Sequela
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Dietrich Bonhöffer è una delle voci più rappresentative della teologia e dell’ecumenismo del XX secolo, e per gli anni del nazionalsocialismo in Germania ha rappresentato un’importante testimonianza riguardo la resistenza e la non omologazione della Chiesa al regime. Sequela, tra le opere più note di Dietrich Bonhöffer, costituisce, in quei difficili anni, un’autentica testimonianza di fede cristiana e pertanto un testo militante contro l’ingiustizia del nazionalsocialismo. Nachfolge è il titolo dell’opera in tedesco, termine che letteralmente significa “Imitazione”, ma il vero senso è riconducibile ad un’azione precisa, tradotta in italiano con Sequela, ovvero seguire. Una ricerca sul carattere di quella chiamata che da sola costituisce il rapporto con Gesù, e che Bonhöffer espone durante i primi corsi di Finkenwalde. Sequela è il cammino della vita ripercorrendo le tracce di Gesù, la risposta pratica all’appello che il Cristo rivolge al discepolo: «seguimi» (Luca 5:27-28). L’appello alla sequela di Gesù annuncia la liberazione dell’uomo da prescrizione e leggi umane che lo soffocano per sottoporlo a «quello soave di Gesù Cristo». Una libertà resa «possibile solo dove rimane integro il comandamento di Gesù», accettando «la chiamata incondizionata alla sequela». Chi vive quest’esperienza, avrà la consapevolezza che «Gesù non mira a distruggere la vita, ma al contrario a conservarla, a rinvigorirla, a sanarla». Bonhöffer vuole mostrarci una sequela nella quale è oscura la meta. Gesù Cristo, che chiama ad essa, è il solo a saperlo e l’unico da seguire; ciò di cui siamo a conoscenza, continua il teologo, è che «sarà una via di misericordia al di là di ogni misura. La sequela è gioia». Un testo profetico, illuminante e di grandissima attualità.
L'autore: Teologo luterano tedesco, DB è stata una delle figure intellettuali più di spicco della prima metà del '900. Rinchiuso in carcere per le sue posizioni contrarie alla politica nazista, fu impiccato il 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra. Il suo pensiero, rivolto a riportare l'autenticità del messaggio cristologico agli uomini, si caratterizza per un cristianesimo definito «non religioso», che si fonda sul recupero dei contenuti originari delle Scritture, rifiuta ogni fuga nell’aldilà, coniugando la fede nel Dio di Gesù Cristo con una piena fedeltà ai valori umani.
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Anteprima del libro
Sequela - Dietrich Bonhoeffer
Dietrich Bonhoeffer
Sequela餍L’educazione interiore
KKIEN Publishing International
www.kkienpublishing.it
Seconda edizione digitale: 2021
Ed. Originale: "Nachfolge", 1937.
Traduzione dal tedesco di Stefania Quadri ispirata alla traduzione del 1971 di J. Schenk.
ISBN 9788899214975
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Indice
PREFAZIONE
PARTE PRIMA
La grazia a caro prezzo
La chiamata a seguire Gesù
La semplice ubbidienza
Sequela e croce
L’impegno di seguire Gesù e il singolo uomo
Matteo 5: Il sermone sul monte.
