Conte, Virgilio
Conte, Virgilio
Conte, Virgilio
1.2 Le Bucoliche
Bucolica, sottinteso carmina, «canti dei bovari» (al singolare si preferisce il ter-
mine egloga, «poemetto scelto») è parola di origine greca che indica il tratto fonda-
mentale di questo genere letterario, la rievocazione di uno sfondo rustico in cui i
pastori sono messi in scena come attori e creatori di poesia. L’opera rappresentava
una novità nel panorma poetico latino in quanto ispirata agli Idilli di Teocrito,
poeta greco di Siracusa, vissuto lungamente alla corte dei Tolomei ad Alessandria
d’Egitto. Nonostante la loro forte tendenza ellenizzante, neanche i poetae novi del-
l’età di Catullo avevano frequentato questo poeta, forse considerandolo troppo sem-
plice, delicato e insieme artificioso. L’originalità delle Bucoliche, garantita soprattu-
to dall’essere il primo libro interamente dedicato a questo genere letterario, viene del
resto rivendicata da Virgilio, all’inizio della VI egloga, con un atteggiamento tipica-
mente callimacheo, in contrapposizione alle grandi imprese poetiche dell’epopea.
Nell’opera, dagli esiti particolarmente felici, il giovane poeta, che rileggeva attraver-
so Teocrito il mondo rurale della sua infanzia, mostra non già un semplice proces-
so imitativo (i componimenti non hanno un rapporto diretto di ‘uno a uno’ con
singoli idilli teocritei) quanto piuttosto uno studio ricercato del poeta siracusano,
dei suoi imitatori greci del II-I secolo, e persino dei suoi commentatori. Tutto ciò
porta Virgilio ad una vera interiorizzazione del genere bucolico, di cui assimila
profondamente i codici, fino a realizzare nell’opera una trama di rapporti talmente
complessa col suo modello da essergli realmente alla pari. In questo senso, le
Bucoliche – ancora vicine al gusto neoterico per dottrina, stilizzazione, culto della
poesia – sono davvero il primo testo della letteratura augustea, di cui riescono già a
interpretare l’esigenza di fondo, ‘rifare’ i testi greci trattandoli come classici.
zioni, avventurandosi anche nel mondo della città; capita così che le figure di
Teocrito si trovino coinvolte in cerimonie pubbliche, feste, parate. Virgilio sfrutta
poco queste aperture: le Bucoliche sono molto più monocordi, concentrate sullo sti-
lizzato mondo dei pastori, e orientano così in senso più specifico la stessa parola
«idillio», che in greco significa soltanto «breve componimento»: da allora, il termi-
ne denota uno scenario ben preciso e tutta un’atmosfera sentimentale malinconico-
contemplativa. Virgilio trasforma quindi Teocrito, accentuando gli elementi di sti-
lizzazione e idealizzazione: i toni dei paesaggi sono meno intensi e gli stessi pastori
sono per lo più figure delicate, quasi tenere. Seppure non fosse Virgilio l’inventore
di queste novità, è comunque con le Bucoliche che si diffonde il mito dell’Arcadia,
la terra beata dei pastori. Questa operazione riduce sensibilmente dunque, nel com-
plesso, i confini del genere idillico, i temi che possono essere affrontati da questa
poesia ‘tenue’ (ad esempio rinunciando, appunto, alle ambientazioni cittadine).
Tutto quanto del reale entra nel mondo bucolico viene travestito nel linguaggio e
nell’immaginazione dei pastori per apparire come se fosse visto da loro, ‘ingenui’
primitivi della campagna. La città e gli eventi della storia, rimangono solo sull’oriz-
zonte ma come spaventose, incomprensibili (come nella I egloga, in cui il pastore
Titiro rievoca Roma come uno spazio sterminato).
