ISSN-0393-2397
ATTI E MEMORIE
DELLA
ACCADEMIA PETRARCA
DI LETTERE ARTI E SCIENZE – APS
NUOVA SERIE – VOL. LXXXIII
ANNO 2021
AREZZO
MMXXII
ISIDE AD AREZZO? UNA STATUA, UN CULTO, UN LUOGO
E MOLTI PROBLEMI APERTI
Gabriella Capecchi – Sara Faralli
Premessa*
Fino a non molti anni fa, della statua femminile frammentaria n. inv. 24670
al Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate” di Arezzo (Fig. 1),
esposta su di un plinto ed addossata sino ai primi anni Duemila ad una parete
della sala prospiciente le scale (Fig. 2), sembrava non essere noto nella letteratura
archeologica alcun dato di provenienza1. Elementi relativi al luogo di rinvenimento erano per la verità stati editi, ma a causa forse della giustapposizione di
notizie e fonti diverse questi non risultavano per così dire ‘evidenti’; a questo si
aggiunga che la statua è stata contraddistinta nel tempo, come è stato possibile
accertare2, da due numeri di inventario, aspetto che può aver contribuito a generare ulteriore incertezza.
1* Nato da un interesse condiviso, questo lavoro è stato in molti modi incoraggiato da Maria Gatto,
direttrice del Museo aretino, e da Giulio Firpo, presidente dell’Accademia Petrarca. Ci hanno aiutato
al MAN di Firenze il direttore Mario Iozzo, Barbara Arbeid e Claudia Noferi; per le raccolte di Siena
Giuseppina Carlotta Cianferoni; al MAN di Napoli il direttore Paolo Giulierini e Laura Forte; all’Archivio Storico del Comune di Arezzo Lorenzo Arcaleni; siamo grate anche a Laura Buccino (Università
di Firenze). Data la varietà di fonti utilizzate e la bibliografia sterminata, anche se spesso ripetitiva,
sull’immagine di Iside e i suoi culti, si è adottato un sistema di abbreviazioni bibliografiche, sciolte in
calce al lavoro. A Sara Faralli si devono la Premessa e le parti I e III; a Gabriella Capecchi la II.
1
Bocci Pacini - Nocentini Sbolci 1983, n. 15, pp. 17-18. Attualmente la statua è in una sala al primo
piano del Museo.
2
Il primo numero assegnato sembra essere il n. 89854, coerente con la sequenza inventariale degli
anni Quaranta del Novecento epoca dell’acquisizione da parte dello Stato; il n. 24670 sembra invece
risalire agli anni Settanta/Ottanta (si ringrazia Barbara Arbeid per tali verifiche e informazioni). È possibile, ad esempio, che la realizzazione della base in cemento con sostegno a staffa avesse obliterato il
numero di inventario originario.
G. CAPECCHI – S. FARALLI
110
La Carta Archeologica di Arezzo (1951) registrava la generica notizia di un
«tronco di statua togata in marmo» dalla zona di via Crispi - via Guadagnoli3. Un
riferimento più preciso, che recepiva tale nota mettendola correttamente in relazione al rinvenimento di una statua in prossimità dell’Anfiteatro romano in vocabolo
‘Bagno’, figurava nell’Atlante dei Siti Archeologici della Toscana edito nel 1992:
la statua «femminile acefala e priva degli arti» veniva identificata con il n. inv.
898544. Infine, in un contributo di Armando Cherici del 1993, nell’ambito della
trascrizione di alcuni documenti presso l’Archivio Centrale di Stato a Roma, veniva edito il giornale degli scavi eseguiti in un podere di proprietà Bacciarelli nel
quale era stata precedentemente rinvenuta «una statua di marmo di epoca romana e
completamente mancante della testa, braccia e gambe», senza tuttavia che l’Autore
la collegasse a quella menzionata dalla Carta Archeologica o dall’Atlante5.
Solo grazie all’accurata verifica del dato di provenienza, dovuta a Silvia Vilucchi6,
Giandomenico De Tommaso, nel suo saggio del 2009 sull’arte romana ad Arretium7,
ha potuto infine dichiarare l’identità della statua femminile n. inv. 24670 (= 89854)
del Museo archeologico cittadino con quella rinvenuta in proprietà Bacciarelli nel
1911 nei pressi dell’Anfiteatro romano, e gettato così le basi per fornire – ad ormai
più di cento anni dal rinvenimento – una complessiva ricostruzione delle circostanze
del recupero8; per rinnovare lo studio su identità e qualità della statua; e per tentare
una prima raccolta di dati sul luogo noto come ‘Il Bagno’.
(S.F.)
I. Il rinvenimento e le vicende della statua
1. La scoperta: prime notizie, relazioni e polemiche
Il 14 settembre 1911 veniva presentata alla Prefettura di Arezzo la denuncia di rinvenimento di un torso di statua di marmo, avvenuto poco distante dall’area dell’An-
Rittatore - Carpanelli 1951, p. 23, n. 41. La descrizione della statua come «togata» risulta fuorviante.
Masseria 1992, p. 265, n. 45.3.
5
Cherici 1993, pp. 44-45, appendice documentaria (doc. D/1), Fig. 22.
6
È questa studiosa, Funzionario Archeologo per molti anni alla Direzione del Museo Archeologico Nazionale di Arezzo, che ha potuto accertare come la scultura sia la statua rinvenuta nel 1911 in
località ‘Il Bagno’ e successivamente acquisita dallo Stato nel 1941. La documentazione dell’Archivio Storico della ex Soprintendenza Archeologia della Toscana che le ha permesso il sicuro collegamento, già menzionata in Masseria 1992, p. 23, n. 41, sarà in questa sede più estesamente illustrata.
7
De Tommaso 2009, p. 221 (senza menzione del giornale di scavo edito in Cherici 1993).
8
La ricerca documentaria si è svolta tra Archivio dell’ex Soprintendenza Archeologia della Toscana (d’ora in poi ArchSAT, vd. Arbeid - Bueno - Tarantini 2020, p. 77, nota 10), Archivio Storico del
Comune di Arezzo (ASCA), Archivio Centrale dello Stato di Roma (ACS) e Biblioteca Comunale di
Arezzo, sezione Periodici.
3
4
ISIDE AD AREZZO?
111
fiteatro, mentre il sig. Agostino Bacciarelli «stava eseguendo uno scavo nel proprio
fondo posto negli orti di San Bernardo9 ad una profondità di circa metri 2»10.
Ad informare tempestivamente l’ispettore Antonio Minto della Regia Soprintendenza di Firenze, richiedendo un sopralluogo urgente, è il giovane aretino
Alessandro Del Vita: «Ieri a mezzogiorno un contadino scavando un pozzo nei
pressi dell’anfiteatro trovò un torso di statua muliebre di marmo, essa manca
della testa che aveva mobile, e delle braccia, troncate e della parte inferiore delle
gambe»11. Pochi giorni dopo Del Vita rinnova la richiesta di un’ispezione sul
posto12, anche in considerazione del fatto che «si stanno già scavando le fondamenta di una casa nei pressi del pozzo» e preannuncia l’uscita della notizia nei
quotidiani locali. Difatti, sarà egli stesso a pubblicare su La Nazione un articolo
dal titolo «La scoperta di un’antica statua ad Arezzo», in aperta polemica con
l’Amministrazione Comunale:
Nella Nazione del 6 febbraio di quest’anno pubblicai un articolo sull’anfiteatro
romano di Arezzo. In esso dopo aver brevemente accennato all’importanza di
questo monumento citando fatti più o meno eloquenti facevo rilevare con quanto
poco criterio venissero distribuite in quei terreni le aree fabbricative e come avanti di costruirvi sopra non venissero prese neanche le più elementari precauzioni
imposte da gravi ragioni archeologiche.
Infatti sui terreni vicini all’anfiteatro, certamente ricchissimi di materiale archeologico, si è fabbricato e si fabbrica senza prima aver saggiato neppur sommariamente il terrapieno. Impressionato dal continuo sorgere di fabbricati in quella
zona mi recai nei giorni passati ad esplorarla, rivolgendo specialmente la mia
attenzione sulle rive e sul fondo del Castro – torrente di recente formazione – per
poter rimettere una estesa relazione alla Soprintendenza degli Scavi, la quale del
resto, benché mal coadiuvata da chi ne aveva in Arezzo il dovere, ha sempre fatto
di tutto perché l’anfiteatro fosse salvaguardato.
9
Per tale denominazione vd. infra.
ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10. Parte della documentazione di archivio relativa al rinvenimento non si trova nel fascicolo originario del 1911 (ArchSAT-1911, pos. F/17 = busta 110, fascicolo
1 secondo la recente numerazione del materiale digitalizzato, si veda Arbeid - Bueno - Tarantini 2020,
pp. 77-78), ma in uno successivo in cui sono contenuti documenti inerenti alle vicende di acquisizione
della statua da parte dello Stato (ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10 = busta 194, fascicolo 3). L’inaspettato recupero sarebbe avvenuto quello stesso giovedì 14: il tronco di statua era stato trasportato
nella vicina abitazione dello scopritore.
11
ArchSAT-1911, pos. F/17. Nella missiva Del Vita accenna ad una relazione più dettagliata che
avrebbe inviato di lì a breve alla Soprintendenza, ma di cui non c’è traccia nella documentazione conservata agli atti.
12
ArchSAT-1911, pos. F/17: cartolina della domenica 17; Del Vita scriverà a Firenze anche un’altra cartolina il 19 settembre.
10
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Ma un rinvenimento improvviso è venuto a convalidare i pareri da me più volte
espressi. Infatti un contadino scavando ieri un pozzo nei pressi dell’anfiteatro ha
trovato un tronco di statua marmorea alla profondità di m. 1.50.
Ad essa mancano la testa, le braccia e la parte inferiore delle gambe, pezzi che per
ora non sono stati rinvenuti. La statua rappresenta probabilmente una imperatrice
avvolta nel peplo in cui panneggiamento di classica fattura ci rivela chiaramente
che quell’opera; molto importante, è dell’epoca romana. Queste note vergate in
fretta sul luogo del rinvenimento mi impediscono di poter parlare su di lei come
vorrei. Tornerò quindi al più presto sull’argomento, lieto che questa scoperta abbia una volta di più confermando le mie opinioni, esponendo le quali sollecitavo
sempre gli Enti aretini a compiere scavi regolari sulla zona di terreno posta tra
l’anfiteatro e la parte alta della città13.
Negli stessi giorni giungono alla Regia Soprintendenza di Firenze la formale denuncia di rinvenimento trasmessa dalla Prefettura14 ed una comunicazione
dell’ing. Umberto Tavanti, a capo dell’Ufficio tecnico del Comune15. In occasione del sopralluogo da parte dell’ispettore Minto, effettuato in data 22 settembre,
vengono redatte due distinte relazioni, una a firma dello stesso ispettore, l’altra
dell’ispettore onorario Ubaldo Pasqui16. Minto scrive17: «Detta scoperta avvenne
in una località detta ‘il Bagno’ a circa 150 metri dalle rovine dell’anfiteatro mentre si procedeva allo scavo di un pozzo. Si tratta di un tronco di statua di marmo
lunense muliebre, panneggiata, alta m. 1.10. Le pieghe della tunica sono rese con
una certa accuratezza e così pure quelle del manto. Il capo mancante era lavorato
a parte e si conserva concava nella posizione del collo, la cavità per l’attacco;
anche le braccia e la parte inferiore delle gambe sono andate perdute […]. Il fatto
importante sta invece nelle particolarità del trovamento stesso, poste in evidenza
dall’Ispettore Onorario sig. Pasqui, poiché il frammento fu ritrovato sopra un
pavimento romano a lastre di marmo».
L’Ispettore propone di condurre alcuni saggi esplorativi a spese della Soprintendenza18. Acclusa a tale relazione si trova una interessante fotografia che mo-
13
La Nazione di Arezzo del 19 settembre 1911. L’articolo, a firma di Alessandro Del Vita, non è
conservato nella documentazione di archivio ed è stato rintracciato nel corso dello spoglio dei periodici
locali dell’epoca.
14
ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10: lettera di trasmissione della Prefettura datata 18 settembre, con acclusa copia della denuncia di rinvenimento.
15
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16
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17
ArchSAT-1911, pos. F/17.
18
Proposta caldeggiata anche dall’Ingegnere comunale Tavanti. Minto comunica di aver nel frattempo fatto sospendere al proprietario, signor Bacciarelli, l’escavazione del pozzo.
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stra la statua ricoverata in un fondo o cantina (Fig. 3); sul retro è riportata la
seguente annotazione firmata da Minto: «Arezzo. Torso marmoreo panneggiato
muliebre alt. m. 1.10. scoperto in un fondo del Sig. Bacciarelli (settembre 1911)
nei pressi delle rovine dell’anfiteatro»19. La relazione del Pasqui, pur ricalcando
a grandi linee quanto riportato da Minto, aggiunge alcuni dettagli: «A circa due
metri di profondità si rinvenne un muro che cingeva da un lato una stanza quadrilatera pavimentata con lastre di marmo, con rivestimento pure di marmo a quanto
sembra. Presso questo muro e ove il piantito era stato in antico distrutto, giaceva
un tronco di statua marmorea muliebre alto 1.10».
Dalla nota con cui Minto inoltra entrambe le relazioni a Luigi Adriano Milani,
all’epoca Soprintendente dei Musei e degli Scavi d’Etruria e alla Direzione del
Regio Museo Archeologico di Firenze20, sembra tuttavia trapelare un certo imbarazzo21: di fatto, nessuna comunicazione era pervenuta fino ad allora dal Pasqui
e la relazione redatta il giorno del sopralluogo registrava quanto riportato dallo
scopritore, quando ormai le evidenze archeologiche emerse erano andate distrutte o comunque non erano più visibili.
Tra Alessandro Del Vita (1885-1961), all’epoca ventiseienne, e Ubaldo Pasqui (1859-1939), dal 1890 Regio Ispettore ai Monumenti e Scavi della Provincia
di Arezzo, non correvano buoni rapporti: agli inizi del 1911 Pasqui era tornato a
risiedere ad Arezzo22 e dalle pagine del quotidiano La Nazione, nel febbraio dello
stesso anno, proprio Del Vita aveva mosso critiche a lui e al Comune in merito
alla cura e alla conservazione dei ruderi dell’Anfiteatro e dell’area circostante,
in quegli anni oggetto delle prime importanti trasformazioni urbanistiche23; il
rinvenimento della statua in quest’area offriva nuovamente occasione a Del Vita
per tornare sulle sue posizioni e sferrare un nuovo attacco. Dalla documentazione
d’archivio emerge del resto come, a differenza di Pasqui, Del Vita avesse avuto
modo di recarsi di persona sul luogo della scoperta, ma non era stato l’unico. Un
Fotografia in bianco e nero fissata con una graffetta metallica alla relazione.
Dizionario Biografico dei Soprintendenti Archeologi 2012, s.v. “Luigi Adriano Milani” (S. Sarti).
