri-
spettivamente, la ratifica di negozio inefficace (art. 1399), la convalida di negozio annul-
labile (art. 1444), la dichiarazione di volere profittare nel contratto a favore di terzo (art.
1411) la risoluzione consensuale di un precedente contratto (art. 1372).
Il collegamento facoltativo esprime la libera organizzazione dell’assetto di inte-
ressi con l’impiego di più negozi variamente connessi. Le parti realizzano una operazione
economica mediante una pluralità coordinata di contratti che hanno specifici schemi, te-
leologicamente connessi da un vincolo funzionale che li indirizza al risultato unitario: per-
ché ricorra un collegamento negoziale rileva e va pertanto verificato il nesso teleologico tra i
negozi. Nel caso in cui le parti contrattuali siano diverse e il collegamento sia stabilito
nell’interesse soltanto di una di esse, è necessario che il nesso teologico sia esplicitato ovve-
ro sia ricostruibile nel senso che i più contratti risultino funzionalmente connessi e tra loro
interdipendenti per il raggiungimento dello scopo perseguito dalle parti 43.
Conseguono dal collegamento negoziale due corollari: da un lato, ognuno dei diffe-
renti contratti mantiene la sua individualità e resta soggetto alla disciplina propria della
struttura specifica impiegata, e come tale va verificato e deve essere eseguito 44; dall’altro,
la interdipendenza degli stessi, per essere finalizzata al perseguimento di un risultato
complessivo, impegna una funzione unitaria che come tale va valutata, con la conseguen-
za che le vicende del singolo negozio si ripercuotono sul complessivo assetto di interessi:
le vicende che investono un contratto (invalidità, risoluzione, inefficacia in genere) coin-
volgono i contratti collegati. Rispetto alla struttura del singolo contratto si ha un feno-

43
Il collegamento deve dipendere dalla genesi del rapporto, con l’intento specifico delle parti di coordina-
re i due negozi instaurando tra essi una connessione teleologica; la volontà di collegamento deve obiettivarsi
nel contenuto dei diversi negozi, sicché ognuno dei negozi sia destinato a subire le ripercussioni delle vicende
dell’altro (Cass. 23-2-2022, n. 9475). Nell’ipotesi di contratto di mutuo, in cui sia previsto lo scopo del reim-
piego della somma mutuata per l’acquisto di un determinato bene, sussiste il collegamento negoziale tra tali
contratti (di vendita e di mutuo), per cui il mutuatario è obbligato all’utilizzazione della somma mutuata per
la prevista acquisizione; della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza
che la risoluzione della compravendita del bene – che importa il venir meno dello stesso scopo del contratto
di mutuo – legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata, non al mutuatario, ma di-
rettamente ed esclusivamente al venditore (Cass. 19-7-2012, n. 12454).
44
Si ha collegamento meramente occasionale quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzio-
nalmente autonome, mantengono l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano,
sicché la loro unione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano; si ha invece collega-
mento funzionale (che è il collegamento vero e proprio) quando i diversi e distinti negozi, cui le parti danno
vita nell’esercizio della loro autonomia negoziale, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo,
vengono tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza
(Cass. 21-9-2011, n. 19211; Cass., sez. un., 25-11-2008, n. 28053). Il collegamento negoziale non può realiz-
zarsi fra negozi simulati e dissimulati, essendo di per sé la simulazione già deputata al perseguimento di scopi
estranei a quelli del negozio formalmente posto in essere (Cass. 31-5-2013, n. 13861).
988 PARTE VIII – CONTRATTO

meno di negozio con causa esterna in quanto è la causa della complessiva operazione eco-
nomica che giustifica la presenza dei singoli negozi 45. Non è rilevante la contestualità
documentale ma la correlazione funzionale: più negozi possono essere stipulati in distinti
documenti come in un unico documento. Il collegamento teleologico tra gli atti compor-
ta un collegamento funzionale tra i rapporti regolati nei singoli atti combinati, con risvol-
ti sia di carattere civilistico (invalidità o rescissione) che di carattere tributario (per la
tassazione degli atti in funzione delle operazioni compiute) 46.
La connessione tra i negozi può integrare un vincolo unilaterale tra i contratti nel sen-
so di subordinazione di un solo contratto all’altro 47, come può dispiegarsi in un vincolo
plurilaterale nel senso di concorrente implicazione tra i singoli contratti. Può riguardare
più contratti stipulati tra le parti o anche stipulati tra persone diverse 48. Spesso è lo stes-
so ordinamento che, al fine di tutelare specifici interessi, impone la verifica del collega-
mento: ad es., nei contratti con i consumatori, il controllo di vessatorietà del contratto va
compiuto tenendo conto anche di altre clausole di un contratto collegato o da cui di-
pende (art. 341 cod. cons.).
Di sovente l’emergere di un tipo legale proviene proprio da una esperienza economi-
ca di collegamento negoziale tra più contratti. Uno dei terreni significativi di emersione
di contratti collegati è quello dei viaggi organizzati: la prassi sociale di collegamento tra i
vari servizi (trasporto, alloggio e servizi turistici) ha prima fatto emergere una tipicità so-
ciale di contratti collegati e poi dato senz’altro vita all’unitario tipo legale della “vendita
di pacchetti turistici” (IX, 2.12). Si è anche ricorso al meccanismo del collegamento ne-

45
Il collegamento contrattuale non dà luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attra-
verso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, attraverso una pluralità coordina-
ta di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regola-
mento dei reciproci interessi: i vari contratti restano soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema nego-
ziale, mentre la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla perma-
nenza del vincolo contrattuale, per cui “simul stabunt, simul cadent” (Cass. 10-10-2014, n. 21417; Cass. 22-3-2013,
n. 7255). Nel caso in cui le parti contrattuali siano diverse e il collegamento sia stabilito nell’interesse soltanto di
una di esse è necessario che il nesso teleologico tra i singoli atti negoziali si traduca – ricevendo forma giuridica –
nell’inserimento di apposite clausole a tutela della parte che è portatrice di tale interesse, ovvero venga esplicitato
o comunque accettato dagli altri contraenti (Cass. 6-2-2013, n. 2839; Cass. 22-3-2013, n. 7255).
46
Incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipo-
lazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di
mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale elusivo (Cass. 26-2-2014, n. 4603). In tema di
imposta di registro, il negozio complesso è contrassegnato da una causa unica, laddove, invece, nel collega-
mento negoziale, distinti ed autonomi negozi si riannodano ad una fattispecie complessa pluricausale, della
quale ciascuno realizza una parte, ma pur sempre in base ad interessi immediati ed autonomamente identifi-
cabili (Cass. 23-10-2019, n. 27043).
47
Le parti possono concordare che uno soltanto dei contratti sia dipendente dall’altro, se il regolamento
di interessi che l’uno è volto a disciplinare non dipende da quello dell’altro (Cass. 8-10-2008, n. 24792). Le
vicende che investono l’un contratto possono dunque ripercuotersi sull’altro non necessariamente in funzione
di condizionamento reciproco, ben potendo uno soltanto dei contratti essere subordinato all’altro e non vice-
versa (Cass. 4-3-2010, n. 5195).
48
La fattispecie del collegamento negoziale se, da un lato, è configurabile anche quando i singoli atti siano
stipulati tra soggetti diversi, dall’altro, richiede pur sempre che i negozi siano concepiti e accettati come fun-
zionalmente connessi e tra loro interdipendenti (Cass. 24-3-2014, n. 6879). Ad es., si è precisato che, nell’ipo-
tesi di leasing finanziario, i due contratti stipulati (di vendita tra il fornitore e il concedente, e di leasing tra
quest’ultimo e l’utilizzatore) sono sì legati da un nesso obiettivo, economico e teleologico, ma non dal nesso
soggettivo; mancando un collegamento negoziale in senso stretto, la patologia di un contratto non comporta
la patologia anche dell’altro (Cass. 3-9-2021, n. 23875).
CAP. 3 – CONTENUTO 989

goziale con riferimento al c.d. mutuo di scopo, come presidio di realizzazione del risulta-
to perseguito con il finanziamento 49.
Quando il collegamento è espresso, la verifica è più agevole in quanto è lo stesso in-
tento negoziale a considerare esplicitamente i differenti contratti connessi in vista di uno
scopo unitario (la indicazione di connessione costituisce sicuro sintomo di collegamen-
to). Più difficile è accertare il collegamento negoziale in assenza di espressa menzione in
tal senso, trattandosi di questione interpretativa. Soccorrono i normali canoni ermeneu-
tici ex artt. 1362 ss. (VIII, 5.2). Nella verifica del collegamento, devono interagire criteri
soggettivi (di ricostruzione della volontà delle parti) e oggettivi (di razionalità dell’opera-
zione compiuta) 50: in entrambe le direzioni un ruolo essenziale e generale è svolto dal
principio di buona fede (art. 1366) 51. Si pensi ad un contratto di vendita di un computer
con contestuale stipula di un contratto di manutenzione: deve ragionevolmente ritenersi
che sussista un collegamento tra i due contratti, sicché la cessazione del servizio di ma-
nutenzione deve influenzare la sorte della vendita 52. Nelle operazioni economiche che
impegnano risorse e azioni private e pubbliche, il collegamento negoziale diviene anche
un meccanismo di verifica della meritevolezza del piano e di valutazione della correttez-
za della esecuzione: si pensi alla esperienza del projet financing quale operazione econo-
mica che coinvolge vari interessi e più poteri di controllo spettanti ai relativi titolari, in
vista del risultato unitario perseguito 53.

13. Simulazione. L’accordo simulatorio. – La simulazione esprime un complesso re-


golamento di interessi con il quale le parti perseguono un determinato risultato con la

49
Si è stabilito che, in ipotesi di contratto di mutuo con lo scopo del reimpiego della somma mutuata per
l’acquisto di un determinato bene, si determina un collegamento negoziale tra i due contratti, con la conse-
guenza che la risoluzione della compravendita del bene, importando il venir meno dello scopo del contratto
di mutuo, legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata direttamente ed esclusiva-
mente al venditore, per realizzarsi un unico regolamento di interessi, che assume una propria rilevanza causa-
le in relazione alla sintesi degli interessi (c.d. causa concreta) che lo stesso è concretamente diretto a realizzare
(Cass. 16-2-2010, n. 3589; Cass. 26-10-2009, n. 22603).
50
Per Cass., sez. un., 25-11-2008, n. 28053, il collegamento negoziale prevede due elementi: uno oggettivo,
costituito dal nesso teleologico tra i negozi, finalizzati alla regolamentazione degli interessi reciproci delle par-
ti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, e un elemento
soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli nego-
zi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore
che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (Cass.
5-3-2019, n. 6223; Cass. 17-5-2010, n. 11974; Cass. 16-3-2006, n. 5851).
51
Il vincolo di reciproca dipendenza non esclude che ciascuno dei negozi si caratterizzi in funzione di una
propria causa e conservi una distinta individualità giuridica, spettando i relativi accertamenti su natura, entità,
modalità e conseguenze del collegamento negoziale al giudice di merito (Cass. 22-9-2016, n. 18585).
52
È stato ravvisato un fenomeno di collegamento nel c.d. leasing finanziario, ricostruendo una figura di
collegamento negoziale tra contratto di “fornitura” e contratto di “leasing”, senza però ravvisare un’operazio-
ne giuridica unitaria e un rapporto trilaterale (Cass. 25-5-2004, n. 10032).
53
Il projet financing (letteralmente finanza di progetto) si inscrive nell’alveo del partenariato pubblico pri-
vato (art. 3 cod. contr. pubbl.), con il coinvolgimento di soggetti privati nel costo e nella realizzazione e ge-
stione di lavori pubblici o di pubblica utilità. Si sostanzia in una tecnica di finanziamento a lungo termine di
un progetto, la cui garanzia e il cui ristoro sono affidati ai risultati dell’attività di gestione dell’opera; coinvol-
ge più soggetti astretti da differenti tipologie di rapporti funzionalmente collegati. La figura è regolata dagli
artt. 183 a 186 cod. contr. pubbl. (D.Lgs. 50/2016).
990 PARTE VIII – CONTRATTO

frapposizione di un contratto apparente. Il codice civile non contiene la nozione della simu-
lazione, limitandosi a regolarne gli effetti con il relativo regime probatorio. Ma dalla com-
plessiva disciplina emerge quale tratto significativo della stessa il c.d. accord o simulato-
rio come intento comune simulatorio: le parti, d’accordo e dunque consapevolmente, vo-
gliono e dichiarano di volere perseguire il risultato di creare una complessa realtà giuridica,
fatta di un atto per l’apparenza (negozio simulato) con l’intesa sottostante di non darvi ri-
levanza ovvero di dare rilevanza ad un regolamento diverso.
Di regola, con la simulazione, per il fatto stesso di fingere una situazione apparente
con occultamento di altra reale, si tende a realizzare un inganno nei confronti dei terzi
(non tra le parti perché sono d’accordo). Tale inganno può teoricamente svolgersi in
tutte le direzioni; ma l’esperienza giudiziaria mostra ricorrenti bersagli a danno dei
quali l’inganno è più spesso perpetrato: verso i creditori, quando il debitore mira a va-
nificare l’esecuzione dei creditori sul proprio patrimonio; verso gli eredi legittimari,
quando il testatore vuole preferire uno degli eredi o un terzo oltre il limite della di-
sponibile; verso il partner, quando un partner vuole evitare che il bene acquistato cada
in comunione legale con l’altro ovvero non vuole fare emergere incrementi di ricchez-
za per i riflessi sull’importo del mantenimento; verso il fisco, quando, per aggirare l’im-
posizione tributaria, si dichiara un prezzo inferiore al reale o si finge l’intestazione in
capo a soggetto diverso o addirittura si compiono operazioni oggettivamente o sogget-
tivamente inesistenti 54.
Proprio in ragione del tendenziale impiego della simulazione per ingannare i terzi, si
discute da tempo circa la opportunità di attribuire rilevanza al fenomeno. Si è in gene-
rale riconosciuto di consentire tale meccanismo di esplicazione dell’autonomia privata
perché non necessariamente con esso si tende a perseguire uno scopo illecito: ad es.
quando si vuole frazionare tra più soggetti la intestazione di proprietà o di quote sociali
per consentire la formazione di un gruppo di maggioranza, che si traduce in efficienza
di guida dell’organismo; oppure quando l’occultamento della realtà con la creazione di
una situazione apparente emerge come l’unico strumento al riparo dell’intervento an-
che violento di terzi 55; talvolta è anche possibile fare arridere dei mezzi a soggetti biso-
gnosi coprendone la provenienza. Una scelta di politica legislativa attribuisce rilevanza
al fenomeno simulatorio con determinati limiti, sia per evitare che sia realizzato uno
scopo illecito o comunque vietato dalla legge, sia per tutelare le posizioni di terzi e cre-
ditori che ripongono affidamento sulla situazione reale 56.
Si è anticipato come tradizionalmente la simulazione sia stata ricostruita come un

54
L’amministrazione finanziaria ed il giudice tributario hanno il potere di riqualificare i negozi giuridici a fini
fiscali, interpretando e qualificando, anche diversamente dalle parti, la natura e gli effetti giuridici dei vari contrat-
ti, quali si possono desumere dalla oggettività del loro contenuto e dalla ricognizione positiva del loro significato, e
quindi accertare la simulazione che pregiudichi la percezione dell’esatto tributo (Cass. 22-2-2013, n. 4535).
55
Il negozio simulato non è riducibile al negozio fraudolento: la simulazione dà luogo a un negozio fittizio,
voluto per l’apparenza e non nella realtà (è l’apparenza che può volgersi all’inganno e spesso è voluta proprio al
fine di ingannare i terzi); viceversa la frode dà vita, di per sé, ad un negozio vero e reale, voluto con lo scopo ap-
punto di frodare i terzi come l’ordinamento. Evidentemente più un ordinamento è votato alla trasparenza dei
rapporti dei consociati, maggiormente circoscritta è l’area della rilevanza della simulazione; più spazio è riservato
al riserbo e all’autonomia dei consociati, maggiormente ampio è il terreno della simulazione.
56
Una disciplina particolare opera per la simulazione del matrimonio (art. 123) e delle convenzioni ma-
trimoniali (art. 164).
CAP. 3 – CONTENUTO 991

contrasto tra volontà e dichiarazione: la prima, interna e occulta tra le parti; la seconda
apparente e ostentata nei confronti dei terzi, con la conseguenza di considerare l’atto simu-
lato un negozio non voluto e quindi nullo 57 (VIII, 2.7). In realtà il progetto volitivo è uni-
tario, teso a conseguire un risultato composito (c.d. procedimento simulatorio): la simula-
zione non indica un negozio (simulato), ma allude ad un’attività negoziale (simulatoria),
che si caratterizza per un regolamento di interessi complesso, che si svolge su due piani
(esterno e interno): essenza della simulazione è l’intento simulatorio, cioè l’intesa tra le par-
ti, vincolante per entrambe, di porre in essere un atto interno (effettivo) regolatore degli
interessi tra le stesse e un atto esterno (apparente) senza attribuzione di effetti giuridici o
attribuendovi effetti diversi.
Il problema giuridico della simulazione sta nella determinazione degli effetti, tra le
parti e verso i terzi, di negozi che le parti hanno volutamente frapposto all’esterno, per
celare gli scopi realmente perseguiti. Il risultato voluto è riposto nell’accordo simulatorio
interno espresso da una c.d. controdichiarazione che le parti sono solite rilasciarsi
per documentare il complessivo fenomeno simulatorio 58.
È l’intesa simulatoria a distinguere la simulazione dalla riserva mentale, la quale
ricorre quando un soggetto, autonomamente, esclude gli effetti del contratto. Se le parti,
ciascuna autonomamente, escludono gli effetti del contratto, non si ha simulazione ma
duplice riserva mentale, come tale irrilevante. È ancora l’intesa simulatoria a spiegare la
simulazione dei negozi unilaterali recettizi: per l’art. 14143 la simulazione opera con ri-
guardo agli atti unilaterali destinati a una persona determinata, quando il negozio unila-
terale è simulato per accordo tra il dichiarante e il destinatario.
Più spesso ricorre una simulazione totale, per riguardare la simulazione l’intero nego-
zio simulato frapposto per l’apparenza. Talvolta si ha simulazione parziale per riguardare
la simulazione solo parte di tale negozio. In quest’ultimo caso il fenomeno della simula-
zione interseca il tema della conservazione del negozio e della normativa sulla nullità
parziale (art. 1419) onde verificare la estensibilità della simulazione parziale all’intero
negozio (VIII, 9.7).
In ragione del modo di atteggiarsi della simulazione, è fondamentale la distinzione tra
simulazione assoluta e simulazione relativa (che, a sua volta, può essere oggettiva o sogget-
tiva).
a) Si ha simulazione assoluta quando le parti creano per l’apparenza un contratto
mentre non vogliono alcun mutamento della realtà giuridica. Ad es. è stipulata la vendita
simulata di un bene per fare apparire l’uscita del bene dal patrimonio, ovvero è costituita
fittiziamente una ipoteca sul patrimonio a favore di un terzo al fine di fare apparire la
presenza di creditori privilegiati: in entrambi i casi gli atti simulati sono compiuti al fine
di ostacolare la esecuzione forzata dei creditori, mentre non si vuole vendere o costituire

57
Cfr. Cass. 11-2-1966, n. 421; Cass. 6-3-1970, n. 576.
58
La controdichiarazione costituisce atto di riconoscimento o di accertamento scritto, avente carattere ne-
goziale, che non si inserisce come elemento essenziale nel procedimento simulatorio, potendo quindi non solo
non essere coeva all’atto simulato, ma anche provenire dalla sola parte contro il cui interesse è redatta e che
voglia manifestare il riconoscimento della simulazione (Cass. 30-1-2013, n. 2203; Cass. 1-10-2003, n. 14590;
Cass. 4-5-1998, n. 4410). In assenza di controdichiarazione, rientra nei compiti del giudice del merito la ricer-
ca e la valutazione degli indizi, soggetti a una valutazione globale, pur senza omettere un apprezzamento fra-
zionato al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significa-
tivi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (Cass. 12-10-2010, n. 21027).
992 PARTE VIII – CONTRATTO

alcuna garanzia reale. In sostanza ci si limita a privare di effetti il negozio simulato appa-
rente. E la situazione rileva anche verso l’incapace se il rappresentante legale è regolar-
mente autorizzato 59.
b) Si ha simulazione relativa quando le parti creano un contratto per l’apparenza,
mentre in realtà vogliono un diverso mutamento della realtà giuridica, o nell’oggetto o con
riguardo ai soggetti. In tal caso, a fronte del negozio creato per l’apparenza (negozio si-
mulato), si dà vita ad un diverso e sottostante negozio destinato ad avere effetti tra le parti
(negozio dissimulato), che contiene anche la controdichiarazione (senza necessità di un
autonomo atto). Il negozio dissimulato concorre con il negozio simulato a delineare l’u-
nitario fenomeno simulatorio e dunque il complessivo risultato programmato dalle parti.
La simulazione relativa può essere oggettiva o soggettiva.
È oggettiva quando la finzione inerisce al contenuto dell’atto: ad es. è stipulata una
vendita simulata che cela una donazione sottostante, al fine di evitare l’azione di riduzione
degli eredi legittimari. È esternato per l’apparenza un regolamento contrattuale diverso
da quello effettivamente voluto e realizzato.
È soggettiva quando la finzione inerisce alle parti dell’atto (c.d. interposizione fit-
tizia di persona ). È esternato per l’apparenza un soggetto diverso da quello effettivo:
ad es. un imprenditore acquista un immobile intestandolo fittiziamente ad altro soggetto
(interposto), per evitare la esecuzione forzata dei propri creditori. Si realizza un accordo
simulatorio tra tre soggetti, per cui si finge che parte del contratto sia il soggetto apparen-
te (c.d. prestanome o testa di legno) mentre gli effetti sono destinati a prodursi in capo a
un diverso soggetto (soggetto effettivo). Il soggetto apparente è il soggetto interposto, ri-
spetto al quale il contratto non è destinato a produrre effetti; il soggetto occulto è il sog-
getto interponente, che è il destinatario reale degli effetti. La giurisprudenza ha chiarito
che, per operare la interposizione fittizia, è necessario che il prestanome, se non concor-
re direttamente alla creazione della situazione apparente, quanto meno vi aderisca; se è
un terzo a far valere la interposizione fittizia è necessario che siano evocate in giudizio
entrambe le parti del contratto simulato 60. Una figura specifica di interposizione è previ-
sta in materia tributaria , quando, per non rendere palese al fisco la formazione di ric-

59
È configurabile e opponibile al minore rappresentato, la simulazione assoluta di un atto, eccedente i li-
miti dell’ordinaria amministrazione, compiuto dal legale rappresentante, preventivamente e regolarmente au-
torizzato dal giudice tutelare (Cass. 9-6-2014, n. 12953).
60
Per la configurabilità di una simulazione relativa sotto il profilo soggettivo, è indispensabile un ac-
cordo non solo tra l’interponente e l’interposto, ma anche con il terzo, il quale deve consentirvi, espri-
mendo la propria adesione nella debita forma, che, per i trasferimenti immobiliari, è quella scritta (Cass.
18-8-2011, n. 17389). Il giudizio avente ad oggetto l’interposizione fittizia di persona (c.d. simulazione rela-
tiva) deve svolgersi, a pena di nullità, nel contraddittorio dell’interposto, dell’interponente e del terzo, essendo la
declaratoria di simulazione destinata a produrre effetti nei confronti di tutti i soggetti (Cass. 22-2-2008, n.
4787). L’accordo simulatorio tra i tre soggetti può tradursi anche nell’adesione successiva da parte del ter-
zo all’intesa già raggiunta dai primi due, contenente la manifestazione di volontà di assumere diritti ed ob-
blighi discendenti dal contratto, direttamente nei confronti dell’interponente (Cass. 7-11-2002, n. 15633).
Per l’art. 512 bis c.p. (trasferimento fraudolento di valori), salvo che il fatto costituisca più grave reato,
chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di
eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovve-
ro di agevolare la commissione di uno dei delitti di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o
utilità di provenienza illecita, è punito con la reclusione da due a sei anni (è un reato istantaneo ad effetto
permanente).
CAP. 3 – CONTENUTO 993

chezza priva di riscontri nei bilanci e nelle dichiarazioni dei redditi, si intesta un bene a
un soggetto interposto, ovvero si dà luogo a operazioni oggettivamente o soggettivamen-
te inesistenti 61.
Si vedrà in seguito, parlando della rappresentanza, come la interposizione fittizia di
persona si differenzi dalla c.d. interposizione reale di persona, dove il soggetto interposto
è contraente effettivo e reale, con l’obbligo di riversare gli effetti del contratto sul sogget-
to nel cui interesse agisce (VIII, 8.2).

14. Segue. Regime e effetti della simulazione (tra le parti e verso i terzi). – La
tradizionale ricostruzione della simulazione come contrasto tra volontà (sottostante) e
dichiarazione (apparente) propendeva per la nullità del negozio simulato 62. A soluzione
non dissimile è possibile pervenire con la riconduzione della simulazione a una altera-
zione della causa, per essere ostentata una causa apparente, inesistente tra le parti e quindi
un negozio simulato privo di causa 63. La nullità del negozio simulato (comunque giusti-
ficata) comporta la privazione di effetti dello stesso. Né l’adozione dell’atto pubblico va-
le a vanificare il carattere simulato dell’atto, limitandosi l’atto pubblico a fare prova, fino
a querela di falso, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale
attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700) 64.
Con il riconoscimento giuridico della simulazione, è attribuita rilevanza all’assetto di
interessi sottostante che neutralizza oppure sostituisce o modifica quello apparente, con
precisi limiti. Bisogna valutare distintamente gli effetti della simulazione tra le parti e ri-
spetto ai terzi.
a) Effetti tra le parti. Regola generale è che “il contratto simulato non produce effetto
tra le parti” (art. 14141); quindi se manca un sottostante regolamento di interessi (simu-

61
Per l’art. 373 D.P.R. 29.9.1973, n. 600 (Accertamento imposte) “in sede di rettifica o di accertamento
d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato,
anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta
persona”. Tale schema di interposizione soggettiva fittizia si caratterizza, rispetto a quello civilistico, per il
fatto che l’accordo tra interponente (contribuente) e interposto non coinvolge l’Amministrazione finanziaria
che, pure essendo parte del rapporto obbligatorio di imposta, resta soggetto terzo non consenziente e addirit-
tura ignaro della interposizione: l’interposizione è uno schermo fittizio e deviante fra il contribuente e l’Am-
ministrazione finanziaria (v. Cass. 15-11-2013, n. 25671; Cass. 25-7-2012, n. 13089). Spetta al contribuente
fornire la prova della esistenza di “ragioni economiche” alternative o concorrenti con carattere non meramen-
te marginale o teorico che giustifichino l’operazione (Cass. 8772/2008; Cass. 20816/2005).
62
Un utile contributo alla ricostruzione del fenomeno proviene dal diritto canonico: per il can. 1101, § 2,
cod. can. “se una o entrambe le parti escludono, con un positivo atto di volontà, il matrimonio oppure un suo
elemento essenziale o una sua proprietà essenziale, le parti contraggono invalidamente”, dunque l’atto simu-
lato è invalido. La dottrina canonistica è solita distingue: una causa simulandi per indicare la ragione per la
quale le parti frappongono un matrimonio apparente attraverso un positivo atto di volontà, con esclusione o
mutamento del contenuto dell’atto; una causa contrahendi per indicare la ragione per la quale hanno celebrato
il matrimonio, pur non volendolo: si determina una dissociazione tra la volontà del contenuto, espressa dalla
esclusione o mutamento dell’oggetto specifico del matrimonio (causa simulandi) e la volontà della manifesta-
zione, espressiva della ragione della celebrazione (causa contrahendi).
63
La simulazione assoluta è motivo di nullità del negozio per difetto di causa (Cass. 20-10-2004, n. 20548).
L’accertamento della simulazione assoluta determina la nullità del negozio, per anomalia della causa rispetto
allo schema tipico che ne giustifica il riconoscimento normativo (Cass. 26-3-2018, n. 7459).
64
La stipula di una vendita per atto pubblico non è di ostacolo all’accertamento della domanda diretta a
far valere la simulazione assoluta del contratto (Cass. 18-4-2007, n. 9239).
994 PARTE VIII – CONTRATTO

lazione assoluta) non si produce alcun effetto. Se sussiste un sottostante regolamento di


interessi (simulazione relativa) questo rileva giuridicamente: per l’art. 14142 “se le parti
hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il
contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma”.
In sostanza, ferma la nullità del contratto simulato, produce effetto tra le parti il con-
tratto sottostante (dissimulato) quale contratto realmente voluto e con una propria cau-
sa, purché sia lecito (ad es., è nulla una sottostante donazione di cose future per il divieto
ex art. 771), e abbia la forma prescritta ad substantiam (ad es. è nulla una sottostante do-
nazione non compiuta per atto pubblico, con la presenza di due testimoni) 65.
b) Effetti rispetto ai terzi. Il regime degli effetti verso i terzi involge il problema della
opponibilità della simulazione ai terzi, governato dal generale principio della tutela della
buona fede dei terzi e cioè dell’affidamento riposto nella realtà conosciuta o conoscibile.
Regola base è che le parti del contratto simulato (come pure gli aventi causa o i credi-
tori del simulato alienante) non possono opporre la simulazione ai terzi che, in buona fe-
de, hanno acquistato diritti dal titolare apparente (cioè da chi risulta titolare in base
all’atto simulato) (art. 14151), salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simula-
zione (art. 2652, n. 4). Con la creazione di un negozio apparente, le parti corrono il ri-
schio di suscitare l’affidamento dei terzi: essendo le parti stesse non incolpevoli, anzi ad-
dirittura artefici della finzione, soccombono rispetto ai terzi che hanno fatto affidamento
sulla titolarità apparente immessa nella realtà giuridica.
I terzi possono far valere la simulazione nei confronti delle parti del negozio simulato
quando la simulazione arrechi pregiudizio ai loro diritti (art. 14152) 66, così da fare emer-
gere la realtà sottostante contro l’apparenza.
c) Effetti verso i creditori. Nei rapporti con i creditori i beni rilevano in funzione di
garanzia patrimoniale.
I creditori del simulato acquirente che, in buona fede, hanno compiuto atti di esecu-
zione sui beni da costui acquistati simulatamente, di regola, non subiscono gli effetti del-
la simulazione: agli stessi non è, di regola, opponibile la simulazione (art. 14161). Sussiste
però l’opposto interesse dei creditori del simulato alienante alla conservazione della ga-
ranzia sul suo patrimonio: questi, ricevendo pregiudizio dall’atto apparente, possono far
valere la simulazione (art. 14162) 67.
Si delinea un conflitto tra due classi di creditori: i creditori dell’apparente acquirente
mirano alla efficacia dell’atto simulato (per escutere la garanzia patrimoniale sui beni fit-
tiziamente entrati nel patrimonio dell’acquirente); i creditori del simulato alienante tendo-

65
Si tende ad ammettere che sia sufficiente che il negozio simulato abbia la forma solenne richiesta per il
negozio dissimulato, perché comunque è stata richiamata l’attenzione delle parti sulla complessiva operazione
economica compiuta: ad es., in una ipotesi di vendita apparente che copre una donazione, si considera suffi-
ciente che la vendita rivesta la forma dell’atto pubblico richiesto per la donazione.
66
Non basta “un interesse indistinto e generalizzato” a ottenere il ripristino della situazione reale, dovendosi
riconoscere il potere di azione e/o di eccezione soltanto a coloro “la cui posizione giuridica risulti negativamente
incisa dall’apparenza dell’atto” (Cass. 28-10-2015, n. 22070; Cass. 21-2-2007, n. 4023).
67
La domanda di simulazione proposta dal creditore del simulato alienante (anche donante) comporta
l’allegazione, come fatti legittimanti, uno specifico credito e la dimostrazione del pregiudizio che alla soddi-
sfazione di questo può derivare dall’alienazione del bene (Cass. 2-8-2019, n. 20875; Cass. 5961/2008; Cass.
21524/2011).
CAP. 3 – CONTENUTO 995

no alla inefficacia dell’atto (per conservare la garanzia patrimoniale sui beni fittiziamente
usciti dal patrimonio dell’alienante). Trattandosi di crediti tutti chirografari, la legge accor-
da tutela preferenziale ai creditori del simulato alienante quando il loro credito è anteriore
all’atto simulato (art. 14162). I creditori del simulato alienante invocano un credito prece-
dente all’atto simulato e perciò, con l’uscita del bene dal patrimonio del debitore, si vedo-
no compromessa la sicurezza di realizzazione del credito (per riduzione della garanzia pa-
trimoniale); viceversa i creditori del simulato acquirente hanno l’interesse opposto di fare
considerare efficace l’acquisto compiuto dall’acquirente (per aumento della garanzia pa-
trimoniale). E la legge, secondo un antico principio, tende a favorire chi vuole evitare un
danno (qui certat de damno vitando) a scapito di chi viole conseguire un vantaggio (qui
certat de lucro captando); la tutela preferenziale dei creditori del simulato alienante è an-
che funzionale ad una economia di mercato per evitare una erosione della garanzia del
credito, che è essenziale leva di azione economica (è un conflitto già visto con riguardo
all’azione revocatoria: VII, 5.7).

15. Segue. Azione di simulazione e prova della simulazione. – Il fenomeno simu-


latorio è massimamente avvertito sul piano processuale per l’esigenza di squarciare il
doppio piano di organizzazione degli interessi da parte dei privati.
a) L’azione di simulazione mira ad accertare l’apparenza di un negozio, esista o me-
no un negozio sottostante tra le parti. Si configura come azione di accertamento della
nullità del negozio apparente, da esperire nei confronti di tutti i soggetti dell’atto si-
mulato 68; si distingue dall’azione revocatoria, che invece tende ad ottenere la declarato-
ria di inefficacia verso il creditore dell’atto dispositivo del debitore realmente voluto 69
(VII, 5.6).
Essendo rivolta alla declaratoria di una nullità, l’azione è imprescrittibile, salvi i con-
sueti effetti dell’usucapione e della prescrizione dell’azione di restituzione, posti all’e-
sercizio dell’azione di nullità ex art. 1422 (VIII, 9.4). Se, oltre alla declaratoria di nullità
del negozio simulato, si tende a far valere i diritti che discendono dal negozio dissimula-
to, rispetto a questi opera la comune prescrizione ordinaria decennale (arg. art. 2946),
con il corollario che, quand’anche sia esperita l’azione di nullità (imprescrittibile), il suo
risultato pratico rimane vanificato dalla prescrizione dei diritti inerenti al negozio dissi-
mulato, così venendo meno l’interesse all’accertamento della simulazione del negozio
apparente 70.

68
Nel giudizio di simulazione assoluta volto a far dichiarare l’inefficacia del negozio fra le parti, c’è liti-
sconsorzio necessario nei confronti di tutti i soggetti dell’atto impugnato (Cass. 26-5-2004, n. 10151).
69
L’azione di simulazione è diretta ad ottenere la declaratoria di inefficacia del negozio simulato; viceversa
l’azione revocatoria è diretta ad ottenere soltanto la pronuncia di inefficacia relativa del negozio riguardo al
creditore agente, senza che vengano coinvolti gli effetti del negozio fra le parti (Cass. 11-5-2005, n. 9875).
Poiché la simulazione si sostanzia nell’accordo simulatorio, non sempre è agevole nella pratica stabilire se il
contratto di vendita del bene o di costituzione di garanzia reale sia stato stipulato solo per l’apparenza o
realmente voluto: nella prima ipotesi il creditore può agire con l’azione di simulazione (art. 1416); nella se-
conda ipotesi, in quanto contratto solo pregiudizievole alle ragioni del creditore, questi può agire con l’azione
revocatoria (art. 2901). Da ciò il comune atteggiamento processuale del creditore di domandare, in via prin-
cipale la simulazione, e in via subordinata la revocatoria.
70
In tema di prescrizione, mentre non assume rilievo la natura – assoluta o relativa – dell’azione di si-
mulazione, che, essendo comunque diretta ad accertare la nullità del negozio apparente, è, ai sensi dell’art.
996 PARTE VIII – CONTRATTO

b) La prova della simulazione è il cuore della problematica sulla simulazione in quan-


to rivolta a fare emergere la realtà contro l’apparenza e perciò gli accordi che le parti
hanno voluto mantenere occulti. Per i terzi la prova è anche più gravosa che per le parti
simulanti, per la necessità di procurarsi gli elementi dai quali risultino le intese simulato-
rie. Anche per questo è previsto uno svolgimento diverso della prova della simulazione a
seconda che sia fatta valere dalle parti o dai terzi (compresi i creditori). La scarna disci-
plina della prova della simulazione (art. 1417) è destinata ad intrecciarsi con la disciplina
generale sulle prove (artt. 2721 ss.).
1) Quanto alle parti, una essenziale scriminante è costituita dalla solennità o meno
dell’atto che si vuole far valere. Per gli artt. 14142 e 2725, il contratto dissimulato ha effi-
cacia tra le parti purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma 71.
In presenza della controdichiarazione scritta, la prova della simulazione è più agevole,
essendo sufficiente alle parti il ricorso alla prova precostituita documentale, con l’allega-
zione della controdichiarazione dove è indicato il carattere simulato del contratto appa-
rentemente concluso e ciò che in realtà le parti hanno voluto e inteso realizzare.
In assenza della controdichiarazione scritta, quando le parti vogliono far valere un con-
tratto dissimulato solenne, non potendo avvalersi di prova precostituita documentale,
devono ricorrere a prove costituende, con i limiti che le caratterizzano. Possono ricorre-
re alla confessione e al giuramento, ma è nota la scarsa fruttuosità di tali prove per essere
improbabile l’ammissione di fatti a sé contrari (III, 2.3). La prova testimoniale e quella
per presunzioni rappresentano notoriamente le prove più utilmente utilizzabili: però, per
essere le parti autori del contratto simulato 72 racchiuso in un documento, opera il fon-
damentale limite dell’art. 2722, per cui “la prova per testimoni non è ammessa se ha per
oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che
la stipulazione è stata anteriore o contemporanea”. I limiti rispondono ad una esigenza
di certezza delle contrattazioni documentate: si vuole evitare che rapporti contrattuali do-
cumentali possano essere inficiati da una prova per testi (di minore attendibilità rispetto
a quella documentale) 73. È ammesso solo l’interrogatorio formale 74.

1422 c.c., imprescrittibile, il decorso del tempo può eventualmente colpire i diritti che presuppongono l’esi-
stenza del negozio dissimulato, facendo così venire meno l’interesse all’accertamento della simulazione del
negozio apparente (Cass. 27-8-2013, n. 19678). Quando l’azione di simulazione relativa è diretta ad accer-
tare la nullità tanto del negozio simulato, quanto di quello dissimulato (per la mancanza dei requisiti di
sostanza o di forma), rilevando l’inesistenza di qualsiasi effetto tra le parti, tale azione non è soggetta a
prescrizione (Cass. 30-7-2004, n. 14562). Tale situazione non ricorre in caso di interposizione fittizia di
persona che è diretta ad identificare il vero contraente celato dall’interposto e non, invece, a far riconosce-
re gli elementi costitutivi di un diverso negozio, sicché l’azione ha carattere dichiarativo ed è imprescritti-
bile (Cass. 10-5-2016, n. 9401).
71
Ove si tratti di contratto per il quale la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità, è necessaria la pro-
duzione di una controdichiarazione contestuale alla stipula del contratto (Cass. 3-11-2021, n. 31243).
72
Agli effetti della prova della simulazione si considera parte e non terzo chi, pur essendo in apparenza
estraneo al contratto, assuma di essere uno dei soggetti del rapporto giuridico che si volle in realtà costituire e
di avere, quindi, interesse all’accertamento e all’attuazione di esso per avere partecipato per interposta perso-
na alla conclusione del contratto stesso (Cass. 2-3-2010, n. 4933).
73
L’art. 2724 prevede tre eccezioni al divieto della prova testimoniale per i contratti: 1) quando vi è un
principio di prova per iscritto; 2) quando il contraente è stato nella impossibilità morale o materiale di procu-
rarsi una prova scritta; 3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la
prova. Si è dibattuto sull’applicabilità di tale norma in materia di simulazione; il problema si è posto in parti-
CAP. 3 – CONTENUTO 997

2) Quanto ai terzi (compresi i creditori), non essendo questi partecipi dell’atto si-
mulato, la simulazione rileva come mero fatto giuridico: perciò i terzi e i creditori pos-
sono avvalersi di tutti i mezzi di prova e sono sempre ammessi a provare la illiceità del
contratto simulato (art. 1417). Per l’art. 1417 i terzi possono dare la prova della simu-
lazione anche per testimoni, senza limiti; correlativamente (arg. art. 27292) anche la
prova per presunzioni può essere data senza limiti 75: è anzi frequente il ricorso al mec-
canismo della presunzione in presenza di significativi indizi (es. parentela tra le parti,
esiguità del prezzo, prossimità di una esecuzione, circostanze dell’atto), inferendosi
dalla prova di alcune circostanze la esistenza di simulazione 76.
Uno specifico problema si pone rispetto agli eredi che tendono a far valere la simula-
zione di atti dispositivi compiuti dal de cuius. Subentrando nella posizione del defunto,
di regola l’erede subisce i medesimi limiti di prova del defunto in quanto parte del con-
tratto. Se però agisce in reintegrazione di legittima, per far dichiarare la simulazione di
vendita che copra una donazione, si comporta come terzo in quanto fa valere un proprio
diritto in contrasto con quello dei contraenti, così non incontrando i limiti di prova te-
stimoniale e per presunzioni nel far valere la simulazione dell’atto dispositivo 77. L’op-

colare con riferimento al n. 3 che ammette la prova per testi quando il contraente ha senza sua colpa per-
duto il documento che gli forniva la prova: si tende ad ammettere la prova per testi anche di contratti
aventi ad oggetto immobili, quando sia data la prova dell’incolpevole smarrimento della scrittura dissimu-
lata (Cass. 4-5-2007, n. 10240). L’art. 1417 ammette la prova per testimoni senza limiti solo se proposta da
creditori e terzi; se è invocata dalle parti può essere ammessa unicamente qualora sia diretta a far valere l’illi-
ceità del contratto dissimulato; per l’art. 27292, le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la leg-
ge esclude la prova per testimoni.
74
La legge, mentre vieta la prova per testimoni e per presunzioni, non vieta l’interrogatorio formale che
abbia per oggetto negozi per i quali non sia richiesto l’atto scritto “ad substantiam” (Cass. 27-5-2010, n. 12995;
Cass. 15-7-2008, n. 19435). La quietanza, come dichiarazione di scienza del creditore assimilabile alla confes-
sione stragiudiziale del ricevuto pagamento, può essere superata dall’opposta confessione giudiziale del debi-
tore, che ammetta, nell’interrogatorio formale, di non aver corrisposto la somma quietanzata; invero, l’art.
2726 limita, quanto al fatto del pagamento, la prova per testimoni e per presunzioni, non anche la prova per
confessione (Cass. 22-10-2013, n. 23971).
75
Qualora la domanda di simulazione sia proposta da terzi che, estranei al contratto, non sono in grado di
procurarsi la prova scritta, la prova per testi e per presunzioni della simulazione non subisce alcun limite
(Cass. 6-9-2006, n. 19146).
76
Grave problema si è posto con riguardo alla posizione degli eredi che tendono a far valere la simulazio-
ne di atti dispositivi del de cuius: subentrando nella posizione del defunto, di regola subiscono i medesimi
limiti di prova delle parti; tranne che non agiscano (es. azione di riduzione) per impugnare atti cui sono
sicuramente estranei e contro i quali controvertono, non incontrando in tal caso i limiti di prova. Per Cass.
26-3-2008, n. 7834, la prova della simulazione di un contratto solenne stipulato da un soggetto poi deceduto
da parte degli eredi dello stesso, allo scopo di far ricomprendere l’immobile disposto fra i beni facenti parte
dell’asse ereditario, soggiace a tutte le limitazioni previste dalla legge per la prova della simulazione tra le par-
ti, atteso che gli eredi, versando nelle stesse condizioni del de cuius, non possono legittimamente dirsi terzi
rispetto al negozio (Cass. 26-3-2008, n. 7834). Si è però anche rilevato che, se il de cuius ha posto in essere
una vendita fittizia per dissimulare una donazione, l’erede può essere considerato terzo ai fini della prova del-
la simulazione e quindi beneficiare delle agevolazioni probatorie previste dall’art. 1417, quando ha proposto
contestualmente anche domanda di riduzione della donazione dissimulata (Cass. 14-3-2008, n. 7048). In ogni
caso, in tema di prova per presunzioni del contratto, spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sinto-
matica dei singoli fatti noti, che devono essere valutati nella loro convergenza globale, all’esito di un giudizio
di sintesi (Cass. 24-11-2003, n. 17858).
77
L’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita effettuata dal de cuius, sic-
come dissimulante una donazione, assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti, con conseguente ammissi-
998 PARTE VIII – CONTRATTO

posizione alla donazione, di cui all’art. 5634, è esperibile anche prima dell’apertura della
successione 78.
I terzi sono tenuti a provare il pregiudizio che subiscono dal contratto apparente e
perciò l’interesse alla inefficacia del contratto simulato 79; non devono invece provare
anche l’elemento psicologico degli autori del contratto simulato di danneggiarli 80.

16. Negozi indiretti e fiduciari. – Talvolta è impiegato un tipo legale con lo scopo
di conseguire risultati ulteriori o, comunque, diversi rispetto a quelli connessi alla fun-
zione tipica del contratto posto in essere. Specifiche motivazioni sono incanalate verso
un risultato che utilizza il tipo legale per conseguire risultati pratici ulteriori e diversi.
Tali multiformi atteggiamenti di autonomia danno vita a due categorie di negozi, negozi
indiretti e negozi fiduciari, entrambi atipici.
a) Si ha negozio indiretto quando si impiega un tipo legale per conseguire uno scopo
ulteriore rispetto a quello connesso alla causa (astratta) del tipo impiegato: si determina
una divergenza dello scopo pratico perseguito rispetto alla funzione tipica dello schema
legale adottato. Si pensi ad una vendita a prezzo vile, che impiega lo schema della vendi-
ta per realizzare in fatto una donazione senza i limiti e le conseguenze che tale atto com-
porta (forma, riduzione, collazione, revocatoria, ecc.). Si pensi al mandato a vendere con
procura irrevocabile, che realizza lo scopo della vendita (e in particolare della vendita
per persona da nominare) senza le conseguenze che si legano all’attribuzione traslativa
(assunzione del rischio, eventuale forma). Il terreno di maggiore sviluppo è quello delle
c.d. donazioni indirette 81, di cui in seguito (XIII, 2.1).

bilità anche della prova presuntiva e per testi, senza limiti o restrizioni, atteso che egli agisce a tutela di un pro-
prio diritto, riconosciuto dalla legge, all’intangibilità della quota di riserva, proponendo la domanda di riduzio-
ne, nullità o inefficacia della donazione dissimulata (Cass. 8-9-2021, n. 24178; Cass. 22-10-2013, n. 23966; v.
anche Cass. 12-11-2013, n. 25431; Cass. 22-9-2014, n. 19912). Si è precisato che l’erede che propone doman-
da di accertamento di simulazione relativa, costituita dalla falsa intestazione di un immobile, se non propone
domanda di riduzione e neppure di collazione, è soggetto alle limitazioni della prova della simulazione ex art.
1417 c.c., non potendo il medesimo ritenersi terzo rispetto al negozio (Cass. 5-11-2012, n. 18902).
78
L’azione di simulazione di un contratto dissimulante una donazione di un bene immobile potenzial-
mente lesivo del legittimario può essere esperita anche prima dell’apertura della successione di quest’ultimo,
allo specifico scopo di consentire l’opposizione di cui all’art. 5634 e di rendere, in futuro, possibile l’esperi-
mento della domanda di restituzione del bene donato ex art. 5631; poiché l’azione di restituzione ex art. 5631,
è ammessa soltanto qualora non siano decorsi vent’anni dalla trascrizione della donazione, e considerato che
l’opposizione di cui all’art. 5634, è tesa ad assicurare unicamente la sospensione del termine ventennale di cui
al co. 1, l’esercizio della stessa non è consentito in relazione ad atti di liberalità, diretti o indiretti, che siano stati
trascritti da oltre venti anni (Cass. 11-2-2022, n. 4523).
79
L’azione di simulazione da parte del terzo in confronto delle parti postula un interesse correlato all’eser-
cizio di un proprio diritto e, pertanto, qualora un tale diritto risulti inconfigurabile, o comunque non pregiu-
dicato dall’atto che si assume simulato, il terzo difetta di interesse a far dichiarare la simulazione del contratto
o di uno dei suoi elementi (Cass. 13-2-2002, n. 2085; Cass. 11-1-2001, n. 338). È stato riconosciuto il potere
di azione o di eccezione soltanto a coloro la cui posizione giuridica risulti negativamente incisa dall’apparenza
dell’atto (Cass. 5-2-2015, n. 2154).
80
La prova dell’intento delle parti di nuocerli è invece a fondamento della eventuale ulteriore domanda di
risarcimento danni per fatto illecito (Cass. 1-2-2001, n. 1404; Cass. 26-2-1991, n. 2085).
81
Per Cass. 16-3-2004, n. 5333, la donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito, che è quello di
realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordina-
mento, e può essere costituito anche da più negozi tra loro collegati, come nel caso in cui un soggetto, stipula-
CAP. 3 – CONTENUTO 999

Spesso il risultato indiretto è conseguito mediante un procedimento che involge più


negozi, per cui, pure essendo ciascun negozio utilizzato secondo la sua causa tipica, la
combinazione degli stessi consente di conseguire un fine ulteriore rispetto a quello tipico
(par. 12). Più spesso il procedimento indiretto rileva nella prospettiva del collegamento
negoziale. Le parti combinano più atti, tutti veri e reali, collegati insieme in modo da rea-
lizzare lo scopo prefissosi per via indiretta e cioè attraverso il concorso e la reciproca
reazione dei vari atti. Tale meccanismo, che ingloba più atti validi, come tale, non è vie-
tato; tranne che la sequela dei vari atti non pervenga a un risultato vietato dalla legge o
comunque in frode alla legge. Di frequente il negozio indiretto, specie quando opera
come procedimento indiretto, integra un negozio in frode alla legge (art. 1344): è il caso
della vendita con patto di riscatto che mira a realizzare un mutuo ipotecario con patto
commissorio vietato (art. 2744) (VII, 5.3).
Il negozio indiretto esprime un assetto di interessi voluto e realizzato in tutti i suoi ri-
sultati; perciò si differenzia dalla simulazione relativa dove le parti pongono in essere un
atto apparente che nasconde un altro atto vero e reale sottostante, come quando è stipulata
una vendita con apparente trasferimento di danaro da parte dell’acquirente, che invece o
non viene versato oppure attraverso vari atti ritorna all’acquirente, così coprendosi una
donazione.
b) Si ha negozio fiduciario quando è impiegato un tipo legale per conseguire uno sco-
po più limitato di quello che la legge connette a tale tipo: si ha eccedenza dello schema
tipico utilizzato rispetto allo scopo pratico perseguito. Tale più limitato scopo è realizza-
to con il ricorso ad uno specifico mezzo giuridico.
Una figura emblematica è il mandato fiduciario (VIII, 8.2): una parte (fiduciante) fa
amministrare o gestire per finalità particolari un bene da parte di un’altra (fiduciario),
trasferendo direttamente al fiduciario la proprietà del bene o fornendogli i mezzi per
l’acquisto in nome proprio da un terzo, con il vincolo che il fiduciario rispetti un com-
plesso di obblighi volti a soddisfare le esigenze del fiduciante e ritrasferisca il bene al fi-
duciante o a un terzo da lui designato; spesso il patto fiduciario è impiegato con riferi-
mento alla gestione di partecipazioni societarie o altri prodotti finanziari. Più di frequen-
te si dà luogo al trasferimento del bene al terzo in via strumentale al conseguimento dello
scopo con obbligo di ritrasferimento (fiducia dinamica); talvolta manca un atto di trasfe-
rimento, perché il fiduciario è già investito ad altro titolo di un determinato diritto, im-
pegnandosi a esercitare le proprie prerogative nell’interesse altrui (fiducia statica).
Nella fiducia di stampo romanistico, accanto all’attribuzione traslativa, c’è la previsio-
ne di un effetto obbligatorio che mira a correggere l’effetto reale, con il quale il fiducia-
rio assume l’obbligazione del ritrasferimento al fiduciante o di trasferimento a un terzo
(spesso è accompagnato da un patto preliminare unilaterale o da un patto di opzione di

to un preliminare di compravendita di un immobile in veste di promissario acquirente, paghi il relativo prez-


zo e sostituisca a sé, nella stipulazione del definitivo con il promittente venditore, il destinatario della liberali-
tà, così consentendo a quest’ultimo di rendersi acquirente del bene ed intestatario dello stesso. Come ripetu-
tamente evidenziato dalla Suprema Corte (a partire da sez. un. 5-8-1992, n. 9282, poi 6-4-2001, n. 5122;
26-8-2002, n. 12486), si deve distinguere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successiva-
mente dal beneficiario in un acquisto immobiliare con propria autonoma e distinta determinazione, nel qual
caso oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisca il denaro quale mez-
zo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce l’unico specifico fine, se pur mediato, della donazione (perciò
donazione indiretta).
1000 PARTE VIII – CONTRATTO

ritrasferimento) e di utilizzare la posizione reale conseguita nei limiti e con lo scopo con-
cordati 82. Tradizionali atteggiamenti della fiducia sono la “fiducia cum amico” e la “fidu-
cia cum creditore”: nella prima, il fiduciario acquista il bene di cui può servirsi solo per
uno scopo determinato e che deve gestire per conto dell’alienante; nella seconda, il fidu-
ciario acquista il bene in funzione di garanzia reale: è il caso della vendita a scopo di ga-
ranzia, con la quale il debitore (fiduciante) trasferisce un bene al creditore (fiduciario) al
solo scopo di garanzia dell’adempimento. La fiducia sta nell’affidamento che il fiducian-
te fa nell’utilizzo del bene da parte del fiduciario in modo più limitato rispetto al titolo di
acquisto (pactum fiduciae) 83; spesso realizza un negozio in frode alla legge con violazione
del divieto del patto commissorio (art. 2744) (VII, 5.2).
Diversamente opera la fiducia di stampo germanico, assumendo il fiduciario una posi-
zione giuridica reale sul bene, compatibile con la posizione giuridica reale conservata dal
fiduciante 84. Si svolgono due posizioni giuridiche reali sul bene, entrambe conformate nel
contenuto secondo le condizioni del patto fiduciario.
Rispetto alla forma, di regola, il patto è a forma libera. È dibattuta la forma del patto fi-
duciario ad oggetto il trasferimento di immobile: la Suprema Corte che aveva seguito l’indi-
rizzo più rigoroso 85, ha poi ammesso la forma orale, ma la sentenza suscita perplessità 86. La
nullità del patto comporta il diritto al recupero per indebito oggettivo (ex art. 2033).
A differenza del negozio simulato che è voluto per l’apparenza, il negozio fiduciario è
voluto in sé e nei suoi effetti sia all’interno che all’esterno 87. Non sussiste un unitario ne-

82
La prova per testimoni del pactum fiduciae è sottratta alle preclusioni stabilite dagli artt. 2721 ss. soltanto
nel caso in cui detto patto sia volto a creare obblighi connessi e collaterali rispetto al regolamento contrattua-
le, onde realizzare uno scopo ulteriore in rapporto a quello naturalmente inerente al tipo di contratto stipula-
to, senza direttamente contraddire il contenuto espresso di tale regolamento; mentre ove il patto si ponga in
antitesi con quanto risulta dal contratto, la qualificazione dello stesso come fiduciario non è sufficiente ad
impedire l’applicabilità delle disposizioni che vietano la prova testimoniale dei patti aggiunti o contrari al
contenuto di un documento (Cass. 23-3-2017, n. 7416).
83
Con la valorizzazione della fiducia i giuristi romani facevano ricorso ad una categoria “etico-giuridica”
in grado di superare talune rigidità del diritto civile. Sul finire dell’età classica l’istituto è scarsamente utilizza-
to a seguito del riconoscimento dei negozi di comodato, deposito e pegno che assolvevano le finalità per cui
era essenzialmente emerso il pactum fiduciae, sia cum amico sia cum creditore.
84
La costruzione si giustifica nell’ordinamento tedesco, ammettendo tale ordinamento, per regola genera-
le, la validità dei negozi astratti.
85
Il pactum fiduciae con il quale il fiduciario si obbliga a modificare la situazione giuridica a lui facente
capo a favore del fiduciante o di altro soggetto da costui designato, richiede, qualora riguardi beni immobili,
la forma scritta “ad substantiam” e la prova per testimoni di tale patto è sottratta alle preclusioni stabilite da-
gli artt. 2721 ss. c.c. (sempre che non comporti, il trasferimento, sia pure indiretto, di beni immobili) soltanto
nel caso in cui detto patto sia volto a creare obblighi connessi e collaterali rispetto al regolamento contrattua-
le, al fine di realizzare uno scopo ulteriore rispetto a quello naturalmente inerente al tipo di accordo, senza
direttamente contraddire il contenuto espresso di tale regolamento (Cass. 26-5-2014, n. 11757).
86
In tema di patto fiduciario con oggetto immobiliare che s’innesta su un acquisto effettuato dal fiducia-
rio per conto del fiduciante, non è richiesta la forma scritta ad substantiam; ne consegue che tale accordo, una
volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l’accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell’ob-
bligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario (Cass., sez. un., 6-3-2020, n. 6459). Non si condivide per una
assorbente ragione: per gli artt. 1350, 1351 e 2932, gli atti preordinati al trasferimento di diritti reali su im-
mobili hanno la forma scritta a pena di nullità; realizzandosi il trasferimento in via giudiziaria con sentenza
costituiva, la volontà è espressa solo nel patto preparatorio (VIII, 2.23).
87
Per la giurisprudenza nel rapporto fiduciario concorrono due negozi realmente voluti, distinti ma colle-
gati funzionalmente: il primo, di carattere esterno e dispositivo, determina il trasferimento di diritti ovvero
CAP. 3 – CONTENUTO 1001

gozio fiduciario: la determinazione fiduciaria impegna varie operazioni economiche, par-


tecipando alla organizzazione dello specifico assetto di interessi, dal quale emerge la cau-
sa concreta del contratto concluso ovvero dei contratti collegati stipulati. Essenziale è
che la fiducia lasci comunque emergere la causa del contratto stipulato: essendo nel no-
stro ordinamento validi i soli contratti causali, devono ritenersi nulli quei contratti che, ri-
ponendo nella mera fiducia la ragione dell’attribuzione, non fanno emergere l’operazione
economica sottostante e dunque la causa concreta realizzata. È necessario che la causa del-
lo specifico negozio e dunque l’assetto di interessi realizzato sia meritevole di tutela (art.
13222) oltre che lecito (art. 1344) e non in frode alla legge (art. 1345).
È dibattuta la investitura del possesso, se resta in capo al fiduciante (che ha alienato
ma ha il diritto al riacquisto) o passi al fiduciario (che ha acquistato con l’obbligo di ritra-
sferimento), per gli effetti che si connettono al possesso. Deve ritenersi che il possesso giu-
ridico continui in capo al fiduciante per la consapevolezza del fiduciario che il bene è de-
stinato a ritornare in proprietà del fiduciante; se però il fiduciario muta il titolo della di-
sponibilità dalla fiducia al possesso, può trovare applicazione analogica l’art. 11412, così
diventando possessore con maturabilità dell’usucapione.

17. Il trust. – Con L. 16.10.1989, n. 364, è stata ratificata e resa esecutiva la Conven-
zione internazionale sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a
L’Aja l’1.7.1985. L’istituto è di origine anglosassone e da tempo è impiegato con varie
finalità anche in paesi di cultura giuridica diversa. Poggia sulla fondamentale idea di una
dissociazione dei poteri che tradizionalmente si connettono alla proprietà o alla titolarità
di altro diritto quale diritto pieno, esclusivo ed assoluto: il contenuto del diritto è frazio-
nato in variegate posizioni giuridiche sul bene.
Per l’art. 2 Conv. si intende per trust il rapporto giuridico in virtù del quale un sog-
getto costituente (settlor) – con atto tra vivi o mortis causa – pone propri beni sotto il
“controllo” di un diverso soggetto (persona fisica o società) di sua fiducia (trustee), nel-
l’interesse di un terzo (beneficiary) o per un fine specifico. Per il medesimo art. 2 i beni
conferiti in trust, benché “intestati a nome del trustee” costituiscono una “massa distin-
ta” e non fanno parte del patrimonio del trustee, il quale è investito del potere e onerato
dell’obbligo (di cui deve rendere conto) di amministrare, gestire o disporre i beni secon-
do i termini del trust e le istruzioni del costituente, nel rispetto delle norme di legge. Il
fatto che il costituente conservi alcune prerogative o che il trustee sia titolare di alcuni
diritti in qualità di beneficiario non è incompatibile con l’esistenza del trust. Si è anche
ammesso il c.d. trust autodichiarato in cui il settlor nomina se stesso come trustee, ad es.
al fine di offrire una garanzia al creditore e nel contempo nominare se stesso (e/o i pro-
pri figli) come beneficiario del patrimonio residuo: in tal guisa il disponente, autonomi-
nandosi beneficiario, consegue un fine segregativo di parte del proprio patrimonio.
L’istituto, in via di assestamento nell’ordinamento interno, è utilizzato in più direzio-
ni: ad es., in materia familiare, per consentire la gestione di beni di un minore fino alla

l’insorgenza di situazioni giuridiche in capo al fiduciario, mentre il secondo, di carattere interno e obbligato-
rio, crea a carico del fiduciario l’obbligo di modificare il risultato finale del primo negozio con il ritrasferi-
mento del bene al fiduciante o a un terzo; tali negozi integrano una fattispecie di interposizione reale, cui so-
no riconducibili contratti atipici di varia natura (come l’intestazione fiduciaria di titoli azionari o di quote so-
cietarie): Cass. 8-5-2009, n. 10590; Cass. 6-5-2005, n. 9402; Cass. 1-4-2003, n. 4886.
1002 PARTE VIII – CONTRATTO

maggiore età o di un disabile fino ad una certa data 88; in materia economica, per realiz-
zare la gestione di determinati beni o patrimoni per un fine specifico; di recente è anche
impiegato con fini di liquidazione del patrimonio 89. Anche in virtù della legge di ratifica
della detta Convenzione, dopo alcune incertezze, la giurisprudenza è ormai orientata
verso la validità di un c.d. “trust interno”, cioè stipulato tra cittadini italiani per beni si-
tuati in Italia, riconducendosi la figura direttamente alla libertà di esplicazione dell’auto-
nomia privata 90; l’istituto è considerato, come tale, compatibile con l’ordinamento 91,
provenendo ulteriore sostegno dalla riconosciuta validità e soggezione a trascrizione dei
negozi destinatori (art. 2645 ter) (XIV, 2.11); salvo verificare in concreto la meritevolez-
za degli interessi realizzati.
Il trust non necessariamente implica la conclusione di un contratto; più spesso è for-
mato con atto unilaterale, ed è recettizio quando il trustee è diverso dal costituente. Il
vincolo di destinazione consegue alla dichiarazione del costituente; l’accettazione del
beneficiario ha la funzione di volersi avvalere degli effetti conseguenti al trust e quindi di
assumere gli obblighi previsti. La peculiarità per il nostro ordinamento, è che, costituen-
do i beni conferiti in trust una massa distinta dal patrimonio del trustee, gli stessi non so-
no assoggettabili a pignoramento o sequestro da parte dei creditori personali del trustee

88
Ad es., è stata considerata opportuna e legittima, a tutela e salvaguardia dei beni mobili ed immobili,
presenti e futuri di un minore soggetto a tutela e protutela, l’istituzione, a richiesta del protutore, di un trust
che vincoli i beni predetti al soddisfacimento delle esigenze, personali e patrimoniali, del minore predetto,
qualora, anche alla luce di un motivato parere redatto da un c.t.u., il trust sia conveniente ed utile al minore
stesso; il provvedimento del g.t. deve prevedere il rendiconto annuale e deve contenere la designazione e la
nomina di un “trustee” esperto e di sicuro affidamento, affiancato da un “guardiano” estraneo al gruppo fa-
miliare del minore e di pari affidamento e competenza tecnica; fermo restando che, raggiunta la maggiore età,
il minore, se capace, può disporre la cessazione del trust (Trib. Modena 11-12-2008). Ancora, un amministra-
tore di sostegno può essere autorizzato dal giudice tutelare all’istituzione di un trust nell’interesse del benefi-
ciario della procedura e del di lui figlio, anch’egli soggetto disabile (Trib. Genova 14-3-2006). In presenza di
un trust costituito in sede di divorzio, qualora ciascuno dei coniugi divorziati, ambedue nominati “cotrustees”
di un trust finalizzato alla tutela degli interessi dei figli minori, abbia agito per la rimozione dell’altro trustee,
formulando un ventaglio di censure che attengono all’unitaria “causapetendi” dell’appropriata gestione pa-
trimoniale, non incorre nel vizio di ultrapetizione la pronuncia che, a prescindere dai singoli episodi allegati
dalle parti, dichiari la decadenza di entrambi dalla carica di trustee per violazione degli obblighi di correttezza
nella gestione del trust (Cass. 13-6-2008, n. 16022).
89
Ad es., è stata ritenuta legittima la costituzione in trust dell’intero patrimonio immobiliare della società
ammessa al concordato preventivo e della società assuntrice del concordato, al fine di devolvere ogni ricavato
dalla vendita al soddisfacimento dei creditori concordatari (Trib. Napoli 19-11-2008).
90
Sono trust interni – da non confondere con il concetto di trust domestico – i trust che non presentino
alcun elemento di estraneità con l’ordinamento italiano né di carattere oggettivo (avuto riguardo ai beni con-
feriti in trust), né di carattere soggettivo (in relazione alla persona del disponente ovvero a quella del trustee),
ad eccezione della legge applicabile al trust quale unico elemento di estraneità tra il trust e l’ordinamento ita-
liano; in conseguenza dell’istituzione del trust, che deve essere stipulato con il solo onere della forma scritta
“ad probationem”, i beni conferiti in trust beneficiano della segregazione patrimoniale, non fanno parte del
patrimonio del trusteee e il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di
amministrare, gestire o disporre i beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge:
nel qual caso, unico legittimato a tutelare le ragioni dei beni conferiti nel patrimonio segregato è il trustee,
presentando i beneficiari soltanto un interesse, nei confronti di quello, alla corretta attuazione del programma
delineato nell’atto di affidamento del disponente (Trib. Milano 16-6-2009, n. 36129).
91
La valutazione (astratta) di meritevolezza dell’istituto è stata compiuta, una volta per tutte, dal legislatore
con la L. 364/1989 di ratif. della Conv. Aja 1985, rendendosi quindi superfluo che il giudice provveda di volta in
volta a valutare se il singolo trust persegua interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. (Cass. 19-4-2018, n. 9637).
CAP. 3 – CONTENUTO 1003

(in deroga alla regola generale dell’art. 2740). D’altra parte, se tra i beni conferiti in trust
sono compresi beni immobili, l’atto costitutivo del trust è soggetto a trascrizione nei re-
gistri immobiliari, ai fini dell’opponibilità ai terzi. Per l’ammissibilità della trascrizione del
trust fa propendere la introduzione dell’art. 2645 ter c.c. di trascrizione degli atti di de-
stinazione. Sul piano tributario, la Cassazione ha in generale assoggettato l’istituto a im-
posizione tributaria, valutandosi il tempo dell’attribuzione 92.
Lo strumento del trust è stato assunto da una (inveterata e deleteria) prassi elusiva
della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 a danno dei creditori. È ormai indirizzo
acquisito che le costituzioni di trust sono soggette ad azione revocatoria per l’impiego
distorto di sottrazione della garanzia del credito 93. Acquisiti i debiti presidi di tutela del
credito, il meccanismo del trust può favorevolmente svolgere la sua funzione.

18. Le dicotomie fondamentali. – Relativamente alla causa e dunque all’assetto di


interessi realizzato, è possibile identificare tre fondamentali dicotomie di contratti.
a) Contratti a titolo oneroso e a titolo gratuito. Si è detto di tale dicotomia, delineando
le classi dei negozi giuridici (II, 5.8): ma ora bisogna approfondirla.
Il codice del 1942 non contiene tale classificazione (come invece faceva l’abrogato
codice civile, con riferimento ai contratti) 94. Ma quella dicotomia può tuttora utilizzarsi,
essendo confermata dal regime dei singoli contratti, come in grado di raggruppare tutte
le giustificazioni causali di negozi che incidono sul patrimonio dei soggetti. Essenziale si
rivela il rapporto causale tra sacrificio subito e vantaggio conseguito.

92
Il problema è dibattuto in merito al tempo della imposizione indiretta proporzionale. Un trasferimento
imponibile non è riscontrabile, né nell’atto istitutivo, né nell’atto di dotazione patrimoniale tra disponente e
trustee – in quanto meramente strumentali ed attuativi degli scopi di segregazione e di apposizione del vincolo di
destinazione – ma soltanto in quello di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario, a compimento e
realizzazione del trust medesimo (Cass. 10-1-2022, n. 410; Cass. 24-12-2020, n. 29507; Cass. 21-6-2019, n.
16700); l’atto istitutivo del trust assume pertanto fiscale neutralità, non comportando un definitivo incremen-
to patrimoniale in capo al beneficiario (Cass. 29-5-2020, n. 10256; Cass. 24-2-2015, nn. 3735 e 3737). Nel caso di
trust “autodichiarato”, ove si determini una situazione già stabilizzata (qualora, ad esempio, il disponente sia
anche beneficiario o il beneficiario è un terzo, definitivamente individuato), si applica la tassazione propor-
zionale, viceversa, si applica la tassazione in misura fissa (Cass. 15-1-2019, n. 734).
93
In materia di trust c.d. interno, il creditore del disponente non può aggredire, con azione esecutiva di
espropriazione, i beni che il debitore ha trasferito al trustee con atto avente data certa anteriore al pignora-
mento, in quanto essi danno vita ad un patrimonio c.d. segregato, che non appartiene cioè né al settlor né al
trustee ed è pertanto inattaccabile dai rispettivi creditori (Trib. Reggio Emilia 14-5-2007). Se però il trust sia
sorto (o si risolva) in frode dei creditori, esso è soggetto all’azione revocatoria, alla stessa stregua di quanto è
accaduto ed accade per il c.d. fondo patrimoniale; né, a paralizzare l’azione revocatoria, varrebbe eccepire
che uno o più creditori siano ancora creditori litigiosi: la loro natura e l’incertezza circa la loro valenza nulla
tolgono alla legittimazione in revocatoria del creditore nel caso di pendenza di controversia avente ad oggetto
l’accertamento del credito o dei crediti ancora sub iudice, accertamento che non costituisce indispensabile
antecedente logico/giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria (Trib. Cassino 1-4-2009). Il conferi-
mento di beni in trust è da considerarsi atto a titolo gratuito ai fini dell’azione revocatoria in quanto è un ne-
gozio idoneo a costituire un patrimonio separato finalizzato ad uno scopo per il quale non è previsto alcun
corrispettivo; nell’azione revocatoria esperita nei confronti dell’atto istitutivo di trust, ove non si ravvisi la sus-
sistenza di posizioni di diritto soggettivo in capo ai beneficiari, questi ultimi non sono passivamente legittima-
ti, né litisconsorti necessari (Cass. 19-4-2018, n. 9637, cit.).
94
Per l’art. 1101 cod. civ. 1865 “è oneroso quel contratto nel quale ciascuno dei contraenti intende, me-
diante equivalente, procurarsi un vantaggio; a titolo gratuito o di beneficenza quello in cui uno dei contraenti
intende procurare un vantaggio all’altro senza equivalente”.
1004 PARTE VIII – CONTRATTO

La onerosità si caratterizza per la correlazione tra sacrificio e vantaggio: il sacrifico di


ciascuna parte nel procurare un vantaggio alla controparte è correlato al vantaggio corri-
spettivo che riceve dall’altrui sacrificio. Ciascun soggetto è cioè disposto ad un depaupe-
ramento in vista della realizzazione di un interesse: sono ad es. contratti a titolo oneroso
la vendita (art. 1470), la somministrazione (art. 1559), la locazione (art. 1571), l’appalto
(art. 1655) (un soggetto è disposto al pagamento di un prezzo per procurarsi la proprietà
di un bene o l’erogazione di un servizio). Sono contratti a titolo oneroso anche quelli per
i quali un soggetto è disposto ad un sacrificio economico per l’appagamento di un inte-
resse non patrimoniale (es. l’acquisto di un biglietto per ascoltare un concerto o assistere
ad un avvenimento sportivo).
Tra i contratti a titolo oneroso assume un significativo rilievo la distinzione tra con-
tratti commutativi e contratti aleatori.
Nei contratti commutativi l’entità delle reciproche attribuzioni (e dunque la cor-
rispettività tra vantaggio e sacrificio) è certa fin dalla stipula del contratto; si realizza un
contratto a prestazioni (rectius attribuzioni) corrispettive, in quanto l’una prestazione è
in funzione dell’altra: il fenomeno opera con riguardo ai contratti di scambio (es. la ven-
dita ha ad oggetto il trasferimento di un diritto verso il corrispettivo di un prezzo: art.
1470), come con riferimento ai contratti con comunione di scopo (es. il conferimento di
beni o servizi nel contratto di società per uno scopo comune (art. 2247).
Nei contratti aleatori, benché presente la previsione di sacrifici e vantaggi reci-
proci, la relativa entità non è predeterminabile: all’atto della conclusione del contratto è
ignoto quale delle due parti subirà il maggiore sacrificio e quale conseguirà il maggiore
vantaggio. In ciò è l’essenza della aleatorietà: la causa concreta del contratto è caratteriz-
zata da un’alea e dunque da un rischio a carico delle parti circa il risultato economico
che ciascuna, alla fine, conseguirà. I contratti aleatori tipici per antonomasia sono il con-
tratto di assicurazione (per l’aleatorietà connessa al verificarsi o meno del sinistro: art.
1882) e la rendita vitalizia (per l’aleatorietà connessa alla durata della vita umana: art.
1872). I privati possono anche dare luogo a contratti aleatori atipici, quale è ad es. il con-
tratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale. L’assenza di aleatorietà effettiva al
momento della conclusione del contratto rende lo stesso nullo per assenza di causa 95. Ai
contratti aleatori non si applicano le norme sulla rescissione (art. 14484) e quelle sulla
risoluzione per eccessiva onerosità (art. 1469).
La gratuità, nella sua essenza elementare, indica l’attribuzione di un vantaggio senza
un corrispettivo. La gratuità inerisce alla funzione dello specifico atto, isolato dal conte-
sto di interessi in cui si inserisce.
La gratuità non implica necessariamente uno spirito di liberalità. Questo sussiste solo
quando l’atto gratuito è compiuto con il precipuo intento di arricchire il destinatario
senza conseguire alcun tipo di vantaggio. Gli atti di liberalità implicano la rilevanza del
contesto di interessi nel quale l’atto si colloca, per verificare lo spirito che l’anima.
Esempio tipico di liberalità è la donazione, atto a titolo gratuito connotato dagli ulterio-

95
Per i contratti tipici la nullità è senz’altro prescritta dalla legge: ad es. la previsione di nullità del con-
tratto di assicurazione per inesistenza del rischio (art. 1835). E la giurisprudenza estende il principio ai con-
tratti atipici: ad es. si è stabilito che, nel contratto di vitalizio assistenziale, il contratto deve essere dichiarato
nullo se al momento della conclusione il beneficiario era affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva
estremamente probabile un rapido esito letale (Cass. 24-6-2009, n. 14796).
CAP. 3 – CONTENUTO 1005

ri profili della liberalità e del depauperamento del donante; va perciò stipulata con
forma solenne (art. 769); esistono anche donazioni indirette e altri modi per compiere
liberalità (art. 809) (XIII, 2.1).
La moderna evoluzione delle relazioni sociali fa registrare un’accentuazione di atti a ti-
tolo gratuito ma non per spirito di liberalità. Si pensi alla fornitura gratuita di alcuni dispo-
sitivi, con la prospettiva del successivo (periodico) acquisto di alimentatori o comunque
del materiale necessario al funzionamento. Si pensi alle modalità di accesso, rispettivamen-
te, alla televisione pubblica e alla televisione privata: la prima richiede il pagamento di un
canone (dunque avviene previo un esborso e perciò a titolo oneroso); la seconda non ri-
chiede alcun canone (dunque avviene senza esborso e perciò a titolo gratuito); ma l’accesso
alla televisione privata non integra una liberalità dall’emittente: non c’è lo spirito di arric-
chimento dei destinatari, quanto piuttosto il proposito di conseguire dei guadagni attraver-
so la pubblicità e altre iniziative. Lo stesso dicasi per la distribuzione gratuita di giornali 96.
In sostanza esistono attribuzioni gratuite compiute, non per spirito di liberalità, ma per
vantaggi da realizzare indirettamente, estranei all’economia del singolo atto.
Accanto ad operazioni economiche connotate tipicamente da onerosità o gratuità,
sussistono poi altre operazioni a causa variabile in ragione del concreto assetto di inte-
ressi attuato. Ad es. il contratto di mutuo può assumere l’una o l’altra causa a seconda
che l’attribuzione della somma di danaro sia o meno correlata al vantaggio della corre-
sponsione di interessi; analogamente per il deposito ed il mandato, che possono essere a
titolo oneroso o gratuito. La ricorrenza dell’una o dell’altra causa orienta la disciplina
dell’operazione: ad es., se il mandato è gratuito, la responsabilità del mandatario è valu-
tata con minor rigore (art. 1710); analogamente con riguardo alla responsabilità del de-
positario (art. 1768) 97.
b) Contratti con prestazioni corrispettive e di una sola parte. Preliminarmente c’è da
rilevare che la formulazione della dicotomia, incentrata sul termine “prestazioni” che
evoca l’obbligazione, risente di una tradizione antecedente all’affermarsi del principio
del consenso traslativo. Si è già visto (e ancora si vedrà) come, con il solo consenso, pos-
sono prodursi effetti traslativi: è perciò più corretto impiegare il termine “attribuzio-
ne” per ricondurre nella dicotomia anche i contratti con i quali si realizza il risultato tra-
slativo per effetto del solo consenso, e così parlare più ampiamente di contratti con attri-
buzione corrispettive o di una sola parte, anche se è ricorrente la nomenclatura normativa.
La dicotomia ha riguardo ad un criterio funzionale, cioè al modo di atteggiarsi della
operazione economica nell’assetto di interessi realizzato, indipendentemente dal modo
di dispiegarsi degli effetti del contratto in capo alle parti.

96
Si pensi anche alle molte forme di sponsorizzazione di gare sportive, manifestazioni e spettacoli, com-
piute gratuitamente da aziende al fine di pubblicizzare un marchio o un singolo prodotto o anche solo il no-
me: sono fiscalmente deducibili in quanto funzionali all’attività economica.
97
In generale la posizione del beneficiario in un contratto a titolo gratuito è meno garantita di quella del
destinatario di un’attribuzione in un contratto a titolo oneroso. Ad es., quando il significato del contratto ri-
manga oscuro nonostante l’applicazione delle regole sull’interpretazione, il contratto deve essere inteso nel
senso meno gravoso per l’obbligato se a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli
interessi delle parti se è a titolo oneroso. Anche quando interviene annullamento del contratto, l’annullamen-
to per una causa diversa dalla incapacità legale è opponibile agli aventi causa a titolo gratuito mentre non
pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede (art. 1445).
1006 PARTE VIII – CONTRATTO

I contratti con prestazioni corrispettive realizzano un nesso di reciprocità tra le


singole attribuzioni: esprimono una specifica prospettiva di valutazione dei contratti a
titolo oneroso, attribuendosi rilevanza al dato della reciprocità delle attribuzioni patri-
moniali, per cui l’attribuzione di ciascuna parte è in funzione dell’attribuzione dell’altra
(ad es., nella vendita, il trasferimento della proprietà è in funzione del pagamento del
prezzo e viceversa). Tra le attribuzioni si instaura un nesso di interdipendenza, denomi-
nato sinallagma, che accompagna l’intera vita del rapporto, così nella nascita (c.d. si-
nallagma genetico) che durante lo svolgimento dello stesso (c.d. sinallagma funzionale): si
parla perciò di contratti sinallagmatici. In virtù del nesso di sinallagmaticità le attribuzio-
ni insieme si tengono o insieme cadono: l’anomalia dell’una si comunica al complessivo
assetto di interessi. E così, relativamente alla conclusione del contratto, se una delle at-
tribuzioni non può integrare un valido oggetto del contratto (perché indeterminata o
impossibile o illecita) il contratto è nullo e le prestazioni eventualmente eseguite vanno
restituite (anche dunque quella che risulterebbe possibile); se il nesso di reciprocità vie-
ne meno durante lo svolgimento del rapporto contrattuale, ad es. per inadempimento o
per impossibilità di una delle prestazioni, il contratto è risolubile (a seguito della risolu-
zione le prestazioni eventualmente eseguite vanno restituite).
Nei contratti con prestazioni di una sola parte c’è sacrificio economico a carico
di una sola parte. Esempi tipici sono la fideiussione (art. 1936) e il mutuo gratuito (art.
1813). Si è visto come, per i contratti con obbligazioni a carico del solo proponente (art.
1333), è più corretta la configurazione di negozio unilaterale recettizio, per essere la pro-
posta irrevocabile appena giunge a conoscenza del destinatario, il quale ha solo il diritto
di rifiutare l’effetto favorevole, come esplicazione del generale principio di tendenziale
indipendenza delle sfere giuridiche (per cui nessuno può vedere incisa la propria sfera
giuridica contro la propria volontà) (VIII, 2.16).
La dicotomia analizzata ha riguardo alla funzione del contratto e perciò all’assetto di
interessi coinvolto; va perciò tenuta distinta dalla dicotomia “contratti bilaterali” e “con-
tratti unilaterali” che ha riguardo alla prospettiva strutturale della efficacia del contratto,
a seconda che dal contratto derivano effetti a carico di entrambe le parti o di una sola (se
ne parlerà trattando dell’efficacia del contratto: VIII, 6.8).
c) Contratti di scambio e con comunione di scopo. Assume rilevanza il modo di orga-
nizzarsi degli interessi dei contraenti nel conseguimento dello scopo programmato.
Nei contratti di scambio gli interessi coinvolti sono divergenti e in conflitto, miran-
do ciascuna delle parti a perseguire un interesse autonomo e diverso. La direzione delle at-
tribuzioni è incrociata: ognuno dei contraenti mira al conseguimento di una specifica utilità
dalla controparte: ad es., nella vendita, il venditore mira a conseguire un prezzo, mentre il
compratore tende a procurarsi la proprietà o altro diritto su un bene. Il contratto segna la
composizione degli opposti interessi e fissa il regolamento di come realizzarli.
Nei contratti con comunione di scopo tutte le parti, anche se con motivazioni per-
sonali eventualmente diverse, tendono a realizzare un risultato comune a tutte. La dire-
zione delle prestazioni è convergente nel senso che ciascuna attribuzione mira a realizzare
uno scopo comune a tutte le parti e perciò soddisfa l’interesse di tutti i contraenti 98. È

98
Il consenso deve essere, non solo bilaterale o plurilaterale, ma anche mutuo, nel senso che ognuno pro-
mette esattamente lo stesso che promette l’altro. Nel caso in cui si verificasse una discrepanza tra ciò che
CAP. 3 – CONTENUTO 1007

l’esperienza propria delle società (art. 2247) e in genere dei contratti associativi, che at-
traverso l’organizzazione attuano lo “scopo comune” programmato (VIII, 2.2). Possono
essere stipulati anche tra due sole parti (es. una società con due soci), risultando rilevan-
te la convergenza degli intenti. Se il contratto è stipulato tra più di due parti emerge il
problema della rilevanza del singolo vincolo sulla validità del contratto, rispetto al quale
opera la disciplina propria del contratto plurilaterale, con rilevanza della prova di resi-
stenza di ogni volontà rispetto alla delibera del gruppo (artt. 1420, 1446, 1459, 1466) (II,
5.7), e spesso con apertura dell’organismo all’adesione di altre parti (VIII, 2.15).

C) ELEMENTI ACCIDENTALI
19. L’ampliamento del contenuto contrattuale. – Si è visto come solo i c.d. elemen-
ti essenziali (costitutivi) sono requisiti di validità del contratto, nel senso che la mancanza
di uno di essi determina la nullità del contratto (artt. 1325 e 1418), mentre i c.d. elementi
accidentali possono o meno sussistere senza influenzare la validità del contratto; se pre-
senti, arricchiscono il contento del contratto non senza rilevanza (VIII, 1.3).
Le parti sono libere di avvalersi o meno di elementi accidentali; tali elementi sono ag-
giuntivi rispetto allo schema tipico adottato (ad es. le parti, stipulando la vendita di un
albergo, possono o meno subordinare l’efficacia del contratto all’ottenimento da parte
del compratore di un finanziamento). Quando le parti si avvalgano di tali elementi acci-
dentali, gli stessi penetrano nel contenuto del contratto, interagendo con l’assetto di in-
teressi attuato, come determinazioni principali della volontà negoziale. Perciò di tali ulte-
riori determinazioni bisogna tenere conto nella verifica dello scopo pratico perseguito
dai contraenti (anche ai fini del controllo di liceità e meritevolezza dell’atto).
Tra gli elementi accidentali, per la diffusione che sempre li ha caratterizzati, sono re-
golati specificamente nel codice civile condizione, termine e onere. La condizione e il ter-
mine operano una manovra degli effetti del contratto, regolandone la sorte o lo svolgi-
mento nel tempo; il modo amplia gli effetti, imponendo un obbligo ulteriore. Alcuni ne-
gozi non consentono l’apposizione di elementi accidentali, per non essere modificabile
lo schema tipico previsto (c.d. atti puri o legittimi): ciò avviene essenzialmente per i ne-
gozi relativi a diritti indisponibili (es. matrimonio e riconoscimento del figlio nato fuori
del matrimonio).
Ulteriori determinazioni delle parti tendono a rafforzare la esecuzione del contratto
(clausola penale e caparra): delle stesse si parlerà nel capitolo dedicato alla esecuzione del
contratto (VIII, 7.4).
20. Condizione. Caratteri e tipi. – La condizione incide sulla sorte d egli effetti
del contratto, determinando uno stato di incertezza degli effetti: perciò si suole dire che
la condizione pende. Nella rubrica dell’art. 1353 si parla senz’altro di “contratto condi-
zionale”: ciò conferma che la condizione rileva come parte integrante e inscindibile del
contenuto contrattuale; vi è una unitaria volontà negoziale condizionata. La condizione
può essere introdotta dalle parti (volontaria) o essere disposta dalla legge (legale).

promette una parte e ciò che promette l’altra, il consenso prestato non sarebbe valido. Un fenomeno di con-
senso mutuo si ha tipicamente con riferimento al matrimonio, per dirigersi entrambe le volontà verso un me-
desimo scopo e derivare obblighi uguali e reciproci tra i coniugi (art. 143).
1008 PARTE VIII – CONTRATTO

a) Si ha condizione volontaria (condicio facti) quando proviene dalle parti, che la vo-
gliono e la inseriscono nel contratto: può inerire all’intero contratto o a un singolo pat-
to 99. Con l’apposizione della condizione le parti subordinano “l’efficacia o la risoluzione
del contratto o di un singolo patto al verificarsi di un avvenimento futuro e incerto” (art.
1353). Nonostante l’ambiguità della legge, il termine “condizione” è da riferire alla de-
terminazione negoziale; mentre l’avvenimento dedotto nella condizione ne rappresenta
l’oggetto.
L’avvenimento deve essere futuro e incerto: se l’avvenimento è futuro ma certo, ri-
leva come termine, non come condizione. L’incertezza deve riguardare il “se” dell’even-
to (cioè l’an) e riferirsi a uno stato di incertezza obiettivo. Può essere anche determinato
il termine entro cui l’avvenimento deve verificarsi, purché ne sia incerta la verificazione
(es. la efficacia o la inefficacia della vendita è subordinata al fatto che entro una data de-
terminata si avveri uno specifico avvenimento): è anzi questo il fenomeno più ricorrente,
tendendo le parti a non lasciare indefinitamente incerta l’efficacia del contratto e dunque
la sorte dell’operazione economica. In assenza di fissazione di un termine cui ricondurre
il verificarsi o meno dell’evento, l’applicazione dell’art. 1183 dovrebbe consentire la fis-
sazione del termine da parte del giudice 100. Può anche darsi luogo ad una condizione ne-
gativa, considerandosi l’evento avverato quando non può più avvenire.
Rientra nell’autonomia delle parti fissare la condizione nell’interesse di entrambe le
parti o di una sola di esse, al fine di individuare il soggetto o i soggetti legittimati a ri-
nunziarvi o a eccepirne il mancato avveramento 101. La condizione unilaterale opera nel-
l’interesse di una sola delle parti, rispetto alla quale si producono o si risolvono gli ef-
fetti; in mancanza di specifica determinazione, si presume apposta nell’interesse di en-
trambe le parti.
Con riferimento all’avvenimento dedotto in condizione è possibile delineare tre crite-
ri di osservazione della condizione, relativi, rispettivamente, all’incidenza dell’evento sul-
la efficacia del contratto, alla derivazione dell’evento e al carattere dell’evento.
1) In relazione alla incidenza dell’evento sulla efficacia, si distinguono due fondamen-
tali tipi di condizione, sospensiva e risolutiva, la cui natura orienta molta parte della di-
sciplina applicabile.

