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Gottlob Frege, Senso e riferimento (1892)

2020, Biblioteca Analitica: I Testi Fondamentali (Ed. Tripodi P., Bonino G., Gabbani C.)

Il logico, filosofo, e matematico tedesco Gottlob Frege nacque a Wismar, sulla costa baltica, l'8 novembre del 1848. Alla morte del padre, direttore di una scuola superiore femminile, la madre di Frege assunse la direzione della scuola. Frege cominciò gli studi universitari all'università di Jena e li proseguì a Gottinga, studiando prevalentemente matematica, fisica, chimica, e filosofia. Conseguì il dottorato nel 1873 presentando una tesi su questioni di geometria. Cominciò poi la carriera di docente non retribuito (Privatdozent) di matematica all'università di Jena-durante la quale fu sostenuto finanziariamente da amici e colleghi-e si sposò con Margarete Lieseberg nel 1887. Non ebbero figli, anche se Frege adottò Alfred, dopo la morte della moglie nel 1903. Frege venne promosso professore ordinario 'onorario' nel 1896. Terminò la sua carriera di insegnante universitario nel 1918 e morì a Bad Kleinen nel 1925. Frege condusse una vita dedicata principalmente all'insegnamento e allo studio. La sua prima fondamentale opera è l'Ideografia ('scrittura concettuale') pubblicata nel 1879. In essa Frege fornisce-per la prima volta nella storia-un'esposizione completa della logica proposizionale e del prim'ordine in forma assiomatica, e getta le basi della ipotesi logicista, ossia della tesi che le leggi dell'aritmetica siano riducibili a leggi puramente logiche. Questa tesi è poi esplicitata e difesa nella sua seconda grande opera-I Fondamenti dell'Aritmeticapubblicata nel 1884. Negli anni 1891-1893 Frege pubblica tre articoli che avranno un'influenza decisiva sulla filosofia del linguaggio successiva, "Funzione e Concetto", "Senso e Riferimento", e "Concetto e Oggetto". Frege si dedica poi a dimostrare la tesi logicista ne I Principi dell'Aritmetica (opera in due volumi, il primo datato 1893, il secondo 1903). La scoperta da parte del logico e filosofo inglese Bertrand Russell di una contraddizione nel sistema di Frege (e l'inabilità da parte di Frege di porvi rimedio) porta al fallimento del progetto logicista fregeano. Riferimenti bibliografici dell'opera (originali/attuali/traduzione)

Frege’s Über Sinn und Bedeutung Daniele Mezzadri Cenni biografici Il logico, filosofo, e matematico tedesco Gottlob Frege nacque a Wismar, sulla costa baltica, l’8 novembre del 1848. Alla morte del padre, direttore di una scuola superiore femminile, la madre di Frege assunse la direzione della scuola. Frege cominciò gli studi universitari all’università di Jena e li proseguì a Gottinga, studiando prevalentemente matematica, fisica, chimica, e filosofia. Conseguì il dottorato nel 1873 presentando una tesi su questioni di geometria. Cominciò poi la carriera di docente non retribuito (Privatdozent) di matematica all’università di Jena – durante la quale fu sostenuto finanziariamente da amici e colleghi – e si sposò con Margarete Lieseberg nel 1887. Non ebbero figli, anche se Frege adottò Alfred, dopo la morte della moglie nel 1903. Frege venne promosso professore ordinario ‘onorario’ nel 1896. Terminò la sua carriera di insegnante universitario nel 1918 e morì a Bad Kleinen nel 1925. Frege condusse una vita dedicata principalmente all’insegnamento e allo studio. La sua prima fondamentale opera è l’Ideografia (‘scrittura concettuale’) pubblicata nel 1879. In essa Frege fornisce – per la prima volta nella storia – un’esposizione completa della logica proposizionale e del prim’ordine in forma assiomatica, e getta le basi della ipotesi logicista, ossia della tesi che le leggi dell’aritmetica siano riducibili a leggi puramente logiche. Questa tesi è poi esplicitata e difesa nella sua seconda grande opera – I Fondamenti dell’Aritmetica – pubblicata nel 1884. Negli anni 1891-1893 Frege pubblica tre articoli che avranno