Pirandello e Svevo Appunti

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21/04/18

Luigi Pirandello
Secondo decadentismo
Pascoli è abbastanza 800
D’Annunzio a cavallo
Quello che rappresenta bene il 900 è Pirandello.
Non riscuote molto successo prima del 900. Molto successo per il teatro, rinnoverà il teatro
italiano.

Nasce ad Agrigento, che si chiamava Girgenti.


Nasce nel 1867 e muore nel 1936.
Si era tesserato per il partito fascista. Aveva testimoniano il suo affetto per Mussolini in occasione
del delitto Matteotti. Con tutte le sue opere la critica ha chiuso un occhio su questo, a contrario di
D’Annunzio, etichettato come fascista anche se alla fine non gli piaceva più.

A Pirandello la democrazia non piaceva, perché per lui si dava il potere a troppe persone, agli
ignoranti. Era un estimatore di Mussolini e del governo “forte”. Aveva vissuto in prima persona la
crisi. È esterna però, era benestante, studia tranquillamente senza problemi. I primi tentativi
letterari si avvicinano al verismo di Verga. Ma Pirandello non si ferma alla realtà, vuole andare
oltre, vuole analizzare le cause. Questi rapporti di causa-effetto sono legati alla soggettività delle
persone.
Era amico, come Verga, di Luigi Capuana. È inevitabile che Pirandello abbia conosciuto il verismo
quindi. Vivrà a Roma e a Bonn. Trascorrerà buona parte della sua vita a Roma, lavorando in un
liceo. Soffrirà durante la prima guerra, perché voleva combattere ma non poteva, era troppo
vecchio. I figli invece vanno, e questo lo fa soffrire ancora di più. I figli conosceranno le ferite e
anche la prigionia. Anche la moglie soffrirà atrocemente, a un certo punto pensano anche siano
morti. La moglie era inoltre debole di salute mentale. Poco per volta impazzirà e a un certo punto
Pirandello è costretto a rinchiuderla in manicomio, era diventata un pericolo per lui e per se
stessa.
Questo portò Pirandello allo studio della follia. Pensa che sia come se uno scegliesse di diventare
pazzo per sfuggire al mondo esterno, alla società, la grande nemica dell’essere umano, che viene
inevitabilmente sconfitto.
Sarà anche il rende maestro dell’umorismo. Pirandello esamina la realtà e la rivede. La silloge delle
sue opere teatrali si chiamerà “maschere nude”. Noi indossiamo una maschera in società, che
inevitabilmente, prima o poi, cade. Non possiamo però fare a meno della società, che ci sta al
contempo distruggendo. Se non sei nella società non esisti. Il fu Mattia Pascal, FU, perché se non
hai documenti e non sei dentro la società non esisti.
Che intende per umorismo Pirandello?
Non è la comicità, sono due cose assolutamente differenti. Comicità è avvertimento del contrario,
il sentimento del contrario è l’umorismo.
Il comico ci fa ridere, l’umoristico ci fa sorridere, ma anche pensare. Prima sorridi e poi rifletti.

Vecchietta imbellettata passeggia per strada. La vedi e noti che questa è vecchia ma è tutta
truccata che sembra una bidducola a noche, quindi ridiamo.
Avvertiamo che non è come dovrebbe essere: avvertimento del contrario. Tutto ciò che è il
contrario di quello che dovrebbe essere ci fa ridere. A noi piace essere ridicoli? No. Se andiamo a
pensare che magari questa donna è sposata con un uomo più giovane di lei, che ama molto ma ha
paura la lasci. Ridiamo ancora? Non sappiamo quello che c’è dietro, il disperato tentativo di
aggrapparsi al suo amore. Lo fa per una motivazione seria, non per fare la cretina. Quindi
smettiamo di ridere, e la compatiamo.

Uno, nessuno, centomila


Che significa? L’esistenza è frantumata in tantissimi io. È quello che fa la società.

Se chiedi singolarmente ai 23 alunni della quinta C com’è la professoressa tartaglione hai tre
risposte differenti. Io sono uno, ma posso essere centomila.
Siamo come tele, siamo come la gente ci dipinge, come dice caparezza in “Fai da tela”.
Binomi fondamentali
Persona e personaggio
Vita autentica e vita reale
Essenza e forma.
In uno nessuno centomila il tipo di accorge che per gli altri il suo naso era storto, ma lui lo vedeva
dritto. Gli altri come mi vedono? Uno, nessuno, centomila.

