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Le incredibili curiosità di Roma
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E-book282 pagine3 ore

Le incredibili curiosità di Roma

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Info su questo ebook

I luoghi, i personaggi e le leggende che ancora oggi rendono vive le storie della Città Eterna

Roma è una risorsa inesauribile di aneddoti e curiosità e in questa guida si approfondiscono le più incredibili e sconosciute. Claudio Colaiacomo, grande appassionato della storia della Città Eterna, a cui ha dedicato otto libri, accompagna il lettore alla scoperta degli aspetti più singolari della storia di Roma, i suoi luoghi, i personaggi e gli indizi che ancora oggi rendono vive le storie del passato. Un invito a passeggiare, percorrendo tremila anni di storia concentrati in un unico intreccio di strade: dagli albori dell’Urbe, alle raffinatezze dell’Impero; dal buio del Medioevo alla straordinaria rinascita della cultura; fino ai conflitti mondiali e ai giorni nostri. Questa opera è un invito a guardare la città con una prospettiva nuova, quella dei secoli che l’hanno attraversata, come se Roma fosse un punto fermo, eterno e incredibile attorno al quale danza la storia.

Un invito a passeggiare, percorrendo tremila anni di storia

Tra gli argomenti trattati:

Reliquie, Fattucchiere e Stregoni tra storia e leggenda
Gli altri colossei di Roma
Il secondo arco di Tito e lo stadio di Massenzio
Obelischi da record
Una mappa del tesoro per Roma
Il dono per l’imperatore dannato
Michelangelo a spasso per Roma
Quando le bombe caddero a casa del papa
Quattro campanili davvero speciali
Ponti scomparsi, curiosi e sfortunati
Costantino e la sua famiglia in periferia
A nascondino tra i Teatri
Una volta nella vita a Roma
Claudio Colaiacomo
è nato a Roma nel 1970. Laureato in Fisica, dirigente d’azienda, coach professionista e counselor. I suoi interessi spaziano dalla storia di Roma antica e moderna, la cultura popolare romana e il dialogo tra scienza, filosofia e religione. È sposato e vive a Roma. Con la Newton Compton ha pubblicato Il giro di Roma in 501 luoghi, Roma perduta e dimenticata, I Love Roma, Keep calm e passeggia per Roma, Il romanzo della grande AS Roma, Il libro dei viaggi nel tempo di Roma, Forse non tutti sanno che la grande Roma… e Le incredibili curiosità di Roma.
LinguaItaliano
Data di uscita9 nov 2020
ISBN9788822751126
Le incredibili curiosità di Roma

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    Anteprima del libro

    Le incredibili curiosità di Roma - Claudio Colaiacomo

    ES732-cover.jpg

    732

    Prima edizione ebook: novembre 2020

    © 2020 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5112-6

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Manuela Carrara per Corpotre

    Claudio Colaiacomo

    Le incredibili curiosità

    di Roma

    I luoghi, i personaggi e le leggende che ancora oggi rendono vive

    le storie della Città Eterna

    Newton Compton editori

    A Giuditta Dilly felino ribelle

    ringraziamenti

    Un sentito grazie va a chi mi ha ispirato e a chi mi è stato vicino durante la lunga stesura del libro, alla mia famiglia e a chi mi vuole bene. Un grazie particolare a Simona Del Pinto che con il suo occhio fantasy è stata un prezioso aiuto.

    Indice

    Introduzione

    La maledizione della Pietra Nera

    L’orologio del sole

    La santa che non esiste

    Le antiche zone malfamate

    Stazione Colosseo

    Reliquie, fattucchiere e stregoni tra storia e leggenda

    Perduti e dimenticati

    Gli altri colossei di Roma

    Le porte svanite nel tempo

    Chi difende Roma?

