Popper e La Televisione
Popper e La Televisione
Popper e La Televisione
1
INDICE
INTRODUZIONE 3
BIBLIOGRAFIA 87
2
INTRODUZIONE
3
Quella che precede è solo una sintesi molto approssimativa dei
campi di riflessione in cui Popper ha dato un contributo spesso decisivo. E
non è neanche la sola possibile. Massimo Baldini, alludendo evidentemente
alla celebre teoria dei tre Mondi e cercando soprattutto di mettere ordine
alla vastissima produzione di Popper, ha proposto recentemente di
distinguere tre Popper. Il “primo” Popper è il filosofo della scienza
razionalista critico, fallibilista, antiinduttivista e difensore, contro il
relativismo e il nichilismo, di una concezione oggettivistica della verità
come ideale regolativo degli scienziati; il “secondo” Popper è il filosofo
della politica impegnato in una strenua difesa della società aperta contro i
suoi nemici di destra e di sinistra (in vario modo tutti eredi di Platone,
Hegel e Marx), fautore di un liberalismo non conservatore e di conseguenza
avversario implacabile di ogni forma di utopismo e di storicismo; il “terzo”
Popper è l’opinionista che, a partire dagli anni Ottanta del Novecento e con
numerosi interventi sulla stampa, ha assunto il ruolo di vero e proprio
“guru” e maître-à-penser nel dibattito internazionale sui temi più disparati,
dal pacifismo al controllo delle nascite, fino, appunto, al problema della
violenza in televisione. Per la tesi, che sosterremo in questo saggio, della
coerenza tra il pensiero generale di Popper e la sua posizione
apparentemente illiberale nei confronti della produzione televisiva, si rivela
particolarmente interessante l’osservazione di Baldini in margine alla
propria proposta di distinguere tre Popper: “tra il ‘primo’, il ‘secondo’ e il
‘terzo’ Popper vi sono nessi particolarmente stretti. Se il Popper filosofo
della scienza aveva attaccato induttivisti e osservativisti, essenzialisti e
strumentalisti, relativisti e nichilisti, e il Popper filosofo della politica aveva
criticato utopisti e storicisti, marxisti e sociologi della conoscenza, il Popper
opinionista si scaglia contro burocrati e pacifisti a senso unico, ecologisti e
filosofi professionali, statalisti e femministe e prende posizione su tematiche
particolarmente calde: dall’abbrutimento televisivo all’introduzione del
sistema maggioritario”5.
La produzione di Popper, come detto, è vastissima, e copre un arco
di tempo di oltre sessant’anni. Una delle cose che più colpisce nel nostro
filosofo, nato a Vienna il 28 luglio del 1902 e morto a Kenley, Surrey
(Inghilterra) il 17 settembre 1994, è non solo la precocità, ma anche la quasi
prodigiosa creatività intellettuale, che non lo ha mai abbandonato per tutta
la sua lunghissima esistenza.6 La sua opera fondamentale, infatti, cioè la
Logica della scoperta scientifica, una delle opere filosofiche più decisive di
originale: vol. I, K.R. Popper, L’Io e il suo cervello. Materia, coscienza e cultura; vol. II,
J.C. Eccles, L’Io e il suo cervello. Struttura e funzioni cerebrali; vol. III, K.R. Popper e
J.C. Eccles, L’Io e il suo cervello. Dialoghi aperti tra Popper ed Eccles] e Knowledge
and the Body-Mind Problem. In Defence of Interaction (basato sulle Kenan Lectures
tenute da Popper all’Università di Emory, Atlanta, nel 1969) a cura di M. A. Notturno,
London-New York, Routledge & Kegan Paul, 1994 [tr. it. La conoscenza e il problema
corpo-mente, Bologna, Il Mulino, 1996].
5
Massimo Baldini, “Introduzione” a Karl R. Popper, Cercatori di verità. Dieci interviste
(1970-1994), Roma, Armando, 1997, p. 15. Per la distinzione dei “tre Popper”, cfr. ivi,
pp. 10-13.
4
tutta la storia del pensiero occidentale, sebbene pubblicata nel 1934,
derivava da uno scritto più ampio, I due problemi fondamentali della teoria
della conoscenza, scritto tra il 1930 e il 1932, cioè prima che egli compisse
i trent’anni; la prefazione al suo ultimo libro, invece, Tutta la vita è
risolvere problemi, una raccolta di scritti del periodo 1972-1993 sulla
conoscenza, la storia e la politica, porta in calce la data del 12 luglio 1994!
Del 1994, del resto, è anche l’ormai celebre intervento sulla televisione,
Una patente per fare TV, su cui ruoterà gran parte del nostro lavoro.
Trattandosi, dunque, di un pensiero che già da parecchi anni gode
persino della canonizzazione manualistica, noi eviteremo di entrare in un
compendio di tutte le sue componenti, giacché per i nostri scopi basterà
tracciarne un quadro a due livelli. In primo luogo ne proporremo una sintesi
molto generale per grandi linee (I.1), e in secondo luogo ne enucleeremo
quegli aspetti specifici che hanno una più stretta attinenza con il nostro
tema, e cioè con il problema politico e psico-pedagogico della televisione,
che ha così tanto assillato l’ultimo Popper (I.2 e I.3).
Come cercheremo di dimostrare in questo lavoro, la componente
pedagogica ha un ruolo di primo piano nelle riflessioni filosofiche
(soprattutto quelle attinenti alla teoria della conoscenza e alla biologia) di
Popper. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che il nostro filosofo ha lavorato
dall’inizio degli anni ’20 - nel corso dei quali, tra il 1922, anno del
conseguimento del “Matura”, e il 1928, anno del conseguimento della
laurea in filosofia, ha conseguito anche l’abilitazione all’insegnamento nelle
scuole primarie (1924) -, oltre che come apprendista ebanista (1922-1924),
come assistente sociale presso la clinica di orientamento per bambini
abbandonati diretta dal grande psicologo Alfred Adler. Questa esperienza,
cui è succeduta la frequentazione, a partire dal 1925, dell’Istituto
Pedagogico della città di Vienna, che era legato all’Università e a cui si era
ammessi anche in qualità di assistente sociale, si è rivelata per lui
estremamente importante anche dal punto di vista intellettuale, come egli
stesso ha ammesso.7 Questi contatti diretti avuti in gioventù con i bambini
particolarmente disagiati, provenienti spesso da ambienti dominati dalla
violenza degli adulti (quasi sempre quella degli stessi genitori), devono
essere tenuti nella dovuta considerazione da chiunque voglia intendere
appieno la vera e propria ossessione del Popper novantenne per gli effetti
negativi della televisione sulla formazione socio-psicologica dei bambini.
6
Popper stesso ha manifestato la propria riconoscenza al destino che gli ha riservato una
longevità lucidissima, nella prefazione alla 2 a edizione italiana di Congetture e
confutazioni, datata “settembre 1985”: “Ho 83 anni, e sono molto grato al destino che mi
concede di essere ancora in grado di lavorare e di potere avere addirittura - talvolta -
nuove idee” (cit., p. VII).
7
Su queste notizie biografiche cfr. l’autobiografia di Popper, Unended Quest. An
Intellectual Autobiography, London, Fontana-Collins, 1976; tr. it. La ricerca non ha fine.
Autobiografia intellettuale, Roma, Armando, 1976, in part. pp. 9-10, 41-43 e 75-77.
D’ora in avanti citeremo questo testo semplicemente come Autobiografia.
5
Come si evincerà da quanto diremo nel corso del primo capitolo, il
problema psico-pedagogico costituito dalla televisione, e in particolare
quello dell’influenza dannosa sulla formazione dei bambini dovuta alla loro
esposizione eccessiva alla gran mole di violenza da essa esibita
quotidianamente, è in stretto contatto con le concezioni filosofiche
sull’apprendimento elaborate da Popper nel corso di tutta la sua vita.
Tuttavia, né il testo principale di Popper sulla televisione, Una patente per
fare TV - che, insieme a quello di John Condry, Ladra di tempo, serva
infedele, e a un breve scritto statistico di Charles S. Clark, La violenza in
TV, costituisce l’ormai celebre volumetto Cattiva maestra televisione, uscito
nel dicembre del 19948 -, né gli altri suoi interventi affidati per lo più a
interviste, contengono una analisi dettagliata della televisione in quanto
“mass communication medium”, cioè in quanto forma di linguaggio cui è
affidato il compito di veicolare informazioni e messaggi vari in alternativa
al linguaggio parlato o scritto. Né, del resto, ci si poteva attendere una
analisi di questo tipo da un epistemologo che per tutta la vita ha rivendicato
il proprio quasi esclusivo interessamento al linguaggio in quanto veicolo di
argomentazioni e teorie oggettive sul mondo, prediligendo così su tutte la
cosiddetta “funzione argomentativa”, in contrasto con tutti quegli approcci
al linguaggio (come ad esempio la Semiotica e la Linguistica) che
considerano soprattutto quei suoi aspetti strutturali e pragmatici che ne
fanno un ‘codice’ destinato agli usi comunicativi descritti dalle tre funzioni
di Bühler, e che quindi estendono le loro ricerche anche a quei sistemi
linguistici non verbali che, come le immagini televisive, possono servire a
esprimere sentimenti, stimolare comportamenti e descrivere stati di cose. Le
ricerche sulla televisione come particolare tipo di linguaggio, però,
condotte sin dai primi anni della sua apparizione9, hanno raggiunto dei
risultati che non possono essere ignorati, perlomeno nelle loro linee
8
Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra televisione, a cura di Francesco Erbani,
Introduzione di Giancarlo Bosetti, Roma, Reset (su servizio editoriale dell’editore
Donzelli), 1994.
9
Su questo punto si vedano ad esempio l’ampia panoramica, corredata anche da una ricca
bibliografia, di Mauro Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Milano, Bompiani,
1985, nonché lo studio, basato su un approccio semiotico, di Gianfranco Bettini, L’occhio
in vendita. Per una logica e un’etica della comunicazione, Venezia, Marsilio, 1985. Per
gli aspetti più strettamente pedagogici connessi con il problema della comunicazione
audiovisiva, si vedano inoltre W. Schramm, J. Lyle, E. Parker, Television in the Lives of
our Children, Stanford Junior University, Stanford (California), 1961 [tr. it. La televisione
nella vita dei nostri figli, Milano, Angeli, 1971], contenente diverse tabelle statistiche (tr.
it., pp. 352-383) e una ricca bibliografia degli studi condotti negli anni ’50 sul problema
del rapporto bambini-televisione; AA.VV., I bambini e la TV. La prima ricerca
sull’esperienza televisiva dai 3 ai 6 anni, Milano, Feltrinelli, 1976; AA.VV., Realtà
antropologica e comunicazioni audiovisive, Palermo, Edikronos, 1981 (si tratta degli atti
del convegno sull’omonimo tema realizzato a Palermo tra il 10 e il 13 maggio 1980);
Nino Russo, Educazione e mass-media, Catania, C.U.L.C., 1980, in part. il cap. sulla
“Televisione”, pp. 45-72); Cosimo Scaglioso, Mass-media, Brescia, La Scuola, 1984;
nonché Carlo Sartori, La grande sorella. Il mondo cambiato dalla televisione, Milano,
Mondadori, 1989 (un’ampia analisi critica dell’opera di “colonizzazione” del pianeta da
parte della televisione e dei suoi modelli ideologico-culturali).
6
generali, da qualsiasi discorso ‘pedagogico’ sulla televisione, se non altro
per il semplice fatto che chi denuncia la televisione come ‘cattiva maestra’
non può non avere una qualche idea sul modo in cui la televisione funge da
strumento di comunicazione, cioè da linguaggio.
Queste considerazioni sono alla base del tipo di ‘taglio’
metodologico-espositivo che abbiamo dato al secondo capitolo. Prima di
addentrarci nella specifica ‘proposta’ politico-amministrativa di Popper per
regolamentare l’uso della televisione nelle moderne democrazie liberali,
faremo due passi indietro. Il primo, compiuto in II.2, consiste in una
esposizione dell’analisi proposta da Condry nello scritto citato. Il motivo di
questa scelta è dovuto al fatto che, nell’economia del volumetto Cattiva
maestra televisione, lo scritto di Popper costituisce quasi una ‘introduzione’
e un ‘commento’ a quello di Condry (già apparso nel 199310). Il secondo
passo, compiuto in II.1, consiste in un rapido sguardo a una vecchia (ma
ancora validissima) analisi semiotica ed estetica del linguaggio televisivo
proposta nel 1964 da Umberto Eco. La scelta dello scritto di Eco come
exemplum di tutto un filone di studi sul linguaggio televisivo, come si
vedrà, si rivela particolarmente utile, perché esso, oltre a fornirci le
opportune indicazioni tecniche sui pericoli comunicativi insiti nella tele-
visione in sé (cioè, letteralmente, nella ‘visione di immagini a distanza’), si
concludeva con una proposta politico-pedagogica per un uso migliore del
mezzo televisivo che per molti versi coincide con lo ‘spirito’ della proposta
di Popper, esposta dettagliatamente in II.3.
Nel terzo capitolo riesamineremo la proposta di Popper alla luce del
suo insegnamento filosofico generale, prendendo come spunto le tre
obiezioni più importanti che gli sono state mosse soprattutto in quanto
teorico del progresso della scienza e filosofo liberale (III.1). La conclusione
cui ci è parso di poter giungere è che l’idea popperiana che sia opportuno
regolamentare il mondo della televisione attraverso il rilascio di una licenza
specifica, dietro frequentazione di corsi psico-pedagogici e impegno di
assunzione di responsabilità diretta, è perfettamente coerente con le sue
concezioni in materia di epistemologia, filosofia della biologia e teoria della
democrazia (III.2).
Nella Conclusione ripercorreremo le osservazioni sparse nel corso
del lavoro sul problema del rapporto scuola-televisione, abbozzando, sulla
scia delle analisi di Popper e Condry, un’idea di intervento pedagogico sugli
attuali programmi della scuola basato sulla necessità che i bambini
acquisiscano al più presto possibile una consapevolezza adeguata del potere
di mistificazione e di persuasione occulta della televisione.
10
J. Condry, Thief of Time, Unfaithful Servant: Television and the American Child, in
“Daedalus”, vol. 122, n. 1, inverno 1993, pp. 259-278.
7
CAPITOLO PRIMO
8
del cosiddetto Circolo di Vienna, cioè di quel gruppo di filosofi e
scienziati11 che, propugnando la superiorità della conoscenza scientifica (in
particolare delle scienze naturali) su ogni altra forma di conoscenza
(compresa la filosofia), si interrogavano da un lato sulle procedure
metodologiche grazie alle quali la scienza aveva raggiunto i suoi grandi
risultati, e dall’altro (come conseguenza di questa indagine) sui criteri che ci
possono permettere di ‘demarcare’ la scienza rispetto a ogni altra forma di
(presunto) sapere, e in particolare rispetto alla metafisica ed alla teologia.
Le soluzioni ai due problemi date dai neopositivisti (o positivisti logici),
ispirate in gran parte al Tractatus logico-philosophicus (1921) di Ludwig
Wittgenstein (1889-1951), si caratterizzarono per il richiamo ad un
rigorismo logico-formale molto marcato: la scienza è tale perché le sue
leggi sono ottenute per induzione a partire da una base empirica costituita
da resoconti osservativi (i famosi ‘protocolli’) universalmente accettati dalla
comunità scientifica perché da chiunque verificabili; ed essendo quello della
verificabilità empirica anche un criterio di senso (secondo quanto suggeriva
il cosiddetto “primo Wittgenstein” nel suo Tractatus), allora tutta la
filosofia tradizionale (etica, metafisica e teologia in particolare), essendo
costituita da asserti non verificabili empiricamente, veniva tagliata fuori
come priva di senso. La demarcazione tra scienza e non scienza veniva così
a coincidere con una demarcazione tra universi di discorso sensati (quelli
delle varie scienze empiriche) e universi di discorso insensati (etichettati
tutti come metafisica).
Ebbene, il primo a trovare insoddisfacenti (e soprattutto errate, sul
piano sia storico che logico) queste soluzioni ai due problemi fondamentali
della teoria della conoscenza fu proprio Popper, il quale in quegli anni era
in stretto contatto intellettuale con alcuni membri del Circolo. Innanzi tutto
Popper attacca l’induzione, dimostrando, attraverso una serratissima analisi
epistemologica che lo impegnerà per decenni, non solo che essa, qualora
esistesse, non spiegherebbe affatto il modo in cui la scienza perviene alle
sue leggi e teorie,12 ma anche che, dal punto di vista strettamente logico,
11
I principali rappresentanti del ‘Circolo’ furono Hans Hahn (1879-1934), Otto Neurath
(1882-1945) e Rudolf Carnap (1891-1970), i quali firmarono il famoso ‘manifesto’ del
Positivismo Logico (cioè la corrente filosofico-scientifica cui essi hanno dato vita):
Wissenschaftliche Weltauffassung. Der Wiener Kreis, Wien, 1929 (tr. it. La concezione
scientifica del mondo, Roma-Bari, Laterza, 1979).