L’atmosfera è intensamente malinconica, triste, nel canto di questi pastori:
alcuni di loro devono andare, perché sono stati cacciati da altri, prepotenti nuovi
venuti, soldati. Si rileva così un libero riuso di spunti autobiografici, in cui sta un
altro sostanzioso contributo di Virgilio alla tradizione bucolica. Il dramma dei
pastori esuli nelle egloghe I e IX contiene certamente un nucleo di esperienza per-
sonale; ma, al di là delle sfumature autobiografiche, ciò che importa è cogliere l’o-
riginalità di ispirazione con cui Virgilio ‘rilegge’, soprattutto in questi due compo-
nimenti, attraverso il linguaggio bucolico l’epoca delle guerre civili. Ma in proposi-
to si può citare anche la celebre egloga IV, in cui il poeta annuncia un innalzamen-
to oltre la sfera pastorale (ancora avvertibile nello stile e nella scelta di alcune imma-
gini) per cantare un grande evento.
Per una beffarda congiuntura storica questo componimento, in sé estrema-
mente chiaro, ha dato origine a un enigma sull’identità del puer destinato a riporta-
re l’età dell’oro sul mondo in crisi. L’identificazione tardoantica con Gesù Cristo è
solo la più coraggiosa delle tante congetture avanzate. L’egloga si inserisce nelle aspet-
tative di rigenerazione tipiche dell’età di crisi fra Filippi e Azio, e ha un chiaro paral-
lelo nell’epodo 16 di Orazio. I filoni culturali che nutrono questa poesia visionaria
sono ben distinguibili: le poesie in onore di nozze e nascite avevano una loro tradi-
zione retorica; inoltre Virgilio ha attinto anche a fonti non poetiche, in cui si mesco-
lano influssi filosofici e presenza di dottrine messianiche, aspettative di un salvatore.
I più ritengono comunque che la figura di questo giovane salvatore del mondo debba
avere un referente prossimo e concreto: l’egloga è datata chiaramente al consolato di
Asinio Pollione, nel 40 a.C. L’ipotesi migliore (perché fra l’altro spiega l’oscurità del
riferimento, chiaro per i lettori del momento e misterioso già qualche anno dopo) è
che il bambino dell’egloga fosse atteso in quell’anno ma non sia mai nato. Molte spe-
Virgilio 121
ranze si alimentavano allora di un patto di potere, poi rivelatosi effimero, fra gli
uomini politici più importanti del momento: Antonio prendeva in moglie la sorella
di Ottaviano. Il matrimonio durò poco e non diede figli maschi, ma l’egloga, pro-
prio per il suo linguaggio sfumato e oracolare, non perse di valore ed ebbe grande
fortuna come documento di un’aspettativa e di un clima morale. Senza saperlo,
Virgilio apriva così la strada all’interpretazione cristiana della sua poesia, così impor-
tante nel Medioevo.
legarsi. D’altra parte, non sappiamo chi e perché ha inventato la notizia del rifaci-
mento, mentre è sicuro che la ‘digressione’ narrativa di Aristeo non ha niente di
posticcio o improvvisato, essendo robustamente collegata alla trama dell’opera e per-
sino alla strutturazione didascalica del contesto: Aristeo è un eroe che ‘impara’ e che,
nella sua paziente lotta contro la natura, sostenuta da tenace obbedienza ai precetti
divini, rappresenta un prototipo mitico del modello di vita che Virgilio vorrebbe
insegnare ai suoi contemporanei.
