SCIRES-IT
SCIentific RESearch and Information Technology
Ricerca Scientifica e Tecnologie dell'Informazione
Vol 1, Issue 1 (2011), 13-52
e-ISSN 2239-4303, DOI 10.2423/i22394303v1n1p13
© CASPUR-CIBER Publishing, http://caspur-ciberpublishing.it
PAESAGGI SONORI, TECNOLOGIA, MULTIMEDIALITÀ
Gioacchino Palma*
*Docente di Discipline musicali ad indirizzo tecnologico, Conservatorio "TitoSchipa" Lecce.
Abstract
Il saggio costituisce una ampia riflessione sulle relazioni tra musica, paesaggio reale, paesaggio virtuale e tecnologia.
Il paesaggio sonoro tecnologico pervade sempre più il nostro vissuto e ne trasforma le tradizionali percezioni, gli
approcci all'ascolto. Occorre però abituarsi a distinzioni meno marcate rispetto al passato: esiste un paesaggio sonoro
della vita reale e un paesaggio sonoro artificiale sempre più esteso che è quello presente nei contesti audiovisivi e
multimediali: queste due aree si assomigliano sempre di più. Punto di partenza del saggio è la riflessione del teorico
più rilevante in merito agli studi sul paesaggio: il musicologo canadese Murray Schafer, posta in confronto con altri
rilevanti teorici, di diversa derivazione, che molto hanno contribuito allo sviluppo del settore (qualche esempio:
Pierre Shaeffer, Simon Emmerson, Michel Chion). La riflessione si addentra inoltre nei territori del cinema, del
multimediale, della musica elettronica, del design acustico. Conclude il saggio una "passeggiata musicale a braccetto
coi media" che propone una prospettiva dell'ascolto del paesaggio diversa da quelle consuete.
1. Morphing. Preludio
1.1. A partire dal lavoro ormai celebre di Murray Schafer, Il paesaggio sonoro1, l’interazione
uomo/ambiente acustico è stata oggetto di numerose riflessioni, analisi e pratiche d’ascolto.
Schafer acutamente conferiva dignità scientifica ad un contesto, quello del suono in cui
viviamo, che fino ad allora aveva suscitato scarso interesse. Egli inaugurò un nuovo campo di
studi, coinvolgendo numerosi ambiti del sapere, nella convinzione che solo attraverso un
approccio interdisciplinare si potessero affrontare le problematiche inerenti l’articolato
rapporto che l’uomo instaura coi suoni del mondo. Pur trascendendo l’ambito della musica
“composta”, le teorie di Schafer trovavano spunto e alimento proprio nelle problematiche più
scottanti
della
composizione
musicale
novecentesca.
L’allontanamento
dai
suoni
“consonanti” della tradizione tonale costituiva il fronte comune delle avanguardie musicali a
partire dalla fine del XIX secolo: le avanguardie vedevano nel rumore, nella dissonanza, nel
silenzio e successivamente nel suono elettronico inaudito, i materiali attraverso i quali
progettare e realizzare la nuova musica. In primo luogo i maggiori compositori post-tonali del
primo Novecento avevano prestato orecchie e penna all’emancipazione del suono dalle
griglie della tradizione: la scrittura fu la prima vittima. Uno dei motivi più affascinanti
1
R. M. SCHAFER, The Tuning of the World, McClelland & Stewart/Knopf, Toronto/New York, 1977 (trad. it. Il paesaggio
sonoro, Ricordi-Unicopli, Milano, 1985).
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dell’estetica musicale del secolo scorso è stato il sistematico scardinamento, la distruzione del
pentagramma, e c’è chi ha condotto questa crociata subdolamente, all’interno del rigo stesso,
in bella calligrafia, ma pienamente consapevole di starne minando l’istituzione.
Il processo di indipendenza del suono, ormai avviato, seguì la sua strada allargando sempre di
più i confini della sperimentazione, e non mancò di disorientare il pubblico e gli stessi
compositori. Molte certezze barcollarono e caddero. L’idea stessa di composizione come atto
creativo consapevole fu messa in discussione. Si assistette ad una schizofrenica oscillazione
concettuale tra l’idea di musica intesa come attività costruttiva controllata dall’uomo, solo
parzialmente controllata, totalmente incontrollabile.
La musica che esce fuori dall’officina dell’uomo, fatalmente si ricongiunge col mondo:
Schafer si spinse oltre, affermando in sostanza che il mondo intero è una grande
composizione della quale noi siamo al tempo stesso compositori, interpreti e ascoltatori. Egli
predice la fusione tra musica e paesaggio sonoro, in un contesto in cui
[…] le reciproche influenze tra ciò che chiamiamo musica e quelli che consideriamo rumori
ambientali sono diventate talmente complesse che i due generi un tempo distinti cominciano a
fondersi in una nuova forma d’arte2.
La prospettiva inaugurata da Schafer ha aperto numerosi fronti di riflessione e ha coinvolto in
tutto il mondo studiosi di varia natura che ne hanno sviluppato le intuizioni, aderendo
all’invito interdisciplinare dello studioso canadese3. Il paesaggio sonoro è stato letto in
termini ecologici ed etnografici: sono state promosse numerose “ricerche sul campo” in tutto
il mondo in senso sincronico e diacronico, vale a dire confrontando - ad esempio - il profilo
acustico di una stessa città a distanza di anni, oppure indagando comparativamente le
differenze in termini sonori tra un ambiente allocato in un contesto urbano del nord rispetto
ad uno del sud (le possibili forme comparative sono infinite, naturalmente). Grande
importanza è stata attribuita al design acustico, che nelle intenzioni di Schafer doveva essere
un nuovo campo interdisciplinare con lo scopo di migliorare la qualità estetica di un
paesaggio sonoro. Oggi la formula “design acustico” – molto di moda – si è arricchita di
nuovi significati, e prevede l’utilizzo di modelli e strategie appropriate ai diversi campi
2
Cfr R. M. SCHAFER, Musica/non musica, lo spostamento delle frontiere, in J. J. NATTIEZ (a cura di), Enciclopedia della
musica, vol. I (Il Novecento), Einaudi, Torino, 2001, p. 355.
3
Ricordiamo tra gli altri Barry Truax, Hildegard Westerkamp, Justin Winkler, Albert Mayr, Antonello Colimberti. Di grande
rilevanza inoltre il World Soundscape Project (WSP), avviato da Schafer nel 1971 presso la Simon Fraser University, British
Columbia, in Canada. Il WSP si proponeva un percorso esplorativo interdisciplinare, con esiti di comparazione e
archiviazione dei paesaggi sonori di tutto il mondo.
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d’applicazione nei quali [trova] impiego: il paesaggio sonoro è stato declinato in senso
pedagogico, tecnologico, sociologico, urbanistico, architettonico, segno tangibile del valore e
della diffusione dell’intuizione schaferiana.
1.2. Ai giorni nostri la tecnologia ha ormai definitivamente compiuto il passaggio storico4 che
da mondo della strumentalità l’ha trasformata in ambiente di vita: un contesto che ci circonda
e ci costituisce, in cui l’esistenza sociale e culturale dipende in larga parte da mediazioni
tecniche. Viviamo finalmente una prima fase di assestamento nei confronti di questa nuova
dimora, e l’espressione “abitare la tecnologia” non suscita più alcun apocalittico stupore. Il
mondo dei suoni ha subito naturalmente la stessa sorte, andando incontro alla nuova,
necessaria ridefinizione del proprio fare, pensare, ascoltare. I temi del paesaggio sonoro in
particolare, nati in pieno nel mondo della strumentalità tecnologica, dovranno ora accordarsi
da buoni inquilini col proprio nuovo locatore. La tecnologia diffusa ha inciso in maniera
sostanziale sulla costituzione stessa del paesaggio, generando nuove combinazioni, nuove
architetture. Questo scritto si propone pertanto di indagare i mutati rapporti tra paesaggio
sonoro, tecnologia e multimedialità secondo alcune direzioni di seguito evidenziate:
Prima fusione (cap. 2: Crossfade). Esiste un paesaggio sonoro della vita reale e un paesaggio
sonoro artificiale, sempre più esteso, che è quello presente nei contesti audiovisivi e
multimediali. Nell’immagine/narrazione artificiale – ad esempio il cinema – sono cambiate
radicalmente le modalità di realizzazione (e di fruizione) del paesaggio sonoro. Nel cinema
del passato, paesaggio e musica erano due mondi separati: 1) il “paesaggio” contemplava i
rumori in presa diretta o ricreati, i suoni e le parole della scena, in definitiva tutto il sonoro
interno alla narrazione; 2) per “musica” si intendeva invece il commento musicale off, quello
che definiva il clima emotivo all’esterno della scena, realizzato attraverso procedure
compositive legate ai linguaggi musicali tradizionali.
In parallelo all’affermazione di Schafer citata in precedenza5 secondo cui il suono dell’arte
musicale, ormai indefinibile, si mescola con i suoni e i rumori dell’ambiente reale fondendosi
con essi, anche nel contesto multimediale in tempi recenti si è verificato il medesimo
fenomeno: nell’audiovisivo i rumori e i suoni interni alla scena narrativa si intersecano con
quelli del commento musicale off, esterno ad essa. Ciò è dovuto principalmente al fatto che le
4
5
Cfr. R. SCHÜRMANN, Dai principii all’anarchia. Essere e agire in Heidegger, Il Mulino, Bologna, 1985.
Cfr. il testo di riferimento alla nota 2.
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attuali tecnologie informatiche, in special modo software, consentono al compositore e al
sound designer audiovisivo di gestire congiuntamente tutte le tracce audio di cui necessita,
facendole interagire senza le difficoltà di sincronizzazione dell’era analogica. Ma un altro
aspetto rilevante contribuisce alla fusione: la diffusione dei sistemi multicanale di
spazializzazione surround, che conferiscono una definizione materiale ai rumori e agli effetti
sonori prima sconosciuta, ponendoli in primo piano. I sonori in e off adesso fanno parte dello
stesso “mondo”, stimolando scambi, interazioni, dialettiche interne e favorendo una nuova
sensorialità multimediale da attribuirsi essenzialmente dalla componente acustica.
Seconda fusione (cap. 3-4: Editing; Acousmographe). Il paesaggio sonoro tecnologico
pervade sempre più il nostro vissuto. L’altoparlante e i mezzi di riproduzione elettroacustica
in generale, nella visione di Schafer costituivano un grave attentato all’ecologia sonoroambientale, poiché alimentavano la “schizofonia” (separazione dei suoni dalla loro fonte
originaria e imposizione degli stessi in un altro ambiente) e il lo-fi, cioè l’ascolto
congestionato a “bassa fedeltà” di copie sonore moltiplicabili all’infinito. Oggi il panorama è
mutato. L’uso massivo dell’elettroacustica non solo indirizzata alla riproduzione, ma
soprattutto alla produzione ha modificato enormemente il paesaggio e le nostre abitudini
percettive. Molti dei suoni che escono dagli altoparlanti non potrebbero uscire che da lì: non
esistono, infatti, strumenti capaci di riprodurre quei suoni che non contemplino l’altoparlante
come parte terminale del sistema emittente.
Il suono tecnologico, sia esso popular, colto, suono/segnale, multimediale, ha invaso il
mondo. In percentuale si potrebbe dire che, specialmente chi vive in città (ma non solo) sia
più abituato a questo tipo di paesaggio piuttosto che a quello naturale. Ma sarebbe sbagliato
porre la questione in termini di separazione: che ci piaccia o no, il paesaggio sonoro
tecnologico si è fuso con quello naturale. La differenza shaferiana tra hi-fi e lo-fi, riletta con
lo sguardo dell’attualità, non può evitare il confronto con questa fusione: oggi la
discriminazione è rappresentata pertanto tra il paesaggio sonoro tecno/naturale a bassa e
quello ad alta fedeltà. Chiaramente esistono ancora oasi di paesaggio sonoro naturale non
tecnologico, ma sono appunto oasi, paradossalmente artificiali, cioè luoghi e tempi
“incontaminati” ad uso e consumo turistico, ormai letteralmente da progettare e ritagliarsi nei
pochi scampoli di tempo libero.
I suoni/segnale (cap. 5: Freeze). Divenuti il contrappunto onnipresente della nostra vita, i
suoni/segnale sono tutti quei suoni tecnologici che ci avvertono di qualcosa. Mi riferisco alle
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suonerie dei cellulari, agli allarmi delle automobili (che in passato si limitavano a segnalare i
tentativi di furto, ora invece sono collegati anche alla portiera, alla cintura di sicurezza, alle
luci, ecc); ai suoni del computer: di accensione, di spegnimento, i suoni funzionali dei sistemi
operativi, dei pop-up, dei siti Web; ai suoni/segnale delle stazioni ferroviarie, degli aeroporti;
ai suoni delle strisce pubblicitarie televisive che appaiono in contemporanea ad un altro
programma. Questo solo per una limitata casistica. Quanto hanno modificato il nostro
paesaggio sonoro i suoni/segnale? Possiamo ai giorni nostri prendere atto della loro crescente
e inarrestabile evoluzione avvenuta rispetto alle prime, timide incursioni di qualche anno fa?
Questi suoni oltre alla funzione diretta di marcatura e avvertimento, ne hanno altre, indirette e
nascoste: ci parlano del possessore dell’oggetto che produce il segnale, talvolta ci danno
ulteriori informazioni rispetto al posto in cui ci troviamo, o alle caratteristiche
dell’elettrodomestico che li produce. Attraverso la suoneria del telefonino, ad esempio, in
fondo comunichiamo un po’ noi stessi. Le variabili non sono solo relative alla tipologia di
suoneria, quindi al tipo di suono o musica che si sceglie, ma anche all’intensità, alla
frequenza con cui suona il nostro telefono, alla scelta di insonorizzarlo o meno. I segnali
sonori, una sorta di trasmigrazione nel paesaggio degli “abbellimenti” musicali,
contribuiscono a rendere un po’ più barocca la nostra epoca.