12
Ecco come egli presentava il problema dell’induzione nel celebre incipit della Logica
della scoperta scientifica: “Secondo un punto di vista largamente accettato - a cui mi
opporrò in questo libro - le scienze empiriche possono essere caratterizzate dal fatto di
usare i cosiddetti ‘metodi induttivi’. Stando a questo punto di vista la logica della scoperta
scientifica sarebbe identica alla logica induttiva, cioè all’analisi logica di questi metodi
induttivi. - Si è soliti dire che un’inferenza è ‘induttiva’ quando procede da asserzioni
singolari (qualche volta chiamate anche asserzioni ‘particolari’) quali i resoconti dei
risultati di osservazioni o di esperimenti, ad asserzioni universali, quali ipotesi o teorie. -
Ora, da un punto di vista logico, è tutt’altro che ovvio che si sia giustificati nell’inferire
asserzioni universali da asserzioni singolari, per quanto numerose siano queste ultime;
infatti qualsiasi conclusione tratta in questo modo può sempre rivelarsi falsa: per quanto
numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo aver osservato, ciò non giustifica la
9
l’induzione non esiste: lo scienziato (ma anche, come vedremo meglio in
seguito, ciascuno di noi) non parte mai da osservazioni ‘pure’ - cioè
intraprese senza alcun interesse teorico preconcetto e selettivo - per
pervenire induttivamente a delle generalizzazioni teoriche legiformi (law-
like); egli, al contrario, ha sempre un problema teorico o pratico da risolvere
(che può sorgere ad esempio in seguito alla falsificazione di una teoria
precedente) e intraprende l’osservazione sperimentale solo per controllare,
ossia per mettere alla prova, il tentativo di soluzione, ovvero la congettura
che ha avanzato per rimettere in un ordine logico la situazione problematica
di partenza, vale a dire per fornire una nuova spiegazione dei dati già a
disposizione nell’ambito della vecchia teoria.
Poiché le procedure induttive, cioè le generalizzazioni da singoli casi
particolari, non sono in grado di fondare o giustificare le nostre teorie, ci si
potrebbe chiedere come faccia la scienza a pervenire a teorie (cioè ad
asserzioni universali) vere. La risposta a questo interrogativo ci porta al
cuore di tutta l’epistemologia di Popper. Innanzi tutto, l’idea che la scienza
sia in grado di pervenire a teorie giustificabilmente vere è un vecchio
pregiudizio che non ha alcun fondamento e che il neopositivismo ha
acriticamente ereditato dal positivismo ottocentesco, il quale a sua volta lo
aveva rilanciato facendone anche uno dei suoi più incrollabili ed ottimistici
articoli di fede.13 Secondo Popper, non esiste alcuna procedura, né
induttiva né deduttiva, che possa permetterci di fondare la verità delle
nostre teorie empiriche, mentre è logicamente possibile dimostrarne la
falsità. Le ragioni che stanno alla base di questa affermazione, su cui poggia
tutto il cosiddetto “falsificazionismo” popperiano, dipendono da un
banalissimo fatto logico che riguarda le proposizioni universali. Una teoria
o legge di natura - ad esempio: “Tutti i cigni sono bianchi” - è una
proposizione universale (o un insieme di proposizioni universali) del tipo
‘Ogni x è y’, che equivale a una congiunzione infinita di proposizioni
singolari come:
‘(x1 è y) & (x2 è y) & (x3 è y) & (x4 è y) & ... [all’infinito]’.
conclusione che tutti i cigni sono bianchi. - La questione, se le inferenze induttive siano
giustificate, o in quali condizioni lo siano, è nota come il problema dell’induzione” (cit.,
pp. 5-6).
13
Sull’ “ottimismo epistemologico”, ovvero sull’idea che la verità non solo esiste, ma è
anche raggiungibile infallibilmente (perché manifesta ed evidente) da parte della
conoscenza umana, una volta che questa si sia liberata dal pregiudizio e dall’errore che la
ottenebra, cfr. Popper, Congetture e confutazioni, cit., “Introduzione”, pp. 11-58.
10
potranno esistere in futuro (il cui numero è naturalmente illimitato). Ora, è
evidente che per poter rendere vera una proposizione universale, noi
dovremmo poter verificare empiricamente ciascuno dei singoli casi cui essa
si riferisce; ma essendo questi ultimi infiniti, l’impresa si rivela logicamente
(oltre che praticamente) impossibile. Viceversa, se noi trovassimo un solo x
che non fosse y (ovvero un solo cigno che non fosse bianco) la nostra
proposizione universale si rivelerebbe falsa. E’ questa la cosiddetta
asimmetria logica fra verificazione e falsificazione14 su cui Popper ha
fondato tutta la propria epistemologia: mentre un numero grande a piacere
di casi favorevoli, cioè di conferme empiriche, non può mai verificare una
legge generale, un solo caso contrario, cioè una sola smentita empirica,
basta a falsificarla.
La soluzione puramente logica al problema dell’induzione consente
poi a Popper di riformulare e risolvere a sua volta il problema della
demarcazione. Essendo i sistemi di teorie non verificabili, ma falsificabili,
la falsificabilità, e non la verificabilità (come volevano i neopositivisti),
diventa il criterio di demarcazione.15
Una precisazione molto importante a tal riguardo è subito fatta da
Popper, per distinguere il proprio criterio di demarcazione da quello dei
neopositivisti: «Si noti che io propongo la falsificabilità come criterio di
demarcazione, ma non di significato [...] La falsificabilità separa due tipi di
asserzioni perfettamente significanti: le falsificabili e le non falsificabili.
Essa traccia una linea all’interno del linguaggio significante, non intorno ad
esso».16
In tal modo non possono entrare a far parte del corpus delle teorie
scientifiche tutta una serie di asserzioni (in particolare esistenziali, cioè del
tipo “Esiste x”, che Popper chiama asserzioni ‘c’è’ 17) che, benché risultino
perfettamente a posto in quanto a sensatezza, hanno la caratteristica o di
non poter venire falsificate, ma solo verificate, oppure di non poter essere
né falsificate né verificate (è ovvio che le asserzioni verificabili e
falsificabili, come ad esempio un’asserzione come “Qui c’è un gatto che
dorme”, non costituiscono alcun problema per Popper, anche se dal punto di
vista scientifico non sono certamente fra le più interessanti). Un esempio di
asserzione del primo tipo potrebbe essere la seguente teoria: “Esiste una
sequenza finita di distici elegiaci latini che, se pronunciata in maniera
appropriata, in un certo tempo e luogo, ad essa segue immediatamente
l’apparizione del Demonio - vale a dire, di una creatura dalle parvenze
14
Cfr. Logica della scoperta scientifica, cit., p. 23.
15
“Io ammetterò certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa
essere controllato dall’esperienza. Queste considerazioni suggeriscono che, come criterio
di demarcazione, non si deve prendere la verificabilità, ma la falsificabilità di un sistema.
In altre parole: da un sistema non esigerò che sia capace di essere valutato in senso
positivo una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere
valutato, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico per
essere scientifico deve poter essere confutato dall’esperienza” (Ivi, p. 22).
16
Ibidem, nota *3.
17
Cfr. Ivi, pp. 54-55.
11
umane, con due piccole corna e il piede caprino”.18 Come si vede, abbiamo
qui un’asserzione che secondo il criterio di Popper risulta non-scientifica
non perché è priva di senso (comprendiamo abbastanza bene cosa vuol dire)
ma perché è infalsificabile - nel senso che non riusciamo a immaginare in
quale circostanza essa potrebbe essere dichiarata falsa (chi la sostiene può
sempre dire che noi non siamo ancora riusciti a trovare il Demonio nel
modo indicato) - e tuttavia verificabile (è logicamente possibile che il
Demonio prima o poi salti fuori). Un esempio di asserzione del secondo tipo
potrebbe essere invece: “Esistono in natura delle regolarità”. 19 Come è facile
intuire, non è possibile addurre prove conclusive né a favore né contro una
simile asserzione, che pertanto risulta tipicamente metafisica.
Da tutto ciò emergono due conclusioni che caratterizzano la
posizione di Popper nei termini di un irrimediabile fallibilismo
congetturalista:
a) La verità è un qualcosa di assoluto e oggettivo, e consiste nella
corrispondenza di una teoria, o di un’asserzione ai fatti. Questa, però,
avverte Popper, è solo una definizione, e non un criterio, di verità. Ciò
significa che, pur sapendo cos’è la verità, noi non possiamo raggiungerla
infallibilmente sapendo di averlo fatto, perché non ci è possibile dimostrare
la verità di nessuna teoria, anche se per caso dovesse capitarci di avere tra le
mani una teoria (per esempio una teoria fisica) vera: «anche se per caso
troviamo una teoria vera, di regola potremo soltanto supporlo, e può restare
per noi impossibile stabilire che è tale».20
b) Noi, dunque, abbiamo solo e sempre congetture, e mai teorie di cui
possiamo dimostrare la verità. Ma ciò non toglie che noi possiamo imparare
molto dai nostri errori, cioè dalle nostre teorie falsificate. Infatti, anche se
non abbiamo un criterio di verità, possiamo benissimo stabilire un ‘criterio
di verosimiglianza’ (verisimilitude), cioè un criterio di avvicinamento o
approssimazione alla verità, in base al quale poter decidere, tra due teorie
rivali (ad esempio quella di Newton e quella di Einstein), qual è quella che
possiede un maggior contenuto di informazioni e consente spiegazioni più
ampie e accurate dei fatti, e quindi costituisce un passo in avanti verso la
verità oggettiva. In tal modo, questo criterio razionale di preferibilità
fornisce anche un criterio del progresso scientifico, che Popper, dopo vari
tentativi (compiuti negli anni ’60 specialmente nel capitolo di Congetture e
18
In Congetture e confutazioni, cit., cap. 10, “Appendice”, p. 426.
19
Cfr. Logica della scoperta scientifica, cit., pp. 277-278 e Poscritto alla Logica della
scoperta scientifica, vol. I, cit., pp. 96-98.
20
Congetture e confutazioni, cit., cap. 10, p. 387. Poco più avanti, Popper chiarisce questo
punto fondamentale con un esempio: “Lo status della verità intesa in senso oggettivo,
come corrispondenza ai fatti, con il suo ruolo di principio regolativo, può paragonarsi a
quello di una cima montuosa, normalmente avvolta fra le nuvole. Uno scalatore può, non
solo avere difficoltà a raggiungerla, ma anche non accorgersene quando vi giunge, perché
può non riuscire a distinguere, nelle nuvole, fra la vetta principale e un picco secondario.
Questo tuttavia non mette in discussione l’esistenza oggettiva della vetta; e se lo scalatore
ci dice: ‘dubito di avere raggiunto la vera vetta’, egli riconosce, implicitamente,
l’esistenza oggettiva di questa” (ibid., p. 388).
12
confutazioni da cui abbiamo citato i passi precedenti) di darne una
definizione logico-formale rigorosa basata sul confronto tra il ‘contenuto di
verità’ (cioè la classe di conseguenze vere) e il ‘contenuto di falsità’ (cioè la
classe di conseguenze false)21 di ciascuna delle teorie in competizione, ha
formulato in tempi più recenti in maniera informale e intuitiva in questi
termini:
21
Cfr. in part. ibid., pp. 391-404, e 664-672. La famosa (e sfortunata) formalizzazione di
Popper della verosimiglianza si basava sulla seguente idea di fondo: “Assumendo che il
contenuto di verità e il contenuto di falsità di due teorie t 1 e t2 siano paragonabili,
possiamo dire che t2 è più vicina alla verità, ovvero corrisponde ai fatti meglio di t1, se, e
solo se: a) il contenuto di verità, ma non il contenuto di falsità, di t 2, supera quello di t1;
b) il contenuto di falsità di t1, ma non il suo contenuto di verità, supera quello di t2” (ibid.,
pp. 400-401). I tentativi di giungere a una rigorosa traduzione logico-matematica di
questa idea verranno però abbandonati da Popper in seguito alle analisi logiche - da lui
accolte immediatamente - di alcuni epistemologi, in particolare David Miller e Pavel
Tichý, i quali, intorno al 1974, dimostrarono che l’idea di Popper era logicamente errata,
giacché era possibile dimostrare: 1) che una teoria (falsa) t 2 non può mai essere più
‘vicina’ alla verità di un’altra teoria (falsa) t1 nel senso del criterio di Popper; 2) che, se
una teoria t2 è più ‘verosimile’ di una teoria t1 nel senso del criterio di Popper, allora t2
deve essere vera e t1 falsa. Che tutto ciò distrugge il criterio di Popper lo si può vedere
subito dal fatto che per Popper noi operiamo sempre con teorie quasi certamente false
(dato che il numero di teorie possibili su un certo oggetto è infinito, mentre quella vera
può essere una sola), e se per caso avessimo tra le mani quella vera, noi non potremmo
saperlo (dato che la sua verifica sarebbe un compito infinito). Su questa vicenda cfr.
Popper, Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, vol. I, cit., “Introduzione 1982”,
pp. 24-25 (qui Popper, fra l’altro, ammette: “accettai la critica della mia definizione pochi
minuti dopo che mi fu presentata, chiedendomi come mai non avessi visto prima
l’errore”) e The Myth of the Framework. In Defence of the Science and Rationality,
London-New York, Routledge & Kegan Paul, 1994; tr. it. Il mito della cornice. Difesa
della razionalità e della scienza, Bologna, il Mulino, 1995, cap. VIII, pp. 234-235 (dove
Popper cita in nota i lavori di Miller e Tichý). Per una panoramica sul dibattito
epistemologico scaturito dalla ‘sfortunata’ definizione di Popper, cfr. G. Giorello (et al.),
Introduzione alla filosofia della scienza, Milano, Bompiani, 1994, cap. V, pp. 311-312 e
cap. VI, pp. 350-351.
22
Popper, Auf der Suche nach einer besseren Welt. Vorträge und Aufsätze aus dreissig
Jahren, München, Piper, 1984; tr. it. Alla ricerca di un mondo migliore. Conferenze e
saggi di trent’anni di attività, Roma, Armando, 1989, cap. II, p. 50. I tre requisiti per
l’accrescersi della conoscenza indicati nel passo citato sono spiegati più tecnicamente (e
con qualche modifica nella formulazione) in Congetture e confutazioni, cit., cap. 10, pp.
412-426.
13
I.1.2. CONTRO LE PROFEZIE STORICHE E I TOTALITARISMI . LA DIFESA DELLA DEMOCRAZIA E DELLA
SOCIETÀ APERTA .
14
pensiero, una serie di concezioni generali del metodo storico-sociologico
accomunate dall’idea che lo studioso della società umana può fare
previsioni più o meno precise del corso storico se solo riesce a individuarne
le fondamentali e ineluttabili leggi di sviluppo, al pari dello scienziato
naturale che, utilizzando le leggi di Newton, è in grado di fare previsioni
accurate su certi stati futuri del sistema solare (quali la posizione relativa dei
pianeti, le eclissi, ecc.). A questa idea, che, come vedremo, Popper associa a
tendenze irrazionalistiche sfocianti spesso in politiche totalitarie, egli
oppone in Miseria dello storicismo un’ampia, complessa e serrata
argomentazione, di cui, però, non rimane soddisfatto, tanto che sarà nel
corso della prima metà degli anni ’50 che egli giungerà ad elaborare quella
che considera la sua confutazione definitiva dello storicismo. E’ opportuno
a questo proposito leggere il seguente passo della “Prefazione” all’edizione
del 1957:
26
Ibidem, pp. 14-15.
15
politico-economica “centralizzata” e “collettivistica” tipica dei regimi
totalitari (nazifascisti e comunisti) e teorizzata per la prima volta da Platone
nella Repubblica, e l’ “ingegneria sociale gradualistica”, basata sul
piecemeal tinkering (‘intervento a spizzico’), che rifiuta per decreto
metodologico di perseguire l’attuazione di un modello o ideale di società
che - si suppone - renderà tutti gli uomini felici, e si preoccupa invece di
intervenire settorialmente a correggere i mali evitabili col metodo per prova
ed errore.27 La differenza tra l’approccio tecnologico “a spizzico” e quello
utopistico “olistico” ai problemi della società e dello Stato, coincide quindi
per Popper con la differenza tra l’atteggiamento democratico fallibilista
(che, consapevole degli effetti imprevedibili di ogni intervento sulla società,
evita di sacrificare gli uomini a un ideale che comunque non potrà mai
realizzarsi compiutamente nonostante sacrifici immani: si pensi ai piani
quinquennali di Stalin o alla politica razziale e alla militarizzazione totale di
Hitler) e l’atteggiamento autoritario (che affida nelle mani di un Leader o di
un gruppo ristretto di tecnocrati di regime il compito di plasmare ‘dall’alto’
tutta la società sulla base della pretesa di conoscere infallibilmente le leggi
ineluttabili della storia: si pensi all’idea dell’avvento del comunismo, cioè
di una società senza classi nella profezia di Marx, a alla fede nel destino di
grandezza che arride ai popoli giovani e razzialmente puri nelle mitologie
nazifasciste).
Su queste basi teoriche, Popper può allora delineare le caratteristiche
fondamentali di una società “aperta” e liberale “nella quale i singoli sono
chiamati a prendere decisioni personali”, contrapposta alla “società magica
o tribale o collettivista”, cioè alla società “chiusa”.28 La pagina in cui
Popper ha elencato, negli anni terribili della Seconda Guerra Mondiale, i
sette punti essenziali delle funzioni di una democrazia aperta costituiscono
uno dei vertici del pensiero politico di questo secolo (ancora oggi punto di
riferimento irrinunciabile, perlomeno come ideale regolativo, nelle
cosiddette ‘democrazie occidentali’), e pertanto vale la pena leggerla per
intero:
27
Cfr. Popper, ibid., pp. 71-72 e pp. 87-88 e La società aperta e i suoi nemici, vol. I, cit.,
cap. IX, pp. 221-235, e in part. nota 4, pp. 385-387.