99
Per i contratti aventi ad oggetto immobili (e mobili registrati), nella nota di trascrizione del titolo va an-
che indicata la condizione apposta all’atto (art. 26592).
100
Nel caso in cui le parti abbiano condizionato l’efficacia o la risoluzione di un contratto al verificarsi di
un evento senza indicare il termine entro il quale questo può utilmente avverarsi, può essere ottenuta la di-
chiarazione giudiziale di inefficacia del contratto stesso per il mancato avveramento della condizione sospen-
siva o risolutiva, senza che ricorra l’esigenza della previa fissazione di un termine da parte del giudice, ai sensi
dell’art. 1183 c.c., allorché lo stesso giudice ritenga essere trascorso un lasso di tempo congruo entro il quale
l’evento previsto dalle parti si sarebbe dovuto verificare (Cass. 8-10-2013, n. 22888. Conf. Cass. 22811/2010;
Cass. 19414/2010).
101
Le parti, nella loro autonomia contrattuale, possono pattuire una condizione sospensiva o risolutiva
nell’interesse esclusivo di uno soltanto dei contraenti, occorrendo al riguardo un’espressa clausola o, quanto
meno, una serie di elementi, idonei ad indurre il convincimento che si tratti di una condizione alla quale
l’altra parte non abbia alcun interesse; la parte contraente, nel cui interesse è posta la condizione, ha la facoltà
di rinunziarvi sia prima, sia dopo l’avveramento o il non avveramento di essa, senza che la controparte possa
comunque ostacolarne la volontà (Cass. 17-11-2017, n. 27320; Cass. 10-4-2012, n. 5692; Cass. 12-1-2006, n.
419; Cass. 29-3-2006, n. 7621).
CAP. 3 – CONTENUTO 1009

Si ha condizione sospensiva quando le parti subordinano la produzione degli effet-


ti al verificarsi di un evento futuro e incerto. L’antico esempio di scuola era subordinare
l’efficacia del contratto alla venuta della nave dall’Asia (quando i viaggi erano incerti e
l’Asia era lontana e misteriosa!) Nella modernità, si pensi al caso ricorrente di subordi-
nare gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione
che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per potere paga-
re in tutto o in parte il prezzo stabilito; ancora: un impiegato acquista un determinato
appartamento sotto condizione che venga trasferito in quella città; un soggetto acquista
un terreno sotto condizione che lo stesso sia qualificato come edificabile dall’approvan-
do piano regolatore; un imprenditore acquista un albergo sotto condizione che consegua
un finanziamento agevolato per la ristrutturazione. In tutte tali ipotesi il verificarsi del-
l’avvenimento incide in positivo, determinando la produzione degli effetti.
Si ha condizione risolutiva quando il contratto è immediatamente efficace, ma
soggetto alla privazione di effetti se interverrà un avvenimento futuro e incerto. Ad es. un
impiegato acquista senz’altro un appartamento in una determinata città; ma se entro un
determinato periodo non è trasferito in tale città o è trasferito altrove il contratto cessa
di produrre effetti. Il verificarsi dell’avvenimento incide dunque in negativo, determi-
nando la cessazione degli effetti.
2) In relazione alla derivazione dell’evento, si distingue tra condizione casuale, pote-
stativa e mista.
Si ha condizione casuale quando l’avveramento dell’evento è connesso al caso o al-
l’attività di terzi: così, nell’esempio fatto, la successiva qualificazione come edificabile del
terreno acquistato.
Si ha condizione potestativa quando l’avveramento è rimesso alla volontà di una
delle parti, nel senso che tutela la libertà di una parte circa l’assunzione o meno di una
determinata iniziativa; è necessario però che il comportamento della parte rappresenti
l’esito di una valutazione ponderata degli interessi della stessa parte e non una sua scelta
meramente arbitraria: ad es., è valida la vendita di macchinari condizionata alla scelta
dell’imprenditore acquirente di attivare un nuovo ramo di azienda 102. Non è invece con-
sentita la condizione meramente potestativa, quando cioè l’avveramento dell’evento
dedotto in condizione è rimesso al capriccio o arbitrio di una delle parti, per non coin-
volgere alcun interesse sottostante (es. se vorrò): ciò in quanto l’impegno non si rivela
serio 103: per l’art. 1355 è nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo su-
bordinata a una condizione sospensiva meramente potestativa, per dipendere l’avvera-
mento della condizione dalla mera volontà dell’alienante o del debitore.
Si ha condizione mista quando l’avvenimento dipende dal concorso sia del caso (o
di terzi) sia della iniziativa della parte: es. la condizione apposta al contratto preliminare

102
Nella condizione “potestativa” l’evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di con-
venienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto
se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà,
pur se la relativa valutazione è rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato (Cass. 20-11-2019, n. 30143).
103
Nella condizione meramente potestativa l’adempimento dell’impegno assunto dalla parte non necessita
alcuna valutazione in ordine a interessi o convenienze di sorta (Cass. 16-1-2006, n. 728). La legge non regola
l’ipotesi di una condizione risolutiva meramente potestativa: deve propendersi per la validità in quanto il con-
tratto ha attuato ormai la sua funzione.
1010 PARTE VIII – CONTRATTO

di compravendita immobiliare subordinato alla concessione di un mutuo da parte del-


l’istituto bancario; il conseguimento del finanziamento involge sia l’iniziativa della parte
interessata che deve inoltrare domanda sia la erogazione da parte di terzi.
Si ammette che anche l’adempimento del contratto possa essere dedotto in condizio-
ne quando concorrano un’iniziativa della parte e la futurità e l’incertezza dell’evento de-
dotto in condizione: l’adempimento o l’inadempimento rileva giuridicamente come fat-
to, indipendentemente dallo stato soggettivo del debitore 104; in tal senso è ammissibile
una condizione sospensiva di adempimento e una condizione risolutiva di inadempimen-
to che si differenzia dalla clausola risolutiva espressa 105 (VIII, 10.12).
3) In relazione al carattere dell’evento, è necessario che lo stesso si riveli possibile e le-
cito, così riflettendosi sull’atteggiarsi della condizione.
La condizione illecita è quella contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al
buon costume, secondo la nozione di illiceità della causa (VIII, 3.8) (es. la efficacia o la inef-
ficacia del contratto è subordinata al compimento di un atto criminoso o contrario al buon
costume). La condizione illecita, sospensiva o risolutiva, rende nullo il contratto (art. 13541).
La condizione impossibile è quella inerente ad un evento impossibile fisicamente
o giuridicamente 106: l’impossibilità della condizione può essere naturale o giuridica. Si
pensi all’appalto di realizzazione di un’opera condizionato all’erogazione di un finan-
ziamento agevolato previsto da una determinata legge, che però è già abrogata al mo-
mento del contratto. La condizione impossibile, se è sospensiva, rende nullo il contratto;
se è risolutiva, sia ha come non apposta (art. 13542). Nella prima ipotesi emerge un im-
pegno non serio e perciò il contratto è nullo; nella seconda ipotesi, il contratto non trova
ostacoli all’attuazione della sua funzione, e perciò si considera non apposta. Alla impos-
sibilità è da assimilare la indeterminabilità dell’evento per la impossibilità di accertamen-
to dell’avveramento della condizione 107.
Se la condizione illecita o impossibile è apposta a un singolo patto del contratto, tro-
va applicazione la disciplina sulla c.d. nullità parziale; per cui la nullità si estende all’in-
tero contratto se il singolo patto si riveli determinante del complessivo regolamento con-
trattuale (artt. 13543 e 1419).

104
In forza del principio generale della autonomia contrattuale ex art. 1322, i contraenti possono prevede-
re validamente come evento condizionante, in senso sospensivo o risolutivo dell’efficacia, il concreto adem-
pimento o inadempimento di una delle obbligazioni principali del contratto; ove insorga controversia sul-
l’esistenza ed effettiva portata della convenzione, spetta alla parte che la deduca a sostegno della propria pre-
tesa fornire la relativa prova ed al giudice del merito compiere un’approfondita indagine per accertare la vo-
lontà dei contraenti (Cass. 19-11-2021, n. 35524; Cass. 12-7-2013, n. 17287).
105
Presupposto per l’applicazione della clausola risolutiva espressa è l’inadempimento della controparte
di chi se ne avvale; ove tale inadempimento non sussista, la clausola può rilevare alla stregua di condizione
risolutiva ex art. 1353 c.c., purché l’evento cui si riferisce sia sufficientemente determinato, e non rimesso alla
mera volontà di una parte (Cass. 5-10-2018, n. 24532).
106
La impossibilità, per comportare la nullità, deve essere coeva al negozio cui la condizione afferisce, e
non sopravvenuta alla stipulazione (Cass. 5-1-1993, n. 63). L’impossibilità sopravvenuta della condizione, se
trattasi di condizione sospensiva, si traduce nel mancato verificarsi dell’evento dedotto in condizione: ne con-
segue che il debitore che è obbligato ad effettuare la sua prestazione al verificarsi della condizione deve rite-
nersi definitivamente sciolto dalla obbligazione (Cass. 29-1-2003, n. 1288).
107
Per Cass. 9-2-1995, n. 1453, l’indeterminabilità dell’evento comporta la nullità del contratto ai sensi del-
l’art. 13542 poiché tale indeterminabilità si risolve in una situazione di irrealizzabilità dell’evento coeva al ne-
gozio cui la condizione è apposta.
CAP. 3 – CONTENUTO 1011

b) Si ha condizione legale (condicio iuris) quando proviene dalla legge. Trattasi della
disposizione normativa di una condizione (più spesso sospensiva, talvolta anche risoluti-
va) che fa dipendere l’efficacia (talvolta anche l’inefficacia) del contratto da un presup-
posto previsto dall’ordinamento. Più spesso tali condizioni si atteggiano come requisiti
legali di efficacia del contratto; non sempre è agevole distinguere se operino come requi-
siti legali di sola efficacia o anche di validità del contratto (VIII, 1.3). Le stesse, risolven-
dosi nella previsione di veri e propri presupposti di efficacia (o addirittura di validità)
del negozio, concorrono a formare una fattispecie complessa: si pensi alle molte autoriz-
zazioni amministrative richieste dalla legge per la validità o mera efficacia di contratti di
diritto privato. Di regola la condizione legale comporta la non retroattività del contratto
per l’essenzialità del requisito imposto dalla legge (tranne che la legge stessa non preveda
la retroattività). La condizione legale incide anche sul contratto preliminare 108.

21. Segue. Pendenza della condizione ed avveramento. – A seguito della stipula-


zione del contratto e fino all’esito dell’avvenimento (futuro e incerto) dedotto in condi-
zione, c’è un periodo di pendenza in cui esiste il vincolo contrattuale ma è incerta la sorte
degli effetti. Durante tale periodo di attesa, in favore della parte che trarrebbe giovamen-
to dall’avveramento della condizione, nasce una situazione di aspettativa, che riceve spe-
cifica e autonoma tutela (II, 3.8). C’è la necessità di un coordinamento tra la posizione
della parte (già) titolare dell’aspettativa e la posizione della parte (ancora) titolare del di-
ritto oggetto del contratto.
a) Rileva l’esercizio delle posizioni soggettive durante la pendenza della condizione.
Anche con riguardo al contratto condizionato, trova applicazione il generale princi-
pio di buona fede, quale clausola generale che accompagna l’intera vita del contratto (dal-
la conclusione, alla interpretazione, alla esecuzione) (II, 7.5): nello stato di pendenza della
condizione le parti sono obbligate ad informare il proprio comportamento a buona fede.
In particolare, chi si è obbligato o ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ov-
vero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve comportarsi secondo buona fede
per conservare integre le ragioni dell’altra parte (art. 1358). Deve astenersi dal compiere
atti pregiudizievoli degli interessi dell’altro contraente, sia con riferimento all’oggetto
della prestazione, che con riferimento all’avveramento della condizione; anche con rife-
rimento alle c.d. condizioni legali (es. autorizzazioni amministrative varie), deve compie-
re l’attività dovuta perché si realizzi l’avvenimento dedotto in condizione 109.
Quanto alle singole posizioni, principio generale è che, in pendenza della condizione,
il titolare del diritto (alienante in pendenza di condizione sospensiva e acquirente in pen-
denza di condizione risolutiva) può disporne, ma gli effetti di ogni atto di disposizione
sono subordinati alla stessa condizione (art. 1357); il titolare dell’aspettativa (acquirente

108
Qualora la promessa di vendita sia sottoposta alla condizione sospensiva del rilascio di un benestare da
parte di una autorità amministrativa, finché l’evento dedotto in condizione non si verifica l’obbligazione di
trasferire la proprietà del bene rimane sospesa, ed il relativo lasso di tempo non può essere considerato ritardo
imputabile ai fini del giudizio sulla sussistenza dell’inadempimento e sulla gravità (Cass. 4-3-2004, n. 4415).
109
Secondo Cass. 22-3-2001, n. 4110, colui che si è obbligato sotto la condizione sospensiva del rilascio di
una determinata autorizzazione amministrativa, necessaria perché si realizzi la finalità economica del contrat-
to, ha il dovere di compiere tutte le attività che da lui dipendono perché la P.A. sia posta in grado di provve-
dere positivamente sul rilascio dell’autorizzazione stessa.
1012 PARTE VIII – CONTRATTO

in pendenza della condizione sospensiva e alienante in pendenza della condizione risolu-


tiva) ha poteri di controllo e conservazione oltre che la disponibilità della posizione di
aspettativa (art. 1356).
Relativamente all’amministrazione, la stessa spetta al soggetto cui, durante la penden-
za della condizione, spetta l’esercizio del diritto: i relativi atti di amministrazione non
sono travolti dall’avveramento della condizione (art. 1361).
L’incertezza della pendenza può sciogliersi in un duplice modo: con l’avveramento
dell’evento o con la mancanza dello stesso.
b) L’avveramento dell’evento può essere effettivo o legale.
Si ha avveramento effettivo quando l’avvenimento dedotto nella condizione si realizza
materialmente (negli esempi fatti: l’impiegato è trasferito, il finanziamento è erogato).
Si ha avveramento legale quando l’avvenimento dedotto in condizione non si realizza
materialmente, ma è la legge a considerarlo giuridicamente avverato: per l’art. 1359 la
condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che
aveva interesse contrario all’avveramento di essa (negli esempi di cui innanzi, l’impiegato
non richiede il trasferimento; l’acquirente dell’albergo non richiede il finanziamento). Il
c.d. avveramento legale rappresenta un’esplicazione del principio generale di buona fede
(prescritto dall’art. 1358), cui deve essere informato il comportamento delle parti, anche
della pubblica amministrazione 110, durante la pendenza della condizione 111. Devono dun-
que ricorrere due presupposti: l’apposizione della condizione nell’interesse di una sola
delle parti 112; la imputabilità del mancato avveramento della condizione alla parte inte-
ressata al non avveramento 113.
Con l’avveramento (effettivo o legale) dell’avvenimento si producono gli effetti del con-

110
Con riguardo ad un contratto di progettazione di un’opera pubblica in cui il professionista aveva accet-
tato di condizionare il diritto al compenso al conseguimento, da parte dell’amministrazione pubblica, del fi-
nanziamento dell’opera, si è stabilito che bisogna “verificare se corrispondano ad uno standard esigibile di buo-
na fede le iniziative poste in essere dall’ente locale onde ottenere il finanziamento” (Cass., sez. un., 19-9-2005, n.
18450; Cass. 18-4-2019, n. 10844; Cass. 2-1-2014, n. 12; Cass. 3-6-2010, n. 13469).
111
L’onere di provare l’avveramento della condizione grava su chi afferma il suo verificarsi, anche nell’i-
potesi della “fictio” di cui all’art. 1359 c.c., ove si considera avverata qualora essa sia mancata per causa impu-
tabile alla parte che aveva interesse contrario al suo verificarsi (Cass. 19-9-2019, n. 23417).
112
La condizione può ritenersi apposta nell’interesse di uno solo dei contraenti solo in presenza di una clau-
sola espressa in tal senso o di elementi che inducano a ritenere che l’altra parte non abbia alcun interesse al suo
verificarsi; ne consegue che l’art. 1359 non è applicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una
determinata prestazione abbia anch’essa interesse al verificarsi della condizione (Cass. 26-7-2017, n. 18512). La
condizione può ritenersi apposta nell’interesse di una sola delle parti contraenti soltanto quando vi sia un’espres-
sa clausola contrattuale in tal senso ovvero allorché, al momento della conclusione del contratto, sussista un in-
sieme di elementi che nel loro complesso inducano a ritenere che si tratti di una condizione alla quale l’altra par-
te non abbia alcun interesse: in mancanza, la condizione si ritiene apposta nell’interesse di entrambi i contraenti
(Cass. 3-7-2013, n. 16620). Mancando una prova sicura dell’apposizione della condizione nell’interesse di una
sola parte, non si produce l’effetto dell’avveramento legale (Cass. 12-1-2006, n. 419).
113
Costituendo la fictio di avveramento una sanzione, l’imputabilità del fatto impeditivo deve trovare la
sua base in una condotta dolosa o colposa, in una maliziosa preordinazione del fatto impeditivo o almeno in
un’azione od omissione cosciente e volontaria, anch’essa contrastante col principio della correttezza e della
buona fede (Cass. 11-1-2017, n. 443; Cass. 4118/1984). Il comportamento del soggetto interessato deve inte-
grare un’attività positiva idonea a impedire il verificarsi dell’evento, non essendo sufficiente una condotta
omissiva, a meno che non riguardi un’attività che costituisce oggetto di un obbligo giuridico della parte, as-
sunto o comunque derivante dall’art. 1375 (Cass. 2-1-2014, n. 12; Cass. 11-9-2018, n. 22046).
CAP. 3 – CONTENUTO 1013

tratto sotto condizione sospensiva, mentre vengono meno gli effetti del contratto sotto
condizione risolutiva. La efficacia o inefficacia è di regola retroattiva, nel senso che gli
effetti dell’avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il
contratto, salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, debbano essere
riportati a un momento diverso (art. 13601). Trattasi di una retroattività tendenzialmente
reale o assoluta, nel senso che la efficacia o inefficacia del contratto opera tra le parti e
verso i terzi (se un terzo ha acquistato da uno dei contraenti il diritto oggetto del con-
tratto, risente le sorti dell’avveramento della condizione).
Alcune deroghe alla retroattività sono previste dalla legge per bilanciare la tutela di
altri interessi, precipuamente la gestione del bene e la sicurezza della circolazione.
Per favorire la gestione del bene, l’avveramento della condizione non pregiudica gli
atti di amministrazione compiuti dalla parte a cui, in pendenza della condizione, spetta-
va l’esercizio del diritto; inoltre, salvo diverse disposizioni di legge o diversa pattuizione,
i frutti percepiti sono dovuti dal giorno in cui la condizione si è avverata (art. 1361). Con
riferimento alla condizione risolutiva rileva la peculiarità dei contratti di durata (operante
anche con riguardo al recesso e alla risoluzione del contratto): se è apposta a un contrat-
to ad esecuzione continuata o periodica, l’avveramento di essa, in mancanza di patto
contrario, non ha effetto riguardo alle prestazioni già eseguite (art. 13602).
Per garantire la circolazione immobiliare, quando l’atto trascritto o iscritto è soggetto
a condizione risolutiva, l’avveramento della condizione deve annotarsi a margine della
trascrizione o della iscrizione dell’atto; se l’annotazione non è eseguita non produce ef-
fetto la successiva trascrizione a favore di chi si è avverata la condizione; l’annotazione
può eseguirsi in virtù della dichiarazione unilaterale del contraente in danno del quale la
condizione stessa si è verificata (art. 2655). L’indicazione della condizione è cancellata
quando l’avveramento della condizione sospensiva o la mancanza della condizione riso-
lutiva risulta da sentenza o anche da dichiarazione unilaterale della parte in danno della
quale la condizione sospensiva si è verificata o la condizione risolutiva è mancata (art.
26683).
c) Il mancato avveramento dell’avvenimento consolida la situazione pendente: non ve-
rificandosi la condizione sospensiva, non si producono gli effetti del contratto; non veri-
ficandosi la condizione risolutiva, diventano definitivi gli effetti prodotti dal contratto.

22. Termine. – Non c’è nella legge una disciplina del termine di efficacia dei contrat-
ti: c’è in tema di obbligazione una disciplina del termine di adempimento (artt. 1183 ss.),
ma i due termini hanno natura diversa.
a) Il termine di efficacia incide sul tempo degli effetti del contratto, segnando il
momento iniziale e/o il momento finale della produzione degli effetti stessi. Il termine fissa
nel tempo gli effetti del contratto: perciò si suole dire che il termine corre. Per la determi-
nazione del termine può anche aversi riguardo ad un avvenimento futuro: essenziale è che
sussista certezza dell’avvenimento, quand’anche non sia determinata la data della realizza-
zione: es. il termine è ancorato alla morte di un soggetto (che inevitabilmente avverrà).
Si ricorre alla previsione di un termine di efficacia del contratto quando c’è necessità
di differire l’inizio dell’efficacia del contratto rispetto alla data di stipula o fissare la fine
della efficacia quando la esecuzione si protrae nel tempo. Il termine iniziale indica l’ini-
zio degli effetti del contratto, con la nascita del rapporto; il termine finale indica la fine
1014 PARTE VIII – CONTRATTO

degli effetti del contratto, con la estinzione del rapporto: il tempo corrente tra il termine
iniziale e quello finale esprime la durata (della efficacia) del contratto.
Trovano applicazione, con interpretazione estensiva, le norme sul termine di adem-
pimento dell’obbligazione (artt. 1183 ss.) (VII, 3.4) e quelle sul computo del termine di
prescrizione (artt. 2962 ss.) (II, 4.8).
b) Il termine di adempimento dell’obbligazione designa una modalità cronologica
dell’attuazione del rapporto obbligatorio (conseguente al contratto): il termine indica
una modalità dell’adempimento dell’obbligazione. Si vedrà della rilevanza del c.d. ter-
mine essenziale ai fini della risoluzione del contratto (VIII, 10.12).
I due tipi di termini possono convivere: ad es., stipulandosi un contratto di locazione,
si stabilisce che la locazione ha la durata di quattro anni, con decorrenza dalla data di
stipula (termine di efficacia iniziale) e scadenza dopo quattro anni (termine di efficacia
finale), con obbligo di pagare il canone di locazione entro il cinque di ogni mese (termi-
ne di adempimento dell’obbligazione).

23. Onere. – L’onere (o modus) afferisce ai soli negozi di liberalità (donazione e te-
stamento), introducendo un obbligo a carico del beneficiario (donatario, erede, legatario),
che limita il vantaggio economico ricevuto (artt. 647 e 793). Non incide sulle modalità
dell’efficacia (come condizione e termine), ma ne amplia la portata, introducendo un nuo-
vo effetto determinativo di un obbligo da assolvere dal beneficiario, in favore del dispo-
nente o di terzi (nella donazione) o solo di terzi (per l’eredità e il legato): perciò si dice che
l’onere obbliga.
Se l’onere non viene adempiuto, qualsiasi interessato può agire per l’adempimento
dell’obbligazione. Può anche aversi la risoluzione della donazione (art. 7934) o della di-
sposizione testamentaria (art. 648) in ipotesi di inadempimento dell’onere, quando è sta-
ta prevista nell’atto come conseguenza dell’inadempimento 114; rispetto al testamento an-
che quando l’adempimento dell’onere ha costituito il solo motivo determinante della di-
sposizione.
L’onere impossibile o illecito si considera non apposto: rende tuttavia nulla la disposi-
zione se ne ha costituito il solo motivo determinante (artt. 6473 e 794).
Di tale istituto si parlerà diffusamente nelle parti dedicate alle successioni (XII, 2.13)
e alle donazioni (XIII, 1.3).

114
C’è un divario con la condizione risolutiva. In presenza di questa, la risoluzione del contratto consegue
all’obiettivo verificarsi dell’evento; invece, nella risoluzione per inadempimento del modo, la risoluzione del
negozio consegue quale comune rimedio della risoluzione per inadempimento (art. 1218).
CAPITOLO 4
FORMA

Sommario: 1. Evoluzione del formalismo. – 2. La forma per la validità. – 3. La forma per la prova. – 4.
La forma per la opponibilità. – 5. La forma dell’informazione. – 6. Il documento informatico. Firma
elettronica e digitale. – 7. Lo smart contract.

1. Evoluzione del formalismo. – Il diritto regola rapporti sociali: l’intento negoziale,


per realizzare un regolamento di interessi, deve concretizzarsi in segni tangibili nel con-
testo sociale. Una manifestazione della volontà negoziale non può mai mancare, quale
essenziale mezzo di comunicazione (VIII, 2.5); talvolta però la legge richiede che la vo-
lontà sia manifestata con particolari formalità. La forma (in senso ampio) indica i modi
obbligati di manifestazione della volontà negoziale.
L’art. 1325, n. 4, indica tra i requisiti del contratto la forma “quando risulta che è
prescritta dalla legge sotto pena di nullità” (c.d. atti formali o solenni). È la c.d. forma ad
substantiam actus, richiesta dall’art. 1418 a pena di nullità, quale elemento essenziale (co-
stitutivo) del contratto. La formulazione della norma lascia intendere che principio ge-
nerale è la libertà di forma, mentre eccezionali sono le ipotesi per le quali è prescritta una
determinata forma. L’ordinamento impone una forma vincolata della volontà nego-
ziale per più ragioni, quali la natura degli interessi coinvolti, le circostanze in cui il con-
tratto è concluso, la qualificazione soggettiva degli autori. Si vedrà come le prescrizioni
di forma sono in continua crescita, sicché il rapporto tra regola ed eccezione stia pro-
gressivamente capovolgendosi. Resta il dato che, se non è prescritta una forma vincolata,
è lasciata alla libertà dei privati la scelta della forma con la quale manifestare la propria
volontà negoziale e dunque autoregolare i propri interessi. Il formalismo ha assunto nelle
varie epoche storiche giustificazioni diverse, che ne hanno orientato ed impresso la fun-
zione e la portata.
a) Tradizionalmente la forma vincolata degli atti ha caratterizzato le cadenze più si-
gnificative della esistenza umana (in ciò confluendo e intrecciandosi ispirazioni religiose
e obiettivi pubblici): così una forma solenne è stata sempre richiesta per il matrimonio e
altri fondamentali atti della vita familiare (es. convenzioni matrimoniali), per la forte ri-
levanza sociale degli stessi; una forma solenne è stata anche tradizionalmente richiesta
per il testamento, quale atto di disposizione dei propri beni per dopo la morte.
Con riguardo ai rapporti economici, quando la proprietà immobiliare esprimeva il
simbolo della ricchezza e svolgeva perciò funzione produttiva e di rilevanza sociale, c’era
un’accentuazione della forma in ragione della tutela dei titolari della proprietà: bisogna-
va richiamare la riflessione sulla rilevanza economica dell’atto di disposizione per il
1016 PARTE VIII – CONTRATTO

depauperamento che comportava del patrimonio del disponente. Essendo gli immobili
incorporati al suolo, è stato anche possibile apprestare strumenti pubblicitari della rela-
tiva circolazione giuridica. La serietà della volontà negoziale e la certezza del traffico giu-
ridico sono assicurate dalla forma degli atti e dalla pubblicità: è una connessione che so-
stanzialmente resiste con riferimento al trasferimento degli immobili, dove la tipologia
degli atti solenni corrisponde sostanzialmente a quella degli atti soggetti a trascrizione
(così ancora gli artt. 1350 e 2643).
b) Con l’affermarsi dell’impresa emerge una esigenza nuova ed opposta. Il contratto è
strumento essenziale dell’attività economica, per l’approvvigionamento dei mezzi di pro-
duzione come per la collocazione dei prodotti. Si assiste alla contrazione delle prescri-
zioni di forma per favorire la circolazione dei b eni . Correlativamente è svalutata la
rilevanza della volontà negoziale in favore dell’affidamento incolpevole (es. artt. 428 e
1431). La ricchezza mobiliare sovrasta come importanza quella immobiliare; e una circo-
lazione veloce di beni mobili, per sua essenza, è refrattaria a forme solenni e non consen-
te l’inserimento in registri: la speditezza e sicurezza della circolazione è affidata alla con-
segna e all’apparenza (in grado di penetrare nei campi dove non può esplicarsi la pub-
blicità) (es. artt. 1153, 2919). Una circolazione sicura e spedita favorisce la collocazione
dei prodotti e dunque stimola la produzione.
c) Di recente sta rinascendo un formalismo, con ispirazione diversa rispetto a quella
che tradizionalmente l’aveva connotato. Trattasi di un neoformalismo con funzione di
essenziale tutela di consumatori, investitori e clienti nei contratti standardizzati, unilate-
ralmente predisposti e spesso sollecitati mediante comunicazioni di massa. In presenza
di una asimmetria di potere contrattuale, la forma assume la dimensione di sostegno del
contraente debole (consumatore o mero cliente) che si svolge in una duplice direzione.
Sono accresciute le prescrizioni di forma dell’atto al fine di stimolare la conoscenza
del contenuto del contratto. La nullità consegue, come di consueto, ad una deficienza
della fattispecie per assenza di uno dei requisiti essenziali del contratto, secondo il tradi-
zionale criterio della c.d. nullità strutturale (art. 14182).
In una nuova direzione, è valorizzata la forma dell’informazione al fine di garantire la
conoscenza del contratto o di singole clausole da parte del contraente debole: ad es., le
informazioni che l’organizzatore o l’intermediario di pacchetti turistici è tenuto a dare
per iscritto al turista all’atto della conclusione del contratto (art. 34 ss. cod. tur.); le in-
formazioni che il professionista è tenuto a dare al consumatore circa i diritti accordati,
quale ad es. il diritto di recesso del consumatore nei contratti stipulati fuori dei locali
commerciali e a distanza (artt. 49 ss. cod. cons.). Il vincolo di forma, stimolando la tra-
sparenza, si rivela un importante mezzo di supporto per l’esplicazione di un’effettiva au-
tonomia, consentendo una consapevole esplicazione di volontà anche da parte di con-
traenti deboli, nell’interesse immediato delle persone fisiche tutelate ma in prospettiva
anche in funzione di tutela di un mercato virtuoso, in quanto operatori economici in-
formati sono anche in grado di selezionare le imprese più attive assicurando un criterio
ottimale di allocazione delle risorse.
La prescrizione di forma dell’informazione attiene, bensì a un profilo esterno alla
struttura dell’atto, ma con questo considerato connesso, sicché l’assenza dell’informazio-
ne o un’informazione non data nella forma prescritta è considerata di regola una ragione
di nullità dell’atto per mancanza di forma ad substantiam. Si vedrà come l’assenza di
CAP. 4 – FORMA 1017

forma finalizzata alla tutela del contraente debole dia luogo ad una qualificata nullità del
contratto che si atteggia come nullità protettiva potendo essere rilevata solo dal soggetto
nel cui interesse è prescritta (c.d. nullità relativa), senza precludere al soggetto protetto
di realizzare il risultato perseguito (c.d. nullità parziale) (VIII, 9.6). Si tende a collegare
all’assenza della forma prescritta per l’informazione una c.d. nullità funzionale, rilevante
anche in assenza di una specifica prescrizione di nullità, riconducibile alla previsione del-
l’art. 14181 quale nullità virtuale per contrarietà a norme imperative di diritto (VIII, 9.5).
È il tratto più nuovo e significativo del neoformalismo: la forma dell’informazione è espres-
sione di trasparenza, a tutela del corretto funzionamento del mercato concorrenziale (oltre
che a protezione dei diritti umani della persona fisica che aderisce al contratto).
La crescita democratica ha anche comportato un’accentuazione della forma nei con-
tratti della pubblica amministrazione, a garanzia del buon andamento e della impar-
zialità dell’amministrazione (art. 971 Cost.) (VIII, 1.12). Come si vedrà, i contratti della
pubblica amministrazione devono essere redatti con forma scritta a pena di nullità, quale
che sia il tipo contrattuale utilizzato.
Di seguito si ha riguardo alle varie finalità per cui è richiesta una forma vincolata, in
ragione delle specifiche funzioni assolte dal formalismo nei rapporti di diritto privato.

2. La forma per la validità. – L’art. 1325, n. 4, prevede la forma come elemento


essenziale o costitutivo del contratto quando è prescritta dalla legge a pena di nullità
(forma ad substantiam). La forma ad substantiam può essere prescritta dall’ordina-
mento (forma legale) o essere adottata dai privati (forma convenzionale).
a) Forma legale. Talvolta la legge prescrive la forma specifica da adottare: ad es. la
donazione deve essere fatta per atto pubblico sotto pena di nullità (art. 782) 1. Spesso ri-
chiede un requisito formale di carattere generale, lasciandosi ai privati la individuazione
della specifica forma: ad es. gli atti dispositivi di immobili devono “farsi per iscritto”,
rimettendo all’autonomia delle parti la scelta tra l’atto pubblico o la scrittura privata (art.
1350).
La forma scritta è tradizionalmente prescritta per gli atti dispositivi di beni immobi-
li 2. Una forma solenne è anche prevista per gli atti di liberalità (donazione e testamento).
Singole figure sono previste a fini particolari: ad es., la determinazione degli interessi
convenzionali (art. 1284); la vendita di eredità (art. 1543); la cessione dei beni ai credito-

1
Si è stabilito che il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito ti-
toli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di
bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica
ad esecuzione indiretta, con la conseguenza che necessita la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra be-
neficiante e beneficiarlo, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore (Cass., sez. un., 27-7-2017,
n. 18725).
2
Per l’art. 1350 devono farsi per iscritto (atto pubblico o scrittura privata), sotto pena di nullità, gli atti
che trasferiscono la proprietà di beni immobili o che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti reali su
beni immobili o con i quali si rinunzia ai detti diritti; i contratti di locazione di beni immobili per una durata
superiore a nove anni (in ragione del lungo tempo di dissociazione della utilizzazione del bene dalla titolarità
del diritto); i contratti di società con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali
immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo indeterminato; le divisioni e le transazioni
che hanno ad oggetto i medesimi diritti. Altri atti da farsi per iscritto sono indicati dalla stessa norma o da
altre norme di legge.
1018 PARTE VIII – CONTRATTO

ri (art. 1978). Il formalismo ha assunto rilevanza per i contratti stipulati dalla pubblica
amministrazione quale strumento di controllo del relativo operato 3: la violazione del vin-
colo di forma è causa di nullità del contratto 4; è però emerso un indirizzo che esclude le
aziende municipalizzate dall’obbligo di rispettare la forma scritta nei contratti stipulati 5.
Un ulteriore filone è legato a neoformalismo a pena di nullità, in favore di soggetti debo-
li: si pensi ai contratti dei consumatori (ex artt. 33 ss. cod. cons.); ai contratti delle banche
(art. 117 D.Lgs. 385/1993 TUB) 6 e ai contratti di servizi di investimento con i clienti (art.
23 D.Lgs. 58/1998 TUF) 7; ai contratti di assicurazione (art. 109 D.Lgs. 17/1995) e ad
altre ipotesi con asimmetria contrattuale 8.

3
Per giurisprudenza costante, la forma scritta ad substantiam è strumento di garanzia del regolare svolgi-
mento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del singolo cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della
collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, e, per tale via, espressione dei principi di im-
parzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost. (Cass. 26-1-2007, n. 17529; Cass. 6-2-2004, n.
2289). Se ne parlerà trattando della nullità (VIII, 9.5).
4
Ordinaria forma di stipulazione è quella c.d. pubblica amministrativa: per l’art. 16 della legge sulla con-
tabilità di stato (R.D. 18.11.1923, n. 2440) i contratti sono stipulati da un pubblico ufficiale delegato a rap-
presentare l’amministrazione e ricevuti da un funzionario designato quale ufficiale rogante secondo le norme
del regolamento attuativo; i processi verbali di aggiudicazione nelle aste e nelle licitazioni private sono pari-
menti formati dal funzionario come ufficiale rogante. Tali contratti e verbali hanno forza di titolo autentico.
5
In ragione della natura imprenditoriale dell’attività svolta e della sua autonomia organizzativa e gestiona-
le rispetto allo stato e agli enti locali da cui è partecipata, l’azienda speciale di ente pubblico territoriale, pur
appartenendo al sistema con il quale la P.A. gestisce i servizi pubblici che abbiano per oggetto produzioni di
beni e attività rivolte a soddisfare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità
locali, non può qualificarsi, ai fini della normativa sulla forma dei contratti di cui agli artt. 16 e 17 del R.D.
2440/1923 P.A. in senso stretto; ne consegue che, per i suoi contratti, non è imposta la forma scritta ad sub-
stantiam ma vige il principio generale della libertà della forme di manifestazione della volontà negoziale (Cass.,
sez. un., 9-8-2018, n. 20684).
6
I contratti delle banche vanno redatti per iscritto a pena di nullità e un esemplare va consegnato al clien-
te (art. 1171, 3). Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la deter-
minazione di tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati (art. 1176). Il requisito della forma
scritta imposto per i contratti bancari è rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne venga consegna-
ta una copia al cliente ed è sufficiente la sola sottoscrizione del cliente stesso, non essendo necessaria anche la
sottoscrizione della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dalla
stessa tenuti (Cass., sez. un., 16-1-2018, n. 898).
7
I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto a pena
di nullità e un esemplare è consegnato ai clienti; è nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determina-
zione del corrispettivo dovuto al cliente e di ogni altro onere a suo carico (art. 231, 2). La Consob può preve-
dere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraen-
ti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma a pena di nullità (art. 231). Per
costante giurisprudenza la forma scritta si riferisce ai contratti quadro e non ai singoli ordini di investimento
(o disinvestimento) che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è invece sogget-
ta a requisiti formali, salvo diversa previsione dello stesso contratto quadro (Cass. 31-8-2020, n. 18122); alla
stregua dell’art. 1352 c.c., secondo cui la forma convenuta dalle parti per la futura stipulazione di un contrat-
to si presume pattuita ad substantiam, è estensibile, ai sensi dell’art. 1324 c.c., agli atti che seguono alla stipu-
lazione del contratto quadro (Cass. 9-8-2017, n. 19759; Cass. 13-1-2012, n. 384).
8
Ad es. il contratto di subfornitura deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità; in caso di nulli-
tà, il subfornitore ha comunque diritto al pagamento delle prestazioni effettuate e al risarcimento delle spese
sostenute in buona fede ai fini dell’esecuzione del contratto (art. 21 L. 1192/1998). Il contratto di vendita di
pacchetti turistici va redatto in forma scritta in termini chiari e precisi; al consumatore va rilasciata una copia
del contratto stipulato, sottoscritto o timbrato dall’organizzatore o venditore e vanno fornite per iscritto spe-
cifiche informazioni (art. 35 cod. tur).
CAP. 4 – FORMA 1019

Non è indispensabile la contestualità delle sottoscrizioni del contratto, potendo pro-


posta e accettazione essere anche autonome purché collegate e rivestite della forma ri-
chiesta 9: è essenziale che, prima dell’incontro delle dichiarazioni, non intervenga revoca
di una di esse (art. 13281) 10. La produzione in giudizio ne esprime la provenienza 11.
La forma richiesta dalla legge attiene alla dichiarazione di volontà negoziale, che deve
essere espressa e documentata in un determinato modo 12; il documento in cui la dichia-
razione di volontà è raccolta è una “cosa” che contiene la rappresentazione della volontà
negoziale manifestata; perciò del documento è possibile, in specifiche ipotesi, la ricostru-
zione (artt. 2724, n. 3, e 2725), purché la dichiarazione di volontà sia stata formulata nel
modo prescritto dalla legge. Quando è richiesta la forma dell’atto pubblico, l’attività di
documentazione della volontà è svolta da notai o da altri pubblici ufficiali autorizzati ad
attribuire pubblica fede alle dichiarazioni raccolte nel documento.
Anche le modifiche di contratti formali devono farsi con la medesima forma vincolata
del contratto che si vuole modificare: ad es., la vendita di immobile è un contratto solen-
ne (artt. 1350), per cui tutti gli atti connessi, presupposti e incidenti nella formazione
dell’accordo di vendita devono avere la forma scritta solenne (arg. art. 1351 c.c.) 13. Di-

9
Il rispetto del requisito della forma scritta può risultare solo da una scrittura privata recante le sottoscri-
zioni delle parti dell’accordo, le quali possono anche essere in documenti diversi, inscindibilmente collegati in
modo da evidenziare inequivocabilmente l’incontro dei consensi, ma non possono indubbiamente mancare; la
prova della loro esistenza e dei diritti che ne formano l’oggetto richiede necessariamente la produzione in
giudizio della relativa scrittura, che non può essere sostituita da altri mezzi probatori e neanche dal compor-
tamento processuale delle parti che abbiano concordemente ammesso l’esistenza del diritto costituito con
l’atto non esibito” (Cass. 28-12-2021, n. 41790). È possibile che uno stesso documento, originariamente sot-
toscritto da una sola parte, venga sottoscritto in un secondo tempo dall’altra, oppure che questa, senza sotto-
scriverlo, lo produca in giudizio con il dichiarato intento di avvalersi del contenuto negoziale di esso nei con-
fronti del suo autore (Cass. 23-12-2004, n. 23966). Regole più stringenti operano per la donazione: per l’art.
782 l’accettazione può essere fatta nell’atto stesso o con atto pubblico posteriore; in questo caso però la dona-
zione è perfetta dal momento in cui l’atto di accettazione è notificato al donante.
10
È necessario che il secondo documento abbia tutti i requisiti necessari ad integrare una volontà contrat-
tuale, ivi compresa l’individuazione o quantomeno l’individuabilità del destinatario della dichiarazione, e che,
inoltre, tale volontà non sia stata revocata dal proponente prima che lo stesso abbia avuto notizia dell’accet-
tazione della controparte; revoca che può esprimersi anche in forma verbale o per facta concludentia, purché
in modo idoneo a giungere a conoscenza dell’altra parte (Cass. 15-4-2016, n. 7543).
11
In tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta ad substantiam, la produzione in giu-
dizio di una scrittura privata a cura di chi non l’aveva sottoscritta costituisce equipollente della mancata
sottoscrizione contestuale e, pertanto, perfeziona ex nunc il contratto in essa contenuto, purché la contro-
parte in giudizio sia la stessa che aveva già firmato tale scrittura e sia ancora in vita al momento di detta
produzione, non producendosi altrimenti il necessario incontro delle volontà negoziali (Cass. 22-1-2018, n.
1525).
12
L’oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile sulla base degli elementi risultanti dal
contratto, non potendo farsi ricorso ad elementi estranei al documento (Cass. 24-2-2022, n. 6142).
13
L’art. 1351 regola la forma del contratto preliminare, che deve avere la forma del contratto definitivo a
pena di nullità. Ma la norma esprime un principio generale nella formazione del contratto: ad es., per costan-
te giurisprudenza l’opzione si inserisce nel procedimento di formazione dell’accordo, e dunque deve avere
la forma del contratto stesso, che nel trasferimento di immobile è appunto la forma scritta (tra le tante Cass.
30-11-2017, n. 28762). Qualsiasi modifica concernente il contenuto del patto di opzione – come il termine
entro il quale l’oblato può accettare la proposta, elemento costitutivo essenziale del patto – deve rivestire
la medesima forma prescritta per detto negozio e provenire dalla volontà comune delle parti di esso, ovve-
ro da un loro rappresentante, munito di procura generale o speciale, espressamente conferita tal fine”
(Cass. 12-12-2002, n. 17737).
1020 PARTE VIII – CONTRATTO

versa è l’ipotesi di modifica di un contratto a forma libera, dalle parti redatto per iscritto:
quando non è stipulato un patto di forma convenzionale ex art. 1352 (di cui appresso), la
modifica può avvenire anche in forma orale (es. modifica locazione infranovennale di
immobile); per i patti aggiunti o contrari al contenuto del documento, stipulati ante-
riormente o contemporaneamente al contratto, di regola non è ammessa la prova per te-
stimoni (art. 2722) (III, 2.3).
Quando la formulazione del contenuto del contratto è compiuta con il rinvio a ulteriori
atti (es. determinazione dell’oggetto), è necessario che anche tali atti siano redatti con la
forma richiesta 14. È il generale problema delle c.d. determinazioni per relationem, cioè
quelle determinazioni del contenuto contrattuale non contenute nell’atto, ma alle quali le
parti fanno espresso rinvio. Talvolta sono dalla legge considerate nulle le clausole di rinvio
se le determinazioni esterne sono peggiorative di posizioni protette 15. È dibattuto se, in via
di interpretazione e cioè utilizzando i canoni degli artt. 1362 c.c., possano trarsi elementi di
determinazione del contenuto contrattuale da fonti diverse dall’atto stipulato: la giurispru-
denza, un tempo più restia 16, è oggi orientata a consentirne la possibilità 17.
Spesso sono anche imposte specifiche dichiarazioni delle parti, contenenti altrettante
informazioni, soggette al medesimo regime formale dell’atto in quanto egualmente rivol-
te a conformare il regolamento contrattuale a disposizioni imperative (es. dichiarazioni
di rilevanza urbanistica nella vendita di immobili).
È dibattuta la forma degli atti strumentali o accessori agli atti formali, quali sono gli
atti preparatori o prodromici, quelli integrativi o modificativi, o anche gli atti di ratifica e
convalida e quelli di recesso e risoluzione. Manca un’organica disciplina in materia, esi-
stendo solo frammentarie previsioni di simmetria formale tra l’atto solenne e il negozio

14
Nella compravendita immobiliare, l’oggetto deve essere determinato o determinabile in base agli ele-
menti contenuti nel relativo atto scritto; l’esatta identificazione dell’immobile non può essere fornita in base a
documenti estrinseci al contratto (Cass. 24-4-2003, n. 6516). Un negozio di mero accertamento può eliminare
incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituirne il titolo costitutivo, soggetto alla forma scritta “ad
substantiam” (Cass. 18-6-2003, n. 9687; Cass. 16-12-1987, n. 9358). È ridotto il rigore del vincolo formale
con riguardo alla provenienza dell’atto, consentendosi al contraente la cui sottoscrizione sia stata apposta apo-
crifamente di perfezionarlo validamente producendolo in giudizio o manifestando alla controparte, con un
proprio atto scritto stragiudiziale, la volontà di avvalersi del contratto, sempreché la conferma del contraente
non sottoscrittore non sopraggiunga dopo che la controparte abbia già revocato il proprio assenso, così ren-
dendo impossibile la formazione dell’accordo contrattuale (Cass. 14-4-2004, n. 7075).
15
Nei contratti con le banche, sono nulle e si considerino non apposte le clausole contrattuali di rinvio
agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati (art. 1176
D.Lgs. 385/1993).
16
L’oggetto del contratto per il quale è necessaria la forma scritta può considerarsi determinabile solo se
sia con certezza individuabile tramite gli elementi prestabiliti dalle parti nello stesso atto scritto (e dunque
non estrinseci ad esso), senza necessità di fare ricorso al loro comportamento successivo, dovendosi escludere
la possibilità di applicazione, per la determinazione dell’oggetto del contratto, della regola ermeneutica ex art.
13622 che consente di tenere conto del comportamento di queste successivo alla conclusione del contratto
(Cass. 7-3-2011, n. 5385; Cass. 5-2-2004, n. 2216).
17
In materia di trasferimenti immobiliari, pur se l’oggetto e gli altri elementi essenziali del contratto deb-
bono risultare dalla scrittura, è consentito al giudice del merito utilizzare, nell’interpretazione della volontà
delle parti, tutti i criteri stabiliti dagli artt. 1362 ss. c.c. e trarre, quindi, dal comportamento delle parti stesse,
anche posteriore alla conclusione del contratto e riferito dai testimoni o risultante da documenti, ogni ele-
mento utile a chiarire la loro effettiva intenzione e ad individuare l’esatta consistenza dell’oggetto trasferito,
pur in difetto di una esplicita e formale menzione (Cass. 16-1-2014, n. 817).
CAP. 4 – FORMA 1021

strumentale allo stesso, rispetto a talune figure quali il contratto preliminare (art. 1351),
la procura (art. 1392), la ratifica (art. 1399), la dichiarazione di nomina, la procura e l’ac-
cettazione della persona nominata nel contratto per persona da nominare (art. 1403),
che devono avere la forma del contratto solenne cui si riferiscono; niente è detto per altri
negozi strumentali 18. La giurisprudenza è per la tesi più rigorosa, considerando le ipotesi
tipiche come espressioni di un principio generale: ha rilevato la necessità della forma ad
substantiam per i contratti preordinati (anche indirettamente) al conseguimento di diritti
reali immobiliari 19 (ad es., il patto di opzione di acquisto di un bene immobile o il reces-
so da una vendita di un bene immobile vanno compiuti per iscritto perché comunque
destinati ad incidere sulla circolazione di beni immobili). Non mancano peraltro impo-
stazioni articolate, come ad es., rispetto ai negozi fiduciari inerenti a beni immobili (VIII,
3.16). In ogni caso, quando è richiesta la solennità, non sono ammessi equipollenti alla
forma del documento strumentale 20.
Con la delineata evoluzione del formalismo, bisogna verificare la funzione della pre-
scrizione della forma per il negozio principale: ogni atto strumentale o di secondo grado
rispetto a questo deve compiersi con la medesima forma del negozio principale quando
anche rispetto al negozio strumentale si pone la medesima esigenza di tutela degli inte-
ressi connessi al negozio principale. Bisogna anche verificare se la forma è prescritta in
funzione di tutela di entrambe le parti o di una sola di esse e come si atteggi nel singolo
contratto, proponendosi il medesimo problema di applicazione della c.d. nullità relativa
di protezione (ad es., prescrivendosi una forma dell’informazione a pena di nullità, il
medesimo vincolo di forma deve riguardare anche l’informazione contenuta negli atti
preparatori o prodromici all’atto finale).
Questioni emergono pure rispetto ai c.d. allegati all’atto. Quando gli allegati sono
essenziali alla determinazione del regolamento contrattuale, non solo devono rivestire
la forma richiesta per il contratto concluso, ma devono essere anche sottoscritti dalle

18
Tradizionalmente si sono contese il campo più tesi: una tesi liberale, per cui, in applicazione dei
principi di libertà delle forme e di autonomia privata, detti negozi sarebbero validi ed efficaci ancorché
privi della forma del negozio solenne; una tesi formalista (seguita dalla giurisprudenza), che considera le
previsioni tipiche come espressioni del principio per cui, qualora una forma particolare venga imposta per
un negozio dalla legge o per volontà delle parti, la medesima forma dovrebbe ritenersi implicitamente ri-
chiesta per tutti gli atti preparatori, modificativi, integrativi, risolutori o estintivi di quel negozio, e d’altra
parte gli atti per i quali la legge richiede il vincolo di forma difettano di quei caratteri di peculiarità che
possano giustificare, solo per essi, l’osservanza della medesima forma del contratto cui accedono; una tesi
contenutista, per cui il rispetto della forma del negozio “principale” è dovuto solo qualora dall’atto di se-
condo grado derivi uno di quegli effetti tipici in relazione ai quali l’esigenza formale è legislativamente rea-
lizzata (il vincolo formale sussisterebbe solo qualora lo scioglimento dell’atto principale comportasse un
ritrasferimento dei diritti indicati nell’art. 1350).
19
Secondo Cass. 24-1-2003, n. 1137, il mandato, con o senza rappresentanza, così ad acquistare come a ven-
dere beni immobili, richiede la forma scritta “ad substantiam”; e tale forma è necessaria anche nel caso della
ratifica dell’operato di colui che abbia agito come mandatario a vendere o ad acquistare beni immobili in as-
senza di mandato. Per Cass. 11-10-2002, n. 14524, sono assoggettati a forma scritta i contratti rivolti alla riso-
luzione consensuale sia del contratto definitivo che del preliminare riguardanti il trasferimento, la costituzione
o l’estinzione di diritti reali immobiliari.
20
Non soddisfa l’esigenza degli artt. 1350 e 1351 c.c. l’attestazione di pagamento sottoscritta dall’“acci-
piens” e dal “solvens”, e concernente somma corrisposta in esecuzione di un patto negoziale di cui si presup-
pone la futura stipula senza che ne sia documentata la giuridica esistenza nella sola forma valida richiesta dal-
la legge (Cass. 12-11-2013, n. 25424; Cass. 30-3-2012, n. 5158).
1022 PARTE VIII – CONTRATTO

parti. Il problema è ricorrente nelle vendite immobiliari rispetto al richiamo delle pla-
nimetrie 21.
Si è già detto del bollo e della registrazione, con funzione essenzialmente fiscale (II,
5.11). Si è anche visto come la registrazione della scrittura privata conferisce la c.d. “data
certa” che, in alcuni casi, opera come strumento di opponibilità dell’atto ai terzi. Inoltre,
nel clima di progressiva rilevanza della fiscalità, ha preso piede una tendenza ad utilizza-
re la registrazione come mezzo di contrasto all’evasione fiscale, con effetti di carattere
sostanziale 22. Con ciò evidenziandosi ulteriormente come la tipologia delle sanzioni non
rappresenti un mero portato logico ma frutto di una scelta di valore compiuta storica-
mente dall’ordinamento in ragione della natura degli interessi coinvolti.
b) Forma convenzionale. Per l’art. 1352, se le parti hanno convenuto per iscritto di
adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume
che la forma sia stata voluta per la validità di questo. La norma opera anche se il patto è
inserito nello statuto di un ente 23 e anche con riferimento al recesso 24.
Trattasi di una presunzione semplice, che dunque ammette la prova contraria 25. Come
per la forma legale, è da ritenere che il vincolo di forma convenuto operi anche per i
contratti preordinati o strumentali alla stipula del contratto formale.
C’è un’autolimitazione dell’autonomia privata, per non derivare il vincolo dalla legge
ma dalla volontà delle parti. È sempre in potere delle parti, d’accordo, cancellare il vincolo
di forma adottato 26.
La legge non indica quale specie di invalidità consegue alla non osservanza della for-
ma convenzionale: ma la giurisprudenza è senz’altro nel senso della nullità del contratto,
trattandosi di una forma ad substantiam.

21
Se le parti di una compravendita immobiliare hanno fatto riferimento, per individuare il bene, ad una
planimetria allegata all’atto, è necessario che essa non solo sia sottoscritta dai contraenti, ma anche espressa-
mente indicata nel contratto come parte integrante del contenuto dello stesso (Cass. 9-10-2014, n. 21352).
22
Ad es. l’art. 1346 L. 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), prescrive che “I contratti di loca-
zione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzio-
ni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”. Per la successiva rego-
lazione degli effetti conseguenti alla mancata registrazione del contratto, v. art. 39 ss. D.Lgs. 14.3.2011, n. 23.
23
Se la clausola statutaria di un ente associativo prevede una forma convenzionale ex art. 2352 c.c., per la
conclusione di un contratto, ovvero di un atto unilaterale, tale forma deve ritenersi adottata nell’interesse di
tutti gli associati, sicché la nullità conseguente al mancato rispetto della prescrizione può essere fatta valere da
ciascun interessato (Cass. 12-3-2020, n. 7108).
24
La presunzione ex art. 1352 si applica al recesso per il quale le parti abbiano convenuto la forma scritta,
in quanto atto negoziale unilaterale di contenuto negativo che pone fine agli effetti sostanziali della perma-
nenza del contratto rispetto al quale si esplica (Cass. 9-7-2019, n. 18414).
25
Secondo Cass. 11-3-2004, n. 5024, la presunzione prevista dall’art. 1352 può essere superata nel caso in
cui si pervenga, sulla base dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss., ad una interpretazione certa di se-
gno contrario.
26
La norma del co. 4 dell’art. 1326 c.c. – secondo cui, quando nella proposta viene richiesta una forma de-
terminata per l’accettazione, questa non ha effetto se prestata in forma diversa – è posta nell’esclusivo interesse
del proponente, per le esigenze di certezza e di agevolazione della prova di cui lo stesso ha necessità o da cui trae
utilità; il medesimo proponente può rinunciare al rispetto di detta forma, ritenendo sufficiente un’adesione ma-
nifestata in modo diverso, con l’ulteriore conseguenza che il difetto di forma non può essere invocato dalla con-
troparte per contestare il perfezionamento del contratto (Cass. 24-5-2018, n. 13033). Si è ritenuto che le parti
possono rinunciare al requisito di forma anche tacitamente, mediante comportamenti incompatibili con il suo
mantenimento (Cass. 22-8-2003, n. 12344; Cass. 5-10-2000, n. 13277). Contra Cass. 14-4-2000, n. 4861.
CAP. 4 – FORMA 1023

3. La forma per la prova. – Talvolta è imposto un vincolo di forma, non per la vali-
dità del contratto, ma a fini probatori (c.d. forma ad probationem ). La legge specifi-
ca che il contratto “deve essere provato per iscritto”: ad es., il contratto di assicurazione
(art. 1888); il patto limitativo della concorrenza (art. 2596). La forma è richiesta al solo
fine di poter provare l’esistenza dell’atto in giudizio. L’atto privo della forma richiesta è
dunque valido e produce effetti tra le parti, ma incontra un limite in sede giudiziaria, ri-
sultandone ridotta la possibilità di prova.
Talvolta, per un medesimo tipo di atto, è prevista una forma per la prova dell’atto e
una forma ad substantiam: ad es., per l’art. 1967, “la transazione deve essere provata per
iscritto, fermo il disposto del n. 12 dell’art. 1350”: ciò implica che, se la transazione ri-
guarda diritti reali immobiliari, è richiesta la forma scritta a pena di nullità dell’atto; del
pari la cessione di azienda deve essere provata per iscritto, ma è salva l’osservanza delle
forme stabilite dalle legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o
per la particolare natura del contratto (art. 2556). In tali ipotesi l’osservanza della forma
ad substantiam finisce con l’assorbire ogni altra prescrizione di forma.
Quando un contratto deve essere provato per iscritto, non è ammessa la prova per te-
stimoni, salvo che il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli for-
niva la prova (art. 2725) 27; anche le presunzioni semplici non si possono ammettere nei
casi in cui la legge esclude la prova per testimoni (art. 27292). Con la conseguenza che,
quando un contratto deve essere provato per iscritto, in assenza del documento, gli unici
mezzi di prova risultano essere la confessione e il giuramento (la prova testimoniale è
ammessa solo se c’è incolpevole smarrimento del documento) (III, 2.2).

4. La forma per la opponibilità. – Sono di sovente prescritte formalità ai soli fini


della opponibilità dell’atto ai terzi: il contratto è dunque valido e produce effetti tra le
parti (oltre che non incontrare limiti di prova), ma non può farsi valere verso i terzi. So-
no richiesti requisiti di formalizzazione a favore della trasparenza e della stabilità dei
rapporti sociali. I mezzi comunemente impiegati dalla legge per consentire l’opponibilità
dell’atto ai terzi sono la data certa dell’atto e la pubblicità in appositi registri pubblici.
a) La data certa dell’atto rileva quando questo non è formato per atto pubblico o
con scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente, sicché c’è
l’esigenza di stabilire la data della scrittura privata nei confronti dei terzi: ad es. il con-
tratto di locazione di un immobile è opponibile all’acquirente dello stesso se ha data cer-
ta anteriore all’alienazione della cosa (art. 1599); analogamente la riserva della proprietà
è opponibile ai creditori del compratore se risulta da atto scritto avente data certa ante-
riore al pignoramento (art. 1524). La data della scrittura privata è certa e opponibile ai
terzi dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della so-
pravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’hanno sottoscritta o dal
giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici, o, infine, dal giorno
in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della
formazione del documento (art. 2704) (III, 2.2).

27
In caso di contratto per il quale sia richiesta ad probationem la forma scritta – come accade per il con-
tratto di assicurazione – il giudice può ammettere la prova testimoniale, ove questa sia finalizzata a determi-
nare l’oggetto del contratto (Cass. 26-6-2012, n. 10618).
1024 PARTE VIII – CONTRATTO

b) La pubblicità dell’atto implica una forma per l’inserimento in pubblici registri


per la conoscenza dei terzi (XIV, 1.1). Si pensi alla trascrizione di atti di trasferimento e
costituzione di diritti reali nei pubblici registri immobiliari. A garanzia della sicurezza
della circolazione immobiliare, è richiesta una forma del titolo per la trascrizione: come
si vedrà, la trascrizione può essere eseguita solo in forza di sentenza, di atto pubblico o
di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudiziariamente (art. 2657)
(XIV, 2.4).
Un atto di alienazione di immobile stipulato con scrittura privata, valido ed efficace
tra le parti, necessita di apposita forma per la trascrizione nei registri immobiliari ai fini
della opponibilità ai terzi. Si rende a tale scopo necessaria la ripetizione dell’atto con una
forma utile alla trascrizione, mentre il rapporto contrattuale è già operante tra le parti 28.
Se una delle parti che ha stipulato la scrittura privata non vuole addiviene alla ripetizione
del contratto con la forma prescritta per la pubblicità, la controparte che intende munir-
si del titolo per la trascrizione deve proporre domanda giudiziale diretta ad ottenere l’ac-
certamento giudiziale della sottoscrizione della scrittura privata: la trascrizione della do-
manda giudiziale fa sì che la successiva trascrizione o iscrizione della scrittura produce
effetto dalla data di trascrizione della domanda giudiziale (art. 26521, n. 3).

5. La forma dell’informazione. – Parlando dell’autonomia privata, si è visto


dell’ampio filone di tutela di contraenti deboli, precipuamente di consumatori e investi-
tori (VIII, 1.9). Come anche si è visto dei presidi di tutela specifica attraverso i vari vin-
coli di forma dell’informazione per assicurare che il contrante debole elabori la matura-
zione dell’operazione compiuta (VIII, 2.18). Di seguito si ha riguardo a due esperienze
che maggiormente riguardano il diritto privato; ma è una problematica che attraversa
l’intera esperienza giuridica, a cominciare dalla vita delle società e che tocca le tante cor-
relazioni con la pubblica amministrazione.
a) Per i contratti conclusi fuori dei locali commerciali e a distanza, il professionista
deve fornire al consumatore, “in maniera chiara e comprensibile” varie “informazioni
precontrattuali” riguardanti la identità e i riferimenti del professionista, le caratteristiche
del bene venduto, il contenuto del contratto e la sua esecuzione, le condizioni, i termini
e le procedure per esercitare il diritto di recesso (art. 491) 29. Le informazioni formano
parte integrante del contratto e non possono essere modificate se non con accordo
espresso delle parti (art. 495); l’onere della prova relativa all’adempimento degli obblighi
di informazione incombe sul professionista (art. 4910).
Con due diverse disposizioni sono poi regolati i “requisiti formali” delle informazioni

28
Il fenomeno della ripetizione del contratto in una forma diversa è differente sia dalla ricognizione (che è la
attestazione di esistenza di un atto), sia dalla rinnovazione (che è la ricostruzione di un documento): per l’art.
2720 l’atto di ricognizione o di rinnovazione fa piena prova delle dichiarazioni contenute nel documento origina-
le, se non si dimostra, producendo quest’ultimo, che vi è stato errore nella ricognizione o nella rinnovazione.
29
Attraverso la previsione di una pletora disorganica di obblighi informativi a carico del professionista, è
stabilito che gli obblighi di informazione stabiliti nel cod. cons. si aggiungono agli obblighi di informazione
contenuti nel D.Lgs. 26.3.2010, n. 59 (in materia di servizi), e successive modificazioni, e nel D.Lgs. 9.4.2003,
n. 70 (commercio elettronico), e successive modificazioni, e non ostano ad obblighi di informazione aggiunti-
vi previsti in conformità a tali disposizioni (art. 498). In caso di conflitto sul contenuto e le modalità di rilascio
delle informazioni, prevale il cod. cons. (art. 499).
CAP. 4 – FORMA 1025

di cui all’art. 491 per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali (art. 50) e per i
contratti a distanza (art. 51) allo scopo di assicurarne la conoscenza da parte del consu-
matore 30. La “contrattualizzazione” delle informazioni in parola (art. 495) implica che,
per esse, la forma dell’informazione è elevata a forma del contratto, la cui assenza com-
porta nullità del contratto.
b) Con riguardo al commercio elettronico, alle offerte di servizi della società dell’infor-
mazione, effettuate ai consumatori per via elettronica, gli aspetti non disciplinati dal co-
dice del consumo sono regolati dal D.Lgs. 9.4.2003, n. 70 (recante attuazione della diret-
tiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informa-
zione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno) (art. 68 cod. cons.). Il
decreto chiarisce che si intendono per “servizi della società dell’informazione” le attività
economiche svolte in linea (on line) (art. 21, lett. a). L’art. 121 indica le informazioni di-
rette alla conclusione del contratto: il prestatore di un servizio della società dell’informa-
zione, oltre agli obblighi informativi previsti per specifici beni e servizi nonché a quelli
stabiliti dal cod. cons., deve tra l’altro fornire, in modo chiaro e comprensibile, prima
dell’inoltro dell’ordine da parte del consumatore, le informazioni relative alle varie fasi
tecniche da seguire per la conclusione del contratto, il modo in cui il contratto concluso
sarà archiviato e le relative modalità di accesso, l’indicazione degli strumenti di composi-
zione delle controversie. Lo stesso articolo specifica che detta normativa non è applicabi-
le ai contratti conclusi esclusivamente mediante scambio di messaggi di posta elettronica
o comunicazioni individuali equivalenti (art. 122). In ogni caso le clausole e le condizioni
generali del contratto proposte al destinatario devono essere messe a sua disposizione in
modo che gli siano consentite la memorizzazione e la riproduzione (art. 123) 31. Le norme
sulla conclusione dei contratti si applicano anche nei casi in cui il destinatario di un bene
o di un servizio della società dell’informazione inoltri il proprio ordine per via telematica.
Manca in tale normativa una previsione analoga all’art. 51 cod. cons. circa la eleva-

30
Per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali, la classe di informazioni ex art. 491 va fornita al
consumatore su “supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su un altro mezzo durevole”, in guisa da
essere leggibili e presentate in un linguaggio semplice e comprensibile (art. 501); il professionista fornisce al
consumatore una copia del contratto firmato o la conferma del contratto su supporto cartaceo o, se il consu-
matore è d’accordo, su un altro mezzo durevole, compresa, se del caso, la conferma del previo consenso
espresso e dell’accettazione del consumatore (art. 502). Analogamente, nei contratti a distanza, il professioni-
sta fornisce o mette a disposizione del consumatore tale classe di informazioni in modo appropriato al mezzo
di comunicazione a distanza impiegato in un linguaggio semplice e comprensibile (art. 511); se un contratto a
distanza concluso con mezzi elettronici impone al consumatore l’obbligo di pagare, il professionista gli co-
munica in modo chiaro ed evidente le informazioni direttamente prima che il consumatore inoltri l’ordine; il
professionista garantisce che, al momento di inoltrare l’ordine, il consumatore riconosca espressamente che
l’ordine implica l’obbligo di pagare (art. 512); il professionista fornisce al consumatore la conferma del contratto
concluso su un mezzo durevole al più tardi al momento della consegna dei beni oppure prima che l’esecuzione
del servizio abbia inizio (art. 519).
31
Per l’art. 13 D.Lgs. 70/2003, quando il destinatario di un bene o di un servizio della società dell’infor-
mazione inoltri il proprio ordine per via telematica, il prestatore del servizio deve, senza ingiustificato ritardo e
per via telematica, accusare ricevuta dell’ordine del destinatario contenente un riepilogo delle condizioni ge-
nerali e particolari applicabili al contratto, le informazioni relative alle caratteristiche essenziali del bene o del
servizio e l’indicazione dettagliata del prezzo, dei mezzi di pagamento, del recesso, dei costi di consegna e dei
tributi applicabili. L’ordine e la ricevuta si considerano pervenuti quando le parti alle quali sono indirizzati
hanno la possibilità di accedervi. La normativa non si applica ai contratti conclusi mediante scambio di mes-
saggi di posta elettronica o comunicazioni individuali equivalenti.
1026 PARTE VIII – CONTRATTO

zione della classe di informazioni a requisiti formali del contratto. Il fatto però che la
normativa di tutela del consumatore (artt. 49 ss.) sia stata introdotta con D.Lgs. 21/2014,
successivamente alla normativa sul contratto elettronico (D.Lgs. 70/2003) consente una
interpretazione estensiva o almeno analogica degli artt. 50 e 51 cod. cons. tenendo conto
che l’utente del commercio elettronico si presenta comunque come consumatore. Si ag-
giunga che, relativamente al commercio elettronico, la norma di rinvio dell’art. 68 cod.
cons. estende la disciplina del cod. cons. alle offerte di servizi della società dell’informa-
zione effettuate ai consumatori per via elettronica. Inoltre gli obblighi di informazioni
precontrattuali, stabiliti nell’apposita sezione II, si aggiungono agli obblighi di informa-
zione contenuti nel D.Lgs. 70/2003 (art. 498 cod. cons.) e, in caso di conflitto tra dispo-
sizioni sul contenuto e le modalità di rilascio delle informazioni, la normativa della stessa
sezione prevale (art. 499 cod. cons.).
Piuttosto emerge un divario tra comunicazione a distanza di massa (es. sito web) e
comunicazione a distanza individuale (es. posta elettronica).
Nella prima ipotesi (sito web) si realizza una vetrina virtuale: la conclusione del contrat-
to impone l’osservanza, oltre che del codice del consumo, anche del D.Lgs. 70/2003 pro-
pria del commercio elettronico. La comunicazione, se completa degli estremi essenziali del
contratto, è assimilabile ad un’offerta al pubblico ai sensi dell’art. 1336.
Nella seconda ipotesi (posta elettronica), quando la comunicazione è individualizzata
e non ripetitiva (perché in tal caso opererebbe anch’essa come un’offerta al pubblico), si
applica la sola normativa del codice del consumo per l’impiego di tecniche di comunica-
zione a distanza. L’offerta si atteggia come una proposta particolareggiata ai sensi dell’art.
1326. Ma quest’ultima ipotesi è di sporadica applicazione in quanto l’impiego di tecni-
che di comunicazione a distanza tende fisiologicamente a lanciare una comunicazione di
massa. In ogni caso, in presenza di una comunicazione che contenga tutti gli estremi del
contratto, può accedersi alla comune normativa del codice civile sulla proposta indivi-
duale: ad es. la digitazione degli estremi della carta di credito per il pagamento del prez-
zo può valere come inizio di esecuzione del contratto ai sensi dell’art. 1327 e dunque (ri-
correndo una delle tre ipotesi dalla norma previste) implicare la conclusione del contrat-
to, con esecuzione prima dell’accettazione.

6. Il documento informatico. Firma elettronica e digitale. – Le tecniche di comu-


nicazione a distanza comportano l’ulteriore e connesso problema della formazione del
documento elettronico e della relativa validità e rilevanza, anche per la prova e la oppo-
nibilità ai terzi.
La normativa nazionale si intreccia con quella di derivazione europea in modo non
sempre ordinato e chiaro. La variegata normativa sedimentatasi è confluita nel D.Lgs.
7.3.2005, n. 82, recante il “Codice dell’amministrazione digitale” (uno dei codici di rias-
setto normativo in attuazione della legge delega 229/2003), più volte integrato e modifi-
cato, specie con il D.Lgs. 30.12.2010, n. 235 e il D.Lgs. 26.8.2016, n. 179.
Il documento informatico è definito come “il documento elettronico che contiene la
rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” (art. 1, lett. p).
Tale definizione, nel configurare il documento informatico senza alcun riferimento al
supporto informatico, si allontana dalla tradizionale concezione dell’incorporazione del
documento nel supporto e cioè in una specifica entità materiale (come tradizionalmente
CAP. 4 – FORMA 1027

è stato per il documento cartaceo). Si realizza la “smaterializzazione” del documento,


con evidenti riflessi sia in merito alla verifica di autenticità che alle modalità di circola-
zione. L’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta
e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle sue ca-
ratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità (art. 201 bis) 32.
È regolato in modo diversificato il valore probatorio del documento informatico sotto-
scritto in ragione della tipologia di sottoscrizione apposta. Quando è apposta una mera
firma elettronica 33, il documento è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue
caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza (art. 211). Il documento informatico sotto-
scritto con firma elettronica avanzata 34, qualificata 35 o digitale 36, formato nel rispetto delle
regole tecniche di cui all’art. 203, ha altresì l’efficacia della scrittura privata di cui all’art.
2702 c.c. (art. 212). L’utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si
presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria. L’apposizione di
firma digitale integra e sostituisce l’apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e
marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa vigente (art. 242). L’appo-
sizione della firma digitale da parte del pubblico ufficiale ha l’efficacia di cui all’art. 242
(art. 253). È considerata firma autenticata 37, e vale dunque come sottoscrizione riconosciuta,
ai sensi dell’art. 2703 c.c., la firma elettronica o qualsiasi altro tipo di firma elettronica
avanzata autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 251).
Salvo il caso di sottoscrizione autenticata, le scritture private di cui all’art. 13501, nn.
da 1 a 12, c.c., se fatte con documento informatico, sono sottoscritte, a pena di nullità,
con firma elettronica qualificata o con firma digitale. Gli “altri atti specialmente indicati
dalla legge” (di cui all’art. 1350, n. 13, c.c.), redatti su documento informatico o formati
attraverso procedimenti informatici, sono sottoscritti, a pena di nullità, con firma elet-
tronica avanzata, qualificata o digitale (art. 212 bis).

32
È introdotto il principio generale della “autenticazione del documento informatico”, intendendosi per
tale la validazione del documento informatico attraverso l’associazione di dati informatici relativi all’autore o
alle circostanze della redazione (art. 1, lett. b).
33
Firma elettronica è l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione
logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica (art. 1, lett. q).
34
Firma elettronica avanzata è l’insieme di dati in forma elettronica allegati oppure connessi a un docu-
mento informatico che consentono l’identificazione del firmatario del documento e garantiscono la connes-
sione univoca al firmatario, creati con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo, col-
legati ai dati ai quali detta firma si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati succes-
sivamente modificati (art. 1, lett. q bis).
35
Firma elettronica qualificata è un particolare tipo di firma elettronica avanzata che sia basata su un certi-
ficato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma (art. 1, lett. r).
36
Firma digitale è un particolare tipo di firma qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una
pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario trami-
te la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un do-
cumento informatico o di un insieme di documenti informati (art. 1, lett. s). La firma deve riferirsi in maniera
univoca ad un solo soggetto ed al documento o all’insieme dei documenti cui è apposta o associata (art. 241).
37
Firma autenticata è l’autenticazione della firma elettronica, anche mediante l’acquisizione digitale della
sottoscrizione autografa, o di qualsiasi altro tipo di firma elettronica avanzata, consistente nell’attestazione, da
parte del pubblico ufficiale, che la firma è stata apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della
sua identità personale, della validità dell’eventuale certificato elettronico utilizzato e del fatto che il documen-
to sottoscritto non è in contrasto con l’ordinamento giuridico.
1028 PARTE VIII – CONTRATTO

Il D.Lgs. 2.7.2010, n. 110, accorda ai notai la possibilità di redigere atti pubblici in


formato elettronico, nonché di sottoscrivere i medesimi atti e le scritture private uti-
lizzando la firma digitale, con l’introduzione di modifiche e aggiunte alla l. not. (L.
16.2.1913, n. 89) 38. Il Consiglio nazionale del notariato è “Autorità di certificazione per
la firma digitale”. Anche per tali atti rimane obbligatoria la presenza del notaio in occa-
sione della apposizione della sottoscrizione con modalità digitali, anche se in località di-
verse. Dal 2013, per gli appalti pubblici, la redazione è obbligatoriamente effettuata in
modalità esclusivamente elettronica con atto pubblico informatico. È anche configurato
il “domicilio digitale” degli avvocati costituiti nelle procedure giudiziarie 39.
È anche valorizzata la comunicazione della posta elettronica certificata (pec) 40 nelle
notifiche dei documenti informatici, stabilendosi che la trasmissione del “documento in-
formatico” per via telematica, effettuata a mezzo pec, equivale, salvo che la legge di-
sponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta (art. 48). Però l’impiego di
tale meccanismo, allo stato, è subordinato alla volontà delle parti di dotarsi di una casella
di posta elettronica certificata.

7. Lo smart contract. – L’art. 8 ter2 D.L. 14.12.2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in


materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione),
conv. con modif. con L. 11.2.2019, n. 12, definisce “smart contract” un programma per
elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vin-

38
Il notaio, per l’esercizio delle sue funzioni, deve munirsi della firma digitale di cui al D.Lgs. 82/2005, rila-
sciata dal Consiglio nazionale del notariato; analogamente deve fare il coadiutore e il notaio delegato (art. 23 bis).
Inoltre, sotto il capo relativo alla “forma degli atti notarili” si prevede che, all’atto pubblico di cui all’art. 2700
c.c., redatto con procedure informatiche, si applicano le disposizioni della legge notarile e quelle emanate in at-
tuazione della stessa; l’autenticazione di cui all’art. 27032 c.c. è regolata, in caso di utilizzo di modalità informati-
che, dall’art. 25 D.Lgs. 82/2005 (art. 47 bis). Nel medesimo capo, si stabilisce che le disposizioni per la forma-
zione e la conservazione degli atti pubblici e delle scritture private autenticate si applicano, in quanto compatibi-
li, anche ai documenti informatici (art. 47 ter). Le parti, i fidefacenti, l’interprete e i testimoni sottoscrivono per-
sonalmente l’atto pubblico informatico in presenza del notaio con firma digitale o con firma elettronica, consi-
stente anche nell’acquisizione digitale della sottoscrizione autografa; il notaio appone personalmente la propria
firma digitale dopo le parti, l’interprete e i testimoni e in loro presenza (art. 52 bis).
Il Consiglio nazionale del notariato svolge l’attività di certificatore della firma rilasciata al notaio per
l’esercizio delle sue funzioni (art. 2 bis L. 3.8.1949, n. 577, inserito dall’art. 3 L. 110/2010). Il notaio, per la
conservazione degli atti informatici, si avvale della struttura predisposta e gestita dal Consiglio nazionale del
notariato; gli atti conservati nella suddetta struttura costituiscono ad ogni effetto di legge originali informatici
da cui possono essere tratti duplicati e copie (art. 62 bis l. not.).
39
Si è precisato che il domicilio digitale previsto dall’art. 16 sexies D.L. 179/2012, conv. con L. 221/2012,
come modificato dal D.L. 90/2014 conv. con L. 114/2014, corrisponde all’indirizzo PEC che ciascun avvoca-
to ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Re-
gistro generale degli indirizzi elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia.
40
Con D.P.R. 11.2.2005, n. 68, è stato emanato il Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della po-
sta elettronica certificata (pec). Si intende per tale ogni sistema di posta elettronica nel quale è fornita al mit-
tente documentazione elettronica attestante l’invio e la consegna di documenti informatici (art. 1); la pec con-
sente l’invio di messaggi la cui trasmissione è valida agli effetti di legge (art. 4); il gestore di pec fornisce al
mittente la ricevuta di accettazione, nella quale sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova
dell’avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata, nonché la ricevuta di avvenuta conse-
gna, la quale costituisce prova che il messaggio è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato
dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati
di certificazione (art. 6).
CAP. 4 – FORMA 1029

cola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse; gli smart
contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle
parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’Agenzia per l’Italia
digitale con linee guida dalla stessa adottate.
Il contratto si caratterizza per la tecnica utilizzata di formazione e esecuzione del con-
tratto: è una crescente esperienza di applicazione delle tecniche dell’automazione alla
contrattualistica. La negoziazione è affidata ad un protocollo elettronico e quindi ad un
codice informatico (smart contract) che elabora in modo automatico (con identici risulta-
ti a fronte di identiche condizioni) le informazioni che vengono raccolte, definisce moda-
lità di esecuzione, regole di azione e modi di controllo, derivando i singoli effetti da im-
pulsi automatici, ormai sganciati dalla volontà degli autori.
Nelle forme più sofisticate ha una interfaccia utente e spesso simula la logica delle
clausole contrattuali. L’operatività in piattaforma Blockchain (catena dei blocchi) con-
sente di diffondere fiducia, trasparenza e sicurezza. I fenomeni di prima diffusione sono
i rimborsi assicurativi e per ritardi di voli aerei, le transazioni finanziarie, le operazioni
societarie, la tracciabilità delle merci, la logistica, la tutela della proprietà intellettuale. È
una tecnica che ha il vantaggio di assicurare immediatezza e certezza di comportamento
e decisione, sottraendo alla dimensione personale il controllo dello sviluppo contrattua-
le. Però difficilmente si riesce ad elaborare la programmazione di tutte le possibili eve-
nienze naturali e umane.
Come per tutte le tecnologie telematiche, resta sullo sfondo il consueto problema del-
la distribuzione e condivisione dei codici di software, della profilazione degli utenti e
della protezione della privacy dei soggetti che accedono agli immobili immessi e rappre-
sentati nel circuito elettronico. Resta anche il problema di colmare i divari di conoscenze
e di forza economica nell’accesso al mercato, per gli inevitabili condizionamenti che si
determinano nella regolazione dell’assetto di interessi. Si pensi solo alle clausole contrat-
tuali inserite dal predisponente, che, nel dubbio, vanno interpretate a favore dell’altro
contraente (art. 1370 c.c. e artt. 33 ss. cod. cons.). L’annosa conquista della tutela privi-
legiata dei consumatori rimane assorbita dalla automaticità dell’operazione, con il con-
nesso paritario trattamento dei contraenti.
CAPITOLO 5
REGOLAMENTO CONTRATTUALE

Sommario: 1. Atto di autonomia e valutazione ordinamentale. – A) INTERPRETAZIONE. – 2. Le norme


sull’interpretazione. – 3. Il procedimento ermeneutico legale. – 4. L’interpretazione secondo buo-
na fede. – B) QUALIFICAZIONE. – 5. Qualificazione giuridica del contratto. – C) INTEGRAZIONE. –
6. Integrazione del contratto. Il concorso di fonti. – 7. La legge e gli altri atti normativi. La Costi-
tuzione. – 8. Gli usi. – 9. L’equità. – 10. La buona fede integrativa. – D) CONTROLLI. – 11. La
conformità ordinamentale. – 12. Il controllo di liceità e meritevolezza.

1. Atto di autonomia e valutazione ordinamentale. – Con la conclusione del con-


tratto l’atto vive nella realtà giuridica per le statuizioni che in esso sono contenute. E ciò,
non solo tra le parti (quali autori dell’atto), ma anche rispetto ai terzi: il contratto opera
come precetto dell’autonomia privata e dunque come autoregolamento.
Si è visto però come ogni fatto (naturale o umano) rilevi giuridicamente in ragione
della valutazione che dello stesso si compie. In tale opera rileva, non solo il testo del con-
tratto (e perciò il suo contenuto), quale esplicazione dell’autonomia delle parti, ma anche
il contesto di conclusione del contratto e la condotta tenuta dalle parti anche dopo la con-
clusione (la corroborazione dell’esperienza: VIII, 3.24). E poi c’è da tenere conto della
collocazione storica del contratto (come di ogni fatto) in ragione della evoluzione dell’or-
dinamento e della vita sociale.
Vanno compiute tre fondamentali operazioni. Anzitutto bisogna definire il contenuto
del contratto, ricostruendo il comune intento delle parti: ciò implica un’attività di inter-
pretazione del contratto. Poi occorre verificare la configurazione che del contratto com-
pie l’ordinamento giuridico: ciò comporta la qualificazione giuridica dell’atto di autono-
mia privata. Infine va determinato il trattamento dell’atto da parte dell’ordinamento giu-
ridico: ciò comporta spesso la integrazione del contratto con la produzione di effetti ul-
teriori rispetto a quelli divisati dalle parti. Le tre operazioni tendono a determinare l’ef-
fettivo regolamento contrattuale (partecipe degli effetti giuridici perseguiti dagli autori
dell’atto e di quelli disposti dall’ordinamento).

A) INTERPRETAZIONE
2. Le norme sull’interpretazione. – Come si è visto con riguardo alla interpretazio-
ne delle norme giuridiche (I, 3.13), anche le determinazioni degli atti di autonomia pri-
vata esprimono regole di relazioni sociali; c’è dunque la necessità di apprestare dei criteri
affinché chiunque le interpreti possa attribuivi un significato tendenzialmente uniforme
CAP. 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1031

(pur non potendosi eliminare la peculiarità della personalità dei singoli interpreti) per
consentire la conoscenza e una tendenziale prevedibilità di applicazione di tali regole.
Un testo contrattuale può essere oscuro (in quanto non chiaro) o equivoco (in quanto
suscettibile di più significati diversi) o addirittura contraddittorio (in quanto passibile di
significati contrastanti). Ulteriori difficoltà provengono dal problema della lingua, quan-
do la traduzione letterale tradisce il significato che la formula assume nella lingua utiliz-
zata. C’è l’esigenza di fissare criteri vincolanti all’attività interpretativa perché l’interpre-
tazione possa accedere ad un significato tendenzialmente univoco 1. Con tale funzione
sono previste norme sulla interpretazione del contratto.
Si è già visto come, nella interpretazione delle norme giuridiche, si pone il problema di
indirizzare l’interpretazione verso un risultato tendenzialmente omogeneo, con la previ-
sione di una normativa sull’interpretazione (art. 12 disp. prel.), integrata dai principi e
valori generali di derivazione costituzionale e europea (I, 3.13). Con la medesima fun-
zione è dettata una normativa del codice civile sulla interpretazione del contratto, che,
analogamente, va applicata secondo i principi e valori generali dell’ordinamento (I, 7).
Le regole sull’interpretazione del contratto (come le regole sulla interpretazione della
legge) sono norme giuridiche, vincolanti per l’interprete 2. I criteri di interpretazione, fis-
sati dal codice civile negli artt. 1362 ss., sono tradizionalmente ricondotti a due classi di
regole, a seconda che tendano a ricostruire la volontà comune delle parti (c.d. interpreta-
zione soggettiva o storica) o ad attribuire all’atto un significato ragionevole e/o equo (c.d.
interpretazione oggettiva). Tali criteri si osservano, in quanto compatibili, per gli atti uni-
laterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale (ex art. 1324); in via analogica sono appli-
cabili alle convenzioni di carattere non patrimoniale (es. accordi di separazione persona-
le), ai contratti collettivi 3 e agli atti amministrativi 4, nonché ai negozi mortis causa.
Le due classi di norme sono organizzate gerarchicamente, nel senso che, solo ove i cri-
teri soggettivi non conducano alla ricostruzione di un significato univoco, si può fare ri-
corso ai criteri oggettivi di determinazione del significato. Ma l’impianto ha ricevuto li-
miti e temperamenti: nella interpretazione del singolo contratto è possibile attingere cri-
teri interpretativi da ciascuna delle due classi; e poi, all’interno di ciascuna classe, non
sussiste un ordine gerarchico di applicazione dei singoli criteri; inoltre, su entrambe le
classi, domina il principio generale della interpretazione secondo buona fede (art. 1366)

1
Nella prassi del commercio internazionale, si assiste spesso alla presenza nei contratti di clausole che con-
tengono specifiche definizioni interpretative per evitare l’interpretazione del giudice.
2
La censura in sede di legittimità non può risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del
ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma deve essere proposta sotto il profilo della mancata
osservanza dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. o dell’insufficienza o contraddittorietà della moti-
vazione (Cass. 6-8-2015, n. 16546).
3
Cass. 19-2-2020, n. 4189.
4
L’interpretazione degli atti amministrativi soggiace alle stesse regole dettate dall’art. 1362 ss. c.c. per l’in-
terpretazione dei contratti; dovendo il giudice anche ricostruire l’intento dell’Amministrazione ed il potere
che ha inteso in concreto esercitare, tenendo altresì conto del complesso dell’atto e del comportamento del-
l’Autorità amministrativa, oltre che di quanto può razionalmente intendere, secondo buona fede, il destinata-
rio (Cass., sez. un., 25-7-2019, n. 20181; Cons. Stato 25-3-2020, n. 2090; Cons. Stato 3-3-2020, n. 1537). V.
però Cons. Stato 19-6-2019, n. 4150: le clausole di un bando di concorso devono essere interpretate sulla ba-
se del significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole e dalla loro connessione, non
essendo le stesse assoggettabili ad un procedimento ermeneutico avente funzione integrativa e diretto ad evi-
denziare pretesi significati impliciti o inespressi.
1032 PARTE VIII – CONTRATTO

che orienta il significato da attribuire al contratto nel caso concreto. Regole interpretati-
ve derivano anche da leggi speciali. In ogni caso su tutti i criteri interpretativi dominano
i criteri valoriali espressi dalla Carta costituzionale e dal diritto europeo, che indirizzano la
valutazione e ricostruzione del regolamento contrattuale (II, 7.1). Limiti di impiego sono
imposti al giudice di legittimità, che deve valutare l’attività del giudice del merito 5.

