Culturali 33 ARTE |Documento| è stata fondata nel 1987 per iniziativa della cattedra di Storia de... more Culturali 33 ARTE |Documento| è stata fondata nel 1987 per iniziativa della cattedra di Storia dell'Arte moderna I dell'Università degli Studi di Udine; si è continuata dal 1994 per cura della cattedra di Storia dell'Arte moderna dell'Università Ca' Foscari di Venezia Direttore responsabile Giuseppe Maria Pilo Registrazione del Tribunale di Udine n. 5/87 del 7.II.1987 Con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo della Regione del Veneto del Comune di Venezia Stampato in Italia
sito web: www.bollettinodarte.beniculturali.it Copyright by Ministero dei beni e delle attività c... more sito web: www.bollettinodarte.beniculturali.it Copyright by Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo La Rivista adotta un sistema di Peer Review. Spetta agli Autori dei vari articoli soddisfare eventuali oneri derivanti dai diritti di riproduzione per le immagini di cui non sia stato possibile reperire gli aventi diritto. È vietata qualsiasi forma di riproduzione non autorizzata. Per ogni controversia è competente il Foro di Roma.
Der Name Paolo Farinati ist aufs Engste mit der Freskomalerei verbunden. Giorgio Vasari, erster C... more Der Name Paolo Farinati ist aufs Engste mit der Freskomalerei verbunden. Giorgio Vasari, erster Chronist der Kunst des Veronesen, zählt die Wanddekoration des Hauses des Arztes Antonio Fumanelli bei der Kirche San Fermo in Verona, von der einige Fragmente identifiziert werden konnten und sich heute im örtlichen Museo Canonicale befinden 1 , zu den nachahmungswürdigen Werken. 2 Den Quellen zufolge handelt es sich um eine in neun architektonische Segmente unterteilte Sala mit religiösen und profanen Historien 3 , deren Ausführung zu Beginn der 60er Jahre des 16. Jahrhunderts datiert wird, zu jener Zeit, als der circa dreißigjährige Künstler sich intensiv mit der mittelitalienischen Kunst befasste. In Anlehnung an Vasari, aber auch auf Basis der eigenen 1628 angestellten Beobachtungen, lobte der Autor und Maler Carlo Ridolfi die Fresken Farinatis, mit denen dieser die höchsten Errungenschaften seiner Kunst erlangt hätte. Er schreibt in der Biographie des Künstlers, die in die Maraviglie dell'Arte (Venedig 1648) eingefügt ist, dass »tutto che le sue pitture manchino di qualche gratia nel colorito, per lo disegno nondimeno, e per la maestria de' contorni vengono prezzate: má nelle opere á fresco fú miglior coloritore, che á oglio«. 5 Wenn in den Ölgemälden der disegno -und demnach die inventiogewürdigt wurde, so war es doch das Zusammenwirken von disegno und colore, welches die Fresken als etwas Wunderbares auszeichnete und dazu beitrug, dass sie sich im Gedächtnis des Betrachters einprägten.
Dei duecento dipinti che costituivano la celebre raccolta dell'avvocato veronese Giovan Pietro Cu... more Dei duecento dipinti che costituivano la celebre raccolta dell'avvocato veronese Giovan Pietro Curtoni − oggetto di un nostro contributo, incentrato sulla sua dispersione 1 − sono stati identificati sino a ora quattordici pezzi. Si tratta per lo più di opere di autori veronesi o di origine veronese (tra cui si annoverano Felice Brusasorci, Alessandro Turchi, Paolo Veronese e Jacopo Ligozzi), di artisti veneti (Sebastiano del Piombo e Jacometto Veneziano) oppure che operarono nei territori delle attuali Emilia e Lombardia (Ippolito Scarsella, Giuseppe Arcimboldo e Domenico Fetti), disseminate al giorno d'oggi fra l'Europa e gli Stati Uniti. In questa sede desideriamo restituire alla raccolta un'ulteriore opera, l'Allegoria della pittura di Alessandro Turchi, verso il quale Giovan Pietro Curtoni nutriva una spiccata predilezione 2 . Questa aggiunta risulta di particolare rilevanza perché, se da un lato ci permette di ampliare il numero dei dipinti che si trovavano nelle collezioni particolari veronesi nel XVII secolo (in particolar modo dell'Orbetto, attivo dal 1614 sulla scena romana), dall'altro ci offre l'occasione per rendere nota una inedita tela dell'artista veronese, eseguita a Roma alla fine del secondo decennio del Seicento. Come abbiamo già avuto modo di rilevare, nella raccolta Curtoni si trovavano ben sette quadri dell'Orbetto, sia ritratti che opere di soggetto religioso, eseguiti su diversi supporti (più precisamente il Cristo morto pianto dagli angeli, l'Allegoria della pittura, il Diluvio universale, Dalila e Sansone, Davide e Abigail, la Strage degli Innocenti e un autoritratto). Di questi soltanto il giovanile Cristo morto su pietra di paragone (Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco) è stato sino a ora riconosciuto 3 . Ad esso possiamo ora aggiungere l'Allegoria della pittura ( ) di ubicazione sconosciuta. Il quadro -olio su tela, cm 141,61 x 102,24 -è identificabile per coincidenza di autore, soggetto e misure nella "Donna che dipinge Largo piedi 3 once -alto piedi 4 once 1 [cm 140 x 102 circa]" di "Alesandro Turchi detto l'Orbetto", che compare nell'inventario Curtoni del 1663 4 . Il dipinto transitò poi, nel 1668, assieme al resto della collezione veronese nel castello di Mirandola per acquisto di Alessandro II Pico, che riuscì ad aggiudicarsi la raccolta per un prezzo irrisorio e a spuntarla su agguerriti concorrenti come Cristina di Svezia e Ferdinando Carlo d'Asburgo. Nel noto "Inventario delli Quadri della Galeria del Sig.r Duca della Mirandola portati dà esso à Bologna doppò la partenza dalla Mirandola della Sig.ra Principessa Tutrice e Reggente [Brigida Maria Pico]", redatto il 10 marzo 1704 dopo che Francesco Maria (nipote di Alessandro II) abbandonò Mirandola, l'opera di Turchi non è identificabile con certezza. In questo documento sono rubricati otto quadri del veronese, uno in più rispetto a quanto contenuto nell'inventario Curtoni 5 . L'Allegoria della pittura potrebbe forse riconoscersi nel dipinto genericamente elencato come "Ritratto dell'Orbetto" 6 ; tuttavia questa citazione potrebbe riferirsi anche all'autoritratto. Non abbiamo però motivo di dubitare della sua presenza in detto elenco, dal momento che l'opera condivise con un nucleo consistente di quadri già Pico almeno un'ulteriore tappa