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ISTITUZIONI
DEL FEDERALISMO
Rivista di studi giuridici e politici
3
2017 • ANNO XXXVIII
luglio/settembre
LA RIGENERAZIONE URBANA E LE NUOVE
SFIDE PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO
DIRETTORE DELLA RIVISTA
Gianluca Gardini
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INDICE
EDITORIALE
597
L’uso accettabile del territorio
Marco Dugato
SAGGI E ARTICOLI
603
Rigenerazione urbana e governo del territorio
Gian Franco Cartei
625
Le politiche di rigenerazione dei territori tra interventi legislativi e pratiche locali
Ruggiero Dipace
651
La rigenerazione urbana nelle recenti leggi urbanistiche e
del governo del territorio
Gabriele Torelli
681
La riforma urbanistica in Emilia-Romagna tra presente e
futuro
Tommaso Bonetti
711
Emergenza sisma e nuovi strumenti decisionali: la pianificazione delle zone colpite dai terremoti 2016-2017
Federico Spanicciati
NOTE E COMMENTI
743
Migrazioni: norme, pratiche di integrazione e territorio
Paola de Salvo
765
Insularità, autogoverno e fiscalità di sviluppo nella prospettiva della macroregione del Mediterraneo occidentale
Gaetano Armao
596
ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO
3.2017
791
Il riparto delle competenze in tema di beni culturali e la
leale collaborazione
Giuseppe Manfredi
811
Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e le inevitabili sovrapposizioni di competenza. Una lettura alla luce della giurisprudenza costituzionale
Carolina Pellegrino
OSSERVATORIO REGIONALE
827
Tutela dell’ambiente e riduzione del consumo di suolo nella legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 24/2017
Micol Roversi Monaco
837
Istituzionalizzare la partecipazione? Le leggi sulla partecipazione in Italia
Marco Brunazzo
865
Il nuovo ordine delle Unioni di Comuni in Emilia-Romagna
Emanuele Petrilli
889
Table of contents and abstracts
895
Note sugli autori
SAGGI E ARTICOLI
603
Rigenerazione urbana
e governo del territorio
Gian Franco Cartei
Il saggio affronta il tema della rigenerazione urbana. A tale fine sono richiamati gli sviluppi intervenuti nelle singole discipline territoriali, in cui le
politiche di riqualificazione sono presenti da tempo, per poi soffermarsi sulla
base giuridica della rigenerazione urbana. Ampia è in proposito l’attenzione dedicata agli sviluppi della legislazione regionale che allo strumento in
esame dedica crescente attenzione. Sono poi passati in rassegna alcuni dei
principali problemi applicativi della disciplina.
1. La rigenerazione urbana: una nozione dai confini incerti
Rigenerazione urbana è nozione utilizzata sovente in senso promiscuo e metaforico al punto che ne è incerta non solo la definizione,
ma lo stesso ambito di riferimento1. La sua fortuna e diffusione deriva probabilmente proprio dalla sua capacità di abbracciare fenomeni ed esperienze molto diversi ed oscillanti dalla partecipazione civica alla gestione di beni di rilevanza sociale, dalla trasformazione e ripristino di aree presenti nel tessuto urbano al contrasto dei fenomeni
di esclusione sociale2. È per questo che il richiamo all’espressione è
spesso accompagnato dal richiamo a principi ed istituti quali la pianificazione territoriale, l’efficienza energetica, la compensazione e perequazione territoriale, il consumo di suolo, sino ad includere la menzione di nozioni tutt’altro che consolidate nel diritto positivo, quali,
ad esempio, quelle relative ai beni comuni ed all’economia circolare
(1) A. GIUSTI, La rigenerazione urbana. Temi, questioni e approcci nell’urbanistica di nuova
generazione, Napoli, Editoriale scientifica, 2018, p. 16 del dattiloscritto, in corso di pubblicazione.
(2) Sotto il profilo della correlazione tra rigenerazione urbana ed i temi della partecipazione
civica e dei beni comuni, E. CHITI, La rigenerazione di spazi e beni pubblici: una nuova funzione
amministrativa?, in F. DI LASCIO, F. GIGLIONI (a cura di), La rigenerazione di beni e spazi urbani,
Bologna, Il Mulino, 2017, p. 18 ss.
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ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO
3.2017
che crescente favore sembrano incontrare anche nei testi legislativi.
Il presente scritto intende privilegiare l’analisi nella prospettiva di quelle esperienze di rigenerazione urbana che hanno inciso – o dovrebbero
incidere – sulla trasformazione materiale delle città. In Europa tale esperienza, del resto, è nota e conosciuta soprattutto grazie agli studi della
letteratura urbanistica. In Italia ha prodotto risultati non sempre significativi, ma neppure trascurabili. Basti pensare ai casi di Torino, Firenze, Milano e Bagnoli3. Si tratta, merita osservare, di interventi non sempre omogenei tra loro e spesso frutto più di una contingenza propizia
al loro realizzarsi che di un disegno concepito e realizzato in seno ad
una compiuta programmazione territoriale. Pur tuttavia, sussistono alcuni caratteri che sembrano accomunarli. Si tratta, infatti, di interventi
che si realizzano all’interno della pianificazione territoriale, in cui interessi pubblici e privati tendono ad embricarsi e dove l’investimento privato è stimolato e talora affiancato da investimenti pubblici. In fine, sovente, a fianco degli interessi più propriamente urbanistici, appare evocato l’interesse ambientale.
Ampia è, pertanto, la tipologia delle aree potenzialmente interessate da
interventi di rigenerazione: può trattarsi, infatti, di zone a vocazione residenziale, industriale o terziaria, così come possono essere interessate
aree di proprietà pubblica o privata. L’elemento che le accomuna è sovente costituito da una situazione di degrado cui occorre porre rimedio
anche al fine di politiche di rilancio economico e di recupero di immagine. Sullo sfondo di tutte le politiche di rigenerazione, infine, non è difficile cogliere l’afflato di riforma che agita molte delle politiche urbane
proposte in questi anni a livello europeo e nazionale.
Le finalità della rigenerazione interrogano di necessità sulle cause che
ne rendono necessario il ricorso. Prima di analizzarle merita, ad ogni
modo, ricordare che la rigenerazione non rappresenta, almeno stando
al linguaggio remoto di talune enunciazioni normative, soltanto una declinazione delle politiche del governo del territorio in talune zone urbane, giacché i suoi scopi perseguono, altresì, finalità di natura ambien-
(3) Sui caratteri di talune esperienze europee e italiane di rigenerazione si richiama da ultimo
S. LO NARDO, Strategie territoriali ed ambientali per la rigenerazione urbana, in G.F. FERRARI (a
cura di), La prossima città, Milano, Mimesis, 2017, p. 56 ss.
SAGGI E ARTICOLI
605
tale, economica e sociale. Di conseguenza, si spiega perché il risanamento urbanistico, cui si ispirano le azioni di rigenerazione, miri spesso a misure di ripristino ambientale e a politiche di contrasto a fenomeni di terziarizzazione o di esclusione sociale. Allo stesso modo, si spiega perché l’oggetto della rigenerazione possa essere rappresentato non
solo da contesti periferici o resi marginali dalla carenza di infrastrutture e servizi, ma anche da tessuti urbani interessati da processi di degrado, incluse le aree dismesse da processi di delocalizzazione o deindustrializzazione, prodotti dalle tante asimmetrie del mercato immobiliare.
