Scenario
Piaceri macchinici e interpellanze*
John Law*
Abstract In che modo gli oggetti ci interpellano? Quali sono i piaceri delle macchine? E quali sono, in particolare, i piaceri maschili costruiti nel conoscere e raccontare le tecnologie? A partire da una riflessione intorno ad alcuni piaceri macchinici, l’articolo prende in considerazione l’ecologia delle distribuzioni soggettooggetto ed esplora le forme di interpellanza attraverso cui ci costituiamo quali
soggetti conoscenti e grazie alle quali gli oggetti sono a loro volta costruiti e conosciuti.
Keywords Interpellanze; performance; piaceri; tecnologia; posizione del soggetto.
Passione, erotismo e metodo. Conoscenze incarnate. La loro incarnazione e
performance in soggetti marcati che sono anche soggetti disciplinari. Soggetti disciplinari che performano se stessi in ambiti come l’analisi sociale della tecnologia. In discipline che preferiscono performarsi come se fossero i prodotti di soggetti eroticamente non marcati. Come dare un senso a questa dimensione incarnata? Come comprendere la performance delle distribuzioni soggetto-oggetto?
La definizione della conoscenza, dell’oggetto e dei soggetti?
Il posizionamento dell’etnografo è un argomento di profondo interesse in
epoca post-moderna1. Ci sono molti modi con cui potremmo renderne conto ma
Testo originale: Machinic Pleasures and Interpellations, Centre for Science Studies, Lancaster University, Lancaster LA1 4YN, UK, 2001 – http://www.comp.lancs.ac.uk
/sociology/papers/-Law-Machinic-Pleasures-and-Interpellations.pdf.
La
traduzione
è
autorizata dall’autore ed è frutto di un lavoro collettivo: Restituta Castiello ha tradotto
l’Introduzione e il primo paragrafo; Silvia Fornasini ha tradotto i paragrafi 2, 3, 4, 5, 6, 7 e le
Conclusioni; Attila Bruni ha rivisto il testo finale in italiano.
* Vorrei ringraziare coloro che, più o meno consapevolmente, hanno contribuito a creare
l'ambiente intellettuale e politico che mi ha permesso di scrivere questo articolo: Ruth
Benschop; Brita Brenna; Michel Callon; Bob Cooper; Mark Elam; Donna Haraway; Bruno
TECNOSCIENZA
Italian Journal of Science & Technology Studies
Volume 3(1) pp. 95-118 - ISSN 2038-3460
http://www.tecnoscienza.net
© 2012 TECNOSCIENZA
96 LAW
in questo articolo propongo di utilizzare la nozione strutturalista di “interpellanza” di Althusser. Il filosofo utilizza questo concetto per parlare della produzione
di differenza tra soggetto e oggetto in un processo di riconoscimento istantaneo
(Althusser 1971). Perché senza dubbio ci sono molte interpellanze, punti fissi che
ci hanno reso ciò che siamo. Eppure non possiamo decostruire tutte le nostre
soggettività allo stesso tempo. E può anche darsi che queste componenti non
possano essere affatto decostruite. Ma questo non significa che siamo costretti ad
accettare e performare tutte le nostre interpellanze né a riprodurre tutte le distribuzioni che identifichiamo come naturali; che identificano noi come naturali.
Ecco perché, dunque, potremmo, anzi dovremmo, indagare l’ecologia
dell’interpellanza. Perché dovremmo considerare l’ecologia della distribuzione
soggetto-oggetto ed esplorare come siamo chiamati a diventare soggetti di conoscenza e come gli oggetti vengano prodotti e conosciuti in un modo specifico. Lo
scopo sarebbe comprendere il processo di produzione dell’ovvietà analitica e politica e il modo in cui la si potrebbe distorcere, compromettere, contrastare.
Dunque, questa è la questione. In che modo gli oggetti ci interpellano? È
scontato che esistano molti oggetti e molti soggetti. Per rendere conto di questa
molteplicità racconterò delle storie che hanno a che fare col piacere (il che non
significa che le macchine non interpellino in maniera dolorosa o in altri modi del
tutto diversi). Storie che parlano di piacere macchinico, di una piccola selezione
nella varietà dei piaceri macchinici2. Poiché mi occupo di tecnologie militari e dei
modi in cui esse e le storie che raccontiamo su di esse possono impersonare la cecità, e in particolare la cecità dei “giochi da ragazzi”, molte di queste storie hanno
a che fare con le tecnologie militari.
1. Eroismo Macchinico3
L’erotismo dell’eroismo. Gli aviatori e le loro macchine.
Nel suo libro “La Stoffa Giusta”, Tom Wolfe4 racconta la storia di Chuck
Yeager, il decano della squadra di piloti che collaudavano gli aerei ultraveloci che
sarebbero potuti diventare le prime navi spaziali statunitensi se le cose fossero
Latour; Nick Lee; Annemarie Mol; Ingunn Moser; Marilyn Strathern; Sharon Traweek; Helen
Verran-Watson.
1
Per interessanti esempi recenti nel campo degli STS, si vedano Gusterson (1995a;
1995b), Stone (1995a) e Traweek (1988; 1995a; 1995b).
2
Altri piaceri macchinici potrebbero includere quelli del bricolage. E della tortura.
3
Sono grato a Mark Elam dai cui studi ho adottato il termine “heroic agency”.
4
Il libro di Tom Wolfe “The right stuff” (1980) descrive le prime fasi del programma
spaziale statunitense e, in particolare, le differenze di erotismo tra chi credeva che la navicella
spaziale avrebbe dovuto essere presidiata da piloti che avrebbero volato nello spazio, e chi,
volente o nolente, si ritrovò di fronte all'enorme serbatoio di carburante che lo avrebbe
spedito nello spazio, senza alcuna possibilità di intervenire. Per una breve discussione, nel
contesto della mascolinità della cultura, vedere Wajcman (1991).
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andate diversamente. Se gli Stati Uniti, cioè, non avessero optato alla fine per le
tecnologie missilistiche del programma Mercury.
Yeager aveva vissuto ogni tipo di esperienza. Per non parlare delle sofferenze
e delle tribolazioni. Era quello che aveva volato più in alto e più veloce. Si era assunto i rischi più disparati. Era stato ferito gravemente. Lui e i suoi amici avevano
guidato macchine super-veloci attraverso il deserto. Si erano ubriacati infinite
volte fino a perdere i sensi. E avevano scopato (e uso di proposito il termine per
sottolineare l’asimmetria meccanica e di potere) tutte le volte che ne avevano avuto l’opportunità. Nonostante tutto – oppure proprio per questo – incarnavano,
Yeager in particolare, esattamente i soggetti con “la stoffa giusta”. “La stoffa giusta” era l’espressione che i piloti stessi usavano per descrivere ciò che serviva per
affrontare questa forma di volo particolarmente pericolosa e qualificata. Ed essendo l’incarnazione della stoffa giusta, Yeager disprezzava quelli che non la possedevano. Inclusi quelli che si presentarono volontari per il programma spaziale
Mercury.
Fare a dadi con la morte; eroismo; spingersi oltre il limite; volare più veloce,
più lontano, più in alto di chiunque altro. Un’abile ma spericolata noncuranza
della sicurezza personale. Abilità e competenza che assicuravano l’invulnerabilità.
In un modo o nell’altro, così viene performata questa ben accreditata economia
dell’eroismo.
È una cosa semplice e, si fa intendere di solito, molto maschia – cioè, maschia
in un modo molto particolare. Dunque, è una cosa semplice ma, dopotutto, non
così tanto, in parte perché ci sono molte maschilità5, e in parte perché questa
forma di eroismo è fatta indubbiamente di molte componenti. Primo, il piacere
di una forma di cameratismo maschile, solidarietà maschile, omosocialità. Secondo, un senso di trascendenza nel combattimento. Terzo, la sensazione che
l’invincibilità trasformi la vita del guerriero in un gioco, un ruolo da interpretare.
Quarto, la performance di un rapporto intimo tra i piaceri del corpo e quelli della
tecnologia, del macchinico, in cui la macchina diventa l’oggetto del desiderio6.
Quinto, un forte legame tra piacere e morte (Rosenberg 1993). E sesto, la sensazione di non essere del tutto umani. Così recita Stanley Rosenberg un pilota del
Vietnam:
“Noi non vediamo corpi morti, gente ferita, persone colpite con armi da fuoco. Se non ritorni, non ritorni. Vedi solo metallo bruciato sul lato di una montagna, una fiamma in lontananza. Non ci sono corpi smembrati”. (Rosenberg 1993,
62)
Un argomento sostenuto da diversi autori. Si veda, ad esempio, de Lauretis (1987).
