Books by Ivan Basić
Byzantine Ambos From Hellespont, 2022
Split–Zagreb: Filozofski fakultet Sveučilišta u Splitu, Hrvatsko društvo za bizantske studije, 2020
Questo libro è il risultato dei miei studi riguardanti la geografia storica e la storia ecclesias... more Questo libro è il risultato dei miei studi riguardanti la geografia storica e la storia ecclesiastica nell’ambito dell’Adriatico orientale compiuti negli ultimi quattro anni. Lo studio dell’argomento era imposto dalle ricerche eseguite per la mia tesi di dottorato che si occupava della poleogenesi di Spalato a cavallo tra la tarda antichità e l'Alto Medioevo compiuta e difesa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Zagabria (2013). Pertanto, in un certo senso, questo libro è un prodotto accessorio di uno studio molto più ampio. Il carattere e la taglia della tesi di dottorato non hanno reso possibile l’elaborazione dettagliata dei molti temi e perciò le soluzioni riguardanti dovevano esser anticipate, ma rispettando l’obbligo di dedicare loro gli articoli separati e le conclusioni compiute. Negli ultimi quasi sette anni dal completamento del testo originale della tesi di dottorato alla preparazione di questa monografia per la pubblicazione, discussione sul tema dei vescovi della Dalmazia al Concilio di Hieria del 754 è stata pubblicata come un articolo scientifico nella raccolta di articoli pubblicata in occasione del decimo anniversario del Dipartimento di storia della Facoltà di Lettere e Filosofia di Spalato (2014). Come allora, così ora il testo è stato modificato in modo significativo rispetto alla versione originale. Tuttavia sono ivi presentate delle conclusioni ora notevolmente approfondite, ampliate, completate, sia dal punto di vista qualitativo sia da quello quantitativo, mentre il testo tradotto in italiano è stato adattato alla storiografia straniera. Le modifiche e miglioramenti per questa edizione hanno incluso un aggiornamento bibliografico, poi l’apprezzamento di nuove scoperte, ma anche le visioni completamente nuove su alcuni problemi, così si può dire che lo studio davanti al lettore rappresenta davvero un insieme qualitativamente nuovo. D’altra parte, l’approccio e le conclusioni di ricerca non sono cambiati.
Knjiga daje pregled istraživanja na ranosrednjovjekovnim lokalitetima u Guranu i Balama (Istra). ... more Knjiga daje pregled istraživanja na ranosrednjovjekovnim lokalitetima u Guranu i Balama (Istra). Iznesene su nove spoznaje o crkvi sv. Marije Velike kod Bala te trima crkvama i ranosrednjovjekovnom naselju u Guranu kod Vodnjana.
La chiesa e il convento altomedievale di S. Maria Alta N el 1641 il vescovo di Cittanova Giacomo ... more La chiesa e il convento altomedievale di S. Maria Alta N el 1641 il vescovo di Cittanova Giacomo Filippo Tommasini (1595-1655) portò a termine la stesura del manoscritto De' commentari storici-geografici della Provincia dell'Istria, ove dedicò molto spazio alla proprie ricerche effettuate sul campo e a tavolino, ma anche ai dati raccolti dai collaboratori. Senza tutte queste informazioni numerosi aspetti storici, etnologici, geografici e sociali del periodo altomedievale in Istria non sarebbero stati compresi appieno. L'opera di Tommasini, tra l'altro, riporta il primo riferimento e la descrizione dei resti materiali del complesso della chiesa e del convento altomedievale di S. Maria Alta presso Valle: Vi è la chiesa chiamata della Madonna di antica fabbrica, e quindi si vedono molte rovine, e si dice essere stato un monastero di monaci, senza alcuna antichità. Una breve annotazione che sottolinea chiaramente un particolare approccio, caratteristico di quel periodo storico. Si parla, infatti, di rovine senza alcuna antichità, ove per antichità si intende in primo luogo l'antichità classica e le sue vestigia, ovvero le antichità romane. È questa una fonte importante poiché, oltre a ricordare -pur in modo lapidario e senza altre annotazioni-S. Maria Alta come un complesso che attorno al 1640 si presentava diroccato e malridotto, -tramanda anche lo specifico atteggiamento dell'epoca nei confronti dei resti antichi. Viene infatti tralasciata, quasi intenzionalmente, la menzione di vestigia architettoniche e scultoree relative all'età altomedievale e alle epoche successive che, alla metà del XVII secolo, dovevano essere ancora visibili, come attestano senza dubbio le indagini archeologiche o la diretta testimonianza dello stesso Tommasini. Il complesso è ubicato nelle vicinanze dell'insediamento di Valle, lungo la strada che da Rovigno conduce verso la parte meridionale dell'Istria ( ), in un'area fertile, adatta all'olivicultura e alla viticoltura, oggi prevalentemente in stato di abbandono. Il convento e la chiesa sorgevano in una posizione dominante sullo specchio di mare che va dall'arcipelago di Brioni fino a Rovigno, su un declivio che dolcemente scende verso il mare. In tale comprensorio trovavano posto alcune strutture produttive riferibili all'antichità e alla tarda antichità, e la baia di Porto Colone, dove era ubicato uno scalo databile alle medesime fasi occupazionali antiche. Attraverso questo porto il convento di S. Maria Alta comunicava con il convento benedettino di S. Andrea sull'isola davanti a Rovigno. Oggi il complesso conventuale si trova al quarto chilometro della moderna strada che collega Valle con Rovigno, mentre in origine era affiancato dalla vecchia strada che collegava i due centri, il cui tracciato è tuttora visibile. La rilevanza di quest'ultima via di comunicazione è ancora attestata nel medioevo inoltrato dalla presenza della limitrofa chiesa di S. Maria Piccola, indagata e studiata in modo approfondibrosura bale.indd 1 8.2.2010 8:53:25 brosura bale.indd 2 8.2.2010 8:53:25 brosura bale.indd 3 8.2.2010 8:53:26 brosura bale.indd 4 8.2.2010 8:53:28 brosura bale.indd 5 8.2.2010 8:53:28 brosura bale.indd 6 8.2.2010 8:53:28
La chiesa e il convento altomedievale di S. Maria Alta N el 1641 il vescovo di Cittanova Giacomo ... more La chiesa e il convento altomedievale di S. Maria Alta N el 1641 il vescovo di Cittanova Giacomo Filippo Tommasini (1595-1655) portò a termine la stesura del manoscritto De' commentari storici-geografici della Provincia dell'Istria, ove dedicò molto spazio alla proprie ricerche effettuate sul campo e a tavolino, ma anche ai dati raccolti dai collaboratori. Senza tutte queste informazioni numerosi aspetti storici, etnologici, geografici e sociali del periodo altomedievale in Istria non sarebbero stati compresi appieno. L'opera di Tommasini, tra l'altro, riporta il primo riferimento e la descrizione dei resti materiali del complesso della chiesa e del convento altomedievale di S. Maria Alta presso Valle: Vi è la chiesa chiamata della Madonna di antica fabbrica, e quindi si vedono molte rovine, e si dice essere stato un monastero di monaci, senza alcuna antichità. Una breve annotazione che sottolinea chiaramente un particolare approccio, caratteristico di quel periodo storico. Si parla, infatti, di rovine senza alcuna antichità, ove per antichità si intende in primo luogo l'antichità classica e le sue vestigia, ovvero le antichità romane. È questa una fonte importante poiché, oltre a ricordare -pur in modo lapidario e senza altre annotazioni-S. Maria Alta come un complesso che attorno al 1640 si presentava diroccato e malridotto, -tramanda anche lo specifico atteggiamento dell'epoca nei confronti dei resti antichi. Viene infatti tralasciata, quasi intenzionalmente, la menzione di vestigia architettoniche e scultoree relative all'età altomedievale e alle epoche successive che, alla metà del XVII secolo, dovevano essere ancora visibili, come attestano senza dubbio le indagini archeologiche o la diretta testimonianza dello stesso Tommasini. Il complesso è ubicato nelle vicinanze dell'insediamento di Valle, lungo la strada che da Rovigno conduce verso la parte meridionale dell'Istria ( ), in un'area fertile, adatta all'olivicultura e alla viticoltura, oggi prevalentemente in stato di abbandono. Il convento e la chiesa sorgevano in una posizione dominante sullo specchio di mare che va dall'arcipelago di Brioni fino a Rovigno, su un declivio che dolcemente scende verso il mare. In tale comprensorio trovavano posto alcune strutture produttive riferibili all'antichità e alla tarda antichità, e la baia di Porto Colone, dove era ubicato uno scalo databile alle medesime fasi occupazionali antiche. Attraverso questo porto il convento di S. Maria Alta comunicava con il convento benedettino di S. Andrea sull'isola davanti a Rovigno. Oggi il complesso conventuale si trova al quarto chilometro della moderna strada che collega Valle con Rovigno, mentre in origine era affiancato dalla vecchia strada che collegava i due centri, il cui tracciato è tuttora visibile. La rilevanza di quest'ultima via di comunicazione è ancora attestata nel medioevo inoltrato dalla presenza della limitrofa chiesa di S. Maria Piccola, indagata e studiata in modo approfondibrosura bale.indd 1 8.2.2010 8:53:25 brosura bale.indd 2 8.2.2010 8:53:25 brosura bale.indd 3 8.2.2010 8:53:26 brosura bale.indd 4 8.2.2010 8:53:28 brosura bale.indd 5 8.2.2010 8:53:28 brosura bale.indd 6 8.2.2010 8:53:28