3. Il procedimento ermeneutico legale. – Per favorire la comprensione della norma-


tiva, le regole sulla interpretazione vengono esaminate secondo l’organizzazione disposta
dal codice, integrata dagli apporti della evoluzione dottrinale e giurisprudenziale.
a) Interpretazione soggettiva. È la interpretazione in senso stretto, in quanto mira a ri-
costruire l’intento comune delle parti (artt. 1362 a 1365). Fondamentale è la regola del-
l’art. 13621 secondo cui, nell’interpretare il contratto, si deve indagare “la comune inten-
zione delle parti” e “non limitarsi al senso letterale delle parole”. La formula “comune in-
tenzione delle parti” è declinata come costruzione mistica della volontà negoziale; in tal
senso è inafferrabile in quanto nel contratto sussistono solo segni fattuali di questa in-
tenzione. E poi la volontà delle parti va ricostruita in funzione dello scopo perseguito.
Anzitutto bisogna esaminare il testo del contratto e quindi il linguaggio utilizzato
dalle parti, secondo precisi parametri. Va verificato il “senso letterale delle parole” (cri-
terio letterale) (art. 13621, 2° periodo) nel contesto sistematico dell’atto, per cui le clauso-
le del contratto vanno interpretate “le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna
il senso che risulta dal complesso dell’atto” (criterio sistematico) (art. 1363) 6. Le espres-
sioni generali devono intendersi riferite ai soli oggetti sui quali le parti si sono proposte
di contrattare (art. 1364). Le indicazioni esemplificative non comportano l’esclusione dei
casi non espressi, ai quali, “secondo ragione”, può estendersi il patto (art. 1365): vi è un
chiaro impiego del principio di ragionevolezza, considerando il regime del singolo esempio
applicabile anche a casi analoghi a quello indicato 7 (II, 7.7).
Bisogna quindi analizzare la ratio del regolamento contrattuale nel suo insieme, quale
espressione del comune intento 8. La valorizzazione della “causa concreta” del contratto

5
Il sindacato di legittimità ha ad oggetto non la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solo la indi-
viduazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si è avvalso, al fine di veri-
ficare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. 28-12-2021, n. 41781; Cass. 4-6-2021,
n. 15597; Cass. 20-5-2020, n. 9252). Ai fini della congruità della motivazione, è sufficiente che da questa risul-
ti che il convincimento nell’accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi
probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso (Cass. 9-3-2022, n. 7605).
6
Qualora il medesimo negozio e i relativi effetti abbiano formato oggetto di due o più atti scritti, il giudi-
ce è tenuto, giusta disposto dell’art. 1363 c.c., a esaminare tutte le convenzioni intercorse tra le parti come ri-
sultanti dai documenti all’uopo formati, stabilendo, altresì, il rapporto tra clausole e documenti, se di chiari-
mento, di integrazione, di modificazione, di trasformazione o di annullamento delle precedenti pattuizioni
(Cass. 8-3-2018, n. 5569; Cass. 7-10-2010, n. 20817). Una clausola contrattuale anche non valida e perciò ini-
donea a produrre effetti giuridici negoziali può e deve essere utilizzata a norma dell’art. 1363 c.c. per la rico-
struzione dell’esatto contenuto di altre clausole non affette da nullità; peraltro il giudice non può arrestarsi ad
una interpretazione atomistica delle singole dichiarazioni negoziali, ma deve collegarle e raffrontarle tra loro
ai fine di desumerne e chiarirne il significato (Cass., sez. un., 30-8-2019, n. 21873; Cass. 9-10-2019, n. 25341).
7
L’art. 1365 consente l’interpretazione estensiva di clausole contrattuali, verificando l’inadeguatezza della
espressione letterale rispetto alla volontà delle parti, alla stregua del criterio di ragionevolezza imposto dalla
norma (Cass. 13-4-2017, n. 9560).
8
La comune volontà dei contraenti deve essere ricostruita sulla base di due elementi principali, ovvero il
CAP. 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1033

comporta l’esigenza di fare emerge la sostanza della operazione economica, oltre il lessico
adoperato e lo schema formale impiegato, anche attraverso la ricostruzione di un colle-
gamento negoziale: in sostanza l’interpretazione deve muoversi nella ricerca del risultato
voluto e delle conseguenze perseguite dalle parti. In tale direzione un ruolo essenziale
svolge il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del con-
tratto (art. 13622): è consentito indagare sul comportamento comune tenuto dalle par-
ti, sia durante le trattative che nella esecuzione del contratto, vuoi attraverso atti e scam-
bi di dichiarazioni e informazioni che mediante operazioni materiali 9 (ad es., in occasio-
ne di una fornitura di merce, insorgendo contrasto tra le imprese circa le modalità della
consegna per l’oscurità della clausola contrattuale, si può avere riguardo alle modalità di
consegna utilizzate per il passato tra le parti e/o a quelle in essere al momento del con-
tratto, o anche alla intervenuta consegna di una parte della merce non contestata dall’ac-
quirente) 10. Essendo l’interpretazione soggettiva rivolta alla ricostruzione di un autore-
golamento, il comportamento delle parti rappresenta essenziale criterio di determinazio-
ne del significato che le parti stesse hanno inteso attribuire ad un proprio atto (la giuri-
sprudenza tende ad assegnare al comportamento delle parti un ruolo sussidiario rispetto
alla interpretazione letterale e logica 11). Attraverso il comportamento delle parti, è pos-
sibile stabilire il significato che, nel tempo, le parti hanno inteso assegnare ad un proprio
atto di autonomia, che va attualizzato al tempo della interpretazione.
I vari criteri soggettivi sono complementari, concorrendo ed operando con eguale
rilevanza nella ricerca della comune intenzione delle parti 12; anche la ricerca della co-
mune intenzione va rilevata secondo il generale principio di buona fede.
È orientamento tradizionale che, per i negozi solenni, non possa farsi riferimento al
comportamento delle parti perché esula dal testo contrattuale. Di recente la giurispruden-
za ha compiuto un’apertura con riguardo ai trasferimenti di immobili 13: in tal guisa i pro-

senso letterale delle espressioni usate e la “ratio” del precetto contrattuale, e tra questi criteri interpretativi non
esiste un preciso ordine di priorità, essendo essi destinati ad integrarsi a vicenda” (Cass. 13-3-2015, n. 5102).
Conf. Cass. 4-5-2005, n. 9284; Cass. 23-8-2003, n. 12389.
9
È richiesto un “comportamento convergente”, ovvero anche un “comportamento unilaterale accettato,
anche tacitamente, dall’altra parte” (Cass. 4-2-2009, n. 2720; Cass. 16-10-2007, n. 21620).
10
Il comportamento costituisce un parametro necessario e indefettibile per la determinazione della comune
intenzione dei contraenti (Cass. 19-9-2006, n. 20244). Se una delle parti del contratto manifesti la volontà di
attribuire un certo significato ad una clausola ambigua, e l’altra presta acquiescenza a tali manifestazioni di
volontà, l’interpretazione del contratto secondo buona fede, ex art. 1366 c.c., impone di ritenere quella inter-
pretazione coerente con la comune volontà delle parti (Cass. 9-12-2014, n. 25840).
11
È stato utilizzato il principio della graduazione pure all’interno dei criteri interpretativi in senso stretto,
stabilendosi che il significato dell’atto in base al comportamento complessivo delle parti va interpretato in via
sussidiaria, ove la interpretazione letterale e logica sia insufficiente (Cass. 13-8-2015, n. 16795).
12
È principio ormai acquisito che il richiamo nell’art. 1362 alla comune intenzione delle parti impone di
estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma
incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto, sebbene la ricostruzio-
ne della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpre-
tazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico dell’art. 1363, che
impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi
attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti
(Cass. 9-11-2020, n. 25090).
13
In materia di trasferimenti immobiliari, pur se l’oggetto e gli altri elementi essenziali del contratto deb-
bono risultare dalla scrittura, è consentito al giudice del merito utilizzare, nell’interpretazione della volontà
1034 PARTE VIII – CONTRATTO

blemi sono accresciuti anziché diminuirsi, in quanto si determina un divario rispetto alla
posizione dei terzi, i quali fanno affidamento sulle risultanze pubblicitarie. Pertanto, quale
che possa essere la interpretazione del contratto trascritto nei rapporti tra le parti, un effet-
to non ricostruibile dalla trascrizione del contratto non è opponibile ai terzi.
Come per l’interpretazione della legge, anche per l’interpretazione del contratto si è
tradizionalmente posto il problema se debba procedersi ad ulteriore attività interpretati-
va quando il testo dell’atto risulti chiaro (è noto il brocardo in claris non fit interpreta-
tio): è il principio del c.d. gradualismo applicato dalla giurisprudenza, secondo cui le
regole di ermeneutica contrattuale sono elencate secondo un ordine gerarchico, sicché è
precluso il ricorso ad altri criteri interpretativi quando la comune volontà delle parti
emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate alla luce dell’intero con-
testo contrattuale 14; non mancano serrate critiche a tale principio specie in dottrina e in
recenti aperture della giurisprudenza, che tendono a valorizzare i vari criteri, come la
funzione concreta del contratto 15.
Il criterio della gradualità è da intendere nel limitato senso che non può procedersi ad
interpretazione oggettiva se l’interpretazione soggettiva ha condotto alla definizione del-
la comune volontà delle parti; ma tale ricostruzione deve fare applicazione del principio
di buona fede come costante criterio interpretativo (v. appresso). È questo un principio
di limite all’intervento del giudice, non consentendosi una ulteriore attività interpretativa
quando la comune volontà delle parti sia esattamente percepibile e definibile alla stregua
del principio di buona fede (salvo sussistere ragioni di non meritevolezza o illiceità del
contenuto del contratto).
b) Interpretazione oggettiva. È un’interpretazione in senso lato, che opera quando,
nonostante l’impiego dei criteri della interpretazione soggettiva e le risorse del principio
di buona fede, non si pervenga a definire la comune intenzione delle parti circa l’intero

delle parti, tutti i criteri stabiliti dagli artt. 1362 ss. c.c. e trarre, quindi, dal comportamento delle parti stesse,
anche posteriore alla conclusione del contratto e riferito dai testimoni o risultante da documenti, ogni ele-
mento utile a chiarire la loro effettiva intenzione e ad individuare l’esatta consistenza dell’oggetto trasferito,
pur in difetto di una esplicita e formale menzione (Cass. 16-1-2014, n. 817).
14
Esiste nella giurisprudenza, specie della Cassazione, un indirizzo diffuso secondo cui, qualora il senso
letterale delle espressioni impiegate riveli con chiarezza e univocità la volontà comune e non sussistono resi-
due ragioni di divergenza, il giudice non può fare ricorso agli ulteriori criteri di ermeneutica (Cass. 8-11-2013,
n. 25243; Cass. 30-4-2012, n. 6601; Cass. 30-10-2009, n. 23066); intendendosi per “senso letterale” tutta la
formulazione letterale della dichiarazione negoziale (Cass. 13-12-2010, n. 25159; Cass. 23-6-2014, n. 14206).
Qualora la lettera della convenzione riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia diver-
genza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cass. 22-8-2019,
n. 21576; Cass. 9-8-2019, n. 21244). Nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, il criterio ermeneuti-
co della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipula del rogito, può
essere utilizzato solo per chiarire l’interpretazione del contenuto del contratto, per come desumibile dal testo,
non per integrare la portata e la rilevanza giuridica della dichiarazione negoziale (Cass. 11828/2018).
15
Il richiamo nell’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere la indagine ai cri-
teri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro, ma incoerente con indici
esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; assume valore rilevante anche il criterio logico-si-
stematico di cui all’art. 1363, tenendosi altresì conto del comportamento, anche successivo, delle parti (Cass.
25-6-2020, n. 12664). Deve segnatamente privilegiarsi il criterio funzionale che attribuisce rilievo alla ragione
pratica del contratto, in conformità agli interessi che le parti hanno inteso tutelare mediante la stipulazione nego-
ziale (Cass. 25-11-2019, n. 30664; Cass. 17-10-2019, n. 26297; Cass. 26-7-2019, n. 20294; Cass. 24-4-2019,
n. 11224).
CAP. 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1035

contratto o una sua clausola (artt. 1367 a 1371) 16. L’interprete è chiamato a definire il
contenuto del contratto attraverso il ricorso a criteri legali, assegnando al contratto un
significato considerato dalla legge ragionevole e/o equo. I criteri indicati sono tutti sussi-
diari rispetto a quelli soggettivi: la sussidiarietà è resa manifesta dal fatto che ognuno di
tali criteri è preceduto dalla premessa di persistente dubbio o oscurità o ambiguità del
contratto.
Un primo criterio è il favore per la conservazione del contratto, per cui, nel dub-
bio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere
qualche effetto, anziché in quello in cui non ne avrebbero alcuno (art. 1367) 17. Si vuole
far prevalere l’efficacia del contratto contro la inefficacia: la norma è l’esplicazione di un
generale principio di conservazione dell’attività negoziale, che è variamente espresso nel-
l’ordinamento, specie in tema di nullità (artt. 1424, 1419 e 1420), come supporto di con-
servazione dell’attività economica e giuridica, che non va sprecata per i benefici effetti
che può produrre 18. Va valutata la direzione dell’effetto salvato, dovendosi in ogni caso
procedere ad un controllo di compatibilità dell’effetto salvato rispetto ai principi e ai va-
lori dell’ordinamento 19.
Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso
di maggiore convenienza alla natura e all’oggetto del contratto (art. 1369). È
ribadito un principio sistematico di interpretazione funzionale, dovendosi avere riguardo
al complessivo contenuto contrattuale (oggetto e causa del contratto), favorendosi il si-
gnificato più coerente con la funzione pratica attuata dal contratto (c.d. causa concreta),
ormai assurto a criterio generale di interpretazione (come sopra evidenziato).
È fatto ricorso ai c.d. usi interpretativi , per cui le clausole ambigue si interpretano
secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso (art.
13681) (c.d. locus contractus) 20. Quando una delle parti è imprenditore è accordato al-
l’impresa il privilegio di un’interpretazione delle clausole ambigue secondo ciò che si
pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell’impresa (art. 13682), al fine di consen-
tire all’impresa uniformità nell’esecuzione del contratto. Il problema emerge più di fre-

16
Quando i criteri ermeneutici soggettivi rendono palese la comune volontà dei contraenti, è esclusa l’ap-
plicazione dei criteri ermeneutici oggettivi (Cass. 12-12-2015, n. 25450).
17
Qualora le espressioni contenute nel contratto siano ritenute inidonee a consentire una inequivoca in-
terpretazione, si deve comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano corredate da buona
fede, valutandone il comportamento complessivo, tenendo conto anche degli effetti, con il limite comune agli
altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto non può mai comportare una interpretazio-
ne sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi,
la nullità del contratto o della clausola (Cass. 23-7-2018, n. 19493).
18
La problematica era già presente nel vigore del cod. civ. del 1865 il cui art. 1132 aveva la medesima re-
gola, dibattendosi se tra due effetti possibili dovesse scegliersi il “massimo effetto”: questione ripropostasi
con l’attuale codice civile. Ma la dimensione economica non è la sola giuridicamente rilevante: ogni effetto è
soggetto ad un controllo di compatibilità rispetto ai principi e ai valori dell’ordinamento; l’effetto salvato o
scelto va valutato alla stregua di ulteriori normative.
19
Il criterio di conservazione – sussidiario rispetto al principale criterio di cui all’art. 13621 c.c. – con-
divide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto non può esse-
re autorizzata attraverso una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il
giudice dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto (Cass. 22-12-2011, n. 28357).
20
Anche gli usi interpretativi, costituendo un criterio ermeneutico oggettivo e sussidiario, sono esclusi quan-
do la volontà delle parti risulti determinata o determinabile (Cass. 30-4-2012, n. 6601).
1036 PARTE VIII – CONTRATTO

quente con riguardo a clausole utilizzate con formule sintetiche o per sigle (ad es., in te-
ma di vendita, formule come cif, fob, ecc.) (IX, 1.6). Essenziale è che il significato attri-
buito ad una specifica clausola sia obiettivato in un contegno generalizzato in un deter-
minato luogo o sia esplicato da “Raccolte” di comune accezione e utilizzazione (es. le
Raccolte di usi delle Camere di commercio, gli Incoterms predisposti dalla Camera di
commercio internazionale). Se entrambe le parti sono imprenditori, in assenza di usi pro-
fessionali o raccolte esplicative, vale la regola generale del locus contractus. Gli usi inter-
pretativi non integrano il contratto, ma si limitano a determinare il significato di una
clausola già esistente, ma oscura o ambigua. Al pari degli usi negoziali (art. 1340) (par.
8), non possono operare quando risulta che quel significato è contrario al comune inten-
to delle parti (per la diversità con gli usi normativi, I, 3.9).
Nei contratti per adesione vale il principio della interpretazione contro il pred i-
sponente (c.d. interpretatio contra stipulatorem): per l’art. 1370, le clausole inserite nelle
condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraen-
ti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro 21. La regola è ribadita e amplificata dal-
l’art. 352 cod. cons., con la previsione che, in caso di dubbio sul senso di una clausola, pre-
vale l’interpretazione più favorevole al consumatore: la protezione opera in ragione del
fatto in sé della predisposizione, anche se non ricorre un contratto seriale. Il principio,
mentre protegge l’aderente, sanziona il comportamento dell’autore delle clausole che ha
determinato e più spesso voluto le ambiguità per trarne successivamente profitto (è uno
stimolo al parlare chiaro): se ne è già parlato trattando della conclusione del contratto
(VIII, 2.17). Anche il criterio dell’art. 13682 (che, nel dubbio, prevede la interpretazione
secondo quanto è praticato nel luogo della sede dell’impresa) va considerato residuale
rispetto all’art. 1370 (che, nel dubbio, dispone la interpretazione contro il predisponen-
te) per tutelare un interesse favorito dall’ordinamento.
Il procedimento ermeneutico si conclude con due regole finali (art. 1371). Quan-
do i criteri di interpretazione soggettiva e quelli di interpretazione oggettiva non consento-
no di assegnare un senso al contenuto contrattuale, che permane oscuro, questo deve essere
inteso nel modo meno gravoso per l’obbligato se è a titolo gratuito e nel senso che realizzi
l’equo contemperamento degli interessi delle parti se è a titolo oneroso. Sono criteri sup-
plementari 22 che attingono senz’altro alla causa del contratto, mirando ad attuare un asset-
to di interessi considerato il più equo e coerente con il programma contrattuale.
Un problema si pone rispetto c.d. clausole di stile, cioè quelle clausole ripetitive
di formule standardizzate inserite nei contratti senza uno specifico riferimento al con-
creto assetto di interessi 23. Bisogna valutare il contesto dell’adozione per rilevarne la ri-
levanza: ad es., nei trasferimenti immobiliari, non può considerarsi clausola di stile l’as-
sicurazione di libertà del bene da pesi o l’impegno del venditore di liberare l’immobile
venduto da iscrizioni pregiudizievoli, corrispondendo la clausola ad un reale e specifico

21
È presupposto essenziale di applicazione dell’art. 1370 che la clausola da interpretare sia dubbia, cioè
suscettibile di più interpretazioni (Cass. 22-2-2008, n. 4600).
22
La disposizione dell’art. 1371 ha carattere espressamente supplementare, ed è quindi applicabile solo
nel caso in cui, malgrado il ricorso a tutti gli altri criteri previsti dagli artt. 1362 ss., la volontà delle parti ri-
manga dubbia (Cass. 23-6-2014, n. 14206).
23
Ad es., nella vendita immobiliare, “la vendita viene effettuata nello stato di fatto e di diritto in cui l’im-
mobile si trova, con ogni servitù attiva e passiva”.
CAP. 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1037

interesse dell’acquirente 24. Lo stesso discorso vale per le ripetizioni di norme di legge:
in quanto tali potrebbero considerarsi clausole neutre e di stile; ma è il contesto a speci-
ficare perché si è voluto richiamare il testo di legge, che potrebbe voler fissare specifici
obblighi.

4. L’interpretazione secondo buona fede. – Tra le due classi di regole interpretati-


ve (soggettive e oggettive) è collocata come cerniera la regola della interpretazione se-
condo buona fede come criterio informatore di entrambe le classi. Per l’art. 1366 “il con-
tratto deve essere interpretato secondo buona fede” 25. È significativo che, mentre per
l’applicazione dei criteri oggettivi di interpretazione la legge richiede il presupposto che
il contratto permanga dubbio o equivoco, il medesimo presupposto non è richiesto per
l’applicazione del principio di buona fede: ne consegue che il principio di buona fede
accompagna sempre l’attività di interpretazione ed orienta ogni criterio interpretativo.
La buona fede, come si è visto, è un principio generale dell’ordinamento, che si at-
teggia come “clausola generale” che assiste l’intera vita del contratto, operando come
fondamentale principio di solidarietà (II, 7.5). Bisogna quindi accedere ad una interpre-
tazione funzionale che tenga conto della ragione pratica del contratto concluso, avendo
riguardo a quel significato che segna il punto di equilibrio tra il senso che intendeva
dare il dichiarante e il senso oggettivamente attribuibile da un destinatario di buona
fede nella medesima condizione di stipulazione 26. Si è visto come la valorizzazione del
principio di buona fede abbia dato nuova base alla rilevanza della presupposizione,
fondata sulla ragione pratica del contratto (VIII, 3.11).
Bisogna avere riguardo al contesto del contratto, attribuendo al contratto il significa-
to che vi avrebbe assegnato, nel caso concreto, un soggetto leale e corretto alla luce dei va-
lori fondamentali dell’ordinamento: sono perciò determinanti le circostanze della conclu-
sione del contratto, la qualità delle parti, la natura degli interessi coinvolti, gli affidamenti
suscitati. Ed è ormai indirizzo acquisito che tale canone operi anche nella interpretazione
dei contratti con la pubblica amministrazione 27: manca nel Codice dei contratti pubblici

24
Non può ritenersi generica ed indeterminata, e pertanto di stile, senza ulteriori argomenti al riguardo, la
clausola secondo la quale l’alienante garantisce la libertà del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizie-
voli, pur se essa è sintetica e onnicomprensiva (Cass. 2-9-2009, n. 19104).
25
La Relaz. cod. civ., n. 622, considera specificamente l’art. 1366 come “punto di sutura” tra i due mo-
menti dell’interpretazione, che li “domina entrambi”; con la conseguenza che le dichiarazioni di volontà van-
no intese “secondo il criterio di reciproca lealtà di condotta tra le parti”.
26
Nell’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, tra cui sono compresi i contratti azien-
dali, il criterio letterale va integrato con gli altri canoni ermeneutici idonei a dare rilievo alla ragione pratica
del contratto, in conformità agli interessi che le parti medesime hanno inteso tutelare, nel momento storico di
riferimento, mediante la stipulazione negoziale (Cass. 25-1-2022, n. 2173; Cass. 17-11-2021, n. 34795). L’in-
terpretazione secondo buona fede si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affi-
damenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte (Cass. 4-6-2021, n. 1570;
Cass. 19-3-2018, n. 6675; Cass. 6-7-2018, n. 17718).
27
Secondo il criterio di interpretazione di buona fede ex art. 1366 c.c., gli effetti degli atti amministrativi
devono essere individuati in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione
del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla P.A. di operare in modo chiaro e lineare,
tale da fornire ai cittadini regole di condotta certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare con-
seguenze negative (Cons. Stato 25-3-2021, n. 2514; Cons. Stato 17-3-2021, n. 2300; Cons. Stato 3-3-2021, n.
1816). Si è rilevato da Cons. Stato 24-2-2005, n. 657, che, in sede di interpretazione dei bandi di gara relativi
1038 PARTE VIII – CONTRATTO

(D.Lgs. 12.4.2006, n. 163, e succ. mod.) una disciplina sull’interpretazione dei contratti,
però l’art. 24 stabilisce che, per quanto non espressamente previsto dal Codice stesso, l’at-
tività contrattuale deve svolgersi nel rispetto delle disposizioni del codice civile.

B) QUALIFICAZIONE
5. Qualificazione giuridica del contratto. – Interpretato e quindi definito il conte-
nuto contrattuale, c’è da determinare gli effetti che l’ordinamento vi attribuisce. In tale
direzione si rivela la essenzialità della qualificazione dell’atto di autonomia. Il lessico im-
piegato dai privati (compresa la nomenclatura tecnica utilizzata) assume solo un’indica-
zione tendenziale e di massima (es. la intitolazione dell’atto) 28. Fondamentale è la rileva-
zione dell’assetto di interessi realizzato quale risulta dalla interpretazione 29.
Con la qualificazione giuridica si compie la ricond uzione del concreto contenuto
contrattuale (come interpretato e definito) alla realtà normativa, con attribuzione del c.d.
nomen iuris 30, in funzione degli effetti da ricollegarvi.
L’esito di tale operazione può essere la riconduzione della fattispecie concreta ad uno
dei tipi legali previsti dalla legge. In tal caso il contratto è qualificato come tipico, assu-
mendo il nomen iuris del singolo schema contrattuale cui è ricondotto; resta assoggettato
alla disciplina del tipo legale (oltre che alla normativa sui contratti in generale) e sono
attribuiti gli effetti dello schema tipico utilizzato: ad es., un contratto di trasferimento
della proprietà verso il pagamento del prezzo, risultando riconducibile allo schema lega-
le della vendita (artt. 1470 ss.), è qualificato come vendita e come tale soggetto alla disci-
plina propria di tale schema.

alla stipulazione di contratti con la P.A., il principio sancito dall’art. 1366 deve essere applicato non solo con
riferimento alla necessità di tutelare l’affidamento di chi è risultato aggiudicatario, ma anche nel senso di ga-
rantire l’effettiva possibilità per tutti gli interessati di partecipare alle gare conoscendo ciò che l’Amministra-
zione esattamente richiede, con la conseguente esigenza di interpretare il contratto privilegiando il senso che de-
terminati termini rivestono obiettivamente nel linguaggio comune per la maggior parte dei soggetti che operano
in un particolare settore economico e che siano interessati ad entrare in contatto con l’Amministrazione.
28
È indirizzo consolidato che, nella qualificazione del contratto, il giudice “non è vincolato dal nomen iu-
ris” attribuito dalle parti, pur dovendo tenere conto anche di tale dato, ma deve ricercare e interpretare la
“concreta volontà dei contraenti”, avuto riguardo all’effettivo contenuto del rapporto e facendo applicazione
delle regole ermeneutiche degli artt. 1362 ss. (Cass. 16-10-2007, n. 21620).
29
Ad es., al fine di stabilire se un contratto traslativo della proprietà di un bene, per il quale la contropre-
stazione sia costituita, in parte, da una cosa in natura e, in parte, da una somma di denaro, costituisca una
compravendita o una permuta, una volta che si escluda la duplicità di negozi ovvero l’ipotesi del contratto
con causa mista, occorre avere riguardo non già alla prevalenza del valore economico del bene in natura ovve-
ro della somma di denaro, bensì alla comune volontà delle parti, verificando se esse hanno voluto cedere un
bene contro una somma di denaro, commutando una parte di essa, per ragioni di opportunità, con un altro
bene, ovvero hanno concordato lo scambio di beni in natura, ricorrendo all’integrazione in denaro soltanto
per colmare la differenza di valore tra i beni stessi (Cass. 11-3-2014, n. 5605).
30
La qualificazione di un negozio giuridico richiede due distinte operazioni: la prima consiste nell’iden-
tificazione degli elementi costitutivi dell’attività negoziale e delle finalità pratiche perseguite dalle parti; la se-
conda consiste nell’attribuzione del nomen juris, previa interpretazione sul piano giuridico degli elementi di
fatto accertati: la seconda è soggetta al sindacato di legittimità; la prima ne è sottratta per costituire un ap-
prezzamento di fatto, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica
contrattuale ex artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nella applicazione di essi (Cass. 10-4-2019,
n. 9996; Cass. 31-5-2011, n. 12037; Cass. 16-7-2010, n. 16632).
CAP. 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1039

Viceversa, l’operazione di qualificazione può non rinvenire nell’ordinamento la pre-


senza di uno schema legale cui ricondurre il concreto assetto di interessi. In tal caso il
contratto è qualificato come atipico ed è, innanzi tutto, soggetto alle norme sui contratti
in generale (art. 1323); il completamento della disciplina degli effetti avviene mediante
l’interpretazione estensiva o analogica di schemi tipici. Se il singolo contratto utilizza
elementi di più schemi tipici (contratti misti), sarà soggetto alle specifiche normative dei
singoli tipi utilizzati, compatibili con l’unitarietà dell’assetto di interessi realizzato, tranne
che non risultino decisamente prevalenti i profili di uno specifico contratto (VIII, 3.12).
Nell’ipotesi di modificazione di schemi tipici, come ad es. sta avvenendo con la manovra
dello schema traslativo, va decifrato e ricostruito lo specifico assetto di interessi per pro-
cedere ad una qualificazione. È la vicenda propria di tanti contratti provenienti da espe-
rienze di paesi diversi e gradualmente affermatisi nella nostra realtà socio-economica 31.
La qualificazione risente della valutazione che l’ordinamento compie del concreto as-
setto di interessi. La qualificazione, nel ricondurre il concreto contratto alla realtà nor-
mativa per la determinazione degli effetti giuridici, orienta la produzione di effetti, che
talvolta possono coincidere con quelli divisati dalle parti, talaltra possono sopravanzarli,
attraverso la integrazione.

C) INTEGRAZIONE
6. Integrazione del contratto. Il concorso di fonti. – Con la qualificazione sono de-
lineati gli effetti giuridici del contratto. Per essere, come si è visto, l’efficacia giuridica la
risposta dell’ordinamento alla regolazione dei privati (II, 4,2), l’art. 1374, rubricato “in-
tegrazione del contratto”, obbliga le parti, “non solo a quanto nel medesimo espresso, ma
anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo
gli usi e l’equità”. È significativo che la previsione dell’integrazione (art. 1374) è fuori
della disciplina della “interpretazione del contratto” (artt. da 1362 a 1371), dove sono
dettati i criteri interpretativi del contenuto del contratto, anche per clausole ambigue o
oscure; l’integrazione non mira a ricostruire il contenuto del contratto, ma lo presuppo-
ne, quale già interpretato, svolgendo un’azione successiva all’interpretazione.
È dibattuto se l’integrazione sia diretta a colmare le lacune del contratto 32 o concorra
come ulteriore fonte di determinazione del regolamento contrattuale 33. Il tenore letterale
della norma è nel senso di fissare normativamente una fonte di obblighi ulteriori rispetto
a quelli fissati dall’autonomia privata, indipendentemente dalla lacunosità o meno del
contratto. Il contratto, come interpretato, è qualificato dall’ordinamento, con attribuzio-
ne degli effetti giuridici, conformi a quelli voluti dalle parti ovvero ulteriori o in parte
diversi. Il regolamento contrattuale è l’esito di una causalità complessa (II, 4.2), espressi-
va dell’intervento duale della volontà negoziale e della volontà dell’ordinamento.

31
Il giudice è dispensato dall’obbligo di qualificare giuridicamente i negozi sottoposti al suo esame qualora la
soluzione di tale questione non rivesta rilevanza ai fini della decisione della causa (Cass. 13-11-2009, n. 24133).
32
Cfr. Cass. 8577/2002; Cass. 1906/2016.
33
Cfr. Cass. 28-5-2020, n. 9997: Nel contratto di ristorazione (come in quello d’albergo o di trasporto) il
ristoratore ha l’obbligo di garantire l’incolumità fisica dell’avventore quale effetto naturale del negozio ex art.
1374 c.c. derivante dall’art. 32 Cost., norma direttamente applicabile anche nei rapporti tra privati.
1040 PARTE VIII – CONTRATTO

Le integrazioni contrattuali sono fonti eteronome rispetto all’atto di autonomia, che si


atteggiano come determinative di vincoli legali all’autonomia privata: il regolamento con-
trattuale risulta quale esito del concorso delle determinazioni convenzionali (autonomia)
e di quelle legali (eteronomia). Pure in presenza di integrazioni di fonte legale, il contrat-
to mantiene il proprio carattere di atto di autonomia privata, con la conseguenza che la
violazione dei vincoli imposti comporta inadempimento contrattuale, assoggettato alle
comuni regole della responsabilità contrattuale da inadempimento.
La tradizionale disputa circa la riferibilità dell’intervento normativo al contenuto del
contratto o alla efficacia dello stesso, così distinguendosi gli interventi sul contenuto (artt.
1339 e 1340) da quelli sugli effetti (artt. 1374 e 1375), ha ormai perduto ogni reale pre-
gnanza rispetto al dato oggettivo della necessaria conformazione dell’autonomia privata
ai principi e valori dell’ordinamento. Le due impostazioni rilevano come prospettive di
osservazione di una medesima realtà: il contenuto contrattuale concorre con altre fonti
alla determinazione del regolamento contrattuale e dunque alla produzione degli effetti
giuridici. D’altronde lo stesso art. 1374 porta la rubrica riferita alla “integrazione del
contratto”, mentre il precetto indica le “conseguenze” che derivano dal contratto: la
pluralità di riferimenti vale appunto a denotare la unitarietà della realtà disciplinata.
Dal coordinamento dell’art. 1374 con l’art. 1372 (riferito alla efficacia del contratto)
emerge che è rilasciata alle parti la competenza di realizzare il vincolo contrattuale (il con-
tratto è vincolante tra le parti ed è dalle stesse risolvibile per muto dissenso: art. 1372),
mentre è rimesso al concorso dei privati e dell’ordinamento la determinazione del rego-
lamento contrattuale (dal contratto derivano, non solo le conseguenze volute dalle parti,
ma anche quelle fissate dall’ordinamento: art. 1374). Le fonti di integrazione previste dal-
l’art. 1374 operano intrecciate con la previsione della nullità parziale e della connessa so-
stituzione di diritto ad opera dell’art. 14192 (VIII, 9.7).
L’art. 1374 introduce un principio generale di gerarchia tra le fonti di integrazione del
contratto, ponendo al primo posto la legge e in assenza di questa gli usi e l’equità. Tale ge-
rarchia, introdotta dal codice civile in un sistema che collocava la legge al primo posto nel-
la gerarchia delle fonti del diritto, va oggi ragguagliata all’attuale assetto delle fonti del di-
ritto, che vede al primo posto la Costituzione e l’ordinamento dell’Unione europea.
Gli effetti ulteriori e/o difformi, talvolta, sono dettati in funzione di ausilio della vo-
lontà dei privati; talaltra sono imposti in via di contrasto, per la salvaguardia della reci-
procità relazionale secondo criteri di solidarietà (art. 2 Cost.) (VIII, 1.14). In tal guisa i
modelli di integrazione assumono una duplice valenza: di supplenza all’autonomia pri-
vata, e di contrasto all’autonomia privata.
a) Si ha integrazione di supplenza (o suppletiva) quando l’autonomia privata non si
esplica in modo compiuto. L’integrazione suppletiva è di ausilio all’autonomia privata
in quanto mira a riempire le lacune dell’autonomia privata, consentendo al contratto di
operare nella realtà economica. La lacuna non deve riguardare profili essenziali del con-
tratto, perché altrimenti il contratto è senz’altro nullo per assenza di uno dei requisiti del
contratto (art. 1418): la integrazione opera quando il contenuto adottato dalle parti, ben-
ché ricostruito nello scopo e valutato meritevole di tutela, risulti incompleto.
Ne sono chiari esempi le ipotesi in cui, per negligenza o per altra ragione, non sia indi-
cato il luogo di adempimento dell’obbligazione o il tempo di adempimento: in via di sup-
plenza vi provvedono, rispettivamente, l’art. 1182 e l’art. 1183 (VII, 3.4). Analogamente,
nell’ipotesi di vendita, in assenza di determinazione del momento e del luogo di pagamen-
CAP. 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1041

to del prezzo, supplisce l’art. 1498; relativamente alla vendita di cose mobili, in assenza di
pattuizione del luogo di consegna del bene, supplisce l’art. 1510. In sostanza l’intervento
suppletivo viene in soccorso all’autonomia privata quando la stessa non si è esplicata in
modo compiuto, consentendo all’autonomia privata di funzionare e realizzare gli interessi
perseguiti. Tale criterio è applicato anche all’attività della pubblica amministrazione 34.
b) Si ha integrazione di contrasto (o oppositiva) quando, pure essendosi l’autonomia
privata esplicata in modo esaustivo ed in grado di compiutamente operare (eventualmente
con l’ausilio delle norme di supplenza), esigenze e valori dell’ordinamento impongono
un intervento di opposizione all’assetto di interessi realizzato: è una integrazione anta-
gonista che si impone all’autonomia privata sovrapponendosi al contenuto contrattuale.
L’integrazione di contrasto assume tre modelli: soppressivo, additivo e sostitutivo.
L’intervento soppressivo si limita a dichiarare la nullità della singola clausola contrat-
tuale, con la conseguente caducazione (ad es. la previsione di nullità delle clausole limita-
tive della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave ai sensi dell’art. 1229). Fuori
del codice civile, ad es., in materia di contratti bancari, l’art. 1176 D.Lgs. 385/1993 stabi-
lisce che sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi
per la determinazione dei tassi di interesse; con riguardo ai contratti dei consumatori,
l’art. 361 cod. cons. prevede che le clausole considerate vessatorie sono nulle, mentre il
contratto rimane valido per il resto. Viene in rilievo il fenomeno della c.d. nullità parziale,
che, di regola, opera nei limiti fissati dall’art. 14191, secondo un generale principio di con-
servazione del contratto (VIII, 9.7). Sono sempre più frequenti i casi in cui è la stessa legge
a prevedere che la nullità della singola clausola non comporta la nullità del contratto: ciò al
fine di non privare un soggetto del bene o del servizio conseguito. Il contratto continua a
vivere senza la clausola dichiarata nulla, e perciò nella stregua che meglio realizza l’interes-
se del soggetto protetto.
Con l’intervento additivo la legge amplia imperativamente il regolamento contrattuale.
Talvolta interviene direttamente, aggiungendo specifiche determinazioni: ad es., nei con-
tratti negoziati fuori dei locali commerciali e a distanza spetta al consumatore il diritto di
recesso da esercitare con determinate modalità, ancorché non previsto (art. 52 cod. cons.)
(VIII, 2.18). Più spesso interviene indirettamente, facendo obbligo alle parti di inserire nel
contratto alcune determinazioni o di compiere alcune allegazioni pena la nullità del con-
tratto: ad es., sono nulle le vendite di edifici ove dalle stesse non risultino, per dichiarazio-
ne dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria (art. 46
D.P.R. 6.6.2001, n. 380); sono nulle le vendite di terreni ove alle stesse non sia allegato il
certificato di destinazione urbanistica (art. 30 D.P.R. 380/2001).
L’intervento sostitutivo realizza l’integrazione più penetrante. È prescritta la sosti-
tuzione di una determinazione pattizia con altra autoritativamente imposta. Il dato si-
gnificativo è che la sostituzione è di diritto e cioè automatica: la sostituzione avviene an-
che se la norma imperativa violata non preveda la sostituzione 35 e senza possibilità di

34
Si è ad es. stabilito che, nel caso in cui la stazione appaltante ometta di inserire nella disciplina di gara
un contenuto previsto come obbligatorio dall’ordinamento giuridico, non sussiste alcun onere di tempestiva
impugnazione, soccorrendo al riguardo il meccanismo di integrazione automatica: analogamente a quanto
avviene nel diritto civile ai sensi degli artt. 1374 e 1339, si colmano in via suppletiva le eventuali lacune del
provvedimento adottato dalla P.A. (Cons. Stato 13-6-2008, n. 2959; Cons. Stato 18-11-2004, n. 7553).
35
Ai fini dell’operatività dell’art. 14192 non si richiede che le disposizioni inderogabili, oltre a prevedere la
1042 PARTE VIII – CONTRATTO

valutazione di una diversa volontà anche solo ipotetica delle parti. L’eteronomia ribalta
l’autonomia: la volontà della legge si sostituisce alla volontà dei privati. Il contratto con-
tinua a vivere, ma nel modo conformato dall’ordinamento. Il fenomeno è testualmente
regolato dall’art. 14192, secondo cui “la nullità di singole clausole non importa la nullità
del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”.
Sono molte le applicazioni già nel codice civile (v. artt. 1501, 1573, 16794, 18152, 19322,
19622, 20662, 20772, 21153); altre si rinvengono in materie specifiche (ad es., la stipula-
zione di un contratto di locazione di immobile ad uso commerciale per una durata infe-
riore a sei anni si intende pattuita per tale termine (art. 27 L. 27.7.1978, n. 392).

7. La legge e gli altri atti normativi. La Costituzione. – L’art. 1374 pone al primo
posto tra le fonti di integrazione la legge. È indirizzo diffuso intendere il riferimento al-
la “legge” in senso sostanziale, come normazione, così da considerare primarie fonti di
integrazione del contratto la Costituzione e il diritto europeo, quindi qualsiasi atto nor-
mativo (legislativo o regolamentare) 36, secondo l’ordine gerarchico delle fonti del diritto
(I, 3.5). In tal senso va condotta una interpretazione funzionale dei contratti in grado di
delineare i conflitti di interessi emergenti e la relativa rilevanza secondo i valori costitu-
zionali (artt. 54 e 1012 Cost.).
Per il passato, la integrazione ha operato di regola a tutela della generalità dei conso-
ciati, secondo il tradizionale modello di legislazione per l’unità astratta del soggetto di
diritto: quando ciò avviene, della integrazione si può avvalere qualsiasi soggetto. Alcune
indicazioni sono nel codice civile. La normativa che tipicamente prevede, in via generale,
l’intervento normativo cogente è rappresentata dall’art. 1339 c.c. che, sotto la rubrica “In-
serzione automatica di clausole”, dispone: “Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, im-
posti dalla legge, sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole
difformi apposte dalle parti”: sono molte le normative che fissano regole integrative (v.
artt. 16794, 18152, 19322, 20662, 20772, 2597); c’è peraltro da chiarire che più spesso so-
no i regolamenti a fissare i prezzi di beni e servizi, specie con riguardo a beni di prima
necessità.

nullità delle clausole difformi, ne impongano e dispongano, altresì, espressamente la sostituzione; la locuzione
codicistica (“sono sostituite di diritto”) va interpretata non nel senso dell’esigenza di una previsione espressa
della sostituzione, ma in quello dell’automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del contratto o
di aspetti tipici del rapporto, cui la legge ha apprestato una propria inderogabile disciplina (Cass. 21-3-2011,
n. 6364). In relazione all’alienazione del diritto di superficie di alloggi di edilizia convenzionata, si è stabilito
che non comporta l’inefficacia totale dell’alienazione e il suo annullamento l’invalidità della clausola di de-
terminazione del prezzo di vendita, poiché il contrasto con norme imperative di singole clausole non inficia
l’intero contratto, quando opera, come nella specie, il meccanismo della sostituzione automatica di diritto
(sulla base di tale principio, la S.C. ha riconosciuto il diritto alla ripetizione del prezzo versato in eccedenza,
rispetto a quello dovuto secondo i criteri stabiliti dal consiglio comunale) (Cass., sez. un., 12-1-2011, n. 506).
36
Con riguardo ad una fattispecie di determinazione del corrispettivo spettante al Comune per la sommi-
nistrazione di acqua potabile, si è deciso da Cass. 29-9-2004, n. 19531, che l’art. 1374 si riferisce, non solo alla
legge in senso formale, ma anche al regolamento (pure comunale): in ragione di ciò ha stabilito che, nel silen-
zio del contratto, dovesse trovare applicazione la norma, prevista nell’apposito regolamento comunale, pre-
vedente l’obbligo di ogni utenza di garantire un consumo minimo, con conseguente versamento del relativo
importo, indipendentemente dall’effettivo raggiungimento di detta quantità minima di consumo. È però da
ritenere che si sia fatta un’applicazione errata di uno strumento giusto: trattandosi di un bene di prima necessi-
tà, avrebbe dovuto trovare applicazione la normativa costituzionale, per cui tutti sono tenuti a concorrere alle
spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (art. 53 Cost.).
CAP. 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1043

Più di recente è in corso un trend normativo, di derivazione europea, di integrazione


orientata alla protezione di categorie qualificate di contraenti deboli e specificamente i
consumatori: di tale integrazione possono avvalersi i soli soggetti della categoria nel cui
interesse l’intervento è previsto. Ciò avviene, anzitutto, con riferimento a posizioni di
squilibrio contrattuale, come ad es. per abuso di potere contrattuale e di violazione del
dovere di solidarietà, con l’applicazione di valori fondamentali (e dunque inderogabili);
ma anche con riferimento alla salvaguardia di esigenze essenziali del mercato, come ad es.
per inadempimento dei doveri di informazione, per salvaguardare la trasparenza e il fun-
zionamento del mercato concorrenziale.
Problema delicato è quando la normativa cogente sopravviene alla conclusione del
contratto, così da sconvolgere l’assetto di interessi realizzato. L’applicazione del princi-
pio di buona fede dovrebbe consentire al contraente non più interessato al contratto di
recedere dal contratto, potendosi fare applicazione del principio che consente alla parte
la cui prestazione è diventata eccessivamente onerosa di domandare la risoluzione del
contratto (art. 14671). Il problema si pone anche rispetto ai contratti della pubblica am-
ministrazione, rispetto ai quali l’applicazione dell’art. 1 L. 7.8.1990, n. 241, dovrebbe
condurre ad analoga soluzione. Il profilo si connette alla generale problematica delle so-
pravvenienze durante l’esecuzione del contratto (VIII, 7.5).

8. Gli usi. – Per l’art. 1374, il contratto obbliga le parti anche a tutte le conseguenze
che ne derivano, in mancanza della legge, secondo gli usi e l’equità. Il riferimento agli usi,
in funzione integrativa del contratto, è solitamente inteso agli usi normativi ex art. 8
disp. prel. (caratterizzati dalla generale condotta e dalla opinione di osservare norme giuri-
diche), che comunque non possono operare contra legem (I, 3.9).
Un riferimento agli usi è anche compiuto dall’art. 1340, secondo cui “le clausole d’uso
s’intendono inserite nel contratto se non risulta che non sono state volute dalle parti”. So-
no questi gli usi negoziali, cioè le pratiche comportamentali diffuse nella prassi commer-
ciale (anche se circoscritte ad una sola zona), nella consapevolezza di non osservare una
regola giuridica. Secondo l’impostazione tradizionale, corrente nella giurisprudenza, gli usi
normativi sono fonti di diritto e dunque operano coattivamente, anche contro la volontà
delle parti; gli usi negoziali, per non essere fonti di diritto, non possono operare contro la
volontà delle parti 37.
Quando l’uso negoziale proviene dalla pratica di una categoria professionale cui si
appartiene una delle parti (si pensi agli usi bancari o ai molti usi emersi in settori dominati

37
Secondo un diffuso indirizzo, gli usi interpretativi e quelli negoziali costituiscono, rispettivamente, un
mezzo di chiarimento della volontà delle parti contraenti e di integrazione della medesima, quando questa sia
ambiguamente espressa o manchino i relativi patti (Cass. 10-11-1981, n. 5943; Cass. 14-6-1991, n. 6752).
All’art. 1340 si è fatto ricorso in tema di contratti bancari per stabilire come le clausole di capitalizzazione
trimestrale degli interessi dovuti dal cliente hanno fonte nelle c.d. norme bancarie uniformi, le quali non co-
stituiscono uso normativo, ma uso negoziale e, quindi, non danno luogo al fenomeno dell’inserzione automa-
tica del contratto ai sensi dell’art. 1374 (Cass. 13-6-2002, n. 8442). Ancora all’art. 1340 si è fatto ricorso per la
configurazione degli usi aziendali: la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del
datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra gli estremi dell’uso aziendale, il quale agisce sul
piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo azien-
dale (Cass. 28-7-2009, n. 17481; Cass., sez. un., 13-12-2007, n. 26107). È anche indirizzo diffuso che le norme e
gli usi uniformi della camera di commercio internazionale hanno esclusivamente natura giuridica di usi nego-
ziali, ossia di clausole d’uso integrative della volontà dei contraenti (Cass. 14-10-2009, n. 21833).
1044 PARTE VIII – CONTRATTO

da associazioni di categoria, come ad es. gli usi cotonieri o nel settore delle pelli, del caffè,
ecc.), bisogna sottoporre anche l’uso a controllo di vessatorietà. È necessario che le clausole
d’uso vessatorie siano espressamente approvate per iscritto (ex artt. 1341 e 1342) 38; in pre-
senza di un contratto con consumatori, quando non sono oggetto di trattativa individua-
le, non possono operare (in applicazione degli artt. 33 ss. cod. cons.). Sarebbe parados-
sale colpire con la nullità le clausole contrattuali vessatorie e poi consentire che penetri-
no nel regolamento contrattuale usi negoziali egualmente vessatori per imporre obblighi
e pratiche a danno del soggetto aderente.
Bisogna circondare di grande severità la prova della esistenza di un uso favorevole ad
una parte e sfavorevole alla controparte, dovendo ciò rappresentare un sintomo che l’uso
invocato non rappresenti l’esito di una condotta consapevole della generalità dei conso-
ciati di un settore (come imprenditori e consumatori) e quindi non rivesta il carattere di
uso normativo; a parte che anche l’uso normativo, come ogni altra norma giuridica, è
applicata in conformità con i principi e valori dell’ordinamento.

9. L’equità. – Si è già accennato all’equità, evidenziando come la stessa non sia fonte
del diritto, ma criterio di giudizio (I, 3.16). In tale logica l’art. 1374 ammette la equità quale
fonte di integrazione del contratto, in via subordinata alla legge e agli usi. Anche l’equità
non può operare contra legem.
L’art. 113 c.p.c., fissando “i poteri del giudice”, stabilisce che “il giudice deve seguire
le norme del diritto”, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equi-
tà 39; sia in primo grado che in appello può decidere il merito della causa secondo equità
quando esso riguardi diritti disponibili delle parti e queste gliene fanno concorde richie-
sta (art. 114 c.p.c.).
Talvolta è la legge stessa a prevedere espressamente l’intervento del giudice in via di
equità: ad es., con riguardo alla valutazione del danno, quando questo non può essere
provato nel suo preciso ammontare (art. 1226); con riguardo alla riduzione della penale
per inadempimento contrattuale, quando la stessa risulta eccessiva (art. 1384); con ri-
guardo alla riduzione dell’indennità trattenuta dal venditore per le rate riscosse, nella
ipotesi di risoluzione della vendita con riserva di proprietà (art. 15262). Al valore dell’e-
quità come “equilibrio delle prestazioni” si riferiscono varie altre disposizioni del codice
civile 40. Dalle regole finali sull’interpretazione (art. 1371) emerge un principio, secondo

38
La specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose ex artt. 1341 e 1342 non è necessaria se
clausole riproducano il contenuto di un uso normativo ossia di uno di quegli usi che costituiscono fonte sussi-
diaria del diritto; non anche se le clausole corrispondano al contenuto di un uso di fatto o contrattuale, al qua-
le fa riferimento l’art. 1340, cioè di una pratica generalmente seguita da una determinata cerchia o categoria
di contraenti o in un limitato e specifico settore negoziale (Cass. 23-5-1994, n. 5024).
39
Per l’art. 1132 c.p.c. il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento
euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art.
1342. La Corte cost. 6-7-2004, n. 206, ha dichiarato l’illegittimità del comma, nella parte in cui non prevede
che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia.
40
Ad es., per l’art. 1450, il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una
modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo a equità; analogamente, per l’art. 14673, la parte contro
la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contrat-
to. In tema di appalto: per l’art. 16642, se nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti
da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendono notevolmente più onerosa la pre-
stazione dell’appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso.
CAP. 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1045

cui, qualora il contratto rimanga oscuro nonostante l’applicazione delle norme sull’inter-
pretazione, il contratto deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato se è a
titolo gratuito, e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi se è a titolo
oneroso.
In ragione di tale composito contesto normativo, da qualche tempo si tende a propu-
gnare una dilatazione dell’intervento equitativo quale fonte di integrazione del contratto,
oltre le ipotesi tipiche, in via suppletiva o correttiva dell’autonomia privata 41. Non che
sia possibile al giudice dettare regole autonomamente elaborate (per restare il giudice
soggetto alla legge: artt. 54 e 1012 Cost.), ma nel più circoscritto significato di dovere il
giudice fare applicazione dei valori ordinamentali (costituzionali, europei e delle con-
venzioni internazionali ratificate) nella concreta fattispecie (VIII, 1.14).
In tal guisa il tema si intreccia con quello dell’applicazione della buona fede, che da
tempo è evoluto dalla verifica del comportamento individuale delle parti alla valutazione
della relazione sociale tra le stesse secondo il generale dovere di solidarietà (II, 7.6). A
seguito della valorizzazione della buona fede come clausola generale che accompagna
l’intera vita del contratto, la disputa sull’ambito dell’equità, più che perdere di impor-
tanza, ha solo spostato il suo campo di incidenza dall’equità alla buona fede intreccian-
dosi con questa, nella direzione di fissare il campo dell’intervento correttivo del giudice,
sul quale sono anche intervenuti i giudici europei 42. Emerge il più generale problema di
individuare modi e limiti dell’intervento giudiziale sull’autonomia privata (VIII, 1.14).

10. La buona fede integrativa. – L’art. 1374 non annovera formalmente la buona
fede tra le fonti di integrazione del contratto. Ma i riferimenti normativi alla buona fede
in tema di conclusione (art. 1337), interpretazione (art. 1366) ed esecuzione del contratto
(art. 1375), fanno della buona fede un fondamentale principio legale che, come tale, assume
anche il ruolo di essenziale fonte di integrazione del regolamento contrattuale, nel senso di
imporre la produzione di effetti conformi a buona fede 43.

41
Si è ad es. stabilito che, ai fini della risoluzione delle controversie, in mancanza di una fonte regolatrice
sia contrattuale che legislativa, non risultando un uso in materia, si deve necessariamente far ricorso all’equità,
per effetto della regola di cui all’art. 1374 c.c. (Cass. 28-3-2008, n. 8092).
42
Esemplare è Corte giust. U.E. 14-6-2012, n. 618, secondo cui la direttiva 93/13/CEE concernente le clau-
sole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normati-
va di uno Stato membro non consentire al giudice investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento di esa-
minare d’ufficio, in limine litis, e in qualsiasi altra fase del procedimento, anche qualora disponga degli elementi
di diritto e di fatto necessari a tal fine, la natura abusiva di una clausola sugli interessi moratori inserita in un con-
tratto stipulato tra un professionista e un consumatore, in assenza di opposizione proposta da quest’ultimo; ma
poi stabilisce che l’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso “osta ad una
normativa di uno Stato membro che consente al giudice nazionale, qualora accerti la nullità di una clausola abu-
siva in un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore, di integrare detto contratto rivedendo il
contenuto di tale clausola”. Analogamente Corte giust. U.E. 30-5-2013, n. 488.
43
La buona fede oggettiva, in funzione integrativa del contenuto del contratto, impone alle parti di porre in
essere comportamenti comunque rientranti, secondo la legge, gli usi e l’equità, nello spettro complessivo della
prestazione pattuita (Cass. 13-2-2020, n. 3694). Il principio ha ormai trovato attuazione in varie direzioni: ad es.,
ove richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare, il notaio è tenuto – in base alla
clausola di buona fede oggettiva e correttezza – al compimento delle attività accessorie e successive necessarie
per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, all’effettuazione delle c.d. visure catastali e
ipotecarie, allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà (Cass. 29-8-2019, n. 21775).
1046 PARTE VIII – CONTRATTO

Nei progetti di un diritto europeo dei contratti è assegnato alla buona fede un ruolo
fondamentale nella conclusione e nella esecuzione del contratto; in tale direzione si stan-
no muovendo le novellazioni degli ordinamenti nazionali dei paesi europei 44. L’idea ge-
nerale, già vivente nella nostra giurisprudenza, è che la buona fede oggettiva operi come
generale fonte di integrazione del contratto, limite di ogni situazione negozialmente at-
tribuita, con obbligo di entrambe le parti di cooperare alla realizzazione dell’interesse
della controparte, nei limiti di un ragionevole sacrificio proprio; così la buona fede assurge
a criterio generale di svolgimento della relazionalità sociale, tra privati e con la P.A., im-
prontata al principio costituzionale di solidarietà (art. 2 Cost.). È una prospettiva che in-
terferisce e si intreccia con quella dell’abuso del diritto (II, 3.4). È ormai principio conso-
lidato che l’obbligo di comportamento secondo buona fede operi anche nei riguardi della
pubblica amministrazione 45.
Di recente si sta facendo strada anche nel nostro sistema l’istituto tedesco della Ver-
wirkung, come situazione di prolungata inerzia del titolare di una situazione soggettiva,
generando un affidamento di abbandono, come ragione di non esercitabilità della situa-
zione stessa 46.

D) CONTROLLI
11. La conformità ordinamentale. – L’atto di autonomia privata, come interpretato,
va sottoposto al controllo di conformità all’ordinamento. In tale direzione già la qualifi-
cazione orienta verso la valutazione di conformità. Il controllo si intreccia con l’inte-
grazione del contratto dovendosi verificare, per un verso, se l’atto è suscettibile di rile-
vanza giuridica e di produrre effetti giuridici; per altro verso se l’integrazione vale a so-
stenere la rilevanza dell’atto. Il controllo di conformità si svolge attraverso un’attività
complessa, ad un tempo, di verifica strutturale, perché l’atto concluso sia effettiva espres-
sione di volontaria autonomia e rappresentativo dell’operazione voluta; e di valutazione
funzionale, perché l’assetto di interessi realizzato risulti compatibile con l’ordinamento
giuridico.

44
È emblematica la recente esperienza tedesca della “Legge di modernizzazione del diritto delle obbliga-
zioni” del 2002 (la riforma dello Schuldrecht). Il testo originario del § 241 del BGB, nel delineare il rapporto
obbligatorio, si limitava a prevedere la pretesa del creditore ad una prestazione del debitore, cui faceva carico
un obbligo di prestazione. La introduzione di un comma aggiuntivo stabilisce che il rapporto obbligatorio, in
conformità del suo contenuto, obbliga ciascuna delle parti ad avere attenzione per i diritti, i beni giuridici e
gli interessi dell’altra: così connettendosi alla posizione attiva anche doveri di protezione e doveri di compor-
tamento, sì da modellare il rapporto obbligatorio come una entità in ogni caso complessa per la dualità dei
fasci di obblighi che si impongono in capo ad entrambi i soggetti del rapporto.
45
Il principio della correttezza comportamentale in ogni fase dell’attività contrattuale è norma generale
destinata a trovare applicazione, in direzione biunivoca, nei rapporti tra cittadino e Amministrazione (Cons.
Stato 10-7-2003, n. 4133).
46
In un contratto di locazione di immobili ad uso abitativo l’assoluta inerzia del locatore nell’escutere il
conduttore per ottenerne il pagamento del corrispettivo sino ad allora maturato, protrattasi per un periodo di
tempo assai considerevole in rapporto alla durata del contratto, e suffragata da elementi circostanziali ogget-
tivamente idonei ad ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte
del locatore per facta concludentia, la improvvisa richiesta di integrale pagamento costituisce esercizio abusivo
del diritto (Cass. 14-6-2021, n. 16743).
CAP. 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1047

Nella prospettiva strutturale, il contratto va valutato nella totalità della sua organizza-
zione, dalla formazione della volontà negoziale alla elaborazione del contenuto. Va quindi
verificata la presenza e regolarità dei requisiti di validità, come va valutato l’assetto di
interessi realizzato.
Con riguardo all’assetto di interessi, il contratto va analizzato in tutte le sue compo-
nenti, compresi i c.d. elementi accidentali. Tale assetto è espresso dal contenuto del sin-
golo contratto come può attingere a contenuti di più contratti, come tipicamente avviene
attraverso il collegamento negoziale. Ad ogni contratto è sottesa la maturazione dell’as-
setto di interessi, che va verificata e approfondita, dovendosi valutare la relativa inci-
denza nella formazione del contratto. Rilevano, non solo le dimensioni fisiche di inca-
pacità, le precarietà esistenziali e le patologie volitive, ma anche il contesto di svolgi-
mento del contratto, perciò l’ambiente nel quale l’autonomia privata ha preso le mosse
e si è svolta, il contesto di relazionalità dei contraenti e perciò il ruolo ricoperto dai
contraenti nelle articolazioni del mercato, le conoscenze di cui sono portatori e le in-
formazioni ricevute; come rilevano le posizioni di consumatore e professionista, di abu-
so di posizione dominante, di condizionamento economico, di informazione adeguata,
ecc., tutti profili che vanno a delineare il grado di corroborazione dell’esperienza nella
determinazione dell’assetto di interessi. I modi e la misura di tale incidenza vanno an-
che a delineare il tasso di buona fede dei contraenti.
Nella prospettiva funzionale, si rende essenziale una valutazione dell’assetto di inte-
ressi nella dimensione ordinamentale, perché il risultato perseguito risulti coerente con
la normativa di settore e i principi e valori generali dell’ordinamento operanti nella realtà
storica di svolgimento della verifica. Il controllo di conformità deve svolgersi con riferi-
mento alla causa concreta dell’operazione economica, con eventuale coinvolgimento di
ulteriori contratti, ed eventuale impiego di schemi atipici. È necessaria una valutazione del
conflitto di interessi attraverso un bilanciamento proporzionato dei valori coinvolti, secon-
do le indicazioni costituzionali, nonché del diritto europeo e delle convenzioni internazio-
nali ratificate (artt. 10 e 11 Cost.), con la valorizzazione del principio di buona fede, qua-
le dovere di solidarietà (art. 2 Cost), e delle fonti di integrazione del contratto (di cui in-
nanzi), che sempre assistono l’interpretazione e l’applicazione delle regole giuridiche.

12. Il controllo di liceità e meritevolezza. – Per la non conformità ordinamentale


del contratto sono apprestati specifici strumenti di intervento (inesistenza, invalidità, re-
scissione), ampiamente analizzati in seguito (cap. 9). Preme qui approfondire i generali
controlli ordinamentali dell’autonomia contrattuale, in funzione dei risultati perseguiti,
secondo i fondamentali criteri di liceità e di meritevolezza. Sussiste però la nozione giuri-
dica della liceità, con riferimento alla causa illecita (art. 1343); mentre la meritevolezza è
solo menzionata e circoscritta ai contratti atipici (art. 13222). Manca anche un raccordo
tra i due controlli, che pure si intrecciano e sovrappongono.
a) La liceità è definita con riguardo alla disciplina della causa, con la previsione che
“la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon
costume” (art. 1343). Trattando della causa illecita si è visto come i criteri indicati coin-
volgono l’applicazione dei principi generali e dei valori dell’ordinamentali, rispetto ai
quali massimamente si svolgono tali criteri (VIII, 3.8). E tale formulazione è comune-
mente impiegata per delineare l’illiceità di altri profili del contratto, quali l’oggetto (art.
1048 PARTE VIII – CONTRATTO

1346), la condizione (art. 1354), il motivo (artt. 1345), delineandosi una generale disci-
plina del contratto illecito, dichiarato nullo (art. 1418); una disciplina specifica opera per
la illiceità della donazione relativamente al motivo (art. 788) e all’onere (art. 794). La nulli-
tà del contratto illecito, al pari di ogni sanzione per anomalia genetica, si svolge nella di-
rezione dell’atto, rendendolo insuscettibile di produrre effetti; se però la illiceità dell’atto
è intrecciata con la condotta illecita di uno dei contraenti, rileva giuridicamente anche la
responsabilità civile per il fatto illecito compiuto, con obbligo dell’agente di risarcimento
del danno derivato alla vittima. È l’ipotesi tipica di non comunicazione delle cause di inva-
lidità conosciute (art. 1338), dove, alla sanzione sull’atto (inefficacia), si aggiunge la san-
zione al soggetto (obbligo di risarcimento del danno) per lesione del dovere di solidarietà.
La illiceità per violazione di norme imperative e dell’ordine pubblico comporta la nulli-
tà del contratto, con conseguente ripetizione di quanto si è prestato; invece, la illiceità per
contrarietà al buon costume (c.d. causa immorale), pur comportando la nullità del contrat-
to, preclude la ripetizione di quanto prestato: per l’art. 2035 chi ha eseguito una prestazio-
ne per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume non può ripe-
tere quanto ha pagato (soluti retentio). È la tradizionale regola che nessuno può invocare la
propria immoralità per conseguire un vantaggio (in pari causa turpitudinis melior est condi-
cio possidentis). Così la immoralità si trova a oscillare tra la violazione dell’ordine pubblico
e la violazione del buon costume (VIII, 3.8): molto spesso la gravità dell’arricchimento
dell’accipiens orienta la valutazione verso l’una o l’altra qualificazione.
Quando non ricorrono i presupposti della nullità parziale ex art. 1419 (di cui si parle-
rà in seguito), la illiceità dell’un profilo di regola si comunica all’intero contenuto così da
rendere il complessivo contenuto contrattuale illecito. Spesso poi l’illiceità del contratto
integra anche una illiceità penale con la integrazione di reati 47.
b) La meritevolezza è menzionata rispetto ai contratti atipici, con la previsione che le
parti possono concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina
particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordi-
namento giuridico (art. 13222) (VIII, 3.6). Per la Relaz. al cod. civ. la meritevolezza ha
riguardo al “risultato pratico” perseguito perché sia coerente alla coscienza civile, all’eco-
nomia, al buon costume e all’ordine pubblico (n. 603): criteri che si prestano ad essere rivi-
talizzati ed integrati con i valori apportati dalla Carta costituzionale e dal diritto europeo.
La richiesta di meritevolezza per i soli contratti atipici si lega all’equivoco tra tipo e
causa del contratto nel codice civile, pensando che, utilizzandosi un tipo legale di contrat-
to, fosse di per sé adottata una causa meritevole di tutela. Si è visto innanzi che ciò non è, o
almeno non è più: la meritevolezza implicita è riferita agli schemi astratti di operazione
economica non al singolo contratto. Ogni atto di autonomia privata realizza una specifica
operazione economica, una causa concreta, soggetta al controllo di meritevolezza, quan-
d’anche impieghi un tipo legale 48.
Più spesso la rilevanza della causa in concreto consente di valutare la meritevolezza

47
Nella prospettiva penalistica si suole distinguere i “reati contratto” che si verificano con la stipulazione
dell’accordo caratterizzante attività criminosa, come ad esempio l’usura, dai “reati in contratto” che sono quelli
per cui la legge punisce il comportamento tenuto da uno dei due contraenti in una fase antecedente al rag-
giungimento dell’accordo, come ad esempio la truffa, l’estorsione e la circonvenzione d’incapace.
48
La giurisprudenza, più di recente, tende spesso ad impiegare il criterio della meritevolezza: ad es. Cass.,
sez. un., 17-2-2017, n. 4222; Cass. 28-4-2017, n. 10506; Cass. 30-9-2015, n. 19559.
CAP. 5 – REGOLAMENTO CONTRATTUALE 1049

degli interessi realizzati con il ricorso al criterio della illiceità; sicché i due criteri, merite-
volezza e liceità, finiscono per intrecciarsi e sovrapporsi, nel senso che l’uno coinvolge l’al-
tro 49. Va però segnata un’articolazione: se un contratto è illecito, non è neppure merite-
vole di tutela; non è però sempre vero il contrario. L’area della meritevolezza, scissa dal-
la liceità, è residuale e può delinearsi in due fondamentali direzioni: non ragionevolezza
dello strumento utilizzato; futilità dell’interesse realizzato.
Il controllo di ragionevolezza è mutuato dal principio di ragionevolezza delle leggi,
per cui le disposizioni normative devono essere adeguate al fine perseguito (è “un limite
al potere discrezionale del legislatore”, che ne impedisce un esercizio arbitrario, di cui si
è parlato: II, 7.7). Il principio opera anche nella valutazione del contenuto contrattuale,
per la necessaria coerenza dello strumento giuridico utilizzato rispetto all’obiettivo perse-
guito, con la necessaria compatibilità dello strumento impiegato all’impianto sistematico
dell’ordinamento. La ragionevolezza del contratto ha ragione di esplicarsi rispetto alla vio-
lazione di norme strumentali (anche dette formali o ordinative) (I, 3.2), tranne che le stesse
norme ordinative non fissino principi essenziali e inderogabili del sistema attraverso norme
imperative, la cui violazione importa illiceità. Si pensi ad alcune discusse situazioni, tradi-
zionalmente considerate non meritevoli di tutela e poi ammesse a determinate condizioni,
come ad es. la divisione parziale dell’eredità 50, alcuni patti tra coniugi in previsione della
separazione o del divorzio 51. Il controllo attiene alla coerenza dello schema utilizzato ri-
spetto all’impianto ordinamentale, nel senso che il meccanismo messo in campo si riveli
idoneo a realizzare il risultato perseguito, risultante dal contratto.
La verifica di futilità degli interessi perseguiti mira ad evitare spreco di attività giu-
ridica e forse anche di attività giudiziaria (non impegnando l’apparato giudiziario in con-
tese futili, attesa la mole inevasa di processi pendenti): l’ordinamento tende a non offrire
rilevanza giuridica a regolamenti di interessi finalizzati a conseguire effetti giuridicamen-

49
Significativa Cass. 28-4-2017, n. 10509: la clausola c.d. claims made, inserita in un contratto di assicura-
zione della responsabilità civile, per effetto della quale la copertura è prestata solo se tanto il danno causato
dall’assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata del-
l’assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 13222, in quanto realizza un ingiusto
e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non
controllabile soggezione; conf. Cass. 19-1-2018, n. 1465. La situazione di sproporzionato vantaggio di una
parte a danno dell’altra, peraltro attraverso un contratto per adesione, integra una palese illiceità del contrat-
to per violazione del dovere inderogabile di solidarietà. Specificamente Cass. 21-1-2020, n. 1184: in tema di
contratto di fornitura, l’abuso di dipendenza economica, ex art. 9 L. 192/1998 è nozione indeterminata il cui
accertamento postula l’enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regola-
mento negoziale realizza, secondo un criterio teleologico di valutazione, in via di fatto, della liceità dell’inte-
resse in vista del quale il comportamento è stato tenuto.
50
È consentito ai comproprietari, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, di pattuire lo scioglimento
nei confronti di uno solo dei coeredi, ferma restando la situazione di comproprietà tra gli altri eredi del medesi-
mo dante causa: tale contratto non configura una vera e propria divisione ma un contratto plurilaterale, imme-
diatamente vincolante ed efficace fra gli originari contraenti e destinato ad acquistare efficacia nei confronti degli
assenti in virtù della loro successiva adesione (Cass. 9-10-2013, n. 22977).
51
È considerato valido l’impegno negoziale assunto dai nubendi in caso di fallimento del matrimonio (nella
specie trasferimento di un immobile di proprietà della moglie al marito, quale indennizzo delle spese, da que-
sto sostenute, per ristrutturare altro immobile destinato ad abitazione familiare di proprietà della moglie me-
desima), in quanto contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei
coniugi diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 13222, c.c., essendo il fallimento del matrimonio
non causa genetica dell’accordo, ma mero evento condizionale (Cass. 21-12-2012, n. 23713).
1050 PARTE VIII – CONTRATTO

te non apprezzabili. Nella logica del cod. civ., implicando la nozione di contratto la co-
stituzione, modifica (regolazione) o estinzione di un “rapporto giuridico patrimoniale”
(art. 1321), la patrimonialità è di per sé espressione di non futilità: è però un terreno da
tempo eroso, perché un interesse non patrimoniale, irrilevante per la generalità, potreb-
be essere di vitale importanza per la formazione esistenziale di un soggetto: anche la
futilità va valutata secondo i principi e valori dell’ordinamento rispetto al caso concre-
to. Il problema evoca i caratteri del rapporto obbligatorio e la suscettibilità di valuta-
zione economica della prestazione a fronte di un interesse non patrimoniale del credito-
re (art. 1174) (VII, 1.6).
CAPITOLO 6
EFFICACIA

Sommario: 1. Efficacia e inefficacia. – A) EFFETTO GENERALE (Vincolo contrattuale). – 2. Il vincolo con-


trattuale e i modi di scioglimento. La risoluzione consensuale. – 3. Il recesso (caparra penitenziale e
multa penitenziale). – B) EFFETTI PARTICOLARI (Effetti negoziali). – 4. La tendenziale relatività della
efficacia del contratto. – 5. Tipologie di effetti. – 6. Effetti obbligatori e effetti reali. – 7. Il consenso
traslativo e il regime del rischio. Proprietà e consegna. – 8. Contratti bilaterali e contratti unilaterali.
– 9. Effetti negoziali (diretti) verso i terzi. – 10. Segue. Il contratto a favore di terzi. – 11. La mano-
vra degli effetti del contratto (condizione e termine: cenni e rinvio). – C) EFFICACIA RIFLESSA (Effet-
ti indiretti). – 12. Gli effetti riflessi (indiretti) del contratto. – 13. Cessione del contratto e subcontrat-
to. – 14. Limitazioni convenzionali del potere di disposizione. – 15. Promessa del fatto del terzo e
disposizione di beni altrui. – 16. Il conflitto di diritti. L’opponibilità.

1. Efficacia e inefficacia. – Si è visto come gli effetti giuridici sono sostenuti da una
causalità complessa: esprimono la risposta dell’ordinamento all’agire dei soggetti, secon-
do l’ordine di valori storicamente operante (II, 4.2). Pure nella continuità delle norme di
settore, un mutamento dei principi generali può condurre ad una valutazione diversa di
fatti precedentemente osservati, con l’attribuzione di effetti giuridici differenti.
L’efficacia indica una modificazione della realtà giuridica. È possibile delineare una
duplice dimensione degli effetti del contratto (effetto generale e effetti particolari): l’ef-
fetto generale (o fondamentale), connaturato alla formazione dell’accordo, inerisce ad ogni
contratto e consiste nel vincolo contrattuale assunto; gli effetti particolari, peculiari ai
singoli contratti, esprimono lo specifico assetto di interessi realizzato (effetti negoziali o
diretti). Entrambe le tipologie di effetti compongono il c.d. rapporto contrattuale (deri-
vato dall’atto di autonomia privata).
L’inefficacia designa la mancata o anomala produzione di effetti giuridici (c.d. inef-
ficacia in senso ampio). È una formula generale che comprende varie ipotesi di assenza di
effetti del contratto, vuoi in ragione di anomalie dell’atto (es. invalidità), vuoi in conse-
guenza di inattuazione del rapporto (es. risoluzione). È quindi importante verificare la
ragione della inefficacia per coglierne volta a volta l’essenza e il funzionamento. È possi-
bile delineare la inefficacia attraverso più criteri, sovrapponibili.
Rispetto alla provenienza, più spesso la inefficacia è disposta dalla legge (inefficacia lega-
le) in conseguenza di un vizio strutturale o funzionale del contratto, per anomalie della con-
clusione o del contenuto del contratto ovvero per anomalie nell’attuazione del rapporto
contrattuale (di ciò si parlerà quando si tratteranno le anomalie del contratto: VIII, 9 e
10). Talvolta la inefficacia è voluta dalle parti (inefficacia volontaria), quando il contenu-
1052 PARTE VIII – CONTRATTO

to contrattuale comprende statuizioni di manovra degli effetti del contratto, come tipi-
camente la condizione e il termine (c.d. inefficacia in senso stretto o inefficacia mera).
Rispetto al tempo, talvolta la inefficacia è originaria, operando con la nascita del nego-
zio (es. il negozio nullo); talaltra interviene successivamente, al verificarsi di determinate
situazioni (es. sentenza costitutiva di annullamento del contratto).
Rispetto ai soggetti, l’inefficacia può essere assoluta e cioè valere verso tutti (tra le parti
e nei confronti dei terzi) oppure relativa e cioè operare solo relativamente ad alcuni sog-
getti (comportando inopponibilità dell’atto).

A) EFFETTO GENERALE (Vincolo contrattuale)


2. Il vincolo contrattuale e i modi di scioglimento. La risoluzione consensuale. –
Per l’art. 13721, parte prima, “il contratto ha forza di legge tra le parti”. La norma, con
toni enfatici, assimila la forza dell’accordo alla legge per indicare la fissità e stabilità del-
l’impegno assunto, delineando il fondamentale effetto che deriva dal contratto: il vinco-
lo contrattuale. L’assunzione del vincolo comporta, di regola, la irretrattabilità unila-
terale del contratto, sia come atto che come rapporto.
Il principio è ribadito dalla seconda parte della norma, secondo cui “il contratto non
può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”. Va chiarito
che lo scioglimento è ipotizzabile con riguardo al rapporto contrattuale (conseguente al
contratto) e non all’atto, in quanto il contratto come atto è fattispecie che esaurisce la sua
funzione con la produzione dell’efficacia.
Il vincolo contrattuale può essere sciolto anzitutto per accordo delle parti in senso con-
trario e cioè per mutuo dissenso: trattasi di risoluzione consensuale con la quale le par-
ti, sciogliendosi dal vincolo, dissolvono il rapporto contrattuale prodotto. La risoluzione
consensuale ha efficacia retroattiva, con il rispristino delle originarie posizioni. La re-
troattività della risoluzione opera anche rispetto al trasferimento di diritti reali, che au-
tomaticamente sono ritrasferiti tra le parti con effetto ripristinatorio 1, purché, rispetto
ad immobili, l’atto di risoluzione abbia la forma solenne 2. Poiché peraltro il mutuo dis-
senso interviene quando il rapporto contrattuale è già operante nella realtà giudica, si
vedrà come la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti pre-

1
Il mutuo dissenso, realizzando per concorde volontà delle parti la ritrattazione bilaterale del negozio, dà
vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del con-
tratto originario; pertanto, dopo lo scioglimento, le parti non possono proporre domande ed eccezioni relati-
ve al contratto risolto, giacché ogni pretesa o eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solu-
torio e non su quello estinto (Cass. 31-10-2019, n. 27999). L’effetto liberatorio della responsabilità per pregressi
inadempimenti va accertato in relazione alla volontà delle parti quale emergente nel caso concreto dal con-
tratto risolutorio (Cass. 27-3-2013, n. 7787). Si dà luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo
anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali; tale effetto, previsto dall’art. 1458 con ri-
guardo alla risoluzione per inadempimento anche di contratti ad effetto reale, non può dirsi precluso agli ac-
cordi risolutori, risultando soltanto obbligatorio il rispetto della forma scritta ad substantiam (Cass. 6-10-2011, n.
20445).
2
La risoluzione consensuale di un contratto preliminare riguardante il trasferimento, la costituzione o l’estin-
zione di diritti reali immobiliari è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam e, pertanto, non può
essere provata mediante deferimento di giuramento decisorio, inammissibile ai sensi dell’art. 2739 c.c. (Cass.
23-11-2018, n. 30446).
CAP. 6 – EFFICACIA 1053

notativi della trascrizione della domanda giudiziale di risoluzione (art. 14582) (VIII, 10.11).
Se per il contratto era prevista una forma ad substantiam, il mutuo dissenso deve rivesti-
re la medesima forma 3.
Anche nella fase di formazione del contratto, fino a quando il contratto non è conclu-
so, le parti possono revocare la proposta o l’accettazione (atti prenegoziali), nei limiti fis-
sati dall’art. 1328 (VIII, 2.13).
Il vincolo contrattuale può essere sciolto per altre cause ammesse dalla legge: queste
sono il recesso (di cui si parla di seguito) e la risoluzione legale (di cui si parlerà ap-
presso: VIII, 10).

3. Il recesso (caparra penitenziale e multa penitenziale). – Il recesso è un negozio


unilaterale con il quale una parte dichiara unilateralmente di sciogliersi dal contratto
prima della scadenza 4. È espressivo di un diritto potestativo, a fronte del cui legittimo
esercizio la controparte ha la posizione passiva di soggezione (II, 3.6). Al pari della do-
manda di risoluzione del contratto, deve essere notificato a tutte le parti del contratto in
ipotesi di contratto plurilaterale.
La normativa sul contratto in generale contiene la disciplina generale del recesso,
quale strumento di autotutela; altre prescrizioni sono nelle specifiche disposizioni di leg-
ge che lo prevedono, con diversificate discipline in ragione della fonte e della funzione
del recesso.
a) Lo statuto generale è connotato da fondamentali regole fissate dall’art. 1373.
La facoltà di recedere può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un
principio di esecuzione” (art. 13731). L’inizio della esecuzione crea l’affidamento della
controparte nella attuazione del rapporto contrattuale: il rispetto del principio di buona
fede non consente di esercitare il recesso 5. Nel recesso di fonte legale, è la legge stessa a
prevedere specifiche deviazioni (come si vede di seguito).
Nei contratti di durata (cioè nei contratti ad esecuzione continuata o periodica), il re-
cesso può essere esercitato anche dopo l’inizio dell’esecuzione (anzi proprio in ragione
del protrarsi dell’esecuzione), ma non ha effetto relativamente alle prestazioni già esegui-
te o in corso di esecuzione (art. 13732): ad es., nel contratto di somministrazione a tempo
indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dandone preavviso alla
controparte (art. 1569) (IX, 2.6); nel contratto di agenzia a tempo indeterminato, ciascu-
na delle parti può recedere dal contratto, dandone preavviso all’altra (art. 17502) (IX,
3.6). La regola ha il suo correlato nella previsione dell’art. 14581 secondo cui, in tema di
risoluzione del contratto per inadempimento, l’effetto della risoluzione non si estende
alle prestazioni già eseguite. Nei gruppi organizzati a base personale, un recesso di pen-
timento opera con riferimento alle associazioni (art. 242) e rispetto alle società semplici

3
C’è giurisprudenza consolidata: ad es. Cass. 18-4-2016, n. 7638.
4
Diversa è la disdetta, che è la dichiarazione di non continuare un contratto privo di scadenza o di non
rinnovare un contratto alla scadenza: è tipica dei contratti di durata (es. somministrazione, locazione).
5
Il recesso è irrevocabile dal momento in cui il destinatario ne abbia avuto notizia, ai sensi dell’art. 1334
c.c., derivandone l’estinzione immediata del preesistente rapporto contrattuale; ciò non esclude la facoltà per
le parti, nell’esercizio della loro autonomia, di far venire meno gli effetti della fattispecie estintiva, ponendo in
essere una manifestazione concorde di volontà che, nel caso di contratto in forma scritta ad substantiam, deve
risultare da atto scritto (Cass. 18-1-2019, n. 1454).
1054 PARTE VIII – CONTRATTO

(art. 2285); il recesso ha anche ricevuto impiego nella novella sulle società di capitali, ri-
conoscendosi ex lege il diritto del socio di recedere dalla società, attraverso una dichiara-
zione recettizia diretta alla società di cui fa parte volta a dare luogo alla cessazione del
rapporto sociale 6.
b) La fonte del diritto di recesso può essere convenzionale o legale 7.
Se è di fonte convenzionale sono le stesse parti ad attribuire a entrambe o a una di es-
se il potere di sciogliersi unilateralmente dal contratto: il recesso è dunque a base volon-
taria (recesso convenzionale).
Se è di fonte legale è la legge che attribuisce il potere di sciogliersi unilateralmente dal
contratto (recesso legale). È attribuito ex lege il diritto di liberarsi dal vincolo contrattua-
le, talvolta per una scelta di valore, come quando è consentito al solo soggetto considera-
to debole nella conclusione del contratto, anche solo per le modalità di stipulazione
(es. recesso del consumatore nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali: VIII, 2.18);
talaltra, per assicurare l’equilibrio funzionale del rapporto contrattuale, come per il so-
praggiungere di eventi considerati dalla legge in grado di compromettere l’interesse alla
realizzazione del regolamento programmato (es. impossibilità parziale della prestazione:
VIII, 10.14). Il recesso opera anche nei confronti della pubblica amministrazione 8.
c) La funzione del diritto di recesso segna il doppio modello di recesso, di pentimento e
per giusta causa, a seconda che il relativo esercizio sia rimesso alla sola volontà del rece-
dente o debba rispondere a legittime ragioni. Mancano discipline proprie dei due modelli;
ma dalla regolazione delle singole fattispecie è possibile trarre linee di tendenza normativa.
1) Il recesso di pentimento (ius poenitendi) è il diritto di ripensamento, e cioè di
sciogliersi volontariamente dal vincolo contrattuale senza bisogno di giustificazione: l’e-
sercizio del recesso è rimesso alla libertà del soggetto beneficiario (c.d. recesso ad nu-
tum). Di recente la giurisprudenza tende a sottoporre anche l’esercizio del recesso di ripen-
samento all’osservanza del dovere di buona fede (quale principio generale dell’ordina-
mento) per evitare un abuso del diritto 9.

