NOTE E TESTI
SINOSSI.
IL SACRIFICIO D’ISACCO
NELLA POETICA EBRAICA MODERNA
In memoria di Ester Forti che affrontò
con spirito libero i dilemmi dell’esistenza
Il presente saggio si propone di esaminare il modificarsi dell’atteggiamento col
quale nell’ebraico moderno il tema biblico del Sacrificio d’Isacco viene affrontato
in alcune poesie composte fra il periodo precedente la fondazione dello Stato d’Israele e il periodo attuale. Il trattamento del tema del Sacrificio d’Isacco nella narrativa storiografica dello Stato d’Israele può ben riflettere il processo di conversione, che trasforma una narrativa iconica in una metafora secolare, per cui l’episodio
biblico, inteso tradizionalmente come prova di fede e di fedeltà, acquista nuovi significati alla luce di valori culturali in fase di cambiamento in una società israeliana
ormai laicizzata.
La narrazione del ‘‘Sacrificio’’ mantiene in tensione l’idea teologica di obbedienza alla volontà divina e il significato universale del sacrificio della prole. Il movimento Sionista, soprattutto prima della fondazione dello Stato, ha fuso le due
idee, creandone in tal modo un simbolo culturale del pesante sacrificio imposto
dal ritorno alla Terra d’Israele. Tuttavia, ogni generazione di poeti si è confrontata
con il ‘‘Sacrificio d’Isacco’’ secondo la propria prospettiva storica, culturale e linguistica. Cosı̀ scrittori ebrei che hanno scritto in epoche diverse della breve storia
d’Israele, differiscono l’uno dall’altro nel modo di trattare e di identificarsi con i
personaggi di Isacco e di Abramo, il primo la vittima innocente e l’altro lo strumento implacabile del decreto divino.
In tal modo il vero significato del concetto biblico di ‘‘Sacrificio’’ viene continuamente reinterpretato. Punti di vista diversi non acquiscono soltanto la complessità ideatoria della storia biblica come parabola, ma esprimono il ruolo che
essa gioca nella vita reale di una società impegnata nel travaglio di forgiare il proprio destino. Sentimenti di confusione, d’imbarazzo e di perplessità, che si manifestano dopo il crollo di ideologie ben definite, subentrano nella narrativa biblica
a principii di fede religiosa. Abramo e Isacco, i protagonisti principali della narrativa del Sacrificio, non vengono più trattati come archetipi, bensı̀ come personaggi di oggi, in carne e ossa. Talvolta essi vengono persino messi da parte e al
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TOVA FORTI
loro posto appaiono personaggi secondari come Sara, Ismaele, e persino l’ariete.
Questa tendenza letteraria è intesa a minimizzare il significato eccessivamente
drammatico e religioso del mito del «Sacrificio» e ad esaltarne il senso autentico
e persino attuale, che diviene vieppiù credibile attraverso l’impiego di un ebraico
idiomatico, correntemente parlato e dal suono spontaneo. L’eroe non è necessariamente colui che prende le decisioni giuste. Cosı̀ Yehuda Amichai ci mostra in
una delle sue poesie che il nuovo eroe, o anti-eroe, è piuttosto il personaggio irresoluto, colui che si trova coinvolto in circostanze tragiche, senza essere cosciente delle forze dinamiche che le hanno causate.
L’argomento centrale di questo saggio è il modo in cui la poesia ebraica moderna riflette e genera nuovi, e spesso provocatori, modi di lettura della narrativa biblica
del Sacrificio d’Isacco, che viene continuamente reinterpretato in nuove forme liriche secolari. Il motivo centrale della Aqedah, il Sacrificio, che è tradizionalmente un
simbolo di sottomissione e d’amore, viene rivisitato da ogni generazione di scrittori,
che inevitabilmente interpretano la Aqedah come allegoria inerente ai problemi morali del loro tempo.
Non è nostra intenzione presentare un esame comprensivo del motivo Aqedah
nella poetica israeliana del Novecento, bensı̀ concentrarci su alcune poesie che a
nostro avviso rappresentano la letteratura israeliana nel suo evolversi in differenti
fasi critiche della vita nazionale, e che perciò evidenziano il nesso fra circostanze
socio-storiche e coscienza individuale.1
Il fiorire della poesia israeliana moderna precede la nascita dello Stato d’Israele nel 1948. Il primo impulso le fu dato con la dichiarazione ideologica del primo
Congresso Sionista (1906) di usare l’ebraico come unica, esclusiva lingua nazionale
del popolo ebraico, una tendenza già sostenuta dal movimento «Haskalah» (illuminismo), che fiorı̀ alla fine del Settecento e ai primi dell’Ottocento.2 In ogni caso,
non vi è dubbio che i «segnali di modernità nella tradizione poetica ebraica»3 apparvero in Terra d‘Israele nel periodo precedente la fondazione dello Stato, con
NdA: Le poesie presentate in questo articolo sono state tradotte da Arno Baehr. L’autrice si
è permessa di apportare alcuni ritocchi nel tentativo di trovare termini ed espressioni che rispecchino, per quanto è possibile, stile e spirito di testi difficilmente riducibili ad altra lingua, testi
incisivi, sintetici, talora enigmatici e suscettibili di interpretazioni diverse se non contrastanti.
