Piero Calamandrei - Cassazione Civile
Piero Calamandrei - Cassazione Civile
Piero Calamandrei - Cassazione Civile
Dipartimento di Giurisprudenza
Piero Calamandrei
OPERE GIURIDICHE
Volume VIII
2019
Comitato scientifico della Collana:
Paolo Alvazzi Del Frate, Paolo Benvenuti, Bruno Bises, Mario Bussoletti, Giovanni
Cabras, Giandonato Caggiano, Enzo Cardi, Paolo Carnevale, Antonio Carratta, Mauro
Catenacci, Alfonso Celotto, Renato Clarizia, Carlo Colapietro, Emanuele Conte, Giorgio
Costantino, Antonietta Di Blase, Carlo Fantappiè, Lorenzo Fascione, Ernesto Felli,
Sabino Fortunato, Aurelio Gentili, Elena Granaglia, Giuseppe Grisi, Andrea Guaccero,
Luca Luparia Donati, Francesco Macario, Vincenzo Mannino, Luca Marafioti, Enrico
Mezzetti, Claudia Morviducci, Giulio Napolitano, Giampiero Proia, Giuseppe Ruffini,
Marco Ruotolo, Maria Alessandra Sandulli, Giovanni Serges, Giuseppe Tinelli, Luisa
Torchia, Mario Trapani, Vincenzo Zeno-Zencovich, Andrea Zoppini.
Coordinamento editoriale:
Gruppo di Lavoro
Edizioni:
Roma, settembre 2019
ISBN: 978-88-32136-55-5
http://romatrepress.uniroma3.it
Le eredi di Piero Calamandrei, titolari dei diritti sulle sue opere, hanno autorizzato la
Roma TrE-Press a diffondere in open access questo volume i cui contenuti sono assoggetta-
ti alla disciplina Creative Commons attribution 4.0 International Licence (CC BY-NC-ND
4.0) che impone l’attribuzione della paternità dell’opera, proibisce di alterarla, trasfor-
marla o usarla per produrre un’altra opera, e ne esclude l’uso per ricavarne un profitto
commerciale. Il volume, oltre che sulla piattaforma della Roma TrE-Press è disponibile su
quella di Google Books.
Collana del Dipartimento di Giurisprudenza
La memoria del diritto
v
ne, alla Collana “La memoria del diritto”, un titolo che pensiamo sarebbe
piaciuto al grande Maestro. Ed infine alla Roma TrE-Press che continua
nella sua meritoria opera di rendere accessibile a tutti, senza oneri, i risul-
tati delle ricerche universitarie.
vi
ATTUALITA’ DI PIERO CALAMANDREI, PROCESSUALISTA
vii
La vastità del pensiero dell’insigne giurista fiorentino – che è stato ad un
tempo Professore di diritto processuale civile, Rettore dell’Università degli
Studi di Firenze, Presidente del Consiglio Nazionale forense e Deputato
dell’Assemblea Costituente – non si presta ad una minuta e noiosa rassegna,
proprio per la straordinarietà della sua vita scientifica e umana. Ci limitiamo
, quindi, a segnalare alcune delle idee più significative del suo insegnamento,
che possono ormai considerarsi patrimonio comune dell’odierna dottrina
processualcivilistica, anche in considerazione dei successivi sviluppi: la
natura della Cassazione civile, la visione del processo come gioco, la funzione
della tutela cautelare, i concetti di verità e di verosimiglianza nel processo.
2.- La Cassazione, quale organo supremo di giustizia e regolatore dei
rapporti tra le diverse giurisdizioni, costituisce il risultato più significativo ed
importante dell’opera scientifica di Piero Calamandrei, sebbene, all’epoca,
questa avesse suscitato le perplessità ricordate da Virgilio Andrioli.
Nel 1933, nel decennale della Cassazione unica, Piero Calamandrei scriveva
che «la porta, per la quale la scienza del diritto entra più liberamente nelle
aule di giustizia, è quella della Cassazione unificata».
Nella seduta pomeridiana del 27 novembre 1947 dell’Assemblea Costituente,
quando si discuteva dell’art. 102, corrispondente all’attuale settimo comma
dell’art. 111 Cost., Piero Calamandrei arrivò in ritardo. Nella prima parte del
dibattito, Giovanni Leone difese la proposta della Commissione contro gli
emendamenti diretti a reistituire le Cassazioni regionali, sostenuti anche da
Palmiro Togliatti e da Vittorio Emanuele Orlando.
