AA. VV. - La Dimensione Etica Nelle Società Contemporanee

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LA DIMENSIONE ETICA

LADIMENSIONEETICA NELLESOCIET CONTEMPORANEE


IsaiahBerlin,Amartya K.Sen, VittorioMathieu,Gianni Vattimo,SalvatoreVeca

Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli

La dimensione etica nelle societ contemporanee / scritti di Isaiah Berlin, Amartya Kumar Sen, Vittorio Mathieu... [et al.] - VII, 133 p. 1. Etica 2. Politica e morale I. Berlin, Isaiah II. Sen, Amartya Kumar

La traduzione di Berlin di Gilberto Forti; la traduzione di Sen di Carlo Scarpa, revisione di Vera Zamagni.
Copyright 1990 by Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli Via Giacosa 38, 10125 Torino

tel. 011 6500500, fax 011 6502777


ISBN 88-7860-046-6

e-mail: [email protected]

Internet: http://www.fga.it

Indice

PRIMA PARTE

Sulla ricerca dellIdeale Isaiah Berlin


Premessa 1. La ricerca dellIdeale 2. Il significato della storia 3. Relativismo, pluralismo e conflittualit dei valori 4. Riflessioni sulla possibilit di giungere a uno stato perfetto Conclusioni
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La libert individuale come impegno sociale Amartya Kumar Sen


Premessa 1. Idee astratte e orrori concreti 2. Libert negativa e libert positiva 3. Carestie e libert 4. Calcolo utilitarista contro libert 5. La libert e i suoi mezzi 6. Lintervento sociale e la natura della povert 7. Scelta sociale e libert 8. Impegno sociale e diseguaglianza
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VI

Indice

SECONDA PARTE

Bioetica in cammino Vittorio Mathieu


1. Criteri di valutazione 1.1. Limperativo etico caratterizza luomo 1.2. Il fine giustifica i mezzi? 2. Classificazione delle fattispecie atte a sollevare problemi di bioetica 2.1. Griglia dei problemi 2.2. Il processo riproduttivo 2.3. Sperimentazione e trapianti 2.4. Eutanasia 2.5. Ingegneria genetica 2.6. La manipolazione dellatomo 3. Classificazione dei valori a cui si ispirano i giudizi in materia di deontologia scientifica 3.1. Il criterio dellutilit 3.2. Il criterio della convivenza civile 3.3. Il criterio della qualit della vita 3.4. Il principio dautorit 4. Considerazioni conclusive 4.1. Interessi meritevoli di protezione 4.2. Tutela delle generazioni a venire 4.3. Tutela del processo procreativo 4.4. Tutela dellembrione 4.5. Tutela della famiglia 4.6. Conseguenze della diagnosi prenatale di malattie 4.7. Sperimentazione su embrioni e su esseri viventi 4.8. Tutela degli indifesi 4.9. Tutela dellambiente 4.10. Difesa militare 4.11. Ricerca e morale
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Individuo e istituzione: una prospettiva ermeneutica Gianni Vattimo


Premessa 1. Listituzione come repressione e oppressione: Foucault 2. La riflessione sulle condizioni della comunicazione: Gadamer e Habermas
81 85 92

Indice I limiti dellistituzione: le etiche dei diritti (Rawls e Nozick) Quale fondamento per i diritti? Il senso di unetica come pietas Conclusioni
3. 4.

VII
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Alcune osservazioni su etica e ambiente Salvatore Veca


Premessa 1. Etiche ambientali ed etiche ecologiche 2. Le radici delletica razionale 3. Criteri di estensione delletica razionale alle problematiche ambientali 4. Riflessioni su unetica fondata sui diritti dellambiente 5. Le tesi delle etiche ecologiche Conclusioni
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Nota sugli autori

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PRIMA PARTE

Sulla ricerca dellIdeale* Isaiah Berlin

Premessa
A mio giudizio vi sono due fattori che pi di tutti gli altri hanno contribuito a foggiare la storia umana nel nostro secolo. Il primo lo sviluppo delle scienze naturali e della tecnologia, che certamente la pi brillante avventura del nostro tempo; e a questo fattore stato dedicato da ogni parte un grande e crescente interesse. Laltro fattore, senza dubbio, va ricercato nelle grandi tempeste ideologiche che hanno alterato la vita di pressoch tutta lumanit: la Rivoluzione russa e le sue conseguenze, le dittature totalitarie di destra e di sinistra e le esplosioni di nazionalismo, di razzismo e talvolta di fanatismo religioso, fenomeni che, curiosamente, nessuno dei grandi pensatori dellOttocento aveva mai previsto. Quando i nostri discendenti, tra due o tre secoli (se lumanit sopravviver fino ad allora), si soffermeranno a considerare la nostra epoca, saranno questi due fattori, credo, ad apparire i pi importanti e caratteristici, quelli pi meritevoli di analisi e di spiegazione. Ma bene rendersi conto che questi grandi movimenti ebbero inizio sotto forma di idee nella mente di uomini: idee su ci che sono stati, sono, potrebbero essere e dovrebbero essere i rapporti tra gli uomini; e rendersi conto del modo in cui questi rapporti si sono trasformati in nome di un fine supremo nella visione dei leader e, soprattutto, dei profeti non disarmati. Queste idee costituiscono lessenza delletica. La riflessione etica consiste in un esame sistematico dei rapporti che gli esseri umani intrattengono tra loro, delle concezioni, degli interessi e degli ideali da cui scaturiscono i comportamenti intersoggettivi, e dei sistemi di valori su cui si fondano i fini assegnati alla vita. Queste convinzioni sul modo in cui la vita dovrebbe essere vissuta,
* Testo presentato in occasione del conferimento all'Autore del Premio Internazionale Senatore Giovanni Agnelli (Torino, Teatro Regio, 15 febbraio 1988).

Isaiah Berlin

su ci che uomini e donne dovrebbero essere e fare, sono loggetto della ricerca morale; e, quando sono riferite a gruppi e nazioni e addirittura allumanit nel suo insieme, danno luogo a quella che si chiama filosofia politica, che altro non se non etica applicata alla societ. Se vogliamo sperare di comprendere il mondo spesso violento in cui viviamo (e se non tentiamo di comprenderlo non possiamo presumere di riuscire a operare razionalmente in esso e su di esso), il nostro interesse non pu limitarsi alle grandi forze impersonali, naturali o artificiali, che agiscono su di noi. I fini e i motivi che guidano lazione umana devono essere considerati alla luce di tutto ci che sappiamo e comprendiamo; le loro radici e la loro crescita, la loro essenza e soprattutto la loro efficacia devono essere esaminate criticamente con tutte le risorse intellettuali di cui disponiamo. Questa esigenza ineludibile, indipendentemente dal valore intrinseco della scoperta della verit sui rapporti umani, fa delletica un campo di primaria importanza. Soltanto i barbari non hanno la curiosit di sapere da dove vengono, come sono arrivati dove ora si trovano, qual la loro destinazione probabile, se davvero vogliono andarci e, in questo caso, per quale motivo, o al contrario perch non vogliano recarvisi. Lo studio delle varie idee sulle concezioni della vita che esprimono questi valori e questi fini la materia che ho cercato di chiarire a me stesso dedicandole quarantanni della mia lunga vita. Se avrete la pazienza di proseguire la lettura, vorrei dire qualche cosa sul modo in cui mi accadde di immergermi in questa materia, e in particolare su una svolta che modific i miei pensieri sulla sua essenza. Sar inevitabilmente un discorso un po autobiografico: per questo vi presento in anticipo le mie scuse, ma non conosco altro modo per darne un ragguaglio. 1. La ricerca dellIdeale Da giovane lessi Guerra e pace di Tolstoj. Lo lessi troppo presto, e il vero effetto di questo grande romanzo si fece sentire su di me solo pi tardi, insieme a quello di altri scrittori russi di met Ottocento, romanzieri e pensatori. Questi scrittori influirono non poco sulle mie idee. Mi sembrava, e mi sembra ancora, che lo scopo principale di questi scrittori non fosse di dare un quadro realistico della vita e dei rapporti reciproci fra gli individui o i gruppi sociali o le classi; che il loro scopo non fosse unanalisi psicologica o sociale in senso stretto anche se, naturalmente, i migliori tra loro raggiunsero proprio questo obiettivo, e in maniera stupenda. Il loro atteggiamento mi sembrava essenzialmente mo-

Sulla ricerca dellIdeale

rale: il loro interesse pi profondo si rivolgeva alle cause che determinavano lingiustizia, loppressione, la falsit nei rapporti umani, la prigionia dietro muri di pietra o di conformismo la sottomissione passiva a gioghi creati dalluomo , la cecit morale, legoismo, la crudelt, lumiliazione, il servilismo, la miseria, limpotenza, lesasperazione, la disperazione in cui tante persone vivevano. In breve, a questi scrittori interessava la natura di tali esperienze e la loro origine nella condizione umana: prima di tutto in Russia, ma anche, implicitamente, nel resto dellumanit. E, per converso, essi volevano capire che cosa potesse dar luogo alla situazione opposta, a un regno di verit, amore, onest, giustizia, sicurezza, relazioni personali fondate sulla possibilit di dignit delluomo, sul rispetto reciproco, sullindipendenza, sulla libert, sullappagamento spirituale. Alcuni, come Tolstoj, trovarono questo regno ideale nel mondo della gente semplice, non guastata dalla civilt; come Rousseau, anche Tolstoj voleva credere che luniverso morale dei contadini non differisse molto da quello dellinfanzia, non essendo stato distorto dalle convenzioni e dalle istituzioni di una civilt nata dai peggiori vizi delluomo avidit, egoismo, cecit spirituale ; voleva credere che lumanit si potesse salvare purch gli uomini guardassero la verit che avevano sotto il naso: dovevano soltanto guardare, ed essa era l, nel Vangelo, nel Discorso della Montagna. Altri russi credevano nel razionalismo scientifico o in una rivoluzione sociale e politica fondata su una veridica teoria del cambiamento storico. Altri ancora cercavano una risposta negli insegnamenti della teologia ortodossa, o nella democrazia liberale dellOccidente o in un ritorno agli antichi valori slavi, soffocati dalle riforme di Pietro il Grande e dei suoi successori. Tutte queste concezioni avevano in comune lidea che esistessero soluzioni ai problemi fondamentali, che fosse possibile scoprirle e, con una dose sufficiente di altruismo, realizzarle sulla terra. Tutti quanti credevano che lessenza degli esseri umani fosse di poter scegliere il proprio modo di vivere: era possibile trasformare le societ alla luce di ideali autentici professati con sufficiente fervore e dedizione. Se, come Tolstoj, pensavano qualche volta che luomo non fosse veramente(libero ma piuttosto determinato da fattori che sfuggivano al suo controllo, essi sapevano anche, come lo stesso Tolstoj, che la libert poteva s essere una illusione, ma unillusione senza la quale non si poteva vivere o pensare. Nulla di tutto ci faceva parte del mio programma scolastico, che

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era interamente dedicato a scrittori greci e latini, ma queste idee rimasero ugualmente in me. Quando divenni studente allUniversit di Oxford, cominciai a leggere le opere dei grandi filosofi e scoprii che quelle idee facevano parte del pensiero dei maggiori maestri, specialmente nel campo della riflessione etica e politica. Socrate riteneva che, se era possibile giungere a una conoscenza certa del mondo esterno usando metodi razionali Anassagora non era forse arrivato a stabilire che la luna era molte volte pi grande del Peloponneso, per quanto piccola potesse apparire nel cielo? gli stessi metodi avrebbero offerto la medesima certezza nel campo del comportamento umano, per quanto concerneva il modo di vivere e di essere. A tali risposte si poteva arrivare in virt del ragionamento. Platone pensava che unlite di saggi pervenuti a questa certezza dovesse essere investita del potere di governare gli altri, i meno dotati intellettualmente, attenendosi a modelli dettati dalle giuste soluzioni dei problemi personali e sociali. Gli stoici ritenevano che la realizzazione di queste soluzioni fosse possibile a ogni uomo che intendesse vivere secondo ragione. Ebrei, cristiani, musulmani (del buddhismo conoscevo troppo poco) credevano che le vere risposte fossero state rivelate da Dio ai suoi profeti e ai suoi santi, oppure accettavano linterpretazione che i maestri davano delle verit rivelate o quella che la tradizione consegnava ai fedeli. I razionalisti del Seicento pensavano che le risposte si potessero trovare grazie a una particolare intuizione metafisica, a una speciale applicazione del lume della ragione di cui tutti gli uomini erano dotati. Gli empiristi del Settecento, affascinati dai nuovi e immensi territori di conoscenza dischiusi dalle scienze naturali che, basandosi sulle tecniche matematiche, avevano fatto giustizia di tanti errori, superstizioni e pregiudizi dogmatici, si domandarono, come Socrate, perch mai gli stessi metodi non dovessero servire a fissare leggi altrettanto inconfutabili nel regno delle cose umane. Con i nuovi metodi scoperti dalle scienze naturali si poteva introdurre un ordine anche nella sfera sociale: si potevano osservare fenomeni ricorrenti, formulare ipotesi e poi verificarle sperimentalmente e fissare cos determinate leggi; e poi scoprire che queste leggi appartenenti ad ambiti specifici dellesperienza potevano essere ricomprese in leggi pi ampie, ricomprese a loro volta in leggi ancor pi ampie, e cos via sempre risalendo, fino a comporre un grande sistema armonioso, retto da nessi logici permanenti e suscettibile di essere formulato in termini esatti, ossia matematici. La riorganizzazione razionale della societ avrebbe messo fine alla confusione spirituale e intellettuale, al regno del pregiudizio, della superstizione e della supina

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accettazione di dogmi non verificati, ai comportamenti ottusi e crudeli dei regimi oppressivi che quellottenebramento intellettuale alimentava e favoriva. Si trattava dunque, semplicemente, di scoprire i bisogni essenziali delluomo e i mezzi per soddisfarli. Ci avrebbe creato quel mondo felice, libero, giusto, virtuoso, armonioso che Condorcet vaticinava nel 1794, con commovente fervore, dalla cella della sua prigione. Questa visione alla base di tutto il pensiero progressista dellOttocento; e ispirava gran parte dellempirismo critico di cui mi imbevvi a Oxford da studente. 2. Il significato della storia A un certo punto mi resi conto che ci che tutte queste concezioni avevano in comune era un ideale platonico. Mi resi conto, in primo luogo, che, come nelle scienze, tutte le domande autentiche dovevano avere una e una sola risposta vera, tutte le altre essendo necessariamente errate; in secondo luogo, che doveva esserci una via attendibile e sicura per pervenire alla scoperta di queste verit; in terzo luogo, che le risposte vere, quando fossero state trovate, dovevano necessariamente essere compatibili tra loro e formare un tutto unico, perch una verit e questo lo sapevamo a priori non pu essere inconciliabile con unaltra. Questo tipo di onniscienza era la soluzione del puzzle cosmico. Nel caso della morale, potevamo allora immaginare come doveva essere la vita perfetta, fondata su una corretta comprensione delle regole che governavano luniverso. Daccordo, forse potremmo non arrivare mai a questa condizione di conoscenza perfetta forse siamo troppo miopi o troppo deboli o corrotti o soggetti a peccare per raggiungerla. Gli ostacoli, sia intellettuali sia di natura esterna, possono essere troppo numerosi. Di pi, cerano state forti divergenze di opinioni sulla via da percorrere: per alcuni, come ho detto, la via giusta era quella delle chiese, per altri quella dei laboratori; alcuni credevano nellintuizione, altri nellesperimento o nelle visioni mistiche o nei calcoli matematici. Ma anche se non eravamo capaci di arrivare alle risposte vere o, in sostanza, al sistema ultimo che le abbracciava tutte, le risposte dovevano esistere altrimenti le domande non erano reali e fondate. Le risposte dovevano essere note a qualcuno: forse Adamo nel Paradiso terrestre le conosceva; forse noi vi perverremo soltanto alla fine dei nostri giorni; se non le conoscono gli uomini, forse le conoscono gli angeli; e se non gli angeli, Dio s, certamente. Quelle verit eterne dovevano, in teoria, essere conoscibili.

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Alcuni pensatori dellOttocento, Hegel, Marx, ritenevano che la questione non fosse cos semplice. Non cerano verit eterne: cera lo sviluppo storico, cera un cambiamento perenne, gli orizzonti umani mutavano a ogni nuovo passo nella scala dellevoluzione; la storia era un dramma in molti atti; e a muoverla erano i conflitti di forze nel regno delle idee e nel regno della realt, conflitti che qualcuno chiamava dialettici e che prendevano la forma di guerre, rivoluzioni, sconvolgimenti violenti di nazioni, classi, culture, movimenti. E tuttavia il sogno di Condorcet, dopo inevitabili rovesci, sconfitte, ricadute, ritorni alla barbarie, si sarebbe avverato. Il dramma avrebbe avuto un lieto fine la ragione umana aveva celebrato i suoi trionfi in passato, non poteva essere trattenuta per sempre. Gli uomini non sarebbero pi stati vittime della natura o delle loro societ per tanti versi irrazionali: la ragione avrebbe vinto; alla fine sarebbe cominciata unarmoniosa collaborazione universale, la storia vera. Se cos non fosse, avrebbero qualche significato le idee di progresso, di storia? Non c forse un movimento, per quanto tortuoso, dallignoranza verso la conoscenza, dal pensiero mitico e dalle fantasie infantili verso la percezione della realt quale , verso la conoscenza dei veri fini, dei veri valori, delle verit fattuali? E possibile che la storia sia una mera successione di eventi, priva di senso e causata soltanto da un miscuglio di fattori materiali e dal gioco di una selezione del tutto casuale un racconto pieno di fragore e furore che non significa nulla? No, era impensabile. Sarebbe venuto il giorno in cui uomini e donne avrebbero preso la propria vita nelle loro mani, cessando di essere ignari trastulli alla merc di forze cieche che non comprendevano. Quanto meno, non era impossibile immaginare un simile Paradiso terrestre; e se era immaginabile, noi potevamo, in ogni caso, tentare di camminare in quella direzione. Questa idea stata al centro del pensiero etico, dai greci ai visionari cristiani del Medioevo, dal Rinascimento alle ideologie progressiste dellOttocento; ed ancora oggi accettata da molti. 3. Relativismo, pluralismo e conflittualit dei valori In una certa fase delle mie letture mi imbattei, inevitabilmente, nelle principali opere di Machiavelli. Mi fecero unimpressione profonda, durevole, e scossero la mia vecchia fede. Da esse ricavai non gi gli insegnamenti pi ovvi quelli sul modo di conquistare e conservare il potere politico, o sulla forza o lastuzia che i governanti devono usare se vo-

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gliono rigenerare le proprie societ o proteggere se stessi e i loro stati dai nemici interni o esterni, o sulle principali qualit che i governanti da un lato e i cittadini dallaltro devono possedere perch i loro stati prosperino ma qualcosa di diverso. Machiavelli non era uno storicista: pensava che fosse possibile restaurare qualcosa che somigliasse alla Roma repubblicana o della prima fase dellimpero. Credeva che per questo occorresse una classe dirigente d uomini coraggiosi, capaci, intelligenti, dotati, che sapessero cogliere le occasioni e sfruttarle, e cittadini che fossero sufficientemente protetti, patriottici e sinceramente orgogliosi del loro stato, incarnazioni delle principali virt pagane. Fu cos che Roma si afferm e conquist il mondo, e ci che alla fine ne determin la caduta fu lassenza di questo tipo di saggezza e vitalit e coraggio nei tempi avversi, lassenza delle qualit sia dei leoni sia delle volpi. Uno stato in decadenza era facile preda di vigorosi invasori che possedessero queste virt. Ma a fianco di queste Machiavelli pone la nozione delle virt cristiane umilt, accettazione delle sofferenze, rinuncia alle cose terrene, speranza di salvazione in unaltra vita e osserva che queste qualit non aiutano certo lavvento di uno stato di tipo romano, del tipo che egli stesso auspica palesemente: chi si attiene ai precetti della morale cristiana destinato infatti a essere travolto dalla corsa sfrenata di coloro che ambiscono al potere e che possono, essi soli, ricreare e dominare la repubblica da lui voluta. Egli non condanna le virt cristiane: si limita a osservare che le due morali sono incompatibili, e non riconosce un criterio preminente che ci aiuti a stabilire quale sia la vita giusta per gli uomini. Per lui la combinazione di virt e valori cristiani qualcosa dimpossibile. Machiavelli lascia semplicemente a noi la scelta; ma sa dove vanno le sue preferenze. Tutto questo istill in me unidea che mi provoc quasi uno shock: lidea che non tutti i valori supremi perseguiti dallumanit, ora e in passato, fossero necessariamente compatibili tra loro. Questa consapevolezza veniva a minare la mia precedente convinzione, basata sulla philosophia perennis, che non potesse esservi conflitto tra fini veri, tra risposte vere ai problemi centrali della vita. Poi feci la conoscenza della Scienza Nuova di Giovan Battista Vico. A Oxford non cera quasi nessuno, a quel tempo, che avesse sentito parlare di Vico, ma cera un filosofo, Robin Collingwood, che aveva tradotto il libro di Croce su Vico e mi raccomand di leggerlo. Quel libro mi apr gli occhi su uno scenario nuovo. Mi sembr che a Vico interessasse la successione delle culture umane: per lui ogni societ aveva una

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propria visione della realt, del mondo in cui viveva, di se stessa e del suo rapporto coi proprio passato, con la natura, con le proprie aspirazioni. Questa visione di una societ si estrinseca in tutto ci che i suoi membri fanno, pensano e sentono si manifesta e si invera nelle forme lessicali e linguistiche che essi usano, nelle immagini, nelle metafore, nelle forme di culto, nelle istituzioni cui essi danno vita e che realizzano ed esprimono la loro percezione della realt e del posto che vi occupano: attraverso tutto ci che essi vivono. Queste visioni variano di volta in volta, passando da un assetto sociale a quello successivo: ciascuna ha propri caratteri, valori, forme creative, mai commisurabili tra loro: ciascuna va intesa di per s, per quello che va compresa, ma non necessariamente giudicata. I greci di Omero, ci dice Vico, quelli della classe dominante, erano crudeli, barbari, meschini, spietati verso i deboli; ma furono loro a creare lIliade e lOdissea, cio qualcosa che noi, nel nostro tempo tanto pi illuminato, non saremmo capaci di fare. Questi grandi capolavori creativi appartengono a loro, e col mutare della visione del mondo scompare anche la possibilit di quel tipo di creazione. Noi, per parte nostra, abbiamo le nostre scienze, i nostri pensatori, i nostri poeti, ma non c una scala ascendente che porti dagli antichi ai moderni. Se cos, non pu non essere assurdo dire che Racine un poeta migliore di Sofocle, che Bach solo un Beethoven rudimentale o che, poniamo, gli impressionisti sono la vetta alla quale aspiravano invano i pittori fiorentini. I valori di queste culture sono diversi, e non sono necessariamente compatibili tra loro. Voltaire era in errore quando riteneva che i valori e gli ideali delle luminose eccezioni in un mare di tenebra i valori e gli ideali dellAtene classica, della Firenze rinascimentale, della Francia del Grand Sicle e dellet in cui lui stesso viveva fossero pressoch identici (la concezione illuministica di Voltaire, essenzialmente identica, indipendentemente dal luogo a cui si riferisce, sembra condurre allineludibile conclusione che, per lui, Byron sarebbe stato felice di pranzare con Confucio e Sofocle si sarebbe sentito perfettamente a suo agio nella Firenze del Quattrocento, o Seneca nel salotto di Madame du Deffand o alla corte di Federico il Grande). La Roma di Machiavelli, in realt, non mai esistita. Per Vico vi una pluralit di forme di civilt (secondo cicli ricorrenti, ma questo secondario), e ciascuna ha la propria forma. Con Machiavelli si era delineata lidea di due concezioni incompatibili. Ora, con Vico, si delineavano societ le cui culture prendevano forma in funzione di determinati valori: valori, e non gi mezzi in vista di certi fini, bens fin in s e per s, fini ultimi, che differivano tra loro, non in tutti

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i sensi dal momento che tutti erano valori umani ma differivano pur sempre in modo profondo, inconciliabile, non riconducibile a una sintesi definitiva. In seguito giunsi logicamente al pensatore tedesco del Settecento Johann Gottfried Herder. Se Vico pensava a una successione di culture, Herder si spingeva oltre: confrontava le culture nazionali di molti paesi e di molti periodi e ne concludeva che ogni societ aveva il proprio centro di gravit, come lui lo chiamava, diverso da quello di altre societ. Se vogliamo, come Herder auspicava, capire le saghe scandinave o la poesia della Bibbia, non possiamo applicare a esse i criteri estetici della Parigi del Settecento. I modi in cui gli uomini vivono, pensano, sentono, si parlano, gli abiti che indossano, le canzoni che cantano, gli di che adorano, il cibo che mangiano, le credenze, gli usi e i costumi che li caratterizzano questo a creare le comunit, e ciascuna di esse ha il suo proprio stile di vita. Le comunit possono somigliarsi tra loro per molti versi, ma i greci differiscono dai tedeschi luterani e i cinesi dagli uni e dagli altri; ci cui aspirano, ci che temono o adorano difficilmente confrontabile. Questa concezione stata definita relativismo culturale o morale e ne ha parlato, a proposito di Vico e di Herder, un grande studioso recentemente scomparso, il mio amico Arnaldo Momigliano, per il quale avevo una grande ammirazione. Ma era in errore. Questo non relativismo. I membri di una cultura possono, grazie allimmaginazione, capire (Vico diceva entrare) i valori, gli ideali, le forme di vita di unaltra cultura o societ, anche remotissima nel tempo o nello spazio. Possono giudicare inaccettabili questi valori, ma con una sufficiente apertura mentale possono concepire come si possa essere a pieno titolo un essere umano con cui entrare in relazione vivendo al tempo stesso nella prospettiva di valori largamente diversi dai propri, ma che nondimeno ciascuno pu riconoscere come valori, come scopi dellesistenza, dalla realizzazione dei quali gli uomini siano appagati. Io preferisco il caff, tu preferisci lo champagne. Abbiamo gusti diversi. Tutto qui, non c altro da dire: questo relativismo. Ma non questa la visione di Herder e quella di Vico: nel loro caso parlerei piuttosto di pluralismo, cio di una concezione per la quale sono molti e differenti i fini ai quali gli uomini possono aspirare, e tuttavia gli uomini restano pienamente razionali, pienamente uomini, capaci di comprendersi e di solidarizzare tra loro, di attingere luce luno dallaltro, cos come noi ne attingiamo dalla lettura di Platone o da quella dei romanzi del Giappone medioevale mondi, mentalit cos distanti da noi.

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Certo, se noi non avessimo alcun valore in comune con figure cos remote, ogni civilt sarebbe chiusa nel suo bozzolo impenetrabile, e noi saremmo esclusi da ogni possibilit di comprensione; questo il senso della tipologia di Spengler. La comunicazione tra culture lontane nel tempo e nello spazio possibile solo perch ci che rende gli uomini umani comune a tutti e funge da ponte tra loro. Ma i nostri valori sono nostri e i loro sono loro. Noi siamo liberi di criticare i valori di altre culture, di condannarli, ma non possiamo fingere di non comprenderli affatto o di considerarli semplicemente soggettivi, i prodotti di creature di un ambiente diverso, con gusti differenti dai nostri, che non ci dicono nulla. Esiste un mondo di valori oggettivi. Chiamo cos quei fini che gli uomini perseguono in assoluto e rispetto ai quali le altre cose sono mezzi. Non posso ignorare quelli che erano i valori dei greci: non saranno i miei valori, ma posso intuire che cosa sia una vita vissuta alla luce di essi, posso ammirarli e rispettarli, e perfino vedermi intento a perseguirli, anche se non lo faccio e non desidero farlo, e forse non potrei se lo desiderassi. Le forme di vita variano tra loro. I fini, i princpi morali sono molti. Molti, ma non innumerevoli, perch devono restare entro lorizzonte umano. Se non vi restano, vuol dire che sono fuori della sfera umana. Se incontro uomini che adorano gli alberi, e non perch siano simboli di fertilit o siano divini, con una vita misteriosa e con poteri propri, o perch il tal bosco sia sacro ad Atena ma solamente perch sono fatti di legno; e se poi domando loro perch adorano il legno ed essi dicono: Perch legno. e non danno altra risposta: ecco, allora io non so che cosa intendono; anche se sono esseri umani non sono per individui con i quali io possa comunicare: tra loro e me c una vera barriera. Per me non sono umani. Non posso nemmeno chiamare soggettivi i loro valori se non posso immaginare che cosa potrebbe significare vivere una vita come la loro. Quello che chiaro che i valori possono scontrarsi tra loro ed questo il motivo per cui vi sono civilt incompatibili. Vi pu essere incompatibilit di valori tra culture diverse, tra gruppi della stessa cultura o fra te e me. Tu credi che si debba dire sempre la verit, a qualunque costo; io no, perch credo che a volte possa essere troppo dolorosa persegui pu essere inconciliabile con i fini ai quali ritengo di aver dedicato la mia vita. Pu benissimo accadere che vi sia un conflitto di valori nellanimo di uno stesso individuo; e non detto che per questo alcuni debbano essere veri e altri falsi.

o devastante. Possiamo discutere il nostro rispettivo punto di vista, possiamo cercare di arrivare a un compromesso, ma in sostanza ci che tu

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La giustizia, una giustizia rigorosa, per alcuni un valore assoluto, ma non sempre compatibile, in concreto, con valori altrettanto assoluti agli occhi di quelle stesse persone, quali la piet e la comprensione. Libert e uguaglianza sono tra gli scopi primari perseguiti per secoli dagli esseri umani; ma libert totale per i lupi significa morte per gli agnelli; una totale libert dei potenti, dei capaci, non compatibile col diritto che anche i deboli e i meno capaci hanno a una vita dignitosa. Un artista che voglia creare un capolavoro pu essere indifferente alla miseria e allo squallore a cui condanna col suo tipo di esistenza la propria famiglia: noi possiamo condannarlo e sostenere che il capolavoro devessere sacrificato ai bisogni umani, oppure possiamo schierarci dalla parte dellartista; ma in entrambi i casi ci troviamo di fronte a valori che per certi uomini e donne sono valori assoluti e che risultano comprensibili a tutti noi se abbiamo elasticit mentale o solidariet o comprensione per gli esseri umani. Luguaglianza pu esigere la limitazione della libert per coloro che aspirano al dominio sugli altri. Senza un minimo di libert ogni scelta esclusa e perci non c possibilit di restare umani nel senso che attribuiamo a questa parola, ma pu essere necessario porre dei limiti alla libert per fare posto al benessere collettivo, per sfamare gli affamati, per vestire gli ignudi, per dare un alloggio ai senzatetto, per consentire la libert degli altri, per non ostacolare la giustizia e lequit. Di fronte al dilemma di Antigone, Sofocle suggerisce una soluzione e Sartre offre quella contraria, mentre Hegel propone la sublimazione a un livello superiore magra consolazione per chi tormentato da dilemmi di questo tipo. La spontaneit, meravigliosa qualit umana, non compatibile con quella volont di organizzare, di pianificare, di calcolare (quanto, come, dove) dalla quale pu dipendere in larga misura il benessere della societ. Tutti sappiamo quali tremende alternative abbia posto il recente passato. Un uomo deve resistere a tutti i costi a una tirannia mostruosa, anche mettendo in pericolo la vita dei genitori o dei figli? lecito torturare i figli per strappare loro informazioni su traditori o criminali pericolosi? Questi conflitti di valori fanno parte dellessenza di ci che sono i valori e di ci che noi stessi siamo. Se qualcuno ci dice che queste contraddizioni saranno risolte in un mondo perfetto in cui tutte le cose buone possono ricomporsi in unarmonia ideale, a costui dobbiamo rispondere che i significati che attribuisce alle parole che per noi denotano i valori in contrasto non sono i nostri significati. Dobbiamo affermare che un

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mondo in cui quelli che per noi sono valori incompatibili non sono in conflitto tra loro un mondo assolutamente fuori delle nostre possibilit di comprensione; che i princpi coesistenti armonicamente in quellaltro mondo non sono i princpi che noi conosciamo nella nostra vita quotidiana: se vengono trasformati, diventano concezioni ignote a noi qui sulla terra. Ma sulla terra che noi viviamo, ed qui che dobbiamo credere e agire. La nozione di un tutto perfetto, la soluzione finale in cui tutte le cose buone coesistano mi sembra non solo irraggiungibile lapalissiano ma anche unincoerenza concettuale; io non so che cosa sintenda per unarmonia di questo genere. Alcuni dei Beni Supremi non possono coesistere. Questa una verit concettuale. Noi siamo condannati a scegliere, e ogni scelta pu comportare una perdita irreparabile. Beati coloro che accettano senza discutere di vivere secondo una disciplina, che obbediscono spontaneamente agli ordini dei capi, spirituali o temporali, e ne accettano la parola come legge inviolabile; e beati coloro che per vie proprie sono pervenuti a convinzioni chiare e incrollabili su ci che devono fare e ci che devono essere, senza nutrire il minimo dubbio. Io posso dire soltanto che coloro che riposano su questi comodi letti dogmatici sono vittime di forme di miopia che si sono loro stessi procurate e portano occhiali che possono anche dare lappagamento, ma non certo la comprensione di ci che la condizione umana. 4. Riflessioni sulla possibilit di giungere a uno stato perfetto Tutto questo valga come obiezione teorica ed unobiezione fondamentale, mi sembra allidea dello stato perfetto come scopo legittimo dei nostri sforzi. Ma c anche, in aggiunta, un ostacolo pi pratico, sociopsicologico, che si pu prospettare a chi si rifugia in una fede elementare, una fede di cui lumanit si nutrita per tanto tempo e che refrattaria a tutti gli argomenti filosofici. vero che alcuni problemi possono essere risolti e alcuni mali curati, nella vita individuale come in quella sociale. Possiamo salvare uomini dalla fame o dalla miseria o dallingiustizia, possiamo liberare uomini dalla schiavit o dalla prigionia, ed bene che sia cos tutti gli uomini hanno un senso innato del bene e del male, a qualunque cultura appartengano; ma qualsiasi studio della societ mostra che ogni soluzione crea una situazione nuova che a sua volta genera nuovi bisogni e problemi, nuove domande. I figli hanno ottenuto ci cui aspiravano i loro genitori

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e i loro nonni: maggiore libert, maggior benessere materiale, una societ pi giusta; ma una volta dimenticati i vecchi mali, i figli si trovano di fronte a problemi nuovi, prodotti proprio dalla soluzione di quelli vecchi, e questi a loro volta, pur potendo essere risolti, determinano nuove situazioni, e quindi nuove esigenze; e cos via, allinfinito e in modo imprevedibile. Noi non possiamo legiferare per le conseguenze sconosciute delle conseguenze di altre conseguenze. I marxisti ci dicono che quando la lotta sia vinta e la storia vera sia cominciata, i nuovi eventuali problemi genereranno le proprie soluzioni, cui si potr pervenire pacificamente con le forze unite di unarmoniosa societ senza classi. A me questo sembra un bellesempio di ottimismo metafisico che non trova alcun conforto nellesperienza storica. In una societ in cui i medesimi scopi sono universalmente accettati, i problemi possono soltanto riguardare i mezzi, tutti risolvibili con metodi tecnologici. Si tratta di una societ in cui la vita interiore delluomo, la libera riflessione morale, spirituale ed estetica sono ridotte al silenzio ed per questo che si dovrebbero distruggere uomini e donne o asservire intere societ? Le utopie hanno il loro valore nulla permette di allargare in modo cos meraviglioso gli orizzonti creativi delle potenzialit umane ma come guide al comportamento umano possono rivelarsi letteralmente fatali. Eraclito aveva ragione, le cose non possono restare immobili. La mia conclusione che lidea stessa di una soluzione finale non soltanto impraticabile, ma se vedo bene, e se tra alcuni valori il conflitto inevitabile anche incoerente. La possibilit di una soluzione finale anche a voler scordare il senso terribile che questa espressione assunse al tempo di Hitler si dimostra unillusione; e assai pericolosa, per giunta. Infatti, se veramente si crede che una tale soluzione sia possibile, chiaro che nessun prezzo sarebbe troppo alto, pur di arrivarvi: creare unumanit giusta, felice, creativa e armoniosa per sempre quale costo potrebbe essere troppo alto di fronte a questo traguardo? Per fare questa omelette, non c limite al numero di uova che si devono rompere era questa la fede di Lenin, di Trockij, di Mao e, per quel che ne so, di Pol Pot. Se io so qual lunica strada vera per arrivare alla soluzione ultima dei problemi della societ, so anche da che parte devo spingere la carovana umana; e poich voi ignorate quello che io so, a voi non pu essere concessa libert di scelta, nemmeno la minima libert, se la meta devessere raggiunta. Voi sostenete che una data politica vi render pi

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felici o pi liberi o vi far respirare meglio; ma io so che siete in errore, io so quello di cui avete bisogno, quello di cui tutti gli uomini hanno bisogno; e se c qualche resistenza, ispirata dallignoranza o dal rancore, essa devessere spezzata e centinaia di migliaia di esseri umani possono anche perire perch milioni di esseri umani siano felici in eterno: che altra scelta abbiamo, noi che possediamo la conoscenza, se non quella di sacrificarli tutti quanti? Alcuni profeti armati cercano di salvare tutta lumanit, altri invece soltanto la propria razza in nome delle sue qualit superiori; ma quale che sia la motivazione, i milioni di persone massacrate nelle guerre o nelle rivoluzioni camere a gas, Gulag, genocidi, tutte le mostruosit per le quali sar ricordato il nostro secolo sono il prezzo da pagare per la felicit delle generazioni future. Se il vostro desiderio di salvare lumanit serio e sincero, dovete indurire il cuore e non tener conto dei costi. La risposta a tutto questo fu data pi di un secolo fa dal radicale russo Aleksandr Herzen. Nel suo saggio Sullaltra sponda, che in sostanza un necrologio delle rivoluzioni del 1848, Herzen disse che il suo tempo era stato testimone di una nuova forma di sacrificio umano, dellimmolazione di esseri viventi sugli altari di astrazioni: Nazione, Chiesa, Partito, Classe, Progresso, le Forze della Storia. Sono tutte astrazioni invocate al tempo di Herzen e nel nostro: se esse esigono il massacro di esseri viventi, occorre soddisfarle. Ecco le parole di Herzen:
Se il progresso il fine, per chi lavoriamo? Chi il Moloch che, allavvicinarsi degli schiavi, non li compensa ma si ritrae, e per tutta consolazione delle moltitudini esauste e condannate che gridano Morituri te salutant, sa soltanto rispondere beffardamente che dopo la loro morte tutto sar bello sulla terra? Davvero volete condannare tutti gli esseri viventi oggi alla triste funzione... di miserabili galeotti, immersi nel fango fino al ginocchio, costretti a trascinare un barcone... che... sulla prua porta scritto Progresso nel futuro?... Un fine che sia infinitamente remoto non un fine, bens, se volete, una trappola; un fine devessere pi vicino devessere, quanto meno, il salario del bracciante o il piacere del lavoro compiuto.

S, lunica cosa della quale possiamo essere sicuri la realt del sacrificio, il morire e i morti. Ma lideale per cui essi muoiono rimane irrealizzato. Le uova sono rotte, si diffonde labitudine di romperle, ma lomelette non si vede ancora. Possono essere giustificati i sacrifici per fini a breve scadenza, pu essere giustificata la coercizione se la condizione umana cos disperata da richiedere davvero provvedimenti di tale gravit. Ma gli olocausti in nome di fini remoti, no: solo una crudele irrisione di tutto ci che gli uomini hanno caro, ora e in qualsiasi tempo.