    Il secondo arco di Tito e lo stadio di Massenzio

    Obelischi da record

    Una mappa del tesoro per Roma

    Il dono per l’imperatore dannato

    I ponti morti e risorti sull’Aniene

    Un tuffo all’inferno

    L’eco dell’eternità

    Costantino e la sua famiglia ai limiti della città

    La periferia al centro di Roma

    L’acquedotto più umile

    Gli angeli dell’epidemia

    Il serraglio degli ebrei

    La casa dei nemici di Roma

    Torri curiose

    Michelangelo a spasso per Roma

    L’inferno attorno al Vaticano

    È giunta l’ora

    Roma sul Tevere

    La Minerva gotica e i fantasmi del purgatorio

    Spiagge romane

    Nei cieli di Roma

    Quattro campanili davvero speciali

    Ponti scomparsi, curiosi e sfortunati

    Eroi di un sogno

    La lupa il leone e l’elefante

    Quando le bombe caddero a casa del papa

    Sirene rifugi e catenarie

    A nascondino tra i teatri

    La Coppa del Mondo negli stadi che non ci sono più

    Una volta nella vita a Roma

    Da non crederci

    Prima del calcio

    I binari invisibili attorno a Roma

    Dogman

    Bibliografia

    Introduzione

    Questo è il settimo libro in cui mi sono appassionato a raccontarvi Roma dalla prospettiva della curiosità, e dell’aneddoto. Basta dare un’occhiata alla bibliografia di quest’opera per rendersi conto di quanto sia ricca la produzione sulle curiosità romane in moltissime forme ed epoche storiche. Forse i primi scritti sono quelli che ci hanno lasciato i viaggiatori del Grand Tour di due secoli fa. Mi viene in mente Goethe oppure Gregorovius nel suo incantevole Passeggiate romane. Si tratta di un modo di raccontare Roma da dentro che non può prescindere dall’amarla. Così sono le opere di Mario dell’Arco, oppure di Adinolfi, Staccioli o Rendina: tutte hanno in comune la passione per Roma. Così è per me, l’amore è la mia lanterna per raccontare questa straordinaria città, il mio filo d’Arianna legato stretto al cuore. Questo perché, a differenza di molte metropoli del mondo, Roma attira l’interesse di storici, archeologi, letterati, filosofi, architetti e sociologi; gente mossa dall’intelletto, dal desiderio di scoperta per così dire accademico. Ma l’intelletto è solo la parte più costretta del nostro essere a differenza del cuore, che è la parte più libera, senza confini, che ci sorprende sempre. Roma ha un enorme pubblico di innamorati e io sono certamente tra questi. Per noi la storia della città non basta, non ci fermiamo a una data o al nome di quel papa o quell’imperatore. Ciò che desideriamo è entrare in relazione con la gente, le atmosfere, le emozioni e l’intimità di Roma. Vi invito a fare pace con tutto ciò. A scuola ci hanno insegnato il rigore della storia tralasciando troppo spesso la parte emotiva. È sempre stato più importante ricordarsi la data ufficiale della caduta dell’Impero romano piuttosto che comprendere dal profondo com’era Roma a quel tempo e cosa facesse la sua gente. Abbiamo imparato a memoria le date di battaglie e incoronazioni ma pochissimo della gente comune, quei tu e io di tutti i tempi che Roma la vivevano sulla propria pelle con tutto il carico di emozioni e sentimenti. Cosa frullasse nella mente di Giulio Cesare mentre preparava la campagna contro i galli non lo sapremo mai. Gli schemi mentali, il pensiero prendono forma in maniera sempre nuova in ognuno di noi e seguono il contesto storico e sociale, roba da studiosi. Le emozioni invece no, sono molto più stabili e universali, varia solo l’intensità, e questo ha il potere di metterci in relazione diretta con tutti. Ecco perché scrivo di Roma con la prospettiva di emozionare, di parlare al cuore scovando le curiosità più intriganti e nascoste. Vi suggerisco di spogliarvi completamente di tutte quelle nozioni imparate a scuola, qui vi saranno poco utili. Aprite invece la vostra sensibilità e scorrete le pagine con quell’affettuosità per Roma che vi ha portato a leggere queste righe. Entrare in una chiesa con l’esitazione di non conoscerne il nome oppure con il sottile senso di colpa che assale per non sapere in che stile è stata costruita sono solo impedimenti all’esperienza diretta con quella meraviglia. Un dipinto, un’opera d’arte, un capitello sono stati creati per parlare al vostro cuore, non al vostro intelletto, quindi buttate via ogni ricordo di professori severi e interrogazioni, date storiche e nomi di papi da memorizzare e sintonizzatevi con Roma nel suo profondo, attingendo a ciò che vi muove il cuore. È così che ho scritto queste pagine, e sebbene scoprirete solidi riferimenti storici, troverete più spesso l’accento sulla gente, le tradizioni e quel continuum storico che ci lega cuore e mente a ogni romano di ogni tempo, ogni viandante e ogni chiunque sia entrato in relazione con Roma.