Lo ‘straordinario’ della vita cristiana
Le beatitudini
La comunità visibile
La giustizia di Cristo
Il fratello
La donna
La veracità
La retribuzione
Il nemico - Lo ‘straordinario’
Matteo 6: La segretezza della vita cristiana
La giustizia segreta
La segretezza della preghiera
La segretezza nella pratica religiosa
La semplicità della vita senza preoccupazioni
Matteo 7: La selezione della comunità dei discepoli
Il discepolo e gli increduli
La grande separazione
La conclusione
Matteo 9,35-10,42: I messaggeri
La messe
Gli apostoli
Il lavoro
Le sofferenze dei messaggeri
La decisione
Il frutto
PARTE SECONDA
La Chiesa di Gesù Cristo e la sua obbedienza
Domande preliminari
Il battesimo
Il corpo di Cristo
La comunità visibile
I santi
L’immagine di Cristo
PREFAZIONE
In periodi di rinnovamento della Chiesa accade spontaneamente che la Sacra Scrittura acquisti maggiore importanza per noi. Dietro le necessarie «parole d’ordine e di sfida» delle discussioni ecclesiastiche si fa viva una ricerca più intensa di Colui che solo ha importanza: la ricerca di Gesù Cristo stesso. Che cosa ci ha voluto dire Gesù? Che cosa s’aspetta da noi, oggi? Come ci aiuta ad essere cristiani fedeli, oggi? Per noi, in ultima analisi, non conta ciò che richiede questo o quell’uomo di chiesa; vogliamo sapere che cosa vuole da noi Gesù. Vogliamo sentire la sua Parola quando andiamo a sentire un sermone. Questo ci sta a cuore non solo per noi stessi, ma anche per tutti coloro che, in gran numero, si sono straniati dalla Chiesa e dal suo messaggio. Certo, crediamo anche noi che tutt’altra gente ascolterebbe la Parola e ben altri si allontanerebbero da essa, se Gesù stesso, se nel sermone, Gesù solo fosse in mezzo a noi con la sua Parola. Non che la predicazione della nostra chiesa non sia più Parola di Dio; ma quale tono impuro, quante dure leggi umane, quante false speranze e consolazioni offuscano la chiarezza della Parola di Gesù e rendono difficile una scelta genuina! Non è certo solo colpa degli altri se la nostra predicazione, che senz’altro vuol essere solo annunzio di Cristo, appare loro dura e difficile, perché è farcita di formule e concetti a loro estranei. Non è certo vero che ogni parola che oggi vien detta contro la nostra predicazione è già un rifiuto di Cristo, un’opposizione al cristianesimo. Vogliamo veramente rinnegare la comunione con coloro che vengono ad ascoltare la nostra predicazione - e sono numerosi e che ciononostante sempre di nuovo devono ammettere, addolorati, che rendiamo loro troppo difficile l’accesso a Cristo? Sono convinti di non volersi sottrarre alla Parola di Gesù, ma che troppe sovrastrutture umane di istituzioni, di dottrina si frappongono tra loro e Gesù. Chi di noi non avrebbe subito pronte numerose risposte, con le quali ci possiamo facilmente sottrarre alla nostra responsabilità di fronte a loro? Ma non sarebbe pure una risposta il chiederci se non siamo spesso noi stessi a precludere la strada alla Parola di Gesù, restando forse troppo strettamente legati a determinate formule, ad un tipo di predicazione adatto a un determinato tempo e luogo e ad una determinata struttura sociale? essendo forse veramente troppo ‘dogmatici’ e troppo poco «aderenti alla vita»? ripetendo volentieri certi pensieri della Scrittura e trascurandone altri non meno importanti? annunziando sempre ancora troppo opinioni e convinzioni personali e troppo poco semplicemente Gesù Cristo? Nulla, certo, vi sarebbe di più contrario alla nostra vera intenzione ed allo stesso tempo nulla di più pernicioso per il nostro annunzio che il caricare afflitti ed oppressi, che Gesù chiama a sé, di pesanti regole umane, allontanandoli così da lui. In questo modo scherniremmo l’amore di Gesù Cristo di fronte a cristiani e a pagani! Ma dato che interrogativi generali e autoaccuse non ci sono di nessun aiuto, vogliamo lasciarci ricondurre alla Sacra Scrittura, alla Parola ed al richiamo di Gesù Cristo stesso. In questa, chiusi come siamo nella povertà e angustia delle nostre proprie convinzioni e dei nostri problemi, cerchiamo l’ampiezza e ricchezza che ci vengono donate in Gesù.
Vogliamo parlare della nostra vocazione a seguire Gesù. E così imponiamo agli uomini un nuovo pesante giogo? A tutte le regole umane, che opprimono anima e corpo, verrebbero ad aggiungersi regole ancora più dure ed ineluttabili? Richiamando alla necessità di seguire Gesù intendiamo inculcare nelle coscienze già casi preoccupate e ferite una spina ancora più acuta? Si vogliono imporre, per l’ennesima volta nella storia della Chiesa, pretese impossibili, tormentose, eccentriche, alle quali possono, si, dar seguito alcuni pochi, come a un pio lusso, che però l’uomo che lavora e che deve preoccuparsi del suo pane, della sua professione, della sua famiglia non può che rifiutare come la più empia tentazione di Dio? La Chiesa intende forse erigere una tirannia spirituale sugli uomini decidendo ed ordinando, autoritariamente e sotto minaccia di pene temporali ed eterne, quanto un uomo debba credere e fare per essere salvato? La parola della Chiesa dovrebbe imporre alle anime una nuova tirannia ed oppressione? Potrebbe anche darsi che qualcuno desideri un tale asservimento. Ma la Chiesa potrebbe mai dar seguito ad una simile richiesta?