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Conclusioni Se la fede antica e perenne nella possibilit di realizzare larmonia ultima unillusione e sono giuste le posizioni dei pensatori a cui mi sono richiamato, Machiavelli, Vico, Herder, Herzen; se ammettiamo che i Beni Supremi possono scontrarsi tra loro, che alcuni di essi non possono convivere bench altri lo possano in breve, se ammettiamo che non si pu avere tutto, n in teoria n in pratica ; e se la creativit umana pu dipendere da una variet di scelte che si escludono a vicenda: ebbene, allora, per ripetere la domanda di Cernyevskij e di Lenin, Che fare? Come scegliere tra varie possibilit? Che cosa e quanto dobbiamo sacrificare a che cosa? Non c, mi sembra, una risposta chiara. Ma i conflitti, anche se non si pu evitarli, possono essere attenuati. Si pu arrivare a un equilibrio tra le rivendicazioni, si possono raggiungere compromessi. Nelle situazioni concrete non tutte le richieste hanno la stessa forza: tanto di libert e tanto di uguaglianza; tanto per una recisa condanna morale e tanto per uno sforzo di comprensione di una data situazione umana; tanto per la piena applicazione della legge e tanto per le prerogative della piet; per sfamare gli affamati, vestire gli ignudi, guarire gli infermi, dare un tetto a chi non lha. Si devono fissare le priorit, mai definitive, mai assolute. Il primo dovere pubblico quello di evitare punte estreme di sofferenza. Rivoluzioni, guerre, assassinii, misure estreme possono imporsi in situazioni disperate. Ma la storia ci insegna che raramente il loro risultato quello che si era previsto; non ci sono garanzie, a volte non ci sono neanche probabilit in misura sufficiente, che atti cos gravi porteranno a un miglioramento. Possiamo assumerci il rischio di azioni drastiche, nella vita personale come nella prassi politica, ma dobbiamo sempre sapere, mai dimenticare, che possiamo sbagliare, che un eccesso di sicurezza sugli effetti di tali interventi provoca invariabilmente sofferenze di esseri innocenti che si potevano evitare. Cos dobbiamo ricorrere ai cosiddetti compromessi: regole, valori, princpi devono, in situazioni specifiche, sottostare a concessioni reciproche. Le soluzioni utilitaristiche sono qualche volta sbagliate, ma pi spesso ho limpressione sono benefiche. La cosa migliore, come regola generale, mantenere un equilibrio precario che impedir l sorgere di situazioni disperate, di scelte intollerabili questo il primo requisito per una societ degna, un traguardo al quale possiamo sempre sforzarci di arrivare, alla luce dei limiti della

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nostra conoscenza e anche della nostra imperfetta comprensione degli individui e delle societ. Una certa umilt, in questo campo, quanto mai necessaria. Potr sembrare una risposta molto banale, non il tipo di risposta che vorrebbero i giovani idealisti, non la bandiera per cui sarebbero pronti a combattere e a soffrire, se necessario, in nome di una societ nuova e pi nobile. E non dobbiamo, naturalmente, esasperare lincompatibilit dei valori c gi unampia e durevole intesa, tra persone di societ diverse, su ci che giusto e ingiusto, bene e male. Certo le tradizioni, le prospettive, gli atteggiamenti possono legittimamente variare: i princpi generali possono trascurare troppe esigenze umane. La situazione concreta determinante, quasi tutto. Non si sfugge: quando si decide, si decide; a volte il rischio morale non pu essere evitato. Possiamo solo pretendere che nessuno dei fattori importanti sia dimenticato, che gli scopi che cerchiamo di realizzare siano visti come elementi di un complessivo modo di vivere che pu essere favorito o danneggiato dalle decisioni. Ma, in definitiva, non si tratta di un giudizio puramente soggettivo: la decisione dettata dalle forme di vita della societ cui apparteniamo, una societ fra altre, con valori che si scontrino o no tra loro fanno parte del patrimonio comune della maggioranza dellumanit in tutta la sua storia conosciuta. Ci sono valori, se non universali, almeno tali da costituire un minimum senza il quale le societ difficilmente potrebbero sopravvivere. Ben pochi, oggi, sarebbero disposti a difendere la schiavit o lomicidio rituale o le camere a gas naziste o la tortura di esseri umani in nome del piacere, del profitto o anche del bene politico, oppure il dovere dei figli di denunciare i genitori, come pretendevano la Rivoluzione francese e quella russa, o lassassinio gratuito. Non ci sono giustificazioni per un atteggiamento di compromesso su fatti di questo genere. Ma daltra parte la ricerca della perfezione mi sembra una ricetta, una via obbligata che porta allo spargimento di sangue; e le cose non migliorano se a richiederlo il pi sincero degli idealisti, il pi puro dei cuori. Non mai esistito un moralista pi rigoroso di Immanuel Kant, ma anche lui, in un momento di folgorazione, disse: Dal legno storto dellumanit non si mai cavata una cosa dritta. Costringere gli uomini a indossare le belle uniformi imposte da ideologie accettate dogmaticamente quasi sempre una strada che conduce alla disumanizzazione. Possiamo fare solo quel che possiamo; ma questo dobbiamo farlo, nonostante le difficolt. Certo vi saranno scontri sociali o politici, ed inevitabile, per il fatto stesso che i valori positivi si

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scontrano tra loro. Ma questi conflitti, credo, possono essere ridotti al minimo promuovendo e conservando un delicato equilibrio che costantemente minacciato e richiede costanti correzioni: questa, ripeto la precondizione per lesistenza di societ degne e per un comportamento moralmente accettabile, altrimenti siamo destinati a smarrire la strada. Direte che, come soluzione, un tantino insipida? Che non questa la sostanza di cui son fatti gli appelli allazione eroica da parte di condottieri ispirati? Ma se c un fondo di verit in questo modo di vedere, forse pu bastare. Un illustre filosofo americano del nostro tempo ha detto: Non c una ragione a priori per supporre che la verit, una volta scoperta, risulti necessariamente interessante. Se la verit, o anche unapprossimazione alla verit, pu gi essere sufficiente; e io, di conseguenza, non mi sento tenuto a presentare delle scuse per averci provato. La verit, ha scritto Tolstoj nel romanzo da cui ho preso le mosse, la cosa pi bella che ci sia al mondo. Non so se sia cos nel regno delletica, ma mi sembra che questa idea non si possa scartare alla leggera, essendo gi abbastanza vicina a ci che la maggior parte di noi desidera credere.

La libert individuale come impegno sociale* Amartya Kumar Sen

Vorrei cominciare col dire quanto mi senta profondamente onorato: ho la massima ammirazione per il magnifico clima intellettuale dellItalia contemporanea. Ho inoltre particolarmente a cuore i miei rapporti con questo splendido paese anche in ragione dei miei legami personali, in quanto sono stato sposato per lunghi anni con una grande italiana, Eva Colorni, fino alla sua prematura morte nel 1985. Per molte ragioni diverse, quindi, mi sento estremamente privilegiato di trovarmi qui. Premessa Intendo esaminare le implicazioni che derivano dal considerare la libert individuale come un impegno sociale. Mi occuper in questa sede di quella concezione delletica sociale che vede la libert individuale sia (a) come un valore centrale in qualsiasi valutazione della societ, sia (b) come un prodotto inscindibile degli assetti sociali. Per lanalisi della societ contemporanea, ritengo che questa prospettiva abbia alcuni vantaggi rispetto ad altri approcci (quali il calcolo utilitarista dei piaceri e dei desideri che, in modo implicito o esplicito, alla base di molte scelte attuali di politica sociale), e possa anche avere, come sosterr, implicazioni di ampia portata per una valutazione delle istituzioni sociali e delle scelte politiche. 1. Idee astratte e orrori concreti Anche se mi propongo di discutere le idee fondamentali che sono implicite nella nozione di libert individuale intesa come impegno sociale, la mia preoccupazione principale in questo saggio riguarder la ri* Testo presentato in occasione del conferimento all'Autore del Premio Internazionale Senatore Giovanni Agnelli (Torino, Lingotto, 5 marzo 1990).

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levanza pratica di questo punto di vista. Cercher di illustrare le implicazioni di tale approccio partendo da problemi tratti dalla vita quotidiana. Se molti degli esempi che ho scelto riguarderanno fenomeni economici, questo dovuto non solo al fatto che io sono di professione, in primo luogo, un economista (anche se mi prendo spesso la libert di partecipare a dibattiti di etica), ma anche alla mia profonda convinzione che lanalisi economica possa offrire un contributo alletica che sta a fondamento del mondo in cui viviamo Alcuni dei pi laceranti problemi delletica sociale sono infatti di natura profondamente economica. In questa sede, forse mi perdonerete se indulger ad alcune reminiscenze della mia infanzia, che in realt ebbero poi uninfluenza decisiva sui miei interessi e sul mio impegno successivo. Tra gli eventi che mi turbarono maggiormente nella mia infanzia vi fu lesperienza della carestia del Bengala nel 1943, nella quale, secondo le attuali stime, morirono circa tre milioni di persone. Si tratt di una calamit incredibilmente atroce, che si manifest con una subitaneit che allora mi risult del tutto incomprensibile. Allepoca avevo nove anni e studiavo in una scuola di una zona rurale del Bengala. Tra la gente che conoscevo a scuola e le loro famiglie non vi era alcun segno apparente di sofferenza, e infatti, come scoprii quando studiai la carestia oltre tre decenni pi tardi, la maggioranza della popolazione del Bengala sub ben poche privazioni durante il periodo di carestia. La carestia era confinata ad alcune specifiche categorie professionali (come succede in quasi tutte le carestie), mentre per il resto della popolazione le cose andavano sostanzialmente in modo quasi normale. Un mattino, un uomo di estrema magrezza apparve nel recinto della nostra scuola, mostrando un comportamento poco equilibrato, che come avrei appreso pi tardi un segno tipico di prolungate sofferenze da inedia. Era venuto da un lontano villaggio per cercare cibo e vagabondava nella speranza di ottenere aiuto. Nei giorni seguenti, arrivarono decine, poi migliaia, e infine una vera processione di innumerevoli persone emaciate, con le guance scavate, gli occhi sbarrati, spesso portando in braccio dei bambini ridotti a pelle e ossa. Cercavano la carit delle famiglie pi agiate e del governo. La carit privata si estese considerevolmente, sebbene fosse purtroppo inadeguata a salvare i milioni di persone colpite dalla carestia. Per, per varie ragioni, le autorit dellIndia britannica non trovarono modo di impostare un piano pubblico di assistenza su vasta scala, se non dopo circa sei mesi dallinizio della carestia. assai difficile dimenticare la visione di quelle migliaia di persone raggrinzite, che mendicavano flebilmente, soffrivano in modo atroce e morivano in silenzio. La natura di questo grave fallimento sociale deve considerarsi

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ancora pi intollerabile alla luce dei successivi studi sulla carestia, che mostrarono come la disponibilit complessiva di cibo in Bengala non fosse particolarmente bassa durante il periodo della carestia. Coloro che morirono mancavano piuttosto dei mezzi per procurarsi il cibo a disposizione. Torner sul tema generale pi avanti nel corso di questo saggio. Essa mi capit quando ero ancora pi giovane avevo circa otto anni, credo. Allora vivevo a Dacca, che in quel periodo era la seconda citt del Bengala in ordine di grandezza, ora capitale del Bangladesh. Scoppiarono improvvisamente delle violenze di natura etnica tra gli ind e i musulmani, con insensate uccisioni di membri di entrambe le comunit da parte di criminali della fazione opposta. Per quanto la citt presentasse un tessuto misto dal punto di vista etnico, vi era una concentrazione di musulmani in alcune zone e di ind in altre. Io provenivo da una famiglia ind, e vivevamo in unarea di Dacca prevalentemente abitata da ind delle classi medie. Un pomeriggio, un uomo entr dal nostro cancello, urlando in modo pietoso e sanguinando abbondantemente: era stato accoltellato alla schiena. Era un lavoratore giornaliero musulmano, il cui nome, ci disse, era Kader Mian. Era venuto a consegnare un carico di legna a una casa vicina, in cambio di un modesto compenso. Mentre veniva trasportato allospedale da mio padre, egli continuava a ripetere che sua moglie gli aveva pur detto di non addentrarsi in unarea ostile durante i disordini etnici, ma egli aveva dovuto ugualmente uscire in cerca di lavoro, perch la sua famiglia non aveva nulla da mangiare. Un ben pesante prezzo dovette pagare per la sua mancanza di libert economica: mor infatti qualche tempo dopo allospedale. E possibile obiettare che i ricordi dolorosi di unet facilmente impressionabile non possono rappresentare un valido oggetto per unanalisi seria, e non si deve pretendere che queste esperienze siano pi profonde di quanto non possano essere state. Peraltro, io ritengo che questi casi abbiano una certa rilevanza per le tesi centrali che sto cercando di sostenere. Perci mi prender la libert di tornare su questi terribili eventi, ma solo dopo avere definito in modo pi chiaro i termini generali della questione. 2. Libert negativa e libert positiva Dal punto di vista concettuale, la libert individuale ben lungi dallessere scevra da ambiguit. Il primo destinatario del Premio Agnelli, Sir Isaiah Berlin, ha introdotto una importante e influente distinzione

Laltra mia esperienza di orrore fu di un tipo alquanto differente.

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fra concezioni negative e positive della libert1. Tale distinzione pu interpretarsi in molti modi diversi. Uno di questi fa riferimento al ruolo svolto dalle ingerenze di altri nel privare una persona della sua libert di azione2. Secondo questa prospettiva la libert intesa in senso positivo (la libert di), riguarda ci che, tenuto conto di tutto, una persona pu o meno conseguire. Linteresse non tanto rivolto verso i fattori causali alla base di questo, ovvero se lincapacit da parte di una persona di raggiungere un certo obiettivo sia dovuta alle restrizioni imposte da altri individui o dal governo. Al contrario, la concezione negativa della libert (la libert da) si concentra precisamente sullassenza di una serie di limitazioni che una persona pu imporre a unaltra (o che lo stato o altre istituzioni possono imporre agli individui). Ad esempio, se io non fossi in grado di passeggiare liberamente nel parco perch invalido, questo sarebbe una carenza della mia libert positiva, ma non vi alcuna traccia di violazione della mia libert negativa. Daltra parte, se non posso passeggiare nel parco non perch sia invalido, ma perch mi assalirebbero i malviventi, allora si ha una violazione anche della mia libert negativa (e non solo della mia libert positiva). Secondo questa interpretazione, che leggermente diversa dalla dicotomia classica di Berlin, chiaro che una violazione della libert negativa implica una violazione della libert positiva, mentre non vero il contrario. Nella tradizionale letteratura libertaria si affermata la tendenza a prestare attenzione prevalente alla concezione negativa della libert, tanto che alcuni hanno sostenuto la tesi che si dovesse riservare il termine libert solo alla sua interpretazione negativa. Daltra parte, molti autori (da Aristotele a Karl Marx, dal Mahatma Gandhi a Franklin Roosevelt) hanno mostrato molto interesse verso le libert positive in generale, e non solo verso lassenza di limiti. possibile sostenere che, se noi riteniamo importante che una persona sia posta in grado di condurre la vita che preferisce, allora ci dobbiamo servire della categoria generale della libert positiva. Se, cio, riteniamo di grande importanza lessere liberi di scegliere, allora la libert positiva che ci interessa. Ma non si deve pensare che questa argomentazione a favore della libert positiva implichi che la libert ne1 Si veda I. Berlin, Four Essays on Liberty, Oxford, Oxford Clarendon Press, 1969. Si veda anche il saggio precedente. 2 Si veda R. Dworkin, Taking Rights Seriously, London, Duckworth, 1978 (2 ed.), trad. it. I diritti presi sul serio, Bologna, Il Mulino, 1982; si veda inoltre A. Sen, Rights and Agency in Philosophy and Public Affairs, 11, inverno 1982, ripubblicato in S. Scheffler (a cura di), Consequentialism and Its Critics, Oxford, Oxford University Press, 1988.

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gativa non debba ricevere una speciale attenzione. Ad esempio, in generale pu essere negativo per una societ che una persona non possa passeggiare nel parco, ma, in coerenza con tale diagnosi, si pu considerare particolarmente spiacevole dal punto di vista degli assetti sociali che tale incapacit sia il risultato di ostacoli o minacce posti da altre persone. Lingerenza di altri nella vita di una persona ha risvolti sgradevoli forse intollerabili che vanno ben oltre la mancanza di libert positiva che ne risulta. Se si accetta questo, allora non vi una particolare ragione di discutere se si debba assumere una visione della libert di tipo positivo oppure di tipo negativo. Una adeguata concezione della libert dovrebbe essere sia positiva, sia negativa, poich entrambe sono importanti (anche se per ragioni differenti). Invero, date le interrelazioni tra le caratteristiche sociali, i due aspetti sono collegabili tra loro in diversi modi. Si consideri il caso di Kader Man, il lavoratore giornaliero cui prima ho accennato. La sua morte lo ha privato della fondamentale libert positiva di continuare a vivere (come avrebbe scelto di fare). Questo gi in s abbastanza drammatico, ma ci che rende la tragedia ancora pi terribile che questa privazione della libert positiva di continuare a vivere fu determinata dallatto offensivo di un assalitore, non dalle forze naturali dellet o della malattia. Non solo mor: fu ucciso. Questo spaventoso aspetto dellevento ci conduce dalla concezione positiva a quella negativa. Inoltre, se Kader Mian avesse ascoltato sua moglie e minacciato dalla criminalit etnica non avesse accettato il lavoro retribuito che gli veniva offerto, allora, di nuovo, si sarebbe avuta una perdita di libert negativa: la perdita della libert di accettare un lavoro a causa di ingerenze (in questo caso, con intenzioni omicide) da parte di altri. Ma vi un ulteriore aspetto di connessione reciproca fra la libert positiva e quella negativa. Kader Mian dovette affrontare il rischio di venire ucciso da quei criminali perch era povero e la sua famiglia aveva fame. La povert non in s una violazione della libert negativa: vero che una persona in estrema povert non libera di fare molte cose (quali nutrire bene la sua famiglia, rimanere a casa quando vi sono disordini che minacciano la sua vita), ma la povert e la conseguente mancanza di libert positiva non sono necessariamente dovute a una ingerenza da parte di altri. Fu per proprio questa mancanza di libert positiva che costrinse Kader Mian ad andare in cerca di un qualche guadagno in un territorio ostile, e che quindi lo rese soggetto allatto di violenza da parte dei criminali. Possiamo considerare il suo omicidio come

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una estrema violazione della sua libert negativa, ma egli fu spinto in quel territorio chiaramente rischioso innanzitutto dalla sua povert e dalla conseguente mancanza di libert positiva. Se dunque vi una distinzione effettiva tra laspetto positivo e quello negativo della libert, questi diversi aspetti possono essere profondamente intrecciati tra loro. Concentrarsi solamente su uno oppure sullaltro non solo incompleto dal punto di vista etico, ma pu anche risultare incoerente dal punto di vista sociale. Limpegno sociale nei confronti della libert individuale deve riguardare entrambe le libert, positiva e negativa, insieme alle loro estese relazioni reciproche. 3. Carestie e libert Le interrelazioni tra i diversi aspetti della libert possono talvolta assumere forme piuttosto complesse. Si consideri il venir meno su larga scala, in una carestia, della libert positiva di sopravvivere. La carestia del Bengala del 1943, a cui ho fatto riferimento sopra, fu in realt lultima importante carestia in India. Non vi sono state grandi carestie dopo lindipendenza, nonostante gravi siccit, inondazioni e altre catastrofi. A che cosa si pu attribuire tale differenza? E, spingendoci al di l di questo interrogativo, come possibile eliminare la persistenza di terribili carestie nel mondo (ad esempio, nella fascia sub-sahariana dellAfrica)? Ho gi ricordato come la carestia del Bengala del 1943 avesse luogo senza che la disponibilit di cibo fosse eccezionalmente bassa. Questo vero anche per molte altre carestie (quali quelle dellEtiopia del 1973 e dei primi anni ottanta). Alcune carestie sono infatti avvenute quando la disponibilit di cibo era al suo livello massimo (come, ad esempio, nel caso della carestia del Bangladesh del 1974). Nello spiegare le carestie, non si deve quindi guardare tanto alla disponibilit totale di cibo (anche se questo pu costituire uno dei molti fattori scatenanti), ma al possesso di titoli da parte dei gruppi vulnerabili, ovvero ai diritti di propriet sul cibo che tali gruppi sono in grado di farsi riconoscere3. Dobbiamo pertanto concentrare lattenzione sui cambiamenti economici e politici che privano particolari categorie professionali della loro capacit di disporre del cibo. Per esempio, la diffusione di una disoccupa3 Si veda A. Sen, Poverty and Famines, Oxford, Clarendon Press, 1981; si veda inoltre M. Ravallion, Markets and Famines, Oxford, Oxford University Press, 1987, e J. Drze e A. Sen, Hunger and Public Action, Oxford, Oxford University Press, 1981.

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zione su vasta scala che conducesse a una generalizzata incapacit di conseguire un reddito, o a uno sproporzionato aumento del prezzo del cibo rispetto ai salari, o a una accentuata caduta del prezzo dei manufatti degli artigiani, potrebbero condurre a una situazione di fame assai diffusa. Alla luce di questa analisi, non deve sorprendere che una politica di integrazione dei redditi (ad esempio, offrendo impiego pubblico, o pagando un salario alle persone indigenti in cerca di lavoro) possa costituire uno dei modi pi efficaci di prevenire le carestie. Questo in effetti il modo in cui le carestie sono state sistematicamente prevenute in India dopo lindipendenza. Ogniqualvolta vaste categorie professionali hanno perso la loro capacit di guadagno (ad esempio, quando i lavoratori agricoli sono rimasti senza lavoro per una grave siccit o una inondazione) il potere di acquisto perduto dalla popolazione colpita stato ricostituito in larga misura attraverso la creazione di occupazione nel settore pubblico. Questo avvenuto pi e pi volte in diverse parti dellIndia: nel Bihar nel 1967, nel Maharashtra nel 1973, nel Bengala Occidentale nel 1979, nel Gujarat nel 1987 ecc. Leliminazione delle carestie in India stata in massima parte il risultato di sistematici interventi pubblici. Per dire la verit, il progetto di massima per questo tipo di interventi era stato sostanzialmente delineato gi durante la dominazione britannica, in particolare con i Codici per la carestia del 1880. Anche se quelle procedure sono state molto perfezionate, la strategia di base della reintegrazione dei redditi in linea di massima la stessa. Come quindi stato possibile che le carestie abbiano continuato a verificarsi fino al 1943, ma non dopo lindipendenza del 1947? Il fatto che le procedure di prevenzione delle carestie delineate nei Codici per la carestia non possono ovviamente essere molto efficaci, a meno che non vengano effettivamente applicate, e al momento giusto. Durante la dominazione britannica, i Codici per la carestia furono spesso chiamati in causa troppo tardi. Talvolta, come nel caso della carestia del Bengala del 1943, i Codici non vennero affatto richiamati n applicati. Al contrario, a partire dallindipendenza, le misure di prevenzione delle carestie sono state utilizzate abbastanza prontamente non appena si manifestava la minaccia di una potenziale carestia. Che cosa pu spiegare questa diversit? Ho cercato altrove di argomentare che quanto ha effettivamente determinato il cambiamento della situazione stata la natura pluralistica e democratica dellIndia dopo lindipendenza. In presenza di una stampa relativamente libera, con elezioni periodiche e con attivi partiti di opposizione, nessun governo pu

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sfuggire a severe sanzioni nel caso si verifichino ritardi nellapplicazione di misure di prevenzione e si consenta alla carestia di scatenarsi. E questa minaccia che mantiene i governi allerta4. Il contrasto acuto non solo rispetto allIndia prima dellindipendenza, ma anche relativamente a molti paesi dellAfrica sub-sahariana, nei quali i governi non si devono preoccupare troppo della minaccia di partiti di opposizione e in cui la stampa ben lungi dallessere libera. Anche la carestia che colp la Cina nel 1958-61, nella quale morirono fra i 23 e i 30 milioni di persone, fu in parte causata dalla prosecuzione di politiche governative disastrose, che a loro volta furono rese possibili dalla natura non democratica del sistema politico di quel paese. Per tre anni, nonostante le gravi condizioni di carestia, la politica governativa non venne in sostanza invertita. Il governo non si sentiva minacciato, non vi erano partiti di opposizione, nessun quotidiano pot avanzare critiche alle politiche pubbliche. In realt, la carestia in massima parte non fu neppure menzionata dalla stampa di regime, nonostante la carneficina che si stava verificando nel paese. Invero, nella terribile storia delle carestie mondiali difficile trovare un caso in cui si sia verificata una carestia in un paese che avesse una stampa libera e unopposizione attiva entro un quadro istituzionale democratico. Se vale questa analisi, allora le diverse libert politiche presenti in uno stato democratico fra cui elezioni regolari, liberi giornali e libert di parola (senza veti o censure da parte del governo) devono essere viste come la vera forza motrice della eliminazione delle carestie. Qui, di nuovo, si pu vedere come un insieme di libert di criticare, di pubblicare, di votare sia connesso da un legame causale ad altri tipi di libert, quali la libert di sfuggire alla morte per fame e carestia. La libert negativa della stampa e dei partiti di opposizione di criticare, scrivere e organizzare la protesta pu risultare assai efficace nella salvaguardia delle libert positive elementari della popolazione pi vulnerabile. 4. Calcolo utilitarista contro libert Il porre laccento sulla libert positiva o negativa come base della valutazione sociale pu essere messo a confronto con altri approcci quali lutilitarismo. La tradizione utilitarista pone in rilievo non tanto
4 Si veda A. Sen, How is India Doing in The New York Review, 16 dicembre 1982; inoltre, dello stesso autore, Resources. Values and Development, Oxford-Cambridge (Mass.), BlackwellHarvard University Press, 1984.

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la libert di raggiungere risultati, quanto piuttosto i risultati conseguiti. Inoltre, essa valuta questi risultati in termini di condizione soggettiva, quale il piacere o il desiderio (lutilit). Vi sono per sostanziali differenze allinterno della generica prospettiva utilitarista. Per esempio, giudicare limportanza di quanto si ottenuto dalla misura in cui ci genera piacere pu condurre a conclusioni diverse da quelle che si traggono giudicando secondo lintensit dei desideri soddisfatti. Ma dietro i diversi tipi di strategie ce n una comune, che comprende (a) la concentrazione sui risultati e (b) la valutazione secondo certe condizioni soggettive (quali il piacere o il desiderio) delle persone interessate. La tradizione utilitarista sviluppata da Jeremy Bentham, John Stuart Mill e altri ha avuto un notevole impatto sociale in termini pratici, nel rendere sistematica e ordinata la valutazione di politiche antagoniste. Le implicazioni del ragionamento utilitaristico sono state analizzate in profondit ed effettivamente applicate da economisti, analisti sociali e pubblici funzionari. Alcuni dei cambiamenti sociali determinati dalla tradizione utilitarista (a partire dalle prime riforme delle prigioni in Gran Bretagna, problema che preoccupava molto lo stesso Bentham) non solo hanno ridotto la sofferenza e aumentato la felicit, ma hanno anche, insieme ad altri effetti, contribuito ad accrescere le libert delle persone. Daltra parte queste estensioni delle libert, quando si sono effettivamente verificate, hanno costituito solamente risultati fortuiti di una politica di stampo utilitaristico, poich la libert come tale non costituisce un valore nel calcolo utilitaristico. In altri casi, le prescrizioni utilitariste si sono invece trovate a scontrarsi con le richieste di libert individuale. Questi conflitti emergono per svariate ragioni, ivi compresa la componente di paternalismo che implicita nella pretesa di organizzare una societ in modo da condurre le persone al risultato dellutile massimo, invece di lasciare loro maggiore libert, compresa la libert di commettere degli errori. Un diverso tipo di difficolt riguarda le distorsioni che si generano quando le condizioni soggettive del piacere e del desiderio si adeguano a situazioni di persistente diseguaglianza. Intendo dire che in circostanze di diseguaglianza e iniquit di vecchia data, i diseredati possono essere indotti a considerare il loro destino come praticamente inevitabile, da sopportarsi con rassegnazione e tranquillit. Essi imparano ad adattare di conseguenza i loro desideri e piaceri, perch non ha molto senso continuare a struggersi per quanto non sembra loro realizzabile e le cui prospettive essi non hanno mai avuto motivo di considerare attentamente. Il calcolo utilitaristico in realt profondamente distorto nel caso di co-

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loro che, essendo cronicamente in condizione di privazione, non hanno il coraggio di desiderare molto pi di quanto gi posseggano e gioiscono per quanto possono dei loro piccoli sollievi, poich le loro privazioni appaiono meno acute usando il distorto parametro dei piaceri e dei desideri. La misura dellutilit pu isolare letica sociale dalla valutazione dellintensit della privazione del lavoratore precario, del disoccupato cronico, del coolie sovraccarico di lavoro o della moglie completamente succube, i quali hanno imparato a tenere sotto controllo i loro desideri e a trarre il massimo piacere da minime gratificazioni. Sebbene la questine vada alle radici pi profonde del calcolo utilitarista, il problema non di natura esclusivamente teorica e ha conseguenze pratiche piuttosto serie. Consentitemi di illustrare questo punto facendo riferimento a due dei maggiori insuccessi sociali del mio paese, lIndia. Il primo concerne la diseguaglianza dei sessi ovvero, tra donne e uomini. Naturalmente, la posizione di svantaggio delle donne non rappresenta una peculiarit dellIndia, e vi sono prove di una estesa diseguaglianza di origine sessuale perfino in questioni elementari quali la salute e lalimentazione in molte regioni del mondo (ad esempio, nella maggior parte dei paesi dellampia fascia che si estende dallAsia occidentale alla Cina). Ma in India sono stati effettuati confronti piuttosto accurati tra i tassi di mortalit, di malattia, di assistenza ospedaliera, di cure alimentari ecc. (io stesso ho preso parte alla elaborazione di alcuni di questi confronti)5, e, nonostante una certa variabilit interregionale allinterno dellIndia, essi confermano con chiarezza un quadro piuttosto definito, che vede la donna sistematicamente svantaggiata rispetto alluomo in gran parte del paese, specialmente nelle zone rurali. La diagnosi di significative diseguaglianze basate sul sesso di appartenenza e la necessit di cambiare stata tuttavia fortemente messa in discussione. stato sottolineato abbastanza plausibilmente come le donne dellIndia rurale non provino invidia per la posizione delluomo, non vedano la loro situazione come una forma di penosa diseguaglianza e non ambiscano a un cambiamento. Anche se la politicizzazione della popolazione rurale sta modificando lentamente questo quadro inerte (un cambiamento in cui i movimenti delle donne, di recente sviluppo, cominciano a giocare un ruolo importante), nondimeno quella osservazione empirica costituisce tuttora sostanzialmente una rappresen5 Si veda Sen, Resources. V alues and Development cit.; inoltre, dello stesso autore, Commodities and Capabilities, Amsterdam, North-Holland, 1985.

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tazione corretta della attuale situazione nellIndia rurale. Sarebbe difficile sostenere che vi sia, al momento, una diffusa insoddisfazione per le diseguaglianze tra i sessi o un travolgente desiderio di cambiamenti radicali tra le donne dellIndia rurale. La vera questione riguarda linterpretazione e la significativit di questa osservazione empirica.

In un senso oggettivo, le donne nellIndia rurale sono veramente meno libere degli uomini per molti versi, e non vi nulla nella storia del mondo che stia a indicare che le donne non apprezzerebbero una maggiore libert se effettivamente giungessero ad averla (invece di considerarla come impossibile o innaturale). Lassenza di scontento attuale o di spontanei desideri di mutamento radicale non pu eliminare la rilevanza morale di questa diseguaglianza se la libert individuale compresa la libert di valutare la situazione del singolo e la possibilit di cambiarla viene accettata come un valore fondamentale. Dunque, mentre i difensori dello status quo trovano conforto e sostegno alle loro tesi in almeno alcune versioni dellutilitarismo, questa difesa non pu essere mantenuta se la libert individuale diviene veramente un impegno sociale. Poich sfruttamento e diseguaglianza persistenti spesso prosperano creandosi alleati passivi proprio in coloro che vengono bistrattati e sfruttati, la discrepanza tra argomentazioni basate sullutilit ed argomentazioni basate sulla libert pu essere netta e ricca di conseguenze. Il secondo esempio riguarda lanalfabetismo in India. A partire dallindipendenza nel 1947, lIndia ha compiuto notevoli progressi nellistruzione superiore, ma pochissimi in quella elementare. Nel censimento del 1981, solo il 41 per cento della popolazione adulta risultato in grado di leggere e scrivere mentre il tasso di alfabetismo femminile era solo del 28 per cento. Listruzione elementare non ha mai ricevuto limportanza di cui hanno goduto altri obiettivi sociali nella politica indiana. Molti fattori possono spiegare questo insuccesso politico, ma unargomentazione che viene spesso avanzata che lanalfabeta indiano non particolarmente scontento del proprio stato, e listruzione non rappresenta uno dei desideri pi intensi dellindiano che di essa privato. Come descrizione della condizione psicologica dellanalfabeta indiano, pu anche essere corretta. Ma lanalfabetismo costituisce altres una mancanza di libert non solo una mancanza della libert di leggere, ma anche una riduzione di tutte le altre libert che dipendono dalle forme di comunicazione in cui necessario il possesso della capacit di leggere e scrivere. Qui, di nuovo, unetica sociale che faccia perno sulla libert ci porta in una direzione piuttosto differente rispetto a quella indicata da calcoli sociali basati sui piaceri o sui desideri.

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5. La libert e i suoi mezzi Di recente, la tradizione utilitarista ha subto attacchi anche da molti altri punti di vista. Per esempio, John Rawls e Bernard Williams, tra gli altri, hanno avanzato profonde critiche alle fondamenta stesse delle argomentazioni utilitariste6. Molti sistemi alternativi di filosofia politica hanno ricevuto crescente attenzione (ivi compresi le vigorose analisi di differenti aspetti delle procedure del liberalismo e della libert di giudizio effettuate, fra gli altri, da James Buchanan, Ronald Dworkin e Robert Nozick)7. Pu risultare utile confrontare lapproccio che sto cercando di presentare con alcuni aspetti della teoria della giustizia di John Rawls, teoria che ha grandemente contribuito a una radicale rigenerazione della filosofia politica e delletica moderna. La teoria rawlsiana della giustizia ha fatto veramente molto per portare al centro dellattenzione limportanza politica ed etica della libert individuale. I suoi princpi di giustizia salvaguardano la priorit della libert individuale, fatta salva una simile libert per tutti. Il suo approccio alla diseguaglianza non si concentra sulla distribuzione dellutilit, quanto piuttosto sulla distribuzione di beni primari. Questi sono gli strumenti (come reddito, ricchezza, libert e cos via) che aiutano le persone a perseguire liberamente i loro rispettivi obiettivi. Tuttavia, compiere confronti fra beni primari posseduti da persone diverse non esattamente equivalente a confrontare le libert di cui diverse persone beneficiano, anche se le due cose possono essere strettamente collegate. I beni primari costituiscono mezzi per la libert, ma non possono rappresentare lambito della libert, a causa delle differenze tra gli esseri umani per quanto riguarda la loro capacit di trasformare beni primari nella libert di perseguire i loro obiettivi. Date le differenze di sesso, et, caratteristiche specifiche, diversit ambientali, che possono essere predominanti fra i gruppi e allinterno di essi, unuguale distribuzione di beni primari pu accompagnare livelli di libert assai
6 Si veda J. Rawls, A Theory of Justice, Cambridge (Mass ), Harvard University Press, 1971, trad. it. Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 1982; si veda inoltre B. Williams Ethics and The Limits of Philosophy, London-Cambridge (Mass.), Fontana Press - Harvard University Press, 1985, trad. it. Letica e i limiti della filosofia, Bari, Laterza, 1987. 7 Si veda J. M. Buchanan, Liberty, Market and the State, Brighton, Wheatsheaf Books, 1986; si veda inoltre R. Dworkin, A Matter of Principle, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1985, e R. Nozick, Anarchy. State and Utopia, Oxford, Blackwell, 1974, trad. it. Anarchia, stato e utopia. I fondamenti filosofici dello stato minimo, Firenze, Le Monnier, 1981.

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diversi tra loro. Ad esempio, una uguale dotazione di beni primari pu rendere persone con invalidit fisiche meno libere di perseguire il loro benessere. Inoltre, gli invalidi possono trovarsi svantaggiati non solo nella loro ricerca di benessere, ma anche in mancanza di speciali facilitazioni nella loro partecipazione alla scelta di istituzioni sociali comuni e nella loro capacit di influenzare decisioni politiche di carattere generale (non necessariamente connesse ai loro handicap). Mentre molte forme di invalidit sono piuttosto rare, gli esseri umani sono in generale profondamente diversi nelle loro caratteristiche personali e ambientali. Vi sono differenze di et ed energia, sesso e bisogni fisici (ad esempio, legati alla gravidanza), predisposizione alle malattie, costituzionale o indotta dallambiente, e cos via; queste differenze influenzano la misura in cui le persone sono capaci di costruire liberamente la loro vita a partire da una dotazione fissa di beni primari. Data la rilevanza delleterogeneit personale e ambientale, porre laccento sui beni primari non pu servire al nostro scopo di confrontare le libert che gli individui hanno realmente (anche se pu essere sufficientemente appropriato per lo scopo che Rawls si prefigge). Invece di concentrarsi sui beni primari o sulle risorse che gli individui detengono, possibile focalizzare lattenzione sugli effettivi tipi di vita che le persone possono scegliere di condurre e che concernono diversi aspetti del funzionamento umano (human functionings). Alcuni di tali aspetti sono estremamente elementari, come nutrirsi adeguatamente, godere di buona salute ecc., e questi possono essere tenuti in grande considerazione da parte di tutti, per ovvie ragioni. Altri possono essere pi complessi, ma pur sempre largamente apprezzati, come ad esempio raggiungere il rispetto di s, o prendere parte alla vita della comunit. Anche il functioning di tipo utilitarista essere felice potrebbe essere inserito qui, ma risulter come un aspetto in mezzo a molti altri (invece di essere la base della valutazione di tutti i risultati, come nel calcolo utilitarista basato sulla felicit). Gli individui possono, comunque, differire di molto luno dallaltro nella importanza relativa che ciascuno attribuisce a questi diversi aspetti per quanto tutti siano rilevanti e una teoria della giustizia basata sulla libert deve essere pienamente conscia di queste diversit (esistono varie tecniche di analisi capaci di tener conto di esse). La libert di condurre diversi tipi di vita si riflette nellinsieme delle combinazioni alternative di functionings tra le quali una persona pu scegliere; questa pu venire definita la capacit di una persona. La capacit di una persona dipende da una variet di fattori, incluse le caratteristiche personali e gli assetti sociali. Un impegno sociale per la libert

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dellindividuo deve implicare che si attribuisca importanza allobiettivo di aumentare la capacit che diverse persone posseggono effettivamente, e la scelta tra diversi assetti sociali deve venire influenzata dalla loro attitudine a promuovere le capacit umane. Una piena considerazione della libert individuale deve andare al di l delle capacit riferite alla vita privata, e deve prestare attenzione ad altri obiettivi della persona, quali certi fini sociali non direttamente collegati con la vita dellindividuo; aumentare le capacit umane deve costituire una parte importante della promozione della libert individuale. 6. L intervento sociale e la natura della povert Spostare laccento dai beni primari e dalle risorse alle capacit e alle libert pu determinare una differenza sostanziale nellanalisi empirica delle diseguaglianze sociali. Questo pu, come si discusso in precedenza, influenzare la valutazione delle diseguaglianze dovute al sesso, alla classe, allinvalidit o alla posizione delle persone. Poich queste sono alcune delle pi scottanti questioni sociali nel mondo moderno, le concrete differenze dovute a questo spostamento di prospettiva possono rivelarsi niente affatto trascurabili. Questo spostamento rilevante anche in relazione ad altre questioni, legate alle prime, quali la scelta dei criteri per stabilire lesistenza di stati di privazione o povert, ovvero, se considerare la povert in termini di basso reddito (una carenza di risorse) oppure in termini di insufficiente libert di condurre esistenze adeguate (una carenza di capacit). Ad esempio, una persona che non sia particolarmente povera in termini di reddito, ma che debba spendere gran parte di questo reddito per la dialisi ai reni, pu venire considerata povera, proprio a causa della poca libert che ha di conseguire apprezzabili functionings. La necessit di tener conto di differenze nella abilit di trasformare redditi e beni primari in capacit e libert veramente centrale nello studio dei livelli di vita, in generale, e della povert in particolare. Queste differenze non riflettono sempre necessariamente caratteristiche personali immutabili, e talvolta sono correlate a condizioni sociali che lintervento pubblico in grado di modificare. In particolare, lo stato della salute pubblica e dellambiente epidemiologico pu avere una profonda influenza sulla relazione tra reddito personale, da un lato, e libert di godere di buona salute e lunga vita, dallaltro. Alcuni dei paesi pi ricchi sono estremamente carenti negli interventi pubblici in tal senso. Per esempio, le strutture sociali per lassistenza sanitaria negli

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Stati Uniti sono pi deficitarie di quelle di altri paesi molto pi poveri, e questa carenza si ripercuote specialmente su particolari gruppi, quali i neri. Gli Stati Uniti possono anche essere il secondo paese del mondo in termini di prodotto nazionale lordo pro-capite, ma la speranza media di vita alla nascita della popolazione statunitense minore di quella di una dozzina di altri paesi, e gli Stati Uniti dividono la tredicesima posizione con una mezza dozzina di altre nazioni (si veda la Tavola 1 del World Development Report 1989 della Banca Mondiale). Anche le disparit che stanno dietro questo valore medio sono piuttosto notevoli. Ad esempio, nella fascia di et compresa tra 35 e 54 anni, i neri hanno un tasso di mortalit pari a 2,3 volte quello dei bianchi, e allincirca solo la met delleccesso di mortalit dei neri pu venire spiegato sulla base di differenze di reddito8. Gli uomini hanno meno probabilit di raggiungere i quaranta anni nei sobborghi neri di Harlem a New York che nellaffamato Bangladesh9. Questo avviene nonostante che, per quanto riguarda il reddito pro-capite, i residenti ad Harlem siano molto pi ricchi di quelli del Bangladesh. Se si accetta che la libert individuale (ivi compresa la libert positiva di vivere senza una mortalit prematura) sia un impegno per la societ, allora bisognerebbe prestare una attenzione molto maggiore alla erogazione di servizi sanitari e di istruzione negli Stati Uniti. Esistono notevoli divergenze tra i livelli di reddito e le prestazioni dei sistemi sanitari nei diversi paesi del mondo, e tali differenze sono spesso collegate ad assetti sociali relativi allofferta di servizi sanitari, istruzione elementare e talvolta cibo. Le esperienze di paesi cos diversi come Cina, Costa Rica, Giamaica, Corea del Sud, Sri Lanka e lo stato del Kerala in India, mostrano chiaramente quale vasta portata possano avere gli effetti della pianificazione sanitaria e interventi pubblici diversificati nellaccrescere la; pos- sibilit delle persone di vivere a lungo, nonostante i bassi redditi. E anche istruttivo vedere come lapertura verso il sistema di libero mercato nelleconomia agricola cinese a partire dalle riforme del 1979 abbia condotto, da un lato, a un rilevante aumento della produttivit in agricoltura, ma dallaltro, a un decadimento dellesteso sistema sanitario pubblico. Proprio mentre il cibo e la produzione agricola pro-capite hanno fatto registrare unimpennata allinizio degli anni ottanta, in Cina si interrotta la rapida discesa dei tassi di mortalit rispetto al periodo precedente la riforma.
8 Si veda M. W. Otten et al., The Effect of Known Risk Factors on the Excess Mortality of Black Adults in the United States in The Journal of the American Medical Association, 9 febbraio 1990. 9 Si veda C. McCord e H. P. Freeman, Excess Mortality in Harlem in The New England Journal of Medicine, 18 gennaio 1990.