1 Al Tishlakh Yadkha el HaNá ‘ar (Non stendere la mano contro il fanciullo), a cura di
A. BEN-GURION (Gerusalemme, Keter, 2002). Si tratta di una raccolta in ebraico, rappresentativa
della poetica israeliana contemporanea sul tema della Aqedah, che dimostra la complessità dei
criteri letterari applicati per definire una poesia come legata al Sacrificio.
2 L’ebraico biblico fu scelto come mezzo d’espressione nei romanzi nazionalistici e romantici della Haskalah, quale L’ipocrita (1867-61) del primo romanziere ebraico A. Mapu. Vedi The
Standard Jewish Encyclopedia, edit. by C. ROTH, New York, Doubleday, 1959, pp. 852-854;
W. BARGAD and S.F. CHYET, Israeli Poetry: A Contemporary Anthology, Bloomington and Indianapolis, Indiana University Press, 1988, pp. 1-3.
3 BARGAD and CHYET , Israely Poetry, cit. pp. 1-3. Il parallelo fra il rinnovamento della lingua ebraica e il susseguirsi degli avvenimenti che portarono alla creazione dello Stato è ben presentato da Ariel Rathaus nell’Introduzione alla sua recente pubblicazione: Poeti israeliani, Torino,
Einaudi, 2007, pp. V-XXX.
SINOSSI. IL SACRIFICIO D’ISACCO NELLA POETICA EBRAICA MODERNA
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l’avvento di poeti importanti come Hayim N. Bialik (1873-1934) e Saul Tchernichovsky (1875-1943).
Allusioni bibliche sono frequenti nella poetica ebraica moderna e, considerando che la fonte canonica è generalmente famigliare al pubblico, suscitano spesso
una reazione immediata nel lettore.4 In modo esplicito o implicito, il lettore israeliano è costantemente chiamato a confrontarsi con una comune tradizione religiosa
e letteraria. Quindi la poesia israeliana moderna continua nella lettura interpretativa della narrativa biblica della Aqedah, attingendo spesso a una tradizione postbiblica ricca e variata, nella quale il Sacrificio non è inteso come un processo senza
verdetto, ma come atto concreto che culmina in un epilogo tragico: Isacco non è
più il sopravvissuto a una prova tremenda, ma una vittima che paga con la vita per
la santificazione della fede.5 Questo modello di vittima di un retaggio storico invece che di una prova di fede, viene riesaminato e rivalutato ad ogni svolta cruciale
della storia ebraica del Novecento. Tale versione si accorda con la lettura letteraria
del Sacrificio quale strumento di protesta. Da questo punto di vista i figli sono sacrificati e non succede nessun miracolo: nessun ariete prende il posto del sacrificio
umano.6
La lotta per la sopravvivenza dello Stato, dal momento in cui gli ebrei sono
tornati in Terra d’Israele, ha fatto sı̀ che si collegasse concettualmente al tema
del Sacrificio d’Isacco il lutto per la perdita di una persona cara. Il motivo religioso
di Dio che mette alla prova Abramo non è più un semplice simbolo di lealtà e di
fede, ma piuttosto un episodio quotidiano nella vita di una società sotto assedio.7
Il «legame» del sionista laico con la sua terra (legame concepito in termini quasi
religiosi) lo ha ulterioramente impegnato a sacrificare i propri figli, come dice Aaron Megged nel suo romanzo Hachay al Hamet (Il Vivo sul Morto): 8 «Questo è un
sacrificio (Aqedah), ma senza un angelo».9
La prima poesia che esamineremo presenta in modo chiaro il Sacrificio quale
atto di volontà collettiva di una nazione nascente. Il poema «Sull’altare» di Yitzhak Lamdan (1899-1954), immigrato in Terra d’Israele durante la terza Aliyah
(l’ondata d’immigrazione ebraica degli anni 1919-1923) esprime in elevato lin-
4 Riguardo alla terminologia poetica, vedasi L. A. SCHÄKEL , A Manual of Hebrew Poetics,
Roma, Pontificio Istituto Biblico, 1988, pp. 142-147.
5 Sh. SPIEGEL nel suo libro The Last Trial (New York, Schocken, 1967), analizza il commento rabbinico all’Aqedah e mostra lo slittamento concettuale del paradigma del Sacrificio.