21
ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10. Nessun accenno viene fatto a Milani circa la comunicazione di Del Vita.
22
Nel 1901 Ubaldo Pasqui si era trasferito a Roma, dove risiedeva anche il fratello Angiolo Pasqui,
ma ricopriva ad Arezzo molti incarichi; nel 1911 egli torna a risiedere in città e nell’estate di questo
stesso anno completa il riordinamento della Pinacoteca Comunale (Berti 2004, p. 38 ss.). Nel 1913 Pasqui si dimetterà dall’incarico di Regio Ispettore dei Monumenti degli Scavi della Provincia di Arezzo
per motivi di salute.
23
La Nazione, 6 febbraio 1911, rubrica «Note d’arte», articolo a firma di Del Vita dal titolo «L’anfiteatro di Arezzo». In una lettera del 9 febbraio al Soprintendente Milani (ugualmente contenuta nel
fascicolo ArchSAT-1911, pos. F/17). Ubaldo Pasqui (che fa cenno al fatto di essere tornato definitivamente ad Arezzo per alcuni incarichi da parte dell’Amministrazione Comunale e per meglio attendere
all’incarico di Regio Ispettore) replica con toni accessi alle accuse rivoltegli nell’articolo de La Nazione.
19
20
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G. CAPECCHI – S. FARALLI
altro aretino, Ettore Mammini Duranti, dalle colonne del giornale La Provincia
di Arezzo del 23 settembre24 aveva narrato altri dettagli sul recupero della statua
alludendo espressamente di essere stato sul posto:
Quel marmo fu rinvenuto, è vero, ad un metro e ottanta di profondità, sopra un
piano di calcestruzzo, ma non si è ancora detto che quel calcestruzzo fosse il
piano inferiore di un edificio, tanto è vero che rotto quel calcestruzzo (cosa mal
fatta perché ha delle mattonelle in marmo sovrapposte) sotto ad esso esistono
altre rovine che si affondano e che provano delle due cose l’una: o che l’edificio
a cui appartenne la statua sorse sulle rovine di un edificio più vetusto o la statua
collocata in alto di quell’edificio, è precipitata sulle rovine dei piani inferiori25.
L’interesse per tale rinvenimento da parte del Mammini Duranti, ‘scavino’
e commerciante di antichità aretino, appare significativo e per nulla casuale26,
offrendoci uno spaccato reale di come negli anni successivi all’entrata in vigore
della Legge n. 185 del 12 giugno 1902 e poi della Legge n. 364 del 20 giugno
1909 gli Istituti e gli Uffici preposti alla vigilanza avessero spesso difficoltà ad
avere informazioni di prima mano in caso di scoperte fortuite ed a garantire una
presenza immediata sul posto27. Mettendo in relazione le informazioni ricavabili
dalle relazioni di Pasqui e Minto con quelle pubblicate nella stampa locale da Del
Vita e Mammini sembra dunque che la statua fosse stata rinvenuta su di un piano
24
La Provincia di Arezzo n. 38, articolo dal titolo «Un torso di statua». Copia di questo articolo è
presente nella documentazione di archivio (ArchSAT-1911, pos. F/17).
25
Emerge chiaramente come Mammini e il giovane Del Vita fossero sulle medesime posizioni di
polemica nei confronti del Comune di Arezzo: «[…] il fortuito recupero di quel torso di statua pagana,
conferma le mie previsioni, e quelle dell’egregio Del Vita, sull’interesse di questa zona». Mammini
prosegue: «Ho potuto vedere quel torso, ma mentre mi astengo, come ho detto, da ogni giudicio nel suo
valore d’arte, non mi asterrò da una breve esposizione della località dove avvenne il recupero, essendo
questione professionale».
26
Ettore Mammini Duranti era persona nota alla Regia Soprintendenza di Firenze, per decenni
dedito a ricerche e scavi in proprietà private e al commercio di materiali antichi. Tra 1897 e 1898 aveva
condotto scavi e ricerche in una necropoli etrusca di Acquaviva (SI) in terreni dell’aretino Alessandro
Borri ed anche in area umbra (Minetti 1997, p. 14 ss.). Egli era solito far realizzare fotografie dei materiali archeologici rinvenuti e pubblicò nel 1900 su un giornale locale di Montepulciano alcune relazioni
di scavo (Minetti 1997, in particolare p. 17 e nota 34). Seppur in via ipotetica, è possibile che Mammini
fosse stato tra i primi ad essere interpellato al momento del rinvenimento e che fosse stato proprio lui a
fornire al proprietario del terreno informazioni circa la presentazione di una formale denuncia di rinvenimento, così come previsto dalla normativa in vigore, offrendo una qualche forma di intermediazione.
27
A partire dalla Legge 185 del 1902 (“Portante disposizioni circa la tutela e la conservazione dei
monumenti ed oggetti aventi pregio d’arte o di antichità”) per effettuare scavi «per ricerca di antichità»,
anche in terreni privati, era necessaria una concessione del Ministero della Pubblica Istruzione (per il
tramite delle Regie Soprintendenze) e al Governo spettava la quarta parte degli oggetti scoperti o il
valore equivalente.
ISIDE AD AREZZO?
115
pavimentale in cementizio, forse con inserti marmorei, pertinente ad un ambiente
di dimensioni non ricostruibili28.
2. L’intervento della Soprintendenza
Successivamente al sopralluogo, la Soprintendenza notifica allo scopritore
l’intenzione di effettuare alcuni saggi di scavo nel luogo del ritrovamento; tuttavia di lì a pochi giorni la Prefettura di Arezzo informa la stessa Soprintendenza
che il signor Bacciarelli aveva presentato «protesta scritta contro la proibizione
fattagli di proseguire i lavori di sterro da lui iniziati […]»29. I rapporti con il
proprietario del terreno vanno facendosi nell’arco di pochi giorni sempre più
tesi: un successivo telegramma del Prefetto di Arezzo comunica la contrarietà di
Agostino Bacciarelli all’espropriazione temporanea del terreno per la conduzione di sondaggi, ma al tempo stesso la sua disponibilità a riprendere i lavori sotto
la sorveglianza di un inviato della Soprintendenza30. Minto risponde che i lavori
possono riprendere immediatamente «trovandosi già in città il custode»31; difatti,
nella notte del 5 ottobre il signor Gaetano Pacelli era partito da Firenze giungendo ad Arezzo nelle prime ore del giorno successivo. Il tempestivo arrivo del
sorvegliante coglie di sorpresa lo stesso proprietario, che dopo un’iniziale resistenza, acconsente alla ripresa dei lavori a partire dal 7 ottobre32. Pacelli constata
come «il pozzo era già cominciato e dove fu rinvenuta la statua è pieno d’acqua».
In una successiva missiva Pacelli riporta come «i lavori del pozzo proseguono
regolarmente ma senza la più minima traccia del ritrovamento d’oggetti antichi»33, ed ancora in un’altra lettera scrive «ieri fu completata l’esplorazione del
pozzo e oggi e domani assisterò a degli scavi che il medesimo proprietario fa per
i fondamenti della casa che costruirà vicino dove è nato il pozzo»34.
La sorveglianza si conclude il 14 ottobre ed il giornale di scavo redatto dal
28
Nessun lacerto di questa pavimentazione, è purtroppo stato conservato.
ArchSAT-1911, pos. F/17: lettera del 30 settembre.
30
ArchSAT-1911, pos. F/17: telegramma del 4 ottobre.
31
ArchSAT-1911, pos. F/17: minuta del 5 ottobre. La lettera fu verosimilmente inviata in data 6
ottobre, mentre si disponeva nella notte la partenza per Arezzo del sorvegliante.
32
ArchSAT-1911, pos. F/17. Lettera di Gaetano Pacelli datata 6 ottobre: «Come da ordine di questa onorevole Soprintendenza partii da Firenze e nella notte tra il 5 e il 6 corrente giunsi in Arezzo. In
questa mattina alle ore 6 e mezza mi son recato dal proprietario del podere Agostino Bacciarelli, dove
fu rinvenuto il frammento di statua romana e dopo essermi fatto conoscere, gli ho detto che se voleva,
poteva continuare la costruzione del pozzo, facendo però lavorare alla mia presenza». I lavori iniziano
però il giorno 9 ottobre, causa maltempo.
33
ArchSAT-1911, pos. F/17: lettera di Pacelli dell’11 ottobre.
34
ArchSAT-1911, pos. F/17: lettera di Pacelli del 13 ottobre.
29
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Pacelli (Fig. 4), una volta controfirmato dal proprietario35, viene inviato alla Direzione Generale alle Antichità a Roma36. Nel corso di questi pochi giorni viene
allargato innanzitutto il diametro del pozzo dai 2,5 metri iniziali a circa 5 metri37:
il lavoro procede in modo difficoltoso e lento, poiché a causa della risalita della
falda dopo le piogge dei giorni precedenti occorre ogni mattina svuotare il pozzo
dall’acqua; nella terra «sono rinvenuti una gran quantità di piccoli pezzi di piastre di marmo di diverso colore e il loro spessore variava da cm 1 a cm 3», oltre
a frammenti di laterizi. Nell’allargamento del pozzo si continuano a trovare, fino
ad una profondità 1 metro e mezzo, «i soliti frammenti di marmo e mattoni»,
mentre a circa 1,60 viene intercettato un tratto di muratura in cementizio («muro
forse di epoca romana costituito con mattoni sassi e calce tutto rotto e marcio»)
con andamento sud-est/nord-ovest («va in senso da Est a Ovest e più precisamente parallelo alle antiche mura della città»), lungo circa metri 1,80 e di 90 cm di
spessore «intonacato di smalto di uno spessore di cm 7». La muratura prosegue al
di là di un’apertura («specie di soglia la quale pare unire il primo muro a un altro
che si presenta fino a ovest costruito uguale al primo») e sembra fosse conservata
per un’altezza di circa 40 centimetri, dal momento che alla profondità di 2 metri
il sorvegliante intercetta il piano pavimentale in cementizio ed elementi marmorei38. Pacelli interrompe dunque lo scavo dell’allargamento alla quota di questa
pavimentazione lasciandola in situ («ho lasciato intatto il pavimento scoperto»)
e prosegue l’esplorazione nello scasso precedentemente condotto dal Bacciarelli,
dove il piano pavimentale era stato asportato; nessun altro frammento marmoreo
riferibile alla statua viene trovato. Nei giorni successivi vengono realizzate tre
trincee, a circa 7 metri di distanza dal pozzo e di circa 1,50/2 metri di profondità,
nell’area interessata dalle fondazioni per la costruzione di una casa; dallo scavo
tuttavia non emerge niente altro.
In appendice al giornale di scavo è tracciato uno schizzo a penna (Fig. 5) che
mostra una schematica sezione del pozzo e delle evidenze intercettate ed il posizionamento degli scassi per le fondamenta della casa rispetto alla «strada dentro
le mura della città», corrispondente all’attuale via Guadagnoli. La resa grafica
della porzione di pavimento così come la descrizione che ne fa Pacelli nella re-
35
ArchSAT-1911, pos. F/17: lettera del 17 ottobre di Galli al Bacciarelli con cui viene trasmessa
copia del giornale di scavo affinché sia controfirmato dal proprietario.
36
AcS, AA.BB.AA. – Div. I-Scavi-B. 2 Fasc. 55. «Giornale degli scavi che si eseguono in Arezzo
nel podere di Agostino Bacciarelli dal 10 al 14 detto», composto da 5 carte (si tratta del documento
trascritto in Cherici 1993 cit.; del medesimo Giornale degli scavi autografo del Pacelli è conservata una
seconda copia (il testo è il medesimo) sempre nel fascicolo ArchSAT-1911-Pos. F, Arezzo 17.
37
Per la trascrizione integrale si rimanda a Cherici 1993.
38
«[…] costruito di smalto (calce e struzzo), ha lo spessore di cm 8 ed è ricoperto qua e là di mattonelle (lastre di marmo) tutte rotte, di vario colore e dello spessore di cm 2 ½».
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lazione dei lavori sembrerebbero far pensare ad un cementizio a base fittile con
inserti lapidei policromi e questo potrebbe spiegare la difficoltà nel definire questo tipo di pavimentazione da parte anche di Mammini che ne vide lacerti ancora
in situ, in occasione del recupero della statua.
3. Successive scoperte nell’area e nei suoi pressi
I rinvenimenti in questa zona prossima all’Anfiteatro proseguono nei decenni
successivi, ma ancora una volta parziali sono le notizie a disposizione39. A darne
tuttavia un’utile ed interessante elencazione è l’ispettrice Tina Campanile che a
seguito di alcune scoperte archeologiche avvenute a distanza di poche settimane
tra l’ottobre e il novembre del 1925, durante la realizzazione della fognatura centrale nel tratto di via Petrarca (attuale via Crispi), redige una relazione in seguito
al sopralluogo effettuato includendo anche una sintesi delle attestazioni note in
quell’area. Nell’ottobre 1925 Del Vita, divenuto nel frattempo Regio Ispettore
Onorario ai Monumenti e agli Scavi, aveva difatti segnalato alla Soprintendenza come i lavori condotti dal Comune avessero portato alla luce un lacerto di
mosaico di epoca romana40. Agli inizi di novembre, a circa 15 metri di distanza
da questo mosaico, emergeva ad una profondità di circa 2.10/2.70 metri «una
gradinata in materiale di carattere costruttivo romano»41. La relazione, datata 14
novembre e indirizzata al Soprintendente consiste in un elenco di rinvenimenti,
di cui si mantiene di seguito la stessa numerazione:
1) Porzione di mosaico a tessere nere con inserti marmorei relativo ad un ambiente di una certa estensione, già ricoperto al momento del sopralluogo ma
di cui viene accluso un disegno (Fig. 6,1)42; si tratta del tessellato a fondo nero
intercettato nell’ottobre 192543.
39
ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10.
ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10. Lettera del 21 ottobre di Del Vita e successiva del 23
ottobre dove si descrive il mosaico a semplici tessere nere senza decorazione, comunicando che ne è già
in corso il rilievo. La R. Soprintendenza risponde con lettera del 25 ottobre a Del Vita che trattandosi di
mosaico privo di decorazione i lavori potevano riprendere, ma raccomanda al Comune di effettuare un
rilievo ed il posizionamento in pianta del rinvenimento.
41
ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10: ulteriore lettera di Del Vita del 6 novembre.
42
«1) il pavimento a mosaico aveva a quanto ho sentito dire, perché era stato già coperto, un’estensione considerevole di circa m.10 da est a ovest; non è stato possibile determinare l’estensione in senso
opposto. Si compone di tasselli di pietra nera (cm. 1 di lato) non del tutto regolari tra cui sono intersecati
di tanto in tanto con una certa regolarità tasselli più grandi in marmo bianco (cm 2-3- di lato) (disegno
n. 1)». Questo disegno del lacerto di tessellato nero con punteggiato regolare di dadi in marmo bianco è
menzionato anche in Bueno 2011, p. 49, n. 28, AR 20 (datato al I a.C./prima metà I d.C.).