Nel rinnovato quadro normativo, ma quando si riteneva ancora che parte
delle disposizioni della Carta fondamentale della Repubblica fossero
meramente «programmatiche», la Cassazione riconobbe che l’art. 111,
comma 2 (oggi 7), avesse immediata portata precettiva (Cass., sez. un., 30
luglio 1953, n. 2593, in Foro it., 1953, I, 1248).
L’assemblea generale della Corte di Cassazione del 23 aprile 1999 aveva
segnalato i rischi paventati per l’attività della Corte.
La crescita esponenziale dei ricorsi, dipendente in buona parte anche dalla
riforma del contenzioso tributario e, da ultimo, dalle controversie in materia
di immigrazione, ha creato, per la Corte, una situazione di emergenza.
Quest’ultima, a sua volta, ha suscitato una frenesia legislativa che, pur diretta
viii
a porre rimedio, ha fatto del procedimento di legittimità un gioco dell’oca
(Foro it., 2018, V, 213), privo di oggettiva base razionale e mortificante
anche per i magistrati.
La cattedrale della giustizia è un edificio alla manutenzione del quale
contribuiscono gli studiosi e gli operatori.
La porta, che Piero Calamandrei ha contribuito ad aprire e che salutava con
soddisfazione nel decennale della Cassazione unica, è mantenuta aperta dal
dialogo sui contrasti di giurisprudenza e sulle questioni processuali controverse.
Il controllo di legalità che la Costituzione ha affidato alla Corte, anche grazie
al contributo di Piero Calamandrei, presuppone che, come prevede la legge,
le decisioni siano il frutto di un’opera collegiale e del confronto aperto anche
all’esterno.
Non mancano, anche a causa della enorme mole di lavoro, note autonome,
che si distaccano dall’armonia dell’orchestra.
Proprio in riferimento al contributo giovanile di Piero Calamandrei, che aveva
segnato i confini dell’istituto, si è affermato che «la distinzione tra garanzia
propria e impropria è destituita di fondamento e che tutte le fattispecie
ricondotte all’una e all’altra categoria devono andare soggette alla medesima
disciplina processuale» (così Cass., sez. un., 4 dicembre 2015, n. 24707).
Grazie alla porta aperta da Piero Calamandrei, anche in relazione a questa
decisione, che ha disatteso una tradizione consolidata e l’espressa previsione
normativa di cui all’art. 106 c.p.c., che appunto distingue la comunanza di
causa e la chiamata in garanzia, le reazioni degli studiosi hanno proseguito
il dialogo, che può trovare nuova linfa nella ripubblicazione anche della
monografia del 1913.
3.- Un indubbio pregio delle opere di Calamandrei, che ne costituisce uno
dei tratti di maggiore fascino, consiste nel felicissimo connubio fra l’alto
valore delle sue riflessioni scientifiche e la considerazione dell’esperienza
processuale, il suo vivo e concreto pulsare nel cuore degli uomini.
L’esempio forse più apprezzabile di questo legame fra teoria e pratica del
processo si trova nel celeberrimo e suadente saggio sul Processo come giuoco
pubblicato sulla Rivista di diritto processuale del 1950, nel quale si osservava
che «se il giurista ‘puro’ può prendersi il lusso di trattar le leggi come
congegni di precisione», solo a questo non può limitarsi l’avvocato, «il quale
ix
deve ad ogni istante ricordarsi che ogni uomo è una persona, cioè un mondo
morale unico ed originale, che dinnanzi alle leggi si comporta secondo i suoi
gusti e i suoi interessi, in maniera imprevedibile e spesso sorprendente».
E questa unicità ciascuna parte la dimostra appunto nel gioco del processo, che
fra i suoi scopi istituzionali contempla ovviamente quello di amministrare
la giustizia, ma che al tempo stesso è il luogo dello scontro dialettico fra
intelligenze, per il quale è assai calzante il proverbio popolare secondo cui per
vincere una causa occorrono diversi ingredienti: l’avere ragione, il saperla esporre,
il trovare chi la intenda e che la voglia dare, e alla fine il debitore che possa pagare.
L’esito del combattimento giudiziario dipende insomma non solo dalle
ragioni, ma anche dall’abilità nel giocare la partita, dalla somma dei
comportamenti dei litiganti, dalle loro astuzie, dall’efficacia delle loro
mosse a sorpresa. Eppure, anche questa visione agonistica del processo
non può dirsi completa, perché – come riconosce espressamente lo stesso
Calamandrei – la libertà della tattica processuale è limitata dall’obbligo delle
parti e dei loro difensori di comportarsi in giudizio con lealtà e probità.