È evidente che l'erotismo degli aerei militari è stato soggetto a cambiamenti, almeno negli
Stati Uniti. Stanley Rosenberg (1993), esplorando i racconti dei piloti bombardieri della
Seconda Guerra Mondiale, e confrontandoli con quelli dei piloti USAF in Vietnam, osserva
che i piaceri diventano sempre più legati alla macchina stessa. Il 'modello Yeager', con i suoi
racconti di bevute e scopate, è rimpiazzato da un esplicito erotismo tecnologico.
5
6
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Esperienze extra corporee: ne parlerò meglio a breve, dal momento che sembra che ne esistano di molti tipi e che siano collegate a molte forme di piacere.
Qui voglio solo mettere in evidenza il distacco, il potenziale distacco dal corpo
implicito in questa citazione. C’è una sorta di indifferenza in questo eroismo, indifferenza per il destino del corpo. Il pilota trascende le banalità di questo mondo. L’eco delle parole “una fiamma in lontananza”: lavoro troppo di fantasia, oppure è un concentrato di trascendenza, di superamento dell’esperienza umana?
Una sensibilità spirituale che nasce dall’immunità del corpo alle fatiche del mondo? Dalla sua traslazione verso altri luoghi, verso altri piaceri7?
Immaginiamo che queste forme di erotismo macchinico siano importanti per
noi. Supponiamo di essere interpellate/i in questo modo. Dunque, cosa significherebbe? Come funzionerebbe questo erotismo macchinico? In che modo questa interpellanza strutturerebbe la conoscenza delle tecnologie, dell’aeronautica
militare, la loro performance narrativa? Cosa ci impedirebbe di vedere o di essere?
Come altre narrative di combattimento, anche questa performerebbe un
mondo costruito su una serie di dualismi. Primo, quello tra noi e il nemico, “la
minaccia”. Secondo, tra il mondo naturale e l’abilità del nostro corpo-macchina,
tra natura e cultura8. E terzo, tra gli eletti e il resto del mondo che fatica, intrappolato in corpi, corpi mortali, al suolo, corpi che non vanno da nessuna altra parte e che non ricevono la promessa di quella fiamma in lontananza.
Ma quali implicazioni ha il dualismo sulla struttura delle nostre narrative?
Tanto per iniziare, c’è una risposta semplice. Creerebbe degli Altri, oggetti
che sono Altro, Alterità che sono necessarie per le nostre fantasie narrative ma ad
esse aliene. Come “la minaccia”, oppure come la natura stessa, nella sua tipica
collocazione occidentale come Altro dalla cultura, gli Altri sono quelli che ci
permettono di essere noi stessi. Quindi ci sarebbe una performance di dualismi
invece che di continuità, divisione del lavoro invece che lavoro per contrastare le
divisioni. Questo è il primo pericolo: avremmo narrative sbagliate perché avrebbero un senso compiuto solo se costruite in funzione di questi Altri immaginati.
Secondo, saremmo interpellati come estranei, dal momento che noi non saremo mai parte di quella magia, della magia del volo, ma saremmo costretti a riprodurre un erotismo del volo di seconda mano (in questo caso come facciamo a
Qual è la relazione tra discorso e performance? Le interviste ai piloti britannici del
Tornado responsabili di alcune delle più pericolose missioni nella Guerra del Golfo (che sono
apparse nella seconda parte di una serie in quattro parti chiamata “Thunder and Lighting”
trasmessa dalla BBC alle 10.45 di martedì 9 gennaio, 1996) rivelano che ci sono stati lunghi
momenti di terrore. La trascendenza è un lusso per il responsabile del disordine?
8
Allucquère Rosanne Stone (1991) suggerisce che la natura è una strategia per mantenere
i confini, mantenendo visibile la tecnologia, e quindi distinguendola dai nostri “io naturali”.
Nel contesto specifico del volo militare, questo interessante suggerimento funziona forse
meglio per i piloti della generazione di Yeager che per quelli che hanno volato durante la
Guerra del Golfo.
7
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opporci alla colonizzazione?)9 o a ignorare del tutto l’erotismo e a focalizzarci
sulla tecnicizzazione della repressione (di cui parlerò a breve). Perché parlare di
carisma è sempre difficile e, checché se ne dica, il volo militare è una performance carismatica10.
Terzo, c’è la questione della tecnicizzazione della repressione. Per intenderci,
ci sono motivi apparentemente tecnici che giustificano il bisogno di aerei più veloci, capaci di volare a maggiori altitudini, più pericolosi, più efficienti. Aerei che
vengono percepiti come desiderabili o, addirittura, indispensabili. In ogni caso
temo questa retorica per le narrative dell’aeronautica militare e per le sue macchine. Perché le storie delle “pagine dei ragazzi” non esistono più e ci sono rimaste solo storie di necessità tecniche e strategiche.
Per esempio, c’è un aereo che ho studiato, il TSR2. Si trattava di una aereo da
attacco e ricognizione concepito per la Royal Air Force britannica. Le sue caratteristiche di volo erano molto significative dal momento che nel 1957, quando
stava per essere progettato, sembrava che sarebbe stato molto probabilmente
l’ultimo aereo da combattimento della Royal Air Force. Eppure, benché molti
uomini desiderassero volare su aerei velocissimi, questo aspetto (questo era il
punto) non emerse mai nei documenti ufficiali che, invece, venivano analizzati in
un linguaggio tecnico che non lasciava spazio al piacere dell’eroismo. La mia
conclusione: dobbiamo stare in guardia contro le narrative tecniche. Non perché
siano sbagliate o perché non siano performate. Al contrario, proprio perché sono
performate nella struttura del macchinico, vi scorrono attraverso, aiutano a costituirla. Dobbiamo stare in guardia perché oscurano un’importante dimensione
dell’erotismo. È dato per scontato che i generali della forze aeree non vedano di
buon occhio gli eroi, che debbano auspicare un’azione militare efficace, finanche
la conta dei caduti. Il che suggerisce che nella distribuzione delle giustificazioni
nelle narrative tecnicizzate, l’erotismo tanatologico dell’eroismo verrà occultato,
reso privato – oppure estruso dal testo e incluso nel materiale visuale, nelle illustrazioni dell’aereo, dove esso viene performato in forma non verbale bensì in
forma estetica. E questa precisa distinzione, “estetica/tecnica” è un’altra distribuzione, una collusione interpellativa, di cui si potrebbe benissimo fare a meno11.
Questa è la prima interpellanza: l’eroismo macchinico e le sue elisioni.
9
In ogni caso, le storie che conosco in ambito STS tendono ad evitare di performarsi in
questo modo - si tratti di missili piuttosto che di aerei da combattimento, le possibilità
dell'erotismo di una morte eroica sono limitate. Si vedano in proposito gli studi di Donald
Mackenzie (1990) sulla tecnologia missilistica, e lo studio del programma Polaris di Harvey
Sapolsky (1972).
10
Ho esplorato alcune difficoltà del ricercatore nel trattare il carisma in Law (1994), anche
se il contesto era molto diverso.
11
È evidente che le narrazioni tecnicizzate delle macchine militari sono giustapposte al
materiale visivo che racconta una storia diversa, eroica e di genere. Ho approfondito
quest'argomento in Law (2001).
99
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2. Combattimento virtuale
Non ricordo il nome del gioco. Forse era Doom, non so. Ma una volta un
amico mi ha invitato a giocarci sul suo computer. Lui ci gioca al lavoro a fine
giornata, cioè per pochi minuti prima di andare a casa la sera.
La grafica era, come si dice in questi casi, sensazionale. Mi sono ritrovato interpellato in un personaggio – un ruolo, un ruolo in un mondo di stanze e corridoi, di gallerie e spazi aperti, dove potevo uccidere o essere ucciso. C’erano diverse sfide. Non ricordo tutti i dettagli ma credo che l’obiettivo principale fosse
superare il livello del gioco e passare al successivo. E per farlo, beh, c’erano diverse necessità e risorse. Per esempio, c’erano scorte da raccogliere, fiale vita,
chiavi con cui aprire porte chiuse, armi potenti. Mentre tutt’intorno c’erano bestie di vario tipo, cyborg, guerrieri, non so cos’altro, che cercavano di uccidermi.
E io dovevo combattere. Dovevo farli fuori prima che loro facessero fuori me.
Il mio amico mi disse che, per i pochi minuti che avevo giocato, l'avevo fatto
bene, ma ciò non sembrava avermi dato nessun particolare entusiasmo. Al contrario, avevo scoperto che mi stava rendendo ansioso, e devo dire che sono stato
contento quando il gioco è finito.