collezionistica. L'Allegoria fu verosimilmente trasportata a Bologna nei primi anni del Settecento (per essere colà rivenduta), dove sostò poco tempo poiché fu acquisita quasi subito dal veneziano Zuanne Antonio Grassi (1669-1718) assieme ad altre opere con la medesima provenienza. In una stima dei dipinti Grassi redatta prima del 1729 e conservata nell'archivio del finanziere scozzese John Law − che acquisì una parte della celebre quadreria veneziana − troviamo proprio una tela "del'Orbetto, rapresentando la Pittura" (oltre al già richiamato Dalila e Sansone del medesimo artista) 7 . L'Allegoria della Pittura non entrò a far parte della collezione Law (nei cui inventari è assente 8 ), ma fu probabilmente portata all'estero assieme a un gruppo di circa cento opere cedute nel 1763 dai nipoti di Zuanne Antonio a un non meglio specificato "Monsieur Dublin", una figura dall'identità a noi sconosciuta che si spacciava per un agente di un qualche sovrano europeo. Fra il 2 e il 4 febbraio 1764 un lotto di opere Grassi fu esitato a Londra in occasione di un'asta tenuta da John Prestage (mercante inglese attivo dagli anni quaranta del Settecento sino al 1767, anno della sua morte), che proponeva agli acquirenti quadri provenienti dalle raccolte veneziane Sagredo, Mocenigo, Correr e Grassi 9 . Non sappiamo se questo nucleo sia identificabile o meno con quello acquistato l'anno precedente dal fan-
Se la grave pestilenza del 1630 segnò a Verona una battuta d'arresto nell'ambito della produzione... more Se la grave pestilenza del 1630 segnò a Verona una battuta d'arresto nell'ambito della produzione artistica locale e stroncò una tradizione figurativa che da circa tre secoli aveva avuto una sua precisa fisionomia 1 , l'esercizio del collezionismo non sembra si sia invece attenuato. A ridosso della peste si formarono infatti nella città scaligera alcune ragguardevoli raccolte artistiche: quella del mercante Giacomo Muselli, dell'avvocato Giovan Pietro Curtoni, del marchese Gaspare Gherardini e del conte Ludovico Moscardo. All'ombra di esse ne crebbero altre di più esigua ed oscura entità che vengono citate sporadicamente dalle fonti del Sei e Settecento (ci riferiamo in particolare alla collezione dello speziale Niccolò Cusani, del poligrafo Francesco Pona, di don Francesco Rubino, di Alberto Noris e della famiglia Commerlati 2 ), mentre quelle più antiche e nobiliari continuarono a sopravvivere in vario modo nonostante i contraccolpi dell'economia. La prima di queste raccolte per fama e numero di dipinti fu senza dubbio quella assemblata da Giovan Pietro Curtoni (1599/1600-1656) 3 . Essa aveva raggiunto una sua fisionomia e una certa celebrità negli anni trenta del Seicento 4 : in questo periodo si situa la celebre ode dell'abate Grimani al Curtoni, il quale gli rispose pieno di gratitudine in data 3 marzo 1637 5 . Nel 1648 un buon numero dei suoi quadri venne pubblicato da Carlo Ridolfi nelle Maraviglie dell'arte in appendice alla biografia di Domenico Brusasorci e nel profilo biografico di alcuni pittori di cui egli descrisse la vita e le opere 6 . Anche prima della pubblicazione di questa lista "acciò servi per eccitar gli animi de' pellegrini ingegni à veder cosi numerosa, & insigne raccolta" 7 , Giovan Pietro Curtoni fu ben lieto di mostrare i propri tesori a importanti personalità di passaggio a Verona. Si ricorderà della visita Thomas Howard, ventunesimo conte di Arundel, al quale fu presentata con grande orgoglio la gemma della raccolta: il Ritratto di fanciulla o Dorotea allora creduto di Raffaello ma in realtà di mano di Sebastiano del Piombo (Berlino, Gemäldegalerie) 8 . Sullo stesso dipinto si soffermeranno anche Francesco Scannelli 9 , il principe Cosimo III de' Medici 10 e, memore delle parole di Thomas Howard, l'amico John Evelyn 11 . Ma insieme ai curiosi giunsero anche a Verona gli emissari dei sovrani allettati dalle pagine entusiastiche del Ridolfi e degli altri cronisti del tempo. Già nel quarto decennio del Seicento Francesco I d'Este aveva incaricato il segretario ducale Geminiano Poggi di recarsi a Verona in compagnia del pittore Gabriele Balestrieri per visionare le collezioni artistiche, ma il giudizio sulla raccolta Curtoni non fu positivo e l'acquisto fu accantonato 12 . Nell'ottobre del 1650 fu la volta del genovese Gio. Filippo Spinola (1610-1660) di recarsi a Verona; in quell'occasione visitò le collezioni Muselli, Moscardo (lo stesso Ludovico Moscardo ricorda che "il detto Signore molto intendente della Pittura, con l'occasione, che venne a vedere il mio Museo" 13 ) e Curtoni e tentò di praticare qualche acquisto. Se però non ebbe fortuna con Giovan Pietro Curtoni e gli altri particolari veronesi, diversamente andò la trattativa con l'abate del monastero benedettino dei Santi Nazario e Celso, nel cui refettorio si trovava la spettacolare Cena in casa di Simone di Paolo Veronese (oggi a Torino, Galleria Sabauda). L'eccezionale offerta di settemila ducati convinse infatti l'abate Matteo Bus-solini da Bergamo e il capitolo a cedere l'opera allo Spinola 14 . Morto Giovan Pietro Curtoni nel 1656 gli eredi furono autorizzati nel suo testamento ad alienare la raccolta se si fosse presentata una buona occasione. Negli anni successivi le opportunità non mancarono perché nuovi collezionisti calcarono la scena veronese e si interessarono alla quadreria: il re di Francia Luigi XIV (per il tramite del marchese Prospero Gonzaga), Alfonso IV e lo zio Cesare d'Este, l'arciduca Ferdinando Carlo d'Asburgo e Cristina di Svezia 15 . Nella primavera del 1662 l'antagonismo fra i potenziali acquirenti -alimentato dal marchese veronese Gaspare Gherardini (informatore sia di Cristina di Svezia che dei duchi estensi), che forse sperava in un compenso per i suoi servigi -permise a Giovanni Battista e a Giovanni Pietro Curtoni di tenere alto il prezzo della raccolta e di pretendere per essa ben quarantamila ducati. Tuttavia la morte congiunta di Alfonso IV d'Este e di Ferdinando Carlo d'Asburgo (16 luglio e 30 dicembre 1662), la rinuncia da parte di Luigi XIV e il tentennare di Cristina di Svezia per i propri problemi finanziari, uniti alle ristrettezze economiche in cui i fratelli si vennero nel