Frege’s Über Sinn und Bedeutung
Daniele Mezzadri
Cenni biografici
Il logico, filosofo, e matematico tedesco Gottlob Frege nacque a Wismar, sulla costa baltica,
l’8 novembre del 1848. Alla morte del padre, direttore di una scuola superiore femminile, la
madre di Frege assunse la direzione della scuola. Frege cominciò gli studi universitari
all’università di Jena e li proseguì a Gottinga, studiando prevalentemente matematica, fisica,
chimica, e filosofia. Conseguì il dottorato nel 1873 presentando una tesi su questioni di
geometria. Cominciò poi la carriera di docente non retribuito (Privatdozent) di matematica
all’università di Jena – durante la quale fu sostenuto finanziariamente da amici e colleghi – e
si sposò con Margarete Lieseberg nel 1887. Non ebbero figli, anche se Frege adottò Alfred,
dopo la morte della moglie nel 1903. Frege venne promosso professore ordinario ‘onorario’
nel 1896. Terminò la sua carriera di insegnante universitario nel 1918 e morì a Bad Kleinen
nel 1925.
Frege condusse una vita dedicata principalmente all’insegnamento e allo studio. La sua
prima fondamentale opera è l’Ideografia (‘scrittura concettuale’) pubblicata nel 1879. In essa
Frege fornisce – per la prima volta nella storia – un’esposizione completa della logica
proposizionale e del prim’ordine in forma assiomatica, e getta le basi della ipotesi logicista,
ossia della tesi che le leggi dell’aritmetica siano riducibili a leggi puramente logiche. Questa
tesi è poi esplicitata e difesa nella sua seconda grande opera – I Fondamenti dell’Aritmetica –
pubblicata nel 1884. Negli anni 1891-1893 Frege pubblica tre articoli che avranno un’influenza
decisiva sulla filosofia del linguaggio successiva, “Funzione e Concetto”, “Senso e
Riferimento”, e “Concetto e Oggetto”. Frege si dedica poi a dimostrare la tesi logicista ne I
Principi dell’Aritmetica (opera in due volumi, il primo datato 1893, il secondo 1903). La
scoperta da parte del logico e filosofo inglese Bertrand Russell di una contraddizione nel
sistema di Frege (e l’inabilità da parte di Frege di porvi rimedio) porta al fallimento del progetto
logicista fregeano.
Riferimenti bibliografici dell’opera (originali/attuali/traduzione)
Frege, G. (1892), ‘Über Sinn und Bedeutung’, in Zeitschrift für Philosophie und philosophische
Kritik, 100, 25-50. Traduzioni italiane: ‘Senso e Significato’ in Frege G., Logica e aritmetica,
a cura di C. Mangione, Boringhieri, Torino, 1965. ‘Senso e Riferimento’ in Frege G. Senso,
funzione e concetto; scritti filosofici, a cura di C. Penco, E. Picardi, Laterza Roma-Bari, 2001.
‘Senso e significato’ in Iacona, A., Paganin, E., Filosofia del linguaggio, Cortina, Milano,
2003.
Contesto scientifico-disciplinare in cui si inserisce il testo trattato
L’opera “Senso e Riferimento” si inserisce in un contesto specifico e in uno più generale. Il
contesto specifico è lo sviluppo del pensiero fregeano, in particolare il ripensamento della
nozione di contenuto concettuale – centrale nell’Ideografia del 1879 – e la necessità di far
fronte a problemi relativi al trattamento che, nell’Ideografia, Frege aveva riservato alla
relazione di identità. Ma l’importanza dell’opera trascende gli specifici dettagli del progetto
filosofico fregeano e investe questioni fondamentali nella filosofia del linguaggio. In questo
contesto più ampio, l’opera di Frege si impone come una svolta (anche se non isolata) rispetto
1
all’analisi tradizionale del significato linguistico.1 Qui intendo presentare brevemente la
concezione di ‘contenuto’ che Frege usa nell’Ideografia (e ne I Fondamenti dell’Aritmetica),
discutere il problema degli asserti d’identità, e introdurre la soluzione che nell’Ideografia Frege
offre a questo problema, che, come vedremo, in “Senso e Riferimento” riceverà una soluzione
alternativa. In secondo luogo, intendo discutere il contesto più ampio in cui “Senso e
Riferimento” si inserisce, che consiste in un modo di concepire il significato linguistico
particolarmente diffuso nella filosofia del linguaggio precedente a Frege, soprattutto quella di
matrice empirista.
