La coscienza è un incidente di percorso dell’evoluzione ma è fuor di dubbio che le conifere fossero in ansiosa attesa che qualcuno le distinguesse dalle angiosperme, altrimenti la loro fotosintesi ne avrebbe risentito. Le supernova non sarebbero esplose con lo stesso vigore senza qualcuno che le osservasse e l’espansione dell’universo non sarebbe potuta avvenire senza qualcuno che la teorizzasse.
E’ incredibile che tutto nell’universo abbia concorso all’incidente della coscienza, altrimenti nessuno avrebbe potuto concionare di spirito assoluto e di autocoscienza dell'universo.
Certe volte gli incidenti, per quanto imprevedibili, sembrano proprio programmati ad arte!
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
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giovedì 28 luglio 2016
domenica 16 giugno 2013
Rovesciamenti
Sarà sicuramente capitato a chiunque di pensare di avere 2 genitori, 4 nonni, 8 bisnonni, 16 trisavoli, 32 quadrisavoli e via e via. Insomma ad ogni generazione l'ascendenza raddoppia, come si vede nello schema per 5 generazioni.
La cosa curiosa di questa catena è che se uno solo degli antenati avesse avuto un incidente che gli avesse impedito di avere figli allora voi non ci sareste. Uno solo, a qualsiasi livello generazionale. Sarebbe bastato che uno solo di questi antenati avesse avuto un incidente mortale, diciamo a 10 anni, e voi non sareste mai potuti nascere.
Andando indietro di sole 20 generazioni il numero di antenati è pari 1.048.576 e considerando circa 20 anni per ogni generazione (un tempo i figli si facevano precocemente) siamo andati indietro di appena 400 anni, siamo nel 1613. Con poco più di un milione di antenati non c'è molto da stupirsi, ma cosa accade se andiamo indietro di altri 400 anni con altre 20 generazioni? Siamo nel 1213 e il numero di antenati per arrivare a ciascun soggetto è 1.099.511.627.776, più di 1.099 miliardi di antenati appena 800 anni fa!
Ma se questo vale per ciascuno di noi allora quanto doveva essere popolata la terra nell'anno 1000? Le stime parlano di un pianeta popolato da circa 310 milioni di abitanti. Allora c'è qualcosa che non va in questa catena generazionale? No, non c'è niente che non va se non un paio di cose inerenti la rappresentazione mentale della catena generazionale, che costituiscono punti essenziali per evitare domande oziose e consolanti come "perché proprio io?". Queste domande, per quanto innocue per molte persone, sono spesso preludio del convincimento di unicità cui si appella qualsiasi imbecille in ragione di una supposta purezza della propria discendenza.
Il primo motivo dell'apparente assurdità dei numeri che abbiamo visto è pensare di avere una catena generazionale diversa da chiunque altro, laddove i numeri dicono chiaramente di una storia di numerosissimi incroci e di antenati comuni tra le diverse catene generazionali. Insomma, sembra banale dirlo, ma questa vicenda parla di un grado di "parentela" tra tutti i soggetti che oggi popolano la terra che va oltre ogni immaginazione (ovviamente per qualsiasi deficiente che sventoli il vessillo della razza, concetto che in biologia non esiste affatto).
Il secondo motivo che induce in errore è più complesso e riguarda lo schema usato per rappresentare la catena generazionale. Ognuno rappresenta la propria catena generazionale ponendosi come punto di arrivo della stessa, come esito finale quasi ineluttabile. Eppure basterebbe rovesciare la prospettiva per avere una rappresentazione più corretta della faccenda. Partendo da un unico antenato, non importa se uomo o donna anche se i demografi considerano solo le donne in questo tipo di studi, si considerano le catene di discendenza, ovvero i figli di ciascuno. Nello schema che riporto ho semplicemente rovesciato il primo schema e considero due figli per ciascun soggetto. Decidete voi se la catena che arriva fino a voi è quella materna o paterna, ma una cosa è certa, in questa rappresentazione la vostra presenza al mondo non ha nulla di inevitabile.
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Il pallino rosso sei tu. |
La cosa curiosa di questa catena è che se uno solo degli antenati avesse avuto un incidente che gli avesse impedito di avere figli allora voi non ci sareste. Uno solo, a qualsiasi livello generazionale. Sarebbe bastato che uno solo di questi antenati avesse avuto un incidente mortale, diciamo a 10 anni, e voi non sareste mai potuti nascere.
Andando indietro di sole 20 generazioni il numero di antenati è pari 1.048.576 e considerando circa 20 anni per ogni generazione (un tempo i figli si facevano precocemente) siamo andati indietro di appena 400 anni, siamo nel 1613. Con poco più di un milione di antenati non c'è molto da stupirsi, ma cosa accade se andiamo indietro di altri 400 anni con altre 20 generazioni? Siamo nel 1213 e il numero di antenati per arrivare a ciascun soggetto è 1.099.511.627.776, più di 1.099 miliardi di antenati appena 800 anni fa!
Ma se questo vale per ciascuno di noi allora quanto doveva essere popolata la terra nell'anno 1000? Le stime parlano di un pianeta popolato da circa 310 milioni di abitanti. Allora c'è qualcosa che non va in questa catena generazionale? No, non c'è niente che non va se non un paio di cose inerenti la rappresentazione mentale della catena generazionale, che costituiscono punti essenziali per evitare domande oziose e consolanti come "perché proprio io?". Queste domande, per quanto innocue per molte persone, sono spesso preludio del convincimento di unicità cui si appella qualsiasi imbecille in ragione di una supposta purezza della propria discendenza.
Il primo motivo dell'apparente assurdità dei numeri che abbiamo visto è pensare di avere una catena generazionale diversa da chiunque altro, laddove i numeri dicono chiaramente di una storia di numerosissimi incroci e di antenati comuni tra le diverse catene generazionali. Insomma, sembra banale dirlo, ma questa vicenda parla di un grado di "parentela" tra tutti i soggetti che oggi popolano la terra che va oltre ogni immaginazione (ovviamente per qualsiasi deficiente che sventoli il vessillo della razza, concetto che in biologia non esiste affatto).
Il secondo motivo che induce in errore è più complesso e riguarda lo schema usato per rappresentare la catena generazionale. Ognuno rappresenta la propria catena generazionale ponendosi come punto di arrivo della stessa, come esito finale quasi ineluttabile. Eppure basterebbe rovesciare la prospettiva per avere una rappresentazione più corretta della faccenda. Partendo da un unico antenato, non importa se uomo o donna anche se i demografi considerano solo le donne in questo tipo di studi, si considerano le catene di discendenza, ovvero i figli di ciascuno. Nello schema che riporto ho semplicemente rovesciato il primo schema e considero due figli per ciascun soggetto. Decidete voi se la catena che arriva fino a voi è quella materna o paterna, ma una cosa è certa, in questa rappresentazione la vostra presenza al mondo non ha nulla di inevitabile.
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Il pallino rosso sei tu e potresti non esserci. |
lunedì 19 novembre 2012
Stiamo diventando sempre più stupidi
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Mettere la doppia elica del DNA mi sembrava troppo banale, così ho scelto il pozzo di San Patrizio, anche per dare l'idea dell'abisso. |
Come? Correggere tutte le mutazioni che possano mettere a repentaglio la nostra fulgida intelligenza! Trovate qui una presentazione divulgativa dello studio, io sarò molto rapido
Uno studio pubblicato da poco su Trends in Genetics afferma che la pressione selettiva in seguito alla quale la specie sapiens ha sviluppato le sue capacità intellettive sta venendo sempre meno nei nostri ambienti monotoni, non che l'idea sia nuova, già Konrad Lorenz ne parlava in Declino dell'uomo o in Natura e Destino, non ricordo bene. Ad ogni modo l'osservazione non è affatto peregrina, ma più che la diminuzione delle capacità intellettive ed emotive mi preoccupano le soluzioni prospettate. "Credo che in futuro conosceremo ciascuna delle milioni di mutazioni umane che possono compromettere le nostre funzioni intellettive, e come queste mutazioni interagiscano con altri processi e con le influenze ambientali" sostiene Crabtree, autore dello studio. "In quel momento, forse saremo capaci di correggere magicamente ogni mutazione avvenuta in ogni cellula di ogni organismo in qualunque fase di sviluppo. A quel punto, il brutale processo di selezione naturale non sarà più necessario".