03/05/18
Il teatro di Pirandello
Secondo gli studiosi è la parte migliore di Pirandello
I romanzi sono solo sette alla fine, quindi la più grossa produzione di Pirandello è quella teatrale.
Alcune delle sue commedie (una quarantina di titoli) si basano su delle novelle. Era poliedrico
Pirandello per quanto riguarda la produzione artistica (non come D’Annunzio che era poliedrico in
tutto). Non si suddivide la sua opera in periodi, ma fa tutto sempre. La produzione del 900 (dal
1910) però è quella più famosa.

Il teatro cosa prevede in teoria. La realtà sul palco e il pubblico spettatore. Pirandello fa crollare
ogni certezza. Non è vero che la realtà che viviamo è quella sul palcoscenico e noi siamo solo degli
spettatori. Per Pirandello tutto si mescola, tutto è teatro.
Funzione catartica: tu vai a teatro per divertirti, per distrarti per un’oretta dalla vita quotidiana,
vero? No
Funzione catartica voleva dire (viene dal greco) che andavi a teatro e vedevi tutti i protagonisti
morire sulla scena, ti immedesimavi e traevi un sospiro di sollievo perché il personaggio era morto
ma tu rimanevi vivo. Cercavi quindi di capire dove il personaggio poteva aver sbagliato e
migliorare i tuoi comportamenti e andandosene via senza più angoscia
Non si è capito niente, perché ora ha detto “per Pirandello niente di tutto questo, niente catarsi”
Per Pirandello te ne andavi con l’angoscia. Ne parli con il vicino di posto e lui la vede in modo
diverso. E quando si chiude il sipario ce ne usciamo con tutti sti punti interrogativi. Qual è la
soluzione di questo dramma? Nessuna risposta. Noi le chiamiamo commedie ma sono drammi.
Spesso finiscono con la risata di un personaggio, che lascia lo spettatore angosciato e intreulato.
Il pubblico era abituato a un teatro invio tutto si risolveva. Le sue prime commedie hanno infatti
fatto sempre scalpore. Gente che abbandonava la sala, fustigato dalla critica, sarà costretto a
viaggiare prevalentemente all’estero. Lì erano più aperti alle novità e in Italia viene apprezzato in
seconda battuta. “Sei personaggi in cerca d’autore” e “Enrico IV” le più famose penso.
Sei personaggi in cerca d’autore —>trilogia di metateatro

Maschere nude
Ognuno di noi senza essere un personaggio di teatro è un personaggio nella scena della vita.
Ognuno di noi ha una maschera ma non tutti hanno il coraggio di riconoscerlo. L’unica cosa di
consapevole che possiamo fare e ammettere è quella di indossare una maschera. Quale sia il mio
vero io spesso non so neanche dirlo io stesso.
Pirandello non è che si inventa una grandissima novità con il meta teatro, esisteva anche in epoca
antica. Solo che nessuno al momento lo faceva, quindi. Plauto già lo faceva. Fare teatro sul teatro.
Plauto aveva anche fatto il ribaltamento scenico, tipo i figli che si ribellavano ai padri, le mogli che
rincorrevano i mariti con la scopa.
Principale caratteristica del meta teatro —> rottura dell’illusione scenica. Infrangi la barriera data
dal fatto che gli attori siano personificazioni di personaggi. Quindi gli attori si rivolgono al pubblico
con commenti, il personaggio che veniva inseguito si nascondeva dietro una colonna e
l’inseguitore chiedeva al pubblico dove fosse. Lo spettatore diventa un attore quindi.
Oppure se avevano monete non vere dicevano “vedete che questi sono solo lupini, ma siamo a
teatro quindi facciamo finta siano soldi”.
Con plauto però te ne andavi felice e contento qu