Molto è stato scritto sul piacere che provocano i giochi per computer e il cyberspazio (Turkle 1984; Stone 1991): senza dubbio si tratta di piaceri complessi,
che tuttavia hanno spesso a che fare con il controllo. Ma parlare di “controllo”
tout court è troppo semplice, dal momento che esso si manifesta in una varietà di
forme. Ad esempio, nel controllo totale di un universo semplificato, ma di questo
parlerò in seguito. Oppure nel potere visivo, il controllo dell'occhio che si distacca da una superficie fatta piana. Si potrebbe trovare qualcosa a riguardo nei giochi per il computer, ad esempio nello sforzo di controllare una resistenza (che è,
tra l'altro, la più comune definizione di potere)12. E poi, forse in modo simile, si
può intendere il controllo come un aspetto del combattimento, in questo caso il
combattimento virtuale: ed è ciò di cui voglio occuparmi qui, poiché nei giochi al
computer esso non è del tutto 'reale', dal momento che (ed è questo il passaggio
cruciale) si svolge in uno spazio che è reale e irreale al tempo stesso. Ciò permette, performa, sia la realtà che l'irrealtà della competizione.
Il reale e l'irreale. Una cosa è reale perché, dopo tutto, si trova qui, e poiché si
crea un posizionamento del soggetto nello spazio di combattimento: ne deriva
quindi un contesto mortale, in cui ci sono un vincitore e un vinto. Dunque, tutto
questo è reale e irreale allo stesso tempo. È irreale perché è anche disincarnato,
poiché il soggetto non può rinunciare alla sua posizione, che sia vincente o perMichael Heim (1991: 61) scrive: “Il nostro fascino verso i computer è più erotico che
sensuale, più profondamente spirituale che utilitaristico. L'Eros, come gli antichi Greci
avevano capito, nasce da un sentimento di insufficienza o inadeguatezza. Mentre l'esteta si
sente attratto da flirt e giochi casuali, l'amante erotico tende ad una soddisfazione che va al di
là del distacco estetico”.
12
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dente. L'incarnazione nel gioco (il gioco, si noti) è volontaria. È come svegliarsi
da un sogno, quando si realizza di non essere chi si pensava di essere, salvo che
nel gioco lo slittamento tra le posizioni del soggetto, tra la disincarnazione e l'incarnazione, è a doppio senso, oscillatorio. Il che significa, tra l'altro, che i giochi
di combattimento possono essere interpretati come tecnologie che performano il
piacere mentre limitano il dolore. Tecnologie in cui il fatto di muoversi dentro e
fuori dai corpi consente sia il coinvolgimento che la mancanza di coinvolgimento.
Senza dubbio, quest'ambivalente incarnazione/disincarnazione è un fenomeno comune. Come ho già detto, ritengo che i piaceri siano spesso correlati ad
esperienze extracorporee, che non sono necessariamente legate al combattimento. Immaginari di ogni tipo potrebbero (perdonate la ripetizione) essere immaginati. E, per quel che riguarda le sfumature, i gradienti tra ciò che è reale e ciò che
non lo è, anche qui ci sono molte possibilità e molte promesse13. Ma nel meno
promettente ambito del combattimento dobbiamo aggiungere il rischio, le relazioni tra soggettività, abilità, strategia e pericolo. Abbiamo bisogno, cioè, di aggiungere la possibilità di vittoria o il rischio di distruzione alla consapevolezza
che questa distruzione sia virtuale, libera da costi e disincarnata. Che si trovi in
una forma di combattimento che termina alla fine della giornata, poiché il corpo
non è, come si suol dire, “in prima linea”, dal momento che ha la possibilità di
tornare nel suo proprio (altro) posto al di fuori del gioco.
L'erotismo del combattimento virtuale: dove possiamo trovarlo? Nei giochi
per computer, e forse anche nell'arena sportiva, un mondo fatto di squadre,
competizioni e risse14. Oppure, nelle fiction e nei film. Ed infine, nelle simulazioni di guerra, dai soldatini-giocattolo sul pavimento della nursery della borghesia
vittoriana, attraverso i dettagliati mondi neo-gotici creati dai contemporanei ideatori di Games Workshop15, fino alle agghiaccianti simulazioni di vita reale giocate
dagli strateghi militari, come ad esempio i giochi di tattica nucleare della Rand
Corporation descritti da Carol Cohn (1993).
Passando dall'arcade game alla 'conta dei caduti', attraverso l'aspro realismo
del gioco di guerra, il nocciolo di quanto propongo è questo: c'è un erotismo
specificatamente interpellativo del combattimento strategico, che si performa attraverso la simulazione, nella variabilità tra incarnazione e disincarnazione. Ciò
significa che il soggetto viene performato come un corpo in cui scorre del sangue,
ma in un'area senza sangue e corpi, in cui il dolore è transitorio e non è mai reale,
fisico, sia per il soggetto, sia (e senza dubbio questo è molto più inquietante) per
l'oggetto antagonista. È un luogo in cui le emozioni ci sono, ma con conseguenze
Ho ripreso il termine “immaginario” da Helen Verran-Watson (1994). Per un'ulteriore
discussione delle implicazioni politiche del dualismo reale/non-reale e la politica ontologica (o
immaginario epistemico) che può esistere tra il reale e il non-reale, vedere Law (1995).
14
Le metafore sportive sono onnipresenti nel mondo militare (Cohn 1993).
15
Per mescolare gli stili, si sarebbe tentati di dire che sia un neogotico intriso di barocco.
C'è una vera e propria economia del piacere qui, che si performa per esempio nei romanzi di
Tolkien, con la sua maestria nell'esaustività dei dettagli. Ne parlerò brevemente in seguito.
13
101
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irrilevanti, dove si può giocare nel ruolo dell'eroe. Questo è il punto: è un luogo
in cui puoi giocare a fare l’eroe , e considerare parte di questo giocole radicali distribuzioni di attività/passività sempre implicite in un combattimento. La speranza di vincere. La paura di perdere. Essere disaggregati. Con - ma quindi senza - il
corpo, senza il pericolo che corre il corpo in un combattimento16.
Supponiamo di essere interpellati in questo modo, nei piaceri oscillatori del
combattimento virtuale: che forma prenderebbero le nostre narrazioni?
Fornirò qui alcuni suggerimenti. In primo luogo, esse presuppongono che il
soggetto sia centrato. Sarebbe un soggetto calcolatore e stratega, poiché dovrebbe gestire le risorse per respingere e vincere la resistenza, e subordinare altri sforzi e legarli all'immaginazione, all'obiettivo di ottenere la vittoria per mezzo di una
serie di mosse che fanno parte del più ampio sforzo di vincere. Si tratta di una
soggettività decisa, una soggettività che si fa depositaria di un particolare tipo
(razionale?) di azione, dove il mancato raggiungimento dello scopo è davvero un
fallimento, un'incapacità di stabilire un ordine gerarchico, e dove la passività, la
calma, l'indecisione, la non-omologazione, sono inconcepibili come posizioni del
soggetto17.
In secondo luogo, le nostre narrazioni appiattirebbero il campo agonistico. Infatti il soggetto interpellato in quel campo potrebbe Risolvere complessi rompicapo e importanti problemi logistici. Ma, “in ultima istanza” il campo, l'arena,
l'area delimitata della simulazione, performa se stessa come piatta. È senza dubbio una piattezza complessa con regole, strategie, collegamenti e reazioni. Tuttavia è piatta come un codice informatico o come lo spazio dello schermo di un
computer o come gli scenari descrittivi di un gioco di guerra o come la mappa
strategica in una war room. Questi sono tutti posti dove i problemi possono essere immaginati e combinati per performare un mondo a sé stante in cui, ossimoricamente, non c'è posto per l'inassimilabile e per l'ambivalente, per il mistero. Infatti, questi sono posti in cui non c'è nessun mistero18.
In terzo luogo, le nostre narrazioni si disincarnerebbero e si renderebbero inaffidabili. Il soggetto interpellato è sia reale che irreale. È reale perché è un mondo,
un 'mondo inventato', un oggetto che rende sé stesso reale. E non è comunque
ancora reale. Perché? Perché è solo una simulazione – che permette i piaceri del
combattimento, ma senza le sue conseguenze. Così abbiamo un soggetto oscilla-
16
Il rapporto tra soggettività e corpo è molto dibattuto. Vedere, per una sintesi,
Allucquère Rosanne Stone (1991). Pur sostenendo che la soggettività sia in un processo di
profondo cambiamento, essa, alla fine, ci fa tornare al corpo.
17
Il che significa che le narrazioni del combattimento virtuale sono gerarchiche. Che
operano cioè una distinzione tra mezzi e fini, se ci è dato di conoscere i fini attraverso le
interpellanze. E i mezzi? Devono essere assemblati, come si suol dire, in modo fruttuoso.