Che dire? Lo studio dimostra in maniera inconfutabile l'aumento di idiozia nella specie sapiens. A mio avviso l'autore non poteva fornire elementi più solidi alla sua tesi!
mercoledì 5 settembre 2012
Un'altra perla di comunicazione evoluta!
Dopo il precedente post mi concedo un'altra incursione nella pubblicità. Anche questo manifesto era diffuso a marzo scorso.
In una piazzola di sosta in ambiente desertico, la città è lontana sullo sfondo, un uomo cavalca un T.rex formato ridotto e si ferma perplesso - anche se indossa il casco integrale è facile immaginare che sia perplesso! - a guardare un nuovo scooter. Il messaggio della pubblicità è "Il resto è preistoria."
Naturalmente la pubblicità gioca sul fatto che i dinosauri sono estinti e quindi appartengono al passato mentre il nuovo scooter, gioiello del progresso tecnologico, è il futuro. Poi ovviamente si possono leggere altri livelli di comunicazione e andare alla ricerca del metamessaggio che spesso nella pubblicità è quello che fa il "lavoro sporco" perché si muove in sordina. Il registro è quello del contrappunto vecchio-nuovo, con le immancabili associazioni tra vecchio=superato e nuovo=migliore. Associazione che normalmente alberga serena e incontrastata nella mente dei pubblicitari e in quella degli imbecilli!
Una breve digressione.
Nella storia evolutiva, nonostante una vulgata buona più per i fumetti che per la divulgazione, non si può individuare una freccia del tempo in cui chi sta prima è sicuramente arretrato e chi sta dopo è sicuramente progredito. Spesso l'estinzione di una specie è dovuta ad una contingenza cieca alle dotazioni organiche più che ad una competizione dove vince il "migliore".
Sono passate tante specie su questo pianeta e molte ci sono restate per milioni di anni prima di estinguersi, come i dinosauri ad esempio. Quelle bestie, che ora consideriamo vecchie e superate, hanno dominato la terra per 160 milioni di anni e senza un accidentale asteroide che le ha fatte estinguere non si sarebbe mai aperta una nicchia per degli insignificanti mammiferi, piccoli come topi, costretti a vivere nascosti e che avrebbero dato origine alla nostra specie. Lo squalo bianco nuota negli oceani praticamente immutato 16 milioni di anni, si potrebbe azzardare che si tratta di una specie praticamente perfetta dal punto di vista evolutivo anche se il concetto di perfezione è una astruseria ignota all'evoluzione. La specie sapiens calca il pianeta da 100.000 a 200.000 anni appena e si trova, dopo così poco tempo, ad affrontare una crisi ambientale devastante provocata da sé stesso. Non è dell'uomo riconoscere di trovarsi di fronte ad un vicolo cieco e tornare sui suoi passi per imboccare una strada diversa. E' il tornare indietro che non riesce a concepire, è più facile inventare uno strumento per abbattere il muro di fronte al quale si trova per procedere dritto. Fino a quando, oltre l'ultimo muro, non ci sarà l'abisso.
Spesso l'evoluzione biologica può imboccare vicoli ciechi che possono significare estinzione, non c'è uno straccio di motivo per non pensare che questo valga anche per l'evoluzione culturale che ci caratterizza.
(Su questo argomento sono stato meno sintetico in questo post.)
Tornando alla pubblicità e ai suoi metamessaggi quello che mi interessa di più è come l'associazione tra "nuovo" e futuro, attraverso l'uso errato del concetto di evoluzione, rimandi a ciò che sottende molti dei messaggi pubblicitari che invitano al consumo: la rimozione della morte attraverso la novità. In questo caso è facile vedere nel dinosauro la morte/estinzione laddove lo scooter è (sarebbe) la vita. Passatemi l'autocitazione ma copio da questo post, perché la cena è pronta e devo farla breve: «... da un punto di vista simbolico, il consumo non è legato alla vita bensì alla morte, alla continua uccisione dell’oggetto, che muore al nostro posto. A proposito della produzione industriale Günther Anders sosteneva: “la mortalità dei suoi figli è la garanzia della sua immortalità e della nostra.”»
In una piazzola di sosta in ambiente desertico, la città è lontana sullo sfondo, un uomo cavalca un T.rex formato ridotto e si ferma perplesso - anche se indossa il casco integrale è facile immaginare che sia perplesso! - a guardare un nuovo scooter. Il messaggio della pubblicità è "Il resto è preistoria."
Naturalmente la pubblicità gioca sul fatto che i dinosauri sono estinti e quindi appartengono al passato mentre il nuovo scooter, gioiello del progresso tecnologico, è il futuro. Poi ovviamente si possono leggere altri livelli di comunicazione e andare alla ricerca del metamessaggio che spesso nella pubblicità è quello che fa il "lavoro sporco" perché si muove in sordina. Il registro è quello del contrappunto vecchio-nuovo, con le immancabili associazioni tra vecchio=superato e nuovo=migliore. Associazione che normalmente alberga serena e incontrastata nella mente dei pubblicitari e in quella degli imbecilli!
Una breve digressione.
Nella storia evolutiva, nonostante una vulgata buona più per i fumetti che per la divulgazione, non si può individuare una freccia del tempo in cui chi sta prima è sicuramente arretrato e chi sta dopo è sicuramente progredito. Spesso l'estinzione di una specie è dovuta ad una contingenza cieca alle dotazioni organiche più che ad una competizione dove vince il "migliore".
Sono passate tante specie su questo pianeta e molte ci sono restate per milioni di anni prima di estinguersi, come i dinosauri ad esempio. Quelle bestie, che ora consideriamo vecchie e superate, hanno dominato la terra per 160 milioni di anni e senza un accidentale asteroide che le ha fatte estinguere non si sarebbe mai aperta una nicchia per degli insignificanti mammiferi, piccoli come topi, costretti a vivere nascosti e che avrebbero dato origine alla nostra specie. Lo squalo bianco nuota negli oceani praticamente immutato 16 milioni di anni, si potrebbe azzardare che si tratta di una specie praticamente perfetta dal punto di vista evolutivo anche se il concetto di perfezione è una astruseria ignota all'evoluzione. La specie sapiens calca il pianeta da 100.000 a 200.000 anni appena e si trova, dopo così poco tempo, ad affrontare una crisi ambientale devastante provocata da sé stesso. Non è dell'uomo riconoscere di trovarsi di fronte ad un vicolo cieco e tornare sui suoi passi per imboccare una strada diversa. E' il tornare indietro che non riesce a concepire, è più facile inventare uno strumento per abbattere il muro di fronte al quale si trova per procedere dritto. Fino a quando, oltre l'ultimo muro, non ci sarà l'abisso.
Spesso l'evoluzione biologica può imboccare vicoli ciechi che possono significare estinzione, non c'è uno straccio di motivo per non pensare che questo valga anche per l'evoluzione culturale che ci caratterizza.
(Su questo argomento sono stato meno sintetico in questo post.)
Tornando alla pubblicità e ai suoi metamessaggi quello che mi interessa di più è come l'associazione tra "nuovo" e futuro, attraverso l'uso errato del concetto di evoluzione, rimandi a ciò che sottende molti dei messaggi pubblicitari che invitano al consumo: la rimozione della morte attraverso la novità. In questo caso è facile vedere nel dinosauro la morte/estinzione laddove lo scooter è (sarebbe) la vita. Passatemi l'autocitazione ma copio da questo post, perché la cena è pronta e devo farla breve: «... da un punto di vista simbolico, il consumo non è legato alla vita bensì alla morte, alla continua uccisione dell’oggetto, che muore al nostro posto. A proposito della produzione industriale Günther Anders sosteneva: “la mortalità dei suoi figli è la garanzia della sua immortalità e della nostra.”»
mercoledì 22 giugno 2011
Vecchie note blasfeme
Parlare del relativismo come del “lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina”[1], come fa papa Ratzinger, rivela tutta la debolezza di un pensiero monolitico che non può permettersi il confronto con altri modelli culturali e li esclude a priori. La pretesa universalità dei valori viene sostenuta a dispregio della evidente multiversalità dell’esistente e di quella inconciliabile e insolubile lotta tra valori di weberiana memoria. A fronte della fiacchezza dialettica si invocano principi di etica condivisa, che malgrado le acrobazie teologiche presuppongono un elemento dialogico che ogni cultura dell’assoluto deve negare per definizione. Ad accrescere l’assurdo si evocano parole impegnative come verità e bene comune per giustificare il tramandarsi di un banale sistema di potere.