43
Si tratta verosimilmente del lacerto oggi nei magazzini del Museo archeologico n. inv. 24657, già
individuato in Vilucchi 2005, nota 3 (si ringrazia Maria Gatto per la verifica condotta).
40
118
G. CAPECCHI – S. FARALLI
2) Gradinata apparentemente rivestita in lastre marmoree44; anche di questa struttura fu realizzato un disegno (Fig. 6,2), ugualmente incollato, come il precedente, nella relazione;
3) Due strutture murarie ad angolo retto, a nord della gradinata, dello spessore di
80 cm e 1 metro45.
Queste evidenze antiche vengono poste dalla Campanile in relazione «con
altri trovamenti avvenuti tempo addietro in prossimità ancora maggiore e precisamente nel fondo di Agostino Bacciarelli»:
1) La statua acefala e frammentaria46, oggi al Museo Archeologico di Arezzo,
che all’epoca era ancora detenuta dai Bacciarelli;
2) Una vasca circolare di circa 18 metri di diametro con pavimento musivo47,
struttura verosimilmente da riconoscere in quella descritta in alcuni appunti
manoscritti dell’ing. Tavanti (Fig. 7), in cui a proposito degli «orti Bacciarelli
adiacenti all’anfiteatro romano dalla parte di levante», di seguito all’annotazione nel settembre del 1911 della statua acefala, viene riportata la seguente
notizia «In questa medesima località conosciuta con il nome di Campo al
Bagno fu ritrovato nel 1916 un vascone circolare»48.
3) Viene inoltre menzionato un «pavimento in smalto» non meglio precisato49.
4) Si fa infine riferimento ai mosaici50 rinvenuti nel corso della costruzione di un
edificio scolastico lungo via Petrarca nel 1919. Si tratta della costruzione mai
terminata all’angolo tra le attuali via Crispi e via Margaritone, poi trasformata
in Casa del Balilla e successivamente in edilizia residenziale, nota come il
‘Palazzone’51.
44
«2) Più a destra verso via Antonio Guadagnoli in fondo ad una vasca rettangolare fatta per lavori
agricoli è stato trovato un basamento a gradini (disegno n. 2) che doveva essere rivestito in marmo
perché si sono rinvenuti vari piccoli frammenti di marmo bianco sagomato».
45
«3) A nord del suddetto basamento vi sono tracce di due muri che si incontrano ad angolo retto
di cui una ha lo spessore ci circa 80 cm e l’altro di m. 1».
46
«1) Tronco di statua panneggiata femminile».
47
«2) Vasca avente m. 18 (?) di diametro con pavimento a mosaico tasselli (cm. 2 di lato) di marmo
bianco e nero. Segnava la circonferenza della vasca un muretto alto centimetri 80. La base della vasca
si trovava alla profondità di m. 2,30 dal livello attuale del terreno, alla stessa profondità dei recenti
trovamenti».
48
Quaderno manoscritto di Umberto Tavanti dal titolo «Ricordi storico-artistici sui monumenti
aretini dal 1893», p. 86, di cui l’Archivio di Stato di Arezzo conserva una copia in fotocopie (a questo
proposito anche Saviotti 2020, p. 171). Non è nota la collocazione dell’originale.
49
«3) Pezzo di pavimento a smalto».
50
«4) Mosaici dell’edificio scolastico in via Margaritone».
51
Vilucchi 2005, p. 152. I mosaici individuati nel 1919 all’angolo tra il tratto nord dell’attuale
via Margaritone e l’attuale via Crispi (all’epoca via Petrarca) facevano parte della stessa ampia domus
individuata e scavata a partire dal 2004 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana
nell’immobile noto come ex Scuola Media di via Margaritone (Vilucchi 2005), databile al I sec. d.C.
ISIDE AD AREZZO?
119
I disegni su lucido che documentano il mosaico a tessere nere e inserti marmorei e la gradinata erano verosimilmente stati realizzati dall’Ufficio Tecnico comunale, al quale sembra riconducibile anche un altro lucido, ripiegato e inserito
nel medesimo fascicolo, con la seguente legenda «Rilievo archeologico presso
l’anfiteatro romano. Scala catastale 1: 1250» (Fig. 8)52. Si tratta di una preziosa
planimetria dell’area in oggetto (comprensiva dell’ingresso realizzato negli anni
Venti all’area dell’anfiteatro su via Petrarca – oggi via Crispi – e del percorso del
torrente Castro, all’epoca non ancora tombato), in cui sono posizionati i rinvenimenti musivi del 1925 (ad una profondità di 2,40 metri) e dei resti di gradinata,
della quale è anche tracciata nella parte destra del lucido una sezione di scavo.
Altrettanto prezioso è un altro disegno su velina, che rappresenta una copia o una
bozza del sopracitato rilievo (Fig. 9): nella stessa scala, si presenta meno accurato a livello grafico ma contiene ulteriori notazioni; in aggiunta ai rinvenimenti del
1925, qui tracciati con inchiostro rosso, sono inoltre posizionati con labili tracce
a lapis i rinvenimenti avvenuti tra il 1911 e il 1919 menzionati nella relazione di
Tina Campanile (‘pavimento a smalto’; ‘vasca’; e la nostra ‘statua’), oltre che i
due muri ad angolo retto intercettati a nord della gradinata.
4. Epilogo: la statua entra nel Museo
Tornando alle vicende della statua marmorea, questa si trovava negli anni
Venti del Novecento ancora presso lo scopritore: la questione della liquidazione
del corrispettivo a lui spettante e della definitiva collocazione della statua era rimasta sospesa53. In questi anni l’interesse da parte del Comune per i resti dell’Anfiteatro era mutato: scavi condotti a più riprese54 avevano riportato alla luce le
strutture dell’antico edificio ed era intenzione dell’Amministrazione Comunale
creare intorno ai resti del monumento una Passeggiata Archeologica55.
Dopo l’improvvisa morte dell’ingegnere comunale Tavanti, nel novembre del
52
ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10.
ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10. Nell’ottobre del 1917 Luigi Pernier, successore di Milani alla Direzione della Soprintendenza alle Antichità d’Etruria, aveva ufficialmente comunicato al
Prefetto di Arezzo di notificare al signor Bacciarelli l’intenzione di liquidare la sua parte, comunicando
al tempo stesso il valore attributo alla statua (lire 400). Nell’aprile dello stesso anno dalla Prefettura di
Arezzo avevano risposto che risultava in quel momento sotto le armi.
54
Tavanti 1915; Aretini 1931.
55
L’area a giardini intorno all’Anfiteatro riceverà difatti una nuova sistemazione già a partire dagli
anni Venti sotto la direzione di Umberto Tavanti. Dalla documentazione di archivio emerge come lo
stesso Tavanti intendesse far acquistare la statua dall’Amministrazione così da poterla esporre nell’area
dell’Anfiteatro. ArchSAT Arezzo 9, 10. Minuta del 20 marzo 1924 di Edoardo Galli in cui viene riportata tale progetto. Galli afferma di aver già effettuato un sopralluogo ad Arezzo, vedendo di persona la
statua e parlando con il signor Bacciarelli.
53
120
G. CAPECCHI – S. FARALLI
1932, è il Podestà Pier Ludovico Occhini ad interessarsi dell’acquisizione della
statua, ma senza successo56. A partire dal 193957 la Regia Soprintendenza, riapre
la pratica della «statua frammentaria rinvenuta in località il Bagno» con l’intento
di «definire la pendenza» del riscatto da parte dello Stato della metà privata della
statua, ai sensi della normativa allora vigente. Come documentato da copiosi
carteggi conservati sia presso l’archivio ex SATos58, che presso l’Archivio storico
del Comune di Arezzo59, la questione si protrae ancora per mesi, coinvolgendo
oltre che la Prefettura di Arezzo anche l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di
Firenze e la Direzione Generale delle Antichità di Roma e Belle Arti, mentre
Bacciarelli giunge alle vie legali in quanto la valutazione della statua fatta nel
1911 era ritenuta non più corrispondente in virtù della svalutazione della moneta
nel periodo intercorso.
La controversia si avvia ad una risoluzione nell’estate del 1940, all’indomani
dell’entrata in guerra dell’Italia: il 5 giugno viene sottoscritto da Agostino Bacciarelli e Alberto Severi, in rappresentanza del Comune di Arezzo, un verbale di
consegna della statua, che viene depositata presso il Museo Civico Archeologico
di S. Bernardo inaugurato nel 193660. Sul finire del 1940, espletate le pratiche
di pagamento da parte della Tesoreria di Stato, viene sottoscritto dal Podestà
Varrone Ducci e dal Soprintendente Antonio Minto il verbale di deposito della
statua, all’epoca inclusa nelle collezioni del R. Museo di Firenze, presso il Museo
di Arezzo all’Anfiteatro romano, prossimo al luogo dove quasi vent’anni prima
56
ArchSAT Arezzo 9, 10. Lettera di P.L. Occhini del 29 novembre 1935 in cui il Podestà ringrazia
per aver ricevuto dalla Regia Soprintendenza una fotografia della statua («che mi ha permesso di farmi
un’idea della importanza della statua che fu ritrovata nel 1911 nelle vicinanze del nostro anfiteatro.
Purtroppo il Bacciarelli avanza pretese che non si possono accogliere…»).
57
Tra il 1936 e il 1937 era nel frattempo stato inaugurato nei locali dell’ex Convento di San Bernardo il Civico Museo Archeologico di Arezzo (rimando da ultimo anche a Faralli 2019, p. 87).
58
ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10.
59
ASCA, Carteggio Generale, anni 1939-1940.
60
ArchSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10. Nel verbale di consegna della statua è acclusa - di fatto
- una controproposta economica di Bacciarelli (il quale «intende d’altro canto fare espressa riserva di
ogni suo diritto circa il prezzo che lo Stato intende corrispondere per la detta statua in quanto il valore
ad essa attribuito nell’anno 1911 di lire 400, deve necessariamente essere ragguagliato al valore attuale
della lira, onde anche stando alla stima fatta suo tempo la quota spettante al Bacciarelli ammonta per
lo meno a lire 1000»). Trascorsa anche l’estate del 1940, durante la quale la pratica deve essere nuovamente tornata a Roma, la Soprintendenza comunica al Podestà con lettera del 20 settembre che «Il
Ministero dell’Educazione Nazionale ha autorizzato questa Soprintendenza ad offrire al Sig. Agostino
Bacciarelli, a titolo di liquidazione dei diritti a lui spettanti per il ritrovamento della statua in oggetto, la somma di lire 500 e nel contempo ha fatto presente che se il sig. Bacciarelli non accetterà tale
somma dovrà, a termini dell’art. 49 della legge 1 giugno 1939 n. 1089, procedersi alla nomina della
Commissione peritale, composta di tre membri, le cui spese dovranno essere anticipate dal predetto sig.
Bacciarelli». L’offerta finale da parte dello Stato è dunque di lire 500 (la stima aggiornata della statua
viene così portata a 1000 lire).
ISIDE AD AREZZO?
121
era stata rinvenuta e dove sarà esposta solo a partire dai primi anni Cinquanta del
Novecento, una volta terminato il secondo conflitto mondiale e il riallestimento
del Museo, danneggiato dai bombardamenti.
(S.F.)
II. La statua
1. Il torso in marmo e l’Iside ‘occidentale’
La sistemazione del torso61 su una base in cemento con sostegno a staffa
(Figg. 10-11) presenta qualche difetto62, ma permette di esaminarne i caratteri e
lo stato di conservazione: in marmo bianco, probabilmente apuano63, esso manca
della testa e del collo, già inserito in una cavità, e fratture importanti interessano
le braccia e la parte inferiore, ove resta il ginocchio sinistro con piccola parte
dello stinco64. A parte la caduta di qualche piega e scheggiature sulle zone emergenti, la superficie non sembra mal conservata né corrosa; sono però evidenti alle
braccia e all’esterno del ginocchio sinistro fori e tracce di perni metallici, nonché
anomalie nel lavoro, su cui torneremo più avanti.
Quanto resta potrebbe bastare per dare un nome alla figura, dato lo schema
non banale delle vesti e la forte frontalità dell’immagine. L’abito, austero e cerimoniale, si compone di un ampio e sottile chitone agganciato da fermagli su
spalle e braccia (non è visibile cintura), che aderisce al petto ma trabocca dai
margini del manto sovrapposto. Questo è una più pesante chlaina diplax, fissata
da una fibula rotonda sulla spalla destra, dalla quale i lembi aperti ricadono con
pieghe tubolari; il tessuto doppio tra i seni si avvolge in una leggera spirale, ma si
distende sul fianco sinistro in curve larghe e relativamente rade; solo della falda
più esterna e corta si può seguire per intero il margine inferiore, che sale e scende
da poco sopra il ginocchio destro fino all’esterno di quello sinistro e gira curvilineo sul dorso verso le pieghe ricadenti dalla spalla. In questo gioco di contrasti,
61
Per esso, oltre ai citati Bocci Pacini - Nocentini Sbolci 1983, p. 17 n. 15 e De Tommaso 2009, p.
221, si veda. Fuchs 1992, p. 71 n. 33 e Landwehr 1993, p. 67 e nota 14.
62
Il torso risulta inclinato verso la sua destra di circa 3/4° rispetto alla verticale originaria; l’aggancio della staffa di sostegno è cementato nella cavità del collo, della quale è invisibile l’interno; la
relazione di Minto (22 settembre 1911) non vi menziona perni.
63
H 111 cm sull’asse verticale (108 cm con l’inclinazione attuale); largh. max. 44 cm, prof. max.
30 cm. Landwehr 1993, p. 67 e nota 14, la cita come «Statuette» per le errate misure in Bocci Pacini Nocentini Sbolci 1983.
64
Il braccio sinistro è spezzato a due terzi dell’omero, con due fori convergenti nella sua metà
posteriore. Il destro manca per frattura da circa metà dell’omero fino alla parte della ‘manica’ prossima
al fianco, ove sono tracce di ossidazione. Un foro cilindrico orizzontale è all’esterno del ginocchio
sinistro. Per gli altri elementi, si veda oltre.
122
G. CAPECCHI – S. FARALLI
la figura non ha traccia di torsione che inviti a girarle intorno; la profondità molto
ridotta (intorno ai 30 cm) e la resa appiattita del dorso confermano che la veduta
laterale era secondaria e limitata, e che possiamo immaginare la statua contro una
parete o entro in una nicchia.