6 Il concetto del Sacrificio come patto dei sionisti laici con la loro terra è espresso in Y. BEN AHARON, Peleg, Tel Aviv, Ofir, 1993, pp. 157-158 (in ebraico). Vedasi anche Avi SAGÍ: The Meaning of the Akedah in Israeli Culture and Jewish Tradition, in «Israel Studies», III (1998), pp. 47-48.
7 Cfr. Y. BEN -AHARON, HaKrav (La Battaglia), Tel Aviv, Am Oved, 1967, p. 180 (in
ebraico).
8 Cfr. A. MEGGED, HaChay al HaMet (Il Vivo sul Morto), Tel-Aviv, Am Oved, 1965 (in
ebraico).
9 L.J. WINEMAN, The Akedah-Motif in the Modern Hebrew Story. Ph. D. Los Angeles, University of California, 1977, pp. 97-114.
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TOVA FORTI
guaggio biblico l’alto prezzo pagato da ognuno di coloro che hanno scelto di vivere nella «terra bronzea»:
Sull’altare 10
Non serrare gli occhi spalancati alla vista
della scritta orrenda incisa sulle nostre mura!
Vieni, fratello, che hai gli occhi spalancati come i miei,
e se anche ti uscissero dalle orbite –
Vieni e non recediamo di fronte all’orrore di quella scritta:
«Vieni a noi»!
Vieni, fratello, che batti ogni giorno in segreto la testa
sulla terra bronzea ai nostri piedi –
Un dente intero c’è ancora – si conficcherà nelle sue zolle
e si spezzerà anch’esso a giustificare il verdetto:
«Vieni a noi!»
Qui fummo tutti incatenati, e con le nostre mani portammo la legna,
e non chiedere ne’ investiga se il sacrificio sarà bene accetto!
Ché non una pietra ci ha creati, fratello,
vi è certo un padre che cosı̀ vuole,
vi è certo una madre che non ci dimenticherà –
Posiamo dunque in silenzio il nostro collo sull’altare:
«Vieni a noi» –
Il suolo della biblica «Terra Promessa» è detto duro come bronzo, e quindi
non vi è vomere d’aratro che rimanga intatto. L’immagine, tratta dal più arcaico
lessico agricolo («si conficcherà nelle sue zolle»), s’intreccia con il termine eticoreligioso di teodicea, di «giustificazione del verdetto divino», che presenta il riscatto del paese come tema principale della narrativa sionista. Al singolo è proibito fare domande o esprimere dubbi: si sacrifica la propria identità sull’altare
ideologico del patriottismo: «Qui fummo tutti incatenati, e con le nostre mani abbiamo portato la legna, e non chiedere ne’ investiga se il sacrificio sarà bene accetto...».
La seconda poesia presa in esame, Il Sacrificio d’Isacco, è di Naomi Shemer,
che morı̀ nel 2004 e fu senza dubbio la cantautrice più popolare d’Israele. Naomi
Shemer, nata prima della fondazione dello Stato, ha vissuto di persona i maggiori
sconvolgimenti della nazione, e perciò ebbe la capacità di rivolgersi al cuore del
suo popolo. Con la sua schiettezza lirica e le sue risonanze bibliche, questa poesia
sembra riunire in un abbraccio l’universo sia sacro che profano dell’ebreo impegnato nel travaglio di forgiarsi una nuova identità come israeliano.
10 Kol Shire’ Yitzchak Lamdan (Tutte le Poesie di Isacco Lamdan), edit. by S. HALKIN , Gerusalemme, Bialik Institute, 1973, p. 119 (in ebraico).
SINOSSI. IL SACRIFICIO D’ISACCO NELLA POETICA EBRAICA MODERNA
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Il Sacrificio d’Isacco 11
Prendi
tuo figlio
il tuo unico figlio
colui che ami
Prendi
Isacco
e offrilo in sacrificio
su uno dei monti
nel luogo
che ti indicherò.
e offrilo in sacrificio
su uno dei monti
nella terra di Moriah
E da tutti i monti
di questa terra
si leverà un grido forte:
Ecco il fuoco
ed ecco la legna
ed ecco l’agnello del sacrificio
Signore del Mondo
pieno di misericordia
Non stendere la mano contro il fanciullo!
Non stendere la mano contro il fanciullo! –
Anche se vivremo sette vite e invecchieremo
non dimenticheremo che il coltello fu brandito.