un’influenza decisiva sulla filosofia del linguaggio successiva, “Funzione e Concetto”, “Senso e Riferimento”, e “Concetto e Oggetto”. Frege si dedica poi a dimostrare la tesi logicista ne I Principi dell’Aritmetica (opera in due volumi, il primo datato 1893, il secondo 1903). La scoperta da parte del logico e filosofo inglese Bertrand Russell di una contraddizione nel sistema di Frege (e l’inabilità da parte di Frege di porvi rimedio) porta al fallimento del progetto logicista fregeano. Riferimenti bibliografici dell’opera (originali/attuali/traduzione) Frege, G. (1892), ‘Über Sinn und Bedeutung’, in Zeitschrift für Philosophie und philosophische Kritik, 100, 25-50. Traduzioni italiane: ‘Senso e Significato’ in Frege G., Logica e aritmetica, a cura di C. Mangione, Boringhieri, Torino, 1965. ‘Senso e Riferimento’ in Frege G. Senso, funzione e concetto; scritti filosofici, a cura di C. Penco, E. Picardi, Laterza Roma-Bari, 2001. ‘Senso e significato’ in Iacona, A., Paganin, E., Filosofia del linguaggio, Cortina, Milano, 2003. Contesto scientifico-disciplinare in cui si inserisce il testo trattato L’opera “Senso e Riferimento” si inserisce in un contesto specifico e in uno più generale. Il contesto specifico è lo sviluppo del pensiero fregeano, in particolare il ripensamento della nozione di contenuto concettuale – centrale nell’Ideografia del 1879 – e la necessità di far fronte a problemi relativi al trattamento che, nell’Ideografia, Frege aveva riservato alla relazione di identità. Ma l’importanza dell’opera trascende gli specifici dettagli del progetto filosofico fregeano e investe questioni fondamentali nella filosofia del linguaggio. In questo contesto più ampio, l’opera di Frege si impone come una svolta (anche se non isolata) rispetto 1 all’analisi tradizionale del significato linguistico.1 Qui intendo presentare brevemente la concezione di ‘contenuto’ che Frege usa nell’Ideografia (e ne I Fondamenti dell’Aritmetica), discutere il problema degli asserti d’identità, e introdurre la soluzione che nell’Ideografia Frege offre a questo problema, che, come vedremo, in “Senso e Riferimento” riceverà una soluzione alternativa. In secondo luogo, intendo discutere il contesto più ampio in cui “Senso e Riferimento” si inserisce, che consiste in un modo di concepire il significato linguistico particolarmente diffuso nella filosofia del linguaggio precedente a Frege, soprattutto quella di matrice empirista. Frege apre “Senso e Riferimento” (Über Sinn und Bedeutung)2 discutendo la questione degli enunciati di identità, enunciati della forma “a = a” e “a = b”. Nell’Ideografia Frege utilizza la nozione di “contenuto” [Inhalt]. Semplificando, si può dire che il contenuto di un termine singolare è l’oggetto da esso rappresentato, mentre il contenuto di un enunciato è “la circostanza che…” o “la proposizione che…” l’enunciato esprime. Il caso degli enunciati di identità, tuttavia, solleva un problema: supponendo che “a = b” sia vero, gli enunciati “a = a” e “a = b” presentano lo stesso contenuto, perché’ i termini “a” e “b” si riferiscono allo stesso oggetto. Ma tali enunciati hanno chiaramente un diverso valore conoscitivo e dunque sembrano avere un diverso significato: mentre il primo esprime una verità a priori (e triviale) il secondo può arricchire la nostra conoscenza (può essere il prodotto di una importante scoperta scientifica) e comunque, come dice Frege, non è necessariamente giustificabile a priori. Nell’Ideografia Frege risolve questo problema sostenendo che gli enunciati di identità esprimono una relazione (di identità) non tra gli oggetti su cui vertono, ma tra i nomi, o simboli, di tali oggetti. Dunque, l’enunciato “a = b” afferma che due nomi diversi (“a” e “b”) hanno lo stesso contenuto, o rappresentano lo stesso oggetto, e in virtù di ciò può essere informativo mentre “a = a” non lo è. Veniamo ora al contesto più ampio di “Senso e Riferimento”. Parlare di contenuto di enunciati