Icone del possibile

L’iter intellettuale di Giovanni Sessa, prende le mosse dalle filosofie di Evola (è Segretario della Fondazione che porta il nome del tradizionalista), di Emo e di Michelstaedter, per giungere, in particolare nell’opera L’eco della Germania segreta (Oaks, 2021) a teorizzare il lógos phsikós, pensiero fondato sul ritorno alla physis, alla natura intesa in senso greco, luogo della scaturigine della vita a cui ogni ente fa ritorno, oltre le prospettive proprie degli ecologismi su piazza, siano esse bio-centriche o antropocentriche. Su tale tematica, Sessa è tornato a interrogarsi nel suo ultimo libro, Icone del possibile. Giardino, bosco, montagna, nelle librerie per Oaks editrice (per ordini: [email protected], pp. 339, euro 25,00). Il volume è impreziosito dalla prefazione di Massimo Donà e dall’introduzione di Romano Gasparotti, filosofi contemporanei con i quali l’autore, già in passato, ha mostrato una profonda sintonia teorica.

Donà, nella prefazione scrive di un: «[…] bellissimo e raffinato volume di Giovanni Sessa. Una cavalcata coraggiosa, ma soprattutto rigorosa; che disegna un itinerario insieme complesso – in quanto ricchissimo di digressioni e riferimenti –, e oltremodo raffinato; dove l’antico e il moderno vengono attraversati da un unico sguardo, peraltro animato da una ben precisa intenzione, che l’autore dichiara fin dalle prime pagine: quella di evincere, dal complesso labirinto delle più diverse tradizioni culturali, un’unica falda sotterranea» (p. 11). Una presenza carsica quella del lógos physikós in Europa, che Sessa ha l’ambizione di riportare alla luce. Il pensiero centrato sul primato gnoseologico del concetto e degli universali ha, infatti, messo in atto il fisiocidio, oblio e dimenticanza della potenza della natura. I primi filosofi avevano colto la realtà animata e vivente della physis ma, a muovere dalla filosofia classica, platonico-aristotelica, per giungere al pensiero cristiano, centrato sul radicale dualismo mondo-sovramondo e per finire con il pensiero moderno che ha degradato il naturale a mera res extensa, tale visione è andata perduta.

Il primo capitolo di Icone del possibile muove, lo ricorda Gasparotti, dall’esegesi di tale situazione: «Attraverso un’indagine – il cui metodo, storico-teoretico-ermeneutico ad amplissimo raggio, attraverso un’incredibilmente sterminata ricchezza di riferimenti, inclina sovente verso quella nobile erudizione cara agli umanisti rinascimentali – Sessa decostruisce pazientemente e sistematicamente i pregiudizi e i luoghi comuni più radicati, che gravano su tali orizzonti in quanto dettati dalla metafisica fisiocida» (p. 31).

Un libro importante, dunque, quello di Sessa, che, per diversi tratti, si discosta dalle letture del tema proposte dalle analisi, il più delle volte scolastiche, di autori vicini al “pensiero di tradizione”. Libro che si interroga sull’origine, sul principio, individuandolo nella dynamis, potenza-possibilità-libertà, fondamento-infondato sempre all’opera nella physis e mai normabile definitivamente in alcun atto. L’autore sostiene, alla luce della lezione teoretica del primo Evola e di quella di Emo, il primato della potenza nei confronti dell’atto, ribaltando le consuete interpretazioni dicotomiche dell’endiadi aristotelica atto-potenza. Mostra, in particolare, come il progetto di ritorno alla natura, pensato da uno dei più grandi nomi della filosofia del Novecento, Martin Heidegger, non si sia concretizzato per il permanere, nel pensiero del filosofo di Friburgo, di un radicale dualismo (autentico-inautentico, essere-ente) discendente dal “debito inconfessato” che questi contrasse con la teologia ebraica (Marlène Zarader). Sessa ripropone l’idea di physis presente, tra gli altri, in Goethe, Bruno, Spinoza e Fechner: una natura-mixis, sempre in fieri e in cui tutto è in relazione con tutto e, nella quale, i molti non sono che espressioni momentanee, “presenze attuali” del nulla di ente, del ni-ente, della dynamis.

Tale principio, per definizione metamorfico, non può essere colto attraverso l’ossificante concetto che lo immobilizza in una determinazione, in un dato, in un positum, ma solo per immagine. Da qui il titolo del libro, Icone del possibile. L’autore si sofferma, attraverso una serie sterminata di riferimenti eruditi, che dalla filosofia spaziano in direzione della storia dell’arte, della simbolica e della letteratura, su tre topoi naturali-artificiali: Giardino, Bosco, Montagna. Il Giardino viene considerato quale luogo utopico (giammai utopistico, in senso moderno) e eutopico, luogo della perfetta conciliazione di Orfeo e Prometeo. Di tale ambiente, l’autore ricostruisce l’idea e si sofferma sulle sue diverse realizzazioni storiche, a muovere dai giardini mesopotamici e greci, i kepoi, per giungere ai giorni nostri. Al di là delle false contrapposizioni tra giardini all’italiana e all’inglese, riconosce nel giardino in movimento teorizzato dal filosofo francese contemporaneo Gilles Clément, la riemersione dell’antico giardino mediterraneo il cui genius loci è da individuarsi nella Signora della vegetazione.

Il Bosco, altra icona del possibile, manifesta la dinamica produttività-distruttività della dynamis naturale. Sessa lo attraversa servendosi di riferimenti mitici (rex nemorensis, Merlino, fate e gnomi), letterari (Ariosto, Buzzati, Zanzotto, Thoreau, tra gli altri) al fine di chiarire come le creature che lo abitano, mettano costantemente in atto processi di ibridazione reciproca. Luogo dei “diversi”, ricovero per banditi e streghe, il bosco è topos in cui la natura mostra la magica possibilità dell’impossibile. Lungo i suoi “sentieri interrotti”, Orlando “perdendosi”, in realtà, come chiarisce Sessa attraverso l’esegesi del Furioso di Donà, ritrova Sé stesso.

La Montagna, infine, è letta quale simbolo, axis mundi, della congiunzione di Terra e Cielo, via della possibile divinizzazione dell’umano, luogo della pratica alpinistica “metafisica”(l’autore pensando il principio in termini esclusivamente infranaturali, non apprezza questa definizione) di Daumal ed Evola, spazio analogico e non euclideo, in cui perfino i tratti geologici mostrano l’azione pervicace e mai doma della dynamis. Su tale possibilità-potenza, chiosa Sessa, il più grande alpinista contemporaneo, Messner, ha sintonizzato il proprio “pensiero montano” e la propria azione di scalatore, sempre appeso, nelle scelte cruciali, alla dynamis che la montagna testimonia.

Le pagine di Icone del possibile non conducono di fronte a una natura idilliaca ed edulcorata: al contrario, in esse il lettore incontra la dimensione dionisiaca e tragica della vita. Le tre icone sono luoghi il cui senso può risultare liberante per l’immaginario contemporaneo, colonizzato dalla mercificazione del mondo indotta dalla Forma-Capitale. Il volume è, infatti, un itinerarium mentis in natura che ha tratto politico, centrato com’è su una critica radicale dello stato presente delle cose.

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