Questo suggerisce che le questioni di etica o di politica sono spinte al di là dell'ambiente di
gioco. Diventano Altro, una parte dell'inassimilabile.
18
Il movimento comporta una conversione dell'incertezza, o del mistero, in rischio. Che
può, almeno in un caso ideale, essere calcolato.
TECNOSCIENZA – 3 (1)
torio, che può essere sia del tutto serio, sia del tutto irresponsabile19. La questione è un po' diversa da quella descritta da Donna Haraway (1991) riguardo all'illusione dell’occhio di Dio, poiché qui il piacere non è puramente esteriore. Ma la
discussione conduce comunque nella stessa direzione, che suggerisce di stare in
guardia dalle simulazioni oscillatorie, dai piaceri corporali della rappresentazione,
che ci rimuovono dal nostro corpo e ci conferiscono la capacità, il bisogno, il desiderio, di correre rischi senza correrli davvero. Il desiderio di agire senza dover
prendere seriamente in considerazione le conseguenze delle nostre azioni. Per
poter essere degli eroi senza provare niente di più di un dolore temporaneo.
In un certo senso, questa è una storia già sentita. Racconta del carattere anodino del linguaggio tecnicizzato, che è poi lo strumento del mestiere della pianificazione militare. Racconta del conteggio dei caduti, dei bilanci di guerra, degli
attacchi in profondità, della superiorità aerea, della ricognizione armata, del supporto aereo ravvicinato20 o dei 'danni collaterali'. Ma questo linguaggio ha a che
fare non solo con l'omissione del dolore fisico del “nemico”: performa anche l'interpellanza oscillatoria del combattimento virtuale che garantisce il piacere fisico
senza il dolore fisico, e mette così in atto una sorta di “cecità narrativa”21.
Una seconda forma di piacere macchinico è quella del combattimento virtuale. Credo che si performi nell'intreccio delle nostre narrazioni, e in quelle di chi
studiamo. E forse questo è particolarmente pericoloso, perchè potrebbe essere
che la simulazione diventi l’“oppio degli intellettuali”22.
Il gioco tra la rappresentazione e la realtà/non realtà del referente. Tra la realizzazione
del soggetto nel mondo e quella all'esterno di esso. Com'è possibile? Sembra che ci siano due
possibilità. La prima parte da un luogo che non performa il mondo 'reale' esterno, e si sforza
comunque di creare e performare il realismo. Usando, per esempio, la “splendida grafica” del
gioco per computer e creando in questo modo quella che chiamiamo “realtà virtuale”. Una
realtà virtuale che performa un posizionamento del soggetto in quella realtà. Questo è il primo
approccio. E l'altro? L'altro, al contrario, si performa come rappresentazione di un mondo
pre-esistente, che lo simula. Simula qualcosa che (come si suol dire) è già qui, e lo fa
“realisticamente”. Mentre, allo stesso tempo, se ne distacca. La logica di queste varie
possibilità è stata esplorata da Jean Baudrillard (1988).
20
Tutti termini comuni nei discorsi sul volo militare nel 1960. Li ho estrapolati dal
resoconto di Stanley Rosenberg (1993) sui valori dei piloti durante la Guerra in Vietnam.
21
La mia posizione è legata all'importante questione della pericolosa “anodinità” del
linguaggio militare. Per un esempio recente in quest'ambito, si veda Robins e Levidow (1995).
Si noti, comunque, che qui non ho sostenuto che la simulazione sia inumana. Non c'è dubbio
che il linguaggio anodino e disumano sia spesso usato per sollevare l'azione militare e
genocida dal disagio dei discorsi morali. E a questo si collega il fatto che i combattimenti
debbano sempre avere una forma corporea (per un esempio in fantascienza - Tepper 1989).
Ma qui mi riferisco in particolare, al piacere del combattimento virtuale, che credo, come ho
sostenuto, si ricolleghi all'oscillazione nel corpo/fuori dal corpo, e all'irresponsabilità che
questa performa.
22
Seguendo le orme di Weber, Colin Campbell (1987) afferma che il Protestantesimo
ascetico ha offerto la possibilità di un'intensa vita interiore, che ha condotto non solo
all'attività economica, ma anche, attraverso vari sfasamenti, al consumismo. Molti dei piaceri
qui descritti sembrano dipendere da una tale vita immaginaria.
19
103
104 LAW
3. Passività
Questo è un argomento un po' diverso. Ne ho parlato con un certo numero di
persone, uomini e donne, e molti, sebbene non tutti, ne hanno avuto esperienza,
come me, anche se in grado minore. Si tratta di quella sorta di brivido, mescolata
a una piccola dose di paura, che proviamo quando l'aereo su cui stiamo viaggiando inizia a decollare.
L'attesa in fondo alla pista di decollo è finita. Il pilota effettua gli ultimi controlli pre-volo, e dà pieno gas ai motori. Il rumore si trasforma da un lamento ad
un vero e proprio ruggito, la cabina scricchiola, i finestrini crepitano, e improvvisamente veniamo premuti contro i nostri sedili mentre acceleriamo nella corsa
per il decollo. I primi secondi sono il più alto momento di eccitazione: tutto quel
potere, tutto quella potenza, la sensazione di un pugno nella schiena. E poi l'eccitazione diminuisce nel momento in cui, acquistata velocità, il carrello anteriore
viene sollevato, e un secondo dopo anche il carrello principale si stacca dalla pista. Con un tonfo, le ruote vengono ritirate. Siamo in volo ed improvvisamente
c'è molto meno rumore.
È una procedura estremamente banale. Succede migliaia e migliaia di volte al
giorno, e le reazioni sono svariate. Alcuni sono semplicemente terrorizzati, sudando afferrano i braccioli, le nocche bianche. Altri semplicemente sembrano
dimenticarsi di ciò che sta accadendo: forse quest'anno hanno già volato duecento o cinquecento volte. In ogni caso, si dedicano tranquillamente alla lettura per
tutta la durata del decollo. Il rumore, l'accelerazione, nulla di tutto questo sembra fare alcuna differenza. Altri ancora sono entusiasti, e senza dubbio provano
una qualche versione del piacere declinante che ho sopra descritto. Ma qual è la
caratteristica di questa interpellanza che progressivamente sbiadisce? Per riflettere su questo vorrei tornare a Tom Wolfe e raccontare un'altra delle sue storie.
Il pilota disapprovava coloro che avevano scelto di partecipare al programma
NASA, e li aveva definiti “carne in scatola”.
E, in un certo senso, aveva ragione (erano davvero come carne in scatola). Il
primo astronauta è stato uno scimpanzé, a cui furono assegnati piccoli compiti da
svolgere durante il primo volo, che non avevano nulla a che fare con il controllo
della missione. E non fu molto diverso per gli esseri umani che in seguito occuparono le piccole cabine del Mercury. Infatti, essi trascorsero molto tempo a discutere con l'amministrazione riguardo al loro ruolo: avrebbero potuto avere un finestrino per guardare all'esterno? I controlli sarebbero potuti essere riorganizzati per permettere loro qualche ruolo di pilotaggio?
L'amministrazione fece in modo di soddisfare entrambe le richieste, ma alla
fine le concessioni furono minime. Seduti in cima a tre razzi messi insieme e controllati da un bunker a Cape Canaveral, i piloti semplicemente avrebbero garantito il buon funzionamento della missione. Naturalmente con la consapevolezza
che, se qualcosa fosse andato storto, sarebbe stata la fine.
TECNOSCIENZA – 3 (1)
“Carne in scatola”: la definizione spregiativa di Yeager mette in luce un punto
importante del programma Mercury. Ma anche dei passeggeri di un aereo civile,
poiché le due circostanze sono simili. Anche noi siamo 'carne in scatola'. Schiacciati insieme all'interno di una cabina, e legati ai nostri sedili, non possiamo muoverci, e non abbiamo la minima possibilità di controllare nulla. Ma per tutto il
tempo, enormi forze fisiche stanno lavorando al loro meglio o al loro peggio sui
nostri corpi – sono vissute nei nostri corpi o dai nostri corpi. C'è una gravità a cui
non si può resistere, un peso che ci lega ai nostri sedili, insieme alla consapevolezza o alla paura che, se qualcosa andasse storto, non ci sarebbe niente da fare. I
nostri corpi verrebbero distrutti irreparabilmente.
Qual è allora il piacere di questa performance? Senza dubbio ci sono molte risposte, ma vorrei riflettere in particolare sulla distribuzione dell'agency, e il modo
in cui questa distribuzione gioca attraverso il corpo e ciò che gli è 'altro'.
