LA NARRAZIONE E I NARRATORI
Riflessioni di lettura su La Bibbia oggi di Luigi Moraldi
Alphonse Doria
“La Bibbia oggi – storia, significato, interpretazione” di Luigi Moraldi –
Fratelli Fabri Editori – I Edizione 1977, Milano - era in allegato al periodico
“La Sacra Bibbia” in quattro volumi, stesso
Editore. Avevo deciso di acquistare i
fascicoli e che settimana dopo settimana ho
raccolto tutta l’Opera, così poi rilegai
personalmente, ago, filo, colla e tela, ma le
copertine sono ancora staccate, perché non
ho un coltello da tipografo. Mi ricordo che
in quel periodo da Marannina (la
buonanima),
la
giornalaia,
stavo
acquistando altri fascicoli di altre opere e
poi ho dovuto interrompere perché ero
stato obbligato dallo Stato italiano al
servizio di Leva militare. Quando tornai
trovai tutti i fascicoli che mia madre continuò a prendere a posto mio. Avevo
chiesto alla giornalaia d’interrompere, ma forse c’è stato un malinteso e lei
richiamò (informò) mia madre. Comunque i quattro volumi del – La Sacra
Bibbia, con le illustrazioni di Dorè, e questo testo in oggetto, sono state la
mia gioia, li ho sempre consultati e riletti, questa volta è toccata una lettura
ancora più approfondita per la preparazione alle riflessioni di lettura del –
La Bibbia di prossima pubblicazione dal titolo Il timore e la speranza.
Luigi Moraldi (Carpasio, 1915 – Milano 2001) è stato una massima
autorità degli studi biblici, specializzato al Pontificio Istituto Biblico, ha
insegnato all’Università degli Studi di Pavia Lingue semitiche comparate. I
suoi studi si accentrarono sui manoscritti di Qumran e di Nag Hammadi
trovati nella grotta del Mar Morto.
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Il titolo è molto chiaro per comprendere le vere questioni sulla lettura
dei testi contenuti che noi cristiani chiamiamo Bibbia. La prima problematica
affrontata dal professore Moraldi è la lingua. In quale lingua stiamo
leggendo il testo? Sicuramente come recita il titolo (La Bibbia oggi) in
italiano, quindi inizia il percorso di come siamo arrivati a questa versione. Vi
furono molte vittime ad opera della Chiesa di traduttori in volgare del testo
“sacro”. Pagina 5: “La versione del Brucioli ebbe ampia e meritata fortuna:
edita per la prima volta nel maggio 1532, nel 1551 era già alla sesta edizione;
a motivo dell’Inquisizione, l’autore pagò molto caro questo successo, e morì
in carcere nel 1566. (…) Il Paschale morì sul rogo a Roma nel 1560. All’epoca
del concilio di Trento le Bibbie in italiano erano dunque molte e tendevano
a basarsi di preferenza sull’originale ebraico e greco, piuttosto che sulla
Volgata latina”. La Chiesa accusava la fedeltà al testo originale nella
traduzione, ma anche la capacità a non distorcere “il senso naturale delle
parole per sostenere sentenze erronee”. L’autore scrive a pagina 6 che
l’arcivescovo di Aix en Provence, Fiòheul, elenca ben quattro punti
fondamentali tra i quali i due detti sopra e anche che i testi biblici tradotti
spesso “erano discordi tra di loro”, poi che il “clero non conosceva
abbastanza la Sacra Scrittura; e in ultimo che le traduzioni (italiano, francese
e spagnolo) fossero affidati a degli esperti linguisti e dottrinati in materia
teologica. Quindi in conclusione la traduzione in volgare è “più dannosa che
utile”. Il mio punto di vista differisce perché è il fraintendimento da parte
del Clero sulla Sacra Scrittura più delle sue volgate. Mi spiego meglio,
bisogna chiarire che solo in alcune parti, come ad esempio le tavole dei dieci
comandamenti, l’uomo scrive sotto dettatura del divino, per la totale
quantità dei libri biblici è ispirazione divina, ma è una narrazione di uomini,
di storia degli uomini, con narratori uomini, con tutte le loro imperfezioni,
con tutte le loro cattiverie e disonestà e a volte perversioni. Spesso nella
scrittura vi è stato un inquinamento di vicende, tradizioni e parabole di altri
popoli. Non bisogna avere la pretesa dell’infallibilità della Bibbia, perché a
differenza del Corano non è un testo sotto dettatura divina, ma la vicenda
di un Popolo che ha incontrato Dio. Questo è l’insegnamento l’incontro con
il Dio unico, il Dio di sempre, di ogni dove e di tutti i popoli e di tutte le cose
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e le creature. Per essere musulmani bisogna conoscere l’arabo del Corano
perché quella lingua sotto dettatura divina è divenuta rituale. Mentre per la
Bibbia è occorrente la lingua degli uomini, le lingue di ogni tempo e di tutti i
popoli. È qui che nasce l’inganno, quando si dice in Chiesa “Parola di Dio”
bisogna chiarire cosa si vuol significare. Il lettore biblico che si accosta per la
prima volta deve essere preparato all’incontro, perché molto probabilmente
può essere deviato dai contenuti, a volte anche osceni, quindi deve avere
una certa maturità a capire che sta leggendo storie di umani e non di santi.
Ancora oggi leggendo l’Antico Testamento, con la testa imbottita
dall’assioma: Parola di Dio, storciamo il naso in quelle scene e
comportamenti negativi dei personaggi, nelle narrazioni di incesti e inganni,
tanto che alcuni considerano decaduta l’alleanza mosaica, mentre per i
fedeli di san Giacomo “mantiene sostanzialmente integro il suo valore”1. Gli
scritti di san Luca, comprendenti anche le lettere di Paolo come redattore e
gli atti degli Apostoli puntano il dito contro: “la lettera uccide, lo Spirito dà
vita” (2 Cor. 3,6). Moraldi riporta le parole del grande dottore della Chiesa:
“Sant’Agostino che Nell’Antico Testamento si cela il Nuovo e il Nuovo si svela
chiaramente nell’Antico (Quaest in Hept, 2, 13)”2 Dopo le tante volte che ho
letto la Bibbia e ancor più il Nuovo Testamento, ancora oggi guardo con
adorazione il Crocifisso e mi chiedo perché Dio doveva soffrire tanto per
dimostrarci il suo amore? Nel corso delle varie letture bibliche percepisco
tutte le risonanze che portano a questo sacrificio cosmico, ma lo stesso
aggroviglio i miei pensieri nel paradosso, ed è allora che mi dico che la verità
sta nel paradosso. L’Autore a pagina 17 scrive: “Questa infatti è la sorte
perpetua del Vangelo: per alcuni è rovina, per altri è resurrezione; per alcuni
è scandolo o stoltezza, per altri è forza divina che dà la salvezza; per alcuni
ha il sapore della vita, per altri l’amarezza della morte.”. Ma non posso
negare quanto ristoro mi ha dato avvicinarmi alla Sacra Scrittura e per mia
fortuna che vi sono state delle traduzioni italiane che mi hanno concesso di
potere accedere. A volte fraintendendo, non capendo e condannando ciò
1
2
Pagina 102
ibedem
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che vi è scritto, ma è il cammino che si compie quello che conta.