2. La cornice di riferimento: la crisi dell’assetto territoriale. Governo
del territorio, paesaggio e suolo
Malgrado la rigenerazione sembri possedere un proprio contesto normativo, merita ricordare quali possano essere le discipline che paiono
costituirne il contorno o il riferimento, partendo dalla considerazione
che la crisi dell’assetto urbano ha da tempo investito la crisi dell’assetto ambientale. Inevitabile, seppur con l’andamento erratico che caratterizza molte delle nostre discipline, che di tali crisi abbia tentato di farsi carico l’ordinamento. Il riferimento è, in particolare, al tradizionale
ambito dell’urbanistica, alla disciplina del paesaggio e, infine, alla tutela ambientale di particolari servizi ecosistemici, tra i quali quelli offerti dal suolo. Si tratta di ambiti disciplinari che, espressione in origine di
distinti paradigmi disciplinari4, presentano allo stato numerose convergenze tematiche.
In primo luogo, viene in rilievo la nozione costituzionale di governo
del territorio, la quale, conclusasi la stagione dei piani della espansione a favore di quella della pianificazione della trasformazione urbana5,
pare oramai assai lontana dall’identificarsi con «L’assetto e l’incremento
edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere del territorio [...]» secondo quanto formulato dalla legge n. 1150 del 19426, la qua(4) Secondo la nota impostazione di M.S. GIANNINI, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti
giuridici, in Riv. trim. dir. pub., 1973, p. 15 ss.
(5) Secondo la periodizzazione già formulata da G. CAMPOS VENUTI, La terza generazione
urbanistica, Milano, Franco Angeli, 1990.
(6) Parafrasando la legge urbanistica del 1942 identifica negli stessi termini l’urbanistica la
606
ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO
3.2017
le, complice una concezione del territorio quale mero spazio fisico destinato ad essere il collettore dei diversi interessi, non aveva previsto i
problemi generati dai processi di deindustrializzazione o di delocalizzazione, né tanto meno valutato la capacità del territorio di fornire servizi
ecosistemici posti a repentaglio dai processi di dispersione urbana7. Lo
attesta una copiosa legislazione regionale giunta oramai, in supplenza
a quella statale, ad uno sviluppo di terza generazione che pone tra le
proprie finalità il decongestionamento dell’abitato urbano, la salvaguardia degli equilibri dell’assetto territoriale ed il contrasto alla dispersione
abitativa8. Ma ne reca conferma, altresì, la giurisprudenza amministrativa già con la nota pronuncia del Consiglio di Stato sul Comune di Cortina, secondo cui la nozione di governo del territorio deve intendersi come «intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione
dello sviluppo complessivo ed armonico dello stesso», alla luce «sia delle potenzialità edificatorie dei luoghi in relazione alle effettive esigenze
di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia
di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute
e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economicosociali della comunità radicata sul territorio [...]»9.
In secondo luogo, viene in rilievo la disciplina del paesaggio, la quale,
cresciuta lungo tutto il secolo scorso sul crinale dell’interesse esteticoculturale caratteristico della legge n. 1497 del 1939, con il Codice del
2004 pare essersi affrancata dal binomio “arte-natura” proprio della tradizione crociana, per sovrapporsi a molti dei fini caratterizzanti la materia del governo del territorio, almeno per come questa è tradizionalmente intesa. Due appaiono, in particolare, i principali snodi interpretativi: il concetto di paesaggio e la nozione di pianificazione.
precedente giurisprudenza della Corte costituzionale; si richiamano le pronunce Corte cost., 14
luglio 1958, n. 50; Corte cost., 20 maggio 1972, n. 141.
(7) Sulle trasformazioni della nozione di governo del territorio, G. MORBIDELLI, Il governo del
territorio nella Costituzione, in G. SCIULLO (a cura di), Governo del territorio e Autonomie
territoriali, Bologna, Bononia University Press, 2010, p. 11 ss.
(8) Sulle periodizzazioni delle leggi urbanistiche regionali e le relative caratteristiche, E. BOSCOLO,
Il piano regolatore comunale, in Codice di edilizia e urbanistica, cit., p. 201 ss.
(9) Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710.
SAGGI E ARTICOLI
607
Nessun dubbio che il fondamento concettuale e sistematico della disciplina sia tuttora costituito dall’interesse estetico come plasmato dall’interpretazione del principio costituzionale di cui all’art. 9 Cost.10. Più incerta, invece, appare ogni interpretazione che pretenda intendere tuttora il paesaggio quale equivalente semantico del concetto di bellezze
naturali, come tale identificato esclusivamente con quei beni caratterizzanti il bello di natura11. Al suo posto sembra avere acquistato pregnanza l’impostazione a lungo recessiva, e pertanto minoritaria, che faceva rientrare nella nozione costituzionale l’intero territorio, intendendolo come «La forma del Paese, creata dall’azione cosciente e sistematica
della comunità umana che vi è insediata, in modo intensivo o estensivo, nella città o nella campagna, che agisce sul suolo, che produce segni della sua cultura»12.
In tal senso, quasi profetica dei successivi sviluppi normativi appare la
pronuncia della Corte che ha individuato nel paesaggio il «punto di riferimento di una regolazione degli interventi orientati all’attuazione del
valore paesaggistico come aspetto del valore estetico-culturale secondo
scansioni diverse, perché legate a scelte di civiltà di più ampio respiro»,
e nella disciplina urbanistica una materia «intesa come ordine complessivo, ai fini della reciproca compatibilità, degli usi e delle trasformazioni del suolo nella dimensione spaziale considerata e nei tempi ordinatori previsti»13.
Sulla intersezione di tali discipline pare oramai avviata da tempo la disciplina paesaggistica, il cui approdo finale, almeno sotto il profilo che
riguarda le presenti considerazioni, pare correre lungo il crinale interpretativo dei principi presenti nella Convenzione europea del paesaggio, la quale, pur non misconoscendo il valore del patrimonio cultura-
(10) Si richiama G. SEVERINI, La tutela costituzionale del paesaggio, in S. BATTINI, L. CASINI, G.
VESPERINI, C. VITALE (a cura di), Codice di edilizia e urbanistica, Torino, Utet, 2013, p. 3 ss.
(11) Il riferimento è ovviamente a A.M. SANDULLI, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in
Riv. giur. ed., 1967, p. 69 ss., il quale riteneva che dal paesaggio dovesse essere esclusa la natura
in quanto tale.
(12) A. PREDIERI, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Urbanistica,
tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, Giuffrè, 1969, p. 5 ss.
(13) C. cost., 21 dicembre 1985, n. 359, in Reg., con nota di P. URBANI.