frattempo a trovare, portarono a un drastico quanto rapido ridimensionamento del prezzo. Il 19 luglio 1662 la collezione fu proposta a Cristina di Svezia per venticinquemila ducati (ma l'acquisto non ebbe luogo), mentre nel 1666 Gherardini informava sia la sovrana svedese che il principe Cesare d'Este che i Curtoni richiedevano poco più della metà. A causa della loro esitazione il duca Alessandro II Pico della Mirandola riuscì ad aggiudicarsela alla fine del 1668 per soli diecimila ducati 16 . I dipinti Curtoni furono quindi trasportati nel castello di Mirandola e vennero collocati in una galleria appositamente edificata, la cui volta fu decorata ad affresco dal pittore Biagio Falcieri e dal suo entourage 17 . La galleria dei Pico era uno spazio ampio e luminoso dotato di stufe in pietre policrome; conteneva non solo dipinti, ma anche sculture, specchiere, scrigni e tavolini. Un elenco parziale dei quadri in essa conservati si trova nell'"Inventario delli Quadri della Galeria del Sig. r Duca della Mirandola portati dà esso à Bologna doppò la partenza dalla Mirandola della Sig. ra Principessa Tutrice e Reggente [Brigida Maria Pico]", redatto il 10 marzo 1704 18 . Fra le opere rubricate in detto inventario Gian Luca Tosini ha potuto rintracciare molti quadri già Curtoni 19 . La struttura era però destinata ad avere vita breve dal momento che la guerra di successione spagnola travolse la dinastia dei Pico e con essa il Palazzo Ducale di Mirandola. L'ultimo Pico, il duca Francesco Maria (nipote di Alessandro II), fu accusato di fellonia da parte dell'imperatore Giuseppe I d'Asburgo per aver aderito durante gli eventi bellici alla fazione franco-spagnola e il ducato mirandolese fu così devoluto nel 1704 e venduto al duca di Modena Rinaldo d'Este nel 1710 20 . Il duca della Mirandola abbandonò il suo castello nel 1704 iniziando una serie di peregrinazioni che lo portarono dapprima a Bologna e di qui, passando di corte in corte, a Madrid, dove si spense nel novembre del 1747. Nella fuga verso Bologna Francesco Maria fu accompagnato dai quadri più preziosi e più facilmente trasportabili e dagli "istrumenti matematici di molto valore" che utilizzò quale mezzo di sostentamento 21 . Scrive Giuseppe Campori che egli "portò con se a Bologna tutti i mobili preziosi e i quadri della sua Galleria che poscia vendette per far denaro, né si saprebbe dire dove andasse a finire quella insigne Collezione di cui i dipinti Curtoni formavano la parte più eletta" 22 . Nell'inventario redatto nel 1708 per ordine dell'amministrazione cesa-
N onostante nel corso del Settecento si assista a Parigi ad un crescente disinteresse nei confron... more N onostante nel corso del Settecento si assista a Parigi ad un crescente disinteresse nei confronti della pittura italiana e all'affermarsi di un gusto collezionistico orientato verso quella fiamminga, di cui Pierre-Jean Mariette fornisce testimonianza nelle sue lettere 1 , alcuni maestri italiani conservarono il favore dei collezionisti francesi 2 . Mentre la pittura veneziana del Cinquecento fu, salvo rare e importanti eccezioni, poco ricercata 3 , risultati migliori registrarono i pittori bolognesi e padani del Seicento, in primis Francesco Albani e Guido Reni, ma anche Alessandro Turchi, in virtù della gradevolezza dei suoi quadri e del loro formato ridotto 4 . Antoine-Joseph Dezallier d'Argenville, autore del noto Abrégé de la vie des plus fameux peintres, non poteva infatti non notare sulla scia del Félibien 5 che « son coloris est vigoureux, son dessein peu correct », ma di suo aggiungeva che « les graces qu'il sçut répandre dans ses tableaux, lui donnerent, dans son art, un rang très distingué 6 ». Fra il 1700 e il 1799 si riscontrano circa centocinquanta menzioni di opere dell'Orbetto nei cataloghi redatti in occasione delle aste parigine, le quali comprendono opere su tela, ma anche rami e paragoni (chiamati « pierre de touche » oppure « marbre noir »), copie e quadri nel gusto di Turchi 7 . La maggior parte di esse si riferisce però alla seconda metà del Settecento ; prima del 1750 si arriva appena a una ventina di segnalazioni. A parte alcuni dipinti che erano appartenuti al cardinale Mazarino 8 e che si riversarono sul mercato all'inizio del Settecento in conseguenza dell'alienazione della sua quadreria 9 , la quasi totalità delle opere dell'Orbetto che compaiono nei cataloghi di vendita e negli inventari settecenteschi fu importata dall'estero. La prima collezione francese del Settecento che accolse opere dell'Orbetto fu quella del duca Philippe II d'Orléans. La raccolta di pittura, assemblata fra la fine del Seicento e l'inizio del secolo successivo 10 e collocata al primo piano del Palais Royal 11 , fu illustrata da Louis-François Du Bois de Saint-Gelais nella Description des tableaux du Palais Royal 12 . Fra i quadri di scuola italiana Du Bois de Saint-Gelais inserisce due opere di Turchi oggi irreperibili : Giuseppe e la moglie di Putifarre e gli Angeli appaiono ad Abramo 13 , la cui composizione ci è nota grazie alle incisioni contenute nella Galerie du Palais Royal. In base alla Description des tableaux du Palais Royal sappiamo che Giuseppe e la moglie di Putifarre pervenne al duca d'Orléans dalla raccolta di « Monsieur le Duc 14 », ovvero il figlio maggiore del principe di Condé, Henri-Jules di Borbone. Tale evenienza viene comprovata dal suo inventario post mortem del 1709, ove il quadro di Turchi è puntualmente rubricato 15 .
Nel 1959 Roberto Longhi rese noto sulle pagine di Paragone un dipinto di Alessandro Turchi per il... more Nel 1959 Roberto Longhi rese noto sulle pagine di Paragone un dipinto di Alessandro Turchi per il quale propose il titolo di "I progenitori redarguiti dopo il peccato originale" (fig. 1) 1 . Il soggetto del quadro, che raffigura Adamo, Eva, Dio Padre e due angeli che reggono il suo mantello, veniva spiegato dallo studioso nel modo seguente: "l'Adamo che dorme significa il post factum smaccatamente e l'Eva, già riazzimata e profumata, sembra tentare il colpo grosso addirittura sul vegliardo che la rimprovera; mentre, a scagionarla, ci si mette anche un amorino alato che, nell'occasione, pare veramente un fuor d'opera" 2 .