e nomi significa parlare di significato. Un modo naturale di intendere il significato di un enunciato è quello di supporre che un enunciato esprima o comunichi un pensiero e che i pensieri siano costituiti da idee, nel senso di immagini o componenti mentali. Ma immagini mentali sono soggettive e private, nel senso che l’immagine mentale evocata in qualcuno nel pensare al numero tre, per esempio, può facilmente essere diversa da quella evocata in qualcun altro. Ciò rende difficile spiegare come la comunicazione dei pensieri sia effettivamente possibile. Una tale visione del significato linguistico è quella adottata da John Locke, ed è condivisa da numerosi filosofi antecedenti a Locke, e rimarrà influente, se non dominante, fino alla fine dell’ottocento, cioè fino all’avvento di Frege e della filosofia analitica.3 Come vedremo, la concezione del significato linguistico che fa da fondamento a “Senso e Riferimento” è in aperta opposizione a ogni visione del significato come entità mentale e psicologica. Contenuto del testo La soluzione al problema presentato dagli enunciati di identità che Frege aveva adottato nell’Ideografia, secondo cui enunciati d’identità informativi esprimono una relazione tra simboli (o nomi) viene criticata in “Senso e Riferimento”. Frege afferma che, dal momento che la connessione tra un nome e un oggetto è arbitraria (qualsiasi segno può essere usato per designare un oggetto) un enunciato della forma a = b riguarderebbe soltanto “il nostro modo di designare e non esprimeremmo alcuna conoscenza genuina” (Frege SR, 26); quindi, “se ogni 1 Si veda Kremer (2010, p. 249). Per una discussione di questioni relative alla traduzione del titolo del saggio di Frege rimando a Tripodi (2010, p. 59). 3 Si veda Morris (2007, p. 5) e Miller (1998, pp. 37-38). 2 2 enunciato della forma «a = b» dovesse effettivamente significare una relazione tra simboli, esso non esprimerebbe alcuna conoscenza sul mondo extra-linguistico […] [ma] costituirebbe il resoconto di un fatto lessicale” (Kenny, 1995, trad. it. p. 133). La soluzione che Frege propone in “Senso e Riferimento”, e la base della distinzione tra le due nozioni, è che nel caso di enunciati di identità informativi, alla diversità tra i nomi legati dalla relazione di identità “corrisponde una diversità nel modo di darsi di ciò che è designato” (Frege SR, 26). Nel caso dell’enunciato (vero) “la stella della sera è la stella del mattino”, i due termini “la stella della sera” e “la stella del mattino” designano lo stesso oggetto (il pianeta Venere) ma lo fanno in modi diversi; ciò che è designato è dato quindi in due modi distinti. Frege chiama ciò che è designato da un nome il suo riferimento (Bedeutung) e il modo in cui il riferimento di un nome è dato, o comunicato, il suo senso (Sinn). Quindi, la nuova soluzione proposta da Frege spiega l’informatività di un enunciato di identità con il fatto che nomi con uno stesso riferimento hanno un senso diverso. Frege applica la distinzione tra senso e riferimento alle componenti linguistiche dei termini singolari (nomi), dei termini predicativi o concettuali, e degli enunciati completi.4 Cominciamo dalla prima componente, quella dei termini singolari, che Frege chiama “nomi propri”; esempi sono “Socrate”, “Stoccolma” o “F.C. Internazionale”. Frege afferma che il riferimento di un termine singolare è un oggetto: il riferimento del nome “Socrate” è l’“oggetto” – la persona – Socrate, mentre il riferimento del nome “Stoccolma” è la città stessa, anche se gli oggetti non sono sempre di natura fisica. Il senso di un nome proprio corrisponde invece a una descrizione definita, cioè una descrizione dell’oggetto in questione tramite la quale l’oggetto (il riferimento del nome) può essere individuato in maniera univoca. Nel caso del nome “Socrate” tale descrizione definita può essere “Il filosofo ateniese maestro di Platone”, “Il filosofo ateniese che fu condannato a morte”, eccetera. Il