L’ultimo grido del pensiero pontificio è costituito dal disperato, quanto patetico, tentativo di ricondurre la ragione scientifica alla fede. L’esempio non è privo di illustri precedenti, come quello di Tommaso d’Aquino, al quale i due passati pontefice non mancano di richiamarsi. A qualche scettico irriverente può sembrare che il maldestro tentativo sia rovesciato: ricondurre la fede alla ragione scientifica!
L’ultimo grido del pensiero pontificio è costituito dal disperato, quanto patetico, tentativo di ricondurre la ragione scientifica alla fede. L’esempio non è privo di illustri precedenti, come quello di Tommaso d’Aquino, al quale i due passati pontefice non mancano di richiamarsi. A qualche scettico irriverente può sembrare che il maldestro tentativo sia rovesciato: ricondurre la fede alla ragione scientifica!
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martedì 29 marzo 2011
Altro che distrazione!
A volte capita di perdersi cose importanti, le cerchi dappertutto ma non c'è verso di trovarle. Sono cose che capitano, per distrazione!
Il bello - o il brutto, dipende come al solito dalle circostanze - è che la vita prende un'altra piega per via di una sciagurata sbadataggine!
Il bello - o il brutto, dipende come al solito dalle circostanze - è che la vita prende un'altra piega per via di una sciagurata sbadataggine!
lunedì 11 ottobre 2010
Singolari convergenze
Era il maggio del 2007 quando ho scritto questo pezzo. L'occasione per proporlo in questo blog è data dai violenti scontri a Belgrado durante una manifestazione del gay pride e il lapidario post di Fabristol dedicato a questa vicenda. Riporto quanto scrissi allora con piccole modifiche per rendere più chiara l'esposizione di una ipotesi che può sembrare ostica, se continua ad esserlo mi spiace, vuol dire che non riesco ad essere più chiaro. Dopotutto non è nulla di serio.
lunedì 3 maggio 2010
Analogie e convergenze
Il dibattito intorno ai cambiamenti climatici, tra sostenitori dell’impatto antropogenico e relativi negazionisti, ha connotati molto curiosi che a mio avviso esulano dall’ambito strettamente scientifico.
Per certi aspetti mi ricorda dibattiti avvenuti molto tempo prima o tuttora in corso in altri ambiti. Per esempio si pensi al dibattito degli anni ’60 tra lo strutturalismo di Lévi-Strauss e l’esistenzialismo di Sartre. Il secondo accusava il primo di trascurare il ruolo del soggetto e la sua responsabilità perché lo inseriva in una struttura che a sua volta lo determinava. Tra l’altro lo strutturalismo di Lévi-Strauss parlava di società tribali semplici che poca o nessuna applicazione si proponeva di avere sulle società complesse occidentali cui Sartre rivolgeva la sua attenzione ma non è questo il punto. Tornando al dibattito odierno sui cambiamenti climatici e considerando gli aspetti relativi alla eventuale responsabilità dell'uomo emergono alcune cose interessanti. Oggi alcuni argomenti usati dai negazionisti del ruolo antropogenico dei cambiamenti climatici fanno riferimento all’idea di controllo del clima che i loro avversari farebbero propria, mentre i negazionisti rifiuterebbero questa tracotanza. Che bravi! Se oggetto della questione fosse il controllo del clima l’argomento sarebbe chiuso, i negazionisti avrebbero ragione, ma non è di questo che si parla. Intanto mi sembra che nessun climatologo serio pensa di controllare il clima anche se qualche esaltato non manca neanche intorno a questa disciplina; alcuni giocano con gli spray di alluminio o progettano specchi da spedire in orbita per riflettere i raggi solari ma, come si sa, la mamma dei cretini è sempre incinta e i nuovi nati li chiama geoingegneri! Per usare una metafora, mi sembra che la gran parte dei sostenitori seri dei cambiamenti climatici assumano un ruolo da sentinella più che da condottiero. Ma il problema sta altrove ed è esattamente speculare a quello sbandierato dai negazionisti. In realtà questi assumono un atteggiamento falsamente non antropocentrico proprio per affermare la libertà dell’uomo di continuare nelle sue attività produttive a forte impatto emissivo secondo il consolidato modello dell’accumulo. Insomma, i giochi retorici dei negazionisti presentano un bel rovesciamento delle posizioni del vecchio antropocentrismo ottocentesco che almeno era più onesto di quello attuale.
Tornando al dibattito che vedeva opporsi Lévi-Strauss e Sartre, se da un lato l’antropologo inseriva il soggetto in una struttura complessa per ridurne le ambizioni, dall'altro lato l’umanesimo del filosofo sollevava il ruolo del soggetto per sottolinearne la responsabilità politica. Eppure il parallelismo con il dibattito attuale sui cambiamenti climatici è solo evocativo, ieri erano dei giganti a fronteggiarsi intorno al ruolo dell’uomo, oggi il dibattito è meno appassionante, sebbene non meno rilevante. Dal lato di chi sostiene il ruolo dell’uomo nei cambiamenti climatici vedo uno snocciolamento di cifre e risultati scientificamente sostenibili (dal mio punto di vista è il minimo che si possa fare ma è già apprezzabile), dall’altro versante vedo miserabili giaculatorie che gridano ai protocolli di Sion per la conquista del mondo. Incredibile, si urla che i cambiamenti climatici siano sostenuti da lobby di potentati, mentre i poveri negazionisti non avrebbero spazio sui media per gridare la loro oscurata verità! Chissà come mai poi i negazionisti raccolgono il consenso delle lobby industriali ed economiche più importanti?
Sono convinto della correttezza delle posizioni degli scienziati della IPCC (International Panel on Climate Change) e della stragrande maggioranza dei climatologi che pubblicano i loro risultati su riviste specialistiche. Quelle posizioni non possono essere messe in discussione dai disperati negazionisti che si cercano passerelle sui giornali da Bagaglino o nei salotti di Porta a Porta ma la fondatezza scientifica dei cambiamenti climatici per quanto importante è solo un aspetto marginale della faccenda in discussione. La verità difficilmente contestabile (ma per carità mai mettere limiti all’idiozia) è che il modello di sviluppo economico che solitamente si associa ai cambiamenti climatici sta avvelenando il pianeta e senza gli opportuni correttivi porterà la specie sapiens sull’orlo dell’autoestinzione, per non parlare dell’orizzonte sociale che sta diventando una sorta di trappola per topi. Le attività umane che comportano enormi emissioni di gas serra e di altri contaminanti atmosferici, se anche non modificassero l’assetto climatico del pianeta, stanno rendendo la Terra un luogo orribile ne stanno distruggendo la bellezza rendendola inospitale agli esseri umani e agli altri esseri viventi. Già in un altro post avevo messo in primo piano l'aspetto etico ed estetico dei cambiamenti climatici e a tal proposito segnalo un bel post pubblicato a gennaio scorso su un sito che ritengo molto importante nell'informazione sul tema dei cambiamenti climatici (La comune dimensione etica dei cambiamenti climatici).
Un’altra inquietante analogia che mi viene in mente riguardo al negazionismo dei cambiamenti climatici è quella con il negazionismo dell’evoluzione. Anche in questo caso l’antropocentrismo ha un ruolo rilevante ma nel caso della negazione dell’evoluzione le posizioni antropocentriche sono meno latenti e anzi del tutto manifeste. Si assiste al solito rovesciamento dei termini e alterazioni del linguaggio scientifico guidate da motivazioni psicologiche dettate dal bisogno di affermare il primato dell’uomo che viene messo in discussione dal processo evolutivo, il tutto mascherato dalla supposta esclusione di Dio dagli eventi naturali.
Al di là delle argomentazioni dei negazionisti dell’evoluzione, talmente ridicole e prive di fondamento scientifico e filosofico da non meritare commenti, quello che è rilevante è proprio la convergenza dei diversi negazionismi su un conservatorismo che a mio avviso è rivelatore del carico ideologico di queste posizioni. Curiosamente sono i negazionisti ad accusare i loro avversari di avere posizioni ‘ideologizzate’, l’ideologia della scienza è uno slogan molto in voga tra questi ciarlatani del pensiero. I negazionisti dicono di essere messi in minoranza da una cultura dominante e discriminante, sostengono che la parte avversa considera come prevalente il ruolo dell’uomo a scapito di quello di Dio, insomma un bel pot-pourri di argomentazioni asfittiche.