La formula particolare dell’abito65 è stata rilevata da molto tempo, con una
crescente attenzione per il suo impiego in immagini isiache66; e infine indicata
come propria della dea (e delle donne sue devote) nella versione detta ‘occidentale’, poiché diffusa solo a Roma, in Italia e in due province africane: Mauretania
e Africa Proconsolare, da Iol-Caesarea a Leptis Magna67. Qui, a partire dalla
prima età imperiale, l’immagine sarebbe alternativa a quelle in abito di foggia
egittizzante nelle sue principali varietà, desunte da quelle cerimoniali create per
le regine tolemaiche del III sec. a.C. con elementi già presenti nel guardaroba
femminile dal Periodo Tardo egiziano, ma con una costante accentuazione della
sacralità della regina e del suo abito68. Una versione con lunghe maniche e nodo
al centro del petto, già indossata da Arsinoe III (regnante tra 220 e 204 a.C.) in
una stele di stile faraonico che la presenta come Iside69, potrebbe avere, in terra
egiziana, caratterizzato da allora un’immagine rinnovata della dea70. Sarà comunque questa versione dell’abito – ma elaborata, forse ad Atene, secondo regole
formali elleniche – che nei monumenti funerari, prodotti in età imperiale dalle
officine marmorarie attiche, fungerà in maniera esclusiva da segno identitario
per le adepte di Iside (Fig. 12)71. È questo genere di Knotenpalla che l’Iside capitolina, di età claudia, ci documenta per la prima volta in una statua (Fig. 13)72;
65
L’insieme è greco, ma con elementi ambigui. La veste inferiore può corrispondere alla calasis
romana (Scholz 1992, pp. 93-100, Fig. 69; Filges 1997, p. 164; Alexandridis 2004, nota 377), ma piegatura e drappeggio del manto non corrispondono a quelli attestati per la palla (Scholz 1992, pp. 100107). Portare un manto ‘alla greca’ ha peraltro un suo significato: Alexandridis 2004, p. 41.
66
EA 396 (1895: W. Amelung; cfr. Id. 1903, n. 233, pp. 62-63); Hekler 1908, pp. 147-148 (solo il n.
16); Schmidt 1922 p. 64 e nota 24; Lippold 1923, p. 206; EA 4401-3 (1938: O. Brendel); Mathiopoulos
1968, pp. 190-193; De Luca 1976, n. 1, pp. 15-16; Beschi 1984, p. 34, nota 29.
67
Eingartner 1991, pp. 33-55, nn. 40-73, 130-131.
68
Riassuntivi sull’argomento: Albersmeier 2018, pp. 458-462; Malaise-Veymiers 2018, pp. 471-477.
69
Da Tanis, London, British Museum inv. EA 1054. È munita della corona hatorica (disco solare tra
due corna di vacca sormontato da due lunghe piume): Ägypten-Griechenland-Rom 2005, pp. 578-579,
N. 151 (S. Albersmeier); Albersmeier 2018, p. 460; Malaise - Veymiers 2018, p. 475.
70
Mancano però documenti su questo. Possibile il trasferimento a Iside della corona delle regine
lagidi (Veymiers 2014, pp. 197-201) e del loro abito (Albersmeier 2002, pp. 104-105; Albersmeier
2004, pp. 427-429; Nagel 2015, pp. 197-200; Albersmeier 2018, p. 460 nota 56; Malaise - Veymiers
2018, pp. 476-477).
71
Walters 1988; Walters 2000; Eingartner 1991, nn. 100-127; Malaise - Veymiers 2018, nota 63.
Le più antiche stele di Smirne (Eingartner 1991, nn. 98-99) e il rilievo di Rodi (Walters 1988, p. 14 nota
63; Iside 1997, p. 99, III.6), datati tra II e I sec. a.C., non sono di produzione attica.
72
Eingartner 1991, p. 113, n. 9. Non da Villa Adriana: Iside 1997, V.41 (S. Ensoli); Ensoli 2015,
p. 43 e nota 67. La datazione sembra ignorata da Bricault 2007, p. 267 e Bricault - Veymiers 2018, p.
ISIDE AD AREZZO?
123
e che in Oriente come in Occidente rivestirà un buon numero di immagini
della dea.
Con una scelta forte e programmatica, l’Iside ‘occidentale’ scarta l’abito egizio per affidare l’idea di un’antica sacralità a un drappeggio di vesti, che per schema e stile attinge invece all’arte greca del V e IV secolo a.C.73, e a un equilibrio
di statica e gesti, di sapore retrospettivo, che ne prescrive la visione frontale74, e
conferisce alla figura il carattere di una epifania75. L’eclettica figura si completa
spesso con più ‘moderne’ proporzioni ellenistiche, vale a dire con spalle e busto
relativamente poco espansi rispetto ai fianchi76. E solo quanto può essere presente
nelle mani o sul capo della figura, compresi gli eventuali boccoli ‘libici’77, segnala un rapporto con l’Egitto.
2. Premesse a una Iside ‘romana’
Il risultato di questa creazione, probabilmente elaborata nell’Urbe da mani
greche, è una figura solenne ma intensamente femminile, in accordo con la natura
molteplice di Iside a questa quota cronologica: divinità regina ma anche donna
amorosa, sposa eroica e tenera madre, dispensatrice di doni e protettrice dell’uo-
149 e nota 141. Se a quel tipo si richiamava anche l’Iside dell’Iseo Campense di Domiziano (Bricault
- Veymiers 2018, pp. 147-149) si tratterebbe solo di una riformulazione: così anche Ensoli 2015, Fig.
8B. Il tipo non è quello della statua raffigurata sulle monete di Vespasiano (gennaio-agosto del 71 d.C.:
Bricault-Veymiers 2018, pp. 134-144 e 158-159), con manto fissato sulla spalla sinistra e veste speculare al tipo ‘Euterpe Mileto’, Eingartner 1991, nn. 93-97, Alexandridis 2004, pp. 253-254.
73
Protoclassica per Hekler 1908, p. 147 e Schmidt 1922, p. 64. Per la diplax arcaica e severa,
Raftopoulou 1985 pp. 360-362; Valeri 2005 pp. 56-65. All’ultimo terzo del V secolo porta invece il
collegamento all’Athena tipo Hope-Napoli: Waywell 1986, n. 1; Cantilena et alii 1989, p. 156, n. 21;
Davison 2009, n. 15, pp. 441-447. Per il rotolo trasversale nelle figure femminili della seconda e ultima
classicità, Filges 1997.
74
Il torso appare come un blocco a quattro ‘facce’: cfr. Fuchs 1992, p. 72 e nota 11.
75
La gamba flessa non è arretrata, i piedi poggiano con l’intera pianta, paralleli. Piedi paralleli
hanno le affini cariatidi in diplax tipo Mantova-Venezia-S. Pietroburgo, versione severizzante/classicizzante e senza polos di quelle Tralles-Cherchell-Smirne-Atene, con piedi sfalsati. Per le prime,
Schmidt-Colinet 1977, W66-68 e Schmidt 1982, p. 95; per le seconde, Schmidt-Colinet 1977, W51-53;
Schmidt 1982, pp. 92 sgg.; Raftopoulou 1985; Landwehr 1993, n. 52. È certa la loro natura ‘non umana’, ma senza rapporto col mondo isiaco. Il temine polos, con il quale Paus. 2, 10, 5 designa ciò che
sta sul capo di un’Afrodite arcaica di Kanachos, è quello tecnico usato dagli archeologi per l’elemento
cilindroide o troncoconico che appare sulla testa di divinità del mondo greco sino dall’età geometrica.
Pertanto non è «partie de la garderobe» (Malaise 2014, p. 249), ma «un emblème abstrait» (p. 261).
76
Per tale pluralismo stilistico, sintesi in Saladino 1998, pp. 973-974.
77
Per la denominazione, sintesi in Barrett 2011, pp. 149-156. I boccoli a spirale nelle figure isiache
‘occidentali’ possono essere sostituiti da ciocche serpentiformi o a nastro ondulato (Eingartner 1991, n.
62; Moltesen et alii 2002, Fig. a p. 11). Tutte compaiono nell’Arcaismo (Richter 1968, n. 116; n. 113; n.
89) e sono frequenti nella scultura arcaizzante; ma nelle sei ‘evocative’ cariatidi dell’Eretteo, la quinta
unisce boccoli a spirale e ciocche serpentiformi.
124
G. CAPECCHI – S. FARALLI
mo e del suo destino, in vita e dopo la morte. Sono i caratteri venuti a sommarsi
in lei già nell’Egitto faraonico, e che nel mondo ellenistico mediterraneo si sfaccettano luogo per luogo e hanno fatto la fortuna del suo culto attraverso sovrani
e privati, aristocratici e mercanti, o emigrati, gente di mare e di guarnigione78. La
clamorosa espansione della Res publica nel III e II secolo a.C. ha inserito nello
Stato romano territori (dalla Sicilia all’area circumegea79) dove i culti egiziani
erano da tempo realtà radicate e organizzate80. I centri e i porti terminali dei commerci che si svolgono tra Penisola, Sicilia, Egitto, mare e coste egee, e che hanno
fra gli attori più autorevoli uomini d’affari e mediatori italici81, sono anche luoghi
d’incontro di culture dove il contatto e la convivenza offrono i modi per entrare
in rapporto con altre, diverse religiosità e per confronti e accostamenti di figure
divine con prerogative comparabili, se non addirittura coincidenti82; mentre sul
suolo della Penisola, quanto meno nei decenni finali del II sec. a.C., esistono le
condizioni per l’impianto strutturato dei culti egiziani: come è sicuro per Pozzuoli (e forse anche per Pompei)83, e verosimilmente, in terra latina, per Praeneste84.
Nell’ultimo secolo della Repubblica la fortuna della religione isiaca corre
nell’Urbe lungo un doppio binario, ma con rischio costante di collisione per motivi squisitamente politici. Da un lato stanno i culti privati, ammissibili e presumibilmente forniti di un qualche genere di autorizzazione quando svolti in siti di
alta visibilità, non accolti come pubblici attraverso formale sanzione dei poteri
costituiti, ma che – almeno nei primi decenni del I secolo a.C. – possiedono un
clero legato a istallazioni sacrali e strutture associative di collegia. Privati sono
anche i culti legati a personalità gentilizie, espressi in forme manifeste e materia-
78
Complessivamente Malaise 2000; Bricault 2007.
La pianta in Ferrary 1998, Fig. 1, pp. 814-815, dà la giusta prospettiva politica entro cui porre i
rapporti tra questa grecità (insulare, balcanica e asiatica), mondo lagide e Roma; e la presenza pervasiva
dei mercanti romaioi nell’area.
80
Fontana 2010, pp. 67-69; Bricault 2004, pp. 449-452.
81
Spicca il ruolo dei prenestini nel polo cultuale e commerciale di Delo, ove si incontrano e sommano anche esigenze culturali diverse, decisive ad esempio per lo sviluppo della stessa arte romana
(Saladino 1998, pp. 988-989; Ritratti 2011, p. 162: M. Papini). Il santuario prenestino di Fortuna Primigenia, nonché le qualità della sua cultura figurativa (Agnoli 2002, pp. 23-26) illustrano la forza di
quel culto, noto fuori d’Italia già nella prima metà del II sec. a.C..
82
Una Tyche Protogeneia fa la sua prima comparsa a Creta (Coarelli 2019, pp. 87-88 e nota 12; in
data più alta che per Malaise 2014, p. 238). Nei decenni finali del II sec. a.C. compare (solo) a Delo con
nome preceduto o seguito da Isis (Malaise 2014, pp. 237-240). I prenestini - certo bilingui - presenti a
Delo almeno parte dell’anno, non potevano dubitare che questa fosse la loro dea, né tradurne il nome in
altro modo (come attesta Plut. q.rom. 106).
83
De Caro 1997; Zevi 2006; Pesando - Guidobaldi 2006, pp. 68-69. Bricault 2015, p. 460 pone
l’introduzione del culto in Campania «early in the second century BCE». Un panorama generale è in
Ensoli 2015, pp. 30-34.
84
Credo ineludibili le argomentazioni di Coarelli 2019, pp. 84-148.
79
ISIDE AD AREZZO?
125
li, come l’Iseum Metellinum85. Dall’altro lato stanno il controllo e la repressione
esercitati dagli organi statali sugli aspetti e le manifestazioni legati ai culti egiziani e alle azioni dei loro adepti, quando considerate potenzialmente o realmente
pericolose per l’ordine politico. Ma a fronte di ciò, sta un fatto incontestabile: la
decisione (il votum?) dei triumviri Ottaviano, Antonio e Lepido di costruire un
tempio a Serapide e Iside86 (43 a.C.). È una risoluzione certamente non casuale,
che si segnala di per sé come il contrario di un atto di intolleranza; e che – dato
il ruolo dei personaggi – doveva sancire per la prima volta, e in modo inequivocabile, la legalità di quei culti; secondo alcuni, anche implicarne l’ingresso
tra i sacra publica, se non addirittura il primo impianto del santuario di Campo
Marzio87.
Dodici anni e una guerra civile più tardi, cessata la necessità sopravvenuta
di presentare gli dei egiziani come i patroni del nemico ufficiale di Roma (il
regno di Cleopatra), Ottaviano apre su tutti i fronti un programma di riassorbimento dei conflitti e disinnesco delle loro cause, che attraverso la definizione di
regole tranquillizzanti persegue un fine di ordine e consenso. Per quello che qui
ci interessa, punta emergente ne è l’indicazione (28 a.C.)88 delle aree dell’Urbe
dove era lecito lo svolgimento dei culti egiziani, che Agrippa pochi anni più
tardi definì a mezzo miglio fuori del pomerio: una limitazione, che però non
porta a un ghetto né a un confino agli estremi sobborghi89; ma sembra piuttosto
il compromesso tra una residua diffidenza politica e una presa d’atto realistica
del radicamento di quei culti. Del resto, a indizio di quanto fosse possibile una
loro percezione positiva, sta il fatto che perfino poeti dell’età di Augusto, sia
85
Meno discusso per data che per collocazione. Dopo De Vos 1996; De Vos 1997, pp. 99-107;
Ensoli 1997, pp. 308-312; Spinola 2001; Pavolini 2006, pp. 15-18, dati e pareri sono esposti in Fontana
2010, pp. 21-31; ma si veda Coarelli 2019, pp. 27-29. Sui luoghi di culto privati, Ensoli 2015, pp. 39-40.
86
Cass. Dio 47, 15, 4.
87
Termini e posizioni (al 2010), anche oscillanti, sono riassunti in Fomtana 2010, pp. 41-44 (in
particolare, note 188 e 214); recente ripresa globale del tema in Coarelli 2019, pp. 65-81. Il 43 a.C. per
la costruzione è accolto da Mora 1990, pp. 87-88, 96; Ensoli 1997, pp. 306-307; Gasparini 2007, p. 72;
Ensoli 2015, p. 41. Una data medioaugustea ha sostenuto Malaise 2003, p. 320 (20-10 a.C.; arco cronologico maggiore in Malaise 1972b, pp. 187-214); tardoaugustea Lembke 1994, pp. 63, 65-67. Scheid
2009, pp. 308-311, ribadisce invece quanto già sostenuto (in età di Vespasiano vi sarebbe stato solo un
chantier dell’Iseo: p. 183 e nota 39). Bricault - Veymiers 2018, pp. 139-140, definirebbero i fulminei
tempi di costruzione del primo santuario campense tra la fine del 69 e l’inverno-primavera del 71 d.C.
