L'età rampante: 1970 - 1989
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Un vizio, la poesia, che coltiva in silenzio, fin dalla giovinezza.
Questo secondo volume di poesie riflette le passioni personali di un ventennio, i famosi anni Settanta e Ottanta. Sono lunghi venti anni di vita, anche se passano in un attimo. Un ventennio turbinoso che trasformò la tranquilla ed operosa Italia degasperiana del dopoguerra nell’Italia del centro sinistra. Anni difficili per molti, soprattutto per l’Autore, anni ruggenti e dolorosi, cambiando strada più volte. L’amore è il tema dominante di queste pagine, ancora una volta in un diario sentimentale confuso, contraddittorio, venato da sprazzi di luce e di malinconia.
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Anteprima del libro
L'età rampante - Stelio W. Venceslai
dell’ignoto
Prefazione
Questo secondo volume di poesie riflette le passioni personali di un ventennio, i famosi anni Settanta e Ottanta. Sono lunghi venti anni di vita, anche se passano in un attimo. Un ventennio turbinoso che trasformò la tranquilla ed operosa Italia degasperiana del dopoguerra nell’Italia del centro sinistra.
Furono anni difficili per molti, soprattutto per l’Autore, anni ruggenti e dolorosi, cambiando strada più volte.
L’amore è il tema dominante di queste pagine, ancora una volta in un diario sentimentale confuso, contraddittorio, venato da sprazzi di luce e di malinconia.
1970
Mani di preghiera
Il silenzio attorno
distende
le sue mani di preghiera.
Nitide forme di carte, di libri,
di colori tagliati
nell’obliquità della luce
attendono
d’essere evocate.
Questo languore strisciante
mi prende le membra
e mi avvolge le mani
con fili di tristezza
Scura giornata di pioggia
accarezza i vetri
della finestra
e insegue nei ricordi
molti fantasmi.
La sensazione di costruire
e di aver distrutto
più volte
viene come un gelo,
odore di etere alla gola,
nel mistero ambiguo
della sera calante.
Roma, 08/12/1970
1971
Cesira
Tacita notte, respiro di vento
e sconosciuto brusìo
fra i rumori del giorno
mi ha recato a questo insolito
appuntamento.
Calore di carne
nella notte fremente
e per le mani,
mentre le ore divora
questa passione aliena
una parentesi aperta
fra il tuo vuoto ed il mio.
Come i Re Magi,
sono venuto da lontano
a cercare
la pista nel deserto,
ricolmo di luci, di suoni,
di vita
che accanto ti passano
e non ti accorgi
di passare con essi.
Ma non hai
né sentore di nuovo
né desiderio di fine.
Non cerco
nuove malie che possano,
come una pianta disseccata
dal sole,
recare illudendo nuovi
dolori.
Questa nostra pianura
calcinata
dai fuochi che ardono
lontani,
tu cerchi di rendere verde,
popolata di pioppi,
di canneti fruscianti,
dai mille odori del bosco,
ma avverto
la calma riarsa e la sete
del viandante smarrito.
Tu cerchi l’inganno
della fata Morgana,
dell’acque, del vento, del mare,
di ciò che attorno a noi
s’è fatto acre e crudele.
Non cercherò
al di là del tuo corpo,
qualcosa che venga
a prendermi per mano
e a portarmi via,
nella dimensione degli amanti.
Al fondo del tuo essere
felice, dove
la carne tua vibrante
è quasi ferita,
ritrovo la verità dell’uomo.
Là c’è l’anima tua,
e nei giunchi cedevoli
ed aspri
e nel fluire delle ore
accanto a te è
l’oblio che i sogni raccoglie
e disperde nello spazio,
come portano via le alghe
dal mare le onde,
fino all’oceano lontano,
oltre il cadere rosseggiante
del sole.
Pomezia, 07/05/1971
La tua voce odo nell’ombra
La tua voce odo nell’ombra,
parole
come liquide perle
d’argento,
e ritrovo il tuo volto
nel cielo corrusco,
bagnato dalla luce
del tramonto.
Mi chiedo
se questa mia sete di te
potrà mai placarsi,
se questo mio desiderio
di te che m’ingombra
il cuore
potrà colmare questa
solitudine,
Sento l’urlo dei lupi
nella notte
che cercano le gole
dei monti,
tra i rovi pungenti
e il terrore del sabba
del viaggiatore smarrito.
Roma, 01/06/1971
La chiesa fiamminga
Una voce straniera
nell’ombra
salmodia preghiere.
Fuori la pioggia m’ha spinto
ad aprire la porta pesante,
dimensione silente
nel buio
della chiesa fiamminga.
Ardono i ceri oscillanti
e danno lucòre
ai vetri dipinti.
Un linguaggio contorto
viene dall’altare
fumoso d’incenso.
Poca gente che prega,
un silenzio più grande,
un’ombra più densa che sale
dalle lastre di pietra
degli antichi sepolcri.
Penso ai secoli
che sono trascorsi,
alle persone oranti,
alle morti avvenute, alle feste
nuziali ed ai canti:
battesimo, cresima, omelìe,
davanti alle dame con i veli
ricamati ed i pizzi,
agli uomini con le spade al fianco,
agli angeli di marmo
e di bronzo
che eterni nelle nicchie
guatano,
incavati nell’ombra.
