Parma Ouverture
Difficile dire cosa. Quando ci si innamora è di un insieme di dettagli e percezioni lievi, a volte di un profumo. Nelle mattine di giugno lungo i viali l’odore di tiglio annuncia l’estate, promette languori e libertà. E poi l’umido che trasuda dalle mura antiche di questa città, pregne dei vapori indolenti di agosto e di nebbie spesse. L’autunno, con quelle atmosfere pacate, è melodia senza improvvisazione: passa attraverso l’aria nei borghi la sera, i passi che risuonano come da uno spartito di Verdi. Il freddo bagnato entra nelle ossa e spinge a varcare la soglia di un’osteria: un paio di bicchieri e si è subito amici perché “al riddor l’é ‘na lénngua chi capison in tutt al món”, ridere è lingua universale. I parmigiani e i loro motti sono così, amabili e strampalati, parlano col francese nel dialetto (il cavatappi è il tirabusòn e la patata un pom da tèra) e una “r” arrotata che pare voler spingere avanti le parole per dirne di più. Regno dei Farnese e dei Borbone, Parma è cresciuta sotto l’ala e l’aura di Maria Luigia d’Austria (imperatrice di Francia, regina d’Italia e poi duchessa di Parma) che ne ha fatto la “petite capitale”. Visitarla è piacere per menti curiose, con l’indolenza del flâneur, a piedi o pedalando lungo i centotrenta chilometri di ciclabili urbane si va dappertutto. Elegante e un po’ snob, odora di violetta e si scioglie in un sorriso davanti a un piatto di cappelletti flottanti nel brodo. È la dolcezza del vivere che fa di un sabato mattina un momento di gioia: un saluto a destra, una battuta a sinistra. Nascere in questa piccola città dell’Emilia gaudente è un’azione di buon senso.
Atto I
La seduzione
Lontana da atmosfere metropolitane Parma seduce e per qualcuno è sindrome di Stendhal
I primi passi del Grand Tour parmigiano portano nella piazza medievale del Duomo, magari al tramonto,
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