Bricault - Gasparini 2018a, pp. 45-46, danno per certi al 43 a.C. lo statuto pubblico del culto e la sua
destinazione in Campo Marzio, meno sicura l’esistenza della struttura (ma cfr. Bricault - Gasparini
2018b, p. 135-136).
88
Cass. Dio 53, 2, 4. Non credo obbligatorio che il seguito del testo possa riferirsi soltanto a un
restauro dei templi egiziani privati.
89
Come sovrainterpreta Malaise 1972a, p. 387: il testo di Cass. Dio 54, 6, 6 precisa la proibizione
del culto a meno di mezzo miglio en to proasteio, termine che, contrapposto ad astu, indica solo l’estensione extrapomeriale di Roma.
126
G. CAPECCHI – S. FARALLI
lontani sia vicinissimi a lui, abbiano espresso in maniera esplicita fede e rispetto per le qualità della dea90.
Forse uno scandalo svoltosi a Roma in un qualche tempio di Iside – fornito di
statua e di ministri del culto – dette a Tiberio il motivo o la scusa per una violenta
e quasi fobica reazione contro i seguaci dei riti egiziani91: peraltro, l’ultimo atto
ostile imperiale (e/o governativo) del quale si abbia notizia per secoli. Se non c’è
accordo sul ruolo del successore Caligola per l’apertura senza limiti a tali culti,
almeno sul piano di pubblici provvedimenti92, sta di fatto che all’età sua o di
Claudio, e comunque al secondo trentennio del I sec. d.C., si data (come l’Iside
capitolina) il più antico esemplare della serie ‘occidentale’ di sicura connotazione
isiaca e di importanti dimensioni: un torso di statua oggi a Monaco93 (Fig. 14),
che quindi è un caposaldo cronologico per la definizione di quell’immagine. Ve
ne sarebbe però qualche sorta di incunabolo, forse solo da ambito privato: oltre
a un torsetto in diplax augusteo 94, immagini isiache che combinano l’apparato
simbolico della dea con abiti greci compaiono nelle pitture della Villa della Farnesina95 (Fig. 15), o della cd. Casa di Livia sul Palatino96 , che è in realtà parte
della casa stessa di Augusto.
3. La statua di Arezzo e le sue sorelle
L’esistenza di questa iconografia ‘occidentale’ è stata in genere accettata97, ma
la crescita dei documenti pertinenti ha reso necessario spingere l’analisi più a fondo98. Solo tredici immagini infatti conservano attributi sicuramente isiaci99; e fra
90
701.
Tib. 1, 3, 27-28: il poeta le dà credito come sua guaritrice. Regale e pietosa per Ov. met. 9, 686-
91
Ios. Fl. ant.iud. 18, 65-80, pone l’evento negli anni dell’incarico di Ponzio Pilato in Giudea
(26-36 d.C.), collegandovi cronologicamente le gravissime sanzioni decise con senatoconsulto contro i
fedeli della religione giudaica in Italia. Queste dunque non sarebbero contemporanee a quelle collocate
da Tac. ann. 2, 85, 4 all’anno 19 d.C.
92
Parzialmente critico Mora 1990. Posizioni contrarie espresse in Rosso 2018, pp. 543-546, Coarelli 2019, p. 72.
93
Eingartner 1991, p. 124, n. 40; Fuchs 1992.
94
Schröder 2004, n. 189, p. 403 (= Eingartner 1991, n. 46).
95
Villa della Farnesina 1998, Fig. 76 e tavola d’insieme del cubicolo B, in fondo al volume, parete
destra. Ben indicati i due orli della diplax, e il diverso colore di chitone e manto.
96
Iside 1997, p. 408, V.26 (V. Sampaolo). L’abito non ha niente di egizio, come sembra intendere
anche Albersmeier 2018, nota 82: le presunte frange sono solo crettature.
97
Malaise 1992, pp. 336, 339; Lembke 1993; a denti stretti anche Tran Tam Tinh 1993, pp. 504505. Positivi Merkelbach 2001, p. 629, Albersmeier 2018, pp. 463-464, 468. Confusa Mazurek 2016,
pp. 69, 81-86.
98
Fuchs 1992, pp. 70-71.
99
Statue Eingartner 1991, nn. 40-42, 49, 65, 67; Fuchs 1992, p. 70 n. 12; rilievi Eingartner 1991,
nn. 43, 50, 73, 130-131; bronzetto Fuchs 1992, p. 71, n. 27; nonché Iside 1997 p. 490, n. V.150; Balti-
ISIDE AD AREZZO?
127
le statue di marmo solo due – una oggi a Londra (da Roma); una a Cherchell (da
Iol-Caesarea) – presentano proprio la dea in una forma quasi completa100. Inoltre,
l’insieme si presenta come una ‘famiglia’ di immagini unite da tratti salienti ma
con un numero congruo di variazioni: ciò che ha fatto dubitare dell’esistenza di
una vera statua-prototipo, che le avrebbe generate tutte. Alla sua ricerca, ciò ha
spinto a depurare la ‘famiglia’ da variazioni minori collaterali o intenzionali101; a
porre in margine figure tutte o in parte speculari102; e a separare opere che hanno
tratti in comune con l’Iside ‘occidentale’, ma altre sensibili differenze; e quindi,
possibilmente generate in ambiente di florido eclettismo elaborando un’idea base
fortunata103, ma per rappresentare altre divinità104.
Se l’insieme residuo rimane ancora in qualche misura disomogeneo, le differenze105 non vanno però sovrastimate, poiché la casistica ne comprende molte, che nei processi di riproduzione di un modello potremmo definire normali
e prevedibili. Tali sono quelle legate a luogo ed epoca di esecuzione; e/o a una
scelta occasionale di gusto per il risalto o l’attenuazione di certi caratteri; o
ancor più le differenze legate alla dimensione ridotta delle immagini in rapporto alla loro destinazione, ad esempio di culto privato o votiva o funeraria:
circostanze che sempre ammettono e comportano una discreta variabilità106 e
un largo ventaglio di soluzioni107. Se di frequente dobbiamo convenire che non
sarebbe stato utilizzato un procedimento di copia mediante punti o mediante
more, Walters Art Museum, inv. 57.1480; già de Clercq, De Ridder 1905, p. 219, n. 313, vd. anche nota
138.
100
Rispettivamente Eingartner 1991, n. 49 e n. 41. Diversamente, la statua Eingartner 1991, n. 62,
ha sul collo di restauro una piccola testa, di pertinenza e anche di antichità dubbia. La testa di Copenaghen, Eingartner 1991, n. 69 (moderna per Poulsen 1951, n. 280) è antica e sua per Moltesen et alii
2002, n. 25. Se lo è, anche se pare un po’ grande, può trattarsi proprio di Iside.
101
Landwehr 1993, p. 67 (Eingartner 1991, nn. 47-48); Fuchs 1992, p. 71, nn. 38-39, anche con
appoggio inverso.
102
Fuchs 1992, p. 71, n. 32 (appoggio inverso), 40-41 (anche l’aggancio del manto). La specularità non basta a mutare l’identità della figura: vd. l’Iside a Leida, Rijksmuseum van Oudheden, inv.
1991.96335a.
103
Landwehr 1993, pp. 68-69.
104
Maderna-Lauter 1990, n. 187, pp. 116-121. Sono figure in genere con apoptygma di peplo e/o
sua lunga ricaduta sul fianco sinistro: Fuchs 1992, nn. 34-37 e Eingartner 1991, n. 56. Per Eingartner n.
57, vd. Valeri 2005, pp. 57-63, nota 206, Fig. 43. Un apoptygma ha anche Eingartner 1991, n. 70, mentre regolari archi a V sul petto e una lunga ricaduta sul fianco compaiono nella statuetta Beschi 1984,
pp. 25-35; De Paoli 2013, pp. 36-37, n. 12, tav. XV.
105
Le più vistose possono sembrare quelle nella struttura del corpo, o brevilinea e materna, o longilinea e giovanile; oppure nella diversa lunghezza della falda superiore della diplax.
106
Sul tema, sintesi e bibliografia in Spinola 2015.
107
Le piccole statue Moltesen et alii 2002, nn. 24-26 documentano tre esiti diversi di un modello,
che è sempre lo stesso.
128
G. CAPECCHI – S. FARALLI
calco, o di riduzione meccanica108, ci si deve chiedere in che misura e in che
forma l’eventuale modello primo era accessibile all’artefice, e quanto fosse
ritenuto prescrittivo per i diversi usi previsti. Di fatto, non siamo di fronte alle
copie 1:1 di un opus nobile greco codificato. E anzi l’ambito cultuale, tanto
pubblico quanto privato, è uno di quelli nei quali regole rigide di Kopienkritik
si rivelano poco adeguate; mentre i rilievi votivi e funerari (Figg. 20, 24) dimostrano come sufficiente l’indicazione sintetica degli elementi, che sono propri
e distintivi dell’immagine.
Al contrario, comparando gli esemplari si deve dar peso alla mole dei restauri,
che specie in statue di antica collezione sono talvolta plurimi e fatti su opere, che
– già in partenza compromesse – possono avere subito altri danni per esposizione
all’aperto. Bisogna anche guardarsi dai difetti delle riproduzioni fotografiche,
che possono alterare la percezione dell’impianto ed oscurare dettagli. Ad esempio, una statua già Doria-Pamphili109 patisce di entrambi questi handicap, che ne
deprimono il valore dato dalle dimensioni eccezionali (m. 2,30) e dai particolari
che sopravvivono.
Tutto ciò va tenuto presente nel riconsiderare il grande torso di Arezzo. Segnalato come potenzialmente isiaco fin dalla prima edizione e poi citato come
indizio della presenza del culto in città110, è stato poi ignorato o frainteso111, e
va dunque riportato all’attenzione. Notevole anche per dimensioni, possiede sia
tratti generali, sia elementi invero singolari, che ne prescrivono il riesame, anche
per reinserirlo in più modi nella storia di Arezzo romana.
4. La statua di Arezzo e i suoi caratteri
I suoi termini di confronto più solidi entro la ‘famiglia occidentale’ si possono
ridurre ai tre esemplari più autorevoli perché tutti rinvenuti in Roma stessa, tutti
di grandi o molto grandi dimensioni (da più di 180 a 230 cm di altezza) e di originaria buona qualità, e quindi da credere eseguiti per una committenza più esigente e informata. Questi sono, oltre al torso di Monaco (Fig. 14), una statua della
Galleria Borghese112, che – tolti i turgidi completamenti – ne condivide contorni,
proporzioni interne e drappeggio: ciò che è sufficiente a dimostrare l’esistenza
di un unico prototipo. Terzo è il grande esemplare Doria-Pamphili, vicinissimo
108
Sui metodi di copia, Pfanner 2015, con bibliografia. Brigger 2002 può illustrare un caso di riduzione da statua di culto due volte il vero al modulo, ugualmente sovrumano, di circa otto piedi.
109
Eingartner 1991, n. 52.
110
Bocci Pacini - Nocentini Sbolci 1983, p. 17, n. 15; Guidotti 1997, p. 370: e cfr. Iside 1997, p. 328.
111
Manca perfino nel poderoso Bricault 2001. Per una menzione come «Statuette», vd. sopra nota 63.
112
Eingartner 1991, n. 51.
ISIDE AD AREZZO?
129
ai due precedenti per proporzioni, lunghezza e andamento del lembo corto della
diplax e per particolari del chitone113.
Rispetto ad essi, la figura di Arezzo appare stranamente longilinea114, con
un certo squilibrio anatomico tra la parte superiore ed i fianchi (Fig. 10): è
infatti quasi impossibile capire dove sia il punto di vita, mentre la coscia sinistra ha una lunghezza innaturale; e l’effetto di stiramento verticale unito a
una compressione laterale dà al corpo un aspetto cilindroide. Un confronto fra
le altezze delle parti corrispondenti dei torsi di Arezzo e di Monaco dimostra
che le due figure erano di modulo leggermente diverso: quando complete, dal
sommo della testa ai piedi – senza plinto – la nostra raggiungeva più o meno
i 165 cm, la seconda si aggirava sui 180 cm. Ma se, adeguando le sagome, si
sovrappone graficamente il contorno del loro fianco sinistro (Fig. 16), risulta
che la nostra figura è assai più stretta; e questo accade anche confrontandola
con le altre due.
Tuttavia, la statua aretina ha con le altre una serie di solidarietà nei particolari del panneggio troppo specifiche per essere casuali115. L’adesione al modello
è chiarissima, anche se non si può definire di cosa lo scultore disponesse per
condurre in porto la sua opera: se di un altro esemplare accessibile, di un calco
totale, parziale o ancora d’altro. Ma appare anche netta la distanza che la separa
da quelle, sia per il diverso equilibrio dimensionale e fra le varie parti del corpo,
sia per il lavoro un po’ contraddittorio.
Ritengo che le ‘strane’ proporzioni della figura aretina possano dipendere dalla dimensione limitata del blocco di marmo che fu usato. Le sue misure massime
in ampiezza (44x30 cm) potrebbero più o meno corrispondere a quelle del blocco
originario, entro il quale sarebbe stato costretto il tronco. Come accade, la sporgenza delle braccia poteva essere ottenuta lavorandole a parte e fissandole con
perni; e in effetti, all’altezza del gomito destro restano tracce di elementi ossidati.
Quale che fosse l’altezza del blocco, spessore e larghezza furono sfruttati al massimo, per ricavarne una ‘grande’ figura. Ma se una ridotta profondità si incontra
di frequente anche in statue ufficiali con visione solo frontale116, far coincidere i
lati del corpo con la scarsa larghezza determinò la sua sagoma ‘a pilastro’. Forse
anche per errore di calcolo, il rapporto tra le parti fu vittima di questa forzatura:
113
Come in altri esemplari, compreso il nostro, il risvolto obliquo del manto scende qui meno sul
fianco sinistro. Il torso Eingartner 1991, n. 44 (di non chiara identità; non considerato da Fuchs 1992;
citato solo a margine da Landwehr 1993, nota 53) ha con i tre differenze e concordanze. Potrebbe essere
comunque un buon termine di paragone; ma non vidi.
114
Forse per questo De Tommaso 2009, p. 221, evoca la snellezza di Artemide.
115
In più, il chitone non mostra cintura, come nel torso di Monaco (Fuchs 1992, Fig. 55) e in altre
realizzazioni ‘minori’ del tipo: Moltesen et alii 2002, Fig. a p. 118 a sn; forse anche pp. 112 e 115 a sn).
116
P. es. Saletti 1968, tavv. VIII, XII, XXXII.
130
G. CAPECCHI – S. FARALLI
l’impressione visiva è che la coscia troppo lunga stia a compensare un busto
troppo corto.