6
Con riguardo alle s.p.a., sono state aumentate le cause giustificative di esercizio del recesso; è stato con-
sentito il recesso parziale, sono state fissate le modalità di determinazione del valore spettante al socio rece-
dente, è stato disciplinato uno specifico procedimento di liquidazione (artt. 2437 ss.). Per le s.r.l., qualora
l’atto costitutivo preveda limiti alla trasferibilità delle partecipazioni, è riconosciuto il diritto del socio o dei
suoi eredi di recedere dalla società (art. 2469); l’art. 2473 prevede specifiche ragioni di recesso, condizioni
di esercizio dello stesso e criteri di liquidazione della quota.
7
Un campo in cui sono regolati entrambi i tipi di recesso è quello delle locazioni: per l’art. 4 L. 27.7.1978,
n. 392, è in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi mo-
mento dal contratto dandone avviso al locatore, con lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in
cui il recesso deve avere esecuzione; indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora
ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da
comunicarsi con lettera raccomandata.
8
Per l’art. 21 sexies L. 241/1990, introdotto dalla L. 15/2005, anche il recesso unilaterale dai contratti
della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.
9
Nel noto caso Renault di previsione contrattuale del diritto di recesso ad nutum, Cass. 18-9-2009, n. 20106
statuisce che bisogna valutare se l’esercizio di tale facoltà sia stato effettuato nel pieno rispetto delle regole di
correttezza e di buona fede cui deve improntarsi il comportamento delle parti del contratto; la mancanza della
buona fede in senso oggettivo può rivelare un abuso del diritto ossia un esercizio del diritto volto a conseguire
fini diversi da quelli per i quali il diritto stesso è stato conferito, con la conseguenza che, accertato l’abuso,
può sorgere il diritto al risarcimento dei danni subiti. Cfr. Cass. 6-8-2008, n. 21250; Cass. 13-10-2016, n. 20688.
CAP. 6 – EFFICACIA 1055

È pattuibile un prezzo del recesso, quale corrispettivo per la liberazione dal contratto.
Se il corrispettivo (danaro o altra cosa fungibile) è versato all’atto della stipulazione del con-
tratto, si ha caparra penitenziale (arrha poenitentialis): la parte che recede perde la ca-
parra data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuto (art. 1386). Se il corrispet-
tivo andrà versato al momento del recesso, si ha multa penitenziale: il recesso ha effetto
quando la prestazione del corrispettivo è eseguita (art. 13733); anche ora le parti devono
comportarsi secondo buona fede 10. Entrambe le figure funzionano da corrispettivo per
l’esercizio del recesso dal contratto; perciò si distinguono dalle misure rafforzative dell’a-
dempimento (caparra confirmatoria e clausola penale) di cui appresso (VIII, 7.4).
In vista di un riequilibrio dell’autonomia negoziale delle parti, è in atto una progres-
siva erosione della forza vincolante del contratto: è previsto un diritto di recesso del con-
sumatore (talvolta di ogni fruitore di prodotti di impresa) quando, in ragione delle circo-
stanze in cui è maturato l’acquisto (fuori dei locali commerciale o a distanza), si conside-
ra non avere avuto conoscenza o contezza del contratto concluso. Si vuole garantire una
consapevole formazione della volontà negoziale e cioè una maturazione dell’operazione
(con conoscenza della realtà e coscienza della decisione): è accordato al beneficiario un
diritto di ripensamento, senza necessità di specificare il motivo del recesso (VIII, 2.18).
Se peraltro nel contratto predisposto non è inserita l’attribuzione del diritto di recesso, si
ha nullità per mancanza di forma dell’informazione (VIII, 4.5).
2) Il recesso per giusta causa è un rimedio di autotutela dei propri diritti come ri-
conosciuti dall’ordinamento (III, 3.4; VIII, 10.6): è perciò un recesso “titolato”, appunto
per fondarsi su un titolo che lo giustifica. Manca una disciplina generale del recesso per
giusta causa; sussistono invece varie ipotesi legali nelle quali è accordato ai contraenti tale
strumento di tutela unilaterale, sia nella disciplina generale del contratto (es. artt. 13732,
1385, 1464) che con riferimento a singoli contratti (es. artt. 1537 e 1538, 1569, 1660 e 1671).
Spesso è accordato per anomalie sopravvenute dell’assetto di interessi programmato.
Quando è versata una somma di danaro o altra cosa fungibile a titolo di caparra confir-
matoria, il sopraggiunto inadempimento del contratto consente di sciogliere il contratto
con l’esercizio del recesso (art. 1385) 11 (VIII, 7.4). Il recesso può essere esercitato anche
per l’impossibilità parziale della prestazione di controparte (art. 1464). Talvolta è am-
messo per ragioni che attengono alla sfera individuale del recedente: es. il recesso del
conduttore per gravi motivi dal contratto di locazione (artt. 42 e 278 L. 27.7.1978, n.
392); il recesso del dipendente pubblico dal contratto di locazione in caso di trasferi-
mento (art. 1613). Talaltra sono fissati particolari effetti: ad es. il prestatore d’opera che
recede per giusta causa ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l’opera
svolta (art. 22372).

10
La clausola contrattuale contenente una multa poenitentialis a fronte della convenzionale attribuzione
ad uno dei contraenti dello ius poenitendi non sottrae il rapporto obbligatorio alla disciplina generale, sicché de-
ve escludersi il diritto alla percezione della multa se il contraente onerato prova che il suo recesso è giustificato,
come exceptio inadimpleti contractus, dall’inadempimento dell’altra parte (Cass. 1-3-2018, n. 4838).
11
Ove entrambi i contraenti esercitino il recesso per asserito inadempimento dell’altro, si verifica la risolu-
zione del contratto, atteso che le due dichiarazioni – pur non determinando un accordo negoziale risolutorio in
quanto muovono da premesse contrastanti – sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del con-
tratto e della restituzione delle somme versate; occorre procedere ad una valutazione comparativa in merito al
comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, si sia resa responsabile delle violazioni
maggiormente rilevanti e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale (Cass. 3-3-2022, n. 6992).
1056 PARTE VIII – CONTRATTO

Di frequente l’esercizio del recesso è soggetto a specifici oneri: ad es. il committente può
recedere dal contratto di appalto (art. 1671) o dal contratto d’opera (art. 2227), anche se
è iniziata l’esecuzione del contratto, purché tenga indenne la controparte delle spese so-
stenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno; analogamente il cliente può recedere
dal contratto di prestazione d’opera intellettuale, rimborsando al prestatore d’opera le
spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta (art. 22371) 12.
Del recesso per giusta causa si parlerà ancora nelle sedi ove trova applicazione in fun-
zione di singole previsioni; vi è un crescente impiego nella normativa di provenienza eu-
ropea rispetto all’inadempimento del contratto (VIII, 10.6).
d) Un particolare campo di azione ha la prenotazione. Manca una disciplina organica
della prenotazione; e d’altra parte questa opera nei settori più vari con caratteri che ri-
sentono delle relative peculiarità 13.
La figura è diffusa nei settori dei viaggi organizzati e delle prestazioni alberghiere e di
trasporto: è perciò possibile aver riguardo al D.Lgs. 23.5.2011, n. 79, recante il codice del tu-
rismo, come modificato dal D.Lgs. 21.5.2018, n. 62, attuativo della direttiva 2015/2302/UE,
relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati. Prima della conclusione del
contratto, l’organizzatore e il venditore forniscono al viaggiatore il “modulo informatico
standard” nonché ulteriori informazioni (art. 34). Per l’art. 41 cod. tur., il viaggiatore può
recedere dal contratto di pacchetto turistico in ogni momento prima dell’inizio del pac-
chetto, dietro rimborso all’organizzatore delle spese sostenute, adeguate e giustificabili, del
cui ammontare quest’ultimo fornisce motivazione al viaggiatore che ne faccia richiesta 14.
Di regola, la prenotazione si atteggia come atto unilaterale che instaura un rapporto
giuridico preparatorio, teso alla conclusione di un successivo contratto (di alloggio al-
berghiero o di altro servizio). In presenza di pubblicità dei servizi offerti, si è inclini a con-
siderare la prenotazione come accettazione di un’offerta al pubblico 15.
Occorre distinguere la c.d. “prenotazione semplice” (via telefono, fax, lettera, e-mail,
ecc.) non accompagnata dal versamento di un anticipo, dalla c.d. “prenotazione rafforza-
ta”, ossia la prenotazione cui segue il versamento di una somma di danaro, aprendosi in
tale caso il problema di qualificazione della somma versata, se a titolo di caparra peniten-

12
Si è precisato che il recesso dal contratto di prestazione d’opera professionale non richiede una specifi-
ca manifestazione di volontà in tal senso, essendo sufficiente un comportamento chiaramente indicativo della
determinazione che l’opera del professionista non venga condotta a termine (Cass. 7-3-2016, n. 4459).
13
La prenotazione opera, ad es., con riferimento alla sottoscrizione di azioni, titoli obbligazionari e del debito
pubblico, alla prenotazione di alloggio nelle cooperative edilizie, ecc.
14
Possono essere previste, per il recesso, spese standard ragionevoli, calcolate in base al momento di re-
cesso dal contratto e ai risparmi di costo attesi e agli introiti previsti che derivano dalla riallocazione dei servi-
zi turistici; in assenza di specificazione delle spese standard di recesso, l’importo delle spese di recesso corri-
sponde al prezzo del pacchetto diminuito dei risparmi di costo e degli introiti che derivano dalla riallocazione
dei servizi turistici (art. 41).
15
Per la giurisprudenza il contratto di albergo concluso per il tramite di un’agenzia di viaggi, quale man-
dataria dell’albergatore, si conclude nel momento in cui l’albergatore stesso (che compie un’offerta al pubbli-
co con l’esposizione di insegne o la trasmissione di messaggi pubblicitari) viene a conoscenza dell’accetta-
zione del cliente, assumendo rilievo, quale accettazione dell’offerta, anche la c.d. prenotazione per periodo fu-
turo effettuata (anche) tramite telefono, con conseguente obbligo, per il cliente che intenda successivamente re-
vocare la prenotazione (così sciogliendosi unilateralmente dal vincolo contrattuale) di tenere indenne l’agen-
zia di viaggi di quanto corrisposto all’albergatore, nei limiti in cui il pagamento risulti eseguito in esecuzione
dei doveri di diligenza che incombono sul mandatario (Cass. 14-3-2006, n. 5460; Cass. 3-12-2002, n. 17150).
CAP. 6 – EFFICACIA 1057

ziale (prezzo del recesso) o di caparra confirmatoria (rafforzativa del vincolo); in mancanza
di ogni indicazione, si intende a titolo di caparra confirmatoria (ex art. 1385) (VIII, 7.4). È
prassi determinare penali per la revoca della prenotazione e spesso operano usi in tal sen-
so, con importi progressivamente crescenti man mano che si avvicina la data di esecuzione
del contratto, fino a coincidere con l’importo del contratto se avvenuto poco prima del-
l’esecuzione; tali determinazioni, integrando delle penali, vanno rese note al cliente o attra-
verso l’offerta pubblica del servizio o all’atto della prenotazione.

B) EFFETTI PARTICOLARI (Effetti negoziali)


4. La tendenziale relatività della efficacia del contratto. – Per l’art. 1372 il contratto
ha “forza di legge tra le parti” (co. 1); “non produce effetti rispetto ai terzi che nei casi
previsti dalla legge” (co. 2) (c.d. relatività dell’efficacia del contratto). È la norma fonda-
mentale sulla competenza dell’autonomia privata quale autoregolamento di interessi, per
cui di regola il contratto ha efficacia solo tra le parti e i loro eredi 16 (secondo la tradiziona-
le espressione res inter alios acta tertio neque nocet neque proest); principio che trova il suo
correlato nel giudicato sostanziale fissato dall’art. 2909 (III, 1.3). In tale logica si muove
anche la rilevanza della legittimazione rispetto all’interesse disposto, quale requisito sogget-
tivo del contraente (VIII, 2.1). Si esprime in tal modo il tradizionale principio di tendenzia-
le indipendenza delle sfere giuridiche individuali, per cui nessuno può incidere la sfera giu-
ridica altrui contro la volontà del suo titolare: il contratto (come interpretato e conformato
dall’integrazione) produce un’efficacia diretta e interna tra le parti. Il principio è ormai
esteso anche ai rapporti instaurati tra pubbliche amministrazioni 17.
È però possibile (come di seguito si vedrà) che i terzi possano risultare incisi in vario
modo dagli effetti del contratto: vuoi direttamente, quali destinatari immediati degli ef-
fetti del contratto; vuoi indirettamente o di riflesso, con il mero riverberarsi degli effetti
contrattuali nei loro confronti.
Va subito chiarito che, quando si parla di efficacia (diretta o indiretta) del contratto ver-
so i terzi, si è comunque fuori del campo della sostituzione nell’attività giuridica (cui si avrà
riguardo in seguito). Quando c’è sostituzione, i soggetti in nome dei quali o anche solo per
conto dei quali il contratto è concluso sono terzi solo rispetto alla struttura dell’atto e perciò
con riguardo alla conclusione del contratto, ma sono partecipi dell’assetto di interessi attua-
to con il contratto e dunque parti del rapporto sostanziale realizzato (immediatamente, at-
traverso la rappresentanza; mediatamente, con la interposizione reale di persona).

16
L’erede è vincolato dal contratto, anche se non trascritto, concluso dal de cuius e dalle obbligazioni dallo
stesso nascenti, atteso che soltanto l’avente causa a titolo particolare “mortis causa” o per atto fra vivi è terzo e,
come tale, non è tenuto, senza il suo consenso, a subire il debito del suo dante causa (Cass. 13-11-2009, n. 24133).
17
Il principio espresso dall’art. 1372 non è derogato da alcuna previsione contraria rinvenibile nella disci-
plina degli accordi tra amministrazioni, né appare incompatibile con la natura propria di tale tipo di negozi di
diritto pubblico, posto che la giuridicità dell’accordo, id est la sua vincolatività, implica che il consenso libe-
ramente e reciprocamente manifestato dalle parti rappresenti idoneo titolo costitutivo delle reciproche obbli-
gazioni contratte, rispetto alle quali ciascuna parte non inadempiente ha diritto a pretendere la esecuzione,
salva la possibilità di un nuovo accordo tra tutte le parti avente ad oggetto la risoluzione dell’originario ac-
cordo (Cons. Stato 29-5-2012, n. 3201).
1058 PARTE VIII – CONTRATTO

5. Tipologie di effetti. – Secondo la nozione di contratto espressa dall’art. 1321, gli


effetti derivati dal contratto sono determinativi di vicende costitutive, modificative o estin-
tive di rapporti giuridici a contenuto patrimoniale; la norma ha riguardo anche alla “re-
golazione” di rapporti giuridici: il riferimento si presta a comprendere ogni tipo di vi-
cenda giuridica, oltre che confermare il carattere di autoregolamento del contratto. È pure
consentito realizzare un effetto di accertamento di situazioni giuridiche esistenti (c.d. accer-
tamento negoziale), con lo scopo di realizzare nella realtà giuridica una sicurezza in luo-
go della originaria ambiguità (II, 4.7).
a) Gli effetti negoziali (o effetti diretti) sono gli effetti caratterizzanti, determina-
tivi delle singole vicende giuridiche, indicativi della comune volontà negoziale (intento
comune) espressa nel regolamento contrattuale; sono connaturati al risultato programmato
dalle parti come effetti particolari dell’atto di autonomia privata. Tali effetti sono, di re-
gola, interni, nel senso di prodursi tra le sole parti del contratto (efficacia diretta interna);
è però consentito all’autonomia privata produrre effetti particolari anche verso i terzi (ef-
ficacia diretta esterna) (es. contratto a favore di terzi, di cui appresso).
Si è visto come, per la configurazione degli effetti da ricondurre al contratto, siano
necessarie la interpretazione per la determinazione del contenuto del contratto e la quali-
ficazione per la individuazione della fattispecie legale alla quale ricondurre il singolo con-
tratto, per gli effetti che l’ordinamento riconduce alla fattispecie. È stata anche analizzata
la integrazione del contratto, per gli ulteriori effetti che l’ordinamento ricollega al con-
tratto oltre quelli previsti dalle parti (art. 1374), vuoi per lacune del contenuto vuoi per
generale incidenza di valori ordinamentali. Tali azioni concorrono alla determinazione
degli effetti negoziali (o diretti) derivati dal contratto, la cui violazione è causa di ina-
dempimento del contratto.
b) Differenti sono gli effetti naturali (anche detti non correttamente elementi na-
turali del contratto: VIII, 1.3). Gli stessi non sono disposti dalle parti ma apprestati dalla
legge in via dispositiva, nel senso che possono essere esclusi dalle parti: ad es., dalla vendi-
ta consegue l’obbligo del venditore di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della
cosa (art. 1476, n. 3), ma è consentito alle parti escludere la garanzia (artt. 1487 e 1490);
dal contratto di mutuo consegue l’obbligo del mutuatario di corrispondere al mutuante
gli interessi, salva diversa volontà delle parti (art. 18151).
c) In una prospettiva diversa si pongono gli effetti riflessi (o indiretti) del con-
tratto, che si realizzano come ripercussioni in capo ai terzi della efficacia del contratto. Non
sono effetti negoziali (diretti) ma mere conseguenze degli stessi (perciò sono anche detti
effetti di rimbalzo). In tali ipotesi il contratto rileva verso i terzi non come negozio ma come
mero fatto giuridico, cui si connettono determinate conseguenze giuridiche.

6. Effetti obbligatori e effetti reali. – Una rilevante distinzione degli effetti partico-
lari negoziali del contratto è quella tra effetti obbligatori e effetti reali. Prima di fissare le
relative configurazioni giuridiche, è bene cogliere il fondamento materiale della dicoto-
mia: un esempio chiarisce il senso della distinzione. Ad es., avendo un soggetto una esi-
genza abitativa, può realizzare la stessa in un duplice modo: prendendo l’immobile in loca-
zione, sicché il locatore è obbligato a far godere l’immobile al conduttore per un dato
tempo e questi è obbligato a corrispondere un canone; oppure può acquistare l’immobi-
le, sicché la proprietà dello stesso si trasferisce dal venditore al compratore, il quale è te-
CAP. 6 – EFFICACIA 1059

nuto a corrispondere il prezzo della vendita. Nella prima ipotesi (locazione), l’esigenza
abitativa è realizzata tramite la cooperazione del locatore che si obbliga a far godere la
cosa per un certo tempo, perciò si costituisce un effetto obbligatorio; nella seconda ipotesi
(vendita), l’esigenza abitativa è realizzata immediatamente con il trasferimento della pro-
prietà del bene, sicché si realizza un effetto reale. È possibile così distinguere contratti con
effetti obbligatori (o efficacia obbligatoria) e contratti con effetti reali (o efficacia reale).
a) Gli effetti obbligatori (e dunque i contratti con efficacia obbligatoria) producono la
vicenda costitutiva di rapporti obbligatori: mirano perciò a procurare una utilità ad una
parte come risultato del comportamento dell’altra parte. Oltre al contratto di locazione, si
pensi ad es. al contratto di trasporto: l’interesse del passeggero o del mittente è attuato
tramite il comportamento del vettore che si obbliga a trasferire la persona o la merce da
un luogo all’altro (art. 1678); analogamente con il contratto di appalto, con il quale l’ap-
paltatore assume l’obbligazione di compiere un’opera o un servizio verso un corrispetti-
vo in danaro (art. 1655).
b) Gli effetti reali (e dunque i contratti con efficacia reale) producono il trasferimento
della proprietà o di altro diritto ovvero la costituzione di un diritto reale per effetto del solo
consenso. Lo scopo programmato con il contratto è attuato in virtù del consenso legitti-
mamente manifestato, con il mutamento della titolarità del diritto trasferito o la costitu-
zione del diritto reale (principio del c.d. consenso traslativo). La nozione di “contratti a
effetti reali”, avendo riguardo alla efficacia del contratto, si distingue dalla nozione di “con-
tratti reali”, che è riferita alla conclusione del contratto, che deve avvenire con il consenso
e la consegna del bene (VIII, 2.3).
L’esame degli effetti reali investe il tema della configurazione dei contratti a titolo de-
rivativo, i quali si caratterizzano, come si è visto, per il fatto che l’effetto reale si produce
in virtù del rapporto con il precedente titolare (II, 4.7). Alcuni di questi contratti sono
rivolti al trasferimento di una situazione giuridica (proprietà o altro diritto reale, diritto
di credito e in genere altro diritto), producendo la successione nella titolarità del diritto,
che si perde dall’originario titolare e si acquista dal nuovo (c.d. contratti derivativo-tra-
slativi): sono tali tipicamente la vendita, la permuta. Altri contratti sono diretti alla costi-
tuzione di diritti reali (c.d. derivativo-costitutivi), producendo l’attribuzione di una situa-
zione reale di godimento su un bene che rimane di proprietà altrui (es. costituzione di un
diritto di usufrutto o servitù, ecc.) (II, 4.6). Per entrambi i modelli la vicenda giuridica si
realizza per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato (anche se non sem-
pre al momento del consenso).
c) Molto spesso le due tipologie di effetti coesistono per cui, nei contratti con efficacia
reale, alla produzione dell’effetto reale, si accompagnano e si intrecciano effetti obbligato-
ri: ad es., la vendita produce l’effetto reale del trasferimento del diritto dal venditore al
compratore, con l’assunzione della obbligazione del venditore di consegnare la cosa e l’as-
sunzione dell’obbligazione del compratore di pagare il prezzo (artt. 1470 e 1476); il con-
tratto traslativo è ad un tempo, oltre che causale, anche ad effetti reali e obbligatori. In-
vece i contratti con efficacia obbligatoria producono soltanto effetti obbligatori.
Un divario dei due tipi di effetti è anche visibile in materia successoria con riguardo
alla dicotomia dei legati (successione a tiolo particolare), con la distinzione tra legato a
effetti reali (traslativo), per cui il legatario (onorato) acquista la proprietà o altro diritto
disposto dal testatore immediatamente e direttamente al momento della sua morte, e le-
1060 PARTE VIII – CONTRATTO

gato a effetti obbligatori, per cui il legatario (onorato) acquista il diritto di credito a pre-
tendere dall’onerato la prestazione dedotta nella disposizione testamentaria (XII, 2.7).

7. Il consenso traslativo e il regime del rischio. Proprietà e consegna. – Delineata


la natura degli effetti reali, bisogna esaminarne la dinamica.
Nella tradizione di diritto romano il piano del regolamento contrattuale e quello del
trasferimento del diritto erano distinti. La proprietà si trasmetteva attraverso due fasi di-
stinte, sebbene collegate: l’una consensuale e causale, l’altra reale. Il contratto dispositi-
vo regolava l’operazione economica e conteneva perciò la causa dell’operazione; dal con-
tratto, causale (titulus), derivava l’obbligo dell’alienante di trasferire il diritto, che poi si
realizzava con il compimento di un successivo atto (modus). Giustiniano fissa in modo tas-
sativo il principio della efficacia obbligatoria dei contratti traslativi. Il sistema resisterà
nei paesi di tradizione germanica 18.
Con l’affermarsi del giusnaturalismo razionale, la esaltazione della volontà del sog-
getto (I, 2.3), fa attribuire alla forza creatrice della volontà il potere di determinare es-
sa stessa la vicenda traslativa del diritto, senza necessità di un successivo atto esecuti-
vo, ricostruendosi il potere di disposizione come attributo essenziale significativo dei
diritti soggettivi: la libertà e la volontà sorreggono l’azione individuale e la vita umana,
e sono perciò considerati essenziali e sufficienti a trasferire i diritti, con manifestazione
di volontà del titolare. Le nuove idee entravano nel codice napoleonico (art. 1583) e
nel codice civile italiano del 1865 (art. 1448), che sanzionavano con la nullità l’atto di
disposizione di un bene di proprietà altrui e accoglievano il principio del consenso tra-
slativo, anche se con equivoche formulazioni alle quali porrà rimedio il codice civile
del 1942, in vigore 19.
a) Il codice civile del 1942 ha accolto il principio del consenso traslativo, di deriva-
zione francese 20, per cui l’atto dispositivo è, ad un tempo, causale e reale, idoneo a pro-
durre sia effetti reali che effetti obbligatori. Il trasferimento della proprietà o di altro di-
ritto e la costituzione di diritti reali si realizzano in virtù e per effetto del consenso delle
parti legittimamente manifestato (e cioè validamente formato per osservanza dei requisiti

18
Negli ordinamenti di tradizione germanica il trasferimento dei diritti si svolge attraverso un duplice
accordo e quindi due distinti atti: il contratto causale di vendita con effetto solo obbligatorio (Einigung)
che realizza l’assetto di interessi; il successivo atto, astratto, quale atto formale di trasferimento tra le parti
(Auflassung) innanzi all’ufficiale del libro fondiario (Grundbuchamt) (su base reale), con efficacia costitutiva
del trasferimento sia tra le parti che verso i terzi (Eintragung). Il criterio è sostanzialmente accolto dal sistema
tavolare, sebbene con significative varianti (ampiamente XIV, 3.1).
Nel modello di common law il criterio dell’astrattezza è coordinato con la erosione in tale ambiente della
pienezza e unitarietà del diritto di proprietà. Sullo stesso bene possono coesistere molti “poteri” con contenu-
ti e durata diversi, spesso di fonte differente (alcuni di “common law” ed altri di “equity”), con la conseguen-
za che il trasferimento ha ad oggetto diritti diversificati; le iscrizioni nei registri (di archivio), costitutive, sono
solo uno dei presupposti di conoscenza: nel conflitto tra più acquirenti dello stesso diritto, è preferito l’acqui-
rente di buona fede a titolo oneroso (bona fide purchaser for value, in acronimo BFP).
19
La Relaz. cod. civ., n. 668, evidenziava: “la equivoca definizione data al contratto nel codice del 1865,
che lasciava nell’ombra il contenuto reale facendolo quasi dipendere da quello obbligatorio … L’art. 1470 dà
invece preciso risalto al suo contenuto reale, perché questo contenuto nel nostro sistema è il momento essen-
ziale della vendita e serve anche a differenziare senz’altro questa dalla promessa bilaterale”.
20
Il principio è dapprima introdotto dal cod. nap., sebbene regolato in modo farraginoso (v. art. 1138);
più nitidamente è disciplinato dal cod. civ. del 1865 (art. 1125), al quale si è uniformato il cod. civ. del 1942.
CAP. 6 – EFFICACIA 1061

previsti dall’art. 1325) 21: il titulus ed il modus del trasferimento si intrecciano e si combi-
nano in un unico atto consensuale, che ad un tempo esprime la causa del negozio (in
quanto regolatore del rapporto tra le parti) e realizza la vicenda circolatoria (per produr-
re il trasferimento del diritto).
Potendo il contratto riguardare sia beni determinati che beni non ancora determinati
o disponibili al momento della stipula, il risultato traslativo è realizzato con modalità e in
tempi diversi.
Sotto la rubrica di “contratti con effetti reali” l’art. 1376 prevede che “nei contratti che
hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di cosa determinata, la costituzione o il
trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il
diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente ma-
nifestato”. Il risultato traslativo è dunque prodotto per effetto del consenso e al momento
dello stesso: è immediato e consegue automaticamente al perfezionarsi del consenso. Il
medesimo meccanismo opera per il trasferimento di una “massa di cose”, essendo determi-
nato il bene venduto: a nulla rileva che, a determinati effetti come ad es. la fissazione del
prezzo, le cose debbano essere numerate, pesate o misurate (art. 1377).
Una disciplina diversa vale per i contratti che hanno ad oggetto il trasferimento di co-
se determinate solo nel genere (art. 1378), sebbene operi il medesimo principio del con-
senso causale e traslativo. Per l’indeterminatezza della cosa oggetto di trasferimento,
l’effetto reale non può prodursi prima che intervenga la specificazione della cosa oggetto
di trasferimento (c.d. individuazione). Benché il contratto sia causalmente traslativo, il
trasferimento del diritto non può realizzarsi al momento del contratto per l’indetermina-
tezza della cosa da trasferire: il trasferimento è reso possibile e dunque avviene solo tra-
mite l’impegno assunto dall’alienante di specificare la cosa oggetto del diritto trasferito.
Per l’art. 1378 “Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di cose determinate
solo nel genere, la proprietà si trasmette con l’individuazione fatta d’accordo tra le parti o
nei modi da esse stabiliti. Trattandosi di cose che devono essere trasportate da un luogo
all’altro, l’individuazione avviene anche mediante la consegna al vettore o allo spedizio-
niere”. Il trasferimento del diritto è prodotto per effetto del contratto (causale e traslati-
vo), ma non al momento dello stesso: è differito ad un momento successivo quando è com-
piuta la necessaria individuazione (o specificazione) della cosa da trasferire, di regola at-
traverso la consegna al destinatario ovvero con la rimessione al vettore o allo spedizio-
niere o con altro modo di separazione concordato 22.

21
Non mancano vistose aporie nell’applicazione del criterio. Per intanto, il consenso traslativo è costruito co-
me strumento neutro di trasferimento dei diritti che vale sia per la trasmissione della proprietà che per la trasmis-
sione di ogni altro diritto (artt. 1376 e 1470, 1260), sia a titolo oneroso che a titolo gratuito (artt. 1470 e 769),
senza riferimento alla natura del diritto trasferito e all’assetto di interessi realizzato. Inoltre, l’assolutezza della
proprietà (artt. 832 e 948) non è riflessa nel meccanismo del consenso traslativo, che, anche quando realizza il
trasferimento della proprietà, in quanto contratto, ha efficacia relativa tra le parti (art. 1372). Ancora, sono con-
siderate valide la vendita di cosa futura (art. 1472) e la vendita di cosa altrui (art. 1476).
22
Per la Relaz. al cod. civ. il destinatario della cosa dovuta di regola presta il consenso alla individuazione
al momento della consegna; ma può manifestarlo anche prima con misure che attuino la concentrazione del-
l’obbligazione generica e insieme assicurino la non sostituibilità della cosa separata. La consegna al vettore o
allo spedizioniere è atta a realizzare la separazione e a garantire l’impossibilità di sostituzione da parte del de-
bitore speditore; che se questi si vale della facoltà del contrordine (art. 1685), annulla la spedizione e con ciò
anche l’avvenuta individuazione (n. 629).
1062 PARTE VIII – CONTRATTO

Il fenomeno si ripropone con riguardo ad altre fattispecie (es. vendita di cosa altrui),
nelle quali, analogamente, l’alienante è obbligato a procurare la proprietà nel senso di
porre in essere quei comportamenti tipizzati dalla legge ai quali la legge stessa, in virtù
del contratto traslativo, connette il trasferimento del diritto 23. In tali ipotesi si è soliti
parlare di contratto con efficacia obbligatoria (es. vendita obbligatoria) 24: in realtà non c’è
un secondo atto dispositivo, in quanto l’effetto traslativo si connette causalmente allo
stesso ed unico contratto stipulato tra le parti (che ha appunto funzione causale e trasla-
tiva): il vincolo obbligatorio è riferito al compimento dei presupposti (individuazione)
perché l’effetto traslativo disposto con il contratto 25 si realizzi.
b) Il regime del rischio è modellato sulle cadenze della vicenda traslativa, nel sen-
so di fare sopportare al “titolare del diritto” il rischio per la perdita e il deterioramento
della cosa alienata (secondo il tradizionale principio res perit domino): a seguito del tra-
sferimento del diritto in capo all’acquirente (contestualmente o successivamente al con-
tratto), il perimento della cosa per una causa non imputabile all’alienante non libera
l’acquirente dall’obbligo di eseguire la controprestazione, ancorché la cosa non gli sia
stata consegnata (art. 1465) 26. Il principio del consenso traslativo orienta anche la disci-
plina delle garanzie (per evizione e per vizi della cosa), per cui il venditore è tenuto a ga-
rantire che la “cosa venduta” sia immune da vizi (art. 1490) (IX, 1.2). Il regime è fondato
sull’idea che, con il trasferimento del diritto, si sia realizzata l’attribuzione fondamentale del-
l’alienante (secondo il c.d. criterio della proprietà); perciò i rischi della impossibilità della
consegna della cosa per perdita o deterioramento della stessa dopo la vendita sono soppor-
tati dall’acquirente anche se la cosa non gli è stata consegnata (art. 1465).
La delineata soluzione dei conflitti apprestata dal codice civile è propria di un conte-
sto economico che fonda sulla proprietà, specie immobiliare, l’emblema della ricchezza,
sicché appunta sul conseguimento della proprietà il fondamentale interesse dell’acqui-
rente e quindi sul trasferimento del diritto l’essenza dell’attribuzione dell’alienante. La for-
za dispositiva dei diritti soggettivi sovrasta la realtà dell’assetto contrattuale: la specificità
del sinallagma è neutralizzata dalla logica della proprietà, che funziona come tecnica di so-
luzione dei conflitti, sganciata dal concreto dispiegamento dell’assetto di interessi. Si vedrà
come una generalizzata esigenza di sicurezza del mercato sta facendo emergere ulteriori
criteri di soluzione dei conflitti, anzitutto la pubblicità e altri indici di opponibilità (XIV,
2.17), ma anche l’allocazione dei rischi secondo le articolazioni del risultato traslativo e la
natura degli interessi coinvolti (XIV, 2.18).

23
Nella vendita di cosa altrui, il venditore è obbligato a procurare la proprietà al compratore, ma questi
diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa (art. 1478), in virtù
dell’originario contratto di vendita (causale e traslativo). Con riguardo alla vendita di cose future, v. VIII, 3.4.
24
Non si tratta di una obbligazione di dare in senso stretto, in quanto il soggetto obbligato non è tenuto a
compiere un altro atto di trasferimento. Una obbligazione di dare in senso tecnico è ad es. quella del mandatario
rispetto all’acquisto di immobili o mobili registrati: per l’art. 17062, “se le cose acquistate dal mandatario sono
beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario è obbligato a ritrasferirle al mandante”.
25
Significativamente l’art. 14762 pone tra le obbligazioni principali del venditore nei confronti del com-
pratore quella di “fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del
contratto” (non di trasferire la proprietà o il diritto).
26
Anche i conferimenti in proprietà nelle società sono atti di alienazione e pertanto assoggettati al delinea-
to meccanismo di trasferimento del diritto e di ripartizione dei rischi: per l’art. 2254 per le cose conferite in
proprietà la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi sono regolati dalle norme sulla vendita.
CAP. 6 – EFFICACIA 1063

c) Sta emergendo la rilevanza della consegna, come mezzo di tutela di contraenti


deboli nel mercato, specificamente i consumatori. L’esperienza economica più moderna,
propria di una società industriale e di servizi, per un verso, tende a utilizzare ulteriori
tecniche giuridiche per l’utilizzazione dei beni, che fanno a meno del trasferimento della
proprietà; per altro verso, mira a valorizzare il conseguimento della materiale disponibili-
tà del bene quale riferimento precipuo verso cui si appunta l’interesse dell’acquirente
(vuoi per l’approvvigionamento delle imprese che per gli acquisti dei consumatori). In
tal guisa la consegna (che immette nella disponibilità materiale del bene) diventa essen-
ziale punto di riferimento dell’interesse dell’acquirente. Non che dalla funzione giuridica
dei contratti traslativi sia scomparsa la rilevanza della vicenda traslativa, ma questa ha
perduto quel primato (ideale) che la tradizione aveva ad essa attribuito, per condividere
con la consegna (materiale) la cattura dell’interesse dell’acquirente. Così, a fronte di aree
in cui l’acquisto della proprietà conserva il suo antico blasone, come nel mercato degli
immobili, sussistono altre aree in cui assume primaria importanza la disponibilità mate-
riale del bene, come tipicamente nel mercato dei beni di consumo, dove la vicenda tra-
slativa opera semplicemente come mezzo (uno dei mezzi) di accesso al consumo dei be-
ni 27. Nella vendita di beni di consumo, il professionista è responsabile di qualsiasi difetto
di conformità esistente al momento della “consegna” (artt. 129 e 130 cod. cons.) (IX, 1.8).
Nel nuovo ordine di idee sta emergendo un indirizzo che tende ad adeguare le scelte del
codice civile alle nuove soluzioni emerse, attraverso una reintegrazione dell’attribuzione
traslativa nella complessità dell’operazione economica realizzata, con la conseguente va-
lorizzazione della consegna 28.
C’è anche da rilevare che le moderne tecniche di produzione e distribuzione di massa
tendono alla fornitura dei prodotti di impresa attraverso un intreccio sempre più stretto e
pervasivo tra effetti reali ed effetti obbligatori e perciò tra l’attribuzione traslativa e le atti-
vità ulteriori compiute dall’impresa venditrice per il trasferimento e la collocazione a desti-
no; quando, addirittura, l’attribuzione traslativa non rappresenti l’esito di un’attività. Sem-
pre più spesso alla vicenda traslativa si accompagnano operazioni aggiuntive (spesso post
vendita) sì da procurare al cliente un risultato complessivo ed unitario della intera opera-
zione. In tale ottica effetti reali ed effetti obbligatori sono destinati a compenetrarsi nella
realtà economica: dal relativo intreccio originano peculiari modelli di soddisfacimento del-
l’interesse del cliente e dunque una variegata tipologia contrattuale e di rimedi giuridici 29.
In tali contesti il regime del rischio è sempre maggiormente legato alla sequenza della conse-
gna del bene piuttosto che alla vicenda traslativa del diritto.

27
Il D.Lgs. 30.6.2005, n. 122 reca una tutela rafforzata degli acquirenti di immobili da costruire (IX, 1.5).
28
Le patologie dell’effetto traslativo e del funzionamento dei rimedi che la legge ricollega al consenso trasla-
tivo richiedono un superamento del concetto classico di inadempimento (come non attuazione dell’obbligazione
contrattuale) e il riconoscimento di anomalie dell’attribuzione traslativa; la consegna della cosa viziata costituisce
la imperfetta attuazione del risultato traslativo promesso, non inadempimento di una obbligazione di consegna o
di individuazione: si tratta di una responsabilità che prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore e si
fonda soltanto sul dato obiettivo dell’esistenza dei vizi, con la soggezione del venditore all’esercizio dei due ri-
medi edilizi di cui può avvalersi il compratore, al quale è anche riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni,
salvo che il venditore provi di aver ignorato i vizi senza colpa (Cass., sez. un., 3-5-2019, n. 11748).
29
Si vedrà come la disciplina della vendita tra piazze diverse (artt. 1378, 1510 e 1465) rappresenti un cro-
cevia ideale per osservare i modi di comporsi degli effetti reali e di quelli obbligatori nella collocazione dei
prodotti sul mercato (IX, 1.2).
1064 PARTE VIII – CONTRATTO

In questo nuovo scenario il principio del c.d. consenso traslativo esce profondamente
eroso, modellandosi in ragione del contesto di applicazione e della natura del bene tra-
sferito. È un terreno dove fortemente si avverte il divario con altri ambienti giuridici eu-
ropei, e dove si sta lavorando per la formazione di un diritto europeo uniforme 30.
d) Il codice civile ha attuato un compromesso tra le ragioni della proprietà e le esi-
genze dell’impresa, a tutto vantaggio di queste ultime nelle ipotesi di contrasto: ad es. in
materia di immissioni ex art. 844 (VI, 1.6); la stessa tutela indifferenziata dell’affidamen-
to, indipendentemente dalla natura degli interessi coinvolti, è funzionale alla sicurezza
del mercato (VIII, 2.6). Come si vedrà parlando della pubblicità, la logica di ossequio al-
l’atto dispositivo attraverso il consenso traslativo è stata progressivamente erosa, dap-
prima dalla esigenza di tutela della circolazione dei beni, in coerenza con la tutela del mer-
cato: più di recente, anche per la protezione di soggetti deboli, secondo scelte valoriali
compiute (XIV, 2.17).

8. Contratti bilaterali e contratti unilaterali. – La distinzione tra le due classi di


contratti era contenuta nel cod. civ. del 1865: per l’art. 1099 di tale codice “il contratto è
bilaterale quando i contraenti si obbligano reciprocamente gli uni verso gli altri, mentre
è unilaterale quando una parte si obbliga verso l’altra senza che quest’ultima incontri al-
cuna obbligazione”. La dicotomia, benché non riprodotta dal cod. civ. del 1942, è tutto-
ra impiegata determinando non pochi equivoci.
Con riguardo alla conclusione del contratto, ogni contratto è bilaterale (o plurilatera-
le), per rappresentare l’accordo un requisito essenziale del contratto (art. 1325). La dico-
tomia in esame ha riguardo alla efficacia del contratto: risponde a un criterio strutturale
di raffigurazione della produzione degli effetti. Secondo tale criterio, dai contratti bilate-
rali, derivano obbligazioni a carico di entrambe le parti (es. vendita, locazione); dai con-
tratti unilaterali derivano obbligazioni a carico di una sola parte. Una figura tipica di
contratto unilaterale può ravvisarsi nella fideiussione, dove appunto il fideiussore è colui
che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di una ob-
bligazione altrui (art. 1936). Alla stregua di tale criterio strutturale il mutuo a titolo one-
roso si presenta come contratto unilaterale: trattandosi di contratto reale, la consegna del
danaro concorre alla conclusione del contratto, sicché dal contratto derivano obbligazioni
a carico del solo mutuatario (restituzione del danaro ricevuto e pagamento degli interessi).
Si è visto però come il cod. civ. del 1942, in ossequio al metodo dell’economia, ab-
bia preferito utilizzare un criterio funzionale di ripartizione dei contratti, distinguendo-
si tra contratti con prestazioni (rectius attribuzioni) corrispettive e contratti con pre-
stazioni (rectius attribuzioni) di una sola parte (VIII, 3.18). Tale dicotomia attinge alla
causa del contratto: è articolata in ragione della sussistenza o meno di un nesso funzio-
nale di reciprocità (appunto di corrispettività) tra le singole attribuzioni patrimoniali
(c.d. sinallagma). In tale prospettiva anche il mutuo oneroso si configura come contrat-

30
È in corso un trend di riavvicinamento delle normative in tema di vendita (attraverso convenzioni inter-
nazionali e direttive europee) che prescindono dalle tecniche di produzione dell’effetto traslativo per incen-
trarsi sulla specificità dei regolamenti contrattuali e precipuamente sulle modalità di esecuzione della conse-
gna. In tal senso è Convenziona di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di cose mobili (L. 11.12.1985,
n. 765), sulla quale sono conformate le direttive europee (in tal senso artt. 128 ss. cod. cons.).
CAP. 6 – EFFICACIA 1065

to a prestazioni corrispettive: anche se, strutturalmente, sul solo mutuatario gravano le


obbligazioni derivanti dal contratto (quella di restituzione della somma ricevuta in pre-
stito e quella della corresponsione degli interessi), funzionalmente le prestazioni sono
sinergiche, in quanto la consegna del danaro da parte del mutuante è in funzione della
corresponsione degli interessi da parte del mutuatario per il godimento del danaro,
sicché, se il mutuatario non adempie l’obbligazione del pagamento degli interessi, il mu-
tuante può chiedere la risoluzione del contratto (art. 1820).
La figura del contratto unilaterale è riproposta dal codice civile nella prospettiva del
“contratto con obbligazioni del solo proponente”, dove il contratto è concluso senza ne-
cessità di accettazione appena la proposta giunge al destinatario, ma il destinatario ha
diritto di rifiutare (art. 1333) (se ne è parlato nella formazione del consenso, cui si rinvia:
VIII, 2.16). In presenza di prestazioni a carico di una sola parte, è sufficiente la ricostru-
zione della fattispecie con la tecnica del negozio unilaterale del proponente, con diritto
del destinatario di rifiutare il beneficio accordato.

9. Effetti negoziali (diretti) verso i terzi. – Per il richiamato art. 13722 il contratto
produce effetti rispetto ai terzi “nei casi previsti dalla legge” (art. 13722). La norma ha
riguardo agli effetti particolari derivanti dal contratto e cioè i c.d. effetti negoziali (o diret-
ti), ponendosi come deroga al principio della tendenziale relatività degli effetti contrattuali:
è cioè ammessa una efficacia diretta esterna del contratto. Talvolta è la legge stessa a impor-
re l’efficacia del contratto nella sfera giuridica di soggetti estranei alla sua conclusione;
talaltra sono i privati ad essere espressamente abilitati a farlo.
Nella prima prospettiva, si pensi al regime patrimoniale familiare della comunione lega-
le: l’acquisto compiuto dopo il matrimonio da un coniuge comporta di diritto (e perciò au-
tomaticamente) l’acquisto anche in capo all’altro coniuge non partecipe dell’atto (art. 177):
c’è una palese dissociazione tra il piano della fattispecie e dunque del contratto di vendita
(corrente tra le parti del contratto) e il piano degli effetti del contratto (il bene cade in co-
munione anche se nell’atto di acquisto non si fa menzione dell’altro coniuge).
Nella seconda prospettiva, la legge consente l’incisione in senso favorevole della sfera
giuridica del terzo, accordando al beneficiario il diritto di rifiuto (VIII, 2.16). In realtà,
se non è consentito ai privati incidere negativamente la sfera giuridica altrui, è visto con
favore e perciò permesso incidere positivamente la sfera giuridica altrui, arrecando dei
benefici (se non altro come esplicazioni di un generale principio di solidarietà sociale),
salvo il rifiuto del beneficiario. In tal caso gli effetti negoziali (diretti) sono deviati in di-
rezione dei terzi: è la stessa volontà negoziale a indirizzare la produzione degli effetti del
contratto all’esterno, cioè in capo a terzi (c’è una efficacia diretta esterna del contratto).
Figura tipica è il contratto a favore di terzo (art. 1411), di cui appresso.
Il discorso si è in particolare appuntato intorno agli atti di liberalità a favore di terzi.
Per l’arricchimento con spirito di liberalità mediante donazione, l’art. 769 richiede espres-
samente il contratto, come indice del consenso del beneficiario: l’arricchimento si svolge
all’interno della regola della relatività dell’efficacia del contratto. Con una previsione ge-
nerale, l’art. 809 riconosce il compimento di liberalità “con atti diversi da quelli previsti
dall’art. 769” (che prevede appunto il contratto di donazione); è perciò possibile realiz-
zare liberalità anche con atti a struttura unilaterale (negozi unilaterali); testualmente poi
si prevede che la donazione in riguardo di matrimonio “si perfeziona senza bisogno che
1066 PARTE VIII – CONTRATTO

sia accettata” (art. 785) (XIII, 2.2 e 3). Più di recente, in un quadro di semplificazione ed
economia dei mezzi giuridici, si è venuta affermando una generale attitudine dei negozi
unilaterali ad incidere favorevolmente la sfera giuridica altrui, salvo il diritto di rifiuto
del beneficiario; con ciò svalutandosi l’essenzialità del ricorso al contratto, potendo l’atto
essere compiuto anche senza il consenso del destinatario, ma non contro la sua volontà,
perciò con diritto del destinatario (c.d. oblato) di rifiutare il beneficio arrecatogli (secon-
do la tradizionale regola invito beneficium non datur). Figure emblematiche sono la re-
missione del debito ex art. 1236, la fideiussione ex art. 1936) (VIII, 2.16).

10. Segue. Il contratto a favore di terzi. – Con tale schema è consentito alle parti
di produrre gli effetti particolari del contratto (diretti) verso i terzi (artt. 1411 ss.). Il
terzo deve essere determinato o determinabile: in assenza di indicazione del terzo, si dà
luogo ad un contratto per persona da nominare (VIII, 8.8).
Il contratto a favore di terzi si atteggia come una stipulazione apposta ad un contratto
di varia natura, con lo scopo di indirizzare verso un terzo l’attribuzione spettante a una
parte: opera come una modalità del contratto base , con l’effetto di attribuire al ter-
zo la prestazione destinata a una delle parti 31. La parte interessata all’attribuzione al ter-
zo e che dunque ne indica il nome è lo stipulante; la parte che, in virtù della stipulazione,
compie l’attribuzione al terzo è il promittente.
Salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della
stipulazione in suo favore (art. 14112) e cioè automaticamente, senza necessità di accetta-
zione. Come per regola generale (innanzi delineata), il terzo può rifiutare il benefico a
suo favore. La eventuale dichiarazione del terzo, anche nei confronti del promittente, di
volere profittare della stipulazione a suo favore (e dunque di mantenere il diritto acquista-
to) ha la funzione di rendere irrevocabile e non più modificabile la stipulazione a suo fa-
vore da parte dello stipulante (art. 14112). Il terzo non è parte del rapporto contrattuale
instaurato 32, ma solo beneficiario dei diritti disposti con il contratto, con vari corollari
relativamente alla tutela delle pozioni contrattuali e dei diritti acquistati 33.

31
Si è soliti riferire allo schema della stipulazione a favore del terzo più contratti tipici. Ad es., l’accollo,
quale contratto di assunzione di debito altrui: il creditore può aderire alla convenzione rendendo irrevocabile
la stipulazione a suo favore (art. 1273); l’assicurazione sulla vita a favore del terzo: per effetto della designa-
zione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione (art. 1920); la rendita vitalizia a favore
di un terzo: quantunque la stessa importi per il terzo una liberalità, non richiede le forme stabilite per la do-
nazione (art. 1875). Figura ricorrente è anche il contratto di trasporto di cose destinate ad un soggetto diverso
dal mittente: i diritti nascenti dal contratto di trasporto verso il vettore spettano al destinatario dal momento
in cui ne richiede la riconsegna al vettore (art. 1689), integrando questa la “dichiarazione di volerne profitta-
re”, ai sensi dell’art. 1411 c.c., che segna il momento in cui il destinatario fa propri gli effetti del contratto, da
tale momento potendosi il vettore rivolgere solo a lui per il soddisfacimento del credito di rimborso e corri-
spettivo (Cass. 15-5-2018, n. 11744; Cass. 20-8-2013, n. 19225); nel trasporto marittimo c’è anche il deposito
della merce a favore del ricevitore conseguente allo sbarco (artt. 422 e 454 cod. nav.).
32
Il terzo, non essendo parte né in senso sostanziale, né in senso formale del contratto stipulato in suo fa-
vore, non è tenuto a rispettare il foro convenzionale pattuito tra i contraenti (Cass. 29-10-2013, n. 24415).
33
Le parti e il terzo conservano la propria posizione (di contraente o di beneficiario) anche nella fase di
attuazione del contratto, non verificandosi successione nel rapporto; le eventuali azioni contrattuali devono
essere intentate nei confronti dello stipulante o del promittente ma non contro il terzo il quale, a propria vol-
ta, non può proporre le predette azioni nei confronti di questi ultimi, ad eccezione dell’azione di adempimen-
to (Cass. 30-3-2021, n. 8766).
CAP. 6 – EFFICACIA 1067

Unico requisito di validità della stipulazione a favore del terzo è l’interesse dello stipu-
lante all’attribuzione al terzo (art. 14111). Tale interesse è diverso da quello al consegui-
mento della controprestazione, che connota la causa del contratto stipulato. L’interesse
alla stipulazione a favore del terzo ha la funzione di giustificare l’attribuzione al terzo: ad
es., stipulandosi una vendita, è necessario che l’acquirente (stipulante) abbia un interesse
a che il diritto acquistato sia attribuito (dal venditore promittente) al terzo. L’interesse
dello stipulante all’attribuzione a favore del terzo può essere sia di natura patrimoniale
che di natura non patrimoniale 34: si può acquistare un bene ed attribuirlo al terzo al fine
di estinguere una precedente obbligazione verso il terzo (ad es. per restituire una somma
presa a mutuo o per pagare il prezzo di un bene acquistato o per altre ragioni); come si
può acquistare un bene ed attribuirlo ad un proprio figlio per spirito di liberalità (come
spesso avviene con l’acquisto di un immobile in occasione del matrimonio di un proprio
figlio per destinarlo a casa familiare) (art. 809) 35.
Acquistando il diritto verso il promittente, il terzo diviene anche titolare delle azioni
a presidio dell’attribuzione a suo favore: il terzo esercita tali azioni in suo nome e non in
surrogazione o con l’intervento dello stipulante. È da ritenersi che l’effetto acquisitivo pos-
sa riguardare sia un diritto di credito come un diritto reale e segnatamente la proprietà.
Il problema sollevato in dottrina, circa la inconciliabilità del favor con la eventualità che
al diritto attribuito possano connettersi situazioni passive, non ha ragione di porsi: il fat-
to in sé dell’attribuzione di un diritto produce un effetto favorevole, che il terzo può rifiu-
tare se valuta l’acquisto non favorevole.
In caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, la prestazione
rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle par-
ti o dalla natura del contratto (art. 14113) 36.
La configurazione della stipulazione a favore del terzo come modalità del contratto
cui inerisce comporta che il promittente può opporre al terzo le eccezioni fondate sul
contratto dal quale il terzo deriva il suo diritto, ma non quelle fondate su altri rapporti
tra promittente e stipulante (art. 1413): così il venditore (promittente) può opporre al

34
La prestazione a vantaggio del terzo può essere riferita a varie situazioni consistenti in un dare, fare o non
fare; in funzione di una vendita, sono quindi considerati ammissibili: il contratto preliminare a favore di terzo,
trattandosi di una particolare forma di fare che si realizza con la prestazione del consenso alla stipulazione del
futuro negozio traslativo della proprietà; il contratto di opzione a favore di terzo, nel caso in cui il promittente è
già vincolato, per effetto del negozio bilaterale di opzione, alla propria dichiarazione di irrevocabile proposta
contrattuale, sicché al terzo beneficiario basta la semplice accettazione perché a suo favore si producano gli effet-
ti del contratto, per la conclusione del quale l’opzione è stata accordata (Cass. 1-12-2003, n. 18321).
35
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il contratto a favore di terzi può attribuire al beneficiario
diritti, ma mai imporgli obblighi (Cass. 14-1-2011, n. 759; Cass. 20-1-2005, n. 1150). L’indirizzo, nella sua ge-
nerale formulazione, non può essere accolto. Bisognerà verificare, in concreto, se la previsione di obblighi sia
superata dai vantaggi acquisiti: si pensi all’acquisto di un immobile a favore del terzo con accollo da parte del
terzo delle residue rate di mutuo per un’entità economica inferiore al valore dell’immobile acquistato; si pensi
alla cessione di un contratto a prestazione corrispettive per il quale lo stipulante abbia già pagato gran parte
del proprio debito. Del resto il terzo, con la dichiarazione di adesione al contratto a favore di terzo, compie
anche la valutazione di convenienza di adesione al contratto stesso.
36
Una disciplina particolare è introdotta per l’ipotesi in cui la prestazione al terzo deve essere fatta dopo la
morte dello stipulante. In tal caso lo stipulante può revocare il beneficio anche con una dichiarazione testa-
mentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che, in quest’ultimo caso, lo stipu-
lante abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca (art. 1412).
1068 PARTE VIII – CONTRATTO

terzo le sole eccezioni fondate sul contratto di vendita (ad es. mancato pagamento del
prezzo da parte dello stipulante), non quelle connesse ad altri rapporti correnti con lo sti-
pulante (es. eventuali compensazioni per rapporti pregressi).

11. La manovra degli effetti del contratto (condizione e termine: cenni e rinvio).
– Essendo i contratti espressioni di autonomia negoziale, di regola anche i relativi effetti
sono regolabili dai privati. L’autonomia dei privati può arricchire il contenuto del con-
tratto con la manovra degli effetti: e ciò, non solo deviando alcuni effetti del contratto in
favore di un soggetto diverso, ma anche incidendo sulla sorte o sul tempo della efficacia,
attraverso la condizione e il termine.
La condizione incide sulla sorte degli effetti, subordinandone la produzione o il ve-
nir meno ad un avvenimento futuro e incerto. Il problema si pone di frequente nelle
vendite immobiliari con riferimento al rilascio delle documentazioni amministrative di
conformità edilizia e urbanistica dell’immobile o in vista del conseguimento da parte del-
l’acquirente del mutuo bancario necessario all’acquisto. Il contratto sotto condizione è
concluso e perfetto con la conseguente produzione dell’effetto fondamentale del vincolo
tra le parti e dei relativi effetti che si connettono alle posizioni delle parti nello stato di
pendenza, primo tra i quali il dovere di buona fede, considerandosi la condizione avvera-
ta quando sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al-
l’avveramento (c.d. avveramento legale) (art. 1359) (ampiamente VIII, 3.20).
Il termine incide sul tempo degli effetti, fissando nel tempo gli effetti del contratto,
operando sia come termine inziale che come termine finale; si è visto del divario rispetto
al termine dell’adempimento dell’obbligazione (ampiamente VIII, 3.22).
Non mancano peraltro negozi che non tollerano una manovrabilità degli effetti (c.d.
negozi puri) ovvero negozi per i quali, a tutela di specifici interessi, è circoscritto il pote-
re di manovra degli effetti.

C) EFFICACIA RIFLESSA (Effetti indiretti)


12. Gli effetti riflessi (indiretti) del contratto. – In conseguenza della stipulazione
di un contratto e della relativa efficacia possono determinarsi delle conseguenze indirette
nei confronti dei terzi (c.d. effetti riflessi o indiretti), che esulano dall’intento negoziale e
dunque dallo scopo pratico perseguito dalle parti. Sono le conseguenze che si determi-
nano di rimbalzo ovvero in modo derivato ogni volta che si verifica un fatto giuridico.
I c.d. effetti riflessi o derivati per il terzo non sono il risultato perseguito dagli autori del
contratto (effetti negoziali), ma rappresentano le ripercussioni del mutamento giuridico
operato dal contratto. Tali ripercussioni possono essere di mero fatto o giuridicamente
rilevanti.
Nella prima direzione, i terzi risentono materialmente le conseguenze del mutamento
giuridico. È coinvolto un interesse di mero fatto dei terzi: ad es., stipulata tra proprietari
di fondi contigui la costituzione di una servitù di non edificare, della mancata costruzio-
ne si avvantaggiano di riflesso i proprietari dei fondi adiacenti.
Nella seconda direzione, i terzi risentono giuridicamente le conseguenze del muta-
mento giuridico intervenuto in ragione della relazione esistente con le parti o una di esse.
Il contratto opera rispetto al terzo, non come negozio ma come fatto in senso stretto cui
CAP. 6 – EFFICACIA 1069

la legge connette effetti giuridici. Ad es. l’alienazione di un immobile locato comporta il


subentro dell’acquirente nel contratto di locazione (nei limiti indicati dagli artt. 1599 ss.),
con il duplice effetto riflesso: l’acquirente ha l’obbligo di rispettare la locazione prece-
dente, e il conduttore deve subire la modificazione del locatore 37 (emptio non tollit loca-
tum); la cessione di azienda comporta che l’acquirente subentra nei contratti stipulati per
l’esercizio dell’azienda stessa, che non abbiano carattere personale (art. 2558). In sostan-
za gli effetti riflessi si producono quali conseguenze, giuridicamente rilevanti, degli effet-
ti diretti e interni tra le parti.
Si comprende come l’area della c.d. efficacia riflessa o indiretta è indefinita e variegata
per risentire della varietà dei contesti in cui il singolo contratto si colloca e produce gli ef-
fetti contrattuali. Di seguito si avrà riguardo a specifiche figure, previste dalla legge, in cui
l’assetto di interessi attuato con il singolo contratto in qualche modo si riflette sui terzi.

13. Cessione del contratto e subcontratto. – Con queste due figure si realizzano
peculiari intrecci tra distinti rapporti contrattuali, sicché si pone il problema di verificare
l’incidenza degli effetti del singolo contratto sui rapporti derivanti da altro contratto,
cioè le conseguenze che derivano dalla stipulazione di un contratto sui rapporti di un di-
verso contratto.
a) Cessione del contratto. Preliminarmente è da rilevare che la cessione non si riferisce al
contratto ceduto come fattispecie, in quanto questa, una volta perfezionatasi, esaurisce la
sua funzione con la produzione dell’efficacia giuridica: il riferimento è al rapporto contrat-
tuale. Del resto il codice, nel fornire la nozione di cessione del contratto, ha proprio ri-
guardo ai rapporti che dal contratto derivano: per l’art. 1406, ciascuna parte può sostituire
a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste
non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta. La necessaria corrispettivi-
tà delle prestazioni lascia intendere che la disciplina della cessione ha ad oggetto contratti a
titolo oneroso, perciò con posizioni correlate (attive e passive) in capo a ciascuna delle par-
ti; può riguardare eventuali patti prodromici 38.
Venendo alla struttura della cessione, nel vigore del cod. civ. del 1865, in assenza di
una generale normativa in materia, la figura veniva ammessa dalla dottrina attraverso il
ricorso agli strumenti giuridici della cessione del credito e dell’accollo di debiti. L’in-
tendimento del legislatore del 1942 è di apprestare uno strumento giuridico in grado di
assecondare la pratica commerciale di cessione di un affare quando una parte non è più
in grado o non ha più interesse a realizzarlo, essendo mutate le circostanze che ne hanno
determinato l’assunzione 39.

37
Si è precisato che l’art. 1599 non è estensibile a rapporti diversi dalla locazione; pertanto il contratto di
comodato stipulato anteriormente alla vendita non è opponibile all’acquirente (Cass. 18-1-2016, n. 664).
38
La cessione può inerire anche a patti preordinati alla conclusione di successivi contratti (es. preliminare,
prelazione, opzione). Ad es. un impiegato che abbia stipulato contratto preliminare di acquisto di un immobi-
le in una determinata città, intervenendo il trasferimento in altra sede prima della stipula del contratto defini-
tivo, può (con il consenso del venditore) cedere il contratto a un terzo; ancora, un soggetto che abbia acquisi-
to il diritto di opzione per l’acquisto di un bene, prima della conclusione del contratto di vendita, può (con il
consenso del venditore) cedere a un terzo il diritto di opzione.
39
Osserva la Relaz. cod. civ., n. 640: la pratica, estremamente sensibile, ha avvertito l’inscindibilità della
trasmissione alla stessa persona di tutto il contenuto del rapporto.
1070 PARTE VIII – CONTRATTO

È così prevalsa in giurisprudenza e nella dottrina dominante la configurazione della


cessione del contratto come cessione di posizione contrattuale, con sostituzione di
un nuovo soggetto ad uno dei contraenti originari. La cessione del contratto è quindi il
contratto con il quale si realizza la successione tra vivi a titolo particolare di un terzo nel-
la posizione giuridica contrattuale di uno dei contraenti originari. Oggetto di trasferi-
mento sono, non solo le situazioni attive e passive inerenti al rapporto ceduto, ma anche
diritti potestativi e tutele che presidiano l’attuazione del rapporto: la complessiva posi-
zione contrattuale di una parte (cedente) è trasferita ad altro soggetto (cessionario) 40.
Poiché in un contratto a prestazioni corrispettive la posizione contrattuale è com-
posta tanto da situazioni attive quanto da situazioni passive, come complesso unitario
delle situazioni giuridiche trasferite 41, la cessione della posizione contrattuale non può
avvenire senza l’assenso del contraente ceduto. Trattasi di un contratto trilaterale, per
la cui conclusione deve intervenire l’incontro delle dichiarazioni dei tre soggetti coinvolti
(cedente, cessionario e ceduto) 42; e ciò per la essenziale ragione che, trattandosi di con-
tratti a prestazioni corrispettive, non è irrilevante per il contraente ceduto, creditore di
una prestazione, la persona del debitore al fine dell’adempimento (arg. art. 1273). Non
è però necessaria la contestualità delle tre dichiarazioni, potendo la dichiarazione di
assenso del contraente ceduto essere rilasciata con negozio unilaterale precedente o suc-
cessivo al contratto di cessione (art. 14071) 43.
Essendo essenziale requisito di validità di ogni contratto la ricorrenza di una causa
(art. 1325), anche con riguardo alla cessione del contratto si pone il problema della indi-
viduazione della causa. Funzione minima e costante della cessione è la realizzazione di
una vicenda traslativa della posizione contrattuale del cedente: al pari della cessione del
credito e dell’accollo, si determina una sostituzione a titolo particolare nella posizione
soggettiva del cedente. Per verificare la causa concreta del singolo contratto di cessione
bisogna verificare il complessivo assetto di interessi in cui la cessione si inserisce: in par-
ticolare, si deve procedere ad una comparazione tra le poste attive e passive in capo al
cedente e al cessionario, per verificare se si è voluto realizzare un’attribuzione a titolo
gratuito, a titolo oneroso o anche solo con finalità solutoria, secondo i generali titoli di

40
Oggetto di trasmissione è il complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive che derivano per
ciascuna delle parti dalla conclusione del contratto: quindi, non soltanto debiti e crediti, ma anche obblighi
strumentali, diritti potestativi, azioni, aspettative ricollegati dalla volontà delle parti, dalla legge o dagli usi al
perfezionamento della fattispecie negoziale; l’ambito di applicazione dell’istituto non è circoscritto all’ipotesi
di contratti a prestazioni corrispettive non ancora compiutamente eseguite ma si estende anche ai contratti
unilaterali e ai contratti a effetti reali (Cass. 2-6-2000, n. 7319).
41
Ai fini della configurazione della cessione, occorre che le relative prestazioni non siano state intera-
mente eseguite; nell’ipotesi in cui sia stata eseguita alcuna delle prestazioni incombenti alle parti, potrebbe
verificarsi la cessione del credito o del diritto alla controprestazione ovvero l’accollo del debito maturato in
ordine alla prestazione già eseguita dall’altra parte e non invece la cessione del contratto (Cass. 22-1-2010, n.
1204).
42
Ove il giudizio abbia ad oggetto l’accertamento con efficacia di giudicato del negozio plurilaterale, vi è
litisconsorzio necessario; ove invece si controverta tra cessionario e ceduto circa la prestazione da questo ese-
guita e il giudice debba accertare in via incidentale con effetto di giudicato limitato alle parti in causa la con-
clusione del negozio plurilaterale, il litisconsorzio necessario non sussiste (Cass. 13-5-2021, n. 12890).
43
Il consenso del contraente ceduto, come quello delle altre parti, può essere espresso anche tacitamente
(salvo che per il contratto ceduto siano richiesti requisiti di forma) e pure successivamente all’accordo tra ce-
dente e cessionario (sempre che non sia venuto meno) (Cass. 15-3-2004, n. 5244; Cass. 5-11-2003, n. 16635).
CAP. 6 – EFFICACIA 1071

giustificazione causale dei contratti traslativi. In tal senso un ruolo fondamentale assume
l’eventuale previsione di un prezzo della cessione del contratto, che è profilo diverso dal
prezzo che eventualmente caratterizza il rapporto base ceduto. Peraltro le prestazioni cor-
rispettive del contratto ceduto o una di esse possono perdere nel tempo l’originario valore,
divenendo così importante valutare l’equilibrio delle prestazioni corrispettive all’atto della
cessione. Il prezzo della cessione vale appunto a remunerare il valore dell’affare al momen-
to della cessione (se di maggiore favore per il cessionario o per il cedente).
Non è richiesta una forma espressa come requisito di validità del contratto. È però
indirizzo consolidato che, se la cessione della posizione contrattuale implica la circola-
zione di un diritto per il cui trasferimento è richiesta la forma solenne (es. cessione di
una posizione contrattuale di acquisto della proprietà o altra situazione reale su immobi-
li), anche il contratto di cessione è soggetto alla medesima forma 44.
Con il trasferimento della posizione contrattuale, articolato è il regime delle tutele.
Il contraente cedente è tenuto a garantire la mera validità del contratto ceduto (art.
14101); se assume la garanzia dell’adempimento del contratto ceduto, risponde come un
fideiussore per le obbligazioni del contraente ceduto (art. 14102). È liberato dalle sue
obbligazioni verso il contraente ceduto quando la sostituzione diviene efficace nei confron-
ti di questo (art. 14081): proprio tale liberazione richiede l’assenso del contraente ceduto,
che può essere variamente espresso 45.
Il contraente ceduto può opporre al cessionario le eccezioni derivanti dal contratto
originario, non quelle fondate su altri rapporti col cedente, salvo che ne abbia fatto espres-
sa riserva al momento in cui ha consentito alla sostituzione (art. 1409); come non può
opporre eccezioni relative al contratto di cessione, per essere a questo estraneo, tranne in
ipotesi di nullità del contratto di cessione, quando prova di avere interesse alla dichiara-
zione di nullità (ex art. 1421).
Se si è dato luogo a contratto di cessione trilaterale, le eccezioni relative a tale con-
tratto possono essere opposte da ognuno dei contraenti come parti del contratto.
La cessione del contratto può anche operare come effetto ex lege di una più comples-
sa fattispecie, così atteggiandosi come successione legale nel contratto. Il fenomeno è
evidente e diffuso con riferimento alla cessione di aziend a: salvo patto contrario, l’ac-
quirente dell’azienda subentra automaticamente nei contratti stipulati per l’esercizio del-
l’azienda stessa che non abbiano carattere personale; il contraente ceduto può recede-
re dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento solo per giusta causa, sal-
vo in questo caso la responsabilità dell’alienante (art. 2558). Lo stesso meccanismo

44
Se il contratto ceduto è un preliminare di vendita immobiliare, affinché il cessionario possa acquistare i
relativi diritti, il consenso del contraente ceduto deve risultare da atto scritto (Cass. 1-8-2001, n. 10498). Se
tutti gli elementi del contratto risultano da un documento nel quale è inserita la clausola “all’ordine” o altra
equivalente, la girata del documento produce la sostituzione del giratario nella posizione del girante (art. 14072)
(v. artt. 1889, 19185, 2011).
45
La liberazione avviene al momento della conclusione del contratto di cessione, se l’incontro delle tre di-
chiarazioni è contestuale; al momento della notifica (o dell’accettazione da parte sua) della cessione, se il con-
senso del contraente ceduto era antecedente (ex art. 14071); interviene successivamente con apposita dichia-
razione del terzo. Però il contraente ceduto può dichiarare di non liberare il cedente e così agire contro di lui
qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte (art. 14082): non liberando il cedente, il contraente
ceduto deve dargli notizia dell’inadempimento del cessionario entro quindici giorni dalla data dell’inadempi-
mento; in mancanza è tenuto al risarcimento del danno (art. 14083).
1072 PARTE VIII – CONTRATTO

opera con riguardo alla cessione della locazione (art. 36 L. 27.7.1978, n. 392) e ai rap-
porti di lavoro (art. 2112) inerenti all’azienda 46.
Diversa è l’ipotesi di mera cessione del credito, quand’anche inserito in una posizione
complessa: ad es., il venditore cede a terzi il diritto di credito al corrispettivo, che è valu-
tato avulso dal contenuto dell’operazione economica e rileva solo come elemento attivo
entrato nel patrimonio del venditore in virtù della vendita 47; è una mera modificazione
soggettiva attiva (VII, 2.3). Come diversa è l’ipotesi di mera assunzione del debito altrui,
quand’anche inserito in una posizione contrattuale, come ad es. l’accollo del debito del
compratore verso il venditore in virtù del contratto di vendita; è una mera modificazione
soggettiva passiva (VII, 2.12).
b) Subcontratto. Diversamente si atteggia il subcontratto (o contratto derivato), di cui
manca una disciplina generale, ma sussistono specifiche previsioni: ad es. la sublocazione
(art. 1594) e il subappalto (art. 1656); in fatto è comune il ricorso al subtrasporto, ancor-
ché non previsto. Il subcontratto consente ad una parte contraente di (ri)utilizzare la
propria posizione contrattuale per attivare in forza di questa una nuova operazione eco-
nomica con altro soggetto, in virtù di un contratto che dipende dal contratto originario. In
ragione della natura della prestazione dedotta nel contratto originario, il subcontratto, tal-
volta deve essere autorizzato dall’altro contraente (es. il subappalto), talaltra non richiede
autorizzazione, salvo patto contrario (es. la sublocazione).
A differenza della cessione del contratto, nel subcontratto il rapporto contrattuale cor-
rente tra i contraenti che hanno concluso il contratto base rimane in vita e continua ad ope-
rare. Su questo, in virtù e nei limiti che tale rapporto consente, si innesta un nuovo rap-
porto tra uno dei contraenti originari e il terzo, anche a condizioni diverse rispetto al con-
tratto originario. Ma tale nuovo rapporto è derivato dal rapporto base (che rimane in
piedi) e dunque è subordinato allo stesso. Perciò il subcontratto è destinato a subire le sorti
del contratto base: non può avere una durata maggiore del contratto base e viene meno se
questo è invalido, risolto o diviene comunque inefficace; però il contenuto del rapporto ba-
se non è opponibile al nuovo contraente, se non è richiamato nel subcontratto 48.
Una disciplina specifica è dettata per la sublocazione. Il locatore, senza pregiudizio
dei suoi diritti verso il conduttore, ha azione diretta contro il subconduttore per esigere
il prezzo della sublocazione, di cui questi sia ancora debitore al momento della domanda

46
È configurabile il trasferimento di un ramo di azienda nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto anche
solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assi-
curata dal fatto di essere dotati di un particolare “knowhow” (o, comunque, dall’utilizzo di “copyright”, bre-
vetti, marchi, ecc.), con la conseguenza che la cessione realizza la successione legale nel rapporto di lavoro del
cessionario senza bisogno di consenso dei contraenti ceduti (Cass. 7-3-2013, n. 5678).
47
Al cessionario non sono trasferite le azioni inerenti alla essenza del contratto, poiché esse aderiscono al-
la titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito; il cessio-
nario del credito non è legittimato ad agire per il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale ex
art. 1338 contro il soggetto che abbia concluso il contratto originario con il cedente, in quanto detta azione attie-
ne alla natura ed essenza del negozio e non alla tutela del credito da esso nascente (Cass. 13-2-2013, n. 3579).
48
Il fenomeno è particolarmente evidente in tema di subappalto di opere pubbliche. Secondo Cass. 20-6-2000,
n. 8384, il contratto di subappalto stipulato dall’appaltatore di un’opera pubblica con impresa privata rimane
sottoposto alla normativa del codice civile ed al contenuto pattizio che le parti hanno inteso dargli; mentre
non sono applicabili, se non attraverso gli eventuali richiami pattizi delle parti, le disposizioni d’impronta marca-
tamente pubblicistica tipiche dell’appalto di opere pubbliche.
CAP. 6 – EFFICACIA 1073

giudiziale, e per costringerlo ad adempiere tutte le altre obbligazioni derivanti dal con-
tratto di sublocazione; il subconduttore non può opporgli pagamenti anticipati, salvo
che siano stati fatti secondo gli usi locali (art. 1595). Si tende a ritenere che la normativa,
in quanto compatibile, sia suscettibile di applicazione analogica per ogni tipo di subcon-
tratto.

14. Limitazioni convenzionali del potere di disposizione 49. – La materia non ha


una organica disciplina: esistono frammentarie normative di specifiche ipotesi, senza una
complessiva regolamentazione della efficacia dei vari patti limitativi.
a) Si è anticipato come una normativa del divieto di alienazione è fornita dall’art.
1379, collocato in tema di efficacia del contratto (VIII, 2.22), secondo cui il divieto di
alienazione stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti e non è valido se non è con-
venuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde ad un apprezzabile interesse
di una delle parti. Si tende a ritenere che tale normativa fissi la disciplina generale della
validità ed efficacia del divieto convenzionale di alienazione e degli altri limiti conven-
zionali al potere di disposizione.
Nonostante la generale formulazione della previsione, che sembrerebbe aver riguardo
al divieto di alienazione di ogni tipo di diritto, in realtà nella legge esistono più discipline
dei divieti convenzionali di disposizione. Con riguardo al diritto di credito, il patto con il
quale debitore e creditore escludono la cedibilità del credito è opponibile al cessionario
di cui si provi la conoscenza del patto al tempo della cessione (art. 12602). Con riguardo
ai diritti reali, operano ulteriori discipline: relativamente al patto di non alienazione del-
l’enfiteusi stipulato tra concedente ed enfiteuta nell’atto costitutivo, la eventuale aliena-
zione dell’enfiteusi in dispregio del divieto non libera l’enfiteuta dai suoi obblighi verso
il concedente, rimanendo tenuto verso quest’ultimo solidalmente con l’acquirente (art.
9654); quanto al divieto di cessione dell’usufrutto, lo stesso deve risultare dall’atto costi-
tutivo (art. 9801) e dunque con questo è soggetto a pubblicità (art. 2343, n. 2); la servitù
non può essere oggetto di cessione autonoma dalla proprietà del fondo cui inerisce (arg.
art. 1027) e pertanto non può essere, come tale, incisa da vincoli di indisponibilità. Per le
partecipazioni sociali, gli artt. 2355 bis e 2469 dettano la disciplina dei limiti al trasferi-
mento delle azioni di società per azioni e delle quote di società a responsabilità limitata.
L’art. 2596 disciplina il patto limitativo della concorrenza.
Dalla verifica delle varie situazioni di inalienabilità convenzionale è possibile inferire
la seguente conclusione: specifiche discipline regolano i divieti di alienazione dei diritti
reali limitati, il divieto di cessione del diritto di credito e le restrizioni delle partecipazio-
ni sociali; ai limiti contrattuali alla concorrenza è dedicata un’autonoma normativa gene-
rale in sede di disciplina della concorrenza e dei consorzi (art. 2596); in tale stato non si
scorge a quale altro tipo di situazione giuridica differente dalla proprietà possa aver ri-
guardo l’art. 1379, tanto più che manca nel codice una disciplina che faccia espresso ri-
ferimento al divieto di alienazione della proprietà, che poi rappresenta l’ipotesi più ri-
corrente. Il riferimento alla proprietà giustifica perché solo l’art. 1379 richieda l’esistenza
e dunque la verifica di un “interesse apprezzabile” al divieto: la considerazione della

49
Riprendo riflessioni che ho svolto anni addietro in un volume dal medesimo titolo, tuttora attuali, peral-
tro suffragate da successivi interventi legislativi.
1074 PARTE VIII – CONTRATTO

proprietà come diritto pieno ed esclusivo impone che sia ricercata e valutata l’utilità alla
indisponibilità. La previsione della efficacia obbligatoria del divieto di alienazione, con
conseguente inopponibilità ai terzi del divieto, se fosse stabilita nell’esclusivo interesse
dei terzi in quanto tali, questi dovrebbero essere costantemente protetti: ed invece sono
sempre protetti quando si rendono acquirenti (del diritto di proprietà) in violazione del
divieto di alienazione ex art. 1379 (indipendentemente se sono in buona o mala fede);
sono protetti solo se in buona fede quando sono cessionari di un diritto di credito ex art.
12602; sono protetti se sono cessionari di un diritto di enfiteusi, ma il cedente non è libe-
rato dai suoi obblighi verso il proprietario; non sono protetti quando, in violazione del
relativo divieto di disposizione contenuto nel titolo soggetto a pubblicità, si rendono ac-
quirenti del diritto di usufrutto (art. 9801); ancora non sono protetti, o almeno non posso-
no opporre l’acquisto alla società, se sono acquirenti di partecipazioni sociali (artt. 2355 bis,
2479, 2530). Se dunque la massima tutela del terzo si esplica solo alla stregua della normati-
va del divieto di alienazione ex art. 1379, è segno che detta tutela (del terzo) non è fine a
se stessa ma si intreccia con la tutela del potere di disposizione del proprietario alienan-
te. La tutela del proprietario e del terzo militano nella medesima direzione di salvaguar-
dia del sistema economico: la limitazione del potere di disposizione del proprietario deve
essere giustificata da un interesse apprezzabile e deve essere contenuta entro convenienti
limiti di tempo.
Emerge una significativa assonanza tra diritti reali limitati e diritto di credito per essere
entrambe le classi di diritti sorrette da una sottostante co-incidenza di posizioni soggettive
rispetto al bene cui ha riguardo il divieto di alienazione (un vero e proprio rapporto giuri-
dico sottostante). I divieti di alienazione di diritti reali limitati (correnti tra proprietario e
titolare del diritto reale limitato) e il divieto di cessione del diritto di credito (corrente tra
debitore e creditore) tendono al soddisfacimento di un interesse, rispettivamente del pro-
prietario e del debitore, funzionalmente connesso al bene cui ha riguardo il divieto. L’os-
servazione si estende ai vincoli operanti all’interno dei gruppi organizzati: i vincoli proven-
gono da atti (statuti, ecc.) che non riflettono interessi singoli o individuali, ma sono ineren-
ti all’attuazione di un interesse “comune” a tutti i partecipi del gruppo, legati da un rap-
porto giuridico sottostante; anche in materia societaria i vincoli alla circolazione delle par-
tecipazioni sociali contenuti nell’atto costitutivo tendono a conservare saldezza e compat-
tezza alla organizzazione sociale (e al suo gruppo di comando) e perciò efficienza all’at-
tività della società 50.
Il dilatarsi poi del fenomeno del c.d. “privato sociale” sta valorizzando gli atti di de-

50
Esistono limiti c.d. oggettivi alla circolazione, previsti tassativamente dalla legge (es. artt. 2343 e 2343
quater), con sicura efficacia reale verso i terzi acquirenti. Quanto ai limiti c.d. soggettivi o convenzionali, che
risultano da apposite clausole statutarie (più comuni clausole di prelazione, di gradimento, di riscatto) (es.
art. 2355), si tende egualmente a ritenere la efficacia reale per l’inserimento delle stesse nell’atto costitutivo o
nello statuto. Diversamente dal passato, sono considerate legittime anche le clausole statutarie di mero gra-
dimento della società quando siano previsti specifici correttivi in ipotesi di mancato gradimento (art. 2355
bis). In una diversa prospettiva vanno collocati i patti parasociali che pongono limiti alla circolazione delle
azioni (c.d. sindacati di blocco). Per non essere contenuti tali limiti nello statuto, in assenza di una normativa
in materia, è diffusa l’opinione della efficacia meramente obbligatoria degli stessi ex art. 1379, con la duplice
conseguenza che, da un lato, i patti risultano vincolanti solo per i soci aderenti, non avendo alcuna efficacia
verso i terzi eventuali acquirenti e verso la società; dall’altro, l’eventuale inadempimento al sindacato di bloc-
co comporta il mero obbligo di risarcimento del danno nei confronti degli altri soci sindacati.
CAP. 6 – EFFICACIA 1075

stinazione; ed è inevitabile che un vincolo di destinazione implichi sempre anche un vin-


colo di indisponibilità, direttamente (quando è espressamente prevista la esclusione di
un singolo atto dispositivo) o indirettamente (non potendo il titolare del diritto disporre
del bene in una guisa che ne comprometta la destinazione). In coerenza con tale variega-
to fenomeno si muove un trend legislativo che tende a ricorrere allo strumento della tra-
scrizione oltre i limiti fissati dal codice civile, al fine di garantire l’attuazione della desti-
nazione anche di fronte ai terzi: l’art. 2645 ter prevede che gli atti di destinazione “pos-
sono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione”
(XIV, 2.9). Sta emergendo un trend normativo di progressiva neutralizzazione della natu-
ra dell’atto adottato e degli effetti prodotti, risultando essenziale l’effetto sostanziale della
pubblicità realizzata ai fini della opponibilità ai terzi. Con analoga prospettiva si muove
la leva pubblica quando, con finanziamenti agevolati, favorisce l’accesso a determinati
beni, imponendo vincoli vari (sebbene temporanei) all’alienazione per evitare abusi ed
aggiramenti degli scopi prefigurati (VIII, 2.20).
In tale contesto la disciplina dei vincoli negoziali all’alienazione tende sempre mag-
giormente a svincolarsi dalla logica della proprietà tradizionale (e del relativo interesse
del proprietario quale titolare del diritto “fondamentale”). La proprietà tende a presen-
tarsi come una situazione giuridica che non interessa esclusivamente il titolare (talvolta
proprietario assenteista), ma riguarda anche altri soggetti (utilizzatori a vario titolo del
bene) ai quali volta a volta l’ordinamento ricollega e riconosce situazioni giuridiche atti-
ve. Più in generale la proprietà è soggetta a tutte le limitazioni derivanti dalla coincidenza
sul bene di concorrenti posizioni soggettive giuridicamente riconosciute e protette. Emer-
ge in primo piano la trama di interessi sottostante alla figura, di per sé incolore, del patto
limitativo del potere di disposizione.
Conseguentemente anche lo spazio di applicazione dell’art. 1379 si restringe, dive-
nendo essenziale la natura dell’interesse perseguito dal promissario: la norma opera
quando il patto di non alienazione tenda a soddisfare un interesse proprio e specifico
del promissario. Quando il patto si inserisce in una trama di interessi coincidenti sul
bene, va verificato se il vincolo realizzi un interesse apprezzabile, in grado di controbi-
lanciare l’effetto negativo della limitazione della libertà contrattuale e perciò della circola-
zione giuridica. In particolare, allorquando il divieto convenzionale di alienazione abbia
alla sua base un concorso di situazioni giuridiche degli autori del patto sul bene, sicché il
divieto stesso si riveli funzionale alla destinazione del bene, l’art. 1379 non trova applica-
zione: si deve in tal caso attingere alla complessità del sistema con una interpretazione
estensiva e/o analogica delle diverse discipline che regolano il divieto di alienazione in pre-
senza di un concorso di situazioni giuridiche sul medesimo bene. All’uopo assume una
fondamentale importanza la natura delle situazioni giuridiche concorrenti sul bene e la ri-
levanza che le stesse rivestono nell’ordinamento. Quando la limitazione convenzionale del
potere di disposizione è funzionalmente collegata alla destinazione del bene oggetto del
divieto, è correlata allo stesso statuto del bene. In materia condominiale, si pensi alla statui-
zione del divieto di alienazione per frazioni dei singoli appartamenti, funzionalmente colle-
gata alla destinazione residenziale dell’edificio: il divieto soddisfa un interesse alla indi-
sponibilità intrinseco alla utilizzazione del bene, cui si riferisce il divieto 51. Nella dimen-

51
Analogo discorso si pone con riferimento ai vincoli circa l’uso dei singoli appartamenti, con conseguente
1076 PARTE VIII – CONTRATTO

sione esistenziale, si pensi al divieto di alienazione di un immobile destinato ad abitazione


di un disabile, volto a soddisfare un interesse favorito dall’ordinamento in quanto riferito
alla tutela della persona umana. In tali ipotesi, inerendo il divieto di disposizione ad im-
mobili, se ne deve consentire la trascrizione e ammettersi la opponibilità ai terzi, anche
alla stregua dell’art. 2645 ter (XIV, 2.11).
b) Con tale ottica va anche colmato il vuoto di disciplina delle altre limitazioni con-
venzionali del potere di disposizione, impiegate nella formazione progressiva del contrat-
to (patto di prelazione, patto di opzione, contratto preliminare) (VIII, 2.22), pur nella spe-
cificità delle singole figure e delle relative funzioni. Per il contratto preliminare è inter-
venuta la specifica soggezione a trascrizione quando è riferito a beni immobili, con
l’efficacia della opponibilità (art. 2645 bis) (XIV, 2.10).