    Questo libro è nato durante il lockdown. Le parole scorrevano e le pagine si formavano mentre la città sprofondava nell’ansia e nella paura. Mentre scrivo queste frasi, la pandemia, ancora una volta non promette nulla di buono. Ho vagato per le strade deserte di Roma in quei giorni dove gli unici suoni erano quelli delle campane e delle fontane, ho percepito la sofferenza della città, le saracinesche chiuse, l’ululare delle ambulanze, l’erba che spuntava dai sampietrini senza più nessuno a calpestarli. Dalla balaustra di Ponte Sisto guardavo il Tevere. Incantarmi tra il fluire dell’acqua è un modo a cui ricorro quando ho voglia di penetrare la città negli occhi, quella parte viva che lascia trapelare la sua anima. Roma mi rassicura quando le certezze vacillano, come un vecchio saggio che coglie l’essenza della Verità ma non ha altro modo per comunicarla se non parlando al tuo cuore. Mi auguro che questo libro vi colga nel profondo.

    La maledizione

    della Pietra Nera

    È incredibile come dopo due millenni, Roma conservi ancora i luoghi esatti dove è passata la storia del mondo, terra di eventi decisivi, influenzata da personaggi le cui gesta ispirano fantasia e riempiono le pagine dei libri. È proprio di un luogo così che vi voglio raccontare, un luogo per molti versi misterioso e capace ancora di evocare un incredibile fascino ed emozionare. Con discrezione e riserbo custodisce uno dei misteri più grandi e irrisolti di Roma. Andiamo per ordine. Nel 1899 l’intera area del Foro Romano non era ancora stata scavata. Ruderi e rovine infatti sono ben al di sotto del livello stradale, una sorta di grande buca che per secoli è rimasta sepolta. Tra colonne e capitelli che affioravano in mezzo a ciuffi d’erba, pascolavano le pecore e le mucche si abbeveravano presso un grande fontanile adagiato tra le antiche vestigia. Sotto lo sguardo perplesso di qualche pastore, l’archeologo Giacomo Boni era impegnato in una campagna di scavi proprio in questa zona. La sorpresa fu grande quando sotto le lastre di marmo che costituivano il pavimento dell’area dove i romani tenevano i comizi pubblici, fu rinvenuta una pavimentazione molto più antica, fatta di pietra lavica nera che formava un piccolo quadrilatero. Ora, una pietra nera di per sé non sarebbe nulla di eclatante ma qualcosa non quadrava. Gli archeologi si domandavano: perché proprio lì? E soprattutto perché ricopriva solo una piccola area? Le stranezze erano tante, quella pietra sembrava indicare qualcosa, ma cosa? La sete di conoscenza guidò pale e scalpelli a scavare in profondità e non ci volle molto per scoprire che nel sottosuolo si nascondeva una cavità, una misteriosa cripta giunta fino a noi, attraversando il tempo con tutti i suoi segreti. Tra lo stupore degli archeologi e la curiosità dei cittadini vennero alla luce gli indizi di un luogo sacro. Dalla terra emerse la base di una statua, un altare, statuette votive e persino resti di animali. I romani usavano le statuette per rendere omaggio o per rabbonire le divinità e le anime degli antenati, i resti animali indicavano i sacrifici compiuti per qualcuno o qualcosa di molto significativo. Ma la scoperta più incredibile fu un cippo di tufo, un pezzo di colonna sul quale erano distintamente incisi caratteri piuttosto singolari, lettere in latino arcaico, la lingua dei nostri padri che muoveva i primi passi, così acerba che chi scrisse quei versi prese in prestito le lettere dell’alfabeto greco. Le sorprese non finivano lì perché il testo non era scritto da sinistra verso destra e neppure all’inverso. Le parole procedevano prima a sinistra poi a destra in un continuo di frasi discendenti che sembravano muoversi sinuosamente come un serpente. Cosa c’era scritto? È questo il mistero dei misteri che ancora oggi appassiona studiosi di tutto il mondo, perché le parole, seppur chiare, sono di difficile interpretazione. Senza girarci troppo intorno, quelle lettere compongono una maledizione che invoca un ignoto re degli inferi al quale veniva affidata l’anima dei profanatori. Cosa c’era da proteggere non era chiaro, di certo si trattava di una persona molto importante per essersi meritata un santuario del genere, nel Foro Romano, con un demone a guardia e per di più ai piedi del primo colle di Roma, il Campidoglio. I mosaici del puzzle erano tutti lì, dovevano solo essere ricomposti. L’iscrizione risaliva a circa duecento anni dopo la fondazione di Roma, dunque all’epoca dei Sette Re. La pietra nera era invece di epoca repubblicana, pochi anni prima della nascita di Cristo, dunque messa lì per coprire il luogo. I ritrovamenti e le citazioni di antichi scrittori convinsero a individuare qui il santuario di Romolo, o forse il posto in cui fu ucciso, ma poteva trattarsi anche della sepoltura di un membro della famiglia reale, forse suo padre adottivo Faustolo, il pastore che trovò lui e il fratellino Remo a poppare il latte dalla lupa acciambellata teneramente attorno a loro. A tutti i reperti manca la porzione superiore come se fossero stati tagliati e sepolti prima di apporci la pietra nera, il Lapis Niger appunto. La pietra fu messa lì probabilmente come monito per quella cripta da evitare, con tanto di maledizione incisa in bella vista nel sottosuolo. Ma perché la sepoltura di Romolo o di suo padre avrebbero reso il luogo maledetto? È un espediente, una trovata camaleontica per mimetizzare e quindi proteggere la sacralità del luogo da eventuali invasori. Una sorta di attenti al cane quando sappiamo bene che il cane non c’è. Lo stratagemma funzionò poiché né i celti di Brenno, che per primi saccheggiarono Roma, né tutti i barbari che seguirono, riuscirono a profanare il luogo, e con il trascorrere dei secoli persino i romani si dimenticarono del santuario fino a quel 10 gennaio del 1899, quando Giacomo Boni lo ritrovò conquistando, in questo modo e a sua insaputa, il titolo poco invidiabile di primo profanatore. A questo punto è lecito chiedersi che fine fece Giacomo Boni e se la sua anima fu affidata al misterioso re degli inferi, magari colpito da maledizione come si dice accadde ai profanatori della tomba di Tutankamon. L’archeologo era affascinato dall’esoterismo, studiava il paganesimo e fu persino preso in simpatia dal giovane Mussolini per il suo interesse ai riti religiosi dell’antica Roma. Morì, giovane, senza nessun mistero, nel 1925 all’età di sessantasei anni; le sue spoglie sono sepolte sul Palatino, tra i resti di ciò che più amava, Roma antica. Se queste righe hanno suscitato in voi curiosità, potete visitare la tomba del Boni, è a lui che dovete una buona parte dello scavo del Foro. Ma fate attenzione se andate a far visita al Lapis Niger o se scegliete di scendere nella misteriosa cripta, perché anche voi potreste essere considerati profanatori! Gli antichi romani lo protessero con lastre di marmo nero, noi romani moderni lo abbiamo coperto con le impalcature di un lunghissimo restauro che da oltre dieci anni rende il luogo nuovamente inaccessibile, come se l’antica maledizione, in un modo o nell’altro, fosse riuscita a proteggere ancora una volta la sacralità del santuario dalle orde dei nuovi barbari.