28
Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. 1, cit., cap. X, pp. 244-245.
16
2. Dobbiamo distinguere soltanto fra due forme di governo, cioè
quello che possiede istituzioni di questo genere e tutti gli altri; vale a dire
fra democrazia e tirannide.
3. Una costituzione democratica consistente deve escludere
soltanto un tipo di cambiamento nel sistema legale, cioè quel tipo di
cambiamento che può mettere in pericolo il suo carattere democratico.
4. In una democrazia, l’integrale protezione delle minoranze non
deve estendersi a coloro che violano la legge e specialmente a coloro che
incitano gli altri al rovesciamento violento della democrazia.
5. Una linea politica volta all’instaurazione di istituzioni intese alla
salvaguardia della democrazia deve sempre operare in base al presupposto
che ci devono essere tendenze anti-democratiche latenti sia fra i governati
che fra i governanti.
6. Se la democrazia è distrutta, tutti i diritti sono distrutti; anche se
fossero mantenuti certi vantaggi economici goduti dai governanti, essi lo
sarebbero solo sulla base della rassegnazione.
7. La democrazia offre un prezioso campo di battaglia per qualsiasi
riforma ragionevole dato che essa permette l’attuazione di riforme senza
violenza. Ma se la prevenzione della democrazia non diventa la
preoccupazione preminente in ogni battaglia particolare condotta su questo
campo di battaglia, le tendenze anti-democratiche latenti che sono sempre
presenti (e che fanno appello a coloro che soffrono sotto l’effetto stressante
della civiltà [...] ) possono provocare il crollo della democrazia. Se la
comprensione di questi principi non è ancora sufficientemente sviluppata,
bisogna promuoverla. La linea politica opposta può riuscire fatale; essa può
comportare la perdita della battaglia più importante, che è la battaglia per la
stessa democrazia. 29
17
potere (soprattutto economico) irresponsabili e nemici della democrazia.
Come ha osservato Popper, infatti, «non si possono costituire istituzioni
infallibili, cioè istituzioni il cui funzionamento non dipenda in grandissima
parte dalle persone che vi sono preposte, o che comunque vi partecipano;
nella migliore delle ipotesi, si potrà ridurre l’incerto rappresentato
dall’elemento umano prestando aiuto a coloro che lavorano per gli scopi per
i quali furono progettate le istituzioni; è dalla loro iniziativa personale e
dalle loro conoscenze che dipenderà in larga misura il successo.(Le
istituzioni sono come le fortezze: raggiungono lo scopo solo se è buona la
guarnigione, cioè l’elemento umano.)».32 e l’‘elemento umano’ deve aver
ben presente la responsabilità sociale e ‘pedagogica’ di cui è investito nella
gestione soprattutto di quei mezzi potentissimi come la televisione che, così
come possono salvare e mantenere, possono anche mandare in pezzi beni
tanto preziosi quanto fragili come la libertà e la democrazia.
32
Miseria dello storicismo, cit., p. 69; cfr. anche p. 138.
18
solo nel 1994) e ne L’io e il suo cervello (1977), scritto in collaborazione
con il neurofisiologo e premio Nobel John C. Eccles.
Per quanto riguarda la teoria dei tre mondi, possiamo partire da una
pagina molto chiara ed esauriente di un saggio letto a una conferenza
tenutasi ad Alpbach nell’agosto del 1982, che costituisce ora il primo
capitolo del libro Alla ricerca di un mondo migliore:
33
Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, cit., pp. 18-19.
19
MONDO 3 (6) Opere d’arte e di scienza (compresa la
(I prodotti della mente umana) tecnologia)
(5) Il linguaggio umano. Teorie dell’io e
della morte
Gli elementi che stanno al lato destro vengono chiamati da Popper “stadi
dell’evoluzione cosmica”. 34
La cosa importante da porre subito in luce è che con questa
tripartizione dei regni della Realtà Popper intende sottolineare soprattutto
due cose: 1) il Mondo 3 dei prodotti della mente umana è ‘emergente’
rispetto al Mondo 2 (la cui funzione biologica è anche quella di produrre35
alcuni degli oggetti del Mondo 3), e ciò vuol dire in particolare che esso è
oggettivo - nel senso che esiste realmente, come prova ad esempio il fatto
che noi (il nostro Mondo 2) agiamo su di esso, immettendovi nuovo
materiale conoscitivo e quindi arricchendolo, e ne siamo agiti, modificati e
controllati, come possiamo vedere ad esempio dal fatto che lo sviluppo
cognitivo della nostra mente è un risultato del nostro ‘afferrare’,
comprendere e attualizzare oggetti del Mondo 3 - e soprattutto autonomo.
Sull’autonomia del Mondo 3 Popper ha insistito forse più che su ogni altra
cosa:36 sebbene esso sia un prodotto della nostra mente, non tutto ciò che lo
popola (soprattutto problemi) è opera nostra, perché è in gran parte un
effetto non intenzionale delle nostre teorie, allo stesso modo in cui i
34
Popper, L’io e il suo cervello, vol. I, cit., cap. I, p. 29.
35
Su questo punto cfr. ad es. ivi, cap. IV, p. 171; Conoscenza oggettiva, cit., cap. 4, p.
212 e Autobiografia, cit., p. 194.
36
Cfr. ad es. Conoscenza oggettiva, cap. 3, pp. 161-166; cap. 4, pp. 212-217; L’io e il suo
cervello, vol. I, cit., cap. II, pp. 55-58; La conoscenza e il problema corpo-mente, cit.,
cap. II, pp. 39-65.
20
problemi del traffico sorgono come effetto non intenzionale della nostra
invenzione delle automobili. A questo proposito l’esempio preferito da
Popper è quello della matematica. Se è vero che i numeri naturali sono una
nostra invenzione, molti dei problemi e delle proprietà che li riguardano non
lo sono affatto, e noi possiamo magari scoprirli come oggetti autonomi del
Mondo 3: si pensi, ad esempio, alla loro quantità illimitata, alla loro
divisione in pari e dispari, o all’esistenza dei numeri primi, alle loro
caratteristiche e ai problemi cui danno luogo (Quanti sono? Si susseguono
secondo una legge?);
2) I tre mondi interagiscono tra di loro, ma secondo una procedura peculiare
che rende interessantissima la questione della funzione biologica della
mente umana nell’economia della storia evolutiva della specie umana e in
particolare della formazione di un organo come il cervello. Il Mondo 2
interagisce infatti sia con il Mondo 1 (basti pensare all’azione delle nostre
decisioni consce sui movimenti del nostro corpo da un lato, e a quella degli
stati del nostro corpo sul nostro stato d’animo di gioia o di dolore dall’altro)
che con il Mondo 3 (come abbiamo già visto nel punto precedente), mentre
Mondo 1 e Mondo 3 non possono interagire direttamente, ma solo tramite il
Mondo 2. Questo si comprende facilmente se si pensa che l’enorme
influenza del Mondo 3 delle teorie fisico-tecnologiche sulla realtà, in base
alla quale l’uomo ha potuto plasmare il mondo producendo città, aerei,
utensili ecc., passa sempre attraverso la mente umana. Il Mondo 2, quindi, si
è evoluto grazie alla sua incessante e creativa doppia interazione col Mondo
1 da un lato e col Mondo 3 dall’altro. Come osserva Popper, «non possiamo
comprendere il Mondo 2, cioè il mondo popolato dai nostri stessi stati
mentali, senza comprendere che la sua principale funzione è quella di
produrre oggetti del Mondo 3, ed essere soggetto all’azione di oggetti del
Mondo 3. Il Mondo 2 interagisce infatti non soltanto col Mondo 1, come
pensava Cartesio, ma anche col Mondo 3; e oggetti del Mondo 3 possono
agire sul Mondo 1 soltanto attraverso il Mondo 2, che funziona da
intermediario».37
Tutto ciò ha importanti conseguenze relative a una vasta gamma di
questioni biologiche affascinanti, tra le quali, ad esempio, quella riguardante
la storia evolutiva del nostro cervello e quella riguardante la nascita e la
strutturazione dell’io umano autocosciente dalla vaga e rudimentale forma
di coscienza animale. Vi accenneremo brevemente come conclusione di
questo primo paragrafo introduttivo sul pensiero generale di Popper.
Per quanto riguarda la prima questione, Popper considera cruciale il
momento della nascita delle aree cerebrali preposte al linguaggio nel corso
delle antichissime mutazioni genetiche che hanno riguardato il cervello
degli antenati dell’uomo. La scelta comportamentale di dare importanza alla
comunicazione linguistica per gli scopi della sopravvivenza ha poi creato
una forte pressione selettiva per quelle varianti anatomiche del cervello che
possedevano i centri del linguaggio e ne consentivano quindi l’uso e lo
37
La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. I, p. 17.
21
sviluppo. In tal modo si è venuta a creare una interazione a spirale per cui,
nel momento in cui il cervello produceva il linguaggio, questo a sua volta
‘creava’ il cervello indirizzandone l’evoluzione anatomica nella direzione
che favoriva l’uso sempre più specializzato del linguaggio.38
Per quanto riguarda, infine, la seconda questione, relativa
all’emergenza e allo sviluppo dell’autocoscienza, o dell’ego, o ancora del sé
dell’uomo, Popper avanza una teoria che dipende in gran parte da quanto
detto sopra al punto 2). Questa teoria è sintetizzata nella quinta conferenza
di La conoscenza e il problema corpo-mente in cinque tesi, che riportiamo
senza ulteriori commenti (ma vi ritorneremo nel corso del paragrafo
successivo):
38
Su questo punto estremamente interessante della teoria di Popper, cfr. ad es. L’io e il
suo cervello, vol. I, cit., cap. I, p. 23 e p. 45 (in quest’ultimo luogo, ad es., Popper scrive:
“In che modo è emerso il cervello? Possiamo solo avanzare delle ipotesi. Io suppongo che
[...] sia stato l’emergere del linguaggio umano a creare la pressione selettiva sotto la quale
si è formata la corteccia cerebrale e, con essa, la coscienza umana di sé”); Offene
Gesellschaft - Offenes Universum, Wien, Deuticke, 1983, rist. München, Piper, 1986 [tr.
it. Società aperta universo aperto, Roma, Borla, 1984, pp. 108-109]; K.R. Popper e K.
Lorenz, Die Zukunft ist offen, München, Piper, 1985 [tr. it. Il futuro è aperto, Milano,
Rusconi, 1989, pp. 52-54 e 116-117].
39
La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. V, pp. 153-154. Su questa teoria
cfr. anche Conoscenza oggettiva, cit., cap. 2, p. 104; cap. 6, pp. 326-328; e soprattutto le
ampie esposizioni in L’io e il suo cervello, vol. I, cit., cap. IV, pp. 126-181 e nei Tre
saggi sulla mente umana, Roma, Armando, 1994.
22
I.2. La teoria dell’apprendimento per prova ed errore.
23
dichiara “un empirista e un razionalista”41 (ma in un senso preciso e
alquanto diverso da quello attribuito dalla tradizione a questi due termini,
come più avanti vedremo), può arrivare persino a ‘uccidere’ il positivismo
logico42 minandone le basi epistemologiche.
La critica di Popper alla teoria della conoscenza del senso comune è
incentrata sulla confutazione della concezione che a suo giudizio ne sta alla
base, e cioè l’idea che la nostra mente sia una tabula rasa sulla quale
l’esperienza empirica effettuata tramite i vari organi di senso traccia i
caratteri che poi, opportunamente ordinati mediante associazioni, confronti
analogici ed estrapolazioni induttive, andranno a costituire il corpus
soggettivo della conoscenza. Popper ha ironicamente chiamato questa idea
“bucket theory of mind”, cioè “teoria della mente come secchio” (o
recipiente), e l’ha illustrata con un disegno come il seguente43:
24
fuggire, per ripararsi ecc.). A questo proposito una pagina molto importante
è costituita dal § 18 del secondo capitolo di Conoscenza oggettiva, in cui
Popper azzarda persino un termine come “teorema” in materia di teoria
dell’apprendimento:
Se non fosse assurdo fare qualsiasi stima, direi che 999 parti contro 1000
della conoscenza di un organismo sono ereditate o innate, e che solo una
parte consiste delle modificazioni di questa conoscenza innata; e suggerisco
inoltre che è innata anche la plasticità necessaria per queste modificazioni.
Da ciò segue il teorema fondamentale:
Tutta la conoscenza acquisita, tutto l’apprendimento, consiste nella
modificazione (anche il rigetto) di qualche forma di conoscenza, o
disposizione che vi era prima, e in ultima istanza di disposizioni innate.
Da ciò segue subito un secondo teorema:
Tutto lo sviluppo della conoscenza consiste nel miglioramento della
conoscenza esistente che è mutata nella speranza di avvicinarsi di più al
vero.
Poiché tutte le nostre disposizioni sono in qualche senso adattamenti a
condizioni ambientali invarianti o in lento mutamento, esse possono essere
descritte come impregnate di teoria, assumendo un senso sufficientemente
ampio del termine “teoria”. [...] E penso che possiamo asserire anche di più:
non vi è organo di senso in cui non siano geneticamente incorporate teorie
anticipative. [...] Il fatto che tutti i nostri sensi siano in tal modo impregnati
di teoria mostra molto chiaramente il fallimento radicale della teoria del
recipiente e con essa di tutte quelle altre teorie che tentano di far risalire la
nostra conoscenza alle osservazioni, o all’input dell’organismo. Al
contrario, ciò che può essere assorbito (o reagito) come input rilevante e ciò
che è ignorato come irrilevante, dipendono completamente dalla struttura
innata (il “programma”) dell’organismo.45
25
riconosciuto come suo padre ispiratore il cosiddetto “secondo Wittgenstein”
(cioè, in particolare, il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, scritte negli
anni ’40 e pubblicate postume nel 1953), con le sue minuziose analisi del
significato delle parole e degli usi linguistici. Anzi, dal momento che gli
stavano a cuore soprattutto le questioni relative alle teorie e al controllo
della loro pretesa di verità, Popper ha più volte tenuto a precisare che egli
non attribuiva alcun rilievo a tutta la “filosofia del linguaggio”, nella misura
in cui questa rimaneva legata a un interesse esclusivo per il significato
(meaning, Bedeutung) delle parole.46
L’approccio popperiano al linguaggio è soprattutto guidato
dall’interesse sulle funzioni del linguaggio dal punto di vista biologico e
cognitivo. Il suo punto di partenza è costituito dalle analisi sulle funzioni
del linguaggio compiute dal grande psicologo Karl Bühler (1879-1963), che
fu anche suo professore di psicologia a Vienna. Ecco come Popper ricorda i
suoi rapporti col maestro e col suo pensiero nel corso della seconda metà
degli anni ’20:
46
Su questo punto cfr. ad es. Congetture e confutazioni, cit., “Introduzione”, pp. 36-42;
Conoscenza oggettiva, cit., cap. 3, pp. 171-172 e cap. 8, pp. 406-409; Autobiografia, cit.,
pp. 20-33.
47
Autobiografia, cit., p. 77.
48
Cfr. in part. K. Bühler, Sprachtheorie: die Darstellungsfunktion der Sprache, Jena, 1934, pp. 25-
28 (tr. it. Teoria del linguaggio, Roma, Armando, 1983).
26
2) funzione segnaletica o stimolativa, mediante la quale noi liberiamo certe
reazioni verbali o comportamentali nel destinatario (si pensi a un ordine
come: “Confessa!”);
3) funzione descrittiva, mediante la quale noi trasmettiamo informazioni
intorno a qualcosa (si pensi a un enunciato come: “Roma è la capitale
dell’Italia”).
49
Conoscenza oggettiva, cap. 3, pp. 167-168. Gli altri luoghi più notevoli in cui Popper tratta delle
quattro funzioni del linguaggio sono: ivi, cap. 6, pp. 307-315; Congetture e Confutazioni, cit., cap.
4, pp. 231-233 e cap. 12, pp. 502-503; La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. 4, pp.
113-124; L’Io e il suo cervello, vol. I, cit., cap. III, pp. 76-79.
27
possono mentire deliberatamente, ciò che invece è tipico degli uomini e
della loro capacità di raccontare favole).
La teoria delle quattro funzioni del linguaggio viene utilizzata da
Popper, oltre che a sostegno della sua concezione generale della crescita
della conoscenza scientifica (su cui torneremo in I.2.3), anche per
giustificare la propria congettura relativa alla nascita ed alla formazione
dell’io cosciente nei primi stadi dello sviluppo dell’uomo inteso sia come
specie che come individuo. Riprendendo i cinque punti di tale congettura
riportati alla fine del paragrafo precedente, ecco come egli applica la
propria teoria del linguaggio (ovvero dei suoi due livelli superiori) al caso
specifico del bambino:
28
quindi, in quanto persone consapevoli di noi e del mondo che ci circonda
grazie alle nostre stesse teorie, degli oggetti del Mondo 3. Nel caso del
bambino, queste conseguenze assumono il seguente aspetto:
29
‘evoluzionistica’ - cioè estesa a ogni altro strumento biologico di
adattamento all’ambiente - di Conoscenza oggettiva 54) è una sola: Come
nasce, e soprattutto, come cresce la nostra conoscenza? La risposta a questo
interrogativo consiste in una originale rielaborazione da parte di Popper del
cosiddetto metodo di soluzione dei problemi ‘per prova ed errore’ (trial and
error), ovvero ‘per tentativi ed eliminazione dell’errore’, od ancora ‘per
congetture e confutazioni’:
P1 → TT → EE → P2
54
Si veda a tal proposito lo “schizzo di un’epistemologia evoluzionistica” in Conoscenza
oggettiva, cit., cap. 2, pp. 96-100.