All’astrattismo del latino, lingua lontana dal popolo, ad una volgata, corretta
più o meno della Bibbia meglio la seconda. Ritornando alla questione della
lingua all’8 aprile del 1546 al Concilio sulla Sacra Scrittura fu sancito (pagina
19): “le versioni non furono dichiarate né un abuso né un vantaggio: il
Concilio non volle prendere posizioni tra le due tesi contrastanti.” Perché
tanto le bibbie tradotte ormai circolavano indiscriminatamente, un po’
come il proibizionismo. Tanto che Pio IV nella bolla Dominici Grecis
costodias, del 24 marzo 1564 sancisce che: “In questa materia si deve
seguire il giudizio del vescovo e dell’inquisitore i quali, previa informazione
dal pastore o confessore, possono permettere la lettura di una Bibbia
tradotta in vernacolo da autori cattolici.” Aggiungerei che questo permesso
doveva giungere per scritto. Fu sotto spinta di Benedetto XV nel 1757 che a
Torino l’abate Martini iniziò a tradurre in italiano quella versione che rimase
“ufficiale” per tanto tempo ai cattolici italiani. Ma la Sacra Scrittura nei secoli
a venire ha altri pericoli come il razionalismo e il protestantesimo, tanto che
nel 1920 tra i cattolici vi erano indecisioni, pagina 22: “indecisioni e divisioni
a motivo, soprattutto, di due interrogativi: quale atteggiamento era da
tenere di fronte alla critica biblica protestante, e quale significato si doveva
riconoscere al decreto del Concilio di Trento a proposito della Volgata
latina.”? Nel 1943, prosegue il Moraldi, fu l’enciclica di Papa Pio XII che
chiuse la questione, dando il consenso ad ogni “genere di ricerche e di studi
biblici” con la dovuta serietà scientifica, e invitò i traduttori a lavorare su
testi originali e recuperare il tempo perduto. Il Concilio Vaticano II sancì: “la
parola di Dio deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo”. A volte
rifletto che la questione della traduzione è solo la parte terminale della
trasformazione della narrazione, perché sia la parte iniziale, cioè la lingua
originale e poi le fasi intermedie hanno sicuramente mutato il senso del
messaggio iniziale, l’ispirazione divina, però rimane quella forza al di là delle
parole che aiutano l’uomo a estendersi verso la speranza di una
metamorfosi della sua materia in qualcos’altro di più elevato, di spirituale,
come un richiamo al divino. Questa è la grandezza della Bibbia. Mi ricordo
che uno dei Testimoni di Geova mi voleva sferrare un pugno a casa mia
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perché la sua imposizione che la vera Bibbia era la sua gli risposi che era
fallace con gli argomenti conosciuti da chi non legge con i paraocchi. Oggi gli
direi: fratello lascia stare l’arroganza e percepisci la grandezza, le storie, gli
argomenti sono fatti successi e raccontati da uomini, percepiamo il loro Dio
che li ha ispirati per noi. A pagina 33 scrive Moraldi: “il lettore cristiano che
vede nella Bibbia la parola di Dio all’uomo, non astratto, ma ben concreto in
tempi e ambienti determinati.”
Il grande rimaneggiamento è avvenuto nel periodo postesilico
babilonese quando ai libri della Sacra Scrittura si aggiunge il valore
nazionalistico, tanto che molti studiosi indicano nell’esilio l’evento
scatenante della narrazione. Gli ebrei in contatto con altre culture più
progredite da quella parte che fu portata in esilio, la più istruita, ritornò nel
suo paese con una lucidità d’intenti particolare, quindi diene motivo alle
disavventure accadute al proprio popolo e il motivo è stato il continuo
traviare dalla legge la propria vita, l’adorare altre divinità, il prostituirsi ad
altri culti. In poche parole tradire la Torà. Ma il loro Dio li ama e li perdona
perché è misericordioso, quindi la speranza e la ricostruzione in una nuova
alleanza. Così la Torà diviene la carta costituzionale, nella Genesi vi sono i
miti fondanti della nazione, del Popolo Eletto. Moraldi fa una efficace sintesi
del Pentateuco, a pagina 25: “La Genesi annunzia ripetutamente la
promessa divina di concedere la Palestina ad Abramo. (…)” Prima che la
promessa giunga a compimento “devono conoscere il loro Dio, ricevere da
lui una legislazione civile e religiosa che li distingua dai popoli vicini,
diventare un nuovo popolo e prepararsi ad essere una nazione.” La
tradizione cattolica vuole che sia opera scritta da Mosè, ma in realtà vi sono
“almeno quattro tradizioni o documenti dominanti” con “lessico, stile,
interessi propri, e anche idee diverse”3 Sono: jahvista, elohista,
deuteronomista e la sacerdotale. Questi documenti poi sono stati uniti da
redattori diversi e unificati in fine nell’opera che noi leggiamo, processo
conclusosi nel IV secolo a.C. L’Autore ci informa che molti documenti sono
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stati sacrificati e in questo conflitto a dominare sono state le fonti del
deuteronomista, ma in particolare la sacerdotale.
La fonte jahvista fa riferimento al tetragramma sacro, l’autore ha “una
geniale personalità”, nella sua narrazione ha saputo mettere assieme
“antiche tradizioni delle singole tribù, dei santuari dell’era patriarcale, con
una dottrina religiosa e nazionale ben ferma e chiara”. Pagina 27: “La sua
visione della storia è teocentrica: Dio soltanto può modellare e guidare la
storia umana”. Ma l’uomo vuole raggiungere il divino da sé, questo è il
peccato d’orgoglio, di disobbedienza al volere di Jahvè. È Jahvè che si pone
al centro della storia del Popolo d’Israele come mito fondante della nazione,
“Dio nazionale” da qui scaturisce l’orgoglio nazionale degli Ebrei, il loro
“nazionalismo”.
Il narratore elohista ha una spinta anti sacerdotale, per alcuni aspetti
condanna Aronne perché è stato lui a permettere la costruzione dell’idolo
(vitello d’oro). In secondo luogo nella “scelta divina a favore di Israele” da
un significato ed una funzione religiosa, sminuendo così quella fondante
nazionalistica. È proprio a questa fonte che risale il decalogo morale dei dieci
comandamenti.
Il narratore del quinto libro, da qui il nome Deuteronomio, ha una
forte personalità è facilmente riconoscibile per la “sua eloquenza calda e
persuasiva”. Lo possiamo definire un oratore efficace. Il deuteronomista
accentra la sua narrazione sulla consacrazione del Popolo d’Israele a Dio
perché lo ha scelto ed è privilegiato tra tutti i popoli della Terra. In questo
privilegio vi è la terra promessa (“terra buona”) che Dio dà al suo Popolo.
Questo Dio è “geloso”, vuole tutta l’anima del suo Popolo, comanda
categoricamente di non sposarsi, di non allearsi con gente al difuori. Pagina
30: “non tolleri nel suo paese divinità di altre nazioni e nella città della sua
terra voterà allo sterminio tutti gli altri popoli.” Moraldi continua nella
stessa pagina chiarendo che: “il deuteronomista non formula probabilmente
la dottrina del monoteismo (…) ma una monolatria assoluta (…) Dio è il
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Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile. (10,17)” A pagina 2314 lo
stesso verso è anticipato: “lui è il Dio degli dèi”, che sembra stravolgere
l’idea comune del Dio ebraico. Ma continua ancora di rispettare il forestiero
e di fare giustizia (sociale) all’orfano e alla vedova. Il deuteronomista inoltre
insiste sull’aniconismo religioso.
La narrazione sacerdotale è molto meticolosa e attenta alla
cronologia ed alle date, zuma l’obiettiva sulla ritualità religiosa. La
rettitudine è l’elemento importante nella vita religiosa dell’uomo. Ed è in
questa narrazione che vi è l’amore per il prossimo (connazionale). La
funzione sacerdotale è primaria tra Dio e l’uomo. Se vogliamo dare un
periodo storico di questi documenti possiamo solo intendere che
considerata la vastità è molto complesso, a pagina 33: “quale epoca finale
di composizione si può pensare al periodo esilico e immediatamente
postesilico, ma una larga parte del suo materiale è certamente antichissimo
(…)”.