11/05/18
Italo Svevo (1861-1928)
In verità si chiama Aron Hector Schmitz.
Siamo a Trieste. Città molto più vitale rispetto all’Italia in generale. Perché? Trieste non era
italiana, apparteneva all’impero austro-ungarico. Trieste era sede della flotta austriaca addirittura
utente la prima guerra mondiale. Poi avrà sfiga e casini e sarà italiana solo dal 1954. Per Italo
Svevo dobbiamo dire (anche se lui poi effettivamente era di origine ebraica) frase non finita. Il
libro di testo dice che la famiglia è di origini tedesche e ebraica. In verità alla tartaglione sembra
ricordare avesse la madre italiana è il padre tedesco ed ebreo. Però deve rivederselo. Il suo nome
è ebraico effettivamente. Il libro di testo lo ripete fisso. Lui però si faceva chiamare con il nome
italiano, Hector, Ettore, di Aron (Aronne) si era dimenticato (che è un nome ebraico).
Nasce nel 1861 in una famiglia medio borghese, ed è una famiglia che gli consente anche di
studiare all’estero. Lui si sente sempre di appartenere a due mondi. Quello italiano e quello
austriaco. Sotto il profilo culturale lui preferiva il lato austriaco, perché la vita artistica in generale
aveva un respiro più europeo. Lui conoscerà Joyce addirittura e si insegnano a vicenda l’italiano e
l’inglese. Svevo si rende conto che l’inglese è la lingua del futuro. Già Svevo conosceva il francese,
poi ovviamente l’italiano come prima lingua e il tedesco come seconda. Joyce imparerà l’italiano
abbastanza bene per leggere le opere che Svevo gli inviava per avere dei consigli.
Svevo produce di importante solo 3 romanzi (il resto è roba dilettantistica). Svevo amava scrivere
da ragazzo in entrambe le lingue. La prima accusa che gli verrà mossa sarà proprio quella di
mescolare le due costruzioni della frase e ne esce un italiano tedeschizzato. Faceva alcuni errori.
Quindi la gente gli dice “o scrivi bene o non puoi diventare famoso”. Poi lo criticavano anche di
essere noioso. Grazie però anche a Joyce e alla pubblicazione del secondo e del terzo romanzo,
rispettivamente “senilità” e “la coscienza di Zeno”, si inizia a parlare di Svevo. Decide di assumere
questo pseudonimo dalla pubblicazione del secondo romanzo. Così annuncia il suo essere e il suo
modo di scrivere. È italiano e Svevo.
La coscienza di Zeno non è il suo capolavoro, ma secondo i critici è “senilità”. Il primo invece si
chiama “una vita”.
I nomi sono un po’ strani
Senilità, pensi che parli di vecchi, invece il protagonista è giovanissimo. Però si comporta da
vecchio. Lo criticano anche per i titoli, lo criticano per un sacco di cose. Gli dicono che sviava i
lettori. “Una vita” finisce con un suicidio. C’è molto di autobiografico nei suoi romanzi (forse un
po’ meno in Zeno però). Sono persone costrette a state chiuse in uffici nonostante volessero
scrivere ed esprimere la loro vena letteraria. Però il pane si doveva portare a casa. Una routine che
ti soffoca, che reprime tutti gli slanci vitali che il protagonista vorrebbe avere. Svevo lavorò in un
primo tempo in una banca, con tutta la burocrazia e le rotture di cazzo. Lui comunque aveva
studiato letteratura. È costretto quindi a lavorare da impiegato e a fatica porta a termine i suoi
romanzi. Perché inizia che è tutto infogato, poi si disinfoga. Vengono pubblicati a puntate per
sondare l’opinione pubblica. Poi Svevo pagherà per la produzione in volume, visto che non
riscontrarono tanto successo. All’inizio sarà in perdita Svevo. Svevo paga anche il fatto di avere un
passaporto straniero. Era un letterario straniero. La letteratura italiana quindi lo mette un po’ da
parte. Solo quando intraprende questa relazione amicale con Joyce diventa un po’ più apprezzato.
Lui conoscerà poi Freud. Si era addirittura tentato una traduzione in italiano dei suoi libri. Lo aveva
anche criticato. La coscienza di Zeno è anche un po’ una presa in giro. Svevo riconosce che c’è un
mondo sconosciuto dentro di noi, l’inconscio, ma Freud sbaglia una cosa. Non puoi pretendere di
guarire gli individui. Ok analizzare, ma vuoi anche curarlo? Non riesci. Noi siamo esseri malati per
Svevo, inquinati alle radici. Dire che possiamo essere curati e sopratutto guariti è esagerato. Una
volta che ci rendiamo conto di essere malati dobbiamo accettarlo.