Frege apre “Senso e Riferimento” (Über Sinn und Bedeutung)2 discutendo la questione
degli enunciati di identità, enunciati della forma “a = a” e “a = b”. Nell’Ideografia Frege
utilizza la nozione di “contenuto” [Inhalt]. Semplificando, si può dire che il contenuto di un
termine singolare è l’oggetto da esso rappresentato, mentre il contenuto di un enunciato è “la
circostanza che…” o “la proposizione che…” l’enunciato esprime. Il caso degli enunciati di
identità, tuttavia, solleva un problema: supponendo che “a = b” sia vero, gli enunciati “a = a”
e “a = b” presentano lo stesso contenuto, perché’ i termini “a” e “b” si riferiscono allo stesso
oggetto. Ma tali enunciati hanno chiaramente un diverso valore conoscitivo e dunque sembrano
avere un diverso significato: mentre il primo esprime una verità a priori (e triviale) il secondo
può arricchire la nostra conoscenza (può essere il prodotto di una importante scoperta
scientifica) e comunque, come dice Frege, non è necessariamente giustificabile a priori.
Nell’Ideografia Frege risolve questo problema sostenendo che gli enunciati di identità
esprimono una relazione (di identità) non tra gli oggetti su cui vertono, ma tra i nomi, o simboli,
di tali oggetti. Dunque, l’enunciato “a = b” afferma che due nomi diversi (“a” e “b”) hanno lo
stesso contenuto, o rappresentano lo stesso oggetto, e in virtù di ciò può essere informativo
mentre “a = a” non lo è.
Veniamo ora al contesto più ampio di “Senso e Riferimento”. Parlare di contenuto di
enunciati e nomi significa parlare di significato. Un modo naturale di intendere il significato di
un enunciato è quello di supporre che un enunciato esprima o comunichi un pensiero e che i
pensieri siano costituiti da idee, nel senso di immagini o componenti mentali. Ma immagini
mentali sono soggettive e private, nel senso che l’immagine mentale evocata in qualcuno nel
pensare al numero tre, per esempio, può facilmente essere diversa da quella evocata in qualcun
altro. Ciò rende difficile spiegare come la comunicazione dei pensieri sia effettivamente
possibile. Una tale visione del significato linguistico è quella adottata da John Locke, ed è
condivisa da numerosi filosofi antecedenti a Locke, e rimarrà influente, se non dominante, fino
alla fine dell’ottocento, cioè fino all’avvento di Frege e della filosofia analitica.3 Come
vedremo, la concezione del significato linguistico che fa da fondamento a “Senso e
Riferimento” è in aperta opposizione a ogni visione del significato come entità mentale e
psicologica.
Contenuto del testo
La soluzione al problema presentato dagli enunciati di identità che Frege aveva adottato
nell’Ideografia, secondo cui enunciati d’identità informativi esprimono una relazione tra
simboli (o nomi) viene criticata in “Senso e Riferimento”. Frege afferma che, dal momento che
la connessione tra un nome e un oggetto è arbitraria (qualsiasi segno può essere usato per
designare un oggetto) un enunciato della forma a = b riguarderebbe soltanto “il nostro modo
di designare e non esprimeremmo alcuna conoscenza genuina” (Frege SR, 26); quindi, “se ogni
1
Si veda Kremer (2010, p. 249).
Per una discussione di questioni relative alla traduzione del titolo del saggio di Frege rimando a Tripodi
(2010, p. 59).
3
Si veda Morris (2007, p. 5) e Miller (1998, pp. 37-38).