    Il Lapis Niger, in una ricostruzione di Christian Hülsen (1905).

    Un’ultima curiosità. Tra l’interminabile schiera di monumenti sopravvissuti nel Foro ce ne sono tre, fragili e del tutto sconosciuti, anche se le cronache antiche li ricordano al pari di archi trionfali e templi. Plinio il Vecchio ci racconta di tre piante sacre proprio qui: una vite a simbolo della forza di Roma, un ulivo per celebrare la sua linfa vitale e un arbusto di fico per ricordare l’allattamento di Romolo e Remo da parte della lupa che avvenne, secondo la tradizione, proprio nei pressi di una rigogliosa pianta del genere. Oggi all’ombra dei ruderi le tre piante ci sono ancora, o meglio i loro discendenti. Non più in zona centrale, ma piuttosto defilate al punto che in pochi ci fanno caso. Non sono molto distanti dal Lapis Niger, nella zona più sacra e più misteriosa, a ridosso delle pendici del Campidoglio tra il tempio di Saturno, l’arco di Settimio Severo e l’edificio della Curia. Un’area ricchissima di monumenti e così importante al punto che in antichità venne persino eretta una singolare costruzione a indicare il centro fisico di tutto l’Impero romano. L’umbilicus Urbis, il vero ombelico del mondo antico. È ancora lì, un po’ malridotto, ma segna il punto da cui si irradiava quella linfa e quella forza che ulivo e vite ancora rappresentano. Spero di avervi incuriosito, una visita al Foro Romano, alla ricerca di curiosità e significati nascosti, è un tuffo nella storia di Roma che non dovete perdervi!