Pier Dandini e Carlo Maria Maggi: una inedita commissione artistica del 1687 (Roberta Piccinelli)... more Pier Dandini e Carlo Maria Maggi: una inedita commissione artistica del 1687 (Roberta Piccinelli) SERVIZIS EEDI TORIALI PARAGONE Rivista mensile di arte figurativa e letteratura fondata da Roberto Longhi ARTE Anno LXIV -Terza serie -Numero 112
Nel 1718, allorquando Bartolomeo Dal Pozzo diede alle stampe Le Vite de'pittori, de gli scultori,... more Nel 1718, allorquando Bartolomeo Dal Pozzo diede alle stampe Le Vite de'pittori, de gli scultori, et architetti veronesi e la relativa Aggiunta, la città di Verona aveva perduto alcune delle collezioni d'arte che l'avevano resa celebre nel Seicento, in Italia come in Europa. Le raccolte dei conti Giusti e dei conti Canossa, quella creata da Giacomo Muselli e quella di Giovanni Pietro Curtoni erano state smembrate oppure vendute prima del 1718. 1 Tra queste una in particolare si distingueva per dipinti di eccezionale rilevanza e « disegni sopra carte tinte, illuminate di biacca »: 2 ci riferiamo allo 'studio' I quadri già Muselli all'Ermitage: precisazioni su alcune provenienze 1. Ci riferiamo, in particolare, alle collezioni di Gian Giacomo Giusti e di Girolamo Canossa. La prima fu smembrata poco prima della metà del diciassettesimo secolo in conseguenza della morte del conte Gian Giacomo e della successiva divisione della sua eredità tra i due figli Francesco e Marcantonio. Galeazzo Canossa vendé invece nel febbraio 1604 a Vincenzo Gonzaga la collezione del padre Girolamo, che comprendeva pezzi inestimabili tra i quali la cosiddetta Madonna della perla di Raffaello e bottega (Madrid, Museo del Prado) e il bronzo ellenistico noto come l'Adorante (Berlino, Altes Museum). Scipione Maffei, nella sua Verona Illustrata (1732), ricorda con rammarico che « venendo al proposito nostro, cioè a favellar dei Musei di questa città, famosi furono in altri tempi particolarmente per medaglie e pitture, quelli di Marc'Antonio da Monte, del conte Girolamo Canossa, di Cesare Nichesola, del conte Agostino Giusti, di casa Muselli per rarissimi quadri celebratissimo, di Niccolò Cusani, d'Antonio Curtoni, e più altri: ma poiché nel volger degli anni mancarono, quelli anderemo additando, che al presente sussistono ». S. Maffei, Verona Illustrata, in Opere del Maffei, viiii, Venezia 1790, p. 12; A. Luzio, La Galleria dei Gonzaga venduta all'Inghilterra nel 1627-1628, Milano 1913, pp. 90-92; L. Franzoni, Il collezionismo dal Cinquecento all'Ottocento, in Cultura e vita civile a Verona. Uomini e istituzioni dall'epoca carolingia al Risorgimento, a cura di G.. 2. Carlo Ridolfi ricorda nelle Maraviglie dell'arte che Cristoforo e Francesco Muselli, « oltre le Pitture narrate [di Paolo Veronese], possiedono ancora que' Signori alcuni disegni sopra carte tinte illuminati di biacca, che lungo sarebbe il narrar le inventioni tutte ». L'artista-scrittore cita presso i Muselli anche molti fogli di Paolo Farinati, mentre sappiamo da Giuseppe Campori che in un camerino del loro palazzo si conservavano, oltre a un ritratto di Paolo Veronese, « diversi ritratti e figurini del Parmigianino et altri disegni del medesimo, uno del Mantegna, i sette peccati mortali, lumati d'oro di Giacomo Ligozi Veronese Pittore che serviva li Serenissimi di Firenze, in numero di 24 in circa ». La raccolta di grafica dei Muselli, di cui non possediamo un inventario esaustivo, fu acquistata da Pierre Crozat durante il suo viaggio in Italia, avvenuto tra il novembre 1714 e l'ottobre 1715. B. Dal Pozzo, Le Vite de' pittori, de gli scultori et architetti veronesi, Verona 1718, p. 94; C. Ridolfi, Le Maraviglie dell'arte ovvero le vite degli illustri pittori veneti e dello Stato, davide dossi Muselli. Questa straordinaria collezione, che ci è nota attraverso due inventari (redatti nel 1662 il primo e verso il 1680 il secondo), 1 fu accorpata dal mercante veronese Giacomo Muselli (1569-1641) nei primi decenni del Seicento. 2 Essa divenne ben presto un'imprescindibile meta di visita da parte di nobili e artisti, 3 1648, Padova 1835-1837, ii, pp. 37-38, 327-328; G. Campori, Raccolta di cataloghi ed inventarii inediti di quadri, statue, disegni, bronzi, dorerie, smalti, medaglie, avorii, ecc. dal secolo XV al secolo XIX, Modena 1870, pp. 178, 192; H. Sueur, I disegni veneziani della collezione dei duchi d'Este, in La pittura veneta negli stati estensi, a cura di J. Bentini, S. Marinelli, A. Mazza, Modena 1996, pp. 328-330, 342 note 38-39. Per il riconoscimento di alcuni disegni di Paolo Veronese già Muselli e le relative vicende collezionistiche si veda in particolare R. Bacou, I grandi disegni italiani della Collezione Mariette al Louvre di Parigi, Milano 1982, n. 31; R. Cocke, Veronese's Drawings. A catalogue raisonne, London 1984, pp. 76-81; L. Vertova, I chiaroscuri di casa Muselli, in Nuovi studi su Paolo Veronese, a cura di M. Gemin, Venezia 1990, pp. 172-182; H. Coutts, The collecting of Veronese drawings in the 17th and 18th centuries, ivi, pp. 68-69; S. Prosperi Valenti Rodinò, Collezionisti a Bologna e a Venezia, in Il disegno. I grandi collezionisti, a cura di G.C. Sciolla, Cinisello Balsamo (Milano) 1992, p. 73. 1. Giuseppe Campori pubblicò nel 1870 un inventario dello studio Muselli, inviato dal marchese Gaspare Gherardini al principe Cesare d'Este nel gennaio del 1663. Esso, che si riferisce allo status della collezione nel 1662, comprende 130 dipinti, una ventina di disegni e un altorilievo attribuito a Jacopo Sansovino.
Culturali 33 ARTE |Documento| è stata fondata nel 1987 per iniziativa della cattedra di Storia de... more Culturali 33 ARTE |Documento| è stata fondata nel 1987 per iniziativa della cattedra di Storia dell'Arte moderna I dell'Università degli Studi di Udine; si è continuata dal 1994 per cura della cattedra di Storia dell'Arte moderna dell'Università Ca' Foscari di Venezia Direttore responsabile Giuseppe Maria Pilo Registrazione del Tribunale di Udine n. 5/87 del 7.II.1987 Con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo della Regione del Veneto del Comune di Venezia Stampato in Italia
sito web: www.bollettinodarte.beniculturali.it Copyright by Ministero dei beni e delle attività c... more sito web: www.bollettinodarte.beniculturali.it Copyright by Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo La Rivista adotta un sistema di Peer Review. Spetta agli Autori dei vari articoli soddisfare eventuali oneri derivanti dai diritti di riproduzione per le immagini di cui non sia stato possibile reperire gli aventi diritto. È vietata qualsiasi forma di riproduzione non autorizzata. Per ogni controversia è competente il Foro di Roma.
Der Name Paolo Farinati ist aufs Engste mit der Freskomalerei verbunden. Giorgio Vasari, erster C... more Der Name Paolo Farinati ist aufs Engste mit der Freskomalerei verbunden. Giorgio Vasari, erster Chronist der Kunst des Veronesen, zählt die Wanddekoration des Hauses des Arztes Antonio Fumanelli bei der Kirche San Fermo in Verona, von der einige Fragmente identifiziert werden konnten und sich heute im örtlichen Museo Canonicale befinden 1 , zu den nachahmungswürdigen Werken. 2 Den Quellen zufolge handelt es sich um eine in neun architektonische Segmente unterteilte Sala mit religiösen und profanen Historien 3 , deren Ausführung zu Beginn der 60er Jahre des 16. Jahrhunderts datiert wird, zu jener Zeit, als der circa dreißigjährige Künstler sich intensiv mit der mittelitalienischen Kunst befasste. In Anlehnung an Vasari, aber auch auf Basis der eigenen 1628 angestellten Beobachtungen, lobte der Autor und Maler Carlo Ridolfi die Fresken Farinatis, mit denen dieser die höchsten Errungenschaften seiner Kunst erlangt hätte. Er schreibt in der Biographie des Künstlers, die in die Maraviglie dell'Arte (Venedig 1648) eingefügt ist, dass »tutto che le sue pitture manchino di qualche gratia nel colorito, per lo disegno nondimeno, e per la maestria de' contorni vengono prezzate: má nelle opere á fresco fú miglior coloritore, che á oglio«. 5 Wenn in den Ölgemälden der disegno -und demnach die inventiogewürdigt wurde, so war es doch das Zusammenwirken von disegno und colore, welches die Fresken als etwas Wunderbares auszeichnete und dazu beitrug, dass sie sich im Gedächtnis des Betrachters einprägten.