Nell’analisi letteraria delle varie narrazioni: jahvista, elohista,
deuteronomista e sacerdotale si evince che una è complementare all’altra,
pur contraddicendosi in alcuni punti. In un quadro d’insieme il potere
politico ha bisogno di celebrazione e di sostegno religioso per uniformare il
popolo della nazione. Non vi è miglior partito di potere che ha insito la
propria opposizione fingendo una democrazia in realtà inesistente. La teoria
del mosaico delle quattro fonti JEDP Moraldi l’ha adottata dall’ipotesi
documentaria di Wellhausen, la più accreditata dagli studiosi di tutto il
mondo. L’ipotesi che la Chiesa e i rabbini accreditano a Mosè il Pentateuco
è facilmente contestabile tanto che non si preoccupano di spiegare come
faccia Mosè a raccontare la propria morte. Il Corano ammette che in origine
la Torà è stata ispirata “rivelata” da Dio a Mosè e che poi vi sono stati tanti
rimaneggi dai vari redattori ed oggi non è né rivelazione e né affidabile nella
“LA BIBBIA – nuovissima versione dei testi originali - con introduzioni e note
di A. Girlanda, P. Gironi, F. Pasquero, G. Ravasi, P. Rossano, S. Virgulin –
Edizione Paoline s.r.l. 1987, Cinisello Balsamo (Milano) – Imprimatur
Frascati, 12. 11. 1982.
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sua interezza. Gli studiosi concludono che nel corso dei secoli, modifiche,
aggiunte e cancellazioni fanno della Torà un insieme di scritti di vari autori e
narratori. Lascio la conclusione della diatriba all’Autore. Pagina 33: “E tanto
più tutto ciò è importante per il lettore cristiano che vede nella Bibbia la
parola di Dio all’uomo, non astratto, ma ben concreto in tempi e ambienti
determinati.” La narrazione dell’origine, della creazione, il principio, la
Genesi, dove l’ultimo redattore lega le tessere di questo mosaico con un
oggetto, un filo conduttore: “l’umanità è opera di Dio” quindi la sua bontà si
estende a tutti gli uomini. E l’uomo tende al divino prima con la
disubbidienza del frutto proibito, pagina 37: “l’ordine di non mangiare (non
si trattava di un semplice atto di disobbedienza, ma del riconoscimento della
linea di confine tra il divino e l’umano”, poi con il mito dell’unione dei figli di
Dio con le figlie dell’uomo (Gen 6,1-4), infine nemmeno con la tecnologia, le
opere umane, come la torre di Babele possono raggiungere il divino, solo la
fede come quella dei patriarchi. Il loro cammino può portare l’uomo al
divino.
Il primo terrestre nella narrazione biblica è Adamo, considerando la
traduzione greca, perché nella lingua originale non è stato mai inteso come
nome proprio di persona, ma di genere. Quindi il contenuto è stato
palesemente falsato. Stessa sorte con Eva che si può accostare in origine al
termine vivente. Le due tesi della Genesi sono abbastanza contrastanti. La
jahvista tende ad un rapporto più diretto tra Dio (antropomorfo) e la sua
creatura, impasta, forma e soffia; addormenta l’uomo toglie una costola,
forma una donna e risana la carne. Mentre la sacerdotale inserisce un
plurale, come un ordine che Dio dà a sé stesso: facciamo l’uomo a nostra
immagine. L’umanità è distanziata dal divino. Il narratore sacerdotale dà la
dignità di essere immagine di Dio. Quindi nessuno offenda nessun altro
perché offenderebbe l’immagine di Dio. Nella narrazione sacerdotale
l’umanità viene creata nel sesto giorno, dopo avere creato tutto, quindi
posto al centro della creazione. Nella narrazione jahvista, invece, Dio crea
l’umanità per primo e la creazione in sua funzione. È l’uomo che dà il nome
ad ogni animale e questo lo rende il signore del Mondo creato. Questo
concetto porterà le gravi conseguenze ambientali di oggi. Per l’uomo sentirsi
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signore del Mondo e non un elemento in seno ad un organismo biologico
come è il pianeta gli ha permesso di alienare risorse energetiche e abusare
dell’ambiente in maniera irreparabile e catastrofica. Il narratore jahvista
pone l’uomo nel giardino dell’Eden e non deve lavorare, ancora il lavoro non
era stato istituito, quindi l’umanità non è ancora distruttiva. La donna e
l’uomo hanno parità di diritti in un rapporto indissolubile. Mentre il
narratore sacerdotale racconta che Dio creò l’umanità, maschio femmina, la
pose nell’Eden a custodire e coltivare, insomma Dio ha creato l’uomo già
dipendente lavoratore (Gen 2, 15). Ma la creazione, al mio modo di vedere,
più geniale nella narrazione sacerdotale è quella del Sabato. Il Sabato è
sacro per i lavoratori, per gli schiavi e anche per gli animali. Ecco che la
tradizione popolare, il mito mesopotamico della creazione (le cosmogonie
sumeriche e babilonesi5), assume valore sociale, aggregativo e politico. Dal
mio punto di vista il Sabato è il primo diritto sociale. Ricordo che spesso il
datore di lavoro in Sicilia tendeva, cercava di togliere il giorno di riposo, e vi
posso testimoniare che uno di questi, forse più balordo degli altri, l’estate
toglieva il giorno libero per darlo a fine stagione come ferie. Benedetto sia il
Sabato ed il Popolo ebraico. Lavorare senza la prospettiva di un giorno di
riposo dove potere pensare alle proprie cose rende schiavi, toglie la dignità
alle persone. Il Sabato è stato creato da Dio all’origine di tutto ed è
sacrosanto! L’uomo che vive una vita di stendi e sacrifici a volte attirato da
vanità ed altre volte da costrizioni anela ad un ritorno nell’Eden, dove viveva
senza faticare in un giardino abbondante di acqua e di ogni frutto, insomma
un Sabato eterno. Questo tema fu ampiamente trattato dalla letteratura
apocrifa ebraica fino ad idealizzare il mito della massima felicità eterna nel
paradiso primordiale e il ritorno dopo la morte dei giusti. È questo che
promise Gesù ad uno dei ladroni compagni di crocifissione. Collegato
strettamente al Sabato vi è l’anno sabatico, detto anche anno di remissione.