Anche dal punto di vista formale, la statua non ha le qualità di un raffinato lavoro
urbano. Pur discretamente padroneggiati, non sempre trapano e scalpello definiscono
in modo adeguato la diversa consistenza dei tessuti, e a primo sguardo il risultato è di
una certa monotonia, che per inciso si riflette anche nella difficoltà di dare un’immagine fotografica che non sia troppo piatta e scolorita, o al contrario accentui troppo i
chiaroscuri (Figg. 1, 10); nonché in quella di suggerire una datazione. Squilibri a parte,
il lavoro in realtà sembra sommare tratti di stile non del tutto coerenti fra loro: i volumi
del corpo sono saldi ed evidenti fino al seno, e il risvolto obliquo segna una cesura
di piuttosto sentito colorismo; ma più in basso la struttura si perde, alquanto inerte e
indefinita sotto il panneggio a fasce larghe e piatte separate da creste lunghe e sottili,
con il dorso arrotondato ‘a matita’. Dove il manto spiomba in verticale, il tessuto, che
dovrebbe essere pesante, si divide sotto il seno destro in cannelli decisamente troppo
fitti, per una ricerca di colore (Fig. 3), mentre il chitone in basso si allarga in pieghe
chiare, a dorso triangolare. In sostanza, a elementi ancora compatibili con il gusto flavio, o tardo-flavio, si giustappongono tratti ritenuti propri dei prodotti di età traianea:
cosa forse tanto più comprensibile se il lavoro fu fatto in un’officina ‘locale’.
5. Iside?
Il torso aretino si può dunque considerare una replica in grande formato di
un modello ben definito, riprodotto con cura anche in modulo minore117; e un
elemento confermerebbe che anch’esso è un’immagine isiaca. Il torso di Monaco
(Fig. 14) reggeva con la sinistra118 il manico ricurvo del secchiello119 destinato a
contenere un liquido rituale, che è uno degli attributi più comuni delle immagini
della dea e delle sua adepte: per Apuleio, rotondo come una mammella (met.
11, 10)120, pieno di latte per le libagioni121. Il collegamento fra vaso e veste è
117
Eingartner 1991, nn. 61, 63, 65, 68, 69; Fuchs 1992, n. 12 (le misure date da Clarac si aggirano sui 70 cm.).
Come nella statua di Londra, medio e anulare sono incurvati, indice e mignolo distesi: un gesto
rituale? Così già Walters 1988, p. 23 nota 121. vd. anche la stele di Alexandra, Iside 1997, p. 570, VI.32.
119
Detto situla nella letteratura scientifica su Iside, benché il nome latino non sia mai attestato per il
suo secchiello. Sul termine cymbium (forse = il lat. concha?), usato da Apuleio (met. 11, 4) per un vaso che
pende dalla sua sinistra, ma anche per una lucerna (met. 11, 10), vd. Griffiths 1975, pp. 133-134.
120
Un secchiello con un apice/capezzolo compare nelle figure in diplax: Eingartner 1991, nn. 41,
65, 73, 130-131. Ma può avere anche forme diverse: a collo distinto, piriforme o su piede con coperchio: Eingartner 1991, n. 42, 67, 49.
121
È dubbio se potesse contenere acqua. Questa (presunta del Nilo) ha un ruolo forte nei luoghi di
culto e nei rituali egiziani (Wild 1981; per Iside, Bricault 2005, pp. 253-254; e cfr. Iuv. 6, 527-529). Seguendo Griffiths 1975, p. 210, anche Walters 1988, pp. 24-25 ricorda libagioni d’acqua, ma non afferma
che sia contenuta nel secchiello.
118
ISIDE AD AREZZO?
131
oggi ridotto a un dado rilevato nell’area di tangenza del secchiello (Fig. 17) 122,
se tenuto col braccio abbassato123. Esattamente nella stessa zona il torso aretino
mostra invece un foro circolare per un perno (Fig. 18). Anche se il dispositivo é
diverso, non è troppo audace supporre che fissasse un quid pendente dalla mano,
e che questo fosse un secchiello: nelle sculture in diplax, il solo oggetto finora lì
testimoniato124.
Sistro e corona completerebbero una ricostruzione della statua come quella
della dea (Fig. 19). Il primo, che in età imperiale rappresenta uno dei suoi simboli più diretti e identitari125, è lo strumento a percussione dal suono acuto e non
modulabile (in sostanza, un rumore cadenzato), che accompagnava ogni genere
di rito126; e nella cultura moderna, fino dai primi studi di antiquaria127, è divenuto
forse l’emblema più forte di Iside. È raro che si conservi in statue in marmo di
età romana, e non si può escludere che, come la corona, fosse talvolta in altro
materiale128. Anche l’Iside capitolina (Fig. 13) lo sollevava nella destra: sistro e
dita sono di restauro e un puntello verso la spalla fu eliminato, ma il palmo semichiuso è antico e il gesto sembra inequivocabile. Per le sculture in diplax, solo i
rilievi conservano l’oggetto nella destra, che salvo in un caso (Fig. 20)129 è sempre un sistro130; e un sistro impugna la dea della Villa della Farnesina (Fig. 15)131.
La corona di Iside («basileion» per Plutarco, che però non ne dà descrizione)132 nelle immagini di età imperiale assume aspetti diversi nei luoghi, nel tempo
e a seconda dei simboli selezionati tra i molti di una dea sempre più polivalente; e
122
Come in altri casi: Eingartner 1991, n. 63 (Moltesen et alii 2002, n. 26, Fig. a p. 118); Poulsen
1951, n. 280. In Eingartner 1991, n. 61, il puntello è rilavorato come un lembo sporgente di tessuto.
123
Il braccio è conservato in Eingartner 1991, nn. 42, 43, 49, 65, 67. Solo nel n. 41 il secchiello è
tangente più in alto.
124
Nell’ipotesi di un’Iside-Fortuna la punta di una cornucopia sarebbe più in alto, e di norma è
all’interno della mano.
125
Saura-Ziegelmeyer 2013, pp. 390-39; Bricault 2013, pp. 322-329.
126
Per il mondo greco e romano, Genaille 1984; Saura-Ziegelmeyer 2015. Per la cadenza ritmica,
Apul. met. 11, 4.
127
Genaille 1976-77; Tibiletti 1997; bibliografia più completa in Franzoni - Tempesta 1992, n. 27
p. 6 e Fig. 7. vd. anche Iside 1997, p. 487, n. V.144 e Capecchi 2003 pp. 310-314, Figg. 10-11. Una
‘curiosità’ aretina è in Sgricci 1828, p. 37.
128
Anche in un rilievo attico: Walters 1988, p. 57 tav. 50b (sistro e situla). Per la corona della dea,
Iside 1992, p. 68, 3.3, tav. XVII = Iside 1997, V.47; cfr. Fontana 2010, p. 145 nota 18.
129
Eingartner 1991, n. 73; vd. sotto nota 161 e testo relativo.
130
Eingartner 1991, nn. 43, 50, 130-131. La mano destra della statua di Londra è interamente di
restauro.
131
Altra precoce Iside sistrata può essere quella delle placche di rivestimento in Van Aerde 2015,
pp. 110-111, Fig. 28.
132
Plut. de Is. 19. La parola è applicata alla corona hatorica piumata da Malaise 1976; Malaise
2009; Veymiers 2014; ma non c’è alcuna prova che Plutarco intenda quella.
132
G. CAPECCHI – S. FARALLI
già in Ovidio, Io-Iside ha sul capo solo «lunaria [...] cornua cum spicis»133: dove
la luna delle gestanti e le spighe di Iside frugifera appaiono le più adeguate alla
dea che soccorre l’infelice Telethusa, vicina al parto e angosciata dalla miseria.
Anche nelle Iside in diplax più complete troviamo una mutevole combinazione di elementi, dalle minuscole corna ricurve che affiancano un quid tondeggiante della figura di Cherchell134, al diadema arcuato della statua di Londra135, sopra
il quale due serpenti eretti affiancano un disco sormontato da spighe. La figura
si data dopo il 130 d.C., e nella seconda metà del secolo si pone la descrizione
di Apuleio (met. 11, 3), ove il disco, che si leva da fiori intrecciati in una corona,
affiancato da serpenti eretti e sormontato da spighe, ha l’aspetto e i bagliori della
luna136.
Variazioni ancora più grandi si riscontrano nei bronzetti di età imperiale,
in genere frutto di produzioni seriali, ma elaborate in modo che gli acquirenti
ritrovassero comunque nei loro simboli quelli che meglio si adattavano al loro
credo. Le poche immaginette in diplax denominabili con certezza come Iside
possono avere nella sinistra cornucopie, nella destra sistri o patere o timoni137;
ma queste unità si combinano, senza una regola apparente, con corone da molto
semplici a molto complesse138: un bustino portatile, che forse è in diplax (Fig.
21), inalbera una somma impressionante di emblemi139, superata soltanto da
quella di un minuscolo oggettino devozionale (Fig. 22)140. In definitiva, non
si può essere certi di come poteva presentarsi la corona di un’Iside aretina; la
forma grafica nella ricostruzione (Fig. 19), vicina alla statua di Londra, vuole
solo indicare una presenza.
133
Ov. met. 9, 688-690; e cfr. vv. 773-784, per le «imitataque lunam cornua». Vd. Malaise 2014,
pp. 262-263.
134
Cfr. il rilievo da Henchir el Attermine, Eingartner 1991, n. 16, pp. 115-116, con bibl.; Rosso
2018, p. 555.
135
Eingartner 1991, tav. XXXIII. Sul significato generale (e non solo isiaco) del diadema in età
imperiale, precisazioni in Alexandridis 2004, pp. 49-50.
136
Poco più tardo è l’acrolito Garcia y Bellido 1949, n. 136, tav. 103: diadema, disco tra due spighe
(?) e serpenti eretti.
137
Sulla patera e timone come attributi divini, bibl. in Alexandridis 2004, nota 710 e nota 853.
138
Quasi ai due estremi: Iside 1997, p. 490, V.150 e De Ridder 1905, p. 219, n. 313. L’immagine
Christie’s London, May 2, 2013, n. 120, documenta un caso di connotazione isiaca non immediata, ma
possibile per l’acquirente.
139
Detroit Institute of Art Museum, inv. 2001.47; Bricault - Podvin 2008, p. 20, B3, Fig. 30. Il disco (v. anche Amoroso 2018, pp. 5-6), è marcato da una croce incisa, forse richiamo a splendori astrali
(Malaise 1976, pp. 234-235). A meno che la divisione in quattro quarti non alluda a quelli della luna.
140
Baltimore, Walters Art Museum, inv. 57.1480 (H 6 cm). La cornucopia è impugnata in orizzontale, come nella minuscola Iside in bronzo dorato dall’Iseo fiorentino, forse in diplax: Bigagli et alii
2015, pp. 175-176, Fig. 7.
ISIDE AD AREZZO?
133
6. Devota di Iside?
Poiché le isiache in certe occasioni potevano indossare una veste omologa a
quella della dea e, almeno tra I e II sec. d.C., si poteva rivestirne la defunta141, la
domanda è se la testa della statua avesse caratteri ideali o individuali; e se portasse una corona adeguata solo a un’immagine divina.
La questione è molto delicata, poiché in assenza di un ritratto individuato,
o decisamente fisiognomico, distinguere un’immagine divina da una umana è
problema generale e ricorrente per qualsiasi figura femminile di età ellenistica
(a Roma fino all’ultima Repubblica), risolto spesso solo grazie al contesto o a
un’iscrizione. Tenendosi all’ambito isiaco, sono questi due elementi che designano come umane le creature in Knotenpalla sulle stele attiche tra I e III sec. d.C.,
anche se nei loro volti generici continua la tradizione greca del «not-portrait»
femminile142, che solo in pochi casi – specialmente dalla fine del I sec. d.C. – è
corretta da una capigliatura che cita o segue la moda d’epoca143. Nelle statue a
tutto tondo con quell’abito, un volto ideale, (talvolta) i boccoli ‘libici’ e compresenza sul capo di un velo e di una corona importante sono considerati gli indizi
migliori per dividere la dea dalle devote144. Ma anche per lo stato incompleto,
sono ben poche le statue-ritratto in Knotenpalla sicure145. Quanto agli altri tipi
statuari creati o adattati per Iside non prima dell’avanzato I secolo d.C.146, in essi
l’individuazione ritrattistica pare intervenga in modo non sporadico solo dai primi decenni del successivo147.
Plut. de Is. 3.
Dillon 2010, pp. 100-101, 133. Connelly 2007, pp. 85-115, non è sempre condivisibile (v. Keesling
2007). L’esotica ‘divisa’ delle isiache però le rende subito riconoscibili, diversamente dalle fedeli o ministre
di altre divinità femminili.
143
La situazione è più complessa che in Walters 1988, pp. 18-19 e note 91-92, p. 46 e nota 115.
Per tenersi alle figure in Knotenpalla, esse possono portare capigliature a ondulazioni parallele e senza
ciocche ‘antiche’ laterali (Walters 1988, tav. 37d, 50bd = Eingartner 1991, nn. 120 e 122: 150-170 d.C.);
oppure con ciocche laterali. Queste ultime si distribuiscono tra l’ultima età flavia (Eingartner 1991, nn.
104 e 108) e quella antonina (Eingartner 1991, nn. 15 e 121; con Eingartner 1991, n. 125 si arriverebbe
agli anni ’30 del III sec. d.C.); ma non hanno mai boccoli ‘libici’. Del tutto alla moda sembra invece
Eingartner 1991, n. 111; particolare è il caso dei rilievi Eingartner 1991, nn. 118 e 123.
144
Non bastano i particolari della veste: Malaise 1992, pp. 331-332; Malaise - Veymiers 2018, pp. 479-481.
145
Eingartner 1991, statue nn. 147-150; busti nn. 154-155 (v. anche il coperchio di urna tardoadrianea, Iside 1997, IV.13). Su altro genere di monumenti, dei tre ritratti su mummia, nn. 142-144, il
primo è solo tipologico.
146
Per l’uso del tipo ‘Euterpe Mileto’ (Alexandridis 2004, pp. 237-238), Eingartner 1991, p. 63
indica gli anni tra i Flavi e Traiano. L’Iside contabulata della Casa degli Amorini Dorati (Beaurin 2013,
pp. 344-347, 474, II.17) ne è l’esempio più antico per la dea. Il tipo in Knotenpalla più himation è per
Eingartner 1991, nn. 89-91, un’elaborazione adrianea.
147
Sono ancora ideali volto e chioma della melanephoros flavia Cantinea Procla, Eingartner 1991,
n. 132, velata e munita di una particolare corona: vd. Malaise - Veymiers 2018, pp. 481-482.