senso del nome “Stoccolma”, d’altra parte, può essere espresso dalla descrizione “La capitale della Svezia”. Quanto detto suggerisce chiaramente che, nel caso di un di un nome proprio, al suo riferimento generalmente corrispondono sensi diversi (come mostrato dall’esempio di Socrate). Se il senso viene definito come una determinazione del riferimento di un nome, o un modo di darsi di esso, in che modo la distinzione tra senso e riferimento si applica a nomi quali “Odisseo”, “Atlantide”, o “il più grande numero primo”, cioè nomi che non designano alcun oggetto? In questi casi Frege afferma che tali nomi possiedono un senso, ma non un riferimento, e ciò significa che la definizione di senso come determinazione o individuazione del riferimento (come afferma Makin, 2010, p. 152) non può fungere da definizione generale della nozione di senso in generale, perché non può essere applicata a tutti i nomi. Ma Frege considera la presenza di nomi privi di riferimento come un difetto del linguaggio naturale, un difetto di cui devono essere privi linguaggi usati per scopi scientifici (come la stessa ideografia di Frege) (si veda SR, 41). Su questo punto torneremo successivamente. Frege applica la distinzione tra senso e riferimento anche ai termini predicativi, termini quali “rosso”, o “a sinistra di”. Secondo Frege il riferimento di un termine predicativo è un “concetto” e un concetto è visto da Frege come un particolare tipo di funzione, cioè un’entità “incompleta” o “insatura” che – una volta saturata da un oggetto – produce un altro oggetto (Frege considera l’oggetto prodotto dalla saturazione di un concetto e un oggetto, un valore di verità, nozione che discuteremo tra poco). Concetti hanno anch’essi un modo di presentazione e ciò corrisponde al senso di un termine predicativo. In ultimo, Frege applica la distinzione tra senso e riferimento anche agli enunciati dichiarativi completi, e questo, a differenza del caso dei termini singolari, sembra a prima vista contro intuitivo. Chiaramente un enunciato come “Stoccolma è la capitale della Svezia” non 4 Tale distinzione è in un certo senso artificiosa, tuttavia, in quanto Frege considera enunciati completi alla stregua di termini singolari (nomi), come vedremo in seguito. 3 sembra riferirsi ad alcun oggetto e dunque sembra che la nozione di “riferimento” non sia applicabile in questo caso. Frege afferma che un enunciato dichiarativo esprime un pensiero, che è afferrato, e comunicato, da chi pronuncia tale enunciato. Frege si chiede “Questo pensiero è da intendersi come il senso o come il riferimento dell’enunciato?” (SR, 32) Frege argomenta come segue: Supponiamo, innanzi tutto, che un enunciato abbia un riferimento. Se in esso sostituiamo una parola con un’altra, munita del medesimo riferimento ma di senso diverso, ciò può non avere alcuna ripercussione sul riferimento dell'enunciato. Vediamo però che in tal caso il pensiero cambia; infatti, ad esempio, il pensiero dell'enunciato “la Stella del mattino è un corpo illuminato dal sole” è diverso da quello dell'enunciato “la Stella della sera è un corpo illuminato dal sole”. Infatti, chi non sapesse che la Stella del mattino è la Stella della sera potrebbe ritenere vero il primo enunciato e falso il secondo. Il pensiero non può dunque essere il riferimento dell'enunciato, ma dobbiamo piuttosto concepirlo come il suo senso. (SR, 32) Dunque il pensiero espresso da un enunciato dichiarativo è il senso dell’enunciato. Ma quale è il suo riferimento? La circostanza menzionata da Frege, che se in un enunciato sostituiamo una parola con un’altra, munita del medesimo riferimento ma di senso diverso, ciò non ha alcuna ripercussione sul riferimento dell'enunciato, ci dà un indizio su cosa egli intenda per il riferimento di un enunciato. Quello che non cambia nell’effettuare la sostituzione in questione è infatti il valore di verità dell’enunciato, la sua verità o falsità. Frege infatti concepisce