2
2
enunciato della forma «a = b» dovesse effettivamente significare una relazione tra simboli,
esso non esprimerebbe alcuna conoscenza sul mondo extra-linguistico […] [ma] costituirebbe
il resoconto di un fatto lessicale” (Kenny, 1995, trad. it. p. 133).
La soluzione che Frege propone in “Senso e Riferimento”, e la base della distinzione
tra le due nozioni, è che nel caso di enunciati di identità informativi, alla diversità tra i nomi
legati dalla relazione di identità “corrisponde una diversità nel modo di darsi di ciò che è
designato” (Frege SR, 26). Nel caso dell’enunciato (vero) “la stella della sera è la stella del
mattino”, i due termini “la stella della sera” e “la stella del mattino” designano lo stesso oggetto
(il pianeta Venere) ma lo fanno in modi diversi; ciò che è designato è dato quindi in due modi
distinti. Frege chiama ciò che è designato da un nome il suo riferimento (Bedeutung) e il modo
in cui il riferimento di un nome è dato, o comunicato, il suo senso (Sinn). Quindi, la nuova
soluzione proposta da Frege spiega l’informatività di un enunciato di identità con il fatto che
nomi con uno stesso riferimento hanno un senso diverso.
Frege applica la distinzione tra senso e riferimento alle componenti linguistiche dei
termini singolari (nomi), dei termini predicativi o concettuali, e degli enunciati completi.4
Cominciamo dalla prima componente, quella dei termini singolari, che Frege chiama “nomi
propri”; esempi sono “Socrate”, “Stoccolma” o “F.C. Internazionale”. Frege afferma che il
riferimento di un termine singolare è un oggetto: il riferimento del nome “Socrate” è
l’“oggetto” – la persona – Socrate, mentre il riferimento del nome “Stoccolma” è la città stessa,
anche se gli oggetti non sono sempre di natura fisica. Il senso di un nome proprio corrisponde
invece a una descrizione definita, cioè una descrizione dell’oggetto in questione tramite la
quale l’oggetto (il riferimento del nome) può essere individuato in maniera univoca. Nel caso
del nome “Socrate” tale descrizione definita può essere “Il filosofo ateniese maestro di
Platone”, “Il filosofo ateniese che fu condannato a morte”, eccetera. Il senso del nome
“Stoccolma”, d’altra parte, può essere espresso dalla descrizione “La capitale della Svezia”.
Quanto detto suggerisce chiaramente che, nel caso di un di un nome proprio, al suo riferimento
generalmente corrispondono sensi diversi (come mostrato dall’esempio di Socrate).
Se il senso viene definito come una determinazione del riferimento di un nome, o un
modo di darsi di esso, in che modo la distinzione tra senso e riferimento si applica a nomi quali
“Odisseo”, “Atlantide”, o “il più grande numero primo”, cioè nomi che non designano alcun
oggetto? In questi casi Frege afferma che tali nomi possiedono un senso, ma non un riferimento,
e ciò significa che la definizione di senso come determinazione o individuazione del
riferimento (come afferma Makin, 2010, p. 152) non può fungere da definizione generale della
nozione di senso in generale, perché non può essere applicata a tutti i nomi. Ma Frege considera
la presenza di nomi privi di riferimento come un difetto del linguaggio naturale, un difetto di
cui devono essere privi linguaggi usati per scopi scientifici (come la stessa ideografia di Frege)
(si veda SR, 41). Su questo punto torneremo successivamente.
Frege applica la distinzione tra senso e riferimento anche ai termini predicativi, termini
quali “rosso”, o “a sinistra di”. Secondo Frege il riferimento di un termine predicativo è un
“concetto” e un concetto è visto da Frege come un particolare tipo di funzione, cioè un’entità
“incompleta” o “insatura” che – una volta saturata da un oggetto – produce un altro oggetto
(Frege considera l’oggetto prodotto dalla saturazione di un concetto e un oggetto, un valore di
verità, nozione che discuteremo tra poco). Concetti hanno anch’essi un modo di presentazione
e ciò corrisponde al senso di un termine predicativo.