15. Promessa del fatto del terzo e disposizione di beni altrui. – Esistono ipotesi in
cui il contratto riguarda il terzo, non in via immediata come effetto diretto del contratto
(es. il contratto a favore di terzo), e neppure di rimbalzo (es. la vendita dell’immobile lo-
cato), ma solo in modo potenziale o perché è promesso un suo comportamento o perché
si è disposto del suo patrimonio: in entrambe le ipotesi è richiesto l’assenso del terzo.
a) Promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo. Per l’art. 1381 chi ha promesso l’ob-
bligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l’altro contraente se il terzo non si
obbliga o non compie il fatto promesso. In assenza del fatto del terzo il promittente non
è tenuto ad eseguire quanto promesso in luogo del terzo, ma solo al pagamento di una in-
dennità (che potrebbe essere anche preventivamente determinata). Per intanto l’espres-
sione “fatto del terzo” è espressione di ampia previsione del comportamento del terzo,
che racchiude sia un atto giuridico, come l’assunzione di una obbligazione (indicata dal-
la legge) o il compimento di altro atto giuridico, come una condotta materiale 52. Perché
la promessa sia valida, è necessario che anche il fatto promesso sia legittimo 53 (ad es.
un’obbligazione abbia i caratteri del rapporto obbligatorio: VII, 1). Se consiste nella ob-
bligazione, intervenuta l’assunzione della stessa da parte del terzo, il promittente non è
garante della esecuzione della prestazione dovuta dal terzo.
Il contratto ha effetto solo tra le parti, con obbligazione di facere a carico del pro-
mittente, consistente nell’adoperarsi affinché il terzo tenga il comportamento promes-

divieto di locare per un determinato uso: sono vincoli all’autonomia contrattuale funzionali all’attuazione del-
la destinazione del fabbricato. Il godimento di ogni singolo appartamento, in quel contesto ambientale, si po-
ne come punto di incidenza dell’interesse qualificato di tutti i condomini a non vedere compromessa la desti-
nazione concordemente impressa all’edificio.
52
È ad es. ricondotto alla previsione dell’art. 1381 l’obbligo assunto dal venditore di immobile destinato ad
abitazione di fare ottenere al compratore il certificato di abitabilità dell’immobile: trattandosi di un obbligo in-
coercibile, il diniego del Comune di rilascio del certificato comporta l’obbligo del venditore di indennizzare il
compratore (Cass. 12-12-2006, n. 26509).
53
Si è stabilito che la promessa, da parte del venditore di quote sociali, delle dimissioni volontarie di
un dipendente della società, qualora comporti le dimissioni nel periodo compreso tra la richiesta delle pub-
blicazioni di matrimonio e il decorso di un anno dalla celebrazione dello stesso, si configura come promes-
sa del fatto del terzo nulla per contrarietà a norme imperative poste a tutela della donna in osservanza dei
principi costituzionali (art. 37 Cost.), atteso che l’art. 1 L. 1.9.1963, n. 9 (ora art. 35 D.Lgs. 11.4.2006, n.
198) prevede la nullità sia del licenziamento che delle dimissioni volontarie nel periodo di riferimento
(Cass. 10-7-2009, n. 16305).
CAP. 6 – EFFICACIA 1077

so 54. Il mancato comportamento del terzo comporta l’obbligo del promittente di inden-
nizzare il promissario. Se però il promittente è inadempiente alla promessa, in quanto
nulla fa perché si realizzi il fatto del terzo o addirittura concorre perché non si verifichi,
consegue il comune obbligo di risarcimento del danno da inadempimento (art. 1218).
Bisogna anche verificare se il comportamento del terzo fosse dedotto in condizione (so-
spensiva o risolutiva) del contratto: in tal caso il mancato verificarsi dell’avvenimento inci-
derebbe sulla efficacia del contratto (art. 1353).
La promessa può essere assunta per negozio unilaterale come per contratto: in ogni
caso è promesso un obbligo di comportamento del terzo, la cui assunzione non può av-
venire senza il consenso del terzo che vi sarebbe tenuto.
Diverso è il caso in cui il terzo sia già obbligato verso il promissario: in tal caso
l’obbligazione del promittente si atteggia, a seconda delle circostanze, come garanzia fi-
deiussoria o come assunzione del debito altrui 55.
b) Negozi sul patrimonio altrui. Principio logico naturale dovrebbe essere che nessu-
no possa disporre di beni di proprietà altrui (nemo plus iuris in alium transferre potest
quam ipse habet). Per il cod. civ. del 1865, più orientato alla difesa della proprietà, la ven-
dita di cosa altrui era nulla.
Esigenze di certezza del traffico giuridico e legate al funzionamento del mercato han-
no spinto il cod. civ. del 1942 a considerare la vendita di cosa altrui un contratto valido,
sebbene inefficace rispetto al patrimonio del terzo. Per l’art. 1478, dalla vendita di cosa
altrui deriva l’obbligazione del venditore di procurare l’acquisto della cosa al compratore;
il quale diventa automaticamente proprietario nel momento in cui il venditore acquista
la proprietà dal terzo 56. Il trasferimento del diritto si produce senza necessità di un nuo-
vo atto dispositivo, bensì come effetto dell’originario ed unico atto dispositivo di vendi-
ta, causale e traslativo 57 (VIII, 6.7). Anche la concessione di ipoteca su beni altrui è ineffi-

54
È indirizzo giurisprudenziale consolidato che, con la promessa del fatto del terzo, il promittente assume
una prima obbligazione di facere, consistente nell’adoperarsi affinché il terzo tenga il comportamento pro-
messo, onde soddisfare l’interesse del promissario, ed una seconda obbligazione di dare, cioè di corrisponde-
re l’indennizzo nel caso in cui, nonostante si sia adoperato, il terzo si rifiuti di impegnarsi: da ciò consegue che,
qualora l’obbligazione di “facere” non venga adempiuta e l’inesecuzione sia imputabile al promittente, ovvero
venga eseguita in violazione dei doveri di correttezza e buona fede, il promissario avrà a disposizione gli ordi-
nari rimedi contro l’inadempimento, quali la risoluzione del contratto, l’eccezione di inadempimento, l’azione
di adempimento e, qualora sussista il nesso di causalità tra inadempimento ed evento dannoso, il risarcimento
del danno; qualora, invece, il promittente abbia adempiuto a tale obbligazione di “facere” e, ciononostante, il
promissario non ottenga il risultato sperato a causa del rifiuto del terzo, diverrà attuale l’altra obbligazione di
“dare”, in virtù della quale il promittente sarà tenuto a corrispondere l’indennizzo (Cass. 15-7-2004, n.
13105; Cass. 24-1-2003, n. 1137). In tal modo l’indennizzo si atteggia come la garanzia minima dovuta dal
promittente verso il promissario.
55
La promessa di un’obbligazione o di un comportamento materiale da parte di un terzo, contemplata dal-
l’art. 1381, è configurabile quando il terzo non sia già giuridicamente vincolato a tenere il comportamento o
ad assumere l’obbligo oggetto della promessa; nel caso di promessa del terzo ad adempiere ad una sua pre-
gressa obbligazione, l’atto non è inquadrabile nella previsione dell’art. 1381., potendo eventualmente integra-
re gli estremi della fideiussione, a condizione che la promessa medesima assuma i connotati della garanzia del-
l’altrui adempimento (Cass. 25-1-2018, n. 1865).
56
Rimane il problema della opponibilità ai terzi della vendita di cosa altrui. Se il venditore, acquistata la
proprietà, alieni a un terzo e questi trascriva prima che l’acquirente abbia trascritto il suo acquisto, deve rite-
nersi prevalere il terzo. L’acquirente può solo rivalersi sul venditore con azione di danni.
57
Nel preliminare di vendita di cosa altrui, l’obbligo del promittente venditore di procurare l’acquisto
1078 PARTE VIII – CONTRATTO

cace rispetto al terzo: l’iscrizione può essere validamente presa quando la cosa è acqui-
stata dal concedente (art. 2822).
È invece dibattuto se la donazione di cosa altrui sia nulla o solo inefficace, sussistendo
indici normativi in entrambe le direzioni (artt. 769 e 771). Le sezioni unite hanno stabili-
to che la donazione di cosa, in tutto od in parte, altrui (quale è la quota del bene indiviso
di una massa ereditaria da parte del coerede) è nulla per mancanza di causa donandi, sal-
vo che l’alterità del bene sia nota alle parti e risulti dal titolo, traducendosi in una dona-
zione obbligatoria di dare 58.

16. Il conflitto di diritti. L’opponibilità. – Uno specifica prospettiva degli effetti del
contratto nei rapporti con i terzi è quella del conflitto tra diritti incompatibili. Si pensi al-
l’ipotesi in cui un soggetto alieni un bene prima ad un acquirente e successivamente ad
un diverso acquirente: il secondo acquisto è incompatibile con il primo acquisto. E intan-
to entrambi gli acquirenti vantano un titolo di acquisto a proprio favore: c’è incompatibili-
tà di diritti, derivante da incompatibilità di titoli di acquisto.
Un generale principio logico dovrebbe portare ad adottare un criterio temporale, per
cui il soggetto che per primo ha acquistato il diritto (che dunque per primo ha concluso
il contratto) è preferito al secondo acquirente (prior in tempore potior in iure). Vi è anche
un altro principio logico, per cui il titolare di un diritto, alienato lo stesso, non potrebbe
di nuovo alienare il medesimo diritto (o altro incompatibile) a un diverso soggetto, per
non esserne più titolare e avendo quindi consumato il potere di disposizione (nemo plus
iuris ad alium transferre potest quam ipse habet). Ma sono molte le deroghe legali a tali
principi logici, in ragione di più esigenze legate al funzionamento del mercato e allo svi-
luppo economico (la sicurezza del traffico giuridico, la buona fede, l’utilizzazione del be-
ne, ecc.). C’è l’esigenza di dirimere un conflitto tra effetti inconciliabili, con la prevalenza
di uno dei diritti incompatibili considerato legalmente da preferire.
Si è già parlato ampiamente dei criteri di soluzione dei conflitti tra diritti incompati-
bili (II, 4.7) e ancora se ne parlerà trattando della pubblicità (XIV, 1.3), come criteri at-
tributivi di diritti oltre la logica dell’atto di disposizione e spesso in contrasto con la sua
efficacia: la soluzione dei conflitti tra diritti incompatibili si atteggia in vario modo in ra-
gione della natura dei diritti in conflitto e dei meccanismi di conoscibilità delle relative
vicende, in specie dell’esistenza o meno di un regime di pubblicità, con la valorizzazione
degli indici di circolazione giuridica nell’attribuzione dei diritti. Ad es., tra più aventi
causa dal medesimo autore di un diritto reale su un bene immobile, prevale chi per pri-
mo ha trascritto (art. 2644): il primo atto dispositivo non è efficace nei confronti del se-

della proprietà della cosa può essere adempiuto anche mediante vendita diretta della cosa medesima dal
terzo a detto promissario, purché tale trasferimento abbia luogo in conseguenza di una attività svolta dallo
stesso promittente alienante nell’ambito dei suoi rapporti con il proprietario e che quest’ultimo manifesti,
in modo chiaro e inequivoco, la volontà di vendere il bene al promissario acquirente in ragione dell’adem-
pimento degli obblighi assunti nei confronti del promittente venditore (Cass. 10-6-2010, n. 13987; Cass.
27-7-2009, n. 17458).
58
Per la Corte l’altruità del bene non consente di ritenere integrata la causa del contratto di donazione; la
donazione, da parte del coerede, della quota di un bene indiviso compreso in una massa ereditaria è nulla,
non potendosi, prima della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede do-
nante; tuttavia, qualora nell’atto di donazione sia affermato che il donante è consapevole dell’altruità della
cosa, la donazione vale come donazione obbligatoria di dare (Cass., sez. un., 15-3-2016, n. 5068).
CAP. 6 – EFFICACIA 1079

condo acquirente che vanta un titolo di acquisto considerato prevalente, ferma la tutela
contrattuale del primo acquirente verso l’alienante per inadempimento contrattuale (art.
1218); anche il secondo avente causa, legalmente preferito, è tenuto al risarcimento del
danno se in mala fede. Analogamente per la cessione di altri tipi di diritti 59. Con riguar-
do all’esercizio dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (es. l’azione revo-
catoria): l’atto dispositivo del debitore è valido ma inefficace rispetto al creditore vitto-
rioso della revocatoria, che può sottoporre ad esecuzione il bene acquistato dal terzo,
ferma la tutela contrattuale del terzo verso l’alienante per inattuazione del contratto
(VII, 5.7).
In sostanza avviene che un contratto, pure validamente concluso ed efficace tra le parti,
sia considerato dall’ordinamento inefficace nei confronti di determinati terzi (c.d. ineffi-
cacia relativa) in ragione di ulteriori interessi tutelati dall’ordinamento (specificamente
l’art. 2644: gli atti di cui all’art. 2643 “non hanno effetto riguardo ai terzi” che a qualun-
que titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto an-
teriormente alla trascrizione degli atti medesimi). Il fenomeno è indicato con il termine
inopponibilità del contratto ai terzi.
Diversamente si atteggia la posizione degli acquirenti a non domino, non essendo
questi aventi causa dal titolare del diritto: i conflitti sono risolti sul piano sostanziale
con i meccanismi dell’usucapione per i beni immobili (eventualmente decennale se c’è
stata trascrizione) (artt. 1158 ss.) e della regola possesso vale titolo per i beni mobili (art.
1153) (II, 4.7).

59
Tra più aventi causa di diritti reali su beni mobili non registrati, quello tra essi che ne ha acquistato in
buona fede il possesso è preferito agli altri, anche se il suo titolo è di data posteriore (art. 1155).
Tra più aventi causa di diritti personali di godimento relativi alla stessa cosa, il godimento spetta al con-
traente che per primo lo ha conseguito. Se nessuno dei contraenti ha conseguito il godimento, è preferito quel-
lo che ha il titolo di data certa anteriore. Sono comunque salve le norme relative agli effetti della trascrizione
(art. 1380).
Tra più aventi causa del diritto di credito prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che è
stata prima accettata dal debitore con atto di data certa, ancorché essa sia di data posteriore; la stessa regola
vale quando il credito ha formato oggetto di costituzione di usufrutto o di pegno (art. 1265).
In materia societaria, se la quota di società a responsabilità limitata è alienata con successivi contratti a più
persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l’iscrizione nel registro delle imprese è pre-
ferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore (art. 24703).
CAPITOLO 7
ESECUZIONE

Sommario: 1. L’attuazione del risultato programmato. L’esecuzione secondo buona fede. – 2. Modalità
dell’esecuzione. – 3. L’esecuzione dei contratti nell’economia dei servizi. – 4. Misure rafforzative
dell’esecuzione (clausola penale e caparra confirmatoria). – 5. Sopravvenienze e adeguamento del
contratto. – 6. Segue. La rinegoziazione.

1. L’attuazione del risultato programmato. L’esecuzione secondo buona fede. –


Con la conclusione del contratto si producono effetti giuridici determinativi di vicende
che, più spesso, si svolgono nel tempo attraverso un’attività di esecuzione del contratto.
Anche rispetto ai contratti con effetti reali, sebbene il risultato traslativo si realizzi con
la conclusione del contratto (consenso traslativo), tale risultato di regola non esaurisce l’as-
setto di interessi, sussistendo altre determinazioni che devono essere eseguite attraverso il
comportamento delle parti (es. consegna di cosa conforme al contratto, pagamento del
prezzo); peraltro, nel trasferimento di cose di genere, c’è anche l’obbligazione di compiere
l’individuazione per determinare il trasferimento della proprietà (artt. 1376 e 1476).
Esiste un vasto campo di rapporti economici (proprio delle attività di impresa) in cui
il complessivo risultato programmato è realizzabile attraverso un successivo comporta-
mento delle parti. Ad es., con il contratto di appalto, una parte (appaltatore) assume l’ob-
bligazione di compiere un’opera o un servizio, a fronte della obbligazione dell’altra parte
(committente) di un corrispettivo in danaro (art. 1655); con il contratto di trasporto, il
vettore assume l’obbligazione di trasferire persone o cose da un luogo all’altro verso il pa-
gamento del corrispettivo dell’altra parte (passeggero o mittente) (art. 1678). In generale
tutta l’area dei contratti con effetti obbligatori richiede una successiva attività delle parti
per il soddisfacimento delle stesse.
L’esecuzione del contratto è dimensione più ampia dell’adempimento delle obbliga-
zioni dedotte nel contratto. L’esecuzione del contratto certamente comprende l’attuazio-
ne dei rapporti obbligatori volontariamente assunti dalle parti, ma non si esaurisce al-
l’adempimento di questi, potendo dal contratto derivare ulteriori obblighi in via di inte-
grazione del contratto (art. 1374). L’esatta esecuzione del contratto comporta l’attuazio-
ne di tutti gli obblighi inerenti al regolamento contrattuale (previsti dalle parti o imposti
dall’ordinamento). Emerge la rilevanza giuridica della esecuzione del contratto, che ha la
funzione di attuazione del risultato programmato, quando questo (anche solo parzialmen-
te) non è realizzato per effetto del contratto. Proprio in quanto l’esecuzione realizza lo
scopo perseguito dalle parti, la stessa è tenuta presente nella programmazione del risulta-
to perseguito.
CAP. 7 – ESECUZIONE 1081

Non c’è nella legge un’organica normativa sulla esecuzione del contratto, ma fram-
mentari riferimenti alla stessa. Alla esecuzione ha riguardo la normativa sull’adempimen-
to delle obbligazioni (artt. 1176 ss.); richiami sono contenuti in tema di formazione del-
l’accordo (specie art. 1327) e con riguardo al recesso (art. 1373) (tutte normative già in-
contrate e analizzate). La regola specifica sull’esecuzione del contratto è collocata nella
disciplina dedicata agli effetti del contratto, per la fisiologica connessione dell’esecuzione
con l’attuazione degli effetti del contratto. È la fondamentale previsione dell’art. 1375,
secondo cui “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”: norma che concorre
con altre norme a delineare la generale permeabilità della vita del contratto al principio
di buona fede (artt. 1175, 1358, 1366) (VII, 3.3). Il riferimento dell’art. 1375 alla buona
fede è da intendere alla c.d. buona fede oggettiva: le parti, nella esecuzione del contratto,
devono avere un comportamento ispirato ai canoni di lealtà e correttezza, come esplica-
zioni del dovere di solidarietà sociale, dovendo perciò anche salvaguardare la posizione
contrattuale altrui nei limiti di un apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio. Poiché
l’obbligo di buona fede è imposto per legge, assume la forza giuridica di un autonomo
obbligo di legge correlato al regolamento contrattuale, la cui violazione comporta ina-
dempimento del contratto 1 (II, 7.5 e VIII, 5.10). Del principio si è fatta applicazione an-
che nella tutela giudiziaria 2.
La previsione di generali doveri di comportamento orienta l’esecuzione del contratto
in tutti i settori economici 3 e anche nei rapporti con la pubblica amministrazione 4. Nelle
forniture pubbliche la mancata o inesatta esecuzione del contratto è pure sanzionata pe-
nalmente: l’art. 355 c.p. prescrive conseguenze dell’inadempimento del contratto 5, mentre
l’art. 356 c.p. sanziona la frode nelle pubbliche forniture 6. In particolare quest’ultima
norma è stata interpretata dalla giurisprudenza come esplicazione del principio di buona
fede nella esecuzione dei contratti di pubbliche forniture (quale deriva dagli artt. 1175 e
1375 c.c.), in quanto tende a rafforzare la tutela della parte contraente pubblica 7.

1
Opera con criterio di reciprocità e costituisce un dovere giuridico autonomo a carico delle parti contrat-
tuali, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da nor-
me di legge; con la conseguenza che la sua violazione costituisce di per sé inadempimento e può comportare
l’obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato (Cass. 20-1-2022, n. 1825; Cass. 21-1-2014, n. 1179).
2
Le domande aventi a oggetto diversi e distinti diritti di credito relativi a un medesimo rapporto di durata
tra le parti, possono essere proposte in separati processi solo ove l’attore risulti assistito da un oggettivo inte-
resse al frazionamento del credito (Cass. 13-1-2020, n. 337; anche Cass. 13-8-2018, n. 20714; Cass. 6-7-2018,
n. 17893; Cass. 27-7-2018, n. 19898).
3
Cfr. Cass. 20-1-2022, n. 1825, che fa anche riferimento all’art. 119 TUB che impone tale obbligo.
4
La buona fede contrattuale è finalizzata, non solo ad integrare le lacune contrattuali, ma anche a correg-
gere le modalità di attuazione delle previsioni negoziali in contrasto con le regole di condotta della correttez-
za, con la conseguenza che l’esercizio del diritto potestativo secondo modalità confliggenti con il principio di
buona fede integra gli estremi di un abuso del diritto, con conseguente operatività del dell’exceptio doli gene-
ralis per bloccare l’efficacia del potere stesso (Cons. Stato 2-3-2020, n. 1529).
5
L’art. 3551 c.p. punisce chiunque, non adempiendo gli obblighi che gli derivano da un contratto di for-
nitura concluso con lo Stato o con un altro ente pubblico, ovvero con un’impresa esercente servizi pubblici o
di necessità, fa mancare, in tutto o in parte, cose od opere, che siano necessarie a uno stabilimento pubblico o
ad un pubblico servizio.
6
L’art. 3561 c.p. punisce chiunque commette frode nella esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adem-
pimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell’articolo precedente.
7
Il reato di cui all’art. 356 c.p. si realizza in ogni caso in cui sia stato violato il principio della buona fede
1082 PARTE VIII – CONTRATTO

Si è fatta applicazione dell’istituto tedesco della Verwirkung, quale perdita del diritto
per il soggetto che, con una prolungata inerzia, abbia provocato nella controparte il ra-
gionevole affidamento che non avrebbe esercitato un proprio diritto 8.

2. Modalità dell’esecuzione. – Per valutare la correttezza della esecuzione del con-


tratto bisogna avere riguardo alle modalità attuative delle singole attribuzioni delle parti,
espressamente programmate o dovute per legge. È all’uopo possibile delineare più classi
di contratti in funzione di due fondamentali criteri di configurazione dell’esecuzione: il
comportamento attuativo dovuto e il tempo di svolgimento dell’attuazione.
a) Con riguardo al comportamento attuativo della esecuzione, si distingue tra contrat-
ti ad esecuzione istantanea (o unica) e contratti ad esecuzione di durata.
Si ha esecuzione istantanea o unica quando rileva giuridicamente un solo atto e
momento di esecuzione. Vi è un soddisfacimento unitario e istantaneo dell’interesse della
controparte, essendovi in precedenza solo atti preparatori: ad es., l’attribuzione traslativa
(artt. 1376 e 1470); il compimento dell’opera nel contratto di appalto (artt. 1655 e 1665).
Si ha esecuzione di durata quando rileva giuridicamente un comportamento sati-
sfattivo che si protrae nel tempo, con soddisfacimento duraturo dell’interesse della con-
troparte. Il protrarsi nel tempo della esecuzione inerisce alla stessa essenza dell’obbliga-
zione, caratterizzando il contenuto e dunque la misura della prestazione dovuta (es. con-
tratti di locazione e somministrazione): si parla di contratti di durata. A sua volta l’ese-
cuzione di durata può atteggiarsi in duplice modo: quale esecuzione continuata se prose-
gue ininterrottamente nel tempo (es. l’obbligazione del locatore di far godere la cosa al
conduttore); quale esecuzione periodica se si svolge a periodi ciclici (es. l’erogazione di
servizi da ripetersi in determinati periodi dell’anno).
Svolgendosi le prestazioni nel tempo con correlato soddisfacimento del destinatario,
operano alcune significative regole che mirano a non far risentire gli effetti dello sciogli-
mento del contratto rispetto alle prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione. La
inefficacia del contratto a seguito di recesso (art. 13732), di risoluzione (art. 14581), di
avveramento della condizione (art. 13602), non travolge le prestazioni già eseguite. Lo
svolgersi nel tempo del rapporto di durata rende questo soggetto alla disciplina che pro-
gressivamente lo regola 9.

nella esecuzione del contratto, indipendentemente dalla consumazione di raggiri e artifici e dal proposito di
conseguire un indebito profitto dalla esistenza di un comportamento (Cass. pen. 26-7-2004, n. 32512): per
accertare l’esecuzione secondo buona fede, si è avuto riguardo a “modelli” comportamentali: informazione
della ditta appaltatrice su circostanze sopraggiunte non conosciute dalla controparte; tolleranza delle modifi-
che della prestazione di controparte; dovere di ciascuna parte di realizzare l’interesse contrattuale dell’altra.
8
Il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto legittima l’insorgenza dell’affidamento che cia-
scuna parte si comporti rispettando il correlato generale obbligo di solidarietà che impone di agire in modo
da preservare gli interessi dell’altra nel limite reciproco in cui non comporti un apprezzabile sacrificio a suo
carico, comparato con la gravosità imposta sull’altro contraente; l’inerzia del locatore nell’escutere il condut-
tore per ottenerne il pagamento del corrispettivo maturato, protrattasi per un periodo di tempo assai conside-
revole, può ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte del loca-
tore per facta concludentia (Cass. 14-6-2021, n. 16743).
9
Il sopravvenire di nuove norme imperative (ad es. in tema di misura degli interessi e di loro capitalizza-
zione), seppure non può incidere sulla validità dei contratti già conclusi, impedisce tuttavia che tali contratti
producano effetti contrastanti con quanto successivamente prescritto (Cass. 28-10-2005, n. 21080).
CAP. 7 – ESECUZIONE 1083

b) Con riguardo al tempo di attuazione della esecuzione, è possibile distinguere tra


contratti ad esecuzione immediata e contratti ad esecuzione differita.
Si ha esecuzione immediata quando l’esecuzione è contestuale alla conclusione
del contratto: anzi l’esecuzione è sinergica con l’efficacia e rimane da questa assorbita,
per realizzarsi il risultato programmato in virtù del consenso manifestato (es. l’attribu-
zione traslativa nella vendita di cosa determinata).
Si ha esecuzione differita quando l’esecuzione è successiva alla conclusione del
contratto, implicando un comportamento posteriore che attua il risultato programmato.
L’esecuzione differita, però, non coincide con il termine di efficacia del contratto: que-
st’ultimo indica il tempo a decorrere dal quale e/o fino al quale il contratto produce ef-
fetti; invece l’esecuzione differita indica il termine di esigibilità della prestazione. Ad es.,
in un contratto di vendita di cosa determinata, si stabilisce che la consegna e il pagamen-
to del prezzo avverranno a novanta giorni dalla conclusione del contratto (l’effetto reale
è immediato, mentre l’esecuzione delle obbligazioni è differita).

3. L’esecuzione dei contratti nell’economia dei servizi. – Con lo sviluppo della


produzione e distribuzione di massa e l’avvento di una economia dei servizi sta progres-
sivamente assumendo rilevanza la esecuzione del contratto, per realizzarsi il risultato
programmato sempre maggiormente mediante il comportamento delle parti.
Con le nuove tecnologie sono accresciuti interessi ed utilità che non si appuntano su
cose (e dunque verso un dare o consegnare), ma tendono a conseguire entità smaterializ-
zate (es. servizi telefonici, banche dati, collegamenti internet, ecc.). L’esecuzione di tali
contratti di regola si svolge attraverso un fare rivolto a procurare un risultato che solo
raramente si concretizza in una cosa o in una modalità della cosa: più spesso l’esecuzione
è tesa a realizzare un fatto quale fonte di utilità per la controparte (talvolta i servizi sono
anche procurati per via telematica). I contratti di erogazione di servizi sono tutti ad ese-
cuzione differita rispetto al contratto, per comportare necessariamente un successivo com-
portamento in grado di procurare le utilità programmate. Più spesso i contratti di eroga-
zione di servizi sono contratti di durata per procurare al creditore un soddisfacimento
duraturo del suo interesse. Consegue che la inesatta erogazione di servizi non si presta a
essere tutelata con i meccanismi che assistono la tutela inerente alle cose: il servizio si
esaurisce con il suo svolgimento e non è restituibile come lo sono le cose.
Anche con riguardo ai contratti traslativi, c’è da osservare una progressiva correlazio-
ne della collocazione delle cose con la esecuzione di servizi: ciò specie con riguardo a
prodotti che implicano l’impiego di tecnologie o che devono essere trasferiti tra piazze
diverse. Nell’attuale stadio dei sistemi produttivi l’utilizzazione delle cose è sempre più
assicurata o addirittura resa possibile dalla esplicazione di operazioni aggiuntive che ne
consentono il collocamento e/o il funzionamento e che sul piano giuridico si traducono
in altrettanti obblighi in capo all’alienante. Ad es., nelle vendite di macchinari, acquista-
no sempre maggiore rilevanza le determinazioni relative a installazione, manutenzione,
assistenza, ecc. (c.d. servizi post-vendita), siccome in grado di consentire l’utilizzazione
della cosa. Significativamente la normativa sulla vendita dei beni di consumo (artt. 128 ss.
cod. cons.), nel disciplinare alcuni aspetti della vendita e delle garanzie concernenti i be-
ni di consumo, equipara al contratto di vendita i contratti di somministrazione e di permu-
ta, nonché quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla
1084 PARTE VIII – CONTRATTO

fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre ed equipara la “imperfetta instal-


lazione” del bene a un difetto di conformità dello stesso (art. 1295 cod. cons.).
Nella realtà economica il dato legislativo finisce con l’essere ribaltato: i c.d. rapporti
secondari sono quasi sempre principali. Il trasferimento della proprietà della cosa venduta
(attuato dal consenso traslativo) interagisce con l’attuazione delle operazioni aggiuntive
(realizzata dall’esecuzione dei connessi rapporti obbligatori), sia in funzione della utiliz-
zazione del bene sia in ragione degli impegni finanziari implicati: la programmazione di
entrambi i profili (traslativo e obbligatorio) è in grado di rappresentare alle parti l’effetti-
vo impegno finanziario complessivo, sì da consentire una valutazione di convenienza
dell’affare. Conseguentemente la esecuzione del contratto non può essere declinata se-
condo le articolazioni della vicenda traslativa, ma deve essere riguardata in funzione del
complessivo risultato programmato.
Nelle ipotesi in cui l’esecuzione del contratto coinvolge più operazioni affidate a sog-
getti diversi c’è la tendenza alla unificazione del centro di imputazione di obblighi e respon-
sabilità, al fine di razionalizzare l’impegno finanziario richiesto complessivamente dall’af-
fare, sia in relazione al costo del bene che con riguardo all’attività esecutiva implicata e al
regime dei rischi.

4. Misure rafforzative dell’esecuzione (clausola penale e caparra confirmatoria). –


Quando l’esecuzione del contratto è legata ad un successivo comportamento delle parti,
c’è l’esigenza di stimolare il comportamento esecutivo perché il risultato programmato
sia attuato. È principio generale che il creditore, il quale chieda il risarcimento del danno
per inadempimento o inesatto adempimento della controparte, debba fornire la prova
del danno subito (del nesso causale rispetto all’inadempimento come della misura degli
stessi). È notorio che tale prova è spesso laboriosa e non agevole, sia per la natura della
prestazione sia per il tempo trascorso dall’inadempimento. Per di più i tempi notoria-
mente lunghi del processo, correlati al costo dello stesso, trattengono dall’intraprendere
una procedura giudiziaria (specie per questioni di valore modesto).
La legge appresta due meccanismi che disincentivano dall’inadempimento in quanto
consentono una tutela agevole e spedita della parte interessata: sono le misure rafforzative
della esecuzione del contratto (clausola penale e caparra confirmatoria), che le parti pos-
sono inserire nel contratto.
Rispetto ad entrambe le ipotesi, sia l’inadempimento che l’inesatto adempimento vanno
valutati secondo le comuni regole sull’inadempimento del contratto: anzitutto, la manca-
ta prestazione dovuta deve integrare un inadempimento imputabile al debitore e non es-
sere di scarsa importanza relativamente al creditore; inoltre è necessario che l’inadempi-
mento non sia giustificato da un correlato inadempimento, secondo il meccanismo del-
l’eccezione di inadempimento; alla parte che invoca l’inadempimento della controparte è
sufficiente allegare l’altrui inadempimento 10 (VII, 4.2): è la parte che lo contrasta che

10
Il contraente che vuole esercitare il diritto di recesso ex art. 1385 c.c. non deve essere a sua volta inadem-
piente; l’indagine circa il suo inadempimento deve avvenire tenendo conto del valore della parte dell’obbliga-
zione non adempiuta rispetto al tutto, sulla base di un criterio di proporzionalità (Cass. 16-5-2019, n. 13241).
In ipotesi di inadempimenti reciproci, come di regola, il giudice è tenuto ad una valutazione comparativa del
comportamento di entrambi i contraenti al fine di stabilire quale di essi abbia fatto venire meno l’interesse
dell’altro al mantenimento del negozio (Cass. 8-8-2019, n. 21209; Cass. 10-5-2019, n. 12549).
CAP. 7 – ESECUZIONE 1085

deve fornire la prova di avere esattamente eseguito il contratto ovvero della impossibilità
della prestazione per causa ad essa non imputabile.
a) Clausola penale. Con la clausola penale si conviene che, in caso d’inadempimento
o di inesatto adempimento (comprensivo del ritardo nell’adempimento) 11, il soggetto ina-
dempiente è tenuto a una “determinata prestazione” (evidentemente possibile e lecita) 12,
non necessariamente fissata in una somma di danaro come emerge dalla generale previ-
sione normativa. La consapevolezza della prestazione dovuta per l’inadempimento sti-
molerà la parte cui è riferita la clausola penale (o entrambe le parti se è riferita ad en-
trambe) ad esattamente eseguire il contratto. È dibattuta la natura della clausola penale,
se risarcitoria (normale obbligazione) o afflittiva (pena privata): il chiaro riferimento del-
l’art. 1382 al risarcimento del danno fa propendere per la prima qualificazione, con la
funzione di liquidazione anticipata del danno, esonerando il soggetto danneggiato
dalla prova del danno subito (art. 13822). La previsione ha l’effetto di limitare il risarci-
mento dovuto alla prestazione indicata nella clausola stessa, ma è possibile convenire la
risarcibilità del danno ulteriore (art. 13821) 13.
È sancito il divieto di cumulo: il creditore non può domandare insieme la prestazione
principale e la penale, se questa non è stata stipulata per il semplice ritardo (art. 1383) 14;
nelle obbligazioni di durata si applica ai soli inadempimenti maturati 15.
La penale, da meccanismo di rafforzamento della esecuzione, non può però mutarsi in
ragione di ingiusto guadagno. È previsto l’intervento equitativo del giudice per la riduzione
della penale, secondo un criterio di integrazione equitativa più volte presente nel codice
(artt. 1374, 1526): la penale può essere diminuita equamente dal giudice, sia quando ri-
sulti manifestamente eccessiva la misura originaria della stessa, sia quando la stessa si rive-
li successivamente esorbitante 16, anche a seguito dell’adempimento parziale del contratto,

11
Connotato essenziale della clausola penale è la sua connessione con l’inadempimento colpevole di una
delle parti e, pertanto, essa non è configurabile allorché la relativa pattuizione sia collegata all’avverarsi di un
fatto fortuito o, comunque, non imputabile all’obbligato, costituendo, in tale ultima ipotesi, una condizione o
clausola atipica che può essere introdotta dall’autonomia contrattuale delle parti, ma resta inidonea a produr-
re gli effetti specifici stabiliti dal legislatore per la clausola penale (Cass. 23-5-2019, n. 13956). È giurispru-
denza costante che, anche in presenza di clausola penale, la responsabilità del debitore è esclusa, non solo nel
caso in cui l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione derivi da causa a lui non impu-
tabile, ma anche quando, in virtù dell’exceptio inadimpleti contractus, esso sia determinato dall’inadempimen-
to della controparte (Cass. 1-8-2003, n. 11748).
12
Si ricorderà il lavoro teatrale di Shakespeare “Il mercante di Venezia” dove, in occasione del mutuo ac-
cordato dall’ebreo al mercante, è pattuita come clausola penale per la mancata restituzione del danaro il pre-
lievo di una libbra di carne dal corpo del mutuatario.
13
Quando è prevista la risarcibilità del danno ulteriore, la clausola penale costituisce solo una liquidazio-
ne anticipata del danno destinata a rimanere assorbita, nel caso di prova di ulteriori e maggiori danni, nella
liquidazione complessiva di questi (Cass. 22-6-2016, n. 12956).
14
La penale stabilita per l’inadempimento è ontologicamente diversa da quella pattuita per il semplice ri-
tardo, posto che quest’ultima, per espressa previsione di legge, concorre con l’adempimento dell’obbligazione
– cui è collegata – in quanto avvenuto, benché in ritardo; di conseguenza è necessaria un’apposita pattuizione
per ciascuno dei due tipi di penale, posto che la funzione della stessa risulta essere la preventiva forfetizzazio-
ne del ristoro del danno in relazione alla puntuale ipotesi prevista dalle parti e, cioè, o per il ritardo o per
l’inadempimento (Cass. 3-9-2019, n. 22050; Cass. 31-10-2018, n. 27994).
15
Nelle obbligazioni di durata assistite da una clausola penale, il divieto di cumulo non si applica alle pre-
stazioni non ancora maturate, non coperte dalla penale, giacché, in caso contrario, il debitore potrebbe sot-
trarsi all’obbligazione attraverso il proprio inadempimento (Cass. 13-3-2018, n. 6015).
16
La valutazione della eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, nonché
1086 PARTE VIII – CONTRATTO

avuto sempre riguardo all’interesse che il contraente ha all’adempimento (art. 1384). Nei
contratti dei consumatori è presunta vessatoria la clausola che impone al consumatore, in
caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di
danaro (a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente) d’importo mani-
festamente eccessivo (art. 331, lett. f, cod. cons.).
Da tempo è dibattuto se il potere di riduzione della penale conferito al giudice dall’art.
1384 possa essere esercitato di ufficio dal giudice o solo su domanda o eccezione della
parte tenuta al pagamento: il quesito è stato risolto dalle sezioni unite nel senso del rico-
noscimento di un potere di ufficio di riduzione della penale 17; soluzione non andata esen-
te da critiche per l’intervento autoritativo del giudice nel contratto, pertanto applicata in
modo diversificato dalla giurisprudenza 18.
La clausola penale si presta ad operare come negozio in frode alla legge per elusione
del divieto dell’art. 1229, pattuendosi una prestazione irrisoria rispetto al danno conse-
guente all’inadempimento. Ricorrendo gli estremi della frode, ai sensi dell’art. 1344, la
clausola va considerata nulla per illiceità della causa 19 e il creditore può esercitare le co-
muni azioni contrattuali.
b) Caparra confirmatoria. La caparra confirmatoria tende a rafforzare la serietà del-
l’impegno con il versamento anticipato che una parte fa all’altra di una somma di dana-
ro o di una quantità di altre cose fungibili 20 al momento della conclusione del contrat-

della misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, opera indipendentemente da una rigida ed
esclusiva correlazione con l’effettiva entità del danno subito (Cass. 17731/2015, 7180/2012, 11748/2003);
ed anzi tenendo conto dell’interesse del creditore non solo con esclusivo riguardo al momento della stipu-
lazione della clausola, ma “anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente ese-
guita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano appli-
cazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui all’art. 2 Cost., artt. 1175 e 1375 c.c., con-
formativi dell’istituto della riduzione equitativa” (Cass. 11908/2020); perciò il giudice del merito è tenuto ad
esplicitare le ragioni di fatto e di diritto che lo hanno condotto a ritenere eccessiva la penale pattuita fra le
parti (Cass. 4-11-2021, n. 31835).
17
La Suprema Corte, sul rilievo che l’art. 1384 non prevede la necessità dell’impulso di parte e facendo
applicazione del dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi, oltre che del principio di buona fede ogget-
tiva, ha stabilito che la penale fissata dalle parti può essere r i d o t t a d ’ u f f i c i o , anche in assenza di specifica
domanda del debitore; e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento al-
l’ipotesi in cui l’obbligazione principale è stata in parte eseguita (Cass., sez. un., 13-9-2005, n. 18128; Cass.
10-1-2008, n. 246). Il giudice del merito, anche in assenza di istanza di parte, può ridurre l’entità della clauso-
la penale, nell’esercizio del potere previsto dall’art. 1384; qualora non sia stato sollecitato in tale senso, non è
obbligato a motivare sul mancato esercizio di tale potere (Cass. 3-6-2014, n. 12408).
18
Il potere di riduzione della penale ad equità può essere esercitato d’ufficio, ma l’esercizio di tale potere
è subordinato all’assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze
rilevanti per la valutazione dell’eccessività della penale, che deve risultare ex actis, ossia dal materiale proba-
torio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d’ufficio (Cass. 19-12-2019, n.
34021; Cass. 4-10-2013, n. 22747; Cass. 25-1-2011, n. 1739). Per Cass. 16-12-2019, n. 33159, il potere officio-
so di riduzione della penale è esercitabile anche se le parti ne abbiano convenuto l’irriducibilità, trattandosi di
potere funzionale a un interesse generale dell’ordinamento.
19
La clausola penale, la cui funzione tipica è quella di liquidare e limitare preventivamente il danno, non
può mai costituire strumento per consentire al debitore di eludere la sua responsabilità; quest’ultimo, pur in
presenza della preventiva determinazione convenzionale del danno risarcibile, è tenuto sempre a rispondere
integralmente per dolo o colpa grave (Cass. 30-6-2021, n. 18549; Cass. 10-7-1996, n. 6298).
20
La caparra confirmatoria può essere costituita mediante la consegna di un assegno bancario, perfezio-
nandosi l’effetto proprio di essa al momento della riscossione della somma recata dall’assegno e, dunque, sal-
CAP. 7 – ESECUZIONE 1087

to 21 (art. 13851). In caso di adempimento, la caparra deve essere restituita o imputata alla
prestazione dovuta, non svolgendo alcuna funzione. È in previsione dell’inadempimento
che la caparra confirmatoria (come del resto la clausola penale) svolge la funzione pro-
pria di rafforzamento dell’esecuzione, quale liquidazione anticipata del danno 22.
Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra parte può recedere dal con-
tratto, ritenendo la caparra a titolo di risarcimento danni; se inadempiente è la parte che
l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra versata,
sempre a titolo di risarcimento danni (art. 13852) 23. Essenziale è che sussistano i presup-
posti dell’inadempimento e non ricorrano inadempimenti reciproci 24. Per la complessa
funzione svolta non può essere ridotta dal giudice 25. Il diritto di recesso rappresenta un
possibile mezzo di composizione della questione in caso di inadempimento: è un mezzo
alternativo di autotutela rispetto ai comuni rimedi contro l’inadempimento, di cui il sog-
getto può sempre avvalersi 26. È un recesso in autotutela, di cui si è parlato con riguardo

vo buon fine, con onere del prenditore del titolo, dopo averne accettato la consegna, di porlo all’incasso. Il
comportamento del prenditore che ometta di incassare l’assegno e lo trattenga comunque presso di sé è con-
trario a correttezza e buona fede e tale da determinare l’insorgenza a suo carico degli obblighi propri della
caparra, a partire da quello costituito dall’impossibilità di dedurre il mancato incasso quale inadempimento
della controparte dell’obbligo di versare l’intera somma pattuita quale caparra confirmatoria (Cass. 31-32022,
n. 10366); il prenditore, ove risulti inadempiente all’obbligazione cui la caparra si riferisce, sarà tenuto al pa-
gamento di una somma pari al doppio di quella indicata nell’assegno (Cass. 17-12-2019, n. 33428). Analoga-
mente il mancato incasso dell’assegno consegnato a titolo di caparra dal promissario acquirente non autorizza
il promittente alienante a non stipulare il contratto definitivo. Il comportamento di mancato incasso dell’asse-
gno ricevuto deve essere equiparato, a tutti gli effetti di legge, all’avvenuta esecuzione della diversa prestazio-
ne, con conseguente estinzione dell’obbligazione ex art. 1197 per dazione in pagamento (Cass. 12079/2007).
21
Le parti possono differirne la dazione, in tutto od in parte, ad un momento successivo, purché anteriore
alla scadenza delle obbligazioni pattuite (Cass. 6-2-2013, n. 2832).
22
La caparra confirmatoria assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimen-
to; qualora si preferisca agire per la risoluzione o l’esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del dan-
no dovrà essere provato nell’an e nel quantum (Cass. 22-3-2011, n. 6555).
23
È legittimo il recesso quando l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza avuto ri-
guardo all’interesse del recedente, e non è onere della parte adempiente provare anche il danno nell’an e nel
quantum debeatur (Cass. 27-10-2017, n. 25623). È dibattuta la sorte di una caparra di valore sproporzionato;
la Corte cost. (sent. 2-4-2014, n. 77; 24-10-2013, n. 248). avalla la giurisprudenza di legittimità, secondo cui
l’art. 2 Cost. (relativo al dovere inderogabile di solidarietà) entra direttamente nel contratto, unitamente con il
canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, con conseguente rilevabilità ex officio della nullità del-
la clausola, in caso di contrasto, ai sensi dell’art. 1418 c.c.
24
Il contraente che vuole esercitare il diritto di recesso ex art. 1385 c.c. non deve essere a sua volta ina-
dempiente; l’indagine circa il suo inadempimento deve avvenire tenendo conto del valore della parte dell’ob-
bligazione non adempiuta rispetto al tutto, sulla base di un criterio di proporzionalità (Cass. 16-5-2019, n.
13241). In ipotesi di inadempimenti reciproci, come di regola, il giudice è tenuto ad una valutazione compa-
rativa del comportamento di entrambi i contraenti al fine di stabilire quale di essi abbia fatto venire meno
l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio (Cass. 8-8-2019, n. 21209; Cass. 10-5-2019, n. 12549).
25
Il potere del giudice di ridurre la penale, previsto dall’art. 1384, non può essere esercitato per la caparra
confirmatoria, sia a ragione del carattere eccezionale della norma in questione, che ne preclude l’applicazione
analogica, sia per le differenze strutturali tra i due istituti, in quanto la caparra pur assolvendo, come la clau-
sola penale, alla funzione di liquidare preventivamente il danno da inadempimento, svolge l’ulteriore funzio-
ne di anticipato parziale pagamento per l’ipotesi di adempimento (Cass. 25-8-2020, n. 17715). La Corte cost.,
in via incidentale, ha ritenuto che una caparra confirmatoria ritenuta (eccessivamente) onerosa possa porsi in
contrasto con i principi di buona fede contrattuale e di solidarietà sociale ex art. 2 Cost. e, pertanto, possa
essere ritenuta nulla, parzialmente ovvero integralmente, ai sensi dell’art. 1418 c.c. (sent. 2-4-2014, n. 77).
26
Il recesso di cui all’art. 13852 costituisce uno speciale strumento di risoluzione di diritto del contratto,
1088 PARTE VIII – CONTRATTO

alla efficacia del contratto e ancora si parlerà (VIII, 10.6): è un rimedio, di agevole e
spedito esperimento, che consente di conseguire lo scioglimento del contratto senza il ri-
corso all’apparato giudiziario (se non, in caso di contestazione, per l’accertamento dell’ina-
dempimento e del corretto esercizio del rimedio).
Se la parte non inadempiente preferisce domandare l’esecuzione o la risoluzione del
contratto (art. 13852), può sempre farlo in via ordinaria ricorrendo all’autorità giudizia-
ria; come può chiedere il risarcimento del danno, secondo le regole generali (artt. 1453,
1455): ha l’onere sia di allegare l’inadempimento della controparte, che di provare l’am-
montare del danno subito. In tal caso la caparra perde la sua funzione e va restituita; può
però essere conteggiata nella determinazione della eventuale somma che l’inadempiente
deve restituire ovvero nella eventuale somma che è tenuto a corrispondere a titolo di risar-
cimento danni 27. Con una interpretazione analogica dell’art. 14532 può applicarsi la pre-
clusione del mutamento di domanda prevista per la risoluzione: il recesso può essere eser-
citato anche quando è stata promossa domanda di adempimento, mentre non può chieder-
si l’adempimento quando è stato esercitato il recesso (VIII, 10.12). La tematica attraversa
anche il percorso processuale 28.
In sostanza la legge accorda al soggetto non inadempiente due distinte tutele: quella
specifica del recesso, con la ritenzione della caparra (o esigibilità del doppio di quella

collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria, analogo a quelli previsti dagli artt. 1454, 1456 e 1457
c.c., che ha in comune con la risoluzione giudiziale non solo i presupposti (l’inadempimento di non scarsa
importanza della controparte), ma anche le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto);
l’azione finalizzata all’accertamento della legittimità del suddetto recesso da un contratto con più parti deve
essere esperita, similmente a quella di risoluzione giudiziale, nei confronti di tutti i contraenti, quali litiscon-
sorti necessari, poiché un contratto unico non può divenire inefficace per alcuni dei soggetti che vi hanno
partecipato e rimanere in vita per altri (Cass. 31-1-2019, n. 2969; già Cass., sez. un., 553/2009).
27
Per la Relaz. cod. civ., n. 633, la caparra funziona come garanzia per il recupero dei danni che saranno
attribuiti in sede di risoluzione del contratto o, in caso di condanna ad eseguirlo, per la mora verificatasi. Per
la giurisprudenza, qualora, anziché recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi
ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio, la restituzione della caparra è ricol-
legabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venire meno della cau-
sa della corresponsione, giacché, in tale ipotesi, essa perde la suindicata funzione di limitazione forfettaria e
predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto e la parte che
allega di avere subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione al contratto od in esecu-
zione del medesimo, ha diritto anche al risarcimento dell’integrale danno subito, se e nei limiti in cui riesce a
provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale degli artt. 1453 ss. (Cass. 27-3-2019, n. 8571).
Non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, a fronte
di una richiesta di restituzione del doppio della caparra indebitamente cumulata con una domanda di risolu-
zione per inadempimento di un preliminare e conseguente risarcimento del danno, condanni la parte ina-
dempiente alla restituzione di detta caparra, trattandosi del riconoscimento di un bene della vita omogeneo,
seppure ridimensionato, rispetto a quanto ab initio richiesto e non sussistendo più alcun titolo della contro-
parte a trattenere la somma versata (Cass. 8-5-2018, n. 11012; Cass. 6-6-2017, n. 14014).
28
Qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il ri-
sarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la decla-
ratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo all’incom-
patibilità strutturale e funzionale tra i due mezzi di tutela: la funzione della caparra, consistendo in una liqui-
dazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risul-
terebbe frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare un’azione risarcitoria per ottenere un ristoro pa-
trimoniale più cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che
vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non
corrispondano alle sue aspettative (Cass., sez. un., 14-1-2009, n. 553; Cass. 10-10-2011, n. 20798).
CAP. 7 – ESECUZIONE 1089

versata); quella generale della risoluzione o esecuzione del contratto, con il risarcimento
del danno.
Diversa natura hanno la caparra penitenziale e la multa penitenziale, le quali hanno la
funzione di corrispettivo del recesso di pentimento, senza alcun riguardo al verificarsi di
un inadempimento del contratto (artt. 1386 e 13733) (delle quali si è parlato: VIII, 6.3).
Diverso ancora è il c.d. deposito cauzionale, che ha la funzione di garantire un even-
tuale obbligo del cauzionante verso la controparte in relazione all’esecuzione del contrat-
to (es. il deposito cauzionale del conduttore ex art. 10 L. 27.7.1978, n. 392) 29.

5. Sopravvenienze e adeguamento del contratto. – Quando la esecuzione del con-


tratto avvenga dopo la sua conclusione possono sopravvenire circostanze nuove. Duran-
te lo svolgimento del rapporto contrattuale possono sopraggiungere fatti nuovi rispetto a
quelli esistenti e tenuti presenti dalle parti al momento della conclusione del contratto,
che alterano l’originario equilibrio contrattuale a danno di una delle parti. Il problema
riguarda in particolare i c.d. contratti di durata e quelli ad esecuzione differita (di cui si è
detto): si pensi ai contratti di somministrazione, appalto, assicurazione, locazione; si
pensi anche a situazioni di procedimentalità nella formazione del regolamento contrat-
tuale, come il sopravvenire di circostanze nuove tra il contratto preliminare e quello de-
finitivo, tra la proposta irrevocabile o il patto di opzione e il contratto finale. In tali ipo-
tesi il fattore tempo acquista rilevanza nella esecuzione del contratto, per sopravvenire
circostanze che mutano l’originario assetto di interessi, sì da reclamare un adeguamento
del contratto: evidentemente il rischio delle sopravvenienze è maggiore quanto più lungo
è il lasso di tempo che corre tra la conclusione e la esecuzione del contratto ovvero ri-
spetto allo svolgimento del procedimento contrattuale.
Esigenze etiche, prima ancora che giuridiche, hanno da sempre attraversato tale pro-
blematica. Sul piano giuridico si sono tradizionalmente fronteggiate due opposte esigen-
ze: da un lato, la impegnatività degli accordi conclusi, espressa dal principio pacta sunt
servanda , che implica il rispetto del contratto; dall’altra, la valutazione del contesto in
cui il contratto è concluso, espressa dalla clausola rebus sic stantibus, che si conside-
ra come presupposta da ogni contratto sì da consentire un nuovo apprezzamento dell’as-
setto di interessi con il sopravvenire di fatti nuovi rispetto al contesto originario del con-
tratto. Di certo il principio del rispetto del vincolo contrattuale ha la funzione di fissare
certezze e assecondare affidamenti circa le operazioni economiche intraprese e così sti-
molare le attività economiche; però un diffuso senso di giustizia ha da tempo condotto ad
erodere la ferrea applicazione di tale regola, prospettando il problema dell’allocazione e
della gestione del rischio delle sopravvenienze contrattuali non imputabili ad alcuna delle
parti, non risultando equo scaricarle tutte e per intero su uno dei contraenti, secondo
astratti criteri formali.
Il problema era meno avvertito in passato, generalmente caratterizzato da una eco-
nomia delle cose, dove lo scambio aveva ad oggetto cose che normalmente erano già pre-
senti al momento della conclusione del contratto: peraltro, in virtù del consenso traslati-
vo, la proprietà delle cose determinate passava in proprietà dell’acquirente per effetto e
al momento del contratto. Già da tempo però è emersa l’esigenza di adeguamento dei

29
È criterio acquisito (Cass. 20-12-2005, n. 28234).
1090 PARTE VIII – CONTRATTO

contratti per prestazioni che si protraggono nel tempo (come tipicamente i contratti di
appalti). L’emergere progressivo di contratti di impresa, specie in una economia dei servi-
zi, ha comportato che l’oggetto dello scambio sia da realizzare successivamente alla con-
clusione del contratto e spesso protratto nel tempo.
Si prospettano all’uopo tre possibilità di rilevanza delle sopravvenienze, che reclamano
un adeguamento del contratto, a seconda che sia la legge a regolare il fenomeno, ovvero
che siano le parti a prevederlo, o che non ricorra alcuna delle due ipotesi.
a) L’ipotesi più agevole è quella delle sopravvenienze regolate dalla legge, rispetto alle
quali la legge stessa appresta i relativi rimedi (c.d. sopravvenienze tipiche ).
Come si vedrà (VIII, 10), con riguardo ai contratti con prestazioni corrispettive, il codi-
ce civile disciplina due generali modelli di sopravvenienze non imputabili alle parti che in-
cidono sul rapporto sinallagmatico di corrispettività tra le stesse: la sopravvenuta impossi-
bilità della prestazione per causa non imputabile al debitore (artt. 1463 ss.) e la sopravve-
nuta eccessiva onerosità della prestazione di una delle parti (artt. 1467 ss.). Per ciascuna
delle due figure è apprestato un rimedio risolutivo-distruttivo del contratto (c.d. estintivo),
comportante la inefficacia del rapporto contrattuale; talvolta tale rimedio è evitabile con
un rimedio manutentivo (c.d. conservativo) di mantenimento del rapporto contrattuale
con la ricostituzione dell’equilibrio originario: nell’ipotesi di impossibilità parziale, l’altra
parte ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione dovuta (art. 1464); nel-
l’ipotesi di eccessiva onerosità, la controparte può evitarla offrendo di modificare equa-
mente le condizioni del contratto (art. 14673); nell’ipotesi di contratto con obbligazioni di
una sola parte, questa può chiedere una riduzione della sua prestazione ovvero una modi-
fica delle modalità di esecuzione sufficienti per ricondurla ad equità (art. 1468). Nell’ipo-
tesi di mutamento nelle condizioni patrimoniali di un contraente è consento alla contro-
parte di sospendere la esecuzione della propria prestazione in autotutela (art. 1461).
Anche leggi speciali apprestano meccanismi di rilevanza delle sopravvenienze, che
implicano un adeguamento del contratto. Nella dimensione personale, ad es., in materia
di separazione e divorzio, la previsione di un criterio di adeguamento automatico del-
l’assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione della moneta (art. 57 l. div.).
Relativamente a singoli contratti, ad es., con riguardo all’affitto, per modificazioni so-
pravvenute del rapporto contrattuale (art. 1623) (IX, 4.4); in tema di appalto, per il veri-
ficarsi di onerosità o difficoltà dell’esecuzione (art. 1664) (IX, 2.2); rispetto all’assicura-
zione, per diminuzione del rischio (art. 1897) (IX, 3.5).
b) Le sopravvenienze possono essere convenzionalmente previste dalle parti nel con-
tratto, così da realizzare una gestione concordata dell’adeguamento contrattuale.
Per intanto è possibile rimettere a terzi o al sopravvenire di singole circostanze la de-
terminazione di alcuni profili del contratto ancora ignoti al momento della stipula (c.d.
clausole di completamento) (VIII, 3.3): ad es. le parti possono ancorare il prezzo di vendi-
ta di un prodotto ad un listino prezzi di successiva pubblicazione.
Possono essere introdotti criteri di adeguamento automatico dell’ammontare di una
prestazione col variare di alcuni indici o parametri (c.d. clausole di adeguamento). Con
particolare riguardo alle obbligazioni pecuniarie è consentito alle parti introdurre clau-
sole che, derogando al principio legale nominalistico (art. 1277), prevedono che il paga-
mento debba essere eseguito con moneta avente “valore intrinseco” (art. 1280), così anco-
rando l’ammontare della somma dovuta a determinati indici, quali il costo della vita accer-
tato dall’Istat o il prezzo di specifici prodotti (ad es. il petrolio) (VII, 1.16).
CAP. 7 – ESECUZIONE 1091

Talvolta poi le parti consentono a ciascuna di esse di variare il contenuto o l’oggetto


della prestazione con il sopraggiungere di determinati fenomeni (c.d. ius variandi). È la
ipotesi più delicata perché non àncora la variazione a precisi parametri oggettivi di ade-
guamento automatico: perciò spesso è la legge stessa a fissare dei limiti a tale potere 30. In
assenza di limiti legali, vi è profonda incertezza circa la validità di tali clausole per la in-
determinatezza che si realizza del contenuto contrattuale: si richiede una previsione par-
ticolareggiata delle sopravvenienze considerate e dei criteri di adeguamento ammessi. Si
tende di recente ad ammetterne la validità invocandosi l’obbligo di buona fede nella ese-
cuzione del contratto (art. 1375).
Altro è il problema (già affrontato) della presupposizione che vale a ricostruire il con-
tenuto del contratto sulla scorta delle circostanze (coeve o anteriori alla stipula) presup-
poste dai contraenti (VIII, 3.11).

6. Segue. La rinegoziazione. – La rinegoziazione è un mezzo di gestione delle so-


pravvenienze in assenza di previsione (legale o convenzionale) dell’adeguamento del
contratto (c.d. sopravvenienze atipiche): quando cioè, per un verso, non sussistono criteri
preventivi di regolazione delle sopravvenienze (legali o convenzionali); per altro verso,
operano solo rimedi legali demolitori del contratto e la parte svantaggiata non intende
avvalersi degli stessi, in quanto ha interesse alla conservazione ed esecuzione, vuoi per
non perdere il bene negoziato, vuoi perché la restituzione di quanto prestato non copri-
rebbe gli investimenti compiuti per l’esecuzione del contratto. In tutti tali casi c’è l’e-
sigenza di colmare lo svantaggio conseguente alle sopravvenute circostanze, con l’ade-
guamento del rapporto contrattuale all’originario equilibrio sinallagmatico, così da man-
tenere in vita il rapporto modificato. È peraltro nel potere delle parti prefigurare le so-
pravvenienze e prevedere la sopportazione del rischio a carico di entrambe le parti o di
una sola di esse 31.
Nell’esperienza del commercio internazionale è diffuso l’inserimento nei testi contrat-
tuali di clausole di “rinegoziazione”, per essere frequenti sopravvenienze che alterano l’ori-
ginario equilibrio economico (basti pensare ai mutamenti delle singole normative naziona-
li, alle oscillanti quotazioni dei prezzi di singoli prodotti e dei noli dei trasporti, ecc.): e ciò
anche in ragione dei forti investimenti che spesso i contratti internazionali comportano ov-
vero della complessità delle operazioni economiche in cui sono inseriti. In tale contesto as-
sume un ruolo fondamentale la gestione del rischio delle circostanze sopravvenute.
È da rilevare che le parti, come possono con mutuo consenso risolvere il contratto
(art. 1372), così possono in ogni momento modificarlo, rinegoziandolo convenzional-
mente, in presenza o meno di sopravvenienze: dove c’è il più, c’è il meno. Il problema

30
Ad es., la revisione del prezzo di vendita di pacchetto turistico è ammessa quando sia espressamente pre-
vista dal contratto, che definisce i parametri di riferimento, le entità di aumento del prezzo e le modalità di
applicazione e i diritti del viaggiatore (artt. 39 ss. cod. tur.).
31
In un contratto commutativo, con la prefigurazione del rischio di sopravvenienze, le parti modificano lo
schema tipico del contratto rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l’effetto di escludere, nel caso di verifi-
cazione di tali sopravvenienze, l’applicabilità dei meccanismi riequilibratori previsti nell’ordinaria disciplina
del contratto (artt. 1467 e 1664); l’assunzione del rischio supplementare può anche risultare per implicito dal
regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro
obbligazioni (Cass. 4-2-2021, n. 2622).
1092 PARTE VIII – CONTRATTO

evidentemente si pone quando, al verificarsi di sopravvenienze, una delle parti chieda la


rinegoziazione e l’altra parte, ancorandosi al vincolo dell’accordo contrattuale, non vo-
glia addivenire a tale soluzione.
Di recente, sulla scorta dell’esperienza tedesca 32 e di progetti di un diritto europeo dei
contratti 33, si tende ad offrire rilevanza giuridica alle sopravvenienze non previste dalla
legge o dalle parti – ovvero (come si è visto) previste in modo molto generico o con generi-
ca previsione dei criteri di esercizio dello ius variandi –, quando le stesse in qualche modo
alterino l’originario equilibrio economico-giuridico del programma negoziale (hardship). Si
invoca l’applicazione del principio di buona fede oggettiva, quale clausola generale che im-
pone il dovere di lealtà e correttezza nella esecuzione del contratto (art. 1375); tanto più a
seguito della riconduzione di tale dovere a quello di solidarietà (ex art. 2 Cost.); si ha anche
riguardo alla buona fede integrativa ai sensi dell’art. 1374 (VIII, 5.10). In tal guisa si tende
a privilegiare i rimedi manutentivi del contratto su quelli demolitori, favorendo la conser-
vazione del contratto, nell’assetto coerente all’originario equilibrio economico. Deve trat-
tarsi di avvenimenti, non solo sopravvenuti, ma anche imprevisti e imprevedibili, non po-
tendosi scaricare sulla controparte la eventuale negligenza nella verifica delle circostanze al
momento della stipula, palesemente suscettibili di evoluzione, e meno che mai degli errori
compiuti nella valutazione delle stesse, tranne che tali deficienze non integrino specifici vi-
zi del consenso.
Le leggi speciali apprestano specifici meccanismi di rilevanza delle sopravvenienze, con
imposizione dell’obbligo di adeguamento del contratto. Ad es., con l’art. 3 D.L. 27.5.2008,
n. 93 (conv. con L. 24.7.2008, n. 126), è stata prevista la rinegoziazione dei mutui a tasso
variabile stipulati per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell’abitazione prin-
cipale (c.d. prima casa). Nella legislazione amministrativa, il D.Lgs. 18.4.2016, n. 50, pre-
vede la modifica di contratti pubblici durante il periodo di efficacia in presenza di speci-
fiche circostanze (art. 106) 34.

32
Per il § 313 BGB “Se le circostanze che sono diventate il fondamento del contratto sono notevolmente
mutate dopo la conclusione del contratto, e le parti non avrebbero concluso il contratto o lo avrebbero concluso
con un contenuto diverso se avessero previsto questi mutamenti, può pretendersi l’adeguamento del contratto,
qualora tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, in particolare della distribuzione contrattuale e
legale dei rischi, da una delle parti non possa pretendersi il mantenimento del contratto non modificato”. A tale
ipotesi è parificata quella in cui le rappresentazioni essenziali che sono diventate fondamento del contratto si
rivelano false. Se non è possibile un adeguamento del contratto o esso non sia pretendibile da una delle parti, la
parte svantaggiata può recedere dal contratto. Nei rapporti obbligatori di durata, al posto del diritto di recesso
subentra il diritto di disdetta. La disciplina si lega al generale principio del § 242, secondo cui il debitore è obbli-
gato ad eseguire la prestazione come lo richiede la buona fede, tenuto conto degli usi del traffico giuridico.
33
Previsioni di un diritto di rinegoziazione e di poteri accordati al giudice di manutenzione del contratto
sono contenute nei “Principi” Unidroit dell’Istituto internazionale per il diritto privato (art. 6.2.3), nei “Prin-
cipi di diritto europeo dei contratti” redatti dalla Commissione Lando (art. 6.111), nel “Codice europeo dei
contratti”, redatto dall’Accademia dei giusprivatisti europei, coordinata da Gandolfi (art. 177); ampia disci-
plina nel Draft Common Frame of Reference del diritto contrattuale europeo.
34
La rinegoziazione successiva all’aggiudicazione di un elemento essenziale del contratto si presta all’aggi-
ramento delle procedure di evidenza pubblica nella selezione dei contraenti, cui è tenuta la pubblica ammini-
strazione: incontra perciò i limiti derivanti dal rispetto dei doveri di buon andamento, imparzialità e rispetto
della concorrenza. Per dare luogo alla rinegoziazione bisogna essere in presenza di avvenimenti sopravvenuti
in grado di alterare l’originario equilibrio contrattuale e specificamente indicati. Ciò spiega come, fuori dei
contratti di durata, si è negata la possibilità di modificare le condizioni contrattuali di affidamento di un ser-
vizio o di una fornitura o della realizzazione di un’opera, sia prima che dopo l’aggiudicazione, perché in ogni
CAP. 7 – ESECUZIONE 1093

In ipotesi di diniego di rinegoziazione del contratto pure in presenza di sopravve-


nienze impreviste, si pone il problema del tipo di tutela possibile 35. Alla parte svantag-
giata che non voglia avvalersi della risoluzione contrattuale, perché ha interesse al man-
tenimento del contratto adeguato, si prospettano più strade.
Per intanto, iniziata una trattativa di rinegoziazione, la parte che interrompe ingiusti-
ficatamente la trattativa va incontro alla comune responsabilità precontrattuale ex art.
1337. La parte svantaggiata può avvalersi del comune rimedio di buona fede in più di-
rezioni. Può attivare i rimedi di autotutela, con la proposizione delle eccezioni ex artt.
1460 e 1461 (salva la verifica giudiziale dei relativi presupposti e della legittimità dell’eser-
cizio: VIII, 10.3) per inadempimento dell’obbligo di buona fede dalla controparte: in tal
caso è però paralizzata l’attuazione del contratto, che resta dilazionata nel tempo, mentre
la parte svantaggiata potrebbe volere tempestivamente eseguito.
La parte interessata alla esecuzione del contratto adeguato può rivolgersi al giudice
per un intervento manutentivo del contratto, in ragione dell’inadempimento della con-
troparte dell’obbligo di buona fede di rinegoziazione del contratto. In tale ipotesi non
può però ammettersi che il giudice possa riscrivere il contratto in sostituzione delle parti,
perché resterebbe violato il generale principio di autonomia dei privati. In applicazione
del principio di buona fede, si può ammettere un intervento giudiziario sostitutivo della
rinegoziazione quando l’adeguamento del contratto è reso possibile attraverso l’ancorag-
gio a parametri oggettivi, rispetto al cui impiego non si prospettano ipotesi plurime di
scelta. In tal senso un appiglio potrebbe provenire dall’art. 2932 dove l’esecuzione speci-
fica dell’obbligo a contrarre rappresenta un significativo referente di obbligo di negoziazio-
ne (VIII, 2.23); anche se nella specie non si tratta di concludere il contratto (definitivo)
programmato ma uno modificato, con l’esigenza perciò di una preventiva determinazio-
ne del nuovo equilibrio contrattuale.
Quando l’autonomia privata è suscettibile di dispiegarsi in più direzioni, il giudice,
verificata l’insorgenza di sopravvenienze, può solo valutare se il comportamento della
parte ostativo alla rinegoziazione sia o meno conforme a buona fede, sanzionando con il
risarcimento del danno l’inadempimento dell’obbligo di rinegoziazione con l’applicazio-
ne degli artt. 1175 e 1375. Può assumere lo squilibrio contrattuale sopravvenuto, non
modificato in dispregio del principio di buona fede, quale ragione di cessata meritevo-
lezza dell’atto di autonomia privata, che dunque perde di validità.
Un problema specifico si pone con riguardo alle sopravvenienze relative a contratti
stipulati con il meccanismo della predisposizione unilaterale. La standardizzazione contrat-
tuale corrisponde ad una fondamentale esigenza di efficienza economica (di produzione
e distribuzione di massa): considerata lecita la stipulazione base, non vi è ragione per
non ammettere la tecnica della predisposizione anche con riferimento alla rinegoziazio-

caso non vi è capacità di agire dell’ente in tal senso ed inoltre vi è palese violazione delle regole di concorren-
za e di parità di condizioni tra i partecipanti alle gare pubbliche, in quanto la modifica del corrispettivo ri-
chiesto o di altri elementi significativi del contratto, sia in aumento che in diminuzione, muta le condizioni di
fatto su cui si sono fondate le offerte (Cons. Stato 18-1-2006, n. 126).
35
Si avanza da alcuni il ricorso all’art. 2932 come strumento di esecuzione degli obblighi a contrarre. Ma
è una strada impraticabile, in quanto non si tratta di concludere il contratto (definitivo) programmato ma uno
modificato; e così si ritorna al problema fondamentale dei limiti del sindacato del giudice e del suo potere sosti-
tutivo (VIII, 1.5).
1094 PARTE VIII – CONTRATTO

ne, con l’ammissione di un ius variandi; con la peculiarità che la rinegoziazione proposta
dal predisponente va incontro al comune controllo di vessatorietà operante per la prima
stipulazione. La parte svantaggiata dall’intervenuto squilibrio contrattuale ha diritto all’a-
deguamento del contratto mediante la rinegoziazione: quando una parte (aderente o
predisponente) si rifiuta di partecipare alla iniziativa di rinegoziazione della controparte
per l’adeguamento del contratto si ripropongono i percorsi innanzi articolati quali rime-
di della parte svantaggiata.
Un problema si è posto circa la validità di un patto di esclusione della rinegoziazione
anche in presenza di sopravvenienze imprevedibili: si tende a considerare tale patto nul-
lo per violazione del principio di buona fede.
Il tema è stato oggetto di riflessione nella esperienza della pandemia da Covid-19 do-
ve la paralisi socio-economica ha compromesso l’equilibrio delle prestazioni contrattuali.
È stata articolata una disciplina di riequilibrio contrattuale 36, ed anche la Cassazione si è
mossa nella medesima direzione 37. Inoltre, per l’art. 91 D.L. 17.3.2020, n. 18, conv. con
L. 24.4.2020, n. 27, il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutato ai fini
dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità
del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali con-
nesse a ritardati o omessi adempimenti. Si pensi solo ai contratti di locazione ad uso di-
verso, con esercizi commerciali obbligatoriamente chiusi e i conduttori formalmente te-
nuti al pagamento dei canoni di locazione: la giurisprudenza di merito ha ammesso il
conduttore a chiedere giudizialmente una equa riduzione del canone di locazione affin-
ché il contratto sia ricondotto ad equità 38. Sono interventi che possono valere come rife-
rimenti per la elaborazione di una figura generale di adeguamento contrattuale, rispetto-
so del principio di buona fede.

36
In particolare, il D.L. 24.8.2021, n. 118, conv. con. modif. con L. 21.10.2021, n. 147, nell’introdurre una
procedura di composizione negoziata di crisi d’impresa con la nomina di un esperto indipendente, prevede:
L’esperto può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione
continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per
effetto della pandemia da SARS-CoV-2; in mancanza di accordo, su domanda dell’imprenditore, il tribunale,
acquisito il parere dell’esperto e tenuto conto delle ragioni dell’altro contraente, può rideterminare equamen-
te le condizioni del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicu-
rare la continuità aziendale; se accoglie la domanda il tribunale assicura l’equilibrio tra le prestazioni anche
stabilendo la corresponsione di un indennizzo; le disposizioni non si applicano alle prestazioni oggetto di
contratti di lavoro dipendente (art. 102).
37
Significativa è la Relazione n. 56/2020 del Massimario della Corte di cassazione che, alla stregua delle
imprevedibili sopravvenienze legate al Covid, inviata alla rinegoziazione secondo buona fede ex art. 1375.
38
Cfr. Trib. Bari, sez. II, 9-6-2020; Trib. Torino 25-6-2021; Trib. Milano 28-6-2021, n. 4651; contra, Trib.
Roma 8-11-2021, n. 17419; Trib. Palermo 9-6-2021, n. 2435.
CAPITOLO 8
SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA

Sommario: 1. Sostituzione nella cura degli interessi. – A) RAPPRESENTANZA. – 2. Gestione e rappresen-


tanza. – 3. La procura. – 4. Il negozio concluso dal rappresentante. – 5. L’abuso di potere (conflitto
d’interessi). – 6. Il difetto di potere (rappresentanza senza potere). – 7. La rappresentanza apparen-
te. – B) ALTRE FIGURE. – 8. Contratto per persona da nominare. – 9. Contratto per conto di chi
spetta. – 10. Gestione di affari altrui (cenni e rinvio).

1. Sostituzione nella cura degli interessi. – Non è sempre possibile curare perso-
nalmente tutti i propri interessi, specie nell’esplicazione dell’attività economica. Talvolta
è sufficiente avvalersi di mere collaborazioni, talaltra si rende indispensabile farsi sostituire
da altri soggetti. Spesso poi c’è la necessità della sostituzione perché il titolare dell’interesse
è incapace di agire. La vita delle relazioni sociali ed economiche è così contraddistinta dal
frequente ricorso alla sostituzione nell’attività giuridica: si delinea una dissociazione tra l’au-
tore formale dell’atto compiuto e il titolare materiale dell’interesse realizzato (VIII, 2.1),
sicché il soggetto che agisce giuridicamente (c.d. sostituto o gestore) soddisfa un interesse
non proprio ma di altro soggetto interessato (c.d. sostituito o gerito).
Tratto comune della sostituzione nell’attività giuridica è la cura dell’interesse del sosti-
tuito, che ne incarna il profilo sostanziale, operando il sostituto per conto altrui (c.d. rap-
porto gestorio).
Di sovente, a tale dato di carattere sostanziale di cura dell’interesse altrui, se ne accom-
pagna un altro, di carattere formale, di spendita del nome altrui, indirizzandosi gli effetti del
contratto concluso verso il soggetto interessato e dunque di incidere senz’altro la sfera giu-
ridica del soggetto sostituito (c.d. rapporto rappresentativo): è il fenomeno specifico della
rappresentanza in senso tecnico, con il quale ad un soggetto è conferito il potere rappresen-
tativo di altro soggetto, sicché il rappresentante agisce per conto e nel nome altrui.
L’attività sostitutiva è variamente giustificata: può essere svolta quale funzione, in ot-
temperanza di un obbligo di legge, come ad es. la responsabilità genitoriale; può essere
compiuta in attuazione del conferimento di un incarico del soggetto interessato, ad es. in
virtù di contratto di mandato; addirittura può essere tenuta per iniziativa dello stesso ge-
store, come la gestione di affari altrui (XI, 1.6).
Non per tutti gli atti è consentita la sostituzione. Relativamente ad alcuni atti che at-
tengono alla dimensione esistenziale del soggetto, la legge richiede che siano compiuti per-
sonalmente (c.d. atti personalissimi): ad es. molti negozi familiari 1. Con riguardo agli in-

1
Il matrimonio per procura è ammesso per ricorrere la figura del nuncius (art. 111) (V, 2.5).
1096 PARTE VIII – CONTRATTO

capaci, la rappresentanza nell’esercizio dei diritti personalissimi è ammessa in ristretti limi-


ti, previa autorizzazione del giudice tutelare 2.

A) RAPPRESENTANZA
2. Gestione e rappresentanza. – Sono due forme di osservazione della sostituzione 3,
nella prospettiva della gestione quale regolamento di interessi tra sostituito e sostituto, e
nella prospettiva della rappresentanza quale legittimazione a spendere il nome altrui; sal-
vo il sovrapporsi dei due ordini di osservazione, quando il gestore agisca anche come
rappresentante.
a) Gestione. È la cura dell’interesse altrui. Quando il gestore si limita a curare l’in-
teresse altrui, realizza una interposizione reale di persona, per cui un soggetto agisce nel-
l’interesse altrui ma in nome proprio. Il contratto concluso dal gestore produce
effetti nella sfera giuridica del gestore stesso: in virtù del rapporto gestorio che lega il ge-
store al soggetto interessato, il gestore è obbligato a riversare gli effetti del contratto dal-
la sua sfera giuridica in quella del soggetto interessato (gerito). Si parla di rappresen-
tanza indiretta o impropria.
Figura emblematica è il mandato, quale più diffuso contratto regolatore del rapporto
gestorio e figura di generale riferimento dell’agire nell’interesse altrui 4: a tale figura è dedi-
cata una nutrita normativa (artt. 1703 ss.) (ampiamente IX, 3.2). Nella ipotesi di mandato
senza rappresentanza, il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume
gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscen-
za del mandato: i terzi non hanno alcun rapporto col mandante, il quale può però, sosti-
tuendosi al mandatario, esercitare i diritti di credito derivanti dal mandato (art. 1705) 5.

2
Secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 357 e 414 c.c., all’interdetto è con-
sentito, per il tramite del rappresentante legale, il compimento anche di atti personalissimi, come la presenta-
zione della domanda di separazione personale (a meno che, come nel caso dell’art. 85 c.c.), non gli siano espres-
samente vietati), ben potendo l’esercizio del corrispondente diritto rendersi necessario per assicurare la sua
adeguata protezione; la designazione di un curatore speciale è necessaria solo nel caso di conflitto di interessi
tra il tutore ed il rappresentato (Cass. 6-6-2018, n. 14669).
3
La ricostruzione teorica del divario tra gestione dell’interesse altrui e rappresentanza di soggetti è stata
notoriamente svolta intorno a due essenziali direttrici concettuali, del mandato e della procura, in ragione
della dinamica degli effetti del contratto concluso dal gestore. Secondo una impostazione diffusa, le due figu-
re esprimono categorie distinte e autonome, per consentire il mandato di attribuire al mandante i risultati so-
stanziali dell’affare concluso in nome proprio dal mandatario, e permettere la procura la deviazione formale degli
effetti dell’atto concluso in capo al rappresentato. Secondo una diversa impostazione le due figure integrano sot-
totipi di una unitaria categoria concettuale di sostituzione, come altrettanti modelli di sostituzione nell’agire,
anche qualificati come rappresentanza indiretta e diretta Tradizionalmente si sono fronteggiate due imposta-
zioni: una c.d. formalistica (Betti, Messineo), che lega la rappresentanza alla spendita del nome altrui, legitti-
mata dal previo conferimento (per legge o per volontà dell’interessato) del corrispondente potere rappresenta-
tivo; un’altra c.d. sostanzialistica (specialmente Pugliatti), che radica la rappresentanza nella gestione dell’inte-
resse altrui e nel corrispondente sottostante rapporto.
4
Anche il conto corrente bancario o di corrispondenza, costituisce un negozio giuridico atipico dominato dalle
regole del mandato, in quanto la banca assume l’incarico di compiere. nei limiti della sua organizzazione, pa-
gamenti o riscossioni di somme per conto del cliente e secondo le sue istruzioni; la disponibilità del conto
può essere costituita con versamenti di somme o con accrediti sul conto, o anche con intervento da parte del-
la banca, la quale può dar corso ad ordini di pagamento con fondi propri (Cass. 30-1-2017, n. 2226).
5
Cfr. Cass. 26-5-2020, n. 9704. Nel cod. civ. del 1865 non sussisteva una disciplina della rappresentanza
CAP. 8 – SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA 1097

Quando i beni acquistati dal mandatario sono immobili o mobili registrati, funziona
pienamente il criterio sopra delineato, per l’operare del sistema di pubblicità: in virtù
dell’acquisto compiuto, il mandatario ne acquista la proprietà ed è obbligato a ritrasfe-
rirla al mandante 6. In caso d’inadempimento, si osservano le norme relative all’esecu-
zione specifica dell’obbligo di concludere un contratto (art. 17062) (regole già incontrate
con riferimento al contratto preliminare, per l’inadempimento dell’obbligazione di stipula-
re il contratto definitivo): il mandante può ottenere una sentenza costitutiva che produce
gli effetti del contratto non concluso (art. 2932). La trascrizione della domanda di esecu-
zione in forma specifica vale a rendere il diritto del mandante prevalente rispetto a trascri-
zioni o iscrizioni eseguite da terzi contro il mandatario dopo la trascrizione della domanda
(art. 2652, n. 2).
Quando la gestione dell’interesse altrui involge altri beni, al mandante sono accordati
rimedi di tutela diretta del suo interesse, al fine di fare propri i rapporti derivanti dal con-
tratto, anche in assenza di spendita del suo nome, così attenuandosi il divario sopra indi-
cato tra i due modelli di sostituzione, come specificamente si vedrà trattando del manda-
to (IX, 3.2). Il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal man-
datario che ha agito in nome proprio, salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del pos-
sesso di buona fede (art. 17061). Inoltre il mandante, sostituendosi al mandatario, può
esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, salvo che ciò possa
pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario (art. 17052) 7. Una tutela diretta del man-
dante verso il terzo si giustifica in considerazione del fatto che è dello stesso mandante
l’interesse sostanziale in gioco nella operazione economica gestita dal mandatario. Pro-
prio tale tutela diretta del mandante giustifica il consueto impiego della formula “rap-
presentanza indiretta” in assenza di procura.
Al mandante è accordata la possibilità di opposizione all’azione dei creditori del manda-
tario di aggressione quando, trattandosi di beni immobili o di beni mobili iscritti in pub-
blici registri, la trascrizione dell’atto di ritrasferimento o della domanda giudiziale diretta a
conseguirlo sia anteriore al pignoramento (art. 1707); trattandosi di beni mobili e di crediti
acquistati dal mandatario per conto del mandante, il mandato abbia data certa anteriore al
pignoramento.

autonoma da quella del mandato: ciò vale anche a giustificare l’applicazione in generale alla rappresentanza
delle norme dettate per il mandato. Con il cod. civ. del 1942 la disciplina della rappresentanza è stata distac-
cata dalla sede del mandato perché la rappresentanza può afferire a rapporti diversi dal mandato: società,
rapporto di lavoro, potestà, ecc. (Relaz. cod. civ., n. 634).
6
L’esigenza del doppio trasferimento è ricondotta dalla Relaz. cod. civ., n. 713, all’operare della pubblici-
tà: non si può pensare di far trascrivere al nome del mandante un acquisto fatto in proprio nome dal manda-
tario; le esigenze di tutela dei terzi e la necessità di non apportare deroghe all’istituto della trascrizione, fon-
damentale per la certezza dei rapporti, hanno indotto a richiedere un nuovo autonomo atto di trasferimento
dal mandatario al mandante.
7
Le norme in tema di mandato senza rappresentanza debbono essere interpretate nel senso che esse det-
tano una regola generale, secondo la quale il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli
atti compiuti con i terzi, i quali non hanno alcun rapporto con il mandante; devono considerarsi eccezionali
quelle disposizioni che, in deroga a tale regola, stabiliscano una sorte diversa, imperniata sulla reclamabilità
del diritto da parte del mandante: l’espressione diritti di credito di cui all’art. 17052 c.c. va rigorosamente cir-
coscritta all’esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, con conseguente esclusione della possibi-
lità di esperire, contro il terzo, le azioni contrattuali poste a tutela degli stessi, quali annullamento, risoluzio-
ne, rescissione e risarcimento (Cass., sez. un., 8-10-2008, n. 24772).
1098 PARTE VIII – CONTRATTO

Una significativa figura gestoria è il mand ato fiduciario con il quale il fiduciante
incarica un soggetto (più spesso una società fiduciaria) di amministrare propri beni (im-
mobili e/o partecipazioni societarie), attraverso una interposizione fiduciaria che può
essere formale, con mera intestazione in capo al fiduciario 8, o reale con effettivo trasfe-
rimento del diritto in capo al fiduciario, in ogni caso dietro pagamento di commissione.
Quando si realizza il trasferimento della titolarità del diritto al fiduciario, con obbliga-
zione di ritrasferimento, si integra un contratto fiduciario in senso stretto (di cui innanzi:
VIII, 3.16).
b) Rappresentanza. È la spendita del nome altrui (c.d. contemplatio domini). Il
termine “rappresentare” indica letteralmente rendere presente all’atto il soggetto interessa-
to: il rappresentante, non solo deve curare l’interesse del soggetto rappresentato, ma an-
che renderlo presente. Si realizza una gestione qualificata dell’interesse altrui per agire il
gestore, non solo per conto altrui, ma anche in nome altrui. In tal guisa, alla qua-
lifica di gestore dell’interesse altrui si aggiunge quella di rappresentante del soggetto
interessato. La spendita del nome vale a imputare l’interesse gestito in capo ad un sog-
getto diverso dal soggetto agente (che ha esercitato l’agire rappresentativo), così ren-
dendo nota l’alienità dell’interesse gestito. Nella ipotesi di mandato con rappresentanza
(quando cioè al mandatario è stato conferito anche il potere di agire in nome del man-
dante), si applica la disciplina sulla rappresentanza (art. 1704): perciò gli effetti contrat-
tuali si producono direttamente nella sfera giuridica del soggetto sostituito (ad un tempo
mandante e rappresentato): alla qualifica di soggetto gerito si connette quella di rap-
presentato. Si parla di rappresentanza diretta o propria.
Il rappresentante è solo parte formale del negozio rappresentativo; la parte sostan-
ziale è il soggetto interessato: il negozio concluso dal rappresentante (c.d. negozio rap-
presentativo) produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato (art. 1388), sicché
questi assume immediatamente la titolarità dei rapporti derivanti dal contratto stesso 9.
Ad es., l’acquisto di un bene in nome e per conto altrui comporta che gli effetti del con-
tratto di vendita si producano direttamente tra il venditore ed il soggetto rappresentato
(compratore), per cui in capo allo stesso rappresentato si realizza il trasferimento della
proprietà acquistata e nasce l’obbligazione di pagamento del prezzo 10.
Il rappresentante elabora la volontà negoziale e la dichiara, su istruzioni del soggetto
rappresentato nel cui interesse è esercitato il potere rappresentativo. Ad es. è conferito al
rappresentante il potere di acquistare un appartamento con alcune caratteristiche in una
specifica città in una determinata zona ad un prezzo non superiore ad una data soglia;
oppure di vendere un appartamento ad un prezzo non inferiore ad una data somma: sta
al rappresentante ricercare e individuare l’affare che risponda alle generali indicazioni
ricevute dal rappresentato. In tale logica, si vedrà, milita la disciplina dei vizi della volon-

8
Nella società fiduciaria, i fiducianti vanno identificati come gli effettivi proprietari dei beni affidati alla
società fiduciaria ed a questa strumentalmente intestati; pertanto gli stessi sono dotati di una tutela di caratte-
re reale azionabile in via diretta ed immediata nei confronti della fiduciaria (Cass. 21-5-1999, n. 4943).
9
Non è esclusa una responsabilità extracontrattuale per fatto illecito del rappresentante nei confronti del ter-
zo quando il fatto generatore della responsabilità sia riconducibile soltanto al rappresentante (Cass. 24-9-1999,
n. 10493).
10
Il rappresentante può essere autorizzato tanto a compiere atti in nome del rappresentato (c.d. rappresen-
tanza attiva), quanto a ricevere dichiarazioni o prestazioni in nome del rappresentato (c.d. rappresentanza passiva).
CAP. 8 – SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA 1099

tà e degli stati soggettivi relativamente al negozio concluso dal rappresentante (artt. 1390
e 1391).
Fonti della rappresentanza sono la legge o la volontà dell’interessato (art. 1387).
La rappresentanza legale indica una investitura di funzione rappresentativa dispo-
sta dalla legge: il potere rappresentativo si configura come una potestà che il soggetto
investito dell’ufficio è vincolato ad esercitare per il perseguimento di interessi altrui (in-
dividuali o della generalità), perciò sotto il controllo dell’autorità giudiziaria che ne veri-
fica il corretto assolvimento. Tale è ad es. la rappresentanza dei genitori rispetto ai figli
minori, per gli atti che li riguardano (artt. 320 ss.) (IV, 1.7); la rappresentanza del tutore
rispetto agli incapaci (artt. 374 ss.) (IV, 1.9). Proprio per la peculiarità della rappresen-
tanza legale, preordinata alla realizzazione di interessi di particolare natura, la relativa
disciplina è contenuta nelle singole sedi dove sono regolati gli specifici rapporti. Si è det-
to innanzi del divario tra rappresentanza legale e assistenza legale (IV, 1.13).
La rappresentanza volontaria indica un’attribuzione di potere rappresentativo da
parte di un soggetto interessato mediante la procura: l’agire in nome altrui è funzionale
alla realizzazione dell’interesse altrui, è lo strumento tecnico-giuridico con il quale im-
mediatamente si realizza l’interesse altrui. La disciplina degli artt. 1387 ss. è essenzial-
mente organizzata in vista della rappresentanza volontaria; è applicabile alla rappresen-
tanza legale solo in quanto risulti compatibile con gli scopi perseguiti da questa.
Una figura complessa è la c.d. rappresentanza organica, che si svolge con riguar-
do agli enti (associazioni, fondazioni, società), con la funzione di esprimere all’esterno la
volontà dell’ente, quale si è formata nella vita interna attraverso le delibere degli organi
istituzionali (IV, 3.1); ad es. il potere rappresentativo esercitato dagli amministratori nel-
la stipula di contratti dell’ente con terzi. È la legge a regolare i modi di formazione e di
esternazione della volontà degli enti e fissare le responsabilità degli amministratori;
sono poi i componenti l’ente ad articolare statuto e modelli organizzativi, nei limiti fis-
sati dalla legge 11. E ciò, sia nelle organizzazioni senza scopo di lucro 12, che in quelle con
scopo di lucro 13 (IV, 3.6). Speciali forme di rappresentanza nelle imprese agricole e
commerciali sono regolate dal libro V del codice civile (art. 1400).