Lui era ossessionato dai nomi femminili in A. Annetta, Angelina, Augusta. Non si sa perché, a caso.
Si è supposto, leggendo il periodo, che unendo Zeno, la zeta, fosse tipo dalla A alla Z, come il
dentifricio. Dall’alfa all’omega. Tutto lo spettro. L’inizio e la fine. La donna è l’inizio di tutto.
Femme fatale anche qui.
Perché Zeno? Penso significhi straniero.
Perché Svevo non ha avuto successo? Già la gente stava cercando di capire Pirandello, ed erano
già intreulati in partenza, poi arriva anche lui che parla degli inetti. Non ho capito bene sta storia
degli inetti. Sono tipo degli sconfitti. Lasciano la vita così e la accettano penso.

Gli antagonisti delle storie sembrano dei vincitori ma anche loro si rivelano degli sconfitti
dell’esistenza. L’amico di Zeno Cosini si suicida.
Zeno si rende conto di aver sposato la donna giusta in augusta.
C’è questa Ada su cui tipo fa un pensierino ma con la vecchiaia diventa strabrutta quindi dice
“meno male”
I personaggi di Svevo non sono quelli che tu ami, sono un po’ antieroi.
In ogni caso prima di parlava dei suoi errori grammaticali.
Non se ne vergogna e continua a farli anche dopo le critiche. È il suo modo di scrivere, che piaccia
o no. Lui parlava anche così, e gli piaceva così.

12/05/18
Pili aveva chiesto se Zeno Cosini fosse un vero sconfitto e se l’antagonista fosse veramente un
vincitore quando si suicida.
La malattia,così come la follia per Pirandello, rappresenta per Svevo una risposta alla realtà. La
figura dell’inetto, la figura di ho non è adatto alla vita, che non riesce a uniformarsi, non è in verità
uni sconfitto dell’esistenza. Vivere l’esistenza senza viverla ti salva da essa. Le cose le guardi, non
ci sei immerso, perché non ti senti adatto. In realtà ti salvi. La malattia salva gli individui
dall’esistenza che essi conducono. L’antagonista è guido speier. Lui però vuole solo tentarlo il
suicidio, senza morire veramente. Poi muore veramente. È lui il vero fallito. Lui non era malato, lui
si riteneva adatto alla vita, quindi questa l’ha sommerso. Questi sono i veri inetti quindi. Perché
quelli che vengono detti inetti riescono a salvarsi.

Anche il romanzo di Svevo viene considerato di formazione. Il personaggio è consapevole della sua
condizione di inetto. E alla fine accetta questa sua condizione. Riflettendo poi, tutto sommato, gli
va anche bene. Lui pensa di aver sposato la donna sbagliata ma poi si rese conto che era quella
giusta.

L’inetto è chi si distacca dalla vita, chi la guarda da fuori. Gli inadeguati, diversi.

Scoppia il caso Svevo, non solo in Italia ma anche fuori perché Joyce ne parla. Non ho sentito cos’è
perché stavo guardando video dell’NBA.
Vabbè, fatto sta che diventa sconosciuto.
Morirà presto però, per colpa di un incidente stradale. La macchina va fuori strada, sembra non
essersi fatto niente ma evidentemente aveva qualche emorragia interna perché inizia a stare
sempre peggio, gli viene anche un attacco d’asma e muore.

Muore nel 1928, solo 5 anni dopo l’uscita del suo romanzo più famoso.

In tutti e tre i romanzi troviamo dei particolari della vita di Svevo. Forse l’autore si riteneva un
inetto? Quando glielo chiedevano lui sorrideva e non rispondeva. Per Svevo alla fine non è una
cosa brutta l’essere inetto. Ma se siamo tutti inetti che facciamo? Ci distacchiamo tutti dalla vita?
Come andiamo avanti? Sto problema non se l’è posto Svevo.