Non dimenticheremo
tuo figlio
il tuo unico figlio
colui che amammo
Non dimenticheremo
Isacco
Il «Sacrificio d’Isacco» è quasi una trascrizione del testo biblico, ed è proprio
il divario fra la narrativa biblica e l’uso che ne fa la poetessa a conferirgli un aspetto di forte attualità. In certo senso il componimento crea un contesto ambiguo, nel
quale alla sentenza biblica manca una voce autoritaria identificabile. Colui che parla è Dio? O l’uomo? Il poema oscilla fra queste polarità e presenta la sentenza sia
come un implacabile aspetto della vita, sia come appello interiore, un richiamo all’impegno nazionale. Tale appello viene offerto come paradigma di sopravvivenza:
l’esistenza di ognuno in quanto parte della nazione è percepita come costantemen-
11 N. SHEMER, HaSefer HaSheni shel Naomi Shemer (Il Secondo Libro di Naomi Shemer), Tel
Aviv, Lulav, 1975 (in ebraico).
10
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TOVA FORTI
te minacciata, e la memoria di Isacco e del «coltello brandito» evoca al tempo stesso timore e pietà.
Il poema di Uri Zvi Greenberg (1894-1981) In una notte di pioggia a Gerusalemme, risale al 1953, ancora nella fase iniziale dello Stato, ed è scritto dal punto di vista
del sionista moderno e impegnato: un ebreo non religioso, la cui poetica è tuttavia
permeata da dottrine e da valori tradizionali ebraici.
In una notte di pioggia a Gerusalemme12
I pochi alberi nel cortile gemono come alberi di foresta,
grevi di torrenti di nuvole tonanti,
gli angeli della pace al capezzale dei miei figli
nel gemito degli alberi e nello scroscio della pioggia
Fuori – Gerusalemme: città della prova gloriosa del padre
e sacrificio del figlio su uno dei monti:
Quel fuoco dal mattutino arde ancora sul monte
La pioggia non l’ha spento: fuoco fra membra sacrificate.
«Se Iddio mi ordinasse oggi come ordinò
al mio avo – per certo obbedirei»
canta il mio cuore e la mia carne in questa notte di pioggia
e gli angeli della pace al capezzale dei miei figli!
Quale gloria, che mai è simile a questo sentimento meraviglioso,
che ferve dall’alba dei tempi fino ad oggi per il monte Mor:
Il sangue del Patto canta esultante nel corpo di un padre devoto
pronto al sacrificio sul monte del tempio alle prime luci!
Fuori – Gerusalemme... e il gemito degli alberi di Dio
Abbattuti dai suoi nemici di tutte le generazioni...
Nuvole gonfie di fiumane: gravide di lampi
e tuoni che son per me in una notte di pioggia – messaggi
dell’Onnipotente fino alla fine delle generazioni.
La prima strofa si apre con una vista alquanto malinconica di alberi in un
giorno di pioggia nel cortile del poeta. La apparizione di Gerusalemme già nel
primo verso della seconda strofa è suggerita da un’espressione particolare atzey
me’at, letteralmente «pochi alberi», ma me’at rieccheggia anche il termine biblico miqdash me’at (Ezech. 11:16), che indica il Tempio. Cosı̀ Greenberg introduce fin dal primo verso un linguaggio intimo e al tempo stesso fortemente simbolico. Il tono personale si è trasformato in un linguaggio carico di profondità
storica, che chiaramente identifica il Monte Moriah (il luogo del Sacrificio) con
Gerusalemme: «Gerusalemme: città della prova gloriosa del padre e sacrificio
del figlio su uno dei monti».13
12
13
U. ZVI GREENBERG, Massa vaNevel, Luach HaAretz, 1954, pp. 60-61.
L’unica esplicita identificazione della «Contrada di Moriah» (Gen. 22:2) con la città di
SINOSSI. IL SACRIFICIO D’ISACCO NELLA POETICA EBRAICA MODERNA
389
Inoltre, Greenberg sovrappone due episodi biblici («Quel fuoco dal mattutino arde ancora sul monte»): il fuoco sull’altare della storia biblica del Sacrificio
(Gen. 22:6) è lo stesso fuoco del Patto suggellato dalla «torcia accesa che passò
fra quelle membra divise» (Gen. 15:17), quando Dio promise ad Abramo e alla
sua progenie l’eredità della Terra d’Israele. I fuochi sono la promessa, e al tempo
stesso la prova della promessa.14 Il passato è seguito dal presente, «Il sangue del
Patto canta esultante nel corpo di un padre devoto». Tutto si riduce a una prospettiva dominante, nella quale l’assoluta obbedienza dell’avo all’ordine divino
di sacrificare il figlio è sentita dal poeta come impegno della sua propria generazione, in quanto sionista, nei confronti del retaggio dei suoi avi.
Possiamo quindi dire che il poema di Uri Zvi Greenberg parla ancora con fervore dall’intimo della narrativa del Sacrificio. La presenza costante di Gerusalemme fuori dalle mura della sua dimora, le evocazioni degli angeli della pace, il tono
reverenziale e l’accumularsi di allusioni bibliche, tutto contribuisce alla singolare
miscela di sacro e profano del poema. Seppure scritte nel 1954, le parole del poeta
sono ancora «messaggi dalla bocca di Dio onnipotente a innumerevoli generazioni».15
Le cose cambiano drammaticamente con l’avvento della generazione del Palmach (i reparti scelti della Haganà, corpo precursore delle forze armate d’Israele).