608
ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO
3.2017
le e della sua funzione identitaria, individua nella nozione di paesaggio l’importanza del contesto di vita di coloro che ne fanno parte14. Si
spiega così, da un lato, l’importanza dello sviluppo sostenibile, dall’altro, il riconoscimento dei profili di carattere ambientale e sociale legati al paesaggio, entrambi alla base della integrazione del paesaggio in
tutte quelle politiche che hanno un’incidenza sul medesimo, ad iniziare ovviamente da quelle urbanistiche15. In tal senso, l’elemento più rilevante non appare tanto la definizione di paesaggio, quanto quello di
gestione del paesaggio ed il riferimento ad un governo del territorio improntato ad orientare le trasformazioni prodotte dai processi di sviluppo sociali, economici e ambientali16. Se a ciò aggiungiamo che campo
di applicazione della Convenzione sono, altresì, gli spazi urbani e periurbani e che essa comprende anche i c.d. paesaggi che presentano situazioni di degrado17, non dovrebbe essere difficile individuare in tali
elementi esegetici alcuni dei riferimenti presenti nelle politiche di rigenerazione urbana.
Del resto, riferimenti ulteriori provengono dal medesimo Codice dei beni culturali e del paesaggio. Malgrado, infatti, che il paesaggio cui si rivolge il Codice si riferisca alla morfologia del territorio ed all’ambiente nel suo aspetto visivo18, secondo l’impostazione metodologica già
enunciata dalla nota pronuncia n. 56 del 1968 della Corte costituzionale, non pare corretto ritenere che esso si risolva unicamente in una concezione conservativa e monumentale. Il piano paesaggistico, infatti, ha
(14) Sulla pluralità semantica del termine paesaggio nella Convenzione, D. SORACE, Paesaggio e
paesaggi della Convenzione europea, in G. F. CARTEI (a cura di) Convenzione europea e governo
del territorio, Bologna, il Mulino, p. 17 ss.
(15) Per un esplicito riferimento alla tale aspetto si v. l’art. 5, lett. d della Convenzione.
Con riferimento all’importanza del criterio dell’integrazione si richiama Recommendation
CM/Rec(2008)3 of the Committee of Ministers to member states on the guidelines for the
implementation of the Europea Landscape Convention, Part. I.1 lett. e) e f).
(16) Convenzione europea del paesaggio, art. 1 lett. e).
(17) Ibidem, art. 2.
(18) Si v., ad esempio, la pronuncia della Corte costituzionale, 21 ottobre 2011, n. 275 (punto
3.3 in diritto).
SAGGI E ARTICOLI
609
per oggetto non più singoli beni o aree, ma tutto il territorio regionale19,
con la conseguenza che la pianificazione investe anche le parti non vincolate in ragione delle loro caratteristiche territoriali, tra le quali quelle
che presentano una condizione di particolare degrado o abbandono. E,
del resto, proprio alle aree che presentano fenomeni di degrado il Codice si riferisce in più occasioni.
Si pensi alla norma di cui all’art. 135, quarto comma, lett. b), secondo
cui il piano definisce prescrizioni e previsioni ordinate «alla riqualificazione delle aree compromesse e degradate», oppure alla disposizione
di cui all’art. 143, in cui il riferimento alle politiche di recupero e rigenerazione risulta reiterato. Al piano spetta, infatti, individuare gli «interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate [...]», indicare le «aree gravemente compromesse
o degradate nelle quali la realizzazione degli interventi effettivamente
volti al recupero ed alla riqualificazione non richiede il rilascio dell’autorizzazione», e, infine, individuare «anche linee-guida prioritarie per
progetti di [...] recupero, riqualificazione di aree regionali, indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure incentivanti». La disposizione conferma che la tutela e la connessa finalità di conservazione non esauriscono i compiti del piano. In tal senso, il richiamo alle attività di recupero e riqualificazione svela la natura progettuale del piano che ha nella individuazione degli obiettivi di qualità paesaggistica la
sua forma più raffinata20.
Da ultimo, un riferimento alla politica di rigenerazione proviene dalla
disciplina ambientale. Il riferimento è ancora una volta al territorio, ma
non inteso nel significato tradizionale di luogo vocato alla trasformazione urbanistica, e neppure di inventario di eccellenze estetico-culturali, bensì nel senso di suolo. Se è vero che tuttora il suolo rileva per il
nostro ordinamento per la tutela delle acque e la dimensione idraulica
e idrogeologica e non quale autonomo bene ambientale21, sempre più
(19) Art. 135, 1° comma, del Codice; sul punto si richiama Corte cost., 10 febbraio 2006, n. 51.
(20) Al piano è attribuita, infatti, la definizione di obiettivi di qualità; si richiamano le disposizioni
di cui all’art. 135, terzo comma, e 143, primo comma, lett. i).
(21) Come noto, secondo la norma contenuta nell’art. 5, comma primo lett. v-quater), del
Codice dell’ambiente, il suolo è «lo strato più superficiale della crosta terrestre situato tra il
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ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO
3.2017
affiora la consapevolezza che il suolo offre servizi ecosistemici fondamentali per l’equilibrio ambientale.
Come noto, la questione urbana e la tematica afferente alle esternalità
negative dell’uso del suolo sono da tempo oggetto di attenzione nell’ordinamento europeo22. In particolare, il fenomeno della riduzione della
superficie non urbanizzata – e meglio conosciuto in Italia con l’espressione “consumo di suolo” – è stato analizzato da tempo ad opera della
soft law dell’Unione europea e posto in un rapporto causale con la proliferazione urbana23. Ai fini della presente analisi merita ricordare che
la finalità perseguita non si limita alla generica limitazione della trasformazione di nuovo suolo a fini edilizi o infrastrutturali, ma si estende alla salvaguardia e ripristino delle garanzie che ne consentono le relative
funzioni ambientali, tra le quali quelle di preservazione ambientale minacciate dalla proliferazione urbana24.
substrato roccioso e la superficie. Il suolo è costituito da componenti minerali, materia organica,
acqua, aria e organismi viventi». E, seppur con riferimento alla parte terza del Codice, relativa
alla difesa del suolo e alla tutela delle acque, il termine comprende «anche il territorio, il
sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali».
(22) La questione urbana e le politiche pubbliche concernenti le città costituiscono oggetto di
analisi in numerosi documenti dell’Unione europea ancora prima del Libro verde sull’ambiente
urbano del 1990; si richiama L. GRAZI, L’Europa e le città [La questione urbana nel processo di
integrazione europea (1957-1999)], Bologna, Il Mulino, 2006, p. 23 ss.; G.F. CARTEI, Il consumo
di suolo: la prospettiva dell’Unione europea, in G.F. CARTEI, L. DE LUCIA (a cura di), Contenere il
consumo di suolo (Saperi ed esperienze a confronto), Napoli, Editoriale scientifica, 2014, p. 45 ss.