La Sacra Scrittura, quando invita a seguire Cristo, annunzia la liberazione dell’uomo da ogni precetto fatto da uomini, da tutto ciò che pesa, che opprime, che preoccupa, da tutto ciò che tormenta la coscienza. Seguendo Cristo gli uomini si liberano dal pesante giogo delle loro proprie leggi e si pongono sotto il dolce giogo di Gesù Cristo. Forse che in questo modo la serietà dei comandamenti di Gesù è diminuita? Tutt’altro! Proprio Il dove viene mantenuto tutto il comandamento di Gesù, l’invito a seguirlo incondizionatamente, si rende possibile la totale liberazione dell’uomo e la sua piena comunione con Gesù. Chi obbedisce senza riserve al comandamento di Gesù, chi accetta il suo giogo senza alcuna opposizione, proverà quant’è dolce il peso che deve portare, riceverà nella leggera pressione di questo giogo, la forza di camminare per la via diritta senza stancarsi. Il comandamento di Gesù è duro, inumano per chi gli oppone resistenza. Il comandamento di Gesù è leggero e dolce per colui che lo accetta con prontezza. «l suoi comandamenti non sono gravosi» (1 Gv. 5,3). Il comandamento di Gesù non ha nulla a che vedere con energiche «cure dell’animo». Gesù non ci chiede nulla senza darci anche le forze per attuarlo. Il comandamento di Gesù non vuole mai distruggere la vita, ma sempre mantenerla, fortificarla, guarirla.
Ma resta ancora la domanda, che senso possa avere, oggi, l’invito a seguire Gesù per l’operaio, per l’uomo d’affari, per l’agricoltore, per il soldato; la domanda, se in questo modo nell’esistenza dell’uomo e del cristiano che lavora nel mondo non venga suscitato un insopportabile dissidio. Il cristianesimo di chi segue Gesù non sarebbe accettabile solo da una minima parte di uomini? Non si rischierebbe di respingere la massa del popolo? di disprezzare i deboli e poveri? Non si rinnegherebbe proprio così la grande misericordia di Gesù Cristo, che è venuto dai peccatori e pubblicani, dai poveri e deboli, da chi erra e dispera? Che dire? Sono pochi o sono molti coloro che appartengono a Cristo? Gesù è morto sulla croce, solo, abbandonato dai suoi discepoli. Accanto a lui erano crocefissi non due dei suoi fedeli, ma due malfattori. Ma sotto la croce c’erano tutti: nemici e credenti, dubbiosi e paurosi, schernitori e vinti, e Gesù pregò per tutti e per tutti implorò il perdono. L’amore misericordioso di Dio vive in mezzo ai suoi nemici. È lo stesso Gesù Cristo la cui grazia invita noi a seguirlo e la cui grazia salva il malfattore crocefisso nella sua ultima ora.
L’invito a seguirlo dove condurrà coloro che lo seguono? Quali scelte e quali divisioni porterà con sé? Questa domanda dobbiamo rivolgerla a Colui che solo sa darci una risposta. Gesù Cristo, che ci comanda di seguirlo, è il solo a sapere dove ci condurrà questa via. Ma noi sappiamo che sarà senz’altro una via indicibilmente misericordiosa. Seguire Gesù è letizia.
Oggi pare così difficile percorrere con decisione la stretta via della scelta della Chiesa ed allo stesso tempo rimanere nell’ampiezza e profondità dell’amore di Cristo per tutti gli uomini, della pazienza, della misericordia, della ‘filantropia’ di Dio (Tt.3,4) accanto ai deboli ed agli atei; eppure le due cose devono restare insieme, altrimenti percorriamo vie umane. Il Signore ci doni, in tutta la serietà con cui desideriamo seguirlo, la gioia; in tutto il nostro rifiuto del peccato l’accettazione del peccatore; in tutta la nostra lotta contro i nemici la Parola dell’Evangelo che sa vincere e conquistare.