È una istituzione religiosa e sociale leggiamo nel Deuteronomio 15, 1: “Al
termine di sette anni farai il condono. (2) In questo consiste il condono:
chiunque detiene un pegno, condonerà ciò per cui ha ottenuto il pegno del
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Pagina 41
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suo prossimo; non avrà pretese su suo fratello, poiché è stato proclamato il
condono davanti al Signore. (3) Avanzerai pretese sullo straniero, ma al
fratello condonerai quanto di suo avrai presso di te.”6 L’anno sabatico si
avvicina molto ad un livellatore sociale tra connazionali, non si sa quando sia
cominciato ma si sa quando non si è più celebrato. Dio è il Signore, padrone
della libertà di ogni uomo e della Terra, quindi al settimo anno il riposo della
terra e la liberazione degli schiavi connazionali è da Lui comandata, “pone
così un limite alla insaziabilità umana ricordando la fondamentale
uguaglianza umana”7. Come Dio riscattò gli Ebrei dalla schiavitù egizia così
ogni Ebreo ha il dovere di condonare il suo prossimo dai suoi obblighi di
credito. Vi è da riflettere che alcuni di loro aggiravano questo obbligo
stipulando contratti che invalidavano tale ricorrenza tramite una clausola
che il committente rinunciava all’anno sabatico. Moraldi a pagina 82 ci dice
che per i cattolici l’anno sabatico è il giubileo “indetto da papa Bonifacio VIII
nel 1300”. Si tratta di ben altra cosa, qui nessuno condona nessuno, solo
pratiche rituali ed un viaggio di pellegrinaggio a Roma, l’unica che ci
guadagna è la Chiesa in quanto istituzione e non la comunità di fedeli. Per
gli Ebrei il giubileo corrisponde al cinquantesimo anno sabatico iniziava nel
mese di tishri (settembre – ottobre) con il suono del corno del montone e da
lì il nome che significa “montone, ariete”. La venuta del Messia dovrebbe
celebrare, istituire un anno sabatico per sempre. Quindi i cristiani
aspettiamo il ritorno di Gesù e gli Ebrei la venuta del Messia, in questa epoca
di ingiustizia morale e sociale dove il ricco si arricchisce e il povero
s’impoverisce cadendo in profonde schiavitù. Come si può facilmente
comprendere la funzione del narratore sacerdotale e quella del narratore
jahvista sono complementari nell’insegnamento che la fede è l’unica via
della salvezza, pagina 41: “in quanto Dio ha creato l’universo e l’ha tutto in
“LA BIBBIA – nuovissima versione dei testi originali - con introduzioni e note
di A. Girlanda, P. Gironi, F. Pasquero, G. Ravasi, P. Rossano, S. Virgulin –
Edizione Paoline s.r.l. 1987, Cinisello Balsamo (Milano) – Imprimatur
Frascati, 12. 11. 1982, pagina 236.
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suo potere.” Pagina 42, Galilei Galileo: “è intenzione dello Spirito Santo
d’insegnarci come si vadia al cielo non come vadia il cielo”. Frase citata da
Galilei del cardinale Cesare Baronio, (Sora, 1538 – Roma, 1607) storico della
Chiesa e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Quindi nella Bibbia è inutile
cercare le verità scientifiche, anche quando corrispondono è solo una
coincidenza. I narratori scrivono con la conoscenza del loro tempo, con la
loro esperienza di vita, con le proprie miserie e virtù, bisogna cercare
l’insegnamento della fede.
Pagina 43: “umanità primitiva (…) eventi accentrati negli incontri
dell’umanità con Dio (…) Elaborazione teologica e fantasia popolare hanno
attinto alla mitica rappresentazione della primitiva felicità umana e alle
immaginose narrazioni sulle origini della cultura caratteristiche dell’antico
Vicino Oriente”. I narratori della Genesi hanno avuto l’esigenza nel narrare
questa storia misteriosa e l’unico appoggio possibile è stato il mito e gli
scritti Assiro-Babilonesi e Sumeri, dove vi sono una gran quantità di
riferimenti. Questo non toglie il valore e ciò che suscita nel sentimento
religioso di ognuno che si pone a leggere tali capitoli.
Il narratore sacerdotale sostiene che l’allontanamento dell’uomo da
Dio ha comportato il diminuimento della durata della vita decrescendo da
600 anni via via ai 100 da Abramo in poi. Più l’uomo si accosta al peccato più
decresce la sua vita. Mentre la narrazione jahvista conclude con la storia
sull’origine dell’umanità con la torre di Babele, che in lingua accadica
significa “Porta di Dio” e non “confusione” come intendiamo oggi. In tutta la
narrazione jahvista vi è insita la cattiveria umana, ma anche il messaggio
salvifico, dal peccato originale alla lotta ed alla salvezza nel ritorno all’Eden,
con la promessa di Dio. Ed ecco che raggiunge la stessa via del narratore
sacerdotale, pagina 45: “l’istintivo attentato alla Divinità (…)” che porta alla
decadenza dell’uomo si può superare “la via del riscatto, della salvezza, del
ritorno al giardino del paradiso passa attraverso la fede in Dio e attraverso il
dolore a essa intimamente connesso.”
Moraldi afferma a pagina 47: “le ricerche archeologiche hanno
condotto a risultati spesso sconvolgenti tanto che, in certa misura, si può
parlare di una riscoperta dell’Antico Testamento”. Era il 1974, o giù di lì,
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quando lui scrisse queste parole, in realtà gli anni avvenire lo hanno
smentito clamorosamente dopo le varie campagne di scavi. Il professore
Ze’ev Herzog, ebreo, nato il 10 novembre 1941 a Buchara, in Russia,
direttore del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Tel Aviv, nel
1999 venerdì 29 ottobre sulla rivista israeliana “Haaretz” firma l’articolo di
copertina: “Deconstructing the Walls of Jerico “, oltre a smentire
categoricamente l’esistenza della città di Gerico e quindi delle sue mura,
ecco cosa scrive: “Dopo 70 anni di intensi scavi nella Terra d'Israele, (…).
Questo è ciò che gli archeologi hanno imparato dai loro scavi in Terra
d'Israele: gli israeliti non sono mai stati in Egitto, non hanno vagato nel
deserto, non hanno conquistato la terra in una campagna militare e non
l'hanno trasmessa alle 12 tribù di Israele. Forse ancora più difficile da
digerire è il fatto che la monarchia unita di Davide e Salomone, che è
descritta dalla Bibbia come una potenza regionale, era tutt'al più un piccolo
regno tribale. E sarà uno spiacevole shock per molti che il Dio d'Israele,
Geova, avesse una consorte femminile e che la prima religione israelita
abbia adottato il monoteismo solo nel periodo calante della monarchia e
non sul monte Sinai.”8 Nell’articolo vi è un excursus sulle vicende storiche
dell’archeologia biblica. Quindi si desume, da queste indagini archeologiche,
che al 90% la narrazione biblica è frutto di narratori del periodo postesilico
babilonese con l’intento di nazionalizzare le origini di quelle tribù di pastori
insediatesi in quei territori per coltivare cereali per il loro bestiame. Si sfata
un mito, ma non un credo, né la fede, perché ci siamo accostati alla Bibbia
sapendo che nella narrazione l’oggetto non è la sua scientificità ma le tracce,
l’indicazione di un cammino, la storia di un popolo che ha incontrato Dio.
Moraldi a pagina 122 scrive: “Questi diversi modi di presentare e
interpretare la storia di un popolo ci danno certo una storia in senso proprio:
sono teologia della storia.”. Pagina 110: “Allorché Israele si insidiò nella
terra di Canaan, attinse dalle altre civiltà molto più di quanto comunemente
si crede: dalla letteratura all’arte a certe forme di culto ecc.; istituzioni come
Ai più interessati consiglio la lettura dell’intero articolo disponibile in rete:
http://websites.umich.edu/~proflame/neh/arch.htm
8
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la regalità, il sacerdozio, il profetismo, la tematica dell’unione e
interdipendenza tra la condotta umana e le vicende naturali, l’enfasi
sull’obbedienza dovuta agli dèi o a un dio ecc. fanno parte della civiltà di
tutti i popoli dell’antico Vicino Oriente.”; pagina 111: “la cultura materiale
delle tribù di Israele era notevolmente inferiore a quella dei residenti vinti
che esercitarono sui vincitori un influsso notevole anche se non sempre di
facile valutazione.” E allora viene spontaneo chiedersi: come mai tutti gli
altri credi sono caduti in prescrizione e continuiamo a parlare fino ad oggi di
Jahvè? Il mio punto di vista sta nella narrazione e il suo impianto che regge
fino ad oggi dovuto alla “tensione dialettica”, portò gli Ebrei a preoccuparsi
sull’agire divino verso l’uomo e non ciò che Dio era in sé stesso, la sua natura
divina: ed è per questo che il loro linguaggio, rettamente inteso ha sfidato i
secoli ed è sempre vivo9. Il patto che Jahvè ha voluto con un popolo che lui
stesso ha prescelto e che ha promesso: popolazione, terra e dominio, in
cambio di una fede totale a lui ed un comportamento corretto, altruista nei
confronti dei connazionali, con tanto di contratto scritto. Quindi il timore ad
ogni trasgressione di tale contratto di ricevere la giusta punizione
pedagogica da parte di Jahvè individualmente, perché la responsabilità di
trasgressione è individuale. Quindi l’influenza della cultura indigena dei
terreni occupati causò sicuramente sincretismo, pagina 112: “la mancanza
alle condizioni sancite nell’alleanza, l’infedeltà del popolo (…) i culti idolatrici
(…) sincretismi religiosi”. I profeti accusarono i vari peccati gravissimi.