Guardando attentamente la faccenda però ci si accorge che oggetto della negazione, dell’evoluzione come dei cambiamenti climatici, è sempre il mutamento, naturale o antropogenico che sia. Il mutamento è un concetto strano e difficile da accettare. Per quanto la percezione sia il risultato di un confronto, non importa se consapevole, tra stati differenti e quindi mutevoli ci ‘affezioniamo’ così tanto ad un particolare stato che difficilmente lo mettiamo in discussione. Quella stabilità ci parla della nostra esistenza e della nostra permanenza. Per quanto riguarda la negazione dell’evoluzione il grande evoluzionista Ernst Mayr individuava nell’essenzialismo platonico il suo vizio originale, ossia la fissità delle idee di Platone getterebbe ancora la sua lunga ombra sui nostri giorni. Io sono convinto che la responsabilità non sia del filosofo greco ma della lettura che ne danno gli idioti contemporanei, ma questo è un altro discorso.
E’ evidente che ci troviamo di fronte a vincoli di diversa natura per la comprensione dei fenomeni climatici o evolutivi, differente scala spaziale e temporale dei fenomeni in confronto alla scala che caratterizza la vita umana, vincoli di carattere evolutivo (da sempre l’uomo subisce il clima ma non lo può influenzare ma da un tempo troppo recente sulla scala evolutiva non è più così) e vincoli di natura che potrei definire emotiva (assuefazione ad uno status che non si vuole mettere in discussione, l’uomo è animale abitudinario). Penso che in queste faccende la malafede abbia un ruolo secondario, seppur non trascurabile, rispetto al ruolo dei vincoli che ho accennato. Il rifiuto del mutamento ha origini ancora più remote di Platone, la faccenda ha a che fare con il terrore della morte. Il mutamento terrorizza, quello catastrofico ancor più di quello graduale, terrorizzano perché evocano lo spettro della cessazione di uno stato. Solo indagando nel magma della morte e nel terrore che ne discende potremmo capire le dinamiche di questi dibattiti.
Un fatto curioso ma non troppo! Tempo fa sul sito climalteranti.it, che oltre a informare mette anche a nudo le miserie dei negazionisti, si discuteva di un episodio singolare (perdonatemi ma non ricordo più il post di climalteranti per mettere il link). Negli ultimi 20 anni la temperatura del pianeta è aumentata inequivocabilmente ma 20 anni rappresentano un arco temporale troppo breve per la scala dei cambiamenti climatici, pertanto i climatologi, pur non negando l’aumento della temperatura, non possono che affermare correttamente che l’incremento non è statisticamente significativo. I negazionisti traducono questo in “non c’è alcun aumento della temperatura del pianeta”, peraltro ignorando l'enorme quantità di prove dirette e indirette che considerano archi temporali ben più lunghi di 20 anni, in effetti parliamo di centinaia di migliaia di anni.
Mi torna alla mente il paradosso del girino che diventa rana, se immaginiamo la metamorfosi fotogramma dopo fotogramma, ogni fotogramma succede il precedente solo per frazioni di secondo, sarà difficile, se non impossibile, stabilire quale coppia di fotogrammi presentano uno il girino e l'altro la rana. Per molti questo sarà sufficiente a dire che i girini non diventano mai rane e pensare che fior fiore di cervelli hanno perso un sacco di tempo su queste faccende!
Immagino che dire che il girino (l'idea di girino) o la rana (l'idea di rana) non esistono sia troppo sconvolgente.
Per certi aspetti mi ricorda dibattiti avvenuti molto tempo prima o tuttora in corso in altri ambiti. Per esempio si pensi al dibattito degli anni ’60 tra lo strutturalismo di Lévi-Strauss e l’esistenzialismo di Sartre. Il secondo accusava il primo di trascurare il ruolo del soggetto e la sua responsabilità perché lo inseriva in una struttura che a sua volta lo determinava. Tra l’altro lo strutturalismo di Lévi-Strauss parlava di società tribali semplici che poca o nessuna applicazione si proponeva di avere sulle società complesse occidentali cui Sartre rivolgeva la sua attenzione ma non è questo il punto. Tornando al dibattito odierno sui cambiamenti climatici e considerando gli aspetti relativi alla eventuale responsabilità dell'uomo emergono alcune cose interessanti. Oggi alcuni argomenti usati dai negazionisti del ruolo antropogenico dei cambiamenti climatici fanno riferimento all’idea di controllo del clima che i loro avversari farebbero propria, mentre i negazionisti rifiuterebbero questa tracotanza. Che bravi! Se oggetto della questione fosse il controllo del clima l’argomento sarebbe chiuso, i negazionisti avrebbero ragione, ma non è di questo che si parla. Intanto mi sembra che nessun climatologo serio pensa di controllare il clima anche se qualche esaltato non manca neanche intorno a questa disciplina; alcuni giocano con gli spray di alluminio o progettano specchi da spedire in orbita per riflettere i raggi solari ma, come si sa, la mamma dei cretini è sempre incinta e i nuovi nati li chiama geoingegneri! Per usare una metafora, mi sembra che la gran parte dei sostenitori seri dei cambiamenti climatici assumano un ruolo da sentinella più che da condottiero. Ma il problema sta altrove ed è esattamente speculare a quello sbandierato dai negazionisti. In realtà questi assumono un atteggiamento falsamente non antropocentrico proprio per affermare la libertà dell’uomo di continuare nelle sue attività produttive a forte impatto emissivo secondo il consolidato modello dell’accumulo. Insomma, i giochi retorici dei negazionisti presentano un bel rovesciamento delle posizioni del vecchio antropocentrismo ottocentesco che almeno era più onesto di quello attuale.
Tornando al dibattito che vedeva opporsi Lévi-Strauss e Sartre, se da un lato l’antropologo inseriva il soggetto in una struttura complessa per ridurne le ambizioni, dall'altro lato l’umanesimo del filosofo sollevava il ruolo del soggetto per sottolinearne la responsabilità politica. Eppure il parallelismo con il dibattito attuale sui cambiamenti climatici è solo evocativo, ieri erano dei giganti a fronteggiarsi intorno al ruolo dell’uomo, oggi il dibattito è meno appassionante, sebbene non meno rilevante. Dal lato di chi sostiene il ruolo dell’uomo nei cambiamenti climatici vedo uno snocciolamento di cifre e risultati scientificamente sostenibili (dal mio punto di vista è il minimo che si possa fare ma è già apprezzabile), dall’altro versante vedo miserabili giaculatorie che gridano ai protocolli di Sion per la conquista del mondo. Incredibile, si urla che i cambiamenti climatici siano sostenuti da lobby di potentati, mentre i poveri negazionisti non avrebbero spazio sui media per gridare la loro oscurata verità! Chissà come mai poi i negazionisti raccolgono il consenso delle lobby industriali ed economiche più importanti?
Sono convinto della correttezza delle posizioni degli scienziati della IPCC (International Panel on Climate Change) e della stragrande maggioranza dei climatologi che pubblicano i loro risultati su riviste specialistiche. Quelle posizioni non possono essere messe in discussione dai disperati negazionisti che si cercano passerelle sui giornali da Bagaglino o nei salotti di Porta a Porta ma la fondatezza scientifica dei cambiamenti climatici per quanto importante è solo un aspetto marginale della faccenda in discussione. La verità difficilmente contestabile (ma per carità mai mettere limiti all’idiozia) è che il modello di sviluppo economico che solitamente si associa ai cambiamenti climatici sta avvelenando il pianeta e senza gli opportuni correttivi porterà la specie sapiens sull’orlo dell’autoestinzione, per non parlare dell’orizzonte sociale che sta diventando una sorta di trappola per topi. Le attività umane che comportano enormi emissioni di gas serra e di altri contaminanti atmosferici, se anche non modificassero l’assetto climatico del pianeta, stanno rendendo la Terra un luogo orribile ne stanno distruggendo la bellezza rendendola inospitale agli esseri umani e agli altri esseri viventi. Già in un altro post avevo messo in primo piano l'aspetto etico ed estetico dei cambiamenti climatici e a tal proposito segnalo un bel post pubblicato a gennaio scorso su un sito che ritengo molto importante nell'informazione sul tema dei cambiamenti climatici (La comune dimensione etica dei cambiamenti climatici).