La coscienza di Zeno è narrato in prima persona, è come una specie di diario, un finto diario
ovviamente.
Zeno non è simpatico, è un antieroe. Alcune volte proprio pensi “ma cavolo, cazzo fa”, ci troviamo
a condannare, a criticare i suoi atti, il suo modo di ritrarsi.

Quando decide che si deve sposare sceglie un professionista e seleziona la casa di un uomo ricco
con tre figlie. Non si è capito. Lui però va da questo uomo ricco e vede le figlie come fosse al
mercato. Lo dice proprio. Vabbè che a quel tempo era così, però molto brutto.

La tipa che si sposa era strabica però. Augusta però era stata l’unica ad aver avuto la visione
corretta del marito. Lei si innamora veramente. Lui dice di amarla, ma lo dice in un modo che ci fa
pensare che magari si stia solo auto convincendo di amarla.

Svevo era ebreo e la moglie cattolica. Prima si sposano con il rito civile, poi lei si vuole sposare in
chiesa: Svevo è costretto a diventare cattolico. Anche lui alla fine farà fare alla moglie tutto quello
che vuole. Per il funerale però vuole il rito ebraico.
Comunque questo per dire che, come il suo personaggio, si era accorto che la moglie, che pensava
di poter gestire, aveva gestito lui.

Chi era Zeno cosini?


Padre ricco ed estremamente autoritario (come il padre i Svevo). Il vero pater familias. Erano
molto ricchi ma c’era il classico conflitto padre e figlio. Ora diciamo “il classico” ma al tempo era
una novità. Veniva dagli studi di Freud.
Non lasciava spazio ai suoi figli, considerando Zeno un inetto. Come lo intendiamo noi, stupido,
con il bisogno di essere sempre spronato per fare qualcosa. Lo vedeva come il classico figlio di
papà che c’ha i soldi e che pensa di poter non fare niente.
Il padre era stato costretto a letto. Proprio lui che era un macigno. Rifiutava la malattia. Era
estremamente irascibile e se la prendeva con Zeno che diceva invece “per una volta te ne stai a
casa coccolato da tutti, è una bella situazione”. Il padre però, più sentiva avvicinarsi la morte, più
aveva paura di lasciare Zeno da solo e di lasciargli i suoi beni.
A un certo punto cerca di alzarsi improvvisamente, cerca di appoggiarsi a Zeno che si sposta
spaventato. La mano del padre manca la spalla e gli prende la faccia. Il padre con quello scatto ha
finito tutte le sue forze e cade morente. Zeno quindi tipo impazzisce. Pensa che il padre avesse
voluto schiaffeggiarlo come ultima cosa nella sua vita.
Zeno si ritrova improvvisamente da solo. “Aaah, mi sono liberato di mio padre, posso gestirmi
tutto il patrimonio”. No. Il padre ha tipo vincolato i beni di suo figlio a un amministratore. Cioè
questo qua, fino a quando Zeno non si sposa, si dovrà occupare dei suoi beni. Zeno si prende tipo
solo una paghetta mensile. Oltre quella non può chiedere altro. Quindi così deve imparare a
gestirsi. Lui pensa all’inizio “allora non mi voleva bene”, però poi si rende conto che questa cosa gli
aveva insegnato ad autogestirti.

Addirittura alla fine guido chiede aiuto a Zeno. A Zeno non sembra vero di potergli essere d’aiuto.
Alla fine in ogni caso non riesce a risolvere guido. Prova a fare finta di suicidarsi ma muore
veramente. Quindi deve prendersi carico anche della cognata.

Per quanto riguarda Zeno, è costretto a sottoporsi a questa psicanalisi ma è in conflitto con il
medico, il dottor S. Forse era uno degli allievi di Freud che Svevo aveva conosciuto. Svevo
accettava la psicanalisi come analisi, non come cura. Questo lo rimette nella coscienza di Zeno.
Zeno quindi scrive questo diario perché gli è stato suggerito, ma poi gli dà fastidio che questo
dottore gli dice di scavare dentro se stesso promettendogli che guarirà. Quindi a un certo punto
smette di scrivere. Dà il suo diario al dottore che per vendetta lo pubblica. Cosa sbagliatissima per
uno psicanalista.
Poi c’è lo scoppio della guerra e perdono i contatti.

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