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I limiti del meccanismo di mercato nel distribuire servizi sanitari e istruzione sono stati, in realt discussi per molto tempo in economia (ad esempio, da Paul Samuelson e Kenneth Arrow)10. Ma facile perdere di vista questi problemi nella attuale euforia per il meccanismo di mercato. Il mercato pu effettivamente essere un grande alleato della libert individuale in molti campi, ma la libert di vivere a lungo senza soccombere a una malattia che pu essere prevenuta richiede una gamma pi ampia di strumenti sociali.

7. Scelta sociale e libert


Una concezione dellimpegno sociale incentrata sulla libert pu condurre a un conflitto con altri princpi di decisione sociale, sebbene possa risultare compatibile rispetto ad alcuni. La compatibilit o la conflittualit tra diversi principi di decisione sociale possono sollevare problemi complessi, e sono stati ampiamente esaminati, in termini molto generali, dalla moderna teoria delle decisioni collettive. Essa ha alle spalle una lunga tradizione, a partire dalle opere di matematici francesi del diciottesimo secolo come Borda e Condorcet, ma la sua attuale ripresa dovuta in gran parte alle ricerche pionieristiche condotte da Kenneth Arrow11. Sebbene lo stesso Arrow fosse interessato principalmente a stabilire lincompatibilit di alcuni princpi generali di scelta collettiva comunemente accettati, i metodi di indagine che per primo esplor possono essere utilizzati, sia in senso positivo sia in quello negativo, per indagare se una particolare serie di determinati principi differenti si possa o meno conciliare per definire scelte collettive coerenti. I miei sforzi in questo ambito si sono rivolti sia alle origini e alle conseguenze di questa incompatibilit sia alla ricerca di soluzioni12. Ne risulta che molti conflitti fra principi differenti di decisione sociale scaturiscono in ultima analisi da divergenze in quelle che potreb-

10 Si veda P. A. Samuelson, The Pure Theory of Public Expenditure in Review of Economics and Statistics, 35, novembre 1954; si veda inoltre K. J. Arrow, Uncertainty and the Welfare Economics of Health Care in American Economic Review, 53, 1963. " Si veda K. J. Arrow, Social Choice and Individuai Values, New York, Wiley, 1963 (2a ed.), trad. it. Scelte sociali e valori individuali, Milano, Etas Libri, 1977. 12 Si veda A. Sen, Collective Choice and Social Welfare, San Francisco, Holden Day, 1970, e Amsterdam, North-Holland, 1979; inoltre, dello stesso autore, Choice, Welfare and Measurement, Oxford, Blackwell, 1982, e Cambridge (Mass.), MIT Press, trad. it. Scelta, benessere e equit, Bologna, Il Mulino, 1984, e Social Choice Theory in K. J. Arrow e M. Intriligator (a cura di), Handbook of Mathematical Economics, Amsterdam, North-Holland, 1986.

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bero essere definite le basi informative dei diversi princpi13. Ogni principio di scelta sociale seleziona implicitamente determinati fatti come di per s rilevanti e altri come irrilevanti o di importanza secondaria. Per esempio il principio di Pareto, apparentemente inconfutabile e largamente utilizzato in economia, si riferisce solo a informazioni legate all utile (ad esempio lappagamento del desiderio, del piacere); afferma che un cambiamento sociale che comporti un utile per tutti deve essere necessariamente giusto. Non sorprende che in determinate circostanze il principio di Pareto possa entrare in conflitto persino con le pi elementari esigenze di rispetto della libert individuale. Esso infatti non attribuisce affatto unimportanza intrinseca alla libert individuale (riconosce soltanto linfluenza che indirettamente e in modo secondario essa pu avere dalla sua unione fortuita con lutile). La compatibilit fra i princpi spesso dipende dalla misura in cui differenti generi di informazioni possono essere conciliati per dar luogo a decisioni collettive. esattamente questo il punto in cui la letteratura che riguarda la teoria delle decisioni sociali si ricollega allargomento di questo saggio. Lutilitarismo fa riferimento esclusivamente a informazioni che riguardano i piaceri, i desideri dellindividuo ecc. Se si accetta la mia tesi, presentata sopra, di spostare lattenzione dallutilit alle libert individuali, allora i raffronti fra le libert di cui godono gli individui dovrebbero fornire la base informativa per la formazione delle scelte sociali. Lattribuzione di priorit alla libert individuale determiner spesso il conflitto con altri princpi di scelta sociale che hanno differenti basi informative, ad esempio lutilitarismo o la massimizzazione della ricchezza, o il raggiungimento dellabbondanza economica. Dato che il libertarismo si concentra solamente sulla libert negativa, un impegno sociale per la libert individuale (che comprenda sia la libert positiva sia quella negativa) entrer in conflitto pure con tale dottrina. In modo analogo, entrer in conflitto anche con il fine esclusivo di raggiungere la libert positiva senza conseguire anche quella negativa. Questi conflitti non dovrebbero sorprendere, dal momento che lattribuzione di priorit alla libert individuale, nel senso pi ampio del termine, si fonda sul rifiuto dellaffermazione esclusiva dellimportanza dellutile, della ricchezza, della sola libert positiva, sebbene queste variabili ricevano anchesse attenzione, fra le altre, nella ricerca della libert. Persino allinterno della prospettiva pi ampia dellimpegno sociale per la libert individuale si possono certo distinguere diverse opinioni
13 Si veda A. Sen, On Weights and Measures: Informational Constraints in Social Welfare Analysis in Econometrica, 45, ottobre 1977; inoltre, dello stesso autore, Choice, Welfare and Measurement cit.

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sullimportanza relativa che deve essere attribuita a ogni singolo aspetto della libert, ad esempio, a quella positiva e a quella negativa. Laccettazione di questa prospettiva generale non deve essere per ritenuta un modo di rifiutare le diverse opinioni sullimportanza relativa di ogni singolo aspetto. La stessa base informativa delle libert individuali (in senso ampio) pu venir utilizzata accentuando diversamente le varie componenti. Nonostante il suo reciso rifiuto dellutilitarismo, della dottrina che propugna la sola libert negativa, della massimizzazione della ricchezza, lapproccio generale dellimpegno sociale per realizzare la libert individuale conciliabile con molte opinioni fra loro eterogenee nellattribuire differente importanza a elementi diversi. 8. Impegno sociale e diseguaglianza In questo saggio ho indagato la natura e le implicazioni di un approccio alletica sociale che ponga laccento sulla libert individuale come impegno sociale. Lapproccio solleva questioni di interpretazione, come, ad esempio, se si debba adottare una concezione negativa o positiva della libert (ho sostenuto che occorre usarle entrambe e che le si deve considerare inestricabilmente e profondamente interrelate). Vi sono poi problemi di giustificazione, che richiedono confronti, in particolare, con lutilitarismo e la teoria rawlsiana della giustizia (e ho cercato di mostrare i vantaggi di una visione incentrata esplicitamente sulla libert). Poich la libert individuale non solo un valore sociale centrale, ma anche un inseparabile prodotto sociale, queste indagini hanno alcune implicazioni dirette e indirette sulla scelta delle istituzioni sociali e delle politiche pubbliche. Su alcune di tali implicazioni mi sono soffermato in precedenza. Si deve tuttavia sottolineare che la prospettiva generale della libert individuale come impegno sociale non esclude la necessit di affrontare problemi di conflittualit fra gruppi e fra individui. Come ha affermato Ralf Dahrendorf, non possiamo valutare il futuro della libert sociale e politica senza prendere in adeguata considerazione i conflitti diffusi che caratterizzano la societ contemporanea14. I principi distributivi sono evidentemente rilevanti per approcci che si fondano sulla libert, e il conflitto fra i rispettivi interessi dellefficienza e dellequit devono essere presi in considerazione in questo coSi veda R. Dahrendorf, The Modem Social Conflict, London, Weidenfeld and Nicol- son, 1988, trad. it. Il conflitto sociale nella modernit, Bari, Laterza, 1989.
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me in altri ambiti. Inoltre, anche quando alcuni princpi distributivi giungono a essere accettati per la realizzazione delle decisioni sociali, questa accettazione non deve per essere scambiata per la rimozione dei conflitti interpersonali o tra i gruppi. I princpi distributivi affrontano tali conflitti, piuttosto che eliminarli. Ad esempio, se un principio di giustizia sociale d la priorit allaccrescimento della libert del gruppo pi svantaggiato, si tratta di un modo di rispondere al conflitto, non di un tentativo di sradicarlo. Un importante compito di ogni concreto accordo sociale di riconoscere i conflitti di interesse e quindi di cercare una equa risposta a essi, generando una pi giusta distribuzione delle libert individuali. Comunque, se i conflitti di interesse sono molto acuti ed estesi, la fattibilit pratica e leffettiva creazione di accordi sociali giusti pu porre gravi problemi. Vi sono qui ragioni per un certo pessimismo, ma il grado e la forza di questo pessimismo devono dipendere da come concepiamo gli esseri umani in quanto persone sociali. Se vero che gli individui, in realt, perseguono incessantemente e senza compromessi solo il loro ristretto interesse personale, allora la ricerca della giustizia verr intralciata a ogni passo dallopposizione di tutti coloro che abbiano qualcosa da perdere dal cambiamento proposto. Se invece gli individui, come persone sociali, hanno valori e obiettivi di pi vasta portata, che includono la comprensione per gli altri e un impegno verso norme etiche, allora la promozione della giustizia sociale non dovr necessariamente fronteggiare unincessante opposizione a ogni cambiamento. In molte teorie economiche sociali attuali gli esseri umani sono visti come rigidi massimizzatori di angusti interessi personali e, dato questo implacabile obbligo, il pessimismo riguardo alle riforme degli assetti sociali volti a ridurre lineguaglianza sar davvero giustificato. Per, non solo si pu dire che questo modello delluomo deprimente e desolante, ma vi sono ben poche prove che esso costituisca una buona rappresentazione della realt. Le persone sono influenzate non solo dalla percezione del loro interesse, ma anche, come dice Albert Hirschman, dalle loro passioni15. Infatti, tra le cose che sembrano muovere la gente, a Praga come a Parigi, a Varsavia come a Pechino, a Little Rock come a Johannesburg, vi sono le preoccupazioni per gli altri e la considerazione per le idee. Lefficacia della stampa e dei mezzi di comunicazione di massa come veicoli di sensibilizzazione politica e di sicurezza economica, a cui ho gi accennato in precedenza, sarebbe veramente incomprensibile se la
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Si veda A. O. Hrschman, Rival Views of Market Society, London, Viking, 1986.

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gente si limitasse davvero solo a promuovere i propri interessi personali. Al contrario, se le notizie di carestie, pubblicate sui giornali, sconvolgono il pubblico e mettono sotto pressione il governo, questo avviene proprio perch le persone si interessano a quanto succede agli altri. Resoconti su discriminazioni, torture, miseria o abbandono aiutano a coalizzare forze contro questi avvenimenti, allargando lopposizione dalle sole vittime al vasto pubblico. Questo possibile solo perch la gente ha la capacit e la disponibilit a reagire alle difficolt altrui. Il che, ovviamente, non significa che sia facile mutare le diseguaglianze esistenti nel godimento della libert in una situazione meno iniqua e ingiusta, ma suggerisce che la possibilit e la realizzazione di distribuzioni pi eque delle libert individuali non necessariamente minacciata in modo determinante dalla semplice esistenza di conflitti di interesse. La questione pi urgente per lesigenza di riesaminare i problemi dellefficienza sociale e dellequit spostando lattenzione sulle libert individuali. Il presente saggio stato in gran parte dedicato proprio a questa pi elementare questione.

SECONDA PARTE

Bioetica in cammino Vittorio Mathieu

1. Criteri di valutazione
1.1. Limperativo etico caratterizza luomo Giudicare in etica e, in particolare, in bioetica impossibile senza un criterio; ma trovare un criterio oggettivo non facile. Si possono scambiare per criteri oggettivi proprie convinzioni, o anche modi di pensare diffusi che, tuttavia, potrebbero fondarsi su pregiudizi, o divenire inadeguati col mutare delle situazioni. Per questo, tanto il senso comune, quanto la filosofia pi raffinata, hanno spesso cercato di ricondurre letica a un criterio formale, la cui formula, tuttavia, sia atta a determinare almeno in qualche misura che cosa si deve o non si deve fare. Esempio popolare e tipico di una formula del genere: Non fare agli altri ci che non vorresti fosse fatto a te. Nel campo della filosofia tecnica lautore che ha raggiunto il risultato pi cospicuo su questa strada Kant. Egli d varie formulazioni equivalenti della legge morale, unica e universale, dalla cui forma stessa scaturiscono doveri o princpi pratici. Tra esse, quella che meglio si applica ai problemi della bioetica si trova nella Fondazione della metafisica dei costumi (1785; sez. II): Agisci in modo da considerare lumanit, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche al tempo stesso come uno scopo, e mai come un semplice mezzo1. Sebbene formale, questo principio contiene concetti come umanit, persona, scopo, mezzo, che toccano da vicino i problemi della gestione artificiale della vita umana, quali oggi si configurano in seguito alla scoperta di nuovi strumenti tecnologici. Nella ricerca che segue presupporremo il principio kantiano cos formulato, senza tentare di giustificarlo, fidando che esso trovi una larghis1 Grundlegung der Metaphysik der Sitten , trad. it. Fondamenti della metafisica dei costumi, I ed. Firenze, La Nuova Italia, 1936; il passo citato riproduce la trad. it. di V. Mathieu, Milano, Rusconi, 1982, p. 126.

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sima accettazione. Ci limiteremo a chiarire preliminarmente il significato di alcuni termini. Il principio impone di rispettare 1 umanit nella persona (Person). Il primo termine un astratto (Humanitt) e il secondo una metafora (da persona, maschera degli attori) caratteristica del linguaggio giuridico. Persona chi pu stare in giudizio, come soggetto attivo e passivo di diritto. Non si tratta, dunque, delluomo come pura entit biologica (o psicologica, o antropologica), ma si deve rispettare lumanit in ciascun uomo come soggetto di diritti. Per umanit dovr dunque intendersi un carattere che contraddistingue luomo da qualsiasi altro ente, e che non si riduce alla sua appartenenza a una specie biologica. Di che cosa si tratti, nella concezione kantiana, chiaro: luomo si distingue da ogni altro ente naturale perch il solo che si rappresenti la legge morale (anche quando, di fatto, non la segue). In altri termini, nella formula kantiana ci che impone di rispettare luomo come un fine mentre tutto il resto pu ridursi a mezzo che solo luomo, in tutta la natura, appare soggetto (titolare attivo e passivo) della legislazione morale. Questa interpretazione risponde bene al comune modo di pensare, che non esprime giudizi morali sul comportamento di altri enti della natura. In quanto soggetto morale, luomo uneccezione, e ci pu giustificare, in bioetica, una diversa considerazione della vita delluomo rispetto alla vita in genere. Un simile presupposto (che qui non messo in discussione) serve a giustificare quel diverso trattamento, per cui si ammette che la vita di altri animali sia sacrificata (come puro mezzo) per scopi sperimentali (o perfino alimentari) e la vita umana no. Per questo si invoca spesso il principio che la vita umana sacra: ma il principio rimane vuoto se non si spiega perch la vita umana sia sacra e quella degli altri animali no, o lo sia diversamente. importante precisare che la formula kantiana non esclude che si consideri luomo anche come un mezzo (ogni volta che mi servo di qualcuno per recapitare una lettera lo uso come mezzo), ma solo che sia lecito considerarlo come un puro mezzo, senza trattarlo al tempo stesso come un fine. Questa condizione rispettata subordinando luso che faccio di altri come mezzo al loro consenso: e, infatti, il consenso dellinteressato considerato spesso come decisivo in bioetica (ad esempio nel trapianto di organi). In certi casi, tuttavia, dubbio se linteressato abbia diritto o no di dare il suo assenso a essere usato come un mezzo (come cavia, ad esempio, in esperimenti che comportino la sua morte).

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1.2. Il fine giustifica i mezzi? Un altro principio da valutare in bioetica se il fine giustifichi i mezzi. Da alcuni questo principio affermato, da altri negato. Tanto laffermazione quanto la negazione, se accolte senza riserve (in inglese, qualifications), proverebbero troppo. Se un fine buono (ad esempio: il miglioramento della razza) bastasse a giustificare qualsiasi mezzo (ad esempio: sperimentare su cavie umane) tutto sarebbe lecito, perch un qualche fine buono si trova sempre alla radice di qualsiasi delitto (il fine di trasferire in mani migliori il patrimonio dellusuraia, in Delitto e castigo di Dostoevskij, buono in s, ma non giustifica il mezzo, ossia luccisione dellusuraia). Anche la negazione, per, prova troppo, perch non c nessun mezzo, il cui uso non danneggi (direttamente o indirettamente) qualcuno: quindi, se il fine non lo giustificasse, nulla sarebbe lecito. Esempio tipico, tagliare una gamba a un paziente; di per s, non lecito, ma giustificato dal fine di salvarlo dalla cancrena. La formulazione corretta, dunque, : Un qualsiasi fine buono non basta a giustificare qualsiasi mezzo. Rimane aperto il problema di stabilire, volta per volta, quali fini giustifichino quali mezzi. Poniamo che il mezzo indispensabile per condurre a termine una ricerca atta a salvare migliaia di vite sia sacrificarne sperimentalmente alcune: ci si pu domandare se il fine giustifichi il mezzo. Il criterio enunciato al punto 1.1 permette di rispondere di no, perch le persone sacrificate, in tal caso, sarebbero usate come puri mezzi. Si pu tuttavia discutere se sarebbe loro lecito dare lassenso a tale sacrificio. In sede di casistica si pu rispondere che lassenso lecito quando comporti un rischio, anche elevato, ma non la certezza della morte. Per altri la risposta pu essere diversa. Il criterio generale per stabilire quali fini rendono lecito un mezzo : Luso di un mezzo in s illecito reso lecito dal fine se, e solo se, perseguire questo fine un dovere. Ad esempio, il chirurgo, che non ha il diritto di amputare gli arti, ne ha tuttavia il dovere, se ci necessario per salvare la persona. Laborto terapeutico fondato su questo principio e, perci, accettato anche da chi giudica illecito qualsiasi aborto procurato. Salvare la madre certamente un dovere (oggettivo, anche in vista degli orfani potenziali): un dovere che prevale su quello di salvare il nascituro (sempre che sia possibile). Purtroppo (contro quanto pensava Kant) sono sempre possibili conflitti tra doveri anche perfetti (nel linguaggio kantiano, perfetti sono quei doveri rispetto a cui la legge morale non lascia alcuna latitudine

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di scelta circa il modo di osservarli). Quando si formi un evidente contrasto tra doveri perfetti, il giudizio etico sar sempre difficile. Tuttavia il criterio enunciato basta a chiarire molte situazioni. difficile sostenere, ad esempio, che l accanimento terapeutico (tenere artificialmente in vita un paziente in coma irreversibile) sia un dovere. Quanto alla ricerca, pur essendo un dovere per lo scienziato, un dovere (in senso kantiano) imperfetto, le cui modalit di esecuzione e la cui conciliazione con altri doveri non sono determinate in tutti i particolari: le esigenze della ricerca non servono, quindi, a giustificare luso di mezzi che rappresentino, di per s, una violazione di doveri perfetti. 2. Classificazione delle fattispecie atte a sollevare problemi di bioetica 2.1. Griglia dei problemi Per ottenere una classificazione semplificata, ma sufficientemente organica, formeremo una griglia a due sole dimensioni, usando come vettori da un lato le successive fasi dellesistenza umana in cui i problemi si presentano, dallaltro i diversi valori a cui il giudizio si pu ispirare. Dallincrocio risulteranno i pericoli che tali valori corrono, nelle diverse situazioni. Fatto ci, prospetteremo qualche possibile conclusione, con la prudenza resa necessaria da una materia dibattuta e a volte opinabile. Le fasi pi rilevanti si presentano nella seguente successione: a) nascita, dal concepimento al costituirsi di un individuo capace di vita autonoma (anche se condizionata dallassistenza altrui); b) esistenza individuale, attraverso periodi di sviluppo, di educazione, di senescenza; c) exitus, di solito non instantaneo; d) continuazione genetica nella specie e possibile evoluzione artificiale della vita umana; e) infine per quanto questa materia sia, per ora, fantascientifica evoluzione della vita in genere nellinsieme delle trasformazioni cosmologiche. I valori da difendere saranno, a loro volta, raggruppati in poche categorie, senza che ci si addentri nelle loro specificazioni (per quanto, a volte, importanti): a) edonistici (sotto cui conviene assumere il valore strumentale dei mezzi atti a conseguirli);

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b) di convivenza civile, avente per base un sistema giuridico e per altezza laiuto reciproco; c) estetici in senso lato, comprendenti quella che si suole chiamare qualit della vita (di valore non semplicemente edonistico); d) religiosi, implicanti un legame delluomo con un principio superiore, sia esso naturalistico o sia trascendente la natura. Incrociandosi, le due classificazioni mettono in luce i pericoli, variamente valutati dagli osservatori, e le conseguenze pratiche che se ne traggono, a seconda dei punti di vista. Di qui la necessit di un confronto costante tra concezioni diverse, che tuttavia implichino, almeno come aspirazione, un criterio di valutazione comune. Infatti, nonostante lestrema variabilit nel tempo e nello spazio degli oggetti da giudicare e dei criteri con cui li si giudica, chiunque dia un parere di ordine etico si richiama, esplicitamente o no, a un metro che vale, non solo per lui, ma per tutti. 2.2. Il processo riproduttivo I processi per riprodurre la specie hanno una straordinaria importanza in tutta la natura organica e non strano che, a livello umano, si connettano a un interesse vivissimo, sia dei singoli, sia delle istituzioni. Nella riproduzione umana la gestione artificiale di tali procedimenti comporta, per lo pi, la dissociazione di due eventi che la natura congiunge (sia pure in modo aleatorio): la copula e la nascita di un nuovo individuo. La dissociazione dei due eventi mira, ora a conservare il primo senza il secondo, ora, al contrario, a ottenere il secondo in assenza del primo. Pi raramente lintervento ha lo scopo di tenere congiunti i due eventi, quando naturalmente, per un difetto costituzionale, la nascita non avverrebbe. Sui metodi (di origine antichissima) per evitare le nascite conservando la copula la scienza applicata ha compiuto anche recentemente progressi, ma la questione etica non mutata: c differenza tra evitare il concepimento ed evitare la nascita quando il concepimento ormai avvenuto? Il problema si riduce a domandarsi in che momento cominci l essere umano; e interessa non solo laborto ma, in particolare, la sperimentazione su embrioni. Il secondo tipo dintervento (ottenere la nascita senza la copula) comprende: 1) linseminazione artificiale dellutero (per rimediare a malformazioni), ottenuta dallo Spallanzani su una cagna nel 1782 e dal Thouret sulla propria moglie nel 1785, divenuta prassi normale negli anni tren-

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ta; 2) la fecondazione in vitro (FIV), ottenuta da Charg sui conigli nel 1959 e da R. G. Edwards sugli uomini nel 1963; nelle specie pi complesse lembrione va, a un certo punto, impiantato in un utero, ma la fantascienza (da Goethe ad A. Huxley) suppone che si superi tale necessit. Un terzo tipo dintervento consiste nellembryotransfer, con cui un embrione concepito in vitro o in utero viene trasferito in un altro utero, che ha il compito di alimentarlo, per poi metterlo al mondo. Nei bovini il procedimento utile per ottenere un numero elevato di figli da una fattrice pregiata, senza che la gravidanza sia portata a termine dalla stessa. Nelle donne serve a dare una discendenza genetica a donne che non sarebbero in grado di portare a termine la gravidanza (ma si pu anche ipotizzare linverso). Dal punto di vista scientifico la provenienza del seme irrilevante. Non cos dal punto di vista etico-giuridico, per cui si distingue tra inseminazione omologa (col seme del marito, conservato in azoto liquido, o fresco) ed eterologa, con seme di un donatore estraneo, noto o ignoto. Riportiamo alcune sigle con cui si indicano questi processi: FIVET = fecondazione in vitro, seguita da embryotransfer; AIH = inseminazione artificiale omologa; AID = inseminazione artificiale eterologa. Le tecniche dinseminazione artificiale intracorporea danno luogo a ulteriori distinzioni: GIFT = congiunzione dei gameti nella tuba di Falloppio: un uovo, o pi, e lo sperma vengono aspirati e introdotti nella tuba, dove restano separati da una bolla daria; quando questa si dissolve gli spermatozoi concorrono verso luovo; LTOT (Low Tubal Oocyte Transfer) = trasferimento del solo uovo nella tuba o nellutero che luovo non raggiungerebbe da s; DIPI (Direct Intelperitoneal Insemination) = trasferimento di sperma nella cavit peritoneale in coincidenza con lovulazione. La percentuale di successo delle due ultime tecniche scarsa. 2.3. Sperimentazione e trapianti Varie sono le occasioni in cui la scienza pu esser tentata di ridurre a semplice mezzo luomo, nel percorso dalla nascita alla morte. La pi importante , senza dubbio, la sperimentazione, perch questa indispensabile al progresso. La sperimentazione su esseri anche molto simili

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alluomo, come i primati, a volte non probante. Senonch la sperimentazione avviene per prova ed errore e, di regola, gli errori sono molti e a volte gravi, prima che si trovi la soluzione giusta. Le vittime di tali errori sarebbero usate come meri mezzi per la (neppur certa) salvezza di altri. Ma spesso, senza sperimentare, anche la speranza preclusa. In queste situazioni frequenti quando non si dispone di una terapia efficace e non particolarmente lesiva la procedura per evitare di usare le persone come semplici mezzi di subordinare la sperimentazione al loro consenso (si veda oltre, 3.1). Analogo il caso del trapianto di organi. Questi son tratti spesso da cadaveri, ma, a parte la difficolt di stabilire il momento esatto della morte, la concezione etica pi diffusa estende anche al corpo, gi un tempo animato, il rispetto dovuto alla persona. Quando questa non pi in grado di esprimere il suo assenso, in mancanza di divieto si ricorre al consenso presunto (art. 2 del disegno di legge presentato al Senato italiano). Ci si preoccupa anche delle alterazioni della personalit che potrebbe derivare al donatario: perci si vieta il trapianto dellencefalo e delle gonadi, e si limita lutilizzazione dellipofisi alla produzione di estratti iniettabili. Pi indiretto, ma ben pi radicale, limpatto che le ricadute della scienza applicata hanno sulluomo attraverso lambiente. Il problema oggi particolarmente sentito per le radiazioni artificiali (che potrebbero influire non solo sui singoli, ma sulla specie); tuttavia non diverso da quello che il Panini sollevava, ad esempio, a proposito delle marcite. Qualsiasi progresso scientifico obbliga a comparare costi e benefici. Quando gli uni e gli altri non ricadono sulle stesse persone, alcune sono sacrificate al progresso senza esserne il fine, e sorge il problema morale. A volte la riduzione delluomo a oggetto da parte della scienza meno visibile ma non meno reale. Negli ospedali il malato che disturba spesso curato con rimedi non dichiarati, che alleviano le sue sofferenze, ma sono somministrati soprattutto per alleviare le sofferenze degli altri. Lo scopo buono, ma occorre vedere se giustifichi il mezzo. Di ci si parla poco (si veda oltre, 4.8), mentre si parlato anche troppo dei crimini della psichiatria tradizionale. Anche qui lo scopo della protezione dei sani induceva a trascurare il carattere di fine in se stesso del malato, tanto pi che questo non sempre era in grado di agire come persona. Daltro canto, stravolgendo a scopi impropri la critica della psichiatria, P antipsichiatria ha indotto a commettere crimini ancor peggiori, nonch (pi sottilmente) a sorvolare su quella riduzione a puro mezzo della persona umana che ha luogo con labuso degli psicofarmaci.

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I progressi della chimica e della fisiologia hanno gettato nella tempesta la medicina, e non si vedono allorizzonte possibili soluzioni: da un lato impossibile rinunciare a strumenti efficaci, dallaltro i loro effetti secondari incidono negativamente sulla personalit e sulla salute. 2.4. Eutanasia Gli esperimenti su esseri umani possono anche portarli deliberatamente alla morte; ma questo non solleva problemi teorici, perch visto unanimemente come un delitto. Dibattuti, per contro, i procedimenti intesi ad alleviare una vita ormai inutile e carica di sofferenze, con o senza la richiesta esplicita dellinteressato. La deontologia scientifica ne toccata solo di striscio, perch loperazione non richiede nessuna particolare scienza (un tempo i soldati portavano per questo un pugnale chiamato misericordia). Oggi, per, la scienza medica toccata dal problema delleutanasia a causa dellaffinarsi dei possibili metodi, da un lato, per conservare quasi indefinitamente una vita artificiale di malati irrecuperabili, dallaltro per abbreviarla, con gli stessi mezzi, spesso, che servono ad alleviare le sofferenze. Luso deliberato di tali mezzi chiamato eutanasia attiva, mentre il mero astenersi da mezzi per conservare la vita l eutanasia passiva. Per quanto a volte sia difficile tracciare un confine, la differenza morale evidente. La difficolt che, per un verso, la vita sempre conservata artificialmente (se non altro, con lalimentazione); per laltro, tutto ci che conserva la vita contribuisce, al tempo stesso, ad abbreviarla (se non altro, con le scorie dellalimentazione). Quando alcune funzioni vitali (respirazione, circolazione) sono mantenute in modo artificiale, esauritasi ogni speranza di recuperarle naturalmente, si parla di accanimento terapeutico ; e il rinunciare a esso non pu certo assimilarsi a un omicidio. Leutanasia attiva solleva, al contrario, molti problemi a cui, in certi ambienti, si cerca di passar sopra. Essa si riduce, in realt, allomicidio di consenziente, dove il consenso, peraltro, a volte presunto. Il suicidio filosofico era comune nellantichit e da alcuni (ad esempio, Raymond Polin) considerato anche oggi un diritto. La olandese Dupuis (si veda oltre, 3.1) ancor pi decisa: Una delle mie idee di base che la gente dovrebbe pensarla come crede [have their own opinion] per ci che riguarda la vita e la morte (sottinteso: propria; p. 125)2. Ma se, per contro, la vita un incarico che riceviamo, e di cui non possiamo
2 Ora in Atti del Convegno organizzato dalla Fondazione Balzan, Isola di S. Servolo, Venezia, maggio 1988, dattiloscritto. Si veda anche la nota 5 a p. 53.

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liberarci a nostro arbitrio (come pensava Platone, secondo il quale, pure, il filosofo desidera morire), anche il consenso non giustifica leutanasia attiva. 2.5. Ingegneria genetica Lo stadio raggiunto dalle conoscenze scientifiche permette di agire sul patrimonio genetico dei singoli e, se questi conservano la capacit di riprodursi, sulle specie. Mutazioni per mezzo di codesta ingegneria genetica (termine introdotto da Hotchkin, 1965) sono prassi normale su vegetali e si sono tentate con successo anche su animali. Applicate con successo alluomo porterebbero alla produzione di una nuova specie, o, quanto meno, a generazioni di individui condizionati, in meglio o in peggio, da un intervento artificiale. La trasformazione dellumanit in un genere di ordine superiore fu immaginata ad esempio da Herder quando ci si poteva attenderla solo da unevoluzione spontanea, e suscit lindignazione di Kant, che giudicava bens doveroso pensare al progresso dellumanit verso il meglio, ma non alla sua sostituzione con esseri superiori. A qualcosa del genere si pu supporre che alluda, per contro, il superuomo nietzscheano. I pericoli che presentano interventi sul genoma delluomo hanno indotto a chiedere una moratoria degli esperimenti in questo campo; ma, a parte la scarsa efficacia di tali proibizioni, uningegneria genetica controllata potrebbe offrire vantaggi rilevanti (si veda oltre, 3.3). La possibilit dinterventi non esclusivamente distruttivi sul genoma deriva dalla scoperta della struttura a doppia elica del DNA (Watson e Crick, in Nature, 1953). Nel 1965 si ottenne la prima fusione cellulare tra uomo e topo3, ma non certo nel senso di generare un incrocio atto a riprodursi. Nel 1969 si scopri la possibilit di tagliare il DNA in punti determinati con un enzima (endonucleasi), per poi ricomporlo. Nel 1971 Paul Berg trov modo di associare una porzione del DNA di un virus a un batteriofago capace di riprodursi e, quindi, di fornire qualit indefinite della stessa porzione di DNA. Nel 1981 si ottennero i primi topi per donazione, discendenti da ununica cellula e, quindi, dotati tutti della stessa eredit genetica. Ci permetterebbe di riprodurre in serie individui geneticamente identici, dotati di particolari caratteristiche e adibibili, anche come individui umani, a mansioni determinate. Si avrebbe in tal caso, una violazione del principio che vieta di trattare luomo co3 Su questo punto si veda C. Barigozzi, L. De Carli e C. Caffarra, Manipolazioni genetiche ed etica cattolica, Casale Monferrato, PIEMME, 1987, p. 81, fig. 8.

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me un semplice mezzo. La donazione si ottiene oggi in alcuni anfibi col nuclear transfer, privando un uovo fecondato del suo nucleo e sostituendolo con il nucleo di una cellula adulta, che diviene riproduttivo; o, pi semplicemente, per fissione nucleare gemellare. Le alterazioni permanenti delle specie, che lingegneria genetica capace di produrre, hanno indotto le autorit a regolarne le applicazioni: in Inghilterra dopo il rapporto Williams (1976), che istitu un comitato di consulenza per le manipolazioni genetiche (GMAG); negli Stati Uniti con la pubblicazione delle Guidelines for Research Involving DNA (1977, aggiornate nel 1984), da parte del National Institute of Health; in Italia con le proposte di una commissione presso lIstituto superiore di Sanit (1977) e poi presso il Ministero della Sanit (1987). Nel 1982 la Raccomandazione 934 dellAssemblea parlamentare del Consiglio dEuropa ha previsto che venga riconosciuto, nella Convenzione europea dei diritti delluomo, il diritto allintangibilit del patrimonio genetico del singolo. 2.6. La manipolazione dellatomo Mentre in biologia ormai possibile affiancare levoluzione naturale delle specie con unevoluzione artificiale, non si hanno per ora prospettive dinfluire sullevoluzione fisica del cosmo, restando circoscritti gli effetti di interventi sui nuclei atomici. Reazioni a catena, capaci di propagarsi indefinitamente, erano a tutta prima temute, ma non si sono verificate: un evento del genere avrebbe conseguenze incalcolabili e comporterebbe una spaventosa responsabilit. Gi nella situazione attuale unesplosione dellarsenale atomico basterebbe a mettere in forse lesistenza dellumanit e, in ogni caso, a mutarne radicalmente i modi. Anche trasformazioni pi graduali dellambiente verosimile che comportino modificazioni profonde della vita umana, individuale e associata. Di fronte a queste prospettive il principio postulato allinizio, di rispettare sempre in ciascuno lumanit come un fine, diverrebbe di difficile applicazione. Urge pertanto cercare le linee di condotta comuni, sulle quali converga un consenso diffuso. 3. Classificazione dei valori a cui si ispirano i giudizi in materia di deontologia scientifica La classificazione dei valori si pu solo ricavare fenomenologicamente, dalle affermazioni e dal comportamento di chi si occupa dei problemi considerati. Per questo metteremo a confronto opinioni diverse, sceglien-

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dole fra le pi rilevanti, vuoi per lautorit di chi le enuncia, vuoi per latteggiamento che manifestano. Le fonti sono alcune pubblicazioni indicate nelle note a pi di pagina4, ma soprattutto due discussioni avutesi in Italia: la prima alla Camera dei Deputati il 3 marzo 1988, sotto il patrocinio della Presidente Nilde Jotti; la seconda nel maggio dello stesso anno, allisola di San Servolo (Ve), per iniziativa della Fondazione Balzan, presso la Scuola europea di oncologia presieduta dal professor Umberto Veronesi5. Oltre a esser recenti e a riunire persone di autorit riconosciuta, questi due incontri hanno avuto il vantaggio di mettere a confronto diretto le diverse posizioni. Le considerazioni di chi scrive, quando riguardino punti particolari, sono inserite per comodit in questo contesto, mentre le poche conclusioni generali che si pu pensare di trarne saranno raccolte nella sezione conclusiva. 3.1. Il criterio dellutilit Sofferenza al bando. Un primo criterio di valore, nel giudicare la scienza, sta nella sua attitudine a soddisfare i desideri delluomo, eretti a metro supremo. La soddisfazione di un desiderio manifestata dal piacere, il suo opposto dal dolore, e la posizione che assume questi due indizi come criterio di giudizio detta edonismo. Quando il giudizio non sia immediato, ma si estenda allinsieme dei piaceri e dolori dellesistenza, e a tutta lumanit, si parla di utilitarismo. Da tale criterio frequente che si faccia dipendere laccettabilit di unapplicazione scientifica, ed comprensibile che ci avvenga soprattutto davanti alleutanasia. Infatti, si pu ragionare cos: di fronte alla
4 Oltre ai testi indicati alle singole note, si segnalano alcune opere di rilevante interesse per gli argomenti trattati nel presente saggio: AA.VV., Bioetica e diritto, Atti del II Convegno fra obiettori di coscienza sanitari, Roma, Palombi, 1986; AA.VV., Eutanasia: una sconfitta delluomo contemporaneo, Atti del Movimento per la vita ambrosiano, 18-19 maggio 1985, Milano, Editrice Il Dialogo, 1985; B. Chiarelli (a cura di), Problemi di bioetica, Firenze, Il sedicesimo, 1988 (come suppl. 1 di Human Evolution, settembre 1988); D. R. Cutler (a cura di), Updating Life and Death. Essays in Ethics and Medicine, Boston, Beacon Press, 1969; E. Morin, Le paradigme perdu: la nature humaine, Paris, Seuil, 1973 e Science avec con- science, Paris, Fayard, 1982, trad. it. Scienza con coscienza, Milano, F. Angeli, 1984; L. Illich, Limits to Medicine, Medical Nemesis, London, 1976, trad. it. Nemesi medica, Milano, Mondadori, 1977; S. Prentis, Biotechnology: a New Industrial Revolution, London, Braziller, 1984; B. Ribes, Biologie et ethique, Paris, UNESCO, 1978; S. Spinsanti, Bioetica, Milano, I.S.U., 1983; G. S. Stent, Paradoxes of Progress, San Francisco, 1986; D. Tettamanzi, Bioetica. Nuove sfide per luomo, Casale Monferrato, PIEMME, 1987; 0. Wilson, On Human Nature, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1978. 5 Le citazioni inserite nelle pagine successive senza ulteriori indicazioni di fonte si riferiscono agli Atti di tale Convegno; il numero di pagina fa riferimento al dattiloscritto depositato presso la Fondazione Balzan.