Servirono al narratore sacerdotale post esilio come pezze giustificative alle
varie sventure del Popolo d’Israele. Se pur l’anticonformista Abacuc
riguardo alle sventure d’Israele osserva “in fondo – in quanto a giustizia gli
oppressori non erano migliori degli oppressi.”10 Questa è la “tensione
dialettica” che continua ancora per chi crede che il Messia deve ancora
venire e per chi crede che il Messia è il Figlio di Dio Gesù Cristo. La
narrazione sia javista che elohista si concludono con il possesso della terra,
9
Pagina 141
Ab 1, 10.
10
13
prima dei re, pagina 111: “Giuda e Israele erano al sicuro ognuno stava sotto
la propria vite e sotto il proprio fico” (1 Re 5,5).
Consiglio a continuare a sorprenderci se Enoch, patriarca anteriore al
diluvio che visse 365 anni, piacque al Signore e fu preso dalla terra e quindi
per la letteratura ebraica è ancora vivo, magari in cielo. Moraldi scrive a
pagina 48 che “questa letteratura abbia avuto origine nelle comunità
essene”. Come anche tante altre opere apocrife su Isacco e sul Testamento
di Giacobbe. Così continuiamo a credere tutti: ebrei, cristiani e musulmani
che Abramo è il primo monoteista. L’Autore riporta a pagina 50 la Sura III,
67 del Corano: “Abramo non era né ebreo né cristiano: era monoteista
(hanif) tutto dedito a Dio (muslim)”. È sorprendente la figura di Melchisedek
che Paolo scrive (Ebrei 7, 1-19): “senza padre, senza madre e senza
genealogia”. Moraldi scrive che “la Bibbia tace sulla genealogia di
Melchisedek (quasi a insinuare che egli è tuttora vivo)”. Il re sacerdote,
sacerdote per sempre, il futuro messia che gli esseni preannunciavano un
suo ritorno. Tra gli gnostici vi è anche una Apocalisse di Melchisedek.
Come l’esilio babilonese diede nuova linfa creativa alla cultura del
Popolo ebraico così la diaspora post cristiana nel Mediterraneo diede una
forza dinamica e creativa. I vari narratori si cimentarono su personaggi della
Genesi, appunto la famosa “foglia di fico” spunta per la prima volta in uno
di questi scritti. Moraldi scrive a pagina 59, citando una narrazione, di
un’opera creata in questo periodo: “Enoch è preso dagli angeli e, per gradi,
viene trasportato attraverso diversi cieli ove contempla il passato, il
presente e il futuro dell’universo e degli uomini (buoni e cattivi); in fine, nel
nono cielo, Dio gli rivela tutti i segreti”. In questo fermento di incontro con
altre culture e tradizioni le opere sono tantissime e di largo interesse, ma
anche scritti in difesa della cultura ebraica, ad esempio dall’ellenismo, Libro
dei giubilei dove l’autore rimarca l’unicità del Popolo d’Israele e la
separazione dagli altri popoli perché voluta da Dio.
Sull’Esodo Moraldi si fa molte domande, come ad esempio che strada
percorsero gli Ebrei e quanti furono, la storicità delle unità legali (codici) che
riflettono condizioni diverse. Ma la risposta sta solo nell’indagine
archeologica e ormai sappiamo a dove porta. A pagina 64 scrive che la Torà:
14
“non si propone di narrare fatti umani, ma di dare di questi
un’interpretazione al di fuori e al di sopra dell’uomo”. Eppur vero che le
narrazioni umani sono così sorprendenti a tal punto di avere condizionato la
letteratura e le arti del pianeta intero. Come è straordinaria la vicenda di
Mosè. Dobbiamo tenere conto che i personaggi celebrati in questa storia
devono essere scapolati dalla loro esistenza scientifica. Quindi a pagina 64:
“il nome del tiranno è superfluo quanto è perenne il suo significato.” Oppure
a pagina 65: “è verosimile che la personalità e l’attività di Aronne nello
scenario delle piaghe d’Egitto non sia altro che lo sdoppiamento di Mosè,
come suggeriscono alcune osservazioni letterarie.”. Mosè è il mito fondante
della nazione degli Ebrei, ha trasformato una massa informe di uomini
sbandati in un popolo unito. Pagina 65: “Un solo Dio legislatore e
vendicatore, un solo culto, un solo tribunale, vincoli anfizionici tra le tribù,
un unico capo scelto dalla divinità secondo il principio della teocrazia, una
meta territoriale che ne farà una nazione”. Il narratore deuteragonista
conclude la storia di Mosè con il mistero, pagina 66: “Dio stesso lo seppellì
nella terra di Moab, e nessuno sa ove è il sepolcro”. (Dt 34, 5-6) Nella
Bibbia11 in mio possesso la versione è molto differente: “(5) Mosè, servo del
Signore, morì ivi, nella terra di Moab, secondo la parola del Signore. (6) Fu
sepolto nella valle nella terra di Moab, di fronte a Bet-Peor. Nessuno ha
conosciuto la sua tomba.” Questa differenza non riesco a spiegarmela, le
versioni sono al mio modo di vedere abbastanza lontane, posso solo
comprendere che trovare la tomba di un personaggio è la verifica scientifica
della sua esistenza, quindi può essere solo una trovata letteraria. Mosè è
l’unico personaggio della narrazione biblica che scrive sotto dettatura di Dio,
anzi preciso che è Dio stesso che lascia traccia del suo scritto: il Decalogo,
pagina 68: “Esso contiene le condizioni fondamentali dell’alleanza tra Dio e
Israele, (…) tavole della Testimonianza”. Il documento giuridico, materiale di
un contratto, un patto, scritto “dal dito di Dio” su due tavole di pietra. Fu
11
“LA BIBBIA – nuovissima versione dei testi originali - con introduzioni e note di A. Girlanda,
P. Gironi, F. Pasquero, G. Ravasi, P. Rossano, S. Virgulin – Edizione Paoline s.r.l. 1987, Cinisello
Balsamo (Milano) – Imprimatur Frascati, 12. 11. 1982. Pagina 263.
15
costruito un contenitore, secondo le indicazioni divine chiamato
appositamente “arca della Testimonianza”. Quando Mosè scese dal monte
Sinai con il volto irradiante per essere stato a cospetto con Dio, (da qui in
arte spesso producono nel suo capo un paio di corna, dovuto ad un errore
di traduzione dall’ebraico “irradiante” al latino “faccia cornuta”12) e trova il
suo popolo traviato dall’idolo, Mosè si adirò così tanto che spezzò le tavole
date da Dio. Quindi i peccati di Mosè sono così tanti in questa narrazione
che la storia dell’alleanza doveva fermarsi in questo episodio. Ma quel Dio
irascibile e vendicativo disse, con tolleranza e pazienza, a Mosè di tagliare
altre due pietre e che avrebbe fatto copia incolla con le prime che aveva
spezzato.13 Moraldi precisa che la conservazione nella parte più sacra di un
santuario delle leggi fondamentali di uno Stato e “i più importanti trattati
stipulati con altri popoli era assai diffuso nell’antico Vicino Oriente.” 14 Come
anche l’espressione “scritta dal dito di Dio” veniva usata nell’antico Vicino
Oriente “per designare un limitatissimo corpo legale giudicato
fondamentale e immutabile.”15 Ma cosa conta per noi del Decalogo che è
universale, da le base alla convivenza sociale degli uomini. E Gesù ne trae la
sostanza per testimoniare l’amore di Dio e del prossimo, non inteso come
connazionale, ma come persona, senza limitazioni, sorpassando persino
quello più ovvio del proprio nemico16.