De la domus episcopi au château Janković : l’évolution de l’espace du château Janković
Les cara... more De la domus episcopi au château Janković : l’évolution de l’espace du château Janković
Les caractéristiques géophysiques du village d’Islam et de ses alentours offrent de nombreses conditions, stables et avantageuses, qui ont favorisé une présence continue d’habitat humain, alors que le rattachement de cet espace à la voie de communication menant de Nin (antique Aenona) à Knin témoigne de son importance géographique. Bien que des fouilles archéologique systématiques n’y ont jamais été menées, et sans disposer de données sur la provenance précise de la plupart des objets qu’abrite la collection archéologique du château Janković, il n’y a aucun doute que ceux-ci font partie de la même mosaïque que ceux des localités voisines. La zone du village d’Islam faisait vraisemblablement partie du ager municipii Nedini. Durant le haut Moyen Âge celui-ci fut incorporé au comitat de Luka. À cette époque, la zone d’Islam était entourée des agglomérations de Grgurice, Učitelja Vas, Tršćane, Kačina Gorica, Rejane, Paprčane, Kašić, Rocane et Čerinci. La Via Magna cesta vocata tendens per Lucam est une communication moyenâgeuse qui suivait la direction Nin – Islam – Kašić – Smilčić –Biljani Gornji – Benkovac – Ostrovica – Knin. Une section de 8 km de la voie traversait le district de Novigrad. Les recherches sur la vie du village d’Islam (Grčki et Latinski) au Moyen Âge étaient difficiles car son toponyme moyenâgeux était inconnu, ayant été recouvert au début de l’époque moderne par le nom de «rempart de l’Islam ». Ce problème a été longuement discuté, et ce n’est qu’en 1985 que N. Jakšić, en analysant les documents originaux, a conclu que le village d’Islam était mentionné dans les actes vénitiens du XVIe siècle sous le nom de village fortifié de Učitelja Vas, toponyme de cette agglomération avant l’époque turque. L’un des documents les plus importants pour l’étude de la toponymie du village d’Islam est la charte du 16 août 1266 par laquelle Roland, banus totius Sclavonie, fait donation de la propriété de Četiglavac (Chetiglavaz) à l’église de Nin, conduite par l’évêque Samson II, et en définit les confins précis. Les confins y décrits se rapportent aux toponymes de la zone des villages actuels d’Islam Grčki et Islam Latinski. Le collationnement des toponymes enregistrés dans les privilèges concédés aux comtes de Posedarje en 1219 et en 1249 avec les données précitées datant de 1266, puis avec la délimitation de la frontière turco-vénitienne à partir de l’année 1576, et finalement avec la situation générale du cadastre en 1826, a permis une reconstruction précise de la ligne du confin sud-ouest du domaine des comtes de Posedarje face à la zone historique du village d’Islam (c’est-à-dire le confin nord-est du domaine de l’évêque de Nin). On a constaté que cette ligne de partage ne s’est littéralement pas déplacée au cours d’une longue période, allant du XIIIe au XIXe siècle. Fait important, le château Janković se situe exactement sur la ligne du confin sud du domaine de l’évêque Samson, sur sa section incontestée qui rejoint l’église de Saint Georges (localité de Crkvice, à quelque cinq cents mètres à l’ouest du château). Domus episcopi Sansonis, la résidence de villégiature de l’évêque, est ainsi identifiée d’une manière probante à l’actuel château Janković. Le village de Učitelja Vas fait partie des agglomérations qui se sont dépeuplées à la suite d’incursions fréquentes des Turques à l’intérieur du territoire croate au cours des XVe et XVIe siècles. Même avant la guerre de Chypre, il se trouvait en zone frontière, no man’s land, entre l’acquisto vecchio vénitien et le pays nouvellement formé, «vilajet Hrvati». Le pacha Ferhad Sokolović occupa le village Učitelja Vas en 1570. Aussitôt l’agglomération disparut faisant place à la fortification frontalière ottomane, nommée fort à propos « rempart de l’Islam », Sedd-i islam, qui faisait face à la possession vénitienne. Bien que Evliya Çelebi dans son récit de voyage Seyahatname (autour de 1631-1670) attribue la fondation de cette place forte au bey Gazi Husrev en 1538, les historiens de Zadar Š. Ljubavac et C. F. Bianchi situent sa fondation plus vraisemblablement en 1577. Le château-fort turque a été détruit par mesure de prévention au début de la guerre de Candie en 1647, par ordre de L. Foscolo. La ligne de délimitation turco-vénitienne dans cette micro-région passait à proximité immédiate du village appelé autrefois Učitelja Vas, traversant Grgurice et atteignait Paljuv. Tout le territoire conquis fut rendu au sultan par la paix de 1669, à part quelques petits bouts de territoire en Dalmatie centrale. C’est précisément à Islam qu’en 1671 le pacha Mahmud et G. B. Nani délimitèrent les frontières de la Dalmatie après la guerre de Candie – linea Nani. Les succès vénitiens, bien qu’éphémères, n’eussent pas été envisageables sans le facteur morlaque et la nouvelle politique vénitienne qui lui était favorable. Les Morlaques fuyant l’Empire ottoman pour la Dalmatie étaient approvisionnés par la Serenissime en armes suffisantes, qu’ils utilisaient contre les Turques en lançant des raids dans leur pays d’origine. Les Mitrović-Janković, propriétaires du château Janković, font leur apparition sur la scène historique vers le milieu du XVIIe siècle et deviennent des gouverneurs héréditaires des Kotari supérieurs. Stojan Janković (Mitrović-Janković) devient en 1663 l’un des chefs locaux de Posedarje. Pour ses mérites militaires et sa loyauté à la République de saint Marc il obtint en 1670 un domaine de dimensions moyennes à Islam. Dès l’année suivante il fut nommé commandant d’Ostrovica, et en 1681 il devint chef des Morlaques. Il périt lors de la campagne de Glamoč, Livno et Duvno en 1687, sans avoir vu son fief d’Islam. Après 1576 les possessions de l’évêque de Nin ont été rattachées, semble-t-il sans modification, à l’ensemble de l’Islam ottoman. Jusqu’en 1670 elles faisaient partie des propriétés de l’agha Jusuf Tunić. Comme elles correspondaient approximativement par leurs dimensions au domaine des évêques de Nin, l’hypothèse selon laquelle elles auraient été transformées en une propriété de spahi à l’époque ottomane semble bien plausible. En tout cas, leurs confins n’ont pas changé, au moins un certain temps avant 1670. Mais le château de Stojan, tel que nous le connaissons aujourd’hui, n’a pas de lien direct avec ce protagoniste de l’histoire dalmate (bien que le château d’Islam occupe une place importante dans la tradition epique orale portant sur le personnage de Stojan). Des sources éparses et peu nombreuses permettent de reconstituer l’essentiel des événements du XVIIe siècle. En 1647 le château-fort turque fut démoli ; en 1671, au moment de la