Hayim Guri è nato a Tel Aviv nel 1923.16 La sua biografia coincide con quella
dell’Israele in fieri e con quella della moderna Israele. Guri fece parte del Palmach
e partecipò a missioni della Haganà in Europa, missioni che contribuirono ad organizzare il flusso dei superstiti dai campi di sterminio verso campi profughi e verso la Palestina. Durante la Guerra d’Indipendenza servı̀ nelle forze armate come
ufficiale. Il suo ebraico è il linguaggio di chi (nato nel paese, scarno, esente da
fronzoli, concentrato, e persino giornalistico nella sua presentazione laconica dei
fatti.
Retaggio 17
Per ultimo venne l’ariete.
E non sapeva Abramo che esso
rispondeva alla richiesta del ragazzo,
primizia dei suoi lombi, nel suo giorno che volgeva al tramonto
Gerusalemme come capitale d’Israele si trova in Croniche II, 3:1: «E Salomone cominciò ad edificare la Casa del Signore in Gerusalemme sul monte Moriah, là dove il Signore era apparso a suo
padre Davide, nel luogo che Davide aveva designato sull’aia di Ornan Gebuseo».
14 Per un nesso concettuale fra la prova della Aqedah (Gen. 22) e il Patto di Dio con
Abramo (Gen. 15) vedasi Talmud Babilonese, Sanhedrin 89b.
15 T. CARMI , The Penguin Book of Hebrew Verse, New York, Penguin Books, 1981, pp. 44-45.
16 Per la biografia di Guri, vedasi BARGAD and CHYET , Israeli poetry, cit., pp. 57-59.
17 H. GURI , Shoshanat HaRuchot (La Rosa dei Venti), Tel-Aviv, Kibbutz HaMeuchad, 1960
(in ebraico). Cfr. anche la versione in italiano di A. RATHAUS (Poeti israeliani, cit., p. 5).
390
TOVA FORTI
Alzò la testa il vecchio.
Vedendo che non aveva sognato
e che l’angelo era lı̀ –
gli cadde il coltello di mano
Il ragazzo liberato dai legami
vide la schiena del padre.
Isacco, cosı̀ si racconta, non fu offerto in sacrificio.
Visse per molti anni,
vide giorni lieti, finché la luce dei suoi occhi si spense.
Ma tramandò quell’ora ai discendenti.
Essi nascono
ed un coltello sta loro conficcato nel cuore.
In Retaggio Hayim Guri riprende il biblico «lieto fine» della narrativa del Sacrificio, nella quale Isacco, salvato dall’angelo, è descritto in condizioni di prosperità: «avea greggi ed armenti, e grande famiglia e perciò i Filistei lo invidiavano»
(Gen. 26:14). Quando egli si approssima alla vecchiaia leggiamo: «Ed egli disse:
‘Son vecchio ora. Non so quanto presto possa morire’» (27:2). Ma è proprio questa espressione apparentemente ottimistica che induce Guri alla sua conclusione
drammatica: quello stesso Isacco che fu salvato dal sacrificio, ha tramandato alle
generazioni future il retaggio perenne del coltello: «Ma tramandò quell’ora ai discendenti. Essi nascono ed un coltello sta loro conficcato nel cuore». Il termine
biblico yerushà («retaggio»), associato al retaggio della Terra di Canaan, viene riesaminato in chiave ironica nelle nuova prospettiva del prezzo da pagare per realizzare l’antica promessa. Il poeta descrive la scena in terza persona in una forma distaccata, quasi come se scrivesse un rapporto investigativo, ammettendo cosı̀ di
accettare solo con riluttanza la legittimità storica del Sacrificio.18 Il tono è riservato
e soprattutto ironico (Isacco, si racconta...), e ciò rende l’ultimo verso tanto più
efficace, quando il lettore è portato a capire che anche storie inventate, «fictions»,
possono lasciare un loro segno. In effetti, poeti che hanno scritto dopo la Guerra
d’Indipendenza d’Israele, hanno trattato la narrativa del Sacrificio con ironia vieppiù crescente, sintomo di una società in fase evolutiva che mette in discussione i
miti delle proprie origini.
Tutto ciò è tanto più evidente nella poesia di Yehuda Amichai, il poeta israeliano più popolare e più celebrato dalla critica. Nato nella città bavarese di Würzburg nel 1924, Amichai emigrò in Palestina nel 1936 con i suoi genitori. Si arruolò
nell’esercito britannico nel 1942, poi entrò nel Palmach, e durante la Guerra d’Indipendenza combatté sul fronte del Negev. Alla fine della guerra, Amichai completò gli studi su Bibbia e letteratura ebraica all’Università di Gerusalemme e tro-
18 R. KARTUN BLUM, A Double Bind: The Sacrifice of Isaac as a Paradigm in Modern Hebrew
Poetry, Profane Scriptures, Cincinnati, Hebrew Union Press, 1999, pp. 23-25.