55
La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. I, pp. 21-22.
56
Cfr. ibid., p. 23. Per le versioni più elaborate dello schema, cfr. anche Conoscenza
oggettiva, cit., cap. 6, p. 318 e cap. 8, p. 380.
30
TTa → EEa → P2a
P1 TTb → EEb → P2b DVC
TTn → EEn → P2n
57
La conoscenza e il problema corpo-mente, cit., cap. I, pp. 23-24.
58
Ivi., cap. III, p. 82.
31
tutti i phyla) come costantemente impegnati a risolvere problemi. I
problemi vengono risolti a vari livelli: l’individuo inventa nuovi schemi
comportamentali col metodo dell’eliminazione per prova ed errore; la razza
o phylum inventa, per così dire, nuovi individui inventando nuovi schemi
genetici, che sono nuove composizioni genetiche, comprese nuove
mutazioni.59
59
Ibidem, p. 86. Per una esposizione più dettagliata di questa teoria, cfr. Conoscenza
oggettiva, cit., cap. 6, pp. 316-319. Se si pensa poi alla gerarchia dei controlli di cui si
parlava al punto 5 del passo riportato alla fine del paragrafo precedente, la catena della
proporzione può essere ulteriormente analizzata e ‘allungata’ verso sinistra, includendovi
il controllo per prove ed errori esercitato dal Mondo 3 sul Mondo 2, e da questo (in
quanto coscienza) sui movimenti del nostro corpo (Mondo 1). Si potrebbe quindi scrivere:
‘Mondo 3 : Mondo 2 = Mondo 2 : comportamento = comportamento : individuo =
individuo : specie’ (questa estensione della proporzione è giustificata da Conoscenza
oggettiva, ibid., p. 327). In questo modo, considerando la spirale di interazioni che
sussiste tra un membro e l’altro, si può vedere come il problem solving agisca di volta in
volta ad ogni livello della scala evolutiva. Percorrendo la catena dei termini da destra a
sinistra, abbiamo che la specie esplora e occupa la nicchia ecologica servendosi del
rimescolamento genetico degli individui (tentativi) e della loro selezione (eliminazione
dell’errore); gli individui esplorano e si adattano al loro ambiente mettendo alla prova il
loro repertorio comportamentale ed eliminando i comportamenti inadatti; il repertorio
comportamentale anticipa tentativamente i propri successi o insuccessi elaborando piani
di comportamento a un livello sempre più conscio nel Mondo 2; il Mondo 2, infine,
esplora e impara a conoscere il mondo (ben al di là della nicchia ecologica) elaborando e
migliorando teorie, cioè oggetti del Mondo 3. Percorrendo invece la catena da sinistra a
destra, abbiamo una successioni di sistemi di controllo: il Mondo 3 controlla lo sviluppo
del Mondo 2; il Mondo 2 guida i movimenti e i comportamenti del corpo dell’individuo;
il repertorio comportamentale dell’individuo influisce sulle possibilità di sopravvivenza
dell’individuo; l’individuo, a sua volta, a seconda del suo successo o insuccesso adattivo,
controlla il destino biologico della propria specie. Come si vede, dunque, in questo caso
risulta chiaro come il Mondo 3 umano finisca alla fine per esercitare indirettamente un
controllo sulla specie umana: per fare un esempio, si consideri come una decisione
politica planetaria (Mondo 2) a favore del controllo delle nascite, dettata da
considerazioni di carattere economico, energetico, alimentare ecc., cioè su proiezioni
statistiche basate su determinate teorie (Mondo 3), possa regolare l’equilibrio
demografico della specie umana (Mondo 1).
60
Conoscenza oggettiva, cit., “Appendice”, p. 453. Cfr. anche cap. 6, p. 321.
61
Ivi, cap. 1, p. 46. Cfr. anche cap. 2, p. 100 e cap. 7, p. 347.
32
Si comprende allora in che senso Popper possa dire, come abbiamo
visto sopra nella prima sezione di questo paragrafo, di considerarsi sia un
‘razionalista’ che un ‘empirista’, anche se in un senso diverso da quello
assunto da questi due attributi nella gnoseologia classica. La teoria del
problem solving, infatti, per la quale noi impariamo soprattutto dai nostri
errori, cioè dai nostri tentativi fallimentari di risolvere un certo problema, è
di per sé «una teoria della ragione che assegna agli argomenti razionali la
funzione modesta, e tuttavia importante, di critica dei tentativi, spesso
sbagliati, che compiamo per risolvere i problemi. Ed è una teoria
dell’esperienza che assegna alle osservazioni la funzione altrettanto
modesta, e altrettanto importante, di controlli che possono aiutarci nella
scoperta degli errori».62 Popper, quindi, è un razionalista che attribuisce alla
ragione una funzione critica o confutativa, e non fondativa o dimostrativa;
ed è un empirista che considera le osservazioni non la fonte della
conoscenza, ma lo strumento empirico di cui ci serviamo per controllare la
veridicità delle conseguenze osservabili deducibili dalle teorie.
Una conseguenza particolarmente interessante dell’epistemologia
evoluzionistica di Popper riguarda la valutazione del ruolo della violenza
dal punto di vista biologico. Questo aspetto è importante perché ci
permetterà di comprendere meglio le ragioni che hanno spinto Popper a
scagliarsi in maniera così decisa e dura contro l’abnorme esibizione della
violenza nella televisione del nostro tempo.
La selezione naturale darwiniana è stata associata più o meno
giustamente al carattere spesso violento e sanguinario della “lotta per la
vita” nel mondo animale (ciò ha poi condotto, com’è noto, le ideologie
nazifasciste a trasferire il darwinismo sul piano socio-politico per
giustificare l’aggressione colonialista dei popoli ‘giovani e forti’ ai danni di
quelli ‘vecchi e deboli’). A questa visione fosca della realtà naturale, Popper
ha opposto, sulla base della propria teoria dell’emergenza delle funzioni
superiori del linguaggio e quindi della possibilità dell’uso sempre più
allargato della critica e della eliminazione non violenta delle teorie
inadeguate, una visione più ottimistica e fiduciosa, che lo ha portato a
denunciare spesso l’irresponsabilità e la disonestà intellettuale di chi
diffonde, specialmente tra i giovani, visioni apocalittiche del mondo, e a
ripetere innumerevoli volte nel corso di tutta la sua vita che noi dobbiamo
essere ottimisti almeno per due motivi: 1) perché viviamo - perlomeno nelle
democrazie occidentali - nel migliore dei mondi di cui si abbia notizia, cioè
nella società più democratica, più giusta, più ricca e meno crudele (cioè in
grado di garantire il maggior numero di individui, anche grazie ai progressi
della medicina, contro le sofferenze evitabili), che si sia finora avuta nella
storia dell’umanità; e 2) perché solo questa consapevolezza puramente
storica che il miglioramento è possibile perché c’è già stato, ci può spingere
a ricercare un mondo ancora migliore e a lottare contro le emergenze più
gravi del nostro tempo cui si può ovviare (come la fame, la disoccupazione,
62
Congetture e confutazioni, cit., “Prefazione”, p. 3.
33
la sofferenza, la violenza, ecc.63). Sulla base di queste considerazioni,
Popper ha potuto dire che, con l’emergenza del Mondo 3 nella storia
dell’evoluzione della vita, la selezione naturale ha superato se stessa,
passando dal livello ‘animale’ della violenza cieca a quello ‘umano’ della
critica razionale non violenta. Le parole conclusive del suo contributo a
L’io e il suo cervello sono proprio un richiamo all’idea che la non violenza
sia un prodotto dell’evoluzione, e non un sogno utopistico:
34
oggetto che appartiene al mondo intelligibile. Una volta che siamo riusciti a
vederla, ad afferrarla, noi conosciamo quest’essenza: possiamo vederla “alla
luce della verità”. Una volta che sia stata raggiunta, questa intuizione
intellettuale è infallibile.
E’ stata questa una concezione che ha esercitato una grandissima
influenza su quanti accettano, come peraltro faccio io, il problema: “In che
modo possiamo comprendere o afferrare una teoria?”. Pur accettando il
problema, io non ne condivido però la soluzione data da Platone - o
perlomeno solo in una forma notevolmente modificata. 65
65
L’io e il suo cervello, vol. I, cit., cap. II, p. 61.
66
Ibid., p. 62 e p. 64.
35
Il processo o l’attività di comprensione consiste essenzialmente in una
sequenza di stati di comprensione. (Se uno di essi sia o meno uno stato
“finale” può dipendere spesso soggettivamente da qualcosa non più
interessante di un sentimento di soddisfazione). Solo se si è raggiunto un
argomento importante o qualche nuova evidenza - cioè qualche oggetto del
terzo mondo - se ne può dire di più. Fino ad allora, è la sequenza degli stati
precedenti che costituisce il “processo”, ed è il lavoro di criticare lo stato
raggiunto (cioè, di produrre argomenti critici da terzo mondo) che
costituisce l’“attività”. O, per metterla diversamente: l’attività del
comprendere consiste essenzialmente, nell’operare con oggetti del terzo
mondo.67
36
2) Che la teoria del problem solving come unica procedura per
l’acquisizione e lo sviluppo della conoscenza (tanto per l’umanità quanto
per il singolo individuo) abbia una stretta relazione con le preoccupazioni
pedagogiche di Popper per l’uso sempre più massiccio e passivo della
televisione da parte dei bambini, è dimostrato da un passo su bambini,
televisione e scuola risalente al 20 settembre 1974, che fa parte del primo
dei suoi dodici “dialoghi aperti” con Eccles:
Penso che sia terribilmente importante per noi evitare di essere per tutto
l’arco della nostra vita dei meri recettori passivi di informazione. Si corre
un pericolo particolare durante l’infanzia; ed è che le nostre scuole possano
trattare i bambini come il gattino della gondola. Questo era particolarmente
vero quando i bambini dovevano stare seduti in uno spazio limitato - in un
banco che era stato creato apposta per ridurre la loro possibilità di
movimento, cosicché non dovessero disturbare gli altri bambini e,
soprattutto il maestro. In altre parole, i nostri bambini una volta erano i
gattini della gondola. Mentre non è un gran problema se le persone della
nostra età passano il tempo immobili davanti allo schermo televisivo,
ritengo che non sia davvero auspicabile l’uso della televisione o di
macchine per insegnare come mezzi di istruzione, costringendo i bambini
ad avere un ruolo passivo, che consiste esclusivamente nello stare seduti ad
imparare. Non nego che la televisione abbia i suoi lati positivi, se l’uso che
se ne fa è molto moderato; ma un giovane durante la crescita dovrebbe
essere stimolato ad avere problemi e a cercare di risolverli, e dovrebbe
essere aiutato nella soluzione di questi problemi solo nel caso in cui un
aiuto sia necessario. Egli non dovrebbe essere indottrinato e non dovrebbe
essere imbottito di risposte laddove non venissero avanzate richieste, nel
caso in cui i problemi non nascessero dall’interno. 69
apprendimento implica la scoperta di nuove abilità e di nuovi modi di fare le cose. Nei
processi di apprendimento così intesi, la ripetizione (come quella della goccia che scava
la pietra) non ricopre alcun ruolo. Non è l’impatto reiterato sui nostri sensi che porta ad
una nuova scoperta, ma una cosa del tutto diversa: i nostri vari e ripetuti tentativi di
risolvere un problema che, insoluto, continua a irritarci”. Si noti che negando alla
ripetizione qualsiasi valore nella scoperta delle conoscenze (la ripetizione, cioè
l’esercizio, serve al massimo a trasformare una scoperta effettuata per tentativi ed errori
in una abilità automatica), Popper sferra una critica ulteriore all’induttivismo, basato sulla
credenza nel valore delle esperienze ripetute come base per le generalizzazioni teoriche o
per le aspettative comportamentali.
69
Popper - Eccles, L’io e il suo cervello, vol. III, cit., “Dialogo I”, pp. 532-533.
37
altro che la somma delle soluzioni via via tentate e scartate, cioè la memoria
dei nostri errori,70 allora si comprendono certe osservazioni di Popper sul
disastro pedagogico e formativo cui possono condurre certe disfunzioni
della scuola, dovute a) all’errata (o perlomeno obsoleta) concezione di
fondo che sta alla base della sua istituzione, oppure b) alla cattiva qualità
dell’elemento umano che dovrebbe contribuire a realizzarne gli scopi
educativi.71
In quest’ultimo paragrafo del capitolo metteremo in evidenza
separatamente questi due punti basandoci su due importanti ‘digressioni’
pedagogiche di Popper.
38
identiche) è stata elaborata “per la maggior parte”72 proprio nella sua tesi
incompiuta. Ma la svolta ‘epistemologica’ (cioè orientata alla logica,
piuttosto che alla psicologia, della scoperta scientifica73) subita dal suo
pensiero alla fine degli anni ’20, determinò l’abbandono tanto degli studi
specificamente pedagogici quanto di quelli psicologici (sui quali verteva la
sua tesi di dottorato in filosofia, Zur Methodenfrage der Denkpsychologie,
presentata nel 1928 alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Vienna).
Questo fatto, però, non deve far pensare che la pedagogia sia in
Popper un ‘atto mancato’, ovvero una possibilità sfumata. Per lui vale ciò
che vale per ogni altro grande filosofo che ha creato una nuova visione
dell’uomo e del mondo: il pensiero di questi filosofi (come Platone,
Aristotele, Kant e, appunto, Popper), ha inevitabilmente ripercussioni sul
piano pedagogico, e anzi fornisce spesso dei paradigmi concettuali sui quali
è possibile fondare un pensiero pedagogico caratteristico. Per dirla con una
formula, ogni grande filosofia crea il suo ‘Emilio’; e come la metafisica
platonica, connessa con l’ideale politico del filosofo-re, richiede una certa
organizzazione degli studi e un certo ideale di ‘formazione’, in modo
analogo, l’epistemologia evoluzionistica di Popper, basata sul ruolo
fondamentale del problem solving e connessa con il fallibilismo e con
l’ideale regolativo della società aperta, implica una ben precisa concezione
della natura e del valore dell’educazione umana.
A questo proposito è significativa la densa digressione ‘pedagogica’
che si trova nella nota 6 al cap. XI della Società aperta. Le osservazioni che
vi sono contenute - risalenti, ricordiamolo, agli anni ’40 - sono oltremodo
interessanti e frustranti per chi, come noi in Italia, solo da pochi anni si
accinge a superare il modello gentiliano-crociano di organizzazione della
scuola e della cultura, basato su uno storicismo e uno spiritualismo
hegeliano che privilegia la formazione storica e letteraria su quella
scientifica, dopo aver creato una netta separazione - su fondamenti
epistemologici che Popper, in Miseria dello storicismo, ha smascherato
come inconsistenti - tra ‘scienze della natura’ (Naturwissenschaften) e
‘scienze dello spirito’ (Geisteswissenschaften). A questo tipo di modello del
sapere (che, come ben sappiamo, ha precise ripercussioni
nell’organizzazione degli studi), Popper, nell’ambito di una discussione
della distinzione platonico-aristotelica tra educazione liberale, cioè
filosofico-letteraria, degna del gentiluomo libero, ed educazione tecnico-
professionale, propria del βαναυσος 74, cioè del ‘meccanico’ che vive del
proprio lavoro, oppone l’idea del carattere fondamentalmente unitario della
conoscenza umana, e insiste, contro ogni principio di autorità, sul valore
della discussione aperta e della libera critica:
72
Congetture e confutazioni, cit., cap. 1, p. 90, nota 21.
73
Su questo punto cfr. Autobiografia, cit., pp. 79-81.
74
Per un’ampia discussione del senso di questo termine, variamente usato da Platone e
Aristotele per designare in generale chi fa un lavoro pratico e degradante, cfr. Popper, La
società aperta e i suoi nemici, vol. 2, cit., cap. XI, p. 12 e soprattutto nota 4, pp. 373-374.