L’ascolto “onnivoro” (cap. 6: Schuffling). Il mondo è quindi diventato una enorme,
avvolgente composizione musicale, e gli elementi primitivi della musica, il suono grezzo e il
rumore, sono divenuti essi stessi musica. Le definizioni acquisite, dopo secoli di teorie, hanno
dovuto per necessità riconfrontarsi con le componenti costitutive elementari e ancestrali della
musica, con le loro autonome dialettiche. [A questo si aggiunga che la coesistenza, come
patrimonio
potenzialmente
ascoltabile
nell’immediato
presente,
di
innumerevoli
grammatiche, sintassi e repertori musicali provenienti da tutti i luoghi e da tutti i tempi, ha di
fatto vanificato tutte le definizioni troppo esclusive del fatto musicale. I compositori stessi,
per primi, hanno intuito la portata di tali cambiamenti. L’intero Novecento musicale potrebbe
essere descritto come il primo secolo della storia dell’umanità in cui tutte le pratiche
immaginabili inerenti la musica hanno trovato diritto di cittadinanza. Le implicazioni com’è
facile intuire sono innumerevoli. Lo sviluppo progressivo degli impianti acustici di
riproduzione ad alta fedeltà e delle tecnologie informatiche ha determinato il passo decisivo:
oggi si ascolta tutto ciò che si vuole, quando si vuole, preferibilmente in casa propria o in
qualunque altro posto. Di più: nel paesaggio sonoro contemporaneo è letteralmente
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impossibile sottrarsi al costante flusso di suoni e rumori che il mondo ci impone in mille
forme. L’ascolto moderno, per scelta o per coazione, è “onnivoro”.
2. Crossfade. Il paesaggio sonoro nel cinema
Le condotte nate in seno agli studi sul soundscape costituiscono un innegabile patrimonio di
conoscenza per il compositore di musica per le immagini. L’ascolto consapevole dei suoni
del mondo non sarà per lui meno importante dell’ascolto o dell’analisi musicale tradizionale.
Si potrebbe anzi affermare che proprio chi progetta un ambiente sonoro simulato come quello
della narrazione filmica, sia indirettamente il destinatario privilegiato di questi studi. In
maniera simmetricamente opposta al melodramma, dove la componente sonora (che era il
centro di gravitazione) assorbiva la parola/teatro nel dominio della musica, nella narrazione
audiovisiva la musica comincia ad essere assorbita nel sonoro paesaggistico e rumoristico
interno alla scena. Se questo è vero nuove frontiere espressive si apriranno nel prossimo
futuro, e la musica per audiovisivi costituirà un campo di sperimentazione finora sconosciuto.
2.1. La generazione e la manipolazione elettroacustica dei materiali sonoro/rumoristici più
disparati è stato l’impulso principale verso l’attuale affermazione del suono audiovisivo.
Dopo una prima fase di conoscenza e sperimentazione, col perfezionamento dei dispositivi
informatici, il compositore si ritrova adesso a poter governare con relativa comodità un
materiale enorme. Ma l’evento decisivo che ha portato il suono multimediale ad invadere le
nostre case e le sale cinematografiche è stato determinato dalla scomposizione dello spazio
acustico. L’avvento dei sistemi surround 6, con la loro molteplicità di piste, ha consentito
l’allargamento del suono in senso tridimensionale e sempre meglio definito qualitativamente:
nell’audiovisivo il paesaggio sonoro artificiale occupa ormai lo stesso spazio acustico di
quello naturale. Inversamente, il design sonoro prospettato dai sostenitori di Schafer
corrisponde spesso al tentativo di riversare sull’ambiente naturale gli artifici del
multimediale.
6
Il surround è un sistema attraverso il quale l’ascoltatore viene avvolto da un flusso sonoro, grazie alla opportuna
disposizione nello spazio di un certo numero di altoparlanti. Ci occuperemo diffusamente della spazializzazione
nell’audiovisivo nel paragrafo 4 di questo capitolo.
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Per quel che riguarda il cinema7, Michel Chion8 adotta la definizione di supercampo in
riferimento al nuovo spazio audio che circonda quello visivo, realizzato con l’utilizzo degli
altoparlanti dislocati in sala; tale spazio contiene i suoni d’ambiente, i rumori urbani, il
brusio, la musica, ecc., che circondano l’ascoltatore, estendendo enormemente i limiti
sensoriali imposti dallo schermo piatto. Si insinua nello spettatore una nuova coscienza che
consiste nella consapevolezza di quel che accade fuori dalla scena visiva: questo è dovuto alla
presenza avvolgente dei suoni nello spazio, che evocano una prospettiva più ampia degli
avvenimenti mostrati sullo schermo. In altre parole, da punto di riferimento percettivo
omnicapiente, lo schermo è diventato una sorta di punta dell’iceberg. Occorre però rilevare
che le potenzialità offerte dall’estensione dello spazio acustico non sono ancora state
utilizzate a profusione. Tra i generi cinematografici che ne hanno fatto uso troviamo in primo
luogo i film d’azione, quelli di fantascienza, gli horror onirici di ultima generazione, il
cinema d’animazione. Per questi generi, l’utilizzazione delle innovazioni nella direzione della
moltiplicazione dello spazio acustico vanno di pari passo alla sperimentazione di sonorità
originali, realizzate con l’ausilio delle nuove tecnologie. Per fare qualche esempio concreto
citiamo alcune grandi produzioni seriali americane, come gli ultimi capitoli di Guerre
Stellari9 (Star Wars, Gorge Lucas), Harry Potter (Id., Chris Columbus), Il Signore degli
Anelli (The Lord of the Rings, Peter Jackson); alcuni film di Steven Spielberg, tra i quali A.I.
Intelligenza Artificiale (A.I. Artificial Intelligence, Steven Spielberg, 2001). Per queste
produzioni si è resa necessaria la figura innovativa del sound designer audiovisivo, vale a
dire il progettista del suono, che lavora a stretto contatto col regista, col compositore, con
l’addetto agli effetti speciali, ed è responsabile del “clima” sonoro della narrazione. Il sound
designer contribuisce alla realizzazione di un’impronta originale del film non meno delle
altre figure di riferimento. Spesso, d’altra parte, il suo ruolo consiste nell’intuire l’importanza
da attribuire a un singolo dettaglio sonoro, che può diventare addirittura un marchio distintivo
del film e contribuire in modo non indifferente al suo successo: chi non ricorda il suono delle
spade laser di Guerre Stellari?
Alcuni lamentano il fatto che le magnificenze del paesaggio sonoro surround toglierebbero
spazio al cinema di parola, all’introspezione, alla riflessione; è vero che tra i generi
7
Il cinema a mio avviso costituisce ancora un territorio privilegiato di sperimentazione, utilissimo per comprendere il peso
specifico del sonoro nei contesti audiovisivi in generale.
8
Cfr. M. CHION, L’audio-vision. Son et image au cinéma, Editions Nathan, Paris, 1990 (trad.it. L’audiovisione. Suono e
immagine nel cinema, Lindau, Torino, 2001). Per la nozione di supercampo si vedano le pp. 127-129 dell’edizione italiana.
9
Si citeranno i film in traduzione italiana. Tra parentesi il titolo originale (Id. se in Italia non è stato tradotto), l’anno di
uscita del film e il regista. Nel caso in cui non sia riportato l’anno di uscita – come per Guerre stellari – si tratta di
produzioni filmiche seriali, con capitoli successivi al primo.
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focalizzati in questa direzione10, pochi sono i film che sfruttano la tridimensionalità acustica o
il nuovo repertorio dei suoni/rumori11. Probabilmente è solo un problema di gradazione: nella
vita reale anche quando si parla e si pensa si è immersi nell’ambiente; è lecito pensare che
presto anche il cinema di parola comincerà a confrontarsi con il suono “immersivo”. A questo
proposito Chion, valutando il cinema surround afferma che:
Si può scorgere in questa ricerca di sensazioni (di peso, velocità, resistenza, materia e
struttura) uno degli aspetti più nuovi e più forti del cinema attuale. A scapito […] della
finezza dei sentimenti, dell’intelligenza delle situazioni o del rigore narrativo? Senza dubbio,
ma, dal canto loro, i film venerati di un tempo non costruivano la loro forza emotiva o la loro
purezza drammatica a scapito di qualcos’altro, della “sensazione” per esempio, quando ci
proponevano, nella riproduzione dei rumori, una sensorialità povera e stereotipata?12
2.2. Lo scambio dei livelli sonori in e off (intradiegetico ed extradiegetico) nel cinema attuale
non è legato soltanto alla tecnologia, ma ad un clima generale che considera questi “giochi”
ormai del tutto naturali. Lo spettatore moderno (l’audio-spettatore, direbbe Chion) è ormai
talmente avvezzo allo scambio veloce di livelli che, se non ci fosse, la narrazione gli parrebbe
probabilmente impoverita. Per comprendere questi transiti può essere utile considerare il caso
dello stesso suono o segmento sonoro compiuto (un brano musicale, per esempio) che
consente il passaggio da un livello all’altro. Il decorso può partire dal livello esterno, cioè il
commento musicale off, e raggiungere il livello interno, cioè lo spazio sonoro in, facente
parte della narrazione. O viceversa naturalmente.
Preme sottolineare che in questo frangente lo stesso materiale sonoro separa i due livelli, che
risultano nettamente distinti alla percezione proprio a causa del passaggio marcato dal
sonoro. Un esempio molto evidente ed efficace per il risultato ottenuto è contenuto
nell’ultimo film di Stanley Kubrik, Eyes Wide Shut (Id., 1999). Il film comincia con un valzer
di Šostakovič tratto dalla Suite Jazz, che funge da commento musicale off d’apertura.
Scorrono sullo schermo le immagini dei protagonisti (Tom Cruise e Nicole Kidman ripresi
mentre si preparano per partecipare a una festa), alternate ai titoli di testa. Il valzer avanza
10
Come la nouvelle vague francese ad esempio, o gran parte della filmografia di Ingmar Bergman; comunque sempre
cinema europeo o talvolta americano. Così si diceva e pensava un tempo, prima della scoperta della grande ricchezza poetica
e introspettiva delle cinematografie dell’est e del sud del mondo.
11
Naturalmente la relazione “suoni prodotti dagli esseri umani/paesaggio sonoro”, nella narrazione audiovisiva è più
proporzionata ed equilibrata rispetto a quanto non avvenga nella vita reale. È un’altra conseguenza dello sviluppo della
tecnologia audiovisiva.
12
Cfr M. CHION, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, op. cit., pag.131.
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senza interruzione affermando la sua funzione esterna di commento. Non appena il film
comincia definitivamente, viene inquadrato Cruise che poco prima di uscire da casa spegne
l’impianto stereo. Il valzer si interrompe contemporaneamente e bruscamente: lo stavano
ascoltando i protagonisti. Scopriamo quindi che si trattava di musica interna alla scena (e al
paesaggio sonoro) proprio nel momento in cui cessa. E ne riverberiamo la nuova percezione
retroattivamente, ma non di molto. Non è più possibile smentire la prima percezione, quella
che ha determinato la funzione del valzer come commento “esterno”, perché è durata molto
più a lungo ed ha avuto tutto il tempo di affermarsi.
Questi salti di livello – il nostro esempio è tanto immediato quanto straordinario nella
realizzazione – sperimentati in passato soprattutto nel cinema d’autore, sono nel cinema
moderno molto più diffusi di un tempo, e contribuiscono allo sviluppo delle qualità narrative
anche per vie indirette.
2.3. Esiste anche un’altra forma di fusione dei livelli in e off, ed è quella che si realizza
all’interno del commento musicale esterno. Prendiamo in considerazione un esempio
straordinario del passato, quello del film Psyco (Psycho, Alfred Hitchcock, 1960). Ci
troviamo qui in un contesto in cui i livelli sono rigidamente separati, come spesso avveniva
nel caso dei film holliwoodiani: colonna sonora realizzata attraverso lo strumentario
dell’orchestra tradizionale, e sonoro interno alla narrazione totalmente separato dalla musica.
La particolarità del nostro esempio risiede nel fatto che il commento musicale, costituito da
un’orchestra di soli archi, è soltanto in apparenza esclusivamente musicale. Bernard
Hermann, il compositore di Psyco e di numerosi altri film di Hitchcock, realizza qui una
sintesi davvero geniale tra necessità e consuetudini del commento off e implementazione di
elementi “paesaggistici” interni alla narrazione, a partire dalla scelta degli strumenti:
l’utilizzo dei soli archi è una trasposizione musicale della monocromaticità fotografica
adottata dal regista (il film è in bianco e nero per scelta). La musica si incarica addirittura di
far risaltare in superficie alcuni paesaggi sonori “intimi” percepiti solo dai personaggi: il
battito cardiaco della protagonista femminile (Janet Leigh) sempre in ansia per aver
commesso una rapina ai danni del suo datore di lavoro, è reso dall’incessante ribattuto
percussivo degli archi, ora sfondo di piccole unità melodiche, ora completamente autonomo,
sempre presente nella disperata fuga di lei: il paesaggio sonoro qui è il cuore che batte. E
ancora, il ribattuto sovracuto e meccanico degli archi nella celeberrima scena del delitto nella
doccia, cos’altro è se non il rumore delle coltellate reiterate, assimilato alle grida di lei, e ai
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battiti del cuore che scoppia in gola? Oppure ancora, la descrizione sonora data dal lento
incedere di cromatismi ascendenti e discendenti in corrispondenza della percorrenza della
scala che porta nella lugubre casa sulla collina di Norman Bates. È forse questo il motivo che
rende le musiche di Hermann così aderenti alla narrazione visiva: l’assorbimento del
paesaggio nella musica, anche di quel paesaggio intimo e nascosto, che solo attraverso i suoni
può essere ascoltato.