Per quanto riguarda l'agency, ossimoricamente si tratta della capacità di agire.
Ma cosa significa? Significa spirito d‘iniziativa, capacità di controllare e abilità di
fare la differenza. Soffermiamoci sull'abilità di fare la differenza. In un combattimento virtuale, come in un'agency eroica, il soggetto è costruito in modo tale da
poter fare la differenza. Ma non è questo il caso. Qui, niente di ciò che facciamo
farà differenza. Siamo passati dall'attività alla passività. Il luogo dell'agire ci è stato sottratto ed è stato distribuito in materiali al di là del corpo. 'Carne in scatola',
appunto.
E i piaceri? In questo caso si può parlare di un'economia che gira intorno alla
rinuncia All'agency, e ritengo ci siano almeno tre concetti correlati a questa economia.
Il primo: non c'è possibilità di agire. C'è invece una distribuzione interpellativa che non riguarda necessariamente un problema di disperazione o dolore. Infatti all'incapacità di agire è correlato il piacere, la lussuria del fatalismo, dell'aspettare, che il macchinico, il naturale, il divino, agiscano sul corpo e attraverso
di esso. Un piacere che è stato interpretato in modo negativo, per lo più a torto,
nella maggior parte delle trattazioni occidentali. Questa 'distribuzione nella passività' è davvero una forma di piacere, di benessere.
Il secondo concetto riguarda la questione della cura, poiché esiste il piacere di
essere curati, accuditi, custoditi nel “ventre del mostro” o dalle “ali del divino”. Il
termine “fiducia” è stato trattato con troppa leggerezza all'interno delle teorie
sociali, ma qui ho bisogno di usarlo: infatti c'è un piacere nel fidarsi abbastanza
da “permettere” la distribuzione dell'agency al di fuori del corpo, in altri materiali: le mani di un accompagnatore, il ventre di una “balena tecnologica” o di una
“madre macchinica”23. Questo è il piacere dell'essere curati. Di nuovo, l'argoSono grato ad Annemarie Mol per la discussione in cui sottolinea il legame tra
responsabilità, irresponsabilità, e genitorialità. La metafora è sviluppata in modo originale da
Sara Ruddick (1993) nel suo studio sul carattere del controllo, in cui sottolinea che i genitori e senza dubbio le madri in particolare, in una società soprattutto patriarcale - possono avere
potere di controllo sui loro figli, e la responsabilità deriva dal non abusare di tale potere.
23
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106 LAW
mento non è stato ben focalizzato dalla maggior parte dei discorsi della cultura
occidentale contemporanea, nelle cui trattazioni questi piaceri sono spesso costruiti come una regressione, o riguardano gli asimmetrici complessi di genere
che dividono il pubblico dal privato – divisioni che possono, in un mondo costituito in termini così asimmetrici, essere accettabili nella misura in cui funzionano.
E senza dubbio collegarsi col loro rifiuto nella forma dell'eroismo e di altre forme
di controllo, e degli interminabili discorsi sull'“intraprendenza”. Ma ritengo che
potremmo trattare la passività, il non-performarsi dell'agency, come un erotismo
interpellativo a sé stante, che si esprime in molti luoghi, compreso quello pubblico.
Il terzo concetto riguarda il piacere della non-responsabilità. Si noti che non si
intende un'irresponsabilità che implica un giudizio morale distributivo, che per il
momento voglio evitare. Non “irresponsabilità”, quindi, bensì “nonresponsabilità”, che significa non essere tenuti ad assumersi la responsabilità di
niente, sia nei confronti degli altri, o, addirittura (e questo è il punto cruciale), di
se stessi. Tutto ciò è profondamente legato al performarsi dell'agency. È come se
coloro che agiscono fossero costruiti come ultima risorsa morale, creati come
luoghi che potrebbero dover rendere conto delle proprie azioni a se stessi, agli
altri o a Dio, poiché avrebbero potuto agire diversamente, poiché (come la narrazione rivela) hanno avuto la possibilità di scegliere. Ma rinchiusi nel ventre della
“madre macchinica”, della “balena macchinica”, resi passivi per un momento,
non abbiamo scelta. La carne non può scegliere: piuttosto, viene trasportata. E
qualsiasi errore o dimenticanza sia commessa, come già fatto altrove, verrà distribuita all'Altro. Ed è l'Altro, una qualche componente dell'Altro, che verrà reso
responsabile24.
Il fatalismo, l'essere curati, la non-responsabilità, la distribuzione dell'agency e
le sue appendici all'interno e all'esterno del corpo. Ancora una volta, il piacere
gioca su ambiguità e oscillazioni nel-corpo e fuori-dal-corpo. È la questione
dell'agency eroica e del combattimento virtuale, ma qui la performance è diversa,
poiché in questi casi il piacere ha a che fare coi modi in cui la soggettività si distribuisce in una forma di oscillazione, all'interno e all'esterno del corpo. Qui ciò
che si muove non è più la soggettività. Si tratta invece dell'agency – mentre la
soggettività è collocata ostinatamente ovunque nel corpo, nel piacere della passività e della non-responsabilità di agency. Considerando che si tratta di un'agency
che svolazza dentro e fuori la carne.
Cosa significa questo per le nostre narrazioni?
Ruddick usa questo concetto come metafora per una riflessione sulla guerra e la pace,
raccomandando un approccio basato su questa particolare forma di “cura”.
24
È lo spazio dove si performa l'irresponsabilità. Dove gli agenti che avevano una scelta, o
meglio, che possono performarsi come se avessero una scelta, hanno scelto di fare ciò che era
sbagliato.
TECNOSCIENZA – 3 (1)
Rispondere a questa domanda potrebbe portarci molto lontano dalle macchine – ad esempio, nell'ambito della filosofia politica. Cercherò di dare una risposta
semplice divisa in due parti.
In primo luogo, la passività, e in particolare i piaceri che ne derivano, saranno
repressi. Perciò, la lezione è questa: il corpo, o almeno così credo, riconosce
un'interpellanza nella passività che è discorsivamente molto meno facile da praticare, per lo meno nel mondo degli oggetti e delle tecnologie militari. O, più precisamente, il corpo riconosce i piaceri, di tipo fisico e non solo, nella passività,
dove le narrazioni dell'agency riconoscono solo fallimenti. Questi forse possono
essere errori che riguardano competenze tecniche, e/o responsabilità morale
(come nella frase “Ho solo eseguito un ordine”), che sono quindi tenuti ai margini o inseriti successivamente in una performance di denuncia morale – che, però,
anche se accade, non centra la questione. Infatti, se l'interpellanza nella passività
è un piacere a sé stante, allora la questione riguarda quanto quei piaceri siano
presenti nella performance delle macchine militari. E questa non è, penso, una
questione che emerge dai racconti sugli aerei da guerra. Ma non sappiamo perché Non sappiamo quanto questi piaceri interpellativi siano rimossi da altri racconti di interpellanza militare che riguardano l'avere la stoffa giusta. Tutto ciò,
tuttavia, suggerisce che sarebbe opportuno, come forse lascia intendere Sharon
Traweek, essere sospettosi se ci troviamo a performare storie in cui gli unici attori
umani passivi sono gli stessi che hanno fallito, in un modo o nell'altro25.
In secondo luogo, potrebbe essere saggio stare in guardia se trovassimo, o più
precisamente se ci trovassimo, a performare narrazioni in cui fosse possibile essere attivi solo se si è delle persone. Si tratta, naturalmente, di semiotica, ed in particolare di un actor-network, visto che la demistificazione del mondo non dovrebbe agire come un punto fermo nelle narrazioni e che altri -come gli aerei –
potrebbero agire per performare il piacere della passività su, o in relazione a, il
soggetto umano. Voglio semplicemente sottolineare che la distribuzione dell'agency, il modo in cui si muove, non è semplicemente un problema di analisi, ma
anche di pratica, e precisamente della pratica del piacere. Agenti non umani possono essere immaginati come umani che provano piacere e soggetti passivi. Questa è, tuttavia, una forma narrativa piuttosto lontana da quelle che si performano
nelle principali storie di aeronautica militare.
Dunque è questa la terza forma di piacere macchinico: la passività, la rinuncia
all'agency, il giacere nelle braccia della macchina.
4. Enumerazione
Immaginate di essere in una libreria, ad esempio la grande Dillons a Londra,
ma anche una qualsiasi andrà bene. Siete interessati alla tecnologia, alle macchiIl suo è un commento sullo stile narrativo dominante nella fisica delle alte energie: “la
natura associata al genio autorizza la scienza” (Traweek 1995a: 217).