rencontre de Nani avec le pacha Mahmud, Islam est en ruines, puis il retombe sous la juridiction ottomane, pour en être finalement abandonné dès 1684. Stojan Janković périt en 1687, mais la situation d’Islam n’est réglée que 12 ans plus tard. Les Janković ne s’installeront sur leurs terres qu’en 1699, après la guerre de Morée, et leur présence culminera par la construction de leur résidence familiale sur les possessions nouvellement acquises, au cours des siècles suivants. Plusieurs indices attestent de façon incontestable que le noyau de l’ensemble actuel du château Janković doit être recherché parmi les constructions que Todorin Dede Janković acheta en 1719. Ce qu’on appelle aujourd’hui le château Janković comprend un ensemble unique de bâtiments de fortification, d'habitation et d'exploitation agricole disposés sur une superficie de 4500 m. Le domaine est situé sur une colline, à l’ouest de l’ancienne Via Magna qui le rejoint tangentiellement au sud d’Islam Grčki. L’ensemble est entouré de hauts murs en pierre, qui forment un quadrilatère irrégulier (80 x 60 m), dont le tiers sud-ouest occupe le noyau des bâtiments de fortification, d'habitation et d'exploitation agricole. Il a la forme d’une construction à trois ailes, avec une annexe saillante dans l’angle sud. Les ailes de ce noyau sud-ouest renferment entre elles une cour intérieure, pratiquement fermée par la construction ultérieure d’une ceinture de bâtiments d’exploitation qui longe le bord nord-est de la propriété, en ne laissant qu’un passage étroit vers la grande cour d’entrée. On identifie la partie la plus vieille dans la «résidence ancienne», au milieu de l’aile sud-est du noyau historique. Son annexe (« le donjon ») a la forme d’une tour à plusieurs étages, qui domine tout l’ensemble. Du sud-ouest au nord-est s’alignent : « la prison », surmontée par la « vieille cuisine » et le donjon, « la résidence ancienne » (avec l’entrée principale) et la « grange à sécher le maïs ». On suppose que la partie la plus ancienne du noyau historique est le bâtiment à deux étages dont les deux espaces sont couverts d'une voûte en plein cintre : au rez-de-chaussée « la prison », avec un cachot souterrain, et la cuisine qui est située juste au-dessus d'elle, sous le donjon ; puis, au sud-ouest, la pièce de prestige, « le salon », construit au-dessus de la pièce à quatre arcs qui donne accès à la prison. « Le salon » est relié par un vestibule à la «résidence ancienne». L’entrée principale, dite « de garde », et le vestibule constituent le noeud de communication de toute la structure du château. Dans le prolongement de ce noyau historique, vers l’ouest, on a construit au cours du XVIII s. un édifice dont le niveau inférieur occupe le cellier, relié à l’entrée de la prison par un préau couvert, dont les trois arcs donnent sur la cour intérieure actuelle. La construction de cette aile à deux étages au XVIII s. ébauche la formation de la cour intérieure, ce qui transforme le plan du château, initialement constitué d’une seule aile, en structure à deux ailes. La cour intérieure a été formée à un rythme inégal jusqu’au dernier tiers du XIX s, en ajoutant progressivement les bâtiments qui l’entourent. C’est de cette époque que date le bâtiment à deux étages (« la grange »), qui dessine, avec ...
Edited books by Ivan Basić
Dissertationes et Monographiae 20, 2024
Centar za lokalnu povijest i rodoslovlje Filozofskog fakulteta u Splitu - Dalmatocroatica transmontana, I, 2022
Ivan Ostojić: Authenticity of chapter IX of the Chronicle of the Priest of Dioclea. First edition... more Ivan Ostojić: Authenticity of chapter IX of the Chronicle of the Priest of Dioclea. First edition of a previously unpublished work written in 1968.
Željko Rapanić, Studies on the Early Middle Ages, ed. Ivan Basić (Split, 2022)
Collected papers on the occasion of the 10th anniversary of the Department of History, Faculty of... more Collected papers on the occasion of the 10th anniversary of the Department of History, Faculty of Humanities and Social Sciences in Split.
by Fabio Coden, Giulia Arcidiacono, Ivan Basić, Vlad Bedros, Alberto Crosetto, Zaruhi Hakobyan, Wilfried E. Keil, Justin E A Kroesen, Elisabetta Scirocco, Angeliki Mexia, Silvia Muzzin, Luca Palozzi, Antonino Tranchina, Αντιγόνη Τζιτζιμπάση / Antigoni Tzitzibassi, and Maddalena Vaccaro Cinisello Balsamo, Silvana editoriale, 2021 (Minima medievalia), pp. 1-560. (isbn 9788836649211), 2021
Book chapters by Ivan Basić
Fortunatus ligo: Festschrift on the occasion of Ante Milošević's 70th birthday, eds. I. Basić, I. Josipović, M. Jurković (Split-Zadar-Zagreb-Motovun: IRCLAMA, Faculty of Humanities and Social Sciences-University of Split, University of Zadar, 2024): 367-382
The fragment belonging to the inscribed arch of the pre-Romanesque altar screen in the Church of ... more The fragment belonging to the inscribed arch of the pre-Romanesque altar screen in the Church of St. Martin in Lepuri near Benkovac is shown to mention the name of the Croatian duke Branimir (879-892). Although the text is somewhat incomplete, the duke's name is graphically reproduced in a manner consistent with the entirely preserved inscription of the same duke from Gornji Muć, dated to the year 888. It has been previously established that both reliefs were crafted by the so-called Benedictine stonecarving workshop from the period of duke Branimir, which strengthens the proposed reading presented here. The dedicatory inscription of abbot Theodebert from the same church in Lepuri, dated to Branimir's reign, was published about a decade ago. Reading the name of the duke on another inscription from Lepuri further narrows the time-frame of the creation of one of the ensembles of liturgical installations in that church, while also opening the possibility that the same stonecarving workshop executed not only the reliefs but also the inscriptions on both sites (Muć, Lepuri). This is the eighth epigraphic attestation of duke Branimir.
Virtute rebusque gestis. Zbornik povodom dvadesete godišnjice Odsjeka za povijest Filozofskog fakulteta u Splitu (ed. T. Andrić, N. Varezić), Split, 2024
The text studies the shortcomings in written and material sources previously used in attempts to ... more The text studies the shortcomings in written and material sources previously used in attempts to reconstruct the end of the city of Salona, the metropolis of the Roman province of Dalmatia. The author focuses on the deficiencies and challenges in attempting to reconstruct the final stage of that city. The following provides an overview of comparative models of the same process in closer regions (Epirus Vetus, lower Danube region, southern Macedonia, southern Thrace, northern Italy) and more distant areas (Asia Minor and the Middle East). Through these studies, an attempt is made to comprehend the diversity in the development of similar cities across different geographical areas by comparing them with the city of Salona. This research is contextualized within the main trends of historiographical production that emerged from the mid-20th century to the first quarter of the 21st century. To that end, various authors are invoked: William Bowden, Wolfram Brandes, Gian-Pietro Brogiolo, Neil Christie, Lellia Cracco Ruggini, Archibald W. Dunn, Clive Foss, Sauro Gelichi, John F. Haldon, Arnold H. M. Jones, Alexander P. Kazhdan, Luke Lavan, Wolfgang Liebeschuetz, George Ostrogorsky, Andrew G. Poulter, Bryan Ward-Perkins, Mark Whittow, Chris Wickham, Enrico Zanini, Luca Zavagno. The analysis of their respective different historiographical approaches and theories demonstrates possible solutions pertaining to the better understanding and interpretation of the late Late Roman history of Salona and similar cities. Such an approach enables a finer grasp of the weak points in sources concerning the reconstruction of Salona’s history and how other similar cities have been observed and studied within the broader context of Late Antique studies.