(23) In generale, sulla originaria eccentricità della materia del governo del territorio per il
diritto dell’Unione europea e sul progressivo interesse di quest’ultima per i temi ad esso
connessi, v. già le osservazioni di M.P. CHITI, Il ruolo della Comunità Europea nel governo del
territorio, in S. CIVITARESE MATTEUCCI, E. FERRARI, P. URBANI (a cura di), Il governo del territorio,
Milano, Giuffrè, 2003, p. 159; di recente cenni anche in M.A. CABIDDU, Il governo del territorio,
Roma-Bari, Editori Laterza, 2014, p. 16; del resto, la dimensione comunitaria dell’urbanistica,
seppur non contemplata espressamente dall’ordinamento europeo, riaffiora quale conseguenza
dell’applicazione dei principi in materia ambientale contenuti nel Trattato e nella disciplina di
valutazione di impatto ambientale e di valutazione ambientale strategica, come in quella di
opere pubbliche; si richiamano sul punto L. CASINI, L’equilibrio degli interessi nel governo del
territorio, Milano, Giuffrè, 2005, p. 194 ss; G. SCIULLO, Urbanistica, Dizionario di diritto pubblico,
diretto da S. CASSESE, vol. VI, Milano, Giuffrè, 2006, p. 6123 ss.; di recente, con riguardo specifico
all’importanza della pianificazione dell’uso del suolo per l’agricoltura nell’ambito della politica
agricola comunitaria e della scarsità delle risorse idriche, S. BOLOGNINI, La carenza idrica nella
politica agricola comunitaria, in Riv. dir. ag., 2012, p. 448 ss.
(24) In tal modo la protezione del suolo, cui si riferisce l’elaborazione di soft law europea,
trascende, pertanto, la difesa del suolo per come è conosciuta nell’esperienza giuridica italiana
SAGGI E ARTICOLI
611
L’esito negativo della proposta di direttiva-quadro del 200625 non ha impedito alla Commissione di adottare ulteriori atti di soft law26, in cui occupazione e impermeabilizzazione del suolo sono ritenuti fenomeni in
larga misura imputabili alle decisioni in materia di pianificazione territoriale prive di un’adeguata analisi preventiva e assunte in violazione
del principio dell’uso sostenibile del suolo27. Merita sul punto segnalare che, al fine di un’efficace soluzione dei problemi determinati dal
consumo di suolo, è stata sottolineata l’importanza che la pianificazione territoriale scelga una strategia che tenga conto delle risorse rimaste
inutilizzate a livello locale (in particolare, siti dismessi ed edifici vuoti)
e, quanto alle buone prassi volte a contrastare l’occupazione e l’impermeabilizzazione del suolo sono rammentate le misure volte al miglioramento della qualità della vita nei grandi centri urbani mediante appositi
programmi di riqualificazione28.
siccome disciplinata dagli artt. 53 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell’ambiente) e
riferita essenzialmente alla tutela delle acque ed al vincolo idraulico ed idrogeologico; per una
ricostruzione della disciplina si richiama di recente A. CROSETTI, Difesa del suolo, in Dizionario
di diritto pubblico, vol. III, diretto da S. CASSESE, Milano, Giuffrè, 2006, p. 1838 ss; P. LOMBARDI, La
difesa del suolo, in R. FERRARA, M.A. SANDULLI (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, vol. III,
La tutela della natura e del paesaggio, 2014, Milano, Giuffrè, p. 667 ss.; M.A. CABIDDU, Il governo
del territorio, cit., p. 108 ss.
(25) Proposta di direttiva che istituisce un quadro per la protezione del suolo e modifica la
direttiva 2004/35/CE, COM(2006)232 def.; sui contenuti della direttiva si richiamano le notazioni
di L. MARMO, La strategia tematica per la protezione del suolo e la proposta di direttiva quadro
della Commissione, in Riv. giur. amb., 2007, p. 175 ss.
(26) In particolare, si richiama il Documento di lavoro dei servizi della Commissione Europea,
15 maggio 2012, Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare
l’impermeabilizzazione del suolo SWG(2012) 101 final/2.
(27) Il documento riporta una serie minuziosa di dati che testimonia la necessità di un
intervento: nel periodo 1990-2006 la quota di incremento di terreno occupato nell’Unione
europea è stata, infatti, pari a circa 1.000 km annui, equivalenti ad un incremento di circa il 9%
delle aree di insediamento per una superficie complessiva di suolo impermeabilizzato pari a
circa 100.000 km consistenti nel 2,3% della superficie dell’UE. E ai dati assoluti di occupazione
occorre aggiungere aspetti non secondari quali quelli relativi alla distribuzione spaziale, al
valore e la disponibilità del terreno occupato; merita riferire il dato, riportato nello stesso
documento, relativo all’Emilia-Romagna: «circa il 95% dell’occupazione di terreno verificatasi fra
il 2003 e il 2008 ha riguardato i suoli delle pianure fertili che coprono solo metà della superficie
regionale»; sui dati relativi all’occupazione ed all’impermeabilizzazione del suolo nell’Unione
europea vedi l’Allegato 2.
(28) Ovviamente le politiche di riqualificazione non sono le uniche segnalate; si richiamano,
infatti, anche il potenziamento del trasporto pubblico, l’introduzione di limiti all’uso dei
612
ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO
3.2017
Del tutto coerente con la suddetta impostazione appare la rilevanza
che la rigenerazione ha in seno alle proposte di riforma sul consumo
di suolo29. Ad esempio, nel disegno di legge sul consumo di suolo della scorsa legislatura riuso e rigenerazione urbana sono definiti, al pari della limitazione del consumo di suolo, «principi fondamentali della materia del governo del territorio»30. Significativa della eterogeneità
delle finalità della rigenerazione appare la definizione fornita all’art. 2,
secondo cui per “rigenerazione urbana” si intende: «un insieme coordinato di interventi urbanistici, edilizi e socio-economici nelle aree urbanizzate, compresi gli interventi volti a favorire l’insediamento di attività di agricoltura urbana [...] che persegua gli obiettivi della sostituzione,
del riuso e della riqualificazione dell’ambiente costruito in un’ottica di
sostenibilità ambientale, di contenimento del consumo di suolo, di localizzazione dei nuovi interventi di trasformazione nelle aree già edificate, di innalzamento del potenziale ecologico-ambientale, di riduzione dei consumi idrici ed energetici e di realizzazione di adeguati servizi primari e secondari».
3. I precedenti normativi della rigenerazione urbana. Il ruolo
dell’Ente locale: discrezionalità e negoziazione
Allorché si parla di rigenerazione urbana occorre precisare che il contrasto del degrado urbano ed il recupero del tessuto urbanistico non costituiscono certo una novità per l’ordinamento giuridico31. Basti richiamare la disciplina contenuta nella legge 5 agosto 1978, n. 457, in cui il
recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante in-
mezzi privati, la protezione a livello nazionale dei suoli che presentano qualità elevate e la
conservazione di terreni agricoli urbani e periurbani, la cooperazione delle amministrazioni
locali confinanti per lo sviluppo di aree commerciali, nonché l’introduzione di tasse e restrizioni
sulle seconde case.
(29) Sul tema si richiama G.F. CARTEI, Il suolo tra tutela e consumo, in Riv. giur. urb., 2016, p. 10
ss; L. DE LUCIA, Il contenimento del consumo di suolo e il futuro della pianificazione urbanistica
e territoriale, in G. DE GIORGI CEZZI, P.L. PORTALURI, (a cura di), La coesione politico-territoriale,
Firenze, Florence University Press, 2016, p. 299 ss.