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Un’altra inquietante analogia che mi viene in mente riguardo al negazionismo dei cambiamenti climatici è quella con il negazionismo dell’evoluzione. Anche in questo caso l’antropocentrismo ha un ruolo rilevante ma nel caso della negazione dell’evoluzione le posizioni antropocentriche sono meno latenti e anzi del tutto manifeste. Si assiste al solito rovesciamento dei termini e alterazioni del linguaggio scientifico guidate da motivazioni psicologiche dettate dal bisogno di affermare il primato dell’uomo che viene messo in discussione dal processo evolutivo, il tutto mascherato dalla supposta esclusione di Dio dagli eventi naturali.
Al di là delle argomentazioni dei negazionisti dell’evoluzione, talmente ridicole e prive di fondamento scientifico e filosofico da non meritare commenti, quello che è rilevante è proprio la convergenza dei diversi negazionismi su un conservatorismo che a mio avviso è rivelatore del carico ideologico di queste posizioni. Curiosamente sono i negazionisti ad accusare i loro avversari di avere posizioni ‘ideologizzate’, l’ideologia della scienza è uno slogan molto in voga tra questi ciarlatani del pensiero. I negazionisti dicono di essere messi in minoranza da una cultura dominante e discriminante, sostengono che la parte avversa considera come prevalente il ruolo dell’uomo a scapito di quello di Dio, insomma un bel pot-pourri di argomentazioni asfittiche.
Guardando attentamente la faccenda però ci si accorge che oggetto della negazione, dell’evoluzione come dei cambiamenti climatici, è sempre il mutamento, naturale o antropogenico che sia. Il mutamento è un concetto strano e difficile da accettare. Per quanto la percezione sia il risultato di un confronto, non importa se consapevole, tra stati differenti e quindi mutevoli ci ‘affezioniamo’ così tanto ad un particolare stato che difficilmente lo mettiamo in discussione. Quella stabilità ci parla della nostra esistenza e della nostra permanenza. Per quanto riguarda la negazione dell’evoluzione il grande evoluzionista Ernst Mayr individuava nell’essenzialismo platonico il suo vizio originale, ossia la fissità delle idee di Platone getterebbe ancora la sua lunga ombra sui nostri giorni. Io sono convinto che la responsabilità non sia del filosofo greco ma della lettura che ne danno gli idioti contemporanei, ma questo è un altro discorso.
E’ evidente che ci troviamo di fronte a vincoli di diversa natura per la comprensione dei fenomeni climatici o evolutivi, differente scala spaziale e temporale dei fenomeni in confronto alla scala che caratterizza la vita umana, vincoli di carattere evolutivo (da sempre l’uomo subisce il clima ma non lo può influenzare ma da un tempo troppo recente sulla scala evolutiva non è più così) e vincoli di natura che potrei definire emotiva (assuefazione ad uno status che non si vuole mettere in discussione, l’uomo è animale abitudinario). Penso che in queste faccende la malafede abbia un ruolo secondario, seppur non trascurabile, rispetto al ruolo dei vincoli che ho accennato. Il rifiuto del mutamento ha origini ancora più remote di Platone, la faccenda ha a che fare con il terrore della morte. Il mutamento terrorizza, quello catastrofico ancor più di quello graduale, terrorizzano perché evocano lo spettro della cessazione di uno stato. Solo indagando nel magma della morte e nel terrore che ne discende potremmo capire le dinamiche di questi dibattiti.
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Un fatto curioso ma non troppo! Tempo fa sul sito climalteranti.it, che oltre a informare mette anche a nudo le miserie dei negazionisti, si discuteva di un episodio singolare (perdonatemi ma non ricordo più il post di climalteranti per mettere il link). Negli ultimi 20 anni la temperatura del pianeta è aumentata inequivocabilmente ma 20 anni rappresentano un arco temporale troppo breve per la scala dei cambiamenti climatici, pertanto i climatologi, pur non negando l’aumento della temperatura, non possono che affermare correttamente che l’incremento non è statisticamente significativo. I negazionisti traducono questo in “non c’è alcun aumento della temperatura del pianeta”, peraltro ignorando l'enorme quantità di prove dirette e indirette che considerano archi temporali ben più lunghi di 20 anni, in effetti parliamo di centinaia di migliaia di anni.
Mi torna alla mente il paradosso del girino che diventa rana, se immaginiamo la metamorfosi fotogramma dopo fotogramma, ogni fotogramma succede il precedente solo per frazioni di secondo, sarà difficile, se non impossibile, stabilire quale coppia di fotogrammi presentano uno il girino e l'altro la rana. Per molti questo sarà sufficiente a dire che i girini non diventano mai rane e pensare che fior fiore di cervelli hanno perso un sacco di tempo su queste faccende!
Immagino che dire che il girino (l'idea di girino) o la rana (l'idea di rana) non esistono sia troppo sconvolgente.
martedì 30 marzo 2010
La psichiatria potrebbe spiegare
A settembre dell'anno scorso, al Festival della Filosofia di Mantova, Umberto Galimberti e Massimo Cirri tennero un piacevolissimo colloquio intorno al libro che Cirri aveva pubblicato da poco e che si intitola "A colloquio. Tutte le mattine al Centro di Salute Mentale", edito da Feltrinelli. Da quel dialogo trascrivo un frammento che potrà tornare utile per farsi un'idea delle motivazioni profonde che sottendono certi comportamenti.
"Che cosa è la paranoia? La paranoia è il bisogno di controllare tutto e siccome nessuno riesce a controllare tutto, ogni volta che uno gli sfugge qualcosa dal suo controllo ipotizza che gli altri siano dei persecutori, non può ammettere a sé stesso di non essere in grado di controllare tutto, deve dire che sono gli altri che lo perseguitano. Ecco! Qui la psichiatria forse qualcosa potrebbe spiegare [...]
Paranoico è colui che vuole controllare tutto, è una malattia seria, molto seria. Molto seria da cui difficilmente esci perché il bisogno di controllo ce l'abbiamo tutti, quello che in sostanza vogliamo controllare è la morte. Del resto gli sforzi enormi per allontanare il pensiero della morte sviluppando tutte le figure della giovinezza, nell'abbigliamento, nella forma, nella cura del corpo, nel lifting, ... son tutte forme di terrore della morte. Il paranoico è terrorizato dalla morte, dall'invecchiamento e vuole controllare tutto, quando sfugge qualcosa al suo controllo allora non ammette «non riesco a controllare tutto», dice «sono gli altri» e cominciano i vissuti persecutori."
Se vuoi ascoltare l'intero audio lo puoi scaricare al sito dei podcast della Feltrinelli (Il podcast è il numero 58 ed il frammento che ho estratto comincia a 25' 02"). Ad ogni modo puoi ascoltarlo anche in questo post se hai attivato il plugin.
Il nesso tracciato da Galimberti tra il comportamento paranoico ed il terrore della morte potrebbe spiegare cose ben più importanti dell'atteggiamento di qualche soggetto in preda al delirio di onnipotenza tipico della fase infantile dello sviluppo. Penso alle posizioni negazioniste dell'evoluzionismo o al negazionismo dei cambiamenti climatici provocati dall'uomo, ma di questo forse parlerò in un post successivo.
"Che cosa è la paranoia? La paranoia è il bisogno di controllare tutto e siccome nessuno riesce a controllare tutto, ogni volta che uno gli sfugge qualcosa dal suo controllo ipotizza che gli altri siano dei persecutori, non può ammettere a sé stesso di non essere in grado di controllare tutto, deve dire che sono gli altri che lo perseguitano. Ecco! Qui la psichiatria forse qualcosa potrebbe spiegare [...]