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morte sicura ogni sofferenza inutile, e quindi dannosa, e conviene troncarla. In Giappone una decisione giurisprudenziale che risale al 1960 fissa cinque condizioni, il cui concorso renderebbe lecita leutanasia attiva: 1) malattia incurabile; 2) gravi sofferenze; 3) chiara richiesta del malato; 4) modi dattuazione umanitari; 5) esecuzione da parte di un medico. Il prof. Kimura (Tokyo), dellIstituto Kennedy di etica (Washington), non ricorda, peraltro, che il caso si sia verificato. In Olanda stato presentato al Parlamento, da un gruppo liberale, un disegno di legge nello stesso senso, in contrapposizione a un progetto governativo pi severo, che ammette solo leutanasia passiva. Uno dei presentatori, il deputato Kohnstamm, a Venezia ha affermato che, se il paziente chiede ripetutamente a merciful killing, il medico non pu disattendere tale richiesta senza mancare di rispetto al paziente stesso (p. 151). Il sostegno teorico a questo disegno di legge stato offerto da Helen Dupuis, ordinario di Bioetica a Leida e membro del Consiglio che ha lavorato con la Comunit europea. La Dupuis afferma che noi chiediamo alla medicina una sopravvivenza senza troppo soffrire (p. 89) e che il principale argomento in favore delleutanasia il diritto di ciascuno di decidere del proprio interesse, nonch la mancanza di un dovere di vivere (p. 95). Lo Schwarzenberg, celebre oncologo di Villejuif, senza chiedere per questo una depenalizzazione delleutanasia attiva (vedi oltre), si pone da un punto di vista analogo: A lungo, nella nostra civilt, il dolore stato considerato come un segno di valore... una redenzione (p. 100), ma chi chiede leutanasia, in realt, gi distrutto dalla morte. Lembrione non soffre. Pi interessante e, a mio parere, pi allarmante, il richiamo edonistico a proposito della fase simmetrica della vita, la nascita. Peter Singer, direttore del Centro di bioetica dellUniversit Manash, di Victoria (Australia), osserva che pochi si preoccupano delle scimmie da esperimento che, senza dubbio, soffrono anche psicologicamente, in cattivit, mentre si eccepisce circa gli esperimenti su embrioni che non hanno sviluppato una struttura anatomica capace di percepire checchessia (p. 190). Singer chiede che si porti una ragione per trattare gli uomini diversamente dagli altri animali; e la richiesta giustificata. Abbiamo cercato di soddisfarla al punto 1.1. Argomentare, semplicemente, che noi siamo uomini, e degli uomini dobbiamo preoccuparci tanto peggio per le altre specie se ne ricevono danno non sarebbe un argomentare etico, e porterebbe inevitabilmente a proseguire: Siamo bianchi, o siamo italiani: se dal nostro comportamento deriva un danno ai pigmei non ci riguarda; e, infine: Io sono io: il male che procuro agli altri non mi tocca.

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La linea di demarcazione non va cercata, dunque, nella differenza biologica tra una specie e laltra, tra una razza e laltra, o tra il mio io e gli altri, bens nella differenza tra chi attualmente o potenzialmente soggetto attivo e passivo di diritti e di doveri e chi non lo . Questa differenza corre, appunto, tra gli uomini e tutti gli altri enti naturali,

compresi gli animali superiori, che difficile rendere soggetti di diritti

e di doveri. Per quanto, a volte, si siano istituiti processi ad animali, difficile configurare un diritto del lupo a mangiare lagnello o, allinverso, un suo dovere di rispettarlo, e cos via. Anche se guardiamo alle varie carte dei diritti degli animali, ci che vi si trova sono piuttosto doveri degli uomini in ordine agli animali (ad esempio, di non farli soffrire) che non diritti esercitabili dagli animali. Ammesso dunque, con Singer, che lesser soggetto di diritti non dipende dallappartenenza a una specie biologica (p. 192), non si pu, daltro canto, fondare la differenza sulla semplice capacit di sentire. Certamente i doveri che abbiamo verso chi soffre (ad esempio, un vitello) sono diversi da quelli che abbiamo verso ci che non soffre (ad esempio, una pianta). Ma lesser privi (momentaneamente, o anche definitivamente, in coma profondo) della capacit di sentire non toglie i diritti a chi li abbia. Questi dipendono, dunque, da una ragione diversa. Di conseguenza anche chi non ha ancora la capacit di sentire non privo, per questo solo, dei diritti che per qualche altra ragione gli spettino. E la ragione non sar la sua futura capacit di sentire, bens la titolarit di un diritto che gli spetta fin dora, anche se potr essere esercitato in atto solo in futuro. Lesercizio di un diritto (ad esempio, alla vita) pu restare potenziale senza che, per questo, la titolarit si perda. Singer, pur essendo un filosofo (p. 220), dichiara di non afferrare per nulla il concetto aristotelico di potenza (p. 194). Egli pensa che l momento decisivo sia quello in cui lembrione sviluppa un sistema nervoso che gli d la possibilit di soffrire: allora certamente ha bisogno di protezione, allo stesso modo degli animali non umani (p. 196). Questo punto, ovviamente, si trova al di l del 141 giorno, oltre il quale il rapporto Warnock (si veda oltre) vieta gli esperimenti su embrioni; quindi, per Singer, tale norma troppo restrittiva. Il medico Robert Edwards, di Bourn Hall (Cambridge), nellassumere posizioni molto pi prudenti, pensa che nella sperimentazione su embrioni si debba cercare e trovare un equilibrio tra i diritti dellembrione e le esigenze di nuove terapie (pp. 181-82) (ma se i diritti dellembrione esistono, impossibile che ucciderlo non li leda). Parlando da biologo pur sensibile ai problemi morali insiste sulla continuit della

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vita. La vita non comincia col concepimento, perch gi luovo vivo; n al 141 giorno, perch nulla avviene che non sia cominciato il 131 e non continui al 151; e neppure con la formazione del cervello (p. 184). Anche Edwards respinge il criterio del potenziale, perch molti embrioni coltivati hanno potenziali geneticamente abnormi (p. 185), e preferisce il criterio specistico: lembrione di uomo ha per me un valore infinitamente maggiore che quello di topo (pp. 185-86) (ma Singer chiedeva appunto una ragione di tale preferenza). In ultima analisi, dice Edwards, la decisione dipender sempre da politici e da giuristi (p. 225), e da loro si potr accettare uno statuto dellembrione, purch abbastanza elastico da non escludere modifiche dettate da nuove scoperte (p. 227). La fertilit artificiale per Edwards plausibile, anche perch legata alla contraccezione (p. 228). Nel complesso, le proposte di questo studioso sono tipicamente utilitaristiche. Esperimenti randomizzati. Sono eseguiti su malati consenzienti, in tutta Europa, attraverso gruppi coordinati dal prof. Henri Tagnon dellIstituto Bordet di Bruxelles, quando, tra due o pi terapie, lesperienza non ha ancora deciso quale sia la migliore. La comparazione permetter di regolarsi meglio in futuro, e i risultati, naturalmente, saranno tanto pi attendibili quanto pi la base statistica larga e quanto pi la scelta dei gruppi casuale. Spesso, in particolare negli Stati Uniti, sono sovvenzionati da case farmaceutiche, e queste possono essere interessate a indirizzarli in questa piuttosto che in quella direzione. Il giurista Beria dArgentine lamenta la mancanza di normativa in proposito, e R. Zittoun (si veda oltre) osserva che di rado i due trattamenti sono presentati al malato come equivalenti: Poche sono le ricerche a cui non si annettano, di fatto, preferenze individuali (p. 300). Daltro canto una randomizzazione rigorosa richiederebbe che i gruppi da paragonare siano estratti a sorte, poich le preferenze individuali potrebbero esser legate non casualmente alla condizione dei pazienti. Zittoun fa lesempio di una donna giovane, che pu preferire lasportazione del solo tumore anzich dellintera mammella per ragioni estetiche (p. 299). Lesigenza del consenso e la randomizzazione, dunque, sono in

contrasto.

Mike Baum, professore di chirurgia al Kings College di Londra, osserva che i comitati etici incaricati di regolare i trattamenti randomizzati sono, per lo pi, incompetenti e verbosi (p. 297), mentre la sperimentazione necessaria per rendere pi efficaci o meno dannose le cure in futuro. La mancanza di gruppi di controllo d luogo a risultati cata-

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strofici: negli anni quaranta, ad esempio, 10.000 bambini divennero ciechi prima che si capisse che ci era dovuto allintroduzione di ossigeno nelle incubatrici (p. 308). La carta di Helsinki sancisce lobbligo dinformare il soggetto sottoposto a sperimentazione di ricerca, e aggiunge che, se il medico curante giudica essenziale non farlo, deve registrare la decisione in un apposito registro . Pu accadere, infatti, che per il medico scegliere a caso fra due trattamenti, di cui signora il valore, sia inevitabile: nel qual caso il paziente protetto (in Inghilterra) da vari enti di controllo (p. 225). Del resto scegliere di non agire, osserva Baum ripetendo Leon Eisenberg, sarebbe ancora agire, e per il peggio (p. 259). Gianni Tognoni, capo del Laboratorio di Farmacologia Mario Negri di Milano, cita il successo di un esperimento italiano del 1983 su un farmaco trombolitico, di cui non si conoscevano gli effetti a distanza di tempo. Tutti i pazienti che entravano in unit coronariche venivano randomizzati centralmente: met erano trattati col farmaco, met no, e il farmaco si rivel benefico, inducendo anche il National Institute of Health statunitense a modificare le proprie istruzioni. Il confronto farmaco contro placebo ostacolato tuttavia, negli Stati Uniti, non da ragioni etiche, bens legali, potendo i pazienti trattati con placebo pretendere i danni (p. 278). Oltre che dagli interessi delle case farmaceutiche, la correttezza degli esperimenti randomizzati pu esser messa in pericolo dagli interessi dei ricercatori. Vi , infatti, anche un mercato delle pubblicazioni (p. 278), che riescono pi facili se basate su piccoli numeri, mentre il rigore esigerebbe sperimentazioni su larga scala. Madri vicarie ed esperimenti su embrioni. Mary Warnock, M. P., del Girton College di Cambridge presidente del Comitato che, per incarico del Department of Health and Social Security del governo inglese, pubblic il 26 giugno 1983 la celebre Inquiry into Human Fertilization and Embriology6 applica il criterio utilitaristico alla sperimentazione su embrioni e osserva che, se lembrione un essere umano, non lecito produrne la morte per lutilit di altri, perch normalmente si pensa che il peggio che possa capitare morire (p. 165). Un esperimento che implicasse la morte di moltissime persone non pu essere ammesso dalla legge (p. 166). Se, per, questo valga per gli embrioni non in grado
6 Si veda M. Warnock, Report of the Committee of Inquiry into Human Fertilization and Embriology, London, Her Majestys Stationary Office, 1983. Si veda anche A Question of Life. The Warnock Report on Human Fertilization and Embriology, Oxford, B. Blackwell, 1985.

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di dire. Nel suo Comitato si ebbero su ci forti divergenze, non meno che sul fenomeno delle famiglie artificiali, derivanti da fecondazione in vitro, con coinvolgimento di una madre vicaria o surrogata che d in affitto il proprio utero, per portare a termine una gravidanza impossibile allaltra donna. I due aspetti del problema sono collegati, perch nella FIV, per avere una buona probabilit di riuscita, si usano, di solito, pi ovociti e si producono, quindi, pi embrioni (molti, secondo Edwards, con potenziali geneticamente abnormi: vedi sopra); alcuni di questi rimangono disponibili per esperimenti sulla cui liceit si discute. Il criterio utilitaristico, presso taluni, agisce anche a rovescio, come timore della speculazione. Cos nel caso della sperimentazione randomizzata lutilit commerciale, vista in negativo, annulla per taluni il vantaggio scientifico. impressionante la frequenza con cui la Warnock parla di exploitation: si deve ensure that a people are not going to exploit knowledge (p. 238); usare un (futuro) bambino per avere una famiglia normale a genuine case of exploitation (p. 241). Per questo la Warnock giudica favorevolmente la soluzione inglese, di non perseguire la surrogazione (che sarebbe impossibile controllare: perch?) ma di vietare listituzione di agenzie per la fornitura di madri surrogate, to prevent exploitation (p. 237). Si direbbe che il problema non sia quello di proteggere la natura umana, bens di combattere lorganizzazione economica. Ma se una transazione lecita in s, non si vede perch dovrebbe divenire illecita per la presenza di un intermediario: unagenzia offrirebbe garanzie a entrambe le parti e faciliterebbe quel controllo che la Warnock dichiara impossibile. 3.2. Il criterio della convivenza civile Chi un soggetto di diritti? Il criterio della possibile convivenza fra gli uomini coincide con il criterio giuridico, perch il diritto lo strumento che rende la libert di ciascuno compatibile con la libert di ogni altro. Si tratta di vedere chi sono gli altri. In pratica, nello stretto diritto, solo gli esseri umani (per la cui eccezionalit si cercata una ragione nel punto 1.1). Luomo, dopo la nascita, generalmente considerato un titolare di diritti (i diritti umani delle varie Carte), di cui nessuna legislazione, in linea di principio, lo pu privare, abbia egli o no leffettivo e attuale possesso delle qualit specifiche che costituiscono lumanit Di qui la riprovazione di pratiche che facciano scadere a puro mezzo, ad esem-

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pio, i pazzi, i bambini o i malati terminali. Luigi Lombardi Vallauri fa notare, ad esempio, come sia generalmente considerato illecito iniettare germi di malattie in un condannato a morte, a scopo di studio7. Perfino nel caso di parti mostruosi, ma vitali, la semplice discendenza biologica basta a render presunta (anche se non attuale) lumanit del mostro

(sebbene una recente sentenza inglese esprima un principio diverso).

Prima del taglio del cordone ombelicale, tuttavia (e, a volte, anche dopo), la qualit di essere umano non generalmente e pienamente riconosciuta: infatti le legislazioni puniscono diversamente lomicidio, linfanticidio e laborto. Kant giunge a dichiarare non punibile legalmente linfanticidio cosiddetto donore, perch linfante nato fuori della societ non avrebbe diritto alla protezione della societ. La premessa (e, quindi, la conseguenza) falsa, ma ci non toglie che, ad esempio, nella legislazione romana arcaica il jus vitae et necis spostasse lacquisizione di un diritto incondizionato alla vita ben oltre il momento della venuta al mondo. Dal punto di vista delletica della scienza il problema rilevante per lutilizzazione degli embrioni non impiantati: sia a scopo sperimentale, sia per ricavarne prodotti terapeutici. Senza dire che, prima di essere impiantato, spesso lembrione devessere sottoposto a congelamento, per attendere il momento adatto. Ora, noto il caso di due coniugi americani che, richiesta la FIV in Australia, rifiutarono poi linnesto, e morirono in un incidente mentre gli embrioni restavano congelati. Il giudice americano stabil che gli embrioni non potevano ereditare: ma evidente che il problema etico trascende quello ereditario. Per il rapporto Warnock (si veda sopra, 3.1) il momento dellinnesto cruciale, ma Lombardi Vallauri fa notare8 che potrebbe anche non giungere mai, se si mettesse a punto una gestazione tutta artificiale ed extrauterina (per ora fantascientifica, come in The Brave New World di A. Huxley). Per lui il momento in cui lessere umano ha inizio il concepimento, perch da quel momento lembrione ha tutta linformazione necessaria a svilupparsi. Egli ne trae la conseguenza che non necessaria nessuna legislazione speciale per proteggere gli embrioni, dato che questi acquistano lo status di figli fin dal concepimento. Qualora questo avvenga per inseminazione eterologa, dovrebbe riconoscersi lo status di figlio adottivo.
7 Si veda il dattiloscritto (B, p. 38), depositato presso la Camera dei Deputati a cura del medico capo dottor Costantini, relativo alla discussione citata tenutasi presso la stessa Camera dei Deputati il 3 marzo 1988. 8 Ibid., p. 39.

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A ci si pu opporre che, anche senza concepimento, la cellula germinale, segnatamente femminile, ha tutta linformazione necessaria a svilupparsi, quando si producano le condizioni adatte. Il caso di partenogenesi denunciato anni fa da una dottoressa inglese non confermato, ma la possibilit teorica fuor di dubbio (e a quanto pare, anche la pratica, nei ratti); e pone, per parte sua, altri problemi. La continuit sostenuta da Edwards (si veda sopra, 3.1) porterebbe ad attribuire a ogni cellula germinale la qualit potenziale di uomo, ma, insieme, toglierebbe ogni possibilit dindicare un momento in cui il singolo individuo comincia a esistere. Daltro canto la natura destina al sacrificio una quantit immensa di cellule germinali di qualsiasi specie, e chi condanna, ad esempio, la masturbazione non la condanna perch distrugga esseri umani9. Nella sua contestazione del concetto di potenza Singer fa notare che non diverso gettar via lembrione o gettar via da una parte gli spermatozoi e dallaltra le uova, prima che siano fecondate: ma questo vale solo se non si distingue tra possibilit astratta e potenza. Singer dice: I do not myself believe that the argument from potential can work, because I do not see how this difference can occur (p. 195, corsivo mio). Lincapacit di Singer di vedere una differenza non , tuttavia, una ragione sufficiente per negarla. Anche chi abbia una capacit molto pi robusta trova difficolt nella distinzione potenza-atto, ma ci non toglie che, a un certo momento, esista, non solo un uomo in potenza, ma quel determinato individuo in potenza, distinto da qualsiasi altro. Peraltro il momento incerto. Il dottor Riccardo Arisio, del Centro di fecondazione artificiale dellospedale SantAnna di Torino, fa notare che lo zigote, da lui chiamato preembrione, prima dellimpianto nellutero pu ancora dar luogo a una coppia di gemelli omozigoti e, quindi, non contiene ancora un principio dindividuazione. Infatti, entro il limite delle prime 2 o 3 divisioni, una sola cellula su quattro di embrione in grado di riformare lembrione completo (totipotenza10). Alcuni teologi, come Tommaso dAquino, pur sostenendo lunicit dellanima (vegetativa, sensitiva e razionale) pensano che lanima dellindividuo sia umana solo dopo un certo tempo: che, peraltro, non si riesce a determinare. Quel che certo che la legge si preoccupa anche di coloro che non possono esercitare attualmente i loro diritti soggettivi (ad esempio, per
9 Su questo punto si veda E. Sgreccia, Bioetica. Manuale per medici e biologi, Milano, Vita e Pensiero, 1986 (2a ed. 1989), p. 221. 10 Si veda Barigozzi, De Carli e Caffarra, Manipolazioni genetiche ed etica cattolica cit. , p. 72.

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let, o per malattia), assegnandoli a un tutore. Nel diritto romano il nascituro era tutelato, in particolare nei suoi diritti ereditari, da un curator ventris. Una diversa soluzione pu prospettarsi senza che il nascituro sia considerato come soggetto potenziale di diritti, stabilendo obblighi nei suoi confronti da parte dei consociati. Gli animali diversi dalluomo si trovano, ad esempio, in questa condizione. In molti paesi anche la loro utilizzazione a scopo di ricerca subordinata ad autorizzazione e regolata da norme. In ogni caso le leggi e la giurisprudenza (verso cui gli anglosassoni mostrano in genere molta fiducia) devono occuparsi anche dei diritti di chi non esiste, ma si troverebbe in condizioni svantaggiate, qualora venisse ad esistere. il caso di chi, nato da inseminazione artificiale eterologa, ha un padre genetico diverso conosciuto o no dal padre putativo. Esige il rispetto dellindividuo che, al momento opportuno, si faccia conoscere la verit allinteressato? Secondo la Warnock occorre una totale apertura e sincerit verso i figli (p. 162); e Edwards, che se ne mostra delighted (p. 178), nega che la mancanza di anonimato scoraggi i possibili donatori. Ma lobiezione di fondo unaltra: far conoscere la situazione a cose fatte ben diverso dallottenere un consenso preventivo; non esclude che linteressato possa risultare danneggiato psichicamente, come dal riconoscersi in generale per figlio illegittimo. Il dibattito su questi punti, pi che la scienza, riguarda il problema di che cosa debba considerarsi anomalo in una famiglia. 3.3. Il criterio della qualit della vita Lingegneria genetica per il Terzo Mondo. Il diritto e (questa volta contro Kant) letica stessa non sono lunico criterio di giudizio con cui considerare i valori dellesistenza: occorre tener conto anche di valori diversi. Chiamarli tutti insieme qualit della vita indulgere a un modo di esprimersi alquanto logoro, ma d lidea di un problema che, trovandosi a monte del nostro, non pu esser trattato qui diffusamente. Si prenda largomento di Edwards in favore della fecondazione in vitro: non esiste un diritto a divenire padre (o madre), ma sarebbe selvaggia una societ che condannasse a uninfertilit permanente chi pu esserne liberato (p. 179). Se ne desume che facilitare la generazione non un obbligo, ma un valore. Questa considerazione pu estendersi a tutti i miglioramenti che il progresso scientifico in grado di portare, compreso il valore costituito dallo stesso conoscere, a prescindere dalle sue applicazioni. Per miglioramento deve intendersi una

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accresciuta armonia interna ed esterna, una maggior capacit di svilupparsi, di agire e di raggiungere la propria realizzazione. La salute una sorta di armonia con se stessi; e la salubrit unarmonia dellambiente, tra i singoli e lecosistema. Le possibilit positive e negative che, a questo proposito, si aprono grazie allingegneria genetica sono maggiori di quelle offerte da qualsiasi altra ricerca, e richiedono unattenta valutazione. LUNIDO (United Nations Industrial Development Organisation) ne stata indotta a costituire due componenti una a Trieste e una a Nuova Delhi dipendenti da un centro per lo sviluppo dellingegneria genetica nelle sue applicazioni ai problemi del Terzo Mondo. Direttore della componente di Trieste il prof. Arturo Falaschi, a cui si deve il riassunto qui riportato dei vantaggi che ci si possono attendere da tali ricerche. Essi riguardano la cura delle malattie non solo ereditarie che affliggono il Terzo Mondo e la produzione di alimenti con processi ecologicamente non distruttivi. I problemi sono generalizzabili anche fuori dellUNIDO (a cui fan capo oggi 40 paesi). Ad esempio: i tumori e loro degenerazioni maligne, pur non essendo ereditari, son determinati da uno o pi geni: se si riuscisse a individuarli e a sostituirli, la malattia cesserebbe di essere incurabile. Le stesse malattie infettive, per quanto esogene, potrebbero essere combattute anzich con mezzi chimici o antibiotici aumentando la resistenza dellorganismo. Premessa di ci una mappa del genoma umano, che contiene presumibilmente 100.000 geni, ciascuno costituito da una tripletta di DNA. Nella lunghissima catena molecolare del DNA (che solo per un 10% mostra di avere unefficacia genetica diretta) occorre determinare il punto esatto in cui comincia e termina ciascun gene (per ora lo si conosce per 3 o 4.000 geni) e la sequenza esatta delle basi, che forniscono linformazione (la si conosce per poche centinaia di geni). Il costo di una mappazione completa stato calcolato in 3 miliardi di dollari, e la durata in 15 anni. Se linformazione dovesse essere raccolta manualmente, occorrerebbero centinaia di migliaia di anni-uomo, ma possibile raccoglierla, conservarla e confrontarla con elaboratori. Inoltre, essendo tutto il genoma umano ordinato su 46 cromosomi, possibile dividersi il compito assegnando un cromosoma, o pezzo di cromosoma, a ciascuno stato o ente di ricerca (come stato fatto per il gruppo di ricerca, molto importante, del CNR italiano), cos ripartire il costo. Questa mappa la premessa di ogni intervento efficace; ma, mentre una sua conoscenza, anche parziale, permette gi oggi di modificare per scopi di utilit il genoma di microrganismi, la possibilit dintervenire sul genoma umano per migliorarlo molto remota. Inoltre a parte le

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malattie si pu essere in disaccordo su che cosa vada considerata come un miglioramento. Per di pi, dato che gruppi di geni esercitano unazione nel loro insieme, risulter difficile scindere gli effetti positivi da altri effetti, secondari, che potrebbero rivelarsi catastrofici. Applicazioni e pericoli. Il prof. Falaschi d un elenco, bench incompleto, dei vantaggi dellingegneria genetica. Isolato dal DNA umano, il gene preposto alla produzione di particolari proteine ad esempio, lemoglobina viene introdotto in un microrganismo (per lo pi lEscherichia coli) che si riproduce per donazione: ed ecco colonie di batteri che producono in gran quantit la sostanza richiesta. Si ottengono cos farmaci, ormoni, anticorpi e vaccini (per malaria, epatite) che dai loro agenti naturali sarebbero prodotti in quantit limitatissime. Non maneggiandosi il virus, ma solo una parte del suo genoma, non si corrono pericoli. Lo studio delle particolarit genetiche che espongono di pi a determinate malattie permette di cercare nuove armi per combatterle. Col prelievo di poche cellule dei villi coriali si possono diagnosticare malattie ereditarie senza ledere n la madre n lembrione. Ci vale, per ora, solo per 3 o 4 malattie ereditarie su circa 3.000, ma la mappa completa del genoma permetter di sviluppare il procedimento. Mutando il genoma di alcuni vegetali, possibile renderli pi resistenti a malattie senza proteggerli con antiparassitari; oppure arricchire il loro contenuto proteico. Batteri capaci di fissare lazoto atmosferico (processo da cui dipende lintera vita vegetale e, quindi, animale), presenti in natura solo nelle radici di alcune piante, si possono sviluppare in altre, diminuendo il bisogno di fertilizzanti azotati. Altri batteri servono a trasformare in prodotti utili i rifiuti (ad esempio, gusci) ora bruciati o inutilizzati. Agendo sulle linee germinali di animali da allevamento di razze resistenti, ma troppo minute (soprattutto in paesi tropicali), facile aumentarne le dimensioni (come gi avvenuto per i topi) senza lederne la resistenza; eccetera. In campo umano, la possibilit di correggere la linea somatica con interventi sui geni soggetta a molte limitazioni di fatto e di principio. Lincorporazione di DNA esogeno, con le caratteristiche volute, non difficile, usando le stesse tecniche gi applicate ai topi. Vettore pu essere un virus il cui DNA sia stato modificato e reso incapace di propagare infezioni. Senonch il DNA esogeno tende a installarsi in punti distribuiti a caso sui cromosomi, e non solo perde in parte la sua efficacia, ma pu inattivare geni utili e renderne oncogeni altri. I geni, infatti, non agiscono indipendentemente gli uni dagli altri. Del resto gli esperi-

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menti fatti su tessuti emopoietici (midollo), che sono i pi facili da trattare in vitro (e da ritrapiantare, con accorgimenti che permettono al tessuto sano di sostituirsi al vecchio, malato), praticati finora su due talassemici, han dato esito negativo11. Vi sono dunque pericoli che anche i fautori dellingegneria genetica (Dulbecco, Falaschi) non nascondono, ma che vengono enfatizzati da profeti di sciagura, tra cui il pi efficace e pittoresco Jeremy Rifkin, della Foundation on Economic Trends di Washington. Egli osserva che ci stiamo muovendo dallera di una tecnologia che sfrutta risorse non rinnovabili (carbone, petrolio) verso unera biotecnologica senza, per, che tale trasformazione sia sottoposta allesame di un parlamento mondiale, come sarebbe necessario (p. 29). Il salto di qualit, giustamente rilevato da Rifkin, consiste nella possibilit di alterare lunit della specie con una algenia analoga allalchimia che mirava ad alterare lunit delle sostanze chimiche (p. 31). Inserendo an elephant growth hormone gene in this gentlemans sperm potremo ottenere bambini alti 12 piedi, sessualmente maturi a 6 anni, e via di questo passo (p. 32). Negli Stati Uniti una lobby, la Unione dei consumatori, associata alla National Wildlife Federation, sta cercando di ottenere il divieto legale di brevettare nuovi animali (p. 35); ma, frattanto, sintroducono nellambiente virus e batteri che, prodotti artificialmente, sfuggono a ogni controllo e non rispettano le frontiere. Una lobby analoga vorrebbe vietare qualsiasi ricerca dingegneria genetica a uso bellico. Si potrebbe, infatti, esser tentati di ideare virus capaci di attaccare una sola razza o popolazione, con effetti da apprendista stregone. Anche leugenetica diverrebbe unarma in mano ai governi (tra i quali Rifkin detestava particolarmente lamministrazione Reagan) che badano allimmediato, anzich (come gli Irochesi) alle generazioni future. Rifkin sostiene, peraltro, di non essere un utopista: riconosce in ogni decisione un pro e un contro, un trade-off o rapporto costi-benefici. Pur nel loro carattere fantascientifico, posizioni come quelle di Rifkin contribuiscono a dipingere pericoli reali. Interventi sulla linea genetica sono praticabili oggi solo su microrganismi o su anfibi (rane), non sulluomo, ma la situazione potrebbe presto mutare e, in ogni caso, interventi sulla linea somatica.

vero che gli interventi sulla linea genetica di qualsiasi specie costituiscono un pericolo potenziale per lambiente, ben superiore a quello degli
11 Si veda L. De Carli in Barigozzi, De Carli e Caffarra, Manipolazioni genetiche ed etica cattolica cit., pp. 98-100.

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3.4. Il principio dautorit

Natura e sovrannaturale. Il ricorso alla ragione e alla sensibilit dei singoli, o dei corpi scientifici, politici, o di pubblica opinione per guidare e orientare la ricerca biologica presenta difficolt. Per superarle non strano, perci, che si ricorra allautorit, da intendersi non solo come autorit politica o scientifica, ma anche come autorit morale e, in ultima istanza, religiosa, comunque emanante da una fonte superiore. Gli inconvenienti di questa posizione sono: a) nessuna autorit morale riconosciuta universalmente, bens solo da gruppi pi o meno consistenti; b) le prescrizioni di qualsiasi autorit vanno interpretate e adattate a situazioni cangianti, non meno delle prescrizioni della ragione: e pu darsi che, in sede dinterpretazione, si giunga a sostenere tutto e il contrario di tutto; c) se si cerca di giustificare lautorevolezza della fonte con la bont delle sue prescrizioni, e viceversa, si pu andare incontro a un processo circolare. Il ricorso a un principio dautorit superiore alluomo ha un vantaggio indiretto: impedisce di attribuire ai nostri giudizi, fondati sulla sensibilit morale e sulla ragione, infallibilit e assolutezza; ma pu dar luogo, a sua volta, a difetti analoghi se, sotto la maschera di unautorit superiore alluomo, sinsinuano vedute personali o di un gruppo. Chi si richiama a unautorit superiore alluomo esercita unazione salutare solo se difende le sue posizioni con una modestia di pretese e una problematicit dovute non alla fonte della verit, bens alla difficolt dinterpretarla. Lammissione di un principio superiore alluomo e a cui luomo legato ammissione che caratterizza il valore religioso non implica necessariamente il concetto di un Dio personale, e neppure trascendente: pu anche riferirsi alla stessa natura, come principio di tutto. Nel problema che ci interessa, perci, il criterio religioso pu anche derivare da una religiosit puramente naturalistica, come richiamo a rispettare la natura, che non interamente a disposizione delluomo. Una proposta estremistica di rispetto verso la natura che risolverebbe in modo drastico, ma insoddisfacente, ogni problema quella dei testimoni di Jeowa che escludono anche i pi semplici interventi terapeutici. Questo tipo di bioetica elimina non solo ogni opportunit dintervenire sul genoma, ma anche ogni necessit di sperimentazione

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scientifica. Dal punto di vista della stessa natura, tuttavia, si pu obiettare che la natura delluomo (adombrata dal mito di Prometeo) non di rispettare la natura in modo passivo. Il richiamo religioso a un principio superiore induce, piuttosto, a pensare che lequilibrio tra la natura e luomo sia costantemente un problema, che la ragione umana non in grado di risolvere una volta per tutte. Latteggiamento attivo delluomo nei confronti della natura comincia per lo meno nel Neolitico, e non si pu dire che abbia avuto storicamente effetti nefasti: per lo pi ha aiutato la natura, con la coltivazione, il risanamento di terre insalubri e cos via. Solo in tempi recenti una rivoluzione ancor pi importante di quella del Neolitico ha suscitato il timore che unazione umana, troppo penetrante, da un lato consumi riserve accumulate in centinaia di millenni, dallaltro turbi equilibri con tanta forza da togliere alla natura la capacit di riequilibrarsi da s. Da questo punto di vista un rispetto anche religioso (non solo razionale o sentimentale) della natura avr effetti benefici. Posizione delle autorit cristiane. Tra le posizioni religiose la pi interessante lebraico-cristiana, non solo perch a questa tradizione apparteniamo, ma perch appunto in essa sorge il problema di uno sviluppo scientifico e tecnologico che potrebbe divenire incontrollabile. In particolare la Chiesa cattolica ha definito a pi riprese il proprio punto di vista. Ricordiamo, fra i documenti pi recenti, la costituzione Gaudium et spes del Vaticano II, n. 36, secondo cui la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in modo veramente scientifico e secondo le norme morali, non sar mai in reale contrasto con la fede, perch le realt profane e le realt della fede hanno origine dal medesimo Iddio; inoltre, la dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede (ex Santo Uffizio) sulleutanasia, del 5 maggio 1980, e lIstruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignit della procreazione, del 22 febbraio 1987. Nel 1983 le Universit cattoliche di Lovanio e di Roma istituirono una cattedra di Bioetica e (a Roma) un Centro interdisciplinare di Bioetica, affidato a monsignor Elio Sgreccia. Altre confessioni cristiane si sono occupate della materia, in particolare il Consiglio ecumenico delle Chiese, di Ginevra, che nel 1982, sotto il titolo Manipulating Life, ha diffuso un documento sulle ethical issues in genetic engineering. Il problema di fondo del rapporto uomo-natura illustrato da un discorso del cardinal Ratzinger a Bologna, in occasione delle celebrazioni del IX centenario di quella Universit (3 maggio 1988). Se ci si attiene allaspetto puramente meccanico della procreazione, osserva Ratzinger,

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si nega ci che specificamente umano nelluomo: allora discutere su ci che sia propriamente razionale o etico perde senso. La questione di che cosa sia lecito o no in laboratorio non pu essere decisa, a sua volta, in laboratorio; n le scelte che si fanno in laboratorio sono puramente meccanicistiche. La posizione della Chiesa non si lascia, quindi, ricondurre alla forma di sapere possibile di verifica, ma corroborata da quelle stesse aporie a cui porterebbe la sua negazione: perch, se luomo rifiuta di andare oltre lorizzonte del laboratorio, nega se stesso. Interessanti interpretazioni della tradizione biblico-giuridica si trovano nellesegesi, oltre che di Gen. I, 26, in quella di Sal. 139, 13-15 e Gb., 10, 8-11, nellebraico Libro di Jazira (500 a. C.): la recita di tutte le combinazioni possibili delle lettere della creazione metterebbe capo alla produzione del Golem, o homunculus; ma, secondo una tradizione successiva, con questo procedimento si strappa laleph dalla parola verit e si toglie di mezzo Dio, reso inutile dal potere, che luomo ha acquistato, di produrre luomo. Il mito adombra una critica alla presunzione che la natura sia totalmente a disposizione dellarbitrio umano. Ratzinger, ovviamente, contrario a una manipolazione totale della natura e alla riduzione del lecito al tecnicamente possibile: ma non vuole ostacolare in nessun modo una ricerca che si svolga secondo una nuova sintesi di scienza e di sapienza. Nel caso specifico della procreazione, la Chiesa ammette un aiuto a uninseminazione naturale omologa, quando questa sia ostacolata da qualche difetto morfologico, ma non la fecondazione in vitro (si veda sopra, 2.2). Circa la sperimentazione su embrioni, il rispetto dellessere umano non come individuo di una specie, ma come persona d luogo a restrizioni che dipendono dal momento in cui lembrione comincia a doversi considerare un soggetto. In base ai dati della genetica (divergenti da S. Tommaso) questo momento vien fatto risalire, in genere, al concepimento. Nel ricorso al principio dautorit, fatto valere dalla Chiesa cattolica, si visto spesso un ostacolo al libero sviluppo della ricerca. Se cos fosse, per, occorrerebbe spiegare come mai tale ostacolo, per virt dialettica, abbia agito in favore dello sviluppo: perch la civilt pervasa dal cristianesimo lunica in cui si sia sviluppato un sapere scientifico cumulativo. In realt la visione cristiana della vita aiuta a collocare il rapporto uomo-natura nella sua problematicit; ma, a volte, le prese di posizione ecclesiastiche su singoli problemi, anche se dettate da principi, mancano di efficacia per il modo dogmatico con cui da quei principi si traggono le conseguenze. La citata conferenza di Ratzinger sui princpi

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bens esemplare; ma, quando si passa alle applicazioni, pu accadere che la rivelazione sia interpretata semplicisticamente. Di ci non pu non dolersi chi vede in un riconoscimento del trascendente un argine alla tendenza contemporanea verso una falsa razionalizzazione del problema della natura, non meno dogmatica, e certamente pi mutilante, rispetto alla multidimensionale natura umana. Princpi dautorit diversi. La legge coranica un principio dautorit al tempo stesso religioso e giuridico, e regola tutti i comportamenti della vita umana, quindi anche quelli attinenti alla scienza. Senonch i mutamenti nelle biotecnologie, da Maometto in poi, rendono quella normativa difficilmente applicabile; n esiste nellIslam unistituzione atta ad aggiornare ufficialmente linterpretazione dei testi (come non esiste, del resto, nellebraismo). Un Codice islamico di etica medica stato redatto dalla Conferenza riunitasi nel Kuwait nel 1981. Una fonte, sia pure indirettamente, religiosa hanno anche le Carte dei diritti umani, tra cui la pi nota la Dichiarazione universale pubblicata dallONU il 10 dicembre 1948. Sebbene, infatti, esse non facciano riferimento a nessuna religione, e abbiano come fonte diretta una convenzione fra stati, il presupposto di unautorit universale, superiore a quella degli stessi stati, vi implicito. Infatti il concetto di Societ delle Nazioni, affermatosi dopo la prima guerra mondiale, di origine massonica, e la massoneria una sorta di religione biblica laicizzata, che dalla fratellanza fra gli adepti, guidati dai pi illuminati, punta a una fratellanza universale. Linteresse di tale posizione, per unetica della scienza, diviene evidente se si pensa che in essa filtra, attraverso una concezione biblico-cristiana, un programma originariamente pitagorico: una minoranza religiosamente ispirata e preparata scientificamente ha il compito di guidare al bene gli uomini. Ora, un pitagorismo pi o meno platonizzante allorigine della scienza moderna, nonch dellintenzione di usarla per migliorare progressivamente lumanit. Questo ideale permane anche al di sotto degli atteggiamenti scientifici pi secolarizzati. La neutralit etica della scienza affermata in astratto ma in concreto lo scienziato sente, gi come tale (ossia, come pitagorico), unesigenza etica, e la manifesta, sia pure in forme contrastanti, anche quando non ne fa parola.