Gand, 16/05/1971
I miei figli
Due volti che ricordano
il mio, con accenti stranieri.
negli occhi e nel verbo,
un sorriso fremente
e talvolta un po’ triste.
Miei figli perduti
e mai più ritrovati, sommersi
nel mare delle cose
di sempre, giorno
per giorno scacciati
dalla mente,
dai molti contrasti,
dalle fughe verso Paesi diversi
dal telefono ansante,
da un rimorso
che a volte, come un’onda
di piena,
travolge il mio cuore.
E penso alle cose che avrei
potuto dentro di me trovare
e loro dare,
alle parole non facili né ilari
di quando l’incontro
che avrei potuto
diversamente dire,
a ciò che assieme,
essi crescendo ed io,
tornando addietro,
avremmo potuto fare,
con voglia, con amore,
con tenera violenza,
perché uomini divenissero,
a mano a mano,
resi più saldi dalle mie
mani che sanno sbagliare,
ma da questi miei fallimenti
amorosamente
fortificati.
La mia indisciplinata
giovinezza li ha travolti;
sconosciuti ad essi tendo
la mano,
accarezzo le teste arruffate
dei miei e non miei capelli,
con loro parlo con parole
diverse da quelle
che forse dovrei
e soprattutto,
quando non li vedo,
un’angoscia mi stringe
e amara mi rende
la gioia dell’incontro,
inavvertita
mi costringe a rinviarlo,
a spacciare
per infinito da fare,
il mio rimorso d’averli
perduti.
Roma, 20/12/1971
1972
Il sipario calante
Cosa sai delle ombre
fredde e furenti
che mi salgono al volto?
Cosa delle loro origini
lontane,
dei loro sbocchi
contenuti e violenti?
Il mio cuore si stringe,
piegato dal vento.
Solitudine e esilio raccolti
in un turbine acre
hanno imbevuto me stesso.
E nella ovvia gradualità
delle cose, nel silente
fluire dei giorni e degli anni,
s’allontana
la scintilla divina.
Il senso della fine viene
crescendo,
un sipario calante
in una sala già vuota.
Roma, 21/05/1972
1973
Vulnerabilità
Stanchezza d’essere solo
tornando,
nella notte d’autunno,
le foglie cadute nel giorno
bagnando
con i fari fumosi di nebbia.
Non c’è nessuno
ad aspettarmi,
che mi corra incontro
con le braccia aperte,
felice
di vedermi tornare.
E se spengo la luce
non c’è nessuno
cui stringermi accanto
da proteggere e amare.
Roma, 09/09/1973
Altrui
Come sempre
trovo accanto le tue mani,
divenute sottili e a me
fredde,
le lunghe, solide dita,
le unghie curate
e la tenera
carne dei polpastrelli,
il profumo delle tue mani
diverso,
delle tue mani altrui.
Io cerco d’annegare attorno
questo tormento,
di cancellare il tuo volto
altrui ridente,
il tuo altrui stare accanto,
questo tuo altrui essere
diversa.
Per tutta la notte,
fra l’insolita neve di questo
ormai amico Paese,
ho cercato di avvolgere
nell’umido e nel freddo
la mia tentazione.
Mi basta stare da solo
perché i fantasmi
del tuo essere altrui
con dita di ghiaccio e di cristallo
mi stringano
le radici del cuore.
Vorrei, talvolta,
che mi tenessi accanto
come quando
attorno a noi s’addensava
la tempesta
e ti dicevo che un giorno
sarebbe venuta l’estate,
tenere
le tue mani strette,
un ponte aggrovigliato
fra due anime,
qualcosa che fosse come
una colonna di sangue
caldo, vivo,
che un giorno avesse
fatto risplendere
i miei, i tuoi capelli bianchi,
nell’ora del tramonto,
rammentando
il nostro passato d’amore.
Ora che questo
velo è caduto e la sabbia
fra le mani, divenuta calda,
è filtrata sulla riva
dei nostri anni dispersi,
ho paura di quello
che resta
e dei tuoi riottosi silenzi,
di questo mio solitario
giacere
pensando al tuo fantasma
lontano
Bruxelles, 27/11/1973
1974
I grilli sull’Appia
Non sento altro che vento,
stasera.
Sul bordo metallico e freddo
giace la tua mano
e il vento vi passa sopra
accarezzandola.
Non sento,
al calare dell’ombra,
l’abbraccio del crepuscolo.
Giace l’anima mia
divisa
in fondo a un pozzo di nebbia.
Scende profumata
dal vento che viene dal mare,
la sera,
l’assetante calura del giorno
fuga l’irrompere
del sole
e una lama di sangue
che sale
sull’orizzonte ingrigito
annuncia la notte.
Nello spazio già scuro
i miei occhi cercano
le ingannevoli forme cangianti
della sera.
Dio, come gridano i grilli
sull’Appia,
quando la luna inargenta
le cime dei pini
e annoda le mani agli amanti,
risveglia il ringhio dei cani
e ti allontana da me!
Ecco, è venuta l’ora
che te