Ivan Ostojić, Vjerodostojnost sadržaja IX glave Ljetopisa popa Dukljanina, ed. Ivan Basić, Split: Filozofski fakultet, Centar za lokalnu povijest i rodoslovlje (2022): VII-XXXVIII
Approaching the Chronicle of the Priest of Dioclea.
TRADE – Transformations of Adriatic Europe (2nd–9th centuries AD). Proceedings of the conference in Zadar, 11th–13th February 2016, ed. I. Borzić, E. Cirelli, K. Jelinčić Vučković, A. Konestra, I. Ožanić Roguljić (Oxford: Archaeopress, 2023): 313-326
The sarcophagi of Brač-Salona type are among the most important Early Christian artefacts origina... more The sarcophagi of Brač-Salona type are among the most important Early Christian artefacts originating from the area of the Adriatic basin, that is from its eastern coast. Most of them were found in Dalmatia, mainly on the island of Brač (Brattia) as well as in the provincial capital Salona and its surroundings. They were also exported into Italy in large quantities (Ravenna, Puglia, etc.). Although these sarcophagi have been discussed many times before both in Croatian and (to a lesser extent) in international literature, there are still many issues to be resolved, particularly when it comes to dating the entire group. Alongside seminal works by I. Fisković and N. Cambi on the topic, several papers and findings relevant to that type of sarcophagi recently appeared in international publications. Some important details about certain findings from Croatia, that remain unknown to foreign literature also appeared. One of the newly-attributed sarcophagi (found at Treviso) also enables a discussion on the origin and dating of the whole group; it is based on that example that these issues are discussed.
Marinov zbornik. Papers in honour of Professor Emilio Marin, ed. M. Kevo, I. Majnarić, S. Obrovac Lipar (Zagreb: Hrvatsko katoličko sveučilište / Catholic University of Croatia, 2022): 647-664
Akti crkvenog koncila u Niceji održanog 787. godine sadrže jedinstvene podatke o prvim poznatim s... more Akti crkvenog koncila u Niceji održanog 787. godine sadrže jedinstvene podatke o prvim poznatim srednjovjekovnim dalmatinskim biskupima (Split, Rab, Osor, Kotor) koji se u hrvatskoj historiografiji s manjom ili većom ustrajnošću istražuju od 1930-ih. Ovdje se temeljem recentnog kritičkog izdanja koncilskih akata upozorava na dosad neuočene, također jedinstvene podatke koje taj tekst sadržava: ekskluzivno služenje latinskim jezikom biskupâ triju prvonavedenih gradova. Autor analizira tu vijest, tumači je i kontekstualizira. Zaključuje da ona svjedoči o latinskoj monolingvalnosti dalmatinskih urbanih zajednica, kao i o specifičnom položaju što su ga zauzimale dalmatinske biskupije na razmeđi Istoka i Zapada.
Zbornik radova 140 godina podučavanja povijesti umjetnosti na Sveučilištu u Zagrebu, eds. D. Botica, M. Jurković (Zagreb: FF press, 2022): 215-229
U radu je dan bibliografski prikaz časopisa Odsjeka za povijest umjetnosti Filozofskog fakulteta ... more U radu je dan bibliografski prikaz časopisa Odsjeka za povijest umjetnosti Filozofskog fakulteta u Zagrebu, pokrenutog 1958. godine, čiji je posljednji svezak objavljen 1981. godine. Uz uvodne napomene o tradiciji i mijenama formalnih obilježja časopisa u vremenskom slijedu, donosi se popis bibliografskih jedinica u kronološkom i abecednom nizu.
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Books by Ivan Basić
Les caractéristiques géophysiques du village d’Islam et de ses alentours offrent de nombreses conditions, stables et avantageuses, qui ont favorisé une présence continue d’habitat humain, alors que le rattachement de cet espace à la voie de communication menant de Nin (antique Aenona) à Knin témoigne de son importance géographique. Bien que des fouilles archéologique systématiques n’y ont jamais été menées, et sans disposer de données sur la provenance précise de la plupart des objets qu’abrite la collection archéologique du château Janković, il n’y a aucun doute que ceux-ci font partie de la même mosaïque que ceux des localités voisines. La zone du village d’Islam faisait vraisemblablement partie du ager municipii Nedini. Durant le haut Moyen Âge celui-ci fut incorporé au comitat de Luka. À cette époque, la zone d’Islam était entourée des agglomérations de Grgurice, Učitelja Vas, Tršćane, Kačina Gorica, Rejane, Paprčane, Kašić, Rocane et Čerinci. La Via Magna cesta vocata tendens per Lucam est une communication moyenâgeuse qui suivait la direction Nin – Islam – Kašić – Smilčić –Biljani Gornji – Benkovac – Ostrovica – Knin. Une section de 8 km de la voie traversait le district de Novigrad. Les recherches sur la vie du village d’Islam (Grčki et Latinski) au Moyen Âge étaient difficiles car son toponyme moyenâgeux était inconnu, ayant été recouvert au début de l’époque moderne par le nom de «rempart de l’Islam ». Ce problème a été longuement discuté, et ce n’est qu’en 1985 que N. Jakšić, en analysant les documents originaux, a conclu que le village d’Islam était mentionné dans les actes vénitiens du XVIe siècle sous le nom de village fortifié de Učitelja Vas, toponyme de cette agglomération avant l’époque turque. L’un des documents les plus importants pour l’étude de la toponymie du village d’Islam est la charte du 16 août 1266 par laquelle Roland, banus totius Sclavonie, fait donation de la propriété de Četiglavac (Chetiglavaz) à l’église de Nin, conduite par l’évêque Samson II, et en définit les confins précis. Les confins y décrits se rapportent aux toponymes de la zone des villages actuels d’Islam Grčki et Islam Latinski. Le collationnement des toponymes enregistrés dans les privilèges concédés aux comtes de Posedarje en 1219 et en 1249 avec les données précitées datant de 1266, puis avec la délimitation de la frontière turco-vénitienne à partir de l’année 1576, et finalement avec la situation générale du cadastre en 1826, a permis une reconstruction précise de la ligne du confin sud-ouest du domaine des comtes de Posedarje face à la zone historique du village d’Islam (c’est-à-dire le confin nord-est du domaine de l’évêque de Nin). On a constaté que cette ligne de partage ne s’est littéralement pas déplacée au cours d’une longue période, allant du XIIIe au XIXe siècle. Fait important, le château Janković se situe exactement sur la ligne du confin sud du domaine de l’évêque Samson, sur sa section incontestée qui rejoint l’église de Saint Georges (localité de Crkvice, à quelque cinq cents mètres à l’ouest du château). Domus episcopi Sansonis, la résidence de villégiature de l’évêque, est ainsi identifiée d’une manière probante à l’actuel château Janković. Le village de Učitelja Vas fait partie des