25
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ne, e nello specifico agli aerei militari. Quando chiedete indicazioni, venite mandati in un angolo piuttosto grande da qualche parte al piano di sotto, con un sacco di mensole e libri: si tratta di libri sull'aviazione militare.
Molto bene. Avete trovato ciò che stavate cercando, e dunque iniziate la vostra esplorazione. Ma poi scoprite che pochi libri, o forse nessuno, sono organizzati in un modo che abbia qualcosa a che fare con una concezione sociale di tecnologia. E, allo stesso modo, pochi riguardano le narrazioni della storia – benché,
se si è fortunati, si possano trovare alcuni racconti della Royal Air Force, o resoconti di compagnie aerospaziali. Invece gli scaffali sono pieni di descrizioni di tipologie di aerei. Ci sono libri che elencano, descrivono e illustrano l'aereo della
Royal Air Force, o della US Air Force, o aerei da combattimento occidentali, o
elicotteri; e poi ci sono libri che descrivono le differenti versioni di uno specifico
aereo: l'Harrier Jump Jet, il Tornado, il Mirage 4, il Jaguar, la serie F111, e altri.
Osservando con attenzione tutti questi libri, vi accorgete della loro varietà.
Alcuni sono monografie integrali che descrivono il processo di progettazione ed
evoluzione di un particolare tipo di aereo. Opere di questo tipo sono fondamentali. Possono non fare uso dell'apparato disciplinare degli STS, ma ciò di cui si
occupano è comunque riconoscibile secondo quella modalità. Altri libri invece
sono molto più piccoli. Si trovano ad esempio compendi di diverse tipologie di
aerei, con svariate fotografie a colori, spesso integrate dai disegni dei primi piani
o dei profili delle macchine, e con una breve descrizione tecnica, orientata soprattutto verso ciò che può essere quantificato: dimensione, ruolo, centrale elettrica, massima velocità, missione tipica e velocità di crociera, altitudine massima,
armamento, qualcosa (anche se forse non molto) sulla parte elettronica del velivolo; missione e limite di velocità, costruttore, nomi o numeri seriali delle differenti
versioni, differenze fisiche tra queste, anche in termini di ruolo e armamento; i
numeri di ogni manufatto, le forme di mimetizzazione, ed infine una cronologia
organizzata attorno ad una serie di date specifiche: il primo volo, l'introduzione
nelle diverse forze aeree, le date o circostanze di combattimento, e (se questo è
avvenuto) le date di ritiro dal servizio.
Quali sono in questo caso i punti narrativi fissi?
Vorrei proporre una risposta in termini di una serie di assenze/mancanze,
poiché queste sono descrizioni che non rispondono a quelle che si potrebbero
ritenere le domande narrative standard sulle connessioni tra cose, eventi o oggetti. Ritengo che non riescano a farlo per due motivi particolari: primo, non ci dicono praticamente nulla sul perché un particolare aereo sia stato costruito, sul
perché fosse necessario farlo, sul perché abbia preso la forma che ha assunto; sul
perché sia stato introdotto, oppure non introdotto. Sono una cronologia non
esplicativa, una mera serie di dati, senza spiegazioni. Secondo, non ci dicono nulla su come le cose sono collegate tra loro, sulle relazioni, ad esempio, tra le tipologie e le componenti del velivolo: tra questo e ciò che ci piace chiamare i suoi
“Altri”. Non ci offrono, quindi, una semiotica riconoscibile della tecnologia.
Non c'è un perché e non c'è un come. Allora cosa rimane? La totale concentrazione sul cosa, su quello che è l'oggetto in questione, e su quello che sembra.
TECNOSCIENZA – 3 (1)
Dunque, qual è il soggetto interpellato da queste pubblicazioni? La risposta è
questa: siamo in presenza di una soggettività di enumerazione e distinzione. Queste pubblicazioni performano un mondo di oggetti che rientrano in gruppi o classi (benché la nozione di classe implichi un problema semiotico con il carattere di
differenza che non credo riguardi questo caso). È il piacere di enumerare gli oggetti, distinguendoli tra di loro, in modo completo e spesso in termini di riconoscimento visivo26.
Ciò significa che l'oggetto è appiattito, reso passivo. È posto, si potrebbe dire,
all'interno di una gamma fornita da una “teca delle curiosità” bidimensionale,
come nella episteme classica esplorata da Foucault27. E per quanto riguarda la
posizione del soggetto? Si sarebbe tentati di dire che questa sia un'altra versione
della questione dell’occhio di Dio, e di sicuro questo è sintomatico di qualcosa.
Ma fermarsi a questo non rende giustizia alle sue specificità. Perché questa è una
forma di ottica che non è analitica, ma alquanto sintetica. Questo perché il piacere ha poco a che fare con i legami tra diverse specificità, i loro meccanismi e, soprattutto, ha poco a che fare con l'intervento o il controllo. Infatti, mantenere un
legame con il mondo può essere inteso come una rinuncia al controllo. Non c'è
alcun desiderio di intervenire, di fare la differenza. Piuttosto, il piacere sta nel riconoscere quel qualcosa che è là fuori. E, in particolare, nel riconoscere le specificità. Si noti che questo non è un riconoscimento del dettaglio, poiché il dettaglio
è gerarchicamente ordinato per gradi. Come dire, un modo per rimpicciolire la
specificità Mentre invece il piacere qui non è stratificato. Piuttosto è piatto. L'occhio guarda la specificità di una superficie fatta di dettagli.
Dunque, la posizione del soggetto si realizza nel riconoscimento. Questo non
è il riconoscimento che fa gridare: “Terra! Terra!” all'eroe, ma l’impronta su un
piano, una serie di specificità già presenti nel mondo che si offrono alla superficie
ricettiva del soggetto, una superficie simile ad un insieme ordinato di lastre fotografiche. Che raggiunge i piaceri della posizione di soggetto registrando, riconoscendo, enumerando, completando il riconoscimento, riconoscendo il proprio
posto nel mondo e ricordandosi di quel posto, nell'atto del riconoscimento.
Dubito che una forte posizione soggettiva si performi nelle narrazioni delle
forze aeree del mondo o in quelle degli studenti di STS. Ma l'ho inclusa perché,
almeno nel Regno Unito, questa versione pre-moderna del piacere è piuttosto
comune, e poiché si ricollega alle più estese narrazioni su controllo, sistema ed
eroismo, in modi che potrebbero integrarla. L'ho inclusa, in altre parole, perché è
Sarebbe un errore immaginare che l'erotismo dell'enumerazione sia specificamente
tecnologico. Anche se ci sono molte versioni macchiniche (un altro esempio potrebbe essere
quello dei trainspotters, un fenomeno interpellativo comune almeno nel regno unito), alcuni
amanti del birdwatching sono senza dubbio interpellati allo stesso modo. Perché queste due
interpellanze contrapposte? Non ne ho idea.
27
Si veda Foucault (1970), e per una discussione analoga nel contesto della fisica delle alte
energie, Traweek (1995a).
26
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una forma di piacere macchinico che performa un problema politico intertestuale.
5. Compimento
Il Tern Valley Steam Festival si svolge, una volta all'anno, in un campo alla
periferia della cittadina in cui vivo, e riunisce gli appassionati di vecchie macchine. Enormi motori a trazione, camion d'epoca, motociclette, trebbiatrici a cinghia, auto d'epoca. Alcune di esse sono esteticamente interpellative - sono, per lo
meno agli occhi dei più, molto belle. Ma il mio interesse è attirato da altre forme
di piacere, dal momento che un'intera sezione del festival è dedicata a vari tipi di
motori di piccole dimensioni.
Se li si guarda attentamente, il modo in cui sono disposti sembra seguire una
regola. I proprietari li sistemano su tavoli o cavalletti. Li nutrono con carburante,
ad esempio carbone e acqua, e quelli funzionano, da motori quali sono. Ma il fatto che funzionino non basta: è anche importante, o almeno così sembra, dimostrare che sono capaci di compiere un lavoro visibile. Così vengono disposti in
modo da pompare acqua che raccolgono da un secchio attraverso un tubo, per
poi farla fuoriuscire da un rubinetto in modo che ricada nel secchio. E, per completare il ciclo, l'acqua viene risucchiata dal tubo ancora una volta, e così via.
Per qualche motivo l'acqua (suppongo che sia acqua) è quasi sempre di un
luminoso verde fluorescente.
Mettere in mostra una di queste macchine sembra essere il pretesto per una
gita di famiglia, un week end lontano da casa. Le persone, tendenzialmente coppie anziane, spesso si portano dietro un caravan. Si siedono, bevono del tè e sorvegliano le loro macchine. E tu sorvegli loro.