Controversa è tuttavia l’interpretazione di questa clausola generale e
quindi eternamente si discute, oggi come allora, dell’abuso del processo,
dei contorni della responsabilità per mala fede processuale, del significato
del dolo revocatorio, del valore degli argomenti di prova ricavabili dal
contegno processuale dei litiganti, del problema dell’obbligo delle parti di
dire il vero nel processo. Ed è questo uno degli aspetti più vitali, ancora oggi
attualissimo, dell’insegnamento di Piero Calamandrei.
4.- «Credo che – osserva Vittorio Denti nella Presentazione del IX volume
– da molti degli scritti minori, più che dalle grandi opere sistematiche,
dovrà prendere le mosse chi vorrà ricostruire la figura e l’opera di Piero
Calamandrei». È vero anche, d’altro canto, che fra gli scritti minori di
Calamandrei alcuni assumono una particolare importanza sia per la grande
influenza che hanno avuto sulla riflessione successiva intorno agli argomenti
da essi trattati, sia per la straordinaria finezza ed attualità dei loro contenuti.
È il caso – per limitarsi ad alcuni esempi fra i molti che si potrebbero fare
– dell’Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari del
1936 e dell’ultimo suo saggio in materia di diritto processuale civile Verità e
verosimiglianza nel processo civile del 1955.
x
Quando Calamandrei pubblica l’Introduzione, dedicandolo a Giuseppe
Chiovenda, ha appena compiuto 47 anni ed è al culmine della sua attività
scientifica. Nell’avvertenza il Maestro fiorentino sottolinea come non si
tratti di una monografia dedicata al tema della tutela cautelare, quanto
piuttosto della parte introduttiva di «un corso sui provvedimenti cautelari»,
rivolto agli studenti del «secondo biennio» della Facoltà giuridica fiorentina.
Pur avendo finalità prevalentemente didattiche lo studio si segnala fin da
subito per il modo nuovo con il quale affronta il tema della tutela cautelare
e per la piena consapevolezza della stretta correlazione che sussiste fra questa
particolare forma di tutela e l’effettività della stessa funzione giurisdizionale.
Ed è questa la ragione per la quale esso non solo continua ad essere
considerato un classico sul tema, ma a conservare piena attualità.
Anzitutto, Calamandrei anticipa ciò che ormai costituisce un dato
imprescindibile nella riflessione processualcivilistica, e cioè che solo «in
un ordinamento processuale puramente ideale, in cui il provvedimento
definitivo (del giudice) potesse essere istantaneo, in modo che, nello stesso
momento in cui l’avente diritto presentasse la domanda, subito potesse
essergli resa giustizia in modo pieno e adeguato al caso, non vi sarebbe più
posto per i provvedimenti cautelari».
La tutela cautelare, dunque, trae la sua ragion d’essere dall’esigenza di
assicurare gli effetti dei provvedimenti, alla produzione dei quali è diretta la
funzione giurisdizionale di cognizione e di esecuzione, ovviando ai pericoli
che minacciano la fruttuosità della tutela giurisdizionale di un diritto nel
tempo necessario per conseguirla.
E Calamandrei ha ben chiaro che la stretta relazione che inevitabilmente
lega la tutela cautelare all’esigenza di assicurare gli effetti della primaria
funzione giurisdizionale di cognizione e di esecuzione impone di guardare
ad essa come ad una diretta manifestazione della garanzia del diritto di
azione e alla sua piena effettività.
Siccome per la sua stessa natura il processo non può plausibilmente
prescindere dall’impiegare un certo lasso di tempo, più o meno lungo, prima
di pervenire alla decisione finale, si comprende agevolmente la necessità che
la disciplina che l’accompagni si presenti come una sorta di «corsa contro
il tempo»: impedisca, cioè, che si protragga più del dovuto (sia improntato
xi
ad una «ragionevole durata») e, contestualmente, offra alla parte che ha
bisogno della tutela giurisdizionale gli strumenti idonei ad evitare che le
conseguenze del fisiologico protrarsi del processo ricadano sulla situazione
giuridica tutelanda.
A maggior ragione queste considerazioni valgono se si considera che,
proprio nell’ottica del superamento dell’autotutela privata e della funzione
pubblicistica del processo civile, la sua finalità non venga limitata alla
soluzione della lite ed alla tradizionale tutela del diritto soggettivo sostanziale,
di cui la parte si afferma titolare, ma ricomprenda anche il ristabilimento
della pacificazione sociale o comunque la riaffermazione del diritto obiettivo
o della chiovendiana volontà di legge nel caso concreto.