il riferimento di un enunciato come “la circostanza che sia vero o falso. […] Per brevità chiamo l’uno il Vero e l’altro il Falso” (SR, 34). Il riferimento di un enunciato non è, per Frege, indipendente dal riferimento delle sue parti costitutive; uno dei suoi principi guida è infatti il principio di composizionalità, secondo cui il riferimento di un enunciato dipende da (o è funzione di) il riferimento delle sue parti costitutive5. Nel caso in cui un nome proprio manchi di riferimento (non designi alcun oggetto), l’intero enunciato è dunque privo di riferimento, e quindi di valore di verità. Un enunciato quale “Odisseo approdò a Itaca immerso in un sonno profondo” ha, secondo Frege, chiaramente un senso e dunque esprime un pensiero, ma, dal momento che “è dubbio che il nome proprio ‘Odisseo’ abbia un riferimento, è anche dubbio che l'intero enunciato abbia un riferimento” (SR, 33). Abbiamo precedentemente detto che sostenere che il riferimento di un enunciato sia un oggetto sembra contro intuitivo. Non è più naturale concepire i valori di verità come proprietà di enunciati? Secondo Frege, tuttavia, nulla viene aggiunto al pensiero espresso da un enunciato dichiarativo dalla predicazione della sua verità; Frege dunque nega che i valori di verità esprimano proprietà di enunciati, e invece li considera come oggetti (astratti) che gli enunciati dichiarativi denotano. Ciò significa ovviamente che “tutti gli enunciati veri avranno lo stesso riferimento, e lo stesso dicasi per tutti quelli falsi. Se ne desume che nel riferimento degli enunciati ogni elemento di individualità viene cancellato” (SR, 35). Un’altra conseguenza importante del concepire i valori di verità come oggetti è che la differenza tra nomi propri (termini singolari) e enunciati dichiarativi si riduce; a livello del senso le due categorie linguistiche sono distinte dal momento che nomi propri esprimono sensi che non sono pensieri completi (ma descrizioni definite); ma a livello del riferimento sia termini singolari che enunciati vengono concepiti da Frege come nomi di oggetti: mentre termini singolari denotano una moltitudine di oggetti diversi, gli enunciati dichiarativi denotano solo due tipi di oggetti, il Vero o il Falso. Gli enunciati dichiarativi sono dunque considerati da Frege come nomi complessi (di valori di verità). 5 Il principio di composizionalità è adottato da Frege sia a livello del riferimento che del senso. 4 Abbiamo offerto una breve panoramica della teoria fregeana del senso e riferimento delle componenti linguistiche dei nomi propri, dei termini predicativi, e degli enunciati completi;6 ma c’è una categoria di espressioni linguistiche che non è stata ancora trattata – quella degli enunciati subordinati – in particolare il caso dei contesti indiretti (o di oratio obliqua) – che include enunciati della forma “x crede che…”, “x ha detto che…”, “x spera che…”, eccetera. Tali enunciati sembrano contraddire la tesi fregeana che il riferimento di un enunciato sia un valore di verità. Una parte significativa di “Senso e Riferimento” (SR, 36-51) è dedicata proprio ai contesti indiretti, in cui Frege offre un’analisi minuziosa di numerosi casi particolari di enunciati subordinati; qui, tuttavia, esamineremo brevemente solo il caso di enunciati subordinati introdotti della forma “x crede che…”. In che modo tali enunciati pongono un problema per la tesi che il riferimento di un enunciato sia un valore di verità? Frege afferma: “Se è giusta la nostra congettura che il riferimento dell’enunciato è il suo valore di verità, quest’ultimo deve restare invariato se una parte dell’enunciato viene sostituita con un’espressione che ha lo stesso riferimento ma senso diverso” (SR, 35). Questo è esattamente ciò che non avviene nel caso degli enunciati che contengono clausole subordinate, come gli enunciati della forma “x crede che…”. Vediamo perché: dal momento che i termini singolari, per esempio “la stella della