39
ai nostri giorni nessun uomo dovrebbe essere considerato colto se non ha
interesse per la scienza.. L’abituale argomentazione che un interesse per
l’elettricità o la stratigrafia non risulta necessariamente più illuminante di
un interesse per gli affari umani tradisce soltanto una totale mancanza di
comprensione degli affari umani. Infatti, la scienza non è soltanto una
raccolta di fatti intorno alla elettricità ecc; essa è uno dei più importanti
movimenti spirituali dei nostri tempi. Chi non si sforza di acquisire una
comprensione di questo movimento si taglia fuori dal più rilevante sviluppo
che si è registrato nella storia degli affari umani. Le nostre cosiddette
Facoltà di Lettere, fondate sulla teoria che per mezzo di un’educazione
letteraria e storica si può introdurre lo studente nella vita spirituale
dell’uomo, sono quindi diventate obsolete nella loro forma attuale. Non ci
può essere storia dell’uomo che escluda la rievocazione delle sue lotte e
conquiste intellettuali; e non ci può essere storia delle idee che escluda la
rievocazione delle idee scientifiche. Ma l’educazione letteraria ha anche un
aspetto più grave. Non solo essa non riesce a educare lo studente, che
spesso poi diventerà un insegnante, alla comprensione del più grande
movimento spirituale del proprio tempo, ma spesso non riesce neppure a
educarlo all’onestà intellettuale. Soltanto se lo studente fa la diretta
esperienza di quanto facile sia errare e di quanto difficile sia fare anche un
piccolo progresso nel campo della conoscenza, soltanto in tal caso egli può
farsi un’impressione vissuta dei criteri di onestà intellettuale, può giungere
al rispetto della verità e al disprezzo dell’autorità e della presunzione. Ma
nulla è oggi più necessario della diffusione di queste modeste virtù
intellettuali. 75
75
Ibid., pp. 374-375.
76
Ibid., p. 375.
40
Concludiamo questo capitolo ricordando una più recente (benché
dalle origini molto lontane) e provocatoria ‘proposta’ di Popper per
migliorare la scuola, da cui traspare con tutta evidenza la sua
preoccupazione di garantire ai bambini un ambiente formativo dotato di
quegli educatori e di quegli inputs idonei a liberare e attualizzare nel modo
più creativo e moralmente ‘positivo’ possibile tutte le loro disposizioni
innate ad apprendere e ad adattarsi all’ambiente in cui vivono. Non sarà
superfluo far osservare che nella pagina precedente a quella in cui si trova il
passo che citiamo si trova un’allusione proprio al luogo della Società aperta
riportato nella sezione precedente:
77
Karl R. Popper - Konrad Lorenz, Il futuro è aperto, cit., pp. 153-154.
41
CAPITOLO SECONDO
IL PROBLEMA TELEVISIONE
E L’INSEGNAMENTO DELL’ULTIMO POPPER
78
U. Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1964 (noi citeremo dalla riedizione
del 1990).
42
primaria, ma allusivi perché dissonanti, come altrettante prospettive su
possibilità diverse, su direzioni divergenti, su di un’altra organizzazione che
potrebbe essere imposta agli eventi”.79 Si comprende, pertanto, la
conclusione ‘pedagogica’ di queste riflessioni teoriche sulle tecniche di
composizione artistica:
43
iniziali dello scritto, dove si affrontano questioni strettamente estetiche
legate al tema della discussione, incentrata sul rapporto tra arte
cinematografica ed (eventuale) arte televisiva. Nelle sezioni successive,
invece, Eco si sofferma più specificamente sulla televisione in quanto
linguaggio e fenomeno di costume che richiede, a motivo del suo enorme
potere di influenza e quindi dei pericoli antidemocratici che essa porta con
sé, un’attenzione politica e culturale da parte sia degli intellettuali che dello
Stato.
Richiamandosi agli studi condotti all’inizio degli anni ’60 da Gilbert
Cohen-Séat sulla ‘information visuelle’, Eco esplora il problema del
rapporto tra vigilanza critica e partecipazione emotiva dello spettatore
televisivo che, immerso sin da bambino in una sorta di avvolgente
“iconosfera”, si trova nella particolare condizione di fruitore in gran parte
passivo di un linguaggio dell’immagine (o iconico). A tal proposito, egli
sottolinea il significato politico-culturale che storicamente ha caratterizzato
la distinzione tra linguaggio verbale e linguaggio iconico:
1995, pp. 86-87). Come si vedrà, la visione ‘apocalittica’ pasoliniana, benché fondata su
ragioni ideologiche (per lui marxista, la televisione era uno strumento di ‘omologazione’
delle masse nelle mani del Potere capitalistico), anticipa alcune questioni pedagogiche
che ritornano nell’analisi di Popper.
83
In Eco, Apocalittici e integrati, cit., pp. 345-346. Sul concetto di “iconosfera”, cfr. G.
Cohen-Séat, Problèmes du Cinéma et de l’Information Visuelle, Paris, P.U.F., 1961 e
L’Action sur l’Homme: Cinéma et Télévision, Paris, Denoël, 1961. Sullo specifico
problema del rapporto bambino-iconosfera, cfr. anche Evelina Tarroni, Psicologia e
comunicazioni di massa, Teramo, E.I.T., 1974, in part. cap. IV, pp. 105-133, intitolato
proprio “Il bambino e l’iconosfera” (nel cap. I, p. 13 e sgg., il concetto di “iconosfera” è
definito proprio in riferimento agli studi di Cohen-Séat).
44
desiderato e valorizzato dalla nostra tensione”.84 Non appena ha inizio la
fruizione vera e propria, possono darsi varie modalità di coinvolgimento
emotivo, che dipendono soprattutto dal grado di acculturazione e di
autodifesa critica del telespettatore. Si può andare, così, dal “distacco
critico più totale” al “giudizio critico che accompagna la fruizione”, e
passando attraverso uno stato di “evasione irresponsabile”, si può arrivare
“sino alla partecipazione, alla fascinazione o (in casi patologici) all’ipnosi
vera e propria”.85
La cosa importante, poi, è che la vigilanza critica di fronte al
linguaggio televisivo è in genere piuttosto scarsa (per i motivi che subito
vedremo), e persino i professionisti che vedono un film da critici
cinematografici raggiungono il dovuto distacco critico solo a partire dalla
seconda visione:
84
In Eco, Apocalittici e integrati, cit., p. 332.
85
Ibidem.
86
Ibidem.
87
Ibid., pp. 332-333.
45
impone alla nostra coscienza con una immediatezza tale da non richiedere
alcuna forma di attività critica da parte del destinatario:
46
nella persuasione che essa sia ormai “uno dei fenomeni base della nostra
civiltà”, e che pertanto occorra anche “incoraggiarla nelle sue tendenze più
valide”.90 In accordo con l’impianto del suo libro, che in relazione ai vari
fenomeni della comunicazione e della cultura di massa cerca di proporre un
punto di vista che si collochi in una posizione intermedia tra quello degli
intellettuali “apocalittici”, cioè chiusi in una posizione di aristocratico e
pessimistico distacco nei confronti di ogni nuovo prodotto del progresso
tecnologico, e quello degli intellettuali “integrati”, cioè entusiasticamente e
dogmaticamente favorevoli a ogni portato della modernità, Eco prende le
distanze sia dal “manicheo” che (come Pasolini e altri) giudica il mezzo
televisivo “irrimediabilmente cattivo”, sia dall’“irresponsabile tecnolatra
che giudica buono il nuovo mezzo per il semplice fatto che è e prospera”91:
In realtà non vi è nessun portato della tecnica umana che non possa essere
strumentalizzato quando si abbia davvero una ideologia in base alla quale
programmare le nostre operazioni; e quanto alla televisione non sono rari i
casi in cui ci si è resi conto che una saggia strutturazione dei programmi ha
prodotto mutamenti assolutamente positivi. 92
Sulla base di questo assunto, per cui un qualsiasi mezzo della tecnica
non è intrinsecamente intriso di ideologia (buona o cattiva), ma è in sé
neutrale e può essere piegato a usi e scopi scelti dagli uomini di governo
sulla base di programmi ideologici ben precisi e chiaramente esibiti (che
investono anche la cultura e la pedagogia), Eco accoglie la proposta
avanzata da Adriano Bellotto nel suo La televisione inutile (Milano,
Comunità, 1962), difendendo un punto di vista ispirato a “una forma di
responsabile ‘dirigismo’ culturale”, volto a fare della televisione un veicolo
di “democratizzazione e diffusione della cultura”:
90
In Eco, Apocalittici e integrati, cit., p. 317.
91
Ibid., p. 353.
92
Ibid., p. 351.
93
Ibid., pp. 352-353.
47
Le conclusioni cui Eco perveniva all’inizio degli anni ’60 - quando
la televisione viveva la sua fase aurorale e non esercitava quella pressione
così massiccia, babelica e minacciosa che esercita oggi, e che ha finito per
togliere il sonno persino a un filosofo dichiaratamente ‘ottimista’ come
Popper, il quale ha conosciuto da vicino tutti gli orrori di questo secolo,
dalle due guerre mondiali ai regimi totalitari - sono dunque improntate a un
cauto ottimismo, non disgiunto da una piena consapevolezza dei pericolosi
limiti strutturali che ineriscono alla televisione in quanto mero strumento di
comunicazione:
94
Ibid., p. 356.
95
Ibid., p. 357.
48
Si comprende, allora, non solo quanto sia vivo ancora oggi
l’avvertimento lanciato da Eco più di trentacinque anni fa, ma anche che la
sua proposta del “cauto dirigismo culturale”, ispirata dalla consapevolezza
della enorme responsabilità pedagogica di cui è investito tanto chi
amministra quanto chi fa televisione, presenta delle notevoli affinità con la
provocatoria e quasi disperata invocazione da parte dell’ultimo Popper di
una patente per fare televisione nell’epoca del suo massimo potere
d’influenza e della sua più vasta diffusione.
Per comprendere il ruolo della televisione nella vita dei bambini [...] è
importante cominciare da un’ampia panoramica delle loro esigenze. Come
fa un bambino a diventare un componente utile della società? In che modo
si lavora sulla sua immaturità per prepararlo alla vita adulta? Come passa il
tempo? Il tempo è un’unità di misura assai utile perché, a differenza delle
ricchezze e delle opportunità, è un bene identico per tutti. Se la giornata è
fatta di 24 ore, e se di queste 24 ore molti ne trascorrono 16 svegli, il totale
96
Condry fa riferimento ai bambini americani, perché è ad essi che si riferiscono gli studi
da lui citati; ma per i nostri scopi noi possiamo omettere tale restrizione e intendere per
“bambini” più generalmente i bambini che vivono nelle società cosiddette ‘occidentali’,
comprendendovi anche quelli che vivono nei paesi in via di sviluppo, che di quelli
occidentali assorbono soprattutto i modelli (positivi e negativi) veicolati proprio dalla
televisione.
49
delle 112 ore settimanali di veglia costituisce un oggetto di studio
appropriato. Come trascorrono quelle 112 ore i bambini [...] di oggi, specie
quelli di età compresa fra 3 e 11 anni? [...]
Si sa che nella settimana-tipo i bambini [...] trascorrono all’incirca 40 ore
guardando la televisione e giocando con i videogiochi. Se a queste si
aggiungono le 40 ore di scuola, compreso il tempo per andarvi e tornarvi e
per fare i compiti a casa, restano soltanto 32 ore per avere rapporti con i
coetanei e i familiari. Se vogliamo capire che cosa sanno i bambini sul
mondo e su se stessi, occorrerà esaminare con attenzione l’ambiente creato
dalla famiglia, dalla scuola, dai coetanei e in particolare dalla televisione. Il
ruolo svolto da quest’ultima nel creare un ambiente in cui i bambini
socializzano merita di essere studiato. 97
97
Condry, Ladra di tempo, serva infedele, in K. Popper - J. Condry, Cattiva maestra
televisione, cit., pp. 28-29.
98
Ibid., p. 28.
50
consumistiche, i gusti, i costumi e spesso persino le idee politiche,
“l’esposizione basta da sola ad influenzare lo spettatore” 99, e questa
influenza può coinvolgere i comportamenti sociali e culturali, se non
addirittura la salute:
51
argomento. Atteggiamenti del genere banalizzano l’interesse e ostacolano
l’apprendimento; dicono ai bambini di non lasciarsi coinvolgere troppo da
nulla. C’è forse da stupirsi se gli insegnanti riferiscono che l’attenzione
degli alunni è discontinua, che non si soffermano mai a lungo su nulla,
neppure sugli argomenti che hanno scelto loro stessi? Né la televisione né la
scuola promuovono l’interesse verso le materie di studio al di là di quel che
consente l’orologio; questo banalizza la ricerca del sapere. 101
52
esattamente il tipo di etica richiesta in una civiltà democratica, ovvero in ciò
che Popper chiama una ‘società aperta’.
D’altra parte, e ciò avviene soprattutto nelle sitcom, oltre che nei
cartoni animati, “il contenuto della televisione destinata ai bambini presenta
personaggi maschili e femminili in ruoli stereotipati”104, e questo determina
in chi guarda troppo la televisione una visione distorta, perché
ultrasemplificata, delle reali situazioni sociali. Oltre che dei ruoli sessuali, la
televisione diffonde immagini fortemente stereotipate anche delle categorie
sociali (ricchi, poveri, medici, poliziotti, malati mentali ecc.), ciò che
contribuisce notevolmente alla percezione statica e distorta della vita reale
di cui si parlava. Secondo Condry, la sempre più diffusa crudeltà dei
bambini, il loro scarso senso di solidarietà, il fatto che tendano ad assumere
un atteggiamento di scherno nei confronti dei poveri e di chi ha bisogno di
aiuto, può essere connesso con il tipo di codice etico-sociale propagandato
da certa televisione (si pensi alle telenovelas, ai serials e alle soap operas):
53
Il meccanismo di distorsione messo in pratica dalla televisione è
smascherato da Condry attraverso il riferimento ad altre analisi statistiche
che riguardano da un lato la peculiarità degli ‘insegnamenti’ che
provengono dalla televisione e dall’altro la stessa “struttura dei valori in
TV”.
Per quanto riguarda gli ‘insegnamenti’ che provengono dalla TV,
Condry prende come esempio quelli relativi alla droga e al sesso. Da una
indagine condotta da lui e da altri ricercatori sul contenuto di un campione
di programmi (compresa la pubblicità) del 1989, è emerso che, sebbene il
governo degli Stati Uniti fosse impegnato in una campagna anti-droga e
svariate organizzazioni finanziassero spot pubblicitari rivolti ai giovani per
esortarli a non fare uso di droghe, i messaggi pro-droga disseminati nelle
varie trasmissioni televisive sotto forma di incitamento al consumo di
sigarette e di alcool erano tali che per ogni messaggio anti-droga ce n’erano
6 pro-droga, e in alcuni casi (come per l’alcool), il rapporto saliva a 10 a
1107:
lezione di questo secolo, intervista di Giancarlo Bosetti, Venezia, Marsilio, 1992, p. 36).
107
Cfr. Condry, op. cit., p. 39.
108
Ibid., p. 40.
54
sessuale non si può imparare dalla televisione, e questo per due motivi:
primo, le rappresentazioni sono generalmente false e distorte; secondo,
nulla ci viene detto su quel che potremmo preferire nella gamma di
possibilità che esistono.109
109
Ibid., pp. 41-42.
110
Ibid., pp. 42-43.
55
i cattivi non possono fare nulla di buono. Questa è la concezione morale di
un bambino di 5 anni. 111
111
Ibid., p. 45.
112
Cfr. ibid., p. 46.
113
Ibid., p. 47.
56
Le conclusioni di Condry, alla luce dei risultati apocalittici delle sue
stesse analisi sullo stato della televisione dei primi anni ’90, sono
improntate a un pessimismo quasi senza speranza. La televisione non può
mai diventare una buona maestra per i bambini, perché i fini che essa per
sua stessa natura persegue non prevedono affatto la crescita critico-
intellettuale del suo pubblico. Essa è uno strumento commerciale il cui
unico scopo è quello di intrattenere (ovvero di trattenere) il pubblico con
qualsiasi pretesto, informazione, fiction, varietà, ecc., in vista del momento
più importante per la sua sopravvivenza, i “consigli per gli acquisti”; e per
raggiungere questo fine essa deve stimolare continuamente l’attenzione per
evitare ogni assuefazione distratta e desensibilizzata del telespettatore,
ricorrendo in maniera sempre più massiccia alla spettacolarizzazione di
tutto, si tratti della realtà o della finzione, e usando come ingrediente tutto
ciò che contemporaneamente turba e coinvolge morbosamente, per cui il
sesso e la violenza vengono a essere investiti di una funzione insostituibile
proprio in ragione dei meccanismi più elementari e primordiali di
funzionamento della psiche umana. Tuttavia, nota Condry, “pur essendo
responsabile dei suoi contenuti, la televisione non può essere incolpata del
modo in cui la gente la usa”.114 Una parte della responsabilità di questo uso
alienato e acritico della televisione è da attribuire alla scuola, la quale,
abbandonando i bambini all’ignoranza dei rischi insiti nell’abuso di un
mezzo così pericoloso, è venuta meno a uno dei suoi compiti più importanti,
che è appunto quello “di insegnare qualcosa della nostra cultura”, 115 e quindi
di uno dei suoi derivati dagli effetti sui comportamenti collettivi tra i più
rivoluzionari in tutta la storia del genere umano.
Da tutto ciò emerge che la televisione, pur essendo destinata ancora
per molto tempo ad occupare un posto assolutamente invadente
nell’ambiente formativo degli esseri umani, non potrà mai insegnare nulla
di veramente importante e utile ai bambini. E se è pur vero che i suoi
contenuti possono essere notevolmente migliorati, questo non deve
ingenerare l’erronea convinzione che in tal modo essa potrà trasformarsi in
una guida valida per la crescita umana e intellettuale dei bambini:
114
Ibid., p. 49.
115
Ibidem.
116
Ibid., p. 50.