Dei duecento dipinti che costituivano la celebre raccolta dell'avvocato veronese Giovan Pietro Cu... more Dei duecento dipinti che costituivano la celebre raccolta dell'avvocato veronese Giovan Pietro Curtoni − oggetto di un nostro contributo, incentrato sulla sua dispersione 1 − sono stati identificati sino a ora quattordici pezzi. Si tratta per lo più di opere di autori veronesi o di origine veronese (tra cui si annoverano Felice Brusasorci, Alessandro Turchi, Paolo Veronese e Jacopo Ligozzi), di artisti veneti (Sebastiano del Piombo e Jacometto Veneziano) oppure che operarono nei territori delle attuali Emilia e Lombardia (Ippolito Scarsella, Giuseppe Arcimboldo e Domenico Fetti), disseminate al giorno d'oggi fra l'Europa e gli Stati Uniti. In questa sede desideriamo restituire alla raccolta un'ulteriore opera, l'Allegoria della pittura di Alessandro Turchi, verso il quale Giovan Pietro Curtoni nutriva una spiccata predilezione 2 . Questa aggiunta risulta di particolare rilevanza perché, se da un lato ci permette di ampliare il numero dei dipinti che si trovavano nelle collezioni particolari veronesi nel XVII secolo (in particolar modo dell'Orbetto, attivo dal 1614 sulla scena romana), dall'altro ci offre l'occasione per rendere nota una inedita tela dell'artista veronese, eseguita a Roma alla fine del secondo decennio del Seicento. Come abbiamo già avuto modo di rilevare, nella raccolta Curtoni si trovavano ben sette quadri dell'Orbetto, sia ritratti che opere di soggetto religioso, eseguiti su diversi supporti (più precisamente il Cristo morto pianto dagli angeli, l'Allegoria della pittura, il Diluvio universale, Dalila e Sansone, Davide e Abigail, la Strage degli Innocenti e un autoritratto). Di questi soltanto il giovanile Cristo morto su pietra di paragone (Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco) è stato sino a ora riconosciuto 3 . Ad esso possiamo ora aggiungere l'Allegoria della pittura ( ) di ubicazione sconosciuta. Il quadro -olio su tela, cm 141,61 x 102,24 -è identificabile per coincidenza di autore, soggetto e misure nella "Donna che dipinge Largo piedi 3 once -alto piedi 4 once 1 [cm 140 x 102 circa]" di "Alesandro Turchi detto l'Orbetto", che compare nell'inventario Curtoni del 1663 4 . Il dipinto transitò poi, nel 1668, assieme al resto della collezione veronese nel castello di Mirandola per acquisto di Alessandro II Pico, che riuscì ad aggiudicarsi la raccolta per un prezzo irrisorio e a spuntarla su agguerriti concorrenti come Cristina di Svezia e Ferdinando Carlo d'Asburgo. Nel noto "Inventario delli Quadri della Galeria del Sig.r Duca della Mirandola portati dà esso à Bologna doppò la partenza dalla Mirandola della Sig.ra Principessa Tutrice e Reggente [Brigida Maria Pico]", redatto il 10 marzo 1704 dopo che Francesco Maria (nipote di Alessandro II) abbandonò Mirandola, l'opera di Turchi non è identificabile con certezza. In questo documento sono rubricati otto quadri del veronese, uno in più rispetto a quanto contenuto nell'inventario Curtoni 5 . L'Allegoria della pittura potrebbe forse riconoscersi nel dipinto genericamente elencato come "Ritratto dell'Orbetto" 6 ; tuttavia questa citazione potrebbe riferirsi anche all'autoritratto. Non abbiamo però motivo di dubitare della sua presenza in detto elenco, dal momento che l'opera condivise con un nucleo consistente di quadri già Pico almeno un'ulteriore tappa collezionistica. L'Allegoria fu verosimilmente trasportata a Bologna nei primi anni del Settecento (per essere colà rivenduta), dove sostò poco tempo poiché fu acquisita quasi subito dal veneziano Zuanne Antonio Grassi (1669-1718) assieme ad altre opere con la medesima provenienza. In una stima dei dipinti Grassi redatta prima del 1729 e conservata nell'archivio del finanziere scozzese John Law − che acquisì una parte della celebre quadreria veneziana − troviamo proprio una tela "del'Orbetto, rapresentando la Pittura" (oltre al già richiamato Dalila e Sansone del medesimo artista) 7 . L'Allegoria della Pittura non entrò a far parte della collezione Law (nei cui inventari è assente 8 ), ma fu probabilmente portata all'estero assieme a un gruppo di circa cento opere cedute nel 1763 dai nipoti di Zuanne Antonio a un non meglio specificato "Monsieur Dublin", una figura dall'identità a noi sconosciuta che si spacciava per un agente di un qualche sovrano europeo. Fra il 2 e il 4 febbraio 1764 un lotto di opere Grassi fu esitato a Londra in occasione di un'asta tenuta da John Prestage (mercante inglese attivo dagli anni quaranta del Settecento sino al 1767, anno della sua morte), che proponeva agli acquirenti quadri provenienti dalle raccolte veneziane Sagredo, Mocenigo, Correr e Grassi 9 . Non sappiamo se questo nucleo sia identificabile o meno con quello acquistato l'anno precedente dal fan-
Se la grave pestilenza del 1630 segnò a Verona una battuta d'arresto nell'ambito della produzione... more Se la grave pestilenza del 1630 segnò a Verona una battuta d'arresto nell'ambito della produzione artistica locale e stroncò una tradizione figurativa che da circa tre secoli aveva avuto una sua precisa fisionomia 1 , l'esercizio del collezionismo non sembra si sia invece attenuato. A ridosso della peste si formarono infatti nella città scaligera alcune ragguardevoli raccolte artistiche: quella del mercante Giacomo Muselli, dell'avvocato Giovan Pietro Curtoni, del marchese Gaspare Gherardini e del conte Ludovico Moscardo. All'ombra di esse ne crebbero altre di più esigua ed oscura entità che vengono citate sporadicamente dalle fonti del Sei e Settecento (ci riferiamo in particolare alla collezione dello speziale Niccolò Cusani, del poligrafo Francesco Pona, di don Francesco Rubino, di Alberto Noris e della famiglia Commerlati 2 ), mentre quelle più antiche e nobiliari continuarono a sopravvivere in vario modo nonostante i contraccolpi dell'economia. La prima di queste raccolte per fama e numero di dipinti fu senza dubbio quella assemblata da Giovan Pietro Curtoni (1599/1600-1656) 3 . Essa aveva raggiunto una sua fisionomia e una certa celebrità negli anni trenta del Seicento 4 : in questo periodo si situa la celebre ode dell'abate Grimani al Curtoni, il quale gli rispose pieno di gratitudine in data 3 marzo 1637 5 . Nel 1648 un buon numero dei suoi quadri venne pubblicato da Carlo Ridolfi nelle Maraviglie dell'arte in appendice alla biografia di Domenico Brusasorci e nel profilo biografico di alcuni pittori di cui egli descrisse la vita e le opere 6 . Anche prima della pubblicazione di questa lista "acciò servi per eccitar gli animi de' pellegrini ingegni à veder cosi numerosa, & insigne raccolta" 7 , Giovan Pietro Curtoni fu ben lieto di mostrare i propri tesori a importanti personalità di passaggio a Verona. Si ricorderà della visita Thomas Howard, ventunesimo conte di Arundel, al quale fu presentata con grande orgoglio la gemma della raccolta: il Ritratto di fanciulla o Dorotea allora creduto di Raffaello ma in realtà di mano di Sebastiano del Piombo (Berlino, Gemäldegalerie) 8 . Sullo stesso dipinto si soffermeranno anche Francesco Scannelli 9 , il principe Cosimo III de' Medici 10 e, memore delle parole di Thomas Howard, l'amico John Evelyn 11 . Ma insieme ai curiosi giunsero anche a Verona gli emissari dei sovrani allettati dalle pagine entusiastiche del Ridolfi e degli altri cronisti del tempo. Già nel quarto decennio del Seicento Francesco I d'Este aveva incaricato il segretario ducale Geminiano Poggi di recarsi a Verona in compagnia del pittore Gabriele