(30) Art. 1, comma 2, del d.d.l. n. 2383 approvato alla Camera dei deputati il 12 maggio 2016.
(31) Come rileva P. URBANI, La rigenerazione urbana: la posizione del giurista, in Astrid
Rassegna, 10, 2017.
SAGGI E ARTICOLI
613
terventi di conservazione, risanamento e ricostruzione è stato affidato
ad un piano di recupero ad iniziativa pubblica o privata, previa formale individuazione e perimetrazione di singoli immobili o aree da parte del Comune32. Così come alla riqualificazione e riconversione urbana in una prospettiva di sviluppo urbano risultano rivolti i programmi
integrati di intervento previsti dalla disposizione contenuta nell’art. 16
della legge 17 febbraio 1992, n. 179, la cui pluralità di funzioni e l’integrazione di diverse tipologie di intervento hanno per oggetto la riorganizzazione urbana e ambientale di intere parti del territorio comunale33. Ai sensi della norma di cui all’art. 2, secondo comma, della legge n.
179/1992 il d.m. 21 dicembre 1994 ha poi previsto i programmi di riqualificazione urbana aventi ad oggetto il recupero edilizio e funzionale di
ambiti urbani specificatamente identificati attraverso proposte unitarie34.
A ben vedere, la disciplina della rigenerazione urbana, almeno per come, allo stato, è comunemente intesa, è prevista dalla disposizione di
cui all’art. 5, commi 9 e ss., del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, secondo cui:
«Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni approvano entro sessanta giorni
dall’entrata in vigore del presente decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che
prevedano: a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a
quella preesistente come misura premiale; b) la delocalizzazione delle
(32) P. URBANI, S. CIVITARESE MATTEUCCI, Diritto urbanistico. Organizzazione e rapporti, Torino,
Giappichelli, 2010, p. 163 ss.; sull’esperienza dei piani di recupero, A. GIUSTI, La rigenerazione
urbana (Temi, questioni e approcci nell’urbanistica di nuova generazione), cit., p. 30 ss. del
dattiloscritto.
(33) T. BONETTI, Il diritto del “governo del territorio” in trasformazione. Assetti territoriali
e sviluppo economico, Napoli, Editoriale scientifica, 2011, p. 169 ss.; P. URBANI, S. CIVITARESE
MATTEUCCI, Diritto urbanistico, cit., p. 180 ss.
(34) Sulla disciplina dei programmi di riqualificazione urbana, C. VITALE, Programmi di
riqualificazione urbana, in Codice di edilizia e urbanistica, cit., p. 511 ss.
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relative volumetrie in area o aree diverse; c) l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari; d) le modifiche della sagoma necessarie per
l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti»35.
Dal canto suo, la legislazione regionale negli ultimi anni ha prodotto
una disciplina in materia di rigenerazione urbana non omogenea, ma
comunque significativa36. In tale legislazione la rigenerazione urbana
si atteggia a vera e propria strategia del governo del territorio tanto da
porsi come principio generale del governo del territorio37, in luogo o in
alternativa al consumo del suolo38. Altro aspetto caratterizzante la rigenerazione urbana riguarda la scala territoriale, più ampia di quella che
riguarda gli interventi comunemente denominati di recupero edilizio o
riqualificazione urbana. Per quanto non sempre omogenea, la legislazione regionale allude, infatti, ad aree o contesti urbani, in luogo di singoli comparti o edifici, indipendentemente dalla natura pubblica o privata dei medesimi39.
Per comprendere adeguatamente la rigenerazione è necessario richiamarne le finalità, ma prima ancora le caratteristiche delle aree interes-
(35) B. BOSCHETTI, L’impatto della funzione di rigenerazione sugli strumenti tradizionali del
diritto urbanistico diversi dalla pianificazione, cit., p. 183 ss.
(36) Per un’analisi della legislazione regionale in materia, A. GIUSTI, La rigenerazione urbana,
cit., p. 64 ss. del dattiloscritto in corso di pubblicazione; si segnalano, in particolare, le seguenti
leggi regionali: l.r. Calabria 16 aprile 2002, n. 19; l.r. Emilia-Romagna 21 dicembre 2017, n. 24;
l.r. Lombardia 28 novembre 2014, n. 31; l.r. Toscana 10 dicembre 2014, n. 65; l.r. Umbria 21
gennaio 2015, n. 1; l.r. Veneto 6 giugno 2017, n. 14, su cui si richiama il commento di L. DE LUCIA,
Il contenimento del consumo di suolo in Veneto, in Riv. giur. urb., 2017, p. 597 ss.
(37) Art. 1, l.r. Veneto n. 14/2017.
(38) Si richiama l’art. 125 della l.r. Toscana n. 65/2014, in cui gli interventi di rigenerazione
urbana sono configurati «quale alternativa strategica al nuovo consumo di suolo»; analogamente
si esprime la norma di cui all’art. 1, comma 1, della l.r. Emilia-Romagna n. 24/2017, secondo
cui «[...] gli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica perseguono la limitazione del
consumo di suolo, attraverso il riuso e la rigenerazione del territorio urbanizzato».
(39) Si richiama la l.r. Veneto n. 14/2017, la quale all’art. 2 distingue tra “ambiti di urbanizzazione
consolidata”, “ambiti urbani degradati” e “ambiti urbani di rigenerazione”, questi ultimi ricadenti
negli ambiti di urbanizzazione consolidata o costituenti «parti significative di quartieri urbani
interessate dal sistema infrastrutturale della mobilità e dei servizi»; sul punto si richiama D.
MENEGUZZO, M. FANTIN, M. ACQUASALIENTE, Art. 2, in B. BAREL (a cura di), Contenimento del consumo
di suolo e rigenerazione urbana, Padova, Grafica Veneta S.p.a., 2017, p. 85.
SAGGI E ARTICOLI
615
sate, solitamente localizzate all’interno del perimetro di aree urbanizzate e caratterizzate da fenomeni di degrado urbanistico, ambientale o
socioeconomico40, unitamente a fenomeni di aree dismesse o comunque incompatibili con il contesto urbanistico o paesaggistico di riferimento. Quanto alle finalità, la legislazione regionale si riferisce in linea
generale alla necessità di restituire le suddette aree a condizioni di sostenibilità, attrattività e vivibilità. Ma è con riferimento agli obiettivi che
la rigenerazione svela l’ampia latitudine dei suoi interventi, i quali vanno indifferentemente dalla riduzione dei consumi idrici ed energetici,
alla realizzazione di bonifiche di suoli inquinati, dalla limitazione delle
aree impermeabili, alla riorganizzazione del patrimonio edilizio esistente e delle aree dismesse, alla riqualificazione delle aree degradate, inclusi l’incremento della biodiversità, l’equilibrata composizione sociale
e la promozione della raccolta differenziata di rifiuti41.