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4. Considerazioni conclusive 4.1. Interessi meritevoli di protezione Per trarre qualche conclusione, immagineremo di esser chiamati a consigliare, in base alle argomentazioni di varia provenienza raccolte in precedenza, le linee di una possibile legislazione riguardante la materia trattata. un espediente per tentar di ordinare gerarchicamente gli interessi che meritano di essere giuridicamente protetti, e, quindi, indirettamente i valori in vista dei quali si vuole proteggerli. Si cercher cos di evitare prese di posizione astratte e prescrizioni insufficientemente fondate. Una possibile normativa giuridica non esaurisce i problemi delletica, ma indica direzioni in cui guardare, cercando, caso per caso secondo coscienza, le soluzioni giuste. Pi di tanto non credo si possa fare, in presenza di concezioni della vita discordanti e di situazioni su cui gravano molti interrogativi. Gli interessi che si pu pensare di dover proteggere, nella sfera della bioetica, riguardano principalmente: lindividuo, la famiglia, lambiente, il progresso scientifico, la salute, la difesa da nemici esterni. 4.2. Tutela delle generazioni a venire Molti interventi artificiali sul processo riproduttivo incidono sul rapporto dellindividuo generato o ancora da generare con una famiglia pi o meno anomala. Ne viene che il rispetto dellindividuo comporta responsabilit anche verso individui non ancora generati, ma che verrebbero al mondo se quegli interventi fossero posti in atto. Si instaura, allora, il dovere di non generare individui in condizioni che possano menomarne gravemente la personalit. In questo caso linteresse tutelato non solo quello dei membri gi esistenti della famiglia (in particolare, i coniugi), ma anche quello di persone non ancora esistenti. La situazione si estende, per analogia, alle generazioni future, verso le quali pare giusto attribuire alla generazione presente responsabilit attinenti, soprattutto, allambiente. Ci apre alla normativa la dimensione di un futuro che, di solito, nelle legislazioni tradizionali era preso in considerazione solo in vista della sicurezza dello stato (eccezionalmente, della purezza della razza, della sanit della stirpe, o simili).

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4.3. Tutela del processo procreativo Linteresse dei coniugi ad avere figli pu entrare in conflitto con linteresse dei figli a far parte di una famiglia normale e ci spiega le restrizioni che (in particolare in Italia) si pongono alla fecondazione in vitro e allinseminazione eterologa. La posizione cattolica che ammette solo un aiuto artificiale allinseminazione omologa pu apparire eccessivamente severa, ma si fonda sullinteresse, non solo del nascituro, a non sentirsi figlio della provetta (a volte, per di pi, di padre ignoto o diverso dal putativo), ma anche sullinteresse analogo della coppia. Si vuole in sostanza persuadere la coppia a non isolare luna dallaltra le fasi della procreazione o escludendo la nascita di figli dai rapporti sessuali, o cercando a ogni costo la nascita di figli indipendentemente dai rapporti sessuali. Sebbene, infatti, la frustrazione della donna senza figli abbia, a volte, conseguenze gravi, appare eccessivo definire (con Edwards) selvaggia una societ che non permetta di cercare figli a qualsiasi costo (quando linfecondit era maschile, le donne un tempo provvedevano pi semplicemente mediante adulterio). Daltro canto la disarmonia, che si produce quando coito, concepimento, gestazione, parto, allattamento, educazione si isolino reciprocamente, in qualche misura inevitabile, e una normativa giuridica pu solo indicare fino a che punto la societ la giudichi tollerabile, fermi restando sia lideale di una riproduzione armoniosa, sia anche la coscienza degli inconvenienti a cui porterebbe un rispetto incondizionato del legame tra le varie fasi. Come ha ben visto Edwards, il problema si appaia (tecnicamente e psicologicamente) a quello, opposto, della limitazione delle nascite, ed esasperato in entrambi i casi dai progressi della medicina. Noi ammiriamo una donna come Maria Teresa dAustria, che mette al mondo 16 figli, ma in presenza di una scarsa mortalit infantile non possiamo augurarci che ciascuna donna faccia altrettanto (anche perch non tutte hanno in campagna un castello per allevarli). Circa il problema simmetrico, di non restare senza figli, tutti sono daccordo sullaiuto allinseminazione naturale omologa. La fecondazione in vitro, per contro, non ammessa in Italia, anche per la necessit di sopprimere gli embrioni in eccedenza, mentre in altri paesi, come lAustralia, permessa (non senza gli inconvenienti ricordati al punto 3.2). Esistono pressioni, soprattutto di medici specialisti, in favore di una legalizzazione per lo meno della fecondazione in vitro omologa; ma, a mio parere, il pur legittimo desiderio di avere un figlio non dovrebbe preva-

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lere (per un insieme di ragioni anche psicologiche) sulla tendenza a conservare al concepimento la sua sede naturale. Oggi vivono forse pi di mille persone nate in provetta (con molti gemelli eterozigoti, perch si suole impiantare pi di un uovo fecondato): ma ci, pi che al bisogno di un figlio a ogni costo12, risponde a una diffusa tendenza allesibizionismo. Meglio sarebbe perfezionare le procedure di adozione: la separazione tra paternit legale e naturale permane, ma giustificata dal fatto che il figlio, ormai, esiste, e si tratta di farlo vivere nelle migliori condizioni. 4.4. Tutela dellembrione Quanto variabile sia il concetto attuale di normalit mostrato dallaccenno di Singer ai medici della sua Manash University, che controllano gli embrioni in laboratorio affinch si sviluppino normalmente. Questa normalit, che prescinde totalmente dalla natura, si riferisce alla prevenzione di malattie e malformazioni. Ma, anche sotto questo punto di vista, mi pare di maggior peso la preoccupazione di Dulbecco per le alterazioni cromosomiche che potrebbero prodursi a causa, appunto, delle condizioni in cui viene mantenuto lovulo, anche se ci fin qui non si sia verificato, o abbia dato luogo a morte dellembrione. Molte diagnosi prenatali, come ha mostrato Falaschi, non richiedono la fecondazione in vitro: altrimenti finiremmo con lesser tutti concepiti in provetta. Problemi particolari fa sorgere la diagnosi prenatale del sesso, seguita o meno da una sua alterazione (che sarebbe stata ottenuta su un embrione umano da un medico di Napoli nel 1987). La tecnica fu gi studiata per gli animali da allevamento, in cui i maschi hanno un valore molto inferiore alle femmine. Se applicata agli uomini darebbe, almeno in un primo tempo, un risultato inverso, come mostra una recente ricerca in India, su un gran numero di coppie che conoscevano in anticipo il sesso del concepito: su 8.000 aborti si son trovati 7.997 feti di sesso femminile. A lungo andare probabile che si produca una controspinta, e poi uno stato stazionario con forti oscillazioni. Ma si pu anche ipotizzare una nuova societ di pochissime donne e molti maschi, in rapporto di poliandria, con scarsissime nascite. Non si pu esser certi che ci avvenga senza scompensi psichici, biologici e morali. La diagnosi prenatale del sesso troppo facile e, a volte, anche utile, per ragioni ema12 Si veda R. Dulbecco, Ingegneri della vita. Medicina e morale (in coll. con R. Chiaberge), Milano, Sperling e Kupfer, 1988, pp. 100 e 108.

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tiche per essere abbandonata, ma pu dar luogo a situazioni incontrollabili se si accompagna a unindifferenza generalizzata verso le pra tiche abortive. 4.5. Tutela della famiglia Da quanto precede si scorge che linteresse sociale a tutelare la famiglia non si riduce a questioni di stato civile o di successione ereditarla. Il rapporto tra struttura familiare e riproduzione sessuale si configura molto variamente nelle diverse popolazioni (con tendenza peraltro, almeno ufficiale, verso la famiglia monogamica), ma non pu mancare, come pretenderebbe chi chiede il matrimonio tra persone dello stesso sesso, o definisce la famiglia (secondo un progetto non pi recente della socialdemocrazia tedesca) come un insieme di persone comunque legate. Lapplicazione delle scoperte scientifiche ai processi riproduttivi, da un lato, contribuisce alla perdita del senso naturale della famiglia, ma dallaltro ne leffetto, non la causa: la perdita gi avvenuta. Il fenomeno delle donne che affittano lutero rientra in questa prospettiva: mentre sembra esaltare la maternit, la degrada. In nessun caso linteresse a divenire madre in questo modo merita di essere giuridicamente protetto. Come osserva Dulbecco, la gravidanza lascia un segno profondo nella donna, la quale subisce importanti trasformazioni ormonali con ripercussioni su tutto il corpo, e specialmente sul cervello. Questo processo crea un legame indissolubile tra la madre e il neonato13. La discendenza genetica determina, bens, i caratteri ereditari, ma stabilisce un legame meno personale che la gestazione: quindi, in caso di contestazione, il diritto della madre biologica dovrebbe prevalere su quello della madre genetica. La privatizzazione della gestione degli uteri, in generale, non pu prevalersi degli argomenti che incoraggiano la privatizzazione delle aziende produttive. Infatti in queste ultime la cosa prodotta in funzione del produttore, mentre nella generazione lattivit produttiva in funzione del prodotto, cio del nuovo individuo umano Questultimo va considerato come un fine in se stesso e, sebbene sia impossibile chiedergli

il consenso preventivo a essere messo al mondo, si deve, quanto meno,


evitare di metterlo al mondo per soddisfare a unaspirazione egoistica a divenire padri o madri comunque. In questi casi la legislazione, pi che di punire, ha il compito di gui13

Dulbecco, Ingegneri della vita. Medicina e morale cit., p. 107.

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dare le coscienze. Non pu farlo senza comminare sanzioni che, tuttavia, basta che colpiscano gli operatori medici: i quali non possono invocare in questi casi unopportunit terapeutica o di ricerca. 4.6. Conseguenze della diagnosi prenatale di malattie La diagnosi prenatale di certe malattie possibile con tecniche a basso rischio. A volte permette cure mediche o chirurgiche; in altri casi d luogo a interruzioni di gravidanza, giustificate come aborto terapeutico. Si possono ipotizzare abusi, quando la diagnosi divenga un pretesto per giustificare un aborto premeditato. Il problema teorico nasce solo se si ha la certezza che il neonato verrebbe al mondo con menomazioni disastrose e insanabili, tra le quali il mongolismo, dovuto alla trisomia 21 , la pi frequente. La probabilit, come noto, cresce rapidamente con let della madre e (riferita alle anomalie cromosomiche in generale) raggiunge 18,2% per madri di 45 anni, sicch in questi casi una diagnosi prenatale opportuna. Sebbene la soppressione non sia, propriamente, una cura, appare plausibile riconoscere il carattere terapeutico di tali interruzioni di gravidanza, anche quando non vi sia pericolo per la madre. Questa normativa pu difficilmente essere respinta dalla coscienza, nonostante che comporti luccisione volontaria di un essere umano. un caso in cui il fine giustifica il mezzo, sotto la condizione enunciata al punto 1.2; ossia, si pu presumere, non il diritto rispetto a s, bens il dovere (etico, non giuridico) verso il nascituro di sopprimerlo. Ci non significa aderire allopinione di H. D. Aiden, che il diritto alla sopravvivenza dipende dalla capacit (...) di condurre una vita umana14. Il diritto alla vita non dipende, infatti, da una capacit ad agire. N si pu decidere a priori che cosa si debba intendere per vita umana; e, quandanche lo si fosse deciso, sarebbe difficile prevedere se questa capacit vi sar o meno. Essa dipende anche dalla disponibilit dei genitori ad accogliere ed educare, nella misura del possibile, come umano un figlio gravissimamente leso nelle sue facolt psichiche. Una latitudine di scelta dovrebbe esser lasciata, perci, ai genitori stessi, non per abbandonarla al loro arbitrio, ma perch giudichino se sono in grado o no di educare il figlio, non potendosi pretendere da tutti virt in grado eroico. I genitori essendo due, possono non essere daccordo: in ultima istanza prevarr la madre, per il suo rapporto pi diretto col figlio. Lattuale legislazione italiana, prevedendo anche possibili disturbi
14

H. D. Aiden, Life and Right of Live in AA.VV., Ethical Issues , New York, 1973.

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psichici alla madre come giustificazione per interrompere la gravidanza, si presta ad abusi inammissibili; ma nel caso supposto laborto sarebbe effettivamente terapeutico (sebbene uccidere non sia guarire). La questione morale, a mio parere, non riguarda essenzialmente i genitori, bens il figlio: se vi sia o no un dovere (da considerarsi caso per caso, con estrema cautela) di non conservare in vita un essere in tali condizioni (in questo senso sembra aver sentenziato recentemente anche un giudice inglese). Questo modo di vedere incontrer molte opposizioni, perch si preferisce rimuovere il pensiero di un dovere di uccidere, tanto orribile. La decisione, che incombe sui genitori, implica una sorta di ius vitae et necis verso la prole che solo un dovere assoluto giustifica. linteresse della prole, non quello dei genitori, che va tutelato. Una simile conclusione non avrebbe sollevato difficolt in popolazioni molto sensibili allethos, quali i greci arcaici o i romani arcaici. E il fondamento religioso, o parareligioso, di una tal mentalit, implicante un dovere del sacrificio (sacer esto dicevano le XII Tavole del condannato a morte) si mostra negli episodi biblici del sacrificio (interrotto) di Isacco e in quello (portato a termine) della figlia di Jefte, giudice dIstraele (il cui voto, peraltro, era insensato). Oggi le motivazioni non possono essere le medesime, ma il principio non pu che restare lo stesso: solo un dovere, non un diritto, pu autorizzare a uccidere. Poich riconoscere un dovere del genere ripugna, oggi si mette la testa sotto la sabbia parlando di diritto alla vita condizionato (come spesso si dice nella cerchia delle Chiese protestanti). Il diritto alla vita non pu essere subordinato che a un dovere assoluto. Il resto ipocrisia, analoga a quella che circonda laborto terapeutico, quando si pretende di giustificarlo con danni psicologici gravi per la donna. C solo un vantaggio paradossale: se la legislazione in materia di aborto lassista, essa rende inutile laltra ipocrisia, di uninterruzione di gravidanza per presunta mostruosit del feto: chi vuole abortire ha a disposizione pretesti pi semplici. La diagnosi prenatale praticata, previo colloquio con la madre, anche dal Servizio di Citogenetica dellUniversit Cattolica, a Roma. Il prof. Serra, che lo dirige, ha pubblicato i risultati di uninchiesta condotta dal 1977 al febbraio 1980: su 304 diagnosi eseguite si sono avuti solo 6 aborti indotti per diagnosi prenatale sfavorevole (pari all1,97 per il Ministero italiano della Sanit si ispirano a principi molto vicini a quelli esposti dal professor Serra e collaboratori15.
15

cento). Le conclusioni (del 9 febbraio 1987) della Commissione presso

Si veda Serra et al., La diagnosi prenatale in Ingegneri della vita. Medicina e morale cit.

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4.7. Sperimentazione su embrioni e su esseri viventi Il progresso scientifico interesse di tutta lumanit e, senza dubbio, merita protezione giuridica. Ci non toglie che la libert di ricerca,

necessaria a tale progresso, debba arrestarsi di fronte a esigenze pi gravi. Il produrre appositamente con la fecondazione in vitro embrioni da
destinare a esperimento non rispetta certamente lumanit come fine. Ladoperare embrioni di scorta, ormai prodotti a scopo generativo, diverso, ma suscita egualmente forti perplessit (in chi non si limiti al criterio della capacit di sentire addotto dal Singer) ed , quasi dappertutto, vietato. A parte il rispetto dellessere umano, anche lo sperimentare su viventi in genere, provocandone la morte, viola un valore che non si riduce al non far soffrire. La vivisezione, anche in anestesia, giustamente sottoposta a restrizioni e controlli. Su forme inferiori di vita, in cui lindividualit meno marcata, le perplessit sono minori o assenti (salvo che in civilt come lindiana). Spiegare tale differenza richiederebbe complesse argomentazioni, ma una gradualit del rispetto per la vita, per quanto paradossale, spontanea nelle coscienze. Fortunatamente la sperimentazione su embrioni o feti, nonch la vivisezione, non hanno per il progresso delle conoscenze limportanza che alcuni suppongono. Ci che si pu imparare, ad esempio, da un animale in cui stato indotto artificialmente uno stato di ansia (esperimento pi crudele della vivisezione) abbastanza irrilevante. Le osservazioni di Dulbecco in proposito16 sono autorevoli per la morale non meno che per la scienza. Per contro malattie provocate in animali da esperimento e esperienze randomizzate su uomini, quando siano indispensabili, inducono a superare scrupoli che, senza il fine di estendere le conoscenze e migliorare la vita, sarebbero giustificati. Anche la sezione di cadaveri, che un tempo appariva sacrilega, oggi praticata comunemente, sotto certe condizioni. In questi casi, ancor pi che in altri, la norma giuridica, pi che determinare il comportamento dei singoli (difficile da controllare), contribuisce a orientarli eticamente, affinch decidano da s. Spesso un principio va affermato anche quando si sa che non sar rispettato (come nel caso dellaborto). Daltro canto lirrigidirsi su norme che non si in grado di far rispettare pu anche provocare leffetto opposto, di non far pi prendere sul serio il principio affermato.
16

Si veda Dulbecco, Ingegneri della vita. Medicina e morale cit., p. 123.

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4.8. Tutela degli indifesi Il presente studio si trovava in uno stadio avanzato quando scoppi lo scandalo delle eutanasie allospedale Lainz di Vienna. Molti si sorpresero con orrore, ma chiunque sia stato ricoverato in ospedale non dovrebbe meravigliarsi (se non per la sistematicit). In qualsiasi ospedale la tranquillit notturna garantita, a beneficio degli stessi ricoverati, con mezzi terapeutici che non sarebbero consentiti ai privati; e dal calmare il dolore al produrre la morte il passo breve, anche se decisivo. Il ricoverato completamente nelle mani di chi lo cura: che lo sinformi sulla terapia eccezionale, e non c parente n comitato etico in grado di controllare. La normativa dovrebbe prevedere controlli per evitare abusi, che possono derivare da due cause: il semplice desiderio dei paramedici di non essere disturbati e lintenzione di far posto a nuovi malati, curabili, sopprimendo gli incurabili. La seconda ragione apprezzabile, ma non ammissibile, perch tratta il ricoverato come un puro mezzo ( un caso in cu il fine non giustifica il mezzo). Quanto alle anime belle, che propugnano uneutanasia umanitaria alla luce del sole, esse non sembrano rendersi conto che: a) leutanasia umanitaria ha gi anche troppo spazio, senza essere dichiarata; b) la sua legalizzazione sancisce un principio che, come tale, inammissibile; c) attraverso di esso passerebbero abusi che nessun comitato etico in grado dimpedire. Solo la coscienza del medico in grado di dire, caso per caso, fino a che punto la cura del dolore vada intensificata, a costo di abbreviare la vita (ci che, inconsciamente, fanno in forma lenta anche i singoli, con gli analgesici). Ma legalizzare leutanasia non sarebbe il modo migliore per educare la coscienza del medico. Funzione dei comitati di controllo dovrebbe essere: intervenire, da un lato, quando la sistematicit di taluni decessi faccia sorgere sospetti; e reprimere, dallaltro, tendenze allaccanimento terapeutico che, in realt, con la terapia e con lumanit hanno ben poco che fare. Esso dettato piuttosto da ragioni di politica (familiare o statale, come nei casi di Franco, Tito, Hiro Hito) o da virtuosismo professionale. Leutanasia passiva, se questo nome designa la rinuncia allaccanimento terapeutico, non richiede alcuna autorizzazione, n dellinteressato (per lo pi in coma), n dei familiari (che potrebbero anche avere interessi inconfessabili), bens ragioni oggettive, che il medico, se ha bisogno di un aiuto morale, pu sottoporre a un comitato che scarichi in parte la sua coscienza. Quanto al passaggio dalla terapia vera e propria a una terapia sinto-

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matica del dolore che sconfina nelleutanasia attiva, sembra chiaro che non si possa ammetterlo come principio. Di conseguenza il parere di Schwarzenberg (si veda sopra, 3.1), per quanto sembri elusivo, lunico ragionevole in quei casi in cui il dovere (non il diritto) di aiutare il paziente a sopportare la vita costringa il medico ad affrettarne la morte. 4.9. Tutela dellambiente La produzione artificiale di nuove specie anche e soprattutto di microrganismi pu alterare in modi imprevedibili lequilibrio ecologico, non trovando agenti che ne reprimano la diffusione. La supposta scoperta giapponese di batteri capaci di nutrirsi di materia plastica suscit il timore di uninvasione pi deleteria di quella delle termiti. Danni alla salute prodotti da virus artificiali non sono stati accertati, ma la selezione artificiale di ceppi pi resistenti gi una conseguenza indiretta dei progressi della medicina. Dopo la conferenza internazionale di Asilomar (1975) gli stati pi progrediti (con il National Institute of Healt statunitense in testa) hanno approvato regole di salvaguardia per evitare che la manipolazione, in particolare genetica, della materia vivente dia luogo a infezioni o ad alterazioni ambientali. Finora i timori non sono stati confermati, e un paio di violazioni delle regole (donazione non autorizzata di un virus a San Diego) sono state punite. Ci non toglie che i pericoli permangono, e che sia utile presentarli, perfino in veste fantascientifica, al modo di Rifkin (si veda sopra, 3.3). C anche il pericolo, per, che preoccupazioni pseudoecologiche mascherino interessi di tuttaltra natura. 4.10. Difesa militare Lo sviluppo di mezzi di difesa biologici, non meno che chimici e fisici, costituisce un pericolo per definizione. La loro messa al bando, peraltro, un problema politico, non scientifico, di non facile soluzione, per la difficolt di controlli reciproci generalizzati. Al coinvolgimento in questo tipo di ricerche ovvio che lo scienziato possa opporre unobiezione di coscienza, ma non si pu incolparlo se non lo fa, quando la rinuncia unilaterale metta lo stato che la adotta nelle mani degli stati che non ladottano. Su questo punto abbiamo lesperienza storica delle ricerche nucleari: una riunione di scienziati era in corso in America per discuterne lopportunit, quando giunse la notizia che Hitler era in grado di mettere a punto la bomba; e si decise di prevenirlo. Fermi ader, Rasetti si dissoci, e abbandon addirittura la ricerca fisica: entrambe le decisioni sono irreprensibili.

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4.11. Ricerca e morale Il problema generalissimo se la ricerca scientifica possa, in certi casi, andare contro la morale e incorrere in divieti legislativi comporta risposte difficili e sfumate, che per, nel complesso, sono per il no. noto che secondo Comte nello stadio positivo il legislatore avrebbe dovuto proscrivere non solo le ricerche dannose, ma addirittura le inutili. Senonch lesempio che Comte fa di ricerca inutile, le indagini spettroscopiche, mostra che un legislatore, anche se consigliato, non riuscirebbe neppure a prevedere quali ricerche siano utili. Potenzialmente ogni ricerca utile, e perci anche dannosa, per la sua stessa potenziale efficacia; ma lutile e il danno non si lasciano n disgiungere, n, a lungo termine, prevedere. Il caso pi impressionante di ambivalenza costituito dalle ricerche sullatomo, le cui conseguenze, pure, erano presumibili: da un lato lincubo di una distruzione rapida del genere umano; dallaltro laprirsi dellunica fonte di energia in grado di soddisfare le esigenze di domani. Anche guardando col senno di poi, appare impensabile che a tale ambivalenza si sfuggisse semplicemente vietando le ricerche che lhan prodotta. Quandanche, poi, le autorit fossero in grado di emettere le prescrizioni giuste, dubbio che sarebbero in grado di farle rispettare, se non altro perch il loro controllo non si estende fuori dei confini. Si visto, nel caso della difesa, che il semplice sospetto che altri possa mettere a punto uno strumento di distruzione induce a metterlo a punto. Le organizzazioni internazionali avrebbero il compito di farci uscire dallimpasse, attraverso una normalizzazione planetaria della ricerca, analoga a quella delle unit di misura; ma la possibilit che acquistino lautorit politica per farlo remota. Per rendere efficace la difesa dellambiente e della vita dalle aggressioni che la scienza rende sempre pi temibili occorrerebbe un grado di cooperazione elevatissimo, da imporsi perfino con la forza: ci per ora impensabile. Un passo avanti sarebbe gi il prender coscienza che la sopravvivenza dellumanit dipende dalla difesa dellambiente, che dalla scienza minacciato, ma che senza la scienza non si pu salvare. Ci significa che non si tratta di limitare la ricerca scientifica, bens piuttosto di sollecitarla e guidarla, prevedendo altres mezzi dintervento, non sulla scienza, ma sulle sue possibili ricadute. Nel caso della biotecnologia non si tratter, quindi, di vietare o mettere in moratoria le ricerche sul genoma (umano o non umano): la loro potenzialit esplosiva analoga a quella delle ricerche sullatomo, ma

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un divieto generico andrebbe fuori bersaglio. Si tratta piuttosto di controllare e limitare le modalit di certe operazioni, quando ledano un diritto soggettivo (o interesse giuridicamente protetto) dei singoli, presenti o futuri, o delle collettivit. Nessuno pensa, ad esempio, di vietare le ricerche di fisiologia umana, ma nessuno considererebbe lecito quandanche fosse utile allo scopo uccidere uomini per questo. In casi meno radicali siffatti divieti appariranno rivedibili alla luce di nuove conoscenze, come per la dissezione dei cadaveri che, nel rispetto di certe norme, stata autorizzata. Educare i ricercatori alla seriet scientifica e al rispetto della natura sar pi utile di molti divieti, anche perch spesso tecnologie che ripugnano alla coscienza non sono realmente utili alla scienza. Su questo punto il giudizio di merito pu mutare, mentre sui princpi si suppone non muti. Un esempio specifico offerto dalle indagini distruttive su embrioni umani. Che esse siano insostituibili per acquisire conoscenze importanti dubbio, e lonere della prova incombe su chi le richiede; ci non vuol dire vietare le ricerche di embriologia, ma solo subordinarle a certe condizioni. Come esistono norme che puniscono il vilipendio di cadavere e luso illegittimo di cadavere (artt. 410 e 413 del Codice penale italiano) che, pure, ormai scisso dalla vita, a maggior ragione possono esistere norme analoghe per lembrione vivente. Ci implica una normativa apposita, contro il parere di Lombardi Vallauri, che basti estendere agli embrioni le norme riguardanti gli individui umani (si veda sopra, 3.2). La soluzione di Vallauri sarebbe pi semplice e razionale se si raggiungesse un accordo sul fatto che lembrione umano un individuo umano: ma, per quanto ci sia plausibile, un tale accordo non esiste e non facilmente raggiungibile. Che la scienza sia capace di produrre mutamenti, o anche mutazioni, radicali, e al limite letali, nella vita umana, un fatto che nessuna normativa, da sola, pu cancellare. Ci che si pu fare adottare provvedimenti che rendano gli esiti nefasti meno probabili. Per questo occorre un lavoro in comune, che renda sinergiche le capacit giuridiche, politiche, scientifiche e umanistiche della societ. Le soluzioni non possono essere che tecniche, ma la tecnica utile solo se guidata da una sensibilit umana. Gli scienziati, che hanno le chiavi del futuro dellumanit, non possono manovrarle da soli. Essi sono, di solito, umanitari, ma sempre meno umanisti (a differenza di un tempo): e ci li induce, a volte, a prospettare soluzioni dottrinarie, unilaterali, semplicistiche o astratte. Le loro professioni di umilt intellettuale per lo pi in buona fede si accompagnano non di rado, ciononostante, alla presunzione

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di essere detentori della razionalit, e a unincapacit di cogliere problemi di tipo diverso da quelli a cui sono abituati. Il rimedio sarebbe uneffettiva, e non velleitaria, collaborazione tra le varie dimensioni che compongono luomo, la cui influenza, attraverso organizzazioni internazionali, si estenda allintero pianeta. Basta formulare un ideale del genere per accorgersi di quanto sia lontano. Ma non si pu far altro che perseguirlo, con pazienza, sperando.

Individuo e istituzioni: una prospettiva ermeneutica Gianni Vattimo *

Premessa

C nelle preoccupazioni etiche e politiche del mondo contemporaneo una connotazione comune: quella della reimpostazione e della rielaborazione di certi temi, in particolare il problema del rapporto tra individuo e istituzione, in unepoca caratterizzata dalla comunicazione generalizzata, dallampliamento degli spazi e delle interazioni, dalla tecnologizzazione totale e dal decentramento sempre pi significativo delluomo allinterno del mondo e della natura. Si tratta del riproporsi in maniera estremamente virulenta del problema della convivenza, problema genuinamente politico, nel momento in cui il mondo diventa sempre pi un villaggio, nel senso di McLuhan1: nella misura in cui i media rendono tutto cos vicino, riunendo anche sfere di interazione finora separate, il mondo tende a somigliare a quello delle forme sociali primitive, con tutti i problemi che esse comportano a livello di regolamentazione e di strutturazione della societ, in termini cio di compossibilit delle forze originariamente polemogene in essa presenti, che entrano ora in contatto2. E ovvio che in questo modo ritorna alla ribalta anche tutta unaltra serie di problemi affrontati dal pensiero politico fin dai tempi di Locke, in particolare quello della tolleranza3. E in questo contesto che, ad esempio, il risorgere dei fondamentalismi religiosi ripropone, come scrive Salvatore Veca, la sfida della tolleranza, che il mondo occidentale credeva di aver gi combattuta e vinta4.
* Lautore ringrazia per il sostanziale contributo fornito allelaborazione del testo Gaetano Chiurazzi, al quale si deve la stesura definitiva. 1 Si veda M. McLuhan, Understanding Media, New York, McGrow, 1964, trad. it. Gli strumenti del comunicare, Milano, Garzanti, 1986. 2 Si veda J. Meyrowitz, No Sense of Place: The Impact of Electronic Media on Social Behaviour, New York, Oxford Press, 1985. 3 Si veda J. Locke, Scritti sulla tolleranza, a cura di Diego Marconi, Torino, Utet, 1977. 4 S. Veca in Panorama, 15 luglio 1990, p. 101.

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Ma come mai proprio lepoca della comunicazione generalizzata si pone come sfondo per questa rimessa in discussione di ci che pensavamo di aver ormai combattuto e vinto? Gi a livello della cronaca pi quotidiana noi ci rendiamo sempre pi conto dellurgenza di queste tematiche: il ritorno dei fondamentalismi, di cui si accennato pi sopra; il fatto che dopo circa cinquantanni di pace lOccidente si trovi pericolosamente, di nuovo, di fronte alla prospettiva di una guerra; le difficolt di una societ multirazziale; ma anche questioni solo apparentemente meno drammatiche, da quelle della censura cinematografica o del divorzio e dellaborto, che vivacizzavano il dibattito etico-politico in Italia negli anni passati, a quelle pi recenti sul se giusto o meno proibire a qualcuno di drogarsi, cio sullalternativa tra proibizionismo e antiproibizionismo. Ci che in gioco, in tutti questi casi, infatti la convivenza: ovvero, in un senso ampio, la comunicazione. Comunicazione in senso orizzontale, tra pi individui o stati, tra pi poteri o istituzioni; comunicazione in senso verticale, tra individuo e istituzione, tra libert e potere, tra uomo e sistema. Il problema politico e sociale del vivere civile passa dunque, oggi, attraverso quello della comunicazione perch la societ dellinformatizzazione elettronica e dei mass media ci rende sempre pi consapevoli della stretta interdipendenza esistente tra le varie parti del mondo: tra individuo e individuo, tra stato e stato, tra uomo e natura. un aspetto cos ben colto da un sociologo come Norbert Elias, che legge il fenomeno della civilizzazione proprio come un costituirsi del tessuto sociale in una rete di interrelazioni che diventa sempre pi ampia e fitta, sia nel tempo che nello spazio, e che comporta alfine linteriorizzazione stessa del controllo (il che produce anche una modificazione delleconomia psichica individuale in senso funzionale rispetto allorganizzazione sociale): perch tutto lapparato funzioni occorre che ognuno sappia coordinare il proprio comportamento in base a certe esigenze pi globali5. Noi oggi, cio, non possiamo pi fare a meno di pensare alle conseguenze del nostro agire, sia nella distanza spaziale che in quella temporale: basti pensare al caso dello sfruttamento della natura e alle sue ripercussioni sullambiente. Proprio il caso dellecologismo, nei suoi aspetti etico-politici, del resto esemplare, e consente di focalizzare il senso generale del fenomeno di cui ci stiamo occupando. Il fatto che lecologismo e il naturalismo di certe concezioni, lungi dallessere unapologia del naturale, em5 Si veda N. Elias, tiber den Prozess der Zivilisation, vol. II, Francoforte s. M., Suhrkamp, 1980 (2a ed.), trad. it. Potere e civilt, Bologna, Il Mulino, 1983.

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brino anzi derivare in maniera pi o meno esplicita da unattenzione al sistema in cui luomo inserito, spinge a pensare che il cosiddetto ritorno alla natura implicito in certe etiche ecologiche radicali, o etiche della terra, e il conseguente decentramento delluomo, pi che essere la ripresa di un sogno nostalgico dellimmediato naturale, sia in realt fortemente ispirato dal pensiero funzionalista e sistemico delle scienze positive. Viceversa, lattenzione per la comunicazione generalizzata, per i mass media, deve a una concezione di radice umanistica, quale quella dellermeneutica, pi di quanto non si creda. Queste considerazioni ci pongono in definitiva di fronte al clima che caratterizza il dibattito filosofico contemporaneo, e in particolare quello etico-politico. Esso definito essenzialmente da due coordinate: 1) il problema del rapporto tra individuo e sistema, tra libert e potere, si pone da un certo versante alla fine di una tendenza dissolutiva, secolarizzante, laicizzante delletica e della sua fondazione teologicoumanistica, fino ai suoi esiti pi nichilistici (processo interno alla riflessione critica delle cosiddette scienze umane), e dallaltro come costante punto di inciampo del progetto tipico delle scienze positive, quello cio, come scriveva Lvi-Strauss, di giungere a studiare gli uomini come si studiano le formiche; tutto ci opera come, e richiede, una delegittimazione della distinzione inveterata tra scienze umanistiche e scienze positive; 2) dunque su queste premesse che si ripropone, in campo filosofico, il primato delletica, cio la indiscutibile attualit della filosofia pratica6. Primato che, in base ancora alla prospettiva delineata al primo punto, segna anche lemergenza (nel duplice significato della parola: un venire in superficie e farsi percepibile, e una necessit ormai impellente) di una nuova razionalit che, specificamente nel campo sociale e politico, si configura come una presa di distanza dallipotesi di razionalit formale weberiana di tipo quantitativo-descrittivo come connotato di scientificit anche per le scienze umane. Insomma, la razionalit pratica diventa la riapertura del campo socio-politico alla filosofia, che per lungo tempo ne era rimasta esclusa, e nello stesso tempo lesigenza di condurre lindagine filosofica in maniera non pi refrattaria nei confronti di sfere di azione quali leconomia o la scienza politica. Quel che ci si propone in queste pagine di esaminare come si siano configurate e si configurino nel dibattito filosofico contemporaneo, at6 Si veda F. Volpi, Tra Aristotele e Kant: orizzonti, prospettive e limiti del dibattito sulla riabilitazione della filosofia pratica in C. A. Viano (a cura di), Teorie etiche contemporanee, Torino, Bollati Boringhieri, 1990.

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traverso esponenti rappresentativi di diverse scuole di pensiero, le questioni concernenti il rapporto tra individuo e istituzione in esplicito riferimento allattualit del fenomeno dei mass media, della tecnica, cio della comunicazione, dellinformatizzazione, e quindi dellinterdipendenza generalizzata. Oggi non c pi spazio per sfere sociali completamente autonome, cio, si potrebbe dire, per lindividualismo assoluto; il che equivarrebbe a dire, se si creda allequazione che fa coincidere lindividualismo con la libert, che non c pi posto, forse, per la libert. Quanto pi il sistema diventa esteso, tanto pi sembra minacciare questa libert dellindividuo7. Linteriorizzazione del controllo nellanalisi di Elias sarebbe pertanto il modo in cui il potere si occulta nel momento stesso in cui si espande. Daltra parte, proprio lestendersi della comunicazione contribuisce al moltiplicarsi e diversificarsi delle forme ed esperienze di vita8, fino a dare limpressione di una irriducibile parcellizzazione9. In realt, proprio sulla ridefinizione della libert, e dunque del soggetto in rapporto al sistema, che si incentra il problema del rapporto tra individuo e istituzione. Lo coglieva molto bene, e non senza risvolti critici per la sua stessa vicenda di pensiero, Michel Foucault, che allanalisi del potere e delle sue forme ha dedicato lintera sua meditazione filosofica:
Forse ai nostri giorni lobiettivo non quello di scoprire che cosa siamo, ma di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire quello che potremmo essere, per liberarci da questo tipo di doppio legame politico costituito dallindividualizzazione e dalla totalizzazione simultanea delle moderne strutture di potere. La conclusione sarebbe allora che il problema politico, etico, sociale, filosofico dei nostri giorni non quello di tentare di liberare lindividuo dallo stato e dalle istituzioni statali, ma di tentare di liberarci sia dallo stato sia dal tipo di individualizzazione che legata allo stato. Dobbiamo promuovere nuove forme di soggettivit rifiutando il tipo di individualit che ci stato imposto per tanti secoli10.
7 Lipotesi del dominio totale nelle moderne societ tecnologiche e capitalistiche quella che ha ispirato M. Horkheimer e T. W. Adorno in Dialektik der Aufkldrung, Amsterdam, Querido, 1947, trad. it. Dialettica dellIlluminismo, Torino, Einaudi, 1966. 8 Si veda G. Vattimo, La societ trasparente, Milano, Garzanti, 1989. 9 Sul problema etico-politico posto dallindividualismo si veda R. Bodei, Gli individualismi: valori morali nella societ contemporanea in Sisifo, 18, 1989. 10 M. Foucault, Perch studiare il potere: la questione del soggetto in Aut Aut, 205, 1985.

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1. Listituzione come repressione e oppressione: Foucault Il caso di Michel Foucault particolarmente significativo per il nostro tema: le sue tesi filosofiche hanno dato luogo a tutto un vasto movimento, con precise ripercussioni politiche, che era animato dallidea dellistituzione come repressiva e oppressiva della libert individuale. Inoltre, queste rivendicazioni si collocavano in un contesto teorico che, nelle intenzioni di Foucault almeno, non aveva niente di umanistico. Anzi, linquadramento storico del suo pensiero gi di per s indicativo della crisi interna delle scienze umane, dovuta a quella tendenza dissolutiva dei fondamenti teologico-metafisici che si inizia con Nietzsche e prosegue con Heidegger (due termini di riferimento precisi sebbene cos raramente esplicitati in Foucault), la quale trapassa nellantiumanismo che caratterizza tanta filosofia contemporanea, e in particolare quella francese degli anni sessanta. La famosa tesi foucaultiana della morte delluomo, con cui si chiudeva Le parole e le cose11, insomma solo il risvolto sul piano antropologico dellaffermazione nietzschiana della morte di Dio. Questo antiumanismo si distingue per dal contemporaneo impersonalismo che caratterizzava lo strutturalismo per il fatto che pi radicalmente esso una messa in questione della razionalit stessa delluomo, e cio del soggetto: delluomo, dunque, in quanto soggetto. E forse qui il motivo, e la confusione, per cui la filosofia di Foucault stata, forse non senza qualche ragione, ma comunque con ripetute smentite da parte di Foucault stesso, accostata allo strutturalismo, soprattutto nel periodo immediatamente posteriore alla pubblicazione di Le parole e le cose . Che il problema dei rapporti tra individuo e istituzione passi attraverso quello del soggetto pu sembrare strano: ma del resto proprio qui la sua portata filosofica, se vero che, finch esso rimane a un livello puramente descrittivo, resta confinato nellambito delle discipline giuridiche e perde qualsiasi presa di tipo critico. Come si cercato gi di suggerire, intorno alla questione del soggetto che esso assume una ben precisa valenza etica. Daltra parte, interrogarsi sul rapporto tra individuo e istituzione porre la questione del potere e dello stato, e proprio Foucault, nel precisare lo scopo dei suoi studi, scriveva: Non si trattato di analizzare
11 M. Foucault, Les mots et les choses, Parigi, Gallimard, 1966, trad. it. Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1967.