sera” e “la stella del mattino” hanno lo stesso riferimento (il pianeta Venere), la sostituzione di un termine con l’altro in enunciati diversi non dovrebbe cambiare il loro valore di verità; ma nei casi di enunciati con clausole subordinate ciò è invece possibile. Anche se è vero che “Mario crede che la stella della sera sia Venere”, può essere falso che “Mario crede che la stella del mattino sia Venere”. La soluzione (intuitiva ed elegante) di Frege a questo problema consiste nell’affermare che l’enunciato subordinato non ha il proprio significato diretto ma un significato indiretto, che consiste nel suo senso abituale, cioè nel pensiero da esso espresso. Dunque nei casi dei contesti indiretti “non è lecito sostituire nella subordinata un’espressione con un’altra che la lo stesso riferimento ordinario, bensì solo con un’espressione che abbia lo stesso riferimento indiretto, ossia lo stesso senso ordinario” (SR, 37). Perché il testo è importante L’importanza che “Senso e Riferimento” ha avuto per la filosofia successiva, soprattutto quella del linguaggio di stampo analitico, sarebbe difficile da sovrastimare. “Senso e Riferimento”, insieme ai saggi ad esso sostanzialmente contemporanei, cioè “Funzione e Concetto” e “Concetto e Oggetto”, è l’opera che sta “a fondamento della moderna teoria semantica” (Kenny, 1995, trad. it. p. 10), perché contiene un elegante, sistematico e preciso trattamento del significato linguistico, nozione che nella filosofia tradizionale era spesso stata trattata in modo generico o superficiale. Ma “Senso e Riferimento” (come del resto tutta la produzione di Frege su temi di filosofia del linguaggio, della mente, e della logica) rappresenta una svolta nei confronti della filosofia tradizionale (e del suo trattamento dei significati come idee o immagini mentali) per la sua visione oggettiva del significato; secondo Frege i sensi degli enunciati (così come i sensi delle loro parti costitutive) non sono entità mentali e dunque non sono soggettivi e privati. Questa tesi, che Michael Dummett ha battezzato “l’estromissione dei pensieri dalla mente”7, e che nel seguito discuteremo, ha contribuito a fondare la filosofia analitica e ha definito una delle sue assunzioni fondamentali. In “Senso e Riferimento” Frege afferma: Dal riferimento e dal senso dei segni va distinta la rappresentazione [Vorstellung] ad 6 Si veda la tavola sinottica della distinzione tra senso e riferimento inclusa nella lettera a Husserl in Frege (1983, pp. 77-79). 7 Si veda Dummett (1993, trad. it. pp. 33-38). 5 essi connessa. Quando il riferimento di un segno è un oggetto percepibile dai sensi, la rappresentazione che ne ritengo è un’immagine [Bild] interna […]. L'immagine interna è spesso intrisa di sentimenti e la nitidezza delle singole parti è disuguale e fluttuante. Neppure per una stessa persona la stessa rappresentazione è sempre associata allo stesso senso. La rappresentazione è soggettiva: quella dell’uno è diversa da quella dell'altro. […] La rappresentazione differisce così in modo sostanziale dal senso del segno: quest’ultimo può essere possesso comune di molti e non è parte o modo della psiche individuale (SR, 29). Quindi per Frege rappresentazioni e immagini mentali sono private, soggettive, e perciò incomunicabili. D’altra parte, sia il senso che il riferimento delle componenti costitutive degli enunciati sono oggettivi e non sono prodotti mentali. Ciò è evidente nel caso dei riferimenti di termini singolari, in quanto essi sono oggetti (di varia natura) che esistono indipendentemente dalla mente. Ed è vero, per Frege, anche nel caso dei concetti – i riferimenti di termini predicativi – che sono funzioni il cui valore è un valore di verità. Come stanno le cose nel caso dei riferimenti e dei sensi degli enunciati dichiarativi? Nel primo caso, come detto, Frege identifica tali riferimenti con i due valori di verità, il Vero e il Falso, che per Frege sono oggetti (logici, e