Da precisare che l’alleanza è Dio che la vuole, è una iniziativa
autonoma di Jahvè, quindi il Popolo di Israele è solo contraente di tale patto,
l’individuo e il popolo sono sottomessi a questo contratto e solo Jahvè può
disdire, ma è fedele e quando l’individuo o il popolo tradisce questo patto
viene severamente punito, non per vendetta da parte di Dio ma per
correggere il contraente, pagina 95: “un rapporto fondato sulla condotta dei
singoli più che sul comportamento della nazione”. Per l’appunto ci vollero
12
Pagina 66
13
Pagina 69 (Es 34, 1. 4, 28)
14
Pagina 70
15
Pagina 71
16
Pagina 76
16
dei punti regolamentari di tali accordi: le tavole dell’alleanza. Pagina 101:
“Geremia optava per una alleanza che importasse l’iniziativa divina del
perdono e del ritorno del suo popolo, la responsabilità individuale e non più
collettiva, una religiosità interiore dettata veramente dal cuore il quale, a
sua volta, dovrà venire rinnovata da Dio.”
Il fattore sorprendente di tutta la Bibbia è come il narratore
sacerdotale, passo dopo passo, riesce a concentrare il sentimento del lettore
verso Dio, lasciando che diminuiscono e finiscono gli altri come quello
magico e superstizioso. Moraldi scrive a pagina 75: “La legislazione levitica
libera il fedele dall’ansia e dall’ansia e dal terrore di spiriti e influssi maligni,
gli vieta pratiche e riti magici e coordina la sua vita verso l’unico Tempio. (…)
dimostra notevole razionalizzazione di usi e costumi primitivi, inculca e
sviluppa lo spirito di osservazione dei fenomeni naturali, elimina ogni
credenza sulla connessione tra indisposizioni fisiche e demoni, e – in fine –
diffonde principi igienici allora tutt’altro che comuni.” Come ad esempio il
lavarsi le mani che ancora oggi sappiamo quanto sia importante per
prevenire malattie e persino pandemie. Il sentimento religioso fa nascere
nell’uomo l’esigenza di interagire con la divinità spesso con il sacrificio.
L’Autore a pagina 77 scrive che è “un dono per accattivare il favore divino,
placarne l’ira”. Per H Spencer il sacrificio trova origine nell’uso di portare
“cibi e bevande sulle tombe dei morti: con la divinizzazione degli antenati,
le offerte mutarono in sacrifici”. H. Hubert e M. Maus considerarono il
sacrificio nel desiderio dell’uomo immanente con il trascendente. Ma dal
mio punto di vista il più misterioso è il parere di E. Westermark che pone
l’origine del sacrificio che le divinità, queste entità superiori “hanno appetiti
e bisogni umani che se non vengono soddisfatti causano il prevalere del
male sul bene: il sacrificio fortifica le energie divine regolatrici della natura.”
Moraldi informa che fu dominante questo sentimento tra i Babilonesi, Assiri
e Hittiti. Per Durkheim il sacrificio è comunione tra le persone della società
nel “rinnovamento della sostanza mistica”. Quindi nella funzione della
religione è una “pratica mistica con cui la società cerca di piegare i suoi
membri ai propri fini sociali”. Questa funzione della religione, seppur utilizza
il sentimento religioso, esula l’una dall’altro ed ha bisogno sempre di un
17
intermediario tra l’uomo e Dio. L’intermediario assume potere sulla sua
persona al di sopra della comunità. E.O. James teorizza che l’origine del
sacrificio dal “profondo desiderio di vita” e nell’antica credenza che la vita
uguale in ogni animale “risiede” nel sangue e nel grasso. Nasce da qui
l’uccidere gli animali da parte degli uomini per cibarsi. Pagina 75: “quasi
tutte le cose vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue
non c’è perdono” (Lv 9,22). G. Nella Genesi all’uomo è concesso uccidere gli
animali per nutrirsi, ma non deve contenere sangue perché contiene il
mistero della vita e Dio è l’unico Signore. Una seconda condizione posta
all’uomo da Dio è non versi sangue umano, perché ogni uomo è l’immagine
di Dio. È l’alleanza di sangue: “tu non devi mangiare la vita insieme con la
carne”17. Per noi cristiani assume un valore ancora più mistico e profondo
nella croce del Cristo. Berguer pone ai primordi dell’umanità il sacrificio al
desiderio del divino, al desiderio di “farsi assorbire da esso”, nel contempo
il volere esistere in quanto persona e quindi una resistenza e una paura della
morte senza il divino, quindi l’uomo offre ciò che gli appartiene ma non sé
stesso. Ecco che il sentimento magico si congiunge con quello religioso e la
preghiera diviene formula magica ed atto religioso contemporaneamente
per “legare il divino per non essere da lui legato.”. Razionalizzando il tutto
teorizzando l’origine del sentimento religioso nel grembo materno in uno
stato paradisiaco dove il nascituro si sente protetto e amato
dall’essere/mondo. Dopo a nascita avvenuta il desiderio di quel mondo e il
volere rimanere persona e vivere e quindi il bisogno della madre per potere
continuare a vivere trasforma il pianto in una preghiera e in una formula
magica che appena enunciata fa spuntare come per magia la propria madre
per la sua salvezza e quindi legarla al suo amore e non ritornare più nel
grembo materno. Un sentimento di vita, di questa vita e non nell’aldilà.
Moraldi dopo avere elencato le varie teorie antropologiche sul sacrificio fa
una netta distinzione tra quando l’offerente nel sacrifico era il “pater
familias” e quindi “regnava una maggiore libertà di riti, di formule e
motivazioni” e quando poi successe la classe sacerdotale e quel sentimento
17
Pagina 98
18
religioso divenne religione e “tutto fu incanalato verso una
regolamentazione sociale”. Continua e afferma che nell’Antico Testamento
fino al periodo dei patriarchi il rito del sacrificio differiva poco e niente dagli
altri popoli, tranne la “monolatria”. A pagina 80 precisa: “Nell’Antico
Testamento non furono mai approvati i sacrifici umani (…) furono
saltuariamente praticati fuori dell’aria del Tempio”. Argomento che tratto
nelle mie riflessioni sulla Bibbia “Il timore e la speranza” di prossima
pubblicazione.