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i fenomeni del potere e neppure di elaborare i fondamenti di tali analisi. Il mio obiettivo stato invece di fare la storia dei diversi modi in cui nella nostra cultura gli esseri umani vengono resi soggetti12. E ancora: Il tema generale della mia ricerca non dunque il potere ma il soggetto13. Prima di esaminare liter di Foucault a proposito di queste ricerche, forse utile a questo punto un riferimento ai due filosofi cui egli riconosce il maggior debito: Nietzsche e Heidegger. Quel che in essi si registra innanzi tutto una radicale messa in questione della determinazione metafisica del soggetto come padronanza, sia riflessiva (cio coscienza di s) sia transitiva (dominio sulloggetto): in Nietzsche attraverso la nozione di volont di potenza, che porrebbe laccento sulla parte pi istintuale e inconscia dellIo; in Heidegger attraverso il concetto di storia come destino, che sarebbe solo un altro modo di formulare il circolo ermeneutico: lesigenza, cio, o meglio linevitabilit, di partire sempre da un dato, da uneredit, da una tradizione, che non pu mai essere resa completamente trasparente14. La storia come destino sarebbe allora il prevalere delle dimensioni sociopolitiche su quelle individuali nellesperienza delluomo15. Il che non escluderebbe comunque unoperazione delluomo su queste strutture, come avviene proprio nel processo interpretativo (e ci sarebbe anzi da chiedersi se non sia poi questa la vera, demistificante forma del circolo ermeneutico)16, annuncio della scoperta teorico-pratica di un nuovo, pi autentico modo di esistere delluomo17. Ma la crisi del soggetto pi profondamente la crisi della funzione ricoperta dal soggetto, soprattutto a partire da Cartesio, cio del subjectum: del fondamento. E qui il discorso si collega direttamente allannuncio nietzschiano della morte di Dio e alla critica heideggeriana allonto-teo-logia. In Nietzsche la morte di Dio significa lesclusione di qualsiasi orizzonte trascendente, cio la fine della fondazione religiosa delletica e lapertura su un mondo di pura apparenza, menzogna, maschera: luomo non pi n un essere ragionevole n un soggetto, ma una volont di potenza valorizzante. Il valore dunque volere, nel senso che nulla giustifica una scelta se non quella preferenza, inconscia
Foucault, Perch studiare il potere: la questione del soggetto cit., p. 2. Ibid. Si veda G. Vattimo, Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, Milano, Bompiani, 1979 (2a ed.); Le avventure della differenza, Milano, Garzanti, 1980. 15 Vattimo, Le avventure della differenza cit., p. 61. 16 Ibid., p. 64. 17 Ibid. , p. 67.
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(e questo alla fine limportante), che chiamiamo volont. In questo si esplicita la ricerca da parte di Nietzsche di un superamento della scissione tra la vita e il suo significato, che avr tantissimo peso nella critica di Foucault ai sistemi di potere e nella presa di posizione a favore di unetica individuale, cio estetica e a-normativa. A prescindere dal fatto (e dai problemi che ci solleverebbe) che proprio qui per Heidegger si raggiungerebbe il culmine di quelloblio della differenza tra lessere e lente che lessenza stessa della metafisica (la volont di potenza diventa volont di volont, cio dominio tecnico), la parentela fra Heidegger e Nietzsche rintracciabile nella comune critica al fondamento trascendente. Questa in Heidegger assume la forma di una distruzione, o, come si usa dire oggi, di una decostruzione di ci che egli chiama la metafisica della presenza, cio il pensiero rappresentativo, la razionalit oggettivante, che pensando il fondamento in termini oggettivi, cio alfine a-storici, finisce per pensare anche lesistenza, e dunque il soggetto, intermini deificanti. Il dominio della e nella rappresentazione comporta insomma la reificazione. Essere e Tempo!18 poneva chiaramente questo problema discutendo il cogito cartesiano come essenza del razionalismo moderno. Il culmine del processo di pensiero iniziato con Cartesio, ma forse gi con Platone, lodierno mondo della tecnica, il Ge-Stell. In una importante e lunga nota di Lepoca dellimmagine del mondo, in Sentieri interrotti19, in cui discute il passaggio dalla rappresentazione al dominio della soggettivit, Heidegger scrive anche:
Nellimperialismo planetario delluomo tecnicamente organizzato, il soggettivismo delluomo raggiunge quel culmine da cui luomo non scender che per adagiarsi sul piano della uniformit organizzata per installarsi in essa. Questa uniformit infatti lo strumento pi sicuro del dominio completo, cio tecnico, della Terra. La libert moderna della soggettivit si fonda completamente nella oggettivit corrispondente. Luomo non pu svincolarsi da questo destino [Geschick] della sua essenza moderna, n pu sospenderlo con una decisione sovrana. Ma luomo pu, nella sua meditazione preparatoria, comprendere che lessere-soggetto da parte dellumanit non stata, e non sar lunica possibilit dellessenza futurativa delluomo storico20.

Sembra qui di rileggere, solo in termini un po differenti, lo stesso programma di Foucault, alla ricerca di nuove forme di soggettivit alternative a quelle del dominio. Ma quel che pi importante che
18 M. Heidegger, Sein und Zeit, Tiibingen, Niemeyer, 1927, trad. it Essere e tempo, Torino, Utet, 1986 (2 ed.). 19 M. Heidegger, Holzwege, Francoforte s. M., Klostermann, 1950, trad. it. Sentieri interrotti, Firenze, La Nuova Italia, 1968, nota n. 9, pp. 94 sgg. 20 Ibid. , p. 97.

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qui inevitabilmente si annuncia una problematica intorno alla trasgressione o meno di un certo ordine (che ha avuto anche un certo peso nelle stesse vicende politiche di Heidegger)21, che in Foucault si trover virata, a livello politico, verso un deciso trasgressivismo, frutto della riduzione dei rapporti intersoggettivi, di potere o etici, a volont di potenza. Quello che Heidegger chiama il dominio tecnico assume in Foucault una variet di forme, tutte riconducibili comunque alloggettivazione22, e cio alla razionalit cartesiana. Non un caso che la prima grande e pi discussa opera di Foucault, Storia della follia nellet classica23, veda proprio lepoca cartesiana (quella che Foucault chiama et classica va dalla fine del Rinascimento alla Rivoluzione francese) come inizio dellistituzione del manicomio, grazie a un processo di normalizzazione instaurato dallinsorgente razionalismo. La distinzione tra Ragione e Sragione lorigine di un movimento di repressione e di emarginazione, di esclusione del pazzo, che diventer sempre pi pervadente e ramificato nelle societ moderne e che si avvarr di sempre nuove istituzioni, da quella medica (La nascita della clinica)24 a quella carceraria (Sorvegliare e punire)25. Ora, le conseguenze politiche di questa concezione antinormativista, che vede cio nel processo di normalizzazione, attraverso la segregazione e lesclusione, un corrispondente tentativo di integrazione dei sani, dei normali, dei giusti ecc. (e la fallacia di questa integrazione sarebbe semplicemente il corrispettivo pratico di ci che a livello razionale loperazione identificante e reificante del concetto: loblio heideggeriano dellessere e la rimozione della differenza allorigine delluniformit del mondo tecnico, come scriveva Heidegger), hanno caratterizzato tutto un periodo che si raccoglie intorno al 68. Dai movimenti studenteschi del maggio 6826 allimpegno personale di Foucault nel GIP (Gruppo di informazione sulle prigioni) al movi21 Su uninterpretazione dellontologia heideggeriana come tentativo di pensare insieme la storia come sistema, cio autoregolazione, e come trasgressione, si veda R. Schiirmann, On SelfRegulation and Trasgression in Social Research, vol. 49, 4, 1982, pp. 1029-46. 22 Foucault, Perch studiare il potere: la questione del soggetto cit., p. 2. 23 M. Foucault, Histoire de la folie lAge classique, Parigi, Gallimard, 1961, trad. it. Storia della follia nellet classica, Milano, Rizzoli, 1976 (2a ed.). 24 M. Foucault, Naissance de la clinique, Parigi, P.U.F., 1963, trad. it. La nascita della clinica, Torino, Einaudi, 1969. 25 M. Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Parigi, Gallimard, 1975, trad. it. Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1976. 26 Sullinfluenza di Foucault nel 68, e sulle sue caratteristiche pi generali, si veda il polemico saggio di L. Ferry e A. Renaut, La pense 68. Essai sur lanti-humanisme contemporain, Paris, Gallimard, 1985, trad. it. 1168 pensiero. Saggio sullantiumanismo contemporaneo, Milano, Rizzoli, 1987.

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mento antipsichiatrico guidato in Italia da Basaglia, e che ha portato alla chiusura dei manicomi, c stata una tale presa di distanza critica dallistituzione che non di rado ha raggiunto livelli di sovversivismo e trasgressione radicale. Difatti tale antinormativismo si traduceva spesso in una affermazione di anarchia e di individualismo: il sistema nega gli individui come tali, il sistema reprime e opprime, integra, normalizza. Che le idee di Foucault abbiano ispirato lindividualismo rivoluzionario degli anni intorno al 68 dunque un fatto innegabile: ma il risvolto paradossale che esso si coniugava anche molto spesso a rivendicazioni e giustificazioni chiaramente umanistiche, se non addirittura esplicitamente dettate dalla Carta universale dei diritti delluomo. La questione insomma che proprio nel processo di normalizzazione dellindividuo, cio anche nella sua sottomissione a una legge generale, quale quella dei Diritti delluomo, Foucault vedeva linizio dellas-soggettamento, cio il nascere del soggetto. E questa una tesi che gi evidente nelle prime opere di Foucault, ma che si fa esplicita, con ulteriori risvolti, che hanno fatto pensare a una revisione di certe sue posizioni che la sua prematura morte non ha permesso di valutare pi approfonditamente, con La cura di s27 , dedicata al problema della sessualit. Secondo Foucault, letica greca non conosce un soggetto perch individualistica e non normativa; la nascita del cristianesimo, con la sua tendenza a imporre una legge etica uguale per tutti, che segna la nascita del soggetto. Si pone allora il problema del se sia possibile unetica, per Foucault, che non sia normalizzante. quanto fa Paul Veyne in un suo saggio28, rilevando come per Foucault la sola realt la volont di potenza come volont valorizzante, e tutto il resto illusione razionalistica29. E a proposito dei diritti delluomo, egli scrive che per Foucault le libert e i diritti delluomo si fondano molto pi solidamente sulla volont di resistenza dei gruppi umani che su proclami metafisici30. Occorre dire che la situazione di radicale an-archia e di lotta che consegue da questa concezione sottratta allipotesi di un relativismo etico solo da quello che Foucault considera il compito principale della sua filosofia: la diagnosi del presente, lopzione per una ontologia dellattua27 M. Foucault, Le souci de soi, Parigi, Gallimard, 1984, trad. it. La cura di s, Milano, Feltrinelli, 1985. 28 Si veda P. Veyne, , possibile una morale per Foucault? in P. A. Rovatti (a cura di), Effetto Foucault, Milano, Feltrinelli, 1986. 29 Ibid ., p. 31. 30 Ibid.

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lit31. Nellidea di Foucault, ci non significa accettare il presente, quanto piuttosto riconoscere che, nel presente, oggi, si mossi da qualcosa: desideri, motivazioni, esigenze, per le quali non si pu non volere. Individuando in questo il fondamento ultimo delletica e dellagire politico, Foucault porta alle radicali conseguenze il progetto nichilistico nietzschiano della morte di Dio, coniugandolo con lesigenza heideggeriana della storicit. unoperazione su cui si avr modo di ritornare in seguito, poich probabilmente alla fine su questo punto che si svolge il confronto con letica razionalista. Riguardo al problema che ci interessa, quello del rapporto tra individuo e istituzione, si possono a questo punto trarre le seguenti osservazioni conclusive. 1) Listituzione per Foucault assoggettante, perch tende a iscrivere lindividuo allinterno di una norma generale. E questa la funzione del potere nei suoi legami con la razionalizzazione. Unetica dellindividuo, da questo punto di vista, non pu che essere di tipo estetico, cio non normativo. Eppure, Foucault a un certo punto riconosce che lindividualizzazione stessa frutto di quella normalizzazione che comincia col potere pastorale della Chiesa e si sviluppa poi nella forma politica, laica e secolarizzata, dello stato moderno, il che complica non poco il suo discorso sullindividuo e le forme di assoggettamento.
Non mai esistita, penso, nella storia delle societ umane (neppure nellantica societ cinese) una combinazione cos abile di tecniche di individualizzazione e di procedure di totalizzazione allinterno delle medesime strutture politiche32.

questa una difficolt che, innanzi tutto, limita il discorso foucaultiano a proposito dellistituzione come repressione e oppressione iniziato con la Storia della follia: e difatti una critica alle tesi ivi esposte stata fatta da Gauchet e Swain33, da un versante che vede nellistituzione del manicomio, non unesclusione, ma un tentativo di integrazione del folle riconosciuto non come assolutamente altro, ma come capace di comunicazione, e dunque malato e curabile. Tale diversa valutazione sarebbe legata al processo di democratizzazione. In secondo luogo Fou-

cault, cadendo nellantitesi Hegel-Kierkegaard, integrazione-individua-

31 Si veda M. Foucault, Il problema del presente. Una lezione su Che cos lIlluminismo? di Kant in Aut Aut , 205, 1985, p. 19. 32 Foucault, Perch studiare il potere: la questione del soggetto cit., p. 7. 33 Si veda M. Gauchet e G. Swain, La pratique de lesprit humain. L institution asilaire et la rvolution dmocratique , Parigi, Gallimard, 1980.

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lismo, che alla fine posta allinterno della stessa logica, quella del soggetto cristiano-borghese34, costretto a un gioco altalenante tra individualismo e soggettivit che non esente da equivoci. Come si gi detto, di fronte allo stato e alle istituzioni statali, si tratta per Foucault di liberarci da questo tipo di doppio legame politico costituito dallindividualizzazione e dalla totalizzazione simultanea delle moderne strutture di potere, proponendo nuove forme di soggettivit35. Pu darsi allora che il nocciolo problematico sia proprio linterpretazione della volont di potenza come svincolata da qualsiasi legame, cio lan-archia del soggetto individuale cos come la intende Foucault: il che ci inviterebbe alla riproposizione del tema della soggettivit, seppure (come egli stesso scrive, cercando cos di correggere certe ambiguit del suo discorso) come ricerca di nuove forme di soggettivit. 2) Questa anarchia anche ci che pi di ogni altra cosa distrugge, insieme alla soggettivit, lintersoggettivit. Scrive A. Dal Lago: E vero, la soggettivit che emerge dalla filosofia pratica di Foucault non ci permette pi di pensare filosoficamente unintersoggettivit pratica, unorganizzazione, un partito36. Il che pone il problema della possibilit della comunicazione in base a questi presupposti. La comunicazione per Foucault non sar che scontro e rapporto di forze: leconomia prende il sopravvento sulla comunicazione; cos la critica al soggetto, portata come critica nei confronti di qualsiasi sfondo comune, rischia di risolversi in una disintegrazione della comunicazione e della comunit: della res-publica. Ci suona come alquanto strano se rapportato ad alcune tra le ultime affermazioni di Foucault; soprattutto quella secondo cui le lotte andautoritarie sono volte contro gli effetti del potere legati al sapere, alla competenza e alla qualificazione: sono lotte contro i privilegi del sapere. Ma sono anche contro la segretezza, la deformazione e le immagini mistificanti imposte alla gente37. La pubblicit (come scrive un discepolo di Foucault, Pasquale Pasquino), soprattutto nel suo legame con la veridizione, cio con una nozione di verit condivisa, cos cara allermeneutica, proprio alla base dello stato moderno38.
Si veda Vattimo, Le avventure della differenza cit., pp. 59-60. Foucault, Perch studiare il potere: la questione del soggetto cit., pp. 9-10. A. Dal Lago, Un metodo nella follia in Rovatti (a cura di), Effetto Foucault cit., p. 68. Si veda anche Ferry e Renaut, Il 68 pensiero cit., pp. 152-53. 37 Foucault, Perch studiare il potere: la questione del soggetto cit., p. 5. 38 Si veda P. Pasquino, Michel Foucault: la problematica del governo e della veridizione in Rovatti (a cura di), Effetto Foucault cit. In questo saggio, scritto dopo la morte di Foucault, Pasquino precisa comunque che la responsabilit delle conseguenze che egli vi trae sua, non confortata dal confronto col suo maestro.
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per questo allora che la questione del rapporto tra individuo e istituzione, e cio la questione del soggetto etico e politico, deve essere posta, soprattutto oggi, sullo sfondo della problematica della comunicazione. 2. La riflessione sulle condizioni della comunicazione: Gadamer e Habermas Se buona parte della filosofia francese contemporanea, nelle sue riflessioni non solo etiche, preoccupata cos visibilmente del problema dellalterit e della differenza (erede in questo di una problematica heideggeriana cresciuta sul terreno della Nietzsche-Renaissance), quella tedesca di ispirazione ermeneutica e della Scuola di Francoforte preoccupata del problema della comunicazione. Anche nel caso di Lvinas39, in cui la problematica heideggeriana spostata verso ambiti pi schiettamente etico-religiosi, il volto dellaltro che precede ogni etica possibile, nella sua luce fenomenologica, precede anche ogni comunicazione e ogni dire possibili. Letica levinassiana il tentativo di un recupero del rapporto con laltro chiaramente dissimmetrico e anteriore a qualsiasi istituzione, non mediato, corrispondente al tentativo critico di effettuare un debordamento da tutta la tradizione filosofica occidentale e dal suo progetto totalizzante. interessante allora notare come, rispetto a quello che genericamente potremmo definire l orizzonte francese, il comune riferimento a Heidegger conduca in Gadamer, e nellermeneutica, a una diversa valutazione del momento istituzionale. Uno dei punti di partenza pi significativi dellermeneutica gadameriana infatti lineludibilit di ci che Hegel ha chiamato spirito oggettivo: linsieme dei costumi e delle istituzioni di un popolo. Tale ineludibilit tale perch strettamente connessa con la finitezza delluomo (ci esclude la possibilit che lo spirito oggettivo si risolva in sapere assoluto), ovvero con la sua singolarit in quanto essere storico: il che pone il problema di una integrazione tra luniversale e il particolare nellagire etico-politico, che Gadamer sviluppa sul modello del problema ermeneutico della comprensione. Esso in pratica quello dellapplicazione, cio di un sapere, quale quello giuridico, in cui si tratta di applicare una norma generale a casi particolari. La soluzione che Gadamer prospetta di questo problema estremamente interessante, proprio perch alla base della trasformazione delSi veda in particolare E. Lvinas, Totalit et infuri, Martinus Niyhoff's Boekhandel en Vitgeversmaatschappiy, 1971, trad. it. Totalit e infinito, Milano, Jaca Book, 1986.
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lermeneutica in filosofia pratica 40. Discutendo dellattualit ermeneutica di Aristotele41, Gadamer scrive: Un sapere generale che non sa applicarsi alla situazione concreta rimane privo di senso, e anzi rischia di oscurare le esigenze concrete che nella situazione si fanno sentire. Questo stato di cose, che esprime lessenza della moralit, non solo fa di unetica filosofica un difficile problema di metodo, ma, per converso, d al problema del metodo un rilievo morale42. Ora, lattualit di Aristotele lattualit della sua filosofia pratica, o meglio della sua nozione di prassi, illuminata da ci che egli chiama phronesis: intelligenza pratica o saggezza, con la quale si effettua sul piano etico la sintesi o mediazione tra universale e particolare. In questo modo Gadamer cerca di conciliare theoria e praxis, ragione e decisione43, il che costituisce una proposta esplicitamente pi conciliante rispetto al trasgressivismo foucaultiano, o comunque implicito nella anomica volont di potenza nietzschiana. Anzi, Habermas ha potuto parlare, a proposito di Gadamer, di urbanizzazione del pensiero di Heidegger, proprio perch egli espunge dalla sua tematica anche i temi pi sovversivi di Heidegger, quali quelli che abbiamo visto operare in Foucault: in particolare, le tematiche delloblio dellessere e della metafisica come dominio 44. Effettivamente, Gadamer costituisce forse laltra alternativa, rispetto a Foucault, della sospensione heideggeriana sulla possibilit o meno di trasgredire un certo ordine, che a livello politico rischia di sconfinare nel conservatorismo. Dal punto di vista ermeneutico, infatti, solo in unistituzione, cio in qualcosa di dato, di istituito, di trasmesso, ovvero di storico, che si realizza lagire etico. Lo sfondo su cui si pone oggi il problema etico quello di una sempre pi accentuata socializzazione , in cui per lo pi la vita morale si identifica con lappartenenza che non puramente immediata, ma nemmeno raggiunge laltro estremo, eccezionale, della riflessione esplicita al costume, alle istituzioni, insomma appunto a quello che Hegel ha chiamato lo spirito oggettivo45. Il soggetto si caratterizza qui per la sua appartenenza a un insie40 Si veda H. G. Gadamer, Lermeneutica come filosofia pratica in Id., Vernunft im Zeitalter der Wissenschaft, Francoforte s. M., Suhrkamp, 1976, trad. it. La ragione nellet della scienza, Genova, Il Melangolo, 1982. 41 H. G. Gadamer, Wahrheit and Methode. Grundzilge einer philosophischen Hermeneutik, Tiibingen, Mohr, 1965 (2a ed.), trad. it. Verit e metodo, Milano, Bompiani, 1986 (3 ed.), pp. 363 sgg. 4 2 Ibid. , p. 364. 43 Si veda Volpi, Tra Aristotele e Kant cit., p. 140. 44 Su questo punto si veda anche la Postilla di G. Vattimo in Gadamer, Verit e metodo cit., p. XXXI sgg. 45 G. Vattimo, Lontologia ermeneutica nella filosofia contemporanea, Introduzione a Gadamer, Verit e metodo cit., p. I.

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me di istituzioni, di credenze, di valori condivisi da una comunit, senza che abbia mai la possibilit di appropriarsene in una trasparenza assoluta. La nozione ermeneutica di appartenenza garantisce cos uno sfondo oggettivo allagire etico, ovvero quelluniversalit che la phronesis medier poi con la particolarit dellazione etica individuale. E nella tematizzazione di questa appartenenza allora che lermeneutica si pone come filosofia pratica nello stesso momento in cui riflette sulle condizioni che rendono possibile la comunicazione. Non per nulla lermeneutica, in particolare quella gadameriana, incentrata sulla nozione di dialogo. Modellando il problema dellagire etico-politico su quello ermeneutico della comprensione, Gadamer attenua comunque di molto la conflittualit tra gli agenti: la comprensione, e dunque la comunicazione, implica una comunanza tra gli interlocutori, cio lappartenenza a un comune mondo di istituzioni e di riferimenti (oppure, nel caso del conflitto, richiede la loro collocazione su un terreno comune): Ogni dialogo presuppone un linguaggio comune, o meglio lo costituisce [...] Il comprendersi nel dialogo non un puro metter tutto in gioco per far trionfare il proprio punto di vista, ma un trasformarsi in ci che si ha in comune, trasformazione nella quale non si resta quelli che si era46. Niente di pi lontano da Foucault, insomma. Resta per da esplicitare, nel caso di Gadamer, il perch si debba cercare a tutti i costi la comprensione e la conciliazione, ammesso e non concesso che di fatto ci sia sempre realizzabile. Se si pu abbastanza facilmente convenire che laccordo gi dato nel caso di una comune appartenenza a uno stesso mondo di istituzioni (ma questo caso a dir poco banale), il problema che Gadamer lascia aperto comunque quello del conflitto possibile: a meno che non si intenda il dialogo (come sinceramente si ha limpressione) nei termini della dialettica hegeliana, e cio come un movimento intrinseco di superamento della contraddizione. Si capisce cos come a un certo punto lo spirito assoluto possa in Gadamer fare il suo ingresso insospettato sotto forma del linguaggio. La soluzione alternativa sembrerebbe altrimenti essere quella alquanto irenica per cui il conflitto alla fine non c perch si parla una stessa lingua: e lespressione non solo idiomatica, giacch per Gadamer tutto riconducibile al linguaggio. Il problema invece sussiste, poich quando si imbatte nella situazione di dialogo tra due persone che parlano lingue diverse, Gadamer costretto ad ammettere: Si sa che non vi nulla di pi difficile di un dialogo in due lingue diverse, dove luno parla
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Gadamer, Verit e metodo cit., p. 437.

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una lingua e laltro unaltra, in quanto ciascuno degli interlocutori capisce laltra lingua ma non sa parlarla. Una delle due lingue tende a imporsi sullaltra come vero medium della comunicazione 47. Il problema infatti questa imposizione che a un certo punto si realizza. Lermeneutica dialogica gadameriana, tematizzando la storicit e particolarit (in sintesi: leventualit) della comprensione, non pu ovviamente pensarne luniversalit. O meglio, la sintesi tra particolare e universale resta alla fine essa stessa particolare. Si capisce allora quale sia il punto su cui si sviluppa laltro tipo di etica dialogica presente nel mondo tedesco: quella habermasiana. Habermas, sostanzialmente, non fa che radicalizzare losservazione di Gadamer secondo cui sono le situazioni in cui la comprensione disturbata o difficile quelle nelle quali pi chiaramente si danno a conoscere le condizioni che sono richieste da ogni tipo di comprensione48. Habermas non fa che porre il telos della comunicazione come fondamento etico pi generale: e letica, per Habermas, universalit. La differenza rispetto a Gadamer risiede nel senso che in questo caso si d alla parola condizione: per Gadamer essa indica un situazione, heideggerianamente una collocazione di tipo storico, mentre per Habermas indicher una condizione ideale; non per nel senso della costituzione trascendentale, bens come telos, kantianamente come idea regolativa. Questo vuol dire che per Habermas il consenso non dato, ma si costruisce. nellindividuazione delle condizioni di questo consenso, di questa intesa del resto immanenti al linguaggio che si svilupper la Teoria dellagire comunicativo 49 . Non tanto per la sistematizzazione di questa teoria che ci interessa qui, quanto piuttosto le esigenze da cui essa muove, e che collocano il discorso di Habermas in un quadro molto preciso: quello della teoria critica della Scuola di Francoforte, cio di Horkheimer, Adorno e Marcuse. Comune con le analisi di questa scuola infatti in Habermas la denuncia della razionalit strumentale quale carattere tipico delle societ capitalistiche moderne. Il processo di razionalizzazione che gi Weber aveva mostrato essere proprio del mondo moderno dovuto essenzialmente a una pervadente estensione della razionalit tecno-scientifica, cio oggettivante, positivistica e strumentale, a tutti gli ambiti della prassi. In questo modo Habermas individua nella cancellazione della distinzioGadamer, Verit e metodo cit., p. 442. Ibid. 49 J. Habermas, Theorie des Kommunikativen Handelns, Francoforte s. M., Suhrkamp, 1981, trad. it. Teoria dellagire comunicativo, Bologna, Il Mulino, 1986.
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ne tra potere tecnico e potere pratico, cio nellassimilazione del secondo al primo, il pericolo principale delle societ contemporanee50. Cos, se vero che il moderno si afferma proprio nel momento in cui un certo quadro istituzionale diviene criticabile non pi in base a presupposizioni metafisiche o ideologiche, ma semplicemente in base a criteri di razionalit tra mezzi e scopi, cio in base a una razionalit strumentale, oggi la coscienza tecnocratica diventata talmente pervasiva ( diventata cio essa stessa ideologia) da consentire la stessa critica allistituzione solo in base a se stessa, cio, ancora, allagire strategico51. Lunica istituzione indiscussa dunque alla fine la tecnica. Il pericolo di una civilt esclusivamente tecnica, che perde la connessione tra teoria e prassi, allora che essa minacciata dalla scissione della coscienza e dalla divisione degli uomini in due classi: ingegneri sociali e ospiti di istituzioni totali52. Occorre dire per che i correttivi che Habermas oppone a questa analisi si discostano da quelli della Scuola di Francoforte per il fatto che, lungi dal proporsi come una esaltazione degli aspetti pi irrazionali dellesistenza la vita, lesperienza estetica, lEros , si muovono invece nel tentativo di operare comunque una fondazione razionale dellagire pratico in senso universalistico. Alla razionalizzazione della ragione strumentale Habermas contrappone infatti una razionalizzazione secondo una nuova figura della ragione, non positivistica, per la quale essenziale la convergenza di ragione e decisione, cio interesse53: una razionalit insomma globale, che nelle opere pi recenti di Habermas, in particolare nella Teoria dellagire comunicativo, caratterizzata da un profondo radicarsi nel Mondo della vita , nella Lebenswelt. Questa diversa e positiva razionalizzazione, che poi quella dellagire comunicativo, emancipatrice e non assoggettante. Habermas osserva che, di fronte alla tecnologizzazione diffusa, e al ridursi anche della politica a problema tecnico, cio al suo orientarsi a compiti tecnici che mettono da parte quelli pratici, si sviluppa un sempre crescente bisogno di adattamento passivo in corrispondenza di un crescente assoggettamento attivo della natura: listituzione (cio la tecno-scienza diventata ideologia) non lascia pi spazio alla libert individuale. Cos luomo pu non solo, in quanto homo faber, oggettivarsi per la prima volta in
50 Si veda J. Habermas, Technik und Wissenschaft als Ideologie, Francoforte s. M., Suhrkamp, 1968, trad. it. Teoria e prassi nella societ tecnologica, Bari, Laterza, 1971, pp. 28 e 225. 51 Ibid , p. 227. 52 Ibid , p. 104. 53 Ibid, p. 91. Si vedano in particolare i saggi Conoscenza e interesse e Dogmatismo, ragione e decisione. Teoria e prassi nella societ scientificizzata.

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modo completo e contrapporsi alle prestazioni di agire razionale rispetto allo scopo ipostatizzate nei suoi prodotti, ma pu anche, come homo fabricatus, venir integrato egli stesso ai suoi impianti tecnici, se si riesce a riprodurre la struttura dellagire razionale rispetto allo scopo sul livello di sistema sociale54. Il problema allora per Habermas quello di eliminare le discrepanze tra adattamento passivo allistituzione e assoggettamento attivo della natura considerando il problema del fare storia in senso marxiano, cio non come un compito tecnico bens pratico55. Controllare la societ allo stesso modo della natura tentativo che richiede il comportamento adattivo implica alla fine la dissoluzione della sfera di interazione mediata linguisticamente, che ci che differenzia luomo dalla natura, in cui solo si pu trovare una possibilit emancipatrice dallistituzione. Emerge a questo punto la proposta specifica di Habermas, che fonde insieme due esigenze: quella tipicamente illuministica dellemancipazione e quella tipicamente hegelo-marxiana del passaggio attraverso lautocoscienza. Innanzi tutto, il fatto che i problemi tecnici non richiedano discussioni pubbliche gi per Habermas un sintomo del carattere ideologico dellistituzionalizzazione dellagire tecnico, e quindi della conseguente spoliticizzazione della popolazione. Di fronte a ci, egli vede nella comunicazione libera dal dominio, cio nellagire comunicativo, una possibilit di emancipazione, di libert, di diminuzione della repressivit, che implicita nel carattere intrinsecamente universalizzante del linguaggio stesso. Lemancipazione, scrive Habermas, posta per noi gi per la struttura del linguaggio56. La diversa razionalizzazione proposta da Habermas dunque quella dellagire comunicativo, del dialogo tra uomini emancipati. a questo punto che si pone il problema dellautocoscienza. Infatti il dialogo tra uomini emancipati comporta delle condizioni, delle presupposizioni o attese (comprensibilit, verit, veridicit, giustezza) che alla fine fanno tutte capo allautoconsapevolezza dei soggetti coinvolti nella discussione. E vero del resto che il carattere intersoggettivo della comunicazione consente di distogliere questa problematica dallambito della soggettivit monologica. Per Habermas la trasparenza presupposta nella comunicazione emerge nel fatto stesso che si comunica: se nelle strutture comunicative incorporato il contrappeso di un potenziale eman54 55 56

Habermas, Teoria e prassi nella societ tecnologica cit., p. 219. Ibid, p. 229. Ibid, p. 55.

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cipativo57, ci dovuto al fatto che lidea dellimparzialit radicata nelle strutture dellargomentazione stessa, e non ha bisogno di esservi importata dallesterno come un contenuto normativo addizionale58. Il circolo dellargomentazione dialogica in cui gli interlocutori fanno riferimento a un medium che li colloca su un piano di imparzialit, il linguaggio, nonch a qualcosa del mondo oggettivo, sociale e soggettivo a partire dal loro mondo vitale preinterpretato 59, che dovrebbe sostituire la ragione metafisica a favore di una pragmatica formale, dunque ci che avvicina di pi Habermas a Gadamer. Eppure, proprio il motivo dellautocoscienza ci che nel contempo lo allontana di pi dallermeneutica: se Gadamer infatti insisteva sul momento hegeliano dello spirito oggettivo, e sulla sua insuperabilit, Habermas sviluppa la tendenza illuministica verso lemancipazione nel senso della autocoscienza hegelo-marxiana (il che spiega anche il ruolo che la psicoanalisi ha in questa teoria, come smascheramento, piuttosto che come acquisizione della dimensione insuperabilmente inconscia dellesistenza). solo nella riflessione, nella presa di coscienza, nello smascheramento dellideologia, che si attua una teoria critica. Habermas sfugge alle tipiche aporie dello smascheramento solo conferendo il potere di trasparenza non alla coscienza monologica bens al linguaggio e alle sue strutture intersoggettive. Le conseguenze di questa prospettiva sono essenzialmente due: 1) essa si presenta come unetica formalistica, nel senso kantiano, cio universalistica: il telos del linguaggio essendo lintesa, il risultato etico del dialogo tra uomini emancipati necessario a prescindere dal suo contenuto. In questo modo, per, paradossalmente, lagire comunicativo rischia costantemente di riprecipitare nellagire strategico: una ragione scelta di per se stessa contraddice proprio a quelle esigenze di una razionalit sostanziale che Habermas faceva valere contro la razionalit formale dellagire rivolto allo scopo tematizzando lintrinseco legame tra conoscenza e interesse come unico modo per dissolvere loggettivismo positivista, che tuttuno con il potere tecnico60. 2) residui di una razionalit sostanziale possono del resto essere ritrovati, nellultimo Habermas, nella sua tematizzazione del mondo della vita come mondo delle pre-comprensioni non esplicitabili, e quindi mai elevabili al livello della riflessione totalmente cosciente. Nel mondo
Habermas, Teoria dellagire comunicativo cit., p. 1069. J. Habermas, Moralbewusstsein und kommunikatives Handeln, Francoforte s. M., Suhrkamp, 1983, trad. it. Etica del discorso, Bari, Laterza, 1985, p. 85. 59 Si veda Habermas, Teoria dellagire comunicativo cit., pp. 169 sgg. 60 Si veda Habermas, Teoria e prassi nella societ tecnologica cit., pp. 57-58.
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della vita, anzi, Habermas vede il luogo di una resistenza alla colonizzazione pervasiva dellagire strategico: tutte le problematiche attuali, da quelle verdi, che si oppongono allintaccamento dei fondamenti organici del mondo vitale, a quelle della ipercomplessit, cio dellassorbimento in sistemi sovrastanti e non pi controllabili, fino a quelle delle rivendicazioni particolaristiche e dei diritti delluomo, si fondano, secondo Habermas, nella resistenza offerta dal mondo della vita a una sutura tra sistema e mondo vitale grazie ai media denaro e potere61. Per la teoria dellagire comunicativo dunque essenziale mantenere la distinzione tra sistema e mondo vitale. Questo avvicina in un certo modo Habermas a un teorico dellirrazionalismo etico come Foucault: ricordiamo infatti che per Foucault, come si gi citato, le libert e i diritti delluomo si fondano molto pi solidamente sulla volont di resistenza dei gruppi umani che su proclami metafisici. La teoria dellagire comunicativo dunque tenta di dirimere il conflitto possibile a livello del linguaggio; essa opera una critica e una fluidificazione dellistituzione ponendo laccento sul carattere intrinsecamente emancipante della comunicazione, e quindi sulla funzione pubblica, politica ed etica, dei mass media (dei quali Habermas stesso ricorda la funzione giornalistica, oltre che quella propagandistica); la razionalizzazione sul piano del quadro istituzionale, scrive Habermas, pu compiersi soltanto nel mezzo dellinterazione stessa mediata dal linguaggio, cio tramite un venir meno dei limiti alla comunicazione62. Il problema che la comunicazione stessa, in quanto universalizzazione, gi una perdita per il mondo della vita, come osservava Husserl in La crisi delle scienze europee. Cosicch il contenuto morale delletica habermasiana resta, alla fine, in quanto radicato nel mondo della vita, come potere di resistenza alla colonizzazione totale, il limite delle sue pretese universalistiche e, nello stesso tempo, ma forse meglio dire perch , il limite dellagire di tipo formale-strumentale. 3. I limiti dellistituzione: le etiche dei diritti ( Rawls e Nozick ) La nozione di interesse cui fa riferimento Habermas, e che si accostata a quella del mondo della vita come potere di resistenza nei confronti della razionalit strumentale (il che consentirebbe di trovare anche un legame proprio l dove sembrerebbe esserci maggiore frattura
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Su tutto ci si veda Habermas, Teoria dellagire comunicativo cit., pp. 1068-78. Habermas, Teoria e prassi nella societ tecnologica cit., p. 231.

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tra il primo e il secondo Habermas)63, non quella dellutilitarismo, poich linteresse di cui parla lutilitarismo piuttosto quello che alla fine giustifica la trasformazione delletica in tecnica, come dimostra il passaggio delle tematiche utilitaristiche nelleconomia normativa. Piuttosto questa nozione di interesse qualcosa di non particolare, con una ben precisa base antropologica universale (vi di certo un riferimento a Gehlen), tanto che, scrive Habermas, se la sociologia della conoscenza ci aiuta a smascherare gli interessi ideologici e particolari, daltro canto la scienza singanna per sugli interessi fondamentali, cui essa non deve solo limpulso, ma le condizioni stesse di una possibile oggettivit64. A partire da questo spunto, opportuno cercare di stabilire una connessione con letica dei diritti65: in un certo senso, infatti, tutte le teorie dei diritti si preoccupano alla fine di proteggere gli interessi vitali e fondamentali degli individui66. La trattazione di due autori come Rawls e Nozick ha cos in questo contesto una motivazione ben precisa: letica dei diritti non solo centrale, dal punto di vista del contenuto, per il tema individuo-istituzione, poich vi si tratta della definizione del limite del potere istituzionale sullindividuo; ma anche linterlocutore principale delletica continentale a cui principalmente ci riferiamo. Ci che la comunicazione nel pensiero continentale, probabilmente letica dei diritti nel pensiero del mondo di lingua inglese. Questa problematica ci interesser soprattutto per due motivi: quello per cui essa risponde, in un certo senso, allesigenza di una razionalit sostanziale, che definisca il limite del potere del sistema sullindividuo; quello della modalit con cui in essa si pone la questione della giustificazione di questo limite. Il caso di Rawls, in riferimento a questi due punti, indicativo. Per inquadrare preliminarmente la questione dei diritti, diciamo innanzi tutto che per diritto si intende il riconoscimento di una inviolabilit morale e universale dellindividuo, indipendente dal riconoscimento giuridicopositivo e dalla sanzione legale. A differenza per della tradizione giu63 Nellabbandono della nozione di interesse nella Teoria dellagire comunicativo si voluto vedere infatti uno dei maggiori punti di rottura fra il primo e il secondo Habermas: si veda R. Cristin e E. Greblo, Lagire comunicativo in Habermas in Aut Aut, 197-98, 1983. Dal nostro punto di vista, tanto la nozione di interesse quanto quella di mondo della vita rispondono invece allesigenza di una razionalit sostanziale. 64 Habermas, Teoria e prassi nella societ tecnologica cit., p. 53. 65 Sul problema dei diritti nelletica contemporanea, si veda F. Fagiani, Etica e teorie dei diritti in C. A. Viano (a cura di), Teorie etiche contemporanee cit. 66 Si veda A. Gewirth, Reason and Morality, Chicago-London, University of Chicago Press, 1978; Id., Human Rights. Essays on Justification and Applications, Chicago-London, University of Chicago Press, 1982.

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snaturalistica risalente a Pufendorf, Rawls fonda i diritti non nella natura, bens in un contratto, in ci ricollegandosi piuttosto alla tradizione contrattualistica di Locke, Rousseau e Kant. Questo contratto discende a sua volta da una scelta razionale. La preoccupazione principale di Rawls difatti quella di presentare una Teoria della giustizia come teoria sostantiva (substantive)67; la quale viene a coincidere con la teoria della scelta razionale: o meglio, scrive Rawls, la teoria della giustizia una parte, forse la pi significativa, della teoria della scelta razionale68. Egli ipotizza cos una situazione, detta posizione originaria, in cui individui razionali69, privati, da un velo di ignoranza, di determinate conoscenze con lo scopo di azzerare gli effetti delle contingenze particolari che mettono in difficolt gli uomini e li spingono a sfruttare a proprio vantaggio le circostanze naturali e sociali70, si trovano a dover operare la scelta della struttura fondamentale della societ, cio di quellinsieme di istituzioni, quellassetto che determina il carattere specifico di una societ. Ora Rawls, attraverso un procedimento laborioso e pieno di distinguo, per garantire il carattere ideale della sua dimostrazione, sostiene che la scelta operata in queste condizioni, cio la scelta ideale, e dunque razionale, quella di una struttura fondamentale il cui primo requisito la giustizia: la giustizia come equit (fairness). E solo a partire da questa scelta che vengono poi distribuiti diritti e doveri: linviolabilit individuale di cui parla Rawls fondata sulla giustizia71 e significa che la struttura istituzionale della societ, in quanto improntata allidea di giustizia come equit e imparzialit, pone dei limiti al perseguimento del bene sociale nel suo complesso. La teoria di Rawls diretta contro lutilitarismo, poich, come egli scrive, lutilitarismo non prende sul serio la distinzione tra persone72, e cio non vede che il benessere della societ non giustifica affatto la violazione dei diritti individuali. Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libert per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri73. Quel che comunque va sottolineato, per meglio comprendere il sen67 J. Rawls, A Theory of Justice , Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1971, trad. it. Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 1986 (2 ed.), p. 14. Il curatore delledizione italiana, S. Maffettone, preferisce usare il termine sostantivo piuttosto che sostanziale (ibid., p. 10). 68 Ibid , p. 31. 69 Ibid , p. 130. 70 Ibid, p. 125. 71 Ibid , p. 21. 72 Ibid , p. 40. 73 Ibid , p. 21.