11
L’art. 1388 che attribuisce effetto nei confronti del rappresentato al contratto concluso in suo nome dal
rappresentante, se costui si è mantenuto nei limiti delle facoltà conferitegli, trova applicazione anche nel caso
di rappresentanza organica, poiché è nell’essenza dell’uno come dell’altro istituto che un soggetto debba risen-
tire nella propria sfera giuridica le conseguenze dell’operato altrui esclusivamente nei limiti in cui lo abbia
consentito (Cass. 7-6-2000, n. 7724).
12
Per le associazioni riconosciute e fondazioni la rappresentanza è degli amministratori, salve le limitazio-
ni del potere di rappresentanza debitamente pubblicizzate (artt. 18 e 19).
13
Ad es., nelle società in nome collettivo, l’atto costitutivo deve indicare i soci che hanno l’amministrazio-
ne e la rappresentanza della società (art. 2295, n. 3); nelle società per azioni la rappresentanza della società
spetta, istituzionalmente, agli amministratori, dovendo peraltro l’atto costitutivo indicare a quali tra essi è confe-
rita (art. 2328, n. 9). Anche nell’ipotesi di rappresentanza sociale è necessaria la contemplatio domini, onde, se
il rappresentante di una società non ne spende il nome, il negozio dallo stesso concluso non spiega effetti nei
confronti della società medesima, sia nelle società di persone (Cass. 7-11-2013, n. 25104), che nelle società
di capitali (Cass. 13-2-2013, n. 3501); v. anche Cass. 30-3-2000, n. 3903; Cass. 7-6-2000, n. 7724. Quando l’at-
tività di gestione di una società dotata di personalità giuridica è affidata ad un consiglio di amministrazione,
si verifica (a differenza del caso dell’amministratore unico) una separazione del potere deliberativo, diretto a
formare la volontà dell’ente, da quello di rappresentanza esterna, in quanto il primo appartiene al consiglio di
amministrazione, mentre il secondo spetta al presidente o all’amministratore cui esso sia stato espressamente
1100 PARTE VIII – CONTRATTO

c) Diversa è la figura del nuncius, anche detto portavoce (c.d. ambasceria). Lo stesso si
limita a trasmettere materialmente una dichiarazione di volontà altrui, senza contribuire
alla elaborazione della volontà negoziale (nell’esempio di cui innanzi, si incarica un sog-
getto di acquistare un appartamento già individuato e al prezzo già stabilito, ovvero di
venderlo ad uno specifico acquirente al prezzo preventivamente concordato). È dunque
senz’altro irrilevante il suo stato soggettivo: di ciò si avvertiranno i corollari quando si
esamineranno i requisiti di validità del contratto concluso dal rappresentante. La dichia-
razione trasmessa mediante il nuncio è soggetta alla comune disciplina sul c.d. errore
ostativo (art. 1433).

3. La procura. – La procura è la fonte del potere rappresentativo del sostituto. È un


negozio unilaterale con il quale è conferito il potere di rappresentanza (art. 1387), auto-
rizzandosi un soggetto (procuratore) ad agire in sostituzione dell’interessato e dunque a
rappresentarlo, compiendo atti giuridici nel suo interesse e a suo nome.
La procura attiene al lato esterno e formale della sostituzione, con l’effetto di attri-
buire al rappresentante il potere di compiere atti in nome e per conto del rappresentato,
con la conseguente produzione degli effetti in capo al rappresentato. In tal modo si di-
versifica dal negozio gestorio che regola il rapporto interno e sostanziale tra rappresentato
e rappresentante (e che dunque giustifica l’assunzione del potere rappresentativo da par-
te del procuratore). Esistono meccanismi di rappresentanza previsti dalla legge: ad es.
l’agente con rappresentanza (art. 1752); i poteri rappresentativi degli ausiliari dell’impren-
ditore (artt. 2203 ss.) 14. Figura più diffusa è il mandato, che può essere con rappresen-
tanza (art. 1704) o senza rappresentanza (art. 1705) e quindi operare con procura o sen-
za procura.
È da tempo dibattuto se la procura sia o meno un negozio recettizio e, nell’ipotesi
positiva, se sia recettizio verso il procuratore o verso il terzo (se cioè per produrre effetti
deve pervenire a conoscenza del procuratore o del terzo). La delineata funzione della
procura come atto attributivo di potere rappresentativo fa propendere per la recettizietà

conferito; pertanto, la delibera consiliare in cui si concreta la volontà dell’organo collegiale di compiere un
atto rientrante nell’oggetto sociale costituisce atto interno con effetto limitato ai soggetti legati dal rapporto
sociale ed è solo necessario presupposto della manifestazione di volontà del soggetto investito del potere
rappresentativo (Cass. 12-8-2004, n. 15706).
14
Sono disposizioni particolari che caratterizzano lo statuto delle imprese commerciali. Di ampia portata è la
figura dell’i n s t i t o r e , caratterizzata dalla c.d. “preposizione institoria”, per cui l’institore è preposto dal tito-
lare all’esercizio dell’impresa commerciale: lo stesso può compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’im-
presa cui è preposto, salve le limitazioni contenute nella procura (art. 2204); inoltre si presume che all’insti-
tore sia anche conferita la rappresentanza processuale (art. 772 c.p.c.). La procura all’institore deve essere de-
positata presso il competente registro dell’impresa per l’iscrizione; in mancanza di iscrizione, la rappresentan-
za si reputa generale e le limitazioni di essa non sono opponibili ai terzi se non si prova che questi le conosceva-
no al momento della conclusione dell’affare (art. 2206). Più circoscritta è la funzione dei p r o c u r a t o r i i quali
hanno il potere di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non essendo pre-
posti ad esso (art. 2209). Alcuni poteri di rappresentanza sono attribuiti dalla legge anche ai c o m m e s s i con
riguardo agli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati, salve le limita-
zioni contenute nell’atto di conferimento della rappresentanza (art. 2210). Una rappresentanza di fonte
legale (sostanziale e processuale) si connette, in campo marittimo, alla figura del raccomandatario, appli-
cando l’art. 287 cod. nav. al contratto di raccomandazione le norme del codice civile sul mandato con rap-
presentanza.
CAP. 8 – SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA 1101

verso il procuratore, essendo questi il soggetto sul quale si produce l’effetto della procu-
ra, cioè l’attribuzione del potere di rappresentare il soggetto interessato (c.d. dominus).
Del resto, verso tale soluzione milita un argomento testuale tratto dalla disciplina della
giustificazione dei poteri di rappresentanza (art. 1393). Il procuratore non è obbligato a
portare a conoscenza dei terzi la fonte del suo potere rappresentativo: la legge specifica
che il terzo che contratta col rappresentante “può” esigere che questi giustifichi i suoi
poteri, e se la rappresentanza risulta da atto scritto, può esigerne una copia firmata dal-
lo stesso rappresentante: art. 1393 15. Ciò rende evidente che un fenomeno di rappresen-
tanza diretta si realizza anche senza esibizione di procura, essendo sufficiente la spendita
del nome del rappresentato 16. Il rappresentante deve però rendere edotto il terzo che sta
agendo in nome altrui; altrimenti, presentandosi come normale parte contrattuale, assu-
me in proprio il contratto ed è destinatario degli effetti dallo stesso prodotti 17.
I modi di atteggiarsi della procura e il relativo oggetto non sono compiutamente re-
golati; è possibile dedurre le necessarie integrazioni dalla figura contigua del mandato
che, di regola, fa da presupposto.
Quanto ai soggetti, come il mandato, anche la procura può provenire da un solo sog-
getto verso un solo rappresentante (procura semplice) o può involgere una pluralità di
soggetti rappresentati e/o rappresentanti (procura collettiva); più specificamente può
essere rilasciata da più soggetti (procura collettiva attiva) e/o essere conferita a più soggetti
(procura collettiva passiva): in quest’ultimo caso la procura può essere disgiuntiva o con-
giuntiva a seconda che i vari procuratori siano obbligati ad agire insieme o siano autorizzati
ad agire separatamente. Come per il mandato, si presume disgiuntiva se non espressamente
indicata come congiuntiva (art. 1716); è anche possibile fare ricorso in via analogica alla
normativa del mandato per l’applicazione del principio che il rappresentante non può a
sua volta farsi rappresentare da altro soggetto per il contratto da concludere (delegatus non
potest delegare), senza esservi autorizzato o senza che ciò sia necessario (art. 1717): l’in-
tuitus personae che caratterizza la cura dell’interesse altrui non consente una successiva so-
stituzione senza il consenso del soggetto interessato (rappresentato).

15
Considerando la richiesta di giustificazione dei poteri come una “facoltà”, la giurisprudenza non consi-
dera sufficiente il semplice comportamento omissivo del terzo per costituirlo in colpa nel caso di abuso della
procura o di mancanza della stessa, occorrendo, per converso, ad integrare la “colpa” del terzo il concorso di
altri elementi, e ciò tanto se l’affidamento del terzo riguardi negozi per i quali è richiesta la forma ad probatio-
nem, quanto se afferisca a negozi formali (Cass. 9-7-2001, n. 9289; Cass. 29-3-1995, n. 3691). Va verificato in
concreto se la mancata richiesta di giustificazione dei poteri possa considerarsi conforme alla diligenza media,
sì da giustificare un affidamento incolpevole, o viceversa rilevi una negligenza del terzo.
16
L’esternazione del potere rappresentativo può avvenire anche senza l’espressa dichiarazione di spendita
del nome del rappresentato, purché vi sia un comportamento del rappresentante ovvero un contesto in cui
questi opera che, per univocità e concludenza, sia idoneo a portare a conoscenza dell’altro contraente la cir-
costanza che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti dell’attività sono destinati a
prodursi direttamente. (Cass., sez. un., 21-10-2009, n. 22234).
17
È il contraente che assume di avere agito in nome e per conto di altri a dovere fornire la prova della
contemplatio domini, e non l’altro contraente a dovere dimostrare che tale contemplatio abbia fatto difetto
(Cass. 14-6-2004, n. 11251; Cass. 8-11-2000, n. 14530). Più specificamente al contraente che assuma di aver
agito in nome e per conto altrui incombe l’onere di fornire la prova di avere, al momento della stipulazione
del contratto, espressamente dichiarato di agire in virtù di un potere rappresentativo a lui conferito, ovvero
di aver portato detta circostanza a conoscenza dell’altro contraente mediante comportamenti adeguati (Cass.
17-6-2002, n. 8699).
1102 PARTE VIII – CONTRATTO

Quanto all’oggetto, come ogni negozio, la procura deve avere un oggetto determinato
o determinabile 18, oltre che possibile e lecito (arg. art. 1346). È speciale se ha riguardo
ad un singolo atto o ad un singolo affare. È generale se ha riguardo a tutti gli affari del
rappresentato o, almeno, a tutti gli atti relativi ad una sfera di rapporti del rappresentato.
Alla stregua delle regole del mandato, anche la procura comprende, non solo gli atti per
i quali è stata conferita, ma anche quelli che sono necessari al loro compimento 19; inoltre
la procura generale non comprende gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione se
non sono indicati espressamente (art. 1708). In ogni caso il rappresentante può vincolare
il rappresentato solo “nei limiti delle facoltà conferitegli” (art. 1388).
Quanto alla forma, la procura, come del resto ogni dichiarazione di volontà, può essere
espressa o tacita. Essendo però la procura un negozio orientato alla stipula di un successivo
contratto, la forma della stessa è vincolata al contratto da concludere: la procura
non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresen-
tante deve concludere (art. 1392) (c.d. forma per relationem). Ad es. la procura a vendere o
ad acquistare un bene immobile deve essere conferita per iscritto, essendo tale forma ri-
chiesta dall’art. 1350 per gli atti di trasferimento della proprietà di immobili 20. E ciò per
l’evidente ragione che, producendo il negozio rappresentativo effetti diretti per il rappre-
sentato, la procura esprime l’unica volontà negoziale del rappresentato. Per i negozi a for-
ma libera il potere rappresentativo può dedursi anche dal contegno 21.

18
È nulla, per indeterminatezza dell’oggetto, la procura con la quale una banca conferisce ad una società
il potere di gestione anche stragiudiziale dei propri crediti, definiti semplicemente come “crediti anomali”,
poiché tale espressione non consente di individuare i rapporti oggetto dell’impegno negoziale, senza che pos-
sa utilmente richiamarsi la definizione di “crediti anomali” formulata dalla Banca d’Italia nelle proprie circo-
lari, atteso che si tratta di disposizioni rivolte unicamente agli istituti di credito, quale espressione del suo po-
tere di vigilanza, senza alcun riflesso sul piano negoziale (Cass. 7-11-2019, n. 28803).
19
Le attività accessorie che il mandatario è abilitato a compiere possono consistere, oltre che nel compi-
mento di atti giuridici, nello svolgimento di atti materiali, e nel caso che sia indicato il fine che il mandante si
propone, il mandatario può compiere qualsiasi atto idoneo a realizzare detto fine (Cass. 12-12-2005, n. 27335).
L’adempimento del mandato esige e ricomprende anche il diligente compimento, da parte del mandatario,
degli atti preparatori e strumentali, nonché di quelli ulteriori che, dei primi, costituiscano il necessario com-
plemento, e comporta altresì il dovere di informare tempestivamente il mandante della eventuale mancanza o
inidoneità dei documenti occorrenti all’esatto espletamento dell’incarico (Cass. 25-2-2000, n. 2149).
20
Nell’ipotesi in cui la procura è finalizzata ad un negozio rappresentativo per il quale è richiesta la forma
scritta ad substantiam (es. vendita di immobile), la giurisprudenza richiede qualcosa in più: non solo l’esisten-
za del potere rappresentativo deve essere documentata in una procura avente la stessa forma del contratto da
concludere, ma la c.d. contemplatio domini (spendita del nome) deve essere espressa e risultare ad substan-
tiam dallo stesso documento contrattuale, essendo insufficiente la esibizione o la conoscenza che comunque
controparte abbia della procura (Cass. 13-4-2005, n. 7640). E ciò anche nel contratto preliminare di vendita
immobiliare (Cass. 25-3-2013, n. 7473). La “contemplatio domini”, pur non richiedendo l’uso di formu-
le sacramentali, deve comunque risultare per iscritto dallo stesso documento e “non aliunde”, atteso il
carattere essenziale della forma scritta a pena di nullità richiesta per i negozi relativi al trasferimento di
immobili; di conseguenza è esclusa la “contemplatio domini” tacita o in altro modo desumibile (Cass.
30-5-2012, n. 8640). L’incarico a trattare finalizzato ad individuare possibili compratori per un compendio
immobiliare non richiede, diversamente dalla procura a vendere, la forma scritta “ad substantiam” (Cass.
14-5-2018, n. 11655).
21
Nei contratti a forma libera, per manifestare il potere rappresentativo, è sufficiente che dalle modalità e
circostanze di svolgimento dell’attività negoziale e dalla struttura e dall’oggetto del negozio i terzi possano
presumere, secondo i criteri correnti nella vita degli affari, che l’attività è espletata nella qualità di rappresen-
tante di altro soggetto (Cass. 10-9-2019, n. 22616).
CAP. 8 – SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA 1103

Modifica e revoca della procura sono ammesse ad alcune condizioni. Principio gene-
rale è che la permanenza della efficacia della procura è legata alla permanenza della volon-
tà del soggetto che l’ha conferita (rappresentato). Il rappresentato può modificare il conte-
nuto della procura come può disporre la revoca della procura con conseguente estinzione
della stessa: le modificazioni e la revoca della procura devono però essere portate a cono-
scenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza, esse non sono opponibili ai terzi, se non si
prova che questi le conoscevano al momento della conclusione del contratto (13961).
Grava dunque sul rappresentato la prova di avere impiegato mezzi idonei per la cono-
scibilità da parte dei terzi della modificazione o della revoca; le altre cause di estinzione 22
del potere di rappresentanza conferito dall’interessato non sono opponibili ai terzi che le
hanno senza colpa ignorate (art. 13962) Il rappresentante è in ogni caso tenuto a restituire
il documento dal quale risultano i suoi poteri, quando questi sono cessati (art. 1397).
In presenza di meccanismi di pubblicità, di regola la modifica o la revoca del potere di
rappresentanza non sono opponibili ai terzi se non sono pubblicizzate nei singoli regi-
stri, salvo che non si provi la conoscenza effettiva del terzo: ciò vale sia per gli enti non
lucrativi, rispetto al registro istituito presso le prefetture (art. 19 c.c. e artt. 1 e 4 D.P.R.
10.2.2000, n. 361), sia per le imprese commerciali, rispetto al registro delle imprese (artt.
2206 e 2207) 23.

4. Il negozio concluso dal rappresentante. – Come ogni negozio, anche quello con-
cluso dal rappresentante (c.d. negozio rappresentativo) deve avere i requisiti previsti dalla
legge per la validità del negozio, sia con riguardo alla formazione che al contenuto.
La verifica di validità del contratto concluso dal rappresentante (art. 1325 ss.) è l’esi-
to del concorso volitivo del soggetto interessato (rappresentato) e del procuratore che
stipula il contratto (rappresentante). È perciò essenziale verificare come la legge imputa

22
Cause di estinzione sono ricavabili dalla normativa sulla estinzione del mandato (scadenza del termine,
compimento dell’affare, rinunzia alla procura, morte o sopravvenuta incapacità del rappresentante o del rap-
presentato) (artt. 1722 ss.); causa di estinzione è anche il fallimento del rappresentante o del rappresentato
(arg. art. 78 l. fall.). Anche tali cause di estinzione non sono opponibili ai terzi che le hanno senza colpa igno-
rate (art. 13962). Ora però è invertito l’onere della prova: queste cause di estinzione, per derivare dalla legge,
sono opponibili ai terzi, potendo l’interessato limitarsi ad invocarle; è il terzo che deve provare di averle senza
colpa ignorate. V. però Cass. 23-10-2018, n. 26779: le cause estintive della procura sono opponibili ai terzi, ai
sensi dell’art. 13962, solo quando sia accertato che questi le hanno colposamente ignorate, dovendo il rappre-
sentato provare le circostanze che escludono l’apparenza e, quindi, l’affidamento dei terzi.
23
Ciò vale anche per le società di persona (art. 2298). Solo per le società di capitali le limitazioni ai poteri
degli amministratori, che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti (per le s.r.l.
dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina), “anche se pubblicate”, non sono opponibili ai terzi, salvo che “si
provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società” (artt. 23842 e 2475 bis2): in presenza
di una realtà economica rilevante nel mercato (quale è in particolare la società per azioni) l’apparenza vince
la pubblicità, a tutela della sicurezza delle operazioni economiche e quindi del funzionamento del mercato.
La giurisprudenza ha rilevato che la regola, applicabile anche alle società cooperative, opera non solo per la
rappresentanza processuale, ma anche per la rappresentanza negoziale della società (Cass. 10-7-2019, n.
18536). È così introdotta una profonda deviazione nel sistema giuridico, che potrebbe orientare una genera-
le riorganizzazione dei rapporti tra apparenza e pubblicità; e la giurisprudenza già parla di effetto di “irrag-
giamento” sull’intero sistema, nel senso di imporre, anche in relazione alle società di persone, in ossequio al
principio della tutela dell’affidamento dei terzi, una concezione più sfumata dei limiti al potere di rappresen-
tanza degli amministratori derivanti dall’oggetto sociale, da intendere con molta larghezza (Cass. 8-7-2020, n.
14254; Cass. 18-2-2000, n. 181).
1104 PARTE VIII – CONTRATTO

ai due soggetti i requisiti soggettivi di validità del negozio concluso e la rilevanza che at-
tribuisce agli apporti volitivi dei due soggetti.
a) Relativamente alla capacità è sufficiente che il rappresentante abbia la “capacità di
intendere e di volere”, avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto concluso
(art. 13891). È dunque sufficiente la capacità naturale (art. 428), non essendo richiesta la
capacità legale di agire: producendo il contratto effetti per il solo rappresentato, non
operano con riguardo al rappresentante quelle preoccupazioni di pregiudizio dell’inca-
pace che giustificano la disciplina della incapacità legale di agire.
Il rappresentato deve invece avere necessariamente la capacità legale di agire (art. 13891),
onde valutare l’affare da concludere e l’operato del rappresentante. Per la validità del con-
tratto è inoltre necessario che il negozio concluso non sia vietato al rappresentato (art.
13892): il rappresentato deve cioè avere la capacità giuridica relativa ai singoli rapporti,
come attitudine ad essere titolare degli stessi, ed esser in grado di curare i propri interessi.
b) Con riguardo ai vizi della volontà, la legge riferisce al rappresentante la elaborazione
della volontà negoziale: per l’art. 1390 il contratto è annullabile se è viziata la volontà del
rappresentante. Quando però il vizio riguarda elementi predeterminati dal rappresentato, il
contratto è annullabile se era viziata la volontà di questo (art. 1390). In realtà, per i profili
predeterminati dal rappresentato, il rappresentante si limita ad essere mero portavoce del
rappresentato e perciò è alla volontà di quest’ultimo che bisogna avere riguardo.
c) Circa gli stati soggettivi rilevanti, si ripropone la medesima imputazione sopra in-
dicata. Per l’art. 13911, quando rileva lo stato di buona o di mala fede, di scienza o d’i-
gnoranza di determinate circostanze, si deve avere riguardo alla persona del rappresen-
tante 24; però, anche in tale caso, se si tratta di elementi predeterminati dal rappresentato,
bisogna avere riguardo allo stato soggettivo di quest’ultimo. In nessun caso il rappresen-
tato che è in mala fede può giovarsi dello stato d’ignoranza o di buona fede del rappre-
sentante (art. 13912).

5. L’abuso di potere (conflitto d’interessi). – Si è visto come la rappresentanza si


configuri per un duplice profilo: uno di carattere sostanziale, espresso dalla gestione del-
l’interesse altrui (presente in ogni sostituzione); un altro di carattere formale, espresso
dall’agire in nome altrui (specifico della sostituzione rappresentativa). Su entrambi i ver-
santi possono delinearsi anomalie, che ora dobbiamo esaminare.
Con riguardo al versante materiale della sostituzione, affiora la figura dell’abuso di pote-
re, che si atteggia come anomalia del rapporto gestorio. Può avvenire cioè che il rappresen-
tante non persegua (come dovuto) gli interessi del rappresentato ma quelli propri o di ter-
zi, versando in conflitto di interessi con il rappresentato. Il rappresentante, cioè, abu-
sa del potere rappresentativo conferitogli, realizzando un risultato non utile o addirittura
dannoso al rappresentato. C’è mero esercizio formale di rappresentanza, in contrasto
con lo scopo di questa.

24
In ragione dei poteri di rappresentanza degli ausiliari dell’imprenditore, commisurati alle mansioni loro
affidate, applicando la disciplina relativa ai commessi (art. 2210), la giurisprudenza ha stabilito che, in ipotesi
di contratto di fideiussione sottoscritto dal cliente di una banca su apposito modulo e dinanzi ad un impiega-
to dell’istituto di credito, lo stato soggettivo di cui all’art. 1391 che rileva ai fini della conoscibilità dell’errore
va verificato con riguardo all’impiegato che tratta la pratica e non con riferimento al legale rappresentante
della banca (Cass. 28-5-2003, n. 8553).
CAP. 8 – SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA 1105

È sufficiente la potenzialità del conflitto di interessi anche se non è ancora attuale il


sacrificio dell’interesse del rappresentato: ciò che rileva è che il rappresentante persegua
interessi incompatibili con quelli del rappresentato, di guisa che all’utilità conseguita o
conseguibile dal rappresentante (per se stesso o per il terzo) segua o possa seguire un
danno per il rappresentato 25. Quando la procura sia stata espressamente conferita anche
nell’interesse del rappresentante o di terzi, non è escluso di per sé il conflitto di interessi,
ma la prova dello stesso è evidentemente più ardua.
Per l’art. 1394 il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi col rap-
presentato è annullabile su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o
riconoscibile dal terzo contraente. Proprio in quanto l’anomalia attiene al rapporto ge-
storio, è difficile al terzo conoscere tale anomalia; perciò la legge sacrifica l’interesse del
rappresentato alla inefficacia del contratto rispetto all’opposto interesse del terzo con-
traente di buona fede alla efficacia del contratto. Il contratto è annullabile (e dunque ca-
ducabile) solo se il conflitto è conosciuto o conoscibile dal terzo: è un’applicazione del
generale principio di tutela dell’affidamento già rinvenuta ad es. in tema di incapacità na-
turale (art. 428) e di errore (art. 1428) (II, 7.2). Il contratto è efficace (benché annullabi-
le): come per regola generale, può perdere efficacia a seguito di sentenza di annullamen-
to (VIII, 9.8). Il terzo non ha l’onere di indagare i termini del rapporto gestorio; ha solo
il diritto di esigere la giustificazione del potere rappresentativo (art. 1393).
Il contratto con se stesso è una ipotesi tipica di conflitto di interessi; quando cioè il
rappresentante riunisce le posizioni di entrambe le parti del contratto che deve conclu-
dere, sintetizzando la duplicità dei centri di interessi: ad es. il rappresentante del vendi-
tore si rende acquirente del bene da vendere. Il fatto in sé di riunire entrambe le posi-
zioni contrattuali fa presumere l’esistenza di un conflitto di interessi (presunzione iuris
tantum): di regola è annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in
proprio o come rappresentante di un’altra parte (art. 13951). L’impugnazione può essere
proposta solo dal rappresentato (art. 13952).
La medesima norma contiene però delle deroghe alla generale previsione dell’annul-
labilità, riconoscendo la eccezionale validità del contratto con se stesso in due ipotesi: il
rappresentato abbia autorizzato specificamente il rappresentante a tale contratto 26; il
contenuto del contratto sia predeterminato dal rappresentato in modo da escludere la

25
Cass. 8-3-2017, n. 5794; Cass. 3-7-2000, n. 8879. Il conflitto di interessi postula un rapporto d’incompati-
bilità fra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante o di un terzo che il rappresentan-
te a sua volta rappresenti, rapporto che va riscontrato non in termini astratti ed ipotetici, ma con riferimento
al singolo atto, di modo che è ravvisabile esclusivamente rispetto al contratto le cui intrinseche caratteristiche
consentano l’utile di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio dell’altro (Cass. 20-2-2004, n. 3385;
Cass. 26-8-1998, n. 8472). Nel caso in cui una società abbia prestato fideiussione in favore di un’altra società
il cui amministratore sia contemporaneamente amministratore della prima, l’esistenza di un conflitto d’inte-
ressi tra la società garante ed il suo amministratore, ai fini dell’annullabilità del contratto, non può essere fatta
discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle due
società, ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica d’incompati-
bilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società che ha prestato la garanzia ed il suo am-
ministratore (Cass. 7-12-2017, n. 29475).
26
L’autorizzazione del rappresentato, in tanto può considerarsi idonea a escludere la possibilità di un co-
nflitto di interessi e quindi l’annullabilità del contratto, in quanto non sia generica per essere accompagnata
dalla determinazione degli elementi negoziali sufficienti ad impedire abusi e ad assicurare la tutela del rappre-
sentato (Cass. 21-3-2011, n. 6398; Cass. 15-5-2009, n. 11321).
1106 PARTE VIII – CONTRATTO

possibilità di conflitto d’interessi (art. 13951) (ad es., il commesso acquista un bene se-
condo le condizioni di vendita fissate dal venditore). È la stessa legge a consentire al rap-
presentante di essere punto di riferimento di due distinti centri di interessi: è perciò il rap-
presentante a dovere provare il ricorso delle ipotesi ammesse (autorizzazione del rappre-
sentato alla stipula ovvero esclusione di conflitto di interessi) 27.
Proprio con riguardo alla eccezionale validità di tale figura si coglie il carattere fun-
zionale della bilateralità del contratto, per riferirsi a due parti quali autonomi centri di
interessi. La figura richiama la problematica del c.d. rapporto unisoggettivo come costru-
zione artificiale dell’ordinamento per realizzare la tutela di esigenze economiche conside-
rate rilevanti (VII, 1.5).

6. Il difetto di potere (rappresentanza senza potere). – Con riguardo al versante


formale della sostituzione, relativo alla spendita del nome altrui (c.d. contemplatio domi-
ni), rileva la situazione del difetto di rappresentanza, che si atteggia come anomalia del
potere rappresentativo.
Può invero avvenire che un soggetto spenda il nome altrui, mancando del tutto di po-
tere rappresentativo (assenza di potere) o esorbitando dal potere conferitogli (eccesso di
potere): in entrambe le ipotesi si ha rappresentanza senza potere in quanto chi si presenta
al terzo come rappresentante è in difetto di potere e dunque è un falso rappresentante
(falsus procurator). Il contratto è inefficace in quanto nessuno può incidere la sfera giuri-
dica altrui contro la volontà del titolare. Il fenomeno involge più angolazioni di osserva-
zioni: la sorte del contratto concluso dal falso rappresentante; la rilevazione della ineffica-
cia del contratto concluso; la posizione dei soggetti coinvolti dal negozio concluso in as-
senza di potere.
a) Quanto alla sorte del contratto, per regola generale, il contratto concluso dal rap-
presentante in nome e nell’interesse del rappresentato produce effetto nei confronti del
rappresentato nei limiti della facoltà conferitegli (art. 1388); pertanto chi agisce privo di
poteri rappresentativi (per assenza di poteri o sconfinamento dai poteri conferiti) pone
in essere un contratto non efficace per il rappresentato (art. 1398) 28.
Si è visto come, per il cod. civ. abr., la disposizione di cose altrui era nulla (art. 1459),
mentre era valida per il cod. comm. del 1882 (art. 59). Il cod. civ. del 1942, tutelando in
via preferenziale la circolazione dei beni, ha adottato la soluzione dell’abr. cod. comm.,
per cui la vendita è valida ma inefficace: il compratore diventa automaticamente proprie-
tario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà del bene (art. 1478) (VIII,
6.15). Pertanto anche l’assenza di potere rappresentativo non è causa di nullità ma solo
di inefficacia: del resto non può parlarsi di nullità perché è prevista la possibile ratifica
del contratto da parte dell’interessato; né può parlarsi di annullabilità, perché il contrat-
to è inefficace (prima della eventuale ratifica).
Il contratto stipulato dal falso rappresentante è inefficace, non potendosi riferire né

27
Con riferimento ad una compravendita, l’esistenza della autorizzazione del rappresentato non può esclu-
dere l’annullabilità del contratto, ove sia priva di indicazioni in ordine al prezzo; mentre resta irrilevante il
profilo della sussistenza di un concreto rapporto di incompatibilità fra le esigenze del rappresentato e quelle
del rappresentante (Cass. 19-11-2019, n. 29959).
28
La disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri ex art. 1398 è applicabile a ogni
tipo di rappresentanza, compresa quella derivante da un rapporto organico (Cass. 18-11-2019, n. 29825).
CAP. 8 – SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA 1107

al rappresentato né al rappresentante: è inidoneo a produrre effetti per il rappresentato


perché il rappresentante è privo di potere rappresentativo, sicché non può incidere la
sfera giuridica del rappresentato; è anche inidoneo a produrre effetti per il rappresentan-
te perché questi (sebbene illegittimamente) ha speso il nome altrui e dunque ha agito in
nome del rappresentato (dichiaratamente, non per se stesso).
b) La rilevazione della inefficacia del contratto concluso per difetto di potere rappre-
sentativo è di recente oggetto di nuova ricostruzione. A fronte di un consolidato indiriz-
zo che considerava la rilevazione del difetto di legittimazione rappresentativa come ecce-
zione in senso stretto, perciò sollevabile solo dal soggetto interessato (falsamente rappre-
sentato) e non d’ufficio, si è ritenuto dalle sezioni unite che trattasi di eccezione in senso
lato quindi rilevabile anche di ufficio 29; anche se la giurisprudenza rimane oscillante 30.
L’indirizzo tradizionale è più coerente: se l’assenza di legittimazione rappresentativa non è
(più) considerata dall’ordinamento quale lesione di un valore essenziale da sanzionare con
la nullità, non si giustifica la rilevazione di ufficio del difetto di legittimazione.
c) Le posizioni delle parti del contratto concluso sono diversificate.
Il falso rappresentante è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per
avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto (art. 1398). Il riferimento alla
validità (piuttosto che alla efficacia) del contratto è da spiegarsi con la tradizione del
cod. civ. del 1865 di sanzionare con la nullità i negozi dispositivi del patrimonio altrui,
ma si è visto come trattasi di inefficacia in senso stretto 31.
Il terzo ha diritto al risarcimento dei danni per avere confidato senza colpa nella effi-
cacia del contratto per il rappresentato. Il risarcimento è limitato al solo interesse negati-
vo, che comprende il rimborso delle spese sostenute e il ristoro per le eventuali occasioni
perdute e per l’attività svolta per la trattativa (non comprende l’interesse positivo e cioè
il risultato ricavabile dall’adempimento del contratto).
Il rappresentato è ammesso alla ratifica del contratto concluso dal rappresentante senza
potere. Per l’art. 1399 il contratto può essere ratificato dall’interessato con l’osservanza
delle forme prescritte per la conclusione di esso 32. La dichiarazione di ratifica è un negozio
unilaterale con il quale il rappresentato fa propri gli effetti del contratto stipulato dal falso
rappresentante. Il fenomeno ricorre di frequente con riguardo agli atti compiuti da soci e

29
In tema di contratto stipulato da falsus procurator, la deduzione del difetto o del superamento del pote-
re rappresentativo e della conseguente inefficacia del contratto, da parte dello pseudo rappresentato, integra
una mera difesa, atteso che la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è
un elemento costitutivo della pretesa del terzo nei confronti del rappresentato, sicché il giudice deve tener
conto della sua assenza, risultante dagli atti, anche in mancanza di una specifica richiesta di parte (Cass.,
sez. un., 3-6-2015, n. 11377).
30
La inefficacia del negozio concluso dal falsus procurator, rilevando nei soli confronti del dominus, sino alla
ratifica di questi, non è rilevabile d’ufficio, ma solo su eccezione di parte, e la relativa legittimazione spetta esclu-
sivamente al dominus pseudo-rappresentato, e non già all’altro contraente, che, ai sensi dell’art. 1398 c.c., può
unicamente chiedere al falsus procurator il risarcimento dei danni sofferti per aver confidato senza propria colpa
nella operatività del contratto (Cass. 21-10-2015, n. 21455, cit., che così si pone in continuità con l’indirizzo pre-
cedente di Cass. 19-11-2014, n. 24643; Cass. 24-10-2013, n. 24133; e Cass. 17-6-2010, n. 14618).
31
Per consolidata giurisprudenza il negozio concluso dal falsus procurator costituisce una fattispecie sog-
gettivamente complessa a formazione successiva, la quale si perfeziona con la ratifica del dominus, e, come
negozio in itinere o in stato di pendenza (però suscettibile di perfezionamento attraverso detta ratifica), non è
nullo, e neppure annullabile, bensì inefficace (Cass. 21-10-2015, n. 21455).
32
Un’ipotesi tipica è la stipulazione di assicurazione in nome altrui, senza averne il potere: l’interessato
può ratificare il contratto anche dopo la scadenza o il verificarsi del sinistro (art. 1890).
1108 PARTE VIII – CONTRATTO

amministratori con spendita del nome della società senza averne i poteri 33. L’istituto della
ratifica è stato applicato anche alla pubblica amministrazione, quando un contratto è stipu-
lato da soggetto privo di potere 34.
La ratifica apporta quella legittimazione al contratto che mancava, sicché possono
prodursi gli effetti particolari del contratto nelle sfere giuridiche indicate nel contratto
stesso (quelle del terzo e del rappresentato). Si differenzia dalla convalida del negozio an-
nullabile (art. 1444) (di cui si parlerà in seguito), per non riguardare la struttura dell’atto
(e dunque la relativa validità), bensì la legittimazione all’atto (e dunque la relativa effica-
cia): la ratifica ha lo scopo di immettere nella sfera giuridica dell’interessato il risultato
dell’attività compiuta da chi era privo di poteri.
La ratifica (come del resto la procura e la sua revoca) può essere espressa o tacita 35.
Deve però svolgersi con l’osservanza delle forme prescritte per la conclusione del con-
tratto (art. 13991), secondo il principio operante anche per la procura (art. 1392): deve
pertanto avere la forma del negozio da ratificare, se per questo è prevista una forma so-
lenne 36. Ad es. la ratifica della vendita di un immobile deve farsi per iscritto (ex art.
1350). Ha effetto retroattivo, con salvezza dei diritti dei terzi (art. 13992).

33
La società di capitali può ratificare, anche per facta concludentia, atti o negozi posti in essere dal falsus
procurator in un periodo antecedente alla sua costituzione, ovvero alla sua iscrizione nel registro delle impre-
se, ma gli effetti della ratifica retroagiscono sino al momento della stipulazione del contratto di società, attesa
l’impossibilità per il rappresentante senza poteri di spendere il nome di un soggetto non ancora venuto ad
esistenza (Cass. 17-2-2017, n. 4263). Un contratto di finanziamento stipulato usando falsamente il nome del
legale rappresentante di una società per imputarne a quest’ultima gli effetti, è assimilabile ad una spendita
indebita del nome della società stessa, con la precisazione che l’ipotesi non è immediatamente riconducibile a
quella della rappresentanza diretta ma è tuttavia possibile l’applicazione in via analogica della relativa disci-
plina, sicché il finanziamento, sebbene inefficace nei confronti della società, della quale è mancato il consenso
ab origine, è suscettibile di ratifica, che deve concretizzarsi in atti od in comportamenti specificamente diretti
ad avvalersi del contratto di finanziamento, provenienti dal legale rappresentante avente, allo scopo, adeguati
poteri rappresentativi (Cass. 10-11-2016, n. 22891). Il potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome
altrui è un elemento costitutivo della pretesa del terzo nei confronti del rappresentato e, pertanto, il suo difet-
to è rilevabile anche d’ufficio; tuttavia il comportamento processuale dello pseudo rappresentato che, convenuto
in giudizio, tenga un comportamento da cui risulti in maniera univoca la volontà di fare proprio il contratto
concluso in suo nome e per suo conto dal falsus procurator, opera anche sul terreno del diritto sostanziale e
vale quale ratifica tacita di tale contratto (Cass. 24-1-2018, n. 1751).
34
La disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri si applica anche alla rappresen-
tanza organica degli enti pubblici, poiché l’organo competente ad esprimere la volontà dell’ente può procede-
re alla ratifica del contratto sottoscritto dal falsus procurator, per la quale è richiesta la forma scritta ad sub-
stantiam, trattandosi di un contratto della P.A.; detta ratifica non deve necessariamente risultare da un atto
che manifesti espressamente la volontà del dominus, potendo questa desumersi implicitamente da altro atto,
comunque redatto per iscritto, che, formato per fini consequenziali alla stipula del contratto ratificato, espri-
ma in modo inequivoco una volontà incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante senza
potere (Cass. 9-11-2018, n. 28753; Cass. 14-4-2006, n. 8876). Il recesso dal contratto, esercitato dal Sindaco
senza la previa delibera dell’organo competente (la Giunta comunale), può essere, quale atto unilaterale di
natura negoziale, da quest’ultimo ratificato ai sensi dell’art. 1399 (Cass. 10-1-2003, n. 195).
35
Quando il negozio concluso dal falso rappresentante non richiede una particolare forma, la ratifica del
rappresentato può essere anche tacita, sempre che dal contegno del dominus risulti in modo univoco la sua
volontà di fare proprio il negozio concluso in suo nome, rendendolo efficace (Cass. 12-1-2006, n. 408; Cass.
8-4-2004, n. 6937).
36
Se l’atto concluso dal rappresentante è solenne, anche la ratifica deve essere solenne, anche se non ne-
cessariamente espressa: la ratifica può essere anche implicita, purché risultante da un atto in forma scritta in
cui sia manifestata in modo non equivoco una volontà incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rap-
CAP. 8 – SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA 1109

Al fine di non rendere a lungo incerta la sorte del contratto, è consentito al terzo di
invitare l’interessato a pronunziarsi sulla ratifica assegnandogli un termine, scaduto il
quale, nel silenzio, la ratifica s’intende negata (art. 13994). La facoltà di ratifica si trasmette
agli eredi (art. 13995).
Per l’art. art. 13993 il terzo e il falso rappresentante “possono d’accordo sciogliere il
contratto prima della ratifica”. Il riferimento alla possibilità di scioglimento del con-
tratto implica che dal contratto concluso, ancorché inefficace, sia comunque derivato
un vincolo contrattuale tra falso rappresentante e terzo, che appunto gli stessi possono
sciogliere. Ciò comporta che nessuno dei due può unilateralmente sciogliersi mediante
recesso. Tale vincolo contrattuale è in attesa di evoluzione: verso lo scioglimento e
dunque la consolidazione della inefficacia del contratto o verso la produzione degli ef-
fetti specifici con la ratifica.

7. La rappresentanza apparente. – Si è visto come il principio dell’apparenza è una


specificazione di quello più generale dell’affidamento incolpevole, tendente ad attribuire
rilevanza giuridica a situazioni socialmente apparenti come giuridiche, benché tali non sia-
no, nei due indirizzi dell’apparenza pura e dell’apparenza colposa, a seconda che, oltre
l’affidamento del terzo, sia richiesta anche la condotta colpevole del soggetto che ha de-
terminato l’apparenza (autoresponsabilità) (II, 7.4).
In tema di rappresentanza senza potere, da tempo si è sviluppato un indirizzo ten-
dente a conferire rilevanza giuridica alla c.d. autoresponsabilità del soggetto rappresenta-
to, quando cioè il rappresentato abbia, col proprio comportamento, suscitato l’affidamento
del terzo circa l’esistenza di un potere rappresentativo in capo al rappresentante (anche se
in fatto tale potere non è stato conferito). Non c’è procura tacita, perché non c’è in alcun
modo conferimento di potere: c’è invece un contegno che oggettivamente è in grado di su-
scitare l’affidamento circa la esistenza di una procura, in realtà inesistente (procura ap-
parente). E la colpa può risiedere nell’avere il rappresentato dato causa alla situazione di
apparenza o anche solo nell’avere tollerato l’esistenza di una situazione conosciuta di appa-
renza senza rimuoverla. In entrambi i casi l’apparenza prevale sulla realtà: a tutela del terzo
il contratto è considerato efficace anche in assenza di procura; il comportamento colposo
del soggetto (falsamente) rappresentato è sanzionato con l’efficacia dell’atto compiuto dal
falso rappresentante. D’altra parte, ove si desse rilevanza all’apparenza pura anziché all’ap-
parenza colposa, ognuno sarebbe esposto al rischio di rimanere vincolato ad un atto in vir-
tù dell’azione fraudolenta di un sedicente procuratore e dell’affidamento di un terzo.
In definitiva, la rappresentanza apparente inerisce alla rappresentanza senza potere,
ma va oltre tale figura. Il contratto concluso dal rappresentante senza potere vincola il
rappresentato se concorrono tre presupposti: a) un’apparenza di poteri rappresentativi;
b) l’imputabilità di tale apparenza al falso rappresentato, avendo costui concorso a crear-
la o tollerarla; c) l’affidamento incolpevole del terzo contraente circa l’esistenza di poteri
rappresentativi 37.

presentante (Cass. 11-11-2021, n. 33454). La ratifica di un preliminare di vendita immobiliare, sottoscritto da


un falsus procurator, può avvenire anche implicitamente, purché risultante da un atto scritto dal quale risulti
in modo inequivoco la volontà del dominus incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante
senza potere (Cass. 25-10-2010, n. 21844; Cass. 11-2-2022, n. 4474).
37
È consolidato indirizzo giurisprudenziale che il principio dell’apparenza del diritto può essere invocato
1110 PARTE VIII – CONTRATTO

Applicazioni significative di tale criterio esistono in varie direzioni: ad es., in tema di


rapporti patrimoniali tra coniugi, per il coinvolgimento della responsabilità del coniuge non
partecipe dell’atto compiuto dall’altro coniuge; in materia di società di fatto per l’appa-
renza del vincolo sociale; in materia di collocazione di prodotti finanziari, per il coinvol-
gimento dell’intermediario finanziario per l’azione del suo promotore (v. II, 7.4).
Il principio dell’apparenza non opera nelle ipotesi in cui non assume rilevanza l’affi-
damento del terzo per la presenza di risultanze di pubblici registri 38, operando l’appa-
renza dove la pubblicità non può funzionare.

B) ALTRE FIGURE
8. Contratto per persona da nominare. – Con la conclusione del contratto, una parte
può riservarsi la facoltà di nominare successivamente la diversa persona (c.d. soggetto desi-
gnato) che deve acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto nei con-
fronti dell’altra parte (art. 1402). La riserva di nomina è formulata nella prassi con l’espres-
sione “per sé o per persona fisica o giuridica da nominare”.
Il vincolo contrattuale si instaura immediatamente tra i contraenti originari, mentre
gli effetti particolari del contratto si producono in capo al terzo designato con la nomina
del terzo (art. 1404) 39. La dichiarazione di nomina deve essere comunicata all’altra parte
nel termine di tre giorni dalla stipulazione del contratto, salvo che le parti stabiliscano un
diverso termine 40 (art. 14021): la dichiarazione non ha effetto se non è accompagnata

con riguardo alla rappresentanza, allorché, indipendentemente dalla richiesta di giustificazione dei poteri del
rappresentante a norma dell’art. 1393, non solo vi sia la buona fede del terzo che abbia concluso atti con il
falso rappresentante, ma vi sia anche un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel
terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente confe-
rito al rappresentante apparente (Cass. 13-7-2018, n. 18519; Cass. 23-6-2017, n. 15645; Cass. 4-11-2014, n.
23448; Cass. 9-3-2012, n. 3787).
38
Il fenomeno è particolarmente evidente con riferimento alla rappresentanza delle persone giuridiche. Il
principio dell’apparenza del diritto non può trovare applicazione a tutela dell’affidamento del terzo contraen-
te nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare con l’or-
dinaria diligenza la consistenza effettiva dell’altrui potere, come in ipotesi di organi di imprese commerciali
regolarmente costituiti (Cass. 18-5-2005, n. 10375). Il principio dell’apparenza colpevole riprende a funziona-
re con riguardo alla rappresentanza degli enti non riconosciuti.
39
A seguito della (formale e tempestiva) designazione dell’eligendo non si realizza un contratto tra questi
e il promittente; malgrado la surrogazione di un soggetto diverso alla persona dello stipulante, il contratto si
perfeziona in tutti i suoi elementi prima della dichiarazione di nomina, la quale ha l’effetto di fare acquistare
ex tunc all’eletto la qualifica di soggetto del negozio compiuto nonché tutti i relativi diritti e obblighi (Cass.
24-7-2009, n. 17405). In caso di nomina mancata, invalida o intempestiva, il contratto produce i suoi effetti
fra i contraenti originari; invece, nel contratto a favore del terzo, il beneficiario deve essere sempre determina-
to o determinabile, perché il contratto produrrà effetti nei confronti di quest’ultimo, salvo che non interven-
gano la revoca della stipulazione o il rifiuto di profittarne (Cass. 17-9-2019, n. 23125). All’atto di nomina va
attribuito il valore suo proprio di sostituzione nella posizione contrattuale e non il significato e l’effetto di una
cessione del contratto, risultando perciò indifferente l’assenso della controparte alla clausola di riserva di no-
mina (Cass. 13-3-2006, n. 5401).
40
Il termine di tre giorni fissato dalla legge per la dichiarazione di nomina può essere validamente modificato
dalle parti, a condizione che il nuovo termine sia “certus an et quando” e non faccia sorgere dubbio alcuno che
l’adempimento prescritto dalla legge avvenga in un determinato numero di giorni a decorrere dalla stipulazione
del contratto oppure a scadenza fissa o in altro modo sicuramente determinato; in mancanza di tali caratteristi-
che la clausola è inidonea a sostituire il termine legale, sicché, se l’indicazione del contraente non avviene entro
CAP. 8 – SOSTITUZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA 1111

dall’accettazione della persona nominata o se non esiste una procura anteriore al contrat-
to (art. 14022) 41. La dichiarazione di nomina è un negozio unilaterale recettizio di imputa-
zione in capo al terzo degli effetti del contratto. La stessa, come la procura o l’accettazione
della persona nominata, deve avere la medesima forma del contratto 42 ed è soggetta al me-
desimo regime pubblicitario operante per il contratto (art. 1403).
La persona nominata assume la qualifica di parte contraente: gli effetti negoziali si
producono direttamente tra la controparte e la persona nominata, la quale dunque ac-
quista i diritti e assume gli obblighi derivanti dal contratto con effetto dal momento di
stipula del contratto (art. 1404) e perciò con efficacia retroattiva 43; ed è legittimata in
proprio alla tutela giudiziaria. Se la dichiarazione di nomina non è fatta validamente nel
termine di legge o in quello concordato dalle parti, il contratto produce effetti tra i con-
traenti originari (art. 1405).
Il contratto per persona da nominare realizza una sostituzione nella posizione giuridica
del contraente che si riserva la nomina del terzo, quando al contratto segue la nomina. Si
discosta dalla rappresentanza diretta in quanto non è speso il nome altrui, che anzi è tenu-
to segreto: l’essenza della figura sta proprio nella non indicazione del designando al mo-
mento della conclusione del contratto. Si discosta anche dalla rappresentanza indiretta, in
quanto il contraente che designa il terzo non è obbligato a concludere un nuovo contratto
per ritrasferirne gli effetti, producendosi gli effetti senz’altro in capo alla persona nominata.
Il contratto per persona da nominare si differenzia inoltre dal contratto a favore di
terzo: nel primo, la nomina del terzo è solo eventuale, e può anche non intervenire, con
la conseguenza che, in caso di mancata nomina (o di nomina invalida o intempestiva), il
contratto produce i suoi effetti fra i contraenti originari; nel secondo, la figura del terzo
deve essere necessariamente prevista nel contratto: il terzo acquista il diritto verso il
promittente per effetto del contratto, e la dichiarazione di volere profittare vale solo a
rendere irrevocabile la stipulazione a suo favore (VIII, 6.10).

questo termine, il contratto produce i suoi effetti tra i contraenti originari (Cass. 26-5-2000, n. 6952). Nel con-
tratto preliminare per persona da nominare, il termine può coincidere con la data fissata per la stipula del
contratto definitivo: in tal caso, l’indicazione del nome del terzo deve considerarsi tempestiva qualora, non
potendo addivenirsi a detta stipula per l’opposizione del promittente alienante, il promissario acquirente ab-
bia avanzato istanza per l’esecuzione in forma specifica, provvedendo all’“electio amici” con la domanda giu-
diziale (Cass. 12-4-1999, n. 3576; Cass. 10-2-1993, n. 1682).
La normativa fiscale fissa stringenti limiti di tempo alla designazione del terzo al fine di evitare che, attra-
verso tale meccanismo, si realizzi un successivo trasferimento non sottoposto a tassazione. Il fenomeno è per-
ciò più ricorrente nei contratti obbligatori ovvero in quelli (es. contratto preliminare o opzione) preordinati
alla stipula di un successivo contratto.
41
Nel contratto per persona da nominare, la comunicazione all’altro contraente della dichiarazione di nomi-
na può essere fatta anche dal terzo nominato, ed, in ogni caso, può essere contenuta nell’atto di citazione che il
terzo stesso abbia notificato all’altro contraente per l’esecuzione del contratto (Cass. 21-5-2019, n. 13686).
42
La nomina, pur non richiedendo formule sacramentali, deve essere fatta, a pena di nullità, nella stessa
forma usata per il contratto tra stipulante e promittente, pur se questa non è prevista dalla legge (Cass. 29-9-2006, n.
21524). La nomina e l’accettazione non devono necessariamente essere consacrate in una formale dichiara-
zione diretta all’altro contraente, essendo sufficiente che a costui pervenga una comunicazione scritta indican-
te la chiara volontà di designazione del terzo e la sua accettazione, che può risultare anche dall’atto introdut-
tivo del giudizio promosso dal terzo nei confronti dell’altro contraente (Cass. 21-9-2011, n. 19211).
43
In virtù della nomina il terzo subentra nel contratto e, prendendo il posto della parte originaria, acqui-
sta i diritti e assume gli obblighi correlativi nei rapporti con l’altro contraente con effetto retroattivo (Cass.
14-4-2015, n. 7481).
1112 PARTE VIII – CONTRATTO

9. Contratto per conto di chi spetta. – Manca una disciplina generale della figura,
che è prevista per alcune ipotesi (artt. 1513, 1690, 1891).
Il fenomeno ricorre quando c’è l’esigenza di regolare un conflitto, ma non è ancora
determinato il titolare dell’interesse stesso. Ad es., nella vendita di cose mobili, in caso di
divergenza sulla qualità o condizione della cosa, il venditore o il compratore possono
chiederne la verifica giudiziale: il giudice, su istanza della parte interessata, può ordinar-
ne il deposito o il sequestro o la vendita “per conto di chi spetta”, determinandone le
condizioni (art. 15131). Analogamente, in tema di trasporto, se sorge controversia tra più
destinatari circa il diritto alla riconsegna o circa l’esecuzione di questa, ovvero se il desti-
natario ritarda a ricevere le cose trasportate, il vettore può depositarle in un locale di
pubblico deposito o, se sono soggette a rapido deterioramento, può farle vendere “per
conto dell’avente diritto” (art. 16902). Sempre in tema di trasporto, è ricorrente la prassi
per cui il vettore o lo spedizioniere stipuli contratto di assicurazione relativamente alla
merce trasportata, con il meccanismo dell’assicurazione “per conto di chi spetta”: l’assi-
curazione è stipulata per conto di chi risulta titolare dell’interesse esposto a rischio, qua-
le è descritto nel contratto, all’arrivo a destino; cioè il soggetto “assicurato” 44, cui spettano
i diritti derivanti dal contratto di assicurazione e verso il quale la compagnia può opporre
le eccezioni opponibili al contraente in dipendenza del contratto (art. 1891).
Il contratto per conto di chi spetta è dunque caratterizzato dalla incertezza circa il
destinatario degli effetti del contratto: c’è l’esigenza di stipulare il contratto nell’attesa di
definire, sulla base di circostanze oggettive, la ricerca del destinatario degli effetti pro-
grammati con il contratto.
Pure il contratto per conto di chi spetta realizza una sostituzione, anche se non può
parlarsi di rappresentanza per due ragioni: non c’è spendita di nome altrui, essendo anzi
incerto il destinatario degli effetti del contratto; non c’è gestione di interesse di un sog-
getto determinato, perché la individuazione del destinatario è legata ad un evento ogget-
tivamente incerto e successivo (es. l’esito di una procedura, lo svolgimento del trasporto,
ecc.). Si differenzia anche dal contratto per persona da nominare, in quanto in quest’ul-
timo la indicazione del terzo avviene con una dichiarazione di nomina che è eventuale; in-
vece, nel contratto per conto di chi spetta, la indicazione del terzo avviene a seguito di
fatti oggettivi ed è necessaria.

10. Gestione di affari altrui (cenni e rinvio). – Avviene talvolta che, per spirito di
altruismo o anche per proteggere propri interessi, si assuma l’iniziativa di gestire affari
altrui, spendendo o meno un potere rappresentativo del soggetto interessato.
È un istituto che qui si accenna solo nella prospettiva di fare emergere l’attività di so-
stituzione giuridica nella cura dell’interesse altrui. Da tale attività deriva l’obbligo del ge-
store di continuare l’attività e condurla a termine e l’obbligo dell’interessato di adempie-
re le obbligazioni assunte dal gestore in nome di lui quando la gestione è stata utilmente
iniziata. Se ne parlerà trattando delle obbligazioni di fonte legale (XI, 9.6).

44
Con la consegna della merce al vettore o allo spedizioniere il venditore trasferisce all’acquirente – salvo patto
contrario – la proprietà dei beni medesimi e, quindi, il rischio connesso al loro perimento; con la conseguenza che
la qualità di assicurato avente diritto all’indennizzo, nel contratto di assicurazione per conto di chi spetta, è rivesti-
ta dall’acquirente (Cass. 9-7-2003, n. 10770; Cass. 13-12-1999, n. 13957). V. Cass. 28-11-2019, n. 31067.
CAPITOLO 9
ANOMALIE GENETICHE
(Difetti della formazione)

Sommario: 1. L’atto e il rapporto contrattuale. – 2. Irregolarità e inefficacia del contratto. – 3. Inesistenza


e invalidità. – A) NULLITÀ. – 4. Configurazione della nullità. – 5. Le cause di nullità. – 6. Le nullità
di protezione. – 7. Conservazione (sanatoria, conversione, nullità parziale, contratto plurilaterale). –
B) ANNULLABILITÀ. – 8. Configurazione dell’annullabilità. – 9. Le cause di annullabilità. – 10. Con-
servazione (convalida, rettifica, contratto plurilaterale). – C) RESCISSIONE. – 11. Configurazione del-
la rescissione. – 12. Le cause di rescissione. – 13. Rescissione ed usura. La c.d. usura bancaria.

1. L’atto e il rapporto contrattuale. – Si è visto come il contratto rilevi giuridica-


mente nella duplice prospettiva di atto (la fattispecie costitutiva conclusa) e di rappor-
to (la relazione giuridica instaurata). È diffusa opinione parlare di difetti strutturali (rela-
tivi alla fattispecie e quindi alla struttura dell’atto voluto) e di difetti funzionali (inerenti
all’assetto di interessi instaurato e quindi all’attuazione del risultato programmato). Le
due prospettive, tradizionalmente tenute distinte, tendono in tempi recenti ad essere ri-
guardate in modo sincronico, rimanendo la struttura dell’atto influenzata da profili esterni
all’atto che incidono sul rapporto, quali il contesto di conclusione del contratto, le arti-
colazioni del mercato in cui il contratto si colloca, la qualifica degli autori dell’atto, la
destinazione dei beni 1; e la stessa esecuzione del contratto rientra nella programmazione
del contratto, così da assicurare effettività di tutela 2.
Sembra dunque più corretto tracciare un divario dei difetti secondo un criterio cro-
nologico di insorgenza. Le anomalie che si presentano nella fase di conclusione del con-
tratto sono genetiche, per riguardare la formazione del contratto, come titolo e fonda-
mento di vicende giuridiche. Le anomalie che insorgono successivamente alla stipulazio-
ne del contratto sono sopravvenute, per riguardare l’attuazione del contratto, in fun-
zione dello svolgimento dell’assetto di interessi programmato. Nella prima direzione ope-

1
In aderenza all’esperienza di common law che tende a pervadere la formazione delle regole uniformi eu-
ropee, si va delineando la configurazione della tutela contrattuale nella prospettiva degli “interessi contrattua-
li” e perciò dei r i m e d i contro l’inattuazione degli stessi. Rilevano le specificità delle “posizioni contrattuali”
assunte e le peculiarità dei “beni” negoziati e degli interessi coinvolti, atteggiandosi i rimedi come reazioni a
torti subiti. È una logica che si muove in una prospettiva diversa rispetto all’impianto dei diritti soggettivi e
delle azioni funzionali al relativo soddisfacimento nel processo. La tutela rimediale si atteggia quale categoria
generale comprensiva di ogni mezzo di tutela dei contraenti (III, 1.9).
2
È una prospettiva che ormai attraversa anche il diritto amministrativo, come emerge dall’art. 1 cod. proc.
amm., e sta impegnando anche il diritto tributario (III, 1.1).
1114 PARTE VIII – CONTRATTO

rano la invalidità, nelle due specie della nullità e dell’annullabilità, e la rescissione (delle
quali si ha riguardo nel presente capitolo). Nella seconda direzione operano la esecuzione
coattiva e la risoluzione (di cui si parlerà nel prossimo capitolo). In entrambe le prospet-
tive sono molte le ipotesi di rilevanza dell’autotutela come strumento di protezione unila-
terale senza il ricorso all’autorità giudiziaria.
A seguito dell’affermazione di valori costituzionali e di principi di diritto europeo,
con la necessità di valorizzare istanze di solidarietà e di efficienza del mercato, anche
la formazione del contratto non è più osservabile nella unica prospettiva di fattispecie,
secondo l’organizzazione del codice civile, ma è anche da valutare nella prospettiva
funzionale del rapporto instaurato dalle parti, e perciò come regolamento di interessi
nella globalità delle circostanze e delle istanze di riferimento. In tal guisa l’atto è ri-
condotto tra le qualità dei soggetti che lo stipulano, nelle circostanze dei luoghi dove
emerge, tra le articolazioni del mercato dove matura, valutato secondo criteri ordi-
namentali (sempre più stringenti) di conformazione valoriale. Come si vedrà, le nulli-
tà tendono sempre più spesso ad atteggiarsi, non solo come garanzie di volontarietà
individuale degli atti, ma anche come presidi di coesione sociale rispetto a significati-
vi svolgimenti della persona umana (es. tutela della salute, del territorio, del paesag-
gio, dell’ambiente, del pluralismo, della solidarietà) ovvero con riguardo agli equilibri
di mercato (si pensi alla disciplina antitrust, alle norme sulla subfornitura che sanzio-
nano con la nullità i contratti stipulati con abuso di dipendenza economica, alle dispo-
sizioni sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, che stabiliscono la nulli-
tà di ogni accordo sulla data del pagamento che risulti gravemente iniquo in danno del
creditore; si pensi poi alle varie nullità protettive di favore per i consumatori).

2. Irregolarità e inefficacia del contratto. – Nei capitoli precedenti sono emerse le


varie anomalie dell’atto, rispetto ai singoli elementi costitutivi richiesti dall’ordinamento
(artt. 1325 ss.). Si è già anticipato, in generale, dei controlli di liceità e meritevolezza
dell’esplicazione dell’autonomia privata (VIII, 5.12). Bisogna ora organizzare sistemati-
camente gli strumenti di tutela apprestati dall’ordinamento e le conseguenze giuridiche
previste dalla legge per quella che, in via di prima approssimazione, può essere indicata
come contrarietà dell’atto all’ordinamento (cioè la sua illegalità).
La disciplina del codice civile non esaurisce l’area delle anomalie degli atti di auto-
nomia privata, operando, sempre più ampiamente, discipline aggiuntive che sanzionano
con la nullità singole contrarietà all’ordinamento giuridico, come per i contratti dei con-
sumatori e in genere per i contratti seriali, con comunicazioni di massa e abuso di posi-
zione dominante (VIII, 1.5); inoltre è nutrita la normativa a presidio della conformità
edilizia e urbanistica, come a tutela dell’ambiente, con notevoli riflessi sulla validità degli
atti dispositivi. Sono anche diffuse aree di comminatoria di sanzioni per atti dispositivi
del corpo umano, specie nella prospettiva delle manipolazioni genetiche e delle pratiche
fecondative.
La valutazione dell’ordinamento configura la rilevanza giuridica del contratto conclu-
so: in presenza di una valutazione positiva, conseguono effetti tendenzialmente conformi
allo scopo perseguito dai privati, con le eventuali integrazioni dianzi accennate; a fronte
di una valutazione negativa, le reazioni dell’ordinamento sono orientate in due fonda-
mentali direzioni: contro i soggetti e/o contro l’atto o anche in entrambe le direzioni.
a) La reazione contro i soggetti comporta la comminatoria di multe e pene contro gli
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1115

autori dell’atto. Se la reazione si esaurisce in tale direzione senza incidere sulla sorte del-
l’atto c’è mera irregolarità del negozio, che produce normalmente i suoi effetti. Ne so-
no tipici esempi alcune violazioni di norme fiscali di minore allarme sociale, come ad
es. l’evasione di imposte di bollo o di alcuni obblighi di registrazione 3.
b) La reazione contro l’atto incide sulla efficacia dell’atto, privando l’atto di effetti o
connettendovi effetti precari. Come si è visto, la categoria della inefficacia ha una valen-
za descrittiva molto ampia per indicare ipotesi varie che hanno in comune il risultato ul-
timo della esclusione di effetti (c.d. inefficacia in senso ampio), che è speculare alla oppo-
sta categoria della produzione di effetti (c.d. efficacia in senso ampio) (VIII, 6.1). È una
categoria generale, all’interno della quale si articolano più tipologie di inefficacia, che si
atteggiano e operano in ragione delle varie ragioni di inefficacia.
Le più diffuse sono legate alla illegalità dell’atto: funzionano diversamente in ragione
dei relativi fondamenti e delle tipologie di illegalità (nullità, annullabilità, rescissione, ri-
soluzione), di cui appresso specificamente si parlerà.
Su un piano diverso si muove la inefficacia connessa alla manovra degli effetti da par-
te degli autori in ragione della produzione di un avvenimento o del trascorre di un tem-
po (come per condizione e termine); come ancora diversa è la inefficacia connessa alla
carenza di legittimazione all’atto (cioè difetto di competenza a disporre degli interessi
oggetto dell’atto). In tali casi si tende a parlare di inefficacia in senso stretto (in contrap-
posizione all’inefficacia come conseguenza della illegalità dell’atto).
Conseguenza comune a tutte le ipotesi di inefficacia del contratto è la ripetib ilità
delle attribuzioni eseguite (c.d. indebito oggettivo ex art. 2033), in quanto, con la ineffi-
cacia dell’atto, le attribuzioni sono prive di causa giustificativa e vanno dunque restitui-
te 4 (ad es., l’inefficacia della vendita comporta che le parti sono rispettivamente tenute a
restituire alla controparte la cosa o il prezzo; regole particolari operano per l’annulla-
mento del contratto dell’incapace (par. 9).
Diversa è la inefficacia relativa che opera nei confronti di determinati soggetti, che
opera come inopponibilità (VIII, 6.16).

3. Inesistenza e invalidità. – Sono categorie di elaborazione dottrinale, non trovan-


do come tali un’apposita disciplina. La “inesistenza” non è neppure menzionata nella
legge; mentre riferimenti alla “invalidità” sono sporadici: ad es. in tema di trattative, do-
ve si parla di “conoscenza delle cause di invalidità” (art. 1338). Entrambe le categorie si
connettono a difetti originari dell’atto. Sono categorie logiche di verifica della formazio-
ne dell’atto, volte a sanzionarne la inefficacia per difformità dell’atto all’ordinamento.
a) La categoria della inesistenza è certamente quella più problematica. Non è in di-
scussione l’assenza o difettosità di uno degli elementi che l’ordinamento richiede per il

3
Altro esempio di irregolarità dell’atto è in tema di celebrazione del matrimonio: sono puniti con la san-
zione amministrativa gli sposi e l’ufficiale dello stato civile che hanno celebrato il matrimonio senza le pre-
scritte pubblicazioni (art. 134); ma il matrimonio è valido.
4
Nei contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, in presenza di una sentenza di annullamento del-
l’aggiudicazione, pronunziata dal giudice amministrativo, “la pubblica amministrazione è tenuta a tener conto
delle conseguenze giuridiche da questa derivanti e orientare di conseguenza la sua ulteriore azione, di modo
che, nel caso di inosservanza o di inerzia, l’interessato può instaurare il giudizio di ottemperanza”; rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario la domanda volta ad ottenere, con l’efficacia di giudicato, l’accertamento
dell’inefficacia del contratto (Cons. Stato, ad. plen., 30-7-2008, n. 9).
1116 PARTE VIII – CONTRATTO

perfezionamento dell’atto (che darebbe luogo alla invalidità), ma la stessa identificab i-


lità della fattispecie come atto di autonomia privata. È cioè posto in essere un atto che,
già nella valutazione sociale, non si presenta idoneo a realizzare un regolamento di interes-
si: non essendo in grado di operare nei rapporti sociali quale atto di autonomia, anche giu-
ridicamente il negozio risulta inesistente. Il classico esempio della tradizione era il matri-
monio tra persone dello stesso sesso: è una realtà che ha invece conseguito rilevanza giuri-
dica in più paesi europei e si sta ponendo all’attenzione anche del nostro ordinamento, che
ha già riconosciuto l’unione civile; è piuttosto una esperienza che conferma la storicità del-
le soluzioni giuridiche (di cui innanzi si è parlato). Nella modernità economica, si pensi
all’accordo concluso tra persone lontane sulla vendita di un bene diversamente indicato
dalle due parti, sicché manca il riferimento oggettivo dell’accordo.
Il problema giuridico è nello stabilire se sia ravvisabile nel sistema una reazione del-
l’ordinamento più grave della nullità (appunto l’inesistenza). La verifica è in ragione della
disciplina della nullità, che ammette ipotesi eccezionali di rilevanza del negozio nullo non
ammesse per l’inesistenza: es. la conversione del contratto nullo (art. 1424); la eccezionale
previsione di sanatoria (art. 1423); l’obbligo di risarcimento danni quando una parte cono-
sceva o doveva conoscere la causa di nullità e non l’ha comunicata all’altra parte (art.
1338); ipotesi in cui la nullità non è opponibile (art. 2652). È ricondotta alla nullità una ri-
levanza giuridica che non opera rispetto alla inesistenza, così tracciandosi la diversità tra le
due figure per la differente rilevanza giuridica. È utilizzata la categoria della inesistenza (in
luogo della nullità) quando si vuole adottare un tipo di contrasto più grave all’ordinamen-
to, con la privazione della delineata esigua rilevanza accordata alla nullità 5.
b) La invalidità opera con riferimento a negozi giuridici esistenti e cioè socialmente
identificati come atti di autonomia privata, ma difformi dall’ordinamento giuridico.
L’atto, benché in grado di operare nella realtà sociale, è valutato negativamente dal-
l’ordinamento per contrarietà a valori fondanti o anche solo a fondamentali regole or-
ganizzative.
Tradizionalmente l’invalidità è stata configurata con riferimento alla struttura del-
l’atto, in quanto mancante di uno degli elementi costitutivi (c.d. essenziali) ovvero viziato
in uno di essi: c.d. “requisiti del contratto” ex art. 1325. Si è visto però come una cre-
scente normativa, specie di provenienza europea, stia estendendo la valutazione ordina-
mentale oltre l’atto per coinvolgere il contesto dell’atto, attribuendo rilevanza giuri-
dica alle circostanze e modalità di stipulazione, alle qualità degli autori del contratto e alle
caratteristiche del rapporto instaurato (VIII, 1.5) (ad es. la forma dell’informazione opera
spesso come requisito di validità del contratto; la qualifica di consumatore incide sul re-
gime di validità del contratto; la conclusione del contratto fuori dei locali commerciali o
a distanza implica un regime specifico).

5
Al divario tra le due categorie si ricorre spesso in sede processuale. Ad es., in tema di notificazione, è
considerata nulla e non inesistente la notificazione eseguita in luogo e a soggetto diversi da quelli indicati nel-
la norma processuale, ma aventi sicuro riferimento con il destinatario dell’atto; conseguentemente, la nullità è
sanabile o mediante costituzione della parte – che non può ritenersi intervenuta con la semplice deduzione
della nullità della notificazione – o in forza della rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (Cass.
11-5-2005, n. 9892). Analogamente la notificazione alla parte nel suo domicilio, anziché nel domicilio eletto,
non è considerata inesistente, ma nulla, con conseguente sanatoria, per effetto delle difese successivamente
svolte dalla controparte con atto depositato (Cons. Stato ord. 12-4-2005, n. 1628).
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1117

La invalidità si articola in due specie: la nullità e l’annullabilità. La nullità (più grave)


determina l’inefficacia originaria e automatica dell’atto; l’annullabilità (meno grave) com-
porta la produzione di effetti, con precarietà degli stessi, che possono essere caducati dal-
l’autorità giudiziaria. Il divario di invalidità è tradizionalmente costruito in ragione del
grado di incidenza della anomalia sulla struttura dell’atto; ma già il codice civile e ancora
la normativa sopravvenuta hanno fatto emergere ulteriori criteri di statuizione dell’una o
dell’altra specie di invalidità, che è possibile articolare in due fondamentali criteri: la
funzione della illegalità, e perciò la natura degli interessi coinvolti e lesi; l’impatto sociale,
e dunque la conoscibilità dell’anomalia.

A) NULLITÀ
4. Configurazione della nullità. – La nullità è la specie più grave di invalidità. L’atto
nasce nullo e dunque privo di effetti (quod nullum est nullum producit effectum) 6. Si è vi-
sto della diversa rilevanza giuridica rispetto alla inesistenza (par. 3).
a) Fondamento e operatività. Il fondamento della nullità sta nella rilevanza degli inte-
ressi coinvolti e lesi: l’atto è in contrasto con valori fondamentali dell’ordinamento,
assolutamente indisponibili e inderogabili dai privati. Anzitutto la violazione degli ele-
menti costitutivi, considerati essenziali requisiti di esplicazione dell’autonomia privata;
poi le varie tipologie di interessi tutelate legate ai diritti della personalità e ai doveri di
solidarietà, ai presidi offerti al funzionamento del mercato, considerati come interessi
generali della società.
Per essere a presidio di valori fondamentali, la nullità opera di diritto (ipso iure):
nel senso che la inefficacia dell’atto, per un verso, è originaria, cioè opera fin dalla for-
mazione dell’atto (il negozio nasce nullo); per altro verso, è automatica, cioè opera senza
necessità di intervento giudiziale.
Quando l’atto è ricevuto da un notaio, la nullità dell’atto si riverbera sull’esercizio
della funzione notarile, non potendo il notaio ricevere atti che sono espressamente proi-
biti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico, sotto
comminatoria di sanzioni disciplinari (art. 28 L. 16.2.1913, n. 89, l. not.) 7.
b) Azione di nullità. Salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta
valere da chiunque vi ha interesse (art. 1421). Vi è legittimazione assoluta alla
proposizione dell’azione, potendo appunto la nullità essere fatta valere da parte di ogni
soggetto interessato. L’esercizio dell’azione di nullità deve comunque coordinarsi con un

6
Si dibatte se la nullità vada configurata come una qualificazione negativa o una inqualificazione dell’atto.
Il tema è influenzato dalla rilevanza che si tende ad attribuire alla inesistenza, quale sopra delineata. Assumendo-
si la inesistenza quale non identificabilità sociale dell’atto, la nullità si atteggia come inqualificazione giuridica
e quindi irrilevanza sul piano giuridico; se viceversa, come si tende ad ammettere, si attribuisce alla inesisten-
za una connotazione volta a comprendere fattispecie soggette ad una normativa più rigorosa di quelle ricon-
dotte alla nullità, può parlarsi di qualificazione negativa.
7
Si tende a ritenere che il divieto imposto dall’art. 281 di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge,
attiene ad ogni vizio che dia luogo ad una nullità assoluta dell’atto, con esclusione, quindi, dei vizi che com-
portano l’annullabilità o l’inefficacia dell’atto, ovvero la stessa nullità relativa (Cass. 7-11-2005, n. 21493; Cass.
4-11-1998, n. 11071). È da ritenere che, assumendosi la nullità protettiva (relativa) a meccanismo di tutela di
interessi correlati a valori fondamentali dell’ordinamento, il controllo di nullità deve aprirsi anche alla verifica
delle ragioni di nullità relativa.
1118 PARTE VIII – CONTRATTO

generale principio dell’ordinamento, secondo cui, per proporre una domanda giudiziaria
o per contraddire alla stessa, è necessario avervi interesse (art. 100 c.p.c.): pertanto chi in-
voca la nullità deve allegare il proprio interesse alla dichiarazione di nullità 8. Si vedrà pe-
raltro dell’accresciuta rilevanza di ragioni di nullità in funzione protettiva di speciali cate-
gorie di soggetti considerate deboli, per le quali opera una c.d. “nullità relativa” (par. 6).
L’azione per far dichiarare la nullità è imprescrittibile , “salvi gli effetti dell’usuca-
pione e della prescrizione delle azioni di ripetizione” (art. 1422). La salvezza degli ef-
fetti prevista dalla norma si giustifica per la tutela accordata dall’ordinamento ad ulte-
riori esigenze ritenute prevalenti. L’atto, nato nullo, rimane nullo, e dunque l’azione di
nullità è imprescrittibile; ma la imprescrittibilità dell’azione può rimanere neutralizzata
per la protezione di esigenze connesse alla nuova situazione che intanto si è determina-
ta con la stipula dell’atto nullo. Se, nonostante la nullità, il contratto sia stato egual-
mente eseguito dalle parti (perché ignoravano la causa di nullità o perché volevano
comunque darvi esecuzione pur nella consapevolezza della nullità) si determina un
evento suscettibile di autonoma rilevanza giuridica. La richiesta di restituzione (c.d.
ripetizione) rimane infruttuosa quando è intervenuto uno dei seguenti eventi: la pre-
scrizione del diritto alla ripetizione per mancato esercizio nel termine di legge (di dieci
anni) 9; la usucapione del bene da restituire in favore dell’avente causa o di altro sogget-
to. In tal caso, benché l’azione di nullità sia imprescrittibile, è paralizzata, non potendo
chi l’esercita conseguire quanto ha indebitamente prestato: chi ha ricevuto l’attribu-
zione ha diritto di trattenerla, non in virtù del contratto che è (e rimane) nullo, ma in
forza di un titolo diverso 10.
Non è prevista la eccezione di nullità, ma è da considerarsi sempre sollevabile e
imprescrittibile essendo imprescrittibile l’azione di nullità. Del resto, per essere previ-
sta la imprescrittibilità dell’eccezione di annullabilità contro la parte che domanda l’e-
secuzione (art. 14424), a maggior ragione deve considerarsi imprescrittibile la eccezio-
ne di nullità.
c) Rilevabilità d’ufficio. In quanto la nullità è presidio di valori fondamentali del-
l’ordinamento è rilevabile di ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art.
1421). Ciò implica la indisponibilità dell’azione di nullità dal soggetto interessato, po-
tendo essere rilevata di ufficio anche in assenza e contro la volontà del soggetto inte-
ressato (è questa una profonda differenza con l’annullabilità, come si vedrà) 11, sempre

8
Con riferimento alla domanda (o all’eventuale eccezione) di nullità di un contratto, mentre per le parti
contraenti l’interesse ad agire è in re ipsa, in dipendenza dell’attitudine del contratto ad incidere nella loro
sfera giuridica, il terzo deve dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse alla declaratoria di nul-
lità (Cass. 5-2-2020, n. 2670). L’azione di nullità non è proponibile in mancanza della prova della necessità di
ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera
giuridica (Cass. 15-4-2002, n. 5420; Cass. 11-1-2001, n. 338).
9
Il termine di prescrizione inizia a decorrere, non dalla data della sentenza, ma da quella del pagamento
effettuato al momento della stipula del contratto nullo, in quanto la pronuncia di nullità, essendo di mero
accertamento, produce la inefficacia retroattiva dell’atto con il conseguente venir meno della modifica giuri-
dica preesistente (Cass. 13-4-2005, n. 7651).
10
Il fenomeno è ben visibile con riguardo alla simulazione: l’azione di simulazione è imprescrittibile per
essere diretta ad accertare la nullità del negozio simulato; ma il decorso del tempo può incidere sui diritti ine-
renti al negozio dissimulato, facendo così venire meno l’interesse all’accertamento della simulazione del nego-
zio apparente (VIII, 3.14).
11
In ogni ipotesi di impugnativa negoziale sono rilevabili d’ufficio nullità originarie e sopravvenute, spe-
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1119

che la decisione della lite di cui il giudice è investito sia influenzata dalla validità del ne-
gozio: ad es. la domanda di adempimento del contratto presuppone la validità dello stes-
so. La rilevazione di ufficio deve comunque risultare compatibile con le regole del pro-
cesso, specie con il principio della domanda ex artt. 99, 112 e 345 c.p.c. 12 e dell’onere
probatorio 13. In coerenza con il “principio della domanda” (art. 101 c.p.c.), il giudice, se
ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, riserva la
decisione assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine per il deposito in cancelle-
ria di memorie contenenti osservazioni sulla questione (co. 2, aggiunto dalla L. 69/2009),
al fine di evitare una sentenza “a sorpresa” 14; criterio esteso anche ai giudizi arbitrali 15.

ciali o di protezione (Cass. 26-6-2015, n. 13287). Anche l’esecuzione spontanea del contratto da parte dei con-
traenti non sana la nullità; pertanto, nel giudizio in cui sia fatta valere una pretesa fondata sul predetto con-
tratto, la nullità deve essere rilevata anche d’ufficio e contro la volontà delle parti, dal giudice, nel suo potere-
dovere di accertare, indipendentemente dall’attività delle parti, l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto del-
l’attore (Cass. 5-6-2003, n. 8993; Cass. 24-12-1994, n. 11156).
12
Il giudice innanzi al quale sia proposta una domanda di nullità contrattuale deve rilevare d’ufficio
l’esistenza di una causa di nullità diversa da quella prospettata, che sia desumibile dai fatti dedotti in giudi-
zio ed abbia carattere assorbente, con l’unico limite di dovere instaurare il contraddittorio prima di statui-
re sul punto; tale rilievo è doveroso anche in grado di appello, perché si tratta di una questione che attiene
ai fatti costitutivi della pretesa azionata ed integra un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio ex art.
1345 c.p.c. (Cass. 17-10-2019, n. 26495). Il rilievo d’ufficio della nullità del contratto è precluso al giudice
dell’impugnazione, quando sulla validità del rapporto si sia formato il giudicato interno (Cass. 30-8-2019,
n. 21906; Cass. 10-9-2010, n. 19282; Cass. 12-3-2002, n. 3568). Il principio va ancora coordinato, sia con
la regola della corrispondenza tra chiesto e pronunziato, sia con il carattere dispositivo dell’impugnazione,
sia ancora con il principio di disponibilità della prova; pertanto il giudice del gravame non può, di sua ini-
ziativa, dichiarare la nullità di un negozio per un motivo basato su fatti diversi e nuovi rispetto a quelli po-
sti a base dell’impugnazione e perciò estraneo alla materia del contendere (Cass. 29-3-2004, n. 6191). La
rilevabilità di ufficio non è consentita nel giudizio di cassazione allorquando siano necessarie specifiche
indagini di fatto (Cass. 10-3-2011, n. 5742).
13
La rilevabilità d’ufficio della nullità di un contratto prevista dall’art. 1421 non comporta che il giudi-
ce sia obbligato ad un accertamento d’ufficio in tal senso, dovendo invece detta nullità risultare ex actis, ossia
dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, essendo i poteri officiosi del giudice limitati
al rilievo della nullità e non intesi perciò ad esonerare la parte dall’onere probatorio gravante su di essa
(Cass. 28-1-2004, n. 1552).
14
Il giudice, innanzi al quale sia stata proposta una qualsiasi impugnativa negoziale (di adempimento, ri-
soluzione, annullamento, rescissione, nullità per altro motivo o solo parziale), sempreché non rigetti la pretesa
in base ad una individuata “ragione più liquida”, che consente di chiudere la lite senza dover affrontare, nep-
pure incidentalmente, problemi di validità o meno del contratto, ha l’obbligo di rilevare – e, correlativamente,
di indicare alle parti – l’esistenza di una causa di nullità negoziale, pure se di natura speciale o “di protezio-
ne”; ove le parti non ne abbiano chiesto l’accertamento in via principale od incidentale in esito all’indica-
zione del giudice, ha la facoltà (salvo per le nullità speciali che presuppongono una manifestazione di inte-
resse della parte) di dichiarare, in motivazione, la nullità del negozio e, quindi, di rigettare, per tale ragio-
ne, la domanda originaria, ovvero, in presenza di tale istanza, di dichiarare la nullità del negozio diretta-
mente in dispositivo, con effetto, in entrambi i casi, di giudicato in assenza di impugnazione (Cass., sez.
un., 12-12-2014, nn. 26242, 26243). La nullità per difetto di forma di un contratto integra una questione di
fatto e di diritto che, ove rilevata di ufficio dal giudice, senza essere indicata alle parti, comporta la nullità
della sentenza (c.d. della terza via o a sorpresa) che su tale questione si fondi, per violazione del diritto di
difesa, quante volte la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere
qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attuato (Cass. 28-12-2021,
n. 41784). La rilevazione di nullità integra una eccezione in senso lato rilevabile d’ufficio anche in appello
a norma dell’art. 345 c.p.c. (Cass 3-3-2022, n. 6990).
15
Gli arbitri, in caso di controversia ad essi affidata, hanno l’obbligo di segnalare la nullità derivante dalla
mancata predisposizione da parte del costruttore di una fideiussione di importo pari alle somme incassate;
1120 PARTE VIII – CONTRATTO

d) Sentenza. La sentenza di nullità accerta la nullità del negozio sin dalla nascita. Per-
tanto è una sentenza dichiarativa (III, 1.3) della invalidità e della inefficacia dell’at-
to fin dalla stipulazione del contratto.
La dichiarazione di nullità opera retroattivamente, così tra le parti come verso i terzi,
travolgendo di regola tutti gli atti che sono stati successivamente compiuti in conseguenza
del contratto nullo. Non mancano ipotesi in cui, in ragione di specifici interessi ritenuti
degni di una tutela preferenziale, l’ordinamento deroghi a tale principio logico.
Alcuni limiti alla retroattività sono posti nell’interesse (di una) delle parti. Così, per
specifici settori, i comportamenti attuativi di negozi giuridici invalidi rilevano giuridica-
mente (VII, 4.3): ad es., la nullità del contratto di lavoro “non produce effetto per il pe-
riodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione”, salvo che la nullità derivi dalla illiceità
dell’oggetto o della causa (art. 2126); la nullità del contratto di società “non pregiudica
l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro delle
imprese” (art. 23322); si pensi anche agli effetti del matrimonio nullo nei confronti dei
figli e dei coniugi che lo hanno contratto in buona fede (matrimonio putativo: art. 128).
Altri limiti sono previsti per la tutela dell’affidamento dei terzi e quindi della circola-
zione dei beni. Si è visto come l’azione di nullità rimanga paralizzata dalla prescrizione
dell’azione di restituzione e dall’usucapione maturata dall’acquirente (art. 1422). Ulte-
riori limiti sono legati alle risultanze dei registri di pubblicità: ad es., rispetto all’aliena-
zione di beni immobili, il conflitto con i terzi è influenzato dalla pubblicità della doman-
da di nullità, con salvezza degli effetti prenotativi della trascrizione della domanda di
nullità (art. 2652, n. 6); la simulazione non è opponibile ai terzi che in buona fede hanno
acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda
di simulazione (artt. 1415 e 2652, n. 4) (cfr. XIV, 2.13).
In ragione della inefficacia del contratto nullo, le attribuzioni compiute sono prive di
giustificazione e vanno restituite secondo il principio dell’indebito oggettivo (art. 2033), di
cui si è detto riguardo alle conseguenze in generale della inefficacia (par. 2). La nullità è
più stringente quando c’è violazione del buon costume, quale contrarietà ai valori etici
della società in un determinato momento storico: in tal caso opera la irripetibilità della
prestazione eseguita (soluti retentio) ex art. 2035 (VIII, 3.25).
Per la regola generale dell’art. 1338, la parte che, conoscendo o dovendo conoscere la
causa di nullità, non ne ha dato notizia all’altra è tenuta a risarcire il danno da questa ri-
sentito per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto. Così, alla sanzio-
ne sull’atto (la nullità), si aggiunge la sanzione a carico del soggetto per il comportamen-
to illecito di reticenza tenuto nei confronti della controparte (risarcimento) 16: si è soliti
ritenere che risponda per illecito extracontrattuale (art. 2043), nei limiti dell’interesse

qualora non lo facciano spetta al giudice ordinario, in sede di impugnazione del lodo, comunicarlo alla parte
(Cass. 6-5-2022, n. 14405).
16
L’art. 1338 c.c., finalizzato a tutelare il contraente di buona fede ingannato o fuorviato dalla ignoranza del-
la causa di invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta e che non era nei suoi poteri conoscere, è applicabile a
tutte le ipotesi di invalidità del contratto, non solo a nullità, ma anche a nullità parziale e annullabilità, nonché alle
ipotesi di inefficacia del contratto, dovendosi ritenere che anche in tal caso si riscontra la medesima esigenza di
tutela delle aspettative delle parti al perseguimento di quelle utilità cui esse mirano mediante la stipulazione del
contratto medesimo; non può invece configurarsi responsabilità per culpa in contrahendo allorquando la causa di
invalidità del negozio, nota a uno dei contraenti, e da questi in ipotesi taciuta, derivi da una norma di legge che
per presunzione assoluta deve essere nota alla generalità dei cittadini (Cass. 8-7-2010, n. 16149).
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1121

negativo; ma è da ritenere che, essendosi instaurato un contatto qualificato tra le parti,


debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale da contatto sociale (VIII, 2.25).
e) Nullità successiva. Tradizionalmente la figura è stata esclusa, per inerire l’invalidità
alla fattispecie, valutabile come valida o meno solo al momento della sua formazione 17.
Un’attenzione all’assetto di interessi assunto nell’atto ha fatto emergere una legislazione
che consente una nullità successiva per sopraggiunta contrarietà del negozio a valori del-
l’ordinamento nel frattempo emersi, con l’unico limite che gli effetti non si siano ancora
prodotti 18. Il fenomeno interferisce con il principio della irretroattività della legge (art.
111 disp. prel.), considerato inderogabile solo in sede penale (art. 252 Cost.) (I, 3.11). È
fissato un limite all’intervento della P.A. di revoca e di annullamento di provvedimenti,
specie se con effetti durevoli 19, a tutela dell’affidamento nella stabilità del provvedimento.
Per i contratti con effetti non esauriti (in quanto sospesi, differiti o di durata), un mu-
tamento di valutazione normativa comporta una successiva nullità dell’atto, senza far ve-
nir meno gli effetti prodotti 20. Il problema si è posto con riguardo alla pattuizione di in-
teressi divenuti usurari per eccedenza del tasso soglia (usurarietà sopravvenuta): non si
condivide l’atteggiamento delle sezioni unite che hanno fatto funzionare in modo angu-
sto il principio di buona fede, circoscritto agli stati soggettivi 21, senza aprirlo alle so-

17
La validità di un contratto o di una sua clausola, in difetto di una norma espressamente dichiarata re-
troattiva, deve essere riferita alla disciplina in vigore all’epoca della stipulazione (Cass. 21-4-2011, n. 9263).
18
In ipotesi di nullità derivante da ius superveniens, a rapporto validamente instaurato, la norma soprav-
venuta, in luogo di incidere sulla validità del contratto, priva il rapporto della capacità di produrre effetti ul-
teriori; pertanto, l’invalidità successiva può incidere su negozi che ancora non hanno iniziato a produrre effetti,
mentre per gli altri resta priva di rilievo (se tutti gli effetti si sono esauriti) ovvero si traduce in una perdita di ul-
teriore efficacia e cioè in un arresto della funzione negoziale dell’atto (Cass. 5-4-2001, n. 5052).
19
Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o
di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole
può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La
revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti; se la revoca com-
porta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provve-
dere al loro indennizzo (art. 21 quinquies1 L. 7.8.1990, n. 241). Il provvedimento amministrativo illegitti-
mo ai sensi dell’art. 21 octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico,
entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’or-
gano che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge (art. 21 nonies1 L. 7.8.1990, n. 241).
Però il decorso di un significativo lasso temporale (ad es. un periodo di oltre dieci anni) tra l’adozione di
un provvedimento ed il ritiro in sede di autotutela determina un legittimo affidamento in ordine alla stabi-
lità del provvedimento (Cons. Stato 20-8-2008, n. 3984). In caso di annullamento in sede giurisdizionale
giustiziale o di autotutela dell’atto di aggiudicazione di un appalto pubblico, il contratto conseguente è
soggetto alla caducazione automatica (c.d. invalidità ad effetto caducante), fatte salve le situazioni soggetti-
ve già consolidatesi in capo ai terzi fino alla domanda di annullamento e le prestazioni già eseguite nei nego-
zi di durata (Cons. Stato 28-5-2004, n. 3465).
20
Ad es., si è statuito che la clausola compromissoria contenuta nello statuto societario, la quale non pre-
veda che la nomina degli arbitri debba essere effettuata da un soggetto estraneo alla società, è nulla anche ove
si tratti di arbitrato irrituale, ed è affetta dall’entrata in vigore del D.Lgs. 5/2003 da nullità sopravvenuta rile-
vabile d’ufficio (Cass. 28-7-2015, n. 15841).
21
Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento
del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. 108/1996, non si verifica la
nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente
all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente
tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo
il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale so-
glia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (Cass., sez. un., 19-10-2017, n. 24675).
1122 PARTE VIII – CONTRATTO

pravvenienze ordinamentali: i valori sopravvenuti incidono sulla integralità storica della


relazionalità, non potendo rilevare giuridicamente il regime di un rapporto in contrasto
con l’ordinamento rinnovato 22 (par. 13). È il programma contrattuale contenuto nell’atto a
divenire illegale e dunque non attuabile dopo la dichiarata illegalità: il rapporto continua
nel modo conformato dall’ordinamento, con sostituzione della clausola nulla, secondo la
tecnica propria della sostituzione di diritto in tema di nullità parziale (art. 14192).