In ultimo, Frege applica la distinzione tra senso e riferimento anche agli enunciati
dichiarativi completi, e questo, a differenza del caso dei termini singolari, sembra a prima vista
contro intuitivo. Chiaramente un enunciato come “Stoccolma è la capitale della Svezia” non
4
Tale distinzione è in un certo senso artificiosa, tuttavia, in quanto Frege considera enunciati completi
alla stregua di termini singolari (nomi), come vedremo in seguito.
3
sembra riferirsi ad alcun oggetto e dunque sembra che la nozione di “riferimento” non sia
applicabile in questo caso. Frege afferma che un enunciato dichiarativo esprime un pensiero,
che è afferrato, e comunicato, da chi pronuncia tale enunciato. Frege si chiede “Questo pensiero
è da intendersi come il senso o come il riferimento dell’enunciato?” (SR, 32) Frege argomenta
come segue:
Supponiamo, innanzi tutto, che un enunciato abbia un riferimento. Se in esso
sostituiamo una parola con un’altra, munita del medesimo riferimento ma di senso
diverso, ciò può non avere alcuna ripercussione sul riferimento dell'enunciato. Vediamo
però che in tal caso il pensiero cambia; infatti, ad esempio, il pensiero dell'enunciato
“la Stella del mattino è un corpo illuminato dal sole” è diverso da quello dell'enunciato
“la Stella della sera è un corpo illuminato dal sole”. Infatti, chi non sapesse che la Stella
del mattino è la Stella della sera potrebbe ritenere vero il primo enunciato e falso il
secondo. Il pensiero non può dunque essere il riferimento dell'enunciato, ma dobbiamo
piuttosto concepirlo come il suo senso. (SR, 32)
Dunque il pensiero espresso da un enunciato dichiarativo è il senso dell’enunciato. Ma quale è
il suo riferimento? La circostanza menzionata da Frege, che se in un enunciato sostituiamo una
parola con un’altra, munita del medesimo riferimento ma di senso diverso, ciò non ha alcuna
ripercussione sul riferimento dell'enunciato, ci dà un indizio su cosa egli intenda per il
riferimento di un enunciato. Quello che non cambia nell’effettuare la sostituzione in questione
è infatti il valore di verità dell’enunciato, la sua verità o falsità. Frege infatti concepisce il
riferimento di un enunciato come “la circostanza che sia vero o falso. […] Per brevità chiamo
l’uno il Vero e l’altro il Falso” (SR, 34). Il riferimento di un enunciato non è, per Frege,
indipendente dal riferimento delle sue parti costitutive; uno dei suoi principi guida è infatti il
principio di composizionalità, secondo cui il riferimento di un enunciato dipende da (o è
funzione di) il riferimento delle sue parti costitutive5. Nel caso in cui un nome proprio manchi
di riferimento (non designi alcun oggetto), l’intero enunciato è dunque privo di riferimento, e
quindi di valore di verità. Un enunciato quale “Odisseo approdò a Itaca immerso in un sonno
profondo” ha, secondo Frege, chiaramente un senso e dunque esprime un pensiero, ma, dal
momento che “è dubbio che il nome proprio ‘Odisseo’ abbia un riferimento, è anche dubbio
che l'intero enunciato abbia un riferimento” (SR, 33).