57
II.3. La tesi di Popper
Su questo ho tenuto, anni fa, una lezione alla Camera dei Lords su
richiesta del partito socialdemocratico britannico. La mia tesi era, ed è, che
noi stiamo oggi educando i nostri bambini alla violenza attraverso la
televisione e gli altri mezzi di comunicazione. Dissi allora, e penso tuttora,
che purtroppo noi abbiamo bisogno della censura. 117
58
eccellenza della censura - è che la televisione, diffusa ormai praticamente in
tutte le case del pianeta, riversa indiscriminatamente attraverso il tubo
catodico una quantità inaudita di immagini violente in ambienti familiari
dove l’esperienza della violenza è una rarissima eccezione nella vita degli
individui. Questa idea è al centro di un’intervista rilasciata a Giancarlo
Bosetti e apparsa a pagina 3 dell’Unità del 25 gennaio 1994 col titolo “La
televisione corrompe l’umanità”. La corruzione morale che ha in mente
Popper quando si parla di televisione riguarda soprattutto la crescita della
criminalità minorile e l’assuefazione alla violenza (con la conseguente
accettazione della violenza come fatto normale) da parte delle giovani
generazioni; e quando gli viene chiesto come faccia ad attribuire tutto
questo all’influenza negativa della televisione, egli osserva
semplicemente che non può esserci altra causa che questa, dal momento
che, anche se è vero che la grande responsabile dell’immissione della
violenza nella società è la guerra, è altrettanto vero che l’ultima guerra
mondiale è finita da mezzo secolo. Per esemplificare la sua idea, Popper
racconta un’esperienza personale:
59
vita. La TV ha una formula imbattibile, quella dell’“azione”. «Azione,
azione», è questa l’intera filosofia dei produttori TV. E che cosa può
contrapporre un insegnante? Soltanto razionalità. Questa opposizione,
dall’inizio della storia della TV, ha impiegato un tempo considerevole per
svilupparsi, e ha raggiunto il suo pieno impatto solo negli ultimi dieci-
quindici anni. Poi è venuta giù come una valanga. L’opposizione degli
insegnanti è senza speranza. 123
io voglio introdurre per coloro che fanno televisione una forma di disciplina
e di autodisciplina come quella che regola il traffico stradale. Per guidare ci
vuole la patente, no? Bene, facciamo la stessa cosa per la TV.
60
speranza, perché basata sull’assunto psico-pedagogico che “la televisione
non può insegnare ai bambini ciò che debbono sapere via via che crescono e
diventano adolescenti e poi adulti”125:
61
naturalmente che si tratta di un compito difficile, da affidare a persone di
talento in grado di realizzare cose interessanti e buone):
62
“non c’è nulla nella democrazia che giustifichi le tesi di quel capo della TV,
secondo il quale il fatto di offrire trasmissioni a livelli sempre peggiori dal
punto di vista educativo corrispondeva ai principi della democrazia ‘perché
la gente lo vuole’. Ma in questo modo saremo costretti ad andare tutti al
diavolo!”133.
Come abbiamo visto nel primo capitolo, l’idea di democrazia su cui
si basa la filosofia popperiana della politica comprende solo il principio
regolatore della difesa dalla dittatura, ma ciò non toglie che sia anche
compito di una democrazia far sì che chi dispone di più conoscenza possa
offrirne a chi ne ha di meno.
133
Ibidem.
134
Ibid., p. 17.
135
Ibid., p. 19.
63
“esperti” intervistati in televisione, che Popper ricollega il problema
televisione con le sue teorie di psicologia cognitiva e di biologia
evoluzionistica elaborate soprattutto negli anni ’60 e ’70. In tal modo egli
vuole prendere una posizione “molto semplice e molto netta” nell’ambito
dell’annosa questione della “psicologia della relazione tra i bambini e la
TV”136. Il lungo passo che segue (di importanza cruciale per capire
pienamente il senso della preoccupazione pedagogica e della proposta etico-
amministrativa di Popper) va letto, dunque, alla luce del terzo paragrafo del
capitolo precedente, dove le idee psico-biologiche cui in esso si fa
riferimento sono state esposte con la dovuta completezza:
64
prodotto del Mondo 3, e se la regione del Mondo 3 con cui entra in
interazione non è quella che contiene i problemi più importanti per la
formazione umana e intellettuale e le soluzioni più adatte, né quella delle
teorie scientifiche, delle opere d’arte, e degli altri prodotti culturali più
evoluti, ma quella presentata sotto la forma visibile della truculenza e della
volgarità, espressioni della dimensione biologica più primitiva della specie
umana, allora si comprende che i bambini sono costretti dall’attuale
televisione a passare gran parte del loro tempo e ad impegnare le proprie
capacità di apprendimento con i sottoprodotti di un cascame culturale che fa
appello più alla morbosità degli istinti che alla ragione e ai sentimenti di
umanità. Ecco perché Popper giunge persino a paragonare la televisione a
una bomba che minaccia la nostra specie: dal momento che essa risponde
solo alla logica dell’intrattenimento, spregiudicatamente inseguito mediante
il ricorso a ogni mezzo in grado di ipnotizzare l’attenzione e di inibire le
capacità di reazione critica (le sole che hanno permesso all’umanità di
evolversi creando il linguaggio argomentativo e il Mondo 3 delle teorie
scientifiche), essa è semplicemente in grado di far percorrere all’umanità al
contrario tutto il percorso della civilizzazione.
Subito dopo il passo citato, e prima di venire “al problema di che
cosa fare”, Popper ricorda ancora una volta il suo passato di giovane
educatore dei bambini provenienti da famiglie tormentate dalla violenza e
dall’alcolismo dei padri, e fa osservare che dal punto di vista del bambino, il
quale non ha la capacità di distinguere tra finzione e realtà, non c’è molta
differenza tra la violenza vera vissuta in famiglia e quella finta vista in
televisione. Ecco perché la situazione dei suoi bambini di Vienna finiti
all’Istituto per il recupero, il cui ambiente era dominato dalla violenza degli
adulti, è del tutto simile a quella dei bambini di oggi, i quali, vivendo per lo
più in ambienti familiari pacifici, assistono giornalmente a una quantità
enorme di crimini e atti violenti a causa della loro esposizione alla
televisione.138
Se ora ci si chiede se si possa fare qualcosa per porre in
qualche modo rimedio a questo stato di cose, si devono fare i conti
soprattutto con le obiezioni che sottolineano le difficoltà per gli stati
democratici derivanti dall’ipotesi di ricorrere alla censura, sicché il
pessimismo e il senso di impotenza alla Condry sembrano inevitabili.
Infatti, ammettendo pure di introdurre la censura (che inevitabilmente si
sposa male con il liberalismo e la democrazia), essa sarebbe praticamente
inefficace “perché arriverebbe sempre in ritardo e sarebbe praticamente
impossibile da organizzare il lavoro di un censore preventivo sulle
trasmissioni”.139
Con questa argomentazione, come si vede, Popper abbandona
l’ipotesi della censura che egli stesso, come abbiamo visto all’inizio di
questo paragrafo, aveva invocato fino al 1992. Altrettanto inefficaci
138
Cfr. Ibid., p. 20.
139
Ibidem.
65
sarebbero degli interventi disciplinari a posteriori nei confronti di quegli
operatori televisivi che fanno largo uso della violenza. La proposta che egli
ha avanzato tra il 1993 e il 1994 si basa, oltre che su quello già menzionato
del codice della strada, “sul modello fornito dai medici e dalla forma di
controllo generalmente istituita per la loro disciplina”.140 Poiché è
riconosciuto che i medici detengono un grandissimo potere sulla vita e sulla
morte degli individui, essi sono controllati in maniera democratica da
un’organizzazione gestita da loro stessi e dalle leggi statali che definiscono
le funzioni di tale organizzazione:
Io propongo che una organizzazione simile sia creata dallo Stato per tutti
coloro che sono coinvolti nella produzione di televisione. Chiunque sia
collegato alla produzione televisiva deve avere una patente, una licenza, un
brevetto, che gli possa essere ritirato a vita qualora agisca in contrasto con
certi principi. Questa è la via attraverso la quale io vorrei che si
introducesse finalmente una disciplina in questo campo. Chiunque faccia
televisione deve necessariamente essere organizzato, deve avere una
patente. E chiunque faccia qualcosa che non avrebbe dovuto fare secondo le
regole dell’organizzazione, e sulla base del giudizio dell’organizzazione,
può perdere questa patente. L’organismo che avrà la facoltà di ritirare la
patente sarà una sorta di Corte. Perciò tutti, in un sistema televisivo che
operasse secondo la mia proposta, si sentirebbe sotto la costante
supervisione di questo organismo e dovrebbe sentirsi costantemente nelle
condizioni di chi, se commette un errore, sempre in base alle regole fissate
dall’organizzazione, può perdere la licenza. 141
Uno degli scopi principali del corso sarà quello di insegnare a colui che si
candida a produrre televisione che, di fatto, gli piaccia o no, sarà coinvolto
nella educazione di massa, in un tipo di educazione che è terribilmente
potente e importante. Di questo si dovranno rendere conto, volenti o
nolenti, tutti coloro che sono coinvolti nel fare televisione: agiscono come
educatori perché la televisione porta le sue immagini sia davanti ai bambini
e ai giovani che agli adulti. Chi fa televisione deve sapere di aver parte
nella educazione degli uni e degli altri. [...] Ritengo che i corsi debbano
essere basati sull’insegnamento dell’importanza fondamentale della
educazione, delle sue difficoltà e del fatto che il punto centrale del processo
educativo non consiste soltanto nell’insegnare fatti, ma nell’insegnare
quanto sia importante l’eliminazione della violenza. 142
140
Ibid., p. 21.
141
Ibid., pp. 21-22.
142
Ibid., p. 22.
66
illustrato nella sezione 2.3 del capitolo precedente (si veda in particolare la
citazione del passo conclusivo del primo volume de L’io e il suo cervello,
nel testo relativo alla nota 54 del primo capitolo). Si tratta dell’idea che il
superamento dei meccanismi violenti della selezione naturale darwiniana -
reso possibile dall’emergenza del linguaggio argomentativo e del Mondo 3
umano, che consentono di eliminare pacificamente le teorie inadatte (cioè
falsificate) formulate linguisticamente e oggettivate (ad esempio nei libri),
piuttosto che i loro portatori biologici (cioè i corpi umani), come invece
accade ancora per gli animali, i quali hanno raramente il tempo e il modo di
apprendere dai loro errori, essendo questi quasi sempre letali - può ben
considerarsi un importantissimo passo in avanti nella storia evolutiva,
perché in questo modo è come se la selezione naturale avesse superato se
stessa. Di conseguenza per Popper il grado di civilizzazione di una società è
inversamente proporzionale al grado di violenza che essa tollera sotto
qualsiasi forma, compresa naturalmente quella simulata nella fiction
televisiva:
67
di fatto al controllo della gente che lavora alle sue dipendenze”144. Solo in
questo modo il controllo e l’autocontrollo della televisione ne ricondurranno
il potere di influenza entro una dimensione compatibile con la democrazia,
la quale può esistere solo a condizione che qualsiasi tipo di potere, da quello
politico a quello economico, da quello giudiziario a quello dei mass
media, sia posto sotto controllo e sia pertanto suscettibile di essere criticato
ed eventualmente eliminato, se dovesse arrivare al punto da minacciare
direttamente la sopravvivenza stessa della democrazia.
CAPITOLO TERZO
144
Ibid., p. 24.
145
In Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra televisione, cit., p. 11, nota 4.
68
Gli attacchi alla televisione, infatti, risalgono ai primi giorni della
sua nascita e, come abbiamo ricordato nel primo paragrafo del capitolo
precedente, è esistita ed esiste tutta una schiera di intellettuali ‘apocalittici’
o ‘manichei’, come direbbe Eco, alcuni dei quali di ispirazione marxista e
pregiudizialmente ostili al progresso tecnologico, che considerano la
televisione come negativa in sé, in quanto prodotto (o sottoprodotto) della
civiltà della tecnica, organico con gli interessi economici del sistema
capitalistico euro-americano e utilizzato come strumento propagandistico di
omologazione all’Ideologia Unica del consumismo. In questo senso, la
posizione di Popper non sarebbe altro che una delle tante voci di un coro di
cui si conosce già la canzone.
Il problema, invece, è che il grido di allarme proviene da uno dei
massimi teorici del liberalismo politico e del liberismo economico, dal
critico implacabile del marxismo e di tutti gli idealismi storicistici (per
definizione denigratori della conoscenza scientifica e dei suoi ‘cascami’
tecnologici), nonché dal più appassionato difensore del valore della scienza
e delle sue applicazioni tecnologiche quali strumenti biologici esosomatici
di adattamento e di progresso civile e culturale. Come fa, dunque, Popper a
prendersela con la televisione di oggi, la quale in fin dei conti è il risultato
della scienza applicata, del liberismo economico e della libertà di
espressione, tutte componenti che sono state da lui sempre difese? In effetti,
come nota Bosetti, “il problema televisione si presentava, nel cammino
della società aperta verso un mondo migliore, come un terribile inciampo,
dal momento che la TV è figlia, oltre che del progresso tecnologico, anche
della libertà”.146
Come si vede, sembrerebbe che a voler coniugare l’idea di una
‘patente’ per fare televisione con quella della ‘società aperta’, si cada in una
sorta di insuperabile contraddizione in termini. E’ da questa difficoltà prima
facie, allora, che bisogna partire per comprendere appieno il senso politico,
oltre che psico-pedagogico, della proposta di Popper.
Noi qui cercheremo di enucleare distintamente le obiezioni più
importanti che possono essere mosse ad essa, ricostruendo puntualmente le
contro-argomentazioni di Popper, al fine di dimostrare che in effetti, sotto la
superficie della contraddittorietà, la patente per fare televisione era
concepita dal nostro filosofo addirittura come una sorta di condizione a
priori di possibilità per la stessa democrazia (fondamento della società
aperta) nell’era del villaggio globale.
Le tre obiezioni che prenderemo in considerazione, tutte presentate
direttamente allo stesso Popper da Bosetti nel corso delle interviste già
ricordate del 1991 e del 1994, investono tre campi diversi, ma tra loro
collegati, degli interessi del filosofo: 1) l’evoluzione biologica; 2) il
progresso tecnico-scientifico; 3) il liberalismo politico.
1) La prima obiezione collega il problema del rapporto televisione-
bambini a quello più generale dell’adattabilità degli organismi viventi al
146
Ibid., p. 9.
69
loro ambiente naturale. Essa può essere formulata nel modo seguente: Se,
come Popper ha spesso sottolineato, tutti gli esseri viventi, e soprattutto
l’uomo, vengono al mondo dotati di un bagaglio considerevole di
disposizioni o capacità adattive innate, perché allora il bambino non
dovrebbe riuscire a dominare (e quindi a vivere bene in) un ambiente in cui
è presente un oggetto pur complesso e insidioso come la televisione?147
La premessa teorica della risposta a questa prima obiezione è
implicita nel passo di Una patente per fare TV citato nel testo relativo alla
nota 60 del capitolo precedente. A Bosetti Popper replicava: “Sì, i bambini
si adattano, se esposti costantemente a situazioni estreme, ma l’adattamento
alla violenza è proprio il problema di cui stiamo parlando. La conseguenza
più coerente dell’adattamento è un futuro in cui anche loro compreranno
una pistola”.148 L’adattamento all’ambiente, in effetti, è un processo per cui
l’organismo apprende a riprodurre delle risposte comportamentali che
possono considerarsi come delle aspettative, e cioè, nella terminologia di
Popper, delle vere e proprie ipotesi o teorie sul modo di presentarsi in
futuro di certe situazioni dell’ambiente. Gli organismi, infatti, “sono in
attesa di regolarità e di legalità nel loro ambiente, e la maggior parte di
queste attese sono [...] condizionate geneticamente, cioè innate”. 149 In
questo modo, un organismo è portato biologicamente, oltre che a imparare a
differenziare le risposte a seconda delle diverse sfumature degli stimoli (per
esempio distinguendo un frutto edule da uno letale e di aspetto molto simile
al primo), anche a generalizzare le risposte comportamentali, cioè a reagire
allo stesso modo di fronte a stimoli interpretati come simili. Questo
processo di generalizzazione, ben noto agli psicologi, fa sì ad esempio che i
bambini sovraesposti a immagini televisive violente apprendano delle
risposte comportamentali (come la paura e l’aggressività) adeguate alle
situazioni ambientali, finendo addirittura non solo con l’assuefarsi ad esse
ma a considerarle del tutto naturali, cioè tipiche del loro ambiente. In questo
modo è giocoforza che la violenza finisca con il costituire una delle
componenti strutturali della loro formazione umana e intellettuale:
147
Cfr. Popper, Come io vedo il duemila, cit., p. 126. Ho parafrasato la prima obiezione di
Bosetti nell’intervista del 25 gennaio 1994.
148
Ibidem.
149
Popper, Tutta la vita è risolvere problemi, Milano, Rusconi, 1996, cap. 1, p. 22.
150
Popper, La lezione di questo secolo, cit., pp. 36-37.
70
Come si vede, la prima obiezione non coglie nel segno, anzi finisce
col rafforzare la posizione di Popper con argomenti di carattere psico-
biologico basati su teorie del comportamento animale (alcune delle quali
elaborate dallo stesso Popper per superare quelle della scuola behaviourista)
ormai ampiamente accettate.