SINOSSI. IL SACRIFICIO D’ISACCO NELLA POETICA EBRAICA MODERNA
391
vò impiego come insegnante. Il suo modo di esprimersi è quasi autobiografico, il
tono è intimo, dolce-amaro ed ironico. Egli risale al suo sfondo giovanile ebraicoortodosso, alle sue vicissitudini di guerra e alle immagini del bambino e dell’amante in uno schietto, semplice vernacolo, che mescola giocosamente e magistralmente
registri religiosi e profani.19
Il vero eroe del Sacrificio 20
Il vero eroe del Sacrificio fu l’ariete
che non sapeva del complotto fra gli altri.
Era come se si fosse offerto di morire al posto d’Isacco.
Io voglio innalzare un canto alla sua memoria,
alla lana ricciuta ed ai suoi occhi umani
alle corna che erano cosı̀ quiete sulla sua testa viva
e dopo che fu macellato ne fecero trombe
da intonare nelle loro guerre
o da suonare nelle loro gioie volgari.
Voglio ricordare l’ultima scena
come una bella fotografia in un raffinato giornale di moda:
Il giovane abbronzato e viziato nei suoi abiti agghindati
e accanto l’angelo in veste lunga di seta bianca
per un ricevimento solenne.
E ambedue con occhi vuoti
guardano a due luoghi vuoti
e dietro di loro, come sfondo variopinto, l’ariete
Si impiglia nel rovo prima del macello.
E il rovo è il suo ultimo amico.
L’angelo è andato a casa
Isacco è andato a casa
e Abramo e Iddio se ne sono andati da tempo.
Ma il vero eroe del Sacrificio
è l’ariete.
Nella poesia Amichai opta per l’ariete come vero eroe del Sacrificio, e lo introduce come tale fin dalla prima strofa. L’affermazione del poeta è in opposizione
alla interpretazione convenzionale della narrativa biblica: Egli disse «Non stendere
la mano contro il ragazzo e non fargli nulla; perciocché ora conosco che tu temi
Iddio, vedendo che tu non mi hai diniegato il tuo figliuolo, il tuo unico»
(Gen. 22:12). I protagonisti principali della scena del Sacrificio sono descritti come «gli altri», coloro che hanno ordito un complotto contro l’ariete, che significa-
19
20
BARGAD and CHYET, Israeli poetry, cit., pp. 79-81.
Y. AMICHAI, Sheat Chesed (Ora di Grazia), Tel Aviv, Schocken, 1983, p. 21 (in ebraico)
392
TOVA FORTI
tivamente ha un’espressione umana, mentre agli altri protagonisti del Sacrificio,
Isacco e l’Angelo, si attribuiscono occhi vuoti che fissano luoghi vuoti.
L’ariete è sfruttato due volte: dapprima viene offerto in sacrificio, e poi, quando è stato macellato, le sue corna sono trasformate in trombe da suonare durante
le guerre o in «volgari» celebrazioni. La scena biblica viene presentata come «una
bella fotografia in un raffinato giornale di moda» animata da figure in abiti alla
moda. Infine, l’ariete impigliato nel rovo («il suo ultimo amico») appare sullo sfondo «variopinto», quasi come un ripensamento. La convenzione letteraria della
«uscita dei protagonisti» della narrativa biblica è usata dal poeta con ironia mordente, in modo da creare un senso di desolazione: tutti vanno a casa. L’Angelo,
Isacco, Abramo e Dio se ne sono già andati da tempo, lasciando in scena il povero
ariete come unico eroe (il tono teatrale della poesia è un mezzo ulteriore per piazzare il lettore ad un’ironica distanza dagli eventi descritti). Amichai ci presenta un
nuovo tipo di eroe: il vero eroe non è più il martire santificato, bensı̀ il personaggio
scettico, riluttante, che potrebbe trovarsi coinvolto in una situazione tragica, senza
neppur comprendere perché o come.
In un’altra poesia sullo stesso argomento Amichai crea una sua propria prospettiva riguardo all’identità della reale vittima del Sacrificio mediante una ricerca
etimologica sul significato dei nomi dei due figli di Abramo: Yitzhak (Isacco: cioè
‘‘colui che riderà’’) e Ishmael (Ismaele: cioè ‘‘Dio ascolterà’’), come già suggerito
nel testo biblico.21 Tuttavia, il poeta si discosta sorprendentamente dalla tradizione biblica presentandoci un terzo, inconsueto figlio di Abramo, che porta il nome
di Yivkeh (cioè: ‘‘colui che piangerà’’). Questo terzo figlio è il figlio più giovane e
amato, che viene offerto dal padre in sacrificio sul Monte Moriah.