Paranoico è colui che vuole controllare tutto, è una malattia seria, molto seria. Molto seria da cui difficilmente esci perché il bisogno di controllo ce l'abbiamo tutti, quello che in sostanza vogliamo controllare è la morte. Del resto gli sforzi enormi per allontanare il pensiero della morte sviluppando tutte le figure della giovinezza, nell'abbigliamento, nella forma, nella cura del corpo, nel lifting, ... son tutte forme di terrore della morte. Il paranoico è terrorizato dalla morte, dall'invecchiamento e vuole controllare tutto, quando sfugge qualcosa al suo controllo allora non ammette «non riesco a controllare tutto», dice «sono gli altri» e cominciano i vissuti persecutori."
Se vuoi ascoltare l'intero audio lo puoi scaricare al sito dei podcast della Feltrinelli (Il podcast è il numero 58 ed il frammento che ho estratto comincia a 25' 02"). Ad ogni modo puoi ascoltarlo anche in questo post se hai attivato il plugin.
Il nesso tracciato da Galimberti tra il comportamento paranoico ed il terrore della morte potrebbe spiegare cose ben più importanti dell'atteggiamento di qualche soggetto in preda al delirio di onnipotenza tipico della fase infantile dello sviluppo. Penso alle posizioni negazioniste dell'evoluzionismo o al negazionismo dei cambiamenti climatici provocati dall'uomo, ma di questo forse parlerò in un post successivo.
lunedì 30 novembre 2009
Un anello mancante al CNR
L'ultimo rantolo, in ordine di tempo, del creazionismo in Italia è addirittura del vicepresidente del CNR Roberto De Mattei, con il libro da lui curato "Evoluzionismo: il tramonto di un'ipotesi". Questo sì che è un paese votato alla scienza e alla ricerca!
Una volta un creazionista disse che l'insormontabile problema della teoria evolutiva è rappresentato dai cosiddetti anelli mancanti tra l'uomo e la scimmia, poi sollecitato dagli scienziati evoluzionisti di fronte alla scoperta dei fossili di pitecantropo il creazionista sostenne che se prima l'anello mancante era uno da quel momento in poi sarebbero stati due![1]
Il revival di Zenone è già divertente di suo ma quello che mi lascia davvero perplesso è tutta l'energia e la passione che i paleontologi spendono per cercare i cosiddetti anelli mancanti[2] tra i fossili quando ve ne è una tale disponibilità di vivi e quasi vegeti che davvero l'immane sforzo può sembrare incomprensibile!
[1] S. Jones, Scienza darwiniana e fantascienza biblica. MicroMega, 1/2006, p. 133.
[2] Prove dell'evoluzione ce n'è talmente tante che solo chi ha gravi difficoltà a disporre del linguaggio scientifico può dire di non vederle. L'evoluzionismo non è faccenda in cui credere o meno, l'evoluzionismo di stampo darwiniano e tutti i suoi innumerevoli sviluppi e consolidamenti si conoscono o non si conoscono. Se l'argomento ti interessa consiglio la lettura di Sean. B. Carroll, Al di là di ogni ragionevole dubbio. La teoria dell'evoluzione alla prova dell'esperienza. Codice Ed., 2008.
Una volta un creazionista disse che l'insormontabile problema della teoria evolutiva è rappresentato dai cosiddetti anelli mancanti tra l'uomo e la scimmia, poi sollecitato dagli scienziati evoluzionisti di fronte alla scoperta dei fossili di pitecantropo il creazionista sostenne che se prima l'anello mancante era uno da quel momento in poi sarebbero stati due![1]
Il revival di Zenone è già divertente di suo ma quello che mi lascia davvero perplesso è tutta l'energia e la passione che i paleontologi spendono per cercare i cosiddetti anelli mancanti[2] tra i fossili quando ve ne è una tale disponibilità di vivi e quasi vegeti che davvero l'immane sforzo può sembrare incomprensibile!
[1] S. Jones, Scienza darwiniana e fantascienza biblica. MicroMega, 1/2006, p. 133.
[2] Prove dell'evoluzione ce n'è talmente tante che solo chi ha gravi difficoltà a disporre del linguaggio scientifico può dire di non vederle. L'evoluzionismo non è faccenda in cui credere o meno, l'evoluzionismo di stampo darwiniano e tutti i suoi innumerevoli sviluppi e consolidamenti si conoscono o non si conoscono. Se l'argomento ti interessa consiglio la lettura di Sean. B. Carroll, Al di là di ogni ragionevole dubbio. La teoria dell'evoluzione alla prova dell'esperienza. Codice Ed., 2008.
martedì 27 ottobre 2009
Della complessità e di altre sciocchezze
Il concetto di complessità mi interessa molto, è evidente. Già in un precedente post (La rete e la catena) ci avevo giocato. In quel post guardavo la faccenda da una prospettiva prevalentemente ecologica, mentre in questo post intendo privilegiare una prospettiva evoluzionistica. Diciamo che il concetto di complessità comincia ad interessarmi nel momento in cui è letteralmente sfrondato (o dovrei dire spurgato) dal carico ideologico che si porta dietro, che trovo difficilmente sostenibile e che non mi piace, e siccome non sono un seguace dell'oggettivismo al di fuori dello spazio e della storia sarò onesto, intendo sostituire quel carico ideologico con il mio, illudendomi che si tratti di una lettura oggettiva.
Solitamente quando scrivo qualcosa parto da un'idea che ha già una sua forma ma è man mano che scrivo che poi l'idea prende veramente corpo, magari diventa altro e non ha più niente dell'idea originaria o semplicemente diventa meno chiara alla fine rispetto all'inizio, ecco! diciamo che l'idea diventa più complessa e il rischio di perderne il filo è sempre più alto.
In qualche modo dovrei aver reso ciò che penso per cui se doveste trovarlo interessante fatemelo sapere, potrei trovarlo interessante anch'io!
Solitamente quando scrivo qualcosa parto da un'idea che ha già una sua forma ma è man mano che scrivo che poi l'idea prende veramente corpo, magari diventa altro e non ha più niente dell'idea originaria o semplicemente diventa meno chiara alla fine rispetto all'inizio, ecco! diciamo che l'idea diventa più complessa e il rischio di perderne il filo è sempre più alto.
In qualche modo dovrei aver reso ciò che penso per cui se doveste trovarlo interessante fatemelo sapere, potrei trovarlo interessante anch'io!
mercoledì 27 maggio 2009
Quanti regni ci ignorano!
Le nostre percezioni ci informano delle variazioni dell’ambiente che ci circonda. Le viviamo come un riflesso della realtà esterna e le consideriamo dotate di proprietà di integrità e totalità che di fatto non hanno. In presenza di un caminetto dove arde la legna sentiamo caldo, viviamo un esperienza unica, la sentiamo intera, ma i tre canali di informazione (visivo del caminetto, uditivo del crepitio della legna e tattile del caldo) viaggiano su vie sensoriali differenti e senza una opportuna integrazione del nostro sistema cognitivo non saremmo in grado di considerare i tre eventi associati tra loro come un evento unico. In ogni caso non siamo naturalmente dotati della visione infrarossa che ci farà ignorare un rilevante aspetto di quel contesto, non ascolteremo gli infrasuoni emessi durante la combustione della legna né sentiremo la variazione di pressione che l’aria rarefatta dal calore esercita sul nostro corpo. Eppure ci sono organismi che hanno quelle percezioni, vivono di quelle percezioni che noi ignoriamo nella nostra vita quotidiana, e che possiamo conoscere solo con l’ausilio di una idonea strumentazione.
lunedì 9 febbraio 2009
Relazioni pericolose!
I cambiamenti climatici e in particolare il riscaldamento globale purtroppo non sono soltanto oggetto di dibattimento tra le ragioni scientifiche ma anche terreno di scontro tra opposti modi di vedere il ruolo dell’uomo sulla terra e di conseguenza il suo futuro. Se da una parte vi sono quanti sostengono che le nostre economie possono avere effetti devastanti sull’ambiente e in fin dei conti sull’uomo stesso, dall’altra vi sono i sostenitori del primato umano fiduciosi nell’inarrestabile progresso che ha portato la scimmia sulla luna. Sebbene io preferisca di gran lunga frequentare i primi, devo riconoscere che i secondi sono davvero divertenti quando si lanciano in argomentazioni che negano la fattualità dei cambiamenti climatici e le basi scientifiche che ne dimostrano la fondatezza, confondendo spesso i modesti fatti con i superbi desideri. Su queste tematiche Stefano Caserini ha scritto poco tempo fa un bel libro[1] in cui opera, con linguaggio piacevole e misurata ironia, una decostruzione minuziosa delle più importanti “tesi negazioniste” del riscaldamento globale e anche degli interventi che meno si presterebbero ad avere dignità di tesi ma che meritano attenzione, vista l’autorevolezza delle fonti e la naturale rapidità di diffusione che caratterizza da sempre le sciocchezze ("La calunnia è un venticello… Incomincia a sussurrar… Alla fin trabocca e scoppia", canta Basilio).