Abbiamo precedentemente detto che sostenere che il riferimento di un enunciato sia un
oggetto sembra contro intuitivo. Non è più naturale concepire i valori di verità come proprietà
di enunciati? Secondo Frege, tuttavia, nulla viene aggiunto al pensiero espresso da un enunciato
dichiarativo dalla predicazione della sua verità; Frege dunque nega che i valori di verità
esprimano proprietà di enunciati, e invece li considera come oggetti (astratti) che gli enunciati
dichiarativi denotano. Ciò significa ovviamente che “tutti gli enunciati veri avranno lo stesso
riferimento, e lo stesso dicasi per tutti quelli falsi. Se ne desume che nel riferimento degli
enunciati ogni elemento di individualità viene cancellato” (SR, 35). Un’altra conseguenza
importante del concepire i valori di verità come oggetti è che la differenza tra nomi propri
(termini singolari) e enunciati dichiarativi si riduce; a livello del senso le due categorie
linguistiche sono distinte dal momento che nomi propri esprimono sensi che non sono pensieri
completi (ma descrizioni definite); ma a livello del riferimento sia termini singolari che
enunciati vengono concepiti da Frege come nomi di oggetti: mentre termini singolari denotano
una moltitudine di oggetti diversi, gli enunciati dichiarativi denotano solo due tipi di oggetti, il
Vero o il Falso. Gli enunciati dichiarativi sono dunque considerati da Frege come nomi
complessi (di valori di verità).
5
Il principio di composizionalità è adottato da Frege sia a livello del riferimento che del senso.
4
Abbiamo offerto una breve panoramica della teoria fregeana del senso e riferimento
delle componenti linguistiche dei nomi propri, dei termini predicativi, e degli enunciati
completi;6 ma c’è una categoria di espressioni linguistiche che non è stata ancora trattata –
quella degli enunciati subordinati – in particolare il caso dei contesti indiretti (o di oratio
obliqua) – che include enunciati della forma “x crede che…”, “x ha detto che…”, “x spera
che…”, eccetera. Tali enunciati sembrano contraddire la tesi fregeana che il riferimento di un
enunciato sia un valore di verità. Una parte significativa di “Senso e Riferimento” (SR, 36-51)
è dedicata proprio ai contesti indiretti, in cui Frege offre un’analisi minuziosa di numerosi casi
particolari di enunciati subordinati; qui, tuttavia, esamineremo brevemente solo il caso di
enunciati subordinati introdotti della forma “x crede che…”.
In che modo tali enunciati pongono un problema per la tesi che il riferimento di un
enunciato sia un valore di verità? Frege afferma: “Se è giusta la nostra congettura che il
riferimento dell’enunciato è il suo valore di verità, quest’ultimo deve restare invariato se una
parte dell’enunciato viene sostituita con un’espressione che ha lo stesso riferimento ma senso
diverso” (SR, 35). Questo è esattamente ciò che non avviene nel caso degli enunciati che
contengono clausole subordinate, come gli enunciati della forma “x crede che…”. Vediamo
perché: dal momento che i termini singolari, per esempio “la stella della sera” e “la stella del
mattino” hanno lo stesso riferimento (il pianeta Venere), la sostituzione di un termine con
l’altro in enunciati diversi non dovrebbe cambiare il loro valore di verità; ma nei casi di
enunciati con clausole subordinate ciò è invece possibile. Anche se è vero che “Mario crede
che la stella della sera sia Venere”, può essere falso che “Mario crede che la stella del mattino
sia Venere”. La soluzione (intuitiva ed elegante) di Frege a questo problema consiste
nell’affermare che l’enunciato subordinato non ha il proprio significato diretto ma un
significato indiretto, che consiste nel suo senso abituale, cioè nel pensiero da esso espresso.
Dunque nei casi dei contesti indiretti “non è lecito sostituire nella subordinata un’espressione
con un’altra che la lo stesso riferimento ordinario, bensì solo con un’espressione che abbia lo
stesso riferimento indiretto, ossia lo stesso senso ordinario” (SR, 37).
Perché il testo è importante
L’importanza che “Senso e Riferimento” ha avuto per la filosofia successiva, soprattutto quella
del linguaggio di stampo analitico, sarebbe difficile da sovrastimare. “Senso e Riferimento”,
insieme ai saggi ad esso sostanzialmente contemporanei, cioè “Funzione e Concetto” e
“Concetto e Oggetto”, è l’opera che sta “a fondamento della moderna teoria semantica”
(Kenny, 1995, trad. it. p. 10), perché contiene un elegante, sistematico e preciso trattamento
del significato linguistico, nozione che nella filosofia tradizionale era spesso stata trattata in
modo generico o superficiale. Ma “Senso e Riferimento” (come del resto tutta la produzione
di Frege su temi di filosofia del linguaggio, della mente, e della logica) rappresenta una svolta
nei confronti della filosofia tradizionale (e del suo trattamento dei significati come idee o
immagini mentali) per la sua visione oggettiva del significato; secondo Frege i sensi degli
enunciati (così come i sensi delle loro parti costitutive) non sono entità mentali e dunque non
sono soggettivi e privati. Questa tesi, che Michael Dummett ha battezzato “l’estromissione dei
pensieri dalla mente”7, e che nel seguito discuteremo, ha contribuito a fondare la filosofia
analitica e ha definito una delle sue assunzioni fondamentali.