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e affaticati, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo alle vostre anime, perché il mio giogo è soave e il mio peso leggero (Mt. 11,28)».
PARTE PRIMA
La grazia a caro prezzo
La grazia a buon prezzo è il nemico mortale della nostra Chiesa. Noi oggi lottiamo per la grazia a caro prezzo.
Grazia a buon prezzo è grazia considerata materiale da scarto, perdono sprecato, consolazione sprecata, sacramento sprecato; grazia considerata magazzino inesauribile della Chiesa, da cui si dispensano i beni a piene mani, a cuor leggero, senza limiti; grazia senza prezzo, senza spese. L’essenza della grazia, così si dice, è appunto questo, che il conto è stato pagato in anticipo, per tutti i tempi. E così, se il conto è stato saldato, si può avere tutto gratis. Le spese sostenute sono infinitamente grandi, immensa è quindi anche la possibilità di uso e di spreco. Che senso avrebbe una grazia che non fosse grazia a buon prezzo?
Grazia a buon prezzo è grazia intesa come dottrina, come principio, come sistema; è perdono dei peccati inteso come verità generale, come concetto cristiano di Dio. Chi la accetta, ha già ottenuto il perdono dei peccati. La Chiesa che annunzia questa grazia, in base a questo suo insegnamento è già partecipe della grazia. In questa Chiesa il mondo vede cancellati, per poco prezzo, i peccati di cui non si pente e dai quali tanto meno desidera essere liberato. Grazia a buon prezzo, perciò, è rinnegamento della Parola vivente di Dio, rinnegamento dell’incarnazione della Parola di Dio.
Grazia a buon prezzo è giustificazione non del peccatore, ma del peccato. Visto che la grazia fa tutto da sé, tutto può andare avanti come prima. «È inutile che ci diamo da fare». Il mondo resta mondo e noi restiamo peccatori «anche nella migliore delle vite». Perciò anche il cristiano viva come vive il mondo, si adegui in ogni cosa al mondo e non si periti in nessun modo - a scanso di essere accusato dell’eresia di fanatismo - di condurre, sotto la grazia, una vita diversa da quella che conduceva sotto il peccato. Si guardi bene dall’infierire contro la grazia, dall’offendere la grande grazia data a buon prezzo, dall’erigere una nuova schiavitù dell’interpretazione letterale, tentando di condurre una vita in obbedienza ai comandamenti di Gesù Cristo! Il mondo è giustificato per grazia, e perciò - in nome della serietà di questa grazia! per non opporsi a questa insostituibile grazia! - il cristiano viva come vive il resto del mondo! Certo, il cristiano desidererebbe fare qualcosa di straordinario; è senza dubbio la rinuncia più difficile quella di non farlo, ma di dover vivere come il mondo! Ma il cristiano deve accettare questo sacrificio, essere pronto a rinunciare a se stesso e a non distinguersi, nel suo modo di vivere, dal mondo. Deve lasciare che la grazia sia veramente grazia, in modo da non distruggere la fede del mondo in questa grazia a buon prezzo. Il cristiano sia, nella sua vita secolare, in questo sacrificio inevitabile che deve compiere per il mondo - anzi, per la grazia! - tranquillo e sicuro nel possesso di questa grazia che fa tutto da sé. Il cristiano, dunque, non segua Cristo, ma si consoli della grazia! Questa grazia a buon prezzo, che è giustificazione del peccato, e non giustificazione del peccatore penitente che si libera dal suo peccato e torna indietro; non perdono del peccato che separa dal peccato. Grazia a buon prezzo è quella grazia che noi concediamo a noi stessi.
Grazia a buon prezzo è annunzio del perdono senza pentimento, è battesimo senza disciplina di comunità, è Santa Cena senza confessione dei peccati, è assoluzione senza confessione personale. Grazia a buon prezzo è grazia senza che si segua Cristo, grazia senza croce, grazia senza il Cristo vivente, incarnato.