Tra le varie perle che Caserini ci dona, una mi ha stuzzicato particolarmente, per l’intreccio di riflessioni che suscita. Riguarda una delle numerose prese di posizione del professor Antonino Zichichi sull’argomento in cui l’illustre fisico della materia (non del clima), accenna ad una interessante relazione tra scienza e democrazia che a suo avviso sarebbe infondata:
«Per attaccare Bush è stato detto che la “stragrande maggioranza” del mondo scientifico concorda sulle conclusioni relative al cambiamento climatico più drastico e repentino che il pianeta abbia conosciuto negli ultimi millenni. Siccome non è possibile mettere ai voti una certezza scientifica il termine “stragrande maggioranza” è privo di senso.» A. Zichichi, Effetto serra, i dilemmi della Casa Bianca. Il Messaggero, 8 giugno 2001.[2]
Il consenso scientifico quindi è “privo di senso” secondo il professor Zichichi! Che “non si può mettere ai voti una verità scientifica”, come Galileo ci ha insegnato, è lampante, tuttavia non è altrettanto chiaro il parallelo tra processo scientifico e processo di formazione del consenso democratico, così come delineato dal professor Zichichi.
Se è vero che il risultato di una indagine scientifica non può essere messo ai voti è perché la comunità scientifica è d’accordo a priori sul metodo adottato per raggiungere quel risultato, ha quindi raggiunto un consenso che precede il risultato! Del resto nelle democrazie non si può mettere ai voti la forma democratica, che è il contesto di discussione. Gli esperti del diritto ci hanno insegnato che le regole costitutive della democrazia, e tra queste vi è il potere dal basso e la partecipazione quali fondamenti di questa forma di governo discutidora, non possono essere discussi senza compromettere la natura stessa della democrazia. Sarà un aspetto del banale principio di autoconservazione di ogni forma di potere ma, se di democrazia si vuole continuare a parlare, il principio di maggioranza non può valere per alcune regole costitutive esattamente come vale per le regole regolative[3]. Questo per quanto riguarda il consenso che precede un risultato, mentre per quanto attiene al consenso che succede a un risultato e alla relazione tra scienza e democrazia, rinnegata da Zichichi, potrebbe essere di qualche aiuto ricordare quanto affermava Popper del progresso scientifico: “La scienza, e in particolar modo il progresso scientifico, non sono il risultato di sforzi isolati, ma della libera concorrenza del pensiero. […] In ultima analisi il progresso dipende in larghissima misura da fattori politici; da istituzioni politiche che garantiscono la libertà di pensiero: dipende dalla democrazia.”[4]
A quanto pare il contesto democratico, il solo che consenta il costante confronto tra assenso e dissenso, lega a filo doppio la scienza al consenso, sia nelle fasi che precedono un risultato scientifico (metodologia adottata) sia dopo che un risultato scientifico è stato conseguito (replicabilità del risultato, verifica dei risultati, resistenza alla falsificazione con ipotesi alternative). Naturalmente il consenso non può che essere informato e nel caso specifico si parla di consenso tra esperti di una ben determinata disciplina caratterizzata da criteri procedurali ben definiti. Ma ancora una volta dobbiamo ricordare che anche nel versante politico il voto è un momento successivo alla formazione dell'opinione pubblica, che è tale solo se correttamente informata secondo criteri di trasparenza e equilibrio tra le diverse voci, criteri stabiliti a priori rispetto all'esercizio del voto[5].
Pertanto le affermazioni del professor Zichichi, riguardo l’assenza di legame tra consenso e scienza, possono essere intese solo alla luce di due gravissimi fraintendimenti, il primo è che le attuali videocrazie siano la democrazia, il secondo che l’IPCC (International Panel on Climate Change), anziché un consesso di 2500 scienziati di tutto il mondo (tra cui climatologi e fisici dell’atmosfera che solitamente non discettano di particelle subnucleari), sia in realtà una sorta di Internazionale dei Partiti Comunisti Combattenti che vogliono sovvertire l’ordine costituito!
Quello del clima non è il solo campo in cui il professor Zichichi ha voluto mettere alla prova le sue doti di divulgatore, c'è anche quello dell'evoluzione. Come è noto l'illustre fisico mette in discussione il valore scientifico dell'evoluzionismo propendendo per un più sobrio creazionismo, soprattutto per la specie umana (non l'avremmo mai detto!!!). Naturalmente anche per Zichichi il creazionismo è diventato il Disegno Intelligente, per ironia della sorte anche il creazionismo evolve![6]. Il "punto di forza" dell'obiezione di Zichichi è l'impossibilità di trovare un'equazione dell'evoluzione che ne legittimi la natura scientifica. Anche qui c'è da rilevare una simpatica e sostanziale differenza tra le posizioni del fisico e quelle di Popper sull'argomento. Anche Popper sosteneva l'impossibilità di definire una legge dell'evoluzione, ma non per disconoscerne il valore scientifico bensì per sottolineare la natura storica e irripetibile dei processi evolutivi, e su questo punto non aveva dubbi neanche il grande Stephen Jay Gould. Ad ogni modo bisognerebbe informare Zichichi che alle lezioni di genetica delle popolazioni di diverse facoltà scientifiche, anzichè parlare di scienza ci si trova spesso a parlare dell'equazione di Hardy-Weinberg, che scandalo!
[1] S. Caserini, A qualcuno piace caldo. Errori e leggende sul clima che cambia. Edizioni Ambiente, Milano, 2008.
[2] Cit. da S. Caserini, op. cit., p. 201.
[3] B. Celano, Fatti istituzionali e fatti convenzionali, 2/2000, Filosofia e Questioni Pubbliche. "In The Construction of Social Reality, Searle fa oggetto di trattazione sistematica la distinzione [...] fra fatti «bruti» e fatti istituzionali. Con la locuzione «fatti istituzionali» Searle intende, specificamente, fatti la cui esistenza è dipendente da istituzioni umane (fatti che esistono soltanto «entro» istituzioni). Queste ultime sono, a loro volta, sistemi di regole costitutive: regole della forma ‘X ha valore di (counts as) Y nel contesto C’, che, dice Searle, creano, e anche regolano, nuove forme di comportamento, che non sarebbero possibili in assenza di tali regole medesime (forme di comportamento, cioè, il cui concetto è logicamente dipendente dalle regole in questione). Le regole costitutive vengono da Searle contrapposte alle regole che egli chiama «regolative», nella classe delle quali ricadono le norme in termini di obblighi, divieti, permessi. Le regole regolative, a differenza delle regole costitutive, regolano forme di comportamento che sono possibili anche in assenza di tali regole medesime e, in questo senso, preesistono rispetto ad esse (le regole regolative, cioè, regolano forme di comportamento il cui concetto è logicamente indipendente da tali regole medesime)."
L. Tussi, Il processo di crescita e di socializzazione. 2009, http://www.politicamentecorretto.com/. "Il nostro tessuto sociale è forte riguardo le regole costitutive, invece è flessibile sulle regolative."
[4] K.R. Popper, Miseria dello storicismo. Feltrinelli, 2002, p. 154.
[5] N. Bobbio, Il futuro della democrazia. Einaudi, 1995.
G. Sartori, Homo videns. Televisione e post-pensiero. Laterza, 2006.
G. Zagrebelsky, Imparare Democrazia. Einaudi, 2007.
[6] A. Zichichi, Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore, 1999.
Nel caso la curiosità spingesse a leggere il libro di Zichichi che ho citato, mi corre l'obbligo di seguire l'esempio di Piergiorgio Odifreddi, quando ha passato in rassegna alcune delle "zichicche" del fisico, e consigliare almeno tre irrinunciabili antidoti in tema di letteratura divulgativa evoluzionistica. E' il minimo ma è sufficiente per una disintossicazione pressoché completa.