Dove sta qui l'erotismo? Ho un'ipotesi, a proposito del perché io sia stato lontanamente interpellato. La mia ipotesi è che si tratti di un erotismo del compimento macchinico. Ogni cosa è, per così dire, auto-contenuta, si auto-alimenta, si
auto-regola. Le macchine pompano acqua in un circuito chiuso. In senso figurato
(sicuramente non in senso letterario) è come se si auto-alimentassero. E l'isomorfismo dei proprietari (che si auto-alimentano) e delle macchine è piuttosto sorprendente. Fiducia in se stessi, autonomia, e all'interno di questa autonomia la
performance del controllo perfetto.
Il controllo perfetto. Il sogno di una macchina così perfetta da non dipendere
più dal suo ambiente; così perfetta, in altre parole, da essere autonoma; così perfetta da mantenere se stessa. Ci sono così tanti tropi possibili. La cibernetica. I
regimi epistemici nella fisica dell'alta energia descritti da Knorr-Cetina (1996); i
grandi sistemi tecnici, centri del calcolo e delle sue traduzioni28; si pensi, in generale, ai regimi fondamentali, che possono cioè sfidare il tempo, l'entropia, e performarsi immutabilmente e in maniera affidabile, per sempre.
28
Sui grandi sistemi tecnici, si veda Hughes (1979); sui centri di calcolo, Latour (1990).
TECNOSCIENZA – 3 (1)
Si tratta dunque del piacere del controllo: il controllo attraverso la regolazione, attraverso l'auto-regolazione, l'addomesticamento, l'inclusione nel sistema di
nulla che possa essere interrotto; attraverso la colonizzazione dell'Altro29. E c'è
un'altra implicazione: quella dell'appiattimento. Un sistema che si auto-regola
può essere eterogeneo, e questo è ciò che riguarda l'actor-network theory. Ma
non può essere radicalmente eterogeneo nel senso inteso da Lyotard (Lyotard e
Thébaut 1985). Non può, cioè, essere immaginato senza essere assimilabile – il
che significa, ancora una volta, che l'inassimilabile è non assimilabile.
Ma se siamo interpellati in questo modo, se riconosciamo e rispondiamo al bisogno di perfezione, allora quali sono i punti narrativi fissi?
La risposta più semplice è che se veniamo interpellati in questo modo, poi
tenderemo a performare l'autonomia, la perfezione, l'integrazione e la reazione,
in opposizione a tutto ciò che potrebbe ‘sconvolgere’ questa autonomia. Ciò significa che i punti fissi gireranno intorno al dualismo ordine/disordine30. Non
siamo bravi a far fronte o a raccontare l'incompletezza, poiché tendiamo ad immaginarla come uno sconvolgimento che potrebbe essere risolto solo compiendo
un altro sforzo.
Tutto ciò suona tristemente familiare. Anzi, suggerisco che si presenti, in una
forma o nell'altra, sia nelle nostre narrazioni, sia in quelle performate con e attraverso gli oggetti che studiamo. È una cosa a cui prestare attenzione: la miopia
della dedizione alla perfezione, all'olismo, alla coerenza, all'integrazione impliciti
nel progetto moderno. Se ho considerato l'esempio delle macchine a vapore è
perché non sono così lontane da molte altre storie performate per progetti più
ampi e contemporanei. L'unica differenza è di scala: i campi intorno a Market
Drayton ospitano una versione modesta di modernismo, che può realmente resistere all'entropia e raggiungere il completamento per un giorno o due.
6. Estensione
C'era un uomo a guidarci durante il corso di falegnameria: il suo nome era
John. Alto, gentile. Non ha dato lezioni a noi neofiti, ma ci ha suggerito dei progetti, oggetti che avremmo potuto costruire, casette per uccelli, scolapiatti, qualunque cosa. Nel corso saremo stati una ventina. E lui si aggirava intorno a noi,
offrendo consigli, aiutandoci dov'era necessario. Aveva questo talento di essere lì,
a portata di mano, quando qualcuno stava per fare un errore irrimediabile. E conosceva anche gli strumenti, ad esempio la pialla. Così si è scoperto che piallare il
legno non è una questione così semplice. Se lo fai con l'entusiasmo del principiante, ottieni una bella superficie liscia, ma che è anche leggermente curva. Cosa
fare, dunque?
29
Sul 'continente sconosciuto' che implica il termine 'colonizzazione', vedere Lee e Brown
(1994).
30
Un argomento splendidamente sostenuto da Bob Cooper (1986).
111
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C'è un consiglio che può essere dato a voce: applicare una leggera pressione
nel mezzo del pezzo di legno e ridurre la pressione verso ciascuna estremità della
tavola. Oppure, premere giusto un po' qui su un lato della tavola, e poi lì sull'altro lato. Con la pratica, con questo consiglio, e con una mano a guidarci, molti di
noi pian piano hanno acquisito abilità, hanno incarnato l'abilità di cui c'è bisogno
per piallare un pezzo di legno, e farlo in modo soddisfacente: liscio, piatto e quadrato.
Qual è la logica qui, la logica del macchinico, o forse dovrei dire tecnica, o
amore? Poiché di questo si tratta, o per lo meno all'inizio, quando viene provato
un forte piacere.
La spiegazione che voglio avanzare è che si tratti di un 'piacere prostetico',
della piatta estensione del corpo in quello che Philip Fischer, parlando di arte e
natura morta, chiama lo spazio “hand-made” (Fisher 1991). Lo spazio “handmade” è il luogo in cui il confine tra il corpo e lo strumento non è più distinto; in
cui avviene la coordinazione mano-occhio; in cui è presente una sorta di controllo. Ma è anche il luogo dove il controllo è limitato alla fine del braccio ed alla sua
estensione. E dove (più importante) il controllo dipende da, o performa, una sorta di continuità. Infatti, se si dicesse che la pialla è “controllata”, questo non riguarderebbe più l'esperienza, o parte di essa. Inoltre il piano è diventato parte
del corpo – o il corpo si estende sul piano.
Continuità. Che implica una distribuzione, una sorta di versione decentrata di
agency tra persona-e-piano.
Così funziona con molti strumenti. Strumenti da falegname, violini, biciclette,
automobili, sedie a rotelle e, per quanto ne so, aerei. Ma se fossimo interpellati in
questo modo, cosa significherebbe? Come potrebbero i punti fissi performare se
stessi?
Suggerisco di stare in guardia dagli elogi olistici, dalle celebrazioni umanistiche, e dalle narrazioni che tentano si sedurci sviandoci nell'amore per l'artigianato manuale. Queste continuità tra il corpo e la materia sono naturalmente importanti. Infatti la loro narrazione è un importante filo conduttore negli studi tecnologici e si performa in tutti i modi attraverso il materiale macchinico. Ma abbiamo ancora bisogno di opporci a queste narrazioni, ad ogni costo se ci portano
nella direzione del mestiere-e-comunità, raccontando di soggetti interi e dello
stretto rapporto tra il soggetto umano e i suoi strumenti – invece di, per esempio,
raccontare dei cyborg con il loro decentramento e le loro multiple soggettività31.
7. Bellezza
L'aereo militare che stavo studiando, il TSR2, inizialmente ha dato del filo da
torcere. Ci sono stati problemi con il carrello, e difficoltà potenzialmente fatali
Come, per esempio, nel celebre saggio di Donna Haraway (1991) ma si veda anche
Stone (1991; 1995b).
31
TECNOSCIENZA – 3 (1)
con i motori. Ma nessuno all’interno dell'opinione pubblica era a conoscenza di
queste difficoltà. Così, ciò a cui abbiamo assistito in un giorno dell'autunno 1964,
è stato il decollo di un aereo al suo primo volo. Non un vecchio aereo, ma un aereo bianco, elegante, con le ali arretrate, un insieme di bordi taglienti e angoli affilati. Ciò che abbiamo visto era, lasciatemelo dire, un oggetto di bellezza che accelerava lungo la pista, e impennava poi nell'aria. La televisione ha mostrato il
suo decollo, e le fotografie sui giornali hanno immortalato il momento, con le
ruote a forse un metro dalla pista. E le fotografie congelano l'aereo per sempre
così, sospeso come un uccello tra il cielo e la terra. Sospeso. Congelato.
O fluttuante.
Dove sta qui l'interpellanza? A dire il vero, il termine “bellezza” in questo caso è rivelatore. Riconoscere la bellezza di una macchina è esserne interpellati. È la
performance di una soggettività che si pone in una relazione estetica col soggetto.
La Monna Lisa. L'Unité d'Habitation di Le Corbusier. Il Forth Railway Bridge.