In “Senso e Riferimento” Frege afferma:
Dal riferimento e dal senso dei segni va distinta la rappresentazione [Vorstellung] ad
6
Si veda la tavola sinottica della distinzione tra senso e riferimento inclusa nella lettera a Husserl in
Frege (1983, pp. 77-79).
7
Si veda Dummett (1993, trad. it. pp. 33-38).
5
essi connessa. Quando il riferimento di un segno è un oggetto percepibile dai sensi, la
rappresentazione che ne ritengo è un’immagine [Bild] interna […]. L'immagine interna
è spesso intrisa di sentimenti e la nitidezza delle singole parti è disuguale e fluttuante.
Neppure per una stessa persona la stessa rappresentazione è sempre associata allo stesso
senso. La rappresentazione è soggettiva: quella dell’uno è diversa da quella dell'altro.
[…] La rappresentazione differisce così in modo sostanziale dal senso del segno:
quest’ultimo può essere possesso comune di molti e non è parte o modo della psiche
individuale (SR, 29).
Quindi per Frege rappresentazioni e immagini mentali sono private, soggettive, e perciò
incomunicabili. D’altra parte, sia il senso che il riferimento delle componenti costitutive degli
enunciati sono oggettivi e non sono prodotti mentali. Ciò è evidente nel caso dei riferimenti di
termini singolari, in quanto essi sono oggetti (di varia natura) che esistono indipendentemente
dalla mente. Ed è vero, per Frege, anche nel caso dei concetti – i riferimenti di termini
predicativi – che sono funzioni il cui valore è un valore di verità.
Come stanno le cose nel caso dei riferimenti e dei sensi degli enunciati dichiarativi?
Nel primo caso, come detto, Frege identifica tali riferimenti con i due valori di verità, il Vero
e il Falso, che per Frege sono oggetti (logici, e dunque astratti) e come tali indipendenti dalla
mente (come afferma Frege ne I Principi dell’Aritmetica (si veda Frege, 1965, p. 486): “Non
vi è alcuna contraddizione, se un fatto è vero mentre tutti lo ritengono falso”). D’altra parte,
come abbiamo visto, i sensi degli enunciati dichiarativi sono pensieri, che Frege concepisce in
termini oggettivi e non psicologici. Frege infatti nega che essi siano rappresentazioni mentali,
perché, mentre queste ultime, come detto, sono essenzialmente private e necessitano di un
portatore, i pensieri possono invece essere possesso comune di molti, sono oggettivi, e non
necessitano di alcun portatore.
Ciò porta Frege a escludere dal senso degli enunciati il tono, cioè “quell’aspetto del
significato strettamente legato alla tendenza che una parola ha a evocare in chi ascolta […]
immagini mentali o […] stati d’animo” (Tripodi, 2010), in quanto non ha alcuna rilevanza per
la verità o falsità dell’enunciato e dunque non fa parte del pensiero espresso. Per questo motivo
Frege giunge a riconoscere ciò che chiama “il terzo regno” dei pensieri, distinto da quello
soggettivo delle idee e immagini mentali e da quello degli oggetti fisici. Questo aspetto
antipsicologista del pensiero di Frege sulla natura del linguaggio è stato uno dei fattori fondativi
della filosofia analitica; nonostante in pochi abbiano accettato la sua concezione platonista del
pensiero, la metafisica del terzo regno, e la visione iper-soggettivista del tono, l’idea che il
significato sia oggettivo e indipendente da immagini mentali è diventata una convinzione
largamente acquisita nella filosofia analitica. Un’evoluzione naturale della visione fregeana del
significato inteso come qualcosa di oggettivo, esterno alla mente individuale, e dunque nonpsicologico, va trovata nell’idea (quasi unanimemente condivisa dalle seppur diverse scuole
della filosofia analitica) che sia l’istituzione di un linguaggio condiviso, la pratica comune del
parlare una lingua, dove i pensieri trovano espressione, vengono asseriti, interpretati e valutati
(si veda Dummett, 1993, trad. it, p. 37). Un esempio enormemente influente di una analisi del
significato secondo tali linee è quello proposto da Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche
(Wittgenstein, 1953).