S. J. Gould, La vita meravigliosa. Feltrinelli, 1990.
S. J. Gould, Otto piccoli porcellini. Riflessioni di storia naturale. Il Saggiatore, 2003
E. Mayr, L’unicità della biologia - Sull’autonomia di una disciplina scientifica. Raffaello Cortina, 2005.
Tra le varie perle che Caserini ci dona, una mi ha stuzzicato particolarmente, per l’intreccio di riflessioni che suscita. Riguarda una delle numerose prese di posizione del professor Antonino Zichichi sull’argomento in cui l’illustre fisico della materia (non del clima), accenna ad una interessante relazione tra scienza e democrazia che a suo avviso sarebbe infondata:
«Per attaccare Bush è stato detto che la “stragrande maggioranza” del mondo scientifico concorda sulle conclusioni relative al cambiamento climatico più drastico e repentino che il pianeta abbia conosciuto negli ultimi millenni. Siccome non è possibile mettere ai voti una certezza scientifica il termine “stragrande maggioranza” è privo di senso.» A. Zichichi, Effetto serra, i dilemmi della Casa Bianca. Il Messaggero, 8 giugno 2001.[2]
Il consenso scientifico quindi è “privo di senso” secondo il professor Zichichi! Che “non si può mettere ai voti una verità scientifica”, come Galileo ci ha insegnato, è lampante, tuttavia non è altrettanto chiaro il parallelo tra processo scientifico e processo di formazione del consenso democratico, così come delineato dal professor Zichichi.
Se è vero che il risultato di una indagine scientifica non può essere messo ai voti è perché la comunità scientifica è d’accordo a priori sul metodo adottato per raggiungere quel risultato, ha quindi raggiunto un consenso che precede il risultato! Del resto nelle democrazie non si può mettere ai voti la forma democratica, che è il contesto di discussione. Gli esperti del diritto ci hanno insegnato che le regole costitutive della democrazia, e tra queste vi è il potere dal basso e la partecipazione quali fondamenti di questa forma di governo discutidora, non possono essere discussi senza compromettere la natura stessa della democrazia. Sarà un aspetto del banale principio di autoconservazione di ogni forma di potere ma, se di democrazia si vuole continuare a parlare, il principio di maggioranza non può valere per alcune regole costitutive esattamente come vale per le regole regolative[3]. Questo per quanto riguarda il consenso che precede un risultato, mentre per quanto attiene al consenso che succede a un risultato e alla relazione tra scienza e democrazia, rinnegata da Zichichi, potrebbe essere di qualche aiuto ricordare quanto affermava Popper del progresso scientifico: “La scienza, e in particolar modo il progresso scientifico, non sono il risultato di sforzi isolati, ma della libera concorrenza del pensiero. […] In ultima analisi il progresso dipende in larghissima misura da fattori politici; da istituzioni politiche che garantiscono la libertà di pensiero: dipende dalla democrazia.”[4]
A quanto pare il contesto democratico, il solo che consenta il costante confronto tra assenso e dissenso, lega a filo doppio la scienza al consenso, sia nelle fasi che precedono un risultato scientifico (metodologia adottata) sia dopo che un risultato scientifico è stato conseguito (replicabilità del risultato, verifica dei risultati, resistenza alla falsificazione con ipotesi alternative). Naturalmente il consenso non può che essere informato e nel caso specifico si parla di consenso tra esperti di una ben determinata disciplina caratterizzata da criteri procedurali ben definiti. Ma ancora una volta dobbiamo ricordare che anche nel versante politico il voto è un momento successivo alla formazione dell'opinione pubblica, che è tale solo se correttamente informata secondo criteri di trasparenza e equilibrio tra le diverse voci, criteri stabiliti a priori rispetto all'esercizio del voto[5].
Pertanto le affermazioni del professor Zichichi, riguardo l’assenza di legame tra consenso e scienza, possono essere intese solo alla luce di due gravissimi fraintendimenti, il primo è che le attuali videocrazie siano la democrazia, il secondo che l’IPCC (International Panel on Climate Change), anziché un consesso di 2500 scienziati di tutto il mondo (tra cui climatologi e fisici dell’atmosfera che solitamente non discettano di particelle subnucleari), sia in realtà una sorta di Internazionale dei Partiti Comunisti Combattenti che vogliono sovvertire l’ordine costituito!
Quello del clima non è il solo campo in cui il professor Zichichi ha voluto mettere alla prova le sue doti di divulgatore, c'è anche quello dell'evoluzione. Come è noto l'illustre fisico mette in discussione il valore scientifico dell'evoluzionismo propendendo per un più sobrio creazionismo, soprattutto per la specie umana (non l'avremmo mai detto!!!). Naturalmente anche per Zichichi il creazionismo è diventato il Disegno Intelligente, per ironia della sorte anche il creazionismo evolve![6]. Il "punto di forza" dell'obiezione di Zichichi è l'impossibilità di trovare un'equazione dell'evoluzione che ne legittimi la natura scientifica. Anche qui c'è da rilevare una simpatica e sostanziale differenza tra le posizioni del fisico e quelle di Popper sull'argomento. Anche Popper sosteneva l'impossibilità di definire una legge dell'evoluzione, ma non per disconoscerne il valore scientifico bensì per sottolineare la natura storica e irripetibile dei processi evolutivi, e su questo punto non aveva dubbi neanche il grande Stephen Jay Gould. Ad ogni modo bisognerebbe informare Zichichi che alle lezioni di genetica delle popolazioni di diverse facoltà scientifiche, anzichè parlare di scienza ci si trova spesso a parlare dell'equazione di Hardy-Weinberg, che scandalo!
[1] S. Caserini, A qualcuno piace caldo. Errori e leggende sul clima che cambia. Edizioni Ambiente, Milano, 2008.
[2] Cit. da S. Caserini, op. cit., p. 201.
[3] B. Celano, Fatti istituzionali e fatti convenzionali, 2/2000, Filosofia e Questioni Pubbliche. "In The Construction of Social Reality, Searle fa oggetto di trattazione sistematica la distinzione [...] fra fatti «bruti» e fatti istituzionali. Con la locuzione «fatti istituzionali» Searle intende, specificamente, fatti la cui esistenza è dipendente da istituzioni umane (fatti che esistono soltanto «entro» istituzioni). Queste ultime sono, a loro volta, sistemi di regole costitutive: regole della forma ‘X ha valore di (counts as) Y nel contesto C’, che, dice Searle, creano, e anche regolano, nuove forme di comportamento, che non sarebbero possibili in assenza di tali regole medesime (forme di comportamento, cioè, il cui concetto è logicamente dipendente dalle regole in questione). Le regole costitutive vengono da Searle contrapposte alle regole che egli chiama «regolative», nella classe delle quali ricadono le norme in termini di obblighi, divieti, permessi. Le regole regolative, a differenza delle regole costitutive, regolano forme di comportamento che sono possibili anche in assenza di tali regole medesime e, in questo senso, preesistono rispetto ad esse (le regole regolative, cioè, regolano forme di comportamento il cui concetto è logicamente indipendente da tali regole medesime)."
L. Tussi, Il processo di crescita e di socializzazione. 2009, http://www.politicamentecorretto.com/. "Il nostro tessuto sociale è forte riguardo le regole costitutive, invece è flessibile sulle regolative."
[4] K.R. Popper, Miseria dello storicismo. Feltrinelli, 2002, p. 154.
[5] N. Bobbio, Il futuro della democrazia. Einaudi, 1995.
G. Sartori, Homo videns. Televisione e post-pensiero. Laterza, 2006.
G. Zagrebelsky, Imparare Democrazia. Einaudi, 2007.
[6] A. Zichichi, Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore, 1999.
Nel caso la curiosità spingesse a leggere il libro di Zichichi che ho citato, mi corre l'obbligo di seguire l'esempio di Piergiorgio Odifreddi, quando ha passato in rassegna alcune delle "zichicche" del fisico, e consigliare almeno tre irrinunciabili antidoti in tema di letteratura divulgativa evoluzionistica. E' il minimo ma è sufficiente per una disintossicazione pressoché completa.
S. J. Gould, La vita meravigliosa. Feltrinelli, 1990.
S. J. Gould, Otto piccoli porcellini. Riflessioni di storia naturale. Il Saggiatore, 2003
E. Mayr, L’unicità della biologia - Sull’autonomia di una disciplina scientifica. Raffaello Cortina, 2005.
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