Abramo aveva tre figli 22
Tre figli aveva Abramo, e non solo due.
Tre figli aveva Abramo,Yishmael, Yitzhak e Yivkeh.
Nessuno aveva sentito di Yivkeh, perché lui era il più piccolo
e il più amato, che fu offerto in sacrificio sul monte Moriah.
Yishmael lo salvò sua madre Hagar, Yitzhak lo salvò l’angelo,
e Yivkeh non lo salvò nessuno. Da piccolo
suo padre lo chiamò con amore Yivkeh, piangerà il mio piccolo
graziozo tesoro. Ma lo sacrificò sull’altare.
E nella Bibbia è scritto ariete, ma quello era Yivkeh.
Yishmael non sentı̀ più parlare di Dio per tutta la vita.
Yitzhak più non rise per tutta la vita.
e Sara rise una volta sola e non più.
Tre figli aveva Abramo,
21 Per l’interpretazione etimologica di Yitzchak, vedi Gen. 18:12; 21:6, e per quella di Ishmael, vedi Gen. 16:11; 21:17.
22 Y. AMICHAI , Patuah Sagur Patuah (Aperto Chiuso Aperto), Tel Aviv, Schocken, 1998 (in
ebraico).
SINOSSI. IL SACRIFICIO D’ISACCO NELLA POETICA EBRAICA MODERNA
393
Yishmá, Yitzhák, Yivkéh,
Yishmael, Yitzhakel e Yivkeh-el.
Amichai contraddice arditamente la versione biblica, dichiarando: «La Bibbia
dice ariete, ma quello era Yivkeh (colui che piangerà). Lo stato emotivo del piangere diventa una condizione dominante, come se «Sacrificio» dominasse la realtà e
divenisse un fattore permanente nella vita. Isacco (colui che ride) non ride più, e
Ishmael (Dio ascolterà) ha perso Dio. La poesia si conclude con tre nomi teoforici
in sequenza formulati come ottativi: Yitzhak-el (che Dio rida), Yishma-el (che Dio
ascolti) e Yivkeh-el (che Dio pianga). Questo gioco ironico di nomi svela un sentimento di frustrazione e di delusione per il divario doloroso fra il retaggio storico
di eroismo e di abnegazione e il desiderio fin troppo umano di un Dio «più compassionevole», capace perfino di condividere i nostri momenti di dolore e di gioia.
Infine presentiamo una poesia di Amir Gilboa, che da giovane, lasciata la sua
famiglia nella provincia ucraina di Volinia, immigrò nel 1937 in Palestina, allora
mandato britannico e, come Guri e Amichai, combatté nella Guerra d’Indipendenza d’Israele. La famiglia di Gilboa perı̀ nell’Olocausto, e il senso di colpa
per aver abbandonato la famiglia è motivo ricorrente nella poetica dell’autore.23
Isacco 24
All’alba il sole passeggiava nel bosco
con me e col babbo
la mia destra nella sua sinistra.
Come baleno guizzò una lama fra gli alberi.
E io temo tanto il terrore dei mie occhi di fronte al sangue sulle foglie.
Babbo babbo presto e salva Isacco
e che nessuno manchi al pranzo di mezzogiorno.
Sono io che vengo macellato, figlio mio,
E il mio sangue è già sulle foglie.
E la voce del babbo si smorzò
E il suo viso era pallido.
E volevo gridare, dibattendomi per non credere
e sbarravo gli occhi.
E mi svegliai.
E netta di sangue era la destra
Nell’immediato, questa poesia rivela la potenza repressa e il terrore rimosso di
un sogno o di un incubo. Dapprima padre e figlio camminano tenendosi per ma-
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BARGAD and CHAYET, Israeli poetry, cit., pp. 13-15.
A. GILBOA, Kechulim vaAdumim (Blu e Rossi), Tel Aviv, Am Oved, 1966 (in ebraico).
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TOVA FORTI
no, e poi sono sorpresi dal lampo di un coltello, descritto come un baleno, che
guizza fra gli alberi del bosco. Il bambino terrorizzato vede foglie coperte di sangue ed esprime il suo timore per il destino d’Isacco. L’improvvisa menzione dell’arcaico protagonista della narrativa del Sacrificio fonde la vita interiore del poeta
con quella del paradigma fossilizzato della Aqedah. Il ruolo normativo del padre
protettore viene passato al bambino, che grida: «Babbo babbo presto salva Isacco
e che nessuno manchi al pranzo di mezzogiorno».25 Il drammatico scambio di parti viene ancor piú accentuato, poiché il padre del bambino si identifica nel poema
con l’eroe macellato del Sacrificio, cioè il sacrificato al posto del sacrificatore: «Sono io che vengo macellato, figlio mio, e il mio sangue è già sulle foglie». La confessione del padre non destabilizza soltanto il mondo innocente del bambino, ma
anche la funzione normativa della narrativa canonica, e quindi richiede una spiegazione. La soluzione è data dal retroscena storico e biografico della poesia. Di
fatto, il testo presenta una risposta poetica al trauma tragico dell’Olocausto.