    L’orologio del sole

    Che i romani facessero le cose in grande lo sappiamo tutti. Mi ha sempre affascinato quella capacità di pensare e realizzare imprese che tutt’oggi in pochi hanno coraggio persino di sognare. Non mi riferisco solo alle dimensioni fisiche delle loro opere, ma anche alla dimensione delle idee, come l’ordinamento politico, la filosofia, il commercio e l’estensione di un impero tra i più imponenti e longevi della storia. Prendete come esempio gli obelischi egizi. A Roma ce ne sono ben tredici, più di quanti ne esistano in qualsiasi altro luogo del mondo, Egitto compreso. Monoliti così antichi da essere pezzi di archeologia persino per i romani stessi. Pensate lo spirito onnipotente che doveva pervadere la mente dei nostri antenati per immaginare il trasporto di quelle pesantissime steli di granito attraverso il mare, su imbarcazioni di legno fino a Roma, per ornare edifici spesso mai realizzati prima. È un po’ come se dopo un’ipotetica conquista dell’Egitto moderno da parte di un tiranno questo decida di trasportare le piramidi intere per ornare la piazza della sua capitale! A dire il vero due leader discussi dei nostri tempi provarono goffamente a fare una cosa simile. Uno fu l’italico dittatore Mussolini, che nel 1937 portò il piccolo obelisco dalla cittadina etiopica di Axum a Roma, dove è rimasto fino al 2003. L’altro fu il leader della Repubblica di Weimar, von Hindenburg, che trasportò a Berlino un portale intero dell’antica città di Babilonia, che si trova ancora al museo Pergamon, aprendo la strada alle migliaia di opere d’arte che pochi anni più tardi Hitler avrebbe trafugato in giro per il mondo. In entrambi i casi, i trasporti furono compiuti con moderni mezzi meccanizzati e possenti navi cargo. Dieci anni prima della nascita di Cristo l’imperatore Augusto realizzò un progetto così ambizioso a cui se non ci fossero tutt’oggi tracce ben visibili, avremmo difficoltà a credere. Sulla spianata del Campo Marzio creò un immenso orologio solare grande come un paio di campi da calcio, lastricato di marmo e ornato da un enorme obelisco, che proiettava la sua ombra per scandire il tempo del giorno, i mesi, le stagioni e con un gioco di ombre e allineamenti celebrava la figura dell’imperatore. Tutto iniziò quando, nella piccola città di Eliopoli sulle rive del Nilo nei pressi del Cairo, un esercito di schiavi impiegati dai romani smontarono due steli alte trenta metri ciascuna. La più giovane aveva mezzo millennio mentre la più antica quasi 1300 anni. Ci vollero mesi per il trasporto, prima lungo il Nilo per oltre duecento chilometri a bordo di chiatte fluviali, poi su due navi attraverso il Mediterraneo, fino alla foce del Tevere. Le imbarcazioni erano talmente grandi che finito il trasporto, si pensa furono affondate presso il porto di Ostia, talmente erano ingombranti e inutilizzabili. L’obelisco più antico finì a ornare la spina del Circo Massimo (oggi lo trovate in piazza del Popolo), l’altro fu adoperato per l’immenso orologio solare di Augusto. Provate a immaginare un ampio rettangolo di marmo bianchissimo, solcato da linee curve intersecate da linee rette, numeri, simboli e lettere tutti di luccicante bronzo dorato. A metà di un lato s’innalzava l’obelisco che con la sua ombra segnava il tempo proprio come fa una meridiana. Questa incredibile costruzione occupava l’area che oggi si estende tra le piazze del Parlamento e San Lorenzo in Lucina. Purtroppo, con la caduta dell’Impero romano, l’orologio andò in disuso e presto fu sepolto da nuove costruzioni. L’obelisco però rimase in piedi per quasi mille anni ancora, mentre Roma decadeva tutt’intorno, poi crollò finendo anch’esso sepolto e dimenticato. Quando fu rinvenuto erano passati secoli, era il 1748, e le sue condizioni erano pessime: malconcio, fratturato in cinque pezzi e annerito dalle fiamme dell’incendio che probabilmente lo fece crollare. Era nei sotterranei di un palazzo a piazza del Parlamento dove una lapide ricorda ancora l’incredibile ritrovamento. Anche l’immenso quadrante di marmo è tornato a farsi vedere, seppur nelle profondità del terreno. Una piccola porzione si trova tra le cantine di alcune case in via del Campo Marzio dove, in mezzo alle mura di fondamenta, spuntano ancora le antiche incisioni. Al tempo della scoperta regnava papa Benedetto xiv che non solo volle restaurare l’obelisco per sistemarlo in piazza di Montecitorio, ma ordinò di ripristinare l’antica funzione segna-tempo del monolite. Fu così che sulla sommità venne montata una sfera la cui ombra cadeva su una serie di segni che il papa fece tracciare sul selciato. Purtroppo, il lodevole tentativo del pontefice funzionò solo per pochi anni perché l’obelisco e il suo possente basamento si assestarono, muovendosi quanto basta per alterare il delicato allineamento con il

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