5. Le cause di nullità. – È possibile raggruppare le molte cause di nullità in tre classi


fondamentali: cause generali di nullità per assenza di un elemento essenziale e illiceità
(nullità strutturali); cause particolari di nullità per specifiche previsioni normative (nullità
testuali); cause implicite di nullità, per contrarietà a norme imperative (c.d. nullità virtuale).
a) Nullità strutturali. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti
previsti dall’art. 1325 (l’accordo delle parti, la causa, l’oggetto e la forma quando è pre-
scritta a pena di nullità) (art. 14182). Producono altresì nullità del contratto l’illiceità del-
la causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’art. 1345 (cioè quando il motivo è co-
mune e determinante), la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’art. 1346 (cioè
possibilità, determinatezza e liceità); è inoltre nullo il contratto al quale è apposta una
condizione, sospensiva o risolutiva, illecita (art. 1354). Per la generale previsione sulla
causa, si ha illiceità per contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon co-
stume (VIII, 3.8). Delle singole cause si è parlato nelle specifiche sedi, trattando la con-
clusione (VIII, 2), il contenuto (VIII, 3), la forma (VIII, 4) e il regolamento del contratto
(VIII, 5), alle quali pertanto si rinvia.
Sono tutte cause generali di nullità per inerire agli elementi essenziali (costitutivi) di
ogni negozio giuridico o alla relativa illiceità: attengono alla formazione dell’atto e all’as-
setto di interessi realizzato.
b) Nullità testuali. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge (art.
14183). Sono cause particolari di nullità, previste dall’ordinamento, per contrarietà a spe-
cifiche istanze, le quali involgono ulteriori requisiti di validità dell’atto.
Alcune ipotesi sono previste nel codice civile: es. nullità dei patti di esonero da respon-
sabilità del debitore (art. 1229); nullità dei patti successori (art. 458); nullità del contratto di
assicurazione se il rischio è inesistente prima della conclusione del contratto (art. 1895);
nullità degli atti di acquisto in violazione di specifici divieti di comprare (art. 1471, n. 1 e
2). Molte altre ipotesi stanno emergendo con il diffondersi della legislazione speciale, tal-
volta a protezione di soggetti considerati deboli (es. lavoratori 23, consumatori 24, risparmia-
tori 25, o anche conduttori 26), talaltra in funzione di specifici obiettivi (es. salvaguardia

22
Si è stabilito che la pattuizione di interessi a tasso divenuto usurario a seguito della L. 108/1996 è illegit-
tima anche se convenuta in epoca antecedente all’entrata in vigore di detta legge (Cass. 17-11-2000, n. 14899;
Cass. 11-1-2013, n. 602).
23
Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da leggi inde-
rogabili o contratti e accordi collettivi non sono valide (art. 2113).
24
Art. 36 cod. cons., di cui appresso trattando della nullità di protezione.
25
Con riguardo ai contratti bancari, sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rin-
vio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse ovvero quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni
più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati (art. 117 D.Lgs. 1.9.1993, n. 385, TUB).
26
È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1123

del gettito tributario 27, contenimento della spesa pubblica); altre sono introdotte da leg-
gi speciali confluite nel codice civile, spesso con ampia manovra della operatività delle
due categorie dell’invalidità (come ad es. in materia di società per azioni) 28. Sono anche
richieste, sempre più di frequente, specifiche dichiarazioni nel contratto, sotto comminato-
ria di nullità: talvolta, a tutela della trasparenza del contenuto contrattuale, talaltra a fini
diversi, specie urbanistici 29. Frequenti applicazioni sono in tema di pattuizioni di inte-
ressi usurai (sia moratori che corrispettivi) (VII, 4.6). Nullità sono prescritte per i con-
tratti stipulati con la P.A. senza forma scritta 30.

canone maggiore o ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con la legge; il conduttore, con azione pro-
ponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi
forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla legge (art. 79 L. 27.7.1978, n. 392). Pe-
rò i diritti vantati dal conduttore, una volta sorti, sono disponibili dalle parti e possono essere oggetto di
rinuncia (Cass. 26-2-2020, n. 5127; Cass. 30-9-2019, n. 24221).
27
Ad es., i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità im-
mobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono re-
gistrati (art. 1346 L. 30.12.2004, nn. 311, 346). Per Cass. 14-6-2021, n. 16742, va riconosciuto effetto sanante
alla registrazione tardiva del contratto di costituzione di un diritto personale di godimento di un immobile
(nella specie comodato) e tale effetto sanante ha efficacia retroattiva, il che consente di stabilizzare definitiva-
mente gli effetti del contratto.
28
Una particolare disciplina delle invalidità è dettata per le società per azioni (art. 2332), ispirata alla esi-
genza di stabilità economica e di certezza nei rapporti con i terzi: normativa introdotta dall’art. 1 D.Lgs.
17.1.2003, n. 6, e confluita nel codice civile. La stessa, in quanto compatibile, è applicata anche alle s.a.p.a.
(art. 2454) e alle s.r.l. (art. 24632). Prima dell’iscrizione della società nel Registro delle imprese, il contratto e
l’atto costitutivo si atteggiano come normali atti di autonomia privata, soggetti alla disciplina generale di diritto
comune; trattandosi peraltro di contratto plurilaterale con comunione di scopo, valgono le regole ordinarie per
tale tipo di contratti (artt. 1420, 1446, 1459, 1466); per le operazioni compiute in nome della società sono illimi-
tatamente e solidalmente responsabili verso i terzi coloro che hanno agito e quelli tra i soci che, nell’atto costitu-
tivo o con atto separato, hanno deciso, autorizzato o consentito il compimento dell’operazione, oltre che il socio
unico fondatore (art. 2331). Dopo l’iscrizione nel Registro delle imprese, la costituzione della nuova persona
giuridica impone l’esigenza di garantire la certezza dei rapporti giuridici contratti, oltre che di salvaguardare il
valore produttivo della società come ragione di sviluppo economico; opera un regime rovesciato rispetto a quello
generale: l’annullabilità diventa la regola delle cause di invalidità, mentre la nullità rappresenta l’eccezione, previ-
sta tassativamente per le seguenti ipotesi: 1) mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pub-
blico; 2) illiceità dell’oggetto sociale; 3) mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione relativa a denomi-
nazione della società o conferimenti o ammontare del capitale sociale o oggetto sociale (art. 23321).
29
Specifiche previsioni sono nel D.P.R. 6.6.2001, n. 380 (t.u. edil.): sono nulli gli atti dispositivi tra vivi
aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento di comunione di diritti reali di edifici ove non
risultino gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria (art. 46); analogamente sono nulli i
medesimi atti dispositivi di terreni ove non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le
prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata (art.). A pena di nullità è anche l’allineamento delle
risultanze catastali con quelle dei registri immobiliari, ai sensi dell’art. 291 bis L. 27.2.1985, n. 52 (inserito dal
D.L. 31.5.2010, n. 78, conv. con L. 30.7.2010, n. 122) (IX, 1.6).
30
Nei contratti di diritto privato stipulati dalla P.A., soggetti alla forma scritta ad substantiam, la volontà
negoziale deve dedursi unicamente dal contenuto dell’atto, interpretato secondo i canoni ermeneutici degli
artt. 1362 ss. c.c., non rilevando il comportamento delle parti anche posteriore alla stipulazione del contratto
(Cass. 11-5-2007, n. 10868). Ancorché la P.A. agisca iure privatorum, il contratto d’opera professionale deve
rivestire, ex artt. 16 e 17 R.D. 2440/1923, la forma scritta ad substantiam, recante la sottoscrizione del profes-
sionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei
terzi, nonché l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso, essendone preclusa, altresì,
la conclusione tramite corrispondenza, giacché la pattuizione deve essere versata in un atto contestuale, pur
se non sottoscritto contemporaneamente; il contratto non è suscettibile di sanatoria poiché gli atti negoziali
della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti, né
1124 PARTE VIII – CONTRATTO

c) Nullità virtuali. Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo


che la legge disponga diversamente (art. 14181). Sono cause implicite di nullità, per ope-
rare in assenza di una statuizione normativa. È una previsione di chiusura del sistema, che
prescrive la nullità del contratto per contrarietà a norme inderogabili, anche in assenza
di vizi strutturale e di espressa comminatoria di nullità (sia generale che testuale) 31. Il
fatto però che si preveda “salvo che la legge disponga diversamente”, fa capire che si è in
presenza di una illegalità che non necessariamente debba connotarsi come illiceità, per-
ché questa, come si ricava dall’art. 14182, non ammette deroghe, mentre la illegalità in
questione potrebbe non dare luogo a nullità 32.
Il tema si è particolarmente posto con riguardo ai molti doveri di informazione impo-
sti dall’ordinamento per rimuovere le asimmetrie informative. Anche in assenza di una
previsione normativa di nullità, si tende a ricondurre l’assenza dell’informazione o della
forma richiesta ad una nullità virtuale riconducibile alla previsione dell’art. 14181 per
contrarietà a norme imperative di diritto.
Così la categoria della nullità virtuale, immaginata per ricondurre le possibili anoma-
lie della fattispecie contrattuale che la evoluzione della società avrebbe prospettato, si
presta a governare le forme di illegalità del regolamento contrattuale che i nuovi valori
propongono.

6. Le nullità di protezione. – Come si è anticipato, sempre più di frequente la nulli-


tà è impiegata a tutela di qualificate posizioni giuridiche soggettive socialmente deboli o
comunque deboli nei rapporti di mercato sì da subire in fatto l’abuso di posizioni domi-
nanti, in grado di imporre schemi contrattuali propri o della categoria di appartenenza
(più spesso con apposita modulistica predefinita) (VIII, 1.8 e 9).

è sufficiente che il professionista accetti, espressamente o tacitamente, la delibera a contrarre, atteso che
questa, benché sottoscritta dall’organo rappresentativo medesimo, resta un atto interno che l’ente può re-
vocare ad nutum (Cass. 31-10-2018, n. 27910; Cass. 15-6-2020, n. 10669). Si è precisato che, nel contratto
di patrocinio della pubblica amministrazione, il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto
con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell’art. 83 c.p.c., atteso che l’esercizio della rappresentan-
za giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo perfeziona, mediante l’incontro di
volontà fra le parti, l’accordo contrattuale in forma scritta, rendendo così possibile l’identificazione del
contenuto negoziale e i controlli dell’Autorità tutoria (Cass. 5-6-2020, n. 10675; Cass. 6-8-2019, n. 21007;
Cass. 25-1-2018, n. 1830).
31
Un diverso sistema opera nel diritto amministrativo, dove l’art. 21 septies L. 7.8.1990, n. 241 (introdotto
dalla L. 11.2.2005, n. 15), stabilisce che “È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi
essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del
giudicato, nonché negli altri casi previsti dalla legge”. Non è prevista una nullità virtuale dell’atto per esigenze
di certezza e di stabilità dell’azione amministrativa.
32
La violazione di disposizioni inderogabili è suscettibile di determinarne la nullità unicamente ove non
sia altrimenti stabilito dalla legge; pertanto, questo esito va escluso sia quando risulti indicata una differente
forma di invalidità (ad esempio, l’annullabilità) sia ove la legge assicuri l’effettività della norma imperativa con
la previsione di rimedi diversi (nella specie, era stata chiesta la dichiarazione di nullità del contratto di vendita
di un immobile per violazione della L. 231/2007 sull’antiriciclaggio, stante il dedotto pattuito pagamento del
prezzo in contanti; la S.C. ha ritenuto non applicabile l’art. 1418 c.c. poiché l’infrazione contestata era san-
zionata in via amministrativa) (Cass. 15-1-2020, n. 525). La vendita di un fondo compiuta senza il rispetto
delle norme sul diritto di prelazione di cui agli artt. 8 L. 26.5.1965, n. 590, e 7 L. 14.8.1971, n. 817, non è vi-
ziata da nullità, ai sensi dell’art. 1418 o dell’art. 1344 c.c., sussistendo il rimedio dell’esercizio del riscatto, a
nulla rilevando la decadenza dalla possibilità di esperirlo (Cass. 11-12-2012, n. 22625).
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1125

È avvenuto che il disegno costituzionale personalista e solidaristico di tutela degli in-


teressi deboli si sia saldato con le esigenze economiche di incentivare il consumo per fa-
vorire la collocazione dei prodotti sul mercato e di evitare abusi di posizione dominante
per favorire il mercato concorrenziale, sicché la tutela delle posizioni deboli rappresenta
da tempo crocevia di un costante riferimento negli interventi di diritto europeo 33. Tale
tutela si svolge in una duplice direzione. Secondo la tecnica tradizionale, incidendo sulla
fattispecie e sanzionando con la nullità le clausole considerate vessatorie o comunque
espressive di abuso di posizione dominante, riconoscendo solo al soggetto debole tutelato
il diritto di far valere la nullità; l’art. 36 cod. cons., rubricato “nullità di protezione”, te-
stualmente prescrive: “la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere
rilevata d’ufficio dal giudice” (co. 3). In una nuova prospettiva, sono valorizzate le circo-
stanze dell’atto: stanno crescendo gli obblighi di informazione precontrattuale a carico dei
soggetti “forti” del mercato (banche, assicurazioni, fornitori di prodotti finanziari, in ge-
nere grande impresa) 34; si è visto come la nuova frontiera del formalismo giuridico si
orienti proprio verso la forma dell’informazione (VIII, 4.1); a volte la nullità vale anche a
presidiare l’inosservanza di specifici vincoli nei confronti di contraenti deboli (si pensi
agli obblighi di rilascio e consegna di fideiussione e di polizza assicurativa gravanti sul
costruttore nella vendita di immobili da costruire, ex art. 2 e 4 D.Lgs. 122/2005); è anche
prevista la nullità della vendita di beni culturali, senza preventiva autorizzazione 35. Or-
mai figure di nullità protettive operano in campi sempre più ampi 36 nella prospettiva di
tutela del contraente debole.

33
Significativa Cass., sez. un., 12-12-2014, n. 26242: La rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve esten-
dersi anche a quelle c.d. di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni della Corte di giustizia,
come una species del più ampio genus rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fonda-
mentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza almeno formale tra con-
traenti forti e deboli (art. 3 Cost.) – che trascendono quelli del singolo.
34
L’area delle nullità relative di protezione è in continua espansione: ad es., nei “contratti dei consumato-
ri”, la nullità delle clausole vessatorie opera soltanto a vantaggio dei consumatori e può essere rilavata d’uf-
ficio dal giudice (art. 363 cod. cons.); nei contratti bancari, le nullità previste dalla legge possono essere fatte
valere solo dai clienti e rilevate di ufficio dal giudice (art. 1272 D.Lgs. 385/1993); la nullità del contratto di assi-
curazione stipulato con un’impresa non autorizzata o alla quale sia fatto divieto di assumere nuovi affari può esse-
re fatta valere solo dal contraente o dall’assicurato (art. 167 D.Lgs. 209/2005); la nullità delle pattuizioni che
privano il consumatore della protezione derivante dalla normativa sulla commercializzazione a distanza di ser-
vizi finanziari ai consumatori, può essere fatta valere solo dal consumatore ed è rilevabile d’ufficio dal giudice
(art. 171 D.Lgs. 190/2005).
35
La nullità ex art. 1641 D.Lgs. 42/2004, è relativa in quanto unico legittimato a farla valere è il Ministero
competente al rilascio dell’autorizzazione; non concerne i contratti preliminari relativi alla vendita di tali beni,
per la cui stipulazione non è prevista una sanzione (Cass. 27-11-2019, n. 30984).
36
L’art. 36 D.Lgs. 206/2005, commina la nullità (necessariamente parziale) al contratto concluso tra il con-
sumatore e il professionista in cui siano state inserite clausole vessatorie, prevedendo che essa operi soltanto a
vantaggio del consumatore. L’art. 134 D.Lgs. 206/2005, vieta qualsiasi patto, anteriore alla comunicazione al
venditore del difetto di conformità, volto ad escludere o limitare, anche in modo indiretto, i diritti spettanti in
base alla garanzia legale di conformità; la violazione del divieto comporta la nullità che può essere fatta valere
solo dal consumatore. Gli artt. 23 e 30 D.Lgs. 58/1998, prescrivono rispettivamente dei vincoli di forma e de-
gli obblighi informativi in capo all’intermediario finanziario e sanciscono, per l’ipotesi della loro violazione, la
nullità dei contratti che può essere fatta valere solo dal cliente. Il Titolo VI del D.Lgs. 385/1993, rubricato
“Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti” prevede, sotto pena di nullità, varie
prescrizioni di forma, nonché diversi obblighi di informazione e vincoli del contenuto contrattuale; l’art. 1272,
D.Lgs. 385/1993 precisa che tutte tali nullità operano soltanto a vantaggio del cliente.
1126 PARTE VIII – CONTRATTO

Le due prospettive si sovrappongono, operando insieme e contemporaneamente: ten-


dono ad attribuire alla nullità la funzione di protezione di interessi qualificati (c.d. nullità
di protezione o protettive). Tali nullità si atteggiano come nullità relative , per poter
essere rilevate dal solo soggetto nel cui interesse sono previste; sono rilevabili di ufficio dal
giudice nell’interesse del contraente a cui vantaggio sono disposte 37. La categoria della nul-
lità relativa era peraltro già insita nel sistema, prevedendo l’art. 1421 che la nullità può es-
sere fatta valere da chiunque vi ha interesse e rilevata dal giudice “salvo diversa disposizione
di legge”: dunque già nel codice civile l’assolutezza è costruita come derogabile dalla leg-
ge. Di regola le nullità relative comportano nullità parziale con la sostituzione di diritto
della clausola valida (par. 7). La Corte di giustizia ha anche rilevato la necessità di un
termine ragionevole per le restituzioni 38.
A fondamento della nullità protettiva vi è sempre la tutela di un interesse generale (di
sostegno alla solidarietà o di presidio del mercato), di cui l’ordinamento si fa carico, in ra-
gione del quale è prescritta la nullità e non l’annullabilità. Il carattere protettivo che giusti-
fica la nullità deve escluderne la disponibilità da parte del soggetto protetto, altrimenti la
protezione accordata al contraente debole con la previsione della nullità potrebbe essere
neutralizzata, con evidente aggiramento della legge: del resto le normative che la prevedo-
no stabiliscono di sovente anche il carattere imperativo delle relative disposizioni (es. art.
134 D.Lgs. 206/2005; art. 127 D.Lgs. 385/1993). E del resto la rilevabilità di ufficio della
nullità protettiva, di per sé, ne esclude la disponibilità e la sanabilità.
Alcune disposizioni prevedono espressamente, oltre alla legittimazione relativa, la rile-
vabilità d’ufficio (es. artt. 36 e 134 D.Lgs. 206/2005, e 127 D.Lgs. 385/1993), altre sono
silenti (es. artt. 23 e 30 D.Lgs. 58/1998, 167 D.Lgs. 209/2005 e 122 D.Lgs. 122/2005). Es-
sendo la rilevabilità di ufficio funzionale alla tutela di interessi che l’ordinamento assume
come fondamentali della società, deve ammettersi che il giudice possa rilevare d’ufficio
la nullità a favore della parte protetta, non contro la sua espressa volontà. In tal senso è an-
che un chiaro intervento delle sezioni unite che rilascia alla parte interessata il potere di
avvalersene 39. Ciò pone l’ulteriore problema della disponibilità della nullità protettiva,
per il pericolo che il soggetto protetto possa disfarsi di tale strumento di protezione. De-
ve pensarsi alla nullità di una clausola contrattuale che escluda la nullità protettiva: del
resto le normative che la prevedono stabiliscono di sovente anche il carattere imperativo
delle relative disposizioni (es. art. 134 D.Lgs. 206/2005; art. 127 D.Lgs. 385/1993; art.
51 bis D.Lgs. 122/2005). Può pensarsi che, nell’attuazione del contratto, a fronte della ri-

37
Il rilievo officioso delle nullità di protezione opera in funzione del solo interesse del contraente debole
ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità (Cass. 17-1-2017, n. 923).
38
Fermo la “imprescrittibilità dell’azione diretta ad accertare la nullità di una clausola abusiva contenuta
in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, una normativa nazionale può assoggettare a
un termine di prescrizione l’azione diretta a far valere gli effetti restitutori di tale accertamento”, sempre che
tale termine “non sia meno favorevole rispetto a quello relativo a ricorsi analoghi di natura interna” e “non
renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giu-
ridico dell’Unione” (Corte giust. U.E. 9-7-2020, cause riunite C-698/18 e C-699/18).
39
La “rilevazione” ex officio delle nullità negoziali (sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato
dalla parte, ed altresì per le ipotesi di nullità speciali o “di protezione”) è sempre obbligatoria con indicazione
alle parti di tale vizio; la loro “dichiarazione”, invece, ove sia mancata un’espressa domanda della parte pure al-
l’esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa, salvo per le nullità speciali, che pre-
suppongono una manifestazione di interesse della parte (Cass., sez. un., 12-12-2014, nn. 26242 e 26243, cit.).
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1127

levazione di ufficio della nullità, possa il soggetto protetto dichiarare di non avvalersene,
considerando di maggiore utilità l’esecuzione del contratto. Sono rapporti economici ri-
spetto ai quali non opera quella assolutezza di divieto propria dei negozi riguardanti be-
ni indisponibili.
In una prospettiva maggiormente attenta alla esplicazione dell’autonomia privata, si
può accedere ad una valutazione dinamica della validità del contratto, aprendo ad una
generale ammissione di validità successiva del negozio, quando normative sopravvenute o
nuove valutazioni giuridiche di conflitti di interessi, ovvero mutamenti di contesti socio
economici, rendono l’operazione compiuta o alcuni aspetti della stessa conformi all’ordi-
namento.

7. Conservazione (sanatoria, conversione, nullità parziale, contratto plurilatera-


le). – Vi è nell’ordinamento un generale principio di conservazione dell’attività giuridica,
come esplicazione del favore dell’ordinamento per l’operosità economica. Di tale princi-
pio si è parlato come criterio di interpretazione dei contratti, per cui, nel dubbio, il con-
tratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche
effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno (art. 1367) (VIII, 5.3).
Anche con riguardo ai negozi nulli, si fa applicazione di tale principio al fine di non di-
sperdere l’attività negoziale e conservare l’attività economica compiuta. La conservazio-
ne del contratto vale anche a salvare il conseguimento di beni da parte di fasce sociali
deboli 40. Di seguito sono analizzati i vari modi di conservazione dei negozi nulli.
a) Sanatoria. È il mezzo più ampio di conservazione dell’attività negoziale, per de-
terminare la salvezza dell’assetto di interessi realizzato dal negozio nullo. Di regola la sa-
natoria del negozio nullo non è consentita, per essere coinvolte esigenze essenziali del
sistema. L’art. 1423 fissa il principio della inammissibilità della convalida del contratto
nullo, tranne che la legge non disponga diversamente. Il testo della norma sollecita due
riflessioni, una di carattere strutturale e un’altra di carattere funzionale.
Nella prospettiva strutturale, la formula “convalida” dell’art. 1423, mutuata dall’im-
piego generale del termine in tema di annullabilità (art. 1444), non deve fuorviare sulla
significazione logica dell’utilizzo. Come si vedrà, il negozio annullabile è produttivo di
effetti: la convalida del negozio annullabile consolida effetti già prodotti, appunto perché
il negozio annullabile è efficace (par. 10). Invece il negozio nullo non produce effetti
(anche se è giuridicamente esistente): il termine “sanatoria” allude ad una realtà variega-
ta, eccezionalmente di salvezza dell’atto, più spesso di eccezionale rilevanza di compor-
tamenti tenuti in attuazione del contratto nullo.
Nella prospettiva funzionale, bisogna evitare un ulteriore equivoco. L’art. 1423 pre-
scrive che il contratto nullo non può essere convalidato “se la legge non dispone diver-
samente”: si ripropone così il problema del significato da attribuire al termine “legge”,
che, dopo l’avvento della carta costituzionale e della unione europea, non può più esau-
rirsi nelle norme del codice civile o di altre normative specifiche ma deve necessariamen-
te aprirsi ai principi generali dell’ordinamento che coinvolgono i diritti fondamentali di
provenienza costituzionale e europea (II, 7.1). Consegue che ragioni di sanatoria possono

40
In un campo diverso, una incisiva applicazione del principio di conservazione è con riguardo al testa-
mento, per essere questo atto di ultima volontà e dunque non rinnovabile.
1128 PARTE VIII – CONTRATTO

provenire anche dall’applicazione al caso concreto di principi generali dell’ordinamento,


attraverso una verifica funzionale degli interessi coinvolti.
Tradizionalmente, in una società ad economia statica e con rapporti sociali stabili, lo
statuto dell’atto nullo è destinato a perpetuarsi: il negozio che nasce nullo non può puri-
ficarsi (secondo l’antico detto quod initio vitiosum est non potest tractu temporis convale-
scere). Tale generale visione è stata nel tempo erosa, sia ammettendosi una invalidità suc-
cessiva (di cui si è detto: par. 3), sia operando una sanatoria di negozio nullo (di cui ora
si parla). In sostanza, pure in presenza di negozio nullo, l’ordinamento valuta ulteriori
fatti sopravvenuti, quali più spesso i comportamenti attuativi del contratto, per la rile-
vanza che gli stessi esercitano in una più ampia area valoriale considerata prevalente.
Già nel codice civile sono varie le ipotesi di convalida (rectius sanatoria) del contratto
nullo. In una logica di salvezza dell’efficienza economica, rispetto alle società di capitali,
la nullità non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata e di tale eli-
minazione è stata data pubblicità con iscrizione nel registro delle imprese (artt. 23325,
2454 e 24632); per le s.p.a. è prevista la “sanatoria della nullità” per ipotesi di delibera-
zione invalida per mancata convocazione 41 e per mancanza del verbale 42 (l’invalidità del-
la deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante verbalizzazione
eseguita prima dell’assemblea successiva: rt. 2379 bis); le azioni di nullità e di annullabili-
tà non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bi-
lancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo (artt.
2434 bis e 2479 ter4): la normativa è applicata anche alle s.a.p.a. (art. 2454) e alle s.r.l.
(art. 2479 ter4). Esigenze generali di conservazione dell’attività economica e di funzio-
namento del mercato hanno la prevalenza sulla istanza partecipativa a fondamento della
nullità della società. In una prospettiva di relazionalità solidale, rispetto la rapporto di la-
voro, la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il perio-
do in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi da illiceità
dell’oggetto o della causa (la tutela specifica del lavoratore riceve tutela privilegiata ri-
spetto alla validità della struttura dell’atto); una specifica disciplina regola la conserva-
zione degli effetti del matrimonio nullo, contratto in buona fede dai coniugi (matrimonio
putativo), di cui si è detto (V, 2.7). Nello stesso ordine di idee, ampliamenti della funzione
della convalida sono compiuti dalla giurisprudenza, ad es., in tema di locazione 43 e appal-
to 44. Esigenze di preservare la stabilità economica e la certezza del traffico giuridico o
anche la protezione di interessi di contraenti deboli tendono a favorire il diffondersi di
una sanatoria come recupero dell’atto di autonomia privata o di salvezza dei comporta-

41
L’impugnazione per mancata convocazione non può essere esercitata da chi, anche successivamente,
abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea (art. 2379 bis1).
42
L’invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante verbalizzazione
eseguita prima dell’assemblea successiva (art. 2379 bis2).
43
Il contratto di locazione di immobili, sia ad uso abitativo che ad uso diverso, ove non registrato nei ter-
mini di legge è nullo ex art. 1346 L. 311/2004; ma, in caso di tardiva registrazione, da ritenersi consentita in
base alle norme tributarie, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, atteso che il ricono-
scimento di una sanatoria “per adempimento” è coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullità
(funzionale) “per inadempimento” all’obbligo di registrazione (Cass. 20-12-2019, n. 34156).
44
L’illiceità del contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia sussiste
solo qualora l’appalto sia eseguito in carenza di concessione, e non anche nel caso in cui la concessione sia rila-
sciata dopo la data di stipula ma, comunque, prima della realizzazione dell’opera (Cass. 27-4-2018, n. 10173).
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1129

menti tenuti: in ogni caso vanno fatti salvi i diritti dei terzi coinvolti dall’atto originario.
Alcuni autori sono propensi a considerare forme di sanatoria la conferma e la esecuzione
volontaria di disposizioni testamentarie nulle (art. 590) e di donazioni nulle (art. 799). In
realtà in queste ipotesi la sanatoria attraverso l’esecuzione proviene da soggetti diversi dagli
autori del negozio nullo: più esattamente la conferma e l’esecuzione volontaria sono state
ricostruite come elementi di una fattispecie complessa 45.
b) Conversione. Sono previste due specie di conversione: sostanziale e formale.
La conversione sostanziale incide sulla funzione del contratto. Per l’art. 1424 il
contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i re-
quisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti,
“debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità”. È questa
la conversione vera e propria in quanto si tende a salvare, nei limiti previsti dalla legge,
l’autonomia privata esplicata, sebbene con un risultato inferiore.
Devono ricorrere due fondamentali presupposti: a) il contratto nullo deve avere i re-
quisiti di sostanza (cioè di contenuto) e di forma (cioè di manifestazione) di un contratto
diverso valido; b) dal contratto nullo deve emergere una volontà per una funzione più
limitata se si fosse conosciuta la nullità del contenuto stabilito. Il secondo presupposto
esprime l’omaggio ad una tradizione che incarnava nella volontà l’essenza del negozio:
essendo il negozio nullo, la legge richiede la verifica di una volontà ipotetica di un diver-
so negozio, considerato valido anche se produttivo di effetti più ridotti. Trattasi di un
artificio logico per garantire dignità al ruolo della volontà, essendo difficile la ricerca di
una volontà ipotetica inespressa 46. È in realtà necessario che allo scopo pratico perseguito
dal negozio nullo (determinato secondo le regole della interpretazione e integrazione del
contratto) sia oggettivamente ragguagliabile un diverso scopo più limitato: sono riferiti al
negozio nullo effetti meno ampi di quelli dallo stesso perseguiti, ma comunque con-
gruenti con il risultato programmato. Ad es. una promessa cambiaria nulla vale come
promessa di pagamento: lo scopo attuato da quest’ultima è riconducibile a quello perse-
guito dal negozio originario (con più limitata portata) 47.

45
La legislazione speciale tende a fare impiego della figura della “conferma” dell’atto nullo col significato
proprio di sanatoria del contratto nullo. Ad es., per l’art. 461 D.P.R. 6.6.2001, n. 380 (t.u. edil.), gli atti tra
vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento
della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17.3.1985,
sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi
del permesso di costruire o del permesso in sanatoria; se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia
dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi
possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma
del precedente, che contenga la menzione omessa (co. 4).
46
L’accertamento dell’ipotetica volontà dei contraenti deve essere sollecitato dall’una o dall’altra parte,
non potendo essere operato di ufficio dal giudice (Cass. 6-7-2018, n. 17905). In tema di nullità contrattuale, il
potere del giudice di rilevarla d’ufficio non può estendersi fino alla conversione del contratto nullo, ostandovi
la previsione di cui all’art. 1424 c.c.; è tuttavia ammissibile l’istanza di conversione avanzata dalla parte nella
prima difesa utile successiva al rilievo della nullità del titolo posto a fondamento della domanda, essendo det-
ta istanza strettamente consequenziale all’esercizio del potere officioso del giudice (Cass. 24-9-2018, n. 22466;
Cass. 28-5-2018, n. 1328).
47
Applicandosi l’art. 1424 ai negozi unilaterali, si è stabilito che il diniego di rinnovazione della locazione ex
art. 29 L. 392/1978, nullo in relazione alla prima scadenza, può convertirsi in una disdetta c.d. “semplice” o a
regime “libero” valida per la seconda scadenza contrattuale, recando il contenuto inequivocabile della manife-
stazione di volontà contraria alla prosecuzione e rinnovazione del rapporto (Cass. 22-7-2004, n. 13641).
1130 PARTE VIII – CONTRATTO

È un’operazione giuridica che si svolge senza intervento sul negozio: il contratto pro-
duce effetti più limitati in forza della legge e non per opera delle parti. La sentenza che,
nel dichiarare la nullità del contratto originario ne determina la conversione, rimane una
sentenza meramente dichiarativa in quanto si limita ad accertare, con la nullità dell’atto
posto in essere, la realizzazione di uno scopo (più limitato ma) insito nell’atto, congruen-
te con la causa concreta dello stesso 48. Certo è nel potere delle parti sempre modificare il
contenuto del contratto concluso, ampliandone o amputandone la portata: in tal caso
non si ha conversione, ma rinnovazione (più o meno modificativa) del negozio.
La conversione formale (o impropria) coinvolge la forma del contratto. Non è una
vera e propria conversione, anche se la formula legislativa la qualifica così, in quanto non
vi è mutamento dello scopo pratico originario perseguito dai contraenti, né modifica del-
l’atto. Il presupposto della stessa è che il medesimo negozio è suscettibile di essere compiu-
to in più forme, per cui, quando l’atto è partecipe di due forme utili, risultando carente
una, rimane l’altra. Emblematica è la conversione dell’atto pubblico (art. 2701). Es. un con-
tratto di vendita di immobile (soggetto a forma scritta ad substantiam) è concluso per atto
pubblico senza le formalità prescritte per tale tipo di atto: se il contratto è stato sottoscritto
dalle parti, ha la efficacia della scrittura privata. Significativa è anche la validità del testa-
mento segreto come olografo (art. 607): il testamento segreto, che manca di qualche requi-
sito suo proprio, ha effetto come testamento olografo, qualora di questo abbia i requisiti.
c) Nullità parziale. Può riguardare singole clausole del contenuto del contratto o il
vincolo di una parte nel contratto plurilaterale.
Rispetto al contenuto del contratto, la nullità parziale è riferita a singole clausole
del contratto (nullità parziale oggettiva), suscitando il problema della rilevanza rispetto
all’intero contratto: per l’art. 14191 la nullità parziale importa la nullità dell’intero con-
tratto (nullità totale) “se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella
parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità” (c.d. effetto espansivo della nullità
parziale). Come per la conversione sostanziale, la legge indulge alla ricerca di una volon-
tà ipotetica, di difficile individuazione; in realtà bisogna verificare se il contratto, depura-
to della clausola nulla, conservi un assetto di interessi congruente con la causa concreta.
In ragione del principio di conservazione del contratto è la parte che invoca la nullità to-
tale a dovere fornire la prova della essenzialità della clausola nulla e dunque della esten-
sione della nullità parziale all’intero contratto 49.
La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto quando le clausole
nulle sono sostituite di diritto da norme imperative (art. 14192). È in ciò l’applicazio-

48
Il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità del contratto non può estendersi alla conversione
del contratto nullo, ostandovi la previsione ex art. 1424; è tuttavia ammissibile l’istanza in tal senso avanza-
ta dalla parte nel primo momento utile successivo alla rilevazione suddetta, poiché è consequenziale alla
rilevata nullità dell’unico titolo posto a fondamento dell’originaria domanda (Cass. 13-7-2017, n. 17352; Cass.
1-8-2001, n. 10498). L’accertamento di una ipotetica volontà deve essere sollecitato dall’una o dall’altra parte
(Cass. 30-4-2012, n. 6633).
49
L’estensione all’intero contratto della nullità delle singole clausole o del singolo patto ha carattere ecce-
zionale perché deroga al principio generale della conservazione del contratto e può essere dichiarata dal giu-
dice solo in presenza di una eccezione della parte che vi abbia interesse perché senza quella clausola non
avrebbe stipulato il contratto (Cass. 27-1-2003, n. 1189). La prova che le parti non avrebbero concluso il con-
tratto senza quella parte affetta da nullità deve essere fornita dallo stesso interessato; ed è necessario al ri-
guardo un apprezzamento in ordine alla volontà delle parti quale obiettivamente ricostruibile sulla base del
concreto regolamento di interessi (Cass. 5-5-2003, n. 6756; Cass. 5-7-2000, n. 8970).
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1131

ne del generale principio di integrazione del contratto ex art. 1374, obbligando il contratto,
non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne deri-
vano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità (VIII, 5.7). La sostituzione
legale non si allinea all’autonomia privata, anzi è antagonista della stessa: si producono ef-
fetti sostitutivi di quelli perseguiti dai privati. Molto spesso è la legge stessa che, nel dichia-
rare o sostituire la clausola nulla, stabilisce la non estensione della nullità parziale all’intero
contratto: ad es., con riguardo al contratto di mutuo, se sono convenuti interessi usurari, la
clausola è nulla e non sono dovuti interessi (art. 18152) (restando così operante il contratto
amputato della previsione nulla); in relazione ai contratti dei consumatori, le clausole ves-
satorie sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto (art. 361 cod. cons.).
d) Contratto plurilaterale. Un caso particolare di conversione è il riferimento al vinco-
lo di una parte nel contratto plurilaterale (nullità parziale soggettiva). Per l’art. 1420, nei
contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al consegui-
mento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti non
importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circo-
stanze, considerarsi essenziale. È una regola fondamentale dei contratti plurilaterali con
comunione di scopo (società, consorzi, ecc.): bisogna verificare se la liberazione di una
singola parte consenta al contratto di egualmente attuare lo scopo comune programmato
(VIII, 2.2). È da ritenersi che la nullità possa riguardare anche i vincoli di più parti: più
sono i vincoli nulli, maggiormente è difficile la salvezza del contratto.
La regola si inscrive in un più generale criterio di conservazione dei contratti plurila-
terali per il venir meno della partecipazione di una singola parte, che opera anche in te-
ma di annullabilità (art. 1446) e di risoluzione (artt. 1459 e 1466).

B) ANNULLABILITÀ
8. Configurazione dell’annullabilità. – L’annullabilità è la specie meno grave di in-
validità. L’atto di autonomia privata è considerato idoneo a realizzare gli interessi perse-
guiti e conseguono gli effetti del contratto. Però sono effetti precari, potendo venire me-
no a iniziativa di una delle parti a seguito della sentenza di annullamento. L’atto dunque
produce effetti, ma non stabili.
a) Fondamento e operatività. Il fondamento della figura è nella tutela di interessi con-
siderati dall’ordinamento, sì degni di tutela, ma non tali da comportare una inderogabili-
tà della relativa tutela: la contrarietà del negozio all’ordinamento non involge “valori
fondamentali”. La caducazione dell’atto invalido è rimessa all’iniziativa del titolare
dell’interesse tutelato, il quale può trovare anche più conveniente l’esecuzione del con-
tratto piuttosto che la inefficacia dello stesso. In ciò si evidenzia il carattere dispositivo
della annullabilità, che la differenzia profondamente dalla nullità (che opera di diritto e
può essere rilevata di ufficio dal giudice).
b) Azione di annullamento. L’annullamento del contratto può essere domandato solo
“dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge” (art. 14411) 50. Si configura una legit-
timazione relativa dell’azione di annullamento in quanto l’esercizio dell’azione è ri-
messo all’iniziativa del soggetto protetto dalla legge: per questo l’annullabilità non è rile-

50
L’azione può anche essere esercitata dal rappresentante legale del soggetto cui l’azione è accordata, dai
suoi eredi e aventi causa.
1132 PARTE VIII – CONTRATTO

vabile di ufficio dal giudice (diversamente la nullità che è assoluta e rilevabile di ufficio).
Eccezionale è la c.d. annullabilità assoluta, che si ha quando l’annullamento del con-
tratto può essere domandato da chiunque vi abbia interesse. Tipica ipotesi è la incapacità
del condannato, in stato di interdizione legale, che può essere fatta valere da chiunque vi
ha interesse (art. 14412): la regola si giustifica per il carattere sanzionatorio che caratte-
rizza la interdizione legale del condannato, come pena accessoria alla condanna commi-
nata (art. 32 c.p.) (IV, 1.15). Altre fattispecie attengono al testamento: incapacità legale o
naturale del testatore (art. 591), difetti di forma che non determinano la nullità (art. 606),
vizi di volontà del testatore (art. 624). Altre, nonostante la legge parli genericamente di
nullità, riguardano il matrimonio (artt. 117 ss.).
L’azione di annullamento (a differenza di quella di nullità che è imprescrittibile) è sog-
getta a prescrizione , di regola, in cinque anni (art. 14421). Non mancano ipotesi di pre-
scrizione breve: ad es., con riguardo ad atti di disposizione di beni in comunione legale
compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro, l’azione di annullamento
si prescrive in un anno (art. 184); il patto di famiglia può essere impugnato dai parteci-
panti per vizi del consenso con azione che si prescrive nel termine di un anno (art. 768
quinquies). Con la prescrizione dell’azione di annullamento gli effetti già prodottisi si
consolidano, salva l’operatività dell’eccezione di annullabilità (di cui di seguito).
La decorrenza del termine di prescrizione è improntata a un criterio generale per cui l’an-
nullabilità conseguente a vizi del consenso e incapacità legale decorre dal momento in cui è
cessata la causa di invalidità: è un’applicazione del generale principio che informa la disci-
plina della prescrizione che decorre da quando il diritto può essere fatto valere (art. 2935)
(contra non valentem agere non currit praescriptio). Quando l’annullabilità dipende da vizio
del consenso o da incapacità legale, il termine di cinque anni decorre dal giorno in cui è ces-
sata la violenza, è stato scoperto l’errore o il dolo, è cessato lo stato di interdizione o d’i-
nabilitazione, ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età (art. 14422). Analogamente per
gli atti compiuti dal beneficiario o dall’amministratore di sostegno in violazione di norme di
legge o di disposizioni del giudice: le azioni relative si prescrivono entro cinque anni dal mo-
mento in cui è cessato lo stato di sottoposizione alla amministrazione di sostegno (art. 412).
Non mancano criteri diversi di decorrenza del termine di prescrizione. È previsto che
l’annullabilità conseguente a “altri casi” (diversi dai vizi del consenso e dall’incapacità
legale) il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto (art. 14423): ciò è te-
stualmente detto per l’annullabilità conseguente ad incapacità naturale (art. 4283), il cui
termine di prescrizione quinquennale decorre dal giorno in cui il contratto è stato com-
piuto. Sussistono anche diverse decorrenze: ad es. il termine di prescrizione annuale del-
l’azione di annullamento di atti dispositivi di beni in comunione legale (compiuti da un
coniuge senza il necessario consenso dell’altro) decorre da quando l’altro coniuge ha
avuto conoscenza dell’atto e in ogni caso dalla data di trascrizione e in subordine dalla
data di scioglimento della comunione legale (art. 1842).
c) Eccezione di annullabilità. A differenza dell’azione di annullamento, che si pre-
scrive, l’eccezione di annullabilità è imprescrittibile. Funzione della imprescrittibilità
è di tutelare il soggetto interessato all’annullamento contro il comportamento malizioso
della controparte. Invero il soggetto interessato alla efficacia del contratto potrebbe ri-
manere inattivo e quindi non pretendere l’esecuzione del contratto fino allo spirare del
termine di prescrizione dell’azione di annullamento (così evitando che il soggetto leso
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1133

proponga domanda di annullamento) e poi chiedere la esecuzione del contratto. Per


sventare tale proposito l’art. 14424 stabilisce che l’annullabilità “può essere opposta dalla
parte convenuta per l’esecuzione del contratto, anche se è prescritta l’azione per farla
valere” (quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum) 51.
Presupposto per sollevare l’eccezione di annullabilità è che il contratto non sia stato
eseguito: l’eccezione serve appunto a paralizzare la richiesta di esecuzione del contratto
oltre il termine di prescrizione dell’azione di annullamento.
d) Sentenza. A differenza della sentenza di nullità che accerta la nullità dell’atto fin
dalla stipulazione, l’azione di annullamento dispone essa stessa l’annullamento del nego-
zio, con la privazione di efficacia dello stesso. È perciò una sentenza costitutiva che
annulla l’atto e dunque elimina gli effetti nel frattempo prodottisi (III, 1.3).
Come la nullità, anche l’annullamento ha efficacia retroattiva; ne consegue che le at-
tribuzioni eseguite vanno restituite in quanto prive di causa giustificativa (c.d. indebito
oggettivo), secondo le modalità fissate dagli artt. 2033 ss., innanzi richiamate rispetto alla
inefficacia del contratto (par. 2) 52. Se però il contratto è annullato per incapacità (legale
o naturale) di uno dei contraenti, questi non è tenuto a restituire all’altro la prestazione
ricevuta se non nei limiti in cui è stata rivolta a suo vantaggio (art. 1443) (v. anche artt.
1190, 2039). Come per la nullità, trova applicazione la regola generale dell’art. 1338, per
cui la parte che conoscendo o dovendo conoscere la causa di annullabilità non ne ha da-
to notizia all’altra parte è tenuta al risarcimento del danno da questa risentito per avere
confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
Fino all’annullamento, il contratto produce effetti, potendo suscitare affidamento nei
terzi che hanno avuto rapporti con una delle parti del contratto annullato. Trova appli-
cazione il generale principio di tutela della buona fede (soggettiva), innanzi analizzato
(II, 6.2). Si è visto peraltro come la tutela dell’affidamento non implica deresponsabiliz-
zazione, ma diligente verifica della realtà; il terzo, di per sé, non ha titolo di merito su-
periore a quello delle parti del contratto: è tutelato in ragione della sicurezza della cir-
colazione dei beni e in genere della certezza dell’attività giuridica, che è esigenza essen-
ziale di stabilità del sistema economico e del mercato. Per l’art. 1445 l’annullamento,
che non dipende da incapacità legale, non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso
dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento:
è dunque dettato un variegato trattamento della opponibilità ai terzi della sentenza di
annullamento. L’annullamento conseguente ad incapacità legale (interdizione, minore età,
ecc.) è sempre opponibile ai terzi: gli incapaci legali sono preferiti ai terzi sia per la di-
mensione esistenziale degli stessi sia perché i terzi sono in grado di acquisire la cono-
scenza della incapacità legale (XIV, 1.5) 53. Restando coinvolti atti dispositivi di immobili
soggetti a trascrizione, operano specifici criteri di coordinamento degli effetti della sen-

51
Il principio non può trovare applicazione in materia di deliberazioni assembleari, il cui annullamento
può essere conseguito attraverso un’impugnazione soggetta ad un termine di decadenza e non di prescrizione
(Cass. 10-1-2018, n. 384).
52
Se l’annullamento riguarda un contratto definitivo si determina la reviviscenza del contratto preliminare
e delle obbligazioni che le parti con quest’ultimo hanno assunto; pertanto quando il contratto definitivo è
annullato è esperibile l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre assunto con la stipulazione del
contratto preliminare (Cass. 11-2-1998, n. 1395).
53
L’incapacità legale è legalmente conoscibile attraverso la ispezione dei registri di stato civile, dove risulta
l’età dei soggetti e sono annotate le sentenze di interdizione e inabilitazione.
1134 PARTE VIII – CONTRATTO

tenza di annullamento del contratto trascritto con i diritti dei terzi subacquirenti in buo-
na fede e a titolo oneroso, attraverso gli effetti prenotativi della trascrizione della do-
manda di annullamento (art. 26521, n. 6) (XIV, 2.13).

9. Le cause di annullabilità. – Le cause di annullabilità sono tassativamente previste


dalla legge: a differenza della nullità, manca una previsione di annullabilità virtuale. Esi-
stono tre categorie di cause di annullabilità: due di carattere generale (incapacità di agire
e vizi del consenso); una terza relativa a specifiche fattispecie.
a) Incapacità di agire. Si è visto come la capacità di agire sia l’attitudine a compiere
atti giuridici, che di regola si acquista con la maggiore età.
Anzitutto rileva la incapacità legale. Il contratto è annullabile se una delle parti
era “legalmente incapace di contrattare” (art. 14251). Il riferimento alla incapacità legale
rende manifesto che sono annullabili gli atti compiuti da minori (art. 322) e da interdetti
nei limiti fissati dall’art. 427; sono altresì annullabili gli atti di straordinaria amministra-
zione compiuti dal minore emancipato e dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore
(artt. 396 e 427), nonché gli atti compiuti dal beneficiario dell’amministrazione di soste-
gno senza la rappresentanza o l’assistenza dell’amministratore (artt. 409 e 412) 54; analo-
gamente sono annullabili gli atti compiuti dai soggetti di ausilio degli incapaci senza le
necessarie autorizzazioni (IV, 1.6-15). La incapacità legale di agire rileva in sé, come dato
formale che la legge considera sussistere in capo ai soggetti ricorrendo determinate cir-
costanze, indipendentemente dallo stato soggettivo della controparte. Non c’è alcun ri-
guardo all’eventuale affidamento della controparte sulla validità del contratto in quanto
l’incapacità legale è legalmente conoscibile mediante l’ispezione dei registri di stato civile,
secondo le risultanze dell’atto di nascita (artt. 10, 28 e 49 D.P.R. 3.11.2000, n. 396) (XIV,
1.4). La controparte aveva la possibilità e il diritto di conoscerla: la mancata conoscenza
è imputabile a sua negligenza, perciò non merita tutela.
Unica ipotesi in cui il contratto non è annullabile è quando il minore, con raggiri, ab-
bia occultato la sua minore età. La semplice dichiarazione da lui fatta di essere maggio-
renne non è di ostacolo all’impugnazione del contratto (art. 1426); deve trattarsi di una
condotta fraudolenta del minore, che ha raggirato la controparte (ad es. attraverso la fal-
sificazione della propria carta di identità) 55. Il malizioso svolgimento di raggiri denota
una capacità materiale dello stesso.
Diversamente opera la c.d. incapacità naturale o non dichiarata 56 cioè l’inca-
pacità di intendere o di volere al momento del compimento dell’atto per cause diverse

54
Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze
della propria vita quotidiana e in generale tutti gli atti che non sono vietati (art. 409). La norma fornisce un
appiglio normativo ad una esigenza sociale, da tempo avvertita, di consentire ai minori di compiere perso-
nalmente gli atti della vita quotidiana come espressivi della sua personalità (IV, 1.7). Il tema è di grande attua-
lità per gli acquisti della vita quotidiana compiuti in internet dove, notoriamente, si determina un accordo
senza un dialogo tra soggetti fisicamente presenti con l’effetto che la induzione emotiva erode il discernimen-
to dell’operazione, così da trovare comunque applicazione la disciplina dei contratti negoziati fuori dei locali
commerciali e a distanza (VIII, 2.18).
55
La giurisprudenza considera l’art. 1426 come “norma eccezionale” perciò non suscettibile di estensione
analogica e pertanto non applicabile all’occultamento da parte dell’inabilitato o interdetto del proprio stato
d’incapacità (Cass. 4-7-2012, n. 11191).
56
Ai fini della invalidità di un negozio per incapacità naturale, non è necessaria la prova della totale ed as-
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1135

da quelle che danno luogo alla incapacità legale. Non è necessaria una incapacità totale e
assoluta, essendo sufficiente accertare che le facoltà psichiche erano perturbate al punto
da impedire una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e quindi il for-
marsi di una volontà cosciente, rilevabile nel contesto e per i rapporti tra le parti. Se c’è cir-
convenzione dell’incapace (art. 643 c.p.) il contratto è nullo per violazione di norma im-
perativa 57.
Negli atti stipulati con ministero di notaio, è chiamata in causa la responsabilità del-
l’ufficio notarile nella verifica della capacità delle parti costituite. Si è visto, parlando del-
l’accordo, come l’accertamento notarile della incapacità naturale implica un giudizio so-
lo valutativo: l’accertamento del notaio della incapacità delle parti non è coperto dalla
prova privilegiata dell’atto pubblico 58.
Non essendo tale incapacità formalizzata, e perciò non risultando dai registri di stato
civile, devono ricorrere due fondamentali presupposti, previsti dall’art. 428 per l’annul-
lamento dell’atto (art. 14252): il “grave pregiudizio” dell’incapace 59 e la “malafede dell’al-
tro contraente” nel senso di consapevolezza della incapacità. Proprio perché l’incapacità
naturale non è verificabile attraverso le risultanze dell’estratto dell’atto di nascita, è la
figura di incapacità maggiormente delicata. Opera qui un generale principio di tutela
dell’affidamento della controparte: dal regolamento contrattuale, in funzione della causa
del contratto e del pregiudizio di una parte, è possibile trarre sintomi di consapevolezza
della controparte 60. L’annullamento del contratto può essere pronunziato solo quando,

soluta assenza delle facoltà psichiche al momento dell’atto, essendo sufficiente provare che tali facoltà erano
perturbate in modo da impedire al soggetto una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio, e
quindi il formarsi di una volontà cosciente (Cass. 22-6-2004, n. 11854).
57
Il contratto stipulato per effetto diretto del reato di circonvenzione d’incapace è nullo, ai sensi dell’art.
1418 c.c., per contrasto con norma imperativa, dovendosi ravvisare una violazione di disposizioni di ordine
pubblico in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera
salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti; per-
tanto, ove la parte che abbia dato causa alla nullità chieda l’adempimento di quel contratto, il giudice è tenuto
a rilevare tale nullità d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, dunque, anche in appello (Cass. 28-4-2017, n.
1060). In tema di invalidità negoziali, il giudicato formatosi sull’insussistenza dell’incapacità naturale richiesta
per l’annullamento contrattuale ex art. 428 c.c. è inopponibile nel giudizio volto a far dichiarare la nullità del
medesimo contratto per circonvenzione di incapace, atteso che, mentre l’art. 428 c.c. richiede l’accertamento
di una condizione espressamente qualificata di incapacità di intendere e di volere, ai fini dell’art. 643 c.p. è,
invece, sufficiente che l’autore dell’atto versi in una situazione soggettiva di fragilità psichica, che consenta al-
l’altrui opera di suggestione ed induzione di deprivare il personale potere di autodeterminazione, di critica e
di giudizio (Cass. 19-5-2016, n. 10329; Cass. 20-4-2016, n. 7785).
58
L’efficacia probatoria dell’atto pubblico non si estende ai giudizi valutativi eventualmente espressi, tra i
quali va compreso quello relativo al possesso, da parte dei contraenti, della capacità di intendere e di volere
(Cass. 28-10-2019, n. 27489).
59
Ai fini dell’annullamento del contratto per incapacità di intendere e di volere, ai sensi dell’art. 4282 c.c.,
il grave pregiudizio costituisce indizio rivelatore dell’essenziale requisito della mala fede dell’altro contraente;
quest’ultima risulta o dal pregiudizio anche solo potenziale, derivato all’incapace, o dalla natura e qualità del
contratto, e consiste nella consapevolezza che l’altro contraente abbia avuto della menomazione della sfera intel-
lettiva o volitiva del contraente (Cass. 26-2-2009, n. 4677).
60
Qualora la domanda di annullamento di un contratto per incapacità naturale abbia ad oggetto un con-
tratto di compravendita, il fatto che il giudice di merito non abbia tenuto in alcuna considerazione il divario
tra il prezzo di mercato ed il prezzo esposto nel contratto implica un vizio di motivazione della sentenza, in
quanto tale elemento, se accertato, costituisce un importante sintomo rivelatore della malafede dell’altro con-
traente (Cass. 17-6-2021, n. 17381).
1136 PARTE VIII – CONTRATTO

per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o
di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la mala fede dell’altro con-
traente, nel senso di una sua consapevolezza della incapacità (IV, 1.16).
L’annullamento del contratto per incapacità comporta un regime particolare del-
le ripetizioni . Il contraente incapace non è tenuto a restituire la prestazione ricevuta
se non nei limiti in cui è stata rivolta a suo vantaggio (art. 2039) 61.
b) Vizi del consenso. Per l’art. 1427 il contraente il cui consenso fu dato per errore,
estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto. Si è vi-
sto come una dichiarazione, ancorché voluta, possa essere espressiva di una volontà nego-
ziale viziata, per avere inciso sulla formazione della volontà fattori che ne hanno distorto la
elaborazione incrinando la libertà di autodeterminazione, sia rispetto alla conoscenza della
realtà (errore e dolo) sia con riguardo alla decisione assunta (violenza morale).
I vizi del consenso si atteggiano come cause generali di annullabilità, per riferirsi a un
profilo strutturale di ogni negozio (la c.d. volontà negoziale). Dei singoli vizi si è parlato
trattando della conclusione del contratto, cui si rinvia (VIII, 2.9).
c) Annullabilità testuali. Altre ipotesi di annullabilità sono specificamente previste
dalla legge. Sono cause particolari di annullabilità, per riferirsi a fattispecie espressamente
sanzionate dalla legge con l’annullabilità.
Si pensi al contratto di vendita compiuto in violazione di alcuni divieti speciali di
comprare (art. 1471, n. 3 e 4). Si pensi ai contratti dispositivi di beni immobili e mobili
registrati oggetto di comunione legale, compiuti dal singolo coniuge senza il consenso
dell’altro (in violazione del principio dell’amministrazione congiuntiva per gli atti di
straordinaria amministrazione: artt. 180 e 184) (V, 2.12).
C’è poi l’ampia categoria delle impugnazioni delle delibere assembleari di associazioni
(art. 23) e di società (artt. 2377 e 2479 ter), come anche di delibere assembleari condomi-
niali (art. 1137). Per le società di maggiore importanza, a tutela della organizzazione del-
l’ente, è richiesta per l’impugnazione una partecipazione rilevante di capitale sociale, come
avviene con riferimento alle società per azioni (art. 2377).

10. Conservazione (convalida, rettifica, contratto plurilaterale). – Come per il


contratto nullo, anche per il contratto annullabile, ed anzi a maggiore ragione per que-
sto, operano strumenti di conservazione dell’attività negoziale. Il negozio annullabile vive
in una situazione di precarietà, destinata a evolvere o verso l’annullamento o verso la
stabilità.
a) Convalida. È lo strumento più significativo di conservazione dell’atto, espressivo
del criterio di disponibilità che caratterizza il rimedio dell’annullabilità. La convalida è
un negozio unilaterale proveniente dal soggetto cui la legge accorda il diritto di annulla-
mento. Se l’azione di annullamento spetta a più soggetti, la convalida che proviene da
uno solo degli stessi vale come semplice rinunzia all’annullamento (sia in via di azione
che di eccezione) da parte di tale soggetto.

61
L’esonero dalla ripetizione della prestazione ricevuta dall’incapace prescinde dalla buona o malafede
dell’altro contraente e dipende esclusivamente dalla circostanza oggettiva che l’annullamento sia avvenuto in
conseguenza di tale incapacità; grava, pertanto, sull’altro contraente, che intenda ottenere la restituzione della
prestazione corrisposta, l’onere di dimostrare che l’incapace ne ha tratto vantaggio, indipendentemente dal
proprio stato soggettivo (Cass. 7-7-2017, n. 16888).
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1137

È comune affermazione che la convalida “sani” un vizio della fattispecie negoziale in-
valida. È una espressione di puro comodo per rappresentare plasticamente il fenomeno:
in realtà la fattispecie si esaurisce nel momento in cui si compie e dunque non ha senso
parlare di una sua sanatoria. La convalida, come esattamente si è rilevato, consolida defini-
tivamente gli effetti prodotti dall’atto attraverso una successiva esplicazione dell’auto-
nomia negoziale. Ha efficacia retroattiva, essendo rivolta a salvare e definitivamente con-
solidare l’assetto di interessi voluto dalle parti.
In ragione di ciò la convalida deve provenire dal contraente legittimato all’azione di
annullamento ed in grado di concludere validamente il contratto (art. 14443). È necessario
che il contraente che intende convalidare abbia la consapevolezza del vizio (ad es. chi ha
prestato il consenso per errore o perché indotto dal dolo deve avere scoperto l’errore per
convalidare l’atto): non è consentita una convalida preventiva alla conclusione del con-
tratto, per le eventuali cause di annullabilità che dovessero inerirvi 62. Una speciale disci-
plina vale per l’alienazione di porzione ereditaria rispetto all’impugnazione della divisio-
ne ereditaria (art. 768).
La convalida può essere espressa o tacita. La convalida espressa consiste in un atto
che contiene la menzione del contratto e del motivo di annullabilità, con la dichiarazione
che s’intende convalidarlo (art. 14441). La convalida è tacita se il contraente al quale spet-
tava l’azione di annullamento ha dato volontariamente esecuzione al contratto, conoscendo
il motivo di annullabilità (art. 14442): non è sufficiente la mera esecuzione del contratto,
dovendo ricorrere una volontà incompatibile con quella di chiedere l’annullamento (ap-
punto la conoscenza dell’annullamento e la volontà di eseguirlo) 63.
Lo spirare del termine di prescrizione dell’azione di annullamento comporta solo l’im-
proponibilità dell’azione, ma l’annullabilità può ancora essere opposta in via di ecce-
zione: perciò la prescrizione dell’azione non implica convalida. Poiché peraltro presup-
posto per sollevare l’eccezione di annullabilità è che il contratto non sia stato eseguito
(art. 14424), solo l’esecuzione del contratto, quando è decorso il termine di prescrizio-
ne della domanda, produce indirettamente il medesimo risultato della convalida (fa-
cendo venir meno azione ed eccezione).
b) Mantenimento del contratto rettificato. Quando il consenso è stato dato per errore è
consentito alla controparte di impedire l’annullamento mediante l’offerta di mantenimento
del contratto rettificato. Per l’art. 1432 la parte caduta in errore non può domandare l’an-
nullamento del contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l’altra offre di
eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto che quella intende-
va concludere. A fondamento di tale previsione la Relaz. cod. civ., n. 654, sottolinea che
“l’annullabilità del contratto per vizio del consenso deve essere eccepita in buona fede”.

62
Secondo Cass. 13-1-2004, n. 272, la rinunzia a far valere i vizi di volontà che affliggono un contratto
non può intervenire in via anticipata e preventiva, ma presuppone, alla stregua dell’art. 1444, che il negozio
viziato sia già venuto ad esistenza al momento della rinunzia, che questa sia formalizzata con autonomo atto
contenente la menzione del contratto e del motivo di annullabilità, e che l’intenzione di convalidare l’atto da
parte del rinunziante sia espressamente manifestata.
63
La convalida tacita del contratto annullabile non è rilevabile d’ufficio, formando oggetto di un’eccezione
di merito in senso stretto, in quanto la stessa consiste in una sostanziale rinunzia all’azione di annullamento
subordinata alla duplice condizione della acquisita certezza della causa di invalidità del negozio e della volon-
tà di non avvalersene (Cass. 8-3-2017, n. 5794).
1138 PARTE VIII – CONTRATTO

c) Contratto plurilaterale. È riproposta, anche relativamente all’annullabilità, la rego-


la di conservazione dei contratti plurilaterali con comunione di scopo, già vista con ri-
guardo alla nullità (art. 1420). Come la nullità, anche l’annullabilità che riguarda il vin-
colo di una sola delle parti non importa annullamento del contratto, salvo che la parteci-
pazione di questa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale (art. 1446).

C) RESCISSIONE
11. Configurazione della rescissione. – Come le due specie di invalidità, anche la
rescissione attiene alla formazione dell’atto: è perciò una anomalia genetica. Come le altre
anomalie genetiche afferisce anche al contratto preliminare.
a) Il fondamento della rescissione è uno squilib rio originario del contratto, quan-
do una parte, in presenza di determinate circostanze, sia indotta a stipulare un contratto
a condizioni inique. Nell’impianto del codice civile, che ha accolto il generale principio
del libero mercato, con libera esplicazione dell’autonomia privata, la rescissione si atteg-
gia come un fenomeno speciale, operante quando le circostanze di conclusione del
contratto (stato di pericolo o stato di bisogno) influenzano la libera determinazione di
una delle parti, costringendola ad accettare condizioni svantaggiose. Lo stato soggetti-
vo del soggetto danneggiato non è indotto dalla controparte, la quale si limita solo ad
approfittare delle circostanze esterne all’atto.
Nell’impianto del codice la rescissione non è assimilata alla invalidità (riguardante
la struttura dell’atto), anche se come questa inerisce a anomalie genetiche dell’atto: in
tal senso si tende a parlare di impugnabilità del contratto. Si dà luogo a difetto genetico
della causa per lo squilibrio dell’assetto di interessi realizzato: sono situazioni non consi-
derate dall’ordinamento coinvolgere valori inderogabili dell’ordinamento, perciò la tute-
la è dispositiva e cioè rimessa alla iniziativa del contraente leso. Si è visto come stanno
emergendo tutele diversificate e di più intensa pregnanza di tali anomalie, che indirizza-
no verso la nullità (es. usura, di cui appresso).
b) L’azione di rescissione si prescrive, di regola, in un anno dalla conclusione del con-
tratto; se però il fatto costituisce reato, si applica l’ultimo comma dell’art. 2947 (art. 1449)
(nel senso che, se per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica an-
che all’azione civile).
Al pari dell’annullamento, anche la rescissione va richiesta con domanda giudiziale
dalla parte legittimata e non è rilevabile di ufficio dal giudice.
La rescissione può essere fatta valere in via di eccezione; però la eccezione di rescis-
sione (a differenza dell’eccezione di annullabilità) è soggetta comunque a prescrizione,
ed è opponibile nel medesimo termine di prescrizione dell’azione; non può essere oppo-
sta quando l’azione è prescritta (art. 14492).
c) La sentenza produce la rescissione del contratto e dunque la privazione di efficacia
dello stesso. Al pari dell’annullamento, la efficacia precaria del negozio, a seguito della
iniziativa di una delle parti, rimane caducata dalla rescissione. La sentenza che accoglie la
domanda di rescissione è una sentenza costitutiva (cfr. III, 1.3).
Come per regola generale, la inefficacia del contratto produce due conseguenze: le
prestazioni non eseguite non devono essere più eseguite (effetto liberatorio); le presta-
zioni eseguite rimangono prive di giustificazione e vanno restituite (effetto restitutorio),
secondo le regole sull’indebito oggettivo ex artt. 2033 ss. (par. 2).
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1139

Ha efficacia retroattiva 64; ma, in omaggio al principio dell’affidamento, non pregiudi-


ca i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di rescis-
sione (art. 1452). A differenza dell’annullamento, c’è una tutela preferenziale dei terzi
rispetto all’interesse delle parti: i terzi sono tutelati sempre, indipendentemente dal titolo
di acquisto (oneroso o gratuito) e dallo stato soggettivo (di buona o mala fede). Sono fat-
ti salvi i soli effetti prenotativi della trascrizione della domanda giudiziale di rescissione
(art. 2652, n. 1) (XIV, 2.13).
d) Vi è conservazione attenuata, non operando i rimedi di conservazione del con-
tratto annullabile; è ammessa solo l’offerta di modificazione del contratto (art. 1450).
Con l’offerta di modificazione, il contraente contro il quale è domandata la re-
scissione può evitarla, offrendo la modificazione del contratto sufficiente ad eliminare lo
squilibrio contrattuale, riconducendolo così ad equità (c.d. reductio ad aequitatem) (art.
1450). In applicazione del principio di buona fede la riconduzione ad equità deve essere
riferita alla congruenza dell’operazione economica.
L’offerta di riconduzione ad equità può avvenire mediante atto stragiudiziale (nego-
zio unilaterale recettizio) o con autonomo giudizio o anche in giudizio per paralizzare l’e-
ventuale azione di rescissione 65.
È inammissib ile la convalida (art. 1451). Il divieto si giustifica per la iniquità
del nesso tra le prestazioni e delle circostanze che lo hanno determinato, sicché lo
squilibrio va soltanto rimosso, sebbene ad iniziativa della parte interessata. La inam-
missibilità della convalida è sintomo di una disponibilità attenuata dell’azione di rescis-
sione, che quindi non può essere rinunziata.
Riassuntivamente, la rescissione è contigua all’annullabilità, per essere il contratto re-
scindibile efficace e per intervenire la inefficacia solo in forza di una sentenza costitutiva
pronunziata su domanda della parte nel cui interesse il rimedio è previsto dalla legge.
Ma, a differenza della annullabilità, è fissata in un anno (e non in cinque anni) la prescri-
zione dell’azione; è esclusa la imprescrittibilità dell’eccezione, anche se il contratto non è
stato ancora eseguito; è di regola inopponibile ai terzi, salvi gli effetti della trascrizione
della domanda giudiziale; non è ammessa la convalida e di conseguenza la rinunzia al-
l’azione.

12. Le cause di rescissione. – Le circostanze generali rilevanti per la rescissione del


contratto sono due: lo stato di pericolo e lo stato di bisogno. Disposizioni particolari so-
no dettate relativamente alla rescissione della divisione.
a) Rescissione per stato di pericolo. Per l’art. 14471 il contratto con cui una parte ha as-
sunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare
sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso sulla
domanda della parte che si è obbligata. Devono dunque concorrere più presupposti.
1) Lo stato di pericolo del soggetto danneggiato. Deve ricorrere la “necessità”,

64
In virtù dell’effetto restitutorio, le cose ricevute devono essere restituite con tutti gli accessori e le utilità
che frattanto esse abbiano prodotto, e sulle somme ricevute devono corrispondersi gli interessi legali dalla
data in cui le somme vennero ricevute (Cass. 20-3-2009, n. 689).
65
L’offerta di modificare il contratto rescindibile, in modo da ricondurlo ad equità, qualora sia formulata
nel corso del giudizio, può anche limitarsi a chiedere la determinazione al giudice, in base ad elementi ogget-
tivi da accertarsi in giudizio (Cass. 28-2-2013, n. 5050).
1140 PARTE VIII – CONTRATTO

non una mera difficoltà, di salvare sé o altri da un pericolo; questo deve riguardare la
persona del danneggiato o di altri, e deve essere attuale, quindi non solo potenziale, e no-
tevole cioè da far temere un danno grave alla persona: valutazione da compiersi secondo
un criterio oggettivo di esperienza generalizzata, con riferimento al caso concreto.
2) Le cond izioni inique del contratto, quali emergono dal testo e dal contesto, at-
traverso una verifica dell’equilibrio contrattuale.
3) La conoscenza nella controparte dello stato di pericolo di cui intende approfittare.
È possibile che, pur nell’approfittare dello stato di pericolo altrui, la controparte ab-
bia prestato aiuto per scongiurarlo: il giudice, nel pronunciare la rescissione, può, se-
condo le circostanze, assegnare un equo compenso all’altra parte per l’opera prestata (art.
14472). La norma tende ad incoraggiare l’attivarsi nell’interesse altrui (secondo un valore
di solidarietà).
b) Rescissione per lesione in stato di bisogno. Sotto la rubrica “azione generale di rescis-
sione per lesione” l’art. 1448 regola la figura maggiormente ricorrente (perciò considera-
ta azione generale) di rescissione: per la sua rilevanza devono ricorrere, simultaneamen-
te, tre presupposti.
1) Lo stato di bisogno del contraente danneggiato che l’induce ad accettare condi-
zioni inique del contratto. Non è necessaria una assoluta indigenza essendo sufficiente
una contingente difficoltà economica, purché assuma un ruolo causale nella conclusione
del contratto 66.
2) La sproporzione tra le due prestazioni, con eccedenza oltre “la metà del valore”
(ultra dimidium) di una prestazione rispetto alla controprestazione: ciò significa che il
valore della prestazione di una parte deve essere superiore al doppio del valore della
prestazione dell’altra (ad es. un soggetto vende un immobile del valore di mercato di eu-
ro 1.000.000,00 ad un prezzo inferiore a euro 500.000,00 per la necessità di realizzare
danaro liquido). Il principio vale anche per la rescissione del contratto preliminare 67. La
lesione deve perdurare fino alla data di proposizione dell’azione di rescissione (art. 14483),
potendo nel frattempo venire meno la sproporzione delle prestazioni e quindi l’interesse
alla rescissione.
3) L’approfittamento della controparte dello stato di bisogno di cui era consape-
vole, per trarne vantaggio.
L’offerta di modificazione del contratto (ex art. 1450) non deve limitarsi a superare la
soglia della metà, ma va ricondotto ad “equità” ragguagliandosi all’equilibrio della corri-
spettività 68.

66
Lo stato di bisogno, pur potendo consistere anche in una situazione di difficoltà economica o nella con-
tingente carenza di liquidità, non può prescindere da un nesso di strumentalità tale da incidere sulla libera
determinazione a contrarre, nel senso che le momentanee criticità economiche devono costituire il motivo per
cui è stata accettata la sproporzione tra le prestazioni (Cass. 12-6-2018, n. 15338; Cass. 19-1-2017, n. 1284;
Cass. 5-6-2014, n. 12665; Cass. 1-2-2010, n. 2328).
67
Il principio secondo cui l’accertamento della lesione va fatta in base al valore dei beni al momento della
stipulazione del contratto, vale anche per il contratto preliminare di compravendita, sebbene essa diventi
concreta ed attuale soltanto allorché la parte che l’ha subita sia convenuta per l’esecuzione in forma specifica
del contratto (Cass. 9-2-2011, n. 3176).
68
Affinché il convenuto possa impedire la pronunzia di rescissione per lesione ultra dimidium attraverso
offerta di riduzione ad equità del contratto, occorre che detta offerta sia tale da ricomprendere la differenza
tra la somma corrisposta ed il valore del bene al momento della costituzione del rapporto, e non soltanto ido-
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1141

13. Rescissione ed usura. La c.d. usura bancaria. – Con L. 7.3.1996, n. 108 (va-
riamente novellata), è stato riformulato il reato di usura previsto dall’art. 644 c.p., stabi-
lendosi che, fuori dei casi di circonvenzione di incapaci, chiunque si fa dare o promette-
re, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro
o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a die-
ci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000 (co. 1). Ad integrare tale reato è suffi-
ciente la mediazione finalizzata a tale scopo, per cui soggiace alla stessa pena chi, fuori
del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma
di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un
compenso usurario (co. 2) 69. Anche se la previsione è molto ampia, il fenomeno è essen-
zialmente radicato con riferimento alla fornitura di prestiti a tassi elevati di interesse 70.
Con la medesima legge è stato modificato l’art. 1815 circa la determinazione degli interessi
corrispettivi nel contratto di mutuo, stabilendosi che, se sono convenuti interessi usurari, la
clausola è nulla e non sono dovuti interessi (art. 18152): il prestito concesso diventa in so-
stanza a titolo gratuito e il cliente può agire per la ripetizione delle somme versate a titolo
di interessi, spese e competenze (IX, 4.8). Si tende ad applicare la normativa sia agli inte-
ressi convenzionali corrispettivi che agli interessi convenzionali moratori (VII, 4.7).
Altra novità della norma è la sanzione della c.d. usura bancaria, in quanto stabilisce
che, “per la determinazione del tasso di interesse usurario, si tiene conto delle commis-
sioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse,
collegate alla erogazione del credito” (co. 3). Inoltre, se il colpevole ha agito nell’eser-
cizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare, la
pena è aumentata da un terzo alla metà (co. 5, n. 1).
Al fine di garantire la trasparenza nei rapporti intrattenuti dalle banche con i clienti il
D.Lgs. 1.9.1993, n. 385 (TUB) prescrive che i contratti devono indicare il tasso d’interes-
se e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali
maggiori oneri in caso di mora (art. 1174); sono nulle e si considerano non apposte le
clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di
ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e con-
dizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati (art. 1176).
La peculiarità della nuova disciplina del reato di usura è l’evoluzione da una prospet-

nea ad eliminare la sproporzione tra le due prestazioni (Cass. 29-11-2016, n. 24247). Con riguardo ad un con-
tratto di compravendita rescindibile per lesione ultra dimidium, il supplemento del prezzo a carico del com-
pratore integra un debito di valore, il cui ammontare monetario deve essere adeguato in relazione alla svaluta-
zione monetaria sopravvenuta, e comporta inoltre la corresponsione degli interessi legali a titolo compensa-
tivo dalla data della stipulazione (Cass. 8-2-1983, n. 1046).
69
Le pene sono aumentate da un terzo alla metà: 1) se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività
professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare; 2) se il colpevole ha richiesto in garanzia
partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari; 3) se il reato è commesso in danno di chi
si trova in stato di bisogno; 4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, profes-
sionale o artigianale; 5) se il reato è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misu-
ra di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal
momento in cui è cessata l’esecuzione. La prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscos-
sione sia degli interessi che del capitale (art. 644 ter c.p.).
70
Integra il delitto di estorsione, in relazione all’ingiusto profitto derivante da una pretesa penalmente e
civilisticamente illecita, la minaccia posta in essere per ottenere il pagamento di un credito di natura usuraria
(Cass. pen. 30-9-2014, n. 49604).
1142 PARTE VIII – CONTRATTO

tiva individuale propria della rescissione, ancorata alla dimensione del singolo contratto
e alla condizione personale delle parti (stato di bisogno della vittima e approfittamento
della controparte), ad una valutazione sociale dell’usura, in quanto si ha riguardo alla
rilevanza sociale del fenomeno secondo parametri normativi di rilevazione. Più specifi-
camente sono disciplinati due modelli di usura: la c.d. usura pecuniaria (oggettiva),
rapportata a un tasso-soglia degli interessi (tasso soglia d’usura) normativamente deter-
minato, che opera in sé ed oggettivamente per ogni tipologia di finanziamento e opera-
zione di credito: è fissato il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari (co. 3, 1a
parte) 71; e la c.d. usura reale (soggettiva), verificata in concreto, quando i vantaggi ar-
recati, ancorché inferiori al tasso soglia, sono comunque usurari, approfittando dello sta-
to di bisogno (IX, 4.8).
Anche il fattore tempo assume rilevanza nella rilevazione dell’usura. Può verificarsi che
il tasso di interesse non sia usurario al momento della stipula del mutuo ma che lo diventi
nel corso del rapporto a seguito della variazione dei tassi soglia (c.d. usura sopravvenu-
ta): è dibattuta la rilevanza della usura sopravvenuta 72, ma è da ritenere che, determinan-
dosi comunque un fenomeno di usura vietato, debba ammettersi il sorgere di un obbligo
per il mutuante di rideterminazione degli interessi entro i limiti della soglia, con la conse-
guente inopponibilità al mutuatario della misura dei tassi eccedente tale limite (IX, 4.8). E
ciò in virtù di un generale principio di esecuzione del contratto secondo buona fede (art.
1375) applicabile anche alle sopravvenienze, imponendo la rinegoziazione (VIII, 7.5). Del
resto da tempo si va delineando la configurabilità di una nullità successiva per il soprag-
giungere di nuovi valori dell’ordinamento, non potendosi ammettere il prosieguo del re-
gime di un rapporto non più compatibile con l’ordinamento rinnovato (par. 3).
Potendo risultare usurari sia gli interessi corrispettivi, sia gli interessi moratori (VII,
1.17), è dibattuto se l’usurarietà vada riferita alla singola tipologia (soluzione più favore-
vole alla banca) o possa inferirsi anche dal cumulo delle due tipologie (soluzione più fa-
vorevole al cliente). Deve propendersi per una soluzione che valorizzi l’attualità della le-
sione del bene giuridico protetto. All’atto del contratto, l’usurarietà va riferita agli inte-
ressi corrispettivi, essendo gli unici attuali e dovuti; al momento dell’inadempimento, di-

71
Le prescrizioni dei decreti ministeriali di fissazione del tasso soglia rilevante ai fini dell’individua-
zione dell’usurarietà degli interessi concernenti i rapporti bancari hanno, nella fase dei giudizi di merito,
natura integrativa della legge penale e civile e, pertanto, devono essere conosciute dal giudice ed applicate
alla fattispecie, indipendentemente dall’attività probatoria delle parti che le abbiano invocate, essendo del-
le disposizioni di carattere secondario, continuamente aggiornate, che completano il precetto normativo; il
giudice può acquisirne conoscenza anche con la collaborazione delle parti o con la richiesta di informazio-
ni alla P.A. o con una CTU contabile; tale attività è preclusa in sede di legittimità, ove è inammissibile
l’ingresso di documentazione non prodotta nei precedenti gradi e non può trovare spazio, con riferimento
ai menzionati decreti, il principio iura novit curia, trattandosi di atti amministrativi (Cass. 13-5-2020, n.
8883). La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del Tasso effettivo globale medio (Tegm)
non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso
medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unita-
rio (Cass., sez. un., 18-9-2020, n. 19597).
72
Per l’art. 12 D.L. 29.12.2000, n. 394, conv. con modif. dalla L. 28.2.2001, n. 24: ai fini dell’applicazione
dell’art. 644 c.p. e dell’art. 18152 c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla
legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente
dal momento del loro pagamento. Norma che ha superato il vaglio costituzionale (Corte cost. 25-2-2002, n.
29) e alla quale è ispirata Cass., sez. un., 19-10-2017, n. 24675.
CAP. 9 – ANOMALIE GENETICHE 1143

venendo attuali e dovuti anche gli interessi moratori che si sommano agli interessi corri-
spettivi, deve aversi riguardo al cumulo delle due tipologie 73.
Si è posto dunque il problema dei riflessi della novella sulla disciplina della rescissio-
ne contenuta nel codice civile e sulla stessa sopravvivenza di tale disciplina. La dilatazio-
ne del reato di usura, che ora comprende la sproporzione tra prestazioni oltre il tasso-
soglia e ogni significativa sproporzione tra prestazioni in presenza di difficoltà economi-
che e finanziarie della vittima, reclama in sede civilistica il ricorso alla nullità, come cate-
goria a presidio di valori inderogabili dai privati, quali quelli indicati dalla norma penale:
vuoi per illiceità della causa, vuoi anche solo per contrarietà a norme imperative (c.d.
nullità virtuale). D’altra parte, con riguardo ai contratti di mutuo, è testualmente previ-
sta la nullità delle pattuizioni di interessi usurari (art. 18152): immediatamente a tutela
della vittima, in prospettiva a garanzia del corretto e razionale funzionamento del merca-
to del credito.
In tale ottica, essendo in gioco valori fondamentali dell’ordinamento presidiati da nor-
ma penale, la disciplina del nuovo reato di usura di cui al novellato art. 644 c.p., intro-
dotta dalla L. 108/1996, deve considerarsi con efficacia retroattiva, così da considerarsi
nulla anche ogni pattuizione usuraria precedente alla legge. Ma c’è di più: acquisita la
rilevanza sociale che l’usura oggettiva assume per un equilibrato e trasparente mercato
del credito, non si giustifica più la sua collocazione tra le disposizioni sui delitti contro il
patrimonio, ancorché mediante frode, dovendosi attingere ad una previsione tra le nor-
me sui delitti contro l’economia pubblica.
Con riguardo al mercato del credito, la normativa della rescissione esce profondamen-
te ridimensionata dalla novella del 1996, restando sostanzialmente assorbita da questa.
L’ambito di applicazione della stessa è da ritenere meramente residuale rispetto alla nuo-
va tutela implicata dalla novella. La tutela per la lesione è assicurata, in modo più incisi-
vo, dalla disciplina della nullità e dunque secondo quanto disposto dagli artt. 1418 ss.: i
presupposti della tutela sono quelli espressi dalla legge penale, mentre la disciplina della
nullità è quella propria del codice civile. Solo quando non opera la nullità, perché si è al
di fuori dei parametri (oggettivi e soggettivi) di applicazione della legge penale e vicever-
sa si è all’interno dei soli presupposti stabiliti per la rescissione (quindi raramente), la vit-
tima della lesione rimane costretta ad avvalersi della sola tutela rescissoria, secondo la
disciplina propria di questa.

73
In presenza di condanna (o di applicazione di pena ex art. 644 c.p.) per uno dei detti delitti, è ordi-
nata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed
utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli inte-
ressi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e
al risarcimento dei danni (co. 6). In tal modo l’ambito del reato di usura si è di molto ampliato, sicché le
fattispecie che vi possono dare luogo si sovrappongono più che in precedenza a quelle suscettibili di re-
scissione. Inoltre la previsione oggettiva del tasso soglia ha eliminato il riferimento al profilo soggettivo del-
l’approfittamento dello stato di bisogno per la configurazione del reato, degradandolo a mera aggravante
del reato (art. 6445, n. 3).
CAPITOLO 10
ANOMALIE SOPRAVVENUTE
(Difetti dell’attuazione)

Sommario: 1. La inattuazione del regolamento contrattuale. – 2. La rinegoziazione (cenni e rinvio). –


A) AUTOTUTELA. – 3. Generalità. – 4. Preservazione della corrispettività (eccezione di inadempi-
mento, mutamento condizioni patrimoniali, diritto di ritenzione e altri strumenti). – 5. Attuazione
coattiva del credito (esecuzione in danno e patto marciano). – 6. Scioglimento coattivo del contratto
(recesso e risoluzione unilaterale). – 7. Definizione dell’operazione e controllo dell’autotutela. –
B) ETEROTUTELA. – 8. Lo strumentario. – 9. I) Inadempimento. Configurazione. – 10. Adempimen-
to coattivo. – 11. Risoluzione del contratto. Presupposti e conseguenze. – 12. Segue. Risoluzione
giudiziale e risoluzione di diritto. – 13. Risarcimento del danno. – 14. II) Impossibilità sopravvenuta.
Configurazione. – 15. Segue. Effetti e sopportazione del rischio. – 16. III) Eccessiva onerosità. Con-
figurazione e effetti.