2.4. La “composizione” dello spazio acustico è diventata ormai la nuova frontiera della
creatività musicale. Da lungo tempo – almeno da quando esistono gli altoparlanti – alcuni fra
i compositori più rappresentativi del Novecento si sono posti il problema di suddividere
l’ambiente sonoro e di metterlo in movimento13. Gli interpreti di musica acusmatica
“suonano” lo spazio elettroacustico attraverso l’orchestra di altoparlanti, il cosiddetto
acousmonium, realizzato e sperimentato in Francia presso il GRM (il centro fondato da Pierre
Schaeffer), e ormai a relativamente larga diffusione. Il versante del live electronics ha fatto
della mobilità spaziale uno dei suoi punti di forza, elaborando sin dalle esperienze
pionieristiche dispositivi dedicati, tra i quali l’halaphon14 .
2.4.1. Il campo di maggiore utilizzo della spazializzazione acustica rimane però quello
cinematografico, che, come già abbiamo descritto, ne ha divulgato la pratica oltre
l’immaginabile: tutti ormai, con l’home theater (talmente popolare che è superfluo definirlo)
hanno sperimentato anche in casa propria l’alchimia d’essere immersi in un ambiente
acustico
avvolgente,
come
quello
delle
sale
cinematografiche,
che
modifica
considerevolmente la fruizione di un prodotto filmico, di un “paesaggio” audiovisivo.
Descriveremo adesso brevemente le tappe storiche dell’evoluzione dello spazio nel cinema.
Nell’audiovisivo cinematografico la diffusione attraverso un numero maggiore o minore di
altoparlanti (che ha conosciuto varie evoluzioni), è sempre stata strettamente legata alle
modalità e ai supporti di registrazione. La tecnologia magnetica consentì di utilizzare tracce
estremamente sottili, e questo aprì la strada alla registrazione multicanale. Le piste
magnetiche venivano impresse ai due lati della pellicola cinematografica, occupando uno
spazio talmente limitato da consentire di separare i suoni e controllare l’attivazione degli
13
Tra i compositori più importanti ricordiamo almeno Luigi Nono, che in special modo nelle composizioni col live
electronics ha riconosciuto alla componente spaziale una valenza creativa non inferiore alla strutturazione dei suoni o alla
sperimentazione sul timbro.
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Spazializzatore digitale che controlla il movimento del suono nello spazio attraverso l’interazione degli altoparlanti in sala.
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altoparlanti disposti in sala. Il suono stereofonico su supporto magnetico risale ai primi anni
Cinquanta del secolo scorso (primo film La Tunica [The Robe, Henry Koster, 1953]), su
pellicola 35mm a quattro tracce: il CinemaScope. L’altra possibilità era quella offerta dalla
pista ottica, cioè una banda sonora stampata e sviluppata sulla pellicola come un negativo. Il
sistema magnetico garantiva maggiore qualità rispetto a quello ottico, ma aveva costi di
produzione molto elevati, per cui si preferì privilegiare quest’ultimo, lasciando alle grandi
sale di prima visione e alle produzioni spettacolari la stereofonia magnetica. Il suono “ottico”
era basato su un’unica pista monofonica che però non era completamente “piatta”: attraverso
specifici macchinari si indirizzava il suono su tre altoparlanti posti dietro lo schermo di
proiezione arricchendone le direzionalità. Pur non essendo al livello della stereofonia
magnetica, questo sistema, definito Perspecta Optical Directional Sound, dava una certa
profondità al suono, era più pratico e costava molto meno, in quanto non necessitava di
lettore dedicato, non entrava in conflitto con le altre tipologie di audiovisivo a suono ottico
(per esempio i cinegiornali) che accompagnavano i film, e soprattutto non necessitava
dell’implementazione dei numerosi, costosissimi altoparlanti necessari al sistema magnetico.
Come si vede, il passaggio “tecnologico” alla stereofonia non è stato affatto lineare, e le
sperimentazioni hanno conosciuto un numero veramente alto di sistemi e tipologie15.
2.4.2. Un impulso decisivo alla uniformità di sistema venne dai Dolby Laboratories16, che
sfruttarono le iniziali competenze nell’ambito della riduzione del rumore audio (noise
reduction) anche in ambito audiovisivo. La qualità derivante dal trattamento, ridiede nuovo
impulso alla stereofonia cinematografica, consentendo di evolvere sia la tecnologia
magnetica che quella ottica. Il primo film che sfruttò la stereofonia Dolby fu Lisztomania (Id.,
Ken Russell) nel 1975. Da quel momento l’espansione del sistema non conobbe pause, e dalla
stereofonia si passò alla quadrifonia, cioè una forma di riproduzione stereofonica del suono in
cui la fonte sonora è diffusa da quattro tracce (o canali) in registrazione o trasmissione e
dall’uso di quattro o più altoparlanti. Si approdò infine ai vari sistemi recenti surround,
sostenuti dal passaggio all’ultima frontiera: la tecnologia digitale.
I principali sistemi surround, anch’essi suddivisi in numerose tipologie, sono:
1) Dolby surround, che prevede l’utilizzo di due altoparlanti frontali e uno posteriore;
15
Per una storia completa e precisa dei sistemi di spazializzazione cinematografica si consulti il testo di P. VALENTINI, Il
suono nel cinema. Storia, teoria e tecniche, Marsilio, Venezia, 2006.
16
Fondati negli anni Sessanta a Londra da Ray Dolby. La tecnologia Dolby in origine era destinata alla riduzione del rumore
e del fruscio sui riproduttori audio a nastro magnetico (Dolby A-type Noise Reduction).
23
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SCIRES-IT (2011), n. 1
2) Dolby Pro Logic, in cui gli altoparlanti frontali sono tre, più quello posteriore;
3) Dolby Digital 5.1, in cui compare il subwoofer, un altoparlante che riproduce frequenze
molto basse (sotto i 30 Hz), tre altoparlanti frontali e due posteriori. L’evoluzione di questo
sistema, che consente di separare più adeguatamente i canali porta al Digital Theatre System
(DTS) e successivamente al DTS ES, che aggiunge un canale posteriore.
Questa breve rassegna ci da un’idea di quanto la componente spaziale sia tenuta in conto nei
contesti audiovisivi. L’ultimo traguardo, cioè il digitale, ha portato ulteriori perfezionamenti
per ciò che riguarda l’alta definizione, la stratificazione dello spazio verticale e orizzontale, la
separazione delle componenti acustiche, il “movimento”, al punto che:
il suono diviene veicolo di tutte quelle sensazioni che la pellicola facendo leva sul primato
della sola vista non aveva mai interamente valorizzato. Il suono si carica di una
multisensorialità che supera quella frontalità cui la visione per suo stesso statuto ci obbliga.
Comodo sulle poltrone dei nuovi cinema lo spettatore si trova di fronte a uno schermo ma
soprattutto in mezzo a un suono avvolgente che trasforma la visione in un’esperienza
immersiva totalizzante17.
3. Editing. Il mondo amplificato
3.1.1. L’ambiente sonoro naturale può essere ascoltato, descritto e trasformato: l’approccio
tecnologico all’ambiente si presta alla relazione con tutte tre le modalità. Soffermandoci per
ora sull’ascolto e sulla descrizione, sarà opportuno notare che gli studi di R. M. Schafer18 sul
paesaggio sono stati spesso confrontati con quelli di P. Schaeffer, il teorico di maggiore
rilevanza nel campo della musica elettroacustica. La contiguità tra i due studiosi è
determinata – tra l’altro - dal fatto che entrambi hanno dovuto confrontarsi essenzialmente
col livello estesico19 per le loro analisi, prospettiva questa che, specialmente all’epoca delle
loro più rilevanti esposizioni (anni ‘60 -‘70 del secolo scorso) era assai difficile e coraggiosa
17
Cfr. P. VALENTINI, Il suono nel cinema. Storia, teoria e tecniche, op. cit., p. 111.
La scelta di far precedere il cognome dall’iniziale del nome (R. M. Shafer e P. Schaeffer) è dettata dalla possibile
confusione, dovuta alla somiglianza grafica, tra i cognomi dei due studiosi citati. Il serrato confronto tra i due, in questa parte
del testo, mi ha spinto a questa piccola aggiunta, che sarà mantenuta solo per questo paragrafo.
19
Ci riferiamo qui alla ben nota tripartizione semiologica, divulgata in campo musicale da Jean Jacques Nattiez, che si
articola in livello poietico, estesico e neutro; si veda J. J. NATTIEZ, Musicologie générale et sémiologie, Bourgeois, Paris,
1987 (trad. it. Musicologia generale e semiologia, EDT, Torino, 1989). Il livello estesico riguarda le dimensioni dell’ascolto
e della percezione. Per l’analisi della musica elettroacustica, le teorie legate ai processi estesici si sono rivelate di notevole
importanza.
18
24
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
da adottare in campo musicale. L’ascolto fu il loro principale strumento d’indagine, e non
avrebbe potuto essere altrimenti considerando il “materiale” con cui avevano a che fare: i
suoni del mondo e quelli elettronici, inauditi e indocili. E proprio sulle stratificazioni
dell’ascolto – non potendo contare su sistemi di scrittura condivisi e collaudati – essi si
soffermarono principalmente: lo strumento metodologico divenne esso stesso oggetto
d’indagine, e la longevità delle loro definizioni in merito, ancora oggi di stretta attualità, sono
la prova dell’esattezza dell’intuizione. Si svilupparono così le cosiddette “teorie dell’ascolto”.
All’interno di questa cornice, l’objet sonore (oggetto sonoro) di P. Schaeffer appare ancora
un punto di partenza irrinunciabile per la riflessione su tecnologia e paesaggio sonoro. Per
comprendere cos’è un oggetto sonoro, è importante secondo P. Schaeffer sviluppare
l’attitudine all’ascolto ridotto, che consiste nell’ascoltare il suono distogliendo l’attenzione
dalla sua provenienza e dalla sua destinazione. Si tratta in sostanza di considerare il suono per
le sue caratteristiche proprie, senza lasciarsi condizionare dal fatto che esso sia veicolo di altri
significati, come se fosse un intermediario della causa che lo ha prodotto. Se si considera che
tale attitudine causale20 è assolutamente normale nell’ascolto consueto, si comprende perché
P. Schaeffer definisce l’ascolto ridotto come “anti-naturale”: l’ascolto ridotto è strettamente
correlato alla nozione di riduzione fenomenologica (epoché) husserliana, poiché consiste
nello spogliare la percezione del suono di tutto ciò che non è propriamente suono, ponendo
l’attenzione esclusivamente alla materialità, alla sostanza, alle dimensioni sensibili di esso. In
questo modo l’ascolto ridotto e l’oggetto sonoro divengono correlati: si definiscono
reciprocamente e rispettivamente come attività percettiva ed oggetto della percezione.21
3.1.2.
Per lo studio del paesaggio sonoro, i limiti presenti in questo approccio, [quello di P.
Schaeffer] che potremmo definire di tipo clinico, dovrebbero risultare evidenti. Chi studia il
paesaggio sonoro dovrà però studiare a fondo gli scritti e l’opera di Schaeffer, anche se dovrà
ugualmente tenere conto dell’aspetto referenziale del suono, come pure della sua interazione
col contesto che lo circonda22.
20
L’ascolto causale è quello più diffuso, e consiste nel servirsi del suono per informarsi, quanto più sia possibile, sulla sua
causa, sia che tale causa sia visibile, sia che sia invisibile. La causa invisibile sarà identificata tramite un sapere o un calcolo
logico. Cfr. M. CHION, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, op. cit., p. 29.
21
Cfr. M. CHION, Guide des Objectes Sonores: Pierre Schaeffer et la recherche musicale, Buchet-Chastel, Paris, 1983.
22
R. M. SCHAFER, Il paesaggio sonoro, op. cit., p.183.
25
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Così R. M. Schafer nel suo testo capitale; comprende l’importanza dell’ objet sonore, ne trae
alimento teorico, trasponendolo nel contesto paesaggistico come “la più piccola particella
autonoma di un paesaggio sonoro”23, ma ne rigetta la componente “fenomenologica”,
totalmente estranea alle necessità di interdipendenza percettiva tra gli elementi di un
paesaggio. Più appropriato secondo lui il principio di “evento sonoro” (sound event), che, pur
strutturalmente simile all’objet, è “qualcosa che accade in un determinato posto durante un
particolare intervallo di tempo”24, dotato cioè di una dimensione simbolica e semantica e
ricollegabile ad un contesto (paesaggistico) più vasto.
Ai giorni nostri però le cose sono cambiate. Le stratificazioni dell’intervento tecnologico sul
paesaggio, a mio avviso, riportano l’attitudine all’ascolto proposta da P. Schaeffer
prepotentemente in primo piano. L’objet sonore privato della sua causa generatrice, che R.
M. Schafer vedeva ancora come “oggetto acustico astratto e da laboratorio”25 è adesso parte
integrante dell’“ambiente di vita”26 e accade continuamente in tempi e spazi sempre più
numerosi; è il suono degli onnipresenti altoparlanti, indissolubilmente integrato ai suoni
naturali. Il nostro paesaggio.