141
142
134
G. CAPECCHI – S. FARALLI
In generale, e fuori d’ Egitto, nessuna immagine pubblica di imperatrice la
raffigura in vesti o con simboli di Iside148, e dunque in linea generale il fenomeno sarebbe ristretto a private, ovunque la loro immagine fosse esposta. Esse
indossano una veste connotata, possono impugnare gli oggetti sacrali e in casi
rarissimi avere sul capo un decus di simboli isiaci. Non è chiaro se questo denoti
un loro ufficio o ruolo nei riti149; ma pare senz’altro da escludere che sia la prova
di un’effettiva apotheosis: cosa, fra l’altro, almeno in origine delicatissima sul
piano procedurale150. In un caso di esplicita evidenza (Fig. 23) la fascia rigida con
elementi applicati, calzata stretta sopra le trecce dell’acconciatura adrianea, mostra come la testa di una mortale all’occasione si poteva cingere di un manufatto
simbolico151. Ma che una privata indossi abito e insegne omologhi a quelli di una
dea non pare sufficiente a renderla tale: io credo, non più di quanto portare saio
e cordone di san Francesco possa fare un santo di ogni frate, e ancora meno di
ogni terziario laico. Dunque, di fatto l’apparato isiaco potrebbe corrispondere a
un uso previsto dai rituali; o realizzare un accostamento metaforico e/o segnalare
l’adesione a regole e valori di quella fede152.
Venendo alle statue in diplax della serie ‘ristretta’ che conservino la propria
testa, nessuna ha tratti fisiognomici o una capigliatura datata. E all’inverso, nessuna delle acefale dà qualche indizio sicuro (per esempio, calzature chiuse o una
stola romana)153 di essere stata una statua-ritratto. Né conta la dimensione: statue
divine, anche quando molto ridotte, possono essere il sacro arredo di sacelli o
cappelle private, o essere figure di synnaoi154 o un ex-voto.
Più importante è il caso delle figure che mostrano una cavità per l’inserimento di collo e testa155: tecnica in generale interpretata, e spesso con ottime
ragioni, come dispositivo per l’innesto di un ritratto156. Ma tale espediente – a
148
Rosso 2018, p. 547-548, e pp. 542-548 per la loro immagine sub specie di altre dee. Per il cammeo (privato?) di Colonia, Alexandridis 2004, p. 165, Kat. 119, tav. 58,4.
149
Disamina delle identità possibili delle isiache in Malaise - Veymiers 2018, pp. 483-492.
150
Sul senso e i limiti, anche giuridici, della cd. ‘apoteosi privata’, Lo Monaco 2011, pp. 344-348.
151
Firenze, MAN, inv. 13834. Per il tipo statuario, Filges 1997, p. 176 e nota 722; Alexandridis
2004 p. 253, Anhang 2.2,14, Bc.4 (Fortuna). L’aspetto posticcio della corona esclude che si tratti di
vera trasfigurazione della donna nella dea, come voleva Wrede 1981, pp. 41, 77 e 256 n. 165, seguito
da Malaise - Veymiers 2018, p. 482. Neppure la cornucopia, che di per sé potrebbe aggiungere anche
solo i valori di «Fülle» e «Glück» (Alexandridis 2004, pp. 62 e nota 578; p. 88 e nota 844), la divinizza
ipso facto come Isityche.
152
Sul significato metaforico dell’immagine teomorfa, bibl. in Alexandridis 2004, p. 88 e nota 844;
Lo Monaco 2011; Rosso 2018, p. 541 e nota 11. E vd. Mele 2006.
153
Filges 1997, pp. 158-164; Alexandridis 2004 (calzature, p. 42 nota 482, pp. 54-55). Scholz 1992
(stola).
154
Riassuntivamente Rocco 2014, pp. 76-77.
155
Per la serie ‘ristretta’, con certezza Eingartner 1991, nn. 40, 63-64, 66. 68.
156
Esemplare il caso della piccola statua ‘divina’, Comstock - Vermeule 1976, n. 148.
ISIDE AD AREZZO?
135
parte le statue fatte con marmi di più colori, specialmente ben note per Iside
– è adottato anche per figure ideali. I motivi possono essere diversi: che siano
copia di statue polimateriche; che si ricerchi anche solo una sfumatura tonale;
che nella bottega il lavoro fosse diviso tra scultori dei corpi e delle teste; che
sia un modo per usare blocchi più piccoli, più disponibili e meno costosi157.
Pertanto, nei nostri casi la natura delle teste mancanti non è certa. Solo pochi
dei torsi hanno resti sicuri di boccoli o lunghe ciocche ‘antiche’158; ma è anche
vero che nell’Iside di Cherchell, che aveva la testa solidale, i boccoli della dea
non arrivano allo scollo; e nel caso di teste inserite, essi potevano svilupparsi
anche solo nel tratto riportato159.
Per immagini certe di donne isiache con la diplax si può dunque cercare solo
tra i rilievi. Su due monumenti votivi, in uno la creatura raffigurata è certamente
la dea, nell’altro le calzature chiuse potrebbero indicare che è una mortale, ma
sono forse rilavorate160; mentre su un terzo rilievo già a Siena (Fig. 20) la figura
può essere divina: la creatura dai lunghi boccoli non ha tratti individuali, la patera può convenire anche alla dea, ma l’attributo nella destra, forse un ankh, resta
incerto161. Rimane dunque utile solo la testimonianza di due monumenti funerari
urbani, nel più completo dei quali il ritratto di Babullia Varilla (Fig. 24) è enfatizzato dalla grossa testa con tratti marcati e un’acconciatura adrianea, che cancella
qualunque allusione alla foggia di quella divina162.
7. Cambiamenti
Nel torso di Arezzo l’incertezza è accresciuta da qualche anomalia, che dà
indizi di una storia accidentata della statua prima della sua definitiva rovina, e di
sue possibili modifiche.
La cavità per innestare testa e collo segue di norma con estrema precisione
157
Per una minima esemplificazione, anche in epoche e ambiti diversi, Comstock - Vermeule 1976,
nn. 91 e 92; Brusini 2001, p. 135 e Figg. 46-49, 69; Gualandi 1979, Figg. 29, 46, 48-49, 82, 86, 108,
124, 132, 221, 223.
158
Eingartner 1991, nn. 64-66; e vd. la statuetta di Copenaghen in nota 100. Forse due boccoli
sopra il seno sinistro ha anche Eingartner 1991, n. 63, Moltesen et alii 2002, n. 26, Fig. a p. 117 a ds.
159
Vd. Cazes 1999, pp. 100-101; o l’Iside-Demetra, Ensoli 2015, Fig. 3a. Ma anche il ritratto
Scholz 1992, Fig. 23.
160
Eingartner 1991, nn. 43 (la dea non ha boccoli) e 50. Quest’ultima ha volto e capigliatura ideale,
nonché la corona.
161
Vd. sopra, nota 129. Già Chigi, ma oggi disperso (non a Siena): la natura dell’oggetto resta
inverificabile.
162
Eingartner 1991, n. 130-131. Nel secondo la testa è lacunosa, ma ha contorni simili a quella di
Babullia Varilla.
136
G. CAPECCHI – S. FARALLI
il limite della scollatura163, ma questo non è il nostro caso, perché l’incerto margine del cavo risparmia una buon tratto di parti nude (Figg. 25-26). Si potrebbe
pensare che in origine la statua avesse una sua testa solidale, per qualche motivo
poi distaccata e riapplicata, oppure sostituita, scavando alla meglio una cavità
di fissaggio nella parte nuda residua; e l’ipotesi acquista forza se si osservano le
incongruenze del lavoro tutto intorno. Sulla spalla destra, dove la fibula aggancia
i due lembi del mantello, i bordi delle parti sono poco netti e i volumi sul lato
anteriore sono impoveriti e resecati (Fig. 25); e ancora più sulla spalla sinistra,
dove un ribassamento a scalino sembra annullare l’ultimo fermaglio e l’ultima
fessura della ‘manica’ per far posto a una rozza seconda fibula (Fig. 26), che in
quest’abito e in questa posizione non è prevista e avrebbe poco senso. L’aspetto
è quello di parti rimaneggiate in modo rudimentale e sbrigativo, discordante dal
resto del lavoro; e altri elementi, tutti sul lato sinistro, fanno pensare a riparazioni
sommarie. Tutto il fianco sembra rilisciato, spianando rilievi minori; qualche cresta del rotolo obliquo vi è come impastata con le altre; nella metà posteriore del
braccio, e ben al di sopra del gomito, due fori convergenti non potevano servire
per unire con perni un avambraccio fatto a parte, ma piuttosto per ricollocare una
porzione consistente della ‘manica’. Anche il foro all’esterno del ginocchio, praticato su una cresta appiattita, potrebbe indicare una ri-applicazione dell’attributo
dopo un distacco accidentale.
Se a monte di tali risarcimenti ci fosse un evento traumatico – una caduta,
un vandalismo o altro –, esso potrebbe avere lesionato anche la parte sommitale
della statua, costringendo a riparazioni: da una ricollocazione della testa, eventualmente con l’inserto di un nuovo collo, fino alla sua sostituzione completa. Va
rilevato che, allo stato attuale, su spalle e collo non c’è traccia di capigliatura, ma
può darsi che la fibula a sinistra – sciatta, inutile e come ricavata a forza da volumi e superfici preesistenti – sfrutti i resti di almeno una ciocca o di un boccolo;
la spalla destra è meno tormentata, ma anche per essa non si potrebbe escludere
un intervento del genere.
8. Qualche conclusione
Tra dubbi e domande che restano tali, dal torso aretino si può comunque ricavare qualche dato positivo. La statua, grande almeno al vero, è di un tipo iconografico preciso, il cui concreto prototipo fu elaborato per una committenza
urbana, selezionando in modo non casuale forme adatte a un’immagine divina di
163
In alcuni casi, la giunzione parrebbe avvenire tra gola e mento, ma con una cesura netta: vd. Fig.
23. Non ci sono però studi d’insieme basati su esempi sicuri.
ISIDE AD AREZZO?
137
femminile e veneranda autorità. A oggi, non si può porre quel tipo prima degli
anni estremi della Repubblica, o addirittura dell’età di Augusto; ma la più antica
realizzazione nota di grande formato risale al secondo trentennio del I sec. d.C.
Per il modello, quando fedelmente replicato, come tra I e II secolo avviene su più
dimensioni, la sola connotazione certa è quella isiaca. È verosimile che, secondo i processi dell’eclettismo contemporaneo, la figura condividesse l’impianto
e almeno parte degli elementi base con immagini di altre divine entità; benché
ciò non sia provato con certezza, questo spiegherebbe l’esistenza di creazioni in
grande formato per così dire parallele, ma distinte in modo deliberato.
La statua di Arezzo si qualifica come prodotto non urbano, di impegno notevole per dimensioni e rispondenza al modello. Ma l’esito del lavoro fu condizionato dalle dimensioni ristrette del blocco di marmo, che implicarono qualche
deformazione; e dalla non eccelsa abilità dello scultore. Tali difetti non bastano
a escludere che un’immagine così ambiziosa raffigurasse proprio la dea; ma se
per questo tipo statuario e in questo grande formato non sono per ora conosciute
statue-ritratto di donne isiache, in linea teorica la possibilità non si può respingere. Tracce forti di rimaneggiamenti testimoniano sia di antichi danni (accidentali
o procurati), sia che della figura si faceva notevole conto. Ma colpisce la qualità
grossolana degli interventi di riparazione; e resta indefinibile se essi abbiano o no
implicato un cambiamento di identità.
Per più certezze sul senso della statua nel posto in cui fu trovata, gli ostacoli
maggiori sono due. In primo luogo, gli indizi sulla storia e la fortuna del culto
isiaco ad Arezzo sono per ora tenui e nebulosi. Una volta che fossero accertate
antichità e provenienza del rilievo con sistro che è nei depositi del Museo di
Arezzo, ne avremmo qualche altra traccia; mentre è solo una mia congettura
che la testina severizzante in marmo bigio (da figura polimaterica?), trovata nel
1833 tra la Fortezza e Colcitrone164 (Fig. 27) possa essere parte del volto ‘antico’
e ‘nero’ di un’Iside165. Secondariamente, ciò che sappiamo sul rinvenimento del
torso non dà elementi inequivocabili sulla natura dell’ambiente dove fu trovato;
né che fosse lo stesso nel quale era esposto prima e dopo i danni e i restauri, date
le notizie frammentarie e la storia complessa della zona intorno a quella del suo
recupero.
(G.C.)
164
Bocci Pacini - Nocentini Sbolci 1983, n. 16, pp. 17-18. La notizia del rinvenimento è data da
Cherici 1990, p. 474, Tav. III e pianta Fig. 10. L’aspetto resecato della testina di Arezzo può dipendere
da fatti diversi: ad esempio, la linea arcuata dalla fronte al retro potrebbe corrispondere al limite di una
benda o di un diadema.
165
Pochissimi gli esempi di teste isiache in marmo scuro, forse da statuetta (Gregarek 1999, p. 200,
C36-37 = Iside 1997, III.2 e IV.4); ma cfr. le nere ‘Danaidi’ della casa di Augusto.
138
G. CAPECCHI – S. FARALLI
III. ‘Il Bagno’ e le vicende dell’area
Il toponimo ‘Il Bagno’, riportato nei documenti, sembrerebbe riferirsi ad un’area piuttosto ampia posta tra i resti dell’Anfiteatro e gli ‘Orti di San Bernardo’166,
il torrente Castro167 e il tratto delle mura medicee dal bastione di San Bernardo a
quello di San Giusto che, rimasta sino alla prima metà dell’Ottocento a destinazione sostanzialmente agricola (Fig. 28), fu interessata dagli inizi del Novecento
da una fitta e rapida urbanizzazione (Fig. 29).
La denominazione di ‘Bagno’ o anche di ‘Bagno alle Ninfe’, nota dalla letteratura erudita settecentesca168, traeva verosimilmente origine da fonti locali
che a più riprese, ad esempio nel Cinquecento, ricordavano il ritrovamento in
questa area di ‘bagni’, memoria per altro già presente nella più antica agiografia medievale. La Passio dei santi aretini Gaudenzio e Columato aveva
collocato il loro martirio proprio in questa zona: arrestati e condotti presso
i ‘bagni’ posti tra il ‘teatro’169 e il torrente Castro, il vescovo Gaudenzio e il
diacono Columato qui sarebbero stati decapitati il giorno 19 giugno di un
anno imprecisato del IV sec. d.C. e successivamente sepolti170. Una chiesa
dedicata a San Gaudenzio era stata edificata all’incirca lungo l’attuale via
Crispi nel tratto compreso tra l’Anfiteatro e l’incrocio con via Guadagnoli;
secondo alcuni documenti scomparsa e già in rovina intorno all’anno Mille171,
resti della chiesa erano tuttavia ancora visibili nel Cinquecento come riportato nel De antiquitate urbis Arretii172.
Proprio l’opera dell’umanista aretino Marco Attilio Alessi, significativa e valida fonte locale di cui si è conservata, perduto l’originale in latino, la versione
166
Si trattava difatti dei terreni dell’ex monastero di San Bernardo, sorto sui resti dell’Anfiteatro
(per una sintesi sulle vicende del complesso monastico si veda Pincelli 2000, pp. 45-47).