Storia degli effetti: ricezione e/o sviluppi successivi di quel settore di studi
Come detto, l’analisi del significato proposta da Frege in “Senso e Riferimento” ebbe un
impatto decisivo sugli sviluppi della filosofia del linguaggio e della logica successivi. I primi
filosofi che risentirono dell’influenza di Frege, e che a loro volta saranno enormemente
influenti, furono Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein. Si può persino dire che è grazie
6
all’attenzione (e ammirazione) da loro dimostrata per il lavoro di Frege che quest’ultimo è
diventato un autore centrale nel panorama della filosofia di orientamento analitico.
La ricezione dell’opera di Frege non fu, ovviamente, acritica. Proprio Russell e
Wittgenstein elaboreranno concezioni del significato in contrasto con quella fregeana. Russell
(Russell, 1905) proporrà una analisi degli enunciati priva della nozione di senso, mentre
Wittgenstein (Wittgenstein, 1922) criticherà radicalmente l’assimilazione di enunciati e nomi,
sostenendo che la nozione di senso pertiene ai primi ma non ai secondi. Queste prime risposte
critiche all’analisi del significato di Frege mostrano che la nozione problematica nella
distinzione tra senso e riferimento è quella di senso. E infatti sembra esserci un ovvio problema
con la nozione di senso fregeana (almeno per quanto riguarda i termini singolari). La
circostanza che, come Frege riconosce (si veda SR, nota a p. 27), sia possibile (e spesso
probabile) che due persone diano allo stesso termine sensi diversi, (e, dato il principio di
composizionalità del senso secondo cui il senso di un enunciato – pensiero – è funzione del
senso delle sue parti costitutive) sembra rendere difficile spiegare come la comunicazione e la
comprensione dei pensieri da parte di persone diverse sia effettivamente possibile. Una
soluzione a questo problema (che mantiene lo spirito della concezione fregeana del senso) data
da filosofi successivi a Frege (si veda per esempio Wittgenstein, 1953, § 79 e, per
un’esposizione più dettagliata, Searle, 1958) sostiene che un’espressione linguistica debba
essere associata non ad un unico senso (inteso come descrizione definita) ma una pluralità (o
insieme) di sensi. Quindi, per poter comprendere un’espressione linguistica e comunicare
pensieri contenenti essa, un parlante deve essere in grado di associare ad essa un certo numero
di sensi diversi, sensi che devono almeno parzialmente essere condivisi da altri parlanti della
comunità linguistica.