Ma come si è arrivati a questo mutamento? Proviamo a scandire i passaggi intermedi.
3.2. A partire dalla metà del secolo scorso, con la diffusione dei mezzi di registrazione e
riproduzione del suono, la modificazione artificiale del paesaggio divenne una realtà. I suoni
prodotti dalla tecnologia si insediarono nel mondo spontaneamente, creando una nuova
“orchestrazione” elettronica, non determinata dalle modifiche intenzionali dell’uomo. Si
potrebbe addirittura pensare ad una storia delle innovazioni tecnologiche del Novecento letta
attraverso le modifiche spontanee del paesaggio sonoro elettronico. Questo avvenne prima e
indipendentemente dalle teorizzazioni di Schafer, che successivamente provocarono la pratica
della modificazione attiva e intenzionale della geografia sonora. A mio parere però è stata
proprio la riproduzione elettromagnetica dei suoni a porre l’accento sulla possibilità,
vagheggiata da Shafer, di ascoltare il mondo come se fosse una composizione. La rivoluzione
elettrica in musica, tanto osteggiata dallo studioso canadese, ha di fatto favorito la
consapevolezza percettiva rispetto ai suoni del mondo, a partire dalla quale sono stati
23
Ivi, p.181. Così R. M. Schafer considera l’oggetto sonoro.
Ivi, p.370. Anche l’evento sonoro, come l’oggetto, viene definito come “la più piccola particella autonoma di un paesaggio
sonoro”.
24
25
Ibid.
26
Si veda il testo di riferimento alla nota 4.
26
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
elaborati i suoi studi. Questo perché il processo di rimozione dei suoni (musicali, rumoristici,
parlati, ambientali) dalla loro fonte naturale, tipico della riproduzione, causandone la
decontestualizzazione e l’ascolto successivo al loro accadere unico e irripetibile, ne ha
stimolato inevitabilmente una percezione più analitica. La scrittura, che in questo caso è
“registrazione”, porta sempre con sé risvolti analitici.
Per converso, una volta rimossi e parcellizzati, i suoni del mondo sono divenuti mito27:
riascoltati nel loro accadere naturale (non riprodotto), hanno cominciato ad essere percepiti
come il loro doppione riprodotto. Non solo il paesaggio ha subito delle modifiche, ma anche
e soprattutto la percezione del paesaggio è definitivamente mutata. Il paradosso è che
probabilmente noi ascoltiamo i suoni del paesaggio reale come se fossero, a loro volta, un
doppione di quelli riprodotti (cinematografici, radiofonici, televisivi, multimediali in genere),
in un complesso gioco di rispecchiamenti. È lecito quindi pensare che gli studi sul paesaggio
sonoro siano stati stimolati proprio da questo clima percettivo.
Da Schafer in poi la modificazione consapevole della geografia – cioè l’interazione attiva col
paesaggio – è stata la nuova frontiera. Ai giorni nostri le preoccupazioni ecologiche
confluiscono in una nuova estetica del mondo sonoro, regolata anche dalla consapevolezza
analitica sopraggiunta: non siamo più, come l’uomo pre-novecentesco, soltanto immersi nel
paesaggio, ma anche spettatori consapevoli, dotati cioè di precisi criteri di valutazione
estetica. Alla luce di queste considerazioni appare allora inevitabile servirsi dell’ascolto
ridotto shaefferiano come strumento di lettura privilegiato. Soltanto attraverso l’ascolto privo
di condizionamenti è possibile riconquistare uno stadio, se non vergine, almeno più pulito e
consapevole della percezione, che consentirà di mettere ordine nelle deformazioni
determinate dalla polisemia dei rispecchiamenti. Soprattutto per chi “compone” il paesaggio,
questo esercizio sarà utilissimo.
A partire da questa nuova posizione sono comprensibili le preoccupazioni ecologiche
(etiche) che stimolano la nuova estetica del paesaggio. Con la sovrabbondanza,
l’appiattimento, l’inquinamento acustico, la tecnologia ha portato per altri versi anche una
nuova consapevolezza percettiva, determinata dal frazionamento e dalla moltiplicazione dei
paesaggi. Sul versante creativo, la simulazione, passo successivo alla riproduzione, ha
condotto infine alla creazione autonoma del paesaggio attraverso l’ausilio delle nuove
27
Intendo qui la parola mito nel senso ad essa attribuitagli da Roland Barthes, vale a dire “sistema semiologico secondo”,
cioè edificato sulla base di una catena semiologica preesistente. “Ciò che è segno nel primo sistema, nel secondo diventa
semplice significante” (corsivo mio). Cfr. R. BARTHES, Mythologies, Editions du Seuil, Paris, 1957 (trad. it. Miti d’oggi,
Einaudi, Torino, 1974, p.196).
27
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SCIRES-IT (2011), n. 1
tecnologie. La tentazione di estendere la pratica manipolativa all’ambiente reale è stata (ed è
sempre di più) una logica conseguenza, e conosce ai giorni nostri un forte sviluppo: si tratta
di innestare nel paesaggio reale suoni elettronici che con esso possono avere qualunque tipo
di relazione, vicina o lontana, metaforica e non necessariamente mimetica. Come si vede,
questa pratica è il risultato di un percorso circolare di notevole complessità, che richiede
consapevolezza dei passaggi intermedi se si vuole evitare il rischio di giudizi di valore
scorretti in merito a concetti come “inquinamento”, “purezza”, “ecologia” e simili, declinati
in termini sonori.
3.3. In che modo la tecnologia applicata alla musica interagisce attivamente col paesaggio?
Per chiarezza possono essere identificate due modalità distinte:
1) musica nel paesaggio [A], cioè: innesto di suoni elettronici nel paesaggio naturale e urbano
(installazioni, giardini sonori, sonorizzazioni di aeroporti, “multimedializzazione” dei luoghi
più disparati: piazze, musei, negozi, ecc.)
2) paesaggio nella musica [B], cioè: decontestualizzazione del paesaggio, catturato attraverso
la registrazione o ricreato in laboratorio e utilizzato per fini musicali (musica concreta,
musica elettronica, progressive rock, musica aleatoria, new age, ecc.).
Ci occuperemo di seguito della prima modalità, rimandando al prossimo capitolo le
considerazioni sulla seconda, attraverso la lettura di un autore, Simon Emmerson, che ha
egregiamente compreso le complesse articolazioni del paesaggio “inscatolato” e usato per
comporre brani musicali.
3.3.1. La prospettiva per il compositore di “uscire fuori dal laboratorio”, all’aperto, e
apportare nell’ambiente modifiche acustiche di natura tecnologica è una logica conseguenza
di quanto argomentato finora. L’interazione elettroacustica/ambiente, si è rivelata
progressivamente come l’attività più proficua di intervento “estetico” sul paesaggio,
nonostante le idee di Schafer. I compositori di maggior rilievo che di questa interazione sono
stati i pionieri e hanno dettato le coordinate di una mappa d’intervento ancora tutta da
sperimentare sono ormai conosciuti e citati da tutti. Tra i più importanti ricordiamo almeno
Barry Truax, allievo di Schafer, e Brian Eno, che muovendo i passi nell’ambito Rock ha
28
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
compreso in anticipo, anche con l’ausilio di acute riflessioni, le compatibilità offerte dalla
prospettiva “ambientale”.
Già Shafer, definendo il design acustico aveva gettato le basi per una nuova poetica en plein
air, rispettosa del suono esistente in natura:
Il design acustico non consiste […] in un insieme di paradigmi e di formule immediatamente
applicabili a paesaggi sonori ribelli o privi di leggi, ma è piuttosto un insieme di principi da
utilizzare per giudicare e correggere questi paesaggi28.
E di seguito ci esorta alla conoscenza dei ritmi e dei tempi del paesaggio sonoro naturale, che,
se compromessi, necessitano di una correzione attraverso meccanismi di equilibrio. Questa è
una scelta di campo molto netta, al servizio di quella ecologia del suono, che è la prima
preoccupazione del compositore canadese. Gli interventi sul paesaggio di natura
elettroacustica realizzati da quel momento in poi non furono sempre ligi a questo principio
ecologico. La materia era troppo vasta per non scatenare un approccio diversificato da parte
dei numerosi compositori che vi si sono cimentati, con le loro differenti poetiche.
3.3.2. Le differenze tra le due prospettive ([A] musica nel paesaggio v/s [B] paesaggio nella
musica) sono evidenti. Occorre innanzitutto valutare le finalità che determinano le scelte del
“compositore”29: i suoni creati in funzione del paesaggio [A], non possono trascurare la
centralità del paesaggio stesso. Indipendentemente dall’adesione alle prescrizioni ecologiche
schaferiane sopra menzionate, coloro che si occupano di sonorizzazioni di paesaggi, esterni o
interni, osservano sempre qualche forma di rispetto nei confronti dell’ambiente che
sonorizzano, che inevitabilmente determina una precisa precettista (più o meno condivisa, ma
con alcune costanti). Probabilmente questa precettistica, dettata spesso da motivi
extramusicali, funziona retroattivamente come vera e propria poetica, come limite entro il
quale far scorrere la creatività. È utile allora, in questo caso, rammentare l’aureo principio di
Igor Stravinskij, secondo il quale i limiti (imposti qui dal rispetto di esigenze esterne al
mondo dei suoni) stimolano la buona costruzione e la creatività, e sono quindi necessari30.
28
Cfr. R. M. SCHAFER, Il paesaggio sonoro, op. cit., p. 328.
Le virgolette sono d’obbligo, perché ci riferiamo naturalmente ad un significato allargato del concetto e della figura del
compositore rispetto a quelli comunemente intesi. Soprattutto per la sonorizzazione degli ambienti, c’è chi preferisce il
termine designer, e simili. Si tratta però sempre di organizzare (più o meno rigorosamente) dei suoni nel tempo e nello
spazio.
30
Cfr. I. STRAVINSKIJ, Poétique musicale: sous forme de six leçons, Harvard University Press, Cambridge, 1942 (trad. it.
Poetica della musica, Curci, Milano, 1954).
29
29
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Il paesaggio utilizzato per comporre un brano autonomo di musica elettronica [B] appare
invece – è evidente – molto più libero dall’osservanza di fattori contingenti. Si confronta in
maniera più stringente con la precettistica relativa all’estetica musicale, in questo caso
giudicata in maniera intrinseca e autonoma, senza cioè valutarne la sua natura subordinata e
funzionale al paesaggio reale. Questa demarcazione di “campo” comporta ovviamente
approcci operativi sensibilmente diversi, senza contare che, anche solo rimanendo
nell’ambito [A] della “musica nel paesaggio” le prospettive d’intervento sono sensibilmente
differenti, come di seguito illustreremo.
3.3.3. Dovendo realizzare il paesaggio sonoro elettronico di un ospedale31, ad esempio, il
compositore, nella scelta e nell’organizzazione del materiale sonoro, dovrà tenere conto in
primo luogo:
- dello stato d’animo di chi va a farsi visitare,
- dei ricoverati,
- di chi va a visitare un malato (importante soprattutto per l’influenza che la sua
comunicabilità può esercitare sul malato visitato).
- di chi lavora in ospedale.
Gli aspetti estetici saranno quindi subordinati ad una reale ed efficace funzione sociale. La
sonorizzazione deve in primo luogo contribuire allo stato di serenità e rilassamento del
paziente, e questo determina discriminazioni importanti nel modo di articolare il discorso
sonoro. L’emissione sonora deve essere di basso livello d’intensità, per non ostacolare la
conversazione a bassa voce; la percezione del suono deve poter essere facilmente interrotta
per chi non voglia prestarvi attenzione. Sarebbe opportuno privilegiare le strutture ad
intermittenza, con lente dissolvenze in apertura e in chiusura (fade in; fade out), anziché
ricorrere a elementi puntuali e improvvisi; a questo proposito inoltre l’intensità del suono
potrebbe essere controllata automaticamente, aumentandola o diminuendola in proporzione al
livello di rumore che si ha in tempi differenti negli ambienti (per esempio in relazione al
numero di persone che vi soggiornano); in generale poi, la varietà sonora è da preferirsi alla
monotonia.
A questa “precettistica” generale, della quale si comprende bene la funzionalità, si possono
aggiungere delle scelte autonome, di natura più creativa, che però sono sempre in relazione al
31
Cfr. J. BLANCO, Sonorizzazione in un ospedale dell’Avana, in “Musica/Realtà”, n° 10, Aprile 1983, p. 7.
30
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
luogo e alla prospettiva percettiva del fruitore specifico. Si può pensare di integrare i suoni
degli interni con un elemento che rimanda all’esterno, come il suono di una fontana oppure di
un parco situati all’esterno dell’ospedale, che vengono registrati attraverso microfoni
direzionali e, opportunamente modificati, introdotti e sovrapposti nelle aree interne.
Questo tipo di interazione con gli ambienti, che ha cominciato a svilupparsi circa trent’anni
fa, è al giorno d’oggi molto divulgata. Trova tra i suoi iniziatori storici il francese Eric Satie
con la sua Musique d’Ameublement (musica d’arredamento), e successivamente l’americano
John Cage, due artisti che profeticamente compresero le direzioni future della storia dei
suoni32; solo in tempi recenti è risultato chiaro il loro percorso poetico, ormai ampiamente
riscattato da coeve incomprensioni, e perfettamente aderente invece all’attuale configurazione
dell’universo sonoro e alle più accreditate teorie di riferimento. Disse in proposito Cage: “la
musica è scappata di casa senza il vestito della festa e gira per le strade, curiosa come un
monello, correndo scompostamente”.