167
Per un quadro complessivo e recente rimando agli atti Convegno Il Castro e Arezzo 2020.
168
Gori 1734, p. 223 (da cui anche cit. Manni 1751, p. 8): «Thermas alias Amphitheatro vicinas
fuisse et ex Historia Martyrum indigetum Gaudentii et Columati aperte colligitur; et nomen loco adhuc
remanens Balnei Nympharum (il Bagno delle Ninfe) manifeste indicat».
169
«[…] ad balneas quæ erant iuxta theatrum ac nymphæas Castri». La menzione topografica al Castro non lascia dubbi sul fatto che ci si riferisca all’anfiteatro e non al teatro, quest’ultimo
posto alla sommità dell’abitato antico, nell’area dell’attuale Fortezza (vd. Licciardello 2012, p.
1092).
170
Sulla tradizione manoscritta della Passio sanctorum Gaudentii et Columati (BHL 3274), databile tra VIII e X secolo, rimando a Licciardello 2012 e in particolare a pp. 1090-1092 e Licciardello
2005, pp. 477-484.
171
Tafi 1978, p. 434; Bini 1991, p. 83; Licciardello 2012, p. 1096. Il documento del 1030 edito da
Ubaldo Pasqui afferma: «in loco et avocabulo qui fuit ecclesia S. Gaudentii» (Pasqui 1880, n. 140, p.
200, citato in Licciardello 2005, p. 479, nota 189).
172
Cherici 1989, pp. 9, 152.
ISIDE AD AREZZO?
139
in volgare redatta dal figlio Massimiliano tra il 1546 e il 1552173, fornisce notizie
interessanti: come già rilevato da Armando Cherici174, nell’area compresa tra le
attuali via Guadagnoli e via Crispi, dove all’epoca in cui l’Alessi scriveva, il
1544, il tratto di mura tra il bastione di San Bernardo a quello di San Giusto era
in costruzione175, gli scavi per le fondazioni delle strutture difensive avrebbero
riportato alla luce resti antichi, tra i quali ambienti mosaicati, tubazioni, ma anche
frammenti marmorei.
I terreni prossimi all’Anfiteatro e al Castro, un tempo parte delle proprietà del
Monastero Olivetano di San Bernardo soppresso nel 1786, furono progressivamente ceduti a privati pur rimanendo a destinazione prettamente agricola almeno
per buona parte dell’Ottocento176, come è ben visibile ad esempio nella pianta topografica di Arezzo di Guido Signorelli del 1882 (Fig. 30). Il recupero nei campi
di materiali antichi, anche di un certo pregio, non doveva del resto essere così
infrequente: intorno al 1896, il collezionista locale Vincenzo Funghini ricordava,
parlando di un ‘ninfeo’ prossimo al Castro, come «gli adiacenti terreni sono cosparsi di frammenti di marmo delli splendidi edifizi Romani già ivi esistenti»177.
L’urbanizzazione di questi terreni compresi entro le mura, progettata dal Comune
a partire dalla presentazione del «Piano regolatore della zona meridionale della
città» nel 1893178 e realizzata in particolare tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento, provocò una serie di nuovi e numerosi rinvenimenti179.
Le consistenti trasformazioni di questa zona in epoca moderna rendono oggi
molto complesso ricostruirne l’assetto antico. Indubbiamente, ad ogni modo, la
parte della città in cui sorse l’Anfiteatro, la cui data di costruzione rimane tutt’ora
173
Sul Libellus de Antiquitate Urbis Arretii di Marco Attilio Alessi (1470-1546?) e sulla versione
autografa del figlio (manoscritto conservato presso la Biblioteca di Arezzo) rimando all’edizione integrale e commentata a cura di Armando Cherici (Cherici 1989).
174
In particolare Cherici 1989, p. 119, nota 5. Tratto murario tra i due Baluardi oggi non più
esistente, in quanto abbattuto dal Comune nel 1932 (Roselli et al. 1985, p. 53; Franchetti Pardo 1986,
p. 165; Centauro 1993, p. 55).
175
Cherici 1989, p. 121, nota 6.
176
Nel 1829 Wilhelm Dorow, nel corso della sua visita ad Arezzo, scriveva, pur commettendo l’errore di riferire all’ordine francescano il convento edificato sui resti dell’anfiteatro romano:
«All’interno delle mura, a poca distanza dalla porta che conduce a Roma si trova un giardino che
un tempo apparteneva ad un convento francescano, ma che oggi è di proprietà di un contadino. È
circondato dai resti di un antico anfiteatro» (Paolucci 2021, pp. 121-122).
177
Funghini 1896, p. 56 nota a piè pagina.
178
Da ultimo Saviotti 2020, pp. 168-169, con particolare riferimento alla documentazione
dell’Ufficio tecnico del Comune conservata all’Archivio di Stato di Arezzo.
179
Ad esempio nel corso dei lavori di copertura del Castro (v. Roselli 1985 et al., p. 52 e Centauro 1993, p. 47), ma anche successivamente durante la ricostruzione post-bellica. Si rimanda a
Rittatore - Carpanelli 1951, Masseria 1992, Cherici 1993, Cherici 1997.
140
G. CAPECCHI – S. FARALLI
incerta ma sembra collocabile nella seconda metà del I secolo d.C.180, fu occupata
almeno sin dall’età augustea e giulio-claudia da edifici di carattere privato. Indagini archeologiche anche recenti hanno difatti ulteriormente documentato come
nell’area in questione, già interessata da una viabilità di età ellenistica181, fossero
state edificate residenze di un certo pregio all’interno in un quartiere probabilmente dotato anche di un complesso termale182 e di strutture di regimentazione e
raccolta delle acque del vicino Castro183. La profondità ricorrente dei ritrovamenti di piani pavimentali e strutture si colloca tra i 2,10 e 2,60184 metri, al di sotto di
strati alluvionali da porre in relazione alle esondazioni del vicino Castro.
Risulta difficile definire se la nostra statua appartenesse all’arredo statuario di
ambienti termali di una residenza privata o di un complesso termale a carattere
pubblico oppure di qualche edificio di culto o sacello situato nella zona. Ciò
anche in considerazione del fatto che essa, riparata già in antico, sembrerebbe
essere stata recuperata in giacitura secondaria, in un’area peraltro interessata da
sbancamenti delle stratigrafie antiche in occasione della realizzazione delle fondazioni delle mura cinquecentesche e con buona probabilità anche da spoliazioni.
L’auspicio è tuttavia che altri studi e nuovi dati possano portare ad ulteriori acquisizioni su questo significativo settore della città antica.
(S.F.)
180
Ciampoltrini 2016, pp. 42-43.
Vilucchi 2005. Nell’area in questione non sono documentati rinvenimenti di epoca etrusca,
se si eccettua l’area delle Gagliarde, da cui come noto è attestata la provenienza del gruppo bronzeo
dell’‘Aratore’.
182
Da un’area compresa tra le attuali via Crispi, via Guadagnoli e via del Ninfeo proviene la
fistula in piombo con iscrizione col(onia) iuli(ia) arr(etium) [o arr(etinorum)] publ(ice) su cui da
ultimo Firpo 2020, pp.73-77.
183
Firpo 2020, p. 65; Cherici 2009, p. 165; Cherici 1997, pp. 101-102; Cherici 1993, n. 17.
184
Come evidenziato in Vilucchi 2005 cit.
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ISIDE AD AREZZO?
151
Fig. 1. La statua acefala n. inv. 24670 (= 89854) nell’attuale
collocazione presso il Museo Archeologico Nazionale
“G. Cilnio Mecenate” di Arezzo. Su concessione della
Direzione Regionale Musei della Toscana; divieto di
ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo.
Fig. 2. La statua nell’allestimento del Museo Archeologico
Nazionale “G. Cilnio Mecenate” nel dopoguerra (anni
1950-1951 ca.). Su concessione della Direzione Regionale
Musei della Toscana; divieto di ulteriori riproduzioni o
duplicazioni con qualsiasi mezzo.
152
G. CAPECCHI – S. FARALLI
Fig. 3. ARCHSAT-1911, pos. F/17. Su
concessione del Museo Archeologico
Nazionale di Firenze (Direzione Regionale
Musei della Toscana); divieto di ulteriori
riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi
mezzo.
Fig. 4. Giornale degli Scavi
dal 10 al 14 ottobre 1911.
ARCHSAT-1911, pos. F/17.
Su concessione del Museo
Archeologico Nazionale di
Firenze (Direzione Regionale
Musei della Toscana); divieto
di ulteriori riproduzioni o
duplicazioni con qualsiasi
mezzo.
ISIDE AD AREZZO?
153
Fig. 5. Giornale degli
Scavi dal 10 al 14 ottobre 1911. Dettaglio
del disegno nella pagina finale. ARCHSAT-1911, pos. F/17.
Su concessione del
Museo Archeologico
Nazionale di Firenze
(Direzione Regionale
Musei della Toscana);
divieto di ulteriori
riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi
mezzo.
Fig. 6,1-2. Disegni su lucido incollati su
relazione di Tina Campanile del 14 novembre
1925. ARCHSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo
10. Su concessione del Museo Archeologico
Nazionale di Firenze (Direzione Regionale
Musei della Toscana); divieto di ulteriori
riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi
mezzo.
154
G. CAPECCHI – S. FARALLI
Fig. 7. Fotocopia di appunti manoscritti di Umberto Tavanti. Su concessione del MiC - Archivio
di Stato di Arezzo; divieto
di ulteriore riproduzione/
duplicazione con qualsiasi
mezzo..
Fig. 8. Disegno su lucido. ARCHSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10. Su concessione del
Museo Archeologico Nazionale di Firenze (Direzione Regionale Musei della Toscana);
divieto di ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo.
ISIDE AD AREZZO?
155
Fig. 9. Disegno su velina. ARCHSAT 1925-1950, pos. 9 Arezzo 10. Su concessione del
Museo Archeologico Nazionale di Firenze (Direzione Regionale Musei della Toscana);
divieto di ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo.
Fig. 10. Arezzo, Museo Archeologico Nazionale “G.
Cilnio Mecenate”. La statua acefala inv. 24670. Su
concessione della Direzione Regionale Musei della
Toscana; divieto di ulteriori
riproduzioni o duplicazioni
con qualsiasi mezzo.
Fig. 11. Arezzo, Museo Archeologico Nazionale “G.
Cilnio Mecenate”. La statua
acefala inv. 24670, profilo sinistro. Su concessione
della Direzione Regionale
Musei della Toscana; divieto di ulteriori riproduzioni
o duplicazioni con qualsiasi
mezzo.
156
G. CAPECCHI – S. FARALLI
Fig. 12. Londra, British Museum. Stele funeraria da Atene (Pireo), inv. 1878.0725.1,
particolare. The Trustees of
the British Museum, concessione CCBY-NC-SA4.0.
Fig. 13. Roma, Musei Capitolini. Statua di Iside, inv.
MC0744. Da Reinach 1897,
Fig. 613, 3.
ISIDE AD AREZZO?
Fig. 14. Monaco, Glyptothek.
Statua acefala di Iside o di donna
isiaca, inv. GL 197. Su concessione delle Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek München
(foto di Hartwig e Christa Koppermann).
Fig. 16. Sovrapposizione dei contorni, in veduta frontale, del torso di Arezzo (a linea continua) e
della statua acefala di Monaco (a
linea puntinata); disegno di G.C.
Fig. 15. Roma, Museo Nazionale Romano, pittura parietale della villa della
Farnesina, cubicolo B; da Villa della
Farnesina 1998.
157
158
G. CAPECCHI – S. FARALLI
Fig. 17. Monaco, Glyptothek. Particolare del fianco sinistro della statua
Fig. 14. Su concessione delle Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek München (foto di Hartwig e
Christa Koppermann).
Fig. 18. Arezzo, Museo Archeologico Nazionale “G. Cilnio Mecenate”.
Particolare del fianco sinistro del torso inv. 24670. Su concessione della
Direzione Regionale Musei della
Toscana; divieto di ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi
mezzo.
ISIDE AD AREZZO?
Fig. 19. Ipotesi di ricostruzione del torso
di Arezzo come Iside; disegno di G.C.
159
Fig, 20. Rilievo già a Siena, collezione Chigi.
Da «Studi e materiali di Archeologia e numismatica» 3, 1905.
160
G. CAPECCHI – S. FARALLI
Fig. 21. Detroit, Detroit Institute of Arts
Museum, inv. 2001.47. Bustino in bronzo di
Iside. Su licenza di libero uso del Detroit Institute of Arts.
Fig. 22. Baltimore, Walters Art Museum,
inv. 57.1480. Statuetta di Iside-Fortuna.
Su licenza di libero uso del Walters Art
Museum.
ISIDE AD AREZZO?
Fig. 23. Firenze, Museo Archeologico Nazionale, Villa Corsini. Ritratto femminile su
statua, inv. 13834. Su concessione del Museo
Archeologico Nazionale di Firenze (Direzione
Regionale Musei della Toscana); divieto di ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo.
161
Fig. 24. Napoli, Museo Archeologico
Nazionale. Cippo funerario di donna
isiaca, inv. 2929. Su concessione del
Ministero della Cultura - Museo Archeologico Nazionale di Napoli (foto
di Luigi Spina); divieto di ulteriori
riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo.
162
G. CAPECCHI – S. FARALLI
Fig. 25. Arezzo, Museo Archeologico Nazionale “G. Cilnio Mecenate”. Particolare
della spalla destra del torso inv. 24670. Su
concessione della Direzione Regionale Musei della Toscana; divieto di ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo.
Fig. 26. Arezzo, Museo Archeologico Nazionale “G. Cilnio Mecenate”. Particolare
della spalla sinistra del torso inv. 24670. Su
concessione della Direzione Regionale Musei della Toscana; divieto di ulteriori riproduzioni o duplicazioni con qualsiasi mezzo.
Fig. 27. Arezzo, Archivio
dell’Accademia Petrarca, Ms.
L,I, 14, f. II,13, Tavola III. Disegno di un frammento di testa
femminile (scavi Guillichini
1833). Su concessione dell’Accademia Petrarca di Lettere,
Arti e Scienze di Arezzo.
ISIDE AD AREZZO?
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Fig. 28. L’area tra l’Anfiteatro e il Castro. Catasto Generale Toscano, Comunità di Arezzo. Sez. C3, dettaglio del foglio 3 (1826). Su concessione
del MiC - Archivio di Stato di Arezzo; divieto di ulteriore riproduzione/
duplicazione con qualsiasi mezzo.
Fig. 29. Dettaglio della pianta
di Arezzo (da U.
Tavanti 1928).
164
G. CAPECCHI – S. FARALLI
Fig. 30. Dettaglio della pianta topografica di Arezzo di Guido Signorelli (1882). CASTORE.
Cartografia storica regionale.