1.4 Le Georgiche
Le «Georgiche» come poema didascalico
Lo sfondo augusteo
L’appartato mondo agricolo del poema ha una sua costante cintura protettiva
nell’opera di Ottaviano, che prima si profila come l’unico possibile salvatore del
Virgilio 123
mondo civilizzato dalla decadenza e dalla guerra civile e poi appare nella sua veste di
trionfatore e portatore di pace. Il nuovo principe garantisce le condizioni di sicurez-
za e prosperità entro cui il mondo dei contadini può ritrovare la sua continuità di
vita. Per questo tipo di cornice ideologica, le Georgiche si possono considerare il
primo vero documento della letteratura latina nell’età del principato. Il primo proe-
mio ne è un chiaro esempio: vi compare – con netta frattura verso la tradizione poli-
tica romana – la figura del principe quale sovrano divinizzato, sviluppo esplicito di
una tradizione ellenistica che tanto aveva faticato per affermarsi a Roma. Augusto, e
accanto a lui il suo consigliere Mecenate, sono accolti nell’opera non solo come illu-
stri dedicatari, ma anche come veri e propri ‘ispiratori’. Il ruolo di destinatario della
comunicazione didattica è assegnato invece alla figura collettiva dell’agricola, che,
assorbito nel testo come orientamento didascalico, cela il destinatario ‘reale’ dell’o-
pera: un pubblico che conosce la vita delle città e le sue crisi. Rivolto formalmente
alla vita dei campi, il poema finisce per affrontare di scorcio anche i problemi della
vita urbana e i più generali problemi del vivere.
È piuttosto difficile credere che le Georgiche siano direttamente ispirate da un
‘programma augusteo’ di risanamento del mondo agricolo. Se mai un tale pro-
gramma fu concepito in quegli anni, non ha lasciato impronta di sé nella storia eco-
nomica; per di più, l’immagine dell’economia rurale che traspare dal poema è una
idealizzata costruzione regressiva, inadeguata alla realtà dell’epoca. L’‘eroe’ del
poema è il piccolo proprietario agricolo, il coltivatore diretto; Virgilio fa al massimo
pallidi cenni alle grandi trasformazioni in corso: l’estensione del latifondo, lo spo-
polamento delle campagne, le assegnazioni di terre ai veterani, il trasferimento di
certe produzioni agricole dall’Italia alle province. Più notevole ancora è la mancan-
za di qualsiasi accenno al lavoro schiavile, vero cardine dell’economia agricola.
L’idealizzazione del colonus che si incarna, ad esempio, nella figura del senex Corycius,
ha, evidentemente, un puro significato morale. Più facile è cogliere, a questo livel-
lo, precise convergenze tra Virgilio e la propaganda ideologica augustea. Ad esem-
pio, l’esaltazione delle tradizioni dell’Italia contadina e guerriera, sentita come
mondo unitario, ha come sfondo il clima della guerra contro Antonio: il partito di
Ottaviano la presentava come uno scontro fra Occidente e Oriente, sostenuto dalla
spontanea concordia dell’Italia che riconosceva in Ottaviano il proprio capo cari-
smatico. Queste coordinate ideologiche producono un’esaltazione specificamente
‘georgica’ della penisola, di cui vengono incensate, oltre alle qualità morali degli abi-
tanti, la fecondità, la salubrità climatica, la perfezione ambientale per la vita umana:
si tratta della formulazione più memorabile della topica della Laus Italiae. Tuttavia,
non va trascurata l’autonomia con cui Virgilio rielabora questo patrimonio di idee:
il suo contributo personale al ‘mito nazionale’ dell’unità italica deve essere stato
molto sensibile. La cosiddetta ideologia augustea non è solo un apparato ideologi-
co preformato, che il poeta si limita a rispecchiare, ma anche, in certa misura, il
risultato di singoli apporti intellettuali.
La complessità di questo mondo ideologico risulterà più evidente se si esamina
la struttura compositiva del poema.
124 L’età di Augusto
Struttura e composizione
I temi dei quattro libri sono, rispettivamente, il lavoro dei campi, l’arboricol-
tura, l’allevamento del bestiame, l’apicoltura. L’ordine in cui questi lavori sono col-
locati nel testo prevede che l’apporto della fatica umana si faccia sempre meno
accentuato e la natura (vista, comunque, in funzione dell’uomo) sia sempre più pro-
tagonista. Allo sforzo incessante dell’aratore, nel libro I, risponde, nel libro IV, la ter-
ribile operosità delle api, animali che, per le loro caratteristiche, si fanno quasi sosti-
tuti dell’impegno umano. La struttura del poema sembra orientata dal grande al
piccolo, dalle leggi cosmiche del lavoro agricolo sino al microcosmo degli alveari:
ma proprio il piccolo mondo delle api è quello che più riavvicina la natura alla cul-
tura dell’uomo.