3.3.4. Una composizione particolarmente importante per le sue relazioni con l’ambiente è I
am sitting in a room, del compositore americano Alvin Lucier. Composta nel 1970,
costituisce un caso particolare di opera “aperta”, ma soggetta ad un inesorabile processo
ricorsivo. Agostino Di Scipio ne ha fornito una esauriente lettura33 che può essere considerata
un prototipo per l’approccio analitico alle installazioni sonore in generale. Le installazioni
sonore costituiscono un ambito di sperimentazione che, come lamenta lo stesso Di Scipio e a
dispetto della loro attuale diffusione, è ancora carente di serie e approfondite riflessioni
musicologiche.
Il materiale per la realizzazione dell’opera, che l’autore definisce “per voce e nastro
elettromagnetico” è costituito da:
- un microfono
- due registratori
- un amplificatore
- un altoparlante.
32
In merito alle tematiche del paesaggio sonoro, è doveroso ricordare che Eric Satie (1866-1925), comprese la portata dei
cambiamenti indotti dalla modernità molto prima dell’avvento della tecnologia elettroacustica. John Cage (1912-1992)
invece si immerse nella tecnologia musicale con lo spirito innovativo consueto alla sua natura, ponendo ulteriori problemi (e
trovando − per strada − talvolta anche soluzioni).
33
Cfr. A. DI SCIPIO, Per una crisi dell’elettronica dal vivo, I am sitting in a room di Alvin Lucier, in “Rivista di Analisi e
Teoria Musicale”, n° 2, 2005, pp.111-134.
31
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L’esecutore deve: 1) scegliere la stanza dove effettuare la registrazione degli “eventi” che
determineranno la composizione; 2) leggere un testo e registrarlo nel modo particolare
richiesto da Lucier. Queste ed altre informazioni, per il corretto svolgimento dell’operazione,
sono contenute nella cosiddetta partitura verbale predisposta dal compositore. L’ausilio di
una partitura verbale è molto frequente in questo genere di lavori e consiste in un documento
scritto (talvolta integrato da notazione musicale, schemi grafici, ecc.) “con le spiegazioni
tecniche, istruzioni e regole per la realizzazione dell’opera”34 .
Più nel dettaglio, all’esecutore è richiesto di:
- registrare la sua voce che legge un testo attraverso il microfono collegato al primo
registratore;
- trasferire nel secondo registratore ciò che è stato registrato sul primo;
- farlo risuonare nella stanza attraverso l’altoparlante e registrare nuovamente
attraverso il microfono (Lucier definisce questa copia come seconda “generazione”
della voce iniziale);
- montare il risultato in coda alla prima registrazione;
- ripetere lo stesso processo diverse volte, sempre passando attraverso il microfono.
Il testo proposto da Lucier per essere letto durante l’esecuzione è autoreferenziale, costituisce
cioè una vera e propria descrizione dettagliata della realizzazione del lavoro stesso. Il
compositore lascia però la più grande libertà rispetto al testo da utilizzare, che non deve
essere necessariamente quello da lui proposto, ma potrebbe essere qualunque altro, di
qualunque lunghezza. Ecco la traduzione del testo di Lucier proposta da Di Scipio:
Sono seduto in una stanza diversa da quella in cui siete voi in questo momento.
Sto registrando il suono della mia voce che parla e riprodurrò poi la registrazione molte e
molte volte finché le frequenze risonanti della stanza si rinforzeranno al punto che ogni
sembianza del parlato, a parte forse la cadenza ritmica, sarà dissolta. Quel che ascolterete,
allora, saranno le risonanze naturali della stanza articolate dal parlato.
Considero tale attività non tanto come una dimostrazione di un fenomeno fisico, ma piuttosto
come un modo per smussare qualsiasi irregolarità che possa essere presente nel mio modo di
parlare35.
34
35
Ivi, p.114.
Ivi, p.115. Per il testo integrale in inglese, si rimanda al saggio di Di Scipio.
32
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
Non c’è che dire, una spiegazione esauriente dei processi, che corrisponde al contenuto stesso
dell’opera. Scegliere un altro testo, come l’autore pure propone, sarebbe effettivamente molto
rischioso, considerando la forte coesione concettuale (ed estetica) che questo testo realizza
coi processi compositivi di cui è parte in causa. I am sitting in a room costituisce a mio
avviso un grande esempio di come l’ambiente – attraverso la tecnologia – possa essere parte
integrante di un divenire compositivo in cui le decisioni rigorose del compositore sono sullo
stesso piano del contributo dei suoni del mondo. Il particolare movimento metamorfico
imposto dalle scelte di Lucier, consente il passaggio graduale dal suono-voce alle risonanze
del luogo in cui avviene la registrazione. L’attività umana (il compositore che si fa voce)
annega nelle risonanze naturali del luogo di realizzazione attraverso il mezzo tecnologico e la
ripetizione del gesto; tale ripetizione però non è indifferente: è il segno del tempo che passa e
che cambia le cose, ineluttabilmente.
La realizzazione live di questa composizione è naturalmente più efficace ai fini della
rappresentazione del processo, vero fine dell’opera. Il compositore propone quattro
possibilità di realizzazione alternative:
- Fare versioni nelle quali una stessa lettura del testo venga rigenerata in differenti stanze.
- Fare versioni con uno o più lettori, usando linguaggi diversi, in stanze diverse.
- Fare versioni nelle quali, per ciascuna generazione successiva, il microfono venga spostato
in vari punti della stanza, o delle stanze.
- Fare versioni che siano eseguibili in tempo reale36.
3.3.5. Ai giorni nostri, a partire dall’inizio del nuovo millennio, le istituzioni della musica
integrata nell’ambiente sono maggiormente strutturate dal punto di vista teorico. Analizzando
le ormai numerose esperienze con l’ausilio del mezzo elettronico condotte fino a questo
punto, possiamo distinguere diversi approcci alla musica ambientale. Di grande impatto ed
importanza la ambient music, che fu resa popolare tra gli anni ‘70 - ‘80 del secolo scorso dal
già citato compositore inglese Brian Eno37. Raffinato sperimentatore di ambito rock, Eno
conosceva bene le esperienze della musica radicale, concreta, aleatoria, gestuale, minimal ed
elettronica, ed operò una sintesi che ha avuto influenza duratura, e che tuttora continua ad
36
Ivi, p.117.
È utile ricordare che nel 1968 Eno scrisse un libro-manifesto dal titolo Music for No-musicians (musica per non
musicisti), nel quale propugnava la figura del musicista del tutto incompetente. Eno sostiene che l’unica possibilità per
consentire alla creatività libera di manifestarsi, perché l’eventuale si realizzi senza limitazioni, consiste nel fare musica senza
conoscerla. Le idee di Eno trovano curiose risonanze con quelle di Cage, il quale però fu sempre restio ad ammettere
l’affinità col compositore inglese. Occorre per altri versi rilevare ancora che, di lì a poco, nacque il Punk.
37
33
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averne. Eno progettò la Music for
Airport38, realizzata con ventidue nastri magnetici,
ciascuno dei quali conteneva materiale musicale molto esiguo: quattordici nastri erano
dedicati al pianoforte, con poche note (anche solo una) per ogni traccia; gli altri otto
contenevano voci di un gruppo di ragazze che cantavano una nota mantenuta per circa dieci
secondi. La realizzazione del montaggio era aleatoria, cioè i nastri si sovrapponevano
liberamente, con esiti sempre diversi, ma condizionati dall’integrità del materiale di partenza,
e quindi con rilevanti ricorrenze strutturali. Si realizza in questo caso un’integrazione col
luogo, di natura concettuale più che squisitamente fonica. L’aeroporto è un luogo in cui le
intersezioni sonore dell’ambiente reale, sempre diverse, determinano però un “clima”
essenzialmente ripetitivo (come tutti i luoghi di partenza e d’arrivo molto frequentati). La
massa sonora umana, contrappuntata dai segnali funzionali, è eternamente simile nel costante
cambiamento, ed è inconsapevole di sé stessa come unità totale. La “musica” di Eno, non fa
che rileggere, traslitterandolo in termini sonori, questo processo meccanico, svelandone così
gli automatismi di superficie e la rigida struttura di fondo. E l’ascolto stesso naturalmente non
potrà che essere anch’esso superficiale. Questa “musica” risponde strettamente alla poetica di
Eno, che ha sempre perseguito, attraverso la tecnologia, la tacitazione del pathos dei suoni,
come nel caso di Satie e Cage.
La ambient music così concepita però non tematizza le caratteristiche foniche dell’ambiente
di destinazione; ne costituisce una “traduzione”, una metafora, finalizzata forse a rendere più
piacevole la permanenza in quegli ambienti che spesso creano disagio ai frequentatori, come
appunto le stazioni ferroviarie e gli aeroporti. E per fare ciò, essa copre i suoni d’ambiente
originari.
3.3.6. Maggiormente interattiva con l’ambiente è la enviromental music che trae dal suono
specifico dell’ambiente di destinazione il suo materiale, e non lo modifica sostanzialmente.
Appartiene – a differenza dell’ambient, che si configura essenzialmente come genere popular
– ad un contesto più legato alle sperimentazioni della musica colta, con la quale però non
condivide la complessità strutturale. È facile da realizzare: nella sua versione non tecnologica
utilizza uno strumentario tradizionale di comune reperibilità, unito a qualunque tipo di
38
Ecco come Eno descrive le caratteristiche strutturali: “Deve essere non interrompibile (a causa degli annunci), deve essere
al di fuori delle frequenze con le quali la gente parla, avere una velocità differente rispetto a quelle delle sequenze verbali (in
modo da non confondere la comunicazione) e combinarsi con i rumori prodotti dall’aeroporto. E, molto importante, deve
avere qualcosa a che fare con il luogo in cui uno si trova e il motivo per cui è lì – volare, fluttuare e, segretamente, flirtare
con la morte”. Cfr. B. ENO, “Ambient Music”, in C. COX E D. WARNER (a cura di), Audio Culture, Continuum, New York,
2004.
34
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
oggetto che emette suoni, anche facente parte dell’ambiente stesso; anche per quel che
riguarda l’uso di apparecchiature elettroacustiche mantiene sempre la condizione della facile
reperibilità e utilizzo. La realizzazione avviene essenzialmente in contesti live, senza
organizzazioni formali preordinate. Nella enviromental music è bandito il virtuosismo, in
quanto essa tende all’inclusione sociale, al coinvolgimento del maggior numero di persone
possibile, secondo il principio dell’appropriazione dell’ambiente “dal basso” e alla
compenetrazione suono-uomo-mondo. L’ambiente non dovrà in nessun caso essere forzato o
snaturato. Luoghi diversi richiederanno naturalmente strumentari diversi – spesso facenti
parte dell’ambiente stesso – che col contesto di riferimento abbiano stretta affinità. La
componente tecnologica, come si vede, pur importante, non è fondamentale e non deve in
nessun caso prevaricare la natura paesaggistica. È sicuramente la concezione “compositiva”
più vicina agli intendimenti schaferiani, in cui l’artefatto deve essere subordinato a un’etica
(ineludibile) del suono del mondo e della civile convivenza. Il suono in questo caso è solo un
mezzo per interagire col mondo.
3.3.7. Ma l’esperienza di intersezione paesaggio sonoro/elettroacustica maggiormente
significativa è certamente la soundscape composition, che vede in Barry Truax il suo
esponente di punta. In questo caso, i suoni del paesaggio vengono trasferiti ed elaborati in
studio e fissati definitivamente su un supporto, utilizzando le tecniche di editing e montaggio
tipiche dei compositori elettroacustici “tradizionali”. Nata in Canada ad opera dello stesso
Truax e Hildegard Westerkamp, nell’ambito del World Soundscape Project (vedi nota 3), la
soundscape composition è ora diffusa in numerosi centri di riferimento della musica
elettroacustica internazionale. In effetti, numerosi compositori gravitanti attorno al GRM
parigino, già a partire dagli anni ‘50 - ‘60 ne avevano sperimentato a vari livelli le coordinate,
sia pure partendo da presupposti teorici diversi da quelli schaferiani. Per i canadesi le
sollecitazioni iniziali provennero dalla registrazione di paesaggi sonori naturali, a scopo
conoscitivo ed educativo. La strutturazione naturale del paesaggio venne poi utilizzata come
punto di partenza per modifiche, anche sostanziali, come per esempio la contrazione di
ventiquattro ore di registrazione paesaggistica in un’ora sola. L’analogia fotografica costituì
la suggestione usata dalla Westerkamp per esemplificare i presupposti del suo “metodo”:
catturare i suoni, come la fotografia cattura le immagini, costituisce il primo passo che
conduce poi alla loro modificazione tecnologica. È evidente che il progressivo perfezionarsi e
la divulgazione delle apparecchiature di registrazione e manipolazione del suono ha facilitato
35
G. Palma
SCIRES-IT (2011), n. 1
ancora di più questi processi. Oggi le manipolazioni consentite dai software editor più
semplici consentono le più svariate trasformazioni del paesaggio sonoro, nei suoi aspetti
microscopici come in quelli macroscopici, fino a giungere alla totale estraneità del risultato
rispetto alla fonte. Forse la reale differenza tra correnti di pensiero “musicali” o “ambientali”
si gioca proprio sulla fedeltà o meno al materiale di partenza. La soundscape composition,
secondo gli intendimenti di Truax, dovrebbe avere anche funzioni sociali di sensibilizzazione,
attraverso l’ascolto decontestualizzato, rispetto all’ambiente dal quale sono stati tratti i suoni;
tale ascolto, operato in un luogo diverso da quello nel quale i suoni sono stati registrati,
consente di soffermarsi sui particolari, circoscrivere il sonoro, prendere atto dei processi di
trasformazione. I compositori che si riconoscono in questa “corrente” rivendicano le
potenzialità ecologiche della tecnologia, che accresce l’interesse per un paesaggio attraverso
nuove associazioni, metafore sonore, giochi creativi ed elaborazioni possibili soltanto con
l’ausilio delle nuove strumentazioni. La diffusione massificata di tali apparecchiature
contribuisce a stimolare una creatività di tipo popolare che sempre più si cimenterà con la
manipolazione del suono, e attraverso essa giungerà all’appropriazione sonora del paesaggio
(come la fotografia ha determinato in fondo una forma di appropriazione visiva del mondo).