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so della teoria rawlsiana, che il concetto di giustizia come equit, che in fondo linteresse fondamentale di Rawls sin dai suoi primi scritti (Justice as Fairness, 1958), limita anche gli stessi diritti individuali (quale, ad esempio, quello alla propriet) nel senso di un esplicito egualitarismo: la giustizia come equit impone cos una redistribuzione delle ricchezze e dei vantaggi a favore dei pi sfortunati e meno avvantaggiati. Ed poi ancora per una questione di giustizia e di imparzialit per tutti che Rawls giunge a parlare, a differenza di Locke, di una tolleranza anche per gli intolleranti, a meno che la loro intolleranza non minacci catastroficamente la stessa struttura fondamentale della societ74. Un carattere originale della teoria di Rawls, che gli consente del resto di trasformare immediatamente una teoria etica in teoria politica, e cio in etica pubblica, attraverso il trasferimento della scelta individuale sul piano della collettivit, lo stretto legame che egli pone tra la sua esigenza di una razionalit sostantiva, ovvero dotata di un preciso contenuto, e quella della scelta razionale, ovvero della sua giustificazione. Rawls dichiara che il modo in cui egli immagina la posizione originaria e il suo svolgersi un artificio espositivo, o pi esattamente costituisce uninterpretazione procedurale della concezione kantiana dellautonomia e dellimperativo categorico75. Solo che questo imperativo categorico, anzich restare puramente formale nella sua universalit, diventa opzione necessaria per lidea di giustizia come equit. I princpi di giustizia sono categorici nel senso di Kant76: sono quelli che verrebbero scelti da persone razionali che ubbidiscono, non a motivi eteronomi, bens in piena autonomia e libert. In questo modo, giustizia formale e giustizia sostantiva vengono, nel discorso di Rawls, praticamente a coincidere77. Rispetto a Rawls, la teoria di Nozick decisamente pi libertaria. Giusto per caratterizzare e sottolineare subito la differenza, se a proposito di Rawls si scritto che per lui lo stato sarebbe il limite del perseguimento del bene individuale, con la giustizia che pone a sua volta un limite al perseguimento utilitaristico del bene statale, nel caso di Nozick la libert individuale il limite tout court del potere istituzionale.
Rawls, Una teoria della giustizia cit., par. 35. Ibid, pp. 219-20. 76 Ibid, p. 217. 77 Secondo altri autori, il principio sostanziale sarebbe in Rawls secondario rispetto a un pi generale principio formale; o addirittura il processo giustificativo darebbe luogo a una circolarit che autofonderebbe il sistema, riportando la parte terminale a quella iniziale. Si veda P. Comanducci, Il neocontrattualismo nelletica contemporanea in C. A. Viano (a cura di), Teorie etiche contemporanee cit., pp. 120-25.
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Il primo valore non per Nozick quello politico-sociale della giustizia, soprattutto se intesa come egualitarismo, bens quello morale dellautonomia. Lautonomia del giudizio e del comportamento morale costitutiva della personalit morale e la funzione e la preminenza dei diritti discendono dal loro essere condizione indispensabile dellautonomia dellindividuo dalle minacce portate contro di essa dalle interferenze esterne, prima fra tutte quella dello stato78. Se pertanto si pu parlare di etica sostantiva a proposito di Nozick, solo in senso negativo: essa pone dei vincoli ben precisi al potere istituzionale, ed definita come sfera dei diritti individuali. Fin dalla prefazione della sua opera principale, Anarchia, stato e utopia, Nozick scrive:
Gli individui hanno dei diritti; ci sono cose che nessuna persona o nessun gruppo di persone pu fare loro (senza violare i loro diritti). Tali diritti sono tanto forti e di cos vasta portata, da sollevare il problema di che cosa lo stato e i suoi funzionari possano fare, se qualcosa possono. Quanto spazio lasciano allo stato i diritti degli individui?79

La determinazione positiva di questi diritti si traduce dunque immediatamente nella determinazione di cosa non pu fare lo stato nei loro confronti. Lo scopo di Nozick quello di dare il maggior spazio possibile alla sfera dei diritti negativi della tradizione giusnaturalistica, cio quelli alla non-interferenza, alla non-aggressione ecc. Un diritto positivo (allaiuto, allintervento ecc.) sarebbe comunque una violazione dellautonomia di una persona perch obbligante. Ogni stato che si sviluppasse al di l dello stato minimo, cio della pura tutela dei diritti negativi, che sola giustifica il suo potere coercitivo, sarebbe ingiustificato, ma soprattutto immorale. Cos, scrive Nozick, il punto da cui noi muoviamo non-politico, ma intenzionalmente lungi dallessere non-morale. La filosofia morale rappresenta lo sfondo e stabilisce i confini della filosofia politica80. Anche in Nozick si riscontra la determinazione del contenuto morale a partire dalla forma morale. Una volta definiti i vincoli collaterali (quelli rispondenti ai diritti negativi) su una certa azione come riflesso dell implicito principio kantiano che gli individui sono fini e non semplicemente mezzi; non si pu sacrificarli o usarli per conseguire altri fini senza il loro consenso81, Nozick fa il seguente ragionamento: La
Fagiani, Etica e teorie dei diritti cit., p. 102. R. Nozick, Anarchy, State and Utopia, Oxford, Blackwell, 1974, trad. it. Anarchia, stato e utopia. I fondamenti filosofici dello stato minimo, Firenze, Le Monnier, 1981, p. XIII. 80 Ibid , p. 5. 81 Ibid , p. 33.
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forma della moralit include F (vincoli morali collaterali); la spiegazione migliore del fatto che la moralit F, p (unasserzione vigorosa del fatto che gli individui sono distinti); e da p segue un contenuto morale particolare, vale a dire il vincolo libertario82. Esso incentrato soprattutto sul fatto che non esiste unentit sociale per cui massimizzare il bene, ma solo individui distinti, ciascuno con la propria vita da vivere83, nella cui sfera di autonomia non si pu interferire: il vincolo libertario, come vincolo collaterale, questa proibizione come non-interferenza e non-aggressione. La critica di Nozick a Rawls riguarda in particolar modo la nozione di giustizia: egli cio accusa Rawls di elaborare una teoria della giustizia dello stato finale, la quale, per il suo stesso carattere teleologico, per il suo carattere di etica pubblica, finirebbe con il presentarsi come un utilitarismo che sostituisce al benessere la giustizia. Secondo la teoria egualitarista, che cosa impedirebbe infatti di considerare certi diritti, come quelli riguardanti le parti del corpo o la vita, come redistribuibili a favore dei meno avvantaggiati?84 A questa teoria della giustizia dello stato finale, Nozick contrappone invece una teoria della giustizia fondata sul processo, in cui cio la distribuzione regolata da una serie di passaggi in cui non si violato alcun diritto: alla giustizia distributiva dello stato finale modellato, egli contrappone cos una giustizia distributiva storica o del titolo valido. Una distribuzione secondo criteri di equit non pu assolutamente essere imposta: pu solo essere volontaria. Ora, le due caratteristiche cui si fin qui accennato, il monopolio della protezione (cio la tutela dei diritti negativi) e la redistribuzione (come garanzia della giustizia secondo il titolo valido), costituiscono per Nozick le caratteristiche dello stato minimo, il quale nascerebbe dallo stato di natura secondo un processo non intenzionale, detto della mano invisibile, e moralmente obbligato. Nello stato minimo non viene violato alcun diritto; al di l di esso, lo stato diventa immorale. Anzi, secondo Nozick, proprio linsistenza attuale sulla tematica dei diritti testimonia un certo malessere morale nei confronti dellistituzione statale85. La societ prospettata da Nozick dunque una societ in cui il potere istituzionale ridotto al minimo e con funzioni esclusivamente negative; una societ utopica, non modellata, che funziona come unimpalNozick, Anarchia, stato e utopia cit., p. 36. Ibid, p. 37. Ibid, p. 219. Si veda R. Nozick, Philosophical Explanations, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1983, trad. it. Spiegazioni filosofiche, Milano, Il Saggiatore, 1987.
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catura per quasi ogni possibile utopia86: quasi, scrive Nozick, perch essa inaccettabile per (e incompatibile con) gli utopisti della forza e del predominio87. Essa perci non pu essere imposta, ma solo scelta, secondo il principio del maximax: il migliore dei mondi possibili. Questa utopia non mai uno stato finale, bens un processo: Non si dovr considerare un qualsiasi stadio del processo come uno stato finale cui tendono tutti i nostri desideri. Il processo utopistico fa le veci dello stato utopistico finale di altre teorie utopistiche statiche88. In poche parole, insomma, la societ libertaria dello stato minimo una societ che contempla il massimo di libert, di pluralit di forme di vita liberamente scelte: e certamente tutte le difficolt che comunque sorgerebbero in essa (che Nozick stesso non nasconde, ma che anzi elenca con un certo gusto per il paradossale) tendono a porre in luce probabilmente la necessit che il problema etico non si risolva mai a livello istituzionale, soprattutto in termini di etica pubblica. Come scrive F. Fagiani, occorre comunque chiedersi quale senso e quale fondamento abbia lavanzare una richiesta di uniformit etica in societ che hanno rinunciato (e valutato tale rinuncia come una grande conquista della coscienza moderna) a esigere ununiformit religiosa89. I fondamenti filosofici dello stato minimo sono dunque quelli di unetica radicalmente antiprescrittiva, antinormativa e antipaternalistica. Il che, in un certo senso, ci consente di richiudere il cerchio del percorso sin qui seguito, ritornando a Foucault. Lindividualismo di Nozick ha alla fine qualcosa in comune con lesigenza foucaultiana di una nuova forma di soggettivit che ci liberi a un tempo sia dallo stato sia dal tipo di individualizzazione che legata allo stato ? Letica impossibile di Foucault letica pubblica: il suo carattere estetico vuole sottolinearne appunto lautonomia da qualsiasi imposizione esterna. Non sar dunque proprio il linguaggio dei diritti a garantire questa autonomia: a delineare, tra lassoluta, incomunicante, anarchica individualizzazione, e la totalizzazione integrante e normalizzante, lo spazio in cui emerge qualcosa come un soggetto etico? Se, come scriveva Rousseau, lindividualismo dello stato di natura la libert oltre ogni vincolo, lautonomia come libert morale allora proprio quella del soggetto90.
86 Si veda Nozick, Anarchia, stato e utopia cit., p. 330. 87 Ibid, p. 338 (nota). 88 Ibid, p. 351. 89 Fagiani, Etica e teorie dei diritti cit., p. 106. 90 Non forse un caso, allora, il fatto che Foucault abbia,

risollevato, e da militante, la questione dei diritti delluomo.

a un certo punto della sua vita,

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4. Quale fondamento per i diritti? Il senso di unetica come pietas Per riportare ancora pi indietro il discorso, occorre chiedersi a questo punto se questa ricomparsa del soggetto sia anche una ricomparsa del fondamento: se, soprattutto, sia il soggetto il fondamento dei diritti. Porre la questione della fondazione dei diritti interrogare in primo luogo il carattere della loro universalit, e dunque indagare ancora il problema del rapporto tra individuo e istituzione a partire da quello di una conciliazione tra universale e particolare che rischierebbe di reintrodurre una qualche forma di normativizzazione. Il ricorso giusnaturalistico allidea di natura, soprattutto se coniugato con laffermazione di diritti positivi, correrebbe infatti il rischio di configurare listituzione in termini autoritativi e integranti. Sarebbe sufficiente, allora, osservare che i diritti, soprattutto nella loro accezione negativa, sono, pi che una legge, piuttosto lambito restrittivo in cui una legge pu darsi? E comunque il dilemma tra una loro derivazione da una universale natura umana e un loro carattere empirico (dovuto del resto al fatto che comunque ogni concezione di un ordine naturale resterebbe storica ed empirica essa stessa), cio la questione del fondamento assoluto dei diritti, come osserva Norberto Bobbio91, perde gran parte della sua importanza di fronte allavvenimento decisivo costituito dalla Dichiarazione universale dei diritti delluomo adottata dallONU il 10 dicembre 1948. Grazie a essa, i diritti oggi fanno parte altrettanto bene del diritto storico-positivo, per cui, scrive Bobbio, il problema di fondo relativo ai diritti delluomo oggi non tanto quello di giustificarli, quanto quello di proteggerli. un problema non filosofico ma politico92. Stando cos le cose, anche il discorso sullo stato di natura presente in Nozick assume un aspetto diverso: infatti il ricorso alla natura in Anarchia, stato e utopia, come ammette esplicitamente lo stesso Nozick, una spiegazione potenziale, cio unesposizione esplicativa fondamentale della politica a partire dal non-politico, per consentirne una comprensione migliore93. Non si pu dunque credere che i diritti siano per Nozick fondati nella natura delluomo, intendendo per natura una struttura universale, ne91 Si veda N. Bobbio, Sul fondamento dei diritti delluomo in Rivista Internazionale di filosofia del diritto , XLII, 2, 1965, pp. 301-09. 92 Ibid., p. 309. 93 Si veda Nozick, Anarchia, stato e utopia cit., pp. 5-9.

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cessaria e immutabile che determini il modo dessere che accomuna gli uomini. Essi hanno piuttosto un fondamento morale, e dunque gi al di l della natura; si potr forse dire, allora, che il soggetto morale , non gi il fondamento, bens piuttosto lesito di unaffermazione radicale dei diritti? Resta comunque acquisito, pare, il fatto che lo spazio etico quello in cui va posta la questione della ricomparsa del soggetto, non pi come fondamento, vero, ma come sintomo di una esigenza particolare che si fa sempre pi forte proprio nellepoca della tecnologizzazione e della comunicazione generalizzata: lesigenza che ci ha accompagnato da Foucault fino a Nozick di una perdita di imperiosit del fondamento, e in particolare di una crescente corrosione del dominio e dellimpositivit dellistituzione. dunque insistendo su questa problematica, e riscontrandone le radici nella critica di Heidegger alla metafisica della presenza, che si pu forse tentare di delineare un contributo ulteriore, da un punto di vista ermeneutico, alla discussione in oggetto. 1) Innanzi tutto, rispetto al problema della fondazione razionale delletica, che presente tanto in Habermas, quanto in Rawls e Nozick, unermeneutica che riprenda i temi dellontologia heideggeriana, declinandoli in senso debole, potrebbe trovare nellistanza foucaultiana, che connette letica a una ontologia dellattualit, il motivo per una fondazione che sia nel contempo strettamente intrecciata con la storicit94. Il nichilismo metafisico che percorre il pensiero nietzschiano e heideggeriano porta a una concezione della verit come monumento (che gi si vista presente nellermeneutica gadameriana e nella sua insistenza sullinsuperabilit dello spirito oggettivo), il che, sullo sfondo della considerazione ulteriore che nella dissoluzione del fondamento si registri un alleggerimento della sua incombenza e unemancipazione dal suo carattere violento95, costituirebbe anche un oltrepassamento della filosofia (cio della metafisica) nelletica: la verit come monumento il corrispettivo in campo teorico di unetica come pietas nei confronti di ci che stato, cio del vivente e delle sue tracce96. Il monumento lunica fondazione, lunica oggettivit, lunica sostanzialit, il cui carattere storico-finito garanzia contro il carattere violento del Grund, a favore di unemancipazione dallautorit, secondo quello che del resto
94 Si veda G. Vattimo, Ontologia dellattualit in Id. (a cura di), Filosofia 87, Roma-Bari, Laterza, 1988. 95 Si veda G. Vattimo, Metafisica, violenza, secolarizzazione in Id. (a cura di), Filosofia 86, Roma-Bari, Laterza, 1987. 96 Si veda G. Vattimo, Etica dellinterpretazione, Torino, Rosenberg & Sellier, 1989, p.116.

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era il programma del Moderno. Cos, secondo una logica di prosecuzione e distorsione, il programma del Moderno, che si configura come esigenza di fondazione e di emancipazione, fa s che la modernit stessa sia lepoca della dissoluzione del fondamento: in questo ha ragione Nietzsche quando la chiama lepoca della morte di Dio. Questepoca non (si) lascia pi pensare secondo la logica fondativa: scienza, tecnologia, ma anche etica e vita collettiva non ci mettono mai o quasi mai davanti a problemi di fondazione97. 2) Lontologia dellattualit indubbiamente unontologia dellepoca del Ge-Stell, cio della tecnica e del mondo della comunicazione di massa. Gi si pu vedere, da quanto si appena detto, come alletica della comunicazione di Habermas, o di Apel, possa contrapporsi, e in che senso, unetica dellinterpretazione, caratterizzata appunto dal rapporto imprescindibile con il passato. In questo modo, il problema del rapporto tra una razionalit formale e una razionalit sostanziale o materiale, cio, se si vuole, tra agire strategico, calcolante, e agire ispirato al valore, in cui abbiamo visto delinearsi la problematica dei diritti, come sfera di salvaguardia dellindividuo dal sistema, a parte le sue intrinseche aporie, si risolve nella tematizzazione dellappartenenza a un orizzonte storico-destinale di contenuti dati, ereditati, che si tratta di proseguire distorcendoli, alleggerendoli della loro cogenza e della loro violenza: riconoscendoli, cio, come storici. La presenza della scienza nelle nostre societ si presenta anche come una generale dissoluzione dellatteggiamento fondazionale, a favore di un pensiero per il quale si tratta solo di proseguire un discorso i cui inizi si perdono nella notte delle origini, ci sfuggono e tuttavia ci determinano come destinazione e provenienza98. 3) Lepoca della comunicazione generalizzata comunque anche lepoca in cui diventa possibile un moltiplicarsi continuo delle esperienze: cosicch letica che in essa praticabile non pu far capo a nulla di unitario, di integrante, ma estetica. Il rischio, che si visto essere presente nellermeneutica gadameriana, di una concezione integrante sul tipo della bella eticit hegeliana, pu essere controbilanciato allora grazie a una concezione dellesperienza estetica pi attenta ai movimenti dellavanguardia e al loro carattere spaesante99.
Vattimo, Filosofia 87 cit., p. 221. Ibid. Si veda G. Vattimo, La societ trasparente cit. e Id. (a cura di), Filosofia 88, Roma-Bari, Laterza, 1989.
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Ma quel che pi importante che per questa strada la richiesta foucaultiana di unetica non normativa e liberante viene connessa, non gi al discorso kantiano della Critica della Ragion Pratica (come avviene per esempio ancora in Nozick), cio allautonomia dellindividuo, bens a quello della Critica del Giudizio. L infatti la fondazione (nel caso specifico, la peculiare universalit dei giudizi sul bello), si risolve nel rinvio a una appartenenza del soggetto allumanit, appartenenza che problematica e sempre in via di farsi, come problematica e sempre in via di farsi lumanit che accomunata dal sensus communis a cui il giudizio di gusto si richiama100. Questo tipo di fondazione, nella sua circolarit, lesempio stesso della fondazione ermeneutica. 4) Quale soggetto pu emergere dunque da questa prospettiva? La dissoluzione del fondamento anche, e forse soprattutto, una dissoluzione del soggetto. Esso deprivato di tutti i caratteri di sostanzialit, autocoscienza piena, presenza ecc., che caratterizzano il soggetto metafisico, ed qualificato piuttosto, heideggerianamente, come progetto: dove da leggersi tanto il suo carattere aperto sul futuro, quanto la sua gettatezza, cio la sua storicit, il suo riferirsi a un passato ereditato. Il che significa anche che la libert del soggetto avviene a partire da questo suo essere assoggettato, da cui non mai possibile una completa emancipazione, se non come prosecuzione e distorcimento (Verwindung). In quanto spossessato e oscillante tra passato e futuro, il soggetto si svela cos nel suo carattere differenziale, e cio dialogico: un soggetto esiste solo con e nella comunicazione. Anzi, questa nuova forma di soggettivit, per riprendere lespressione di Foucault, o, per dirla con Nietzsche, questo oltreuomo luomo di un mondo della comunicazione intensificata, o meglio ancora della metacomunicazione, la quale apre la via a una effettiva esperienza della individualit come molteplicit101. C in queste considerazioni un punto importante: e cio quello del carattere differenziale del soggetto. Il quale comunque, se da una parte consente di ovviare a una concezione del soggetto come individualit irriducibile nel senso della puntualit sostanziale, dallaltra per rischia forse di vedere dissolvere il soggetto nelle sue relazioni (come la forza o la volont nietzschiana), e quindi di lasciar aperto il campo a una manipolabilit senza limiti: la razionalit formale, non dimentichiamolo, anchessa differenziale. Occorre forse allora correggere lequivoco secondo cui la differen100 101

G. Vattimo, Al di l del soggetto, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 65. Ibid., p. 49.

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zialit del soggetto costituisca una scissione interna (diciamo, unalienazione essenziale), e non piuttosto il motivo di una sua costituzione: questo sarebbe comprensibile, del resto, solo attraverso una reimpostazione del problema della comunicazione che sia aperta anche a un apporto di matrice semiologica, a partire cio da considerazioni sul carattere del segno come essere-per-altro , in cui si farebbe chiaro come il momento istitutivo o istituzionale, e quello del rapporto con lalterit, non implicano comunque alcuna scissione interna o alienazione, non escludono cio una qualche identit. Da questo punto di vista, molto potrebbe venire dal confronto con le ricerche sociologiche di Luhman102, o con unetica quale quella di Lvinas, in cui per lessere-per-altro che caratterizza il soggetto etico rischia costantemente di sbilanciarsi dalla parte di unalterit assoluta (Autrui), perdendo cos di vista proprio il carattere etico della relazione103. Si tratterebbe insomma di guardare al problema della comunicazione anche da una prospettiva semiologica, potremmo dire ancora pi marcatamente antiplatonica, nel senso che in essa il rapporto tra la particolarit individuale e luniversalit dellistituzione non pi posto in termini di appartenenza o meno, quanto piuttosto in termini di relazione e di reciproca costituzione. E questa forse la direzione ulteriore verso cui unetica ispirata allermeneutica potrebbe proficuamente muoversi.

Conclusioni
Tentiamo a questo punto di enucleare i punti di continuit che si sono delineati nel panorama tracciato (che non pretende di essere completo, ma almeno teoricamente coerente). 1) Innanzi tutto, il problema del rapporto tra individuo e istituzione si configurato come apertura di uno spazio etico in cui lemergenza del soggetto costituisce il punto di incrocio dei due termini. Ovviamente, insieme a questa soggettivit, della libert che si tratta. Unacquisizione importante, che evidente tanto in Foucault (con la sua esigenza di unetica estetizzante), quanto in Gadamer (nel suo riferirsi ad Aristotele), in Habermas (per il ruolo che in lui assume la comunicazione libera dal dominio), un po meno forse in Rawls, ma certamente in Nozick e nella concezione ermeneutica di unetica come pietas, lidea che letica non si risolva in istituzione.
102 Si veda N. Luhman, Gesellschaftsstruktur und Semantik, Francoforte s. M., Suhrkamp, 1980, trad. it. Struttura della societ e semantica, Bari, Laterza, 1983. 103 Si veda Lvinas, Totalit e infinito cit.

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Allastrattezza dellindividuo e dellistituzione, cio alla loro particolarit e universalit, seppur relative, il soggetto si contrappone con la sua propria concretezza: il che significa anche che il problema della libert sempre e comunque un problema del presente. Un problema cio che non mai risolto (istituzionalizzato finalmente), ma riguarda un certo vivere presente e quotidiano: loggi. Non un caso allora il fatto che Foucault tematizzasse il compito della filosofia nel senso di una ontologia dellattualit104 proprio discutendo il testo di Kant in risposta alla domanda Che cos lIlluminismo? , il quale cominciava con le parole: LIlluminismo luscita delluomo dallo stato di minorit che egli deve imputare a se stesso105. LIlluminismo si prospetta agli occhi di Kant come luscita dallo stato di minorit, cosicch finalmente gli uomini non abbiano pi bisogno di tutori. E, come sottolinea Foucault commentando quel testo, e quello successivo di Kant sul Conflitto delle facolt in cui si parla della Rivoluzione francese, non tanto il contenuto specifico che si d a una tale aspettativa quello che conta, quanto piuttosto lesigenza che essa fa valere di una emancipazione dal dominio. E infatti poi nel modo in cui si intende questa emancipazione che si articolano alcune divergenze negli autori esaminati, soprattutto a proposito del dibattito sul Moderno e sul Postmoderno, di cui anche in queste pagine si sentita leco106. Non c dunque una risposta gi pronta per la libert: sembra banale, ma questa banalit anche forse ci che ci ricorda il suo carattere quotidiano. La libert nella diagnosi del presente, cio, inevitabilmente, concretezza. 2) questa concretezza lunica fondazione possibile per unetica. Se al primo punto di queste conclusioni si registrava un certo accordo sullimpostazione etica del problema politico, una delle questioni pi controverse in cui ci siamo imbattuti nel nostro excursus del resto quella della contrapposizione tra unetica, per cos dire, irrazionale e unetica razionale. Essa si specifica lo si visto in particolare nel discorso di Habermas, che riprende da un punto di vista pi husserliano quello di Weber nella contrapposizione tra razionalit formale e razionalit materiale, cio tra mezzi e valori. ovvio che letica kantiana, con la sua formulazione dellimperatiSi veda Foucault, Il problema del presente cit. I. Kant, Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, a cura di N. Bobbio, L. Firpo, V. Mathieu, Torino, Utet, 1965, p. 141. 106 Si veda J. Habermas, Der philosophische Diskurs der Moderne, Francoforte s. M., Suhrkamp, 1985, trad. it. Il discorso filosofico della modernit, Bari, Laterza, 1987; si veda inoltre Vattimo, La societ trasparente cit. e Id. (a cura di), Filosofia 87 cit.
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vo categorico che impone di trattare lumanit mai solo come mezzo, ma sempre anche come fine, costituisca a questo riguardo un termine di riferimento privilegiato. Ma a ben vedere, nella formulazione kantiana mezzo e fine in fondo si intrecciano e tutto sommato non si escludono. Le aporie in cui si involve la discussione sulla razionalit formale e quella materiale, sui mezzi e i valori, o fini, con le sue ripercussioni sulletica, sono dovute forse al fatto di concepire la loro distinzione come una irriducibile reciproca esclusione, il che va nella direzione di una assolutizzazione del valore. Per questa via, il fondamento delletica scivoler sempre nellirrazionale; ma perch, forse, qualcosa come una razionalit materiale, o sostanziale, in realt un ossimoro. Il desiderio nietzschiano di una coincidenza tra la vita e il suo significato cio, potremmo dire, di una sutura tra razionalit formale e materiale tende a risolversi in una dissoluzione delluna nellaltra, della sostanza nella volont. Certamente, unetica che rinunci alla fondazione assoluta si trova di fronte al rischio del relativismo culturale; ma le forse possibile sfuggirvi proprio non rinunciando affatto a un principio orientativo, pratico ma non tecnico, il quale avrebbe per il vantaggio di non risolversi in un semplice come se puramente formale, ma di dare alletica anche un sufficiente contenuto morale: non attraverso fondazioni, dunque, ma attraverso motivazioni che rispondano alla domanda socratica su chi siamo articolandola ermeneuticamente in termini di provenienza e destino.

Alcune osservazioni su etica e ambiente Salvatore Veca

Premessa La famiglia delle questioni di ambiente una di quelle che sono venute assumendo, negli ultimi due decenni, un ruolo e una rilevanza sempre pi significativi. Ci vero sotto molti aspetti: la questione ecologica ha implicazioni politiche, sia dal punto di vista dei movimenti e dei partiti, sia dal punto di vista delle istituzioni (nazionali e, soprattutto, transnazionali e internazionali), sia infine dal punto di vista delle scelte pubbliche o sociali. Essa ha naturalmente effetti dal punto di vista normativo sugli ordinamenti positivi: ha genuine implicazioni giuridiche dato che le scelte collettive si traducono in leggi e norme, dotate di effettivit. Gli aspetti economici della famiglia delle questioni di ambiente sono difficilmente sottovalutabili: la connessione fra lo sviluppo scientificotecnologico, limpiego di risorse, la loro allocazione ottimale, la produzione e la distribuzione di beni e servizi, luso dellambiente, e limpatto di questo insieme di attivit sullintorno ecologico sono sotto gli occhi di tutti e, daltra parte, noto che spetta alla teoria economica il merito di aver cercato pionieristicamente di concettualizzare, per lo pi attraverso la nozione di esternalit o diseconomia esterna, alcuni fra i pi significativi effetti dellazione umana sulle risorse naturali. Infine, la questione ecologica in particolare, in alcune societ sviluppate a democrazia rappresentativa presenta anche aspetti propriamente sociali e in senso lato culturali. Essa tocca le preferenze e lordinamento fra valori per un numero crescente di cittadini e cittadine. Non cos audace sostenere che larcipelago della cultura verde o il pensiero verde costituiscono un caso di crescita di un nuovo atteggiamento e di un insieme di credenze condivise nei confronti dei rapporti fra esseri umani e natura, che a loro volta finiscono per incidere sulle scelte pubbliche (soprattutto laddove esse sono rispondenti ai valori individuali) e sulle scelte di mercato (laddove il problema di uno sviluppo ecologicamente responsabile preso sul serio e sostituisce la

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credenza in una crescita senza qualit): la cultura ecologica finisce cos, con varia intensit e in vari gradi e con maggiore o minore coerenza, per influire sui due principali metodi per prendere decisioni sociali, almeno nei regimi politici democratici: voto e mercato (atteggiamenti e credenze di questo genere non sono peraltro affatto estranei alla cultura di minoranze nellambito di regimi politici non ancora? democratici: Chernobyl docet). Le ragioni di questa nuova costellazione di problemi che affolla le agenda pubbliche e private e che tocca politica, economia e cultura sono naturalmente complicate e eterogenee. Una loro ricostruzione storico-sociologica o anche semplicemente una ricognizione delle cause e delle tendenze sarebbe preziosa. Essa richiederebbe un approccio essenzialmente comparativo e fornirebbe unimportante conoscenza di sfondo ai fini di una discussione informata e intelligente, priva quanto pi possibile di pregiudizi e idiosincrasie, sulle origini di una vicenda che ha assunto una cos ricca gamma di aspetti e una cos intensa rilevanza per la politica, il diritto, leconomia e, se si vuole, la cultura delle nostre societ. In queste osservazioni, tuttavia, non mi occuper dellimportante questione. Il mio compito molto pi limitato. Quanto mi propongo di fare tratteggiare un quadro essenziale degli sviluppi pi recenti della discussione filosofica sulle questioni di ambiente1. Assumer in proposito semplicemente due proposizioni base: la prima che la questione ecologica stata percepita come tale in rapporto alla consapevolezza dellimpressionante aumento delle nostre responsabilit causali sulla natura (la natura, stato detto, oggi come non mai dipende da noi. Lattivit umana da considerarsi lequivalente di una forza geologica. Il mio punto non stabilire se questo sia vero o se sia vero solo da oggi; mi basta il fatto che questo fa parte di quanto si ritiene sia vero). La seconda proposizione la seguente: la famiglia delle questioni di ambiente ha, oltre agli aspetti e alle implicazioni cui ho prima sommariamente accennato, anche aspetti e implicazioni genuinamente filosofici e, in particolare, etici. La congiunzione delle due proposizioni base pi o meno di questo tipo: laumento delle nostre responsabilit causali (sulla natura) sembra implicare laumento delle nostre responsabilit morali (verso la natura)2.
1 In queste osservazioni mi avvalgo del prezioso contributo di S. Bartolommei (Etica e ambiente, Milano, Guerini e Associati, 1989), che ricostruisce in modo chiaro, intelligente e esaustivo lo stato dellarte della discussione su questioni di etica e ambiente nellambito della filosofia analitica. 2 Si veda J. Passmore, Mans Responsability for Nature, Wolfeboro, Longwood, 1980 (2a ed.), trad. it. La responsabilit per la natura, Milano, Feltrinelli, 1986.

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Questa tesi, come tutte le tesi filosofiche, naturalmente controversa. difficilmente controvertibile, per, che essa alla base di una intensa discussione e di una fioritura di programmi di ricerca in etica che ha dato luogo, da due decenni circa, a un nuovo capitolo della filosofia morale e politica, quello delletica ambientale o delletica ecologica. di questo capitolo che mi propongo di illustrare e discutere i paragrafi pi importanti nelle osservazioni che seguono. 1. Etiche ambientali ed etiche ecologiche Vi un numero limitato di domande elementari e preliminari cui si impegna a rispondere, in modi alternativi, un filosofo alle prese con le questioni di ambiente. Perch lambiente moralmente rilevante? Perch gli esseri umani dovrebbero prendersi moralmente cura dellambiente? Come giustificare razionalmente la rilevanza morale della natura e la nostra rispondenza morale nei suoi confronti? Vi un insieme plausibile di ragioni per sostenere che la natura riveste un valore morale per gli inquilini della terra? E se vi , quale valore la natura riveste? Rispondere a queste domande richiede prevalentemente che si assuma un impegno assiologico: occorre in altri termini giustificare in che senso (se ve n uno) la natura un valore per noi. Tuttavia, unetica che tratteggi la mappa di ci che o ha valore essenzialmente incompleta. Il secondo passo richiede un impegno che ha a che fare con lidentificazione non di un valore quanto di un obbligo: quali vincoli gli esseri umani devono accettare nei loro trattamenti, nei loro impieghi e nelle loro azioni3 che hanno effetti sulla natura? Qual e che cosa implica la nostra responsabilit verso la natura? Introducendo il problema dellobbligo, una volta risolto il problema del valore, siamo di fronte a una gamma di risposte normative4 (in senso genuinamente etico) alla domanda essenziale: dobbiamo fare tutto ci che possiamo fare? Che cosa giusto fare (e non fare) dipende da criteri e princpi; richiede in ogni caso un argomento e questo, a sua volta, richiede una pi ampia teoria normativa. Nella sua recente tradizione, letica razionale ha elaborato una famiglia di teorie normative sostanziali dedicate a fornire criteri per ci che moralmente giusto o sbagliato Prevalentemente, questi criteri hanno avuto come campo di applicazione lambito dei trattamenti e delle azio3 4

Si veda S. Maffettone, Valori comuni, Milano, Il Saggiatore, 1989, cap. VIII. Si veda S. Veca, Etica e politica, Milano, Garzanti, 1989, capp. II e III.

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ni o delle condotte, delle scelte che hanno effetti su vite di esseri umani. Dal punto di vista morale, i primi clienti delletica sono (stati) gli esseri umani (o gli esseri senzienti). Noi adottiamo il punto di vista morale su quanto possiamo farci reciprocamente. Vi sono naturalmente diversi argomenti, come mostrer in seguito, per sostenere perch, come esseri umani (come persone, secondo alcuni; come esseri senzienti, secondo altri) siamo moralmente preziosi, siamo importanti e questo circoscrive, in vari modi, la gamma degli enti cui siamo moralmente rispondenti5. Questa gamma coincide, per dir cos, con la cittadinanza etica. perch abbiamo valore (secondo differenti interpretazioni del perch lo abbiamo) che abbiamo obblighi, che non dobbiamo fare tutto ci che possiamo fare. Unetica che prenda sul serio la questione ecologica si trova immediatamente di fronte a un problema di estensione della cittadinanza: vi sono gerarchie di enti (che non coincidono con quelle che includono esseri umani o esseri senzienti) rispetto ai quali siamo tenuti a essere moralmente rispondenti. Ci sono altre cose dotate di valore, pi cose in cielo e in terra, di quante non ne ospiti unetica della rispondenza alla specie umana (e ad altre specie di animali non umani, in casi meno sciovinisti). Uno dei modi per illustrare i primi paragrafi del variegato capitolo delletica ambientale o ecologica quello di sottolineare che: 1) essi introducono inevitabilmente lidea intuitiva di una estensione della nostra rispondenza morale; 2) inducono, in modi diversi, a un ampliamento del numero dei clienti delletica; 3) rintracciano pi valore nel regno di ci che ha valore e generano nuovi obblighi rispetto a quanto era prima, per dir cos, moralmente neutrale. Ora, mentre il punto 1 ampiamente condiviso dai filosofi che prendono sul serio le questioni di ambiente, i punti 2 e 3 sono interpretati in modi rivali e alternativi, a seconda delle differenti teorie normative di sfondo, il cui campo di applicazione dilatato e i cui confini sono estesi. Le differenze nei punti 2 e 3 sono differenze che, alla base, riflettono diversi resoconti di che cosa faccia di una moralit una moralit; cos, almeno, ho cercato di interpretare la natura della differenza fra le risposte normative. Nei prossimi paragrafi illustrer queste differenze nei modi di interpretare e giustificare lestensione delletica razionale o del punto di vista morale a classi di enti prima neutrali.
5 Si veda R. Nozick, Philosophical Explanations, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1983, trad. it. Spiegazioni filosofiche, Milano, Il Saggiatore, 1987, pp. 463 sgg.

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Tuttavia, il mondo strano e complicato; e anche la filosofia lo ; n si vede come e perch potrebbe essere altrimenti. La strategia dellestensione di quanto oggetto del punto di vista morale solo una parte (anche se ritengo sia la parte razionalmente pi consistente) della nostra storia. Vi unaltra parte (pi controversa e, in ogni caso, ben trovata

anche se falsa) che centrale nella discussione sulletica ambientale. Essa consiste in un rifiuto radicale dellidea di estendere princpi o criteri

di valutazione ampliando semplicemente il campo di ci che ha valore, di quanto moralmente importante. Quello che la famiglia di tesi radicali ci richiede di abbandonare la tradizione delletica razionale di fronte alla sfida globalmente inedita della questione ecologica. Occorrono nuove categorie, nuovi princpi; urgente una ridefinizione dei rapporti fra valore e obbligo (quando non, come vedremo, tra fatti e valori, tra descrizioni e prescrizioni). necessario accettare un bagaglio nuovo di criteri di una moralit che, per essere coerentemente ecologica, non pu limitarsi a dare qualche ritocco o a praticare una pi o meno lieve cosmesi a un pacchetto di princpi modellato profondamente, quasi geneticamente, dallo sciovinismo di specie (o anche interspecifico) delle origini. Per comodit, chiamer questa seconda famiglia, quella delle tesi radicali, la famiglia delle etiche ecologiche, definendo per contro la prima come la famiglia delle etiche ambientali. 2. Le radici delletica razionale Grosso modo, si pu sostenere che tre siano le grandi radici delletica razionale6. Esse risalgono allelaborazione dei filosofi della seconda met del XVIII secolo. Naturalmente, difficile pensare che modelli o criteri di valutazione morale razionale siano stati inventati a tavolino o siano emersi, al pari di Minerva dalla testa di Giove, come esiti dei teoremi di una nuova geometria morale. intuitivo che la recente impresa delletica razionale, dellimpiego normativo della ragione nelle vicende umane, reca le tracce e i segni delle grandi tradizioni religiose. Come potrebbe non essere cos? Non possiamo tuttavia occuparci di questa complicata questione (solo qualche cenno in proposito sar opportuno a proposito dellimmagine ricevuta e canonica dei rapporti fra esseri umani e natura).
6 Si veda J. Harsanyi, Morality and the Theory of the Rational Behaviour in A. Sen e B. Williams (a cura di), Utilitarianism and Beyond, Cambridge, Cambridge University Press, 1982, trad. it. Moralit e teoria del comportamento razionale in A. Sen e B. Williams (a cura di), Utilitarismo e oltre, Milano, Il Saggiatore, 1984.