Balestrieri per visionare le collezioni artistiche, ma il giudizio sulla raccolta Curtoni non fu positivo e l'acquisto fu accantonato 12 . Nell'ottobre del 1650 fu la volta del genovese Gio. Filippo Spinola (1610-1660) di recarsi a Verona; in quell'occasione visitò le collezioni Muselli, Moscardo (lo stesso Ludovico Moscardo ricorda che "il detto Signore molto intendente della Pittura, con l'occasione, che venne a vedere il mio Museo" 13 ) e Curtoni e tentò di praticare qualche acquisto. Se però non ebbe fortuna con Giovan Pietro Curtoni e gli altri particolari veronesi, diversamente andò la trattativa con l'abate del monastero benedettino dei Santi Nazario e Celso, nel cui refettorio si trovava la spettacolare Cena in casa di Simone di Paolo Veronese (oggi a Torino, Galleria Sabauda). L'eccezionale offerta di settemila ducati convinse infatti l'abate Matteo Bus-solini da Bergamo e il capitolo a cedere l'opera allo Spinola 14 . Morto Giovan Pietro Curtoni nel 1656 gli eredi furono autorizzati nel suo testamento ad alienare la raccolta se si fosse presentata una buona occasione. Negli anni successivi le opportunità non mancarono perché nuovi collezionisti calcarono la scena veronese e si interessarono alla quadreria: il re di Francia Luigi XIV (per il tramite del marchese Prospero Gonzaga), Alfonso IV e lo zio Cesare d'Este, l'arciduca Ferdinando Carlo d'Asburgo e Cristina di Svezia 15 . Nella primavera del 1662 l'antagonismo fra i potenziali acquirenti -alimentato dal marchese veronese Gaspare Gherardini (informatore sia di Cristina di Svezia che dei duchi estensi), che forse sperava in un compenso per i suoi servigi -permise a Giovanni Battista e a Giovanni Pietro Curtoni di tenere alto il prezzo della raccolta e di pretendere per essa ben quarantamila ducati. Tuttavia la morte congiunta di Alfonso IV d'Este e di Ferdinando Carlo d'Asburgo (16 luglio e 30 dicembre 1662), la rinuncia da parte di Luigi XIV e il tentennare di Cristina di Svezia per i propri problemi finanziari, uniti alle ristrettezze economiche in cui i fratelli si vennero nel frattempo a trovare, portarono a un drastico quanto rapido ridimensionamento del prezzo. Il 19 luglio 1662 la collezione fu proposta a Cristina di Svezia per venticinquemila ducati (ma l'acquisto non ebbe luogo), mentre nel 1666 Gherardini informava sia la sovrana svedese che il principe Cesare d'Este che i Curtoni richiedevano poco più della metà. A causa della loro esitazione il duca Alessandro II Pico della Mirandola riuscì ad aggiudicarsela alla fine del 1668 per soli diecimila ducati 16 . I dipinti Curtoni furono quindi trasportati nel castello di Mirandola e vennero collocati in una galleria appositamente edificata, la cui volta fu decorata ad affresco dal pittore Biagio Falcieri e dal suo entourage 17 . La galleria dei Pico era uno spazio ampio e luminoso dotato di stufe in pietre policrome; conteneva non solo dipinti, ma anche sculture, specchiere, scrigni e tavolini. Un elenco parziale dei quadri in essa conservati si trova nell'"Inventario delli Quadri della Galeria del Sig. r Duca della Mirandola portati dà esso à Bologna doppò la partenza dalla Mirandola della Sig. ra Principessa Tutrice e Reggente [Brigida Maria Pico]", redatto il 10 marzo 1704 18 . Fra le opere rubricate in detto inventario Gian Luca Tosini ha potuto rintracciare molti quadri già Curtoni 19 . La struttura era però destinata ad avere vita breve dal momento che la guerra di successione spagnola travolse la dinastia dei Pico e con essa il Palazzo Ducale di Mirandola. L'ultimo Pico, il duca Francesco Maria (nipote di Alessandro II), fu accusato di fellonia da parte dell'imperatore Giuseppe I d'Asburgo per aver aderito durante gli eventi bellici alla fazione franco-spagnola e il ducato mirandolese fu così devoluto nel 1704 e venduto al duca di Modena Rinaldo d'Este nel 1710 20 . Il duca della Mirandola abbandonò il suo castello nel 1704 iniziando una serie di peregrinazioni che lo portarono dapprima a Bologna e di qui, passando di corte in corte, a Madrid, dove si spense nel novembre del 1747. Nella fuga verso Bologna Francesco Maria fu accompagnato dai quadri più preziosi e più facilmente trasportabili e dagli "istrumenti matematici di molto valore" che utilizzò quale mezzo di sostentamento 21 . Scrive Giuseppe Campori che egli "portò con se a Bologna tutti i mobili preziosi e i quadri della sua Galleria che poscia vendette per far denaro, né si saprebbe dire dove andasse a finire quella insigne Collezione di cui i dipinti Curtoni formavano la parte più eletta" 22 . Nell'inventario redatto nel 1708 per ordine dell'amministrazione cesa-
N onostante nel corso del Settecento si assista a Parigi ad un crescente disinteresse nei confron... more N onostante nel corso del Settecento si assista a Parigi ad un crescente disinteresse nei confronti della pittura italiana e all'affermarsi di un gusto collezionistico orientato verso quella fiamminga, di cui Pierre-Jean Mariette fornisce testimonianza nelle sue lettere 1 , alcuni maestri italiani conservarono il favore dei collezionisti francesi 2 . Mentre la pittura veneziana del Cinquecento fu, salvo rare e importanti eccezioni, poco ricercata 3 , risultati migliori registrarono i pittori bolognesi e padani del Seicento, in primis Francesco Albani e Guido Reni, ma anche Alessandro Turchi, in virtù della gradevolezza dei suoi quadri e del loro formato ridotto 4 . Antoine-Joseph Dezallier d'Argenville, autore del noto Abrégé de la vie des plus fameux peintres, non poteva infatti non notare sulla scia del Félibien 5 che « son coloris est vigoureux, son dessein peu correct », ma di suo aggiungeva che « les graces qu'il sçut répandre dans ses tableaux, lui donnerent, dans son art, un rang très distingué 6 ». Fra il 1700 e il 1799 si riscontrano circa centocinquanta menzioni di opere dell'Orbetto nei cataloghi redatti in occasione delle aste parigine, le quali comprendono opere su tela, ma anche rami e paragoni (chiamati « pierre de touche » oppure « marbre noir »), copie e quadri nel gusto di Turchi 7 . La maggior parte di esse si riferisce però alla seconda metà del Settecento ; prima del 1750 si arriva appena a una ventina di segnalazioni. A parte alcuni dipinti che erano appartenuti al cardinale Mazarino 8 e che si riversarono sul mercato all'inizio del Settecento in conseguenza dell'alienazione della sua quadreria 9 , la quasi totalità delle opere dell'Orbetto che compaiono nei cataloghi di vendita e negli inventari settecenteschi fu importata dall'estero. La prima collezione francese del Settecento che accolse opere dell'Orbetto fu quella del duca Philippe II d'Orléans. La raccolta di pittura, assemblata fra la fine del Seicento e l'inizio del secolo successivo 10 e collocata al primo piano del Palais Royal 11 , fu illustrata da Louis-François Du Bois de Saint-Gelais nella Description des tableaux du Palais Royal 12 . Fra i quadri di scuola italiana Du Bois de Saint-Gelais inserisce due opere di Turchi oggi irreperibili : Giuseppe e la moglie di Putifarre e gli Angeli appaiono ad Abramo 13 , la cui composizione ci è nota grazie alle incisioni contenute nella Galerie du Palais Royal. In base alla Description des tableaux du Palais Royal sappiamo che Giuseppe e la moglie di Putifarre pervenne al duca d'Orléans dalla raccolta di « Monsieur le Duc 14 », ovvero il figlio maggiore del principe di Condé, Henri-Jules di Borbone. Tale evenienza viene comprovata dal suo inventario post mortem del 1709, ove il quadro di Turchi è puntualmente rubricato 15 .