L’opera è dunque impostata su una serie di libri dotati di chiara autonomia
tematica e collegati da un piano complessivo, ciascuno introdotto da un proemio
e dotato di sezioni digressive. Anche qui è evidente la lezione di Lucrezio. Con
due importanti differenze: da un lato, Virgilio tende a indebolire le costrizioni
logiche del pensiero, i forti nessi argomentativi, i collegamenti fra un tema e l’al-
tro; al contrario, l’architettura formale del poema si fa più regolata e simmetrica.
Nasce così una nuova struttura poetica; il discorso fluisce naturale e talora capric-
cioso, nascondendo i passaggi logici, muovendo per associazioni di idee o con-
trapposizioni; nello stesso tempo, il suo dinamismo finisce per trovare equilibrio
in una studiatissima architettura d’insieme, che si fa trasparente nelle simmetrie
fra libro e libro.
Ogni libro delle Georgiche è dotato di una ‘digressione’ conclusiva, di esten-
sione piuttosto regolare: le guerre civili (1,463-514); la lode della vita agreste
(2,458-540); la peste degli animali nel Norico (3,478-566); la storia di Aristeo e
delle sue api (4,315-558). Hanno chiaro valore di cerniera i proemi: due volte lun-
ghi, ed esorbitanti rispetto al tema georgico dei singoli libri (I, III); due volte brevi
e strettamente introduttivi (II e IV). Queste somiglianze formali hanno anche una
funzione più profonda: I e III libro risultano così accoppiati, e lo sono anche nelle
grandi digressioni finali: guerre civili e pestilenza degli animali (le cui sofferenze
sono esposte con profonda partecipazione) si richiamano quasi a specchio, e gli
orrori della storia corrispondono ai disastri della natura. Rispetto a questi finali
‘oscuri’, rasserenante è l’effetto delle altre digressioni: l’elogio della vita campestre si
oppone alla minaccia della guerra e la rinascita delle api replica allo sterminio della
pestilenza. Queste grandi polarità fra temi di morte e temi di vita danno un senso
all’architettura formale, la tramutano in un chiaro-scuro di pensieri che suscita
riflessione nel lettore. Le Georgiche sono infatti anche un’opera di contrasti e di
incertezze. Lo splendido equilibrio dello stile e la simmetria della struttura non
nascondono l’irrompere di inquietudini e conflitti. La fatica dell’uomo è inviata
dalla Provvidenza divina per una sorta di necessità cosmica (1,121 ss.); ma l’ideale
del contadino si richiama al mito dell’età dell’oro, quando il lavoro non era neces-
sario perché la Natura rispondeva da sola ai bisogni. La vita semplice e laboriosa del
Virgilio 125
1.6 L’Eneide
Omero e Augusto
All’Eneide, che è la storia della missione di Enea, esule da Troia e scelto dai
Fati perché la sua discendenza fondasse l’impero di Roma, i grammatici antichi
attribuivano una duplice intenzione: imitare Omero e lodare Augusto «partendo
dai suoi antenati». In effetti, nel poema, sono forti la presenza e il modello di
Omero: l’Eneide è insieme la ripetizione dell’Iliade e dell’Odissea e la loro conti-
nuazione fino ad un conclusivo ‘superamento’. Nei travagli del viaggio che lo por-
terà, dopo la fuga da Troia, verso una nuova patria, Enea ripete sia le esperienze di
Odisseo sia le imprese eroiche e sanguinose descritte nell’Iliade (per questo si usa
parlare di una metà «odissiaca» dell’opera, i libri I-VI, e di una metà «iliadica», i
libri VII-XII). Il senso della missione di Enea è nella futura ricostruzione della città
1 Orfeo, il mitico cantore, ha ottenuto dagli dèi inferi di ricondurre sulla terra la sua sposa Euridice
a patto di non volgersi a guardarla prima di essere uscito dall’Ade: disobbedisce e perde per sem-
pre la moglie.