La musique concrète di Pierre Schaeffer e tutte le musiche acusmatiche di natura “mimetica”
(vedi il capitolo successivo) successive ad essa hanno naturalmente notevoli affinità di
risultati con la soundscape composition. È possibile anzi affermare che in alcuni casi esse
coincidevano perfettamente negli esiti.
4. Acousmographe. Simon Emmerson
4.1. Parlare del “paesaggio nella musica” [B], per ciò che concerne l’universo tecnologico,
equivale a ripercorrere per intero il percorso storico della musica elettronica, a partire dal
194839 in poi. Soprattutto per quel che concerne quel particolare tipo di musica che oggi si
definisce acusmatica - vale a dire quella musica realizzata in studio tramite apparecchiature
elettroniche e informatiche e memorizzata su supporto analogico o digitale - l’apporto dei
suoni paesaggistici è fondamentale. Come pure la nozione stessa di musique concrète, cui
spesso abbiamo fatto riferimento in questo scritto si fondava su definizioni che indicavano
l’uso di suoni naturali preesistenti, di oggetti presi dalla quotidianità, di pentole percosse e
39
Anno dei primi esperimenti di musique concrète di Pierre Schaeffer a Parigi.
36
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
bicchieri rotti. Come vedremo, queste definizioni di musique concrète non sono del tutto
precise: l’opposizione astratto/concreto, tanto utile per apporre cartellini di riconoscimento
sui compositori, ad uso degli studenti (e di qualche insegnante) di musica, risulta
semplicistica e poco proficua per comprendere la comparsa dei “suoni del mondo” nella
musica.
Non c’è dubbio però che nessuno più del compositore elettronico abbia scandagliato i territori
del paesaggio sonoro. Nessuno più di lui ha costruito e immaginato paesaggi acustici e spazi
sonori alternativi. La registrazione e la trasformazione sono strumenti privilegiati, è vero, ma
anche la sintesi e le tecniche di generazione sonora consentono di creare ex novo suoni di
natura paesaggistica. Non è un caso che le teorie analitiche della musica acusmatica – tutta,
non solo quella concreta – si basino spesso su una terminologia metaforica che trae origine
dal paesaggio naturale: suono “goccia”, “acquatico”, “sirena”, “a stormo”, “tuono”,
“moneta”, “immersione”, “emersione”, solo per fare qualche esempio. Le implicazioni
relative al rapporto musica elettronica/paesaggio sono innumerevoli come si intuisce. Noi
cercheremo di trarre qualche utile spunto di riflessione dalla prospettiva analitica di Simon
Emmerson (Wolverhampton, UK, 1950).
4.2. Il concetto di mimesis, fondamentale per Emmerson40, può essere considerato un
adeguato punto di partenza. L’autore usa questo termine non solo per definire gli aspetti del
suono (in special modo quello elettroacustico) che sono dichiaratamente tratti dalla natura e
dal paesaggio o ad essi ispirati, ma anche e soprattutto per mettere in evidenza la dialettica
mimetica dei suoni, concetto più articolato che trascende il mero materiale. Tra
l’immaginario del compositore e quello dell’ascoltatore esiste una fitta rete di rimandi
simbolici e mitici, e probabilmente il grado di sintonia tra essi deriva dalla maggiore o minore
condivisione di tali rimandi: Emmerson si occupa in particolare delle strategie compositive.
La valutazione della componente mimetica dei suoni è una faccenda molto più complessa di
quanto si pensi, e l’autore la considera in relazione al suo contrario, cioè al valore astratto dei
suoni stessi, offrendo una gamma di possibilità intermedie utili ad un discorso analitico
dell’universo acusmatico. L’interesse di questo modello consiste nel fatto che le variabili in
gioco
sono
legate
alle
scelte
di
gestione
40
ed
articolazione,
più
che
alla
Gli argomenti trattati in questo paragrafo sono presi da S. EMMERSON (a cura di), The language of Electroacoustic Music,
Macmillan, London, 1986. Si veda in particolare il saggio The Relation of Language to Materials, apparso in italiano col
titolo La relazione tra linguaggio e materiali nella musica elettroacustica, in A. DI SCIPIO (a cura di), Teoria e prassi della
musica nell’era informatica, Laterza, Bari, 1995.
37
G. Palma
SCIRES-IT (2011), n. 1
natura del materiale stesso. Discutendo della pratica dell’ascolto ridotto, Pierre Schaeffer
sosteneva che l’ascolto ripetuto e la disposizione orientata ai processi dinamici del suono
svuotano qualunque materiale sonoro delle componenti percettive legate alla fonte
generativa, mettendone in luce al contrario gli aspetti intrinseci e morfologici. Emmerson, pur
non riferendosi direttamente all’ascolto ridotto, afferma – in maniera simmetricamente
opposta – che è possibile organizzare dei suoni sintetici, generati elettronicamente, del tutto
estranei ad una causa “esterna” al suono stesso, in modo tale che sia possibile dotarli di
significati mimetici ed extramusicali (paesaggistici)41. La riflessione orientata in questo senso
appare estremamente significativa, se si considera – con Emmerson – quanta importanza
rivestono nella semantica e nella percezione le opposizioni prese in esame.
Il modello di Emmerson si articola attraverso l’identificazione di due coppie di opposti, i
quali combinandosi in varia misura, concorrono alla formazione del discorso musicale:
discorso “mimetico”
discorso “uditivo”
sovrapposizione
sintassi “astratta”
sintassi “estrapolata”
sovrapposizione
Emmerson ricorre alle definizioni di “discorso” e “sintassi” per distinguere rispettivamente le
qualità del suono dalle sue articolazioni temporali. Per ciò che concerne le qualità, il discorso
mimetico (mimetic discourse) si distingue dal discorso uditivo (aural discourse) per il fatto di
utilizzare suoni naturali, “concreti”, derivati dal paesaggio, o comunque dotati di
caratteristiche tali da ingenerare un rimando percettivo extramusicale. Viceversa,
appannaggio del discorso uditivo è la totale estraneità ai riferimenti esterni al materiale
sonoro, il quale rimanda soltanto a sé stesso.
Con questo l’autore tocca il cuore dell’opposizione più spinosa, in termini percettivi, del
materiale musicale realizzato attraverso modalità elettroacustiche e informatiche. La
tavolozza acustica del compositore, da quando esiste la musica elettronica ha vanificato la
vecchia opposizione suono/rumore, basata sulla differenza tra suoni periodici e aperiodici,
ridando linfa alla bipolarità astratto/naturale, in fondo da sempre presente nella
41
Notiamo per inciso che Emmerson, attraverso il suo sistema, critica quelle posizioni storicistiche e poco aderenti alla
realtà poetico-musicale, che negli anni ‘50 - ‘60 del secolo scorso opponevano la “scuola” elettroacustica francese a quella
elettronica tedesca (simboleggiate dal GRM e dallo studio di Colonia), liquidando le differenze attraverso l’affermazione,
riprodotta in fotocopia nei libri di Storia della musica, secondo cui i francesi erano “mimetici” perché utilizzavano materiali
“concreti” e registrati, e i tedeschi “formalisti” e astratti perché generavano i suoni mediante procedimenti elettronici di
sintesi.
38
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
tradizione occidentale, ed ora riletta sotto prospettive diverse. La composizione del suono
tecnologico giustappone e sovrappone per gradi diversi queste due polarità, contemplando
naturalmente anche la possibilità di mantenersi integralmente nell’uno o nell’altro dominio.
Ma il modello emmersoniano si spinge oltre, laddove ripropone questa opposizione in termini
di “sintassi”, cioè di articolazione formale, strutturale, temporale del suono e – lo ripetiamo –
non solo di mero “materiale”. La differenza consiste allora nell’uso compositivo che si fa del
materiale, assecondandone l’essenza e le caratteristiche (sintassi estrapolata) oppure
imponendo ad esso una struttura esterna, autonoma, in una parola “astratta”. Anche in questo
caso, oltre alle polarità appena descritte, Emmerson prevede la possibilità di combinazione in
vari gradi delle due. Il modello di riferimento si amplia fino a fare interagire tutte le
possibilità offerte da queste opposizioni:
Discorso
uditivo
Combinazione
di discorso
uditivo/
Discorso
mimetico
mimetico
Sintassi
astratta
1.1
2.1
3.1
Combinazione
sintassi astratta/
estrapolata
1.2
2.2
3.2
1.3
2.3
3.3
Sintassi
estrapolata
Il modello si articola dal punto di massima astrazione (1.1), quello cioè in cui i materiali e la
sintassi escludono per definizione qualunque tipo di riferimento “naturale” o realistico
(Emmerson cita gli Studie I e Studie II di Stockhausen del 1953-54) a quello in cui il
materiale, tratto da registrazioni di suoni d’ambiente, viene elaborato e articolato solo in
minima parte (3.3), e quindi vero e proprio “paesaggio sonoro” (esempio di Emmerson:
Presque rien n. 1, brano del 1970 di Luc Ferrari, realizzato attraverso la semplice
registrazione delle attività svolte in una spiaggia subito dopo l’alba). Si rimanda al saggio di
Emmerson per un quadro completo delle esemplificazioni tratte in larga parte dalla letteratura
elettroacustica, sempre pertinenti e chiare.
39
G. Palma
SCIRES-IT (2011), n. 1
Emmerson rivendica il valore empirico del suo strumento analitico, realizzato attraverso
l’osservazione dei fenomeni sonori – e non con teorie ad essi anteposte – da utilizzarsi come
pratica riflessiva, critica e retroattiva sui fenomeni stessi.
L’interesse che riveste per noi questo modello risiede nella comprensione delle potenzialità
delle architetture paesaggistiche, utili anche quando il “compositore”42 rientra nel suo studio,
portando con sé il mondo. Egli quindi non porta con sé solo suoni, ma anche strutture,
relazioni, movimenti e prospettive, che hanno cambiato per sempre il modo di fare musica.
4.3. Il modello di Emmerson torna utile anche per qualche ulteriore riflessione sul sonoro nei
contesti audiovisivi. È chiaro che in questi contesti la valutazione del sonoro sarà orientata
essenzialmente sul versante del mimetico, considerando che qui il suono è sempre indirizzato
verso qualcos’altro da sé; ma l’intelaiatura emmersoniana costituisce un sicuro stimolo per il
compositore che volesse sperimentare strategie di intervento insospettate e originali, i cui
effetti sono ancora tutti da scoprire. Uno scenario da rivalutare potrebbe essere quello della
verosimiglianza dei suoni di scena, ad esempio. In altre parole, il modello emmersoniano
potrebbe aprire la strada alla realizzazione di un immaginario sonoro, legato alle realtà del
paesaggio, ma costruito attraverso la dialettica concreto/astratto, che modelli suoni nuovi ed
inauditi per l’intradiegetico (la scena in). Si tratterebbe di una sempre auspicabile evoluzione
della tavolozza sonora finalizzata all’allargamento delle rete dei rimandi simbolici che
intercorrono tra l’immaginario del compositore e quello del fruitore.
La prospettiva di Emmerson stimola a mio avviso un ripensamento del sonoro anche in quei
contesti audiovisivi in cui la componente musicale sia maggiormente indipendente rispetto al
visivo (rimusicazioni dei film muti, sperimentazioni audiovisive d’avanguardia) di quanto
non avvenga nella fiction tradizionale. Il principio della sintassi estrapolata, se correttamente
analizzato nelle opere elettroacustiche di maggiore impatto “visuale” (ad esempio come
quelle di Bernard Parmegiani, Trevor Wishart, Denis Smalley) offrirà un impagabile
inventario delle possibilità di articolazione del materiale sonoro, trasferibile a mio avviso
nell’universo audiovisivo.
40
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
5. Freeze. I suoni/segnale
5.1. I segnali sonori hanno invaso il mondo. Mi riferisco a quei suoni ormai onnipresenti nel
nostro vissuto che hanno la funzione di attirare l’attenzione verso qualcosa, e che sono
collegati ad azioni, operazioni, avvenimenti di natura extramusicale. I segnali sonori sono
sempre esistiti: i richiami postali, gli avvertimenti percussivi di pericolo o di richiamo dei
popoli primitivi, le campane delle chiese, le campanelle delle scuole, i campanacci e i fischi
del mondo pastorale, le trombe dell’esercito; tutti questi (e molti altri naturalmente) sono
esempi “naturali” di segnalazione acustica, che hanno rivestito da sempre un ruolo
importantissimo nella comunicazione a distanza e nelle convenzioni dei gruppi sociali di ogni
epoca. Nel mondo tecnologico i segnali sonori si sono moltiplicati a dismisura. Una delle
differenze sostanziali rispetto al passato è data dal fatto che i segnali della modernità sono
personalizzati: nel mondo pre-tecnologico la maggior parte dei segnali era destinata alla
comunità, e costituivano sempre un evento, previsto o imprevisto, carico di contenuti emotivi
e particolari. Adesso i segnali punteggiano costantemente la nostra esistenza, e spesso sono
destinati soltanto a noi, disseminati nell’arco dell’intera giornata, senza distinzioni di luogo o
di tempo. Il nostro telefono cellulare emette segnali sonori, come pure il computer,
l’automobile, gli elettrodomestici, gli ascensori, e tutto quanto utilizziamo frequentemente. È
un paesaggio sonoro affine all’alfabeto morse, fatto di punti e di linee, di spettri sonori molto
definiti, sempre in primo piano; qualche volta (o spesso) molesto, quando non ci riguarda.