dunque astratti) e come tali indipendenti dalla mente (come afferma Frege ne I Principi dell’Aritmetica (si veda Frege, 1965, p. 486): “Non vi è alcuna contraddizione, se un fatto è vero mentre tutti lo ritengono falso”). D’altra parte, come abbiamo visto, i sensi degli enunciati dichiarativi sono pensieri, che Frege concepisce in termini oggettivi e non psicologici. Frege infatti nega che essi siano rappresentazioni mentali, perché, mentre queste ultime, come detto, sono essenzialmente private e necessitano di un portatore, i pensieri possono invece essere possesso comune di molti, sono oggettivi, e non necessitano di alcun portatore. Ciò porta Frege a escludere dal senso degli enunciati il tono, cioè “quell’aspetto del significato strettamente legato alla tendenza che una parola ha a evocare in chi ascolta […] immagini mentali o […] stati d’animo” (Tripodi, 2010), in quanto non ha alcuna rilevanza per la verità o falsità dell’enunciato e dunque non fa parte del pensiero espresso. Per questo motivo Frege giunge a riconoscere ciò che chiama “il terzo regno” dei pensieri, distinto da quello soggettivo delle idee e immagini mentali e da quello degli oggetti fisici. Questo aspetto antipsicologista del pensiero di Frege sulla natura del linguaggio è stato uno dei fattori fondativi della filosofia analitica; nonostante in pochi abbiano accettato la sua concezione platonista del pensiero, la metafisica del terzo regno, e la visione iper-soggettivista del tono, l’idea che il significato sia oggettivo e indipendente da immagini mentali è diventata una convinzione largamente acquisita nella filosofia analitica. Un’evoluzione naturale della visione fregeana del significato inteso come qualcosa di oggettivo, esterno alla mente individuale, e dunque nonpsicologico, va trovata nell’idea (quasi unanimemente condivisa dalle seppur diverse scuole della filosofia analitica) che sia l’istituzione di un linguaggio condiviso, la pratica comune del parlare una lingua, dove i pensieri trovano espressione, vengono asseriti, interpretati e valutati (si veda Dummett, 1993, trad. it, p. 37). Un esempio enormemente influente di una analisi del significato secondo tali linee è quello proposto da Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche (Wittgenstein, 1953). Storia degli effetti: ricezione e/o sviluppi successivi di quel settore di studi Come detto, l’analisi del significato proposta da Frege in “Senso e Riferimento” ebbe un impatto decisivo sugli sviluppi della filosofia del linguaggio e della logica successivi. I primi filosofi che risentirono dell’influenza di Frege, e che a loro volta saranno enormemente influenti, furono Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein. Si può persino dire che è grazie 6 all’attenzione (e ammirazione) da loro dimostrata per il lavoro di Frege che quest’ultimo è diventato un autore centrale nel panorama della filosofia di orientamento analitico. La ricezione dell’opera di Frege non fu, ovviamente, acritica. Proprio Russell e Wittgenstein elaboreranno concezioni del significato in contrasto con quella fregeana. Russell (Russell, 1905) proporrà una analisi degli enunciati priva della nozione di senso, mentre Wittgenstein (Wittgenstein, 1922) criticherà radicalmente l’assimilazione di enunciati e nomi, sostenendo che la nozione di senso pertiene ai primi ma non ai secondi. Queste prime risposte critiche all’analisi del significato di Frege mostrano che la nozione problematica nella distinzione tra senso e riferimento è quella di senso. E infatti sembra esserci un ovvio problema con la nozione di senso fregeana (almeno per quanto riguarda i termini singolari). La circostanza che, come Frege riconosce (si veda SR, nota a p. 27), sia possibile (e spesso probabile) che due persone diano allo stesso termine sensi diversi, (e, dato il principio di composizionalità del senso secondo cui il senso di un enunciato – pensiero – è funzione del senso delle sue