Grazia a caro prezzo è il tesoro nascosto nel campo, per amore del quale l’uomo va e vende tutto ciò che ha, con gioia; la perla preziosa, per il cui acquisto il commerciante dà tutti i suoi beni; la Signoria di Cristo, per la quale l’uomo si cava l’occhio che lo scandalizza, la chiamata di Gesù Cristo che spinge il discepolo a lasciare le sue reti e a seguirlo.
Grazia a caro prezzo è "l’Evangelo che si deve sempre di nuovo cercare, il dono che si deve sempre di nuovo chiedere, la porta alla quale si deve sempre di nuovo picchiare.
È a caro prezzo perché ci chiama a seguire, è grazia, perché chiama a seguire Gesù Cristo; è a caro prezzo, perché l’uomo l’acquista al prezzo della propria vita, è grazia, perché proprio in questo modo gli dona la vita; è cara, perché condanna il peccato, è grazia, perché giustifica il peccatore. La grazia è a caro prezzo soprattutto perché è costata molto a Dio; a Dio è costata la vita del suo Figliolo - «siete stati comperati a caro prezzo» - e perché per noi non può valere poco ciò che a Dio è costato caro. È soprattutto grazia, perché Dio non ha ritenuto troppo caro il suo Figlio per riscattare la nostra vita, ma lo ha dato per noi. Grazia cara è l’incarnazione di Dio.
Grazia a caro prezzo è la grazia ritenuta cosa sacra a Dio, che deve essere protetta di fronte al mondo, che non deve essere gettata ai cani; è grazia perché Parola vivente, Parola di Dio, che lui stesso pronuncia come gli piace. Essa ci viene incontro come misericordioso invito a seguire Gesù, raggiunge lo spirito umiliato ed il cuore contrito come parola di perdono. La grazia è a caro prezzo perché aggioga l’uomo costringendolo a seguire Gesù Cristo, ma è grazia il fatto che Gesù ci dice: «Il mio giogo è soave e il mio peso leggero».
Due volte è stata rivolta a Pietro la chiamata: seguimi!
È stata la prima e l’ultima parola di Gesù al suo discepolo (Mc 1,17; Gv. 21,22). Tutta la vita di questo è posta tra queste due chiamate. La prima volta Pietro ha sentito l’invito di Gesù sul lago di Genezaret ed ha abbandonato le sue reti, la sua professione, e lo ha letteralmente seguito. L’ultima volta il Risorto lo trova di nuovo nella sua professione di prima, sul lago di Genezaret, ed ancora una volta gli dice: seguimi! Frammezzo c’è stata tutta una vita di discepolato al seguito di Cristo; al centro la sua professione di fede in Gesù come il Cristo (l’unto) di Dio. Tre volte a Pietro fu annunziata la stessa cosa: al principio e alla fine a Cesarea di Filippo, che, cioè, Cristo è il suo Dio e il suo Signore. È la stessa grazia di Dio che lo chiama: seguimi! e che si manifesta nella sua professione di fede nel Figlio di Dio.
Per tre volte la grazia si è fermata sulla via di Pietro: una grazia annunziata tre volte in maniera diversa; e così fu la grazia di Cristo stesso, e non certo una grazia che il discepolo si annunziava da se stesso. Fu la stessa grazia di Cristo che vinse il discepolo e lo indusse ad abbandonare tutto per seguirlo, la stessa che operò in lui la professione di fede, che a tutto il mondo doveva apparire una blasfemia, la stessa che richiamò l’infedele Pietro alla comunione del martirio e gli perdonò così tutti i peccati. Grazia è seguire Cristo, nella vita di Pietro, sono indissolubilmente legati. Egli aveva ricevuto la grazia a caro prezzo.