agglomérations qui se sont dépeuplées à la suite d’incursions fréquentes des Turques à l’intérieur du territoire croate au cours des XVe et XVIe siècles. Même avant la guerre de Chypre, il se trouvait en zone frontière, no man’s land, entre l’acquisto vecchio vénitien et le pays nouvellement formé, «vilajet Hrvati». Le pacha Ferhad Sokolović occupa le village Učitelja Vas en 1570. Aussitôt l’agglomération disparut faisant place à la fortification frontalière ottomane, nommée fort à propos « rempart de l’Islam », Sedd-i islam, qui faisait face à la possession vénitienne. Bien que Evliya Çelebi dans son récit de voyage Seyahatname (autour de 1631-1670) attribue la fondation de cette place forte au bey Gazi Husrev en 1538, les historiens de Zadar Š. Ljubavac et C. F. Bianchi situent sa fondation plus vraisemblablement en 1577. Le château-fort turque a été détruit par mesure de prévention au début de la guerre de Candie en 1647, par ordre de L. Foscolo. La ligne de délimitation turco-vénitienne dans cette micro-région passait à proximité immédiate du village appelé autrefois Učitelja Vas, traversant Grgurice et atteignait Paljuv. Tout le territoire conquis fut rendu au sultan par la paix de 1669, à part quelques petits bouts de territoire en Dalmatie centrale. C’est précisément à Islam qu’en 1671 le pacha Mahmud et G. B. Nani délimitèrent les frontières de la Dalmatie après la guerre de Candie – linea Nani. Les succès vénitiens, bien qu’éphémères, n’eussent pas été envisageables sans le facteur morlaque et la nouvelle politique vénitienne qui lui était favorable. Les Morlaques fuyant l’Empire ottoman pour la Dalmatie étaient approvisionnés par la Serenissime en armes suffisantes, qu’ils utilisaient contre les Turques en lançant des raids dans leur pays d’origine. Les Mitrović-Janković, propriétaires du château Janković, font leur apparition sur la scène historique vers le milieu du XVIIe siècle et deviennent des gouverneurs héréditaires des Kotari supérieurs. Stojan Janković (Mitrović-Janković) devient en 1663 l’un des chefs locaux de Posedarje. Pour ses mérites militaires et sa loyauté à la République de saint Marc il obtint en 1670 un domaine de dimensions moyennes à Islam. Dès l’année suivante il fut nommé commandant d’Ostrovica, et en 1681 il devint chef des Morlaques. Il périt lors de la campagne de Glamoč, Livno et Duvno en 1687, sans avoir vu son fief d’Islam. Après 1576 les possessions de l’évêque de Nin ont été rattachées, semble-t-il sans modification, à l’ensemble de l’Islam ottoman. Jusqu’en 1670 elles faisaient partie des propriétés de l’agha Jusuf Tunić. Comme elles correspondaient approximativement par leurs dimensions au domaine des évêques de Nin, l’hypothèse selon laquelle elles auraient été transformées en une propriété de spahi à l’époque ottomane semble bien plausible. En tout cas, leurs confins n’ont pas changé, au moins un certain temps avant 1670. Mais le château de Stojan, tel que nous le connaissons aujourd’hui, n’a pas de lien direct avec ce protagoniste de l’histoire dalmate (bien que le château d’Islam occupe une place importante dans la tradition epique orale portant sur le personnage de Stojan). Des sources éparses et peu nombreuses permettent de reconstituer l’essentiel des événements du XVIIe siècle. En 1647 le château-fort turque fut démoli ; en 1671, au moment de la rencontre de Nani avec le pacha Mahmud, Islam est en ruines, puis il retombe sous la juridiction ottomane, pour en être finalement abandonné dès 1684. Stojan Janković périt en 1687, mais la situation d’Islam n’est réglée que 12 ans plus tard. Les Janković ne s’installeront sur leurs terres qu’en 1699, après la guerre de Morée, et leur présence culminera par la construction de leur résidence familiale sur les possessions nouvellement acquises, au cours des siècles suivants. Plusieurs indices attestent de façon incontestable que le noyau de l’ensemble actuel du château Janković doit être recherché parmi les constructions que Todorin Dede Janković acheta en 1719. Ce qu’on appelle aujourd’hui le château Janković comprend un ensemble unique de bâtiments de fortification, d'habitation et d'exploitation agricole disposés sur une superficie de 4500 m. Le domaine est situé sur une colline, à l’ouest de l’ancienne Via Magna qui le rejoint tangentiellement au sud d’Islam Grčki. L’ensemble est entouré de hauts murs en pierre, qui forment un quadrilatère irrégulier (80 x 60 m), dont le tiers sud-ouest occupe le noyau des bâtiments de fortification, d'habitation et d'exploitation agricole. Il a la forme d’une construction à trois ailes, avec une annexe saillante dans l’angle sud. Les ailes de ce noyau sud-ouest renferment entre elles une cour intérieure, pratiquement fermée par la construction ultérieure d’une ceinture de bâtiments d’exploitation qui longe le bord nord-est de la propriété, en ne laissant qu’un passage étroit vers la grande cour d’entrée. On identifie la partie la plus vieille dans la «résidence ancienne», au milieu de l’aile sud-est du noyau historique. Son annexe (« le donjon ») a la forme d’une tour à plusieurs étages, qui domine tout l’ensemble. Du sud-ouest au nord-est s’alignent : « la prison », surmontée par la « vieille cuisine » et le donjon, « la résidence ancienne » (avec l’entrée principale) et la « grange à sécher le maïs ». On suppose que la partie la plus ancienne du noyau historique est le bâtiment à deux étages dont les deux espaces sont couverts d'une voûte en plein cintre : au rez-de-chaussée « la prison », avec un cachot souterrain, et la cuisine qui est située juste au-dessus d'elle, sous le donjon ; puis, au sud-ouest, la pièce de prestige, « le salon », construit au-dessus de la pièce à quatre arcs qui donne accès à la prison. « Le salon » est relié par un vestibule à la «résidence ancienne». L’entrée principale, dite « de garde », et le vestibule constituent le noeud de communication de toute la structure du château. Dans le prolongement de ce noyau historique, vers l’ouest, on a construit au cours du XVIII s. un édifice dont le niveau inférieur occupe le cellier, relié à l’entrée de la prison par un préau couvert, dont les trois arcs donnent sur la cour intérieure actuelle. La construction de cette aile à deux étages au XVIII s. ébauche la formation de la cour intérieure, ce qui transforme le plan du château, initialement constitué d’une seule aile, en structure à deux ailes. La cour intérieure a été formée à un rythme inégal jusqu’au dernier tiers du XIX s, en ajoutant progressivement les bâtiments qui l’entourent. C’est de cette époque que date le bâtiment à deux étages (« la grange »), qui dessine, avec ...