Il narratore del libro dei Numeri tratta “i dati storici (…)
corrispondente alla sua finalità, ai suoi scopi che sono religiosi e formativi
(…) un senso sociale, religioso e idealistico.” 18 La sua narrazione non era
oggettivamente sui fatti accaduti ma sull’insegnamento di un periodo
storico ormai oscuro facente parte “dell’epopea nazionale” affermando così
“che tutta la legislazione e gli elementi fondamentali per la costituzione
della nazione (…) risalivano direttamente a Mosè, mediatore tra Dio e il suo
popolo.” È in realtà la finalità delle narrazioni e non solo quella dei Numeri,
come ho già scritto. L’ultimo narratore è stato tra il V e IV secolo sacerdotale
ed ha inglobato racconti elohisti e jahvisti. Narra del censimento del Popolo
ebraico nel deserto del Sinai prima dell’esodo, e da qui il titolo del libro, e
dei preparativi, ciò che successe prima dell’arrivo nel Moab e ciò che
successe prima del passaggio del Giordano. In totale è la narrazione dei 39
anni dell’esodo. Il censimento dagli Ebrei veniva considerato un atto ostile a
Dio, come “un indebito atto di proprietà (…) conoscere equivaleva a
possedere, averne il dominio”19. Perché Israele era una nazione teocratica e
l’unico sovrano era Dio, quindi il censimento contaminava i recensiti. A
pagina 87: “anche nella terminologia religiosa romana uno stesso termine
significava recensire e purificare”. Soffermandomi a riflettere sul “conoscere
equivaleva a possedere” nell’epoca moderna digitale è la stessa cosa. Vi
sono aziende che fanno di tutto per conoscerci e potere manipolare il nostro
indirizzo politico e i nostri acquisti interagendo in rete. Dal mio punto di vista
18
Pagina 86
19
Pagina 87
19
la globalizzazione economica doveva avere delle regole di protezione verso
le nazioni. Primo perché s’innesca una concorrenza sleale tra le nazioni che
hanno regole che garantiscono il benessere sociale dei lavoratori, che
cercano di difendere l’ambiente e quelli che non lo fanno. Secondo perché
si dà l’opportunità ad alcuni stati senza scrupoli ed ostili alla politica ed al
modo di vivere occidentale di controllare e conoscere dati intimi personali
di intere nazioni e quindi di potere dominare un giorno ad ostilità dichiarate
ufficialmente. Ritornando all’autore dei Numeri oltre a dare una immagine
del Popolo ebraico di allora organizzato, disciplinato, teocratico esce un
numero d’individui, compresa la tribù di Levi di 3.000.000 “era irreale”, per
un po’ immaginiamoci questo popolo che attraversa il deserto, l’imbatto
ambientale e sconvolgente nelle altre popolazioni… Il narratore sacerdotale
narra delle difficoltà perché “il prezzo della libertà e della terra gli parve
troppo gravoso: era più comoda la servitù”20. È un fenomeno tutto
evidenziato su alcuni popoli assoggettati da potenze imperialisti e alla fine
ottenuta la libertà rimpiangono lo stato di servitù precedente. Capita su
alcuni popoli dell’ex Unione Sovietica. E da vicino posso affermare che a
molti siciliani piace lo stato di asservimento e non l’indipendenza e la libertà,
e per lo più sono dipendenti pubblici che tramite escamotage elettorali sono
riusciti ad intrufolarsi nel loro posticino, impiego, e se ne fottono
apertamente se il resto della popolazione annega nelle difficoltà
economiche ad un metro di distanza da loro.
Moraldi chiarisce che la storia narrata nella Bibbia, non era neppure
pensabile come concetto moderno, pagina 122: “Tra i popoli dell’antico
Vicino Oriente, Israele fu il primo (e rimase l’unico) a offrire una propria
concezione della sua storia, concezione che ricrea e cerca di dare un
significato alle esperienze di tutto un popolo. (…) la storia biblica è sempre
combinazione di miti e di storia (…) continua tensione tra storia e mito.”
Considerando la “tensione dialettica” come già argomentato, ha reso la
narrazione biblica unica. E superando la speranza del Messia la conclusione
è solo l’apocalisse, per una nuova speranza della divinizzazione della
20
Pagina 90
20
creazione come finalità e scopo dell’esistenza. Dio invierà prima Elia prima
che venga il giorno del Signore grande e spaventoso! (24) Egli ricondurrà il
cuore dei padri ai figli e il cuore dei figli ai padri, affinché io non venga a
colpire il paese d’interdetto!21. Nel Nuovo Testamento la figura di Elia viene
interpretata con quella di Giovanni Battista, ma non mancarono coloro che
additarono Gesù di essere il ritorno del profeta Elia.
Il profeta Amos richiama il Popolo al diritto ed alla giustizia, è un
richiamo ancora vivo per chi si va a sedere tra i banchi della chiesa a ricevere
l’eucarestia mentre calpesta i diritti dei propri dipendenti e infrange la
giustizia. A cosa può servire la sua cospicua offerta quando il suo agire
offende Dio? Perché infrange la Santa Alleanza tra Dio e gli uomini tutti? Non
vi è olocausto o candela accesa che possa risanare un atto di ingiustizia, solo
una riparazione a tale atto e il farsi perdonare dall’offeso prima del giudizio
finale può essere un buon precetto per la salvezza. Pagina 140: “Il peccato
viene così presentato essenzialmente come il rifiuto della elezione e
dell’amore del Dio dell’alleanza”. E non bastano le varie indicazioni di Dio
per la giusta via a voce dai profeti.
Il profeta Osea è forse il primo a fare la similitudine tra “l’alleanza
sinaitica corrisponde al contratto matrimoniale” 22, poi nel Nuovo
Testamento viene riportata spesse volte. Dal mio punto di vista intravedo il
rischio di un sincretismo religioso con le religioni del luogo, in particolare
con la dea Astarte la sposa di Adon, la madre celeste. E non solo anche con
le scoperte archeologiche di scritte in ebraico antico dedicate a Jahvè ed alla
sua sposa Asherah a Kuntiliet Ajrud ed a Khirbet el-Kom. Con queste scritte
inviavano benedizioni alla coppia di dei Jahvè e Asherah. Quindi la
similitudine della sposa di Jahvè, tanto piaciuta a san Luca ed a san Paolo,
raffigurando la Chiesa, sembra un richiamo diretto ad antichi credi prima del
monoteismo istaurato nell’ottavo secolo dopo il disfacimento del regno
d’Israele e la realizzazione del regno di Giudea.
21
22
Malacchia 3, 23-24
Pagina 126
21
Il profeta Isaia per noi cristiani è un richiamo diretto al nostro credo, pagina
131: “L’interpretazione messianica cristiana non scaturisce dunque
direttamente dal testo, ma solo indirettamente, cioè è effetto di una
rilettura fatta attraverso la fede; sotto questo aspetto, mantiene sempre
tutta la sua validità.” Quindi noi cristiani nell’Emanuele vediamo Gesù e nella
Vergine Maria “ma va da sé che nel testo non v’è nulla che suggerisca una
concezione verginale”23.
Pagina 145, Ezechiele: “il libro è il risultato di un complesso
procedimento compilatorio nel quale hanno messo mano diversi redattori.
(…) certe sue esperienze siano state fatte in stato di trance, mentre qualche
studioso propose Ezechiele come il primo uomo che descrisse una navicella
spaziale.” Il rumore, le luci, le forme, la descrizione dei materiali fanno
pensare a qualcosa di moderno, futuristico. La lettura di questo brano è
veramente impressionante, anche se ha dei richiami dell’arte grafica assiro
babilonese. Il carro divino è la raffigurazione del tempio di Dio che si pone
dove vi è la sofferenza e la devozione. I quattro animali per la visione
cristiana sono i quattro evangelisti poi appropriati da sant’Ireneo e in fine da
san Gerolamo. Le visioni apocalittiche di Ezechiele sono anticipatrici di
quelle di Daniele e di Giovanni. Quindi un profeta proiettato nel futuro,
anche per quanto riguarda la struttura di una nuova comunità con una
Chiesa “disancorata dalla politica”. Viene considerato “il vero fondatore del
giudaismo. Ezechiele mosse quasi tutte le sue azioni in una città forse mai
esistita, e che gli ebrei esuli la fondarono e dall’accado Til-Abul, che significa
colle del diluvio, divenne Tel-Aviv, che significa colle della primavera. Anche
in questa narrazione vi è una apertura al futuro perché “un gruppo di sionisti
abitanti a Giaffa – nel 1909 – comprarono una confinate regione di dune di
sabbia e vi iniziarono la costruzione delle prime case moderne di stile
europeo; a questo che inizialmente era solo un quartiere di Giaffa fu dato il
nome di Tel-Aviv e dal 1917 in poi divenne la città più attiva e più grande
dello Stato di Israele e lo è tuttora dopo Gerusalemme.” 24 Mi chiedo cosa
23
24
Pagina 131
Pagina 149
22
possa significare politicamente tutta questa storia. Penso subito che
qualcosa che esisteva solo nella narrazione biblica ora esiste nella realtà. E
che realtà! Considerando la modernità e la grandezza di questa città. Il
termine “Tel” significa una collina formatosi da vari strati d’insediamenti
umani, come suggerire l’idea che sotto la moderna Tel-Aviv c’è l’antica. Poi
mi viene la riflessione politica e penso se sia lecito o no un tipo di
colonizzazione del genere. Ma tutta la narrativa biblica poggia su questo
dubbio.