2) La seconda obiezione chiama in causa il progresso della scienza e
della tecnica, che Popper ha sempre auspicato e difeso, inserendolo nel
quadro più generale dell’evoluzione e dell’adattamento biologico. Se, come
egli stesso ha detto e ripetuto innumerevoli volte, dal punto di vista
puramente adattivo qualunque invenzione tecnologica (resa possibile
dall’emergenza evolutiva delle funzioni superiori del linguaggio e dalle
teorie che costituiscono la “provincia logica” del Mondo 3) sta all’uomo
come un nuovo organo (o un nuovo comportamento) sta agli altri animali151,
allora, rileva Bosetti, “non si può fermare la televisione. E’ assurdo, è come
pensare a un mondo senza elettricità, senza telefono ...” 152.
Il contro-argomento di Popper a questa obiezione (che nei termini di
Eco si potrebbe chiamare ‘l’obiezione del tecnolatra’, e che lo stesso Popper
non prende molto sul serio) è incentrato sul concetto di regola:
71
uno o più organi o ne crea di nuovi (o come una modificazione nel
repertorio comportamentale che comporti, ad esempio, nuove preferenze
alimentari), può essere letale per un singolo individuo o per l’intera
popolazione animale, allo stesso modo una nuova invenzione tecnologica
può comportare conseguenze impreviste in grado di minacciare la
sopravvivenza della specie umana, o perlomeno delle sue conquiste civili e
culturali. Il grado di imprevedibilità di tali conseguenze, naturalmente, varia
a seconda dei casi. Nel caso della bomba atomica, ad esempio, la
distruttività è stata in gran parte programmata, anche se poi la corsa
planetaria all’armamento nucleare ha reso chiaro a tutti che una terza guerra
mondiale a colpi di bombe atomiche non avrebbe avuto vincitori, ma solo la
scomparsa del genere umano (e non solo) dalla faccia della terra. Nel caso
della televisione, invece, il pericolo che essa può costituire per l’umanità, a
causa dei suoi effetti psico-pedagogico incontrollabili, è andato emergendo
lentamente nel corso degli ultimi due decenni, e molti ancora non ne hanno
un’adeguata consapevolezza. Come osserva Bosetti, Popper “sembra trattare
l’invenzione della TV e i suoi effetti sociali come qualcosa di cui la nostra
epoca non è ancora pienamente cosciente”154. E come vedremo nel prossimo
punto, neppure i nemici della democrazia hanno ancora compreso bene
quale strumento di “potere infinito” può essere la televisione.
3) La terza obiezione è certamente la più importante, perché mette in
discussione le fondamenta stesse del pensiero politico di Popper. Come gli
diceva Bosetti, “le viene fatta anche un’obiezione di tipo liberale. Lei è il
teorico della “società aperta”, lei sostiene la funzione dell’economia di
mercato e poi, quando si parla di TV, vuole imporre regole di ferro”155. E’
parso infatti (ovviamente a commentatori alquanto superficiali) che l’autore
de La Società aperta e i suoi nemici avrebbe incluso quello di Una patente
per fare TV nella schiera dei “nemici” della “società aperta”, capeggiata da
Platone, Hegel e Marx. Come poteva difendersi Popper da una tale
obiezione? Dalla sua risposta si deduce che essa potrebbe essere mossa solo
da chi non abbia compreso né la Società aperta né Una patente per fare TV:
Ma anche questa obiezione che cosa significa? Il mercato non ha le sue
regole? E allora se un editore italiano pubblica un mio libro, non mi deve
pagare i diritti d’autore? E questa sarebbe contro la “società aperta”? In
ogni campo della vita sociale ci sarebbe il caos se non avessimo introdotto
delle regole. Ma non soltanto: per funzionare il mercato ha bisogno di un
certo ammontare di fiducia, di autodisciplina, di cooperazione oltre che di
regole. 156
154
G. Bosetti, “Introduzione” a Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra
televisione, cit., p. 10.
155
Popper, Come io vedo il Duemila, cit., p. 127.
156
Ibid., pp. 127-128. Cfr. anche la risposta data da Popper nel 1992 a Riccardo Chiaberge
(il quale, subito dopo il passo dell’intervista riportato nel testo relativo alla nota 42 del
capitolo precedente, gli obiettava: “La censura, professore? Le sembra un’idea
liberale?”): “A me la censura non piace, ma bisogna scegliere tra vari poteri, e i poteri si
devono controllare tra loro. Oggi chiunque può andare a lavorare in televisione. Io penso
invece che uno che fa un mestiere così delicato dovrebbe avere quanto meno una licenza,
72
Già nell’intervista del 1991, subito dopo l’affermazione di Popper
che, di fronte all’incontrollato dilagare della violenza in televisione,
“purtroppo noi abbiamo bisogno della censura”, Bosetti gli faceva
osservare: “Colpisce che questa affermazione la faccia un liberale come lei.
Il tema della degradazione dei mezzi di comunicazione di massa è infatti
una obiezione che viene rivolta spesso, soprattutto negli stati Uniti, ma
anche dalla cultura critica tedesca, al permissivismo dei liberali. La
denuncia dei guasti della pornografia e della violenza è un cavallo di
battaglia degli avversari del liberalismo”157. Come abbiamo già avuto modo
di rilevare, infatti, prima facie Popper si trova schierato con i più tipici
nemici del liberalismo e del progresso tecnico-scientifico, ovvero, nella sua
terminologia, con i falsi profeti nemici della società aperta. Popper
naturalmente, sa benissimo che la censura sulla televisione è incompatibile
con la libertà di espressione su cui si fonda una democrazia; nonostante ciò,
egli è pronto a bere il calice di una limitazione della libertà di espressione
(attuata magari con l’istituto della licenza, anziché con quello della
censura), in nome della salute mentale dei bambini:
Tutti i nostri valori hanno dei limiti. Ed è difficile tracciare questi limiti.
Così è con la libertà. E’ chiaro che la mia libertà deve avere dei limiti.
Come disse una volta un giudice americano: “Il limite della tua libertà di
frequentare dei corsi di psicologia, passare un esame. E se dimostra di non sapere usare in
modo irresponsabile il proprio potere, bisognerebbe ritirargli la licenza” (ivi, p. 106).
157
In Popper, La lezione di questo secolo, cit., p. 36 (cfr. anche supra, cap. II, § 3, testo
relativo alla nota 40).
158
Ibidem.
73
muovere i tuoi pugni come ti pare e piace è il naso del tuo vicino”.
Arriviamo così a ciò che il grande filosofo Kant ha descritto come le
inevitabili limitazioni della libertà dovute alla convivenza umana.159
in una certa misura siamo tutti corresponsabili col governo, anche se non
partecipiamo direttamente al governo. Ma la nostra corresponsabilità esige
libertà - molte libertà: la libertà di parola, la libertà di accesso alle
informazioni e la libertà di dare informazioni, la libertà di pubblicazione e
molte altre. Un “eccesso” di statalismo porta alla illibertà. Ma c’è anche un
“eccesso” di libertà. C’è purtroppo un abuso di libertà, analogo a un abuso
del potere statale. Si può abusare della libertà di parola e di stampa che, ad
esempio, possono essere usate per dare false informazioni e per sobillare. In
modo del tutto analogo il potere statale può abusare di ogni limitazione
della libertà.
Abbiamo bisogno della libertà per impedire che lo Stato abusi del suo
potere e abbiamo bisogno dello Stato per impedire l’abuso della libertà.
Questo è un problema che chiaramente non può mai essere risolto
astrattamente e in linea di principio con delle leggi.
E’ necessaria una corte costituzionale e, più di ogni altra cosa, una buona
volontà. [...] Dobbiamo accontentarci di soluzioni parziali e di
compromessi, e non ci è consentito farci indurre dalla nostra inclinazione
alla libertà a trascurare i problemi del suo abuso. 160
74
mette fine. In questo momento se ne abusa sicuramente, per esempio, in
Jugoslavia, ma l’abuso può avvenire dovunque. Se ne fece ovviamente
abuso in Russia. In Germania non c’era la televisione sotto Hitler, anche se
la sua propaganda fu costruita sistematicamente quasi con la potenza di una
televisione. Credo che un nuovo Hitler avrebbe, con la televisione, un
potere infinito.161
75
televisione è un’istituzione sociale, e tutte le istituzioni sociali sono
fallibili e possono raggiungere il loro scopo solo se la componente
umana che le fa funzionare è dotata di buona volontà e di senso di
responsabilità (come accade alle fortezze, che funzionano solo se è buona
la guarnigione), allora la patente funge da misura di intervento
tecnologico “a spizzico” mirato alla selezione e al miglioramento (dal
punto di vista della consapevolezza democratica e pedagogica) del
personale che la gestisce. In questo senso Popper si distingue dagli
‘apocalittici’, i quali da parte loro auspicherebbero un intervento
‘olistico’ mirato o alla trasformazione globale delle condizioni politiche
ed economiche che fanno da contesto al modo della produzione
televisiva, o addirittura all’abolizione stessa della televisione (Cfr. supra,
I.1.2, testo relativo alle note 17 e 22).
b) L’introduzione di una patente per fare televisione realizza una forma di
controllo democratico della televisione in quanto potere. Per quanto
riguarda il potere politico Popper ha auspicato, a partire dal celebre
primo paragrafo del capitolo VII della Società aperta (e fino agli ultimi
scritti di filosofia della politica), che alla vecchia domanda “Chi deve
governare?”, formulata per la prima volta da Platone e considerata
ancora oggi fondamentale, ne venisse sostituita un’altra, ben più
importante, del tipo: ‘Come possiamo organizzare le nostre istituzioni in
modo che i governanti cattivi e incapaci possano fare il minor danno
possibile e possano essere licenziati senza spargimento di sangue?’163. La
prima domanda, infatti, consente solo una risposta intrinsecamente
antidemocratica, qualunque essa sia: “i filosofi” (come voleva Platone), o
“la volontà generale” (come voleva Rousseau), o “il proletariato” (come
voleva Marx), o “i capitalisti e gli scienziati” (come voleva Saint-
Simon), o “la razza pura” (come voleva Hitler), o “la maggioranza del
popolo” (come vogliono le democrazie plebiscitarie), e così via. Il
problema politico vero, invece, è per Popper quello di costruire
istituzioni che consentano il ricambio pacifico della classe dirigente.
Questo approccio, dunque, può essere esteso alla televisione e al suo
governo. Infatti, come in politica il nostro compito non può essere quello
di addestrare leaders infallibili (come pretendeva di fare il Platone della
Repubblica), dal momento che non abbiamo, né possiamo avere, la
ricetta dello stato ideale sul cui modello forgiarli (ricetta che invece
Platone pensava di avere), allo stesso modo nella gestione della
163
Cfr. ad es., oltre a La società aperta e i suoi nemici, vol 1, cit., pp. 173-174, anche il
saggio Libertà e responsabilità intellettuale, letto a una conferenza tenutasi all’Università
di San Gallo nel giugno del 1989 e pubblicato prima come Appendice II a La lezione di
questo secolo, cit., pp. 81-96 e poi come cap. 11 di Tutta la vita è risolvere problemi, cit.,
pp. 219-232. In questo saggio, fra l’altro, Popper, in accordo con la sua metodologia
falsificazionista (che considera possibile solo l’eliminazione critica di ciò che non va),
contrapposta a quella verificazionista (che insegue la fondazione stabile e definitiva di ciò
che si vorrebbe che andasse), osserva: “Questa domanda pone l’accento non sul modo di
eleggere un governo, ma sulla possibilità della sua destituzione” (La lezione di questo
secolo, cit., p. 84; in Tutta la vita è risolvere problemi il passo è a p. 222).
76
televisione il compito di un governo non può essere quello di costruire
l’operatore televisivo modello. E d’altra parte, come in politica ciò che
possiamo fare è selezionare per tentativi ed errori una classe dirigente
sempre migliore attraverso lo strumento del voto, allo stesso modo nella
gestione della televisione il governo deve creare un meccanismo
attraverso il quale sia possibile rimuovere dall’incarico chi non rispetta il
codice di comportamento che ha sottoscritto al momento del rilascio
della licenza. Tutto ciò mostra che la soluzione avanzata da Popper per il
problema televisione è coerente con la sua teoria della “società aperta”,
che a sua volta è in perfetta consonanza con l’epistemologia
falsificazionista e col razionalismo critico.
c) Un mondo della televisione regolato dall’istituto della patente
assomiglierebbe, oltre che a una “società aperta”, anche a una “scuola
aperta” regolata dal principio per cui lo Stato deve garantire un’altra
occupazione agli insegnanti incapaci e svogliati. Come abbiamo visto in
I.3.2, Popper aveva un’idea ben precisa sul modo di migliorare la scuola,
elaborata sin dagli anni ’20 (quando era ancora un giovane insegnante), e
riproposta ancora negli anni ’80. Questa idea, anche se provocatoria e per
certi versi quasi paradossale, derivava dalla consapevolezza dell’enorme
importanza che rivestono gli insegnanti nella formazione umana e
intellettuale dei bambini. L’insegnante, naturalmente, ha già una sua
‘patente’, costituita dal titolo di studio. Ora, secondo Popper, un
insegnante che si rivelasse un educatore incapace e infelice dovrebbe
essere aiutato dallo Stato a cambiare mestiere e a lasciare così il suo
posto a un altro insegnante più giovane e motivato. Un insegnante
frustrato e costretto a rimanere al suo posto solo perché non saprebbe
cos’altro fare, infatti, non farebbe altro che formare allievi svogliati,
timorosi e ostili allo studio, cioè individui destinati all’infelicità e
all’emarginazione civile e culturale. La stessa situazione si presenta per
gli educatori televisivi nella proposta di Popper: a chi si rivelasse
responsabile di una televisione diseducativa, dovrebbe essere ritirata la
patente e offerta l’opportunità di un lavoro diverso e più innocuo dal
punto di vista delle ripercussioni socio-psico-pedagogiche soprattutto sui
bambini.
d) L’analisi della psicologia del rapporto bambini-TV è strettamente
connessa con l’“evolutionary approach” ai problemi della conoscenza e
dell’apprendimento, elaborato e difeso da Popper a partire dalla
seconda metà degli anni ’60. Su questo punto lo stesso Popper è stato
chiarissimo. Infatti, come abbiamo visto in II.3 (cfr. in particolare il testo
relativo alla nota 60), in Una patente per fare TV egli si richiama
esplicitamente ai suoi studi precedenti sulla teoria della conoscenza (e
cioè, soprattutto, a Conoscenza oggettiva, a L’io e il suo cervello e alle
lectures del 1969 che costituiscono La conoscenza e il problema corpo-
mente, di cui noi ci siamo ampiamente serviti in I.3), e subito dopo
afferma che “nel rapporto tra bambini e televisione noi ci troviamo di
77
fronte a un problema evolutivo”, con tutto ciò che ne segue in termini di
psico-biologia dell’apprendimento e dell’adattamento all’ambiente (cfr.
anche il punto 1 del primo paragrafo di questo capitolo).
e) L’’intervento polemico e propositivo sul problema pedagogico
rappresentato dalla televisione non rappresentò per l’ultimo Popper
un’occupazione dell’ultima ora della sua vita, ma fu un recupero dei
suoi originari interessi teorici di giovane studioso di questioni
pedagogiche, peraltro connessi con la parallela attività di educatore in
un centro di recupero per bambini vittime della violenza. Naturalmente
questo ritorno alle origini ebbe modo di passare attraverso tutta una vita
di riflessioni sull’epistemologia, sull’apprendimento, sull’evoluzione
biologica e sui problemi della teoria e della prassi dello Stato
democratico; componenti, queste, che, come abbiamo visto, fanno parte
integrante della riflessione popperiana sulla televisione.
164
In K. Popper - J. Condry, Cattiva maestra televisione, cit., p. 7.
78
CONCLUSIONE
TELEVISIONE E SCUOLA
79
metodologica per qualsiasi intervento strettamente tecnico e organizzativo
da parte delle autorità competenti.
Per quanto riguarda Eco - che peraltro negli anni scorsi è stato uno
dei consulenti speciali (i cosiddetti “saggi”) del Ministro della Pubblica
Istruzione in materia di riforma scolastica (in particolare per quanto
riguarda la diffusione e l’istituzionalizzazione nelle scuole degli strumenti
didattici multimediali) -, la sua vecchia analisi non offriva indicazioni
specificamente dirette al ruolo che la scuola dovrebbe assumere nei
confronti della televisione. Ovviamente ciò è dovuto al fatto che all’inizio
degli anni ’60 la televisione non aveva ancora assunto quelle dimensioni di
diffusione e di ‘invadenza’ nell’ambiente quotidiano della collettività
mondiale che la caratterizzano oggi; sicché la sua proposta, partendo da una
analisi della televisione come mero fenomeno di costume e come potente
strumento di comunicazione di massa, si rivolgeva soprattutto al ruolo che
nei suoi confronti dovevano assumere i governi e gli intellettuali. Tuttavia
abbiamo potuto osservare che la sua idea di un “cauto dirigismo culturale”,
per cui il governo, tramite una élite intellettuale illuminata e accuratamente
selezionata, avrebbe dovuto piegare il mezzo televisivo a un’opera di
diffusione della cultura sulla base di una chiara ed esplicita prospettiva
ideologica di stampo democratico, poteva risultare ancora valida soprattutto
alla luce dello stato della televisione dei primi anni ’90 fotografato da
un’analisi apocalittica come quella di Condry, in gran parte condivisa anche
da Popper. Oggi, infatti, limitandoci alla televisione pubblica italiana, quella
proposta è quasi una realtà, perché la commissione parlamentare di
vigilanza, unitamente al consiglio d’amministrazione della RAI da essa
nominato, esercita una funzione non molto dissimile da quella auspicata da
Eco. Naturalmente non occorre essere troppo ottimisti, se consideriamo il
fatto che anche la televisione pubblica, malgrato il finanziamento statale e
quello derivante dal canone, deve sottostare alle leggi del mercato
pubblicitario, e quindi a quelle dell’audience. Un discorso a parte andrebbe
fatto per le televisioni private, il cui impianto quasi esclusivamente
commerciale, con la conseguente necessità di una ricerca ossessiva
dell’audience, del sensazionalismo e del livellamento verso il basso
(finalizzati a un intrattenimento puramente quantitativo, in quanto unico
criterio di investimento pubblicitario ammesso dagli sponsor), rende
difficilissima una loro uscita da quella condizione di cattive maestre
denunciata da Popper e Condry, malgrado gli sforzi dichiarati di
miglioramento e di adeguamento agli standard normali di gusto e di
moralità.