Edited books by Ivan Basić
Book chapters by Ivan Basić
Les caractéristiques géophysiques du village d’Islam et de ses alentours offrent de nombreses conditions, stables et avantageuses, qui ont favorisé une présence continue d’habitat humain, alors que le rattachement de cet espace à la voie de communication menant de Nin (antique Aenona) à Knin témoigne de son importance géographique. Bien que des fouilles archéologique systématiques n’y ont jamais été menées, et sans disposer de données sur la provenance précise de la plupart des objets qu’abrite la collection archéologique du château Janković, il n’y a aucun doute que ceux-ci font partie de la même mosaïque que ceux des localités voisines. La zone du village d’Islam faisait vraisemblablement partie du ager municipii Nedini. Durant le haut Moyen Âge celui-ci fut incorporé au comitat de Luka. À cette époque, la zone d’Islam était entourée des agglomérations de Grgurice, Učitelja Vas, Tršćane, Kačina Gorica, Rejane, Paprčane, Kašić, Rocane et Čerinci. La Via Magna cesta vocata tendens per Lucam est une communication moyenâgeuse qui suivait la direction Nin – Islam – Kašić – Smilčić –Biljani Gornji – Benkovac – Ostrovica – Knin. Une section de 8 km de la voie traversait le district de Novigrad. Les recherches sur la vie du village d’Islam (Grčki et Latinski) au Moyen Âge étaient difficiles car son toponyme moyenâgeux était inconnu, ayant été recouvert au début de l’époque moderne par le nom de «rempart de l’Islam ». Ce problème a été longuement discuté, et ce n’est qu’en 1985 que N. Jakšić, en analysant les documents originaux, a conclu que le village d’Islam était mentionné dans les actes vénitiens du XVIe siècle sous le nom de village fortifié de Učitelja Vas, toponyme de cette agglomération avant l’époque turque. L’un des documents les plus importants pour l’étude de la toponymie du village d’Islam est la charte du 16 août 1266 par laquelle Roland, banus totius Sclavonie, fait donation de la propriété de Četiglavac (Chetiglavaz) à l’église de Nin, conduite par l’évêque Samson II, et en définit les confins précis. Les confins y décrits se rapportent aux toponymes de la zone des villages actuels d’Islam Grčki et Islam Latinski. Le collationnement des toponymes enregistrés dans les privilèges concédés aux comtes de Posedarje en 1219 et en 1249 avec les données précitées datant de 1266, puis avec la délimitation de la frontière turco-vénitienne à partir de l’année 1576, et finalement avec la situation générale du cadastre en 1826, a permis une reconstruction précise de la ligne du confin sud-ouest du domaine des comtes de Posedarje face à la zone historique du village d’Islam (c’est-à-dire le confin nord-est du domaine de l’évêque de Nin). On a constaté que cette ligne de partage ne s’est littéralement pas déplacée au cours d’une longue période, allant du XIIIe au XIXe siècle. Fait important, le château Janković se situe exactement sur la ligne du confin sud du domaine de l’évêque Samson, sur sa section incontestée qui rejoint l’église de Saint Georges (localité de Crkvice, à quelque cinq cents mètres à l’ouest du château). Domus episcopi Sansonis, la résidence de villégiature de l’évêque, est ainsi identifiée d’une manière probante à l’actuel château Janković. Le village de Učitelja Vas fait partie des agglomérations qui se sont dépeuplées à la suite d’incursions fréquentes des Turques à l’intérieur du territoire croate au cours des XVe et XVIe siècles. Même avant la guerre de Chypre, il se trouvait en zone frontière, no man’s land, entre l’acquisto vecchio vénitien et le pays nouvellement formé, «vilajet Hrvati». Le pacha Ferhad Sokolović occupa le village Učitelja Vas en 1570. Aussitôt l’agglomération disparut faisant place à la fortification frontalière ottomane, nommée fort à propos « rempart de l’Islam », Sedd-i islam, qui faisait face à la possession vénitienne. Bien que Evliya Çelebi dans son récit de voyage Seyahatname (autour de 1631-1670) attribue la fondation de cette place forte au bey Gazi Husrev en 1538, les historiens de Zadar Š. Ljubavac et C. F. Bianchi situent sa fondation plus vraisemblablement en 1577. Le château-fort turque a été détruit par mesure de prévention au début de la guerre de Candie en 1647, par ordre de L. Foscolo. La ligne de délimitation turco-vénitienne dans cette micro-région passait à proximité immédiate du village appelé autrefois Učitelja Vas, traversant Grgurice et atteignait Paljuv. Tout le territoire conquis fut rendu au sultan par la paix de 1669, à part quelques petits bouts de territoire en Dalmatie centrale. C’est précisément à Islam qu’en 1671 le pacha Mahmud et G. B. Nani délimitèrent les frontières de la Dalmatie après la guerre de Candie – linea Nani. Les succès vénitiens, bien qu’éphémères, n’eussent pas été envisageables sans le facteur morlaque et la nouvelle politique vénitienne qui lui était favorable. Les Morlaques fuyant l’Empire ottoman pour la Dalmatie étaient approvisionnés par la Serenissime en armes suffisantes, qu’ils utilisaient contre les Turques en lançant des raids dans leur pays d’origine. Les Mitrović-Janković, propriétaires du château Janković, font leur apparition sur la scène historique vers le milieu du XVIIe siècle et deviennent des gouverneurs héréditaires des Kotari supérieurs. Stojan Janković (Mitrović-Janković) devient en 1663 l’un des chefs locaux de Posedarje. Pour ses mérites militaires et sa loyauté à la République de saint Marc il obtint en 1670 un domaine de dimensions moyennes à Islam. Dès l’année suivante il fut nommé commandant d’Ostrovica, et en 1681 il devint chef des Morlaques. Il périt lors de la campagne de Glamoč, Livno et Duvno en 1687, sans avoir vu son fief d’Islam. Après 1576 les possessions de l’évêque de Nin ont été rattachées, semble-t-il sans modification, à l’ensemble de l’Islam ottoman. Jusqu’en 1670 elles faisaient partie des propriétés de l’agha Jusuf Tunić. Comme elles correspondaient approximativement par leurs dimensions au domaine des évêques de Nin, l’hypothèse selon laquelle elles auraient été transformées en une propriété de spahi à l’époque ottomane semble bien plausible. En tout cas, leurs confins n’ont pas changé, au moins un certain temps avant 1670. Mais le château de Stojan, tel que nous le connaissons aujourd’hui, n’a pas de lien direct avec ce protagoniste de l’histoire dalmate (bien que le château d’Islam occupe une place importante dans la tradition epique orale portant sur le personnage de Stojan). Des sources éparses et peu nombreuses permettent de reconstituer l’essentiel des événements du XVIIe siècle. En 1647 le château-fort turque fut démoli ; en 1671, au moment de la rencontre de Nani avec le pacha Mahmud, Islam est en ruines, puis il retombe sous la juridiction ottomane, pour en être finalement abandonné dès 1684. Stojan Janković périt en 1687, mais la situation d’Islam n’est réglée que 12 ans plus tard. Les Janković ne s’installeront sur leurs terres qu’en 1699, après la guerre de Morée, et leur présence culminera par la construction de leur résidence familiale sur les possessions nouvellement acquises, au cours des siècles suivants. Plusieurs indices attestent de façon incontestable que le noyau de l’ensemble actuel du château Janković doit être recherché parmi les constructions que Todorin Dede Janković acheta en 1719. Ce qu’on appelle aujourd’hui le château Janković comprend un ensemble unique de bâtiments de fortification, d'habitation et d'exploitation agricole disposés sur une superficie de 4500 m. Le domaine est situé sur une colline, à l’ouest de l’ancienne Via Magna qui le rejoint tangentiellement au sud d’Islam Grčki. L’ensemble est entouré de hauts murs en pierre, qui forment un quadrilatère irrégulier (80 x 60 m), dont le tiers sud-ouest occupe le noyau des bâtiments de fortification, d'habitation et d'exploitation agricole. Il a la forme d’une construction à trois ailes, avec une annexe saillante dans l’angle sud. Les ailes de ce noyau sud-ouest renferment entre elles une cour intérieure, pratiquement fermée par la construction ultérieure d’une ceinture de bâtiments d’exploitation qui longe le bord nord-est de la propriété, en ne laissant qu’un passage étroit vers la grande cour d’entrée. On identifie la partie la plus vieille dans la «résidence ancienne», au milieu de l’aile sud-est du noyau historique. Son annexe (« le donjon ») a la forme d’une tour à plusieurs étages, qui domine tout l’ensemble. Du sud-ouest au nord-est s’alignent : « la prison », surmontée par la « vieille cuisine » et le donjon, « la résidence ancienne » (avec l’entrée principale) et la « grange à sécher le maïs ». On suppose que la partie la plus ancienne du noyau historique est le bâtiment à deux étages dont les deux espaces sont couverts d'une voûte en plein cintre : au rez-de-chaussée « la prison », avec un cachot souterrain, et la cuisine qui est située juste au-dessus d'elle, sous le donjon ; puis, au sud-ouest, la pièce de prestige, « le salon », construit au-dessus de la pièce à quatre arcs qui donne accès à la prison. « Le salon » est relié par un vestibule à la «résidence ancienne». L’entrée principale, dite « de garde », et le vestibule constituent le noeud de communication de toute la structure du château. Dans le prolongement de ce noyau historique, vers l’ouest, on a construit au cours du XVIII s. un édifice dont le niveau inférieur occupe le cellier, relié à l’entrée de la prison par un préau couvert, dont les trois arcs donnent sur la cour intérieure actuelle. La construction de cette aile à deux étages au XVIII s. ébauche la formation de la cour intérieure, ce qui transforme le plan du château, initialement constitué d’une seule aile, en structure à deux ailes. La cour intérieure a été formée à un rythme inégal jusqu’au dernier tiers du XIX s, en ajoutant progressivement les bâtiments qui l’entourent. C’est de cette époque que date le bâtiment à deux étages (« la grange »), qui dessine, avec ...