Nei confronti dell’intero paesaggio sonoro, che in sua presenza si fa immediatamente sfondo,
questo paesaggio segnaletico di superficie si inserisce alla stregua di “fioritura” e
“abbellimento”, tutto un brulichio di trilli, mordenti e acciaccature, che ricordano da vicino
quelli del clavicembalo rococò.
5.2. La tecnologia, dicevamo. Nella fattispecie, il processo di personalizzazione dei segnali è
direttamente proporzionale alle evoluzioni tecnologiche. Un esempio: le suonerie dei telefoni
cellulari. All’inizio erano rudimentali, monodiche, con poche varianti. Spesso utilizzavano
melodie note, le quali, a causa della scarsa memoria dei telefonini di prima generazione,
subivano drastiche semplificazioni ritmiche e timbriche rispetto all’originale. Con la rapida
diffusione e lo sviluppo della telefonia mobile, anche le suonerie si sono arricchite: la
polifonia ha sostituito la monodia, il repertorio musicale al quale attingere è pressoché
42
Cfr. nota 29.
41
G. Palma
SCIRES-IT (2011), n. 1
illimitato, scaricabile da internet, e ancora, è possibile comporre da sé la propria suoneria43,
utilizzare frammenti sonori non convenzionali. Tale varietà ha velocemente portato il segnale
sonoro a debordare dalla sua funzione originaria. La suoneria, oltre che indicare l’arrivo di
una chiamata (o di uno sms) ci parla anche del possessore del telefono, dei suoi gusti musicali
o sonori, oppure, al contrario, della volontà di celarli o di falsificarli in questo contesto; ci
comunica le sue scelte in merito all’opportunità di far suonare o meno il telefono, a quale
grado di intensità, in quale luogo. Tutti particolari che, a ben vedere, ci informano non
superficialmente sulla personalità del possessore del telefono. È inoltre possibile diversificare
le suonerie in relazione a chi ci chiama: la fidanzata, il collega, l’amico, i genitori, i quali
avranno il loro micro leitmotiv che ne annuncerà l’entrata nella scena dell’etere.
In questa nuova catena di significati, quello originale, veicolato e strettamente collegato al
suono, risulta fatalmente impoverito. Mai completamente abolito però: rimarrà come una
riserva di ulteriore significato disponibile, che si può allontanare o richiamare con
disinvoltura. Sempre presente al nostro ricordo come sigla televisiva di successo, riff del
famoso brano pop, incipit della sinfonia di Mozart, o talvolta come semplice motto verbale, il
significato primo della suoneria del telefono manterrà di quella origine soltanto il profumo:
sarà privato della ricchezza della sua storia, deformato, trasformato in “gesto”.
5.3. I suoni-segnale tecnologici imperversano anche nell’universo digitale. Sono i suoni
dell’hardware e del software. Quelli delle periferiche (modem, joystick, stampanti, ecc.) sono
naturalmente poco interattivi: spegnimenti, accensioni, ventole, stampanti, scanner,
producono un concerto di segnali spesso indipendente dalle indicazioni funzionali dirette.
Indirettamente invece sono sempre il termometro di qualcosa: spesso è l’interruzione
dell’iteratività minimalista della stampante che ci avverte, ancora prima dei display
lampeggianti, che dobbiamo inserire i fogli A4, oppure che l’inchiostro nero è finito. È
curioso rilevare il nesso inversamente proporzionale – suggerito specialmente dalle pubblicità
– tra intensità sonora e funzionalità generale dell’apparecchio tecnologico. La tecnologia
hardware “silenziosa” è sinonimo di efficienza e alto grado di sviluppo. Quando le ventole
del computer (o le lavatrici, le automobili) fanno troppo rumore, è segno che è ora di
cambiarle e sostituirle con altre più recenti (e più silenziose). In verità la tecnologia non è mai
veramente silenziosa.
43
Esistono internamente al telefono delle funzioni specifiche per creare le suoneria che più ci piace: veri e propri composer
(software per la scrittura e la riproduzione musicale) implementati nel telefono, di vario grado di complessità.
42
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
Per ciò che riguarda il software invece, la tipologia dei suoni esistenti è cresciuta – come per i
telefonini – con l’evoluzione complessiva degli applicativi. I suoni-segnale presenti nei
contesti multimediali software (e in internet) nascono con lo scopo di realizzare una maggiore
aderenza interattiva, come dimensione supplementare dell’interfaccia. Le funzioni di base
mirano ad: 1) attirare l’attenzione su comandi e situazioni particolari; 2) confermare
l’effettiva ricezione dei comandi dell’utente da parte del sistema; 3) informare l’utente in
merito ad eventi che avvengono in background44; e naturalmente 4) creare un clima sonoro
generale. La principale caratteristica costruttiva – dettata dal buon senso – di questi suoni
dovrebbe essere quella della non invadenza, della discrezione, allo scopo di non distogliere
l’attenzione dell’utente dalle informazioni principali del software. In questo caso il suono, lo
ricordiamo, è solo un’integrazione funzionale: è sempre prevista naturalmente la possibilità di
escluderli. Quando si articolano in forma musicale, e non solo effettistica, i suoni funzionali
in questione realizzano delle brevi sequenze, riconoscibili, con chiara evidenza cadenzale
(spesso di natura sospensiva), sempre con un impulso verso il proseguimento del discorso:
una sorta di punteggiatura o transizione verso qualcosa che non troverà mai risoluzione
musicale. La “risoluzione” sarà attuata dall’utente, con le azioni successive ai suoni.
5.4. I suoni funzionali, in generale, possono essere classificati in tre gruppi45:
- segnali d’attenzione
- segnali indicativi
- segnali d’arredo
Le prime due categorie sono le più importanti, e la loro esclusione dal contesto multimediale
nuoce fortemente al grado di interattività e comunicazione del prodotto o del messaggio.
5.4.1. Segnali d’attenzione che conoscono tutti sono ad esempio quelli delle stazioni
ferroviarie o aeroportuali, ma anche supermercati, centri commerciali, stadi. I più diffusi sono
quelli che precedono gli annunci verbali, in merito a partenze, ritardi, arrivi, comunicazioni di
servizio, ecc. Anche in questo caso attirare l’attenzione costituisce il loro compito essenziale.
44
Si definisce “background” l’operazione che il sistema informatico compie in assenza dell’interazione con l’utente, oppure
mentre l’utente sta portando a termine un altro compito.
45
Prendo questa classificazione da L. CAMILLERI, Il peso del suono. Forme d’uso del sonoro ai fini comunicativi, Apogeo,
Milano, 2005, p.183.
43
G. Palma
SCIRES-IT (2011), n. 1
Rispetto ai suoni personalizzati del contesto multimediale interattivo, ci sono delle differenze
che determinano le scelte dei designer acustici: il segnale in questione sarà ripetuto
innumerevoli volte nell’arco della giornata, quindi non deve risultare fastidioso; dovrà avere
caratteristiche spettromorfologiche tali da porsi immediatamente in primo piano rispetto al
paesaggio sonoro rumoroso e indistinto delle stazioni e degli altri luoghi citati sopra, quindi
in un registro medio-acuto; non dovrà essere ricco di pathos, né improvviso e troppo intenso,
per evitare di creare allarme. Potremmo dire, quasi di sfuggita, che le caratteristiche
costruttive necessarie alla funzionalità dei suoni-segnale costituiscono una vera e propria
metodologia didattica per la composizione. Vincoli più utili che nocivi – a mio avviso – alla
creatività del sound designer46. È inoltre facile vaticinare l’imminente arricchimento di
questo settore, già da qualche tempo in atto: in merito alla realizzazione di segnali inseriti in
un progetto di sonorizzazione per l’aeroporto Galileo Galilei di Firenze47, Lelio Camilleri
scrive:
[…] la strategia adottata ha suddiviso i segnali in tre tipi: segnali per annunci generali, segnali
per annunci riguardanti i voli, segnali per annunci commerciali. Il contenuto dell’annuncio
viene, quindi, evidenziato da un tipo particolare di suono realizzando il collegamento
suono/annuncio/tipologia48.
È importante rilevare la notevole influenza di questa tipologia dei segnali indicativi nella
determinazione del paesaggio sonoro. Il clima sonoro della metropolitana di Milano, rispetto
alla stazione Termini di Roma o all’aeroporto di Linate, o alla Rinascente è dato
principalmente da queste cadenze sempre uguali, che rivestono periodi di tempo irregolari (il
tempo che distanzia i segnali è l’unico parametro imprevedibile), all’interno dei quali si
dipana il suono della vita. Probabilmente la “tenuta” storica delle poetiche minimaliste
poggia anche, in qualche modo, sulla nostra abitudine percettiva allo scandire del tempo di
questi segnali ripetitivi.
5.4.2. Tra i segnali indicativi includeremo tutti quelli citati in precedenza relativi al software
(e all’hardware, nel caso dell’indicazione indiretta)49. Una tipologia particolarmente efficace
46
Si veda il testo di riferimento alla nota 30.
Il progetto, commissionato al Centro Tempo Reale di Firenze e realizzato fra il 2001 e il 2003, ha coinvolto i compositori
Marco Biscarini, Lelio Camilleri, Francesco Giomi e i sound designer Francesco Canadese e Damiano Meacci.
48
Cfr. L. CAMILLERI, Il peso del suono. Forme d’uso del sonoro ai fini comunicativi, op. cit., p.187.
49
Si veda il paragrafo 3 di questo capitolo.
47
44
Paesaggi sonori, tecnologia, multimedialità
SCIRES-IT (2011), n. 1
di suono indicativo è quella dei suoni dei videogiochi50. “I videogiochi hanno superato la TV
nel campo del divertimento infantile”51, ma costituiscono motivo di passione e divertimento
anche per un numero cospicuo di adulti. Il mercato dei videogiochi è in continua crescita, e
dal punto di vista dell’elaborazione, coinvolgono un gran numero di professionisti, da un
minimo di trenta fino a duecento e più. La componente fortemente immersiva e interattiva ne
decreta la valenza di “laboratorio” privilegiato per le applicazioni di realtà virtuale e per le
riflessioni in merito ad essa. Dal punto di vista sonoro e paesaggistico i videogiochi risultano
emblematici, perché al loro interno si sposa compiutamente l’integrazione, più volte rilevata
in questo saggio52, tra commento musicale off e segnali sonori relativi alle azioni del
giocatore. Una dialettica che, se nel mondo reale si realizza mescolando l’ambiente vero a
quello tecnologico, qui li simula entrambi, aggiungendovi anche il commento musicale di
natura “cinematografica”. Alle sonorizzazioni preliminari e conclusive di caricamento,
salvataggio e uscita dal gioco, si aggiungono le azioni del protagonista (in primo luogo i
passi) e degli altri personaggi, la resa sonora dell’ambiente, gli oggetti, le azioni cariche di
significato (gli incantesimi, per esempio)53. Queste “indicazioni” dialogano col commento
musicale vero e proprio, realizzando quella unità ambiente/musica già rilevata nel contesto
cinematografico e audiovisivo, con la differenza che in questo caso è l’utente a generare –
come nella vita reale – i suoni, determinando la colonna sonora. Basterebbe disattivare
l’audio per comprendere quanto il “peso” dei segnali sonori risulti indispensabile e determini
in larga parte la percezione immersiva del gioco.
Il ritmo con il quale premiamo il pulsante dell’azione produce suoni che si aggiungono alla
melodia di base come fossero onde sonore in sequenza. Quadro dopo quadro il nostro
procedere comporta l’infittirsi del tessuto musicale che diventa sempre più complesso54.
L’efficacia e la divulgazione raggiunta attualmente dai videogiochi è testimoniata anche dal
fatto che il cinema spesso propone dei rifacimenti di storie e personaggi provenienti da quel
mondo.
Con la banda larga i videogiochi hanno invaso anche internet, fatto che, se da un lato ha
costretto i produttori (Playstation, per esempio) a proporre versioni on-line, dall’altro ha
50
La struttura sonoro/musicale dei videogiochi è molto ricca e complessa, e integra numerose altre tipologie sonore oltre a
quella indicativa. L’indicazione però − legata strettamente ai processi interattivi − è sempre in primo piano.
51
Cfr. M. BORELLI, N. SAVARESE, Teatri nella rete, Carocci, Roma, 2004, p.119.
52
Si veda il capitolo 2: Crossfade. Il paesaggio sonoro nel cinema.
53
Cfr. L. CAMILLERI, Il peso del suono. Forme d’uso del sonoro ai fini comunicativi, op. cit., p.193.
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incentivato nuove prospettive ancora più immersive e dagli sviluppi non prevedibili, dal
momento che in questo modo si possono creare ambienti con un numero indefinito di
giocatori e di personaggi. E naturalmente anche di suoni. A mio avviso questa è una delle
direzioni più proficue del suono-segnale in Internet, la cui incidenza fino ad ora è stata per
vari motivi trascurabile. La musica è a tutt’oggi uno dei maggiori affari nella rete, ma solo
nella direzione dello scambio o dell’acquisto di files e dell’ascolto, non certo nel senso
dell’integrazione funzionale suono/azione.