Appare comprensibile, pertanto, che dinanzi ad una siffatta gamma di
interessi e finalità pubblici risulti centrale il ruolo del Comune, pur mantenendo la Regione talora un proprio ruolo di impulso42. È, infatti, l’Ente locale ad individuare le aree soggette a politiche di rigenerazione
nella pianificazione urbanistica con un atto che, al di là di ogni qualifica normativa, presenta, proprio a causa dei caratteri degli interessi giuridici in gioco, una indubbia natura discrezionale43. Sempre al Comune spettano compiti fondamentali per la conclusione dell’operazione:
perimetra l’area da rigenerare, individua gli interventi da realizzare nel
contesto interessato, fissa gli obiettivi di riqualificazione, individua l’in-
(40) Sulla definizione rispettivamente di degrado urbanistico e degrado socioeconomico si
veda, esemplificativamente, la norma di cui all’art. 123 della l.r. Toscana n. 65/2014.
(41) Si richiama sul punto, ad esempio, l’art. 7 della l.r. Emilia-Romagna n. 24/2017, l’art. 125
della l.r. Toscana n. 65/2014 e l’art. 2, comma 1, lett. h), l.r. Veneto n. 14/2017.
(42) Si richiama, ad esempio, l’art. 4, comma 2, lett. b), della l.r. Veneto n. 14/2017, il quale assegna
alla Giunta regionale il compito di stabilire mediante provvedimento «i criteri di individuazione
e gli obiettivi di recupero degli ambiti urbani di rigenerazione [...] , nonché gli strumenti e le
procedure atti a garantire l’effettiva partecipazione degli abitanti alla progettazione e gestione
dei programmi di rigenerazione urbana sostenibile di cui all’art. 7»; pur essendo previsto che
il provvedimento della G. R. sia adottato dall’entrata in vigore della legge tale atto non risulta
tuttora emanato.
(43) Invero, discrezionale era, altresì, l’individuazione delle zone sottoposte ai piani di recupero
dalla legge n. 457 del 1978.
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centivo premiale e promuove la presentazione di accordi operativi con
i soggetti interessati.
Quanto, più in particolare, al procedimento preordinato ad un intervento di rigenerazione urbana la legislazione prevede percorsi talora differenziati tra loro. In linea di principio, nulla vieta che sia l’ente territoriale a dotarsi di un piano attuativo ad iniziativa pubblica per la realizzazione degli interventi di rigenerazione. Più frequente, tuttavia, è l’ipotesi che all’iniziativa pubblica segua un procedimento volto a sondare
gli interessi del mercato. A tal fine, successivamente alla individuazione nello strumento urbanistico dell’area soggetta a rigenerazione, il Comune può promuovere, mediante la pubblicazione di un avviso pubblico, la presentazione di una proposta o piano di intervento da parte
dei soggetti interessati al fine di verificarne la compatibilità e la coerenza con gli indirizzi comunali; tale proposta occorre che sia corredata da
una documentazione che ne attesti la serietà e congruenza con la previsione comunale e, pertanto, deve essere accompagnata da una proposta tecnica e progettuale, uno schema di convenzione, una relazione/
piano economico-finanziario e le relative garanzie finanziarie44. All’Ente
locale spetta valutare l’interesse pubblico della proposta presentata e,
a tal fine, può essere ammessa l’apertura tra le parti di una vera e propria fase di negoziazione volta a definire gli obiettivi di rigenerazione e
gli obblighi dei contraenti. In questa medesima fase sono previste attività di partecipazione del pubblico mediante la presentazione di osservazioni degli interessati o l’organizzazione di pubbliche assemblee45. La
conclusione del procedimento vede l’approvazione e la stipula di una
convenzione o accordo, qualificabile come convenzione urbanistica integrativa della disciplina urbanistica, avente gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e della dichiarazione di pubblica utilità delle opere ivi previste.
(44) Si richiamano art. 38 l.r. Emilia-Romagna n. 24/2017; art. 7 l.r. Veneto, n. 14/2017, su
cui si richiama il commento di E. CAUCCI, D. SIGNOR, in Contenimento del consumo di suolo e
rigenerazione urbana, cit., p. 126 ss.; V. CHIERRONI, L. BELLI, Interventi per la razionalizzazione
del patrimonio edilizio esistente e per la rigenerazione urbana, in F. DE SANTIS (a cura di), Il
governo del territorio in Toscana, Milano, Giuffrè, 2015, p. 697 ss.
(45) Art. 126, comma 4, l.r. Toscana n. 65/2014; art. 38, comma 8, l.r. Emilia-Romagna n. 24/2017;
art. 4, comma 2, lett. b), l.r. Veneto, n. 14/2017.
SAGGI E ARTICOLI
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Non sorprende che le politiche di rigenerazione, specie nell’attuale congiuntura, richiedano forme di sostegno economico al mercato. La disciplina regionale contempla a tal fine varie forme di incentivo. In taluni
casi, infatti, si rimette ai singoli Comuni la facoltà di prevedere la riduzione degli oneri di urbanizzazione46, in altri si fa riferimento a forme di
cofinanziamento o incentivo, oppure la previsione di un titolo preferenziale per l’attribuzione di finanziamenti regionali47, in altri ancora, invece, la disciplina contempla una disciplina dettagliata prevedendo varie
forme di incentivazione consistenti in riduzioni degli oneri urbanistici
o in vere e proprie esenzioni, previsioni di diritti edificatori o altre premialità edilizie, trasferimenti di volumetrie e la concessione di contributi regionali agli Enti locali48. A ciò merita aggiungere le misure di semplificazione procedurale talora previste nella legislazione regionale49.
4. Gli interrogativi ed i problemi della rigenerazione
L’attenzione posta dal legislatore regionale sui meccanismi volti a favorire lo sviluppo della rigenerazione urbana pone all’interprete alcuni interrogativi sulla loro effettiva realizzabilità ed efficacia.
Merita, in primo luogo, soffermarsi su di un profilo caratteristico della
disciplina della pianificazione attuativa quale quello concernente la formazione della volontà del soggetto proponente. Nella legislazione regionale, infatti, si allude alle proposte presentate dai soggetti aventi titolo ai Comuni a seguito di iniziative autonome o di avvisi pubblici di manifestazione di interesse. Non sempre, invece, la medesima legislazione si sofferma sul problema che precede tale manifestazione di volontà
e che consiste nella frammentazione dei diritti di proprietà. Gli ambiti
(46) Ad es. art. 127, l.r. Toscana n. 65/2014; si richiama V. CHIERRONI, L. BELLI, op. ult. cit., p. 698 ss.
(47) Si richiama l’art. 7, comma 5 e 6, della l.r. Veneto n. 14/2017; su tale profilo si richiamano
E. CAUCCI, D. SIGNOR, in Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana, cit., p. 130.
(48) Artt. 7 ss. l.r. Emilia-Romagna n. 24/2017; già l’art. 5 del d. l. n. 70/2011 prevede che
le leggi regionali prevedano: «a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a
quella preesistente come misura premiale; b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in
area o aree diverse; c) l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purchè si tratti di
destinazioni tra loro compatibili o complementari [...]».
(49) B. BOSCHETTI, L’impatto della funzione di rigenerazione sugli strumenti tradizionali del
diritto urbanistico diversi dalla pianificazione, cit., p. 206.