U početnom dijelu rada daje se osvrt na historiografiju o tzv. Trećem popisu biskupâ Ca¬rigradske crkve (Notitia episcopatuum ecclesiae Constantinopolitanae br. 3, po Darrouzèsovoj numeraciji). U nastavku se analiziraju podaci toga teksta o crkvenoj geografiji provincija kasnoantičke Tračke dijeceze (Evropa, Trakija, Rodope, Hemimont, Mezija, Skitija) u konfrontaciji s podacima iz ostalih vremenski bliskih noticija (1, 2, 4, 5). Zaključuje se da ti podaci ne predstavljaju povratak ranokršćanskom crkvenom ustroju, već da pripadaju kontekstu djelomične obnove bizantske vlasti u Bugarskoj za vladavine Irene, Konstanti¬na VI. i Nikefora I., što je dodatan argument za dataciju Notitia 3 u vrijeme carigradskog patrijarha Tarazija (784.–806.).
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Na četiri mjesta u »dalmatinskom dossieru« djela De administrando imperio upotrijebljen je grčki plural 'ta palatia', jednom u kombinaciji s rijeĉju 'he aule'. Analizira se kontekst i semantika primjene navedenih imenica na drugim mjestima u ovome i ostalim povijesnim tekstovima iz Porfirogenetova kruga. Donose se zaključci o porijeklu upotrebe tih termina iz tradicija auličke (palatinske) terminologije prisutnih u kasnoantičkoj historiografiji grčkoga govornog područja.
In the focus of this article is the analysis of lexical "Adrio-Byzantinisms". The Plea of Rižana (804), the texts of the patriarchs of Grado, Fortunatus II and Venerius (820s), along with the manuscripts of the Frankish theologian Gottschalk of Orbais (846-848) contain a discourse in which, in abstract terms, the Byzantine emperor is addressed as Empire (imperium) and Lordship (dominatio). These characteristics of the spoken discourse concern the inhabitants of Byzantine Dalmatia, Venice with adjacent coastal zone (Venetia maritima), as well as pre-Frankish Istria. Identical notions in Greek hyperformal phraseology of the Byzantine court ceremonial have been established, as well as a "majestic discourse" of that very provenance, originating from official texts and speaking practices acquired at court, translated into Latin in Adriatic milieus. These lexical loans (calco semantico) can be conceptualised as Adrio-Byzantinisms: the phenomena of Byzantine origin adapted and modified in the Adriatic context and Latin language medium. Mutual structural similarity of these texts on the one hand, along with their precise discursive congruity with the products of Byzantine linguistic and written high culture on the other, call for their investigation as a mirror of the knowledge and perceptions of their creators, with an aim to ascertain the identity and nature of the fund of "social knowledge" these perceptions correspond with.
While in the past historians paid attention to the configuration and naming of settlement points on Split peninsula in Antiquity and early Middle Ages, the emergence of the toponym and oikonym Spalatum in south-western peninsula has not been well explained. The emergence of this pre-Diocletian toponym was not associated with naming activities of the imperial palace. Etymologically, it was related to the time of the first allocation of the peninsula to colonists from Salona, when the peninsula was surveyed and divided into centuriae. As a consequence, the praedium palatum was created and its name then substantivated into palatum > Palatum > Spalatum. Yet because the entire peninsula was distributed into a uniform network of centuriae, each and every of these land sections could have been, in principle, named Palatum or Spalatum. Also, and following a model set by the rest of the Salona ager on the peninsula, we might expect that other centuriae too would have been named predial place names. Yet this was not the case for land sections around the palace so their case merits a separate explanation. The exclusive use of the toponym (S)Palatum for this area is explained by the consistent application of the rules of the Roman agrimensor practice. The study is based on the collection of handwritten treatises on land surveying, known as Corpus agrimensorum Romanorum. I pay close attention to the regulation of limitations in those cases where local topography caused a conflict between the characteristics of the terrain and the rules of land surveying, and possibly instigated controversy between ager publicus and ager privatus. For technical reasons, two land categories were excluded from regular limitation and land allocation: those sections of land the topography of which prevented the formation of a regular centuria, and sections of poor quality. Both categories fell under ius subsecivorum. Thus the centuriae upon which Diocletian’s palace vwas erected fit nicely with what Frontin describes as first class subsecivum: quod in extremis adsignatorum agrorum finibus centuria expleri non potuit. Land sections of this sort stricte iure remained permanently in state ownership, while the holders of the usufruct were, in most cases, owners of neighbouring estates to whom subseciva were given at disposal, depending on the status and specific legal regulations. By deciding to build an imperial palace and choosing a land section that fell under ius subsecivorum, the process of the acquisition of necessary land was simplified because, rather than having to expropriate ager privatus, the only action required was to reclaim the peripheral centuriae, so that the owners of neighbouring centuriae no longer enjoyed subseciva agri that arose from the institution occupatio. Because the coastal land section in question had been continually in state ownership since the time of deduction, its special status must have been the deciding factor when it was named Palatum (Spalatum) and thus set apart from those toponyms that indicated private ownership, such as Marinianum (Marjan), Pansianum (Pojišan), Iunianum (Žnjan) and so on. After the erection of the monumental edifice of Diocletian’s palace in (S)Palatum, parts of the original land section, though irregularly sized, continued to exist west and east of the palace, though now they were both known (S)Palatiolum = praedium palatum minus. This term comes from (S)Palatum = praedium palatum maius. The opposition Spalatiolum – Spalatum thus may be explained by the contraction of the toponym into diminutive. This linguistic process reflected the spatial situation that arose following the erection of the palace. An integral part of this contribution is the town-planning implication of the expansion of the original settlement out of the palace, and spreading of its name.
Keywords: Split peninsula, Antiquity, late Antiquity, Diocletian’s palace, toponymy, agrimensors, property law"
Since the late 19th century, modern scholarship has devoted considerable attention to the problem of original layout and function of Diocletian’s mausoleum at Split. Afterlife of the building up until the 9th century was definitely understudied, partly because of a lack of comprehensive and coherent sources. Thus, it is hardly surprising that it was an American, Mark Johnson, who was the first to examine tetrarchic funerary buildings as a group (in 2009) – in terms of their functions, typology and architectural iconography. However, during the past few decades the study of relevant textual sources, as well as the number of archaeological ones, have multiplied. So has the international scholarly attention given to the process of Christianisation of pagan buildings in general (J. Alchermes, B. Brenk, J.-P. Caillet, G. Cantino Wataghin, B. Caseau, F. W. Deichmann, C. J. Goddard, J. Hahn, J. Hillner, Y. Janvier, M. J. Johnson, A. Karivieri, H.-R. Meier, H. Saradi Mendelovici, J. Vaes, B. Ward-Perkins). Stressing the new approach to relevant textual sources, the author will, at the same time, present some new material evidence in order to corroborate the claim that the pagan mausoleum in Split did not undergo any substantial modifications prior to 6th century. Furthermore, he will demonstrate that the change went through several stages. In a first stage, the building has been obviously transformed into a relatively simple church and only afterwards it was transformed into a cathedral. There is no doubt, that this case study of a transformation of a pagan monument into a Christian one holds many important clues that could put some new light on the processes of transformation of pagan buildings into churches in general.
The traditional scholarly interpretation of Croatian archaeologists, historians and historians of art, persists on a hypothesis that the Mausoleum was transformed into a cathedral (that of a runaway Salonitan archbishop) during the 7th century and that this was a one-stage transformation. Conversely, it is usually held that the emperor’s tomb suffered destruction immediately after the Edict of Milan, proclaimed in February 313, awaiting further on 640s to be re-used for a new Salonitan cathedral. However, new interpretive paradigms – that have, unfortunately, circumvented the case of Split – along with the new archaeological evidence surfacing all the time, have put the traditional interpretations to a serious test.