126 L’età di Augusto
I. Giunone, nel suo odio per i troiani, scatena una tempesta che decima le
navi di Enea, costringendolo ad approdare in Africa, presso Cartagine.
Qui, favorito dalla madre Venere, l’eroe è accolto da Didone, la regina della
città fenicia, che chiede al suo ospite di narrare la fine di Troia.
II. Enea racconta della distruzione della città, da cui, con la protezione divi-
na, riesce a fuggire portando con sé il padre, il figlioletto e i Penati, sim-
bolo della continuità di una stirpe, ma perdendo la moglie Creùsa.
III. Continua il racconto di Enea: partiti dalla Troade, i troiani capiscono,
attraverso incertezze e misteri, che una nuova patria li aspetta in Occi-
dente. Il racconto retrospettivo si chiude, dopo meravigliose peripezie, con
la morte del vecchio Anchise.
IV. Didone, innamoratasi di Enea, finirà con l’uccidersi quando l’eroe, costret-
to a seguire il corso deciso dal fato, la abbandona. La regina muore male-
dicendo Enea e profetizzando eterno odio fra Cartagine e i discendenti dei
troiani.
V. I troiani fanno tappa in Sicilia. Quasi tutto il libro è occupato dai giochi
funebri in onore di Anchise.
VI. Giunto a Cuma, in Campania, Enea consulta la Sibilla, guadagnando l’ac-
cesso al mondo dei morti. Lì incontra una parte del suo passato: Deìfobo
caduto a Troia, Didone morta per causa sua, lo sfortunato pilota Palinuro,
e soprattutto il padre Anchise, che gli schiude il lontano futuro mostran-
dogli gli eroi, i condottieri che faranno la storia di Roma.
VII. Incoraggiato dall’incontro col padre, Enea sbarca alla foce del Tevere e,
dopo aver riconosciuto da segni prestabiliti la terra promessa, instaura un
patto con il re Latino. Per intervento di Aletto, il dèmone della discordia
inviato da Giunone, la moglie di Latino, Amata, e il principe rùtulo Turno,
promesso sposo della figlia di Latino, fomentano la guerra. Rottosi il patto
e saltato il matrimonio dinastico fra Enea e Lavinia, figlia di Latino, una
coalizione di popoli italici marcia sul campo troiano. Lavinia, nuova Elena,
è al centro della discordia.
VIII. In grave difficoltà, Enea per consiglio divino risale il Tevere con un picco-
lo distaccamento e, nel luogo dove sorgerà Roma, trova l’appoggio di
Virgilio 127
Va notato che il poeta sottopone il materiale tratto dalle sue fonti storico-anti-
quarie, e quindi i dati tradizionali sulla venuta di Enea nel Lazio, ad una profonda
ristrutturazione. Le variabili notizie su una guerra con i latini, o parte di essi, segui-
ta da un’alleanza, sono state rifuse in un’unica sequenza di guerra, chiusa da una sto-
rica riconciliazione. La guerra è stata rappresentata da Virgilio come scontro tra i
troiani, coalizzati con gli etruschi e con una piccola popolazione greca stanziata sul
suolo della futura Roma, e i latini, appoggiati da numerosi popoli italici (che, in
molti casi, vantano significativamente ascendenza greca). Nello sforzo di creare una
vera epica nazionale romana, Virgilio muove così, nello spazio delle origini, tutte le
grandi forze da cui nascerà l’Italia del suo tempo. Nessun popolo è escluso da un
qualche contributo positivo alla genesi di Roma; gli stessi latini, dopo molti sacrifi-
ci, saranno riconciliati e anzi formeranno il nerbo della nuova gente; la grande
potenza etrusca, estesa dalla Mantova di Virgilio sino al Tevere, si vede riconoscere
un ruolo costruttivo; persino i greci, tradizionali avversari dei troiani, forniscono un
decisivo alleato, l’arcade Pallante, e soprattutto si presentano come la più nobile
‘preistoria’ di Roma. L’Eneide è perciò un’opera di denso significato storico-politico,
ma non è un poema storico. Il taglio dei contenuti è dettato da una selezione ‘dram-
maturgica’ del materiale, che ricorda più Omero che Ennio. Nonostante le aspetta-
tive create dal titolo, l’opera non traccia nemmeno un quadro completo della bio-
grafia di Enea: lasciamo il protagonista prima ancora che possa assaporare il suo
trionfo, non è ben chiaro se vivrà ancora a lungo e il suo futuro di eroe divinizzato
viene solo intravisto di scorcio.