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destinati a rigenerazione a causa della loro estensione raramente, infatti, appartengono ad uno stesso proprietario. Si rende, pertanto, necessario individuare un criterio operativo che consenta di superare il dissenso dei soggetti che, per il peso delle rispettive quote o per la scarsa
propensione al rischio, non siano disponibili all’attuazione di processi
di rigenerazione. Il problema, in vero, non costituisce una novità per il
nostro ordinamento.
Merita, infatti, ricordare che già la norma di cui all’art. 23, comma 3, della legge urbanistica del 1942 ha posto, infatti, come necessario «il concorso dei proprietari rappresentanti, in base all’imponibile catastale, i
tre quarti del valore dell’intero comparto [edificatorio]»50. A sua volta, la
disposizione di cui all’art. 30, comma 1, della legge 5 agosto 1978, n.
457 prevede che «i proprietari di immobili e di aree compresi nelle zone
di recupero, rappresentanti, in base all’imponibile catastale, almeno i tre
quarti del valore degli immobili interessati, possono presentare proposte di piani di recupero». Successivamente la norma contenuta nell’art.
27, comma 5, della legge 1 agosto 2002, n. 166 in materia di programmi di riabilitazione urbana, ha previsto che la presentazione al Comune delle proposte di intervento richiede «il concorso dei proprietari rappresentanti la maggioranza assoluta del valore degli immobili in base
all’imponibile catastale, ricompresi nel piano attuativo».
La ratio di tali disposizioni, riprese dalla legislazione regionale di settore, appare con chiarezza quella di «consentire, mediante il ricorso alla formazione di una sorta di comunione incidentale retta dal principio maggioritario, l’attuazione dei piani in presenza di una pluralità di
proprietari, i cui interessi possono essere divergenti»51. Appare, dunque,
singolare che la disciplina di cui all’art. 5, comma 9, del d.l. n. 70 del
2011 non offra indicazioni sul punto neppure con richiami indiretti o
impliciti a discipline vigenti. Ancor meno comprensibile, tuttavia, è che
specifiche indicazioni non siano fornite spesso neppure dai legislatori
(50) Prevedendosi che «I consorzi così costituiti conseguiranno la piena disponibilità del
comparto mediante la espropriazione delle aree e costruzioni dei proprietari non aderenti».
(51) TAR Toscana, sez. I, 19 aprile 2012, n. 785.
SAGGI E ARTICOLI
619
regionali52. In mancanza di una espressa previsione normativa la giurisprudenza amministrativa vieta, infatti, l’applicazione analogica delle disposizioni contenute nelle leggi speciali53.
Sul profilo appena richiamato si innesta il problema relativo a quello
che della rigenerazione appare il naturale complemento, la perequazione urbanistica, nella forma di qualsivoglia conferimento di diritti edificatori e trasferimento di volumetrie edilizie54. Si tratta, infatti, qualunque
sia la denominazione prescelta, di una tecnica di pianificazione diffusa
e prevista nell’ordinamento nazionale e regionale di cui non è in questione tanto il successo avuto nelle leggi regionali, quanto l’effettiva utilità nella materia in esame. La perequazione, infatti, richiede l’esistenza
di nuove aree di espansione e, soprattutto, di edificazione non sempre
di agevole reperibilità in una fase storica di piani a “volumi zero”. In secondo luogo, l’applicazione del modello perequativo postula il consenso dei proprietari55. Soltanto se questo si realizza il Comune potrà conseguire i suoi scopi, altrimenti il procedimento si arresta. È bene precisare che il problema riguarda principalmente l’accordo dei proprietari
delle aree riceventi, ma in misura non irrilevante concerne anche l’accordo tra il Comune ed i proprietari dei fondi di partenza, specie qualora, come nel caso degli interventi di rigenerazione, siano in gioco ampie porzioni di territorio urbanizzato56.
(52) Per una indicazione si richiama l’art. 126 della l.r. Toscana n. 65/2014 che, ai fini della
presentazione dei piani di intervento, prevede che gli interessati rappresentino «la proprietà di
almeno la maggioranza assoluta del valore dei beni ricompresi nel relativo perimetro, calcolata
in base all’imponibile catastale».
(53) Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 2014¸ n. 5661; Cons. Stato, sez, IV, 21 gennaio 2013, n. 323.
(54) Come già indicato da A. POLICE, Gli strumenti di perequazione urbanistica, magia evocativa
dei nomi, legalità ed effettività, in Riv. giur. ed., 2004, p. 3 ss.
(55) E. BOSCOLO, Le perequazioni e le compensazioni, in Riv. giur. urb., 2010, p. 104 ss; D.
M. TRAINA, Perequazione urbanistica, in Enc. Dir., Annali, VIII, Milano, Giuffrè, 2016, p. 696
ss.; W. GASPARRI, Consensualità e redistribuzione nel governo del territorio: perequazione e
compensazione urbanistica, in A 150 anni dalle leggi di unificazione amministrativa; vol. II,
G. DE GIORGI CEZZI, P.L. PORTALURI (a cura di), La coesione politico-territoriale, cit., p. 288 ss.; G.
MORBIDELLI, Presentazione, in A. BARTOLINI, A. MALTONI (a cura di), Governo e mercato dei diritti
edificatori: esperienze regionali a confronto, Napoli, Editoriale scientifica, 2009, p. 11 ss.
(56) P. URBANI, Urbanistica solidale. Alla ricerca della giustizia perequativa tra proprietà e
interessi pubblici, Torino, Bollati Boringhieri, 2011, p. 182 ss.; G. F. CARTEI, Il quadro giuridico
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ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO
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Ulteriore aspetto su cui soffermare la riflessione in materia di ambiti
di rigenerazione riguarda gli standard urbanistici. Come noto, ai sensi
dell’art. 41-quinquies, comma 8, della legge n. 1150 del 1942, nella formazione degli strumenti urbanistici comunali «debbono essere osservati
limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a
verde, pubblico o a parcheggi»; tali limiti e rapporti, i cui effetti consistono in un limite esterno alle scelte discrezionali dell’autorità di piano,
sono stati individuati dal d.m. 2 aprile 1968, n. 144457.
È, peraltro, risaputo che in aree densamente urbanizzate, come nel caso di quelle interessate da politiche di rigenerazione, la reperibilità di
aree da destinare a standard non è di facile realizzazione. Da qui è nata la prassi, sorta peraltro su una base normativa incerta, ma, allo stato, sostenuta da una parte della legislazione regionale, della c.d. “monetizzazione” degli standard: la cessione delle aree è sostituita, pertanto, con il loro equivalente monetario. Sennonché, occorre interrogarsi
se tale prassi non risulti in contrasto con gli obiettivi di qualità urbana
e ambientale cui sono rivolte le politiche di rigenerazione. Come ha osservato, infatti, la giurisprudenza del Consiglio di Stato «[...] la monetizzazione degli standard urbanistici non può essere considerata alla stregua di una vicenda di carattere unicamente patrimoniale e rilevante solo sul piano dei rapporti tra l’ente pubblico e il privato che realizzerà
l’opera, e ciò perché, da un lato, così facendo si legittima la paradossale situazione di separare i commoda (sotto forma di entrata patrimoniale per il Comune) dagli incommoda (il peggioramento della qualità
di vita degli appellanti) e dall’altro, si nega tutela giuridica agli interessi
concretamente lesi degli abitanti dell’area»58. E ciò appare tanto più evi-
e la disciplina della Regione Toscana, in G.F. CARTEI, E. AMANTE (a cura di), Perequazione e
compensazione nel governo del territorio della Toscana, Napoli, Editoriale scientifica, 2011, p.