Before mentioned innovative approaches to the problem of reuse have resulted in several important conclusions: there were three separate periods of transformation of Roman pagan and secular buildings into churches: the first phase, pertaining mainly to the 4th century, concentrated predominantly on the adaptation of profane, private buildings; the second phase reutilized public buildings of any kind; only in the third phase, during the 5th and 6th century, pagan temples and sanctuaries were finally appropriated. The case of Spalatum fits nicely into these overall results. One should also add that these studies have shown that many extremely important Roman shrines and public monuments (e.g. »Temple of Romulus« at the Roman Forum, Pantheon, Academy in Athens, Serapeum of Alexandria, temple complex on Philae near Aswan) have all been appropriated by the Church only after a long and arduous process that included several steps – the final Christianisation of respective structures being the last one. This was even more true in the case of structures forming the part of imperial estates or public property, which could not have been subjected to arbitrary destruction with impunity.
As the Diocletian's palace itself was actually built on an imperial property, established as such as early as the 1st century AD and retained as part of the fiscus for centuries to come, by-passing this fact naturally resulted in some outdated theories that will now obviously have to be overcome. As a part of unalienable property of the crown, the palace at Spalatum as well as the mausoleum were under imperial supervision. Thus for any suspension of its usual function an imperial decree was necessary in order to freely dispose with the building. The removal of its pagan contents could only have taken place in several stages, during a protracted time-span: suspension of pagan cult practices, desacralization, dissolution of imperial prerogatives attached to the building, followed by the possible exemption of the parts of its inventory, ultimately its Christianisation and adaptation for a new use.
The archaeological findings of the earliest post-Diocletianic phase hardly received any attention, although they seem to hold many important clues which can shed light on its later development. These useful archaeological details consist of several examples of Early Christian sculpture, found during excavation works in and around the cathedral, that can be firmly dated. Thanks to these remains, dating from the mid-6th century, we are able to date the earliest Christian adaptations of the mausoleum to the same period. On the one hand, this seems to confirm that the adaptation of octagon for Christian usage happened at least a hundred years earlier than the mid-7th century; on the other hand, it implies that the original state of the building was left intact for a much longer period of time than it has been previously hypothesized. This can be further corroborated drawing on a variety of sources, dating from 4th, 5th and 6th century (Ammianus Marcellinus, St. Ambrose of Milan, Codex Theodosianus, Codex Iustinianus, etc.). Particularly important is the evidence provided by Sidonius Apollinaris (late 480s), which seems to confirm that the emperor's mausoleum was still in function during the Gallic bishop's lifetime.
Although these facts and material traces have all been common knowledge for many years, neither the data in question nor its implications for the process of Christianisation were never considered in relation to one another. Consequently, most arguments hitherto offered for the conclusions about the mentioned process were inevitably incomplete. Some other issues have also never received explanation. For example, how did the frieze on the top of the interior – bearing images of Diocletian, his wife Prisca, Hermes Psychopompos and erotes – ever survive the supposed Christian reprisal? Furthermore, how is it possible that the iconographically most important relief of the same frieze, positioned directly above the main niche (and probably representing emperor’s apotheosis), reached 16th century undamaged? All of this, again, points to the conclusion that there was no immediate or noteworthy Christian retribution at the expense of the dead emperor, namely that important parts of the mausoleum's pagan interior were left in place at least up to 6th century, when the first functional modifications took place.
To sum up, one should differentiate between the conversion of pagan mausoleum into a church and the subsequent elevation of the latter to the status of a cathedral, which was a much later and contextually different event. Under what circumstances did the former event take place? The importance of the palace during the transitional period from Late Antiquity to Early Middle Ages is confirmed by its inclusion in the so-called Ravenna Cosmography, compiled by an anonymous cleric in Ravenna around 700. In it the structure is recorded as Spalathron, Spalathrum and as such included among other civitates, that is among small towns. As it is generally accepted, the data concerning these settlements and towns recorded by the Anonymous from Ravenna were based on geographical and topographical knowledge gathered prior to the 560s. Thus, it seems that the palace itself certainly retained its important position in the years prior to 6th century, only for it to be further emphasized by a settlement forming in it roughly in the early 500s. Apart from this, the existence of a town called Spalatum is attested by a number of Early Christian churches in the palace, built as early as the 6th century. The settlement, surely, predated the transition of populace from the town of Salona that, probably, happened during the 7th century. Again, the alterations in question must have happened during the 6th century and were, most surely, arranged by the then-inhabitants of the Palace. The question that remains is who initiated these large-scale interventions. Considering the well-known policy of emperor Justinian I (527-565) towards the Church after the Gothic wars of 535-555, it can be assumed that at least some parts of Diocletian's palace were ceded by the Byzantine government to the Ecclesia catholica Salonitana under archbishops Honorius II (528-547) or Peter (554-562). Thus, most of these alterations could be attributed to them, in close collaboration with the Byzantine military units stationed in the palace at the time."
Zadovoljstvo nam je pozvati Vas na predstavljanje knjige:
Nikola Jakšić: Klesarstvo u službi evangelizacije (KKS i MHAS, 2015)
(Zavod HAZU u Splitu, petak, 22. siječnja 2016. u 19 sati)
Veselit ćemo se Vašem dolasku!
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Public lecture on the newly discovered inscription of duke Branimir (879-892)
Caitlyn Dunn is a PhD Candidate at Macquarie University Sydney. She completed a Master of Research about female burial rites in early medieval England in 2020 and has a background in museum guiding and school teaching. Caitlyn's current research involves comparing the mortuary customs of late antique and early medieval Dalmatia and Britannia. She is interested in why similarities occur when these two post-Roman provinces are geographically disparate. Her lecture will discuss early findings and potential implications for research and scholarship.
Speakers:
Hrvoje GRAČANIN (University of Zagreb)
Amelia R. BROWN (Australian Society for Byzantine Studies)
Bronwen NEIL (Macquarie University)
Ryan W. STRICKLER (University of Queensland)
Ivan BASIĆ (University of Split)
Danijel DŽINO (Macquarie University)
Prvo predavanje ciklusa "Etnogeneza" Muzeja hrvatskih arheoloških spomenika. Koliko uopće znamo o početcima srednjeg vijeka u Hrvatskoj? Kada su Hrvati došli? Jesu li to davno odgovorena pitanja ili smo još daleko od odgovora? Kako povjesničari, a kako arheolozi tumače ključne teme hrvatskoga srednjeg vijeka? Muzej hrvatskih arheoloških spomenika, četvrtak, 5.3.2020. 19:00.
- Corpus of Early Medieval Sculpture, vols. 1-3.
Tema predavanja je kasnoantički kameni natpis pronađen tijekom arheoloških istraživanja crkvice sv. Ilije na Lopudu 1973. godine. Riječ je o nadgrobnome natpisu Sirijca Izaka, datiranom u 5. stoljeće, koji se čuva u Župnoj zbirci na Lopudu. Od njegova pronalaska do danas natpis je ostao gotovo u potpunosti zaboravljen, uz tek rijetke spomene u objavljenoj literaturi, a izostala je i njegova cjelovitija stručna i znanstvena obrada. Nova, opsežnija istraživanja autorâ pokazala su kako je riječ o jedinstvenome povijesnom spomeniku od višestruke važnosti. Uz arheološko-topografski kontekst ovog nalaza, na predavanju će se javnosti iznijeti prijedlog preciznije datacije spomenika te novo čitanje natpisa kojim je ustanovljeno kako je riječ o prvoj pouzdanoj epigrafskoj potvrdi pripadnosti pokrajine Dalmacije zapadnome dijelu Rimskoga Carstva u 5. stoljeću.