Nel 1959 Roberto Longhi rese noto sulle pagine di Paragone un dipinto di Alessandro Turchi per il... more Nel 1959 Roberto Longhi rese noto sulle pagine di Paragone un dipinto di Alessandro Turchi per il quale propose il titolo di "I progenitori redarguiti dopo il peccato originale" (fig. 1) 1 . Il soggetto del quadro, che raffigura Adamo, Eva, Dio Padre e due angeli che reggono il suo mantello, veniva spiegato dallo studioso nel modo seguente: "l'Adamo che dorme significa il post factum smaccatamente e l'Eva, già riazzimata e profumata, sembra tentare il colpo grosso addirittura sul vegliardo che la rimprovera; mentre, a scagionarla, ci si mette anche un amorino alato che, nell'occasione, pare veramente un fuor d'opera" 2 .
Pier Dandini e Carlo Maria Maggi: una inedita commissione artistica del 1687 (Roberta Piccinelli)... more Pier Dandini e Carlo Maria Maggi: una inedita commissione artistica del 1687 (Roberta Piccinelli) SERVIZIS EEDI TORIALI PARAGONE Rivista mensile di arte figurativa e letteratura fondata da Roberto Longhi ARTE Anno LXIV -Terza serie -Numero 112
Nel 1718, allorquando Bartolomeo Dal Pozzo diede alle stampe Le Vite de'pittori, de gli scultori,... more Nel 1718, allorquando Bartolomeo Dal Pozzo diede alle stampe Le Vite de'pittori, de gli scultori, et architetti veronesi e la relativa Aggiunta, la città di Verona aveva perduto alcune delle collezioni d'arte che l'avevano resa celebre nel Seicento, in Italia come in Europa. Le raccolte dei conti Giusti e dei conti Canossa, quella creata da Giacomo Muselli e quella di Giovanni Pietro Curtoni erano state smembrate oppure vendute prima del 1718. 1 Tra queste una in particolare si distingueva per dipinti di eccezionale rilevanza e « disegni sopra carte tinte, illuminate di biacca »: 2 ci riferiamo allo 'studio' I quadri già Muselli all'Ermitage: precisazioni su alcune provenienze 1. Ci riferiamo, in particolare, alle collezioni di Gian Giacomo Giusti e di Girolamo Canossa. La prima fu smembrata poco prima della metà del diciassettesimo secolo in conseguenza della morte del conte Gian Giacomo e della successiva divisione della sua eredità tra i due figli Francesco e Marcantonio. Galeazzo Canossa vendé invece nel febbraio 1604 a Vincenzo Gonzaga la collezione del padre Girolamo, che comprendeva pezzi inestimabili tra i quali la cosiddetta Madonna della perla di Raffaello e bottega (Madrid, Museo del Prado) e il bronzo ellenistico noto come l'Adorante (Berlino, Altes Museum). Scipione Maffei, nella sua Verona Illustrata (1732), ricorda con rammarico che « venendo al proposito nostro, cioè a favellar dei Musei di questa città, famosi furono in altri tempi particolarmente per medaglie e pitture, quelli di Marc'Antonio da Monte, del conte Girolamo Canossa, di Cesare Nichesola, del conte Agostino Giusti, di casa Muselli per rarissimi quadri celebratissimo, di Niccolò Cusani, d'Antonio Curtoni, e più altri: ma poiché nel volger degli anni mancarono, quelli anderemo additando, che al presente sussistono ». S. Maffei, Verona Illustrata, in Opere del Maffei, viiii, Venezia 1790, p. 12; A. Luzio, La Galleria dei Gonzaga venduta all'Inghilterra nel 1627-1628, Milano 1913, pp. 90-92; L. Franzoni, Il collezionismo dal Cinquecento all'Ottocento, in Cultura e vita civile a Verona. Uomini e istituzioni dall'epoca carolingia al Risorgimento, a cura di G.. 2. Carlo Ridolfi ricorda nelle Maraviglie dell'arte che Cristoforo e Francesco Muselli, « oltre le Pitture narrate [di Paolo Veronese], possiedono ancora que' Signori alcuni disegni sopra carte tinte illuminati di biacca, che lungo sarebbe il narrar le inventioni tutte ». L'artista-scrittore cita presso i Muselli anche molti fogli di Paolo Farinati, mentre sappiamo da Giuseppe Campori che in un camerino del loro palazzo si conservavano, oltre a un ritratto di Paolo Veronese, « diversi ritratti e figurini del Parmigianino et altri disegni del medesimo, uno del Mantegna, i sette peccati mortali, lumati d'oro di Giacomo Ligozi Veronese Pittore che serviva li Serenissimi di Firenze, in numero di 24 in circa ». La raccolta di grafica dei Muselli, di cui non possediamo un inventario esaustivo, fu acquistata da Pierre Crozat durante il suo viaggio in Italia, avvenuto tra il novembre 1714 e l'ottobre 1715. B. Dal Pozzo, Le Vite de' pittori, de gli scultori et architetti veronesi, Verona 1718, p. 94; C. Ridolfi, Le Maraviglie dell'arte ovvero le vite degli illustri pittori veneti e dello Stato, davide dossi Muselli. Questa straordinaria collezione, che ci è nota attraverso due inventari (redatti nel 1662 il primo e verso il 1680 il secondo), 1 fu accorpata dal mercante veronese Giacomo Muselli (1569-1641) nei primi decenni del Seicento. 2 Essa divenne ben presto un'imprescindibile meta di visita da parte di nobili e artisti, 3 1648, Padova 1835-1837, ii, pp. 37-38, 327-328; G. Campori, Raccolta di cataloghi ed inventarii inediti di quadri, statue, disegni, bronzi, dorerie, smalti, medaglie, avorii, ecc. dal secolo XV al secolo XIX, Modena 1870, pp. 178, 192; H. Sueur, I disegni veneziani della collezione dei duchi d'Este, in La pittura veneta negli stati estensi, a cura di J. Bentini, S. Marinelli, A. Mazza, Modena 1996, pp. 328-330, 342 note 38-39. Per il riconoscimento di alcuni disegni di Paolo Veronese già Muselli e le relative vicende collezionistiche si veda in particolare R. Bacou, I grandi disegni italiani della Collezione Mariette al Louvre di Parigi, Milano 1982, n. 31; R. Cocke, Veronese's Drawings. A catalogue raisonne, London 1984, pp. 76-81; L. Vertova, I chiaroscuri di casa Muselli, in Nuovi studi su Paolo Veronese, a cura di M. Gemin, Venezia 1990, pp. 172-182; H. Coutts, The collecting of Veronese drawings in the 17th and 18th centuries, ivi, pp. 68-69; S. Prosperi Valenti Rodinò, Collezionisti a Bologna e a Venezia, in Il disegno. I grandi collezionisti, a cura di G.C. Sciolla, Cinisello Balsamo (Milano) 1992, p. 73. 1. Giuseppe Campori pubblicò nel 1870 un inventario dello studio Muselli, inviato dal marchese Gaspare Gherardini al principe Cesare d'Este nel gennaio del 1663. Esso, che si riferisce allo status della collezione nel 1662, comprende 130 dipinti, una ventina di disegni e un altorilievo attribuito a Jacopo Sansovino.