13 ss.; sulla distinzione tra perequazione urbanistica e compensazione, E. AMANTE, Le tecniche
compensative nel governo del territorio, ivi, p. 57 ss.
(57) In argomento si richiama per tutti P. URBANI, S. CIVITARESE MATTEUCCI, Diritto urbanistico.
Organizzazione e rapporti, Torino, Giappichelli, 2013, p. 90 ss.
(58) Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 2013, n. 644.
SAGGI E ARTICOLI
621
dente in considerazione dei rischi di potenziale saturazione edilizia che
le politiche di rigenerazione ed i processi di densificazione urbanistica
possono provocare in presenza di scarsa reperibilità delle aree, malgrado che la norma di cui all’art. 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 preveda che le Regioni possano prevedere deroghe al d.m. n. 1444/196859.
Infine, un accenno merita il problema della sostenibilità finanziaria delle politiche di rigenerazione urbana in un’epoca in cui gli investimenti privati ed i finanziamenti pubblici in materia urbanistica risultano assai esigui a fronte di costi spesso assai incerti nella stima iniziale. Un
profilo che sul punto non sembra secondario appare quello della leva
fiscale. I risvolti tributari delle operazioni di rigenerazione non possono, infatti, essere sottovalutati, giacché gli immobili delle aree interessate sono soggetti non solo a costosi investimenti, ma anche a tassazione
ancorché siano inagibili per tutto il periodo occorrente all’attività di recupero, la quale sovente è spesso soggetta a costi originariamente previsti. Eppure risulta difficile parlare in materia di una vera e propria fiscalità di vantaggio60.
La legislazione regionale, come accennato, presenta un panorama di incentivi assai eterogeneo, la cui efficacia attende il vaglio delle applicazioni concrete. Alcuni sono, infatti, incerti nell’ammontare, altri sono incerti nella loro stessa esistenza, altri ancora sono oggetto di disposizioni di generico rinvio pro futuro. Su tutte, ad ogni modo, spicca la previsione statale di cui all’art. 17, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380/2001, introdotta dalla disposizione di cui all’art. 17, comma 1, lett. h), della legge
n. 164 del 2017, la quale, prevedendo che «il contributo di costruzione è
(59) Si richiama l’art. 9 della l.r. Emilia-Romagna n. 24/2017, il quale allude ad un atto di
coordinamento tecnico della Regione chiamato a differenziare «le prestazioni da realizzare
nel territorio urbanizzato rispetto a quanto richiesto per i nuovi insediamenti, allo scopo di
promuovere gli interventi di riuso e rigenerazione urbana [...]»; merita, tuttavia, ricordare che
l’orientamento della Corte costituzionale prevede che «la deroga alla disciplina delle distanze
realizzata dagli strumenti urbanistici deve, in conclusione, ritenersi legittima sempre che
faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati (“gruppi di edifici”) e sia fondata su previsioni
planovolumetriche che evidenzino, cioè, una capacità progettuale tale da definire i rapporti
spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni considerate come fossero un edificio
unitario (art. 9, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968)».
(60) Si richiama A. PERRONE, Gli aspetti fiscali delle attività di rigenerazione e riuso di beni a fini
di interesse generale, in La rigenerazione di beni e spazi urbani, cit., p. 243 ss.
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ridotto in misura non inferiore al venti per cento rispetto a quello previsto per le nuove costruzioni nei casi non interessati da varianti urbanistiche, deroghe o cambi di destinazione d’uso comportanti maggior
valore rispetto alla destinazione originaria», consente che l’Ente locale
abbatta anche integralmente tale contributo per agevolare interventi di
densificazione edilizia sotto forma di recupero o riuso di immobili dismessi o in via di dismissione.
5. Rilievi conclusivi
La stagione della rigenerazione urbana nasce assai prima di quanto non
appaia dalla sua data ufficiale. Alcuni dei problemi che intende risolvere, così come gli obiettivi e finalità dichiarati non sono, infatti, recenti
e possono farsi risalire già ai contenuti del d.m. n. 1444 del 1968. A loro volta, tali obiettivi e finalità paiono spesso indicati con formulazioni troppo generiche per essere correttamente intesi. Con la conseguenza che ogni differenza rispetto al passato sembra ridursi per lo più alla pervasività delle politiche urbane ed all’ambito materiale degli interventi piuttosto che ad una diversa e specifica regolazione del governo
del tessuto urbano. È chiaro, ad ogni modo, che per un giudizio complessivo occorrerà passare dal tempo degli auspici a quello dei risultati.
In attesa dei risultati, il dato normativo ci consegna alcuni profili e caratteri della disciplina su cui pare possibile spendere qualche riflessione. In particolare, è la forte regia pubblica a porsi come cardine operativo di ogni scelta. È il Comune, infatti, che sceglie l’ambito territoriale
interessato, opera la perimetrazione e promuove l’intervento all’attenzione ai possibili interessati. Ed è sempre il Comune che è chiamato ad
embricare gli interessi pubblici e privati, valutare ed approvare il piano di intervento.
Proprio il richiamo alla regia pubblica introduce ai problemi posti dalla
realizzazione delle politiche di rigenerazione. Appare evidente, infatti,
che il successo di queste iniziative risulta legato alle capacità dell’ente
territoriale, da un lato, di cogliere ed intercettare i problemi del tessuto
urbano, dall’altro, di saper interloquire con i soggetti privati. La capacità di confronto e negoziazione dell’Ente locale non può, pertanto, essere data per scontata in operazioni immobiliari in cui l’asimmetria informativa ai danni dell’Ente locale stesso può risultare tutt’altro che infre-
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quente. In secondo luogo, sovvengono i problemi operativi già richiamati nel testo. La frammentazione proprietaria, il rispetto degli standard
urbanistici, e la penuria di incentivi e finanziamenti pubblici rappresentano problemi reali in ogni pianificazione urbana, e sono destinati ad
esserlo ancor di più specie nella rigenerazione a causa della scala territoriale delle finalità e degli obiettivi perseguiti.
Il problema centrale appare, ad ogni modo, quello legato alla sostenibilità economico-finanziaria degli interventi. Se in passato poteva confidarsi negli effetti moltiplicatori di ricchezza indotti dalla rendita fondiaria, oggi la decennale crisi del mercato immobiliare e l’incerta fase economica inducono a limitare la propensione al rischio del mercato e, al
contempo, a ricercare soluzioni alternative, le quali, in assenza di specifiche politiche pubbliche, non sembrano a portata di mano.