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Un primo nucleo della riflessione filosofica sulla moralit identificabile nellidea, alla Smith e Hume, dellosservatore simpatetico imparziale. Nella prospettiva di Hume, letica ha a che fare con qualcosa come levoluzione di sentimenti morali, fra cui gioca un ruolo centrale quello della simpatia, della capacit di mettersi nei panni o nelle scarpe degli altri, di passare da una considerazione egoistica dei propri desideri alla consapevolezza moderatamente altruistica del fatto che, come noi, anche gli altri hanno desideri (questo concerne in primo luogo il nostro prossimo pi prossimo). Il primo passo humeano, come stato osservato, quello dal s agli altri, dagli ego-desideri ai non ego-desideri7. Si osservi che questo non implica un particolare ruolo della razionalit nellambito della moralit ( la ricostruzione della natura delletica a essere razionale). Un secondo nucleo rinvenibile nella semplice ma potente idea che formulata come il cuore del programma dellutilitarismo, sin dalle opere pionieristiche di J. Bentham. Il nucleo della moralit consiste nella massimizzazione di una qualche grandezza collettiva, comunque interpretata, che ha a che fare con la soddisfazione di desideri, interessi o, come oggi si usa dire, preferenze. Laspetto pertinente per ladozione del punto di vista etico , nella prospettiva dellutilitarismo, il nostro avere interessi, connesso al fatto che male quanto li frustra e bene quanto li soddisfa (razionalmente). Avere interessi, essere centri di piacere e di pena, essere capaci di provare esperienze di frustrazione e sofferenza tanto quanto di soddisfazione e felicit, il requisito per cui riconosciamo che vi un valore, un bene. Giusto tutto ci che rende massimo il saldo di soddisfazione; sbagliato moralmente quanto d luogo a sofferenza evitabile o a spreco di felicit. Il requisito di avere interessi piuttosto importante per definire i confini dei clienti delletica. La rispondenza morale non ristretta agli esseri umani ma estesa, sulla base del principio dellavere interessi, a qualsiasi essere senziente: in primo luogo, agli animali non umani. I sostenitori della liberazione animale, a partire da Peter Singer, autore nel 1975 del celebre pamphlet Animai Liberation, trovano in questa ospitalit dellutilitarismo un potente argomento a favore delle tesi animaliste, fondate sulla critica dello specismo (termine valutativo negativo coniato sui modelli del razzismo, del classismo o del sessismo)
7 Si veda B. Williams, Problems of the Self, New York, Cambridge University Press, 1973, pp. 250-265, trad. it. Problemi dellio, Milano, Il Saggiatore, 1990. Dello stesso autore si segnala anche: Formai Structures and Social Reality in D. Gambetta (a cura di), Trust, Oxford, Blackwell, 1988.

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che attacca il pregiudizio persona-centrico delle etiche normative elaborate a partire dal terzo nucleo dellorigine delletica razionale che, a sua volta, deriva dalla filosofia morale di Kant8. Il terzo nucleo , infatti, rinvenibile nel principio kantiano di universalit e di simmetria fra agenti razionali. Laspetto pertinente per ladozione del punto di vista etico non in questo caso il nostro avere interessi o preferenze, quanto il nostro essere agenti razionali. La nozione di dovere (e, quindi, di obbligo) non deriva da inclinazioni o sentimenti (alla Hume), n da desideri o preferenze (alla Bentham), ma dall accordo fra enti ragionevoli. Il punto centrale di unetica kantiana consiste nel fatto che siamo agenti morali razionali (lutilitarismo tende a prendere sul serio piuttosto le caratteristiche per cui siamo pazienti morali e la razionalit dipende dal ricorso al principio di massimizzazione). Il tentativo kantiano quello di dare un resoconto della moralit in cui, per vari motivi, non entrino in gioco emozioni, sentimenti o preferenze, ma solo i nostri diritti (o doveri) di esseri (egualmente) dotati di competenza razionale e perci capaci di reciprocit. Questo rende conto del perch gli sviluppi in filosofia morale e politica della tesi kantiana negli ultimi decenni in filosofia analitica siano consistiti nellelaborazione di teorie come quella del contratto sociale come base per princpi di giustizia (J. Rawls) o della famiglia (assai diversificata) di teorie dei diritti (R. Dworkin, R. Nozick, B. Ackerman, A. Gewirth ecc.). Naturalmente, intuitivo cogliere il fatto che ladozione di una prospettiva kantiana implica una restrizione dellarea della cittadinanza etica. In un senso almeno, la popolazione minore che nel caso dellutilitarismo: titolari di diritti e enti impegnati al mutuo rispetto saranno coloro che supereranno il test della competenza razionale e la prova di reciprocit. Questo non esclude ovviamente che la rispondenza di agenti morali razionali non possa estendersi a classi di enti che non soddisfino il requisito di razionalit. Ma ci implicher un aumento di doveri per chi titolare di diritti, cui non corrisponder simmetricamente un aumento di diritti per chi protetto dalletica. La tensione essenziale in filosofia morale e politica sembra essere quella fra utilit e diritti9. In ogni caso, il lessico delletica razionale fatto di espressioni che si riferiscono allavere interessi o preferenze tanto quan8 Si veda P. Singer, Animai Liberation, New York, Avon, 1977, trad. it. Liberazione animale, Roma, Lega Antivivisezionista, 1987; si veda inoltre S. Castignone (a cura di), I diritti degli animali, Bologna, Il Mulino, 1985. Di Singer si segnalano anche: The Expanding Circle. Ethics and Sociobiology, Oxford-Melbourne, Oxford University Press, 1983; Applied Ethics, Oxford, Oxford University Press, 1986, trad. it. Etica pratica, Napoli, Liguori, 1989. 9 Si veda Veca, Etica e politica cit., cap. V.

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to allavere diritti e doveri. Questo mi sembra proprio di un resoconto non ottuso e genuinamente pluralistico dello stato delle nostre teorie normative. La questione naturalmente complicata per il fatto che considerazioni e politiche orientate alla massimizzazione dellutilit possono confliggere con considerazioni e politiche orientate alla tutela e al rispetto dei diritti morali; e vale linverso. Ma non di questi difficili problemi che possiamo occuparci qui. Dobbiamo piuttosto esaminare in quali modi la tradizione delletica razionale, cos sommariamente tratteggiata, entra in rapporto con il problema dellestensione dei suoi criteri alla questione dellambiente e affronta le sfide della nostra responsabilit verso la natura. Accettare di prendere sul serio la nostra responsabilit verso la natura richiede, secondo alcuni, di abbandonare una tradizione ben pi antica e radicata di quella delletica razionale. Occorre fare i conti con leredit giudaico-cristiana delluomo come signore e padrone della natura, come pinnacolo della creazione. Il nucleo primitivo di questa imponente eredit culturale sarebbe rintracciabile a partire dal Genesi e, secondo alcuni, sarebbe connesso coerentemente al destino della manipolazione dispotica e strumentale della natura come mero pozzo di risorse e mezzi, rintracciabile nello sviluppo scientifico e tecnologico. La cosa non priva di fondamenti. Tuttavia, stato obiettato a) che nello stesso Genesi e, in generale, nella tradizione religiosa cui si fa riferimento, a fianco dellimmagine delluomo-despota vi quella delluomotutore e amministratore responsabile della natura e b) che societ modellate da tradizioni religiose affatto diverse da quella cui apparteniamo storicamente non sembrano aver prodotto esempi straordinari di rispetto e responsabilit verso la natura. Accettare lestensione di quanto ha valore o di ci rispetto a cui siamo responsabili o di ci che ha interessi o di ci che ha diritti o di ci che merita comunque eguale rispetto e considerazione non appare quindi frutto di una sorta di drastica conversione quanto piuttosto lesito di un progresso della nostra moralit, di unevoluzione dei nostri sentimenti morali, delle nostre capacit empatetiche o di un pi sensibile impiego della nostra, scarsa, risorsa della ragione pratica. 3. Criteri di estensione delletica razionale alle problematiche ambientali Il primo passo, cui accennavo nel punto 2, quello della estensione. Che ci sia opportuno se si prende sul serio il compito di unetica ambientale quanto condiviso dalle diverse teorie. Differente il mo-

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do in cui si giustifica lampliamento dei clienti delletica e, in modo non indipendente, differenti sono le giustificazioni per cui (o i sensi in cui si sostiene che) qualcosa ha valore e genera obblighi. Proceder in modo piano e naturale da quanto pi debole e condiviso a quanto richiede impegni pi onerosi e genera divergenze negli argomenti. In questo modo, cercher di mostrare come, a partire da una famiglia di applicazioni di criteri e di princpi per le nostre responsabilit verso la natura pi coerente con la tradizione delletica razionale, si pu pervenire alle tesi radicali e alle richieste delletica ecologica. In primo luogo, utilitaristi o kantiani o humeani che siamo, possiamo accettare che dobbiamo essere moralmente rispondenti nei confronti della classe degli enti naturali riconoscendo che essi hanno valore e che, per questo, noi abbiamo obblighi cui vincolare i nostri trattamenti o le azioni e le scelte che hanno effetti sulla classe degli enti o oggetti naturali. La natura un bene e ha valore e noi siamo tenuti a comportarci in modo coerente con il valore (lasciamo per un attimo da parte limportante problema dei diritti di animali non umani, che riformuler successivamente). Ora, il punto importante : che tipo di valore riconosciamo abbia la natura? Non difficile rispondere che, quale che sia la nostra etica normativa, la natura ha per noi valore estrinseco o strumentale. Valore estrinseco e strumentale non significa esclusivamente valore economico, anche se questo non escluso: vale un principio di pluralit di usi e scopi nei nostri trattamenti della natura che non sono affatto esauriti da trattamenti che abbiano caratteristiche e finalit essenzialmente economiche (quelle cui la teoria economica e in parte, alcune versioni dellutilitarismo avevano dedicato lattenzione). In questa prospettiva, la questione-ambiente si configura come questione morale solo agli occhi di esseri valutanti come gli esseri umani e nel loro interesse (qui, forse, in gioco la differenza fra agenti e pazienti morali: questa prospettiva ben lontana dallessere incontrovertibile, come vedremo; a me tuttavia sembra lunica sorretta da un argomento plausibile e in ogni caso migliore di quelli offerti dal paniere delle teorie rivali). La natura pu avere valore strumentale sulla base di una essenziale variet di princpi, alcuni orientati allideale, altri al bisogno10). Nel primo caso, il rispetto per la natura pu dipendere dal fatto che la si valuti come una risorsa per la moralit personale. Una moralit ecologica riduce la divergenza cognitiva fra il nostro definirci suoi signori e padro10 Su questo punto si veda Bartolommei (Etica e ambiente cit.) che adotta la distinzione formulata da B. Barry e ripresa in J. Rawls, A Theory of Justice, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1971, trad. it. Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 1982.

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ni e il nostro accettarci come suoi membri o sue parti. In tal modo, essa connessa a un ideale di eccellenza umana. Oppure, essa pu meritare rispetto come merita rispetto un artefatto culturale, unopera darte (la sequoia e la cattedrale di Chartres). In tal caso, essa una risorsa per una moralit condivisa o per lintegrit di una comunit di valutanti. Nel secondo caso, quello dei princpi orientati al bisogno, i criteri che definiscono la nostra responsabilit verso la natura possono essere sensibili agli interessi delle generazioni future (lestensione della comunit morale in questo caso intertemporale perch include i diritti dei pronipoti, applicando lidea venerabile della tutela e dellamministrazione illuminata) e questo pu, come stato sostenuto da John Passmore, prescrivere la conservazione di risorse naturali (per qualcuno, i pronipoti) e la preservazione delle aree non ancora invase, da chiunque. Unaltra classe di princpi pu richiedere il rispetto della pluralit degli usi della natura (cui ho accennato a proposito della fallace identificazione di strumentale con economico). La responsabilit e il rispetto della natura possono derivare dalla pretesa legittima della tutela del diritto allambiente, un diritto di terza generazione come dicono i giuristi che pu essere in ogni caso considerato come una precondizione per lesercizio di altri diritti di cittadinanza quali quello alla salute e alla sicurezza. Daltra parte, possiamo vincolare azioni, trattamenti e scelte che hanno effetti sulla natura con un principio di prudenza razionale dovuto alle condizioni di rischio e incertezza proprie dellinformazione disponibile sugli effetti di azioni, trattamenti e scelte. Infine, in modo non indipendente, linformazione scientifica che ci assicura, per quanto possibile, una buona dose di realismo biologico pu rendere pi responsabili e riflessive o, al limite, pi razionalmente prudenti le nostre scelte. Come stato osservato da Sergio Bartolommei11, questo modo di estendere lambito della nostra responsabilit morale verso lambiente potrebbe indurre a una sorta di prudenza di specie, una virt in un mondo inesorabilmente caratterizzato da scelte in condizioni di rischio e incertezza in cui, nelle nostre decisioni morali (nelle nostre linee di azione e nelle nostre politiche), sembra eticamente raccomandabile ponderare razionalmente la dimensione spaziale (effetti, dove?), la dimensione temporale (generazioni future), la dimensione numerica (popolazione dei pazienti) e linformazione scientifica su un mondo sempre pi piccolo, degradato, minacciato e interdipendente. La prudenza di specie dovrebbe essere la virt dei cittadini del mon11

Si veda Bartolommei, Etica e ambiente cit.

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do o dei coinquilini del pianeta: unassunzione di responsabilit anche verso i nostri compagni di viaggio nellavventura dellevoluzione. Questo un insieme di princpi che definisce sommariamente le ragioni della nostra responsabilit morale verso la natura. Ora, io credo che sia semplicemente un errore la sottovalutazione della rilevanza delletica razionale che propria, per esempio, della tradizione maggioritaria nella nostra cultura; penso anche che sia un errore non minore della sua sopravvalutazione. Unetica ha bisogno di una politica. E il fatto che il primo passo di unetica razionale per lambiente consista nella sua estensione (nella direzione di ci che ha valore e in quella della cittadinanza etica) suggerisce, per analogia, che di fronte alle sfide della questione-ambiente solo uninnovazione cooperativa transnazionale e internazionale possa ragionevolmente consentire di tradurre i princpi in politiche. Dal punto di vista di una filosofia pubblica per lambiente, forse opportuno sottolineare che la tensione fra utilit e diritti allopera anche nel campo dei princpi che dovrebbero dettare politiche. Un quadro di riferimento normativo di tipo utilitaristico tender a essere intrinsecamente indifferente a questioni di doveri (diritti) verso la natura: lutilitarismo ha cura per le preferenze piuttosto che per coloro (umani e non) che ne sono detentori e, anche nelle sue forme pi sofisticate in cui si adotta la nozione di preferenza al meglio, vera, prudente, informata o ponderata che sia, ci che conta la massimizzazione delle preferenze. La teoria teleologica, come usano dire i filosofi. Ci fa s che, in linea di principio, si ammetta un principio di sostituibilit o scambiabilit di tutto con tutto. E questo rende spesso lutilitarismo lapproccio pi vicino al calcolo in termini costi-benefici dellimpatto ambientale. Una teoria kantiana, fondata sulle definizioni di diritti o doveri, e non di scopi, ha natura deontologica piuttosto che teleologica: tender quindi a imporre vincoli morali agli esercizi di massimizzazione dellutilitarista e a sottrarre qualcosa alle transazioni di mercato, per esempio. Si tratta di due approcci diversi che fanno parte della stessa famiglia di etiche ambientali, intese nel senso dellestensione dei criteri allambiente. La mia idea che questo pluralismo di criteri sia inevitabile e essenziale. La deliberazione pratica o quella politica dovrebbero dipendere da unaccurata ponderazione fra le ragioni di una prospettiva teleologica e quelle di una prospettiva deontologica (tuttavia, questo vero di qualsiasi importante questione dellagenda pubblica). Ma non di questi cruciali problemi che posso ora discutere. Dobbiamo fare un passo avanti nella nostra mappa e presentare il caso pi complicato di estensione in cui gli enti o gli oggetti naturali

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non sono concettualizzati come dotati di valore estrinseco o strumentale, quanto piuttosto sono valutati come epicentri di valore intrinseco; sono come le persone per il vecchio Kant fini a s. questo il caso di una serie di proposte teoriche di carattere normativo che ci chiedono di passare da unetica di nostri doveri verso lambiente a unetica fondata sui diritti dellambiente (come abbiamo visto, questa estensione vale solo nel caso dellutilitarismo per leguale considerazione dovuta a interessi di umani e non umani). 4. Riflessioni su unetica fondata sui diritti dellambiente Nel suo eroico tentativo di mantenere agli esseri umani, in quanto esseri ragionevoli, lo status privilegiato di fini a se stessi, Kant aveva tracciato una netta linea di confine fra persone e cose. Le prime hanno valore intrinseco e questo genera obblighi e vincoli sugli usi delle stesse come mezzi o risorse: le persone hanno dignit. Le cose hanno valore strumentale e questo pu generare al massimo vincoli tecnici, ma non morali, sui loro impieghi o usi: esse hanno valore come mezzi che sono valutati come tali da potenziali utenti. Le cose, come le risorse, hanno un prezzo. Bentham era risolutamente contrario a questo modo di tracciare i confini fra localizzazioni di valore intrinseco ed estrinseco: se laspetto pertinente per ladozione del punto di vista etico la capacit di avere interessi (e non quella di essere razionali, propriet di cui sono privi neonati e malati terminali o handicappati gravi quali, per esempio, i cerebrolesi), la capacit di soffrire o godere, allora meramente arbitrario e, appunto, solo sintomo di idiosincrasia specista escludere dallo stesso dominio della moralit, allo stesso titolo, esseri senzienti quali gli animali non umani (per essere pi precisi, non c un buon argomento per escludere dal calcolo di massimizzazione gli interessi o le preferenze di chiunque abbia la propriet di avere interessi, di provare pena o piacere, di stare meglio o peggio). Il caso di estensione della tradizione delletica razionale a questioni di ambiente che ora dobbiamo esaminare pi esigente, sia nei confronti dellapproccio kantiano sia nei confronti dellapproccio benthamiano. Che tale caso, quello basato sullidea dei diritti dellambiente, come classe di oggetti naturali (animati e inanimati) che hanno valore intrinseco e non strumentale, sia pi esigente non vuol dire che sia plausibile e con-

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vincente. Tuttavia, esso costituisce ormai un paragrafo importante del nuovo capitolo delletica dellambiente che abbiamo la responsabilit di leggere e, in parte, ancora di scrivere. La tesi dei diritti della natura (degli alberi, dei fiumi, dei laghi, delle catene montane, oltrech ovviamente delle specie viventi) implica uno slittamento verso la tesi radicale delletica ecologica. Tuttavia, essa fa parte concettualmente delletica ambientale per il fatto che non viene richiesta una rivoluzione nei nostri modi di pensare noi stessi, la natura e i rapporti fra fatti, valori e obblighi; quanto viene richiesto di prendere sul serio la strategia dellestensione con maggiore coerenza, audacia e rigore di quanto non facciano i filosofi delle etiche ambientali basate sul valore estrinseco della natura. Gli oggetti naturali hanno valore intrinseco, del tutto indipendente dagli usi o dagli impieghi che qualcuno possa ritenere di farne come risorse. Da un punto di vista filosofico, per sostenere questa tesi, occorre adottare la nozione kantiana di dignit, superare e abbandonare lapproccio utilitaristico e, in certo senso, impegnarsi a un argomento che mostri perch siamo tenuti a trattare qualsiasi oggetto naturale come persona o, in ogni caso, come un detentore di diritti che tutelano e proteggono da violazioni e usi strumentali il suo valore intrinseco. Largomento dei kantiani, basato sulla razionalit, non certamente irresistibile. Il ratio-centrismo dipende da una selezione arbitraria di una propriet condivisa dalla specie Homo sapiens. Ma ora lo stesso alone di arbitrariet destinato ad avvolgere la propriet di avere interessi nel senso utilitaristico: se il ratio-centrismo sciovinista, le cose non sembrano messe molto meglio per il sensio-centrismo o per lo zoocentrismo . E chiaro che accettare il ratio-centrismo implica escludere che abbia senso lattribuzione di valore intrinseco a gatti, galline, canguri e balene. Questo non vero se si accetta il sensio-centrismo. Ma accettare questultimo implica escludere montagne, alberi e fiumi Questi ultimi appartengono a una classe di enti non senzienti, che non hanno interessi e che, per questo motivo, non generano doveri derivanti da diritti di cui siano titolari. Come possibile addurre un argomento a favore dei diritti morali dellambiente, basato sul valore intrinseco degli oggetti naturali? (Questo non il punto per i diritti giuridici si pensi alla cosiddetta legge Galasso del 1985 sui vincoli paesaggistici: in questo caso, si pu trattare semplicemente di un titolo giuridico dellambiente a essere protetto e difeso da esseri umani e associazioni, senza bisogno di impegnarsi necessariamente nella tesi pi forte dei diritti morali. Questo tipo di

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scelta normativa potrebbe essere giustificato alla luce di uno o pi duno dei princpi, prima illustrati, della responsabilit umana verso la natura dotata di valore strumentale). I sostenitori dei diritti morali della natura fondati sul valore intrinseco degli oggetti naturali (diritti che sono alla base dellimperativo della preservazione, della non distruzione e, pi in generale, della non ingerenza nelle vicende o negli stati degli oggetti naturali) ricorrono per lo pi a un argomento che Tom Reagan ha formulato in modo particolarmente perspicuo12. Largomento si basa su una distinzione fra due diverse interpretazioni dellespressione avere interessi. La visione sensio-centrica implica che qualcuno sia interessato a qualcosa. La visione dei diritti morali dellambiente interpreta lespressione nel senso per cui qualcosa nellinteresse di qualcuno. A interessato a X diverso da X nellinteresse di A. Nel secondo caso, che X sia nellinteresse di A indipendente dal fatto che A abbia interesse a X. Se ne conclude che qualsiasi scelta o azione migliori (o tuteli) la condizione in cui A si trova, giustificata indipendentemente dal fatto che A lo desideri. Questo argomento ingegnoso ma non uno di quelli propriamente irresistibili. Il suo punto debole sembra consistere in una strategia inflattiva nellimpiego di quella parola-chiave della recente filosofia politica e morale che il termine diritto : in primo luogo, se accettiamo la seconda interpretazione di avere interessi, non segue che avere interessi implichi avere diritti. Ogni teoria dei diritti, quale che sia, deve disporre di un principio di selezione fra gli interessi, quali che siano, che consenta di identificare quali fra essi generino un titolo valido alla loro tutela, soddisfazione o protezione. In secondo luogo, la nozione di diritto applicato a classi di enti o specie pu dar luogo a esiti paradossali. In terzo luogo, non si vede perch mai non debba essere sufficiente la nozione di doveri per ottenere la tutela e il rispetto dellambiente, a meno che una semplice trappola semantica inerziale non si trascini dietro come inevitabile la simmetria fra doveri e diritti. Infine, non chiaro quale decisione sia giusto prendere in caso di conflitto fra diritti, posto che tale espressione abbia ancora un qualche senso nelluniverso

linguistico del diritto inflazionato.

12 Si veda T. Regan, All That Dwell Therein: Animal Rights and Environmental Ethics, Berkeley - Los Angeles, University of California Press, 1982, p. 169. Dello stesso autore si segnalano anche: The Case of Animal Rights, Berkeley - Los Angeles, University of California Press, 1983, trad. it. I diritti animali, Milano, Garzanti, 1990; con P. Singer, Animal Rights and Human Obligations, Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1976.

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Per quanto esposta a critiche e obiezioni che sembrano a me plausibili e, per certi versi, conclusive, la tesi del valore intrinseco degli oggetti naturali mantiene un certo fascino intellettuale e morale. Essa infatti una tesi filosofica eminentemente correttiva e revisionistica nei confronti delle nostre credenze. La sua strategia di estensione (in questo caso, della teoria dei diritti che fa parte della tradizione delletica razionale) ci costringe a saggiare la nostra credenza in un modo in cui ci non avviene con la tesi filosoficamente descrittiva propria della estensione della nostra responsabilit verso un ambiente che ha valore strumentale. Prendere sul serio la tesi dei diritti morali della natura pu rendere pi ricca e sensibile la nostra moralit e favorire quellevoluzione dei sentimenti morali e della simpatia alla Hume, senza la quale i teoremi delle geometrie morali restano ragioni esterne che non riescono a tradursi in ragioni interne e, quindi, in motivazioni. Qui, come altrove nel campo della moralit, vale lassioma di Hume: solo le motivazioni motivano13. Qualcosa del genere quanto mi sembra si possa sostenere a proposito di quella famiglia di etiche ecologiche che ci richiedono una revisione radicale e rivoluzionaria dei nostri modi di pensare noi stessi, la natura e la moralit. Nel prossimo paragrafo cercher di illustrare sommariamente alcuni tratti di questa famiglia di teorie e di dare una maggiore precisione alla mia impressione secondo cui, anche se false, esse sono ben trovate (sotto particolari condizioni). 5. Le tesi delle etiche ecologiche Vi sono alcune proposizioni fondamentali, enunciate per la prima volta nel 1949 in un libro non propriamente accademico, A Sand County Almanac and Sketches Here and There, uscito un anno dopo la morte del suo autore, Aldo Leopold, un conservatore di foreste, professore di Game Management allUniversit del Wisconsin, che possono essere considerate come le radici della famiglia di etiche ecologiche. Cos, almeno, tali proposizioni sono in genere interpretate dai rappresentanti di quello che il filosofo Arne Naess, ecologista militante, ha definito nel 1973 come il Deep Ecological Movement, contrapponendolo allo Shallow Ecological Movement, cui possiamo dire appartengano le proposte teoriche delle etiche ambientali esaminate nei paragrafi precedenti.
13 Si veda Williams, Problems of the Self cit., p. 9. Questa una delle tesi filosofiche centrali enunciate in F. Alberoni e S. Veca, L'altruismo e la morale, Milano, Garzanti, 1988.

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Aldo Leopold considerato il pioniere dell etica della terra (Land Ethics). Letica della terra presuppone una ridescrizione, alla luce dellinformazione ecologica, del nostro posto nella natura. Si introduce in tal modo un impegno non prioritariamente normativo, quanto descrittivo. Il primo punto non riguarda ci che dobbiamo fare, quanto piuttosto: come possiamo e dobbiamo descriverci alla luce della migliore informazione scientifica disponibile sulla natura e sulla comunit biotica? Nei suoi sviluppi pi. recenti, e in particolare nellimponente lavoro di Holmes Rolston III, Environmental Ethics14, letica ecologica ci chiede di abbandonare il tab humeano della celebre distinzione tra fatti e valori e in qualche modo ci impone obblighi alla luce della migliore descrizione dei fatti. La vita umana essenzialmente racchiusa entro i confini della piramide biotica. Lessere umano, afferma Leopold, essenzialmente un cittadino biotico e possiamo considerare letica come lesito di un processo evolutivo, come un cerchio che progressivamente si allarga e dalle relazioni interpersonali passa a quelle fra individui e istituzioni per approdare, alla luce della descrizione ecologica di noi e del mondo, alle relazioni fra esseri umani, non umani e enti inanimati. La terra non un bene che ci appartiene: essa piuttosto una comunit cui apparteniamo. Noi non siamo a parte, rispetto alla natura. Piuttosto, siamo letteralmente parte della natura. Questo deve generare un senso di coappartenenza. Dal punto di vista dei criteri normativi, ci implica labbandono di una prospettiva inevitabilmente ottusa come quella egocentrica a favore di una prospettiva eco-centrica, evoluta e coerente con la descrizione ecologica. Di qui, la celebre massima delletica della terra che suona pi o meno cos: giusto tutto ci che tende a preservare lintegrit, la stabilit e la bellezza della comunit biotica. difficile dare uninterpretazione univoca dei testi del fondatore delletica della terra (per una certa fase della sua ricerca Leopold si era impegnato pionieristicamente contro gli assunti base della cosiddetta cow-boy ethics o etica della frontiera: 1) colonizzare la natura; 2) considerarla come unarea da sviluppare, punto e basta; 3) identificare il progresso con il numero di ettari sottratti alle terre vergini; 4) identificare il prodotto nazionale lordo come lunico indice di benessere; 5) ritenere qualsiasi risorsa una risorsa elasticamente sostituibile; 6) ritenere gli stati presenti e futuri del mondo del tutto indipendenti dagli stati e dalle azioni che hanno avuto luogo nel passato). In ogni caso, i sostenitori delletica
14 H. Rolston III, Environmental Ethics. Duties and Values in the Natural World, Philadelphia, Tempie University Press, 1988.

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ecologica e della tesi radicale hanno senza dubbio sviluppato, in modo alternativo rispetto alla strategia dellestensione e del raffinamento della nostra tradizione delletica razionale, alcune intuizioni e alcune idee rintracciabili nelletica della terra. Che luomo sia parte della natura, certo un fatto difficilmente controvertibile; che noi siamo inseriti nei cicli biologici e chimico-fisici della natura altrettanto vero; quello che pi discutibile e in ogni caso non altrettanto perspicuo quanto letica ecologica ci chiede di assumere non come un fatto ma come un valore e un insieme di obblighi. Se io e ambiente sono alla fine la stessa cosa, osservata semplicemente da punti di vista differenti, se linformazione ecologica sulle interdipendenze e sulle interconnessioni, sui processi omeostatici (la bilancia della natura) dissolve la nozione di agente o di soggetto, la tesi ecologica radicale richiede che si abbandoni, sul piano normativo, lossessione antropocentrica e lo sciovinismo di specie con il corteo della arroganza dei despoti (anche se illuminati) della natura e con la cura narcisistica per quella classe di oggetti naturali fra gli altri (che hanno pari dignit con gli altri) che sono i desideri, le emozioni o gli interessi di Hume, di Bentham e dei loro nipoti, nonch a fortiori le persone di Kant e dei kantiani alla fine del XX secolo. Dal fatto della bilancia della natura e del biosistema considerato come una unit integrata e auto-organizzata deriva limperativo, il fatto di valore della moralit della natura: che sia raggiunto e mantenuto lequilibrio omeostatico delle comunit naturali. Come stato osservato da Rolston, necessario passare dallego-ismo alleco-ismo, abbandonando gli impegni un po miopi e al tempo stesso presuntuosi dellantropocentrismo. Leco-ismo pu essere inteso come unego-ismo la systme. Esso si esprime nellidea (o nel sentimento) della confraternita planetaria di tutti i compagni di viaggio o dellodissea dellevoluzione. La tesi radicale delletica ecologica , a mio avviso, una tesi affatto insoddisfacente come tesi normativa. Come tesi per unetica mi sembra inoltre auto-confutante. Essa implica, infatti, che si riconosca la verit ecologica sul mondo e che questa accettazione porti con s laccettazione di un mondo in cui per unetica non vi spazio. Se i sostenitori delletica ecologica obiettano alle etiche ambientali che esse danno troppo spazio a criteri sciovinisticamente antropocentrici per fronteggiare le sfide inedite della questione ambientale, non difficile controbiettare che lalternativa offerta quella di unecologia senza etica. Non il caso di esaminare qui in che senso la fallacia naturalistica (il classico passaggio indebito da a deve) mini alla radice il tentativo radicale delletica ecologica. La cosa molto complicata perch le

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interpretazioni del divieto di Hume sono piuttosto divergenti fra loro e non c accordo fra filosofi morali sullintera questione. Quello che si pu osservare, per argomentare linsoddisfazione nei confronti della tesi radicale, molto pi semplice e non richiede impegni metodologici cos onerosi. Seguire lequilibrio della natura, anche concesso che la nostra informazione sia affidabile, equivale letteralmente a non far nulla. Si pu inoltre accettare il fatto che io e ambiente siano la stessa cosa osservata da punti di vista differenti, anche concesso che questa misteriosa e un po vaga espressione sia riformulata in modo sufficientemente rigoroso: ma non assolutamente chiaro in che senso accettare questo implichi accettare lelisione di un punto di vista valutante, alla luce del quale scegliere, sotto vincoli ovviamente, che cosa fare e non fare. Naturalmente, si liberi di accettare questa elisione; ma se la si accetta, si deve anche accettare di abbandonare limpiego del termine etica. A meno che la tesi radicale non ci chieda di abbandonare i nostri dizionari. Ma allora siamo di nuovo in trappola. Non siamo letteralmente in grado di comprendere che cosa vuol dire etica. A me sembra solo patetico e un po delirante asserire che la nostra biologia non conti almeno quanto la nostra cultura nelle faccende umane. Questo, tuttavia, presuppone che si prendano sul serio entrambi i termini; il problema, nella prospettiva delletica ecologica, sembra invece essere proprio quello di una biologia senza etica. Non le oppongo unetica senza biologia; le oppongo unetica che giustifichi ragioni per scegliere e agire e i princpi della nostra responsabilit come parti della natura, con tutta la nostra storia e la nostra biologia15. Perch, come ho accennato, la tesi radicale delletica ecologica per quanto nella mia prospettiva risulti sostanzialmente inaccettabile presenta un genuino interesse filosofico? Io credo che il suo interesse dipenda dal fatto che prendere sul serio la tesi radicale ci impegna a un esercizio intellettuale e, in certo senso, psicologico o culturale per nulla futile. Siamo indotti a guardarci in modo diverso; possiamo allontanarci dal nostro luogo di osservazione su noi e sul mondo e guardarci in una prospettiva da un altro luogo, da altri luoghi, da nessun luogo. Possiamo descriverci nei modi in cui esseri completamente diversi da noi, abitanti di altre galassie piuttosto remote, potrebbero vederci. Alcuni filosofi ritengono che questo esercizio non abbia alcun senso. Questa conclusione non mi sembra convincente n inevitabile. Noi possiamo immaginare che cosa si proverebbe a essere quello che saremmo e che
15 Si vedano M. Della Chiara e G. Toraldo, La scimmia allo specchio, Bari, Laterza, 1988, cap. XVI.

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siamo guardandoci da prospettive lontane o semplicemente alternative. Questo suggerisce una sorta di approfondimento morale di una maggiore umilt e di una minore arroganza, in un mondo che, alla fin fine, non nostro, non nato per noi, si evoluto per lunghissimi tempi prima di noi, fa parte di un universo ancor meno nostro di cui occupiamo un angolo qualsiasi16. Conclusioni Tutto ci non riduce in alcun modo la nostra responsabilit, etica e politica, nei confronti della famiglia delle questioni di ambiente, come di quelle, apparentate, che concernono pi ampiamente la vita (questioni di bioetica)17. Sembra dare al nostro modo di assumerci responsabilit (e di addurre buone ragioni a favore di ci), come dire, il tocco giusto. Come ho accennato nella premessa a queste osservazioni, la famiglia delle questioni di ambiente ha implicazioni e aspetti genuinamente politici, giuridici, economici e culturali, oltre che naturalmente etici. Ora, letica quellimpresa razionale in cui ci impegniamo a rispondere alle domande su come vivere o, meglio, su come chiunque dovrebbe vivere. Lo sforzo dei filosofi morali e politici quello di fornire le migliori risposte. Esse consistono in argomenti. Questi ultimi richiedono teorie, teorie della giustizia o, se si vuole, della giustezza, per dirla con John Rawls18. Ma questa solo una parte anche se importante della storia. Essa tocca le ragioni esterne, come ho accennato. Il punto cruciale se le ragioni esterne possano trasformarsi in ragioni interne, in motivazioni per le scelte e lazione di uomini e donne. Unetica razionale, quale che sia, non pu tradurre le intuizioni morali della gente in tab: che senso e ruolo avrebbe la ragione19 nelle vicende umane? Tuttavia, io credo che unetica razionale non possa essere completamente indipendente dai giudizi intuitivi della gente. I giudizi intuitivi sono modellati dallinformazione e da immagini di fatti di valore; essi sono, per buona parte almeno, artefatti culturali per esseri
16 Si veda T. Nagel, The View from Nowhere, Oxford, Clarendon Press, 1986, trad. it. Uno sguardo da nessun luogo, Milano, Il Saggiatore, 1988. 17 Si veda M. Mori (a cura di), Questioni di bioetica, Roma, Editori Riuniti, 1988. 18 Si veda Rawls, Una teoria della giustizia cit. 19 Si veda R. M. Hare, Moral Thinking, Oxford, Clarendon Press, 1981, trad. it. Il pensiero morale, Bologna, Il Mulino, 1989.

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che hanno tanto una biologia quanto una storia. Una delle caratteristiche pi interessanti dei giudizi intuitivi sulle questioni di ambiente prevalentemente condivisi in societ sufficientemente simili alle nostre il conflitto latente fra preferenze concernenti la crescita economica o, in ogni caso, gli effetti dello sviluppo tecnologico, e preferenze orientate alla qualit della vita20. una sorta di effetto moglie ubriacabotte piena niente affatto sorprendente ma su cui sembra particolarmente importante si concentri la discussione pubblica intelligente (questo, naturalmente, non ha luogo nel caso di minoranze fondamentaliste a forte intensit. Larcipelago verde oscilla inevitabilmente fra orientamenti da etica ambientale e orientamenti da etica ecologica, per usare la terminologia adottata in queste osservazioni). Quanto il filosofo pu augurarsi che le teorie di ci che giusto e di ci che sbagliato entrino in equilibrio riflessivo con i giudizi intuitivi (pi o meno coerenti o intensi, convergenti o divergenti) dei coinquilini del pianeta, dei concittadini della terra. Per questo, unetica ambientale della nostra responsabilit verso la natura ha bisogno non solo di una politica ma anche di una cultura coerente. Una cultura che sappia affrontare le sfide di modi alternativi e diversi di guardare a noi e al mondo mi sembra in ogni caso una cultura pi ricca e matura di una modellata da una dieta monotona di esempi, spot, prediche e parabole o, alla fine, teoremi filosofici, punto e basta21.
20 Si veda T. Maldonado, Il futuro della modernit, Milano, Feltrinelli, 1987, cap. 6. Non mi occupo qui del difficile (e tuttavia ineludibile) problema del rapporto tra paesi ricchi e poveri di fronte alle sfide, insieme, dello sviluppo e della qualit sociale: si veda G. Ruffolo, La qualit sociale, Bari, Laterza, 1985. 21 La nostra tradizione, la tradizione del moderno come progetto inadempiuto, non certo estranea a questo tipo di sfida, anche se non si pu dire che labbia sempre affrontata con la necessaria seriet e coerenza. Questo vale anche per la filosofia: si veda M. Dummett, Truth and Other Enigms, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1978, trad. it. La verit e altri enigmi, Milano, il Saggiatore, 1986, pp. 41-42; si veda anche S. Veca, Cittadinanza, Milano, Feltrinelli, 1990, cap. XIV.

Nota sugli autori

Isaiah Berlin ha ricoperto lincarico di Chichele Professor di Teoria sociale e politica allUniversit di Oxford fino al 1967, anno in cui divenne presidente del Wolfson College, Oxford, da lui stesso fondato. stato insignito del titolo di Cavaliere dellImpero Britannico e nominato membro della British Academy, di cui stato presidente tra il 1974 e il 1978. Membro onorario deilAmerican Academy of Arts and Letters, attualmente Fellow presso lAll Souls College di Oxford. Ha ricevuto la prima edizione del Premio Internazionale Senatore Giovanni Agnelli per la dimensione etica nel 1988. Amartya Kumar Sen, dopo la carriera universitaria presso le Universit indiane di Calcutta e Delhi e presso le Universit inglesi di Oxford e Cambridge e la London School of Economics, insegna attualmente allUniversit di Harvard negli Stati Uniti ove detiene la cattedra congiunta di Economia e di Filosofia morale in qualit di Lamont University Professor. stato eletto presidente della Societ di Econometria, dellAssociazione Internazionale di Economia, dellAssociazione Indiana di Economia e dellAssociazione degli Studi sullo Sviluppo. Ricopre inoltre la carica di consigliere scientifico dellIstituto Internazionale per lEconomia dello Sviluppo di Helsinki e dellInstitute for Advanced Studies di Princeton. Ha ricevuto la seconda edizione del Premio Internazionale Senatore Giovanni Agnelli per la dimensione etica nel 1990. Vittorio Mathieu attualmente ordinario di Filosofia morale allUniversit di Torino, membro dellAccademia dei Lincei e dellAccademia delle Scienze di Torino. Gi membro del Comitato per le discipline umanistiche al CNR. Nominato vicepresidente del Consiglio esecutivo dellUNESCO, fa parte dellInternational Society for Prenatal and Perinatal Psychology and Medicine e dellInternational Bioetical Committee. Gianni Vattimo, dopo aver insegnato Estetica ed essere stato preside della facolt di Lettere e Filosofia allUniversit di Torino, attualmente docente di Filosofia teoretica presso la stessa Universit. inoltre socio dellAccademia delle Scienze di Torino. Salvatore Veca docente di Filosofia della politica presso le Universit di Firenze e di Pavia e presidente della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano.

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Finito di stampare il 19 novembre 1990 dalla Tipolito Subalpina s.r.1. in Torino Grafica copertina Promoteam, Torino Foto di copertina copyright by Istituto Scala

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