6. Shuffling. Passeggiata musicale a braccetto coi media
6.1. L’ambiente di vita tecnologico comincia gradualmente ad abolire lo strumentario. Ci
stiamo incamminando verso un mondo ultramediale, un mondo cioè che tende a fare
scomparire il medium tecnico, a renderlo sempre meno percepibile dai nostri sensi abituali,
pur essendo al contempo sempre più pervadente55, Questo forse significa che in futuro il
sonoro potrà prendersi la rivincita rispetto al visivo: una volta scomparsi gli “strumenti”, il
medium immateriale, fluttuante, evanescente, ci restituirà la dimensione acustica del mondo
amplificandola rispetto alla “visione” delle cose. Il sociologo canadese Marshall McLuhan
aveva compreso a fondo – e in tempi non sospetti – questo passaggio. In una lettera inedita
datata 16 dicembre 1974 egli scrive a Shafer:
Viviamo per la prima volta in un’era acustica. Questo vuol dire, a mio parere, che l’ambiente
elettrico è simultaneo. L’ascolto è strutturato dall’esperienza del raccogliere informazioni che
provengono contemporaneamente da ogni direzione. In questo stesso istante, l’intero pianeta
esiste sotto questa forma di compresenza immanente e nello stesso tempo discontinua di ogni
cosa56.
Questa affermazione era dettata in primo luogo dalla constatazione che nel linguaggio si
stava gradualmente passando dalle procedure scritte a quelle elettriche, che favorivano il
recupero dell’oralità e della percezione acustica rispetto a quella visiva. Come sappiamo la
54
Cfr. J. D’ALESSANDRO, Videogame e musica, in “Close up - storie della visione”, n° 18, marzo - giugno, 2006, p.133.
Cfr. R. BARBANTI, Crisi e persistenza del modello retinico occidentale, in A. MAYR (a cura di), Musica e suoni
dell’ambiente, CLUEB, Bologna, 2001, pp. 41-69.
56
Lettera citata da S. MCCAFFERY, Marshall McLuhan: linguaggio per musica, in “Musica/Realtà”, n° 10, Aprile, 1983, p.
73.
55
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scrittura ha per altri versi recuperato terreno negli anni successivi, e proprio tramite la
tecnologia; ma la sostanza del discorso non cambia: l’età tecnologica ha ritrovato quella
matrice primordiale, fisica, essenzialmente acustica, da cui l’umanità si era progressivamente
allontanata.
La realtà virtuale e l’intelligenza artificiale hanno paradossalmente riscoperto la corporeità
come strumento primario di percezione nell’era delle nuove tecnologie. Nella realtà virtuale
dell’ultimo decennio le sperimentazioni hanno privilegiato una dimensione frammista nella
quale si dà uguale peso alla dimensione fisica e a quella virtuale. In questo tipo di ambienti
interattivi – talvolta definiti installazioni – la componente acustica è sempre essenziale. I
suoni sono provocati dai movimenti degli utenti ed emessi nello spazio fisico, moltiplicato e
frammentato. I corpi visualizzati graficamente nell’ambiente virtuale – gli avatar –
interagiscono con l’ambiente stesso, creando a loro volta soundscapes che producono nuove
relazioni, nuove composizioni visivo-sonore. Lo spazio virtuale determina una sorta di
architettura acustica, prodotta attraverso la stimolazione di “oggetti” che generano effetti
sonori. I suoni, spesso attivati da sensori stimolati tramite i movimenti degli avatar,
assumono anche una funzione di orientamento all’interno dello spazio. In contesti di
interazione tra più persone i suoni divengono il mezzo per comunicare: creano un dialogo tra
gli utenti, aumentando la loro consapevolezza di essere nello spazio virtuale grazie ad un
nuovo strumento di conoscenza, che è il proprio corpo che (ri)suona.
Le sperimentazioni di questo tipo sono ormai molteplici e multiformi, al punto che è
impossibile circoscriverne le evoluzioni. Le suggestioni di partenza sono da ricercarsi nel
grande impatto che suscitarono esperienze come quella del padiglione Philips, realizzato a
Bruxelles nel 1958 in occasione dell’Esposizione Universale. Il padiglione fu commissionato
all’architetto Le Corbusier, e vi collaborarono i musicisti Iannis Xenakis e Edgard Varèse.
Varèse realizzò per l’occasione il Poème électronique, un brano elettroacustico sincronizzato
con eventi visuali. La struttura prevedeva l’utilizzo di 425 altoparlanti pilotati da 20
amplificatori, che diffondevano il suono attraverso percorsi di movimento diversificati. I
visitatori erano immersi in una dimensione sonora totalizzante, che cominciava a scoprire le
potenzialità della scomposizione dello spazio acustico57.
57
Un’altra esperienza “storica” di grande importanza fu quella dell’Expo di Osaka del 1970. Vi parteciparono ancora
Xenakis per il padiglione giapponese, e Karlheinz Stockhausen per quello tedesco. Gli altoparlanti erano disposti sui lati,
sopra e sotto il pubblico.
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6.2. Il paesaggio sonoro attuale è inondato dalla musica diffusa dai media. La conseguenza di
questa affermazione – che rappresenta ormai un dato di fatto ampiamente digerito dalla
coscienza collettiva – comporta due riflessioni distinte. Il primo aspetto (A) riguarda
l’enorme vantaggio culturale acquisito dall’ascoltatore, il quale può scegliere di nutrirsi di
tutte le musiche di cui ha voglia, senza limitazione alcuna, con enorme facilità. Interviene
qui, se si riflette, un sentimento di libertà incomparabile rispetto alle epoche in cui non c’era
la riproducibilità tecnica. Nei confronti della tecnologia, ancora più riconoscente degli
appassionati d’arte o di letteratura dovrebbe essere il musicofilo: in fondo le biblioteche e le
riproduzioni visive erano gia molto diffuse nel XIX secolo, e di certo la possibilità di fruirne,
pur non massificata, si basava soltanto sulla capacità di leggere o di osservare un quadro,
attività più alla portata del pubblico di allora rispetto alla lettura o all’interpretazione di una
partitura.
Il secondo aspetto (B), direi il rovescio della medaglia, è che questa incomparabile ricchezza
si è impadronita del mondo. La sensazione di poter scegliere tutto si è velocemente
trasformata in sentimento di rassegnazione: siamo ormai condannati ad ascoltare tutti i suoni
e tutte le musiche del mondo, e spegnere gli interruttori non è sufficiente a far cessare il
flusso. Le tanto auspicate “ecologie dell’ascolto”, grande moda musicologica degli ultimi
anni, non chiariscono i termini della questione. Il più delle volte, in nome della lotta
all’inquinamento acustico e musicale, esse contrappongono semplicemente un’abitudine
percettiva a un’altra, uno stile musicale a un altro.
6.2.1. L’ascolto moderno quindi, per scelta o per coazione, è “onnivoro”. Tornando al primo
aspetto (A), è proprio vero che tutti, approfittando delle enciclopediche offerte della
modernità tecnologica, scelgono di ascoltare tutte le musiche del mondo? Io penso di no. La
mia sensazione è che ciascuno di noi, pur avendo la possibilità di spaziare, in fondo scelga di
ascoltare fatalmente solo ciò che sente più vicino alla propria sensibilità musicale. Il
fenomeno non è irrilevante: è vero che in una stessa comunità coesistono numerose
alternative in ordine ai differenti generi musicali, ma ciascun individuo attua dei percorsi
d’ascolto profondamente orientati rispetto alla propria esperienza, con rare incursioni – il più
delle volte casuali – nei repertori poco familiari. Salvo poche categorie sociali che realmente
sfruttano le attuali potenzialità tecnologiche di apertura e conoscenza musicale (alcuni addetti
ai lavori, appassionati viscerali e curiosi, maniaci con turbe di natura enciclopedica), tutti gli
altri sono intimiditi dalla enorme entità del materiale a disposizione.
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La settorialità dell’ascolto, paradossalmente, è ancora più marcata che in passato. Le lotte tra
partiti musicali sono feroci e ricche di argomenti teorici, che sopravanzano di gran lunga la
conoscenza reale della musica. Si parla di musica molto più di quanto non la si ascolti con
attenzione. Occorre quindi distinguere – e raramente lo si fa – tra ciò che è possibile e ciò che
accade. Le analisi dotte in merito all’ascolto onnivoro per scelta, al contrario, lo descrivono
come una pratica diffusa e abituale e, inevitabilmente, ne traggono indebite conseguenze
6.2.2. Diverso è il discorso se spostiamo la prospettiva sul secondo aspetto (B), cioè
l’impossibilità di sottrarsi al costante flusso di suoni e rumori che il mondo ci impone in mille
forme. In questo caso siamo realmente onnivori, anche se ciò non dipende dalle nostre scelte.
Il mondo e i media ci rimpinzano costantemente, e la nostra soglia d’attenzione si riduce in
proporzione diretta alle quantità ricevute il più delle volte passivamente. È inevitabile:
l’ascolto diventa distratto, parziale; una salutare forma di difesa non senza conseguenze però.
L’ascolto distratto si trasforma in abitudine riflessa, e si estende anche alle attività in cui
l’ascolto dovrebbe essere più attento (è una condizione che trascende l’ambito strettamente
sonoro: non si legge più lentamente, non si scrive più lentamente, non si agisce più
lentamente, non si pensa più lentamente). Il tempo dell’attenzione e della riflessione si è
drasticamente ridotto. L’abitudine all’immersione nel flusso sonoro delle nostre città, delle
nostre case, ha tolto spazio alla pratica dell’ascolto protratto. Manca il “conseguente”.
Per quel che riguarda la musica in particolare, occorre anche qui registrare una situazione
paradossale: i media audiovisivi, pur inondandoci, orientano l’ascolto nella direzione
dell’omologazione e della ridondanza. Ad esempio, per la gente comune la musica colta
tonale si riduce a un decina di brani (a voler esagerare) ripetuti ossessivamente in televisione,
dei quali si conosce il frammento iniziale o quello intermedio di particolare pathos. (Con
qualche specificità legata al territorio: in Italia avremo E lucevan le stelle della Tosca cantato
da Pavarotti e il Verdi di circostanza, in Inghilterra le musiche di corte e le canzoni di Purcell,
e per tutti i frammenti celeberrimi come La cavalcata delle valchirie o Per Elisa – della
durata massima di 20, 30 secondi – sdoganati dalle pubblicità). Non è diverso per la popular
music o per quella cinematografica di “annata”. Quando tra amici si vuole scherzare su una
situazione di suspence, ecco che si canticchia, con annesso crescendo, il bicordo ripetuto de
Lo Squalo (Jaws, Steven Spielberg, 1975). Nella televisione italiana, i programmi di prima e
seconda serata ci somministrano ossessivamente per le sospensioni tensive di suspence gli
archi acuti dello Psyco (Psycho, 1960) di Hitchcock - Ermann (che è difficilmente
canticchiabile, forse per questo non esce fuori dal video), oppure gli incipit più efficaci della
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filmografia Leone - Morricone. L’elenco potrebbe continuare, ma non per molto. Esiste
quindi una forma di coagulazione sonora e musicale che proprio a causa dell’inondazione
mediatica, si concentra su pochi frammenti riconoscibili ed entrati nell’immaginario
collettivo come ineludibilmente associati ad un’immagine, ad un pensiero, ad uno stato
d’animo.
6.2.3. Poi ci sono le memorie virtuali. C’è troppo da ascoltare in un i-pod da quattro giga, nel
quale posso mettere tutto Mahler, Schumann, Webern, Paolo Conte, Miles Davis, i Beatles,
ecc. È un dato di fatto indiscutibile. Allo stesso modo si potrebbe affermare che ci sono
troppe immagini, oppure che ci sono troppe parole. Nelle memorie virtuali c’è spazio per
tutto. Anche per l’opera omnia di Dante insieme a quella di Shakespeare, di Calvino, di
Platone e di Proust, con le quali posso andare nel parco e sedermi su una panchina a leggere.
Ma la musica pare avere un residuo di sovrabbondanza rispetto alle altre forme espressive,
almeno nella nostra percezione. L’enormità del patrimonio musicale stipato nelle memorie ci
spaventa più di quello letterario o pittorico. Questa singolare differenza, a mio avviso è una
falsa illusione che deriva dal particolare rapporto che la musica intrattiene da sempre con il
tempo. La musica la misuriamo costantemente, e i media attuali non sfuggono a questa
pratica. La musica non la si misura solo in mega o in gigabyte, ma in secondi, minuti, ore. Ci
basta dare un’occhiata sul display e notiamo un tempo preciso, che scorre inesorabilmente per
ogni singola traccia. Quaranta minuti per la Sinfonia KV 550 di Mozart: ne ha scritte
cinquantadue. E i quartetti? E i concerti? Trenta minuti per una cantata di Bach, come farò ad
ascoltarne trecento? Siamo sopraffatti dalla misurazione che compiamo come atto riflesso,
senza rendercene conto. Non misuriamo così le tragedie di Shakespeare e l’opera omnia di
Aristotele anzi, l’immaterialità della memoria virtuale ci nasconde addirittura la consistenza
del cartaceo. Nessun display ci indica il tempo necessario per leggere un libro: se ci fosse,
avremmo lo stesso disorientamento temporale che ci investe quando misuriamo la musica. È
tutto qui. La musica, si sa, ha sempre avuto un rapporto privilegiato col Tempo, che con lei
deve sempre uscire allo scoperto; poi però il Tempo si vendica, e lampeggia silenzioso sul
display.
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