Ezechiele profetizza la distruzione di Gerusalemme “attribuita
direttamente a Dio”, tramite sei uomini, preceduti da un uomo vestito di
lino con una borsa da scriba e segnato in fronte dalla croce (tau) “ultima
lettera dell’alfabeto ebraico – secondo la scrittura ebraica allora in uso
(scrittura paleoebraica) aveva esattamente la forma di una croce”25. Questa
croce sarà segnata nei luoghi di sepoltura, richiamando il sangue dell’agnello
prima dell’esodo in Egitto. Il segno della croce sulla fronte significa la colpa
e l’innocenza individuale oltre a quella di Popolo. Ezechiele, anche lui,
“riprende l’immagine di Israele sposa, infedele, adultera, prostituta” 26 già
argomentato precedentemente. Le profezie apocalittiche di Ezechiele sono
un continuo motivo di discussione, in particolar modo il capitolo 37 e delle
figure di Gog e di Magog che rappresentano gli strumenti del Male, due
sovrani coalizzati contro i “buoni” e che alla fine soccomberanno. Tutto si
svolge sulle sponde del Mar Nero, a settentrione della Palestina. Moraldi ci
informa che anche nelle profezie apocalittiche successive “il nemico viene
sempre da settentrione”27. Infine la vittoria “ha un significato positivo sia
per Israele sia per tutto il mondo. Le scritture apocalittiche hanno delle
immagini legate alla palingenesi28. La narrazione biblica inizia con la
creazione del Mondo, comprende tutte le vicissitudini di questo rapporto
tra Creatore e creato e la relativa presa di coscienza della creatura per
25
Pagina 150
Pagina 151
27
Pagina 154
28
Pagina 180
26
23
eccellenza (l’uomo) al suo processo di divinizzazione in una palingenesi
finale e conclusiva per il Mondo così come è per una trasformazione già
iniziata nell’atto creativo perfettibile ad una perfezione assoluta come
completamento finale dell’opera del Creatore. Noi cristiani nella nostra
Bibbia abbiamo a conclusione l’Apocalisse di Giovanni, dove il visionario
mangia il Vangelo, un libriccino dolce e amaro, un preciso richiamo ad
Ezechiele 2, 9. In questo atto è percettibile che questo libro “trasferisce le
tematiche essenziali” dell’Antico Testamento nel Cristianesimo e quindi è
“un’opera di rottura dal giudaismo ufficiale”29.
Sottolineature
Pagina 48: “Nell’antico Vicino Oriente e nella Bibbia il cambiamento del
nome designa sempre un nuovo destino”.
Pagina 73: “Contrariamente a una opinione assai diffusa, non è l’esplicita
distinzione del precetto sulle immagini che fu motivo della differenziazione
tra cattolici (latini) e i riformati, ma la diversa valutazione etica del desiderio
della altrui donna e degli altrui beni.”
Pagina 121: “san Gerolamo: Il libro dei Paralipomeni (cioè le Cronache)… è
talmente importante che senza di esso non ci può essere una vera
conoscenza delle Scritture… (PL 22,254)”.
Pagina 133: “l’assalto di un esercito di topi di cui parla Erodoto trattando
della ritirata di Sanacheribos”.
Pagina 135 Abacuc versetto 2 del capitolo 3, versione greca: “Ti manifesterai
in mezzo a due animali”, frase antecedente alle raffigurazioni del presepe.
Pagina 156: “nel pensiero ebraico non c’è catastrofe senza colpe morali”.
Pagina 156: “Lo spirito ebraico è appassionatamente convinto che l’ordine
dell’universo e lo stato dell’uomo siano razionalmente spiegabili. Le strade
di Dio non sono né capricciose né assurde”.
Pagina 156: “E’ nel periodo esilico, come s’è visto, che si gettano le basi
concrete (se proprio non si conclude) della grande opera che è il nostro
29
182
24
Pentateuco, (…) sistemando le tradizioni e i documenti in un unico scritto
valevole ormai per tutto Israele”.
Pagina 159: Il “Deuteroisaia (…) è il primo grande teorico del monoteismo
(…) universalismo (…) il Dio di Israele è il Dio di tutto il mondo”. Pagina 162,
Il Servo di Jahvè: “oggi vedono Ciro nel celebre testo: Ecco il mio servo che
io sostengo”. I cristiani vedono Gesù, pagina 165: “Si tratta di una rilettura
attualizzante, che traspone cioè nel presente quanto è detto in un testo o di
una persona, lettura che non era né eccezionale, né insolita ed esclusiva dei
cristiani, come attestano sia gli esseni sia il targum (versione aramaica della
Bibbia): quest’ultimo almeno tre volte spiega che il Servo è il Messia”. Come
si vede in diversi punti di questo volume vi è uno stretto collegamento tra
gli esseni e Gesù. A pagina 168 argomentando sull’ultima cena l’Autore
segnala che Gesù “non seguì il calendario ufficiale della Giudea ma –
probabilmente – il calendario degli esseni”.
Pagina 169, nel 64 Nerone accusò i cristiani dell’incendio di Roma: “Furono
inflitti supplizi ai cristiani, gente dedita a una nuova e malefica superstizione.
(Svetonio, Nerone XVI)”. Perché ogni religione ha un Mondo con delle regole
che armonizzano con il proprio dio. Il cristianesimo offendeva gli dei perché
asseriva che vi era un solo Dio, quindi creavano una disarmonia distruttiva
dalla politica alla storia cosmica e perciò per il loro credo andavano trucidati,
perché il loro credo anche della divinizzazione umana offendevano l’orgoglio
degli dei.
Pagina 173: “il più grande comandamento, per i seguaci di Gesù vi è un solo
padre, un solo maestro, una sola guida”. È stato il comandamento più tradito
e ignorato dall’inizio stesso, con i vari “padri” e “maestri” della Chiesa.
Pagina 176: Gesù: “sembra che si sveli soltanto ai dèmoni, mentre nel cuore
degli uomini resta un mistero (Marco 1, 1-18, 26)”.
Pagina 178: Luca “tralascia quanto poteva apparire irrispettoso verso il
maestro”.
Conclusioni
Tali riflessioni possono sembrare frammentarie, ma hanno una visione unica
nell’intento. Quando ho completato la mia ricerca sul Santuario del SS.
Crocifisso di Siculiana mi sono accorto che i vari interventi e opere artistiche,
25
dal battistero al simulacro del Crocifisso hanno una unica narrazione che è
appunto quella biblica nel suo insieme. Ed è questa la straordinarietà della
Bibbia: la sua completezza. Questo studio è come un pozzo senza fondo, non
ha fine.
26