Con la diffusione del cristianesimo e la progressiva secolarizzazione della Chiesa, a poco a poco la conoscenza della grazia a caro prezzo andò perduta. Il mondo era cristianizzato; la grazia era divenuta un bene comune a tutto il mondo cristiano. La si poteva ottenere a poco prezzo. Ma la chiesa romana conservò un resto della sua conoscenza primitiva. Fu un fatto di importanza decisiva che il monachesimo non si separò dalla Chiesa e che la prudenza della chiesa sopportò il monachesimo. Qui, ai margini della Chiesa, era il luogo dove si manteneva ancora viva la conoscenza del prezzo della grazia, dove si sapeva che la grazia è a caro prezzo, che la grazia include la necessità di seguire Gesù. Ci furono uomini che per amore di Cristo abbandonavano tutto ciò che possedevano e cercavano di seguire, in quotidiano esercizio, i severi comandamenti di Gesù. E la vita monastica divenne una protesta vivente contro la secolarizzazione del cristianesimo, contro lo svilimento della grazia. Ma la Chiesa, sopportando questa protesta e non permettendo che scoppiasse completamente, non solo la relativizzò, ma, anzi, ne trasse persino la giustificazione della sua propria vita secolarizzata; perché così la vita monastica divenne una particolare opera meritoria di singoli, alla quale il popolo non poteva essere impegnato in massa. La fatale limitazione dei comandamenti di Gesù, ritenuti validi solo per un determinato gruppo di persone particolarmente qualificate, portò alla distinzione in prestazione massima e prestazione minima dell’obbedienza cristiana.
E così ad ogni ulteriore attacco contro la secolarizzazione della Chiesa si poteva rispondere rimandando alla vita monastica entro la Chiesa, accanto alla quale l’altra possibilità di una via più facile era senz’altro giustificata. Così il rinvio al concetto di grazia a caro prezzo com’era inteso nella chiesa primitiva e come fu mantenuto nella chiesa di Roma mediante il monachesimo, servì paradossalmente a sua volta a dare l’ultima giustificazione alla secolarizzazione della Chiesa. In tutto ciò l’errore fondamentale del monachesimo non consisteva nel fatto che - con tutti i malintesi di contenuto di fronte alla volontà di Gesù - esso aveva scelto la via della grazia nella severa imitazione di Gesù; il monachesimo, piuttosto, si allontanava fondamentalmente dal cristianesimo per il fatto che permise che la sua via divenisse un’opera particolare di alcuni pochi e pretendeva che si vedesse in questa via un particolare merito. Quando il Signore risvegliò, mediante il suo servitore Martin Lutero, nella Riforma, l’Evangelo della grazia pura, a caro prezzo, egli fece passare Lutero per il monastero. Lutero fu monaco. Aveva abbandonato tutto e voleva seguire il Cristo in assoluta obbedienza. Rinunciò al mondo e si dedicò all’opera cristiana. Imparò a obbedire a Cristo e alla sua Chiesa, perché sapeva che solo chi obbedisce può credere. La vocazione ad entrare nel convento costò a Lutero l’impegno totale della sua vita. Lutero naufragò in questa sua via «andando a sbattere» contro Dio stesso. Dio, tramite la Sacra Scrittura, gli mostrò che seguire Cristo non è una particolare opera meritoria di alcuni singoli, ma comandamento divino rivolto a tutti i cristiani. L’umile atto di seguire Cristo era divenuto, nel monachesimo, opera meritoria dei santi. La rinuncia al proprio io di chi seguiva Cristo si svelò qui come estrema affermazione spirituale di se stessi da parte degli uomini pii. Con questo il mondo aveva fatto irruzione nel monachesimo stesso e agiva di nuovo nella maniera più pericolosa. L’evasione del mondo lontano dal mondo si era svelata come il più raffinato modo di amare il mondo. In questo naufragio dell’ultima possibilità di condurre una vita devota Lutero afferrò la grazia. Nel crollo del mondo monastico egli riconobbe la mano salvatrice di Dio tesa in Cristo. Egli l’afferrò convinto nella sua fede che «tutte le nostre opere sono inutili, anche nella migliore delle vite». Era una grazia a caro prezzo quella che gli si offriva, e spezzò tutta la sua esistenza. Egli dovette abbandonare un’altra volta le sue reti e seguire. La prima volta, quando entrò in convento, aveva lasciato dietro di sé tutto tranne se stesso, tranne il suo pio ‘io’; questa volta gli fu tolto anche questo. Seguì non per un suo qualche merito proprio, ma per la grazia di Dio. Non gli fu detto: «hai, sì, peccato, ma ora tutto è perdonato; resta pure dove eri prima e consolati con il perdono!». Lutero dovette abbandonare il convento e tornare nel mondo, non perché il mondo fosse buono e sacro in sé, ma perché anche il convento non era altro che mondo.