Convegno internazionale di studi
a cura di Francesca Parrilla e Matteo Borchia
in collaborazione... more Convegno internazionale di studi a cura di Francesca Parrilla e Matteo Borchia in collaborazione con The British School at Rome (BSR) su iniziativa del Rome Art History Network (RAHN)
Data convegno: 22-06-2017
Roma – BSR British School at Rome
Deadline cfp: 28-02-2017
A cura di Fr... more Data convegno: 22-06-2017 Roma – BSR British School at Rome Deadline cfp: 28-02-2017 A cura di Francesca Parrilla e Matteo Borchia in collaborazione con The British School at Rome (BSR) su iniziativa del Rome Art History Network (RAHN)
I nomi del conte veronese Agostino Giusti e del figlio Giovan Giacomo sono noti agli studi sul co... more I nomi del conte veronese Agostino Giusti e del figlio Giovan Giacomo sono noti agli studi sul collezionismo a Verona e nel Veneto da almeno quarant'anni. Ciononostante, l'impossibilità di uno studio sistematico dell'archivio familiare non ha consentito agli studiosi fino a oggi di avvicinarsi in maniera approfondita a queste figure né di tracciare un profilo chiaro della loro committenza e della loro propensione al collezionismo. L'occasione fornita dall'"apertura" dei fondi Giusti e Giusti del Giardino conservati presso l'Archivio di Stato di Verona ha permesso agli autori di questo libro di ricostruire con precisione le tappe della creazione e della successiva dispersione delle collezioni di Agostino e Giovan Giacomo Giusti, spesso confuse e denominate "la collezione Giusti", ma invece contraddistinte da fisionomie, finalità e linee di fruizione proprie dei due fautori. Partendo dalla figura di Agostino, che ristrutturò il palazzo nella contrada di San Vitale e lo dotò di un apparato decorativo e di una raccolta di oggetti d'arte aperta agli artisti e agli amatori, si analizza la figura del figlio Giovan Giacomo, creatore di una seconda collezione da lui quasi privatamente goduta. Con Francesco e Marcantonio Giusti, nipoti di Agostino, inizia il processo di disgregazione che vedrà al principio del Settecento quello che era rimasto delle due collezioni disperdersi a Venezia.
Un aspetto tra i più affascinanti del collezionismo in età moderna riguarda le raccolte assemblat... more Un aspetto tra i più affascinanti del collezionismo in età moderna riguarda le raccolte assemblate da artisti. L'analisi di varie tipologie di fonti e in particolare la consultazione degli inventari permette di osservare da un punto di vista privilegiato la personalità e il ruolo sociale del collezionista, risultando di grande interesse nel caso in cui il creatore della raccolta sia un artista. Nelle abitazioni, nelle botteghe e negli studi si incontrano, insieme ai beni attinenti alla pratica del mestiere, opere esposte seguendo validi criteri di allestimento, oltre a pezzi d'antichità e oggetti di varia natura. Non sempre si tratta di un'accumulazione arbitraria, ma generalmente il possesso di queste opere riflette una precisa volontà collezionistica, frutto di orgoglio personale, di pura speculazione commerciale o del desiderio di collocarsi a un livello più alto nella scala sociale. Il volume affronta i molti aspetti di un tema delicato e problematico e fornisce l'occasione di un valido confronto tra epoche e contesti cittadini diversi dal punto di vista sociale.
Un aspetto tra i più affascinanti del collezionismo in età moderna riguarda le raccolte assemblat... more Un aspetto tra i più affascinanti del collezionismo in età moderna riguarda le raccolte assemblate da artisti. L'analisi di varie tipologie di fonti e in particolare la consultazione degli inventari permette di osservare da un punto di vista privilegiato la personalità e il ruolo sociale del collezionista, risultando di grande interesse nel caso in cui il creatore della raccolta sia un artista. Nelle abitazioni, nelle botteghe e negli studi si incontrano, insieme ai beni attinenti alla pratica del mestiere, opere esposte seguendo validi criteri di allestimento, oltre a pezzi d'antichità e oggetti di varia natura. Non sempre si tratta di un'accumulazione arbitraria, ma generalmente il possesso di queste opere riflette una precisa volontà collezionistica, frutto di orgoglio personale, di pura speculazione commerciale o del desiderio di collocarsi a un livello più alto nella scala sociale. Il volume intende affrontare i molti aspetti di un tema delicato e problematico e fornire l'occasione di un valido confronto tra epoche e contesti cittadini diversi dal punto di vista sociale. per immagini nell'età del digitale, a cura di Federico Bellini Tradizione, innovazione e modernità: il disegno a Roma tra Cinque e Seicento (1580 ca.-1610 ca.) a cura di Stefan Albl e Marco Simone Bolzoni Francesca Parrilla si è laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Parma e ha proseguito i suoi studi alla Sapienza Università di Roma, dove ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca con una tesi monografica su Marcello Venusti. Ha partecipato a numerosi progetti di ricerca nazionali sul tema del collezionismo delle famiglie romane tra il XVI e il XVII secolo. Ha ottenuto una borsa di studio dall'Università di Chieti e dalla Fondazione 1563 per l'arte e la cultura, ente strumentale della Compagnia San Paolo di Torino. È stata assegnista di ricerca presso Università degli Studi di Salerno e attualmente è Research Fellow all'Università "Notre-Dame Rome Global Gateway" nell'ambito del Frutaz Project. Matteo Borchia si è laureato, specializzato e addottorato presso la Sapienza Università di Roma, dove è stato anche assegnista di ricerca. È stato borsista presso il Preussischer Kulturbesitz di Berlino ed è membro dal 2009 del comitato redazionale degli "Studi sul Settecento Romano". Ha dedicato numerose pubblicazioni a vari aspetti della cultura artistica della Roma settecentesca, al collezionismo e alle relazioni tra l'Italia e il mondo tedesco nel XVIII secolo. Ha in preparazione un libro sulla corrispondenza diplomatica del cardinale Alessandro Albani.
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Papers by Davide Dossi
a cura di Francesca Parrilla e Matteo Borchia
in collaborazione con The British School at Rome (BSR)
su iniziativa del Rome Art History Network (RAHN)
Roma – BSR British School at Rome
Deadline cfp: 28-02-2017
A cura di Francesca Parrilla e Matteo Borchia
in collaborazione con The British School at Rome (BSR)
su iniziativa del Rome Art History Network (RAHN)