Nei decenni scorsi, dunque, il rapporto televisione-scuola non
costituiva un problema particolarmente urgente. La televisione era vista solo
come luogo di potere politico e come centro di interessi economici, e solo
negli ultimi anni ci si è resi conto che essa è andata sempre più sottraendo
spazio di azione pedagogica e formativa non solo ai normali rapporti umani
nell’ambito familiare e sociale, ma anche alla scuola. Naturalmente, è quasi
80
inutile ricordare che a non aver mai avuto dubbi sulle capacità persuasive
della televisione è stato il potere economico, il quale, tramite le agenzie
pubblicitarie, a loro volta coadiuvate da esperti di psicologia e strategia
della comunicazione, l’ha utilizzata come canale privilegiato per la vendita
delle merci, al punto che oggi, come sappiamo, quasi tutte le trasmissioni
televisive (compresa l’ora esatta e le previsioni del tempo) sono solo un
pretesto per piazzare il marchio dello sponsor.
Un riferimento ben preciso alla scuola si trova invece nel saggio di
Condry. A questo proposito la posizione di Condry è curiosa. Come
abbiamo visto, dapprima egli attribuisce alla televisione uno dei difetti tipici
della scuola, e cioè il fatto di soggiacere alla tirannia del tempo. A suo
avviso ciò pregiudica la reale crescita culturale degli tanto degli alunni
quanto dei telespettatori: se, infatti, l’informazione e la discussione sono
scandite dall’interruzione pubblicitaria o dal suono della campanella, il
bambino comincerà lentamente ma inesorabilmente a convincersi che il
sapere non è particolarmente importante, o che perlomeno non è più
importante di valori quali il divertimento (promosso dalla ricreazione e
dagli spettacoli televisivi) e l’essere alla moda (promosso soprattutto dalla
pubblicità). In linea di principio, dunque, Condry si augura che i bambini
vengano tenuti il più lontano possibile dalla televisione. Tuttavia, egli
prosegue, poiché allo stato attuale dei fatti questa è quasi un’utopia, è alla
scuola, più che alla famiglia, che spetta il compito fondamentale di limitare
il più possibile la sfera di influenza culturale della televisione, e soprattutto
della struttura dei valori da essa veicolata e inculcata. Per espletare un
compito tanto importante e difficile, la scuola dovrebbe insegnare ai
bambini qualcosa della televisione, facendo in modo che essi prendano
coscienza soprattutto dei meccanismi attraverso i quali essa mette in opera
la mistificazione della realtà e siano così in grado di valutare la discrepanza
tra realtà e finzione televisiva, tra vita reale e vita artificiale, tra valori
umani e valori funzionali all’ideologia del consumismo. Secondo Condry,
quindi, la scuola dovrebbe dotarsi di programmi pedagogici finalizzati a
un’educazione all’uso critico della televisione, e comprendenti anche prove
pratiche di ripresa televisiva che abbiano per effetto secondario quello di far
prendere atto della facilità con cui la televisione è in grado di distorcere la
realtà.
Paradossalmente, alla proposta concreta dell’apocalittico Condry sul
rapporto televisione-scuola, fa da contraltare la resa incondizionata
dell’ottimista Popper, il quale, nell’intervista del gennaio 1994 rilasciata a
Bosetti, riconosceva che contro il potere ipnotico della televisione così
com’è “l’opposizione degli insegnanti è senza speranza”, dal momento che
la razionalità critica e discorsiva cui questi possono ricorrere non può nulla
di fronte a uno strumento che coinvolge, intrattiene e plasma facendo leva
sulla sfera più emotiva, morbosa e irrazionale degli individui. Secondo
Popper (il quale, in materia di riforma della scuola, preferiva che si
intervenisse non tanto sui programmi scolastici quanto sugli insegnanti
81
svogliati) occorre invece intervenire urgentemente sulla televisione stessa,
regolamentando l’accesso alla sua gestione nella maniera di cui abbiamo
diffusamente detto in questo lavoro.
Per finire, vale la pena accennare brevemente alle conclusioni
ottimistiche circa il problema del rapporto tra televisione e scuola e tra
linguaggio iconico e linguaggio verbale, cui pervenivano due studiosi
italiani rispettivamente negli anni ’70 e ’80.
Secondo Evelina Tarroni, il linguaggio iconico della televisione ha
un effetto positivo sullo sviluppo delle capacità creative dei ragazzi
(soprattutto per quel che riguarda il disegno). Ciò è dovuto al fatto che “i
ragazzi di oggi sono assai più condizionati dai loro insegnanti
nell’espressione verbale scritta di quanto non lo siano nel loro linguaggio
iconico. Lì sono costretti a imitare un modello, qui sono liberi di trovare
soluzioni originali e perciò creative ai problemi rappresentativi che
automaticamente si pongono. In altre parole, malgrado la deprecata
influenza passivizzante dei mass-media, i ragazzi di oggi scelgono come
loro linguaggio il linguaggio iconico, e questo linguaggio non lo assumono
per imitazione, ma se lo creano” 165.
Secondo Cosimo Scaglioso, d’altronde, “bisogna sgombrare il
terreno da alcuni idola, come quello della contrapposizione e della
inconciliabilità della cultura di massa e della cultura scolastica, e soprattutto
quello dell’onnipotenza dei media e della debolezza senza rimedio degli
utenti di fronte al loro strapotere”166. In realtà, egli prosegue, l’uso dei
media nella scuola è legittimato dalla necessità che la scuola viva la vita dei
giovani e faccia tesoro della loro esperienza.167
Queste due posizioni, che sono frutto di indagini socio-psicologiche
molto serie e accurate, risultano interessanti dal nostro punto di vista per
almeno due motivi. Innanzi tutto, esse rappresentano la posizione che
storicamente è risultata ‘vincente’, nel senso che la scuola degli ultimi due
decenni ha fatto un uso largo e incondizionato dei supporti audiovisivi,
dando per scontata la loro utilità didattica. Inoltre, esse sono la
testimonianza di un ottimismo che non aveva ancora fatto l’esperienza dei
pericoli insiti nella degenerazione dei media, e della televisione in
particolare; degenerazione che invece è al centro delle preoccupazioni
pedagogiche di Condry e Popper. In questo senso il loro significato va letto
e valutato alla luce di ciò che è venuto dopo, e che esse non solo non hanno
saputo intravedere, ma non hanno neppure contribuito ad arginare. E a tal
proposito non possiamo che ricordare la considerazione fatta da Popper nel
suo scritto sulla televisione: ancora nel 1993, il governo britannico non
considerava un problema l’influenza della televisione sui bambini,
semplicemente perché all’epoca delle prime trasmissioni televisive una
docente di psicologia, da esso incaricata per una ricerca sull’impatto
165
E. Tarroni, Psicologia e comunicazioni di massa, cit., cap. IV, p. 133.
166
C. Scaglioso, Mass-media, cit., p. 7.
167
Cfr. ibidem.
82
psicologico della televisione (e con la quale Popper aveva avuto un’accesa
discussione), aveva trovato che essa non rappresentava alcun pericolo per i
bambini.
BIBLIOGRAFIA
La bibliografia più completa degli scritti di Popper fino al 1974 è quella compilata da Troels Eggers
Hansen per il volume The Phylosophy of Karl Popper, tomo II, pp. 1199-1287 (v. sotto, Popper 1976). Popper
1976 ripropone (alle pp. 233-240 della tr. it.) quasi tutta la “Bibliography of the Writings of Karl Popper” di
Hansen, aggiornandola al 1976. La tr. it. di Popper 1994b contiene (alle pp. 191-201) un’ampia bibliografia
aggiornata al 1994 per quanto riguarda gli scritti originali, e al 1996 per quanto riguarda le traduzioni italiane;
mentre Popper 1994f contiene (alle pp. 81-88) un elenco accurato degli scritti di e su Popper reperibili in lingua
italiana, aggiornato rispettivamente al 1994 e al 1992.
Qui noi ci limiteremo a elencare i testi di Popper e degli altri autori citati almeno una volta nel corso del
nostro lavoro (le date tra parentesi quadra, nella bibliografia popperiana, indicano gli anni in cui i testi
corrispondenti sono stati scritti).
TESTI DI POPPER
1925: Über die Stellung des Lehrers zu Schule und Schüler. Gesellschaftliche oder
individualistische Erziehung?, in «Schulreform», Vienna, n. 4, pp. 204-208.
83
1927: “Gewohnheit” und “Gesetzerlebnis” in der Erziehung (inedito), Tesi incompiuta
presentata all’Istituto di Pedagogia di Vienna.
1928: Zur Methodenfrage der Denkpsychologie (inedito), Tesi di dottorato presentata alla
Facoltà di Filosofia dell’Università di Vienna.
1934: Logik der Forschung, Wien, Springer (con data 1935); 1a ed. ingl. The Logic of
Scientific Discovery, London, Hutchinson, 1959; tr. it. della 2a ed. ingl. (1968)
Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970 & 1995.
1944 -1945: The Poverty of Historicism, I-II in “Economica”, 11 (1944), pp. 86-103 e
119-137; III, ivi, 12 (1945), pp. 69-89; 1a ed. in volume London,
Routledge & Kegan Paul e Boston (Mass.), The Beacon Press, 1957; 1a tr.
it. Miseria dello storicismo, Milano, Editrice L’Industria, 1954; poi
Milano, Feltrinelli, 1975 (19934).
1945: The Open Society and Its Enemies, vol. I: The Spell of Plato, vol. II: The High
Tide of Prophecy: Hegel, Marx and The Aftermath, London, Routledge & Kegan
Paul; 4a ed. 1962; 5a ed. 1966; tr. it. (basata sulla 5a ed.) La società aperta e i suoi
nemici, vol. 1: Platone totalitario; vol. 2, Hegel e Marx falsi profeti, Roma,
Armando, 1973 (19945).
1963: Conjectures and Refutations, London-New York, Routledge and Kegan Paul-
Basic Books Inc., 2a ed. 1965, 3a ed. 1969; tr. it. Congetture e confutazioni,
Bologna, Il Mulino, 1972 & 1985 (rist. 1992).
1966: Of Clouds and Clocks. An Approach to the Problem of Rationality and the
Freedom of Man, St. Louis, Missouri, Washington University Press; poi, riveduto
ed ampliato, cap. 6 di Popper 1972; tr. it. Nuvole ed orologi. Saggio sul problema
della razionalità e della libertà dell’uomo, in tr.it. di Popper 1972, pp. 277-340; 1a
tr. it. in Popper (1972b), pp. 67-129.
1972: Objective Knowledge. An Evolutionary Approach, Oxford, Clarendon Press; tr. it.
Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico, Roma, Armando, 1975 &
1983.
84
1977: (Con John C. Eccles), The Self and Its Brain. An Argument for Interactionism,
Berlin - Heidelberg - London - New York, Springer Verlag; tr. it. L’Io e il suo
cervello, Roma, Armando, 1981, in 3 voll.:
- vol. I, K.R. Popper, L’Io e il suo cervello. Materia, coscienza e cultura;
- vol. II, J.C. Eccles, L’Io e il suo cervello. Struttura e funzioni cerebrali;
- vol. III, K.R. Popper e J.C. Eccles, L’Io e il suo cervello. Dialoghi aperti tra
Popper ed Eccles.
[1956], 1982a: The Open Universe. An Argument for Indeterminism. From the Postscript
to the Logic of Scientific Discovery, a cura di W. W. Bartley III,
London, Hutchinson; tr. it. Poscritto alla Logica della scoperta
scientifica. II: L’universo aperto, Milano, Il Saggiatore, 1984.
[1956], 1982b: Quantum Theory and the Schism in Physics. From the Postscript to the
Logic of Scientific Discovery, a cura di W.W. Bartley III, London,
Hutchinson; tr. it. Poscritto alla Logica della scoperta scientifica. III:
La teoria dei quanti e lo scisma della fisica, Milano, Il Saggiatore,
1984.
[1956], 1983a: Realism and the Aim of Science. From the Postscript to the Logic of
Scientific Discovery, a cura di W.W. Bartley III, London, Hutchinson;
tr. it. Poscritto alla Logica della scoperta scientifica. I: Il realismo e
lo scopo della scienza, Milano, Il Saggiatore, 1984.
1983b: Offene Gesellschaft - Offenes Universum, Wien, Deuticke; rist. München, Piper,
1986; tr. it. Società aperta universo aperto, Roma, Borla, 1984.
1984: Auf der Suche nach einer besseren Welt. Vorträge und Aufsätze aus dreissig
Jahren, München, Piper; tr. it. Alla ricerca di un mondo migliore. Conferenze e
saggi di trent’anni di attività, Roma, Armando, 1989.
1985: (con Konrad Lorenz), Die Zukunft ist offen, München, Piper; tr. it. Il futuro è
aperto, Milano, Rusconi, 1989.
1988: Osservazioni sulla teoria e sulla prassi dello Stato democratico, testo di una
conferenza tenuta a Monaco di Baviera il 9 giugno; pubblicato prima in traduzione
spagnola su “La Nación”, settembre 1990, poi in traduzione italiana come
Appendice I a Popper 1992a, pp. 57-80, e infine come capitolo 10 di Popper
1994c, tr. it. pp. 197-218.
85
1989: Libertà e responsabilità intellettuale, testo di una conferenza tenuta all’Università
di San Gallo nel mese di giugno; pubblicato prima come Appendice II a Popper
1992a, pp. 81-96, e poi come cap. 11 di Popper 1994c, tr. it. pp. 219-232.
1994a: The Myth of the Framework. In Defence of the Science and Rationality, London-
New York, Routledge & Kegan Paul; tr. it. Il mito della cornice. Difesa della
razionalità e della scienza, Bologna, il Mulino, 1995.
1994c: Alles Leben ist Problemlösen. Über Erkenntnis, Geschichte und Politik, München,
Piper; tr. it. Tutta la vita è risolvere problemi. Scritti sulla conoscenza, la storia
e la politica, Milano, Rusconi, 1996.
1994d: Una patente per fare TV, in Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra
televisione, a cura di Francesco Erbani, Introduzione di Giancarlo Bosetti, Roma,
Reset (su servizio editoriale dell’editore Donzelli), pp. 13-25.
86
Bellotto A., La televisione inutile, Milano, Comunità, 1962.
Bettini G., L’occhio in vendita. Per una logica e un’etica della comunicazione, Venezia,
Marsilio, 1985.
Bosetti G., “Introduzione” a Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra televisione,
cit., pp. 7-12.
Bühler K., Sprachtheorie: die Darstellungsfunktion der Sprache, Jena, 1934; tr. it.
Teoria del linguaggio, Roma, Armando, 1983.
Clark C.S., La violenza in TV, in Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra
televisione, cit., pp. 51-59; originariamente uscito su “CQ-Researcher”, Congressional
Quarterly Inc., vol. 3, n. 12, Marzo 1993.
Cohen-Séat G., Problèmes du Cinéma et de l’Information Visuelle, Paris, P.U.F., 1961.
Cohen-Séat G., L’Action sur l’Homme: Cinéma et Télévision, Paris, Denoël, 1961.
Condry J., Thief of Time, Unfaithful Servant: Television and the American Child, in
“Daedalus”, vol. 122, n. 1, inverno 1993, pp. 259-278; tr. it. Ladra di tempo, serva
infedele, in Karl R. Popper - John Condry, Cattiva maestra televisione, cit., pp. 27-50.
Eco U., Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962 (2a ed. rivista 1967; 19953).
Eco U., Diario minimo, Milano, Mondadori, 1963 (ried. ivi, Bompiani 1992).
Eco U., Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1964 (19909).
Giorello G. (et al.), Introduzione alla filosofia della scienza, Milano, Bompiani, 1994.
Hahn H., Neurath O., Carnap R., Wissenschaftliche Weltauffassung. Der Wiener Kreis,
Wien, 1929; tr. it. La concezione scientifica del mondo, Roma-Bari, Laterza, 1979.
Pasolini P.P., “Giornalisti, opinioni e TV”, su Il Tempo del 28 dicembre 1968; ora in
P.P. Pasolini, Il Caos, a cura di Gian Carlo Ferretti, Roma, Editori Riuniti, 1979 (ried.
1995).
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96