Il ritorno di Lutero dal convento nel mondo era l’attacco più grave condotto contro il mondo dopo i primordi del cristianesimo. La rinuncia al mondo da parte del monaco era una cosa da niente di fronte alla rinuncia che il mondo ebbe a subire da parte di chi tornava nel mondo. Ora l’attacco era frontale. Si doveva seguire Gesù in mezzo al mondo, ora. Ciò che si compiva come opera meritoria nelle particolari situazioni e facilitazioni della vita monastica era ora divenuto necessità, comandamento rivolto ad ogni cristiano nel mondo. L’assoluta obbedienza al comandamento di Gesù doveva ora essere messa in atto nella vita quotidiana e nella professione. Così il conflitto tra la vita del cristiano e la vita del mondo si aggravò in maniera imprevedibile. Il cristiano incalzava il mondo. Ora era una lotta «corpo a corpo».
Non si può fraintendere in maniera peggiore l’atto di Lutero che credendo che egli, con la scoperta dell’Evangelo della pura grazia, abbia proclamato la dispensa dall’obbedienza al comandamento di Gesù nel mondo, che la scoperta della Riforma sia stata la canonizzazione, la giustificazione del mondo mediante la grazia che perdona tutto. La professione laica del cristiano per Lutero trova la sua giustificazione solo nel fatto che in essa la protesta contro il mondo viene espressa in tutto il suo rigore. Solo in quanto il cristiano esercita la sua professione seguendo Gesù, questa ha acquistato un nuovo diritto basato sull’Evangelo. Non la giustificazione del peccato, ma la giustificazione del peccatore fu la ragione del ritorno di Lutero dal convento nel mondo. A Lutero era stata donata una grazia a caro prezzo: grazia perché era acqua per il campo assetato, consolazione per la paura, liberazione dalla schiavitù della via scelta da lui stesso, perdono di tutti i peccati; ma questa grazia era a caro prezzo, perché non dispensava dall’agire, anzi, rendeva infinitamente più rigorosa l’invito a seguire Gesù. Proprio, però, lì dove era a caro prezzo, era la grazia, e dove era grazia lì era a caro prezzo. Ecco il segreto dell’Evangelo della Riforma, il segreto della giustificazione del peccatore.
Eppure non è la grazia, come era stata conosciuta da Lutero, a trionfare nella storia della Riforma, ma il vigile istinto religioso dell’uomo, sempre pronto a trovare il luogo dove si può ottenere la grazia a minor prezzo. Bastò un leggerissimo, appena percettibile spostamento di accento, perché si compisse l’opera più perniciosa e pericolosa. Lutero aveva insegnato che l’uomo non può giustificarsi davanti a Dio nemmeno con le sue vie e le sue opere migliori, perché, in fondo, egli cerca sempre se stesso. In questa sua situazione così misera egli aveva afferrato per fede la grazia del perdono libero e incondizionato di tutti i suoi peccati. E Lutero sapeva che questa grazia gli era costata, e gli costava ogni giorno, la vita, poiché la grazia non lo dispensava dal seguire Cristo, ma anzi ve lo spingeva ancor più. Quando Lutero parlava della grazia, intendeva sempre riferirsi anche alla vita che solo tramite la grazia era stata sottoposta pienamente all’obbedienza a Cristo. Non poteva parlare della grazia se non in questo modo. È la grazia sola ad agire, aveva detto Lutero, ed i suoi discepoli lo ripetevano alla lettera, con la sola differenza che ben presto lasciarono da parte, sia nel pensiero che nelle parole, ciò che era sempre stato pensiero ovvio per Lutero, cioè la necessità di seguire Gesù; Lutero non aveva bisogno di esprimere questo pensiero, perché parlava sempre come uno che dalla grazia era stato condotto per la via più difficile del discepolato. L’insegnamento dei suoi seguaci, quindi, proveniva senz’altro dall’insegnamento di Lutero, eppure questo insegnamento segnò la fine e la