Gilboa usa il paradigma dell’Aqedah nella sua descrizione di un incubo infantile, mescolando cosı̀ fantasia, realtà e convenzioni letterarie moderne (come le lezioni del surrealismo). Mediante l’uso della mano destra del bambino («La mia destra nella sua sinistra») richiama la scena biblica «e se ne andarono ambedue
insieme» (Gen. 22:6). La mano funge da metonimo per la ricerca di protezione
da parte del bambino, quella protezione che infine non viene trovata, sia nella storia biblica, sia nella poesia stessa: «E netta di sangue era la destra». L’espressione
idiomatica ebraica ozlat yad che indica inettitudine, incapacità di reagire è riformulata da Gilboa in una nuova combinazione idiomatica ozlat dam, «netta di sangue».26 Quest’ultimo termine esprime non solo il senso di abbandono del bambino-poeta-figlio al risveglio dal suo sogno, ma anche il senso di perdita e di colpa
del poeta verso la propria famiglia perita nel sangue e verso gli eventi traumatici in
Europa. Nell’ultimo verso Gilboa, parlando della mano, non impiega il pronome
«mia», e se la mano non è necessariamente quella di Isacco, potrebbe essere quella
del padre. Nel contesto biblico, l’espressione idiomatica «mano destra» indica la
potenza di Dio come protettore (cfr. Salmi 73:23; 121:5), come pure la mano del
padre imposta delicatamente sul capo del figlio benedetto (cfr. Gen 48:18), ma qui
la destra rimane, con pungente ironia, «netta di sangue».27
In conclusione, la trama della Aqedah (Sacrificio d’Isacco) cambia prospettiva
a ogni generazione di poeti, dal periodo antecedente la fondazione delle Stato ai
25 BLUM, A Double Bind, cit. (pp. 53-55), fa notare il legame occulto fra il coltello (ma’
akhélet) e il pranzo (sc‘udah) mediante la radice ’KhL che non è menzionata esplicitamente, e
quindi «paronomasia here is based on the image, rather than on links between the roots» («la
paronomasia qui è basata sull’immagine piuttosto che sul nesso fra le radici»).
26 La ricombinazione dell’ebraico, quasi un gioco di parole, potrebbe avere un suo parallelo
in italiano in qualche cosa come «in-netta» da inettitudine e «netta» (netta di sangue, non insanguinata).
27 Per una lettura inter-testuale della poesia, vedasi BLUM , A Double Bind, cit., pp. 52-55.
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SINOSSI. IL SACRIFICIO D’ISACCO NELLA POETICA EBRAICA MODERNA
poeti della Guerra d’Indipendenza (Guri, Amichai, Gilboa), l’opera dei quali si
estende agli anni Ottanta e Novanta. Tale narrativa sarebbe caratterizzata inizialmente da una identificazione inequivocabile con l’etica morale biblica (Lamdan,
Shemer. Greenberg), secondo la quale il sacrificio d’Isacco si ritraduce negli imperativi morali di una società in gran parte laica, una società che tuttavia risponde
in maniera unificata alle pressioni del suo tempo. È questo che abbiamo definito
come voce interiore della coscienza collettiva. Tuttavia, si tratta soltanto del primo
atto. Il secondo atto, come abbiamo mostrato, sovverte la narrativa del Sacrificio e
introduce nella trama elementi comici, e persino assurdi (un angelo in veste di seta
bianca, un piagnucolone vittima sacrificale, un padre che viene ucciso invece del
figlio). Perche? Abbiamo provato a suggerire che con l’evolversi della società israeliana, anche i suoi scrittori e poeti sono divenuti più critici, antidogmatici e ironici
verso i loro stessi testi canonici e i miti fondamentali delle origini.28 Anche la lingua – l’ebraico – cambia in continuazione, diventando multiforme e multi-vocale,
fino a trovare soprattutto nella poetica di Amichai, una irriverenza giocosa, una
reinterpretazione commentativa della Aqedah che sconfina nel trasgressivo, segno
certo che ci si trova – infine – veramente a casa nella propria lingua. Il terzo atto è
alle porte: si pensi a poeti della generazione successiva ad Amichai, poeti nati nel
paese come Avidan, Ravikovitch, Wieseltier, Wollach, Shabtai.
TOVA FORTI
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SAGÍ, The meaning of the Akedah, cit., p. 46.