1. La inattuazione del regolamento contrattuale. – Nel presente capitolo si ha ri-


guardo al contratto nella prospettiva dinamica del rapporto contrattuale instaurato tra le
parti con la conclusione del contratto, e perciò avendo riguardo all’attuazione e cioè alla
esecuzione del contratto.
La realizzazione dello scopo perseguito dalle parti richiede di regola un’attività
successiva dei contraenti per l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto
(espressamente volute dalle parti o imposte dalla legge in virtù dell’integrazione lega-
le): può così avvenire che il rapporto contrattuale non venga attuato o venga inesatta-
mente attuato dalle parti per mancato adempimento delle obbligazioni assunte o per il
sopravvenire di fatti comportanti una impossibilità o difficoltà di realizzazione dello
scopo perseguito ovvero un eccessivo sforzo rispetto all’originario equilibrio contrattua-
le. Anche con riguardo alla produzione degli effetti reali, è vero che gli stessi conse-
guono alla conclusione del contratto, in virtù del consenso traslativo (art. 1376), ma è
comunque necessario che l’attribuzione traslativa sia conforme allo scopo perseguito
dalle parti e che la cosa dovuta sia consegnata; spesso, poi, è fatto obbligo alle parti di
porre in essere alcuni comportamenti che consentano l’attuazione dell’effetto traslativo
(es. individuazione della cosa di genere ex art. 1378) (VIII, 6.7).
La legge detta un’articolata disciplina dei contratti a prestazioni corrispettive, rappre-
sentando questi i consueti contratti della vita economica. Come si è visto, sono tali quei
contratti nei quali le prestazioni a carico di entrambe le parti sono correlate da un nesso
di reciprocità per cui la prestazione di ciascuna parte trova fondamento e giustificazione
nella prestazione dell’altra. Tenendo conto delle attribuzioni traslative compiute per ef-
fetto e al momento del consenso, si è anticipato come sia più corretto parlare di attribu-
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1145

zioni corrispettive (VIII, 3.18). Tale nesso di corrispettività, che caratterizza la causa del
contratto, non solo deve esistere e risultare al momento della conclusione del contratto,
quale requisito di validità dello stesso (c.d. sinallagma genetico), ma deve perdurare lun-
go lo svolgimento del rapporto contrattuale (c.d. sinallagma funzionale), ai fini dell’attua-
zione del programma negoziale.
Quando, successivamente alla conclusione del contratto, il rapporto di corrispettività è
alterato o viene meno, c’è la necessità di apprestare una tutela per la mancata o inesatta at-
tuazione del regolamento contrattuale. La legge appresta due fondamentali classi di stru-
menti, di differente funzionamento: una classe in autotutela, rimessa all’azione dei privati,
che realizza immediatamente la tutela degli interessi lesi; un’altra classe in eterotutela, atti-
vata dalla iniziativa della parte lesa, ma affidata all’apparato giudiziario, con l’emanazione
dei provvedimenti di tutela degli interessi lesi.
Quanto alla funzione, si distinguono tecniche manutentive, che tendono alla reinte-
grazione degli interessi lesi con la conservazione del rapporto contrattuale, e tecniche
demolitive che mirano alla tutela con lo scioglimento del rapporto contrattuale.

2. La rinegoziazione (cenni e rinvio). – Si è visto come, per i contratti destinati a


essere eseguiti nel tempo o comunque con attuazione differita, maturino spesso sopravve-
nienze di fatto o normative che rendono il nesso di corrispettività non ragguagliabile a
quello avuto di mira dalle parti nel programma contrattuale. La legge appresta specifici
strumenti di adeguamento contrattuale, in via legale e/o giudiziale; mentre stanno affer-
mandosi criteri di rinegoziazione del contenuto contrattuale ad iniziativa privata attraverso
la valorizzazione del principio di buona fede, perché il contratto possa continuare a svolge-
re la propria funzione nel contesto sociale e giuridico rinnovato. Dell’articolata problema-
tica si è parlato innanzi, cui si rinvia: VIII, 7.5 e 6.

A) AUTOTUTELA
3. Generalità. – Si è già accennato alle tecniche alternative al processo, che consen-
tono ai privati la soluzione delle controversie insorte senza ricorso al giudice terzo (pub-
blico o privato). In tal senso si muovono la “mediazione” e la “negoziazione assistita”
che coinvolgono la partecipazione di figure terze (mediatore e avvocati), che non hanno
la funzione di decidere la vertenza ma di procurare un accordo delle parti (III, 3.4). Nel-
la materia contrattuale esiste una vasta area, in progressiva crescita, in cui è consentito
alle parti di autotutelare i propri interessi senza coinvolgimento di figure terze, salvo una
successiva verifica del legittimo esercizio di tale potere.
a) Anzitutto è ammessa una autotutela consensuale: è questa una dimensione molto
lata dell’autotutela, che finisce con il diluirsi nella esplicazione dell’autonomia privata e
nel potere accordato ai privati di autoregolare i propri interessi (autotutela in senso am-
pio). Le parti, come sono libere di concludere o meno un contratto, così sono libere di
mantenerlo o meno in vita come di modificarlo: se il contratto non risponde più agli in-
teressi originari delle parti, è nel potere delle stesse di sciogliersi dal contratto o proce-
dere ad una rinegoziazione. Per l’art. 13721 è sempre consentito alle parti sciogliersi dal
vincolo contrattuale con mutuo consenso (c.d. mutuo dissenso) 1, quale esplicazione del-

1
Il mutuo dissenso, realizzando la ritrattazione bilaterale del negozio, dà vita a un nuovo contratto, di na-
1146 PARTE VIII – CONTRATTO

l’autonomia contrattuale (risoluzione consensuale). In tal modo è possibile anche rimuo-


vere un contratto invalido che le parti non intendono mantenere in vita o vogliono nuo-
vamente stipulare in modo valido. Quando il contratto da risolvere è soggetto ad una for-
ma ad substantiam, come la vendita immobiliare, il contratto risolutivo deve avere la mede-
sima forma 2; riferendosi la risoluzione ad un contratto sinallagmatico, le prestazioni corri-
spettive, di regola, si estinguono 3. Nello stesso ordine di idee si colloca il recesso conven-
zionalmente attribuito; per l’art. 1373 se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere
dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un prin-
cipio di esecuzione: è una liberazione unilaterale dal contatto su un fondamento consen-
suale autorizzatorio. In tale lata accezione si può parlare di autotutela in senso ampio, per
implicare comunque l’accordo delle parti, pur in assenza di figure terze.
b) L’autotutela unilaterale integra l’autotutela in senso stretto in quanto consente
alla singola parte di autotutelare i propri interessi, non solo senza il ricorso a figure terze,
ma anche in assenza del consenso della controparte ed anzi contro la sua volontà. Il dirit-
to di autotutela si configura come un diritto potestativo, per il potere accordato al singo-
lo contraente di determinare unilateralmente il mutamento di una situazione giuridica,
cui corrisponde una posizione di soggezione della controparte (II, 3.6). È a questo mo-
dello di autotutela che si ha in questa sede riguardo, quale strumento di soluzione unila-
terale dei conflitti derivanti dall’attuazione del contratto.
Si comprende come il tema dell’autotutela involge il modello di giustiziabilità: farsi giu-
stizia da sé può comportare una ingiusta lesione degli interessi altrui. Come per l’esercizio
dei diritti, anche per l’esplicazione dell’autotutela si annida il pericolo di un abuso di pote-
re: perciò è sempre ammesso il diritto della parte che ha subito l’autotutela di ricorrere a
un soggetto terzo (arbitro o giudice) per fare accertare la conformità all’ordinamento del-
l’esercizio del rimedio di autotutela (c.d. sentenza di accertamento), sia rispetto ai presup-
posti di esistenza, che con riguardo alle modalità di esercizio del rimedio. Per l’inattua-
zione coattiva degli obblighi restitutori, non spontaneamente eseguiti, bisogna comunque
ricorrere all’apparato giudiziario per l’attuazione coattiva degli obblighi inadempiuti.
Il rimedio dell’autotutela, connesso all’attuazione del regolamento contrattuale, tende
a dispiegarsi su fronti sempre più vasti 4. Tradizionalmente ha funzionato in via di pre-

tura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario; pertanto, do-
po lo scioglimento, le parti non possono proporre domande ed eccezioni relative al contratto risolto, giac-
ché ogni pretesa o eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto
(Cass. 31-10-2019, n. 27999). La risoluzione consensuale del contratto non costituisce materia di eccezione in
senso proprio, ma rappresenta un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal contratto, che, in quanto
rilevante ai fini del decidere, può essere accertato di ufficio dal giudice (Cass. 24-5-2007, n. 12075; Cass.
22-11-2006, n. 24802).
2
La risoluzione per facta concludentia è ammessa anche quando sia richiesta la forma scritta ad probatio-
nem (Cass. 27-11-2006, n. 25126).
3
Qualora un contratto di risoluzione abbia previsto modalità che contemplano a carico delle parti recipro-
che prestazioni corrispettive, in caso di inadempimento, si applica il rimedio della risoluzione del contratto,
con il conseguente ripristino della situazione preesistente (Cass. 28-1-2004, n. 1616).
4
Nei contratti di turismo al consumatore è concesso un periodo di quattordici giorni, naturali e consecuti-
vi, per recedere, senza specificare il motivo, dal contratto di multiproprietà, dal contratto relativo a prodotti
per le vacanze di lungo termine, dal contratto di rivendita e di scambio (art. 73 cod. tur.). Nei contratti di assi-
curazione, in caso di variazioni tariffarie superiori al tasso programmato di inflazione, il contraente può rece-
dere dall’assicurazione entro il giorno di scadenza del contratto (art. 172 cod. assic. priv.).
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1147

servazione del nesso di corrispettività e dunque dell’equilibrio contrattuale; successiva-


mente ha iniziato ad operare con funzione di definizione della controversia e dunque del-
la sorte del contratto; da ultimo è approdato al terreno delle garanzie, consentendosi la
escussione unilaterale della garanzia. Nella normativa europea sta maturando una ecletti-
ca cultura agevolativa della liberazione individuale dal contratto: per un verso, di tutela
del contraente debole; per altro verso, di favore per la definizione dell’operazione.

4. Preservazione della corrispettività (eccezione di inadempimento, mutamento


condizioni patrimoniali, diritto di ritenzione e altri strumenti). – La conservazione
dell’equilibrio contrattuale è la ragione di autotutela di più antica derivazione e di mag-
giore diffusione. I rimedi in parola sono strumenti dell’attesa in quanto tendono solo a
preservare il rapporto di corrispettività (c.d. sinallagma funzionale). È una tecnica manu-
tentiva del contratto rivolta a consentire la simultaneità degli adempimenti corrispettivi:
il contratto rimane in vita, ma la parte non inadempiente è temporaneamente esentata
dall’obbligo di eseguire la prestazione dovuta. Assicura una tutela provvisoria, destinata
ad evolvere o nella esecuzione del contratto o nello scioglimento dello stesso. Peraltro,
perpetuandosi tale stato di attesa, potrebbe realizzarsi di fatto la liberazione delle parti
dal vincolo contrattuale per la prescrizione dei corrispettivi diritti di credito. Di seguito
sono trattate le tecniche più significative di preservazione della corrispettività.
a) Eccezione di inadempimento. Per l’art. 14601, nei contratti con prestazioni corrispet-
tive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non
adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diver-
si per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto
(exceptio inadimpleti contractus). Non sono introdotti oneri o condizioni o forme di for-
mulazione 5 o di tempo 6 all’esperibilità dell’eccezione; è sufficiente che il debitore alleghi
l’inadempimento altrui 7.
L’eccezione di inadempimento consente la dilazione del termine di adempimento della
prestazione, garantendo il mantenimento del nesso di reciprocità delle prestazioni corri-
spettive 8. L’esercizio dell’eccezione è soggetto a precisi presupposti.

5
L’exceptio inadimpleti contractus, di cui all’art. 1460 c.c., al pari di ogni altra eccezione, non richiede l’ado-
zione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà di sollevarla sia desumibile,
in modo non equivoco, dall’insieme delle difese (Cass. 19-9-2016, n. 18277).
6
L’eccezione di inadempimento “può essere dedotta, per la prima volta, anche in sede giudiziale”; l’eser-
cizio della facoltà di sospendere l’esecuzione del contratto non è subordinato ad alcuna condizione e, in par-
ticolare, non alla previa intimazione di una diffida né ad alcuna generica contestazione dell’inadempimento
(Cass. 24-9-2009, n. 20614).
7
È applicato il medesimo riparto dell’onere della prova relativo all’inadempimento (di cui appresso). Il debi-
tore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si limita ad allegare l’altrui ina-
dempimento, e il creditore agente deve provare il proprio adempimento o la non avvenuta scadenza dell’ob-
bligazione (Cass. 5-8-2019, n. 20891).
8
L’eccezione di inadempimento, anche se sollevata in buona fede, non ha effetti liberatori ma solo so-
spensivi; pertanto, quando ad essa faccia seguito una pronuncia di risoluzione del contratto per inadempi-
mento della parte contro cui fu sollevata la exceptio inadimpleti contractus, gli effetti risarcitori, liberatori e re-
stitutori della risoluzione restano disciplinati dalle previsioni dell’art. 1458 c.c. (Cass. 29-3-2019, n. 8760; Cass.
25-6-2019, n. 16917). È invocabile l’eccezione d’inadempimento, oltre che al fine di paralizzare la domanda
di adempimento, anche nei confronti di una domanda di risoluzione del contratto promossa dalla controparte
(Cass. 28-3-2001, n. 4529; Cass. 13-4-2000, n. 4809).
1148 PARTE VIII – CONTRATTO

Anzitutto la esigibilità della prestazione richiesta; diversamente il contraente non è


tenuto all’adempimento e quindi non svolgerebbe alcuna funzione l’eccezione; l’eccipien-
te giustifica il suo inadempimento con l’inadempimento altrui. L’art. 1460 presume la con-
temporaneità di esecuzione delle prestazioni, facendo salva l’ipotesi di termini diversi di
adempimento 9. Grava sull’eccipiente la prova dell’inadempimento della controparte, co-
me fondamento del proprio rifiuto di adempimento.
Inoltre la corrispettività delle prestazioni. Le due prestazioni devono essere inter-
dipendenti (cioè connesse) e non subordinate (cioè condizionate) nel senso che l’una pre-
stazione sia subordinata all’adempimento dell’altra, perché in tal caso si determina un
meccanismo di sfalsamento dei termini di adempimento.
Infine la buona fede del debitore. Il rifiuto dell’adempimento, avuto riguardo alle
circostanze, non deve essere contrario a buona fede (art. 14602). Il principio che sorregge
l’eccezione di indempimento trova fondamento nel nesso di interdipendenza tra le opposte
obbligazioni e prestazioni nell’ambito di un rapporto sinallagmatico; la sinallagmaticità, in
assenza di esplicite previsioni negoziali, è estesa alle obbligazioni collaterali. L’inadempi-
mento può avere riguardo anche a prestazioni non previste nel contratto ma derivanti in
via di integrazione dalla legge, come ad es. l’inadempimento dell’obbligo di buona fede
(artt. 1175 e 1375) (VIII, 5.10). È sufficiente allegare l’inadempimento altrui 10: è fonda-
mentale che l’invocato inadempimento sia imputabile al debitore (art. 1218) e non sia di
scarsa importanza avuto riguardo all’interesse proprio (art. 1455) 11. L’eccezione di ina-
dempimento deve anche essere proporzionale alla prestazione non adempiuta 12. Quando
entrambe le parti inadempienti deducono l’eccezione di inadempimento, bisognerà valuta-
re quale inadempimento abbia rivestito efficienza causale nella lesione del sinallagma con-

9
Si tende a ritenere che, pure in ipotesi di termini diversi, l’eccezione va consentita quando sia già eviden-
te che la controprestazione non potrà mai essere adempiuta o vi siano fondate probabilità di un ritardo tale
da superare il termine fissato in contratto per la controprestazione, eccedendo i limiti della normalità secondo
un’interpretazione di buona fede ovvero, ancora, vi sia un evidente pericolo di perdere la controprestazione
(Cass. 8-9-2017, n. 20939; Trib. Savona 16-9-2019).
10
Se il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga del-
l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), sono invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore ecci-
piente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, e il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adem-
pimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione; e lo stesso principio vale anche nel caso in
cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento – per violazione di do-
veri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza o per dif-
formità quantitative o qualitative dei beni – gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’av-
venuto esatto adempimento (Cass. 4-7-2012, n. 11173; Cass. 20-1-2010, n. 936; Cass. 10-4-2008, n. 9439).
11
L’eccezione di inadempimento può essere opposta, da parte del contraente adempiente, anche nell’ipo-
tesi di inadempimento di un diverso negozio, che tuttavia risulti collegato con il primo contratto da un nesso
di interdipendenza fatto palese dalla comune volontà delle parti, atto a rendere sostanzialmente unico il rap-
porto obbligatorio (Cass. 19-12-2003, n. 19556).
12
Costituisce falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. ritenere legittimamente sollevata l’eccezione d’inadem-
pimento da parte di chi, a fronte d’un inadempimento altrui solo parziale, rifiuti per intero di adempiere la
propria obbligazione (Cass. 29-3-2019, n. 8760). In sede di valutazione comparativa delle condotte delle parti
di un contratto di appalto (artt. 1655 ss. c.c.), il giudice non può avere riguardo alle sole obbligazioni princi-
pali dedotte in contratto (e, cioè, al pagamento del corrispettivo per il committente, e al compimento dell’o-
pera per l’appaltatore), ma anche a quelle collaterali di collaborazione, privilegiando l’apprezzamento di que-
ste ultime quando il loro inadempimento da parte dell’obbligato abbia causato l’inadempimento del creditore
(Cass. 6-2-2008, n. 2800).
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1149

trattuale 13. Il mancato adempimento in via di autotutela non rende applicabile la normati-
va sulla mora del debitore 14 e non comprende la domanda di risoluzione 15.
È anche ammessa l’eccezione per inesatto adempimento (exceptio non rite adimpleti
contractus). Questo rimedio si rivela molto efficace nella tutela degli acquirenti: indipen-
dentemente dai rimedi previsti dalla specifica normativa sulla garanzia, il compratore
può evitare il pagamento del prezzo quando il bene consegnato presenta difetti di con-
formità al contratto di vendita.
A fronte del generale rimedio manutentivo previsto dall’art. 1460, operano figure no-
minate di eccezione di inadempimento con riguardo a singoli contratti, soggette a speci-
fiche discipline. Così, relativamente alla vendita, contro il pericolo di evizione è accordato
al compratore un rimedio di autotutela al fine di preservare il rapporto di corrispettività:
il compratore può sospendere il pagamento del prezzo quando ha ragione di temere che la
cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da terzi, salvo che il venditore presti ido-
nea garanzia (art. 1481) 16; analogamente il compratore può sospendere il pagamento del
prezzo se la cosa venduta risulta gravata da garanzie reali o da vincoli derivanti da pigno-
ramento o da sequestro, non dichiarati dal venditore e ignorati dal compratore; può inol-
tre far fissare dal giudice un termine per la liberazione della cosa, alla scadenza del qua-
le, se la cosa non è liberata, il contratto è risoluto con obbligo del venditore di risarcire il
danno (art. 1482). Con riguardo ad altri contratti, si pensi alla sospensione dell’assicura-

13
Nei contratti a prestazioni corrispettive, ove venga proposta l’eccezione di inadempimento, il giudice deve
procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti con riguardo, non solo all’elemento crono-
logico delle rispettive inadempienze, ma altresì ai rapporti di causalità e proporzionalità delle stesse, rispetto alla
funzione economico-sociale del contratto e alla incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti
e sugli interessi delle stesse, e qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l’ecce-
zione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’art. 1455
c.c., deve ritenersi che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e,
quindi, non sia giustificato ai sensi dell’art. 14602 c.c. (Cass. 4-5-2016, n. 8912; Cass. 13-12-2010, n. 25159; Cass.
8-1-2010, n. 74). Nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice del merito, in caso di ina-
dempienze reciproche, di pronunciare la risoluzione ex art. 1453, o di ritenere la legittimità del rifiuto di adem-
piere ex art. 1460, in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell’inadempimento ha ca-
rattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comporta-
mento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contrat-
to e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte (Cass. 3-2-2015, n. 1904).
14
La parte che si avvale legittimamente del suo diritto di sospendere l’adempimento della propria obbli-
gazione pecuniaria a causa dell’inadempimento dell’altra non può essere considerata in mora e non è, perciò,
tenuta al pagamento degli interessi moratori e degli eventuali maggiori danni subiti dall’altra parte per il mancato
adempimento, nei termini previsti dal contratto, di quanto a lei dovuto, non essendo applicabile l’art. 1224
c.c., che ricollega alla mora del debitore il diritto del creditore al pagamento degli interessi di mora e dei maggio-
ri danni conseguenti all’omesso pagamento della prestazione pecuniaria (Cass. 14-9-2017, n. 21315; Cass.
21-6-2010, n. 14926).
15
L’eccezione di inadempimento tende a paralizzare l’azione avversaria per ottenerne il rigetto, la risolu-
zione è fuori dall’ambito di una semplice difesa e introduce una più ampia pretesa; pertanto, si ha domanda
nuova, improponibile in appello, quando si chiede la risoluzione del contratto, se, in primo grado, il convenu-
to sì era limitato ad eccepire l’inadempimento dell’attore (Cass. 26-7-2019, n. 20322).
16
La provenienza donativa, anche se non comporta un pericolo concreto e attuale di perdita del bene, tale
da abilitare il rimedio dell’art. 1481, è comunque circostanza influente sulla sicurezza, la stabilità e le poten-
zialità dell’acquisto programmato; se taciuta, il promissario acquirente, ignaro della provenienza, può rifiutare
la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio ex art. 1460, se ne ricorrono gli estremi (Cass.
12-12-2019, n. 32694).
1150 PARTE VIII – CONTRATTO

zione per mancato pagamento del premio (art. 1901); alla sospensione della sommini-
strazione per inadempimento della controparte (art. 1565).
b) Mutamento nelle condizioni patrimoniali. È un rimedio che si svolge secondo la
tecnica della eccezione di inadempimento ma risponde ad una logica diversa: non c’è
inadempimento della obbligazione dovuta, ma c’è il pericolo che la prestazione dovuta
non possa essere eseguita per incapacità patrimoniale. Per l’art. 1461 ciascun contraente
può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali
dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della contro-
prestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia.
Non devono ricorrere i presupposti dell’inadempimento: il rimedio opera anche se la
obbligazione di controparte non è ancora esigibile o addirittura non è liquida; come non
rileva la ragione della riduzione della consistenza patrimoniale, imputabile o meno alla
controparte: è sufficiente che sia oggettivamente compromessa la garanzia patrimoniale
(art. 2740) 17. Il rimedio è applicabile anche al contratto preliminare, rispetto alla stipula-
zione del contratto definitivo 18.
c) Diritto di ritenzione. Di questo rimedio si è parlato con riferimento all’attuazione
del rapporto obbligatorio (VII, 5.13): si è visto come l’ordinamento, in molte ipotesi, ac-
cordi al creditore il diritto di non consegnare la cosa dovuta al proprietario o altro avente
diritto finché non è soddisfatto del suo credito. Impiegato in sede contrattuale, con tale
rimedio una parte che detiene una cosa induce la controparte ad adempiere la sua pre-
stazione al fine di conseguire la disponibilità della cosa trattenuta.
È un meccanismo previsto per alcuni contratti a prestazioni corrispettive: ad es.,
nel contratto di trasporto, il vettore può rifiutarsi di consegnare la cosa al destinatario
se questi non paga i crediti derivanti dal trasporto e gli assegni da cui le cose trasporta-
te sono gravate (art. 16892); nel contratto d’opera, il prestatore d’opera può ritenere le
cose e i documenti ricevuti per il periodo strettamente necessario alla tutela dei propri
diritti secondo le leggi professionali (art. 2335); nella vendita con patto di riscatto, il
compratore ha diritto di ritenzione della cosa, fino al rimborso delle spese necessarie e
utili (art. 1502).
Il medesimo rimedio è anche previsto in molte ipotesi in cui il detentore della cosa è
assistito da un privilegio sulla stessa (es. il vettore, il mandatario, il depositario e il seque-
stratario hanno il diritto di ritenzione sulle cose oggetto di privilegio a loro favore, finché
le stesse si trovano presso di loro: art. 27614).
d) Altri rimedi. Si è già detto della decadenza del debitore dal termine e della oppo-
sizione al pagamento nell’attuazione del rapporto obbligatorio, cui si rinvia (VII, 5.13).
Sono applicabili nei contratti a prestazioni corrispettive, quando le vicende di una ob-
bligazione si riflettono sulla obbligazione corrispettiva.

17
Sono applicabili i due rimedi di autotutela (artt. 1460 e 1461) in favore dell’imprenditore che sommini-
stri beni o presti servizi in regime di monopolio legale, trattandosi di previsioni compatibili con l’obbligo,
posto dall’art. 2597, di contrattare e di osservare parità di trattamento (Cass., sez. un., 23-1-2004, n. 1232).
18
L’art. 1461 è applicabile anche al contratto preliminare, e legittima pertanto il rifiuto della stipula del
definitivo, pur se le prestazioni da adempiere contemporaneamente non sono ancora eseguibili, mentre la
persistenza del pericolo di conseguire la prestazione, dopo la scadenza del termine di adempimento, legit-
tima la richiesta di risoluzione del preliminare (Cass. 30-1-2013, n. 2217).
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1151

5. Attuazione coattiva del credito (esecuzione in danno e patto marciano). – La


seconda dimensione dell’autotutela è quella della definizione della controversia: è offerta
soluzione al contrasto insorto tra le parti, con il soddisfacimento coattivo del creditore,
ovvero procurando la risoluzione di diritto del contratto. Di seguito sono analizzati i
primi criteri, appresso i secondi.
a) Con l’esecuzione in danno si consente al soggetto interessato di definire l’operazio-
ne economica conseguendo coattivamente il risultato perseguito con un’iniziativa unila-
terale dello stesso.
È un meccanismo che trova specifica applicazione con riguardo alla vendita di cose
mobili, per operare tale tipo di vendita essenzialmente come contratto per la colloca-
zione di prodotti di impresa, dove maggiormente è avvertita l’esigenza di spedita defi-
nizione dell’operazione economica. I mezzi di tutela accordati dall’ordinamento ten-
dono all’attuazione del contenuto del contratto, senza ricorso all’autorità giudiziaria.
Quando il compratore non adempie l’obbligazione di pagare il prezzo, l’art. 1515 ac-
corda al venditore il potere di conseguire la “esecuzione coattiva per inadempimento del
compratore” attraverso la vendita in danno della cosa per conto e a spese del compratore,
secondo le modalità dalla norma previste al fine di garantire trasparenza della procedura
ed evitare approfittamenti a danno del compratore: il venditore ha diritto alla differenza
tra il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, oltre al risarcimento del danno.
Se la vendita ha per oggetto cose fungibili che hanno un prezzo corrente di mercato,
quando il venditore non adempie la sua obbligazione, l’art. 1516 accorda al compratore
il potere di conseguire la “esecuzione coattiva per inadempimento del venditore” attra-
verso la compera in danno, senza ritardo, delle cose a spese del venditore, secondo speci-
fiche procedure trasparenti, dandone pronta notizia al venditore: il compratore ha dirit-
to alla differenza tra l’ammontare della spesa occorsa per l’acquisto e il prezzo convenu-
to, oltre al risarcimento del maggior danno.
Rilevante è anche il deposito della cosa venduta, che mira a liberare il venditore dalla
obbligazione di consegna e dunque dai rischi connessi al possesso della cosa venduta,
quando il compratore rifiuta di riceverla (art. 1514).
È comunque sempre consentito al contraente che subisce l’esecuzione coattiva rivol-
gersi all’autorità giudiziaria per il controllo dell’esatto esercizio del rimedio.
b) Con il patto marciano è consentito al finanziatore la realizzazione coattiva del cre-
dito in via stragiudiziale senza il ricorso all’esecuzione giudiziaria, previa verifica del va-
lore del bene escusso (se ne è già parlato: VII, 5.2).

6. Scioglimento coattivo del contratto (recesso e risoluzione unilaterale). – Altro


modello di definizione della controversia è la possibilità di provocare unilateralmente lo
scioglimento del contratto, vuoi con l’esercizio del recesso, vuoi eccitando la risoluzione di
diritto del contratto.
a) Recesso. Del recesso si è già detto, quale strumento accordato ai contraenti di realiz-
zare lo scioglimento del contratto mediante dichiarazione unilaterale di liberazione dal
contratto, e si è visto anche come lo stesso si presenti nelle due forme di recesso di pen-
timento e di recesso per giusta causa (VIII, 6.3).
In questa sede rileva in particolare il recesso per giusta causa come strumento unilate-
rale di definizione del contratto rimasto inadempiuto. Come si è anticipato, manca una
1152 PARTE VIII – CONTRATTO

disciplina organica di tale strumento di tutela: sussistono normative sul contratto in ge-
nerale o riferite a singoli contratti.
In sede di contratto in generale, si pensi alla caparra confirmatoria: se la parte che ha da-
to la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto ritenendo la caparra; se
inadempiente è invece la controparte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto
ed esigere il doppio della caparra (art. 13852) 19, salvo il diritto della parte non inadempien-
te a domandare la risoluzione o la esecuzione del contratto (VIII, 7.4). Si pensi anche alla
sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione di una parte: la controparte ha diritto
ad una corrispondente riduzione della prestazione dovuta e può anche recedere dal con-
tratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale (art. 1464)
(VIII, 10.14). Altre previsioni di recesso sono nelle discipline di singoli contratti 20.
b) Risoluzione unilaterale. Altro strumento di definizione diretta dell’operazione è la
facoltà di provocare unilateralmente la risoluzione del contratto. Sono normativamente
previste le ipotesi in cui sia possibile determinare lo scioglimento del contratto mediante
uno strumento unilaterale.
La figura più rilevante e di maggiore diffusione è la diffid a ad adempiere, che de-
termina la risoluzione di diritto del contratto. La diffida integra un atto unilaterale di au-
totutela con il quale la parte non inadempiente intima alla parte inadempiente di adem-
piere in congruo termine, con l’avvertimento che, in mancanza, il contratto si intenderà
senz’altro risolto di diritto (art. 1454) 21. Le altre due figure di risoluzione di diritto (clauso-
la risolutiva espressa e termine essenziale) sono figure di autotutela in senso lato, in

19
Il recesso unilaterale dal contratto, previsto dall’art. 13852, è di natura legale e non convenzionale, tro-
vando la sua giustificazione nell’inadempienza dell’altra parte, laddove l’art. 13731 (secondo il quale il recesso
non può essere esercitato quando il contratto abbia avuto un principio di esecuzione) riguarda esclusivamen-
te il recesso convenzionale e non anche quello stabilito dall’art. 1385 in favore del contraente non inadem-
piente (Cass. 28-12-1993, n. 12860; Cass. 21-3-1980, n. 1915).
20
Nella vendita a corpo di immobile, quando la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo ri-
spetto a quella indicata nel contratto, rispettivamente, il compratore o il venditore ha diritto di recesso dal
contratto (artt. 1538 e 1539): disciplina considerata applicabile anche alla vendita cumulativa di immobili (art.
1540) per ricorrere le medesime istanze socio-economiche, benché la norma non preveda espressamente il
rimedio del recesso né richiami gli artt. 1538 e 1539 (IX, 1.5). Nel contratto di appalto, quando si rendono
necessarie variazioni del progetto, in mancanza di accordo, se l’importo delle variazioni supera il sesto del
prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore può recedere dal contratto e può ottenere un’equa indennità; se
le variazioni sono di notevole entità anche il committente può recedere dal contratto ed è tenuto a corrispon-
dere un equo indennizzo (artt. 1660 e 1671) (IX, 2.2). Altre previsioni di recesso sono in tema di assicurazione
in relazione alle dichiarazioni dell’assicurato o alle variazioni del rischio e alla durata dell’assicurazione (artt.
1893, 1897, 1899) (IX, 5.4). Nella locazione, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qua-
lora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone preavviso al locatore
(art. 42 L. 392/1978).
21
Figura specifica di risoluzione di diritto è in tema di vendita di cose mobili ove opera l’eccezionale ri-
medio della r i s o l u z i o n e d i d i r i t t o d e l l a v e n d i t a ai sensi degli artt. 1517 e 1518. È prevista la risolu-
zione di diritto del contratto a favore del contraente che, prima della scadenza del termine stabilito, abbia of-
ferto all’altro nelle forme di uso la consegna della cosa o il pagamento del prezzo se l’altro non adempie la
propria obbligazione (co. 1); inoltre è consentito al solo venditore di conseguire la risoluzione del contratto se,
alla scadenza dell’obbligazione di consegna, il compratore non si presenta per ricevere la cosa offerta ovvero non
l’accetta (co. 2), quand’anche dunque l’obbligazione di pagare il prezzo non sia scaduta, in deroga alla disci-
plina sulla mora del creditore (art. 1210). In materia di appalto, quando è accertato che la esecuzione non pro-
cede secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte, il committente può provocare la risoluzio-
ne del contratto (art. 16622) (VIII, 10.6).
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1153

quanto sono strumenti di risoluzione sostenuti da una comune volontà negoziale che li
vuole introdurre. Per organicità di analisi delle tre figure si parlerà trattando della risolu-
zione del contratto (par. 12).
È in atto nei singoli paesi europei e in genere in sede internazionale un processo di
valorizzazione della risoluzione unilaterale, quale strumento di pronta e agevole prote-
zione della parte lesa, la quale, in tal modo, è affrancata dall’onere di proporre domanda
giudiziale di risoluzione del contratto e di coltivare utilmente il giudizio intrapreso (salva
la verifica dei presupposti e dell’esercizio dell’autotutela) (vedi sopra n. 3). Significativo
esempio è nella Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni
mobili (resa esecutiva con L. 11.12.1985, n. 765), i cui artt. 49 e 64 attribuiscono, rispet-
tivamente, al compratore e al venditore di dichiarare risolto il contratto se l’inadempi-
mento della controparte è essenziale. La Convenzione ha avviato un trend amplificato
dalla riforma tedesca di ammodernamento del diritto delle obbligazioni (Schuldrecht) 22,
con ricadute nelle normative di elaborazione europea di tutela del consumatore, conflui-
te nel codice del consumo, con la valorizzazione del diritto di recesso.

7. Definizione dell’operazione e controllo dell’autotutela. – Si è visto come un


significativo terreno di svolgimento dei mezzi di autotutela sia rappresentato dalla
vendita di cose mobili, per essere tale modello di vendita essenzialmente connesso alla
collocazione dei prodotti di impresa: sono tecniche nate nella esperienza del commer-
cio con la funzione di realizzare una spedita definizione delle operazioni economiche
da parte degli imprenditori, con l’esecuzione del contratto o il suo scioglimento, al fine
di evitare che la merce possa rimanere di dubbia attribuzione e dunque sottratta al
mercato, ovvero che il prezzo (quale essenziale risorsa economica per le imprese) possa
rimanere escluso dal circuito economico. Alcune tutele sono emerse come appannag-
gio dei venditori; altre utilizzabili da entrambi i contraenti, avendosi riguardo alle figu-
re neutre di “venditore” e “compratore”; di fatto però solo l’impresa, attrezzata per o-
perazioni di massa, è in grado di assecondare la procedimentalizzazione prevista: l’u-
tilità procurata da tale tecnica è comprensibile se rapportata all’attività di impresa
piuttosto che riferita al singolo atto di scambio.
In sostanza, nel mercato dei prodotti di impresa (di produzione come di commercia-
lizzazione) si accrescono le deroghe al sistema giudiziario di soluzione delle controver-
sie, consentendosi alle imprese di definire la sorte dell’operazione economica senza il pre-
ventivo ricorso al processo. In funzione di facilitazione della definizione delle operazioni
economiche sta emergendo in sede europea un trend di ampliamento dell’area dello
scioglimento del contratto per atto unilaterale (risoluzione o recesso), avviato dalla Con-
venzione di Vienna sulla vendita internazionale di cose mobili ed amplificato dalla ri-
forma tedesca di ammodernamento del diritto delle obbligazioni (Schuldrecht). Ormai

22
Per i contratti a prestazioni corrispettive il § 323 BGB prevede un diritto di recesso del contraente credi-
tore se l’altra parte non esegue o non esegue esattamente la prestazione dovuta: di regola, previa concessione
di un congruo termine per l’adempimento; ma anche senza concessione di termine, quando risulta inutile ac-
cordarlo (v. anche il § 326, co. 5). Per la vendita in particolare il § 441 BGB configura la riduzione del prezzo
come alternativa al recesso (“anziché recedere dal contratto, il compratore può ridurre il prezzo con una di-
chiarazione emessa nei confronti del venditore”). Entrambi i rimedi operano come meccanismi di autotutela,
riconoscendosi in capo al creditore un diritto potestativo di provocare gli effetti stabiliti dalla legge.
1154 PARTE VIII – CONTRATTO

anche il mercato immobiliare e segnatamente la vendita di immobili è interessato da tale


fenomeno; anche rispetto alla contrattazione immobiliare di massa, si è delineata una di-
sciplina seriale del contratto di vendita predisposta dalla grande impresa di costruzione,
che fa ampio uso di strumenti di autotutela.
Si può oggi pensare ad una valorizzazione dell’autotutela unilaterale nella prospettiva
di una sollecita protezione anche dei consumatori e in generale dei contraenti deboli. Al-
la stregua del generale principio di buona fede oggettiva, quale sta emergendo intrecciato
con il dovere di solidarietà (II, 7.4), può ammettersi un generale ricorso alle tecniche di
autotutela unilaterale quando una parte si renda inadempiente agli obblighi contrattuali,
anche solo violando l’obbligo di buona fede nella esecuzione del contratto: si pensi al
problema delle sopravvenienze contrattuali rispetto al contraente che rifiuti ingiustifica-
tamente la rinegoziazione (VIII, 7.5).
È una tecnica senz’altro utile in quanto in grado di definire speditamente le opera-
zioni economiche e procurare una sollecita tutela (ancor più per il nostro paese, i cui
lunghi tempi di soluzione delle controversie generano spesso una giustizia denegata); è
però, al tempo stesso, una tecnica che reclama professionalità e correttezza dei contraen-
ti, per gli abusi di cui è suscettibile. Perciò deve essere sempre garantito al contraente
che “subisce” l’autotutela della controparte il diritto di rivolgersi all’autorità giudiziaria
per il controllo dell’esatto esercizio della stessa: il rispetto del principio di buona fede fa
da crocevia tra l’ostinata resistenza all’adempimento e il facile ricorso all’autotutela.

B) ETEROTUTELA
8. Lo strumentario. – Si è anticipato come, per i contratti a prestazioni corrispettive,
caratterizzati da un nesso di reciprocità tra le prestazioni (sinallagma genetico), è neces-
sario che tale nesso persista anche durante lo svolgimento del rapporto contrattuale (si-
nallagma funzionale). Quando non operano rimedi di autotutela, ovvero quando i con-
traenti non intendano avvalersi di tali strumenti, è attivata la normale tutela attraverso il
ricorso alla giurisdizione (o all’arbitrato).
Con il termine “eterotutela” si vuole indicare le varie ipotesi di tutela dei propri dirit-
ti con il ricorso ad un giudice terzo che verifica le ragioni addotte ed emette una decisione
(sentenza o lodo) di soluzione della controversia.
Il codice civile organizza lo strumentario di tutela per inattuazione del contratto in
modo non organico, che perciò bisogna ricostruire. Sono fissate tre figure di anomalo
svolgimento del rapporto contrattuale nei contratti a prestazioni corrispettive: inadem-
pimento, impossibilità sopravvenuta della prestazione e eccessiva onerosità, racchiuse sotto
l’unico Capo XIV rubricato “Della risoluzione del contratto”, alla fine della disciplina
del Titolo II dedicato ai contratti in generale. La risoluzione del contratto rappresenta
uno degli strumenti (anche se il più diffuso 23) accordati al contraente per la tutela dei

23
Specifiche discipline di risoluzione sono dettate con riguardo a singoli contratti: es. la risoluzione dei
contratti di vendita (artt. 1492 ss.), di appalto (art. 1668), di assicurazione (art. 1896). La disciplina della riso-
luzione è anche applicata dalla giurisprudenza al difetto sopravvenuto della presupposizione, in applicazione
del generale principio di buona fede oggettiva: quando cioè un fatto sopravvenuto impedisce l’esecuzione del
contratto secondo il programma contrattuale e il principio di buona fede (VIII, 3.11).
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1155

suoi diritti: si vedrà come ognuna delle indicate anomalie consente ulteriori rimedi oltre
quello della risoluzione del contratto.

9. I) Inadempimento. Configurazione. – Non c’è una disciplina organica dell’ina-


dempimento contrattuale, per essere la stessa distribuita tra la disciplina dell’inadem-
pimento dell’obbligazione (artt. 1218 ss.) e la disciplina dell’inadempimento del contrat-
to (artt. 1453 ss.). Più specificamente il codice civile considera come presupposta la con-
figurazione e la disciplina dell’inadempimento dell’obbligazione (VII, 4.2); disciplina la
risoluzione del contratto per stabilire come reagisca l’inadempimento di una parte all’in-
terno dei contratti a prestazioni corrispettive. È vero che nei contratti ad effetti reali l’at-
tribuzione del diritto è effetto del consenso e non dell’adempimento dell’alienante, ma è
criterio logico coerente attribuire alla figura dell’inadempimento ogni ragione di inattua-
zione del contratto, quindi anche ogni anomalia dell’attribuzione traslativa. Il contratto
involge (almeno) una duplicità di centri di interessi, sicché bisogna valutare come l’ina-
dempimento di una parte reagisca sul complessivo assetto di interessi.
Per delineare l’inadempimento del contratto bisogna analizzare il comportamento
dovuto da ognuno dei contraenti nell’attuazione dell’assetto di interessi programmato
nel contratto; inoltre bisogna avere riguardo alle fonti di integrazione del contratto de-
rivanti dall’ordinamento, che originano altrettanti obblighi aggiuntivi a carico delle
parti e che concorrono alla determinazione del regolamento contrattuale.
a) L’espressione “inadempimento” è comprensiva sia della inattuazione che della
inesatta attuazione del contratto. L’inadempimento è giuridicamente rilevante se è im-
putabile e importante.
L’imputabilità dell’inadempimento contrattuale ripropone il criterio analizzato
rispetto all’inadempimento dell’obbligazione. Argomentando dall’art. 1218 il contrente
che non esegue esattamente l’attribuzione dovuta risponde dell’inadempimento se non
prova che l’inadempimento o l’inesatta esecuzione dell’attribuzione è stata determinata
da causa a lui non imputabile. L’inadempimento è cioè imputabile quando il contraente,
senza giustificazione, non ha procurato il risultato programmato nel contratto e/o impo-
sto dalla legge. L’imputabilità opera secondo i criteri di collegamento della responsabili-
tà da inadempimento (responsabilità contrattuale) (art. 1218 ss.) 24 (VII, 4.2).
Trattandosi di inadempimento di una obbligazione, è necessario che la prestazione
non adempiuta sia esigibile, e cioè che, non solo sia scaduto il termine dell’adempimen-
to, ma anche che la prestazione sia esigibile secondo un generale principio di buona fede
(VII, 1.9). Si tende a rilevare l’inadempimento anche prima della scadenza in presenza di
una condotta del debitore non coerente con lo sviluppo del rapporto (c.d. inadempimen-
to anticipato) 25.

24
È esclusa la possibilità di pronunziare la risoluzione del contratto per inadempimento, qualora il credi-
tore abbia ingiustificatamente rifiutato di ricevere la prestazione; la eventuale offerta formale della prestazio-
ne ex artt. 1209 ss. rappresenta una mera facoltà del debitore, per conseguire gli effetti della mora del credi-
tore (Cass. 11-2-2005, n. 2853). L’inadempimento è una condizione dell’azione di risoluzione, che può matu-
rare in corso di causa e fino al momento della sentenza; se la prestazione diviene esigibile nel corso del giudi-
zio e il convenuto non adempia, non si sottrae ad una pronuncia di risoluzione (Cass. 1-6-2004, n. 10490).
25
L’inadempimento contrattuale può anche essere anticipato rispetto alla scadenza prevista per l’adem-
pimento (anticipatory breach), qualora un contrante, in violazione dell’obbligo di buona fede, tenga una con-
dotta che renda impossibile o antieconomica la prosecuzione del rapporto (Cass. 21-12-2012, n. 23823).
1156 PARTE VIII – CONTRATTO

L’importanza dell’inadempimento va valutata alla stregua del complessivo as-


setto di interessi, nella prospettiva della controparte delusa: per l’art. 1455 il contratto
non si può risolvere se l’inadempimento ha “scarsa importanza, avuto riguardo all’inte-
resse dell’altra” 26. La previsione di importanza dell’inadempimento, benché dettata con
riferimento alla risoluzione del contratto, esprime un principio generale di esecuzione
del contratto secondo buona fede (art. 1375) (VIII, 7.1), sì da connotare l’essenza dell’i-
nosservanza di un obbligo: l’importanza dell’inadempimento a base della risoluzione con-
trattuale è talvolta modellata dall’ordinamento con maggiore intensità per singoli con-
tratti 27. Non è richiesta la preventiva costituzione in mora 28. Alla stregua del principio di
buona fede, deve verificarsi in concreto, e perciò in relazione alla economia del contratto
e alla natura delle prestazioni, se l’inadempimento può considerarsi di tale importanza
da non soddisfare l’interesse della controparte (VII, 1.9); mentre la stessa violazione del-
l’obbligo di buona fede è ragione di inadempimento 29 (II, 7.6).
Qualora le parti denuncino inadempimenti reciproci, bisogna verificare, anzitut-
to, se entrambi siano importanti e quindi ragioni di risoluzione; inoltre, attraverso una
valutazione comparata degli stessi, quale dei due si riveli di maggiore importanza, cioè
prevalente e causalmente determinante della mancata attuazione del contratto 30: il pro-

26
Per valutare la gravità dell’inadempimento, il giudice deve tener conto di un criterio oggettivo, attraver-
so la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rappor-
to (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro con-
traente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonché di un criterio soggetti-
vo, consistente nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva
riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possa-
no, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l’intensità (Cass. 22-10-2014, n. 22346). La non scarsa
importanza dell’inadempimento deve ritenersi in re ipsa ove l’inadempimento venga accertato con riguardo
alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto (Cass. 6-11-2002, n. 15553; Cass. 30-3-1990, n. 2616).
27
Ad es., per la risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell’opera, si richiede un inadempimento più
grave di quello richiesto per la risoluzione della vendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l’art. 16682
la risoluzione può essere dichiarata soltanto se i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua
destinazione, l’art. 1490 stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscano in modo ap-
prezzabile il valore della cosa, in aderenza alla norma generale di cui all’art. 1455 (Cass. 18-5-2012, n. 7942; v.
anche Cass. 15-12-2011, n. 26965).
28
La formale costituzione in mora del debitore è prescritta dalla legge per determinati effetti, tra cui pre-
minente è quello dell’attribuzione al debitore medesimo del rischio della sopravvenuta impossibilità della
prestazione per causa a lui non imputabile, ma non già al fine della risoluzione del contratto per inadem-
pimento, essendo sufficiente per ciò il fatto obiettivo dell’inadempimento di non scarsa importanza (Cass.
23-12-2011, n. 28647).
29
La violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce inadempimento e genera re-
sponsabilità contrattuale, senza che sia necessario il proposito doloso di recare pregiudizio alla controparte
(Cass. 29-8-2011, n. 17716). Ad es., in relazione ai contratti di durata, l’avvenuta sanatoria degli inadempi-
menti passati può giustificare egualmente la risoluzione di un contratto a esecuzione continuata o periodi-
ca, e in particolare di un contratto di locazione, ove l’insieme delle circostanze e in particolare i compor-
tamenti pregressi della parte inadempiente siano tali da dimostrarne l’inaffidabilità per il futuro, oppure
quando la scorrettezza, la mala fede o altri atteggiamenti siano idonei a giustificare obiettivamente il rifiuto
della parte adempiente di proseguire il rapporto (Cass. 27-5-2010, n. 12982).
30
Laddove il decidente reputi non integrato per alcuno dei due contendenti il grave inadempimento, sen-
za che rilevi se uno d’essi abbia peso più o meno grave dell’altro (purché nei limiti della scarsa importanza),
deve limitarsi a rigettare entrambe le domande risolutorie; inoltre può accogliere l’una e rigettare l’altra, ma
non anche respingere entrambe e dichiarare l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, implicando
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1157

blema si è posto sia con riguardo all’oggetto della prestazione che al termine di esecu-
zione 31.
b) È possibile la stipula di clausola limitativa di eccezioni (c.d. solve et repete) (art.
1462): è un meccanismo di carattere convenzionale, previsto dalle parti antecedentemen-
te alla esecuzione del contratto, con il quale si prevede che una delle parti non possa op-
porre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta. Un’ipotesi tipica è in
sede di vendita su documenti (art. 15282). È spesso utilizzata con riferimento alla fideius-
sione a prima richiesta; un tempo era utilizzata in sede fiscale e poi dichiarata incostitu-
zionale per danneggiare i contribuenti meno facoltosi. Per essere di favore di una parte,
con restrizione di tutela della controparte, è soggetta a varie cautele.
Anzitutto la clausola non ha effetto per le eccezioni di nullità, annullabilità e rescissio-
ne del contratto (co. 1), che dunque sono sempre sollevabili 32. Inoltre la limitazione di
eccezioni è riferita alla “prestazione dovuta”, con ciò implicandosi che sia ammessa una
eccezione di inesistenza dell’obbligazione (per non essere nata o per essere estinta) e
quindi non dovuta. Anche quando la clausola è efficace, il giudice, se riconosce che con-
corrono gravi motivi, può sospendere la condanna, imponendo, se del caso, una cauzione
(co. 2).
Trattasi di una clausola vessatoria, soggetta ai comuni controlli di validità: la clausola
deve essere approvata specificamente per iscritto se inserita in condizioni generali di
contratto (art. 13412); se è inserita in contratti del consumatore, è considerata vessatoria
ai sensi dell’art. 332, lett. t, cod. cons. (VIII, 2.17).

ciò una violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regola-
mentazione del rapporto stesso difforme da quella perseguita dalle parti (Cass. 17-7-2017, n. 17665). Non è
consentito al giudice di pronunciare la risoluzione ex art. 1453, o di ritenere la legittimità del rifiuto di adem-
piere ex art. 1460 in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell’inadempimento ha
carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio compor-
tamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il
contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte (Cass. 12-2-2020, n. 3455; Cass.
11-2-2020, n. 3273). La comparazione va compiuta con riguardo al comportamento complessivo delle parti,
tenuto conto, non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e pro-
porzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-
sociale del contratto, per stabilire quale parte si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rile-
vanti e causa del comportamento della controparte (Cass. 28-10-2019, n. 27513; Cass. 9-12-2015, n. 24851;
Cass. 18-4-2012, n. 6039).
31
In caso di inadempimento di una delle parti per decorso del previsto termine non essenziale, l’altra par-
te, “che non abbia ancora proposto domanda giudiziale di risoluzione del contratto, può non di meno rifiuta-
re legittimamente l’adempimento tardivo” quando sia venuto meno l’interesse della parte non inadempiente a
che il contratto abbia esecuzione; pertanto, anche dopo l’offerta di adempimento tardivo, può agire in giudi-
zio per la risoluzione del contratto (Cass., sez. un., 6-6-1997, n. 5086; v. anche Cass., sez. un., 9-7-1997, n.
6224). Si è ribadito che ciascuna delle parti può rifiutare di ricevere la prestazione tardiva e di eseguire la con-
troprestazione “se il ritardo maturato al momento dell’offerta è grave”; se il ritardo è lieve, il contraente che
subisce il rifiuto “può ottenere la risoluzione del contratto e la condanna della controparte al risarcimento del
danno” (Cass. 5-9-2006, n. 19074).
32
In tema di fideiussione, la clausola solve et repete inserita nel contratto con formule del tipo “senza ri-
serva alcuna” ovvero “dietro semplice richiesta”, prevedente l’esclusione per il garante di poter opporre al
creditore principale eccezioni che attengono alla validità del contratto da cui deriva l’obbligazione principale,
è valida e non è priva di efficacia ex art. 1462 in quanto costituisce manifestazione di autonomia contrattuale,
non altera i connotati tipici della fideiussione e non comprende il divieto di sollevare eccezioni attinenti alla
validità dello stesso contratto di garanzia (Cass. 21-2-2008, n. 4446).
1158 PARTE VIII – CONTRATTO

c) Sono apprestati più strumenti di tutela del soggetto non inadempiente. Per l’art.
14531, nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie
le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del
contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno 33.
Rispetto a tutti i rimedi di tutela contro l’inadempimento (di autotutela o di eterotu-
tela) opera un generale principio, di cui si è dato conto trattando dell’inadempimento del-
l’obbligazione (VII, 4.2), per cui al creditore deluso è sufficiente allegare l’inadempimento,
spettando al debitore inadempiente la prova della esattezza della prestazione 34. Si tende
ad applicare i rimedi agli accordi procedimentali con la P.A. 35.

10. Adempimento coattivo. – Se la parte non inadempiente conserva l’interesse a


conseguire l’adempimento, benché tardivo, può chiedere l’adempimento coattivo e quin-
di coltivare la realizzazione coattiva del contratto (c.d. manutenzione del contratto), at-
traverso l’apparato coercitivo giudiziario. La parte che ricorre alla tutela dell’adempimen-
to coattivo deve mantenersi pronta ad eseguire la propria prestazione quando conseguirà
la prestazione della controparte 36.
Come si è visto in tema di obbligazione, il contraente può ricorrere alla esecuzione
forzata in forma specifica nelle ipotesi previste dagli artt. 2930 ss., al fine di conseguire
l’utilità non procurata dall’altro contraente (VII, 4.4). In tale ottica, si pensi alla garanzia
di buon funzionamento dovuta dal venditore: il giudice può assegnare un termine al
venditore per sostituire o riparare la cosa in modo da assicurarne il buon funzionamento
(art. 15122). Si pensi pure all’appalto, nel quale è consentito al committente di chiedere
che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore (art. 16681). Per difetti di
conformità del prodotto, il rimedio primario del consumatore è il “diritto al ripristino”
della conformità del bene (art. 130).
L’adempimento coattivo si configura quale lo strumento accordato alla parte non

33
La risoluzione del contratto, ovvero l’adempimento, ed in ogni caso il risarcimento del danno si confi-
gurano in termini di diversità ed autonomia: ciascun rimedio può legittimamente costituire oggetto di rinun-
cia senza che gli effetti di tale rinuncia debbano automaticamente estendersi anche agli altri, a meno che l’atto
abdicativo non si atteggi, in concreto, come rinuncia “tout court” a far valere tutti i diritti conseguenti al fatto
dell’inadempimento della controparte (Cass. 10-12-2019, n. 32126).
34
A seguito dell’intervento di Cass., sez. un., 30-10-2001, n. 13533, è ormai indirizzo consolidato che, in
tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per l’adempimento o la risolu-
zione del contratto e per il risarcimento del danno, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo
diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimen-
to della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’al-
trui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento; ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è ap-
plicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso,
invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento,
ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non intervenuta scadenza dell’obbligazio-
ne) (Cass. 18-11-2019, n. 2971; Cass. 21-5-2019, n. 13685; Cass. 20-1-2015, n. 826).
35
Il rimedio contrattuale ex art. 1453 c.c. non appare incompatibile con la definizione delle convenzioni
di lottizzazione in termini di accordo procedimentale e non di contratto (Cons. Stato 1-7-2014, n. 3295).
36
La parte che chiede in giudizio l’esecuzione della prestazione della controparte non deve essere a sua
volta inadempiente, ma deve offrire di eseguire la propria se le prestazioni devono essere eseguite conte-
stualmente, ovvero deve dimostrare di avere adempiuto la propria obbligazione se essa precede l’adempi-
mento di pagamento del corrispettivo cui la controparte è tenuta (Cass. 13-2-2008, n. 3472).
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1159

inadempiente di conseguire l’attuazione dell’assetto di interessi divisato con il contratto:


non solo la realizzazione coattiva dei diritti di credito, ma in generale l’attuazione coatti-
va del regolamento contrattuale. La domanda di adempimento tende a far conseguire,
per via giudiziaria, quel risultato che il contraente non ha ottenuto attraverso l’adempi-
mento spontaneo dell’altro contraente.
Un favor per tale strumento di tutela è nella Convenzione di Vienna del 1980 sulla
vendita internazionale di cose mobili 37, che, come è noto, tende a rappresentare il punto
di riferimento per una normativa uniforme sulla vendita e la base di una disciplina uni-
forme dei contratti. C’è in generale da rilevare come, in una economia caratterizzata dal-
la produzione seriale di beni e dalla standardizzazione contrattuale, l’accordo delle parti
avviene con riguardo alla rappresentazione di un bene, di regola appetito e scelto attra-
verso la pubblicità, non già con riferimento alla fisicità di una cosa determinata: l’adem-
pimento coattivo consente al contraente deluso di conseguire il medesimo bene pro-
grammato nel contratto e non procurato dal contraente inadempiente.

11. Risoluzione del contratto. Presupposti e conseguenze. – La conclusione del


contratto produce un vincolo tra le parti (quale effetto fondamentale e primario del con-
tratto) che può essere sciolto con mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge (art.
13721). Si è già detto come, con il mutuo consenso, le parti possono sempre sciogliersi
dal contratto attraverso una risoluzione consensuale (par. 3; VIII, 6.2). Si ha qui riguardo
alla risoluzione quale strumento di tutela legale contro l’inadempimento di una parte e
perciò ad iniziativa di una sola parte.
Se la parte non inadempiente perde interesse all’adempimento, anche solo perché non
ha più fiducia in un esatto adempimento della controparte, può ricorrere allo strumento
della risoluzione del contratto per le cause e secondo le modalità previste dalla legge
(art. 1453). La risoluzione del contratto ha dei tratti comuni, tranne differenziarsi per i
meccanismi di attivazione.
a) È uno strumento rimesso alla iniziativa del privato, che è libero di avvalersene
o meno; perciò la risoluzione non può essere rilevata di ufficio dal giudice 38. Però il ri-
corso al rimedio della risoluzione deve avvenire nel rispetto del principio di buona fede,
anzitutto rispetto all’importanza dell’inadempimento 39. Dalla disponibilità del rimedio
consegue la disponibilità del risultato; pertanto il soggetto che ha provocato l’effetto ca-

37
La Convenzione prevede quale primo rimedio contro l’inadempimento che “L’acquirente può esigere
dal venditore l’adempimento dei suoi obblighi, a meno che non si sia avvalso di un mezzo incompatibile con
tale esigenza” (art. 46) e analogamente che “Il venditore può esigere dall’acquirente il pagamento del prezzo,
la presa in consegna delle merci o l’adempimento degli altri obblighi dell’acquirente, a meno che non si sia
avvalso di un mezzo incompatibile con dette esigenze” (art. 62).
38
Si è precisato che non può essere convenuta tra le parti la esclusione del diritto alla risoluzione per
inadempimento, ostandovi il limite fissato dall’art. 1229 che, stabilendo la espressa nullità di qualsiasi pat-
to che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, comporta
altresì la nullità di ogni patto di irresponsabilità che abbia per oggetto l’inadempimento imputabile (Cass.
9-5-2012, n. 7054).
39
L’apprezzamento della slealtà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto
per inadempimento si ripercuote sulla valutazione della gravità dell’inadempimento stesso, nel caso in cui tale
soggetto abusi del suo diritto potendo comunque realizzare il suo interesse senza ricorrere al mezzo estremo
dell’ablazione del vincolo (Cass. 31-5-2010, n. 13208).
1160 PARTE VIII – CONTRATTO

ducatorio può determinarne l’estinzione con la riattivazione del rapporto contrattuale 40,
salva la tutela della controparte e dei terzi che dalla estinzione dell’effetto risolutorio po-
trebbero essere pregiudicati.
b) La pronuncia di risoluzione implica una valutazione complessiva dell’operato
delle parti, attraverso una indagine globale e unitaria del loro agire al fine di verificare l’in-
cidenza di ciascuna nella inattuazione del rapporto contrattuale 41, anche in relazione ad
eventuali contratti collegati 42.
c) Gli effetti d ella risoluzione consistono nello scioglimento del vincolo e perciò
del rapporto contrattuale: è un rimedio “distruttivo” del contratto e dunque della opera-
zione compiuta.
Per regola generale la risoluzione per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti
(art. 1458). Ciò importa che, di regola, con la risoluzione, venendo meno la causa delle
relative attribuzioni, le attribuzioni compiute vanno restituite 43 secondo le regole dell’in-
debito oggettivo (artt. 2033 ss.) 44: nei contratti ad esecuzione istantanea (o unica), le presta-

40
Il contraente non inadempiente, come può rinunciare ad eccepire l’inadempimento che potrebbe dar
causa alla pronuncia di risoluzione, così può rinunciare ad avvalersi della risoluzione avveratasi per effetto
della clausola risolutiva espressa o dello spirare del termine essenziale o della diffida ad adempiere; può anche
rinunciare ad avvalersi della risoluzione dichiarata giudizialmente, ripristinando contestualmente l’obbligazio-
ne contrattuale ed accettandone l’adempimento (Cass. 24-11-2010, n. 23824; Cass. 10-3-2011, n. 5734).
41
Il giudice, chiamato a provvedere sulla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento deve
porsi, anche di ufficio (perciò pure in assenza di una eccezione ex art. 1460), il problema della gravità dell’ina-
dempimento e, in ipotesi di accoglimento, deve motivare circa l’importanza dell’inadempimento, a meno
che non si tratti di inadempimento definitivo delle obbligazioni primarie o essenziali di una delle parti
(Cass. 11-2-2022, n. 4476; Cass. 6-10-2021, n. 27085).
42
In ipotesi di collegamento negoziale, la gravità dell’inadempimento di un singolo contratto non deve es-
sere apprezzata per ciascuna pattuizione, ma all’interno della complessiva struttura negoziale (Cass.
26-6-2019, n. 17148).
43
Il giudice che dichiara la risoluzione del contratto non può pronunciare d’ufficio la condanna alla resti-
tuzione delle prestazioni eseguite, occorrendo espressa domanda in tal senso, per il divieto di ultrapetizione
(Cass. 29-7-2016, n. 15909; Cass. 29-3-2006, n. 7254; Cass. 7-3-2005, n. 4949). Si è precisato che rientra nel-
l’autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo o meno la restituzione della presta-
zione rimasta senza causa (Cass. 14-12-2018, n. 32521). Era emerso contrasto giurisprudenziale circa la natura
della obbligazione restitutoria, composta dalle sezioni unite (Cass. 12942/1992 e 5391/1995) nel senso di
considerare l’obbligazione di restituzione come debito di valuta, soggetta al principio nominalistico. A tale
indirizzo si è conformata la giurisprudenza successiva, ribadendosi che l’obbligo restitutorio relativo all’o-
riginaria prestazione pecuniaria, anche in favore della parte non inadempiente, ha natura di debito di valu-
ta, come tale non soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno – da provarsi dal
creditore – rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali ai sensi dell’art. 1224 c.c. (Cass. 14-12-2018, n.
32521; Cass. 12-3-1014, n. 5639). Conf. Cass. 19-6-2008, n. 16626. Quando sia dichiarata la risoluzione del
contratto d’investimento in valori mobiliari, si ingenerano tra le parti reciproci obblighi restitutori, dovendo
l’intermediario restituire l’intero capitale investito, mentre l’investitore è obbligato alla restituzione del valore
delle cedole corrisposte e dei titoli acquistati, secondo la disciplina di cui all’art. 2038 c.c.; i reciproci crediti
vantati dalle parti, ove ne ricorrano i presupposti, possono compensarsi legalmente, ai sensi dell’art. 1243
(Cass. 30-1-2019, n. 2661).
44
Se l’obbligo restitutorio ha per oggetto somme di denaro, il ricevente è tenuto a restituirle maggiorate
degli interessi calcolati dal giorno della domanda di risoluzione e non da quello in cui la prestazione pecunia-
ria venne eseguita dall’altro contraente (Cass. 20-3-2018, n. 6911). Con riguardo ad un preliminare di vendita
con pluralità di venditori, si è stabilito che, una volta pronunciato lo scioglimento del contratto, ciascuno dei
promittenti venditori è tenuto per l’intero all’obbligazione restitutoria ex art. 2033, e non in proporzione alla
quota di proprietà dell’immobile oggetto del preliminare (Cass. 24-7-2009, n. 17405).
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1161

zioni eseguite diventano prive di giustificazione e vanno dunque restituite; nei contratti
traslativi (e costitutivi) si produce l’automatico ritrasferimento del diritto alienato in capo al
suo originario titolare (come per la risoluzione consensuale: VIII, 6.2).
Per i contratti di durata (ad esecuzione continuata o periodica), l’effetto della risoluzio-
ne non si estende alle prestazioni già eseguite 45 (art. 14581), secondo un principio proprio
dei contratti di durata, già riscontrato rispetto alla condizione risolutiva (art. 13602) e al
recesso (art. 13732): si ha una inefficacia parziale del contratto, che la giurisprudenza ha
applicato anche alla alienazione di più cose 46.
Non è necessario che la cosa consegnata sia ancora in grado di essere restituita, per
non essere stata alienata a terzi o trasformata, atteggiandosi l’alienazione e la trasforma-
zione quali modi di utilizzazione della cosa e non espressivi, come tali, di impedimento
alla risoluzione: è questo un principio emerso nella giurisprudenza attraverso una inter-
pretazione evolutiva dell’art. 1492 in tema di vendita 47 (IX, 1.2) ed esteso ad altri con-
tratti, ad es. in tema di appalto (IX, 2.1).
d) La risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti
della trascrizione della domanda di risoluzione (art. 14582). C’è dunque una tutela prefe-
renziale dei terzi rispetto all’interesse delle parti: a differenza dell’annullamento (art. 1445)
(e come per la rescissione), i terzi sono tutelati sempre, indipendentemente dal titolo di
acquisto (oneroso o gratuito) e dallo stato soggettivo (di buona o mala fede). Sono fatti
salvi i soli effetti prenotativi della trascrizione della domanda di risoluzione (art. 26521, n.
1) (XIV, 2.13).
Nei contratti plurilaterali con comunione di scopo l’inadempimento di una delle parti
non importa la risoluzione del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione mancata
debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale (art. 1459); ciò secondo un principio
di conservazione del contratto operante anche rispetto ad altri rimedi (artt. 1446, 1466).

12. Segue. Risoluzione giudiziale e risoluzione di diritto. – La risoluzione, quando


non è consensuale, può svolgersi con due fondamentali meccanismi: giudiziale e di dirit-
to, a seconda che la risoluzione sia disposta dal giudice o si produca automaticamente.
a) Risoluzione giudiziale (e preclusioni). La risoluzione è pronunziata dall’autorità giudi-
ziaria, che verifica i presupposti dell’inadempimento e quindi la dispone. La sentenza di

45
Nei contratti ad esecuzione periodica o continuata, se l’effetto della risoluzione per inadempimento non
si estende alle prestazioni già eseguite, in ogni caso la disposizione di cui all’art. 14582 è invocabile solo se esse
abbiano pienamente soddisfatto le ragioni del creditore e risultino conformi al contratto (Cass. 22-10-2019, n.
26862).
46
La risoluzione parziale del contratto ex art. 1458 è possibile anche nell’ipotesi di contratto ad esecuzione
istantanea, quando l’oggetto di esso sia rappresentato non da una sola prestazione, caratterizzata da una sua
unicità e non frazionabile, ma da più cose aventi una distinta individualità, il che si verifica allorché ciascuna
di esse, separata dal tutto, mantenga una propria autonomia economico-funzionale che la renda definibile
come un bene a sé stante e come possibile oggetto di diritti o di autonoma negoziazione (Cass. 2-7-2013, n.
16556; Cass. 20-5-2005, n. 10700; Cass. 21-12-2004, n. 23657).
47
L’alienazione o la trasformazione della cosa viziata, di per sé, non è sufficiente a precludere al compra-
tore l’azione di risoluzione del contratto per vizi della cosa venduta; la regola dettata da tale norma, infatti,
deve essere ricondotta non alla impossibilità del ripristino della situazione in cui le parti si trovavano al mo-
mento della conclusione del contratto, ma alla volontà dell’acquirente di accettare la cosa nonostante la pre-
senza del vizio (Cass. 10-12-2008, n. 29029).
1162 PARTE VIII – CONTRATTO

risoluzione ha efficacia costitutiva in quanto determina l’estinzione del rapporto contrat-


tuale, con lo scioglimento del vincolo che teneva unite le parti 48.
In assenza di apposita norma, la domanda di risoluzione è soggetta alla prescrizione
ordinaria decennale (art. 2946), con decorrenza dalla data dell’inadempimento 49. Ope-
rano due fondamentali preclusioni.
1) Anzitutto, non può essere chiesto l’adempimento quando è stata domandata la riso-
luzione (art. 14532). La preclusione di mutare la domanda di risoluzione in domanda di
adempimento è un limite all’azione del soggetto non inadempiente: la regola si giustifica
in quanto la domanda di risoluzione del contratto denota in chi la propone di non avere
più interesse all’esecuzione del contratto 50; ciò comporta che la parte inadempiente con-
sideri ormai inutile apprestare l’adempimento (più utile è ricollocare sul mercato la pre-
stazione non eseguita o il bene restituito dalla controparte).
La preclusione sollecita il più generale tema della disponibilità dell’effetto risolutorio:
dopo un intervento negativo delle sezioni unite in funzione di tutela del soggetto inadem-
piente che ha fatto legittimo affidamento sulla risoluzione del contratto 51, la giurispruden-
za ha allentato il rigore della preclusione, valorizzando l’autonomia privata del soggetto
adempiente 52.
Invece la risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promos-
so per ottenere l’adempimento (jus variandi) 53, consentendosi anche la richiesta di risar-

48
Il giudicato di rigetto della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento preclude la pro-
posizione di una nuova domanda di risoluzione fondata su altri inadempimenti conosciuti o conoscibili alla
data di proposizione della prima domanda e non fatti valere con essa (Cass. 18-2-2020, n. 4003).
49
Ai sensi dell’art. 2935 il termine di proposizione dell’azione decorre, non dal momento in cui si verifica
un qualunque inadempimento, ma soltanto da quello in cui si realizza un inadempimento di non scarsa im-
portanza avuto riguardo all’interesse della controparte, sicché nell’ipotesi di obbligazioni a termine incerto e
non immediatamente eseguibili tale momento coincide con quello in cui il ritardo nell’adempimento eccede
ogni limite di tolleranza (Cass. 29-7-2003, n. 11640).
50
Il divieto di mutamento della domanda è posto nell’esclusivo interesse dell’altra parte contraente, sicché
può essere fatto valere solo da quest’ultima, nel rispetto delle previste preclusioni, e non può essere rilevata di
ufficio dal giudice o dedotta per la prima volta in sede di legittimità (Cass. 14-3-2006, n. 5460).
51
Il creditore che ha intimato alla controparte diffida ad adempiere non può rinunciare unilateralmente
agli effetti della risoluzione e determinare, così, la reviviscenza del rapporto contrattuale; la parte non ina-
dempiente che abbia proposto domanda di risoluzione, volta ad ottenere il risarcimento integrale dei danni,
non può chiedere la trasformazione di quest’ultima in domanda di recesso con ritenzione di caparra, conside-
rato il rapporto di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale tra i due rimedi caducatori degli effetti del
contratto (Cass., sez. un., 14-1-2009, n. 553).
52
La giurisprudenza ha ritenuto che il principio dell’inammissibilità della domanda di adempimento suc-
cessivamente a quella di risoluzione deve ritenersi applicabile alla duplice condizione: 1) la domanda di riso-
luzione sia stata proposta senza riserve, in quanto, alla luce del principio di buona fede oggettiva, il compor-
tamento del contraente che chieda incondizionatamente la risoluzione è valutato dalla legge come manifesta-
zione di carenza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva, sicché l’esercizio dello ius variandi
deve ritenersi consentito quando la domanda di risoluzione e quella di adempimento siano proposte nello
stesso giudizio in via subordinata; 2) quando esista un interesse attuale dell’istante alla declaratoria di risoluzio-
ne del rapporto negoziale, di talché, quando la domanda di soluzione è stata rigettata o dichiarata inammissibile,
rimando in vita il vincolo contrattuale, risorge l’interesse alla esecuzione della prestazione con inizio del nuovo
termine prescrizionale del diritto di chiedere l’adempimento (Cass. 25-6-2020, n. 12637; Cass. 27-12-2010, n.
26152; Cass. 19-1-2005, n. 1077).
53
In deroga ai principi processuali che vietano la c.d. mutatio libelli in corso di causa, l’art. 14532 consen-
te di sostituire in qualsiasi fase e grado del giudizio alla originaria domanda di adempimento in forma specifi-
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1163

cimento danni 54; è anche ammessa la proposizione della risoluzione dopo la pronunzia
di condanna di adempimento coattivo 55.
2) L’altra preclusione è che, dalla data della domanda di risoluzione, l’inadempiente
non può più adempiere (art. 14533). La preclusione di adempiere in presenza della do-
manda di risoluzione è un limite all’azione del soggetto inadempiente: la regola si giusti-
fica in quanto la parte che ha chiesto la risoluzione potrebbe avere già reperito sul mer-
cato la prestazione non eseguita dalla controparte. È un criterio che tende ad assicurare
la prontezza dell’adempimento, perciò a tutela del creditore. È una regola con carattere
dispositivo e quindi derogabile, con possibilità per il creditore di accettazione della pre-
stazione tardiva 56; la regola va anche valutata secondo un principio di buona fede al fine
di valutare l’importanza dell’inadempimento 57 (VII, 1.9).
b) Risoluzione di diritto. Si ha quando la risoluzione opera di diritto (ipso iure) e cioè
automaticamente, al ricorrere di determinati presupposti. Tratto comune è il riconosci-
mento ai privati del potere di realizzare la risoluzione del contratto senza l’intervento del
giudice. L’eventuale ricorso all’autorità giudiziaria ha la sola funzione di accertamento
dei presupposti della risoluzione di diritto: l’azione tende ad una sentenza dichiarativa
dell’avvenuta risoluzione di diritto. Grava sulla parte contro la quale è fatta valere la ri-
soluzione di diritto contestare la ricorrenza dei presupposti dello scioglimento automati-
co del contratto. Le ipotesi generali di risoluzione di diritto sono la diffida ad adempiere,
la clausola risolutiva espressa e il termine essenziale 58.
1) La diffid a ad adempiere è uno strumento unilaterale di autotutela con il quale
la parte non inadempiente intima per iscritto alla parte inadempiente di “adempiere in
un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il con-
tratto si intenderà senz’altro risoluto” (art. 14541), e cioè risolto di diritto; il meccanismo

ca quella di risoluzione; tale facoltà di mutamento è peraltro attribuita alla sola parte che abbia chiesto l’adem-
pimento, non a quella che nel giudizio vi si oppone, la quale quindi deve spiegare tempestivamente una sua
eventuale domanda di risoluzione (Cass. 26-5-2005, n. 11197).
54
La parte che chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa
promosso per ottenere l’adempimento, ai sensi dell’art. 14532, può domandare, contestualmente all’esercizio
dello ius variandi, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti
dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale (Cass. 25-6-2018, n. 16682).
55
Il diritto di scelta tra domanda di adempimento e domanda di risoluzione ex art. 14531 non si consuma
all’esito della pronunzia di condanna del debitore all’esecuzione della prestazione, giacché il rapporto con-
trattuale continua ad essere regolato dall’art. 1453 e deve quindi ritenersi ammissibile la proposizione della
domanda di risoluzione qualora l’inadempimento del debitore sia già stato accertato con pronunzia di con-
danna divenuta definitiva, atteso che la condanna del debitore all’adempimento attribuisce alla parte il diritto
all’esecuzione del contratto non negandole il diritto di ottenerne lo scioglimento laddove l’inadempimento si
protragga rispetto a quello accertato e posto a fondamento della decisione passata in cosa giudicata (Cass.
9-1-2020, n. 212; Cass. 15290/2011; Cass. 19826/2004).
56
Nulla vieta che il creditore, nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata, possa
accettare l’adempimento della prestazione, successivo alla domanda di risoluzione, rinunciando agli effetti
della stessa, anche quando questa si sia già verificata per una delle cause previste dalla legge (artt. 1454, 1455,
1457) o per effetto di pronuncia giudiziale (art. 1453) (Cass. 28-6-2004, n. 11967).
57
L’adempimento successivo alla proposizione della domanda di risoluzione del contratto non ne arresta gli
effetti, ma deve essere preso in esame dal giudice nella valutazione dell’importanza dell’inadempimento, potendo
condurre ad escluderne la gravità e, quindi, a rigettare la suddetta domanda (Cass. 6-6-2017, n. 14011).
58
Ipotesi speciali di risoluzione di diritto sono previste dall’art. 1517 per la vendita di cose mobili (IX, 1.7).
1164 PARTE VIII – CONTRATTO

è stato già incontrato nella trattazione dell’autotutela, rinviandosi una più ampia rifles-
sione a questa sede per organicità di trattazione.
Il termine assegnato alla controparte per adempiere non può essere inferiore a quin-
dici giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o
secondo gli usi, risulti congruo un termine minore (art. 14542) 59.
In presenza dell’inadempimento di una parte, è accordata alla controparte il diritto po-
testativo di realizzare la risoluzione del contratto senza l’intervento del giudice. La diffida
ad adempiere è un negozio unilaterale recettizio (con la operatività della presunzione di
conoscenza ex art. 1335 c.c.), che la parte non inadempiente indirizza alla controparte con
lo scopo di determinare la risoluzione “ipso iure” del contratto 60.
La diffida ad adempiere deve essere formulata per iscritto 61 ed ha una duplice fun-
zione: da un lato, vale a costituire in mora il debitore ex art. 1219; dall’altro, pone le basi
per la successiva risoluzione del contratto allo scadere del termine assegnato. Una mera
intimazione ad adempiere in un congruo termine, non accompagnata dall’espressa di-
chiarazione che l’inutile decorso del termine comporterà la risoluzione del contratto, non
vale come diffida ad adempiere ma solo come costituzione in mora, con gli effetti propri
di questa (artt. 1219 ss.). Perciò la diffida deve contenere due indicazioni: la intimazione
di adempiere nel termine assegnato; l’avvertimento che, decorso inutilmente tale termine,
il contratto s’intenderà senz’altro risoluto. Decorso il termine senza che il contratto sia
adempiuto, questo è risoluto di diritto (art. 1454). Per la essenzialità dell’avvertimento
che si deve fare alla parte inadempiente si è soliti anche parlare di procedimento monito-
rio (per l’ammonizione appunto che va fatta alla controparte): deve risultare manifesto
alla parte diffidata che la parte intimante non è disposta a tollerare ulteriore ritardo nel-
l’adempimento, pena la risoluzione del contratto. È necessario che il diffidante non sia a
sua volta inadempiente, secondo un generale principio di buona fede e di proporzionali-
tà delle condotte della relazione instaurata 62.

59
Fissandosi un termine inferiore a quello prescritto, va valutata la congruità del termine assegnato con accer-
tamento di fatto (Cass. 3-9-2019, n. 22002). Il giudizio di congruità, in base alla norma codicistica, non entra
in gioco con riferimento all’eventualità della pattuizione di un termine ridotto rispetto a quello legale, mentre
in tanto può rilevare, con riferimento alle altre due ipotesi, in quanto la restrizione del detto termine trovi
ragione nella natura del contratto o negli usi (Cass. 14-5-2020, n. 8943).
60
È dibattuta la natura giuridica della diffida ad adempiere, quale negozio unilaterale (in quanto espres-
sione della volontà di conseguire la risoluzione del contratto) o atto in senso stretto (per derivare la risoluzio-
ne dalla legge): da tale scelta deriva il corollario della disponibilità o meno della diffida ad adempiere da parte
del soggetto che l’esercita, che è ammessa nella prima prospettiva ed esclusa nella seconda. La giurisprudenza
dominante è orientata per la prima tesi, ammettendo la facoltà di revocare la diffida e così, eventualmente,
assegnare un nuovo termine all’inadempiente ovvero scegliere il rimedio della risoluzione giudiziale o anche
optare per gli altri rimedi apprestati dall’ordinamento (Cass. 8-11-2007, n. 23315). Per il carattere negozia-
le, Cass., sez. un., 15-6-2010, n. 14292. Il contraente che abbia intimato diffida ad adempiere, dichiarando
espressamente che allo spirare del termine fissato il contratto sarà risolto di diritto, può rinunciare, anche do-
po la scadenza nel termine indicato nella stessa e anche attraverso comportamenti concludenti, alla diffida ed
al suo effetto risolutivo; il giudice non potrebbe dichiarare d’ufficio la risoluzione del contratto a seguito del-
l’inutile decorso del termine indicato nella diffida, senza che vi sia stata apposita domanda del creditore
(Cass. 9-5-2016, n. 9317).
61
Dalla richiesta della forma scritta si è dedotto che anche la procura relativa alla diffida ad adempiere de-
ve essere rilasciata per iscritto, indipendentemente dal carattere eventualmente solenne della forma richiesta
per il contratto da risolvere (Cass., sez. un., 15-6-2010, n. 14292).
62
Dalla diffida ad adempiere rimasta inadempiuta non discende la risoluzione del contratto quando anche
CAP. 10 – ANOMALIE SOPRAVVENUTE 1165

2) La clausola risolutiva espressa è la clausola contrattuale con la quale le parti


espressamente convengono che il contratto si risolve nel caso in cui una determinata ob-
bligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite (art. 14561) 63. Risponde al-
l’esigenza di rafforzare l’adempimento di specifiche obbligazioni ovvero l’osservanza di
particolari modalità di adempimento 64, verso cui una parte nutre uno specifico interesse.
In quanto sono le parti stesse a valutare la rilevanza dell’inadempimento, è presunta l’im-
portanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455. La determinazione pattizia dell’im-
portanza dell’inadempimento non consente al giudice di sindacare la gravità dell’ina-
dempimento 65; ciò non esclude il controllo del giudice circa la liceità e meritevolezza
della prestazione cui è riferita la clausola risolutiva.
È necessario che la mancata esecuzione della prestazione sia imputabile al debitore e
che perciò ricorra tecnicamente un “inadempimento”. In ciò si diversifica dalla condi-
zione risolutiva, che è connessa all’avveramento di un vento futuro e incerto. Se la man-
cata esecuzione della prestazione è contemplata come connessa ad un evento non impu-
tabile a nessuna delle parti si è in presenza di condizione risolutiva negativa (ex art.
1353), che opera automaticamente e retroattivamente al mero verificarsi dell’avvenimen-
to dedotto in condizione 66.
Essendo la previsione della clausola risolutiva rivolta a rafforzare la posizione di una
delle parti, nel cui interesse è disposta, l’inadempimento di per sé non determina l’automa-

il diffidante sia inadempiente, perché, per il principio inadimpleti non est adimplendum (art. 1460), l’inadem-
pimento del diffidante priva di rilevanza giuridica quello del diffidato (Cass. 22-4-2015, n. 8261).
63
Le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di
una o più obbligazioni specificamente determinate, costituendo una clausola di stile quella redatta con generi-
co riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto; in tale ultimo caso, l’inadem-
pimento non risolve di diritto il contratto, sicché di esso deve essere valutata l’importanza in relazione alla
economia del contratto stesso, non essendo sufficiente l’accertamento della sola colpa, come previsto, invece,
in presenza di una valida clausola risolutiva espressa (Cass. 12-12-2019, n. 32681). Essa non ha carattere vessa-
torio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 13412 c.c., neanche in relazione
all’eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di
proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte
del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla (Cass. 5-7-2018, n. 17603).
64
Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono prevedere la risoluzione di dirit-
to del contratto per l’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, costituendo una
clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel
contratto (Cass. 3-9-2021, n. 23879; Cass. 28-10-2019, n. 27472; Cass. 27-6-2018, n. 16905).
65
La pattuizione di una clausola risolutiva espressa esclude che la gravità dell’inadempimento possa esse-
re valutata dal giudice nei casi già previsti dalle parti (Cass. 12-11-2019, n. 29301). Secondo la giurisprudenza
la previsione della clausola risolutiva espressa esime il giudice dal “valutare l’importanza dell’inadempimen-
to”, ma non lo esonera dall’accertare l’esistenza dell’inadempimento e la “sua imputabilità al soggetto obbli-
gato” (Cass. 17-1-2007, n. 987; Cass. 19-12-2004, n. 21886). Con riferimento ad un contratto di locazione, si è
stabilito che, avendo le parti preventivamente valutato che l’innovazione o la modifica dell’immobile locato
comporta alterazione dell’equilibrio giuridico-economico del contratto, non vi è più spazio per il giudice per
un diverso apprezzamento (Cass. 20-12-2012, n. 23624).
66
Una disposizione pattizia che colleghi l’effetto risolutivo al fatto obiettivo dell’inadempimento, indi-
pendentemente dalle ragioni dello stesso, se non può valere come clausola risolutiva, può integrare una con-
dizione risolutiva (Cass. 30-4-2012, n. 6634); v. anche Cass. 2-10-2014, n. 20854. Per Cass. 24-6-2008, n. 17181,
l’elemento dell’inadempimento imputabile non si riscontra nel caso in cui l’effetto risolutivo sia collegato al
mancato ottenimento entro una determinata scadenza temporale di un provvedimento amministrativo per
qualsivoglia motivo, purché non ascrivibile a uno dei contraenti.
1166 PARTE VIII – CONTRATTO

tica risoluzione del contratto. È la parte beneficiaria a valutare la convenienza o meno


della risoluzione e dunque decidere se avvalersi o meno della clausola risolutiva: la parte
beneficiaria potrebbe essere interessata a ricevere un adempimento tardivo e dunque a
non avvalersi della clausola. Perciò la operatività della clausola risolutiva è rimessa alla
iniziativa della parte nel cui favore la clausola stessa è destinata ad operare: la risoluzione
“si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della
clausola risolutiva” (art. 14562) 67. In ragione della descritta natura, la clausola risolutiva
non può essere rilevata di ufficio, ma solo dedotta dalla parte che intende avvalersene.
3) Il termine essenziale è la determinazione contrattuale con la quale il termine
fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse del-
l’altra (art. 14571); con la conseguenza che un adempimento tardivo non procura le utili-
tà perseguite 68. Ciò può essere esplicitamente pattuito tra le parti o dedursi implicita-
mente dal contenuto e dalle circostanze del contratto 69. È proprio con riferimento alla
rilevazione di un termine essenziale implicito che si addensano le più frequenti questioni
in materia. Ad es., una casa produttrice commissiona ad una tipografia la stampa di ma-
teriale pubblicitario di propri prodotti in occasione di una specifica fiera, con la dicitura
di offerta di sconto per gli acquisti compiuti in fiera nei giorni della fiera: anche se nel
contratto non è espressamente stabilito che il materiale pubblicitario deve essere conse-
gnato prima dell’inizio della fiera, risulta dal contesto del contratto che la consegna del
materiale successivamente allo svolgimento della fiera non è di utilità per la casa produt-
trice, per cui sono da considerare termine essenziale i giorni indicati della fiera.
Diversamente dalla clausola risolutiva espressa, la risoluzione opera immediatamente
con la scadenza del termine (art. 14572). Se la parte beneficiaria, nonostante la scadenza
del termine essenziale, vuole egualmente esigere la prestazione, salvo patto o uso contra-
rio, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni (art. 14571) 70.
Come per la clausola risolutiva espressa, è presunta l’importanza dell’inadempimento
per derivare la statuizione del termine essenziale dalle stesse parti o dal contenuto del
contratto; unico presupposto è l’imputabilità dell’inadempimento.
Quando il termine pattuito non è essenziale, il relativo inadempimento è causa di ri-
soluzione giudiziale del contratto secondo le regole generali degli

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