parti costitutive) sembra rendere difficile spiegare come la comunicazione e la comprensione dei pensieri da parte di persone diverse sia effettivamente possibile. Una soluzione a questo problema (che mantiene lo spirito della concezione fregeana del senso) data da filosofi successivi a Frege (si veda per esempio Wittgenstein, 1953, § 79 e, per un’esposizione più dettagliata, Searle, 1958) sostiene che un’espressione linguistica debba essere associata non ad un unico senso (inteso come descrizione definita) ma una pluralità (o insieme) di sensi. Quindi, per poter comprendere un’espressione linguistica e comunicare pensieri contenenti essa, un parlante deve essere in grado di associare ad essa un certo numero di sensi diversi, sensi che devono almeno parzialmente essere condivisi da altri parlanti della comunità linguistica. Si ricordi la convinzione di Frege che i sensi delle espressioni (degli enunciati e delle loro parti costitutive) siano ciò che determina i loro riferimenti, e dunque ciò che un parlante deve conoscere per poter usare le espressioni in questione con il loro riferimento consueto. Ciò verrà messo radicalmente in discussione dalle teorie del riferimento diretto (nate nella seconda metà del novecento ad opera del filosofo Saul Kripke), che costituiscono uno degli sviluppi più importanti della filosofia (del linguaggio, ma non solo) del novecento. Un celebre esempio usato da Kripke (si veda Kripke, 1980, trad. it. pp. 82-83) per criticare la tesi che il senso di un’espressione ne determini il riferimento è il seguente: si supponga che il senso associato da qualcuno al nome Kurt Gödel sia “colui che ha scoperto l’incompletezza dell’aritmetica”; ora, se Gödel avesse in realtà rubato gli appunti di tal Schmidt, il vero autore del teorema di incompletezza, e pubblicato il risultato a suo nome, dato che il senso del nome determina il suo riferimento, con espressioni contenenti il nome “Gödel” ci riferiremmo in realtà a Schmidt, e non a Gödel. Kripke giudica questa conseguenza altamente contro intuitiva, e, in alternativa, suggerisce che ciò che fissa il riferimento di un’espressione non sia il suo senso (o i suoi sensi) ma ciò che chiama un “battesimo originario” (per cui ad un oggetto è associato un nome), e la successiva catena causale stabilita dall’apprendimento di un linguaggio da parte dei parlanti, tramite cui essi imparano ad associare il nome all’oggetto originario. Come si vede dalla precedente rapida panoramica della ricezione dell’opera di Frege, la distinzione tra senso e riferimento è stata, soprattutto nel corso del novecento, soggetta critiche e ripensamenti profondi. Ma proprio questo testimonia l’importanza e la fruttuosità che “Senso e Riferimento” ha avuto per lo sviluppo della filosofia analitica del linguaggio e che fa di esso un testo centrale, se non addirittura fondativo, della riflessione filosofica contemporanea sulla natura del linguaggio. 7 Bibliografia: Dummett M. (1993), Origins of Analytical Philosophy, Duckworth, London (trad. it. Origini della filosofia analitica, Einaudi, Torino, 2001). Frege G. (1965), Logica e aritmetica, scritti raccolti a cura di C. Mangione, Boringhieri, Torino. Frege G. (1983), Alle origini della nuova logica. Epistolario scientifico, a cura di C. Mangione, Boringhieri, Torino. Kenny A. (1995), Frege, Penguin Books, London (trad. it. Frege. Un’introduzione, Einaudi, Torino, 2003). Kremer M. (2010), ‘Sense and Reference: the Origins and Development of the Distinction’ in Potter M., Ricketts T. (eds.), The Cambridge Companion to Frege, Cambridge University Press, 220-292. Kripke S. (1980), Naming and Necessity, Blackwell, Oxford (trad. it. Nome e necessità, Boringhieri, Torino, 1999). Miller A. (1998), Philosophy of Language, Routledge, London. Morris M. (2007), An Introduction to the Philosophy of Language, Cambridge University Press, Cambridge. Makin G. 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