Il lasso di tempo che necessariamente deve intercorrere fra l’instaurazione
del giudizio con la manifestazione del «bisogno di tutela giurisdizionale»
e la pronuncia di una sentenza dotata di efficacia esecutiva, espone la
tutelanda situazione al pericolo di subire un ulteriore pregiudizio, che può
consistere o nel verificarsi di fatti tali da porre in pericolo le possibilità
di concreta attuazione della sentenza, o comunque nel permanere della
violazione e quindi dello stato di insoddisfazione del titolare della situazione
sostanziale violata. «I provvedimenti cautelari – chiarisce Calamandrei
in maniera mirabilmente efficace – rappresentano una conciliazione tra
le due esigenze spesso contrastanti della giustizia, quella della celerità e
quella della ponderatezza: tra il far presto e male, e il far bene ma tardi;
i provvedimenti cautelari mirano innanzitutto a far presto, lasciando
che il problema del bene e del male, cioè della giustizia intrinseca del
provvedimento, sia risolto successivamente colla necessaria ponderatezza
nelle riposate forme del processo ordinario … [e] preventivamente
assicurano i mezzi atti a far sì che il provvedimento definitivo possa avere,
quando sarà emanato, la stessa efficacia e lo stesso rendimento pratico che
avrebbe se fosse emanato immediatamente». Ma il processo di affermazione
di questa stretta correlazione fra tutela cautelare ed effettività della tutela
giurisdizionale richiedeva che la stessa tutela cautelare venisse ricostruita
come tipica funzione giurisdizionale autonoma. Ed è in questa direzione che
l’insegnamento di Calamandrei è stato determinante.
5.- Non meno significativo l’apporto che Calamandrei offre al progresso
xii
della riflessione intorno alla formazione del convincimento del giudice con
il suo famosissimo saggio su Verità e verosimiglianza.
In esso, Egli riprende – dopo oltre mezzo secolo – l’insegnamento di Adolf
Wach secondo cui nel processo ogni giudizio di verità diventa un giudizio di
probabilità («aller Beweis ist richtig verstanden nur Wahrscheinlichkeitsbeweis»),
per giustificare la conclusione che «anche per il giudice più scrupoloso e
attento vale il fatale limite di relatività che è propria della natura umana».
Quando si dice che un fatto processuale è vero – osserva il Maestro fiorentino –
«si vuol dire in sostanza che esso ha raggiunto, nella coscienza di chi lo giudica
tale, quel grado massimo di verosimiglianza che, in relazione ai limitati mezzi
di conoscenza di cui il giudicante dispone, basta a dargli la certezza soggettiva
che quel fatto è avvenuto»; nient’altro, dunque, che «un surrogato di verità»,
commisurato all’esperienza, alla cultura e alla capacità del giudicante.
In tale ottica, il giudizio fondato sulla probabilità è funzionale a misurare
la capacità di una determinata allegazione di rappresentare un’effettiva
realtà fattuale, secondo «l’ordine normale delle cose», ovvero nel rispetto di
tutti quei limiti che inevitabilmente il giudice incontra e che gli derivano
dal principio fondamentale del processo moderno per cui il giudice deve
assumere una posizione di passiva attesa, dalla quale può uscire solo per
affacciarsi a quella «porzione di realtà» che le parti gli sottopongono.
Ciò che, in definitiva, va letto come la riaffermazione, anche sul versante
dell’accertamento probatorio, della concezione garantista del processo
propria del «liberalismo processuale».
***
La ristampa delle Opere giuridiche conferma che gli studiosi del processo civile,
come diceva Bernardo di Chartres, siedono sulle spalle dei giganti («nos esse
quasi nanos gigantum humeris insidientes») e su di essi grava la responsabilità e
di non disperdere i frutti dell’opera intrapresa e degli insegnamenti ricevuti.
xiii
xiv
OPERE GIURIDICHE
di
PIERO CALAMANDREI
a cura di Mauro Cappelletti
Volume VIII: Altri studi sulla Cassazione civile, sui vizi della sentenza
e sulle impugnazioni, con Presentazione di Giovanni Pugliese.
xv
INDICE
dell’ ottavo volume
sezione vi
La Cassazione civile e altri studi sui vizî della sentenza
e sulle impugnazioni
I. CASSAZIONE CIVILE » 3