128 L’età di Augusto
2 Per accentuare questo punto, Virgilio arriva a sostenere che i troiani, attraverso il progenitore
Dardano, hanno origini italiche. In questo senso anche Enea, come Odisseo, è uno che ‘ritorna’.
130 L’età di Augusto
Nota bibliografica
Sui commenti antichi a Virgilio vedi i due volumi delle Interpretationes vergilianae
minores a cura di N. SCIVOLETTO – A.V. NAZZARO – G. BARABINO, Genova, 1991
e 1994.
Studi: R. HEINZE, Vergils epische Technik, Leipzig-Berlin, 19153, trad. it. (di M.
Martina) La tecnica epica di Virgilio, con introduzione di G.B. CONTE, Bologna,
1996 (fondamentale per l’Eneide); B. OTIS, Virgil. A Study in Civilized Poetry,
Oxford, 1963; F.J. WORSTBROCK, Elemente einer Poetik der Aeneis, Münster, 1963;
V. BUCHHEIT, Virgil über die Sendung Roms, Heidelberg, 1963; A. WLOSCK, Die
Göttin Venus in Vergils Aeneis, Heidelberg, 1967; F. KLINGNER, Virgil. Bucolica
Georgica Aeneis, Zürich-Stuttgart, 1967; PÖSCHL, Die Dichtkunst Virgils. Bild und
Symbol in der Aeneis, Berlin-New York, 19773; F. KLINGNER, Il punto su Virgilio,
trad. it. Roma-Bari, 1987; G.B. CONTE, Virgilio. Il genere e i suoi confini, Milano,
1984; A. BARCHIESI, La traccia del modello. Effetti omerici nella narrazione virgilia-
na, Pisa, 1985; PH. HARDIE, Virgil’s Aeneid: Cosmos and Imperium, Oxford, 1986;
W. CLAUSEN, Virgil’s Aeneid and the Tradution of Hellenistic Poetry, Berkeley and
Los Angeles, 1987; F. CAIRNS, Virgil’s Augustan Epic, Cambridge, 1989; K.W.
GRANDSEN, Virgil: the Aeneid, Cambridge, 1990; J. FARRELL, Vergil’s Georgics and
the Traditions of Ancient Epic, New York, 1991; S. FARRON, Vergil’s Aeneid: a Poem
of Grief and Love, Leiden-New York-Köln, 1993; N. HORSFALL, A Companion to
the Study of Virgil, Leiden-New York-Köln, 1995; M.C.J. PUTNAM, Virgil’s Epic
Designs, New Haven and London, 1998; R. THOMAS, Reading Virgil and His Texts.
Studies in Intertextuality, Ann Arbor, 1999; S. TIMPANARO, Virgilianisti antichi e
tradizione indiretta, Firenze, 2001.
Fra gli strumenti di consultazione si ricorda l’Enciclopedia Virgiliana (edita dal-
l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1984-91).