Il termine “estetica” è fastidioso; è legato troppo strettamente ad una filosofia
essenzialista della bellezza32. Ma senza andare ad impantanarsi nell'estetica, possiamo ancora chiederci quali siano le conseguenze dell'interpellanza della bellezza macchinica. Quali siano gli effetti dell'apprezzamento estetico di un aereo.
Senza dubbio ci sono molte possibilità, ma vorrei immaginarne due: la contemplazione, e la redenzione.
La bellezza: nella trattazione svolta, si tratta di una bellezza visuale, una specifica forma di ottica. Ma qual è la posizione ottica del soggetto? Risposta: è una
posizione contemplativa. È una forma di ottica che sottrae una certa distanza
dall'oggetto. Uso deliberatamente l’espressione “una certa distanza” poiché, se ci
muoviamo troppo veloci, non vediamo l'oggetto in tutta la sua bellezza, mentre
se siamo troppo vicini, di nuovo non lo vediamo. Invece, cominciamo a vedere
qualcosa dei suoi dettagli, forse del modo in cui è costruito. Cominciamo, per
usare un'espressione di Oliver Cromwell, a vedere tutte le “verruche” delle cose.
Ma la costruzione di un soggetto contemplativo situato nella media distanza è la
ricetta per l'ammirazione passiva, per scannerizzare in assenza di azione. Si tratta
di una sorta di passività33.
La contemplazione è la produzione di una particolare posizione del soggetto.
Ma dopo la contemplazione viene la redenzione: l'atto di adempimento, di salvataggio, di recupero; dell'essere liberati dal peccato, secondo il messaggio CristiaSono grato a Michel Callon e Antoine Hennion per questa discussione.
Due commenti: in primo luogo, nel campo dell'ottica di solito l'oggetto è immaginato
come passivo. Si veda l'analisi della presunta sfiducia Francese nell'occhio in Jay (1993). Ma
leggendo ciò che afferma Michel Foucault sulla soggettività, il problema non è così semplice.
Vedere, per esempio, Foucault (1979; 1982). In secondo luogo, ciò è senza dubbio correlato a
quello che Donald MacKenzie ha chiamato “abbeveratoio della certezza” (certainty trough).
“Tra quelli molto vicini al cuore tecnico dei programmi di produzione di conoscenza, e quelli
lontani e impegnati in programmi opposti, si trovano i lealisti del programma e quelli che
‘semplicemente credono a ciò che leggono sugli opuscoli informativi’.” (MacKenzie 1990,
371).
32
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no34. Così la redenzione riguarda il completare, il congiungere, e quindi l'assorbire, l'essere uniti. È questo, penso, il carattere interpellativo della visione del TSR2
che decolla. Per usare le parole di Louis Althusser, questo ha a che fare con l'unire il soggetto al Soggetto, un Soggetto che può trascendere le scissioni tra il soggetto conoscente e l'Oggetto e, non ultimo, tra il cielo e la terra. Tra la libertà
vertiginosa dei cieli e la prigionia delle mondanità del corpo terreno35.
La contemplazione esige sia distanza che passività. E la passività, ironicamente, dà forma ad uno spazio per l'assorbimento in un intero immaginato, un intero
essenziale. Il che suggerisce che siamo in presenza di un'altra oscillazione nelcorpo/fuori-dal-corpo, che forse condivide alcune caratteristiche con l'eroismo, il
primo dei piaceri macchinici.
È forse questo un problema per le narrazioni della tecnologia? La risposta è:
non lo so. Si tratta, naturalmente, di un'enorme trappola per i racconti d'arte, la
ricerca estetica della bellezza redentrice contro cui hanno combattuto così tante
teorie dell'arte contemporanea. Ed è anche una pesante trappola di genere. Nella
visione maschile, l'oggetto della bellezza, il Soggetto, si performa come una qualche versione della Madonna. Ma non sono così sicuro che succeda nella tecnologia. La tecnologia porta con sé narrazioni redentrici – e quelle sull'eroismo rientrano senza dubbio in questa categoria – ma sono meno sicuro che queste siano
suscettibili di essere passive e contemplative.
Forse è strano, ma questo aereo, il TSR2, mi ha in parte interpellato in questo
modo. Il riconoscimento che mi ha performato come un soggetto passivo quando
l'ho incontrato anni dopo in un museo ed ho deciso di studiarlo come un oggetto
STS ha in parte a che fare con la redenzione36. Il senso della possibilità di essere
reso intero, nell'atto di essere assorbito. Una redenzione che mi ha restituito
vent'anni. Per un oscuro senso di perdita che avevo incontrato quando era stata
annunciata la cancellazione. Per un luogo sospeso, più bello, tra cielo e terra.
Naturalmente mi stavo sbagliando, poiché non è possibile allo stesso tempo
contemplare la possibilità di redenzione attraverso la bellezza e anatomizzare
quella bellezza: almeno, non nella stessa narrazione. Ma questa è un'altra storia.
Sulla struttura iconografica e narrativa dei racconti tecnologici, scientifici e personali
euro-americani, e sui legami coi suoi precursori giudaico-cristiani, si veda Haraway (1997).
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Si potrebbe dire molto di più sulla questione del perdere peso. Del galleggiamento. Nel
primo caso, in un modo specificatamente fisico. Dopo il decollo i motori rallentano. Si tratta
di un piacere che un numero considerevole di passeggeri, sia uomini che donne, apprezzano.
Spostarsi dentro e fuori dalle nuvole. Fuori e dentro il sole. Così lontani dalla terraferma.
Apparentemente immuni alla forza di gravità, come un uccello. Il corpo libero dalle solite
costrizioni. Un'altra esperienza fuori-dal-corpo. Ma un'esperienza, in effetti, con connotazioni
religiose e trascendentali. Si vedano in proposito gli studi di Bruno Latour (1995)
sull'Assunzione e la sua rappresentazione nell'arte.
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Tra i vari collegamenti alla letteratura che vorrei fare, sceglierò il racconto di Donna
Haraway (1989) sui diorami delle grandi scimmie costruiti all'American Museum of Natural
History. Per il caso particolare del TSR2 si veda Law (2000; 2001).
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TECNOSCIENZA – 3 (1)
Conclusione
Mi sono trovato invischiato nella questione dell'interpellanza macchinica nel
corso di un progetto sull'aviazione militare. Ne ho parlato in vari modi, e alcuni
esempi hanno avuto a che fare con l'aereo che stavo studiando, il TSR2. Quando
ho iniziato a studiare i racconti del progetto dell'aereo, sono diventato sospettoso, sia per i racconti in sé, sia per i collegamenti tra quelli e il mio interesse personale verso l'aereo. Questa è una storia che approfondisco altrove, ma è questo
sospetto che mi ha portato a chiedermi, come ho fatto in quest'articolo: in che
modo i soggetti sono interpellati dalle macchine? Quali sono i piaceri delle macchine? Quali sono, in particolare, i piaceri maschili che emergono nel conoscere e
nel parlare di macchine? E quali sono le ovvietà e le cecità insite in questi piaceri?
Io stesso ero sospettoso dei racconti di tecnologia militare. Ma ero ugualmente
sospettoso di quei racconti che parlano in maniera semplice dei piaceri macchinici maschili come se fossero univoci o uniformemente desiderabili. La mia sensazione, ed è una sensazione che ho cercato di esplorare ed illustrare in questo articolo, è che le interpellanze dell'erotismo macchinico siano complesse e specifiche. E che molti di questi piaceri siano abbastanza innocenti. Mentre, per essere
precisi, alcuni, forse molti, non lo sono. Quindi, o almeno così sto suggerendo, è
importante esplorare le complessità della specificità, se vogliamo capire qual è la
causa del desiderio, dell'amore per il macchinico – oppure della repulsione. E se
vogliamo capire questo, allora dobbiamo anche fare i conti con il fatto che certi
tipi di relazioni strutturano le nostre narrazioni, e qualunque cosa diciamo sulle
macchine. Ed è con questo pensiero che voglio fermarmi. Il pensiero che ci siano
davvero tutte le ragioni per essere sospettosi riguardo alle nostre narrazioni macchiniche. Anche su queste, siano fatti i silenzi dei nostri desideri. Poiché di quei
silenzi possiamo certo prenderci cura.
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Abstract How do objects interpellate us? What are the pleasures of machines?
What, in particular, are the male pleasures that are made in the knowing and telling of machines? Reflecting upon a small selection of the variety of machinic pleasures, the paper considers the ecology of subject-object distribution and explores
how it is we are called to become knowing subjects, and how it is that objects are
constituted and known in particular ways.
Keywords Interpellation; performance; pleasures; technology; subject position.
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John Law The Open University
Faculty of Social Sciences
Walton Hall - MK7 6AAj - Milton Keynes
United Kingdom
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