Si ricordi la convinzione di Frege che i sensi delle espressioni (degli enunciati e delle
loro parti costitutive) siano ciò che determina i loro riferimenti, e dunque ciò che un parlante
deve conoscere per poter usare le espressioni in questione con il loro riferimento consueto. Ciò
verrà messo radicalmente in discussione dalle teorie del riferimento diretto (nate nella seconda
metà del novecento ad opera del filosofo Saul Kripke), che costituiscono uno degli sviluppi più
importanti della filosofia (del linguaggio, ma non solo) del novecento. Un celebre esempio
usato da Kripke (si veda Kripke, 1980, trad. it. pp. 82-83) per criticare la tesi che il senso di
un’espressione ne determini il riferimento è il seguente: si supponga che il senso associato da
qualcuno al nome Kurt Gödel sia “colui che ha scoperto l’incompletezza dell’aritmetica”; ora,
se Gödel avesse in realtà rubato gli appunti di tal Schmidt, il vero autore del teorema di
incompletezza, e pubblicato il risultato a suo nome, dato che il senso del nome determina il suo
riferimento, con espressioni contenenti il nome “Gödel” ci riferiremmo in realtà a Schmidt, e
non a Gödel. Kripke giudica questa conseguenza altamente contro intuitiva, e, in alternativa,
suggerisce che ciò che fissa il riferimento di un’espressione non sia il suo senso (o i suoi sensi)
ma ciò che chiama un “battesimo originario” (per cui ad un oggetto è associato un nome), e la
successiva catena causale stabilita dall’apprendimento di un linguaggio da parte dei parlanti,
tramite cui essi imparano ad associare il nome all’oggetto originario.
Come si vede dalla precedente rapida panoramica della ricezione dell’opera di Frege,
la distinzione tra senso e riferimento è stata, soprattutto nel corso del novecento, soggetta
critiche e ripensamenti profondi. Ma proprio questo testimonia l’importanza e la fruttuosità
che “Senso e Riferimento” ha avuto per lo sviluppo della filosofia analitica del linguaggio e
che fa di esso un testo centrale, se non addirittura fondativo, della riflessione filosofica
contemporanea sulla natura del linguaggio.
7
Bibliografia:
Dummett M. (1993), Origins of Analytical Philosophy, Duckworth, London (trad. it. Origini
della filosofia analitica, Einaudi, Torino, 2001).
Frege G. (1965), Logica e aritmetica, scritti raccolti a cura di C. Mangione, Boringhieri,
Torino.
Frege G. (1983), Alle origini della nuova logica. Epistolario scientifico, a cura di C. Mangione,
Boringhieri, Torino.
Kenny A. (1995), Frege, Penguin Books, London (trad. it. Frege. Un’introduzione, Einaudi,
Torino, 2003).
Kremer M. (2010), ‘Sense and Reference: the Origins and Development of the Distinction’ in
Potter M., Ricketts T. (eds.), The Cambridge Companion to Frege, Cambridge University
Press, 220-292.
Kripke S. (1980), Naming and Necessity, Blackwell, Oxford (trad. it. Nome e necessità,
Boringhieri, Torino, 1999).
Miller A. (1998), Philosophy of Language, Routledge, London.
Morris M. (2007), An Introduction to the Philosophy of Language, Cambridge University
Press, Cambridge.
Makin G. (2010), ‘Frege’s Distinction Between Sense and Reference’, Philosophy Compass,
Volume 5, Issue 2, 147–163.
Russell B. (1905), ‘On Denoting’, Mind, Vol. 14, No. 56, 479-493.
Searle J. (1958), ‘Proper Names’, Mind, Vol. 67, No. 266, 166-173.
Tripodi V. (2010), ‘La Distinzione Fregeana tra Senso e Riferimento’, <<www.aphex.it>>, 1,
58-74.
Wittgenstein L. (1922), Tractatus Logico-Philosophicus, Cambridge University Press,
Cambridge (trad. it. Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino).
Wittgenstein L. (1953), Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford (trad. it.
Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino).
Ulteriori suggerimenti per approfondire:
Carl W. (1995), Frege’s Theory of Sense and Reference. Its Origins and Scope, Cambridge
University Press, Cambridge.
Dummett M. (1973), Frege. Philosophy of Language, Duckworth (trad. it. parziale Filosofia
del linguaggio. Saggio su Frege, Marietti, Genova).
8
Penco C. (2010), Frege, Carocci, Roma.
Picardi E. (1989), ‘Über Sinn und Bedeutung. Un’esposizione elementare’, prima parte in
«Lingua e Stile», XXIV (1989), pp. 331-364; seconda parte in «Lingua e Stile», XXV (1990),
pp.159-199.
Textor M. (2011), Frege on Sense and Reference, Routledge, London.
9